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venerdì 4 agosto 2023

Oltre i confini, poesia che rivendica diritto a viaggiare degli africani - Antonella Sinopoli

 


Il diritto al movimento – e a migrare – è un diritto a senso unico. Che può e viene esercitato dai cittadini del mondo occidentale e che viene invece precluso, negato, ai cittadini di molte altre parti del mondo. In virtù di decisioni contestabili e arbitrarie, come il diniego dei visti o la classificazione dei passaporti – quelli “forti”, che permettono di viaggiare praticamente in ogni parte del mondo e quelli che valgono poco – come quelli, guarda caso di chi cerca una strada verso la salvezza utilizzando i barconi.

Chi critica i migranti lo fa, spesso, senza conoscere i motivi che li spingono a partire sfidando la sorte. Per cercare di sensibilizzare sulla “questione passaporti” Voci Globali ha aperto una raccolta firme e continua a cercare, con i suoi mezzi, quelli dell’informazione, di stimolare riflessioni e dibattiti su questa grossa iniquità che a cascata ne provoca tante altre.

Oggi lo facciamo pubblicando, su concessione dell’autrice, un toccante testo di Ruddy Morfaw – giurista camerunense e spoken word artist – che ha recitato il suo lavoro, Across Borders, in occasione della 75esima sessione ordinaria della African Commission on Human and Peoples’ Rights (ACHPR)] 

 

Com’è possibile

che devo impiegare tanti mesi, compilare un migliaio di moduli, affrontare un paio di rigetti

Solo per viaggiare per alcuni chilometri sulla stessa faccia di questo pianeta.

 

È incredibile quanto le nostre vite siano definite dai passaporti.

Che viaggiare faccia ancora scattare tanta paura e desideri

anticipatori

E che qualsiasi sia lo scopo così esoticamente definito,

sia tuttavia etichettato mentalmente come uno schema sospetto per strappare delle opportunità

intese e riservate ai fratelli dall’altro lato dei nostri confini.

Confini tracciati non da noi, ma da conquistadores fantasiosamente divinizzati

che hanno scelto e affettato in pezzi piccoli, grandi, storti

ciò che sentivano di meritare della ricchezza

di una razza,

una razza barbara nata per essere sottomessa e addomesticata.

 

Cos’è questo pezzo di carta

Pieno di timbri con emblemi e nomi di Stati esageratamente riveriti

con un viso bloccato nell’angolo della pagina che urla non sono di qui, sono un outsider

è meglio che mi controlli.

Cos’è questo pezzo di carta

Che abbiamo conosciuto soltanto qualche ora fa,

che deve definire dove andiamo e le famiglie che conosciamo,

Quando negli occhi degli sconosciuti siamo soltanto un mucchio di “persone di razza nera”

 

Cos’è questo pezzo di carta

Che conosce soltanto le divisioni eppure finge di sollecitarci a collaborare

Facendoci dimenticare che quando la prossima pandemia arriverà, non ci chiederà di metterci in fila ordinati per tribù o per nomina.

Ecco perché voi ed io dovremmo essere in collera:

1.      Sono trascorsi più di cinquant’anni, e ci stiamo ancora domandando se vada bene stringersi la mano e abbracciarsi quando abbiamo approvato legami più stretti e relazioni non indispensabili con gli stessi contro i quali stiamo lottando per dimostrare la nostra tesi

2.      Abbiamo adorato l’integrità territoriale troppo a lungo, massacrato la speranza all’interno delle sue mura, e siamo riusciti a rimanere isolati al punto da aver perso la capacità di mischiarci e commerciare per il nostro bene.

E perché:

3.      Mentre a volte ci dichiariamo tutti panafricani, scegliamo ancora in silenzio la nostra nazionalità egoista e i pregiudizi di Stato per scacciare altri come noi, consolando il nostro ego con narrazioni poco credibili secondo le quali loro non meritano i nostri Stati “migliori” e “più sviluppati”.

 

Ma si spera, accadde solo un tempo che fummo egoisti,

Perché le dichiarazioni sull’unità e la collaborazione con la diaspora vanno avanti ormai da tempo.

Ma sebbene non siamo ingenui sul significato di tutto questo

Poiché, come la storia ci ha insegnato, anche i regni più potenti vanno incontro al loro destino e hanno i loro problemi,

Sappiamo che non dobbiamo giocare in piccoli gruppi e squadre da prima divisione quando potremmo essere nella Premier League,

Che non abbiamo bisogno di celebrare la bandiera dell’indipendenza con un forte scotch

per poi rimanere sommersi, decennio dopo decennio, dal sudiciume della nostra stessa ubriachezza,

che dimentichiamo com’era essere sottomessi e insultati,

Che non dobbiamo definire la forza e l’autorità con l’individualità delle nostre piccole entità

e guardare con disgusto l’Unione che abbiamo creato da tempo come alla quintessenza dell’unica grande Africa la cui infanzia è finita.

 

Tuttavia potremo ottenere tutto ciò soltanto in uno spazio continentale che riconosca

Che industrie, ospedali, mercati, ferrovie e scuole

Non sono semplicemente luoghi e cose che i pigri cittadini usano per chiedere più libertà e diritti

O che scegliere la pace, la sicurezza e il cibo

Sia un favore sacrificale offerto come elemosina ai poveri e ai bisognosi.

 

Abbiamo bisogno di uno spazio che riconosca pienamente

Che la ratifica di convenzioni e l’implementazione delle politiche non sono affari diplomatici decorativi

Ma l’opportunità per un’Africa migliore per le nostre speranze e per quelle dei nostri figli.

Solo le nostre speranze, oggi, possono davvero creare il più grande movimento e libero commercio continentale

Perché attingere senza sosta alle nostre paure e ai nostri pregiudizi a ogni tavolo di negoziati

Non sarà mai una promessa sufficiente a far continuare le celebrazioni.

Per questo oso dirvi

 

nelle nostre lotte, se c’è una cosa che voi ed io meritiamo

È certamente il coraggio di vivere questo sogno africano.

 ******

Traduzione di Gaia Resta

da qui

 


venerdì 12 novembre 2021

Passaporti, basta privilegi

Rivedere politica dei visti e garantire libertà di movimento a tutti i cittadini del mondo.

I cittadini dei Paesi del Sud del mondo, quelli aggrovigliati in conflitti che sembrano non aver fine, quelli dove povertà, effetti della crisi climatica, autoritarismi e guerre intestine stanno incidendo sull’aumento costante di sfollati e rifugiati interni.

Tutti questi cittadini sono anche le principali vittime del deterioramento di un diritto fondamentale, quello alla mobilità.

Un diritto che trova riconoscimento nelle Carte Costituzionali dei Paesi occidentali, nella Carta dei Diritti dell’Unione Europea e nella stessa Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Diritto che però, di fatto, consente solo ai cittadini dei Paesi ricchi, per lo più nell’emisfero occidentale del pianeta, di viaggiare, prendere aerei, decidere qualsiasi meta. Qualsiasi meta il suo passaporto gli garantisca.

Periodicamente i Passport Index, strumenti che classificano i passaporti e identificano quelli most powerful e quelli least powerful, mostrano in tutta la loro evidenza il gap del diritto al movimento tra i Paesi ricchi e quelli cosiddetti in via di sviluppo – divario che in periodo di pandemia non ha fatto che allargarsi. In sostanza ci sono milioni di esseri umani per i quali non solo è molto difficile e costoso ottenere un passaporto ma, una volta ottenuto, è difficile avere un visto per viaggiare in altri Paesi del mondo.

Non si tratta semplicemente di cittadini di serie A e cittadini di serie B. Il discrimine, piuttosto, è tra cittadini/individui liberi e cittadini/individui tenuti “in catene”. E per i quali, spesso, l’unico modo per liberarsi dal giogo è tentare la sorte, tirando a dadi lungo la strada del deserto, quella del Mediterraneo, quella dei confini armati, murati, spinati.

“Disattenti” (potremmo dire) sul deterioramento sostanziale del diritto alla mobilità, sono gli Stati – rappresentati dalle Ambasciate –  che negli anni hanno operato sempre più restrizioni nel rilascio dei visti. Nella politica dei passaporti – e dei visti – dunque, non sembra valere il meccanismo della reciprocità tra gli Stati.

E così a fronte di passaporti “potenti” come quelli, per esempio, degli Emirati Arabi Uniti, giapponese, tedesco, italiano per i quali è consentito viaggiare nella maggior parte dei Paesi del mondo senza richiedere un visto, ce ne sono altri che non valgono quasi nulla e sono quelli rilasciati in Paesi da tempo in confitto: Siria, Yemen, Afghanistan, Sudan e molti delle cosiddette aree in via di Sviluppo, primo fra tutti il continente africano, da cui, non a caso parte ogni giorno un numero imprecisato di migranti in cerca di asilo o di fortuna. Migranti definiti clandestini, illegali, ma che non hanno modo di muoversi in altro modo.

Viviamo in un’epoca che tende ad agevolare la ricchezza e il potere, alzare barriere di ogni tipo, operare divisioni, e poi trascurare gli effetti di queste politiche: disuguaglianza, povertà, disturbi mentali, disagio sociale, conflitti. Così aumentano le migrazioni forzate e pericolose.

Riteniamo ingiusto che milioni di persone siano prigioniere nei loro Paesi, che non abbiano diritto a viaggiare, cambiare la propria vita, cercare altre strade. Proprio così come fanno tutti quegli altri a cui questo diritto è concesso.

Se non si porrà fine alla disuguaglianza del diritto alla mobilità tutte le altre disparità tra esseri umani non diminuiranno. E non sarà l’esternalizzazione delle frontiere a fermare il movimento migratorio. Riflettiamo su quanto la migrazione cosiddetta irregolare avvenga, prima di tutto, a causa delle ingiustizie sociali. E sia resa “irregolare” dall’impossibilità di godere di un diritto universale.

Ci appelliamo alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, al presidente Parlamento Europeo, David-Maria Sassoli, al presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, Mario Draghi e ai leader dei Governi europei affinché si apra un dibattito serio per rivedere la politica dei visti, consentendo ai cittadini africani e del resto del mondo che oggi non hanno la possibilità di viaggiare legalmente lo stesso diritto e libertà di movimento che hanno gli europei.

 

Oggi è più urgente che mai una mobilitazione seria – e altrettanti interventi legislativi – che tocchino alla radice una disuguaglianza il cui risultato è la perdita di vite umane ogni anno e continue tensioni sociali.

All’iniziativa – promossa da Antonella Sinopoli e da Voci Globali APS insieme ad Articolo 21  – aderiscono come primi firmatari:
Paola Barretta, Laura Silvia Battaglia, Mauro Biani, Andrea Billau, Valerio Cataldi, Francesco Cavalli, Tiziana Ciavardini, Fiorella Civardi, Gherardo Colombo, Stefano Corradino, Danilo De Biasio, Davide Demichelis, Claudio Geymonat, Sabrina Giannini, Gian Mario Gillio, Giuseppe Giulietti, Mariangela Gritta Grainer, Elisa Marincola, Anna Meli, Mara Filippi Morrione, Antonella Napoli, Alessandro Rocca, Luciano Scalettari, Claudia Segre, Cecilia Strada, Mussie Zerai

e le seguenti associazioni / testate: Carta di Roma, Circolo Articolo21 Piemonte, Festival dei Diritti umani (FDU), Focus On Africa, Hic SuntLeones: Dalla parte di Nice, Nigrizia, Radio Voce nel Deserto (Rovigo), ResQSaving People, Spazi Circolari…

https://vociglobali.it/passaporti-basta-privilegi-appello/