Il diritto al movimento – e a migrare – è un diritto a senso unico. Che può e viene esercitato dai cittadini del mondo occidentale e che viene invece precluso, negato, ai cittadini di molte altre parti del mondo. In virtù di decisioni contestabili e arbitrarie, come il diniego dei visti o la classificazione dei passaporti – quelli “forti”, che permettono di viaggiare praticamente in ogni parte del mondo e quelli che valgono poco – come quelli, guarda caso di chi cerca una strada verso la salvezza utilizzando i barconi.
Chi critica i migranti lo fa, spesso, senza conoscere i motivi che li spingono a partire sfidando la sorte. Per cercare di sensibilizzare sulla “questione passaporti” Voci Globali ha aperto una raccolta firme e continua a cercare, con i suoi mezzi, quelli dell’informazione, di stimolare riflessioni e dibattiti su questa grossa iniquità che a cascata ne provoca tante altre.
Oggi lo facciamo pubblicando, su concessione dell’autrice, un toccante testo di Ruddy Morfaw – giurista camerunense e spoken word artist – che ha recitato il suo lavoro, Across Borders, in occasione della 75esima sessione ordinaria della African Commission on Human and Peoples’ Rights (ACHPR)]
Com’è possibile
che devo impiegare tanti mesi, compilare un migliaio di moduli, affrontare un paio di rigetti
Solo per viaggiare per alcuni chilometri sulla stessa faccia di questo pianeta.
È incredibile quanto le nostre vite siano definite dai passaporti.
Che viaggiare faccia ancora scattare tanta paura e desideri
anticipatori
E che qualsiasi sia lo scopo così esoticamente definito,
sia tuttavia etichettato mentalmente come uno schema sospetto per strappare delle opportunità
intese e riservate ai fratelli dall’altro lato dei nostri confini.
Confini tracciati non da noi, ma da conquistadores fantasiosamente divinizzati
che hanno scelto e affettato in pezzi piccoli, grandi, storti
ciò che sentivano di meritare della ricchezza
di una razza,
una razza barbara nata per essere sottomessa e addomesticata.
Cos’è questo pezzo di carta
Pieno di timbri con emblemi e nomi di Stati esageratamente riveriti
con un viso bloccato nell’angolo della pagina che urla non sono di qui, sono un outsider
è meglio che mi controlli.
Cos’è questo pezzo di carta
Che abbiamo conosciuto soltanto qualche ora fa,
che deve definire dove andiamo e le famiglie che conosciamo,
Quando negli occhi degli sconosciuti siamo soltanto un mucchio di “persone di razza nera”
Cos’è questo pezzo di carta
Che conosce soltanto le divisioni eppure finge di sollecitarci a collaborare
Facendoci dimenticare che quando la prossima pandemia arriverà, non ci chiederà di metterci in fila ordinati per tribù o per nomina.
Ecco perché voi ed io dovremmo essere in collera:
1. Sono trascorsi più di cinquant’anni, e ci stiamo ancora domandando se vada bene stringersi la mano e abbracciarsi quando abbiamo approvato legami più stretti e relazioni non indispensabili con gli stessi contro i quali stiamo lottando per dimostrare la nostra tesi
2. Abbiamo adorato l’integrità territoriale troppo a lungo, massacrato la speranza all’interno delle sue mura, e siamo riusciti a rimanere isolati al punto da aver perso la capacità di mischiarci e commerciare per il nostro bene.
E perché:
3. Mentre a volte ci dichiariamo tutti panafricani, scegliamo ancora in silenzio la nostra nazionalità egoista e i pregiudizi di Stato per scacciare altri come noi, consolando il nostro ego con narrazioni poco credibili secondo le quali loro non meritano i nostri Stati “migliori” e “più sviluppati”.
Ma si spera, accadde solo un tempo che fummo egoisti,
Perché le dichiarazioni sull’unità e la collaborazione con la diaspora vanno avanti ormai da tempo.
Ma sebbene non siamo ingenui sul significato di tutto questo
Poiché, come la storia ci ha insegnato, anche i regni più potenti vanno incontro al loro destino e hanno i loro problemi,
Sappiamo che non dobbiamo giocare in piccoli gruppi e squadre da prima divisione quando potremmo essere nella Premier League,
Che non abbiamo bisogno di celebrare la bandiera dell’indipendenza con un forte scotch
per poi rimanere sommersi, decennio dopo decennio, dal sudiciume della nostra stessa ubriachezza,
che dimentichiamo com’era essere sottomessi e insultati,
Che non dobbiamo definire la forza e l’autorità con l’individualità delle nostre piccole entità
e guardare con disgusto l’Unione che abbiamo creato da tempo come alla quintessenza dell’unica grande Africa la cui infanzia è finita.
Tuttavia potremo ottenere tutto ciò soltanto in uno spazio continentale che riconosca
Che industrie, ospedali, mercati, ferrovie e scuole
Non sono semplicemente luoghi e cose che i pigri cittadini usano per chiedere più libertà e diritti
O che scegliere la pace, la sicurezza e il cibo
Sia un favore sacrificale offerto come elemosina ai poveri e ai bisognosi.
Abbiamo bisogno di uno spazio che riconosca pienamente
Che la ratifica di convenzioni e l’implementazione delle politiche non sono affari diplomatici decorativi
Ma l’opportunità per un’Africa migliore per le nostre speranze e per quelle dei nostri figli.
Solo le nostre speranze, oggi, possono davvero creare il più grande movimento e libero commercio continentale
Perché attingere senza sosta alle nostre paure e ai nostri pregiudizi a ogni tavolo di negoziati
Non sarà mai una promessa sufficiente a far continuare le celebrazioni.
Per questo oso dirvi
nelle nostre lotte, se c’è una cosa che voi ed io meritiamo
È certamente il coraggio di vivere questo sogno africano.
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Traduzione di Gaia Resta