Si può guarire dal dolore parlando di dolore? Si
possono percorrere traumi, depressioni, perdite e sentirsi comunque sollevati
da una voce che te li racconta? L’esperienza di Parole in
folle dimostra che questo è possibile.
Lo abbiamo sperimentato che la parola ha un ruolo
terapeutico. Che pur ispirata alle ferite dell’anima diventa un balsamo proprio
grazie a quel suo farsene carico.
Il progetto One Global Voice si caratterizza per lo
spazio che abbiamo voluto dare non solo al concetto, ma alla pratica della parola come cura, come terapia nel
disagio mentale.
Il nostro focus è stato il malessere mentale (che
nella maggior parte dei casi genera da questioni di carattere sociale) raccontato dalle giovani generazioni di
artisti africani dell’Africa sub-sahariana. Dove la poesia diventa atto
di denuncia.
Parliamo di slam poetry e spoken word molto diffuse tra chi usa il
linguaggio poetico per raccontare storie, situazioni, vite. Lo slam poetry dà a questi artisti la possibilità di
esprimersi attraverso varie forme di linguaggio. Che sono appunto la parola,
spesso ritmata e rimata, ma anche il movimento del corpo, lo sguardo e,
naturalmente la modulazione della voce.
Tutto questo è stato pienamente vissuto dal pubblico
che ha preso parte ai nostri eventi, parte conclusiva di un progetto triennale.
Scorrendo le pagine di questo sito avrete il quadro completo di quello che
abbiamo realizzato in questo periodo.
Il titolo, emblematico e suggestivo, della parte
artistica del progetto è – appunto – Parole in folle. Il momento clou è stato
lo spettacolo all’auditorium del Centro Culturale Altinate San
Gaetano a Padova, il 15 ottobre. Qualche giorno prima, il 10
ottobre – in occasione della Giornata mondiale della salute
mentale – si era svolta una conferenza che abbiamo organizzato in
collaborazione con l’Università di Padova (Dipartimento Disll) sul tema: Parole
in folle. Poesia come terapia.
Sul palco del San Gaetano, Placide Konan (Costa d’Avorio), Xabiso Vili (Sudafrica), Poetra Asantewa (Ghana), Le Duo Zeinixx & Sall Ngaary (Senegal), Gloria Riggio (Italia). I brani presentati – uno
dei quali inedito per ciascun artista – erano legati e ispirati al disagio
mentale.
Brani, dunque, difficili da “digerire”, spesso
drammatici, disperati.
Eppure… eppure l’energia che scaturiva da ogni
interpretazione, da ogni artista, ha fatto l’effetto contrario. O, meglio,
quello che speravamo e andavamo dicendo nel corso degli incontri e delle
conferenze che hanno preceduto lo spettacolo: ovvero, che la parola poetica può avere – ha – una funzione curativa.
Che la parola può ferire sì, ed esprimere o riportare a
galla cose dolorose, ma può anche guarire. Essere mezzo di riscatto, sedare
l’angoscia e trasformarla in pace. All’evento, che ha fatto il tutto esaurito,
tutti – stando ai commenti che da ogni parte ci sono arrivati – hanno vissuto
questa esperienza di catarsi.
E lo stesso è accaduto il giorno dopo allo spettacolo
di Bologna presso lo Spazio Met di Cantieri Meticci. Ambiente diverso, nel
numero dei partecipanti consentiti e nella natura del luogo. Ma l’atmosfera,
appena gli artisti hanno cominciato a salire sul palco e a performare, era la
stessa: silenzio, coinvolgimento, stupore. Stupore per quelle sensazioni che
venivano a galla in chi stava partecipando a questa sorta di rito collettivo di
guarigione.
Aver portato – per la prima volta in Italia – questi
artisti ben conosciuti all’estero (e, naturalmente nei loro Paesi d’origine),
ma assai meno da noi, è motivo di grande orgoglio.
Siamo convinti che questa intuizione debba proseguire.
E che sia necessario trovare modi e situazioni di scambio, confronto.
conoscenza reciproca. Noi ce la metteremo tutta perché questo progetto non
finisca qui. Le idee sono tante e la voglia di realizzarle non manca.
Grazie, intanto, alla Fondazione Cariparo per aver creduto in un
progetto ambizioso e un po’… folle.
Dopo tutto, come scriveva Alda Merini: Anche la follia merita i suoi applausi.