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venerdì 28 giugno 2024

L’Occidente in decadenza continua a essere un modello - Raúl Zibechi

 

 

È sempre più evidente: l’Occidente non ha più la completa egemonia, ma nessun altro paese ce l’ha. Il vero problema è che nel mondo non c’è al momento un’alternativa al capitalismo. Il rischio di una terza guerra mondiale è reale. Tra chi non smette di rifiutare quel dominio c’è chi, purtroppo, considera importante l’ascesa della Cina, come se fosse un’alternativa, molti altri restano invece schiacciati sotto un pensiero critico colonialista e non vedono qualcosa di diverso dagli stati-nazione come teatri di cambiamento. Le alternative, scrive Raúl Zibechi, possiamo rintracciarle nei popoli che hanno cominciato a organizzarsi per resistere e creare mondi nuovi. Ma sarà una lunga traversata. “Certamente non è sufficiente per abbattere il sistema capitalista, per questo l’EZLN punta a lavorare da oggi perché in centoventi anni, sette generazioni, le persone che nasceranno potranno scegliere liberamente il proprio futuro. Non esistono scorciatoie istituzionali né partitiche…”

 

 

La profonda opacità del mondo attuale ci impone almeno due compiti permanenti: mettere in dubbio le analisi unilaterali che tendono a semplificare le realtà complesse e, dall’altra parte, consultare fonti diverse, anche contraddittorie tra loro, per offrire almeno un panorama che permetta di dissipare l’oscurità che acceca la nostra capacità di comprensione.

Nel libro La sconfitta dell’Occidente Emmanel Todd afferma che il declino della nostra civiltà è inevitabile. In quest’opera ritiene che il decollo di Europa e Stati Uniti fosse intimamente connesso con l’ascesa del protestantesimo, per il suo approccio all’educazione che ha favorito l’efficienza e la produttività dei lavoratori. Ma la “scomparsa dei valori protestanti”, continua Todd, ha portato al fallimento educativo, al disordine morale e alla fuga dal lavoro produttivo favoriti dalle pratiche religiose.

Lo scrittore libanese Amin Maalouf ha appena pubblicato Il labirinto degli smarriti, in cui avanza altre ipotesi che non collidono con quelle di Todd e che possono essere anzi considerate affini. Sostiene che per cinque secoli “il dominio occidentale e più precisamente dell’Europa, non era in discussione. Chi si opponeva era umiliato e sconfitto. Ora le cose sono cambiate”, conclude (El Diario, 4/6/24). Così come Immanuel Wallerstein, assicura che l’Occidente non ha più la completa egemonia, però nessun altro paese ce l’ha negli ultimi anni. Aggiunge che nessuna potenza ha ancora la capacità di risolvere i conflitti, come quello di Israele contro la Palestina, non riuscendo neanche a impedire che scoppino. Per questo afferma che “l’umanità oggi sta attraversando uno dei periodi più pericolosi della sua storia”. Secondo me uno dei punti più forti delle interviste che ha rilasciato a diversi media in questa settimana è la sua potente affermazione che la decadenza dell’Occidente riguarda tutto il pianeta.

“Il declino occidentale è reale, ma né gli occidentali né i loro numerosi avversari riescono a condurre l’umanità fuori dal labirinto in cui vaga senza meta” (El Confidencial, 3/6/24).

Continua:

“Gli avversari del mondo occidentale non hanno dei reali modelli da proporre. Hanno molte critiche al modello occidentale, sul ruolo svolto dall’Occidente, sul perché l’Occidente prova a prendere le decisioni per il mondo intero. Però non c’è un’alternativa”.

Perciò dice che il naufragio è globale, “dell’insieme di tutte le civiltà”, non solo occidentale. Insieme a Europa e Stati Uniti, ci fa notare che anche la Russia sta seguendo un declino e che già affronta problemi simili a quelli delle altre potenze. Per quanto riguarda la Cina, Maalouf evidenzia che segue anch’essa il modello occidentale: non solo capitalista ma anche neoliberista e di accumulazione per sottrazione.

Il rischio di una terza guerra mondiale è “reale” secondo Maalouf, soprattutto perché le società non vogliono ammettere i pericoli evidenti nel frenetico sviluppo di nuove armi da parte delle grandi potenze.

Nella mia opinione le dure affermazioni di Maalouf sull’assenza di un’alternativa al modello capitalista, sono giuste, e la realtà odierna somiglia ai conflitti interimperialisti che portarono alla Prima Guerra Mondiale nel 1914. È doloroso osservare come movimenti che sono stati rivoluzionari, oggi celebrino l’ascesa della Cina e che alcuni la considerino un paese socialista retto da capi marxisti. Questo fa parte dell’enorme confusione che dilaga nell’ambito dell’emancipazione.

Il secondo problema è il tremendo radicamento del colonialismo all’interno del pensiero criticoche non riesce a vedere oltre gli stati-nazione come teatri di cambiamento e trasformazioni rivoluzionarie. Da un lato gli stati dell’America Latina sono un’evidente eredità coloniale, strutturati in maniera gerarchica e patriarcale e non possono essere modificati né rifondati, come cercano di sostenere alcune correnti progressiste. D’altro canto l’esperienza storica ci dice che le rivoluzioni vincenti che si sono circoscritte alle frontiere degli stati non sono potute andare avanti nelle trasformazioni che desideravano. Dobbiamo trarre alcune conclusioni da più di un secolo di rivoluzioni focalizzate in stati che non potrebbero mai essere democratici né democratizzati. Qualcuno può forse immaginare una qualche forma di democrazia in eserciti e polizia? O nel sistema giudiziario?

Le alternative che Maalouf non trova in Cina né in Russia né in Iran possiamo rintracciarle nei popoli che si sono organizzati per resistere e creare mondi nuovi, in molti angoli del nostro continente. Certamente non è sufficiente per abbattere il sistema capitalista, per questo l’EZLN punta a lavorare da oggi perché in centoventi anni, sette generazioni, le persone che nasceranno potranno scegliere liberamente il proprio futuro.

Non esistono scorciatoie istituzionali né partitiche.


Pubblicato su La Jornada. Traduzione per Comune di Leonora Marzullo

 

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mercoledì 29 maggio 2024

La parabola dell'occidente e i nuovi Potlatch - Andrea Zhok

  

Nel quadro politico internazionale che caratterizza questa fase storica c’è un fattore che trovo estremamente preoccupante. Si tratta della combinazione, nel mondo Occidentale, di 1) un fattore strutturale e 2) un fattore culturale. Provo a tratteggiarne in modo volutamente schematico gli aspetti di fondo.


1) IL RETROTERRA STRUTTURALE. L’Occidente ha notoriamente acquisito una posizione globalmente egemonica negli ultimi tre secoli. Lo ha fatto in grazia di alcune innovazioni (europee) che gli hanno permesso di incrementare in modo decisivo la produzione industriale e la tecnologia militare.

 

Nel corso dell’800 l’Occidente ha imposto le proprie leggi, o i propri contratti, sostanzialmente a tutto il mondo. Alcune parti del mondo come il Nord-America e l’Oceania hanno
cambiato radicalmente configurazione etnica, divenendo insediamenti stabili di popolazioni di origine europea. Imperi asiatici millenari si sono trovato in condizione di protettorato, colonia o comunque di sottomissione. L’Africa è diventata un cespite cui attingere liberamente forza lavoro e materie prime.


Tutto ciò è avvenuto alla luce di un modello economico che aveva strutturalmente bisogno di crescere costantemente per mantenere la propria funzionalità, inclusa la pace interna.


La dinamicità espansiva occidentale è stata spinta in modo decisivo dal fatto che il sistema aveva bisogno di margini costanti di profitto e le imprese estere garantivano cospicui ritorni (rendendole perciò robustamente finanziabili).


Questo processo è continuato tra alti e bassi fino all’inizio del XXI secolo.


Più o meno con la crisi subprime (2007-2008) si segnala una difficoltà rilevante nel mantenere il dominio su un sistema-mondo demograficamente, politicamente, culturalmente troppo vasto. Il sistema di sviluppo occidentale, ampiamente basato sulla libera iniziativa decentrata, nella sua ricerca di margini di profitto ha commesso alcuni errori imperdonabili per un potere imperiale, quale ne frattempo era divenuto (prima come impero britannico, poi come impero americano). Siccome la sfera finanziaria presenta maggiori margini di profitto rispetto alla sfera industriale si è assistito in Occidente ad uno spostamento costante delle manifatture in paesi remoti con salari bassi. Mentre quest’operazione è riuscita in alcuni paesi con un’organizzazione interna fragile, che sono stati e rimangono dei semplici produttori sussidiari, politicamente subordinati a potenze occidentali, questo non è riuscito in alcuni paesi che offrivano per ragioni culturali maggiore resistenza, Cina in testa.

 

L’emergere di alcuni contropoteri nel mondo è oramai un dato storico incontrovertibile e inemendabile. Un Occidente che ha giocato per anni tutte le sue carte sul predominio finanziario e tecnologico si ritrova sfidato da contropoteri capaci di opporre efficace resistenza sia sul piano economico che militare. In questo senso la guerra russo-ucraina, con gli errori fatali commessi dall’Occidente, rappresenta un momento di passaggio storico: aver spinto Russia e Cina ad un’alleanza obbligata ha creato l’unico polo mondiale realmente invincibile anche per l’Occidente unificato. Gli USA erano così preoccupati di interrompere una possibile proficua collaborazione tra Europa (Germania in particolare) e Russia che hanno trascurato una collaborazione molto più potente e decisiva, quella tra Russia e Cina appunto.

 

Ma cosa accade nel momento in cui un Occidente a guida americana si trova di fronte ad un contropotere insuperabile? Molto semplicemente il modello – sperimentato nell’ultima fase sotto il nome di “globalizzazione” - basato sull’aspettativa di un’espansione incontrastata e di margini continuamente dilatabili di profitto si arresta bruscamente. Le catene di fornitura appaiono sovraestese e incontrollabili, nel momento in cui gli USA non sono più l’unico pistolero del paese. Si profila l’incubo sistemico del modello liberal-capitalistico: la perdita di un orizzonte di espansione. Senza prospettive di espansione l’intero sistema, a partire dalla sfera finanziaria, entra in una crisi senza sbocchi.

 


2) IL RETROTERRA CULTURALE


Ed è qui che subentra il secondo protagonista dello scenario corrente, ovvero il fattore culturale. La cultura elaborata negli ultimi tre secoli in Occidente è qualcosa di assai caratteristico. Si tratta di un approccio culturale universalistico, astorico, naturalistico, che – anche grazie ai successi ottenuti sul piano tecnoscientifico – ha finito per autointerpretarsi come Ultima Verità, sul piano epistemico, politico ed esistenziale. La cultura occidentale, che ha conquistato il mondo non per le capacità persuasive delle proprie virtù morali, ma per quelle dei propri obici, ha però immaginato che una cultura capace di costruire obici così efficienti non poteva che essere intrinsecamente Vera.

L’universalismo naturalistico ci ha disabituato a valutare le differenze storiche e culturali, assumendone il carattere contingente, di mero pregiudizio che verrà superato. Quest’impostazione culturale ha creato un danno devastante, che ha coinciso in Europa con la galoppante americanizzazione delle proprie grandi tradizioni: l’Occidente, divenuto il sistema di vassallaggio del potere americano, appare oggi culturalmente del tutto incapace di comprendere il proprio carattere di determinazione storica, non serenamente universalizzabile. L’Occidente, pensandosi come incarnazione del Vero (la Liberaldemocrazia, i Diritti Umani, la Scienza) non ha dunque gli strumenti culturali per pensare che un altro mondo (e anzi più d’uno) sia possibile.

 


3) IL VICOLO CIECO DELLA STORIA OCCIDENTALE

 

Ecco, se ora uniamo i due fattori, strutturale e culturale, che abbiamo menzionato ci ritroviamo con il seguente quadro: l’Occidente a guida americana non può mantenere il proprio statuto di potere, garantito dalla prospettiva dell’espansione illimitata, e d’altro canto non può neppure immaginare alcun modello alternativo, in quanto si concepisce come l’Ultima Verità.

Quest’aporia produce uno scenario epocale tragico.

L’Occidente a guida americana non è in grado di riconoscere alcun “Piano B”, e d’altro canto comprende che il “Piano A” è reso fisicamente impercorribile dall’esistenza di contropoteri innegabili. Questa situazione produce un’unica pervicace tendenza, quella a lavorare affinché quei contropoteri internazionali vengano meno.

Detto in termini semplificati: gli USA non hanno alcuna prospettiva diversa in campo da quella di ricondurre in una condizione subordinata – come fu in passato – i contropoteri euroasiatici (Russia, Cina, Iran-Persia; l’India è già sostanzialmente sotto controllo). Ma questa sottomissione oggi non può che passare attraverso un conflitto, o una guerra aperta o una sommatoria di guerre ibride volte a destabilizzare il “nemico”.

 

Ma, a questo punto, la situazione è resa particolarmente drammatica da un altro fattore strutturale. Per quanto gli USA sappiano di non poter affrontare una guerra aperta senza esclusione di colpi (nucleare), hanno un fortissimo incentivo a che la guerra non si mantenga sul piano ibrido “a basso voltaggio”. Questo per la ragione strutturale vista in precedenza: c’è bisogno di una prospettiva di incremento produttivo.

Ma come si può garantire una prospettiva di incremento produttivo in una condizione in cui l’espansione fisica non è più possibile (o è troppo incerta)? La riposta purtroppo è semplice: una prospettiva di incremento produttivo sotto queste condizioni può essere garantita solo se simultaneamente vengono create delle fornaci dove poter bruciare costantemente quanto prodotto. C’è la necessità sistemica di inventarsi dei colossali, e sanguinosi, Potlatch, che diversamente dai Potlatch dei nativi americani, non devono distruggere solo oggetti materiali, ma anche esseri umani.

 

In altri termini, l’Occidente a guida americana ha un interesse, inconfessabile ma imperativo, a creare in modo crescente ferite sistemiche da cui far defluire il sangue, in modo che le forze produttive siano chiamate a lavorare a pieno ritmo e i margini di profitto si vitalizzino. E quali forme possono prendere queste ferite che distruggono ciclicamente, e in modo poderoso, le risorse?


Di primo acchito direi che ne vengono in mente due: guerre e pandemie.


Solo un nuovo orizzonte di sacrifici umani può consentire alla Verità Ultima dell’Occidente di rimanere in piedi, di continuare ad essere creduta e venerata.

 

E se nulla cambia nella consapevolezza diffusa delle popolazioni europee – i principali perdenti di questo gioco – credo che queste due carte distruttive saranno giocate senza scrupoli, reiteratamente.

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giovedì 18 aprile 2024

L’occidente è un treno impazzito: fermiamolo – Elena Basile

 

John Mearsheimer è un professore all’Università di Chicago, eminente politologo appartenente alla scuola realista, ha pubblicato numerosi libri di successo di politica internazionale e (per informazione di coloro come Paolo Mieli secondo i quali i media mainstream non esisterebbero) si può ascoltare su YouTube non sulla Cbc, Nbc o Bbc. Con una battuta restata famosa, il politologo descriveva una situazione paradossale ma non lontana dalla realtà: “Certo, noi rispettiamo le regole del Diritto internazionale, perché le abbiamo create noi al fine di proteggere i nostri interessi”.

Questa perspicace e ironica intuizione descriveva la realtà del dopoguerra non certo quella odierna. Il multilateralismo e la governance economica internazionale hanno avuto un periodo d’oro, durato all’incirca fino alla fine degli anni 90. La dissoluzione dell’Urss, la nascita dell’Osce hanno fatto sperare in una possibile stabilizzazione dell’Europa, una convivenza con la Russia che avrebbe avuto la possibilità di recepire forme di democrazia liberale. Il commercio e i liberi investimenti dovevano moltiplicare la ricchezza e avvicinare i popoli. Il CdS delle Nazioni Unite riusciva ancora a raggiungere importanti mediazioni. Europa, Russia, Stati Uniti e Nazioni Unite cooperavano per una soluzione pacifica della questione palestinese. Il debito non aveva ancora raggiunto vette stratosferiche e il capitale Cloud non era stato ancora creato. Il Dark Deal basato sul reinvestimento del surplus commerciale e finanziario nella finanza e non in investimenti produttivi non vigeva ancora.

Con i bombardamenti Nato di Belgrado, le guerre di esportazione della democrazia, ha inizio la hybris e il nichilismo dell’Occidente che fa a meno del multilateralismo, della governance economica e di alcuni principi base del capitalismo liberale, abbandona gradualmente i principi democratici e si isola dal resto del mondo. Non rispetta le regole che esso stesso ha creato. Difende l’integrità territoriale e la non ingerenza negli affari interni di un altro Stato contro i nemici, ma si permette di violare questi stessi principi senza accusare contraddizioni. Abbraccia la retorica bellicistica. I vergognosi doppi standard lo fanno divenire complice del tentato genocidio di Israele in Palestina, mentre denuncia il macellaio Putin e definisce la Russia “Stato terroristico”. Non ha più senso del ridicolo e perde autorevolezza di fronte ai suoi stessi alleati. Turchia, Arabia Saudita, Egitto, India per menzionarne solo alcuni hanno ormai politiche autonome, si avvicinano alla Cina, creano alleanze tra emergenti e col Sud globale. Come uno struzzo impazzito l’Occidente nasconde la testa e si guarda bene da far fronte con una politica strategica al nuovo mondo che si delinea all’orizzonte. Gioca l’ultima carta rimasta: la superiorità militare preparando il conflitto con le potenze nucleari di Russia e Cina. Attraverso Israele destabilizza il Medio Oriente in un conflitto allargato. Non si può continuare a restare in silenzio o a votare per interesse e conoscenze. C’è in ballo il destino dei nostri figli. La comunità ebraica per il bene di Israele dovrebbe insorgere contro i crimini di guerra e le forme di apartheid in Cisgiordania. È possibile che l’unica democrazia del Medio Oriente sbatta i bambini in carcere e li torturi? Che sperimenti le sue armi su una popolazione inerme e collabori con i suoi strumenti di sorveglianza con il Sudafrica dell’apartheid, con le peggiori dittature dell’America Latina e con Modi contro i musulmani del Kashmir? Questo non è antisemitismo. La denuncia dei crimini è in linea con la più alta cultura ebraica come testimoniano Gideon Levy, Finkelstein e Moni Ovadia.

Il problema purtroppo non è solo Netanyahu. Katz non ha idee molto differenti. Il 67% degli israeliani si è dimostrato concorde con l’arresto degli aiuti umanitari a Gaza. Purtroppo il Paese si sta smarrendo. Abbraccia principi e metodi che lo hanno visto vittima. Se l’Occidente non ritorna alla difesa sostanziale dei diritti umani e della pace, se non riforma insieme agli emergenti il multilateralismo e la governance economica, se non ritorna ai principi di base delle democrazie liberali, accettando la concorrenza della Cina nei settori di punta tecnologici, se non ritorna allo Stato sociale e a una moderazione delle spinte animalesche della finanza, se non ritorna alla Politica e alla strategia, rinnovando le proprie classi dirigenti, rifiutando il dispotismo delle oligarchie finanziarie, allora avrà già perso la sua guerra.

Vogliamo restare su questo treno o fermarlo per poter scendere alla prima fermata?

Noi, i filo-putiniani, noi i filo-terroristi e antisemiti, noi che amiamo l’onestà intellettuale, faremo di tutto per fermare questo treno impazzito e per salvare l’Occidente, la sua cultura, la sua civiltà.

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sabato 16 marzo 2024

Manicomio militar-industriale - Toni Muzzioli

Ma come stanno i nostri dirigenti politici? Voglio dire i governanti della nostra parte di mondo, quella che un tempo (e oggi di nuovo) si autodefinisce ed autocelebra come “mondo libero”, democratico (la democrazia ci perdoni) e liberale (e ci perdoni anche il liberalismo)?

Crescente preoccupazione destano le condizioni mentali delle nostre classi dirigenti, soprattutto per quel che riguarda la gestione delle crisi internazionali, in particolare la guerra russo-ucraina. E non mi riferisco alle ormai non più occultabili costanti defaillances del POTUS, nonché futuro candidato alle elezioni presidenziali Usa Joe Biden (notevole una delle ultime, quando ha relazionato sull’incontro avuto qualche giorno prima con… Mitterrand!) – se il problema fosse questo staremmo tranquilli. Penso proprio alla lucida follia che presiede da due anni alla gestione della guerra Russia-Nato. Una follia che dilaga soprattutto tra le classi dirigenti europee, visto che per quanto riguarda gli Usa una sua sensatezza esiste, dal momento che questa guerra “da remoto” degli Usa contro la Russia su suolo ucraino in definitiva – e lo ha capito dal primo momento chi non aveva gli occhi ricoperti da spesse fette di salame di Felino – va a tutto vantaggio (1) del suo apparato militar-industriale1 e (2) del suo progetto geostrategico consistente oggi nel frenare l’avanzata di un mondo multipolare e più in particolare (3) nell’“abbassare la cresta alla Germania” (ricordiamo l’adagio che riassume la strategia statunitense dal secondo dopoguerra nell’area euroasiatca: « Keep the Russians out, the Amercans in, the Germans down »).2 Nel caso degli europei siamo invece in presenza di una follia autodistruttiva, nel senso che non solo siamo coinvolti direttamente per ragioni geografiche, ma soprattutto ci stiamo letteralmente autodistruggendo economicamente. Il sabotaggio del Nord Stream 2 nell’estate del 2022 è stata la rappresentazione plastica di questa situazione.3

Ecco, tale processo di impazzimento si arricchisce ora di un ulteriore passaggio, dovuto questa volta a quello da cui ce lo si aspetterebbe di meno, il presidente francese Macron (essendo la Francia sul piano geopolitico in Europa l’unica potenza a esprimere storicamente un po’ autonomia da Washington). È stato infatti il portaborsetta di Brigitte (copyright Dagospia) a dichiarare, alla conferenza internazionale dei sostenitori dell’Ucraina (Parigi, 26 febbraio), che l’Europa potrebbe in futuro partecipare direttamente con proprie truppe alla guerra. Il punto di partenza dello s-ragionamento è che «noi abbiamo la convinzione che la sconfitta della Russia sia indispensabile alla sicurezza e stabilità dell’Europa». Perciò «faremo tutto quello che c’è da fare affinché la Russia non possa vincere questa guerra (…). Per raggiungere quest’obiettivo, tutto è possibile» e anche l’invio di truppe non può «essere escluso». 4

Curioso che i primi a rispondere escludendo la prospettiva, in un primo momento, sono stati proprio gli Stati Uniti (salvo qualche giorno dopo, come vedremo, spararla grossa pure loro). Così hanno fatto un po’ tutti in Europa: dalla Germania alla pur bellicosa Polonia, fino allo stesso segretario generale Nato Stoltenberg («Non ci sono piani per truppe da combattimento della Nato sul terreno in Ucraina»).5 E da ultima è arrivata anche l’Italia, che con Tajani ha escluso del tutto questa possibilità. La Russia dal canto suo si è limitata, lapalissianamente e freddamente, a rilevare che lo scontro diretto sarebbe in questo caso «inevitabile», aggiungendo poi che in verità truppe occidentali sul campo ce ne sono da tempo (britannici e francesi in particolare), come del resto ha ammesso in un forse non involontario lapsus il cancelliere tedesco Olaf Scholz.6

Quella di Macron, in ogni caso, e al di là di motivazioni specifiche che andrebbero indagate,7 si inserisce in quella serie crescente di segnali paurosi che provengono dalle nostre cancellerie e che non fanno sperare niente di buono. Su questo stesso sito avevamo dato notizia (abbastanza in solitudine), poco più di un mese fa, della conferenza stampa congiunta dei capi militari Nato che, presentando la nuova esercitazione “Steadfast Defender 2024” (90.0000 uomini mobilitati fino a fine maggio), invitavano l’Europa a preparasi a un conflitto aperto con la Russia.8

Pochi giorni dopo, ecco le dichiarazioni del segretario Nato Jens Stoltenberg: attendiamoci – ha detto in un’intervista alla “Welt am Sonntag” – «decenni» di guerra contro la Russia. Decenni, non anni! «La Nato non vuole la guerra con la Russia, ma dobbiamo preparaci a un confronto che potrebbe durare decenni». Rilanciando poi la solita baggianata di una Russia intenzionata, in caso di successo in Ucraina, ad espandersi ulteriormente verso Occidente, ha aggiunto: «Dobbiamo ricostruire ed espandere la nostra base industriale più velocemente, in modo da poter aumentare le forniture all’Ucraina e rifornire le nostre scorte. Questo significa passare da una produzione lenta in tempi di pace a una produzione veloce, come è necessario in tempi di conflitto». 9

Insomma, la Nato continua a farci sapere che la guerra dell’Occidente contro la Russia non terminerà, anzi è destinata a cronicizzarsi per gli anni a venire (sempre che, per qualche “errore di calcolo” non debordi in conflitto nucleare, e allora… buona notte). Scordatevi, dunque, le trattative e la diplomazia, che anzi proporrei di superare proprio, sostituendola magari con qualche programma di Intelligenza Artificiale, visto che oggi va tanto di moda.

E ancora il 28 febbraio, all’assemblea plenaria del Parlamento europeo, quella nobildonna tedesca che risponde al nome di Ursula von der Leyen, e che per nostra sciagura presiede la Commissione europea, ha dichiarato, sulla stessa linea, che la guerra alla Russia deve continuare, anche perché «vediamo la potenza e i pericoli generati da una crescente e inquietante lega di Stati autoritari. La Corea del Nord sta consegnando ordini su ordini di munizioni alla Russia. E l’Iran fornisce droni d’attacco, e soprattutto la tecnologia che li supporta, per infliggere danni indicibili alle città e ai cittadini ucraini». In tale scenario «la minaccia di guerra potrebbe non essere imminente ma non è impossibile». Insomma, «i rischi di una guerra non dovrebbero essere esagerati, ma bisogna prepararsi. E tutto ciò inizia con l’urgente necessità di ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri. L’Europa dovrebbe sforzarsi di sviluppare e produrre la prossima generazione di capacità operative vincenti. E di garantire che disponga della quantità sufficiente di materiale e della superiorità tecnologica di cui potremmo aver bisogno in futuro. Il che significa potenziare la nostra capacità industriale della difesa nei prossimi cinque anni».10

L’Unione europea, infatti, si sta impegnando in un progetto di riarmo, presentato il 5 marzo a Bruxelles, che per ora ha un nome e un acronimo, materie in cui alla Commissione sono maestri, ma non si sa quanta sostanza: “European Defence Industry Programme”, EDIP. Dal momento che la difesa resta di pertinenza dei governi nazionali, quello che la Commissione europea può fare è promuovere un programma di acquisto coordinato (almeno il 40% degli equipaggiamenti entro il 2030), fare in modo che gli acquisti riguardino in misura crescente aziende di paesi Ue 8almeno il 50% entro il 2030), e mettere a disposizione dal bilancio comune un fondo di… 1,5 miliardi di euro (e dire che il ministro francese della Difesa aveva parlato della necessità di almeno 100 miliardi, per fare le cose seriamente…).11

Insomma, l’Europa, già azzoppata economicamente (per scientifica decisione statunitense) da due anni di guerra, si appresta, almeno nella sua fantasia, a dotarsi di un suo piccolo complesso militar-industriale, anche se c’è da dubitare che possa andar molto al di là delle parole, mentre la cosa più probabile è che tutto si riduca a un centro unico d’acquisto UE sul modello, com’è stato detto dalla stessa ineffabile von der Leyen, dei vaccini anti-Covid (per cui, come ha notato un disegnatore satirico, aspettiamoci i carri armati… Astrazeneca).

Siamo insomma di fronte, almeno nelle intenzioni, a un… New War Deal. Dal green al war nello spazio di un mattino!

Chi invece il complesso militar-industriale ce l’ha davvero, e ce l’ha grosso, per dirla con Trump, sono gli Stati Uniti. E così pochi giorni dopo la sparata di Macron, è toccato a Lloyd Austin, segretario della Difesa, evocare anche lui lo scontro diretto con la Russia, se la Ucraina dovesse essere sconfitta («Se l’ucraina cadesse, penso davvero che la Nato potrebbe affrontare la Russia»), in un discorso alla Camera che, però, è stata soprattutto una chiara (e per noi molto istruttiva) perorazione a favore della guerra a uso interno (i dannati repubblicani che stanno bloccando i finanziamenti): «L’Ucraina è importante perché è importante innanzitutto per la nostra sicurezza nazionale. È un investimento: mentre forniamo risorse all’Ucraina, sostituiamo tali risorse con attrezzature più aggiornate presenti nel nostro inventario. Tutto questo fluisce attraverso fabbriche in diversi stati del paese. Ci sono miliardi di dollari investiti per espandere le nostre linee di produzione e aumentare la nostra capacità».

L’Ucraina sta collassando, non solo militarmente, come normale e prevedibile, e penso che prima o poi le nostre classi dirigenti lo dovranno ammettere; quella americana (la più razionale, in definitiva, nel senso che perlomeno persegue un interesse nazionale preciso) sembra la più vicina a farlo. Il momento però non è ancora arrivato. Ora bisogna alzare la voce e vari polveroni (vedi caso Navalny), almeno fino alla celebrazione delle elezioni europee e soprattutto fino alle presidenziali americane (né i governanti europei né quelli americani intendono andare alle elezioni in presenza di una conclamata “sconfitta” della propria guerra santa antirussa). Poi per l’Ucraina si vedrà, tanto più se andrà al governo Trump.

Quel che però si cerca di rendere irrimediabile, almeno da parte americana, è la nuova guerra di civiltà che è stata proclamata due anni fa (ma che veniva preparata da tempo) contro la Russia e tutte le altre “autocrazie” (parola in codice per indicare quelli che ci stanno sui coglioni), nonché uno stato di guerra permanente, vero e proprio ossigeno, oggi più che mai, per il sempre più asfittico, indebitato e finanziarizzato capitalismo Usa. Per Washington si tratta, in definitiva, di una prospettiva dotata di una sua razionalità, nonostante l’immane pericolo in cui getta il mondo intero: è il buon vecchio imperativo di tenere vivo, appunto, il complesso militar-industriale, con le sue oltre ottantamila unità produttive. Per gli europei è forse meglio dire, oggi… manicomio militar-industriale.


NOTE

1 Un recente dossier del “Wall Street Journal” rileva i notevoli profitti che stanno facendo due settori: quello militare-aerospaziale e quello dell’energia (cfr. Luca Incoronato, Russia e Ucraina, la guerra fa ricchi gli Stati Uniti, “QuiFinanza”, 22 febbraio 2024, https://quifinanza.it/politica/geopolitica/guerra-russia-ucraina-guadagni-stati-uniti/795215/ ).

2 Si tratta di una battuta pronunciata dal primo segretario generale della Nato (1954-57), il britannico Hastings Lionel Ismay (1887-1965).

3 Questo sito se ne occupò a suo tempo: cfr. Toni Muzzioli, Il nemico alla nostra testa, “ideeinformazione”, 27 ottobre 2022, https://www.ideeinformazione.org/2022/10/27/il-nemico-alla-nostra-testa/

4 Cfr. Guerre en Ukraine: Macron prévient que l’envoi des troupes occidentales ne peut «être exclu» à l’avenir, “20 Minutes”, 27/02/024, https://www.20minutes.fr/monde/ukraine/4078412-20240227-guerre-ukraine-macron-previent-envoi-troupes-occidentales-peut-etre-exclu-avenir ; Duda, truppe in Ucraina? Non c’è nessun accordo, “Ansa”, 27 febbraio 2024, https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2024/02/27/duda-truppe-in-ucraina-non-ce-nessun-accordo_15fc4761-5323-4c98-86c0-7ca10795d88c.html

5 Nato, ‘Non abbiamo piani di inviare truppe in Ucraina’, “Ansa”, 27 febbraio 2024, https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/02/27/nato-non-abbiamo-piani-di-inviare-truppe-in-ucraina_99f1d1d1-53d0-47c0-9957-66fee1bb9003.html

6 Scholz ha infatti dichiarato di essere contrario all’invio dei missili tedeschi Taurus in Ucraina, armi a lunga gittata e che richiedono personale molto preparato (e dunque truppe tedesche al seguito), perché la Germania non può fare «quel che fanno francesi e britannici» (cioè essere largamente presenti nel teatro di guerra). Immaginate la gioia di Parigi e Londra.

7 L’economista francese Jacques Sapir ha fatto varie ipotesi per questa intemerata: volontà di farsi valere all’interno del consesso europeo, tentativo di fare pressione su quella parte di schieramento politico Usa restio al sostegno all’Ucraina, mera operazione rumorosa ad uso interno in vista delle prossime elezioni europee (qui la traduzione del commento di Sapir, pubblicata sul suo profilo X, a cura di “Scenari economici”: https://scenarieconomici.it/perche-macron-parla-di-intervento-militare-linteressante-punto-di-vista-di-jacques-sapir/ ). In ogni caso si tratta di un comportamento altamente irresponsabile e incendiario per fortuna seccamente rifiutato dalla larga maggiornza del popolo francese (76%) secondo un sondaggio (https://scenarieconomici.it/il-76-dei-francesi-contrario-allinvio-di-truppe-in-ucraina/ ).

8 Cfr. Toni Muzzioli, Mobilitazione totale, “ideeinformazione”, 3 febbraio 2024, https://www.ideeinformazione.org/2024/02/03/mobilitazione-totale/ . La notizia è stata tenuta molto sotto traccia da tutta la stampa dominante, ma anche poco rilevata dai canali informativi critici. Fanno eccezione l’ottimo Stefano Orsi sui sui canali web (YouTube e Telegram) e OttolinaTV.

9 Stoltenberg, la Nato si prepari a un confronto dcennale con Mosca, “ANSA”, 10 febbraio 2024, https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/02/10/stoltenberg-la-nato-si-prepari-a-un-confronto-decennale-con-mosca_3aa05823-3536-40c3-9e54-a0e86ba0cd9a.html

10 Von der Leyen: “Guerra in Europa non imminente, ma neanche impossibile”, “Adnkronos”, 28/0272024, https://www.adnkronos.com/internazionale/esteri/ucraina-guerra-europa-von-der-leyen_3VQwsEwtybkDgI6rAtKbHy

11 Alfonso Bianchi, In Europa parte la corsa al riarmo: “Siamo in pericolo, dobbiamo agire insieme”, “Europa today”, 5 marzo 2024, https://europa.today.it/unione-europea/riarmo-ue-politica-difesa-comune-pericolo-agire-insieme.html

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sabato 3 febbraio 2024

La disputa - Fabio Alberti

L’acquisizione di ricchezze attraverso la guerra nasce dalla natura, infatti l’arte venatoria è una parte di essa e si deve usare sia verso gli animali, sia verso quegli uomini che, essendo nati per obbedire, rifiutano di sottomettersi e tale guerra è giusta per natura. Juan Ginés de Sepúlveda sintetizzava così la giustificazione della guerra come mezzo di evangelizzazione nella “Disputa del Nuovo Mondo” che lo contrappose al frate domenicano, procuratore degli Indios, Bartolomè de Las Casas nel 1550-51. Il teologo spagnolo si rifaceva alla teoria aristotelica della “servitù naturale” ed aggiungeva: “I filosofi insegnano che alle genti barbare e inumane che aborriscono vita civile conviene stare sottomessi al potere di popoli più umani e virtuosi, i quali, con l’esempio della virtù, delle leggi e della prudenza, loro facciano abbandonare la loro bestialità”. La “Disputa”, convocata dall’imperatore Carlo V, non si concluse con un verdetto chiaro e furono quindi i coloni, prima spagnoli e poi delle altre nazioni europee, a scriverlo.

È probabilmente allora che gli europei, sino ad allora marginali nella storia del mondo, cominciano a interiorizzare l’idea della propria superiorità e a percepirsi come il centro del mondo, soggetti di una storia universale nella quale “il resto” diviene oggetto. L’Altro non europeo in questa storia è sempre un po’ meno che umano. O quando lo è, deve essere educato, alla cristianità, alla civiltà, alla democrazia…

Su questa percezione di sé si sosterrà moralmente lo sterminio della gran parte delle popolazioni americane e la deportazione di 12 milioni di schiavi neri. Poi la spartizione dell’Africa, stabilita a Berlino nel 1884, per “prendersi cura del miglioramento delle condizioni e del loro [degli indigeni] benessere morale e materiale”. Intanto l’altro pezzo d’Europa, la Russia, si “prendeva cura” delle popolazioni della Siberia asiatica.

Nel Mediterraneo la professione di superiorità si affermò più lentamente. Qui l’Occidente era stato di fronte ad una civiltà che aveva regalato all’Europa il caffè, l’algebra e la filosofia greca e prodotto imperi che controllavano il commercio globale.  Il lungo conflitto con quel mondo per il controllo del commercio con l’Oriente non aveva sino a quel momento prodotto l’altro non umano. I “saracini” erano infedeli, ma pienamente umani.

La hybris occidentale si estese al Maghreb e al Mashreq con lo smembramento violento dell’impero Ottomano. Napoleone invade l’Egitto, poi la Francia occupa Tunisia e Algeria, poi fu la volta del Regno d’Italia a dichiarare guerra alla Turchia e occupare la Tripolitania e la Cirenaica, infine il britannico Mark Sykes e il francese François Picot si divisero con un tratto di penna sulla carta geografica le ultime spoglie dell’impero, smembrato con la Prima guerra mondiale.

Come scrive Edward Said in “Orientalismo”, l’Europa inventa l’Altro orientale. Ciò permetterà di definire nel trattato di Versailles le popolazioni del Mashreq come “non in grado di resistere da sole nelle condizioni del mondo moderno” giustificando così la colonizzazione dello spazio ex ottomano.

Sepulveda non avrebbe saputo fare di meglio.

Dunque, da cinque secoli l’Altro non europeo è un po’ meno che umano o comunque inferiore e “naturalmente” subordinato o al massimo sotto tutela. Una dominazione ovviamente “per il suo bene”.

Oggi, che la supremazia occidentale è messa in discussione, ci si dice che dobbiamo fare la guerra per difendere l’Occidente (con il corollario del dollaro come moneta di scambio) e che tutti i conflitti attuali sono “un attacco ai nostri valori”. In Ucraina, come in Palestina. Ma quali valori?

Sulla superiorità morale dell’Occidente ci sarebbe molto da dire. È l’Europa che ha prodotto il nazismo, culmine del mito della Nazione e del Razzismo scientifico (entrambe invenzioni europee) e che, come ha acutamente notato il poeta martinicano Aimé Cesaire, ha fatto in Europa e verso popolazioni “bianche” ciò che tutte le altre nazioni facevano in Africa senza troppo scomporsi.

non si dica che si tratta di cose del passato.  Ricordiamo che l’Occidente ha condannato alla morte per fame mezzo milione di bambini iracheni per embargo affermando, come ebbe a dire la segretaria di stato USA, Madeleine Albright, che “ne valeva la pena”.  Oppure che l’Europa assiste indifferente e all’affogamento di migliaia di ragazzi e ragazze nel Mediterraneo o che nega il diritto di asilo a persone che scappavano da una guerra di Putin, ma che avevano il torto di essere siriani.

La ferocia che nasce dalla convinzione di avere il diritto di vivere meglio degli altri è di oggi, non di ieri. Ed è questa concezione dell’altro come “un po’ meno che umano”, che fa sì che possano essere espressi ad alta voce pensieri come quelli ascoltati dopo l’eccidio del 7 ottobre.

Questo Israele è diventato davvero un paese europeo, interpretando il mito europeo della Nazione e praticando la colonizzazione, come hanno fatto tutti i bianchi occidentali. È la stessa idea di Stato-Nazione che nel continente ha causato, in due guerre mondiali, cento milioni di vittime, di civili e di ragazzi vestiti con una camicia di forza color kaki e la testa imbottita di idiozie identitarie.  

non può meravigliare il silenzio europeo. L’Europa è abituata. La strage di Gaza, contrariamente a quanto si dice, non è per l’Europa nulla di nuovo.  

Non ha nulla da invidiare all’eccidio di Addis Abeba, quando i coloni italiani, in rappresaglia per un attentato, spalleggiati dall’esercito, diedero vita ad una vera e propria “caccia al moro” con il linciaggio indiscriminato di migliaia di civili, dando fuoco alle case e distruggendo le proprietà.

O alla strage di Amritsar quando l’esercito inglese sparò sulla folla, dopo averla rinchiusa nella piazza in cui si era radunata per manifestare contro la Compagnia delle Indie, trucidando centinaia di persone disarmate.

O al massacro di Hai Pong in cui la Francia repubblicana rase al suolo l’intero distretto vietnamita uccidendo a cannonate tra 6 e 20mila persone perché si erano attardate ad abbandonare la zona che la Francia aveva dichiarato sotto la sua sovranità. Si trattava di “dare una severa lezione a quelli che ci hanno aggredito a tradimento”.

O ancora al genocidio (riconosciuto tale dalla Germania) degli Herero e dei Nama quando, dopo aver conquistato con la guerra il territorio, le forze coloniali tedesche avvelenarono i pozzi per causare la morte per fame e sete, nell’intento di liberare il territorio dalla loro presenza. La popolazione nativa fu più che dimezzata.

Tutti questi crimini costituenti il benessere europeo, mai riconosciuti come tali, sono stati archiviati come “dura legge della storia”. Nessuno se ne è presa la responsabilità.

È questa percezione di superiorità, che comprende la convinzione di avere il diritto di vivere meglio degli Altri, che impedisce di provare empatia per gran parte del genere umano e consente la sconcertante differenza di trattamento che hanno le vittime bianche da quelle non bianche. Che si tratti di sfollati ucraini o africani, di immigrati rumeni o africani, di malati di covid europei o cinesi, di bambini israeliani o palestinesi.  Quelli che meritano pietà e quelli “un po’ meno”.

Pensiamoci quando ci chiameranno per la prossima guerra in difesa dell’Occidente.

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lunedì 25 dicembre 2023

Oriente e Occidente - Giorgio Agamben


La storia degli uomini ha sempre una segnatura teologica e può essere pertanto istruttivo guardare all’attuale conflitto fra Oriente e Occidente nella prospettiva dello scisma che molti secoli fa divise la chiesa romana da quella ortodossa. Com’è noto, alla base dello scisma era la questione del Filioque: il credo romano affermava che lo Spirito santo procedeva dal Padre e dal Figlio (ex Patre Filioque), mentre per la chiesa ortodossa lo Spirito santo procedeva solo dal Padre.
Se traduciamo il linguaggio teologico in concreti termini storici, ciò significa – dal momento che il Figlio incarna l’economia divina della salvezza sul piano della storia terrena – che per l’Oriente greco-ortodosso la vita spirituale dei credenti non era direttamente implicata nel piano dell’economia storica. La negazione del Filioque separa il mondo celeste da quello terreno, la teologia dall’economia storica. E questo – senza il pregiudizio di altri fattori – può spiegare perché l’Occidente – soprattutto nella sua versione protestante – rivolge allo sviluppo dell’economia storica un’attenzione affatto sconosciuta al mondo greco-ortodosso, che sembra ignorare la rivoluzione industriale e permanere ancorato a modelli feudali. Tradotto in termini teologici, anche il primato marxista dell’economia sulla vita spirituale corrisponde perfettamente al nesso dello Spirito santo col Figlio che definisce il Credo dell’Occidente.
Tanto più gravido di conseguenze è il rovesciamento che si produce con la Rivoluzione russa, quando il modello occidentale del primato dell’economia storica viene innestato a forza su un mondo spiritualmente del tutto impreparato a riceverlo. Ancora una volta, in questa prospettiva il fallimento del modello sovietico e l’evidente riproposizione di motivi teologici nella Russia postsovietica si lascia spiegare come il ritorno della rimossa indipendenza dello Spirito santo, che ritrova quella posizione centrale che il regime comunista non era riuscito a cancellare.
Tanto più assurdo appare che – mentre negli ultimi decenni la Chiesa romana e quella ortodossa si erano andate riavvicinando – l’Occidente, non a caso sotto la guida di un paese protestante, riproponga ora – più o meno inconsapevolmente in nome del Filioque – una guerra senza quartiere con la Russia ortodossa.

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domenica 19 novembre 2023

L’opinione pubblica conta poco o nulla: che è successo al grande Occidente? - Loretta Napoleoni

 

È lecito bombardare un ospedale perché nei sotterranei si intersecano i tunnel scavati da Hamas? Cosa dice il diritto internazionale, le leggi che proteggono i diritti umani a riguardo? Queste le domande chiave che abbiamo ascoltato negli ultimi giorni formulare da giornalisti, esperti e politici. La risposta è naturalmente sempre vaga, perché nessuno veramente sa cosa rispondere per un semplice motivo: la questione è politica. Qualsiasi risposta è un’opinione, un’interpretazione, e dunque sempre di parte.

Tutto ciò è vero a livello universale. I bombardamenti russi sulla popolazione civile in Ucraina sono un crimine di guerra, ma quelli israeliani a Gaza non lo sono. Perché? Perché l’Occidente, si badi bene l’establishment non il popolo, stanno dalla parte di Israele mentre in Ucraina stanno dalla parte di Zelensky. Peccato che queste non sono partite di calcio e decine di migliaia di persone muoiono senza capire bene perché, sono le vittime innocenti e ignoranti dei giochi di potere in tutte le guerre, la stragrande maggioranza; e noi, l’opinione pubblica mondiale, li lasciamo trucidare senza battere ciglio perché siamo impotenti, non possediamo gli strumenti per fermare sia i massacri in Ucraina sia quelli a Gaza.

Cosa è successo al grande Occidente? Alla culla della democrazia, della giustizia, della libertà, dei diritti umani? Possibile che questi fuochi si siano estinti? In realtà questi fuochi non sono mai stati accesi. Nell’agosto del 1945 gli Stati Uniti hanno sganciato due bombe atomiche sul Giappone e lo hanno fatto sulla popolazione civile di due città, Hiroshima e Nagasaki. Con un colpo solo hanno spazzato via ospedali, scuole, parchi, edifici e più di 200mila persone sono morte. Sulla bilancia della storia si disse che questi innocenti vennero sacrificati per salvarne molti, molti di più tra soldati e civili, se la guerra fosse continuata. Ma oggi sappiamo che il Giappone era sul punto di capitolare e che gli americani ne erano a conoscenza. Sappiamo anche che sarebbe bastato dare una dimostrazione della potenza dell’atomica senza dover mietere tutte quelle vittime. Ma gli Stati Uniti volevano vendicarsi di Pearl Harbour e volevano dimostrare al mondo che l’atomica l’avevano solo loro e che non avrebbero esitato ad usarla. Fu una mossa dettata allo stesso tempo dal desiderio di vendetta tutto umano e dai piani di strategia geopolitica della superpotenza Usa, perché le guerre le fanno gli uomini e la storia la scrivono sempre loro.

Discorso analogo si può fare per l’invasione in Iraq del 2003. Contro la volontà del Consiglio di sicurezza dell’Onu e sulla base di bugie fabbricate ad hoc, per dimostrare che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa capaci di raggiungere Londra, in 45 minuti si invase l’Iraq. Il resto di questa triste storia è noto a tutti.

Nel 1945, nel 2003 e oggi l’opinione pubblica conta poco o niente: una velina appoggiata sulla Costituzione delle varie nazioni per evitare che gli schizzi di sangue delle vittime innocenti delle guerre da noi promosse la sporchino. L’opinione pubblica non ha la forza di deviare il corso della storia a meno che non si organizzi per rovesciare chi la governa, come avvenne con la Rivoluzione francese. Ma in democrazia questo concetto non ha senso, la democrazia è per definizione il governo della maggioranza del popolo, come si fa a rovesciarlo?

Analisi analoga fece Hamas negli anni Novanta, quando decise che era lecito attaccare la popolazione civile israeliana perché attraverso il voto democratico questa stessa era responsabile delle azioni del governo di Israele. Sulla base di questo ragionamento, per Hamas trucidare i coloni intorno a Gaza e i giovani al concerto nel deserto non è un atto terroristico o un crimine, ma un’azione di guerra legittima.

Adesso riflettete sul perché attaccare un ospedale per l’esercito israeliano e per Netanyahu è legittimo. La responsabilità dei civili e dei malati è legata al processo democratico che ha portato al potere Hamas. Il diritto internazionale, la difesa dei diritti umani, la differenza tra civili e combattenti è un pongo che chi eleggiamo democraticamente modella a proprio piacimento e si porta in passerella mediatica, per convincerci che il nuovo pupazzetto ci piace.

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domenica 24 aprile 2022

Il ciclo di vita degli imperi



 Gli uomini hanno i riflessi lenti; in genere capiscono solo nelle generazioni successive – Stanislaw J. Lec

 

In economia c’è uno strumento di analisi per capire e studiare un certo prodotto, si chiama ciclo di vita del prodotto, e suddivide la vita di un prodotto in quattro fasi, introduzione, crescita, maturità, declino.

In realtà si ispira al concetto di ciclo di vita dell’essere umano, e può essere utile per osservare non solo i prodotti, ma tante manifestazioni che con l’umano hanno a che fare.

Proviamo a utilizzare questo modello per analizzare la vita degli imperi e interpretarne i comportamenti.

Quello che ci interessa per gli imperi è quella fase chiamata declino. Nel sistema capitalistico, in economia, il declino porta poi alla sostituzione di un prodotto con un altro (di una stessa impresa o di un‘altra, adesso non è importante), faccio un esempio, quando era in declino l’auto che si chiamava Uno, la Fiat stava già studiando la Punto, che poi ha sostituito la Uno. Questo passaggio non ha causato grandi problemi, per quello che sappiamo.

Il declino e la morte di un impero invece lascia infiniti lutti e l’umanità ancora non ha saputo gestire la caduta degli imperi, che è prevedibile e prevista (qui).

Adesso vorrei provare a capire e spiegare il declino dell’impero americano (che non è solo il titolo di un bel film di Denys Arcand, canadese del 1986), a partire dal dollaro.

Nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods (qui) fu deciso che i commerci internazionali avvenissero in dollari e che ci fossero rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all’oro.

Erano delle regole, ma gli Usa – il Paese più terrorista del mondo, in tanti sensi – non hanno mai seguito le regole, gli indiani d’America furono i primi a scoprirlo.

La regola era che ogni Paese potesse stampare moneta in un rapporto con l’oro, cioè ogni Stato doveva avere riserve d’oro che garantissero il valore della sua moneta.

Gli Usa, contro gli accordi di Bretton Woods, che loro stessi avevano “imposto”, battevano molta più moneta di quanto avrebbero potuto sulla base dell’oro che stava nelle riserve di Fort Knox.

Se avete visto qualche film western ricorderete che il problema dell’oro era spesso presente, in quelle banche che emettevano dollari, o moneta bancaria.

I dollari erano (e sono) pezzi di carta in cambio dei quali venivano comprate merci ovunque nel mondo: un affare, così pagavano le guerre e il loro tenore di vita.

Il primo ad accorgersene fu De Gaulle, che dal 1965 volle convertire i dollari che possedeva la Francia in oro, non riuscendoci.

Nel 1971 Richard Nixon (cioè il governo degli Usa) decise il 15 agosto (qui)di dichiarare l’inconvertibilità del dollaro, cioè un dollaro valeva un dollaro, senza nessuna convertibilità in oro; traduzione: se qualcuno ha qualcosa in contrario si rivolga all’esercito degli Usa, ma sappiamo che non lo farete.

Disse allora John Connally, segretario di stato al Tesoro, “E’ la nostra moneta, ma il vostro problema!”.

Dal Vietnam in poi tutte le guerre a stelle e a strisce sono state finanziate con pezzi di carta chiamati dollari in cambio di merci e servizi.

Dal 15 agosto 1971 gli Usa resero pubblico il loro essere bari, banditi*, “paria” della comunità economica internazionale, ma nessuno fiatò (De Gaulle ormai era fuori dai giochi).

Quello fu il momento dell’inizio del tramonto dell’impero Usa (e di tutto l’Occidente, che ne è parte integrante).

Tecnicamente quando un’impresa comincia a non pagare i debiti l’orizzonte è il fallimento.

Per un impero il fallimento non è previsto; un impero per definizione è eterno, fino a prova contraria.

Se è un impero a non pagare i debiti, e di questo tutti sono a conoscenza, allora la strada è segnata, è iniziato il declino.

Un’impresa può rallentare il declino di un prodotto in diversi modi, per esempio aumentando di molto la pubblicità o facendo variazioni tecniche ai prodotti per convincere i clienti che si tratta di prodotti ancora concorrenziali.

Anche un impero si comporta in modi non troppo diversi: la pubblicità si trasforma in spettacolo, si usano anche la corruzione, il soft power e l’hard power, con nuove guerre e punizioni, per chi si smarca, dissente o si oppone all’Impero.

Chi ha provato ad alzare la testa contro il potere imperiale deve essere messo fuori gioco, senza esclusione di colpi, Julian Assange e Leonard Peltier lo sanno bene, e non ci si ferma fino alla morte dei nemici (in Italia, secondo alcuni Enrico Mattei e forse anche Aldo Moro fecero e dissero le cose sbagliate, e pagarono con la morte).

Se è uno Stato a mettersi di traverso contro l’impero, ci sono molti modi per zittirlo, dalle rivoluzioni “arancioni” fino alla guerra: molti golpe e milioni di morti, in tutto il mondo lo dimostrano.

Saddam Hussein e Gheddafi avevano in mente di utilizzare una valuta alternativa al dollaro per le vendite dl petrolio, ma – che coincidenza – hanno fatto una brutta fine, loro e i loro Paesi: il dollaro non si può discutere, che ci prova muore (**).

Chavez voleva fare lo stesso per il petrolio del Venezuela: un cancro, pare, se lo è portato via, senza bisogno di un’invasione.

Cercate La moneta, di John Kenneth Galbraith e capirete quanta verità c’è nella frase di Falcone “segui i soldi ì e troverai la mafia”.

Russia, Cina e India stanno per introdurre una nuova moneta per gli scambi delle loro merci e materie prime, e sanno quello che rischiano.

Quando inizia il declino di un impero ci sono tre modi per arrivare alla fine: una caduta ordinata, controllata e concordata col resto del mondo, magari con gli imperi nascenti (mai successo); il crollo improvviso e la lotta per impossessarsi di territori e ricchezze dell’impero crollato (sempre successo);  e infine la guerra, in tutti i modi possibili e impossibili, leciti e illeciti, per continuare a essere i padroni del mondo (***), ovvero quel “secolo americano” che alcuni vorrebbero eterno.

Come avete capito non si parla solo degli Stati Uniti, ma di tutto l’Occidente, Europa inclusa, che ormai si trova dalla parte sbagliata della storia, fra quelli che il resto del mondo percepisce come oppressori.

Due frasi sono il terreno su cui poggiano le guerre passate, presenti e future.

Le parole sono pietre, dicevano ai tempi in cui la pietra era l’arma più micidiale. Noi continuiamo a usare dell’espressione, in realtà le parole possono essere (e a volte, come oggi sono) mine anticarro, missili, bombe atomiche.

Leggete queste frasi, sono dichiarazioni di guerra permanente.

“Il nostro tenore di vita non è in discussione” disse tanti anni fa Ronald Reagan

e, se non si era capito,

George Bush senior (1989) affermò che “il tenore di vita degli americani non è negoziabile”

 

Traduzione:

dato un pianeta con risorse finite, se negli ultimi cinquant’anni gli abitanti dell’Occidente sono sempre un miliardo e la popolazione totale è passata da 4 a 8 miliardi, gli Usa e l’Occidente faranno la guerra al resto del mondo, se qualcun altro pretende più delle briciole.

Noi Usa – dicono in tutti i modi – siamo i più furbi, prepotenti e terroristi del mondo, con l’aiuto concreto e necessario dell’Occidente (che coincide con la Nato) vi costringeremo ad attaccare, oppure vi attaccheremo uno ad uno: vi distruggeremo.

Iniziamo dalla Russia: un Paese con petrolio, gas, minerali preziosi.

E siccome siamo furbi, una volta che riusciremo a far sciogliere i ghiacci artici, potremo lasciare quelle ricchezze a quei russi poco democratici? Certo che no.

E poi toccherà ai cinesi.

La Cina ha lavorato per 30 anni per le imprese Usa ed europee, ha tanti di quei dollari (in cambio di lavoro schiavistico per produrre merci a prezzi stracciati) da comprarsi una parte importante degli Stati Uniti d’America.

Prima che la Cina incassi il suo credito, secondo le regole di San Capitalismo, ci sarà la guerra, i banditi non pagano i debiti, fanno e disfano le regole, stampano altri dollari, creano inflazione e scatenano guerre.

Qualche illuso si ostina a credere che gli europei siano meglio degli statunitensi, che abbiano una qualche superiorità morale.

La guerra durante un attacco di gas – Otto Dix

Gli statunitensi erano europei sul Mayflower, e le ondate di esseri umani che arrivavano laggiù erano europei, all’inizio.

Chi erano questi europei?

Erano i pacifisti della guerra dei trent’anni, o quelli della guerra dei cent’anni?

Gli Stati europei e gli Usa (e tutto l’Occidente, aggiungiamo Canada e Australia, e l’America Latina, non sono anch’essi nati da europei migranti?) si capiscono bene: i loro governi sono razzisti, compiono genocidi (verso gli indigeni, ma non solo), la loro economia è quella degli scambi ineguali (qui uno scambio che ha fatto scuola). Sono colonialisti e neocolonialisti, amano le guerre, odiano gli immigrati (che loro stessi creano con le guerre che scatenano, usando soldati, droni, direttamente o per procura, o con inique “guerre economiche”, ecco da dove nascono i migranti, altrimenti chi vorrebbe lasciare la sua casa?), odiano i poveri. Sono Paesi “maccartisti”imperialisti, schiavisti, non amano i sindacati liberi, la loro legge è il capitalismohanno gli stessi valori: sono stati (e sono ancora, troppo spesso) fra i governi più spregevoli del mondo.

Ormai gli Stati occidentali sono diventati una minaccia per l’umanità, anche per i loro stessi cittadini, quando fanno capire in tutti i modi che il tenore di vita degli occidentali (intendono gli occidentali ricchi, per quelli poveri ci sono le ultime briciole del welfare) non è negoziabile.

Quando la maggior parte dei Paesi presenti nell’Onu non vota a favore delle sanzioni verso la Russia sarà perchè quegli Stati avranno avuto qualche brutto ricordo e si saranno fatti una domanda.

Come mai nelle guerre precedenti i Paesi (occidentali) invasori mettevano le sanzioni contro i Paesi invasi – Iraq e Afghanistan, per esempio – e adesso la “regola” è che chi invade (la Russia) deve subire le sanzioni?

Gli imperi in declino possono cambiare le regole secondo le loro convenienze, finchè ne hanno la forza. Intanto altri Paesi – che rappresentano anche la maggior parte della popolazione mondiale – possono dissociarsi dagli ordini dell’impero, o contro di loro si farà la guerra?

Il declino degli imperi che si credono eterni sarà sempre più doloroso quanto più dura la caduta. (****)

 

(*)  E, come nei film western, quando i banditi hanno molte pistole, e scelgono lo sceriffo e il giudice, e quando gli impiccati dondolano al vento, quei banditi diventano rispettabili.

 

(**) Leggi qui e qui

 

(***)  Nel suo discorso di commiato del 17 gennaio 1961, trasmesso per radio e televisione, il presidente Dwight Eisenhower avvertì il popolo degli Stati Uniti riguardo al pericolo costituito dal “complesso militare-industriale”. (da qui )

 

(****) cfr questo video: