Ahmet Altan, dal carcere di Silivri
(19/06/2017), scriveva al suo giudice:
In un suo romanzo, John Fowles
dice che tutti i giudici del mondo vengono giudicati in base alle loro
decisioni. Ed è vero. Tutti i giudici vengono giudicati in base alle loro
decisioni. Anche lei verrà giudicato in base alle sue. Pensi a come vorrà
essere giudicato, a quale tipo di verdetto si augurerebbe di ricevere, a come
vorrà essere ricordato, e poi giudichi di conseguenza. Perché è lei che verrà
giudicato. Grazie per il suo tempo e la sua pazienza. (da
qui)
Possono essere successe tante cose
che hanno portato all’apertura delle porte delle celle (vale anche per Dana):
qualche giudice si è vergognato delle condanne inflitte dai suoi colleghi,
oppure hanno detto loro che strade e scuole vengono intitolate, a volte, a
giudici ammazzati, più spesso a chi viene incarcerato, e chi condanna poi può
entrare nel campo dell'infamia, per l’eternità, oppure tra i giudici qualcuno
non è a libro paga del potere, chissà.
Di sicuro passare sette mesi in
galera per aver parlato con un megafono o un microfono a qualcuno deve essere
sembrato troppo, e passare anni in galera per aver inviato messaggi subliminali
pro-golpe durante un programma tv andato in onda mesi prima (leggi
qui), se non fosse tragico sarebbe ridicolo.
Di sicuro per Dana e Ahmet sono
stati importanti gli appelli e la solidarietà di chi era sentito offeso, in
preda ad astratti e concreti furori, per le ingiustizie del mondo e quelle
inflitte a loro due e nel caso di Altan, probabilmente, un peso importante ha
avuto anche la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
È curioso che da una parte la Corte
Costituzionale condanni l’ergastolo ostativo e contemporaneamente si possa
stare in galera per reati come quelli per cui vengono condannati molti noTav (e
quando escono si continua con gli arresti domiciliari).
E come trascurare il fatto che le
forze dell’ordine sembrano una polizia privata di Telt (Tunnel Euralpin Lyon
Turin), ma anche di FedEx-TNT a Piacenza, e non solo, come se fossimo negli Usa
degli anni bui, praticamente tutti, o nell’Italia fascista? Sembra che il capo
della polizia sia Edgar Hoover, e che i conti con Bolzaneto non siano stati
fatti troppo bene.
Lettera di Dana: sempre a
testa alta, siate saldi!
Carcere delle Vallette, 19 marzo
2021
Car* tutt*,
rieccoci qua dopo un po’ di tempo
dall’ultima lettera. Non è mai facile iniziare a scrivervi, molte sono le cose
che vorrei condividere e, giorno dopo giorno, si accumulano a tal punto che non
so bene come smaltire il grosso. Comunque, ci provo.
Intanto vi rassicuro sulla mia
situazione: sto bene, nonostante il passare del tempo e vari accadimenti. Ho
passato dei giorni bui a causa della positività da Covid-19 di mia mamma e di
mio papà. Mi è stata comunicata tempestivamente e, inevitabilmente, la notizia
mi ha provocato angoscia e paura. Per fortuna ad oggi la loro condizione
sanitaria appare buona e, nonostante qualche inevitabile strascico, sembrano
avviarsi verso la guarigione. Ad altre famiglie, ad altri figli, non è andata
così e a tutti loro mi stringo in un sincero è commosso abbraccio…
In questo luogo, dove molte cose
non sono concesse, anche il dolore è qualcosa che trova a fatica uno spazio di
libertà, per esprimersi.
Più passano i mesi e più mi chiedo
come una società che si definisce “civile” possa anche solo tollerare
l’esistenza di un’istituzione come quella carceraria. Vorrei davvero essere in
grado di trasmettervi la bellezza e la profonda umanità delle mie compagne di
detenzione. Vorrei potervi convincere, uno per uno, di quanto meritino la
possibilità di vivere una vita diversa, con altri strumenti, essere messe nella
condizione di diventare la migliore versione di loro stesse. Il carcere, questo
luogo disumano, non ha alcuna utilità e può solo ferire più profondamente di
quanto la vita lo abbia già fatto.
A breve si saprà quali saranno le
“riforme” messe in campo dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia. C’è
molta speranza tra la popolazione detenuta che spero, almeno in parte, non
venga delusa. So bene che per poter anche solo immaginare un “sistema”
equilibrato, bisognerebbe smontare pezzo per pezzo tutto il sistema
giudiziario, fare cenere delle sue fondamenta, eliminare le fonti di
ingiustizia all’interno della società in cui viviamo e ridefinire
collettivamente una serie di priorità e valori. Insomma, per quanto Cartabia
abbia, sulla carta, un profilo da costituzionalista di alto livello, non credo
sia portatrice di questi ampi interessi e, anche se li avesse, non sarà il
Governo Draghi (Governo “acchiappafondi”) a fornire l’opportunità per un reale
e profondo cambiamento.
Nonostante questo, qui incrociamo
le dita e facciamo lunghi elenchi di possibilità: libertà anticipata di 75
giorni, misure di clemenza, fondi e percorsi per il reinserimento abitativo e
lavorativo, tribunale di sorveglianza “obbligati” a concedere misure
alternative al carcere laddove ce ne sia la possibilità, ecc…
Qui continuiamo a convivere col
Covid, noi come al maschile e in molte altre carceri del Paese.
Per fortuna nessuna di noi si è
ammalata troppo seriamente ed anche le “positive”, poco alla volta, recuperano
in salute. C’è preoccupazione mista ad un senso di impotenza e per quanto si
possa fare “attenzione”, la promiscuità è inevitabile negli spazi ristretti in
cui siamo costrette 24 ore su 24.
Mi distacco ora dalla realtà
inframuraria per condividere altri pensieri…
Proprio oggi ho letto
dell’iniziativa dei giovani del Fridays For Future (che saluto con affetto!!!)
e mi chiedo come sia possibile che i media, impegnati in maratone no stop sulla
pandemia da tempo immemore, omettano sistematicamente di dire che gli unici
responsabili di questo disastro e dei suoi morti siamo solo noi! Noi che con la
violazione degli ecosistemi e lo sfruttamento e la devastazione dei territori
abbiamo rotto il patto con la natura, lo stesso che fino ad oggi ci ha permesso
di vivere!
In molti si chiedono come tutto
questo sia possibile e se finirà mai.
Se la prima risposta sta nel
capitalismo vorace e sfruttatore, la seconda e sì e che dipende solo da noi!
Nessuno però lo dice, il rischio è quello di far passare un messaggio
rivoluzionario su scala globale. Spetta a noi, quindi, sostenere i giovani che
lottano per un pianeta vivibile e per un futuro che, francamente, per loro, mi
sembra nero sotto molti punti di vista!
In quest’ultimo mese si sono
susseguiti molti avvenimenti e le lotte, che con fatica si sono manifestate a
causa delle restrizioni della pandemia, mi sono giunte forti e chiare: l’8
marzo delle donne e le manifestazioni di studenti ed insegnanti sono solo
alcune, senza dimenticare la mia amata Valle a cui dedicherò l’opportuno spazio
a fine lettera. Con emozione ricevo queste immagini e ne sono stimolata.
Vorrei ringraziare con tutto il cuore
le Mamme in Piazza per la Libertà di Dissenso e i/le compagn* tutt* che ogni
giovedì sono una presenza amica sotto al carcere che dà forza a tutte noi.
Mando un altrettanto grosso
ringraziamento alle compagne dell’Udi di Palermo e a tutti coloro che si stanno
battendo per la mia liberazione e per accendere un faro sulla difficile
condizione di noi detenute e detenuti.
Un ringraziamento, perché forse
finora ne ho fatti troppo pochi, a tutte le persone che da oltre sei mesi e da
tutto il Paese continuano a scrivermi lettere, cartoline, disegni, e mi
inviano, fiori, gatti e farfalle. Mi aprite ogni volta un’inaspettata finestra
sul mondo e grazie a voi, per qualche minuto, non vedo sbarre né cemento.
Per concludere, il mio pensiero va
là alla mia amata Valle.
In questi giorni state lottando, di
nuovo, contro gli incendi. So bene quanto doloroso sia vedere bruciare i nostri
boschi e i nostri alberi e non posso che non condividere con voi questo
dispiacere. Mentre la valle brucia e lotta contro la pandemia, si vede
espropriare manu militari i terreni di nostra proprietà da parte dell’azienda
Telt, su mandato dello Stato italiano. Non credo ci sia bisogno di ulteriori
commenti, credo che la realtà sia sotto gli occhi di tutti!
La lotta No Tav, irriducibile come
il suo no alla devastazione della nostra terra e allo sperpero di denaro
pubblico, mi insegna ogni giorno il valore della resistenza e della lotta. Se
potessi scegliere oggi, dal carcere in cui sono rinchiusa, tra altre mille
vite, quella accanto a voi sarebbe per me l’unica desiderabile. I giganti che
da decenni ci troviamo a fronteggiare hanno i piedi d’argilla perché sono stati
costruiti su menzogne e inganni, prima o poi, se sapremo restare uniti e
determinati, li faremo andare giù!
Vorrei ancora, scusate se sono
prolissa ma l’aveva anticipato, dedicare un pensiero ai compagni dei Si-Cobas
colpiti pochi giorni fa da un’infame inchiesta giudiziaria per la loro attività
sindacale di lotta, a loro va tutta la mia solidarietà e l’impegno, per quanto
possibile, a dar voce alla loro iniziativa per smascherare questa vergognosa
operazione!
Solidarietà anche alle sorelle e ai
fratelli del comitato No Grandi Navi di Venezia che, per difendere la laguna
dai mostri delle navi da crociera, si trovano ora sotto attacco e a dover
sostenere onerose spese legali. Sono sicura che anche in questo caso la
solidarietà sarà diffusa, io sono sempre con voi! (Anche sui barchini!)
Chiudo, finalmente, confermandovi
che il 14 aprile ci sarà la “Camera di Consiglio” presso il Tribunale di
Sorveglianza per valutare mie eventuali misure alternative al carcere. Sappiate
che comunque vada, io sono serena.
Sono in contatto con me stessa e la
mia voglia di lottare per un mondo più giusto, e più vivace che mai. Sono con
voi, in ogni momento.
Sempre a testa alta, siate saldi!
Avanti No Tav!
Dana
Ps. Rispetto alla chiusura indagini
e le relative misure cautelari sul Primo Maggio 2019, non posso che restare
allibita dalla strumentalità messa in campo da Questura e Pubblico Ministero.
Quella giornata, attraversata da
migliaia di persone nello spezzone sociale insieme al movimento No Tav, è stato
unicamente un atto di dignità verso chi, non volendoci in piazza, fa da tempo
ormai di temi importanti come i diritti sociali e quelli lavorativi discorsi ed
azioni al ribasso.
Noi, padroni di niente, ma
soprattutto schiavi di nessuno, abbiamo dato voce a chi lotta per un futuro
diverso, per i diritti e a difesa della Terra e dell’ambiente. Abbiamo difeso
il nostro diritto a manifestare e non ci siamo accontentati di una sfilata fine
a se stessa con unico intento quello celebrativo.
Siamo tanti a non accontentarci
delle briciole e a non credere alle solite bugie.
Ai compagn* colpit* insieme a me
dalle misure cautelari (nel mio caso come il gioco carta-forbice-pietra il
carcere in cui già mi trovo vince il banco quindi le firme sono per ora
rimandate) va il mio abbraccio più sincero.
Siate saldi!
Con la fantasia rompo i
muri della mia galera - Ahmet Altan
«Un oggetto in movimento non è né
dove è, né dove non è», afferma Zenone nel suo famoso paradosso. Fin dalla mia
giovinezza ho creduto che questo paradosso sia più adatto alla letteratura o,
anzi, agli scrittori, che alla fisica. Scrivo queste parole dalla cella di una
prigione. Aggiungete la frase: «Scrivo queste parole dalla cella di una
prigione» a qualsiasi narrazione e sarà come aggiungere una vitalità inquieta,
una voce spaventosa proveniente da un mondo oscuro e misterioso, la coraggiosa
posizione di un oppresso che resiste e un malcelato appello alla grazia. È una
frase pericolosa che può essere usata per sfruttare i sentimenti delle persone.
E gli scrittori non sempre si astengono dall’usare le frasi in un modo utile ai
loro interessi quando è in gioco la possibilità di toccare i sentimenti della
gente. Perfino capire la loro intenzione può bastare al lettore per provare
compassione nei confronti di chi ha scritto quella frase. Ma aspettate. Prima
che iniziate a commiserarmi, ascoltate quello che vi dirò.
Sì, sono detenuto in una prigione
di alta sicurezza in mezzo al nulla. Sì, mi trovo in una cella dove la porta
viene aperta e chiusa con uno sferragliare di chiavi. Sì, ricevo i miei pasti
attraverso un buco in mezzo alla porta. Sì, anche la parte superiore del
piccolo cortile lastricato dove cammino su e giù è chiusa da gabbie d’acciaio.
Sì, non mi è permesso di vedere nessuno a parte il mio avvocato e i miei figli.
Sì, mi è vietato perfino inviare una lettera di due righe ai miei cari. Sì,
ogni volta che devo andare in ospedale tirano fuori delle manette da un mucchio
di ferri e me le mettono ai polsi. Sì, ogni volta che mi portano fuori dalla
mia cella gridano «alza le braccia, togliti le scarpe» e me lo urlano in
faccia.
Tutto questo è vero, ma non è
l’intera verità. Nelle mattine d’estate, quando i primi raggi di sole passano
attraverso le nude finestre a sbarre e colpiscono il mio cuscino come delle
lance scintillanti, sento i canti giocosi degli uccelli di passaggio che hanno
fatto il loro nido sotto le grondaie del cortile e gli strani scricchiolii dei
detenuti che, passeggiando negli altri cortili, schiacciano le bottiglie
d’acqua vuote sotto i loro piedi.
Vivo con la sensazione di abitare
ancora in quella casa con giardino dove ho trascorso la mia infanzia o, per
qualche motivo e non so spiegarmi perché, in uno di quegli alberghi delle
vivaci strade francesi del film Irma la Dolce.
Quando mi sveglio con la pioggia
autunnale che colpisce le sbarre della finestra, con la furia dei venti del
nord, comincio la giornata sulle rive del Danubio in un albergo con delle torce
sulla facciata che vengono accese ogni notte.
Quando mi sveglio con il sussurro
della neve che si accumula tra le sbarre della finestra d’inverno, inizio la
giornata in quella dacia con una finestra sul davanti dove si rifugiò il dottor
Zivago.
Finora, non mi sono mai svegliato
in prigione – nemmeno una volta. Di notte, le mie avventure sono ancora più
cariche di azione. Giro tra le isole della Thailandia, gli alberghi di Londra,
le strade di Amsterdam, i labirinti segreti di Parigi, i ristoranti sul
lungomare di Istanbul, i piccoli parchi nascosti tra le strade di New York, i
fiordi della Norvegia, le piccole città dell’Alaska con le loro strade sepolte
dalla neve.
Mi potete incontrare lungo i fiumi
dell’Amazzonia, sulle rive del Messico, nelle savane africane. Parlo tutto il
giorno con persone che nessuno vede o sente, persone che non esistono e non
esisteranno fino al giorno in cui le menzionerò. Le ascolto mentre parlano tra
di loro. Vivo i loro amori, le loro avventure, le loro speranze, le loro
preoccupazioni e le loro gioie. A volte rido mentre cammino in cortile, perché
mi capita di sentire le loro conversazioni piuttosto divertenti. Poiché non
voglio metterli sulla carta in prigione, incido tutto ciò in qualche angolo
della mia mente con l’inchiostro scuro della memoria.
So che sarò un uomo schizofrenico
finché queste persone rimarranno nella mia mente. So anche che sono uno
scrittore quando queste persone si ritrovano in certe frasi sulle pagine di un
libro. Mi piace fare avanti e indietro tra schizofrenia e scrittura. Mi libro
come fumo e lascio la prigione con le persone che esistono nella mia mente.
Forse hanno il potere di imprigionarmi, ma nessuno ha il potere di tenermi in
prigione.
Sono uno scrittore. Non sono né
dove sono né dove non sono. Ovunque mi rinchiudano, viaggerò per il mondo con
le ali della mia mente infinita. Inoltre, ho amici in tutto il mondo che mi
aiutano a viaggiare, molti dei quali non ho mai conosciuto. Ogni occhio che
legge quello che ho scritto, ogni voce che ripete il mio nome, mi tiene per
mano come una piccola nuvola e mi fa volare sulle pianure, le sorgenti, le
foreste, i mari, le città e le loro strade.
Mi ospitano silenziosamente nelle
loro case, nelle loro sale, nelle loro stanze. Viaggio in tutto il mondo nella
cella di una prigione.
Come avrete capito, ho un’arroganza
divina, un’arroganza che spesso non è riconosciuta ma che è propria degli
scrittori ed è stata tramandata di generazione in generazione per migliaia di
anni. Ho una fiducia in me stesso che cresce come una perla dentro il duro
guscio della letteratura. Ho un’immunità protetta dall’armatura di acciaio dei
miei libri. Scrivo nella cella di una prigione. Ma non sono in prigione.
Sono uno scrittore. Non sono né
dove sono né dove non sono. Mi si può imprigionare, ma non tenermi in prigione.
Perché, come tutti gli scrittori, possiedo una magia. So attraversare i muri
con facilità.
Traduzione di Luis E. Moriones
Dalla Repubblica del
27 settembre 2017.
Cara Dana, ora che sei
finalmente tornata a casa…
Cara Dana,
ora che sei finalmente tornata a
casa, anche se non nella tua amata Bussoleno in Valsusa, siamo certi che poco
alla volta ti riapproprierai delle tue libertà.
Quando ieri è arrivata la notizia
della tua scarcerazione, ci siamo tutti immediatamente agitati dalla contentezza
e dalla voglia di riabbracciarti. Saremmo voluti venire di corsa tutte e tutti
sotto al carcere!
Immaginavamo però che il
provvedimento mantenesse comunque delle caratteristiche vendicative, nonostante
l’ottima relazione dell’equipe trattamentale interna al carcere, che è il
pilastro su cui dovrebbe fondarsi la valutazione dei magistrati, come hanno aggiunto
anche i tuoi avvocati. Tant’è che purtroppo ti è stata concessa la detenzione
domiciliare con tutte le restrizioni e non ti è permesso accompagnarti o
ricevere visite da chi è parte del movimento No Tav o dell’Askatasuna.
Ci viene subito da pensare che
sembra essere una colpa quella di condividere con i propri affetti la voglia di
costruire un mondo libero dalle ingiustizie sociali e di lottare contro chi
vuole devastare la terra e speculare sulla vita di tutte e tutti noi. Resta che
però abbiamo tirato un grande sospiro di sollievo nel saperti finalmente fuori
da quelle orribili mura.
Cara Dana, chissà come sarà andata
la tua prima notte in una casa, in un letto vero, senza sbarre, senza il rumore
delle chiavi, delle serrature, dei manganelli sulle sbarre. La possibilità di
recuperare un’intimità personale, di cura e riposo.
Immaginiamo che non sia stato
semplice salutare le tante compagne di detenzione che in questi lunghi sette
mesi sono diventate la tua famiglia in qualche modo, come pensiamo che lasciare
lì Fabiola, con cui hai condiviso tre mesi di detenzione e lo sciopero della
fame, sia stato ugualmente difficile.
Ma ora è il tempo della riconquista
della libertà. La strada sappiamo essere ancora un po’ in salita, ma ci
rallegriamo nel saperti fuori dal carcere.
È stata tantissima la
solidarietà che nel tempo si è costruita in tuo sostegno. Da realtà come
Amnesty International e Greenpeace, alle incredibili Mamme in Piazza per la
Libertà di Dissenso, che dall’8 ottobre ogni giovedì si sono ritrovate sotto il
carcere; la lunga lista di realtà in lotta che in tanti anni hanno avuto la
possibilità di incontrarti e condividere un pezzo di strada insieme a te; il
lunghissimo elenco tra giuristi, intellettuali, persone della cultura e dello
spettacolo tra cui Elio Germano, Zerocalcare, Giovanna Marini e altri circa 800
firmatari dell’appello che chiedeva a gran voce la tua liberazione.
E poi ovviamente le Fomne Contra ‘l
Tav e tutto il movimento No Tav che no ha smesso per un solo secondo di
sentirti vicina.
Un grazie speciale vogliamo
mandarlo ai tuoi avvocati per quanto hanno fatto in questi lunghi mesi,
combattendo contro un’ingiustizia amplificata da un sistema carcerario basato
solo sulla repressione.
A loro va un sentito ringraziamento
perché in questi sette lunghi mesi, sono venuti a trovarti ogni settimana, con
l’emergenza sanitaria in corso, anche più volte. Con lo stesso affetto che
faceva battere i nostri cuori qui fuori.
Insomma, la solidarietà è un’arma
potente e meravigliosa, che ci ha permesso di tenere duro tutto questo tempo
che, a volte, è davvero sembrato infinito anche per noi qui fuori.
Ma adesso è arrivato il momento di
riconquistare la libertà per te, ma anche per Fabiola che purtroppo si trova
ancora in carcere e anche per Stella e Mattia, anche loro ancora ai
domiciliari.
Vogliamo che il lungo elenco
dei/delle No Tav ancora afflitti da restrizioni della propria libertà tornino
liberi al più presto e faremo tutto il necessario perché ognuno possa ritornare
a percorrere i sentieri della Valsusa, quegli stessi sentieri che ci hanno
fatto incontrare e creare relazioni indistruttibili e intoccabili anche dai più
duri dei provvedimenti punitivi.
“Si parte e si torna insieme”,
sempre! È la promessa che rinnoviamo anche questa volta!
Che il vento della Valsusa possa
tornare presto a soffiare sul tuo viso di donna libera e su quello di tutte e
tutti i No Tav ancora ristretti!
Forza Dana e Avanti No Tav!
qui un dialogo tra Ahmet Altan
e Roberto Saviano