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venerdì 13 novembre 2015

Il mondo parallelo di Rodney Smith




Se c'è una qualità di cui non si ha mai abbastanza è la leggerezza, quella che, come voleva il grande Italo Calvino, non è mai da confondere con la superficialità, né con la sventatezza.
Ed è proprio la leggerezza alla Calvino quella che contraddistingue le foto di Rodney Smith, un grande fotografo americano nato nel 1947, autore di libri, protagonista di mostre e docente universitario. 
Insomma, un fotografo più che famoso, ma che io ho scoperto quasi per caso in questi giorni, mentre navigavo nel grande mare di internet e sentivo, come non mai, il bisogno di distrarmi da quello che succede intorno.
Le sue foto, per lo più in bianco e nero, rigidamente su pellicola e senza alcuna manipolazione digitali, mi sono parse da subito capaci di trasportarmi, quasi per magia, in un suo mondo parallelo, reale e irreale insieme, un mondo a parte, influenzato dal surrealismo e, soprattutto, dalla pittura di René Magritte.

A partire dall'abbigliamento dei suoi personaggi spesso in doppio petto e cappello, impeccabili anche quando spuntano tra le piante di un campo, armati di grandi cesoie


E anche quando si arrampicano su una scala, sempre con grande signorilità, per spiare oltre una siepe


oppure quando, come in un fumetto, cercano di vedere cosa succede dall'altra parte, infilando la testa tra le foglie



e, addirittura, quando, quasi completamente interrati, ma - si suppone- con lo stesso aplomb lasciano intravedere solo lucidi e  pulitissimi stivali.


Quelle di Rodney Smith sono sempre immagini fuori dal tempo, dal frastuono dell'attualità e delle mode passeggere. 
"La musica di oggi è discordante - afferma in un'intervista- l'arte, concettuale o meno, mi sembra volgare; la cultura è poco raffinata, manca di stile e di grazia... Il mondo delle mie fotografie è un mondo fuori del quotidiano: ci obbliga ad aspirare a qualcosa di più e a ricercare la civiltà e il garbo di un sorriso".
Ecco, è proprio il dono di un sorriso quello che Rodney Smith ci regala con immagini che, come questa del 2001 intitolata "Uomini con due scatole in testa", sembrano uscite da un film dei fratelli Marx o del primo Woody Allen


oppure come questa  di strani duellanti che si sfidano, in mezzo all'erba, a colpi di fotografie 


o di questi due cacciatori di farfalle che corrono dietro alle loro lievi prede con abiti bianchi e retini dall'aria ottocentesca


Certamente, in tutti i casi, si tratta di immagini raffinate che rimandanocome ammette lo stesso Rodney Smith, ai grandi maestri della fotografia, da Alfred Stieglitz a Henri Cartier Bresson, se non addirittura alla pittura dell'Ottocento o alla stilizzazione di certe stampe giapponesi.
Basta guardarle una dietro l'altra per lasciarsi affascinare dal misto di ironia e di levità dei suoi personaggi che possono ricordare protagonisti del cinema muto tra Harold Lloyd o Buster Keaton, come questo uomo che quasi  sparisce dietro un megafono


o  questo robusto signore che, in questa foto del 2001, intitolata "Un esercizio molto lento" sembra decisamente poco disposto al movimento 



E che dire poi di questa elegante signora che, nella foto del 2011 intitolata "Viktoria sotto il paralume", sorregge con classe niente di meno un abat-jour?


o di questo incauto passeggero che sembra essersi spinto decisamente troppo oltre


oppure di questo raffinato  gruppo di signori alla moda che, in una foto del 1995, ricompone, come in un balletto, lo "Skyline dall'Hudson River" di New York



L'impressione è  Rodney Smith si diverta spesso a giocare con le nostre sensazioni, cambiando le carte in tavola e spingendoci a guardare la realtà da un altro punto di vista, magari attraverso una lente di ingrandimento


oppure, come uno dei suoi personaggi in questa foto del 2012, arroccati in cima a una scala con un binocolo



L'intento sembra quello di sovvertire i luoghi comuni, di divertirci e di divertirsi a immaginare quanto può essere diverso il mondo se, come in questo autoritratto che tanto somiglia Magritte, lo si osserva non attraverso una macchina fotografica, ma attraverso una fotografia.





Chi vuole saperne di più sul concetto di fotografia di Rodney Smith può visitare il suo sito (qui è il link) o leggere una delle sue interviste (qui) 
Un video con altre foto di Rodney Smith è qui 



mercoledì 18 febbraio 2015

Il sorriso di Robert Doisneau


"L'umorismo non è che pudore davanti all'emozione" Robert Doisneau


Voglia di leggerezza? Niente di meglio che sfogliare insieme qualche immagine di un poeta della fotografia come Robert Doisneau (1912-1994) (di lui e delle sue foto più famose ho parlato qui e qui).

Più di quattrocentomila scatti conservati nel suo archivio e una carriera lunga sessantacinque anni, da quando comincia a lavorare come fotografo per le officine Renault, all'ingresso nell'agenzia Rapho, fino alle ultime foto a colori.
Sessantacinque anni passati, per lo più, nella sua città, Parigi "a catturare gesti ordinari di gente ordinaria in situazioni ordinarie" e, proprio attraverso quella gente comune, a ricreare nelle sue immagini, "un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere".
Per cogliere la poesia e l'emozione del quotidiano il suo segreto è quello di guardare al mondo come a un palcoscenico e di aspettare il momento giusto per scattare, oppure- se la buona occasione tarda troppo- di creare lui stesso delle messe in scena, dei "teatrini", in cui rappresentare i piccoli fatti della vita. 
Sempre con lo sguardo gentile di chi sa osservare quello che lo circonda con rispetto, con un pizzico di umorismo, ma anche con quella dolcezza che traspare in tutte le foto della sua lunga carriera

Ecco qui come sa captare la tenerezza del bambino che ripete lo stesso gesto dei due uomini che, seri e assorti, passeggiano davanti a lui:




O qui, invece, come sa fissare, col suo obbiettivo, lo stupore di vedere una dignitosa signora, che siede su una una panchina, leggendo tranquillamente il suo giornale, con una gallina al guinzaglio






oppure, in questa "Information scolaire" del 1956, come riesce a restituire la spontaneità, con cui un ragazzino cerca ispirazione, guardando il soffitto, mentre il suo compagno di banco ne approfitta per copiare






In questa immagine del 1956 i protagonisti sono due sposini tutti eleganti- lei in bianco e lui in doppio petto e con il suo bel fiore all'occhiello- che si concedono un brindisi improvvisato al banco un bistrot, mentre, accanto a loro, un operaio, con i vestiti  sporchi di grasso, paga, indifferente, il suo calice di vino





Immagini che sembrano prese nell'immediatezza del momento, anche quando, come nella serie "La glace" del 1948, sappiamo che si è nascosto apposta nella bottega di un antiquario per spiare le espressioni di interesse o di finta indifferenza, con cui, per esempio, moglie e marito guardano il quadro di una donna nuda




E che dire poi, di questa "Bolides" del 1952, tutta incentrata sullo sguardo perplesso, con cui il bambino, dall'alto della sua macchinina sportiva, contempla la carcassa di un'automobile abbandonata vicino al marciapiede





Dalla fine degli anni'50, lo stile di Doisneau è così ben definito che viene coniata per lui l'etichetta di "fotografo umanista", vale a dire, di fotografo attento agli uomini e alla vita di tutti i giorni. 
Un generoso ottimista, capace di rappresentare, negli anni del secondo dopoguerra,  le gioe semplici di una passeggiata, di un bicchiere di birra a un caffè o di un bacio scambiato per strada da una coppia di innamorati: 




La sua è la Parigi  del quartiere di periferia in cui è nato, quella degli operai e delle famiglie della piccola borghesia. 

Lontana le mille miglia dalle cartoline stereotipate della Tour Eiffel come dal degrado di oggi, è una cittá dove i ragazzini possono ancora pattinare per strada come in questa "Enfants aux patins" del 1953



o, in tutta innocenza, come in questa "Pipi pigeon" del 1952 fare pipi contro lo stesso muro, mentre un piccione avventuroso si posa sulla testa del più piccolo di loro:



È la stessa Parigi, in cui, la luce del sole di una tranquilla giornata primaverile, fa emergere, come in questa "Diagonales" del 1953, il gioco di linee formato dalle connessioni delle pietre dei gradini del Lungosenna 





o, in cui ci si può fermare a guardare- e siamo nel 1978- l'allegra confusione della doppia fila dei bambini che attraversano Rue de Rivoli, aggrappati l'uno all'altro   





Piccole storie, raccontate con un misto di naturalezza e di artificio, a cui il bianco e nero aggiunge la sensazione di nostalgia che si prova di fronte a un album di famiglia, in cui si riconoscano espressioni, gesti e movimenti.
A queste immagini Doinseau alterna i ritratti di celebrità, da Picasso, a Prévert a Dior e i reportage per Life o le riviste patinate come  Vogue.
Ma, quando può, libero da vincoli o da commissioni, torna a fotografare la sua città, cogliendone gli aspetti più inediti, come in questa "Elicopteres"del 1982



"In tutta la mia vita mi sono sempre divertito":- afferma Doisneau. 

E c'è da credergli, perché la sua, in fondo, non è solo una maniera di fotografare, ma una lezione di vita.
Quella di non guardare il mondo con indifferenza, ma con immutata meraviglia, non cessando mai di scoprire e di ascoltare "la piccola musica"  che è dentro e fuori di noi.
La forza delle sue foto sta tutta nell'opporre alla malinconia, ma anche alla pesantezza del vivere, un umorismo bonario e affettuoso e la condivisione silenziosa di un sorriso.




Un libro recentemente pubblicato da Taschen (qui) ripercorre in oltre quattrocento immagini la vita è la carriera di Doisneau
Il sito ufficiale invece è qui.


sabato 22 novembre 2014

Il mondo sottosopra: le fotografie di Philippe Ramette




Un uomo, in un elegante abito scuro, cammina sul tronco di un albero in una bella giornata d'autunno:


Lo stesso distinto personaggio, con la sua impeccabile giacca doppiopetto, solca il mare nei pressi della riva, mentre tutto intorno è sottosopra:


Poi, con un'invidiabile compostezza, levita a mezz'aria nel parco di una villa:


Oppure, senza mostrare il minimo timore, cammina sulla parete di un salotto:


Impassibile e ben vestito, sfida non solo ogni legge di natura, ma anche il più comune buon senso.
Gli manca solo la bombetta per apparire come uno di quei surreali ometti che popolano i quadri di René Magritte.
Ma qui non siamo nell'universo fittizio della pittura: qui è tutto vero e quell'uomo che, nelle situazioni più improbabili, conserva la stessa flemma di un attore del cinema muto come Buster Keaton, è l'artista francese Philippe Ramette (qui).
Nato nel 1961, disegnatore, scultore e fotografo, vive e lavora a Parigi. È lui che, qualche anno fa, ha avuto l'idea di giocare con se stesso e con la realtà, abolendo- per il tempo breve di uno scatto fotografico- le leggi fisica e della gravità.

Perché le sue foto non sono affatto- come si potrebbe pensare- frutto di un fotomontaggio o create con un raffinato programma al computer.
Qui, come direbbe un prestigiatore: "non c'è trucco e non c'è inganno" (almeno digitale).
"Sicuramente si potrebbe fare una manipolazione a computer- afferma Ramette- ma quello che mi interessa, invece, è il paradosso, è cercare di razionalizzare l'irrazionale".

Dietro le sue foto, infatti, c'è un lavoro da certosino che inizia con un album di disegni di vere e proprie sceneggiature. 
Poi un gruppo di fedeli collaboratori si incarica di realizzarle, a partire dal suo complice di sempre, il fotografo Marc Domage, capace di sfruttare ogni angolazione per rendere la foto più verosimile e, allo stesso tempo, più assurda possibile. 
Insomma, è come la produzione di un un film, di cui Ramette è il regista.

Qui, ad esempio, come in un fotogramma bloccato, il nostro uomo in nero, sembra contemplare una città in bilico su un cornicione, in un  atteggiamento che ricorda sia il protagonista di un film d'azione che l'eroe romantico di un quadro di Friederich.


Senza mai un capello fuori posto, Ramette si sottopone a pose faticose e non esenti da rischi: in piedi o seduto, sospeso nel vuoto o nelle posizioni più strane.
Niente paura! Anche se non si vede, è sostenuto da piattaforme, da anelli alle caviglie o da supporti rigidi inseriti nei vestiti e da tutta una serie di strutture o- come li definisce lui stesso- di "oggetti" che costruisce, per lo più, da solo e "che servono da punto di partenza per delle micro-finzioni".
E poi, ovviamente, non gli manca un'innegabile dose di sangue freddo.

Come qui, dove, parallelamente all'acqua dell'oceano, attraversa, con la consueta impassibilità, la baia di Hong Kong, quasi fosse appoggiato alla balaustra del balcone di casa:


Nessuno sforzo è troppo per lui, anzi è sempre pronto ad affrontare situazioni quanto meno poco confortevoli.
Come nella serie intitolata "Esplorazione razionale dei fondi marini", dove Ramette si cimenta addirittura con delle foto realizzate in apnea, per cui ha dovuto preparare minuziosamente le sue immersioni al largo della Corsica e ha chiesto la collaborazione di un'intera squadra di sommozzatori.
Ed eccolo, mentre con l'immancabile giacca e cravatta, si orienta sott'acqua, leggendo una carta:


Oppure mentre, tranquillamente seduto, osserva il paesaggio sottomarino:


In un video (qui) Philippe Ramette spiega gli avventurosi processi tecnici che precedono gli scatti delle sue fotografie. 
Ma, forse è meglio non indagare troppo per lasciarsi conquistare dalla magia (e dalle sensazioni vertiginose) delle sue immagini.
Come questa, dove, seduto sul bordo di un precipizio nel Sud della Francia, nella posa del "Pensatore" di Rodin, contempla, con tutta calma, la strada stretta e piena di curve che sembra correre sotto di lui:


"La mia idea- spiega-è quella di rappresentare un personaggio che abbia uno sguardo diverso sul mondo e sulla vita quotidiana. Nelle mie foto non c'è alcuna attrazione per il vuoto, ma la possibilità di acquisire un altro punto di vista".
Con leggerezza, apparente disinvoltura e -perché no?- un pizzico di follia, Ramette  restituisce, nelle sue foto, l'idea di una società che ha perso ogni punto di riferimento.
Con umorismo, ironia e il suo immutabile completo da funzionario modello, cerca di scardinare la nostra razionalità e modificare la nostra maniera di vedere le cose, costruendo un suo universo, insieme bizzarro e familiare, dove si può camminare sotto il mare e la gravità non esiste.
Come solo un grande illusionista o un vero artista sa fare.




martedì 11 novembre 2014

Il marinaio e l'infermiera: "Il bacio di Times Square"




Dalle foto di baci nascono sempre delle storie. 
Anche se spesso non sono- come si potrebbe immaginare- storie d'amore. 
Dopo il famosissimo bacio, fotografato da Roberto Doisneau a Parigi all'Hotel de Ville e contestato da due "falsi" innamorati (qui), eccone un altro, altrettanto famoso e altrettanto discusso:


Siamo a New York, in Times Square, il 14 agosto del 1945, in quello che sarà ricordato come il V-J Day: il presidente Truman ha appena annunciato alla radio la resa del Giappone che segna, di fatto, la fine della seconda guerra mondiale. 
Dopo quasi cinque anni di un conflitto durissimo l'entusiasmo è alle stelle e, nell'euforia generale, molti scendono in strada. 
C'è chi applaude, chi canta, chi urla: un giovane marinaio dell'US Navy festeggia a modo suo, baciando con foga un'infermiera in uniforme, in un gesto tipico di due innamorati. 

La foto sarà pubblicata nella rivista "Life" il 27 agosto del 1945 e, con il titolo di "V-J Day in Times Square", farà il giro del mondo. 
Sarà riprodotta migliaia di volte fino a diventare un'icona, un'immagine di culto. 
Tanto che, nell'agosto del 2010, sempre in Times Square, centinaia di zelanti volontari si presteranno a ripetere quel bacio leggendario. 
Una foto straordinaria: il simbolo dell'uscita da un incubo e della ripresa della vita. 
O, almeno, così parrebbe, perché, in realtà, intorno a quel bacio, definito dai più sentimentali come "uno dei più romantici di tutti i tempi", si intrecciano storie e verità diverse.

La prima è quella del fotografo, Alfred Eisenstaedt (qui) che chiarisce che i due della foto non erano affatto innamorati: 
"Stavo camminando in mezzo alla folla- racconta- alla ricerca di foto da scattare. Ho visto un marinaio che veniva nella mia direzione, abbracciando e baciando tutte le donne- giovani o vecchie- che incrociava. Ho notato anche che in mezzo alla folla c'era un'infermiera. Mi sono concentrato su di lei e, come speravo, il marinaio si è avvicinato, l'ha rovesciata  all'indietro e l'ha baciata. Se non fosse stata un'infermiera, se avesse portato degli abiti scuri, non avrei scattato la foto. Il contrasto tra la veste bianca e quella nera del marinaio, ha dato alla foto tutta la sua intensità”. 
Insomma, per scattare quell'immagine  è bastato avere occhio e capacità di cogliere il momento. 
Nessun teatrino come quello che Robert Doisneau aveva dovuto organizzare per il suo “Bacio". Ma nemmeno un gesto d'amore.
A Eisenstaedt è stato sufficiente fissare col suo obbiettivo l'incontro casuale tra due sconosciuti, per trovare già tutto: l'ambientazione, l'espressività, il contrasto dei colori e, soprattutto,  un bacio così travolgente da aver l'aria di un passo di tango.  

Ma, allora, chi sono i due protagonisti? Se lo chiedono in così tanti che "Life, a distanza di anni, quando la foto è diventata ormai mitica, pubblica un appello per ritrovarli. 
Il successo va al di là delle aspettative: di presunti marinai "baciatori" e infermiere baciate se ne presentano non due, ma quindici (tre donne e dodici uomini) e ognuno narra la sua storia. 
La donna viene, da subito, identificata con Edith Shain, un’infermiera di un vicino ospedale che si era già fatta viva, scrivendo al fotografo, in tempi non sospetti. 
E l’uomo? Come fare a riconoscerlo tra tanti candidati? 
Il tempo passa e l'impresa sembra impossibile, almeno finché non si pensa di far ricorso a  prove scientifiche. 
In effetti, è proprio un medico legale, che, nel 2007, in base  a tutta una serie di analisi e misurazioni da far impallidire i poliziotti di "CSI", individua il protagonista della foto in Glenn Mc Duffie, un arzillo ex marinaio in pensione (qui). 
L'uomo, che aveva rivendicato il suo ruolo in tribunale, sottoponendosi perfino alla macchina della verità, può finalmente godersi il suo quarto d'ora di celebrità, rilasciando interviste, apparendo in televisione e ripetendo il bacio, nella stessa posizione della foto, ogni volta che glielo chiedono. 
"Per un po'- grazie  a quell'immagine, ha avuto la vita più glamour di qualsiasi altro ottuagenario":- ha ammesso la figlia.

Tutti contenti dunque? Nemmeno per idea! 
Perché a confondere le carte arrivano, nel 2012, due scrittori che hanno passato addirittura vent'anni, a confrontare foto, interviste  e i ricordi sempre più appannati dei testimoni, e che pubblicano un libro, in cui ricostruiscono, punto per punto, l'accaduto. 
Alla fine emerge un’altra verità. E stavolta sembra quella definitiva (qui)
Intanto, l’uomo non è affatto quello proposto dal medico legale, ma un altro marinaio, George Mendosa, riconosciuto con sicurezza dai suoi vecchi  commilitoni. 
La donna della foto, invece, all'epoca non  era esattamente un'infermiera, ma un'assistente odontoiatrica, Greta Zimmer, che aveva indossato l'uniforme per il suo primo giorno di lavoro. 

Tutto sistemato! L’uomo e la donna sono stati identificati e, finalmente, si può stare tranquilli. 
E, invece, no!  Perché in questa ingarbugliata vicenda, nemmeno il bacio è quello che sembra. 
Dalle dichiarazioni della donna riportate nel libro risulterebbe- almeno stando a quanto sostiene il blog femminista "Crates and Ribbons" (qui)- una verità, non proprio "politicamente corretta". 
"Non l'ho nemmeno visto arrivare- racconta Greta Zimmer- e ancora prima di rendermene conto mi sono trovata afferrata come in una morsa. Ed è così che mi ha baciato"
Basta questo per far ipotizzare che quel bacio tanto celebrato nasconda, addirittura, un'aggressione sessuale: il marinaio, in preda all'entusiasmo e, forse, anche ai fumi dell'alcol- si sarebbe  imposto con la forza a una donna riluttante. 
Insomma, su quel gesto, diventato simbolo di gioia e di libertà, ci sarebbe molto da ridire. 

Peccato! 
Forse su certe immagini, che  sono entrate così profondamente nei sentimenti e nell’immaginazione sarebbe meglio non investigare troppo. 
E  lasciare che i più romantici, o i più ingenui, continuino a commuoversi e, magari, a pensare che, in fondo, anche quel bacio non sia che  "l'apostrofo rosa tra le parole t'amo".







domenica 7 settembre 2014

Fotografare i sogni: Jerry Ueslmann




È possibile fotografare i sogni? Me lo sono chiesta, guardando queste fotografie.

Due mani accostate che sembrano contenere il mare, una barca e un pezzo di cielo:



Una casa abbandonata che pare abbia messo radici, quasi fosse il tronco di un gigantesco albero:



Un salotto elegante di una casa signorile, dove,  sul  pavimento diventato sabbia, qualcuno ha costruito un castello con tanto di torri e di fossato:



Immagini affascinanti, dove i confini tra realtà e fantasia si annullano.
Sono le foto di Jerry Ueslmann, nato a Detroit nel 1934 e maestro riconosciuto della fotografia contemporanea. 
Negli anni '50 e '60, quando le foto digitali e i programmi di foto-ritocco sono ancora di là da venire, Ueslmann sperimenta un modo diverso di fare fotografia. 
Diverso, soprattutto, dall'estetica- all'epoca prevalente- basata sull'istantanea e sull'idea di cogliere il "momento decisivo", insomma su un concetto di fotografia come testimonianza diretta della realtà. 
Per Ueslmann, invece,  lo scatto è solo un un punto di partenza.
Secondo lui il processo creativo si realizza, invece, nella camera oscura, attraverso tecniche sofisticate e una serie interminabile di passaggi.
È lì che mescola i suoi negativi, li ricostruisce, li manipola fino a realizzare immagini sempre diverse, dove  oggetti differenti, accostati insieme, producono risultati stupefacenti. 
Le mani di una donna, un corvo e un nido possono, allora, diventare un'immagine come questa:



Oppure un enorme e misterioso albero può comparire d'improvviso a un gruppo di persone in controluce, come una strana visione che si levi dal mare, sullo sfondo di un cielo nero come la pece:


Piccoli miracoli di una fantasia, che Ueslmann lascia libera di esplorare i terreni dell'inconscio, così come voleva l'estetica del surrealismo. 
Nella sua ricerca, infatti, il suo punto di riferimento sono i grandi fotografi surrealisti, come Man Ray, ma, soprattutto, un pittore come René Magritte. 
Come succede nei quadri di Magritte, anche nelle foto di Ueslmann gli elementi della realtà non sono deformati, anzi, sono nitidi e ben riconoscibili, ma combinati in una maniera illogica che destabilizza e che spiazza.
"Le informazioni ci sono tutte- afferma Ueslmann- ma il mistero rimane".
Come in questa immagine, dove tutto è sottosopra, terra e acqua sono rovesciate e una barca galleggia  tra le nuvole:



Oppure come questa, dove uno strano angelo sembra levarsi in volo, sopra il cratere di un vulcano:



O, almeno, questo è quello che ci vedo io.
Perché, in realtà- come avviene per Magritte- Ueslmann lascia che sia lo spettatore stesso a trovare nelle sue foto quello che vuole. 
Ogni interpretazione è ammessa: a lui basta che le sue immagini mettano in crisi le nostre convinzioni e suscitino qualcosa dentro di noi, fin nel profondo.
"Sono attratto da immagini che sfidano il nostro senso del reale; i miei paesaggi non documentano la realtà alla lettera. Voglio che le immagini che creo sfidino la credibilità intrinseca della fotografia stessa. Considero le mie foto chiaramente simboliche, ma non c'è alcuna formula segreta per decifrarne il significato":- ha dichiarato in un'intervista.
Come se la fotografia fosse un mezzo per esplorare l'enigma di una realtà nascosta e misteriosa che sfida ogni ragionevolezza e che può essere dentro e fuori di noi. 
Una realtà, dove non c'è alcuna sicurezza, dove i soffitti delle stanze si aprono su un cielo nuvoloso e un uomo in miniatura passeggia su una scrivania:




Per ottenere immagini di questo tipo Ueslmann lavora in camera oscura con una pazienza da certosino. 
Tuttora, infatti si rifiuta di usare le foto digitali e i nuovi strumenti di foto-ritocco e continua ad archiviare centinaia di negativi, di alberi, di mani, di paesaggi, di interni, di nuvole... per combinarli e rielaborarli, seguendo la sua immaginazione.
Ueslmann, però, non è solo un virtuoso della tecnica: è ben di più.
In quella camera oscura, quasi fosse un mago o un alchimista, mescolando pazientemente i suoi elementi, crea delle immagini così poetiche e irreali da darci l'impressione di essere capace di fotografare i suoi e i nostri sogni. 








Qui è  il sito personale di Jerry Ueslmann dove è possibile  vedere la sua  galleria di fotografie
E qui un video dove Ueslmann racconta il suo lavoro in camera oscura