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sabato 15 aprile 2023

Riprendiamoci il Comune

 

https://riprendiamociilcomune.it/



‘La rivoluzione della cura’

 La parola al filosofo

 Alba Vastano intervista Marco Bersani

 

"Oggi le persone sono sole e isolate dentro una frammentazione sociale senza precedenti. Questo le fa scivolare nel panico e le fa sfociare nel rancore. Perché il panico diventi preoccupazione (ovvero la fase che precede l’occuparsi) e perché al rancore subentrino rabbia e speranza, il primo passo è ricostruire i luoghi della socialità, far incontrare le persone, permettere la socializzazione delle esperienze e dei saperi. Solo il sentirsi “parte” permette di iniziare a camminare” (M. Bersani)

 

Il capitalismo produce incuria. Affidando le leve della società alle logiche del mercato e prevedendo relazioni unicamente intermediate dalla compravendita di beni e servizi costringe l’esistenza delle persone dentro la dimensione della solitudine competititiva…” (Marco Bersani)

 

La soluzione c’è per uscire dal capitalismo che produce isolamento, noncuranza e fagocita le nostre esistenze trasformandoci in merce. La soluzione è fare la rivoluzione. Non quella di stampo bolscevico, ovviamente. Marco Bersani, la definisce ‘la Rivoluzione della cura’ descrivendone i vari aspetti nel suo ultimo saggio. Non è semplice da realizzare, ma si può fare. È una rivoluzione che prevede una profonda analisi politica e sociale riferita agli avvenimenti dell’ultimo trentennio. Soprattutto un’analisi che chiarisca le cause dei disastri in cui viviamo in full immersion. Disastri generati dalla continua serie di crisi concatenate, in cui stiamo navigando maldestramente, senza legarle l’una all’altra, prive del contesto che le accomuna. Occorrerebbe riappropriarci di un pensiero critico che ci consenta di uscire dal loop del pensiero unico, omologato, che fa tanto gioco al potere.

Marco Bersani, saggista, filosofo, nell’intervista che segue ci offre pillole di pensiero critico. Importante la lettura del suo ultimo saggio ‘La rivoluzione della cura- Uscire dal capitalismo per avere un futuro’ per comprendere le dinamiche e i contesti delle crisi attuali che hanno tutte una matrice comune: il capitalismo.

 giunto il momento di guardare la luna oltre il dito e ricostruire una chiave di lettura delle crisi multiple del capitalismo: se lette come insieme concatenato rivelano che la sua ferocia è dovuta alla propria intrinseca debolezza” (Marco Bersani)

* * * *

Alba Vastano: ’Siamo in un tempo sospeso’. Lo citi nella seconda di copertina del tuo ultimo saggio ‘La rivoluzione della cura?’. Quale significato ha per te il tempo sospeso e in riferimento a quali specifici attuali avvenimenti, considerando anche la difficoltà di dare una definizione precisa al concetto di tempo?

Marco Bersani: Per ‘tempo sospeso’ intendo la dimensione che attraversa la nostra società nell’epoca della crisi permanente e dell’emergenza. L’incapacità del modello capitalistico di risolvere i problemi da esso stesso creati, lo obbliga a far diventare la crisi una modalità di governo e di disciplinamento sociale Così il tempo scorre da una crisi all’altra e le persone ne vengono investite senza riuscire a coglierne le connessioni e senza poter reagire.

 

A.V.: Da oltre un decennio stiamo attraversando una serie di crisi che si susseguono, senza sosta. Dalla crisi finanziaria a quella sociale, dalla crisi eco- climatica, fino alla pandemia che ha immobilizzato il mondo. E poi l’attuale, ancora più critica per una probabile escalation nucleare, dovuta al conflitto fra Russia e Ucraina che ci coinvolge direttamente. Sembrano crisi slegate per fattori diversi. Cosa le unisce?

M.B.: Il modello capitalistico può sopravvivere solo impedendo che si capisca il contesto che produce le crisi e le connessioni fra le stesse. Perché se fossero resi chiari il contesto e le connessioni, la narrazione dominante sull’insostituibilità del capitalismo cadrebbe e sarebbe resa evidente l’insostenibilità sociale, ecologica e relazionale del capitalismo stesso…

continua qui

mercoledì 20 ottobre 2021

Il collasso dei Comuni prepara le privatizzazioni - Marco Bersani

Lo avevamo detto in tempi non sospetti (Città e Comuni: quando ce li riprendiamo?) ora è certificato: uno degli effetti della pandemia è il collasso dei Comuni, ovvero degli enti di prossimità degli abitanti di ogni territorio.

É in pieno svolgimento la 19esima edizione della “Settimana europea delle Regioni e delle città”, evento annuale organizzato dal Comitato delle Regioni Ue a Bruxelles.

All’interno dei lavori è stato presentato l’ultimo rapporto relativo all’impronta della pandemia sulle amministrazioni locali.

I risultati sono inequivocabili: stretti tra le maggiori spese da sostenere per far fronte all’emergenza e le mancate entrate dovute alla crisi, gli enti locali a livello europeo sono oggi di fronte a un buco di bilancio di 180 miliardi, pari alla somma delle maggiori spese dovute alla pandemia (125 miliardi) e delle mancate entrate (55 miliardi).

All’interno di questo infausto quadro, il nostro Paese figura al secondo posto, dietro la Germania, con un buco nelle casse degli enti locali di 22,8 miliardi di euro.

Dopo due decenni di trappola del debito e conseguenti politiche di austerità, nei quali i Comuni si sono visti ridurre drasticamente il personale, azzerare le possibilità di investimento e decuplicare il taglio di risorse (da 1,65 mld del 2009 ai 16,665 del 2015), il conto della pandemia sopracitato rischia di essere una sentenza definitiva per la funzione pubblica e sociale delle amministrazioni locali di prossimità.

La pandemia, spiega il rapporto, “avrà degli effetti a lungo termine sulle strutture socio-economiche delle regioni europee (..) e il fatto che le conseguenze possano farsi sentire ancora a lungo dipende dalle caratteristiche strutturali di un’area e dalla velocità della ripresa dei settori più colpiti”.

Se pensiamo al fatto di come, già all’inizio della pandemia, ben 1083 Comuni su un totale di 7904 si trovassero in condizione di dissesto o pre-dissesto finanziario, la drammaticità della situazione dovrebbe risultare più che evidente.

Il paradosso è che proprio la pandemia, avendo messo in crisi un sistema iperglobalizzato, obbliga a riscoprire la centralità dei territori, dei Comuni e delle città come fulcri di un nuovo modello sociale e ambientale.

Se questo è il quadro, sarebbe logico aspettarsi che, all’interno del PNRR e dei fondi del Next Generation Eu, città e Comuni assumano un ruolo centrale in termini di progettualità, investimenti a lungo termine, risorse a disposizione.

Niente di tutto questo. Il governo Draghi sta invece predisponendo -come da “condizionalità” imposte dalla Commissione Europea – il disegno di legge sulla concorrenza e il mercato, all’interno del quale viene prevista un’ulteriore spinta verso la privatizzazione dei servizi pubblici locali, stabilendo che esternalizzazione e/o affidamento ai privati siano l’ordinarietà, mentre la gestione diretta dei servizi da parte dei Comuni debba essere adeguatamente motivata.

Con le politiche di austerità si sono messi i Comuni con le spalle al muro. Ora arriva l’affondo per costringerli a mettere sul mercato tutti quei servizi che sinora erano riusciti a rimanerne fuori. Annunciando una ripresa che riguarderà solo gli utili degli azionisti finanziari e auspicando una resilienza – che vuol dire muta rassegnazione – delle comunità locali.

In questa situazione, tocca persino ascoltare il quotidiano chiacchiericcio su giornali e talk show, nei quali politici e opinionisti si arrovellano per capire le ragioni del massiccio astensionismo alle recenti elezioni amministrative.

Proponiamo loro di rispondere a due semplici domande: perché andare a votare sindaci e consiglieri comunali se le risorse a disposizione dei Comuni sono vicine allo zero? Quale utilità sociale hanno amministratori locali il cui unico compito è tagliare la spesa sociale e privatizzare beni comuni e servizi pubblici?

da qui