di Algamica*
Sui giornali online
dell’11 aprile e su tutti i quotidiani del giorno successivo abbiamo dovuto
leggere che un nuovo pericoloso criminale immigrato è stato arrestato dopo un
lunga indagine della polizia e della sezione dell’antimafia durata, stando alla
cronaca dei fatti imputati, ben due anni.
L’immigrato in questione, ora agli arresti presso il carcere di Regina
Coeli e in attesa del pronunciamento da parte del GIP, non è un immigrato qualsiasi,
ma è Nure Alam Siddique detto “Bachcu” famoso per essere un leader storico
della comunità Bengalese in Italia la cui associazione, Dhuumcatu, nel corso di
trent’anni (dagli anni ‘90 ai giorni nostri) è stata punto di riferimento per
l’organizzazione delle lotte non solo degli immigrati connazionali, ma anche
per indiani, pakistani, filippini, nord africani, rom, albanesi e latino
americani. In sostanza dopo il “l’affare Abou Soumahoro”, un altro pesce ancora
più grosso della lotta trentennale degli immigrati in Italia cade sotto la
sferza del potere poliziesco e della magistratura, in nome della difesa della
legge vigente nel nostro paese. I quotidiani del perbenismo democratico
Occidentale si sfregano le mani proponendo tutti lo stesso titolo: “arrestato
portavoce e paladino storico e della comunità bengalese di Roma”.
Quali i fatti imputati per cui è agli arresti fin dalla notte tra il 10 e
11 aprile?
Chiariamo sin da subito, che per uscire dalla cosiddetta clandestinità
l’immigrato che già lavora in nero è costretto a pagare troppo spesso la
documentazione necessaria al datore di lavoro, al proprietario di casa, ecc.
Tantissime associazioni di immigrati, inclusa la Dhuumcatu, hanno
denunciato e combattuto pubblicamente questa giungla razzista. Ma quando le
forze e la disponibilità a lottare non ci sono, può accadere che queste
associazioni, essendo di fatto “casse di mutuo soccorso” simili a quelle del
vecchio movimento operaio europeo e occidentale, si trovino costrette ad
assistere il singolo immigrato e a rimediare la necessaria documentazione nella
giungla del mercato razzista dei documenti. In sostanza gli immigrati se non
lottano si rivolgono alle proprie “casse di mutuo soccorso” come loro
rappresentanze di consumatori di un mercato dominato dall’uomo bianco e dalle
forze impersonali dell’economia che ha necessità di forza lavoro immigrata a
basso costo e ricattata.
Posta in questi termini la questione, la genesi del nuovo “caso” Bachcu
viene fatta risalire anni addietro e proprio all’interno del contesto sociale
in cui le e gli immigrati sottoposti dal ricatto del permesso di soggiorno si
trovano costretti a ricorrere al mercato dei documenti necessari per la
regolarizzazione.
Diciamo sin da subito che le leggi del mercato le fanno i rapporti capitalistici
di produzione elaborati nel corso di secoli, dove ai popoli colonizzati e poi
immigrati è concesso partecipare come consumatori o forza lavoro necessari alla
accumulazione e alle condizioni imposte dalle forze impersonali dell’economia,
che poi stabiliscono a chi non ha mezzi come accedervi da parte di chi invece
ne ha la proprietà. E se i mezzi non li ha, quelle stesse forze economiche
offrono a fianco del mercato “leale”, ovvero regolare, anche le trame del
mercato “non leale” (o irregolare). Sicché l’immigrato è messo nella condizione
di usare l’illegalità e se colto in fragranza di “reato” è colpevole e se un
altro immigrato lo aiuta, usando gli stessi artifizi consigliati dal mercato
illegale viene colpevolizzato come corrotto.
In questo modo vengono rimosse le responsabilità vere di chi favorisce la
corruzione, cioè il corruttore, per mettere alla gogna il disgraziato corrotto.
In sostanza il perbenismo liberista democratico rimuove in toto le
responsabilità del corruttore, cioè le leggi di un modo di produzione e dei
rapporti sociali, scaricando su chi è costretto a sottostare alle forche
caudine delle stesse, una responsabilità di corruzione perché non farebbe uso
del libero arbitrio e vivere da “onesto” cittadino. Una realtà tanto più vera e
feroce quanto e quando il dominato è un immigrato.
Come a dire che la causa del mercato e del traffico degli stupefacenti sia
da addebitare ai poveri tossicodipendenti e non ai rapporti sociali che
determinano la tossicodipendenza. In sostanza il liberismo democratico accoglie
a rigide condizioni gli immigrati nel recinto del consentito del razzismo e
condanna quello “corrotto” proprio per escludere il sistema sociale della
corruzione in mano alle forze dell’economia e dello Stato.
I giornali descrivono che il caso Bachcu è “intricato”, perché non è per la
compravendita dei documenti per la regolarizzazione di immigrati “clandestini”
che viene arrestato, anche perché tutto sommato l’economia e i padroni del
vapore – banche, industrie e agrobusiness – hanno pur sempre bisogno di
dimostrare che loro ingaggiano regolarmente gli immigrati al lavoro, poco
importa se la residenza o il domicilio e il permesso di soggiorno erano stati
ottenuti con una documentazione onesta e veritiera, mentre quando così non è, loro
– il corruttore – si tirano fuori da ogni responsabilità addebitando le colpe a
chi per necessità è costretto a districarsi nella palude di rapporti sociali
diseguali.
Leggiamo sui giornali una ricostruzione dei fatti lunga due anni, dove nel
quartiere di Roma Torpignattara – denominata “banglatown” – si sia formata una
vera e propria mafia, che in virtù degli aiuti e intermediazioni pregresse per
far ottenere a tizio o a caio i documenti necessari per la regolarizzazione, se
poi nel corso della vita lavorativa tizio e caio faticosamente si sono
stabilizzati e hanno aperto piccole botteghe di frutta e verdura, verso di
questi verrebbe chiesto periodicamente di pagare il “pizzo” più gli interessi.
Se poi non si paga, si viene minacciati fino al punto di attuare un rapimento.
L’intrico descritto dai giornali non finisce qui, perché come gli italiani –
genitori di tutte le mafie nel mondo – dal pizzo si passa al traffico degli
stupefacenti e ora un certo gruppo di immigrati bengalesi dal permesso
comprato, al pizzo e rapimento, ora gestirebbe anche lo spaccio della droga a
Torpignattara. In sostanza una “mafia” a tutto tondo e a reggere le fila il
“padrino” Bachcu.
Sia chiaro: non staremo mai dalla stessa parte di chi oggi spara ad alzo
zero contro Bachcu e contro il Dhuumcatu; come non staremo mai dalla stessa
parte di chi difende il diritto borghese basato sul liberismo del capitale
contro gli oppressi, gli sfruttati e gli immigrati.
C’è però da notare che nell’intricata storia descritta, il caso che ha gettato
luce sulla “mafia della banglatown”, ossia il caso di rapimento di un bengalese
e della conseguente richiesta di riscatto in cambio della vita denunciato alla
polizia, le forze di polizia riuscirono in meno di 24 a liberare la vittima in
mano ai rapitori che vennero arrestati in fragranza di reato. La vittima
avrebbe poi immediatamente dichiarato agli agenti (31 ottobre 2022), che a
mandante del suo rapimento ci fosse proprio Bachcu, testimoniando che durante
la sua cattura fosse presente durante una videochiamata tra i rapitori e il
boss (ossia Bachcu). Non c’è che dire, più che una banda mafiosa, qui abbiamo a
che fare con la “armata Brancaleone” allo sbaraglio. Ma si sa, sono immigrati,
dunque poveri, inferiori, quindi poco intelligenti. Altro che le mafie nostrane
che stanno lì indisturbate nei salotti buoni dell’establishment occidentale.
Giuriamo sulla inconsistenza dei “reati” di Bachcu e di altri affiliati
alla associazione Dhuumcatu? È una trappola meschina nella quale cadono gli
ingenui. Per noi sul banco degli imputati siede un sistema economico politico e
sociale razzista che mette nelle condizioni l’individuo immigrato di delinquere
per poi condannarlo in quanto delinquente. Sicché il vero responsabile, cioè il
corruttore esce illibato e il povero immigrato condannato.
Lo scopo politico dietro il “caso” Bachcu
Fanno pertanto ridere quanti a sinistra, anche “estrema” storcono la bocca
pronunciando monosillabi «aspettiamo, si però, capiamo bene, ecc.». Mentre va
denunciata da subito l’azione della magistratura e delle forze repressive dello
Stato e della stampa tendenti a criminalizzare una realtà immigrata organizzata
a Roma, il cui scopo è politico: svuotare la banglatown di Torpignattara,
troppo ingombrante, troppo rumorosa, troppo musulmana e troppo negra, che non
si confà agli interessi di quelle forze economiche che vogliono riqualificare
la semiperiferia di Roma, trasformandola a uso, consumo e sfruttamento di
lavoro precario a servizio dell’industria del turismo di massa, unica voce di entrata
per l’economia della grande metropoli ma che deve competere sul mercato
dell’offerta con altrettante città italiane ed europee, e ridurre quegli strati
sociali di immigrati che hanno raggiunto una parziale integrazione a “negri da
cortile” al servizio dell’industria del turismo legittimando la nuova schiavitù
contro la massa di immigrati. Una presenza ingombrante quella degli immigrati
di Torpignattara, tant’è che il 10 maggio 2022 la sede del Dhuumcatu di Via
Capua 4 venne chiusa da una operazione di polizia condotta da 100 agenti per
eseguire lo sfratto dell’immobile pignorato dalla Banca, nonostante da mesi
l’associazione Dhuumcatu si stesse rivolgendo alla Banca stessa che pignorava
l’immobile al proprietario, chiedendo di riscattarne la proprietà e richiedendo
l’accensione di un mutuo.
Da lì in poi l’associazione Dhuumacatu è stata sottoposta a una serie di
attacchi da parte delle forze politiche che governano la città, il V Municipio
e che sostengono a spron battuto il programma di riconversione delle
semiperiferie della Capitale, ossia una nuova ondata di speculazione edilizia,
lievitazione del mercato degli affitti, eccetera.
E aggiungiamo che Bachcu andrebbe difeso da una mobilitazione proletaria e
di immigrati, anche se i capi di imputazione dovessero risultare veritieri
secondo il diritto liberale proprio per le ragioni espresse, perché chiameremmo
in quel caso sul banco degli imputati il corruttore, ossia un modo di
produzione che determina rapporti di sfruttamento e razzismo verso gli immigrati
e i popoli colonizzato, e non il corrotto.
All’associazione Dhuumacutu è stato concesso negli ultimi anni di potersi
barcamenare nella giungla del mercato razzista, tra una denuncia per
occupazione di suolo pubblico e un’altra, mentre la stessa organizzazione
bengalese e Bachcu da Roma alle campagne agricole di Latina non hanno mai
smesso, quando ne avevano le forze, di sostenere mobilitazioni contro il
sistema generale di ricatti agli immigrati, la ultima truffaldina sanatoria e
da ultimo una piccola manifestazione di braccianti indiani della provincia di
Latina lo scorso 25 marzo, quelli sì sottoposti dalla vera mafia legale
dell’agrobusiness che mantiene i lavoratori immigrati nelle campagne nel
moderno regime di schiavitù.
Il tempo per le concessioni sono finite, l’Italia seppure in disperato
bisogno degli immigrati per tenere a galla l’economia e tentare di galleggiare
nella crisi, non può più tollerare eccezioni quando l’intero Occidente è
chiamato a serrare i ranghi nella sfida generale che si è aperta in Palestina
sostenendo a tutti i costi Israele, evitare il collasso dello Stato sionista
attraverso il genocidio del popolo palestinese: momento che condensa in questo
tempo storico la battaglia di chi per 500 anni ha sofferto il colonialismo e il
razzismo da parte dell’occidente.
Invitiamo pertanto gli immigrati e quanti sensibilizzati alla loro causa a
schierarsi risolutamente:
Contro la campagna razzista in atto
attraverso l’arresto di Bachcu.
Contro il genocidio perpetrato dallo
Stato sionista di Israele contro il popolo palestinese.
* Alessio Galluppi, Michele Castaldo