La
scena notturna di un presepe, racchiusa da una cornice dipinta a punte di diamante, in un affresco staccato, di più di due metri per tre, attualmente collocato nella
prima cappella a sinistra della chiesa di San Martino a Bologna:
Un
dipinto, particolarmente adatto a questi giorni pre-natalizi non solo per il soggetto, ma anche perché la sua scoperta ha l'aria di un
piccolo prodigio.
Sì,
perché questo affresco, di cui nessun testo riportava l'esistenza e che non figurava in nessun documento, è ricomparso all'improvviso, come un'apparizione.
C'è da immaginarsi la sorpresa degli operai che lavorano nella sagrestia di san Martino, quando, nel 1977, una caduta
dell’intonaco lascia
intravedere la figura di un Gesù Bambino.
Si capisce subito che intorno a quella figura c'è dell'altro e si decide immediatamente di rimuovere l’intonaco che copre il resto dell'affresco: il lavoro
di restauro è lungo, ma, alla fine, si riesce a riportare alla luce l'intero dipinto.
Anche se i danni sono irreparabili e una parte dell'affresco è perduta, quello che rimane
lascia tutti stupefatti e
si rivela di una qualità talmente alta che un grande studioso come
Carlo Volpe può
attribuirlo, con sicurezza, a uno dei protagonisti della pittura del Quattrocento, Paolo Uccello (1397-1475).
In
basso, al centro, un Gesù Bambino, robusto come un piccolo Ercole,
tiene nella mano destra una sfera con l’alfa e l’omega, la prima
e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, i simboli tradizionali
dell’eternità di Dio.
Lo
vegliano un bue dal massiccio corpo geometrico e un asinello legato al palo da una corda.
A
destra, si intravede, a mala pena, San Giuseppe, mentre la
Madonna inginocchiata prega con le mani giunte.
Dietro di loro, un
muro semidistrutto allude al
crollo del paganesimo e al superamento della cultura antica.
A
sinistra, sono raffigurati i committenti, probabilmente dei notabili, forse dei magistrati, come farebbe pensare il fatto che indossano la
guarnacca, il lungo abito rosso foderato di pelliccia,
tradizionalmente riservato ai giudici e ai notai.
Il tetto della capanna, in cui è ambientata la scena, è sorretto da un tronco
d’albero non lavorato che sembra quasi nascere dal corpo del
Bambino, e che si incrocia con una delle due travi a formare una
croce, un simbolo che prefigura la futura Passione di Cristo.
In
alto, sullo sfondo di un cielo nero, illuminato a mala pena da una
sottile falce di luna, tre personaggi, in abito quattrocentesco, i tre
Magi, sono così assorti nella loro discussione da non accorgersi di quello che succede.
Solo uno indica verso
l’alto, ma la cometa, che forse era raffigurata nella parte mancante dell'affresco, non è così splendente da rischiarare il cielo.
Tutta la scena è di una tale essenzialità che all'epoca- sull'intonaco è incisa una data che è stata letta come 1431 o 1437- probabilmente rappresenta un vero choc per gli spettatori bolognesi, abituati agli scintillii dei fondi oro, ai dettagli lussuosi e alla ricchezza dei polittici collocati sugli altari delle chiese.
I più aggiornati vi avranno visto l'influenza delle novità
elaborate a Firenze, anche se solo pochi avranno riconosciuto il nome del pittore.
Tanto più che, anche nel panorama fiorentino, Paolo Uccello è un artista a
parte (ne ho parlato qui)
Quando dipinge l'affresco bolognese, ha una quarantina d’anni ed è abituato a cercare lavoro fuori Firenze, dove è nato e dove ha avuto la sua prima formazione
accanto a Lorenzo Ghiberti: è stato a Padova, a Venezia e ha finito da poco gli affreschi del Duomo di Prato.
Insomma, ha
lasciato la città negli anni cruciali, proprio quando trascorreva la folgorante meteora di Masaccio e cominciavano a
fermentare le nuove idee che avrebbero cambiato il modo di fare pittura e di vedere il mondo.
Pur rimanendo amico degli artisti della sua
generazione, soprattutto di Donatello, è rimasto, una voce fuori dal coro, anche per colpa di quello che Vasari definisce il suo "ingegno sofistico e sottile" che lo porta ad appartarsi in solitarie elucubrazioni.
Vasari, del resto, lo descrive
come un originale, un uomo timido, introverso, amante degli animali,
soprattutto gli uccelli (e da questo gli deriva il soprannome), ma
con una passione ossessiva per quella prospettiva con più punti di fuga già teorizzata negli scritti medioevali e che diventerà il
centro di tutte le sue ricerche artistiche.
Così anche in questo affresco moltiplica i punti di vista e trasforma la scena in un'astratte
costruzione di pure linee geometriche.
Il suo Presepe, di un estremo rigore intellettuale, senza alcuna concessione all'emozione o alla distrazione, invita piuttosto a una meditazione sul significato della nascita di quel Bambino che stringe tra le
mani il segno dell’infinito.
Mentre i tre Magi che discutono tra di loro, persi
nell'oscurità della notte e ancora ignari della cometa che
farà loro da guida, sembrano riflettere, nella loro incertezza, la sua e le nostre inquietudini.
Una poesia di Edmond Rostand mi ricorda molto i Magi sperduti di Paolo Uccello:
LA STELLA
Perdettero la stella una sera; come è possibile perdere
La stella? Per averla troppo a lungo fissata.
I due re bianchi, ch’eran due sapienti di Caldea,
tracciarono al suolo dei cerchi, col bastone.
Perdettero la stella una sera; come è possibile perdere
La stella? Per averla troppo a lungo fissata.
I due re bianchi, ch’eran due sapienti di Caldea,
tracciarono al suolo dei cerchi, col bastone.
Si misero a calcolare, si grattarono il mento.
Ma la stella era svanita come svanisce un’idea,
e quegli uomini, la cui anima aveva sete d’essere guidata,
piansero innalzando le tende di cotone.
Ma la stella era svanita come svanisce un’idea,
e quegli uomini, la cui anima aveva sete d’essere guidata,
piansero innalzando le tende di cotone.
Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri,
si disse: ” Pensiamo alla sete che non è la nostra.
Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali”.
si disse: ” Pensiamo alla sete che non è la nostra.
Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali”.
E mentre sosteneva il suo secchio per l’ansa,
nello specchio di cielo in cui bevevano i cammelli
egli vide la stella d’oro che danzava in silenzio.
nello specchio di cielo in cui bevevano i cammelli
egli vide la stella d’oro che danzava in silenzio.