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lunedì 7 giugno 2021

Il “socialismo” dei ricchi. Flat tax e lotta di classe

di El­le­pi­gi­vi - To­ri­no

 


“Flat tax” è uno di quei ter­mi­ni che si è in­se­ri­to con forza nel di­bat­ti­to po­li­ti­co di que­sti ul­ti­mi mesi oc­cu­pan­do spes­so anche le prime pa­gi­ne dei mezzi di co­mu­ni­ca­zio­ne. Viene ri­pe­tu­to come un man­tra da Sal­vi­ni con lo stes­so spi­ri­to con cui si usa un’e­spres­sio­ne ma­gi­ca e per in­di­ca­re lo stru­men­to sal­vi­fi­co in grado di “far ri­par­ti­re” la di­sa­stra­ta eco­no­mia ita­lia­na. Usato anche come una clava da agi­ta­re con­tro i po­te­ri forti di Bru­xel­les, che in ve­ri­tà sono in­te­res­sa­ti uni­ca­men­te ai no­stri “conti” che in qual­che modo de­vo­no tor­na­re, cioè ri­spet­ta­re i “vin­co­li di bi­lan­cio”.

Come spes­so suc­ce­de l’u­ti­liz­zo di ter­mi­ni in­gle­si, in voga da un po' di tempo, serve a na­scon­de­re una real­tà che non si vuole far co­no­sce­re. Tra­dot­to in ita­lia­no flat tax vuol dire tassa piat­ta, o me­glio an­co­ra ali­quo­ta unica che, presa alla let­te­ra, si­gni­fi­ca che tutti pa­ga­no la stes­sa per­cen­tua­le di im­po­sta: clas­se media, ric­chi, ric­chis­si­mi, po­ve­ri, po­ve­ris­si­mi. Anche se non sarà rea­liz­za­ta in que­sti ter­mi­ni (il che sa­reb­be in­co­sti­tu­zio­na­le) si trat­te­rà, nelle in­ten­zio­ni del go­ver­no, di ri­dur­re co­mun­que in modo dra­sti­co le già ri­dot­te dif­fe­ren­ze del­l’am­mon­ta­re del­l’im­po­sta da pa­ga­re per i di­ver­si li­vel­li di red­di­to. Una ten­den­za que­sta che pro­ce­de ora­mai da 35 anni.

L’at­tua­zio­ne della flat tax è stata posta più volte da Sal­vi­ni, dopo il suo suc­ces­so alle ele­zio­ni eu­ro­pee, come la con­di­zio­ne per la pro­se­cu­zio­ne della vita del go­ver­no gial­lo­ver­de, non pochi os­ser­va­to­ri ri­ten­go­no che po­treb­be es­se­re la leva per far sal­ta­re il go­ver­no e an­da­re alle ele­zio­ni an­ti­ci­pa­te. La mac­chi­na da guer­ra pro­pa­gan­di­sti­ca di Sal­vi­ni si è già messa in moto su que­sto ter­re­no di gran­de im­pat­to me­dia­ti­co. Pro­por­re la ri­du­zio­ne delle tasse per tutti, per quan­to in­gan­ne­vo­le e ve­dre­mo in se­gui­to il per­ché, si­gni­fi­ca por­ta­re a casa un si­cu­ro bot­ti­no di con­sen­si.

L’a­li­quo­ta unica è stato un ca­val­lo di bat­ta­glia di Ber­lu­sco­ni che pro­po­ne­va una tas­sa­zio­ne del 15% per tutti. Il tema della ri­du­zio­ne delle tasse è un pi­la­stro delle po­li­ti­che eco­no­mi­che neo­li­be­ri­ste che si sono af­fer­ma­te a par­ti­re dai primi anni 80 con le po­li­ti­che di Ro­nald Rea­gan.

La teo­ria dello sgoc­cio­la­men­to.

Come viene giu­sti­fi­ca­ta la ne­ces­si­tà di ri­dur­re le tasse, che in­ci­de spe­cial­men­te a fa­vo­re delle fasce più ric­che della po­po­la­zio­ne? Alla base tro­via­mo la teo­ria dello sgoc­cio­la­men­to (il tric­kle down): se si fanno pa­ga­re meno tasse ai ric­chi, que­sti in­ve­sto­no i ri­spar­mi nelle at­ti­vi­tà eco­no­mi­che, crea­no oc­cu­pa­zio­ne e ric­chez­za per tutti, non solo per loro stes­si. In­som­ma, se­con­do que­sta vi­sio­ne, la ric­chez­za ac­cu­mu­la­ta in alto sgoc­cio­la verso il basso e ne be­ne­fi­cia­no anche i ceti po­po­la­ri. Una teo­ria che ha ora­mai 35-40 anni, che non ha tro­va­to con­fer­me né a li­vel­lo teo­ri­co, né nella pra­ti­ca quan­do è stata ap­pli­ca­ta. La po­li­ti­ca eco­no­mi­ca di Ro­nald Rea­gan ha con­sen­ti­to una straor­di­na­ria ac­cu­mu­la­zio­ne di ca­pi­ta­le e al lato op­po­sto di mi­se­ria. Lo sgoc­cio­la­men­to non av­vie­ne, al con­tra­rio la di­stri­bu­zio­ne del red­di­to di­ven­ta sem­pre più ini­qua con ric­chi sem­pre più ric­chi e po­ve­ri sem­pre più po­ve­ri. Una tas­sa­zio­ne come la flat tax avreb­be come unico ri­sul­ta­to quel­lo di per­met­te­re un ul­te­rio­re tra­sfe­ri­men­to di ri­sor­se eco­no­mi­che dal basso verso l’al­to. Il con­tra­rio di quan­to pre­ve­de la teo­ria dello sgoc­cio­la­men­to. Si fi­ni­sce per dre­na­re dalle clas­si più in­di­gen­ti quel­le poche ri­sor­se an­co­ra a loro di­spo­si­zio­ne. Se c’è una ri­du­zio­ne del get­ti­to fi­sca­le, dove si pren­do­no le ri­sor­se per so­ste­ne­re la spesa cor­ren­te? Evi­den­te­men­te dai ser­vi­zi so­cia­li, dagli ospe­da­li, dagli asili, dalle scuo­le, ecc. Un pro­get­to come quel­lo della flat tax non potrà che an­da­re a in­tac­ca­re quel che resta dei ser­vi­zi so­cia­li, fa­vo­ren­do eco­no­mi­ca­men­te il nu­cleo so­cia­le più so­li­do che so­stie­ne da de­cen­ni po­li­ti­ca­men­te la Lega, cioè quei seg­men­ti pro­dut­ti­vi del lom­bar­do ve­ne­to.

Il sogno le­ghi­sta della flat tax, per il suo im­pat­to sulla di­stri­bu­zio­ne del red­di­to, è un altro pas­sag­gio della lotta di clas­se dei ceti ab­bien­ti con­tro i già mo­de­sti red­di­ti dei su­bal­ter­ni, sulla scia della per­di­ta del po­te­re d’ac­qui­sto del sa­la­rio, dello sman­tel­la­men­to del si­ste­ma dei di­rit­ti usci­ti dalle lotte degli anni 70.

Qui di se­gui­to svi­lup­pia­mo al­cu­ni ra­gio­na­men­ti, an­co­ra par­zia­li, cer­can­do di com­pren­de­re come nei prov­ve­di­men­ti in di­scus­sio­ne sulla ri­for­ma della tas­sa­zio­ne si na­scon­da un mec­ca­ni­smo eco­no­mi­co che ha una chia­ra na­tu­ra di clas­se. Cer­chia­mo anche, per quan­to pos­si­bi­le, di non ren­de­re trop­po spe­cia­li­sti­co e pe­san­te il ra­gio­na­men­to.

Un lungo per­cor­so di in­giu­sti­zia fi­sca­le.

So­la­men­te nel 1974, con la ri­for­ma Vi­sen­ti­ni, con l’i­sti­tu­zio­ne del­l’Ir­pef (l’im­po­sta sul red­di­to delle per­so­ne fi­si­che), entra in vi­go­re un si­ste­ma di tas­sa­zio­ne im­pron­ta­to alla pro­gres­si­vi­tà del­l’im­po­si­zio­ne fi­sca­le come pre­vi­sto dal­l’ar­ti­co­lo 53 della Co­sti­tu­zio­ne ita­lia­na. La ri­for­ma tri­bu­ta­ria del go­ver­no Rumor è il pro­dot­to di un con­te­sto po­li­ti­co ca­rat­te­riz­za­to da un forte con­flit­to so­cia­le. Pur nella sua im­po­sta­zio­ne ri­for­mi­sta può con­si­de­rar­si come il ri­sul­ta­to di un clima ge­ne­ra­le che met­te­va al cen­tro del­l’a­gen­da po­li­ti­ca la ne­ces­si­tà di ri­dur­re le di­su­gua­glian­ze so­cia­li cau­sa­te dal ca­pi­ta­li­smo.

La ri­for­ma del 74 in­tro­du­ce un si­ste­ma pro­gres­si­vo per­ché non solo pre­ve­de l’au­men­to del­l’im­por­to delle tasse in se­gui­to al­l’au­men­to del red­di­to (au­men­to pro­por­zio­na­le), ma so­prat­tut­to per­ché si ha un in­nal­za­men­to do­vu­to al­l’a­li­quo­ta delle im­po­ste da pa­ga­re. Più si è ric­chi più cre­sce la quota parte di red­di­to da pa­ga­re.

Nel 1974 le ali­quo­te di pre­lie­vo fi­sca­le da pa­ga­re erano 32; la più bassa era pari al 10%, men­tre quel­la mas­si­ma era fis­sa­ta al 72%. Già dalla metà degli anni 80 ini­zia un per­cor­so, in­tra­pre­so sia da go­ver­ni di cen­tro­de­stra che di cen­tro­si­ni­stra, in­di­riz­za­to a ri­dur­re anche dra­sti­ca­men­te il ca­rat­te­re pro­gres­si­vo della tas­sa­zio­ne di­ret­ta. Le ali­quo­te si ri­du­co­no da 32 alle at­tua­li 5.

Non solo, dagli anni 80 ad oggi i ric­chi hanno go­du­to di una co­stan­te ri­du­zio­ne delle tasse; la loro ali­quo­ta mas­si­ma si è quasi di­mez­za­ta pas­san­do dal 72% al 43% odier­no. Inol­tre si è anche am­plia­ta la pla­tea, in­fat­ti oggi l’im­por­to da cui si ap­pli­ca l’a­li­quo­ta del 43% è pari a 75.000 euro. Que­sto si­gni­fi­ca che da que­sta cifra a sa­li­re è stata can­cel­la­ta ogni pro­gres­si­vi­tà: un red­di­to di 75 mila euro è sog­get­to alla stes­sa ali­quo­ta di un red­di­to di 10 mi­lio­ni, di un mi­liar­do, ecc.

In basso, sul lato op­po­sto, l’a­li­quo­ta mi­ni­ma è al con­tra­rio cre­sciu­ta pas­san­do dal 10% al­l’at­tua­le 23%. Negli ul­ti­mi 35 anni la­vo­ra­to­ri di­pen­den­ti e pen­sio­na­ti si sono fatti ca­ri­co di un mag­gior get­ti­to fi­sca­le com­ples­si­vo. Il segno di clas­se di que­sta ten­den­za è evi­den­te: ac­can­to a sa­la­ri che hanno perso po­te­re d’ac­qui­sto, le tasse per le clas­si su­bal­ter­ne sono di­ven­ta­te più pe­san­ti.

Senza en­tra­re nel me­ri­to ri­cor­dia­mo an­co­ra che nel­l’ul­ti­mo ven­ten­nio si sono no­te­vol­men­te ri­dot­te le im­po­ste per le so­cie­tà di ca­pi­ta­le, men­tre i red­di­ti fi­nan­zia­ri hanno una tas­sa­zio­ne age­vo­la­ta e non pro­gres­si­va. In que­sti set­to­ri del­l’e­co­no­mia, dove si ma­ci­na­no fat­tu­ra­ti e utili mi­lio­na­ri, si è già rea­liz­za­ta una ri­di­stri­bu­zio­ne verso l’al­to. Que­ste so­cie­tà, che hanno anche la pos­si­bi­li­tà di spo­sta­re le sedi fi­sca­li nei pa­ra­di­si fi­sca­li, go­do­no già di una vera e pro­pria flat tax. Anche i pro­fit­ti e gli in­te­res­si ma­tu­ra­ti con la spe­cu­la­zio­ne sui ti­to­li fi­nan­zia­ri sono tas­sa­ti con un’a­li­quo­ta unica del 26%, a pre­scin­de­re dal­l’im­por­to. Per con­clu­de­re, una con­si­sten­te massa di red­di­ti da ca­pi­ta­le già oggi sfug­ge alla pro­gres­si­vi­tà delle im­po­ste e viene tas­sa­ta con un’a­li­quo­ta age­vo­la­ta.

Dalle im­po­ste di­ret­te alle im­po­ste in­di­ret­te.

La ten­den­za degli ul­ti­mi anni in Ita­lia e in tutta Eu­ro­pa è quel­la di ina­spri­re le im­po­ste in­di­ret­te a fa­vo­re di quel­le di­ret­te. L’im­po­sta di­ret­ta col­pi­sce il red­di­to o il pa­tri­mo­nio del sog­get­to in que­stio­ne, si basa sulla sua ca­pa­ci­tà di con­tri­bui­re ai bi­so­gni della col­let­ti­vi­tà.

L’im­po­sta in­di­ret­ta grava sui con­su­mi e ri­guar­da so­prat­tut­to l’Iva, ma anche le ac­ci­se (ben­zi­na, ta­bac­chi). Chiun­que ac­qui­sti un bene paga l’Iva sul pro­dot­to che col­pi­sce a piog­gia l’in­te­ra pla­tea dei con­tri­buen­ti, ric­chi e po­ve­ri. L’Iva è una flat tax, una tassa piat­ta, ugua­le per tutti i con­su­ma­to­ri. A ben ve­de­re però le im­po­ste in­di­ret­te col­pi­sco­no in ma­nie­ra pe­san­te i po­ve­ri, sot­traen­do loro una per­cen­tua­le di red­di­to mag­gio­re di quel­la dei ceti ab­bien­ti. In­fat­ti chi vive in basso è co­stret­to a spen­de­re la quasi to­ta­li­tà del pro­prio red­di­to in con­su­mi che sod­di­sfi­no i suoi bi­so­gni pri­ma­ri. Al con­tra­rio delle fasce più ric­che che im­pe­gna­no una quota mi­no­ri­ta­ria del loro red­di­to in con­su­mi, ri­spar­mian­do o in­ve­sten­do il resto.

In Ita­lia l’a­li­quo­ta per­cen­tua­le del­l’I­va, nel 1973 era pari al 12%, oggi ha rag­giun­to il 22% che ri­guar­da la mag­gior parte dei beni di con­su­mo. Nel lu­glio del 2011 il go­ver­no Ber­lu­sco­ni, per ri­spet­ta­re i vin­co­li di bi­lan­cio pre­vi­sti dai trat­ta­ti eu­ro­pei e ras­si­cu­ra­re gli in­ve­sti­to­ri, ha in­tro­dot­to la “clau­so­la di sal­va­guar­dia” che pre­ve­de un au­men­to au­to­ma­ti­co del­l’I­va qua­lo­ra il go­ver­no non rie­sca a re­pe­ri­re le ri­sor­se ne­ces­sa­rie per fi­nan­zia­re la ma­no­vra fi­nan­zia­ria. Que­sta ere­di­tà si è tra­sci­na­ta fino ad oggi pas­san­do per i go­ver­ni Monti, Renzi, Gen­ti­lo­ni e Conte. In­fat­ti in au­tun­no, quan­do verrà messa a punto la ma­no­vra fi­nan­zia­ria per il 2020, si do­vran­no tro­va­re le ri­sor­se per di­sin­ne­sca­re l’au­men­to del­l’I­va al 24,5%, una pe­san­te man­na­ia che può ab­bat­ter­si sui con­su­ma­to­ri eco­no­mi­ca­men­te più de­bo­li.

Dai dati della Banca d’I­ta­lia si può ri­scon­tra­re come il peso delle im­po­ste di­ret­te sia oggi si­mi­le a quel­lo delle im­po­ste in­di­ret­te at­te­stan­do­si en­tram­be sul 35% del to­ta­le, men­tre i con­tri­bu­ti so­cia­li am­mon­ta­no a circa il 30%. Qua­lo­ra nella pros­si­ma ma­no­vra do­ves­se­ro scat­ta­re au­men­ti del­l’I­va (il mi­ni­stro del­l’e­co­no­mia Tria è da sem­pre fa­vo­re­vo­le a que­sta ipo­te­si) que­sta di­ven­te­reb­be l’im­po­sta prin­ci­pa­le. L’i­dea di spo­sta­re il peso del­l’im­po­si­zio­ne fi­sca­le dalle im­po­ste di­ret­te a quel­le in­di­ret­te è uno dei punti pro­gram­ma­ti­ci della vi­sio­ne li­be­ri­sta del­l’e­co­no­mia di cui sono por­ta­tri­ci le élite del­l’U­nio­ne Eu­ro­pea.

L’i­deo­lo­gia li­be­ri­sta so­stie­ne in­fat­ti che tas­sa­re di­ret­ta­men­te gli agen­ti eco­no­mi­ci ha l’ef­fet­to di in­ci­de­re ne­ga­ti­va­men­te sugli in­ve­sti­men­ti. Non a caso i so­ste­ni­to­ri del­l’au­ste­ri­tà li­be­ri­sta sono i più ac­ca­ni­ti pro­mo­to­ri di un tra­va­so del get­ti­to dal­l’im­po­sta sul red­di­to a quel­la sui con­su­mi.

L’al­ter­na­ti­va fra au­men­to del­l’I­va e ta­glio della spesa so­cia­le ci verrà ri­pre­sen­ta­ta in au­tun­no quan­do si dovrà de­fi­ni­re la pros­si­ma ma­no­vra fi­nan­zia­ria. Si di­scu­te­rà del­l’al­ter­na­ti­va fra la pa­del­la e la brace: due mi­su­re ini­que che an­dran­no a col­pi­re tutti i set­to­ri del pro­le­ta­ria­to.

Go­ver­no del po­po­lo?

La flat tax si in­se­ri­sce per­fet­ta­men­te nella de­cen­na­le ero­sio­ne di quel con­te­nu­to di ri­di­stri­bu­zio­ne del red­di­to in­tro­dot­to nel 1974 al­l’in­ter­no del si­ste­ma fi­sca­le, si andrà così a in­tac­ca­re quel poco che so­prav­vi­ve dei pas­sa­ti ele­men­ti di equi­tà.

Die­tro la de­ma­go­gia di un mes­sag­gio po­li­ti­co sem­pli­ce e ap­pe­ti­bi­le, “meno tasse per tutti”, uno slo­gan di si­cu­ro suc­ces­so elet­to­ra­le, si na­scon­de la ri­du­zio­ne del get­ti­to fi­sca­le con l’e­vi­den­te pro­po­si­to di pic­co­na­re quel che ri­ma­ne dello stato so­cia­le, ac­cre­sce­re le pri­va­tiz­za­zio­ni e in­cre­men­ta­re la con­cen­tra­zio­ne dei red­di­ti fa­vo­ren­do i ceti più ric­chi. Il ta­glio della spesa pub­bli­ca viene pro­prio giu­sti­fi­ca­to con la ne­ces­si­tà di ab­bas­sa­re le tasse. Il cer­chio si chiu­de in con­ti­nui­tà con le po­li­ti­che di au­ste­ri­tà che hanno do­mi­na­to la scena degli ul­ti­mi anni.

Inol­tre la pur pic­co­la ri­du­zio­ne delle tasse per i ceti medio-bassi sarà tutta da ve­ri­fi­ca­re, in­fat­ti bi­so­gne­rà ca­pi­re che ne sarà delle de­tra­zio­ni fi­sca­li (che in­te­res­sa­no so­prat­tut­to i meno ab­bien­ti) che ri­schia­no di es­se­re eli­mi­na­te. o quan­to­me­no ri­dot­te, per fi­nan­zia­re le ri­du­zio­ni delle ali­quo­te.

L’i­deo­lo­gia e le po­li­ti­che anti-egua­li­ta­rie, che si sono af­fer­ma­te ora­mai da de­cen­ni e che con­ti­nua­no a ma­ci­na­re vit­ti­me pro­le­ta­rie, sono armi di una lotta di clas­se che ha visto il ca­pi­ta­le pro­dut­ti­vo e fi­nan­zia­rio af­fer­mar­si su scala glo­ba­le. La flat tax è il per­se­gui­men­to del­l’o­biet­ti­vo della di­su­gua­glian­za ope­ra­to da un go­ver­no che si au­to­rap­pre­sen­ta come an­ti­si­ste­ma e come “go­ver­no del po­po­lo”.

“Non c’è nulla di più in­giu­sto che fare parti ugua­li fra di­se­gua­li” po­te­va­mo leg­ge­re nella Let­te­ra a una pro­fes­so­res­sa della Scuo­la di Bar­bia­na