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sabato 14 febbraio 2015

Tra mito e galanteria: "Diana e Endimione" di Jean-Honoré Fragonard



Diana, algida dea della luna, durante il suo percorso nel cielo, scorge il bellissimo pastore Endimione addormentato in una grotta isolata della montagna e subito se ne innamora, ovviamente ricambiata.
Per far sì che l'amore tra un mortale e una dea possa durare, Giove concede al pastore di mantenere per sempre giovinezza e bellezza, in cambio di un sonno eterno.
Endimione accetta il patto e rinuncia alla pienezza della vita, pur di godere, ogni notte, della carezza innamorata della luna.
Questo è quello che racconta il mito, almeno nella versione più diffusa e riprodotta da centinaia di artisti nel corso dei secoli (qui)
Jean-Honoré Fragonard (1732-1806) raffigura così, in questa tela, oggi alla National Gallery di Washington, il primo incontro tra i due innamorati: 



Sullo fondo, l'oscurità della notte è interrotta dall'apparizione della luce argentata di una falce di luna: Diana, avvolta in una lieve veste bianca e in un mantello di un blu intenso, è colta nel momento, in cui scorge, per la prima volta, Endimione addormentato tra le pecore del suo gregge.
Un piccolo Eros nasconde tra i fiori la freccia che sta per scoccare.

Il dipinto è datato tra il 1753 e il '56: siamo a Parigi, Fragonard ha poco più di vent'anni, una grande passione per la pittura e una voglia altrettanto grande di affermarsi.
Dopo un primo apprendistato nella bottega di Jean-Siméon Chardin (ne ho parlato qui), ha deciso di passare nello studio di François Boucher, che sente più affine come gusto e che, soprattutto, ritiene più introdotto- grazie all'amicizia con la favorita del re, Madame de Pompadour- tra gli aristocratici della corte di Luigi XV. 
Fragonard è un pittore nato, il suo stile fluido e arioso gli ha già conquistato una buona reputazione e gli ha fatto vincere, nel 1752, il prestigioso Prix de Rome che gli assicura la possibilità di studiare, in Italia, la grande pittura di storia sacra e mitologica.
Prima di partite, esegue questo dipinto, destinato originariamente a essere usato come soprapporta, traendo ispirazione dal cartone per un arazzo, creato dal suo maestro, Boucher, per la manifattura di Beauvais.
Con la sua rapidità di tocco, la leggerezza dei suoi colori, giocati per lo più, nella parte del cielo notturno, sui toni del grigio e del blu e, nella parte del terreno, sulle sfumature dell'ocra illuminate dal rosso del manto di Endimione, Fragonard trasforma il mito in una scena intima e galante.

In un ambiente che assomiglia più a un parco che all'aspra montagna greca dell'antica leggenda, la sua Diana ha la silhouette snella e slanciata delle più raffinate dame di corte,  e, come quelle, sembra esaltare il candore opalescente della carnagione con un tocco di fard rosse sulle guance.
Endimione, col corpo abbandonato nel sonno, appena ricoperto da un drappo vermiglio, sfoggia un accenno di basette e una chioma bionda a arricciata degna di un gentiluomo alla moda.



Il cane da pastore si trasforma in un tranquillo cagnone domestico che dorme pacificamente tra i fiori, mentre, in primo pano, non sfigurano nemmeno le pecore, con il loro vello morbido e dorato.
Quello rappresentato da Fragonard è un Olimpo di pastelli e di cipria che, certo, non stonerebbe tra le lievi volute dorate, le tenui tappezzerie e i ninnoli di un boudoir, il salottino privato, di una dama di buona nascita e di buone maniere.
E, soprattutto, è adatto a quella committenza di aristocratici, di ricchi banchieri o di signore eleganti che allora può garantire la fortuna di un artista e che preferisce una pittura garbata e senza pensieri, magari con l'aggiunta piccante di un pizzico di erotismo.

Un soggetto alla moda, uno stile disinvolto e veloce.
Tutto qui? No, perché Fragonard è un vero artista.

Al di là delle accuse di una frivolezza da Ancien Régime che gli vengono lanciate e che- dopo la Rivoluzione francese e fino alla morte, nel 1806- ne fanno un sopravvissuto e un isolato, quello che colpisce in questa tela, come in molti dei suoi dipinti, è la felicità di dipingere allo stato puro.
Quello che ancora affascina è la sua capacità di creare, con la sua "pittura ombreggiata d'azzurro e la sua tavolozza di nuvole" (Goncourt, 1865), un capolavoro di grazia e di leggerezza, delicato come una trina e lieve come un sorriso.