Perché il solo orizzonte in grado di
immaginare una prospettiva di pacificazione in Ucraina, che ponga fine ai
massacri reciproci e apra la strada a una possibile riconciliazione, è
costituito dal ripristino della sua neutralità
1. In un articolo pubblicato su Substack, Glenn Diesen, un pungente
professore norvegese (dell’Università Sud-Orientale del suo paese) e acuto
esponente della scuola realista delle Relazioni Internazionali
- cui appartiene anche il più noto John Mearsheimer dell’Università di Chicago
– sfida con argomentato coraggio la narrativa convenzionale occidentale,
manifestamente costruita dai sistemi di comunicazione di massa - che l’operazione militare
speciale decisa da Mosca il 24 febbraio 2024 sia stata una
derivata non-provocata dell’intento russo di riproiettarsi sul
quadrante esteuropeo un tempo occupato/presidiato dall’Unione Sovietica.
Le riflessioni del prof. Diesen costituiscono un prezioso arricchimento
intellettuale e vaccinatorio contro la macchina della
distorsione mediatica. Insieme alle sue riflessioni il lettore troverà ad
intermittenza alcuni commenti a margine da parte dello scrivente.
2. Confondendo i termini della questione, molti dipingono la scuola
del realismo politico – rileva l’autore - come una teoria deficitaria
sotto il profilo etico, non solo politico, contestandone la valenza
teleologica, vale a dire la capacità di definire un convincente modello di gestione
della competizione tra nazioni, che per i realisti è una derivata
ineludibile della struttura anarchica del sistema
internazionale. Tale indomabile competizione è causata dalla
necessità degli stati di proteggere la loro sicurezza in assenza di un potere gerarchico che
disponga del monopolio dell’uso della forza. Per gli idealisti (i
seguaci della scuola di pensiero da cui prendono nome), la condotta degli stati
deve invece ricondursi alla dimensione etica. Se i corrispondenti valori non
sono rispettati - quelli generati dalla Grande Potenza di turno e coincidenti,
non a caso, con i suoi interessi (oggi, gli Stati Uniti, portatori
dell’ideologia democratica, liberale e mercantile) -, questa ha il dovere morale di
imporli al resto del mondo. E qui, come si può immaginare, cominciano i guai.
La scuola realista, dunque, contesta la capacità di
quella idealista di trascendere la cosiddetta politica di
potenza, tanto più che, quando le due istanze entrano in contraddizione, è
sempre la prima a prevalere.
Sull’arena internazionale gli stati non possono far a meno di duellare sul
fronte della sicurezza, in un confronto che opera in ogni ambito, pacificamente
o con l’uso della forza. E la ragione di tale condotta, nel pensiero realista,
dipende dalla natura strutturale del sistema, perché gli stati
devono evitare di essere sopraffatti da altri più forti. Il realista reputa
altresì che agire in conformità con la logica del bilanciamento di potere
risponde anche alla legge morale, poiché tale equilibrio costituisce la
precondizione per garantire pace e stabilità. Ai suoi occhi l’impegno dell’idealista nel
combattere la politica di potenza con le armi della moralità (i
valori essendo ontologicamente precari e di parte)
finisce per essere foriero di conseguenze immorali. Chiudere gli
occhi sull’evidenza, vale a dire l’ineludibilità degli stati a difendere le
chance di sopravvivere in ogni possibile modo, compromette la capacità del
sistema di gestire la competizione per la sicurezza quale percorso effettivo (realistico,
dunque) per conseguire la pace.
3. Sulla base di tale premessa e sorvolando per ragione di spazio su
aspetti facilmente intuibili, Diesen contesta l’assolutezza del diritto sovrano
dell’Ucraina di aderire alla Nato, discostandosi dalla narrativa semplicistica
imposta in Occidente (governi e media), che nasconde finalità che nulla hanno a
che vedere con la logica o l’etica pubblica. Vediamo.
L’argomento idealista, seducente e insieme pericoloso - sulla
base del quale l’Ucraina viene quotidianamente devastata, deve aggiungersi –
implica che quel paese disponga in parallelo della sovranità e della libertà
(entrambe in forma incondizionata) di aderire a qualsiasi alleanza,
politica o militare che sia. Tale statuizione è quanto mai attraente sul piano
astratto e raccoglie dunque istintivo sostegno presso le opinioni pubbliche,
usualmente poco inclini all’approfondimento, oltre che narcotizzate dalla
macchina del rimbambimento televisivo serale. La medesima statuizione appare
incontestabile anche perché altrimenti occorrerebbe riconoscere alla Russia un
ipotetico diritto di condizionare le scelte altrui, e questo è giudicato
sommamente inaccettabile, sul piano logico e politico, di certo nel caso
dell’Ucraina.
L’argomento idealistico che a Kiev deve essere
riconosciuta libertà incondizionata di aderire a qualsiasi alleanza
fonda le radici su una proiezione onirica o su un sentimento di infantile
onnipotenza, che nasconde a sua volta la pretesa di poter modellare il mondo
secondo i propri desideri, ignorandone le leggi intrinseche e dunque la cruda
realtà. Quest’ultima non risponde alle nostre impulsioni, siano esse
giustificate o irragionevoli.
Credere poi che la pace sia una derivata dell’espansione di alleanze
militari decise sulla carta senza tener conto dei bisogni di sicurezza delle
Grandi Potenze, riflette una pulsione di pancia e immatura, che nega le lezioni
della storia. L’Ucraina confina con un paese nucleare, tra i più armati al
mondo. A motivo di ciò, dunque, devono ritenersi ancor più legittime le sue
preoccupazioni di sicurezza. Tuttavia, proprio per tali ragioni l’aver invitato
la Grande Potenza rivale, gli Stati Uniti, ad accomodarsi e mettere radici nel
salotto di casa ha reso la competizione ancor più effervescente, aggravando
l’equazione del confronto e l’urgenza di proteggere la propria sicurezza. Questo
invito, sia esso stato spontaneo o estorto dalla Cia con la corruzione o il
ricatto, ha messo a rischio la stessa sopravvivenza dell’Ucraina quale stato
sovrano.
Investire sul desiderio che il mondo sia il riflesso dei nostri bisogni,
continua Diesen, non rende la nostra condotta più rispondente ai principi etici
ai quali scegliamo di richiamarci. È semmai la resistenza a prendere atto dei
fattori che sovrintendono al funzionamento del mondo che contribuisce a
generare le condizioni che portano alla guerra.
Tale linea di pensiero non porta alla conclusione che, per non cadere nella
brace dell’espansionismo atlantico verso Est, la sola alternativa fosse
rassegnarsi alla sorveglianza russa, poco gradita al popolo ucraino. Ciò,
infatti, sempre secondo la dottrina realista, avrebbe concesso un
privilegio improprio alla Federazione Russa, che esattamente come la Potenza
Atlantica mira ad espandere il suo potere a spese altrui.
Un percorso suscettibile di generare un orizzonte di pace e sviluppo
sarebbe stato quello di accogliere con attenta considerazione le preoccupazioni
russe sulla cruciale nozione di sicurezza. Un accoglimento questo, che senza
rinunciare ai diritti e propositi, avrebbe garantito una sostanziale e realistica sovranità
all’Ucraina, la quale per di più avrebbe potuto sfruttare tale storica
occasione per costruire il suo futuro alla luce della sua posizione geografica
privilegiata, dialogando e commerciando con gli uni e con gli altri. Nei
decenni di guerra fredda nessun paese occidentale, nemmeno
gli oscillanti Stati Uniti, ha mai temuto che prestare
attenzione agli interessi di sicurezza dell’Unione Sovietica ai suoi confini
sarebbe stata giudicata una capitolazione. Non è un caso che in quegli anni gli
stati europei neutrali fungevano da cuscinetto tra Est e
Ovest, mitigando la reciproca competizione per la sicurezza.
4. Nel continente americano, il Messico dispone di piena sovranità e di
molte libertà sulla scena internazionale, ma non di quella di aderire a
un’alleanza militare guidata dalla Cina o di ospitare basi militari russe o
nordcoreane. L’argomento idealistico secondo cui il Messico
può fare ciò che vuole implica l’obliterazione delle ansie di sicurezza degli
Stati Uniti, i quali in tal caso procederebbero alla destrutturazione del Messico.
Nel Regno Unito, se la Scozia si separasse dall’Inghilterra e si legasse a
un’alleanza militare con la Russia, ospitandone missili e infrastrutture
militari, è improbabile che gli inglesi sarebbero ancora propensi a difendere
il principio del consenso e della libertà di scelte, come fanno da spettatori
esterni sull’Ucraina. In un mondo realista se si
vuole preservare la pace occorre accettare vincoli reciproci per mitigare la
competizione sulla sicurezza. Nel mondo idealista di paesi
buoni contro quelli cattivi, invece, la forza del bene non accetta limiti, deve
imporsi a qualsiasi costo, poiché la pace è raggiungibile solo se il bene
sconfigge il male, e il compromesso è anch’esso uno stato provvisorio di
pacificazione, che attende la resa finale dei conti. Gli idealisti cercano
di trascendere la politica di potenza nell’illusione di poter creare un
mondo moralizzato e pacificato, intensificando la competizione
per la sicurezza a costo di promuovere guerre indispensabili,
nell’illusorio convincimento per giungere al traguardo.
Nel caso ucraino, continua Diesen, la scuola realista reputa
che la causa prima dell’intervento armato della Russia sia stata l’espansione
della Nato. Un argomento questo che la scuola idealista considera
immorale perché legittimerebbe la politica di potenza della Russia, accordando
giustificazione all’invasione di un paese sovrano. È arduo, tuttavia, sostenere
che la realtà oggettiva debba essere considerata immorale se con corrisponde a
un mondo ideale che non esiste.
5. Nel 2020, l’ex ambasciatore britannico in Russia, Roderic Lyne, avvertiva
che promuovere l’adesione dell’Ucraina alla Nato sarebbe stato un errore fatale
e aggiungeva: se si vuole una guerra con la Russia, questo è il modo
migliore per raggiungere l’obiettivo. Nel 2008, Angela Merkel aveva
affermato che la Russia avrebbe interpretato l’apertura dell’Ucraina alla Nato
come una dichiarazione di guerra. Quando era ambasciatore a Mosca, l’attuale
direttore della CIA, William Burns, (si può dimenticare il passato, in cambio
di onori e denari!), aveva messo in guardia i superiori a Washington contro
tale prospettiva, poiché questa avrebbe spinto la Russia a ricorrere alla forza
per uscire dall’accerchiamento, una decisione – aveva aggiunto - che la Russia
avrebbe adottato se messa alle strette. Un consigliere dell’ex presidente
francese Sarkozy aveva sostenuto che il partneriato strategico firmato tra
Stati Uniti e Ucraina nel novembre 2021 avrebbe posto la Russia davanti
all’alternativa: attaccare o essere attaccata! Nessuna delle
personalità menzionate ha mai inteso legittimare un’invasione, quanto invece
evitare una guerra. Tuttavia, prendere atto di tali avvertimenti viene
condannato come se ciò significasse concedere alla Russia un insolente diritto
di veto, mentre l’aver ignorato con arroganza tali avvertimenti viene dipinto
come un gesto virtuoso, sostenuto da solidi principi morali, e non da
ontologica imbecillità.
Quando non dispongono di un diritto di veto soft, le Grandi
Potenze sono tentate di utilizzarne uno hard, vale a dire l’uso
della forza. Gli idealisti reputano che la Russia non dovrebbe
disporre di un diritto di veto sull’espansione della Nato. Il risultato è
davanti agli occhi: perdita di territorio, migliaia di morti, devastazioni,
distruzione della nazione ucraina. Si potrebbe aggiungere che i sostenitori di
tale postura suicida non sono parte in causa, ma solo spettatori
seduti in platea, perché il sangue versato e il territorio perduto sono
ucraini, non certo americani o/e occidentali. Anche se si accantona ogni
critica a tale ipocrisia, resta un mistero doloroso, tuttora irrisolto, la
ragione che induce a considerare gli idealisti individui più
sensibili alla dimensione etica (ideologia, buona politica o umanesimo) oltre
che, ça va sans dire, agli interessi degli ucraini.
Al contrario, i realisti, che da decenni e in posizione
minoritaria mettono in guardia governi e opinioni pubbliche sui rischi letali
dell’espansione della Nato, sono considerati seguaci della religione
dell’immoralità e dell’insensibilità alla libertà (alla democrazia!) e agli
interessi degli ucraini. Prendere atto dei propri errori, dimenticanze e
confusione intellettuale - per deficit cognitivo o corruzione,
cambia poco - affinché tali tragedie cessino quanto prima e non si ripetano in
futuro, costituirebbe una straordinaria evidenza di maturità. Il contrario
(…, perseverare autem diabolicum!) ci trasforma in demòni.
6. Glenn Diesen solleva quindi il quesito se la Nato sia davvero parte
terza. Aver sostenuto il diritto assoluto dell’Ucraina di
aderire alla Nato implica che il blocco militare occidentale (Nato-Usa) agisca
nella veste di un osservatore neutro, come un protagonista
periferico che osserva con distacco la scena del crimine, cercando di
allontanare i curiosi, prendendo atto della spontanea aspirazione
di governo/popolo ucraini a entrare nella rassicurante compagine militare
occidentale! Una narrazione questa, fabbricata nei cupi corridoi di
Bruxelles/Washington, rileva il professore norvegese, che trascura la
circostanza intenzionale (il disturbante punto di domanda:
perché?) che l’Ucraina non aveva alcun interesse a entrare nella Nato, e questa
non aveva alcun vincolo o necessità per proporlo/imporlo, quando la sola
motivazione di tale evoluzione/involuzione deve ricercarsi nella politica
militare espansiva del blocco atlantico in funzione antirussa e sullo sfondo
anticinese, che da trent’anni ignora la scomparsa del Patto di Varsavia,
insieme allo spirito e alla lettera della Carta Atlantica.
Al termine della guerra fredda i paesi occidentali firmano
con Mosca accordi che si vogliono messaggeri di una svolta
storica - ad esempio la Carta di Parigi per una Nuova Europa -
con il dichiarato intento di aprire la strada alla costruzione consensuale di
un’Europa senza sbarramenti, basata sulla nozione di sicurezza
indivisibile. Dietro le quinte, in realtà, la Nato (vale a dire
l’oligarchia Wall Street/stato profondo-Usa), che non ha mai condiviso
quella tabella ideologica di marcia, inizia subito a
infrangerne lo spirito, la lettera e la teleologia, lavorando nel buio per
l’espansione bellicista, sulla scorta di pretesti insensati e obliteratori
della legittima sollecitazione di Mosca (a quel tempo debilitata)
di acquisire qualche minima garanzia di sicurezza ai suoi confini.
Remando contro la corrente della storia, che in quella fase avrebbe aperto
scenari straordinari di pacificazione e cooperazione su tutto il territorio
eurasiatico (con incalcolabili benefici per noi euro-occidentali), il dominus
unipolare converte gradualmente la pregressa dialettica Nato-Urss/Russia in un
conflitto diretto Ucraina-Russia, avendo a mente il medesimo obiettivo,
destrutturare e frantumare quello sterminato paese per depredare le immense
risorse. A quel punto, nell’ottica russa, un indugio prolungato a intervenire –
conclude Diesen – avrebbe consentito agli eserciti guidati dalla macchina da
guerra Usa di mettere radici in Ucraina, divenendo inesorabilmente una minaccia
esiziale alla sicurezza militare, politica ed economica della Federazione Russa,
e fors’anche alla sua sopravvivenza.
Il sostegno della Nato alla presunta piena libertà dell’Ucraina di
scegliere la direzione della propria politica estera non è che una costruzione
fantasmagorica. Kiev è stata trascinata nell’orbita militare occidentale contro
la sua volontà. Alle opinioni pubbliche occidentali tutto ciò viene nascosto. I
mezzi d’informazione di massa vengono istruiti per occultare, non per svelare
quello di cui, talvolta, vengono a conoscenza. I governi poi negano persino le
evidenze plateali.
Secondo tutti i sondaggi esperiti tra il 1991 e il 2014, infatti, solo
un’infima minoranza di ucraini (il 20%!) aveva espresso il desiderio di aderire
all’Alleanza. In un rapporto del 2011, il blocco militare americano-centrico
aveva qualificato tale deficit di interesse come una sfida
cruciale. La memoria del popolo ucraino a lasciarsi risucchiare
nell’ideologia bellicista di un’organizzazione tradizionalmente ostile,
insieme alla saggia postura del governo di allora, doveva essere disfatta, con
le buone, come si dice, o le cattive.
Sorprende solo chi non conosce la storia degli ultimi ottant’anni che la
soluzione sia stata quella di lavorare a una democratica rivolta
popolo, - cui il lessico mediatico aggiunge solitamente
l’aggettivo colorata, dimenticando di precisare che il colore
è quello del sangue di tanti innocenti – una pratica abituale come sappiamo per
l’intelligence imperiale, Cia e suoi compagni di merende.
È così che nel 2014 il governo democratico di Yanukovich viene rovesciato,
violando la Costituzione del paese e calpestando la volontà popolare. La
telefonata Nuland-Pyatt (nel 2014, la prima sottosegretario di stato, l’altro
ambasciatore Usa a Kiev) ormai passata alla storia per infamia etica e politica
(su cui le anime candide dell’atlantisti europei/italiani sorvolano come se i
due si fossero scambiati auguri natalizi) ha rivelato al mondo che furono gli
Stati Uniti a pianificare il colpo di stato, insieme a nomi e
cognomi di chi sarebbe entrato nel governo post-golpe. Tale pianificazione,
gestita dalla più malata oligarchia del pianeta, ha rovesciato un governo
democratico puntando a legittimare il passaggio di mano e controllare il
successivo, al punto che il Procuratore Generale ucraino (2015-2016), Victor
Shokin, così si esprime[1]: da
allora (siamo nel 2014) tutte le nomine governative di qualche
rilievo vengono decise dagli Stati Uniti, i quali trattano l’Ucraina come un
loro feudo. Il conflitto con la Russia, nel pensiero di Diesen, si
rende dunque necessario per rigenerare in quel paese di frontiera il
bisogno di Nato.
7. Una delle prime decisioni del governo Poroshenko creatura di Washington
è quella di abolire il russo come seconda lingua del paese. Il New York Times[2] riferisce
che dopo il colpo di Stato il nuovo direttore dei servizi ucraini convoca Cia e
Mi6 per definire un’alleanza strategica in vista di operazioni segrete contro
la Russia, cominciando col portare a 12 le basi della Cia lungo il confine
russo. Il conflitto si intensifica quando Mosca reagisce con l’annessione della
Crimea e sostiene apertamente i separatisti del Donbass, mentre la Nato, per
mano di francesi e tedeschi, decide di sabotare quegli accordi di Minsk che
avrebbero risolto l’impasse col sostegno della stragrande
maggioranza degli ucraini.
L’intensificazione del conflitto consente a Washington di utilizzare il
territorio e il sangue dei soldati ucraini per sconfiggere un paese sterminato,
ben più ricco e armato, in una guerra che anche un bambino avrebbe compreso che
sarebbe stata persa, perché l’Ucraina dispone di risorse demografiche ed
economiche più limitate, scarsità di militari e tecnologie, e non è una potenza
atomica (a meno che generali atlantici usciti di testa abbiano in mente un
conflitto nucleare tra Russia e Nato, e non vogliamo immaginarlo!)
Il citato articolo del New York Times riconosce che la guerra segreta
contro Mosca dopo il colpo di Stato del 2014 è stata una delle ragioni
principali del conflitto. Dopo l’invasione del febbraio 2022, non provocata secondo
la narrativa occidentale, gli idealisti reputano che aver aperto all’Ucraina
l’orizzonte nella Nato sia stata una mossa giusta e opportuna, e che lo sia
tuttora, se non nell’immediato, di certo a guerra finita. La valenza idealistica di
tale percorso sarebbe non solo moralmente giustificata, ma anche foriera di
pace, perché garantirebbe all’Ucraina protezione immediata e salvaguardia
contro analoghe tentazioni future.
Nel ragionare di Diesen, gli idealisti che ragionano in
tal modo vivono su altro pianeta. La prospettazione di un futuro di questo
genere trasmette a Mosca il messaggio che segue: il territorio che la Russia
non sarà in grado di conquistare oggi verrà utilizzato in avvenire dalla Nato
per distruggere la Federazione, perché Nato/Usa prima o poi lo trasformeranno,
come fanno in ogni paese membro, in una piattaforma militarizzata contro paesi
considerati ostili, in questo caso la Russia. L’esito è palese: la prospettiva
espansionistica della Nato rafforza la determinazione di Mosca a conquistare
quanto più territorio possibile, affinché quel che rimarrà al cessate
il fuoco riduca l’Ucraina ai minimi termini, uno stato debole e
disfunzionale.
8. Il solo orizzonte in grado di immaginare una prospettiva di
pacificazione in Ucraina, che ponga fine ai massacri reciproci e apra la strada
a una possibile riconciliazione, è dunque costituito dal ripristino della sua
neutralità, una prospettiva su cui il paese potrebbe costruire benessere e
prosperità, scegliendo il dialogo con l’Est o con l’Ovest sulla base dei propri
interessi (come la Finlandia, ad esempio, che ha costruito la sua prosperità su
tale condizione, ormai trascorsa). Tutto ciò implica tuttavia una circostanza
che non è alle viste: il recupero della piena sovranità dell’Ucraina, che
invece è più che mai asservita alla strategia strumentali e devastatrice
dell’impero egemone, che poco si cura di amici o nemici.
È palese che l’obiettivo di Nato-Usa di sconfiggere e dissanguare la Russia
sia quanto mai velleitario, irraggiungibile sotto ogni aspetto. Invece di
promuovere un dialogo realistico, equo e riconoscente degli
interessi altrui, la superpotenza in declino – che in condizioni analoghe avrebbe
scatenato una guerra planetaria - non si arrende all’evidenza, mirando a
preservare la capacità unipolare di estrarre ricchezza,
risorse e lavoro dal resto del mondo, accelerando in tal modo, auspica Diesen,
il suo crepuscolo.
D’altra parte, come il recente vertice Brics di Kazan ha messo in mostra,
la storia ha ripreso il suo cammino, il Sud del mondo non accetta più
sottomissione e sfruttamento, disponendo oggi dell’energia per resistere alle
oligarchie atlantiche uscite di senno. Divenuto plurale, multipolare e
multimodale, il pianeta dà il benvenuto a nuovi protagonisti: Cina e India (le
nazioni più popolose del pianeta) e poi Russia, Brasile, Sud Africa e molti
altri determinati a contenere la hybris e le strategie distruttive dei Dottor
Stranamore che si agitano nel ventre imperiale, quale espressione
di disprezzo dei principi di coesistenza e non interferenza negli affari
altrui.
In sintesi, il divario etico-intellettuale che separa la scuola idealista da
quella realista, conclude Diesen, può essere riassunto nelle parole
del grande storico francese, Raymond Aron: l’idealista, credendo di
aver rotto con la politica di potere, finisce per esaltare ulteriormente i suoi
crimini.
NOTE:
[1] https://www.farodiroma.it/ex-procuratore-ucraina-il-fatto-che-joe-biden-abbia-dato-un-miliardo-di-dollari-in-cambio-del-mio-licenziamento-non-e-un-caso-di-corruzione/
[2] https://www.nytimes.com/2024/02/25/world/europe/cia-ukraine-intelligence-russia-war.html
da qui