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martedì 9 aprile 2013

La "Fuga in Egitto" di Adam Elsheimer: la silenziosa luna





"Che fai tu, luna in ciel/ dimmi che fai/silenziosa luna? Sorgi la sera e vai/ contemplando i deserti,/ indi ti posi..." (G.Leopardi, Canto notturno di un paese errante nell'Asia)



La luce argentea  di un cielo illuminato dal plenilunio  domina la scena della "Fuga in Egitto" di Adam Elsheimer (1578-1610), un piccolo dipinto su rame firmato e datato 1609, attualmente conservato alla Alte Pinakotek di Monaco.

La storia è quella raccontata dai Vangeli: per salvare il Bambino, San Giuseppe e la Madonna, avvertiti da un angelo, fuggono verso l'Egitto. 
Avanzano, di notte, avvolti nel silenzio e nell'oscurità, mentre San Giuseppe con una torcia  illumina il cammino
Protetti e accompagnati dal chiarore della luna e dalla luminosità intensa delle stelle, piccole come capocchie di spilli, costeggiando una fitta foresta. 
Davanti a loro, alcuni pastori hanno acceso il fuoco di un bivacco: le faville si levano verso l'alto e rischiarano, con i loro minuscoli bagliori, il buio del bosco. 
La scena sacra si dissolve nell'ampio paesaggio, sovrastato dal cielo stellato e dal candore della luna che si riflette nello specchio di uno stagno.



Il formato ridotto (appena 31x41 cm) non deve ingannare: Elsheimer ci consegna con questo suo ultimo dipinto (morirà l'anno successivo ad appena trentadue anni) un piccolo miracolo. Un capolavoro che sarà fondamentale per lo sviluppo della pittura di paesaggio, che, ai primi del Seicento, si evolve da sfondo di storie mitologiche o sacre a genere a se stante. 
Qui, in effetti, la storia e  i suoi  personaggi quasi si perdono nell'ampiezza dell’ambientazione notturna. 
È il cielo ad occupare gran parte della composizione. E non è un cielo irreale o astratto. 

Per la prima volta la via Lattea appare raffigurata non come una nebbia argentata, ma come un insieme di miriadi di stelle. 
L’attenzione, con cui Elsheimer rappresenta le costellazioni come l’Orsa minore o l’ammasso delle Pleiadi, è tale da far supporre che potesse conoscere  le rivoluzionarie ricerche di Galileo, che, proprio nell'anno del dipinto, presentava ufficialmente all'Università di Padova l’invenzione del suo cannocchiale.  
Qualche studioso  ha, addirittura, cercato di stabilire, usando le mappe storiche del cielo, quale fosse la notte raffigurata tra  il 21 marzo o il 19 aprile del 1609.
Ma un riscontro preciso non c'è.
In realtà, a guardare bene, la rappresentazione delle stelle non è del tutto esatta e chi l’ha analizzata dal punto di vista scientifico, ha scoperto più di un'incongruenza.

È che Elsheimer non è né un astronomo, né uno scienziato, ma un pittore che sa trasformare in colori e immagini tutto quello che vede.
Quando esegue il quadro ha dietro di sé una vita di inquietudini: è uno di quegli artisti "nati sotto Saturno", il pianeta simbolo dell''"umor nero" e la malinconia ha accompagnato tutta la sua esistenza. 
Era partito dalla Germania poco più che ventenne, lasciando la sicurezza di una piccola bottega artigiana (il padre era un sarto) per cercare fortuna a Roma, la città che già aveva attirato pittori come Caravaggio e Annibale Carracci.  
Arrivato nella capitale, dopo un lungo viaggio e una sosta a Venezia, si è convertito al cattolicesimo ed è riuscito a inserirsi nella turbolenta e rumorosa colonia dei pittori stranieri. Lí ha saputo conquistare, lui così silenzioso e riservato, l’ammirazione e l’affetto di un artista esuberante come Rubens. 

La sua inclinazione all'isolamento, si è aggravata, a detta dei maligni, dopo il matrimonio e dopo l’infelice tentativo di entrare in affari, vendendo lui stesso i suoi dipinti e le sue incisioni. Finanziariamente è stato un disastro: le malversazioni del suo socio hanno finito per condurlo alla prigione per debiti. Le difficoltà della vita si sono fatte sempre più forti.
Da allora lo si vede spesso, solitario e appartato, camminare per le vie della città, assorto in se stesso, senza parlare con nessuno. Per giorni e giorni vaga per la campagna, imprimendosi nella memoria ogni dettaglio del paesaggio per riproporlo, poi, nei suoi piccoli dipinti. 
Solo la natura sembra placarlo. 
La sua acuta sensibilità e il suo disagio di vivere lo portano a rifugiarsi nell'osservazione del cielo delle tepide notti romane, cercando, in quella contemplazione, tranquillità e pace.
Tutte le  sensazioni che prova le  sa rendere a pieno in questo straordinario paesaggio, che è, insieme, classico e romantico, idealizzato e scientifico.
L'ammirazione commossa e riverente per la natura si mescola all'attenzione per le novità degli studi astronomici, appena divulgati. 

Mettere insieme scienza e arte non è facile, ma Elsheimer riesce a trovare un equilibrio perfetto, unificando tutto in un'atmosfera sospesa di poesia.   
Il cielo, illuminato dalla luce misteriosa delle stelle e la luna piena che raddoppia il suo chiarore, specchiandosi nelle acque calme dello stagno, compongono una sorta di elegia sulla magia e il fascino silenzioso della natura.   
Ci sono quadri che, come i libri di cui parla Kafka, hanno la forza di "un'ascia che spezza il mare ghiacciato che è dentro di noi" e quadri come questo, che, invece, sanno commuovere con la delicatezza e la  discrezione di una carezza nella luce candida e incantata della luna.






Come sempre quando parlo della luna è inevitabile il ricordo dell'omaggio più bello che la musica e  il canto abbiano mai reso alla "casta diva"