Vi presentiamo un incredibile ed ottimo servizio della RSI, la TV della
Svizzera Italiana, nel quale si parla del grande, enorme scandalo Novartis, la
società svizzera parte dei Big Pharma, che avrebbe corrotto migliaia di medici
greci affinché prescrivessero i suoi farmaci.
Sono stati tre dirigenti
della società, non collegati fra di loro, a far risultare questo scandalo, ma
NON sono andati davanti alla polizia greca, NON sono andati davanti ad una
polizia europea o perfino svizzera.
Per tutelarsi, loro ed i loro avvocati, si sono rivolti alla FBI americana che
li ha immessi fra i testimoni protetti. Hanno potuto
coinvolgere le autorità USA perchè Novartis è quotata a New York, quindi
soggetta alle norme USA.
I medici non
prescrivevano perchè pensassero che i farmaci di Novartis fossero buoni, ma
perchpè erano pagati. Lo dicono chiaramente i testimoni.
“Posso dimostrare che il medico veniva
pagato per prescrivere un certo farmaco e non si interessava per nulla di
quello che succedeva dopo” I soldi venivano dati dopo che
venivano controllate le prescrizioni fatte dal singolo medico. Una vera e
propria corruzione, in cui i soldi venivano dati SOLO se si raggiungevano i
risultati.
Un
documentario molto completo, molto lungo. Prima è partito un manager, poi un secondo,
poi un terzo. I programmi aziendali parlavano solo di farmaci prescritti, senza
interessarti dei suoi effetti. Nel 2010 Novartis diventa nr uno con un
programma di corruzione chiamato “Exaclty”, che prevedeva il pagamento di 2,5
milioni di euro a mille medici circa perla prescrizione di tre farmaci per il
controllo della pressione, ma c’erano 50 programmi di corruzione in
Norvartis per cui un medico poteva prendere anche 15 mila euro all’anno dai
vari programmi. Tutto era diretto dalla sede Svizzera. Naturalmente tutto
l’investimento doveva avere un Return on Investiment, pari circa a quattro,
(ogni milione in corruzione doveva renderne quattro). Il tutto era pagato come
“Compensi per la partecipazione a studi clinici” in realtà falsi, e con controlli
periodici delle ricette mediche sottoscritte. Poi due volte l’anno venivano
cancellati tutti i dati.
Un sistema
perfetto, alla fine chi se ne frega della salute dei pazienti? Vorrei ricordare
che Novartis è una dei 4 grandi produttori di vaccini che dominano il mercato
mondiale, e che nel 2010 si rifiutò di fornire vaccini gratis ai paesi poveri.
Buon ascolto.
La più cara del reame - Nicoletta Dentico
In un rapporto pubblicato lo scorso maggio, Access
to Medicines Foundation tenta di rispondere a una domanda importante:
le aziende farmaceutiche hanno fatto qualche progresso in materia di salute
globale?[1] Lo studio, il
primo del genere con una retrospettiva analitica di dieci anni, fissa lo
sguardo su 20 aziende e valuta se, e come, sia cresciuto l’impegno di big
pharma sul fronte dell’accesso ai farmaci essenziali. Vari sono i
profili di misurazione della performance: la ricerca e sviluppo di nuovi
farmaci, la partecipazione a partenariati pubblico-privati, la adesione a
programmi di donazione dei farmaci, le licenze assegnate ai produttori di
farmaci equivalenti, etc.
Qualcosa si muove sotto il sole dell’industria
farmaceutica, pare dire il rapporto. Dopo decenni di controversie aspre su
questo terreno della salute globale, simbolicamente potente per i tratti di
ingiustizia strutturale che configura, le aziende oggi sembrano più disposte a
considerare l’accesso ai farmaci un tema strategico. Certo, il loro impegno
risente di fluttuazioni correlate a ragioni di mercato (acquisizioni e
disinvestimenti), e la partita della proprietà intellettuale resta tutto
sommato ancora molto critica: solo 4 aziende su 20 si sono adeguate
all’attuazione delle flessibilità previste dall’accordo TRIPS
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc). [2] Ma decisivi
fattori di contesto facilitano oggi il loro impegno, più che in passato.
La comunità internazionale ha dedicato grande attenzione al tema e a
partire dalle big three (Aids, tubercolosi e malaria) sono
nate iniziative per ideare soluzioni, sia per l’accesso ai farmaci già
disponibili sul mercato che per la ricerca di nuovi trattamenti più adatti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha avuto un ruolo chiave nel
coordinare l’azione internazionale. È aumentato il numero di partnership per
l’innovazione e produzione di farmaci contro le (cosiddette) malattie della
povertà – da 38 a 90 – e di conseguenza i progetti di ricerca sulle malattie
dimenticate. Nuovi incentivi sono in campo per stimolare le aziende a
rispondere celermente all’esplosione di focolai epidemici, come quelli di Ebola e Zika.
Il mancato accesso ai farmaci essenziali è una
questione che riguarda 2 miliardi di persone e storicamente colpisce i paesi a
basso reddito. Stiamo parlando di una battaglia per il diritto alla salute che compie
venti anni, se vogliamo fissare per convenienza il suo debutto internazionale
con la mobilitazione della società civile – inclusi medici e pazienti – alla
prima conferenza interministeriale dell’Omc , a Seattle, nel novembre 1999.
Invece di trovare una soluzione di prospettiva, dopo venti anni di azioni
diplomatiche, dimostrazioni nelle piazze, battaglie legali, e pronunciamenti di
corti supreme, il problema è divenuto globale. Ironia della storia? Facile
profezia, piuttosto. Già a Seattle era chiaro che, se non attaccata per quello
che era, un’immensa omissione di soccorso, la morte dei pazienti poveri a causa
di malattie per cui un farmaco salvavita esisteva, ma era troppo costoso,
avrebbe anticipato una deriva destinata a colpire anche i pazienti del mondo
industrializzato. Così è stato. Da
qualche tempo, i paesi ricchi devono affrontare ostacoli sempre più
insormontabili per garantire le cure essenziali alle loro popolazioni. A
dispetto delle incoraggianti tendenze registrate dal rapporto di Access
to Medicines Foundation, le questioni non risolte sul ruolo delle case
farmaceutiche nella salute globale restano spinose. In alcuni casi si
aggravano, vista la posizione dominante conferita loro dal patogeno regime di
proprietà intellettuale. [3] Il rapporto ad
esempio non affronta il tema della segretezza che avvolge il negoziato sul
prezzo di un farmaco: viatico a una dispersione di fondi pubblici immensa.
Con coraggiosa determinazione, il direttore della
Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha presentato alla assemblea dell’Oms,
insieme ad altri dieci governi, una risoluzione sulla trasparenza nel settore
farmaceutico[4] che ha cominciato
a fare presa sul serio nel dialogo politico intergovernativo.[5] Vogliamo
augurarci che riesca a mutare le dinamiche nel rapporto tra governi e industria
farmaceutica, anche in seno alla recalcitrante Europa. [6] La mancanza di
trasparenza nei negoziati fra agenzie del farmaco e aziende sul prezzo dei
farmaci, le clausole di segretezza brandite dalle multinazionali come
condizione per abbassare il prezzo dei loro prodotti, da bilanciare con le
incertezze sui benefici di salute delle innovatività terapeutiche degli ultimi
anni, mettono a dura prova la sostenibilità dei sistemi sanitari. Non solo
sotto il profilo economico, ma anche della possibilità di nuove strategie a
disposizione del servizio pubblico. Tanto per fare un esempio, nel 2018 la Norvegia ha deciso di rigettare
il 51% dei nuovi farmaci e strumenti immessi sul mercato, per via dei loro
prezzi eccessivi a fronte di dati clinici carenti. Oggi, solo
Svizzera e Giappone hanno sistemi di trasparenza in vigore. Nel resto del mondo
è giungla.
La spesa farmaceutica mondiale orbita alla cifra
di 1,2 trilioni (1 trilione = 1000 milioni) di
dollari nel 2018. Si prevede che aumenterà di altri 1,5 trilioni entro
il 2023. Nei paesi OCSE, l’acquisto dei medicinali equivale a una fetta
dei bilanci sanitari che va dal 7 al 41%. Secondo l’analisi dell’agenzia
americana Rx Saving Solutions, il costo di 3400 farmaci in America
è aumentato del 17% nel 2019, anche per gli effetti della contrattazione fra
assicurazioni e aziende farmaceutiche (altro capitolo di opacità strutturale,
oggi sotto tiro da parte della amministrazione Trump, che merita attenzione,
vista la quantità di adepti di cui gode il modello assicurativo anche in
Europa). Nel 2018, è cresciuto a vista d’occhio (+42%) l’impatto sulla spesa
farmaceutica globale delle terapie contro malattie croniche complesse. Intanto,
la ricerca genetica ha conferito nuovo impulso all’innovazione: 46 nuovi
prodotti sono stati lanciati negli ultimi cinque anni. Ma se non cambiano
le regole del gioco, che ce ne facciamo di nuove terapie, sempre più fuori
controllo dal punto di vista del prezzo?
In un articolo di fine agosto, il New
York Times[7] raccontava della storia di Dawn
Patterson, affetta da una rara e dolorosissima patologia genetica alle ossa,
ereditata fra l’altro dai suoi due figli. Il farmaco Strensiq, prodotto da Alexion
Pharmaceuticals, ha finalmente salvato Patterson dalla ferocia del dolore e da
una vita di reclusione, ma la botta è arrivata quando la International
Brotherhood of Boilermakers, la assicurazione sindacale che copre la
terapia della signora, ha ricevuto dalla azienda una richiesta di rimborso di 6
milioni di dollari per un anno di somministrazione della terapia. La
sbalorditiva storia dello Strensiq ha quasi superato la
vicenda, altrettanto inquietante, del farmaco Zolgensma, prodotto dalla svizzera Novartis, e approvato
negli Stati Uniti nel maggio 2019. Zolgensma è stato raccontato come il
medicinale più costoso della storia. Si tratta di una terapia genetica
che si amministra con una sola dose, e serve per il trattamento pediatrico di
bambini di età inferiore ai due anni affetti da atrofia muscolare spinale (SMA). È un
trattamento salvavita, segna uno storico passo avanti nella cura
della patologia, perché si somministra in un’unica dose. Il suo prezzo è 2,125
milioni di dollari. [8]
La Novartis ha dichiarato di aver costruito il
prezzo del farmaco su un “modello basato sul valore” (value-based pricing
model). Detto in altre parole, il prezzo sarebbe direttamente proporzionale
al valore terapeutico intrinseco del medicinale. L’azienda assicurerebbe
una riduzione del 50% sulle medie di spesa corrente per la cura della SMA,
incluso il costo per una terapia decennale per la SMA cronica, che ruota
intorno ai 4 milioni di dollari. L’unico farmaco alternativo in uso,
Spinraza di Biogen, costa 750 mila dollari per il primo anno, e 375mila
per gli anni successivi.
Alcuni analisti finanziari confermano: il prezzo
fissato da Novartis potrebbe diventare un prezzo di riferimento per altre
terapie genetiche in corso di sviluppo. Ciò che Novartis non dice è che Zolgensma, dalla cui vendita
prevede un profitto di 2,4 miliardi di dollari l’anno, è frutto della ricerca
finanziata dalla maratona di Telethon in Francia. Nella fattispecie,
da un laboratorio non profitcreato ad hoc, Genethon,
che per anni si è cimentato sulla atrofia muscolare spinale, con un
investimento di 12 – 15 milioni degli euro raccolti con la maratona televisiva.
Il teamdi scienziati aveva scoperto che l’iniezione di un certo
“vettore virale” avrebbe potuto correggere il gene difettoso. A marzo 2018,
Genethon ha venduto per 15 milioni di dollari il suo brevetto alla start
up americana AveXis, che già aveva nel portafoglio di ricerca il
farmaco Zolgensma. Il mese successivo, AveXis è stata acquistata dal
gigante Novartis per 8,7 miliardi di dollari. Questo significa che
Novartis ha introdotto nel mercato americano, e a seguire in quello europeo e
giapponese, una terapia che è frutto di ricerca finanziata dalle donazioni dei
cittadini.
Nessuno mette in discussione il fatto che
l’industria farmaceutica debba fare profitti per continuare a operare. Ma la
filosofia di costruzione del prezzo dei farmaci che sta prendendo piede deve
trovare un argine, rapidamente. Assomiglia sempre di più a quella applicata
alle malattie rare, che non hanno concorrenza. Il nuovo modello di business è stato
sperimentato con successo nel 2013 da Gilead Sciences nel caso del Sofosbuvir
(scoperto dalla biotech Pharmasset, poi acquisita), un farmaco innovativo
contro l’epatite C lanciato in USA al proibitivo costo di 84 mila dollari, in
Italia circa 41 mila euro a trattamento in regime ospedaliero (74 mila euro
per acquisto privato in farmacia)[9], per una terapia
di 12 settimane. Una sorta di derivato finanziario[10] . Alla stessa
stregua di Gilead Sciences, Novartis con Zolgensma ha separato completamente il
prezzo del farmaco dal costo del suo sviluppo, e ha deciso di farne un prodotto
speculativo.
Se i governi e le agenzie internazionali come
l’Oms non rigettano con fermezza la filosofia di basare il prezzo dei farmaci
sul loro valore intrinseco, questo vorrà dire che avremo un mondo alla rovescia,
rispetto a quanto visto finora. I farmaci essenziali finiranno per costare più
degli altri, proprio perché salvavita. Allora sì che i bilanci pubblici della
sanità saranno in pericolo.
*Direttrice, Health innovation in Practice (HIP), Ginevra.
Bibliografia
1.
Are
pharmaceutical companies making progress when it comes to global health? Access
to Medicines Foundation,16.05.2019.
2.
L’Accordo sugli Aspetti della Proprietà Intellettuale legati al Commercio
(Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, TRIPS) è entrato
in vigore nel 1995, e prevede clausole globali per incentivare
l’innovazione in campo industriale, basate su una sostanziale condizione di
esclusività ventennale nella gestione del brevetti. E’ pratica diffusa delle
grandi imprese quella di rinnovare la posizione dominante con diversi
dispositivi di “rinverdimento” del brevetto (ever-greening, frivolous
patenting, patent fencing). Il regime di monopolio
che le clausole dell’accordo TRIPS prevedono è stato oggetto di dure critiche
da parte della società civile internazionale e dei governi del sud del mondo,
privi di capacità industriali. L’Accordo TRIPS è stato visto giustamente come
una barriera insormontabile all’accesso alla conoscenza. Nella fattispecie, la
equiparazione dei farmaci a qualunque altro prodotto industriale ha suscitato
gravi problemi nella lotta alle malattie infettive in passato, e potrà
consegnare molte barriere anche nella lotta alle malattie croniche, per la
asimmetria di potere che il sistema TRIPS legittima. Infatti, le clausole di
salvaguardia previste dall’accordo – la licenza obbligatoria, la
importazione parallela, le due principali – sono riuscite a scalfire
questa asimmetria solo in alcuni casi, e con molte difficoltà. Si tratta di
meccanismi procedurali molto complessi, difficilmente utilizzabili nei paesi
che non hanno capacità produttiva in campo farmaceutico; inoltre, risentono in
larga misura dei rapporti di forza geopolitici.
3.
Sell S, Williams O. Health
under capitalism: a global political economy of structural pathogenesis. Review
of International Political Economy, 09.09.2019.
4.
Dentico N. Salute
pubblica, accesso ai farmaci e trasparenza sul loro prezzo: il cambio di gioco
dell’Italia. La Repubblica, 22.09.2019.
5.
Il 4 ottobre 2019, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) ha
pubblicato una richiesta del governo del Sudafrica rivolta al TRIPS
Council sul tema “Costi di Ricerca e Sviluppo (R&S) e Prezzi di Medicinali
e Tecnologie Sanitarie” (IP/C/W/659). In questo documento, il Sudafrica
chiede al TRIPS Council dell’Omc (che si riunisce il 17 e 18 ottobre 2019) di
affrontare la questione sul costo della R&S e sui prezzi finali dei
farmaci. Nel solco della pista di lavoro tracciata dall’Italia
all’Assemblea 2019 dell’Oms, i delegati dell’Omc che seguono le questioni sulla
proprietà intellettuale dovranno quindi discutere sui temi della trasparenza,
ai sensi del documento sudafricano. Per ulteriori informazioni, si veda Keionline.org.
6.
Fletcher ER. Malta
Looks for European Action in Medicines Price Transparency. Health
Policy Watch, 02.10.2019.
7.
Thomas K, Abelson R. The
$6 million drug claim. The New York Times, 25.08.2019.
8.
Dentico N. Farmaci:
la opacità dei colossi industriali sulla formazione dei prezzi. La
Repubblica, 9.09.2019.
9.
Epatite C: il diritto alla
cura. Salute Internazionale 20.07.2006
10. Americans for Tax
Fairness. Gilead
Sciences Price Gouger, Tax Dodger [PDF: 1,25 Mb] July 2016.
Articolo pubblicato anche su saluteinternazionale