A San Pietroburgo, ribattezzata all'epoca Leningrado, nella fredda primavera del 1930, al Museo dell’Ermitage accadono strane cose. Di notte, in gran segreto, una misteriosa squadra di facchini entra nelle sale, impacchetta e porta via alcuni dei quadri più belli.
Al mattino, i vuoti lasciati sulle pareti vengono riempiti con i dipinti del magazzino.
Nessuno osa indagare: i funzionari del museo che protestano, spariscono.
“Sono stati trasferiti”: è la spiegazione ufficiale.
Dopodiché, il silenzio. È chiaro che tutta l’operazione è stata organizzata in alto, molto in alto.
Tra i quadri scomparsi c'è uno dei gioielli del Museo, il San Giorgio e il drago di Raffaello.
Non è la prima volta che il dipinto viaggia: è abituato a cambiare proprietari e paesi.
Se il tragitto che ha percorso fosse un film, si aprirebbe su un paesaggio di colline, con un grande palazzo sullo sfondo.
Siamo a Urbino, nell’aprile del 1506: Guidobaldo da Montefeltro, signore del piccolo ducato, è un uomo indeciso, malaticcio, notoriamente impotente, che non ha ereditato nemmeno una briciola dell’energia del padre, il grande Federico. Gli si attribuisce una grande passione per il lusso e l'etichetta. I suoi più grandi successi sono stati il matrimonio con la brillante Eleonora Gonzaga e la sua ammissione all’Ordine cavalleresco più esclusivo e ambito d’Europa: quello della Giarrettiera.
Per ottenerlo ha utilizzato la parentela della moglie con il potente papa Giulio II.
In cambio della prestigiosa decorazione, ha promesso al sovrano inglese, Enrico VII, di aiutarlo a districarsi nei meandri della Curia Pontificia e di usare, a suo favore, tutta la sua influenza.
Così, nel corso di una grande cerimonia a Roma, un incaricato del re gli ha allacciato alla gamba sinistra, appena sotto il ginocchio, la preziosa giarrettiera blu ricamata col famoso motto “Honni soit qui mal y pense”.
Come dono di ringraziamento Guidobaldo ha commissionato a un giovane, ma già famoso pittore di Urbino, Raffaello Sanzio, un piccolo dipinto con San Giorgio e il drago. Il soggetto è stato scelto accuratamente: San Giorgio non è solo il protettore dei cavalieri della Giarrettiera, ma è anche il patrono d'Inghilterra.
Raffaello lavora per settimane e, alla fine, consegna un capolavoro, in cui il cavaliere, la principessa, il drago e il paesaggio dello sfondo si legano in un equilibrio perfetto. In più, è riuscito a rendere ben visibile l'onorificenza sulla gamba del Santo cavaliere.
Un omaggio raffinato, una piccola scheggia di Rinascimento italiano offerta al re d’Inghilterra.
Secondo atto: l'inquadratura cambia e si apre sul verde paesaggio della campagna inglese. Il dipinto è stato consegnato al sovrano con gran pompa ma, poco dopo, è passato nell'aristocratica dimora dei duchi di Pembroke.
Lì è rimasto fino al 1627, quando il raffinato e colto re Carlo I, colpito dalla grazia e dalla bellezza del quadro, lo ha richiesto in dono e lo ha portato a corte. Carlo è un collezionista accanito e, per la sua passione, ha dilapidato una fortuna (ne ho parlato QUI). È lui che ha messo a segno un colpo da maestro, acquistando in blocco una delle raccolte europee più prestigiose, la Galleria dei Gonzaga di Mantova.
Il piccolo Raffaello, nel palazzo reale è in buona compagnia, tra capolavori italiani e stranieri.
Potrebbe restare lì e, invece, il viaggio termina nel sangue.
Le spese dissennate di Carlo gli hanno alienato la popolazione, l'opposizione politica prende vigore e la situazione degenera fino alla guerra civile. Il re finirà per essere decapitato e le sue collezioni disperse e vendute.
Al San Giorgio con il suo drago non resta che ricominciare a viaggiare.
Il terzo atto si svolge all'interno della sontuosa casa parigina di Pierre Crozat, dove il san Giorgio approda, grazie a un acquisto, nel 1712. Crozat non è un nobile, ma un borghese, la cui famiglia ha accumulato ricchezza, grazie a malversazioni e corruzioni. Ora vuole cancellare il passato, sfruttando la sua passione per l’arte. Il san Giorgio, appartenuto a re e a principi, sembra fatto apposta per conferirgli un'aura aristocratica: lo ha appeso, al posto d’onore, nel suo Cabinet, dove si incontrano gli artisti e gli intenditori d’arte di tutta Europa.
Grazie a lui, il piccolo dipinto diventa un quadro alla moda.
Duchi, papi, re, ricchi collezionisti: in questa storia c'è di tutto. Manca solo un grande intellettuale, ma eccolo apparire a un altro cambio di scena.
Alla morte di Crozart, salta fuori niente di meno che il fondatore dell’"Enciclopedie", Denis Diderot, nel ruolo di consigliere per gli acquisti d’arte della zarina di tutte le Russie, Caterina.
Grazie al prestigio e all’impegno di Diderot Caterina riesce a acquistare tutta la quadreria di Crozat, compreso il san Giorgio, e a farla arrivare, dopo un estenuante tragitto in nave, a San Pietroburgo.
Le diciassette casse, piene di dipinti provenienti da Parigi, arrivano sulle rive della Neva poco prima dell'alba.
Sotto lo sguardo ammirato di Caterina, che nutre una vera e propria venerazione per Raffaello, il San Giorgio viene trasportato all’Ermitage, in quella che doveva essere la sua ultima destinazione.
Invece, nella misteriosa notte del 1930, cambierà tutto.
L'ordine di quel trasferimento è venuto davvero dall'alto.
È l'indiscusso capo della Russia sovietica, Stalin in persona, che ha deciso di vendere di nascosto i capolavori dell'Ermitage: i gioielli di famiglia, o meglio del popolo, in cambio di valuta pregiata.
Ha varato da poco il piano economico quinquennale, la riorganizzazione industriale e agricola del paese. Per questo ha bisogno di soldi, molti soldi e il San Giorgio e il drago di Raffaello vale una fortuna.
Resta solo da scoprire chi sia il misterioso acquirente, arrivato fino a Stalin, attraverso una rete di mercanti d'arte e collezionisti capaci di mantenere il segreto.
Potrebbe essere una banca, oppure un museo. Invece, no.
È il più spregiudicato e astuto dei capitalisti: un americano, addirittura il Segretario del Tesoro, un uomo che si è fatto da solo e che si è arricchito con tutti i mezzi. Si chiama Andrew W.Mellon ed è un collezionista dei più arroganti e determinati.
Stalin vuole soldi e lui vuole il Raffaello: in fondo non sono che affari. L'accordo si trova in fretta: sei milioni e cinquecentomila dollari americani si riversano nelle casse esauste della Repubblica sovietica.
Il dipinto cambia, così, definitivamente di scena.
Diventerà, insieme ai quadri della collezione Mellon, il nucleo fondamentale della National Gallery di Washington.
Stalin, col denaro ricevuto, farà aprire una fabbrica di carrarmati.
Il piccolo quadro, capolavoro di uno dei più grandi artisti del Rinascimento, legato all'aristocratico Ordine della Giarrettiera, orgoglio di re e di zarine, valore riconosciuto da comunisti e capitalisti, ha finalmente terminato il suo viaggio.
Forse.
Tutte le vicende del dipinto sono ripercorse nel libro di J.Pitman, Sulle tracce del drago, Longanesi 2006.