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mercoledì 18 dicembre 2024

Le oligarchie liberali scelgono l’autoritarismo (con la complicità dell’intellighentia progressista) - Elena Basile


(Fatto Quotidiano 14 dicembre 2024)

 

I media occidentali hanno portato a termine con successo un’operazione di grande importanza politica. La maggioranza silenziosa, il ceto medio e le classi lavoratrici sono stati plasmati: l’Occidente libero e democratico è sotto attacco; le autocrazie come Cina e Russia, le teocrazie come l’Iran, il terrorismo, ci minacciano; e la guerra è l’unica risposta salvifica. Come afferma Ori Goldberg, nella storia i genocidi hanno avuto come motivazione essenziale l’autodifesa.

L’impero Usa in declino, costretto alla militarizzazione del dollaro, muove le sue pedine negli scacchieri internazionali, indifferente al diritto internazionale. Con linguaggio orwelliano uccide la democrazia in nome di essa. L’esempio simbolico è stata la dichiarazione del presidente della Corea del Sud che ha promosso la legge marziale per difendere i propri cittadini dall’autocratica Corea del Nord. In Europa, mentre Blinken incita Zelensky ad abbassare la leva militare dai 25 ai 18 anni, la distruzione di un paese e di centinaia di migliaia di ragazzi è giustificata dalla necessaria difesa da Mosca. In Georgia e in Romania il risultato delle elezioni democratiche non è accettato. Vincono candidati che non vogliono svendere il loro Paese a interessi statunitensi ed europei.


Si parla di brogli elettorali senza fornire prove. Le interferenze russe avverrebbero attraverso TikTok. Sappiamo bene che il soft power è monopolio occidentale. Le quattro agenzie di stampa internazionali che governano i media sono asservite ai poteri nostrani e specializzate, con modulazioni differenti, in un copia e incolla di veline dei servizi. È dunque col linguaggio della dittatura orwelliana globale, in grado di affermare l’opposto di quanto accade, che si denuncia TikTok e il soft power di Mosca. Se anche fosse provato che esistono finanziamenti russi per creare influencer nei social, essi rappresenterebbero un granello di sabbia nel deserto della disinformazione occidentale. In realtà, in Georgia come in Romania, i finanziamenti statunitensi ed europei a Ong, associazioni militanti e falsi istituti di ricerca sono molteplici. La registrazione in Georgia di Ong che avevano più del 20% di fondi stranieri, a imitazione di leggi esistenti in Occidente, è stata fortemente contestata dalla Commissione europea. Come è possibile che questa interpretazione al contrario del mondo attuale, non sia compresa dalla destra moderata e dal centrosinistra? La trasformazione antropologica alla quale assistiamo è dovuta al giudizio di carattere valoriale che si è riusciti a iniettare nel Dna delle classi dirigenti.


Se si parte dal presupposto che l’avanzare dell’influenza europea ai confini russi apporti il bene democratico, se si parte dal presupposto che la nostra civiltà e forma di governo siano migliori di quelle degli altri, i miliziani progressisti saranno spinti a chiudere entrambi gli occhi sui mezzi adoperati per celebrare le vittorie del liberalismo. Potrebbe essere divertente notare che proprio coloro che accusano la Russia di essere legata alle “zone di influenza”, retaggio del passato, credono fermamente nel diritto Nato e Ue di estendere le proprie.

In Siria le formazioni affiliate ad al Qaeda, denominate i ribelli (come i battaglioni Azov i cui membri sono divenuti su Repubblica i lettori di Kant) sono riesumate dalla Cia con la complicità turca in funzione anti-russa e anti-iraniana. Ci troviamo di fronte a una delle tante operazioni coperte della Cia che aggredisce lo Stato sovrano siriano con milizie jihadiste. La guerra civile non si congela per anni e riesplode da sola, in modo spontaneo, quando la Russia vince in Ucraina e l’Iran dimostra a Israele di poter colpire il suo territorio. La destabilizzazione di una società riesce soltanto se c’è un pilota con fondi e organizzazione. Queste non sono fantasie. Vi sono prove, a partire dalle confessioni della Clinton. Il criminale Putin utilizza TikTok, noi la Jihad.


La Turchia, che è in grado di condurre una politica autonoma per il suo esclusivo interesse nazionale, collabora con la Russia come con gli Stati Uniti secondo tattiche guidate da obiettivi geopolitici. Minare la Siria ed estendere la propria influenza in versione anti-curda è una priorità di Ankara. Al netto della retorica pro Gaza, Erdogan, impedendo i rifornimenti iraniani a Hezbollah attraverso la Siria, favorisce Israele. La Russia dovrà forse negoziare con Ankara una soluzione di tipo bosniaco, assecondando le spinte centrifughe, pro Usa, Israele e Turchia, per salvaguardare una Siria vacillante ma ancora utile all’asse russo-iraniana. Dittature e democrazie sono attori intercambiabili nella politica internazionale. Le scelte etiche esistono solo nel film autistico nostrano e degli ignari manipolati cittadini. Le oligarchie liberali scelgono l’autoritarismo con la complicità dell’intellighentia progressista.

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venerdì 13 dicembre 2024

Guerra in Ucraina: i pericoli di un linguaggio che mistifica la pace - Alessandro Marescotti


Nel giorno 1.024 della guerra in Ucraina, una notizia ci colpisce per la sua portata e il linguaggio usato. Secondo il resoconto di Tgcom24 (link all'articolo), cresce nell'Unione Europea l'ipotesi di inviare truppe di "peacekeeping" in Ucraina, con il governo italiano che, attraverso il ministro Crosetto, si dichiara "disponibile".

 

Questa dichiarazione solleva almeno tre questioni che meritano attenzione.

1.      Una guerra ribattezzata "contro la Russia"
Non si parla più di un conflitto armato tra due nazioni o del sostegno occidentale all'Ucraina, ma di una guerra esplicitamente "contro la Russia". Questo cambio di linguaggio segna uno slittamento narrativo pericoloso, che potrebbe giustificare ulteriori escalation militari. Stiamo passando da una "guerra per procura" a uno scontro diretto dell'Europa con la Russia.

2.      Il peacekeeping come travestimento della guerra

·         Il termine "peacekeeping", storicamente associato a missioni di interposizione sotto l'egida delle Nazioni Unite, viene qui utilizzato per descrivere il possibile invio di truppe in una zona di guerra aperta.

·         Quale pace si intende mantenere o costruire inviando forze armate in un conflittoarmato che rischia di allargarsi? 

·         Le parole contano, e il loro abuso crea confusione e mina la fiducia nelle vere missioni di pace.

3. La disponibilità italiana
La disponibilità del governo italiano a partecipare a questa operazione solleva dubbi sul rispetto della nostra Costituzione, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Quale mandato potrebbe giustificare una simile decisione? E soprattutto, il popolo italiano è stato consultato su questa possibilità?

 

La pace non si costruisce con la guerra

Queste ambiguità linguistico-politiche servono a rendere accettabile ciò che è inaccettabile: la prosecuzione di una guerra che ha già causato migliaia di morti e devastazioni incalcolabili. Invece di prepararsi a nuovi interventi militari, l'Unione Europea e l'Italia dovrebbero rilanciare iniziative diplomatiche, ascoltare le voci del pacifismo, e sostenere chi, in Ucraina e in Russia, si oppone alla guerra.

Chiediamo che la parola "pace" torni a significare ciò per cui è nata: la fine della guerra, non la sua prosecuzione in forme ancora più terribili.

Diciamo no all'invio di soldati italiani in Ucraina fuori da un mandato ONU.

lunedì 2 dicembre 2024

Zelensky ora propone pace all’ombra della Nato. Quella che si poteva avere nel 2022 - Fulvio Scaglione

  

E così il presidente Zelensky ha deciso di abbordare la questione che è ormai diventata ineludibile: trovare un modo per fermare la guerra, prima che l’Ucraina tracolli dopo tre anni di coraggiosa resistenza e sacrifici enormi. E lo ha fatto rinunciando di fatto al sogno che ha animato questa lotta, ovvero “tornare ai confini del 1991”, quindi recuperare il Donbass e la Crimea. Niente più Piano per la Vittoria, a dispetto dei missili a lungo gittata che ora potrebbe usare con l’autorizzazione degli Usa, della Gran Bretagna e della Francia, ma molto realismo. La sua proposta: l’Ucraina nella Nato subito e per i territori occupati dalla Russia si vedrà, si tratterà. Purché si smetta di sparare e di morire, qualunque proposta è buona. Ma l’uscita di Zelensky, e non certo per colpa sua, mette un’infinita malinconia. Perché a questa stessa soluzione si poteva arrivare già nel 2022, quando la guerra aveva solo pochi giorni di vita.

Quasi tre mesi fa, nel silenzio della stampa occidentale, le truppe russe sono arrivate, in territorio ucraino, tanto avanti quanto lo erano nelle primissime settimane dell’invasione del febbraio 2022. E in questi tre mesi, come ben sappiamo, sono avanzate ancora. È piuttosto evidente, quindi, che si può definire questa situazione drammatica: perché se si fosse data una qualche possibilità alle trattative tra Russia e Ucraina che si erano aperte già poco dopo l’inizio dell’invasione, per quanto fosse già allora pesante la condizione degli ucraini e non fosse alle viste (allora) alcuna sanzione nei confronti della Russia colpevole dell’aggressione, ci saremmo risparmiati centinaia di migliaia di morti, distruzioni infinite soprattutto a carico dell’Ucraina, l’escalation militarista che investe anche l’Europa, le minacce atomiche e infinite difficoltà economiche.

È una realtà triste ma innegabile. La gente lo ha capito bene, visto che in tutti i Paesi coinvolti i sondaggi e le ricerche spiegano che i comuni cittadini sono per fermare la guerra. A cominciare ovviamente da Ucraina e Russia (come ha spiegato bene Daria Mihaylova in queste pagine), ma proseguendo con gli Stati Uniti (il 52% chiede di sospendere le forniture di armi all’Ucraina), la Germaniala Francia e così via. I sostenitori della guerra a ogni costo sopravvivono, purtroppo, soprattutto nei Governi, con le conseguenze che vediamo: la maggioranza più risicata di sempre per la Commissione Europea, crisi profondissime per i Governi di Francia e Germania, Regno Unito e così via. E si capisce bene perché: che fine farebbe il potere di deterrenza dell’Occidente se questa guerra si concludesse con l’impressione di una vittoria (o anche solo di una non sconfitta) della Russia? Quante altri potenziali Donbass e Crimee ci sono, oltre che nell’ex Urss (Abkhazia, Ossetia del Sud, Transnistria…), in giro per il mondo?

Come si diceva, già nel marzo del 2022 la scelta era angosciante ma semplice: fermare la guerra e poi cercare una “pace giusta”, oppure proseguire la guerra per imporre una “pace giusta”. Sappiamo bene quale soluzione sia stata scelta e le conseguenze che ha avuto. Di che cosa si discusse allora, tra russi e ucraini, lo hanno spiegato bene sulla rivista Foreign Affairs due importanti studiosi americani, Samuel Charap e Sergey Radchenko. Dopo un primo incontro interlocutorio il 28 febbraio 2022, in cui i russi presentarono condizioni così dure da essere inaccettabili, nei successivi round (cioè mentre falliva sul campo l’obiettivo del Cremlino di sbandare il governo Zelensky e sostituirlo con un governo amico) la trattativa cominciò a prendere senso. Il 3 e 7 marzo le delegazioni si. incontrarono ancora, e il 10 marzo, in Turchia, ci fu il colloquio tra il ministro degli Esteri ucraino Kuleba e il suo omologo russo Lavrov. Poi i colloqui proseguirono in forma indiretta fino al momento, poi risultato decisivo, del 29 marzo, quando a Istanbul le delegazioni si scambiarono una bozza di accordo redatta dagli ucraini e accettata dai russi come positiva base di discussione.

Il succo era questo: l’Ucraina sarebbe diventata un Paese permanentemente neutrale e avrebbe rinunciato all’adesione alla Nato, ma avrebbe potuto liberamente entrare nella Ue (al contrario di quanto voleva la Russia nel 2013-2014, quando il ripensamento del presidente Janukovich sulla Ue scatenò l’Euromaidan). I russi chiedevano che l’esercito ucraino (molto rinforzato durante la presidenza Poroshenko) venisse ridotto a una forza poco più che simbolica (85 mila uomini, qualche centinaio di carri armati e missili a gittata ridotta). L’Ucraina chiedeva ai Paesi occidentali (in primo luogo Usa e Gran Bretagna, ma anche Canada, Germania, Israele, Italia, Polonia e Turchia) di impegnarsi a soccorrerla in caso di nuova aggressione: l’equivalente dell’ingresso nella Nato ora ipotizzato.

La soluzione pacifica del problema Crimea veniva rimandata, dando alle parti 15 anni per trovare un accordo: una “concessione” della Russia, che mai prima aveva messo in discussione il proprio controllo sulla penisola. Le più immediate questioni territoriali (ovvero il Donbass) venivano lasciate a trattative dirette tra Zelensky e Putin. Proprio come adesso si ipotizza.

Le cose, poi, nel 2022 andarono come ben sappiamo. Colpa di Zelensky, convinto di poter vincere la guerra? Colpa di Boris Johnson e Joe Biden, che gli promisero aiuti sufficienti a sventare i piani del Cremlino? Colpa dei Paesi che dovevano fare da garanti e non se la sentirono di assumersi un simile obbligo? Colpa dei russi? Non lo sapremo mai. Ma la domanda vera è un’altra: sarebbe stata, quella, una “pace giusta”? Considerato che l’Ucraina era stata aggredita, no. Ma la pace giusta è quella possibile. La pace impossibile è sempre ingiusta. E anche la soluzione ora proposta da Zelensky lo è.

Facciamo l’ipotesi che molti danno per scontata, ovvero che Donald Trump cercherà di “imporre” una trattativa. Qualcuno pensa che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e nella Ue sia più vicino di quanto lo fosse nel 2022? Che Zelensky potrà sedersi a un tavolo con Putin e discutere della Crimea? Che il Donbass tornerà sotto il pieno controllo di Kiev? Che Usa, Gran Bretagna e gli altri Paesi siano oggi più disponibili a fornire all’Ucraina quelle garanzie che non fornirono nel 2022?

La risposta è sempre e solo una: spingere sul pedale della guerra è stato un clamoroso errore, la scelta di una strategia fallimentare di cui stanno facendo le spese, ovviamente, soprattutto gli ucraini. Un errore clamoroso soprattutto per chi ritiene, giustamente, che quella russa sia stata (qualunque motivazione possa addurre il Cremlino, a volte anche con ragione) un’aggressione. La cosa fondamentale era fermare l’aggressione. Convincere l’aggredito (magari già convinto di suo: la ricerca Gallupp del marzo 2022 diceva che il 73% degli ucraini si pronunciava per l’idea di combattere) di poter ottenere la rivincita ha prodotto il risultato che vediamo ogni giorno. Chi se ne prenderà la responsabilità?

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giovedì 21 novembre 2024

1000 giorni di guerra in Ucraina e non abbiamo imparato (quasi) niente - Fulvio Scaglione

 

C’erano e ci sono molti modi per ricordare che da 1.000 giorni l’Ucraina, il popolo ucraino, resiste all’aggressione russa. Uno, forse non graditissimo agli aedi della guerra, è stato quello di Gallup, il prestigioso istituto di analisi statistica e ricerca sociologica fondato quasi novant’anni fa a Washington. Nel primo di una serie di interventi, i ricercatori Usa hanno rilevato che oggi il 52% degli ucraini oggi vorrebbe arrivare al più presto a fermare la guerra con un negoziato, mentre il 38% vorrebbe continuare a combattere. Di quel 52%, più della metà sarebbe disposta ad accettare cessioni di territori in cambio della pace. La ricerca Gallup ci dice molte altre cose. Per esempio, che il consenso alla guerra è andato sempre in calando: dal 73% del 2022, subito dopo l’invasione, al 63% del 2023 all’attuale 38%. E che il sostegno all’idea di continuare a combattere è calato in tutte le regioni del Paese, da quelle più vicine a quelle più lontane dalla linea del fronte. Noi aggiungiamo qui un’ulteriore considerazione: che questa ricerca è stata realizzata proprio a partire dal periodo in cui il presidente Zelensky presentava il suo Piano per la Vittoria.

Un popolo che vede il proprio Paese invaso e affronta immani sofferenze per difenderlo ha tutto il diritto di scegliere la propria strada. Lo pensavamo ieri, quando gli ucraini erano convinti di poter sconfiggere la Russia sul campo e recuperare la Crimea e tutti gli altri territori annessi alla Federazione Russa, e lo pensiamo oggi. Per usare un’espressione retorica, gli ucraini hanno comunque vinto la loro guerra, anche se si smettesse di sparare domani e i russi si tenessero tutto ciò che hanno finora occupato.

Questo, però, vale solo per gli ucraini. Tutti gli altri, americani ed europei, dopo questi mille giorni dovrebbero fare un serio esame di coscienza. Servirebbe a migliorare il livello della nostra politica e della nostra cultura. Noi, che siamo sempre stati sul “lato oscuro della forza”, abbiamo sempre pensato che la cosa migliore da fare fosse PRIMA fermare la guerra e POI cercare una pace giusta per l’Ucraina. Eravamo in minoranza, la linea che è passata è quella opposta: PRIMA sconfiggiamo la Russia sul campo e POI le imponiamo una pace giusta. Va bene così, in democrazia decidono i Governi con l’avallo dei Parlamenti.

Ma adesso, dopo questi 1.000 orribili giorni, è giunta l’ora di ammettere che la strategia scelta era quella sbagliata. Dopo quasi tre anni di guerra, sappiamo con certezza che non ci sarà la sconfitta sul campo della Russia e non ci sarà la “pace giusta” di cui si parlava. Se dopo due mesi di guerra, nel 2022, si fosse per ipotesi siglata una tregua con quelle trattative in Bielorussia, saremmo stati esattamente al punto di adesso. Con 500 mila ucraini morti in meno, un’Ucraina meno devastata e più solida di adesso, molti profughi ucraini in meno. Molte più risorse, sia militari sia economiche, almeno in Europa, per aiutare l’Ucraina a riprendersi. Molte meno divisioni, almeno in Europa ma ora forse anche negli Usa, su come aiutarla a proteggersi.

I “pacifisti” avevano ragione, come già l’avevano per l’Iraq, la Siria, la Libia. I bellicisti avevano torto, come sempre. Perché alla fin fine ha ragione il Papa quando dice che la guerra è la risposta peggiore, il male assoluto.

Certe strade, però, sono difficili da percorrere a ritroso. E così assistiamo, anche dopo questi 1.000 giorni, a penosi rituali già visti. Come quest’ultima decisione di Joe Biden sui missili a lungo raggio. Un presidente che ha già un piede fuori dalla Casa Bianca ed è totalmente privo di legittimità politica, essendo stato sfiduciato in primo luogo dal suo partito, toglie le restrizioni all’uso dei missili a lunga gittata da parte degli ucraini. Sommo esempio dell’ipocrisia che ha guidato per 1.000 giorni le azioni dell’Occidente. Se questa è una guerra contro l’impero del male russo, contro un asse di Paesi (Russia, Cina, Iran e chissà chi altro) che vogliono imporre le pretese dell’autocrazia ai diritti della democrazia, una guerra “esistenziale” per tutti noi, perché non abbiamo dato tutto e subito agli ucraini che ci rimettono la pelle? E perché non siamo andati a combattere anche noi, per primi i baltici, i polacchi, i finlandesi, gli svedesi, cioè i Paesi che ci ripetono che Putin, se vincente in Ucraina, passerebbe di certo ad altre aggressioni? E dopo di loro noi latini, ovviamente, almeno i Paesi fondatori di questa Ue che non vuole esser messa sotto tutela dell’imperialismo moscovita.

Nulla di tutto questo è successo. Nessuno degli obiettivi programmati o anche solo auspicati (cambio di regime a Mosca, crollo dell’economia russa, sconfitta sul campo della Russia, isolamento internazionale del Cremlino) è stato finora raggiunto. Lo sarà in futuro? Forse. Da Mosca arrivano voci sulla grande preoccupazione di Elvira Nabiullina, la governatrice della Banca centrale di Russia, che avrebbe più volte ammonito Putin a frenarsi, perché l’economia russa fatica sempre più ad assorbire lo sforzo bellico. Ma dopo questi 1.000 giorni siamo ai “forse” e non è un gran risultato.

A proposito di rituali. A dispetto di ciò che la realtà (e ora anche gli ucraini) indica con chiarezza, proseguono le campagne per convincerci che va bene così, che siamo sulla strada giusta, che la vittoria è vicina. Perfettamente in linea con una propaganda che fin dal primo minuto dell’invasione russa si è preoccupata non di raccontare i fatti ma di bastonare chiunque di quei fatti desse un’interpretazione diversa. Il termine “putiniano”, quindi complice dell’invasore (roba che in un Paese normale dovrebbe valere una querela dall’esito certo) usato come un manganello contro i diversi pareri, assurdi o fondati che fossero. Per cui poteva essere definito “putiniano” anche l’ex direttore di AvvenireMarco Tarquinio, ora europarlamentare del Pd, mentre noi non potremmo mai definire imbecilli i molti che in 1.000 giorni non ne hanno azzeccata una. O tutti quelli che hanno pubblicato come oro colato le più colossali baggianate, compresa la famosa affermazione della Von Der Leyen sui microchip delle lavatrici usati dai russi per far volare i missili.

E quindi si continua così, facendo finta che esista una realtà parallela in cui le previsioni sbagliate diventano giuste, i russi si ritirano, gli ucraini avanzano e con i missili Usa la democrazia trionfa. L’Europa invecchiata male si balocca con una visione del mondo che, ormai, corrisponde solo ai suoi desideri. Oggi sul Corriere della Sera l’ex ministro ucraino degli Esteri Kuleba (uno dei tanti silurati da Volodymyr Zelensky) dichiara quanto segue: “Se permettono a Putin di prevalere, non avranno perso solo l’Ucraina. Avranno perso l’Occidente, perché chi segue questa guerra in Cina, in Africa, in America Latina vedrà che l’Occidente non è capace di difendere i propri valori di libertà, democrazia, Stato di diritto. E allora anche altri attaccheranno gli interessi occidentali nel mondo, convinti che l’Occidente non sia più quello che conoscevano».

Abbiamo già detto che i cittadini di un Paese invaso hanno diritto a fare e pensare ciò che più credono. Ma a Kuleba bisognerebbe pur dirlo che quanto lui teme è già successo. In Africa la Francia viene presa a calci nel sedere ogni giorno. La Cina, non ne parliamo. L’America Latina? Vada a vedere quel che succede con gli investimenti cinesi o le relazioni con la Russia. Ed è successo non perché la Russia POTREBBE vincere questa guerra ma perché l’ha fatta. Perché cerca di rovesciare un tavolo su cui le carte sono sempre state distribuite dagli occidentali, con le loro monete, le loro alleanze militari, le loro istituzioni. Cosa che molti non accettano più come prima. Basta vedere quel che succede con i BRICS: da quando abbiamo iniziato a demonizzare Russia e Cina è cresciuto in misura esponenziale il numero dei Paesi che vogliono entrarvi, ultimi Tailandia e Colombia.

Tutto questo è bello, è giusto? Il potenziale “nuovo ordine mondiale” sarà sicuramente meglio del vecchio? Certo che no. Ma un’epoca, per noi indubbiamente felice, è finita. Prima ce ne renderemo conto, prima la smetteremo di fare i nobili con le pezze al culo, e meglio sarà.

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mercoledì 20 novembre 2024

E' iniziata una era di guerra totale: la priorità è la guerra - Rossana De Simone

 

E’ la prima volta nella storia della Corte che viene emesso un mandato d’arresto contro rappresentanti politici alleati con paesi occidentali

 

Nei giorni scorsi il mondo ha assistito ad avvenimenti che segnano il superamento di tutte le “linee rosse”: indipendentemente dal fatto che la guerra sia stata dichiarata o meno, di fatto esiste uno stato di guerra tra le principali potenze dotate di armi nucleari.

Martedì 19 Novembre, due giorni dopo il via libera statunitense, l’Ucraina fa partire un primo attacco con missili a lungo raggio ATACMS. Contestualmente il presidente Putin decide di modificare la dottrina russa sull'uso nucleare: la Russia potrà usare armi atomiche anche in risposta ad attacchi convenzionali, se questi sono sostenuti da potenze nucleari come gli Stati Uniti.

Giovedì sera dichiara che la Russia ha attaccato la città ucraina di Dnipro con un missile balistico a medio raggio (IRBM, nell’acronimo inglese), smentendo quanto aveva sostenuto giovedì mattina l’aviazione ucraina, secondo cui sarebbe stato usato un missile balistico intercontinentale. I missili balistici intercontinentali (ICBM) sono quelli più potenti e con la gittata più lunga (superiore ai 5.500 chilometri), mentre il missile che la Russia dice di aver usato ha una gittata minore (tra i 3.000 e i 5.500 chilometri). Putin ha sostenuto che è stato il test di un nuovo missile ipersonico a raggio intermedio chiamato Oreshnik che la Russia si considera “legittimata a usare contro le strutture militari di quei paesi che consentono di usare le loro armi contro le nostre”.

Questo è il risultato della fine del Trattato INF che aveva portato all’eliminazione in Europa dei missili balistici e da crociera a raggio intermedio basati a terra. Nell’articolo “Si torna agli Euromissili e agli anni più bui della Guerra Fredda”, il direttore della Rivista italiana difesa spiega che lo strike/test russo è conseguenza della “dissoluzione dei regimi di regolazione degli armamenti” e che anche l’America e l’Occidente sono pronti con simili armi. [1]

Sempre in questa settimana, diversamente da quanto promesso nel 2022 [2], il presidente statunitense Biden approva l’invio di forniture di mine antiuomo all’Ucraina. L’Ucraina è uno dei paesi che hanno firmato e ratificatola Convenzione di Ottawa, il trattato internazionale che dal 1999 vieta l'uso, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento di mine antiuomo, adesso con l’azione di Biden si trova a dover utilizzare armi che si era impegnata a bandire. Le chiamano mine"non persistenti", ovvero diventano inerti dopo un periodo preimpostato, perché richiedono una batteria per detonare e non esplodono una volta che la batteria si esaurisce. Il loro obiettivo è quello di rallentare l'avanzata russa nella parte orientale del Paese, soprattutto se utilizzate insieme ad altre munizioni provenienti dagli Stati Uniti (mine anticarro). [3]

Il giorno dopo l’uso dei missili ATACMS da parte di Kiev, il Guardian riferisce che missili Storm Shadow britannici, prodotti e commercializzati dal consorzio europeo MBDA (Airbus Group (37,5%), BAE Systems (37,5%), Leonardo (25%), sono stati lanciati per la prima volta all'interno della Russia. [3]. Quanto basta per far diventare Londra parte del conflitto in Ucraina. Alla domanda su quale fosse la differenza fra l’utilizzo dei missili inglesi da parte di Kiev e l'impiego di Putin di equipaggiamenti, e tecnologie cinesi, iraniane e nordcoreane, la risposta dell’ambasciatore russo a Londra, Andrei Kelin, è stata che vi sono mercenari ucraini sul suolo russo. [4]

Giovedì è stata anche la giornata in cui la Corte penale internazionale ha formalmente incriminato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, e il segretario alla Difesa Yoav Gallant, di crimini di guerra e crimini contro l'umanità nell'invasione israeliana di Gaza. Anche il mandato nei confronti del leader di Hamas Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri è stato spiccato per crimini di guerra e contro l’umanità. Si tratta però del capo militare che Israele sostiene di aver ucciso in un bombardamento lo scorso luglio. Tuttavia nel suo comunicato la Camera preliminare ha disposto ugualmente il mandato, non essendo in grado di stabilire se sia stato ucciso o sia ancora in vita. [5]
E’ la prima volta nella storia della Corte che viene emesso un mandato d’arresto contro rappresentanti politici alleati con paesi occidentali. In particolare la Corte ha accusato Netanyahu e Gallant di avere "la responsabilità penale per crimini", tra cui il crimine di guerra di usare la "fame come metodo di guerra" e "i crimini contro l’umanità di omicidio, persecuzione e altri atti disumani".

Per gli Stati Uniti e per ora alcuni paesi della destra estrema europea, le accuse contro Netanyahu e Gallant non sono giustificate. Di fatto Israele sta agendo con il sostegno USA nella sua guerra genocida contro la popolazione di Gaza, una guerra che ha come obiettivo anche la riorganizzazione del Medio Oriente sotto un preciso comando.
Il senatore repubblicano Tom Cotton ha risposto alla sentenza con la velata minaccia di attaccare i Paesi Bassi o qualsiasi paese che collabori con i mandati. "Guai a lui e a chiunque cerchi di far rispettare questi mandati fuorilegge. Lasciate che vi faccia un amichevole promemoria: la legge americana sulla CPI è nota come The Hague Invasion Act per un motivo. Pensateci". [6]

L’agenzia Germany Trade and Invest (GTAI) nel 2023 ha scritto che "La guerra in Ucraina è anche una battaglia per le materie prime", indicando i "grandi depositi di ferro, titanio e litio dell'Ucraina, alcuni dei quali sono ora controllati dalla Russia". [7] Da allora l'Europa ha visto non solo aumenti dei prezzi dell'energia che hanno reso i beni europei non competitivi a livello globale, ma anche la perdita di posti di lavoro e di conseguenza l’avanzata terrificante della destra estrema in più paesi europei. All’escalation bellica si contrappone la lotta di lavoratori, studenti e ambientalisti che si muovono contro i tagli di decine di miliardi di euro a programmi sociali per essere dirottati verso la spesa militare.
La guerra diventa il pretesto per militarizzare ulteriormente la società, criminalizzare gli scioperi e le manifestazioni studentesche e in generale tutto ciò che si oppone alle politiche di austerità e alla guerra.

NOTE

[1] https://www.rid.it/shownews/6950/si-torna-agli-euromissili-e-agli-anni-piu-bui-della-guerra-fredda
[2]
Nel 2014, gli Stati Uniti si erano impegnati a non utilizzare questo tipo di armi e a distruggere il proprio arsenale, ma questa decisione è stata annullata nel 2020 dall'allora presidente, e ora presidente eletto, Donald Trump. Nel luglio 2022, il governo degli Stati Uniti ha annunciato la rinuncia all'utilizzo, alla produzione e all'acquisto di mine antiuomo, rispettando così ampiamente la convenzione di Ottawa, anche se senza firmare il trattato e con un'eccezione, la penisola coreana, dove ha mantenuto aperta la possibilità di usarle.
https://www.italiaoggi.it/news/ucraina-la-questione-irrisolta-delle-mine-antiuomo-202411201045018360
[3] 
https://edition.cnn.com/2024/11/19/politics/biden-administration-anti-personnel-mines-ukraine/index.html
[4] 
https://www.theguardian.com/uk-news/2024/nov/18/uk-expected-to-give-ukraine-storm-shadow-missiles-to-strike-inside-russia
[5] 
https://www.icc-cpi.int/news/situation-state-palestine-icc-pre-trial-chamber-i-rejects-state-israels-challenges
[6] 
https://www.middleeastmonitor.com/20241122-us-senator-threatens-military-action-against-icc-after-netanyahu-arrest-warrant/
[7] 
https://www.gtai.de/de/trade/ukraine/branchen/rohstoffreichtum-der-ukraine-in-gefahr-941166

 

da qui

martedì 19 novembre 2024

Con le guerre in corso stanno “saltando” i valori dell’Occidente - Giampaolo Cadalanu

 

Trovo davvero sconfortante il dibattito su guerra e pace di questi mesi. Vedo solo dichiarazioni di principio, che hanno un significato di scelta di campo, e pochissime proposte che possano, se non far avanzare la situazione politica, almeno far maturare una coscienza collettiva.

Guerra a Gaza

Mi sembra soprattutto che sfugga a gran parte dei commentatori un punto: dopo questa catastrofe niente sarà più come prima. Gli equilibri mondiali, così come li abbiamo conosciuti, sono compromessi per sempre, in modo irrimediabile.

Valori dell’Occidente

C’è un punto di partenza nella nostra cultura, finora ben poco discusso, ed è la certezza che i valori dell’Occidente, radicati nell’Illuminismo, siano la nostra stella polare.

Da questi sosteniamo di voler partire, e verso la loro massima realizzazione vogliamo tendere, meglio se senza proporli come basi per uno scontro di civiltà o illuderci che siano il punto di arrivo dell’umanità nel suo complesso.

Crisi insormontabile

Ma lo scontro fra Russia e Ucraina e quello rinnovato fra Israele e i palestinesi (con gli alleati) hanno messo non più in dubbio ma in crisi insormontabile ogni possibile coerenza di questo orientamento.

Guerra Russia – Ucraina

Il confronto che vedo parte da presupposti incompatibili, non propone nessuno spazio per il compromesso, e dunque è totalmente inutile, anche per la formazione dell’opinione pubblica nel nostro Paese.

Considerazioni storiche

C’è chi parte da considerazioni storiche, magari risale alla notte dei tempi per leggere un diritto, dell’uno o dell’altro. Questa terra appartiene a questo popolo perché… Ma i libri sacri di uno, le ricostruzioni storiche dell’altro, evidentemente non hanno valore universale, e tanto meno trovano spazi di condivisione.

Le letture sono in conflitto radicale, e pensare di far aderire una fazione alla visione dell’altra è illusorio, tanto più quando di mezzo ci sono convinzioni religiose e sfumature nazionaliste.

Obiettivi comuni

Non voglio dire che esaminare le radici di un conflitto sia inutile. Credo invece che sia indispensabile (e ovviamente anche io ho la mia lettura personale, che vale solo per me), ma sono anche fortemente convinto che i passi avanti possano essere fatti solo se si concorda su quali obiettivi comuni possano e dunque debbano essere raggiunti.

A questo punto, com’è ovvio, propongo quelli che ritengo alla portata della buona volontà: la fine delle stragi, l’apertura di tavoli di trattativa, il via libera senza condizioni agli aiuti umanitari, l’impegno a ricercare soluzioni politiche durature.

Punto irrinunciabile

Vorrei che fosse chiaro che per me il punto d’arrivo irrinunciabile è la salvezza delle vite umane. Su tutto il resto si può negoziare, ma se non c’è un’intesa su questo, allora mi viene da sospettare che dietro ogni decisione ci siano interessi non confessabili.

Esco dal generico: la sopravvivenza politica di leader come Vladimir Putin, Volodimir Zelenskij, Benjamin Netanyahu.

Anche qui, come su altri temi, la bussola che propongo è quella del realismo: per chiunque abbia una visione “fredda”, non emotiva, è ben palese che solo molto di rado i governi (e i leader, soprattutto) agiscono nell’interesse esclusivo del popolo, mettendo da parte il proprio.

Contenitori rigidi

Propongo anche di ragionare senza pretendere di imporre contenitori rigidi alla realtà: dibattere su termini come “terrorismo” o “genocidio”, che se applicati o respinti imporrebbero conseguenze concrete, è solo un modo per non affrontare la realtà con un approccio di soluzione politica.

Basta guardare al passato per capire che il terrorista di uno è il combattente della libertà per l’altro. E non c’è nulla di più grottesco dei litigi sul concetto di genocidio, come i massacri fossero “accettabili” purché fuori da uno schema preordinato e proclamato.

Tecnologia digitale

Ma anche se si raggiungesse un primo accordo sugli obiettivi di cui parlo, mettendo per un momento da parte le convinzioni personali, anche se gli scontri diminuissero e le prospettive di pace si concretizzassero, il mondo non potrà mai più essere quello che era.

La tecnologia digitale ha permesso una velocità di trasferimento delle informazioni persino incomprensibile rispetto al passato. Proprio il confronto fra queste due guerre, che le notizie trasmesse in rete rende facile alla gran parte dell’umanità, ha già cambiato gli scenari e le prospettive globali.

Meccanismo attivato

I sondaggi lo rendono più che evidente: al di là dell’Occidente c’è un pianeta sdegnato, pronto ad agire collettivamente. In modo pacato, lento ma inarrestabile, questo meccanismo si è già attivato, con i BRICS ma non solo.

Le leadership dei cosiddetti Paesi sviluppati – che forse andrebbero chiamati solo Paesi ricchi – sono smarrite, si accorgono che il resto del mondo non ha più fiducia nei valori proclamati ma applicati solo in modo partigiano.

Il re è nudo

Il re si è ritrovato nudo. Il doppio standard adoperato fra Russia e Ucraina e fra Israele e palestinesi è ormai fin troppo chiaro. E così, insomma, le vittime non sono solo umane.

A rischiare la scomparsa sono le istituzioni internazionali basate sul consenso. L’ONU, le sue agenzie, la Corte penale internazionale, la Corte di giustizia: tutte hanno subito offensive sfrenate, tutte vengono considerate strumenti di parte, a volte in modo pretestuoso, a volte con critiche giustificate.

In pericolo è lo stesso concetto del multilateralismo. E se, come sembra, le possibilità di un allargamento di questi conflitti sono reali, i meccanismi di ricerca della pace potrebbero mancare quando ce n’è più bisogno.

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mercoledì 13 novembre 2024

L’Occidente ha perso la guerra con la Russia, gli Usa hanno vinto quella con l’Europa - Fulvio Scaglione

 

Com’era prevedibile, il meteorite della rielezione di Donald Trump, da molti prevista nell’esito finale ma non nelle clamorose proporzioni, ha generato un rumore di fondo quasi incontrollabile. Con l’insediamento lontano ancora due mesi e le nomine fondamentali per il Governo degli Usa ancora da decidere, rischiamo di essere travolti da un’onda di supposizioni, illazioni, fake news e presunte rivelazioni che sono quasi sempre basate sul nulla, o sulla fantasia dei giornalisti. Il fatto che quasi sempre queste “informazioni” arrivino dalle stesse fonti, pubbliche o private, che da anni provvedono a diffondere analoghe “informazioni” (il Nord Stream l’hanno fatto saltare i russi, i russi usano i microchip delle lavatrici per i missili, i russi combattono con le pale perché non hanno armi, ecc. ecc.), ovviamente non contribuisce a rallegrarci. Ed è quasi buffa l’idea che Trump possa tra poco entrare nella Sala Ovale, sedersi al Resolute Desk e con un tratto di penna mandare alla deriva l’Ucraina e far tornare gli Usa pappa e ciccia con la Russia.

Faccio questi esempi non solo perché l’invasione russa e la guerra in Ucraina sono un tema fondamentale per noi europei ma anche perché il buco temporale e decisionale tra l’uscita dalla Casa Bianca di Joe Biden e l’ingresso di Trump dovrebbe essere il momento giusto per tenersi ancorati all’essenza delle cose. Soprattutto per noi europei, vuol dire questo: la rielezione di Trump, comunque vada, chiunque lo affiancherà al Governo, qualunque decisione verrà presa, scrive la parola fine alla narrazione che ha dominato dal momento dell’invasione russa del 24 febbraio del 2022: ovvero, che il conflitto si potesse concludere solo con la sconfitta sul campo della Russia, il suo collasso economico sotto il peso delle sanzioni, il suo isolamento internazionale e, meglio ancora, con un cambio di regime a Mosca. Ipotesi ottimale: tutte queste cose più la disgregazione della Federazione Russa.

Certo, è un mantra che viene ancora ripetuto. Lo ha fatto Josep Borrell, che sta per lasciare l’incarico di Alto commissario alla politica Estera e di Difesa della Ue, pochi giorni fa, durante il suo sesto e ultimo viaggio a Kiev. L’ha fatto anche Giorgia Meloni. Ma si percepisce ormai la stanchezza, la sfiducia, la ritualità delle dichiarazioni fatte per abitudine. Nella realtà, che certo non sfugge a politici di quel livello, l’Occidente (non l’Ucraina, che si è sacrificata a livelli quasi inconcepibili per respingere la Russia) ha perso la guerra: la Russia non è stata sconfitta, la sua economia non è crollata, Putin è saldo al potere e non è isolato nel mondo, la Federazione non si è disgregata. La Russia ha grosse difficoltà, è ovvio. Ma l’obiettivo era annichilirla, non crearle problemi.

Il ritorno di Trump sulla scena internazionale manda appunto questo messaggio: no, da questa guerra si può uscire anche in un altro modo. Trattando, negoziando, mettendo in qualche modo d’accordo. Anche con l’invasore russo, anche con Putin che ha stracciato tutti o quasi i trattati internazionali, anche con un’Ucraina amputata della Crimea e magari anche di altri territori. Non è giusto? Certo che non lo è. Ma da quando i rapporti tra le potenze sono improntati al senso di giustizia?

Attualmente il termine generico “Occidente”, di cui tutti abusiamo, in questo fallimento serve solo fino a un certo punto. Il Giappone non perde quanto la Germania. L’Italia perde assai più della Norvegia, diventata fornitore di gas al posto della Russia. La Polonia guadagna, la Francia recede. La Finlandia si sente più sicura per essere entrata nella Nato ma ora sta riaprendo il confine con la Russia perché il traffico frontaliero le rendeva dei bei soldoni. E così via.

Quello che è certo è questo: gli Usa ci guadagnano, l’Europa ci rimette. Gli Usa hanno ottenuto concreti vantaggi (anche solo nel settore energetico) e un vantaggio politico inestimabile: aver tagliato il legame tra l’Europa (con la Germania a far da testa di ponte) e la Russia, eliminando con questo l’unica, anche se vaga, ipotesi di blocco davvero concorrenziale con gli Usa dal punto di vista politico ed economico. L’Europa, ora, è costretta a inventarsi un nuovo modello di sviluppo, diverso da quello energia a basso costo – manifatture – esportazioni che il rapporto con la Russia le aveva consentito per decenni e che l’aveva fatta prosperare. E nell’emergenza della guerra alle porte ha rinunciato a qualunque ipotesi di organizzazione collettiva di difesa, abbandonandosi a una corsa al riarmo “ognuno per sé” di dubbia efficacia e in definitiva affidando le proprie sorti alla Nato a trazione Usa, ora perfettamente sovrapposta ai confini della Ue.

Noi abbiamo sempre scritto che la guerra in Ucraina, nata dalla violazione dei trattati internazionali operata dalla Russia con l’invasione del 2022, andava soffocata quanto prima e non fomentata, non alimentata nell’illusoria speranza di una vittoria totale sul campo. La Von der Leyen, Borrell e i loro seguaci avevano torto e noi avevamo ragione. Quello che si prospetta ora, Trump o non Trump, è esattamente ciò che si prospettava nel 2022 se si fosse perseguita una tregua ma in peggio, molto peggio: l’Ucraina oggi può rimetterci più territori di allora ed è più distrutta di allora, tra Russia e Ucraina è morto un milione di persone, altri milioni di ucraini sono dispersi in Europa e altrove come rifugiati e chissà quanti di loro torneranno in patria. Dell’Europa abbiamo detto, dell’ascesa dei Brics potremmo dire, del mal funzionamento dell’Unione Europea ha già parlato abbastanza Mario Draghi nel suo recente rapporto.

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sabato 9 novembre 2024

Meglio Trump che vuole la pace in Ucraina o Ursula von der Leyen che invece vuole la guerra fino alla vittoria? - Enrico Grazzini

Non è detto che Ursula von der Lyon sia meglio del pregiudicato Donald Trump per quanto riguarda la difesa degli interessi dei paesi europei. Ursula rappresenta una Europa impotente sul piano militare ma paradossalmente guerrafondaia: insomma una Europa che abbaia ma non morde e si fa male da sola. Trump, che certamente è un autocrate e un tipo che non raccomanderei a mia figlia, sembra invece cercare i negoziati e la pace in Ucraina. La pace farà molto bene all’Europa; al contrario, se la guerra fosse durata “fino alla vittoria ucraina” (???) come proclamava assurdamente Ursula, l’Europa si sarebbe dissanguata per nulla: infatti è chiaro anche ai ciechi che l’Ucraina non potrà mai vincere questa guerra. Per colpa di Ursula l’Europa è entrata in una pericolosa escalation che potrebbe portarla anche alla guerra atomica. Addirittura Ursula e il parlamento europeo hanno votato per portare la guerra dentro il territorio russo: neppure gli americani e gli inglesi – che certamente non sono colombe e che le armi, a differenza della UE, ce le hanno davvero – hanno osato tanto.

Trump pare finalmente realistico: neppure l’America con tutte i suoi armamenti formidabili può rischiare delle guerre su tre fronti, quello europeo in Ucraina, quello in Medio Oriente sul fronte Israelo-palestinese-Iran, e quello in Asia per la questione di Taiwan. Ursula invece con la sua irresponsabile testardaggine ci avrebbe portato perfino a un rovinoso scontro con la Russia atomica. Un politico intelligente avrebbe invece dovuto prevenire la guerra.

La guerra in Ucraina si doveva e si poteva evitare fin dall’inizio. E’ stata alimentata dall’espansionismo militare della Nato guidata dalle amministrazioni statunitensi, da Bush senior all’inizio e poi da Clinton, da Obama e dalle amministrazioni successive, con la colpevole e passiva compiacenza dei governi europei. Da parte della Nato affacciarsi sulla soglia di casa della Russia e pretendere di fare credere che questa sfida non fosse una minaccia per Mosca, è stato o un grossolano errore strategico o una evidente mistificazione. L’intervento imperialistico della Russia di Putin in Ucraina è stato tanto illegittimo e illegale quanto scontato e prevedibile, perché è stato coscientemente provocato.

Le ipotesi storiche controfattuali non possono mai essere confermate. Ma credo che sia abbastanza realistico pensare che se l’Ucraina di Volodymyr Zelensky e soci non avesse chiesto insistentemente di appartenere alla Nato – che non è una organizzazione economica per lo sviluppo sostenibile, e neppure un’associazione per il progresso e i diritti civili, ma è una organizzazione militare che ha già operato con pessimi risultati in Serbia, Kossovo, Afghanistan e Iraq – Putin non avrebbe attaccato. Per quanto il sottoscritto non sia un esperto di cose militari, dal punto di vista degli equilibri imperiali era molto difficile pensare che la Russia non avrebbe risposto direttamente e con la forza alla eventualità di avere missili nemici dislocati nel giardino di casa, a pochi minuti di gettata da Mosca. 

Appare chiaro che in Ucraina l’Occidente ha cercato lo scontro, pur negando vigliaccamente a Kiev l’ingresso tra le sue fila per non correre il rischio di un suo coinvolgimento diretto nella guerra con la Russia. In sostanza l’America ha imparato che è meglio fare fare le guerre agli altri piuttosto che farle in prima persona. Il grande errore di Zelensky è stato quello di insistere a entrare in un club che non lo voleva come socio – infatti la Nato non ha mai risposto positivamente e concretamente alle richieste dell’Ucraina – ma che aveva tutto l’interesse a fare scontrare gli ucraini con i russi. Sono state purtroppo sacrificate molte decine di migliaia di uomini e 8 milioni di ucraini hanno dovuto abbandonare la loro terra: l’Ucraina è distrutta ma le prospettive di successo nel conflitto sono quasi pari a zero. Zelensky, l’uomo dei Panama Papers, è stato un cattivo stratega: avrebbe fatto meglio a rinunciare all’ingresso (praticamente impossibile) nella Nato, a garantire ai russi la neutralità dell’Ucraina e a usare tutte le armi della diplomazia per risolvere pacificamente la questione del Donbass. 

Se Trump manterrà le sue promesse e davvero si giungerà alla pace, come ritengo probabile (sperando di non essere ingenuo), essa sarà certamente a favore della Russia. Putin si annetterà dei territori, sicuramente la Crimea e molto probabilmente il Donbass, e otterrà la neutralità dell’Ucraina, che rimarrà prevedibilmente sotto tutela internazionale con il coinvolgimento indiretto della Nato. L’Europa avrà tutto da guadagnare dalla pace e, soprattutto, avrà da guadagnare se verranno ritirate le sanzioni alla Russia: in questo caso potrà continuare a rifornirsi da Mosca a basso prezzo di petrolio e di gas, cereali e minerali. Probabilmente il ritiro delle sanzioni contro Putin potrebbe compensare in larga parte il probabile aumento delle tariffe previste da Trump sulle importazioni europee. L’Europa avrebbe tutto da guadagnare se le sanzioni venissero ritirate e se si riprendesse il business con la Russia: tale scenario è tutt’altro che scontato ma non è neppure improbabile.

Inoltre l’elezione di Trump alla presidenza americana potrebbe avere un altro effetto positivo. L’atteggiamento brutalmente competitivo di Trump potrebbe anche risvegliare l’orgoglio europeo, o almeno di alcuni paesi europei. La von der Leyen finora si è sempre schierata con Washington e con Joe Biden nonostante che l’atteggiamento di questi fosse del tipo FUCK THE EU! (l’Europa si fotta, la famosa espressione dell’ex inviata americana di Obama in Ucraina, Victoria Nuland) anche contro gli interessi europei. Non era infatti certamente interesse dell’Europa andare allo scontro con Mosca e applicare delle sanzioni che hanno avuto un potente effetto boomerang contro i paesi europei e che non hanno certamente messo in ginocchio la Russia. La politica estera della UE della von der Leyen, di servilismo verso l’amministrazione Biden, ha nuociuto agli interessi europei. Ora che Cavallo Pazzo ha vinto le elezioni c’è la possibilità che gli europei si rendano più autonomi dallo scomodo alleato americano e comincino a pensare con la loro testa per fare i loro interessi. C’è ancora qualche piccola e residua speranza che i francesi e i tedeschi, dopo avere preso tante batoste, si risveglino dal loro sonno ipnotico e comincino a elaborare – con o senza la von der Leyen – una loro politica estera autonoma e di “coesistenza pacifica” con la Russia, la Cina e i paesi emergenti: l’unica che può fare bene ai popoli d’Europa. Per quanto riguarda l’Italia, il nostro paese è l’ultima ruota del carro e Giorgia Meloni da buona opportunista seguirà gli eventi, schierandosi come sempre dalla parte del più forte. Meloni si è prontamente allineata con Biden e la Nato per cercare l’impossibile vittoria in Ucraina ma seguirà immediatamente Trump se questi imporrà la pace.       

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lunedì 4 novembre 2024

L'Ucraina ha "diritto" ad aderire alla NATO? Realismo versus Idealismo - Alberto Bradanini

 

Perché il solo orizzonte in grado di immaginare una prospettiva di pacificazione in Ucraina, che ponga fine ai massacri reciproci e apra la strada a una possibile riconciliazione, è costituito dal ripristino della sua neutralità

  

1. In un articolo pubblicato su Substack, Glenn Diesen, un pungente professore norvegese (dell’Università Sud-Orientale del suo paese) e acuto esponente della scuola realista delle Relazioni Internazionali - cui appartiene anche il più noto John Mearsheimer dell’Università di Chicago – sfida con argomentato coraggio la narrativa convenzionale occidentale, manifestamente costruita dai sistemi di comunicazione di massa - che l’operazione militare speciale decisa da Mosca il 24 febbraio 2024 sia stata una derivata non-provocata dell’intento russo di riproiettarsi sul quadrante esteuropeo un tempo occupato/presidiato dall’Unione Sovietica.

Le riflessioni del prof. Diesen costituiscono un prezioso arricchimento intellettuale e vaccinatorio contro la macchina della distorsione mediatica. Insieme alle sue riflessioni il lettore troverà ad intermittenza alcuni commenti a margine da parte dello scrivente.

2. Confondendo i termini della questione, molti dipingono la scuola del realismo politico – rileva l’autore - come una teoria deficitaria sotto il profilo etico, non solo politico, contestandone la valenza teleologica, vale a dire la capacità di definire un convincente modello di gestione della competizione tra nazioni, che per i realisti è una derivata ineludibile della struttura anarchica del sistema internazionale. Tale indomabile competizione è causata dalla necessità degli stati di proteggere la loro sicurezza in assenza di un potere gerarchico che disponga del monopolio dell’uso della forza. Per gli idealisti (i seguaci della scuola di pensiero da cui prendono nome), la condotta degli stati deve invece ricondursi alla dimensione etica. Se i corrispondenti valori non sono rispettati - quelli generati dalla Grande Potenza di turno e coincidenti, non a caso, con i suoi interessi (oggi, gli Stati Uniti, portatori dell’ideologia democratica, liberale e mercantile) -, questa ha il dovere morale di imporli al resto del mondo. E qui, come si può immaginare, cominciano i guai.

La scuola realista, dunque, contesta la capacità di quella idealista di trascendere la cosiddetta politica di potenza, tanto più che, quando le due istanze entrano in contraddizione, è sempre la prima a prevalere.

Sull’arena internazionale gli stati non possono far a meno di duellare sul fronte della sicurezza, in un confronto che opera in ogni ambito, pacificamente o con l’uso della forza. E la ragione di tale condotta, nel pensiero realista, dipende dalla natura strutturale del sistema, perché gli stati devono evitare di essere sopraffatti da altri più forti. Il realista reputa altresì che agire in conformità con la logica del bilanciamento di potere risponde anche alla legge morale, poiché tale equilibrio costituisce la precondizione per garantire pace e stabilità. Ai suoi occhi l’impegno dell’idealista nel combattere la politica di potenza con le armi della moralità (i valori essendo ontologicamente precari e di parte) finisce per essere foriero di conseguenze immorali. Chiudere gli occhi sull’evidenza, vale a dire l’ineludibilità degli stati a difendere le chance di sopravvivere in ogni possibile modo, compromette la capacità del sistema di gestire la competizione per la sicurezza quale percorso effettivo (realistico, dunque) per conseguire la pace.

 

3. Sulla base di tale premessa e sorvolando per ragione di spazio su aspetti facilmente intuibili, Diesen contesta l’assolutezza del diritto sovrano dell’Ucraina di aderire alla Nato, discostandosi dalla narrativa semplicistica imposta in Occidente (governi e media), che nasconde finalità che nulla hanno a che vedere con la logica o l’etica pubblica. Vediamo.

L’argomento idealista, seducente e insieme pericoloso - sulla base del quale l’Ucraina viene quotidianamente devastata, deve aggiungersi – implica che quel paese disponga in parallelo della sovranità e della libertà (entrambe in forma incondizionata) di aderire a qualsiasi alleanza, politica o militare che sia. Tale statuizione è quanto mai attraente sul piano astratto e raccoglie dunque istintivo sostegno presso le opinioni pubbliche, usualmente poco inclini all’approfondimento, oltre che narcotizzate dalla macchina del rimbambimento televisivo serale. La medesima statuizione appare incontestabile anche perché altrimenti occorrerebbe riconoscere alla Russia un ipotetico diritto di condizionare le scelte altrui, e questo è giudicato sommamente inaccettabile, sul piano logico e politico, di certo nel caso dell’Ucraina.

L’argomento idealistico che a Kiev deve essere riconosciuta libertà incondizionata di aderire a qualsiasi alleanza fonda le radici su una proiezione onirica o su un sentimento di infantile onnipotenza, che nasconde a sua volta la pretesa di poter modellare il mondo secondo i propri desideri, ignorandone le leggi intrinseche e dunque la cruda realtà. Quest’ultima non risponde alle nostre impulsioni, siano esse giustificate o irragionevoli.

Credere poi che la pace sia una derivata dell’espansione di alleanze militari decise sulla carta senza tener conto dei bisogni di sicurezza delle Grandi Potenze, riflette una pulsione di pancia e immatura, che nega le lezioni della storia. L’Ucraina confina con un paese nucleare, tra i più armati al mondo. A motivo di ciò, dunque, devono ritenersi ancor più legittime le sue preoccupazioni di sicurezza. Tuttavia, proprio per tali ragioni l’aver invitato la Grande Potenza rivale, gli Stati Uniti, ad accomodarsi e mettere radici nel salotto di casa ha reso la competizione ancor più effervescente, aggravando l’equazione del confronto e l’urgenza di proteggere la propria sicurezza. Questo invito, sia esso stato spontaneo o estorto dalla Cia con la corruzione o il ricatto, ha messo a rischio la stessa sopravvivenza dell’Ucraina quale stato sovrano.

Investire sul desiderio che il mondo sia il riflesso dei nostri bisogni, continua Diesen, non rende la nostra condotta più rispondente ai principi etici ai quali scegliamo di richiamarci. È semmai la resistenza a prendere atto dei fattori che sovrintendono al funzionamento del mondo che contribuisce a generare le condizioni che portano alla guerra.

Tale linea di pensiero non porta alla conclusione che, per non cadere nella brace dell’espansionismo atlantico verso Est, la sola alternativa fosse rassegnarsi alla sorveglianza russa, poco gradita al popolo ucraino. Ciò, infatti, sempre secondo la dottrina realista, avrebbe concesso un privilegio improprio alla Federazione Russa, che esattamente come la Potenza Atlantica mira ad espandere il suo potere a spese altrui.

Un percorso suscettibile di generare un orizzonte di pace e sviluppo sarebbe stato quello di accogliere con attenta considerazione le preoccupazioni russe sulla cruciale nozione di sicurezza. Un accoglimento questo, che senza rinunciare ai diritti e propositi, avrebbe garantito una sostanziale e realistica sovranità all’Ucraina, la quale per di più avrebbe potuto sfruttare tale storica occasione per costruire il suo futuro alla luce della sua posizione geografica privilegiata, dialogando e commerciando con gli uni e con gli altri. Nei decenni di guerra fredda nessun paese occidentale, nemmeno gli oscillanti Stati Uniti, ha mai temuto che prestare attenzione agli interessi di sicurezza dell’Unione Sovietica ai suoi confini sarebbe stata giudicata una capitolazione. Non è un caso che in quegli anni gli stati europei neutrali fungevano da cuscinetto tra Est e Ovest, mitigando la reciproca competizione per la sicurezza.

4. Nel continente americano, il Messico dispone di piena sovranità e di molte libertà sulla scena internazionale, ma non di quella di aderire a un’alleanza militare guidata dalla Cina o di ospitare basi militari russe o nordcoreane. L’argomento idealistico secondo cui il Messico può fare ciò che vuole implica l’obliterazione delle ansie di sicurezza degli Stati Uniti, i quali in tal caso procederebbero alla destrutturazione del Messico. Nel Regno Unito, se la Scozia si separasse dall’Inghilterra e si legasse a un’alleanza militare con la Russia, ospitandone missili e infrastrutture militari, è improbabile che gli inglesi sarebbero ancora propensi a difendere il principio del consenso e della libertà di scelte, come fanno da spettatori esterni sull’Ucraina. In un mondo realista se si vuole preservare la pace occorre accettare vincoli reciproci per mitigare la competizione sulla sicurezza. Nel mondo idealista di paesi buoni contro quelli cattivi, invece, la forza del bene non accetta limiti, deve imporsi a qualsiasi costo, poiché la pace è raggiungibile solo se il bene sconfigge il male, e il compromesso è anch’esso uno stato provvisorio di pacificazione, che attende la resa finale dei conti. Gli idealisti cercano di trascendere la politica di potenza nell’illusione di poter creare un mondo moralizzato e pacificato, intensificando la competizione per la sicurezza a costo di promuovere guerre indispensabili, nell’illusorio convincimento per giungere al traguardo.

Nel caso ucraino, continua Diesen, la scuola realista reputa che la causa prima dell’intervento armato della Russia sia stata l’espansione della Nato. Un argomento questo che la scuola idealista considera immorale perché legittimerebbe la politica di potenza della Russia, accordando giustificazione all’invasione di un paese sovrano. È arduo, tuttavia, sostenere che la realtà oggettiva debba essere considerata immorale se con corrisponde a un mondo ideale che non esiste.


5. Nel 2020, l’ex ambasciatore britannico in Russia, Roderic Lyne, avvertiva che promuovere l’adesione dell’Ucraina alla Nato sarebbe stato un errore fatale e aggiungeva: se si vuole una guerra con la Russia, questo è il modo migliore per raggiungere l’obiettivo. Nel 2008, Angela Merkel aveva affermato che la Russia avrebbe interpretato l’apertura dell’Ucraina alla Nato come una dichiarazione di guerra. Quando era ambasciatore a Mosca, l’attuale direttore della CIA, William Burns, (si può dimenticare il passato, in cambio di onori e denari!), aveva messo in guardia i superiori a Washington contro tale prospettiva, poiché questa avrebbe spinto la Russia a ricorrere alla forza per uscire dall’accerchiamento, una decisione – aveva aggiunto - che la Russia avrebbe adottato se messa alle strette. Un consigliere dell’ex presidente francese Sarkozy aveva sostenuto che il partneriato strategico firmato tra Stati Uniti e Ucraina nel novembre 2021 avrebbe posto la Russia davanti all’alternativa: attaccare o essere attaccata! Nessuna delle personalità menzionate ha mai inteso legittimare un’invasione, quanto invece evitare una guerra. Tuttavia, prendere atto di tali avvertimenti viene condannato come se ciò significasse concedere alla Russia un insolente diritto di veto, mentre l’aver ignorato con arroganza tali avvertimenti viene dipinto come un gesto virtuoso, sostenuto da solidi principi morali, e non da ontologica imbecillità.

Quando non dispongono di un diritto di veto soft, le Grandi Potenze sono tentate di utilizzarne uno hard, vale a dire l’uso della forza. Gli idealisti reputano che la Russia non dovrebbe disporre di un diritto di veto sull’espansione della Nato. Il risultato è davanti agli occhi: perdita di territorio, migliaia di morti, devastazioni, distruzione della nazione ucraina. Si potrebbe aggiungere che i sostenitori di tale postura suicida non sono parte in causa, ma solo spettatori seduti in platea, perché il sangue versato e il territorio perduto sono ucraini, non certo americani o/e occidentali. Anche se si accantona ogni critica a tale ipocrisia, resta un mistero doloroso, tuttora irrisolto, la ragione che induce a considerare gli idealisti individui più sensibili alla dimensione etica (ideologia, buona politica o umanesimo) oltre che, ça va sans dire, agli interessi degli ucraini.

Al contrario, i realisti, che da decenni e in posizione minoritaria mettono in guardia governi e opinioni pubbliche sui rischi letali dell’espansione della Nato, sono considerati seguaci della religione dell’immoralità e dell’insensibilità alla libertà (alla democrazia!) e agli interessi degli ucraini. Prendere atto dei propri errori, dimenticanze e confusione intellettuale - per deficit cognitivo o corruzione, cambia poco - affinché tali tragedie cessino quanto prima e non si ripetano in futuro, costituirebbe una straordinaria evidenza di maturità. Il contrario (…, perseverare autem diabolicum!) ci trasforma in demòni.

6. Glenn Diesen solleva quindi il quesito se la Nato sia davvero parte terza. Aver sostenuto il diritto assoluto dell’Ucraina di aderire alla Nato implica che il blocco militare occidentale (Nato-Usa) agisca nella veste di un osservatore neutro, come un protagonista periferico che osserva con distacco la scena del crimine, cercando di allontanare i curiosi, prendendo atto della spontanea aspirazione di governo/popolo ucraini a entrare nella rassicurante compagine militare occidentale! Una narrazione questa, fabbricata nei cupi corridoi di Bruxelles/Washington, rileva il professore norvegese, che trascura la circostanza intenzionale (il disturbante punto di domanda: perché?) che l’Ucraina non aveva alcun interesse a entrare nella Nato, e questa non aveva alcun vincolo o necessità per proporlo/imporlo, quando la sola motivazione di tale evoluzione/involuzione deve ricercarsi nella politica militare espansiva del blocco atlantico in funzione antirussa e sullo sfondo anticinese, che da trent’anni ignora la scomparsa del Patto di Varsavia, insieme allo spirito e alla lettera della Carta Atlantica.

Al termine della guerra fredda i paesi occidentali firmano con Mosca accordi che si vogliono messaggeri di una svolta storica - ad esempio la Carta di Parigi per una Nuova Europa - con il dichiarato intento di aprire la strada alla costruzione consensuale di un’Europa senza sbarramenti, basata sulla nozione di sicurezza indivisibile. Dietro le quinte, in realtà, la Nato (vale a dire l’oligarchia Wall Street/stato profondo-Usa), che non ha mai condiviso quella tabella ideologica di marcia, inizia subito a infrangerne lo spirito, la lettera e la teleologia, lavorando nel buio per l’espansione bellicista, sulla scorta di pretesti insensati e obliteratori della legittima sollecitazione di Mosca (a quel tempo debilitata) di acquisire qualche minima garanzia di sicurezza ai suoi confini.

Remando contro la corrente della storia, che in quella fase avrebbe aperto scenari straordinari di pacificazione e cooperazione su tutto il territorio eurasiatico (con incalcolabili benefici per noi euro-occidentali), il dominus unipolare converte gradualmente la pregressa dialettica Nato-Urss/Russia in un conflitto diretto Ucraina-Russia, avendo a mente il medesimo obiettivo, destrutturare e frantumare quello sterminato paese per depredare le immense risorse. A quel punto, nell’ottica russa, un indugio prolungato a intervenire – conclude Diesen – avrebbe consentito agli eserciti guidati dalla macchina da guerra Usa di mettere radici in Ucraina, divenendo inesorabilmente una minaccia esiziale alla sicurezza militare, politica ed economica della Federazione Russa, e fors’anche alla sua sopravvivenza.

Il sostegno della Nato alla presunta piena libertà dell’Ucraina di scegliere la direzione della propria politica estera non è che una costruzione fantasmagorica. Kiev è stata trascinata nell’orbita militare occidentale contro la sua volontà. Alle opinioni pubbliche occidentali tutto ciò viene nascosto. I mezzi d’informazione di massa vengono istruiti per occultare, non per svelare quello di cui, talvolta, vengono a conoscenza. I governi poi negano persino le evidenze plateali.

Secondo tutti i sondaggi esperiti tra il 1991 e il 2014, infatti, solo un’infima minoranza di ucraini (il 20%!) aveva espresso il desiderio di aderire all’Alleanza. In un rapporto del 2011, il blocco militare americano-centrico aveva qualificato tale deficit di interesse come una sfida cruciale. La memoria del popolo ucraino a lasciarsi risucchiare nell’ideologia bellicista di un’organizzazione tradizionalmente ostile, insieme alla saggia postura del governo di allora, doveva essere disfatta, con le buone, come si dice, o le cattive.

Sorprende solo chi non conosce la storia degli ultimi ottant’anni che la soluzione sia stata quella di lavorare a una democratica rivolta popolo, - cui il lessico mediatico aggiunge solitamente l’aggettivo colorata, dimenticando di precisare che il colore è quello del sangue di tanti innocenti – una pratica abituale come sappiamo per l’intelligence imperiale, Cia e suoi compagni di merende.

È così che nel 2014 il governo democratico di Yanukovich viene rovesciato, violando la Costituzione del paese e calpestando la volontà popolare. La telefonata Nuland-Pyatt (nel 2014, la prima sottosegretario di stato, l’altro ambasciatore Usa a Kiev) ormai passata alla storia per infamia etica e politica (su cui le anime candide dell’atlantisti europei/italiani sorvolano come se i due si fossero scambiati auguri natalizi) ha rivelato al mondo che furono gli Stati Uniti a pianificare il colpo di stato, insieme a nomi e cognomi di chi sarebbe entrato nel governo post-golpe. Tale pianificazione, gestita dalla più malata oligarchia del pianeta, ha rovesciato un governo democratico puntando a legittimare il passaggio di mano e controllare il successivo, al punto che il Procuratore Generale ucraino (2015-2016), Victor Shokin, così si esprime[1]da allora (siamo nel 2014) tutte le nomine governative di qualche rilievo vengono decise dagli Stati Uniti, i quali trattano l’Ucraina come un loro feudo. Il conflitto con la Russia, nel pensiero di Diesen, si rende dunque necessario per rigenerare in quel paese di frontiera il bisogno di Nato.

 

7. Una delle prime decisioni del governo Poroshenko creatura di Washington è quella di abolire il russo come seconda lingua del paese. Il New York Times[2] riferisce che dopo il colpo di Stato il nuovo direttore dei servizi ucraini convoca Cia e Mi6 per definire un’alleanza strategica in vista di operazioni segrete contro la Russia, cominciando col portare a 12 le basi della Cia lungo il confine russo. Il conflitto si intensifica quando Mosca reagisce con l’annessione della Crimea e sostiene apertamente i separatisti del Donbass, mentre la Nato, per mano di francesi e tedeschi, decide di sabotare quegli accordi di Minsk che avrebbero risolto l’impasse col sostegno della stragrande maggioranza degli ucraini.

L’intensificazione del conflitto consente a Washington di utilizzare il territorio e il sangue dei soldati ucraini per sconfiggere un paese sterminato, ben più ricco e armato, in una guerra che anche un bambino avrebbe compreso che sarebbe stata persa, perché l’Ucraina dispone di risorse demografiche ed economiche più limitate, scarsità di militari e tecnologie, e non è una potenza atomica (a meno che generali atlantici usciti di testa abbiano in mente un conflitto nucleare tra Russia e Nato, e non vogliamo immaginarlo!)

Il citato articolo del New York Times riconosce che la guerra segreta contro Mosca dopo il colpo di Stato del 2014 è stata una delle ragioni principali del conflitto. Dopo l’invasione del febbraio 2022, non provocata secondo la narrativa occidentale, gli idealisti reputano che aver aperto all’Ucraina l’orizzonte nella Nato sia stata una mossa giusta e opportuna, e che lo sia tuttora, se non nell’immediato, di certo a guerra finita. La valenza idealistica di tale percorso sarebbe non solo moralmente giustificata, ma anche foriera di pace, perché garantirebbe all’Ucraina protezione immediata e salvaguardia contro analoghe tentazioni future.

Nel ragionare di Diesen, gli idealisti che ragionano in tal modo vivono su altro pianeta. La prospettazione di un futuro di questo genere trasmette a Mosca il messaggio che segue: il territorio che la Russia non sarà in grado di conquistare oggi verrà utilizzato in avvenire dalla Nato per distruggere la Federazione, perché Nato/Usa prima o poi lo trasformeranno, come fanno in ogni paese membro, in una piattaforma militarizzata contro paesi considerati ostili, in questo caso la Russia. L’esito è palese: la prospettiva espansionistica della Nato rafforza la determinazione di Mosca a conquistare quanto più territorio possibile, affinché quel che rimarrà al cessate il fuoco riduca l’Ucraina ai minimi termini, uno stato debole e disfunzionale.

 

8. Il solo orizzonte in grado di immaginare una prospettiva di pacificazione in Ucraina, che ponga fine ai massacri reciproci e apra la strada a una possibile riconciliazione, è dunque costituito dal ripristino della sua neutralità, una prospettiva su cui il paese potrebbe costruire benessere e prosperità, scegliendo il dialogo con l’Est o con l’Ovest sulla base dei propri interessi (come la Finlandia, ad esempio, che ha costruito la sua prosperità su tale condizione, ormai trascorsa). Tutto ciò implica tuttavia una circostanza che non è alle viste: il recupero della piena sovranità dell’Ucraina, che invece è più che mai asservita alla strategia strumentali e devastatrice dell’impero egemone, che poco si cura di amici o nemici.

È palese che l’obiettivo di Nato-Usa di sconfiggere e dissanguare la Russia sia quanto mai velleitario, irraggiungibile sotto ogni aspetto. Invece di promuovere un dialogo realistico, equo e riconoscente degli interessi altrui, la superpotenza in declino – che in condizioni analoghe avrebbe scatenato una guerra planetaria - non si arrende all’evidenza, mirando a preservare la capacità unipolare di estrarre ricchezza, risorse e lavoro dal resto del mondo, accelerando in tal modo, auspica Diesen, il suo crepuscolo.

D’altra parte, come il recente vertice Brics di Kazan ha messo in mostra, la storia ha ripreso il suo cammino, il Sud del mondo non accetta più sottomissione e sfruttamento, disponendo oggi dell’energia per resistere alle oligarchie atlantiche uscite di senno. Divenuto plurale, multipolare e multimodale, il pianeta dà il benvenuto a nuovi protagonisti: Cina e India (le nazioni più popolose del pianeta) e poi Russia, Brasile, Sud Africa e molti altri determinati a contenere la hybris e le strategie distruttive dei Dottor Stranamore che si agitano nel ventre imperiale, quale espressione di disprezzo dei principi di coesistenza e non interferenza negli affari altrui.

In sintesi, il divario etico-intellettuale che separa la scuola idealista da quella realista, conclude Diesen, può essere riassunto nelle parole del grande storico francese, Raymond Aron: l’idealista, credendo di aver rotto con la politica di potere, finisce per esaltare ulteriormente i suoi crimini.


NOTE:

[1] https://www.farodiroma.it/ex-procuratore-ucraina-il-fatto-che-joe-biden-abbia-dato-un-miliardo-di-dollari-in-cambio-del-mio-licenziamento-non-e-un-caso-di-corruzione/

[2] https://www.nytimes.com/2024/02/25/world/europe/cia-ukraine-intelligence-russia-war.html

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