Mia madre, se contasse bene i panni che ha lavato, probabilmente vestirebbe il mondo
«Sbrigati a scrivere questo post, che il libro diventa vecchio» (dice la mia amica). «Non posso, non ce la faccio, non ho tempo». «Dì la verita, il problema è che sei pigra». «Hai ragione. È colpa mia. Perché al mattino verso le cinque cinque e mezza, dopo aver allattato e riaddormentato la Piccolissima, potrei benissimo alzarmi, andare a correre al parco profittandone per portare fuori anche il cane Laccio (che non è un pagliaccio), tornare e fresca di doccia, dopo essermi passata la crema idratante su tutto il corpo e un po' di contorno occhi che non guasta mai, preparare per il resto della famiglia ancora dormiente anche la colazione, magari qualche centrifugato, un po' di yogurt fatto in casa, e poi spalmare artisticamente generose quantità di marmellata biologica sul pane impastato a mano la sera prima, e ancora mi avanzerebbe tempo per scrivere un'oretta, dopodiché potrei svegliare il mio amato con qualche dolce carezza di quelle che piacciono a lui, e poi sottrarre i bambini al sonno ricoprendoli di baci e cominciare allegramente la giornata insieme a loro. Invece sai che faccio, dopo aver allattato e riaddormentato la Piccolissima?». «No». «Mi riaddormento pure io».
I battiti del cuore Però, però, però: la settimana scorsa ho incontrato Silvia Ballestra, di cui sono sempre stata fan e che ha da poco pubblicato il romanzo Amiche mie, diventando definitivamente la mia eroina personale. Perché racconta di quattro donne - Carla Sofia Norma Vera - che, amiche mie, potrebbero esserlo davvero, preoccupate del cibo scadente della mensa scolastica, afflitte dopo una separazione, stritolate dal ruolo di madre-moglie oltre il quale (a volte) c'è il nulla, sconcertate da uomini-piacioni impegnati a corteggiare ragazzine. Di cosa parla il libro? «Di donne che in fondo non erano state raccontate né
studiate. Insomma, non erano state celebrate seriamente».
I cani hanno la febbre tutto l'anno Mi piace di Silvia Ballestra che dopo tanti anni a Milano, dove sono nati i suoi due figli, le sia rimasto appiccicato addosso l'accento marchigiano, viscoso e birichino, sicché mi accorgo riascoltando l'intervista che certe sfumature delle parole le escono diverse da come escono dalla mia bocca, ma per il resto mi sento simile a lei e alle protagoniste di Amiche mie, che affrontano i fatti della vita «semplicemente, perché è così che va fatto: sono appena passate da una fase precisa, quando i bambini sono piccoli, in cui si è chiamate a essere madri. Del resto di alcune cose, tipo le gravidanze, lo svezzamento, è ovvio che si debbano occupare le mamme. Il punto è che quando hai finito di farle tenti di tornare in possesso della tua vita, anche lavorativa, ma sappiamo che molte donne, quando tornano, il lavoro non lo trovano più. Manca la via di mezzo. Ci sono quelle che il lavoro non lo trovano da principio, quelle che lo perdono perché hanno avuto un figlio, e però all'opposto sono tante anche quelle che lavorano troppo; c'è ancora quel detto lì, o i figli o il lavoro, e invece bisognerebbe trovare un compromesso».
Tutto nasce dal basso (e poi va su) Quando parla Silvia Ballestra inclina la testa di lato e fa un mezzo sorriso, «Io penso che dal basso possiamo e dobbiamo cambiare le cose. Alcune cose positive adesso stanno succedendo, dei segnali ci sono.
Dopodiché certo ci vuole fatica, il nostro è un percorso di lotta». Addirittura? le chiedo. «Massì. In una metaforica partita a Risiko l'uomo ammassa carrarmatini, la donna si indebolisce. Ancora accade, fuori e dentro il mio romanzo. L'importante è non deprimersi, semmai arrabbiarsi. Socialmente con la mensa che non funziona, nel privato con i mariti. Sono stufa dei "Che bravo, quest'uomo che cucina. Che bravo, questo papà che cambia il pannolino"». Quante volte sentite ripetere questa frase o magari la dite voi stesse? (Se la dite, perché la dite?)
Tutto può succedere, su questo non ci piove Se chiedete a un bambino di disegnare la sua famiglia è facile che sul foglio ci finiscano una mamma ai fornelli che cucina, e un papà che guarda la tv. «Non sarebbe un male in sé se a volte, almeno a volte, accadesse il contrario. Sennò si genera infelicità, almeno credo. Io non potrei starci in un rapporto così». Le protagoniste di Amiche mie lo sanno bene. «Per Carla, Sofia, Norma e Vera la relazione di coppia non è un "sogno da realizzare" ma piuttosto un "progetto". Mi piace la parola progetto perché
ha dentro l'idea di qualcosa che bisogna sforzarsi di costruire,
concretizzare, non è il sogno di Biancaneve. Mi interessava parlare anche di donne separate senza entrare nel giudizio
sulle coppie, volevo almeno sfiorare il tema delle
famiglie smembrate, poi lo so che chi rimane sul campo spesso ci rimane fra macerie,
lì per lì è un vero choc, però è una fortuna, trovo, che il matrimonio non sia più una condanna "fine pena mai"».
E dopo un po' mi hai lanciato la solita scarpa col tacco A proposito di ruoli, «È pur vero che il maschio, mentre tu litighi e gli dici le peggio cose, ribalti tutta la tua vita, metti in discussione il rapporto, minacci di andartene, arrivi per la rabbia a prendere selvaggiamente a pugni l'auto in cui sei seduta, è capace di non dirti nulla se non "Ehi, guarda che quello è l'airbag del passeggero"».
E tu già lo sai che ritorno da te Certe cose dunque, ci ricorda Amiche mie, non cambiano mai. «Però cose che un tempo erano ovvie oggi non sono più tali, come la moglie senza bancomat a cui il marito elargisce ogni settimana il denaro contato per fare la spesa, anche se è ancora vero il contrario: un marito che perde il lavoro e deve farsi mantenere dalla moglie entra in crisi profonda». La donna invece no. «Sa farsi bastare quel che ha. Un aspetto tipico del femminile postmoderno sono "i lavoretti". L'altro giorno in piscina ho visto una donna con i suoi bambini che si tirava fuori dalle tasche dell'accappatoio decine di collane fatte da lei. Lo slogan è: "Almeno faccio qualcosa"». Da madre di figli maschi (due) come si regola nell'educarli? «Fatico tanto e dico a me stessa e alle "amiche mie": non dobbiamo tornare indietro, dobbiamo ricordare le lotte delle donne che hanno combattuto per noi negli anni 70, siano benedette sempre. Però penso che piano piano anche i maschi stiano cambiando, sono ottimista da questo punto di vista. Grossi spostamenti ancora non si sono visti, lo so. Ma secondo me arriveranno». Allora da madre di figlio maschio (uno) mi chiedo e vi chiedo, questi cambiamenti sono proprio dietro l'angolo, oppure un po' più lontano?
Soundtrack: Capo Horn
Un raggio di sole
Dal basso
Tutto può succedere
Ho traslocato su erounabravamamma.it
Vi aspetto!
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giovedì 24 aprile 2014
mercoledì 18 dicembre 2013
Spazio bianco
Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore
Eccoci, finalmente. «Il terzo travaglio può essere un po' noiosino», aveva profetizzato l'ostetrica del mio consultorio. In effetti. Tutto è cominciato lo scorso lunedì, con contrazioni sporadiche e un diffuso mood da la-Mia-Ora-è-Giunta. Giusto il tempo di prendere al volo la benedizione natalizia dal prete del quartiere, cenare, mettere a letto i Pupi alle 19.38 dichiarando che erano le nove di sera, denunciare a Mike Delfino ulteriori, insondabili malesseri nonché contrazioni ingravescenti, trascinarmi sotto la doccia chiedendogli poi di asciugarmi i capelli col phon perché io, da sola, non me la sentivo; andare a mia volta a dormire con un paio di tachipirine in corpo; svegliarsi all'1 e 46 spaccata (visto sul display dell'iPhone) con un sussulto, avvertire in qualche modo la certezza che sì, era proprio La Chiamata; scendere al piano di sotto non volendo svegliare nessuno, e cominciare a passeggiare avanti e indietro sotto gli occhi vigili e tonti di Laccio, «il cane che non è un pagliaccio».
Omen «Travagliare di notte ha un che di paurosamente atavico», ha commentato qualche post fa la mia lettrice Micol. Ci ho pensato parecchio, in quelle ore sospese, sbirciando le finestre dei vicini per vedere chi fosse ancora sveglio - molti, e ancora mi chiedo perché. E soprattutto cercando di capire come mai, oltre al classico dolore addominale da contrazione, io sentissi una specie di atroce puntaspilli irradiarsi lungo tutta la schiena. Va detto che la mia amica Michela mi aveva consigliato di usare un pettine come analgesico secondo la tecnica della digitopressione: si tratta di stringere, a ogni contrazione, un piccolo pettine in modo che i denti tocchino la linea immaginaria dove le articolazioni delle dita incontrano il palmo della mano (molto più facile a farsi che a dirsi). È una tecnica economica e priva di controindicazioni: dopo essermi procurata addirittura due pettini, oggi mi piace raccontare a me stessa che è grazie a loro se sono riuscita a resistere fino all'alba.
L'importanza dei pettini «Mamma, perché sembra che ti stia per esplodere la pancia?» (Pupa, ore 7.12). «Mamma, perché fai quella faccia?» (Pupo, ore 7.18). «Mamma, stai andando a far nascere la sorellina?» (all'unisono, 7.21). «No, vado dal dottore a fare un controllo». Lasciati i bambini a scuola siamo andati all'ospedale dove sapevo che sarebbe stata di turno la mia amica anestesista, io stringendo i denti e i pettini, Mike Delfino dubitando, talmente nonscialante era il mio comportamento, che fosse il momento giusto («Cinquanta euro che ci rimandano a casa»).
E invece «Signora, lei è dilatata tre centimetri!», è stato il responso. «Dove lo mettiamo un terzo figlio sui tre centimetri?». (Questo mi è suonato molto tipo: «A che tavolo li mettiamo i quattro con un cane? Se ne vanno entro le ventuno»). Un minuto dopo, florealmente piazzati nella stanza Tulipano, abbiamo chiamato la mia amica anestesista, neanche mezz'ora dopo provavo finalmente l'ebbrezza della prima epidurale della mia vita, peraltro contro il parere avverso dell'ostetrica Marina: «Signora, ha fatto due figli senza, mi crolla proprio ora?». (Domanda per voi: ma cosa vorrà dire in un contesto simile «Mi crolla?»). Sempre Marina, a una giovane ginecologa che passava di lì: «Poi quando toccherà a te non mi chiedere analgesie, perfusioni, rotture di sacchi amniotici. Ti faccio partorire io naturalmente». Ginecologa: «Corro a prenotarmi un cesareo».
La regina delle contraddizioni Ore 10.30, Marina, svelando finalmente l'arcano di un travaglio (per i miei canoni, essendo la Pupa e il Pupo nati rispettivamente in tre e due ore) così lungo: «Ahi, ahi». (Io): «Cosa, ahi ahi?». «Questa bambina è occipito-posteriore. Girata al contrario: con la nuca, anziché la fronte, poggiata contro il suo osso sacro. Sentiva mal di schiena, per caso?». «Sì. Ma cosa vuol dire, in concreto, questa posizione?». «Ah, niente di che. Diciamo che così non nasce». «Come, non nasce? Me la tengo per sempre nella pancia?». «O facciamo un cesareo, o la facciamo girare, o non nasce». «E come la giriamo?». «Lei potrebbe, in travaglio, assumere una serie di posizioni che le indicherò, schiacciando per esempio la pancia col suo corpo, mettendosi carponi, alzando la gamba destra nella posizione del cane che orina, e mantenere queste posizioni per un dato tempo, per convincere la bambina a ruotare lentamente su se stessa, avvitandosi esattamente fino al punto desiderato, cioè l'opposto di come è ora». «Sembra, ehm, facilissimo». Col senno di poi mi chiedo, ma secondo l'ostetrica Marina come avrei fatto senza l'epidurale?
Roba buona Con l'epidurale peraltro si ottengono una serie di effetti fichissimi. Al primo shot ho detto, «Wow! È come portare le chiappe dal dentista». Si può financo ironizzare sulla propria e altrui sorte. Alle urla della signora della stanza vicina: «Questa si sta facendo un giro sul gigacoaster di Gardaland». Mike Delfino però ha commentato: «Avverto minor partecipazione emotiva rispetto all'altra volta. Poiché non stai soffrendo, il mio ruolo mi pare più marginale che mai». Ignorato il commento e finito l'effetto dell'epidurale, verso mezzogiorno, la mia amica mi ha dato un'aggiuntina. A quel punto non sentivo dolore, ma ho perso il contatto con le gambe. L'ostetrica Marina ha infierito: «Il travaglio è così lento per colpa dell'epidurale». Bugia, non sei figlia di Maria! ho pensato subito, e infatti era così lento, ho scoperto poi, per la posizione occipito-eccetera. «Che facciamo, le mettiamo due gocce di ossitocina, così andiamo tutti a casa?», ha aggiunto un minuto dopo Marina, con il consueto garbo. «No, rompiamo il sacco», ha ordinato la ginecologa.
Quando il gioco si fa duro Di lì in poi le cose hanno preso un'improvvisa accelerata. Da una dilatazione di cinque centimetri - tanto avevo guadagnato in tre ore - col sacco rotto nel giro di mezz'ora sono arrivata a dieci. Le cose e anche la bambina, a quanto pareva, si stavano mettendo per il verso giusto. Ho capito che la situazione era un po' spessa perché al mio capezzale (è una vita che aspetto di poter usare l'espressione «al mio capezzale») si sono materializzate, al gran finale, due ginecologhe, oltre all'ostetrica e all'amica anestesista («Volete che esca? Non vorrei rovinarvi un momento di intimità». «Resta, non mi interessa neanche se mi sfila davanti il miglior teatrino di Arcore»). Mike Delfino, da dietro la mia spalla: «Rimango un po' defilato, non voglio perdere del tutto la poesia dell'evento-nascita». Ginecologa 1: «Tre spinte di quelle giuste e conosceremo finalmente questa bambina». Ostetrica Marina: «Spinga quando si sente di farlo». Io: «Non sento niente (spiritosona), dovete dirmi voi quando». Ginecologa 2: «Prenda fiato... ora... spinga!». Ginecologa 1: «Due spinte». Ginecologa 2: «Prenda fiato. Ma che è, Iron woman? È bordeaux, respiri!». Io: «Nnngggh». Ginecologa 1: «Una spinta».
Un'altra strada A quel punto è uscita la testa della Piccolissima e io non ho capito più niente. Mi hanno millimetricamente guidato attraverso la spinta successiva, spinga, si fermi, respiri, mentre la controversa ostetrica - tuttavia tecnicamente impeccabile - le aspirava i liquidi dal naso e dalla bocca. E poi ancora respiri, si fermi, spin... no, si fermi, spinga! Ora! E poi la voce di qualcuno, rivolto a Mike Delfino, Papà, prema quel pulsante, e io ho pensato premilo, sì, quel campanello, devono sentirla tutti, nostra figlia che nasce, e poi qualcosa ha suonato dentro la mia testa e anche fuori, e ho sentito lei che sgusciava nel mondo, poi lei che piangeva, Mike Delfino che piangeva, l'anestesista semprebenedetta che piangeva, l'ostetrica Marina che bofonchiava tutto sommato di soddisfazione. Allora ho riso, ho riso moltissimo per questa nuova microscopica meraviglia destinata ad aprire, come mi ha scritto un amico, «un'altra strada tra le strade del mondo». E scusate se ci ho messo otto giorni a raccontarvela, ma a volte lo spazio bianco è meglio di qualunque riga scritta riusciamo umanamente a immaginare.
Eccoci, finalmente. «Il terzo travaglio può essere un po' noiosino», aveva profetizzato l'ostetrica del mio consultorio. In effetti. Tutto è cominciato lo scorso lunedì, con contrazioni sporadiche e un diffuso mood da la-Mia-Ora-è-Giunta. Giusto il tempo di prendere al volo la benedizione natalizia dal prete del quartiere, cenare, mettere a letto i Pupi alle 19.38 dichiarando che erano le nove di sera, denunciare a Mike Delfino ulteriori, insondabili malesseri nonché contrazioni ingravescenti, trascinarmi sotto la doccia chiedendogli poi di asciugarmi i capelli col phon perché io, da sola, non me la sentivo; andare a mia volta a dormire con un paio di tachipirine in corpo; svegliarsi all'1 e 46 spaccata (visto sul display dell'iPhone) con un sussulto, avvertire in qualche modo la certezza che sì, era proprio La Chiamata; scendere al piano di sotto non volendo svegliare nessuno, e cominciare a passeggiare avanti e indietro sotto gli occhi vigili e tonti di Laccio, «il cane che non è un pagliaccio».
Omen «Travagliare di notte ha un che di paurosamente atavico», ha commentato qualche post fa la mia lettrice Micol. Ci ho pensato parecchio, in quelle ore sospese, sbirciando le finestre dei vicini per vedere chi fosse ancora sveglio - molti, e ancora mi chiedo perché. E soprattutto cercando di capire come mai, oltre al classico dolore addominale da contrazione, io sentissi una specie di atroce puntaspilli irradiarsi lungo tutta la schiena. Va detto che la mia amica Michela mi aveva consigliato di usare un pettine come analgesico secondo la tecnica della digitopressione: si tratta di stringere, a ogni contrazione, un piccolo pettine in modo che i denti tocchino la linea immaginaria dove le articolazioni delle dita incontrano il palmo della mano (molto più facile a farsi che a dirsi). È una tecnica economica e priva di controindicazioni: dopo essermi procurata addirittura due pettini, oggi mi piace raccontare a me stessa che è grazie a loro se sono riuscita a resistere fino all'alba.
L'importanza dei pettini «Mamma, perché sembra che ti stia per esplodere la pancia?» (Pupa, ore 7.12). «Mamma, perché fai quella faccia?» (Pupo, ore 7.18). «Mamma, stai andando a far nascere la sorellina?» (all'unisono, 7.21). «No, vado dal dottore a fare un controllo». Lasciati i bambini a scuola siamo andati all'ospedale dove sapevo che sarebbe stata di turno la mia amica anestesista, io stringendo i denti e i pettini, Mike Delfino dubitando, talmente nonscialante era il mio comportamento, che fosse il momento giusto («Cinquanta euro che ci rimandano a casa»).
E invece «Signora, lei è dilatata tre centimetri!», è stato il responso. «Dove lo mettiamo un terzo figlio sui tre centimetri?». (Questo mi è suonato molto tipo: «A che tavolo li mettiamo i quattro con un cane? Se ne vanno entro le ventuno»). Un minuto dopo, florealmente piazzati nella stanza Tulipano, abbiamo chiamato la mia amica anestesista, neanche mezz'ora dopo provavo finalmente l'ebbrezza della prima epidurale della mia vita, peraltro contro il parere avverso dell'ostetrica Marina: «Signora, ha fatto due figli senza, mi crolla proprio ora?». (Domanda per voi: ma cosa vorrà dire in un contesto simile «Mi crolla?»). Sempre Marina, a una giovane ginecologa che passava di lì: «Poi quando toccherà a te non mi chiedere analgesie, perfusioni, rotture di sacchi amniotici. Ti faccio partorire io naturalmente». Ginecologa: «Corro a prenotarmi un cesareo».
La regina delle contraddizioni Ore 10.30, Marina, svelando finalmente l'arcano di un travaglio (per i miei canoni, essendo la Pupa e il Pupo nati rispettivamente in tre e due ore) così lungo: «Ahi, ahi». (Io): «Cosa, ahi ahi?». «Questa bambina è occipito-posteriore. Girata al contrario: con la nuca, anziché la fronte, poggiata contro il suo osso sacro. Sentiva mal di schiena, per caso?». «Sì. Ma cosa vuol dire, in concreto, questa posizione?». «Ah, niente di che. Diciamo che così non nasce». «Come, non nasce? Me la tengo per sempre nella pancia?». «O facciamo un cesareo, o la facciamo girare, o non nasce». «E come la giriamo?». «Lei potrebbe, in travaglio, assumere una serie di posizioni che le indicherò, schiacciando per esempio la pancia col suo corpo, mettendosi carponi, alzando la gamba destra nella posizione del cane che orina, e mantenere queste posizioni per un dato tempo, per convincere la bambina a ruotare lentamente su se stessa, avvitandosi esattamente fino al punto desiderato, cioè l'opposto di come è ora». «Sembra, ehm, facilissimo». Col senno di poi mi chiedo, ma secondo l'ostetrica Marina come avrei fatto senza l'epidurale?
Roba buona Con l'epidurale peraltro si ottengono una serie di effetti fichissimi. Al primo shot ho detto, «Wow! È come portare le chiappe dal dentista». Si può financo ironizzare sulla propria e altrui sorte. Alle urla della signora della stanza vicina: «Questa si sta facendo un giro sul gigacoaster di Gardaland». Mike Delfino però ha commentato: «Avverto minor partecipazione emotiva rispetto all'altra volta. Poiché non stai soffrendo, il mio ruolo mi pare più marginale che mai». Ignorato il commento e finito l'effetto dell'epidurale, verso mezzogiorno, la mia amica mi ha dato un'aggiuntina. A quel punto non sentivo dolore, ma ho perso il contatto con le gambe. L'ostetrica Marina ha infierito: «Il travaglio è così lento per colpa dell'epidurale». Bugia, non sei figlia di Maria! ho pensato subito, e infatti era così lento, ho scoperto poi, per la posizione occipito-eccetera. «Che facciamo, le mettiamo due gocce di ossitocina, così andiamo tutti a casa?», ha aggiunto un minuto dopo Marina, con il consueto garbo. «No, rompiamo il sacco», ha ordinato la ginecologa.
Quando il gioco si fa duro Di lì in poi le cose hanno preso un'improvvisa accelerata. Da una dilatazione di cinque centimetri - tanto avevo guadagnato in tre ore - col sacco rotto nel giro di mezz'ora sono arrivata a dieci. Le cose e anche la bambina, a quanto pareva, si stavano mettendo per il verso giusto. Ho capito che la situazione era un po' spessa perché al mio capezzale (è una vita che aspetto di poter usare l'espressione «al mio capezzale») si sono materializzate, al gran finale, due ginecologhe, oltre all'ostetrica e all'amica anestesista («Volete che esca? Non vorrei rovinarvi un momento di intimità». «Resta, non mi interessa neanche se mi sfila davanti il miglior teatrino di Arcore»). Mike Delfino, da dietro la mia spalla: «Rimango un po' defilato, non voglio perdere del tutto la poesia dell'evento-nascita». Ginecologa 1: «Tre spinte di quelle giuste e conosceremo finalmente questa bambina». Ostetrica Marina: «Spinga quando si sente di farlo». Io: «Non sento niente (spiritosona), dovete dirmi voi quando». Ginecologa 2: «Prenda fiato... ora... spinga!». Ginecologa 1: «Due spinte». Ginecologa 2: «Prenda fiato. Ma che è, Iron woman? È bordeaux, respiri!». Io: «Nnngggh». Ginecologa 1: «Una spinta».
Un'altra strada A quel punto è uscita la testa della Piccolissima e io non ho capito più niente. Mi hanno millimetricamente guidato attraverso la spinta successiva, spinga, si fermi, respiri, mentre la controversa ostetrica - tuttavia tecnicamente impeccabile - le aspirava i liquidi dal naso e dalla bocca. E poi ancora respiri, si fermi, spin... no, si fermi, spinga! Ora! E poi la voce di qualcuno, rivolto a Mike Delfino, Papà, prema quel pulsante, e io ho pensato premilo, sì, quel campanello, devono sentirla tutti, nostra figlia che nasce, e poi qualcosa ha suonato dentro la mia testa e anche fuori, e ho sentito lei che sgusciava nel mondo, poi lei che piangeva, Mike Delfino che piangeva, l'anestesista semprebenedetta che piangeva, l'ostetrica Marina che bofonchiava tutto sommato di soddisfazione. Allora ho riso, ho riso moltissimo per questa nuova microscopica meraviglia destinata ad aprire, come mi ha scritto un amico, «un'altra strada tra le strade del mondo». E scusate se ci ho messo otto giorni a raccontarvela, ma a volte lo spazio bianco è meglio di qualunque riga scritta riusciamo umanamente a immaginare.
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giovedì 28 novembre 2013
38esima settimana (o forse dovrei dire 39)
Il parto ideale
Ieri mattina il Pupo si è svegliato con «40 di tosse. Non mandarmi a scuola», ha subito pregato. Poiché in effetti un paio di coff, coff appena alzato dal letto li aveva emessi e fuori c'erano due gradi sottozero, ho preferito tenerlo a casa - hai visto mai che mi nasca la Piccolissima mentre quest'altro è malato, è stato il mio rapido ragionamento - dove mi ha sfibrato per tutto il giorno.
Ti amo, nonostante la malattia Pur in precarie condizioni di salute l'eroico Pupo riusciva a preparare numerose pozioni coi gessetti colorati, istoriando finemente di macchie alla Pollock il bidet e le pareti del bagno, usato come laboratorio, e a soffiare intere pentole di bolle di sapone (nella foto, un esempio) rovesciandone una a terra subito prima del pranzo. Alle mie velate quanto garbate proteste rispondeva con il suo accattivante sguardo verde chiaro, sbattendo ritmicamente le lunghe ciglia: «Perché mi tratti così? Io ti amo, nonostante la malattia».
La scuola degli abbracci Il countdown della Pupa procede inesorabile e snervante, un tic-tac ideale che non cessa mai. Grazie a lei, per esempio, so che alla fatidica DPP mancano in questo momento - in teoria - 11 giorni. Assieme al countdown continua anche la sua bizzarra avversione ai congiuntivi: «Voglio che la sorellina nasce oggi», mi ha detto stamani sulla soglia della scuola. Poi ha aggiunto: «Cento per cento positivo». Anche lei, come tutti, un po' di agitazione addosso in questo momento ce la deve pur avere. «Mi fa male il braccio della vaccinazione, voglio rimanere a casa anch'io», ripete da due giorni. «Ma male quanto, Pupa? Male al punto che non riesci a piegarlo?». «No, solo quando mi abbracciano». «Allora non è gravissimo, mi pare». «Ma a scuola mi abbracciano sempre, dove vado io è una scuola di abbracci».
Intanto, l'ineffabile Mike Si diverte a immaginare il parto ideale. Che dovrebbe avvenire nelle seguenti condizioni e modalità:
- È una bella mattinata di sole, tipo oggi, ma con temperatura vagamente più elevata
- Abbiamo dormito molto bene, il Pupo non si è fatto vivo per tutta la notte
- Non è il giorno in cui i camion della spazzatura intasano il quartiere
- Laccio, di recente ribattezzato «il cane che non è malaccio», è a casa con la nostra tata/colf, ha mangiato e ha già fatto una lunga passeggiata
- I pesci hanno mangiato, anche lo psicotico dei tre, quello che ultimamente passa il tempo in un angolo
- Abbiamo appena lasciato entrambi i bambini a scuola, per una volta più che puntuali e senza affanni
- Per sbaglio, scambiandola per una sua borsa di lavoro, Mike ha infilato in macchina la valigia dell'ospedale
- Un appuntamento urgente che aveva gli salta improvvisamente, al che mi propone: «E se andassimo con calma a fare colazione al bar?»
- Siamo in auto, quando la mia amica anestesista mi telefona e mi dice: «Ciao, tutto bene? È un po' che non ci vediamo. Sono in ospedale ma curiosamente ho un po' di tempo libero, che ne dici di raggiungermi per un caffè, magari assieme a quel simpaticone del tuo fidanzato?».
- In auto comincio a provare qualche lieve fitta tipo mal di pancia. Arrivata all'ospedale la mia amica mi guarda in faccia e mi dice: «Sarei più tranquilla se ti facessi visitare. Ora che abbiamo bevuto quest'ottimo caffè seguimi, te ne prego, il mio collega gentile e bravissimo entra in turno proprio ora».
- Cinque minuti dopo, in sala visite, collega gentile e bravissimo: «Signora, ma voleva farla per la strada, questa bambina? Lei è dilatata di otto centimetri, possibile che non si sia accorta di nulla? Subito in sala parto».
- Due minuti dopo, in sala parto, amica anestesista: «Ci tengo a farti provare l'epidurale anche se solo per le quattro spinte che saranno necessarie a far nascere la tua bambina. Respira, rilassati... zac!»
- Dieci minuti dopo, ostetrica vincitrice del recente contest Levatrice dell'Anno, poggiandomi la Piccolissima sulla pancia: «Signora, la sua bambina è perfetta!»
- Un minuto dopo, sulla soglia della sala parto, mia sorella tornata in questo istante dalla Bosnia: «Paola, lo vuoi finalmente, dopo nove mesi di privazioni, un buonissimo, freschissimo, croccante panino riempito con il salame del contadino?»
Ciò detto In realtà mi è giunta notizia che i travagli dei terzi figli possono anche essere più lenti e complicati di quelli dei secondi, tra le altre cose perché i tessuti dell'utero sono più morbidi e le contrazioni meno efficaci. Urgono parole di conforto (vostre).
Ieri mattina il Pupo si è svegliato con «40 di tosse. Non mandarmi a scuola», ha subito pregato. Poiché in effetti un paio di coff, coff appena alzato dal letto li aveva emessi e fuori c'erano due gradi sottozero, ho preferito tenerlo a casa - hai visto mai che mi nasca la Piccolissima mentre quest'altro è malato, è stato il mio rapido ragionamento - dove mi ha sfibrato per tutto il giorno.
Ti amo, nonostante la malattia Pur in precarie condizioni di salute l'eroico Pupo riusciva a preparare numerose pozioni coi gessetti colorati, istoriando finemente di macchie alla Pollock il bidet e le pareti del bagno, usato come laboratorio, e a soffiare intere pentole di bolle di sapone (nella foto, un esempio) rovesciandone una a terra subito prima del pranzo. Alle mie velate quanto garbate proteste rispondeva con il suo accattivante sguardo verde chiaro, sbattendo ritmicamente le lunghe ciglia: «Perché mi tratti così? Io ti amo, nonostante la malattia».
La scuola degli abbracci Il countdown della Pupa procede inesorabile e snervante, un tic-tac ideale che non cessa mai. Grazie a lei, per esempio, so che alla fatidica DPP mancano in questo momento - in teoria - 11 giorni. Assieme al countdown continua anche la sua bizzarra avversione ai congiuntivi: «Voglio che la sorellina nasce oggi», mi ha detto stamani sulla soglia della scuola. Poi ha aggiunto: «Cento per cento positivo». Anche lei, come tutti, un po' di agitazione addosso in questo momento ce la deve pur avere. «Mi fa male il braccio della vaccinazione, voglio rimanere a casa anch'io», ripete da due giorni. «Ma male quanto, Pupa? Male al punto che non riesci a piegarlo?». «No, solo quando mi abbracciano». «Allora non è gravissimo, mi pare». «Ma a scuola mi abbracciano sempre, dove vado io è una scuola di abbracci».
Intanto, l'ineffabile Mike Si diverte a immaginare il parto ideale. Che dovrebbe avvenire nelle seguenti condizioni e modalità:
- È una bella mattinata di sole, tipo oggi, ma con temperatura vagamente più elevata
- Abbiamo dormito molto bene, il Pupo non si è fatto vivo per tutta la notte
- Non è il giorno in cui i camion della spazzatura intasano il quartiere
- Laccio, di recente ribattezzato «il cane che non è malaccio», è a casa con la nostra tata/colf, ha mangiato e ha già fatto una lunga passeggiata
- I pesci hanno mangiato, anche lo psicotico dei tre, quello che ultimamente passa il tempo in un angolo
- Abbiamo appena lasciato entrambi i bambini a scuola, per una volta più che puntuali e senza affanni
- Per sbaglio, scambiandola per una sua borsa di lavoro, Mike ha infilato in macchina la valigia dell'ospedale
- Un appuntamento urgente che aveva gli salta improvvisamente, al che mi propone: «E se andassimo con calma a fare colazione al bar?»
- Siamo in auto, quando la mia amica anestesista mi telefona e mi dice: «Ciao, tutto bene? È un po' che non ci vediamo. Sono in ospedale ma curiosamente ho un po' di tempo libero, che ne dici di raggiungermi per un caffè, magari assieme a quel simpaticone del tuo fidanzato?».
- In auto comincio a provare qualche lieve fitta tipo mal di pancia. Arrivata all'ospedale la mia amica mi guarda in faccia e mi dice: «Sarei più tranquilla se ti facessi visitare. Ora che abbiamo bevuto quest'ottimo caffè seguimi, te ne prego, il mio collega gentile e bravissimo entra in turno proprio ora».
- Cinque minuti dopo, in sala visite, collega gentile e bravissimo: «Signora, ma voleva farla per la strada, questa bambina? Lei è dilatata di otto centimetri, possibile che non si sia accorta di nulla? Subito in sala parto».
- Due minuti dopo, in sala parto, amica anestesista: «Ci tengo a farti provare l'epidurale anche se solo per le quattro spinte che saranno necessarie a far nascere la tua bambina. Respira, rilassati... zac!»
- Dieci minuti dopo, ostetrica vincitrice del recente contest Levatrice dell'Anno, poggiandomi la Piccolissima sulla pancia: «Signora, la sua bambina è perfetta!»
- Un minuto dopo, sulla soglia della sala parto, mia sorella tornata in questo istante dalla Bosnia: «Paola, lo vuoi finalmente, dopo nove mesi di privazioni, un buonissimo, freschissimo, croccante panino riempito con il salame del contadino?»
Ciò detto In realtà mi è giunta notizia che i travagli dei terzi figli possono anche essere più lenti e complicati di quelli dei secondi, tra le altre cose perché i tessuti dell'utero sono più morbidi e le contrazioni meno efficaci. Urgono parole di conforto (vostre).
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giovedì 12 settembre 2013
Primo giorno
I matti, senza la patente per camminare
Se c'è una cosa che vorrei fare nella vita è intervistare Francesco De Gregori. L'ho incontrato a Roma di recente e mi ha colpito: era molto alto e con le spalle molto dritte, ben più di quanto mi aspettassi (entrambe le cose).
Quesiti esistenziali Qui sul blog come avrete capito fatico a venirci, ho il tempo orribilmente rosicchiato, fatemi un po' il tifo che ne ho tanto bisogno. Il Pupo è tornato a scuola e con nostra somma gioia la Maestra Cattiva di cui ho già parlato in passato è emigrata verso altri lidi, io nel frattempo mi sento scema per averci messo tanto (=mesi) a capire che lui, con lei, proprio non stava bene; mi ci è voluto che cominciasse a mordere e picchiare sua sorella, che avesse incubi notturni ricorrenti, che si facesse la pipì addosso anche di giorno, come un bimbo di due anni quando invece ne aveva quattro e mezzo. Domanda: come si contrasta il senso di colpa? Voi ci riuscite? Vi viene naturale o è una competenza che avete sviluppato negli anni?
Il favoloso mondo della Pupa La Pupa invece adora la scuola e la scuola adora lei. Salvo rari capricci, abita come Amélie un pianeta incantato e benevolo. Ieri, per dire, sul passante ferroviario (una specie di treno urbano che c'è a Milano) ha descritto a un cieco tutto quel che vedeva. E a chiudere gli occhi, nelle sue parole riuscivi a sentirci i colori. Prendetevi un minuto e 20 secondi per riguardarvi la scena. È totalmente priva di malizie, ieri molto matter-of-factly ha spiegato a suo fratello che tentava per dispetto di strapparle le mutande: «Se teniamo il popis» (=l'organo genitale femminile, ndr) «così nascosto e protetto, sarà perché è importante, non credi?».
Quando si correva per rabbia o per amore (cit. De Gregori & mamma Pellona). Se davvero c'è una correlazione tra la vita endouterina e quella fuori dal grembo materno, la Piccolissima è destinata a esser vispa. Per esempio, quando ritiene che stia dormendo troppo profondamente mi sveglia a calci. Ma poiché di recente ho visto un agghiacciante horror in cui alle 3.07 di ogni notte succedevano le cose più turpi, se mi sveglio in mezzo al buio non ho neanche il coraggio di guardare che ore sono (e se fossero proprio le 3.07?) perciò non saprei dirvi quanto dormo e quanto sto sveglia. Da insonne, come tutti, mi faccio mille domande. Chi mi presterà la carrozzina? Quella volta, dalla pedicure cinese, avrò preso l'epatite C? È possibile, per una madre in cova, influenzare con la forza del pensiero il carattere del bambino? Sull'argomento, qui in redazione è sorto un dibattito a cui vi invito a partecipare. Se aveste la bacchetta magica e poteste scegliere, preferireste una figlia geniale ma "solo" mediamente carina, oppure vorreste che il Cielo le desse in dono intelligenza nella norma e sfacciata bellezza?
Se c'è una cosa che vorrei fare nella vita è intervistare Francesco De Gregori. L'ho incontrato a Roma di recente e mi ha colpito: era molto alto e con le spalle molto dritte, ben più di quanto mi aspettassi (entrambe le cose).
Quesiti esistenziali Qui sul blog come avrete capito fatico a venirci, ho il tempo orribilmente rosicchiato, fatemi un po' il tifo che ne ho tanto bisogno. Il Pupo è tornato a scuola e con nostra somma gioia la Maestra Cattiva di cui ho già parlato in passato è emigrata verso altri lidi, io nel frattempo mi sento scema per averci messo tanto (=mesi) a capire che lui, con lei, proprio non stava bene; mi ci è voluto che cominciasse a mordere e picchiare sua sorella, che avesse incubi notturni ricorrenti, che si facesse la pipì addosso anche di giorno, come un bimbo di due anni quando invece ne aveva quattro e mezzo. Domanda: come si contrasta il senso di colpa? Voi ci riuscite? Vi viene naturale o è una competenza che avete sviluppato negli anni?
Il favoloso mondo della Pupa La Pupa invece adora la scuola e la scuola adora lei. Salvo rari capricci, abita come Amélie un pianeta incantato e benevolo. Ieri, per dire, sul passante ferroviario (una specie di treno urbano che c'è a Milano) ha descritto a un cieco tutto quel che vedeva. E a chiudere gli occhi, nelle sue parole riuscivi a sentirci i colori. Prendetevi un minuto e 20 secondi per riguardarvi la scena. È totalmente priva di malizie, ieri molto matter-of-factly ha spiegato a suo fratello che tentava per dispetto di strapparle le mutande: «Se teniamo il popis» (=l'organo genitale femminile, ndr) «così nascosto e protetto, sarà perché è importante, non credi?».
Quando si correva per rabbia o per amore (cit. De Gregori & mamma Pellona). Se davvero c'è una correlazione tra la vita endouterina e quella fuori dal grembo materno, la Piccolissima è destinata a esser vispa. Per esempio, quando ritiene che stia dormendo troppo profondamente mi sveglia a calci. Ma poiché di recente ho visto un agghiacciante horror in cui alle 3.07 di ogni notte succedevano le cose più turpi, se mi sveglio in mezzo al buio non ho neanche il coraggio di guardare che ore sono (e se fossero proprio le 3.07?) perciò non saprei dirvi quanto dormo e quanto sto sveglia. Da insonne, come tutti, mi faccio mille domande. Chi mi presterà la carrozzina? Quella volta, dalla pedicure cinese, avrò preso l'epatite C? È possibile, per una madre in cova, influenzare con la forza del pensiero il carattere del bambino? Sull'argomento, qui in redazione è sorto un dibattito a cui vi invito a partecipare. Se aveste la bacchetta magica e poteste scegliere, preferireste una figlia geniale ma "solo" mediamente carina, oppure vorreste che il Cielo le desse in dono intelligenza nella norma e sfacciata bellezza?
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venerdì 22 febbraio 2013
Sei madre abbastanza?
Se puoi, ti prego, torna con la luce
Anche se lavora fuori casa, l’italiana media svolge mansioni domestiche 80 minuti al giorno più del proprio partner: lo dice una ricerca dell'Università Bocconi, e in ogni caso sono questioni su cui ultimamente siamo chiamate a riflettere molto. «Una bella ora e 20 di frenetico sciacquare, riordinare, rassettare, prima o dopo aver dato il proprio contributo al Pil», scrive la mia collega Silvia Orlandini su Gioia: «sulle spalle delle donne, occupate o no, grava il 75 per cento del lavoro domestico, inteso come cura della casa, dei bambini e degli anziani». E solo la settimana scorsa, sempre per il mio giornale, ho intervistato Loredana Lipperini, che in questi giorni ha pubblicato Di mamme ce n'è più d'una (Feltrinelli). Leggetelo.
Il problema è che in Italia, negli anni Dieci del terzo millennio, se sei donna "devi" essere madre. Questo pensa la gente. E, soprattutto, devi esserlo bene. Il che accade anche all'estero, a dir la verità: la copertina di Time che vedete qui sopra è stata pubblicata nel maggio 2012 e ritrae una donna vera, una madre (intendo dire che non è una modella, anche se lo sembra) che allatta suo figlio di quasi quattro anni. Condizione essenziale, come spiega lei stessa, «per farlo crescere sereno». Tornando a noi, e alla ricerca dell’Università Bocconi, addirittura l’81,4 per cento degli intervistati è convinto che un bambino in età prescolare soffra se la mamma lavora. Come si spiega che invece, nell’Unione europea, questa percentuale scenda al 55,6 per cento? Il "trucco" forse sta nel cominciare con il piede giusto (cioè sbagliato): «In Italia le donne sono il 60 per cento degli studenti universitari, ma il 22 per cento decide di non iniziare nemmeno un percorso professionale», mi ha spiegato la Lipperini alzando un sopracciglio mentre addentava un rombo in crosta, un sabato a pranzo.
Durante il Festival di Sanremo, pochi giorni dopo Ho incontrato due mamme blogger che conoscevo già e che, vedendomi, mi hanno chiesto: «E con i bambini come fai?». «Esattamente come fate voi», ho risposto. Ma la domanda mi ha colpito moltissimo: a un padre in trasferta, nessuno si sognerebbe di porla.
Mentre i dati mi scivolano davanti agli occhi Al solito, mi si ribadisce che in Svezia e in Norvegia si sta molto meglio. Riviste e ricerche mi invitano a riflettere: la condivisione - la parità - passa anche dall'affidare il biberon per nutrire il Pupo al maschio (adulto) di casa; dal mettergli in mano una scopa e uno straccio, almeno ogni tanto. Conosco però almeno un blog, che non citerò, in cui resiste e s'amplifica il mito della moglie-mamma-geisha, eroica, insostituibile, che accoglie ogni sera il ritorno del guerriero stanco con un grande sorriso, il trucco rifatto, la cena servita, in grembiule e giarrettiera, «perché i maschi si sa, poveretti, e poi in fondo bisogna capirli». È un blog seguitissimo.
Mi chiedo sempre più spesso Quanto sia colpa anche nostra, anche mia. I pensieri s'intrecciano. Il Pupo ha 40 di febbre per la tonsillite, delira, alle due e mezza di notte si sveglia e chiede con voce cristallina: «Bisogna studiale molti anni pel diventale pompiele?». Normalmente adora la compagnia di suo padre, negli ultimi giorni invece cerca sempre me, mi chiama mammina, mi telefona al lavoro solo per mandarmi dei baci. Mi dice: «Sei bella, hai la pelle come di plimavela». Sono insonne da giorni, esausta. Assecondo stregata le sue richieste da donna incinta: «Puoi andale al supelmelcato a complalmi il cocco?». Sono le sette di sera e sono ancora in ufficio, a mescolare i sensi di colpa al sollievo per aver finito un lavoro importante. Mio figlio stamattina mi ha detto: «Se puoi, ti plego, tolna quando fuoli c'è ancola la luce». Oggi non ce l'ho fatta. A suo papà, del resto, non l'ha nemmeno chiesto.
Anche se lavora fuori casa, l’italiana media svolge mansioni domestiche 80 minuti al giorno più del proprio partner: lo dice una ricerca dell'Università Bocconi, e in ogni caso sono questioni su cui ultimamente siamo chiamate a riflettere molto. «Una bella ora e 20 di frenetico sciacquare, riordinare, rassettare, prima o dopo aver dato il proprio contributo al Pil», scrive la mia collega Silvia Orlandini su Gioia: «sulle spalle delle donne, occupate o no, grava il 75 per cento del lavoro domestico, inteso come cura della casa, dei bambini e degli anziani». E solo la settimana scorsa, sempre per il mio giornale, ho intervistato Loredana Lipperini, che in questi giorni ha pubblicato Di mamme ce n'è più d'una (Feltrinelli). Leggetelo.
Il problema è che in Italia, negli anni Dieci del terzo millennio, se sei donna "devi" essere madre. Questo pensa la gente. E, soprattutto, devi esserlo bene. Il che accade anche all'estero, a dir la verità: la copertina di Time che vedete qui sopra è stata pubblicata nel maggio 2012 e ritrae una donna vera, una madre (intendo dire che non è una modella, anche se lo sembra) che allatta suo figlio di quasi quattro anni. Condizione essenziale, come spiega lei stessa, «per farlo crescere sereno». Tornando a noi, e alla ricerca dell’Università Bocconi, addirittura l’81,4 per cento degli intervistati è convinto che un bambino in età prescolare soffra se la mamma lavora. Come si spiega che invece, nell’Unione europea, questa percentuale scenda al 55,6 per cento? Il "trucco" forse sta nel cominciare con il piede giusto (cioè sbagliato): «In Italia le donne sono il 60 per cento degli studenti universitari, ma il 22 per cento decide di non iniziare nemmeno un percorso professionale», mi ha spiegato la Lipperini alzando un sopracciglio mentre addentava un rombo in crosta, un sabato a pranzo.
Durante il Festival di Sanremo, pochi giorni dopo Ho incontrato due mamme blogger che conoscevo già e che, vedendomi, mi hanno chiesto: «E con i bambini come fai?». «Esattamente come fate voi», ho risposto. Ma la domanda mi ha colpito moltissimo: a un padre in trasferta, nessuno si sognerebbe di porla.
Mentre i dati mi scivolano davanti agli occhi Al solito, mi si ribadisce che in Svezia e in Norvegia si sta molto meglio. Riviste e ricerche mi invitano a riflettere: la condivisione - la parità - passa anche dall'affidare il biberon per nutrire il Pupo al maschio (adulto) di casa; dal mettergli in mano una scopa e uno straccio, almeno ogni tanto. Conosco però almeno un blog, che non citerò, in cui resiste e s'amplifica il mito della moglie-mamma-geisha, eroica, insostituibile, che accoglie ogni sera il ritorno del guerriero stanco con un grande sorriso, il trucco rifatto, la cena servita, in grembiule e giarrettiera, «perché i maschi si sa, poveretti, e poi in fondo bisogna capirli». È un blog seguitissimo.
Mi chiedo sempre più spesso Quanto sia colpa anche nostra, anche mia. I pensieri s'intrecciano. Il Pupo ha 40 di febbre per la tonsillite, delira, alle due e mezza di notte si sveglia e chiede con voce cristallina: «Bisogna studiale molti anni pel diventale pompiele?». Normalmente adora la compagnia di suo padre, negli ultimi giorni invece cerca sempre me, mi chiama mammina, mi telefona al lavoro solo per mandarmi dei baci. Mi dice: «Sei bella, hai la pelle come di plimavela». Sono insonne da giorni, esausta. Assecondo stregata le sue richieste da donna incinta: «Puoi andale al supelmelcato a complalmi il cocco?». Sono le sette di sera e sono ancora in ufficio, a mescolare i sensi di colpa al sollievo per aver finito un lavoro importante. Mio figlio stamattina mi ha detto: «Se puoi, ti plego, tolna quando fuoli c'è ancola la luce». Oggi non ce l'ho fatta. A suo papà, del resto, non l'ha nemmeno chiesto.
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giovedì 31 maggio 2012
Oh, come rilassa l'agopuntura
Non riesco a smettere di mangiarmi le unghie, ma per il resto
Poiché credo fermamente nel principio per cui nella vita bisogna provaretutto quasi tutto, sto facendo un ciclo di sessioni di agopuntura. A patto che gli aghi non vi facciano impressione, è un'esperienza estremamente interessante. E rilassante, pure. Così rilassante che ieri mattina, uscita dallo studio medico, sono salita in macchina, ho fatto cento metri e sono andata, pof!, ad appoggiarmi contro l'auto davanti a me. Una bella Mercedes blu assolutamente priva di graffi su cui la mia eroica e pluri-bozzuta Xsara Picasso ha messo il suo musetto.
A questo proposito Mi viene in mente una canzone divertente che i miei figli cantano sempre. L'originale dice: «Un due tre/ Quattro cinque sei/ Posso dare un bacettino sulla guancia di costei?». La conoscete? Loro, comunque, l'hanno trasformata in: «Un due tre/ Quattro cinque sei/ Posso dare un morsettino sul culetto di costei?». Sospetto che ci sia lo zampino di Mike Delfino ma lui nega (vi ho raccontato questo aneddoto perché la parola "musetto" mi ha fatto venire in mente "culetto". Che volete che vi dica: sono schiava delle associazioni mentali).
Il pof!, peraltro Si è risolto fortunatamente in una bolla di sapone. Il tizio dell'auto davanti è sceso e aveva già impostato la modalità "minaccioso". Io gli ho fatto un bellissimo sorriso da Biancaneve in acido e non ho detto una parola. Non ho aperto la portiera. Non ho tirato giù il finestrino. Non mi sono mossa! Ho solo alzato una mano in segno di scusa. Ho tenuto fisso il sorriso per 30 secondi, e alla fine il tizio ha ceduto, sorridendo anche lui. Per completezza di informazione devo aggiungere che la sua auto non si era fatta proprio nulla. La mia non l'ho neanche guardata. Del resto un mese fa uscendo dal garage ho fatto una curva a memoria perché mi ero girata a parlare col Pupo e in un secondo sono riuscita a rifare larga parte della fiancata sinistra.
Ho chiesto quattro preventivi diversi. Prima di farlo avevo saggiamente googlato su Internet "Carrozzerie economiche a Milano". Ho stampato la lista dei risultati e ho cominciato un pellegrinaggio. Il primo da cui sono andata mi ha chiesto 2.100 euro. Il secondo «sui 2.500, ma per farle un preventivo preciso le chiedo 60 euro, che le restituirò se decide di fare il lavoro da noi». Ho buttato nel cestino la lista dei risultati. Allora sono andata ad minchiam dal carrozziere sotto casa. Mi ha chiesto 775 euro. E poi da un signore di cui mi avevano parlato. Quest'ultimo mi ha chiesto 700. Per lo stesso lavoro! Vi consiglio perciò di informarvi sempre molto bene quando vi capita di andare a sbatterecome delle cretine per caso da qualche parte. Domanda: vi capita di andare a sbattere come delle cretine?
Pidocchi e versioni di latino A proposito di auto, l'altroieri una collega mi ha raccontato che la figlia ventenne, ubriaca, ha fatto un testacoda notturno nella centralissima Piazza Castello e ha sfasciato completamente la macchina nuova. «16.000 euro, aveva appena cominciato a pagarla. Per fortuna lei non ha un graffio, se non quelli che le ho fatto io tirandole uno schiaffo senza togliere l'anello dalla mano». Stamattina un'altra collega mi ha detto che sua figlia quattordicenne, prima liceo, in preda ad attacchi di panico non riesce ad affrontare le ultime (tostissime) verifiche di fine quadrimestre e teme la bocceranno. A quel punto è intervenuta un'altra e ha detto: «Mia figlia invece ha 18 anni e, da sempre, un ciclo irregolare. Per convincerla ad andare dal ginecologo ho dovuto sudare sette camicie, non mi ha parlato per tre giorni. È in questi momenti che penso: com'è faticoso essere madri». Poi mi ha chiamato un'amica: «Ho scoperto che mio figlio di 17 anni mi ruba sistematicamente i soldi dal portafoglio e va a giocarli all'ippodromo. Non sto parlando di quisquilie: la settimana scorsa mi sono spariti 200 euro». Ho messo giù, ho fatto un sospirone, ho cominciato a prepararmi una tisana. In quel momento mi ha chiamato l'asilo. Quando vedo sul display il numero della scuola del Pupo o della Pupa mi viene - come a tutte - un microinfarto. Ho risposto stridula, col cuore in gola. «Pronto? Mi dica!». «Signora, sono la maestra K. Volevo dirle che il Pupo ha di nuovo i pidocchi. Forse dovrà rassegnarsi e fargli tagliare un po' di ricci». Chiusa la conversazione ho pensato: accidenti, siano benedetti i pidocchi. Dieci, cento, mille telefonate così vorrei ricevere. Per tutta la vita.
Poiché credo fermamente nel principio per cui nella vita bisogna provare
A questo proposito Mi viene in mente una canzone divertente che i miei figli cantano sempre. L'originale dice: «Un due tre/ Quattro cinque sei/ Posso dare un bacettino sulla guancia di costei?». La conoscete? Loro, comunque, l'hanno trasformata in: «Un due tre/ Quattro cinque sei/ Posso dare un morsettino sul culetto di costei?». Sospetto che ci sia lo zampino di Mike Delfino ma lui nega (vi ho raccontato questo aneddoto perché la parola "musetto" mi ha fatto venire in mente "culetto". Che volete che vi dica: sono schiava delle associazioni mentali).
Il pof!, peraltro Si è risolto fortunatamente in una bolla di sapone. Il tizio dell'auto davanti è sceso e aveva già impostato la modalità "minaccioso". Io gli ho fatto un bellissimo sorriso da Biancaneve in acido e non ho detto una parola. Non ho aperto la portiera. Non ho tirato giù il finestrino. Non mi sono mossa! Ho solo alzato una mano in segno di scusa. Ho tenuto fisso il sorriso per 30 secondi, e alla fine il tizio ha ceduto, sorridendo anche lui. Per completezza di informazione devo aggiungere che la sua auto non si era fatta proprio nulla. La mia non l'ho neanche guardata. Del resto un mese fa uscendo dal garage ho fatto una curva a memoria perché mi ero girata a parlare col Pupo e in un secondo sono riuscita a rifare larga parte della fiancata sinistra.
Ho chiesto quattro preventivi diversi. Prima di farlo avevo saggiamente googlato su Internet "Carrozzerie economiche a Milano". Ho stampato la lista dei risultati e ho cominciato un pellegrinaggio. Il primo da cui sono andata mi ha chiesto 2.100 euro. Il secondo «sui 2.500, ma per farle un preventivo preciso le chiedo 60 euro, che le restituirò se decide di fare il lavoro da noi». Ho buttato nel cestino la lista dei risultati. Allora sono andata ad minchiam dal carrozziere sotto casa. Mi ha chiesto 775 euro. E poi da un signore di cui mi avevano parlato. Quest'ultimo mi ha chiesto 700. Per lo stesso lavoro! Vi consiglio perciò di informarvi sempre molto bene quando vi capita di andare a sbattere
Pidocchi e versioni di latino A proposito di auto, l'altroieri una collega mi ha raccontato che la figlia ventenne, ubriaca, ha fatto un testacoda notturno nella centralissima Piazza Castello e ha sfasciato completamente la macchina nuova. «16.000 euro, aveva appena cominciato a pagarla. Per fortuna lei non ha un graffio, se non quelli che le ho fatto io tirandole uno schiaffo senza togliere l'anello dalla mano». Stamattina un'altra collega mi ha detto che sua figlia quattordicenne, prima liceo, in preda ad attacchi di panico non riesce ad affrontare le ultime (tostissime) verifiche di fine quadrimestre e teme la bocceranno. A quel punto è intervenuta un'altra e ha detto: «Mia figlia invece ha 18 anni e, da sempre, un ciclo irregolare. Per convincerla ad andare dal ginecologo ho dovuto sudare sette camicie, non mi ha parlato per tre giorni. È in questi momenti che penso: com'è faticoso essere madri». Poi mi ha chiamato un'amica: «Ho scoperto che mio figlio di 17 anni mi ruba sistematicamente i soldi dal portafoglio e va a giocarli all'ippodromo. Non sto parlando di quisquilie: la settimana scorsa mi sono spariti 200 euro». Ho messo giù, ho fatto un sospirone, ho cominciato a prepararmi una tisana. In quel momento mi ha chiamato l'asilo. Quando vedo sul display il numero della scuola del Pupo o della Pupa mi viene - come a tutte - un microinfarto. Ho risposto stridula, col cuore in gola. «Pronto? Mi dica!». «Signora, sono la maestra K. Volevo dirle che il Pupo ha di nuovo i pidocchi. Forse dovrà rassegnarsi e fargli tagliare un po' di ricci». Chiusa la conversazione ho pensato: accidenti, siano benedetti i pidocchi. Dieci, cento, mille telefonate così vorrei ricevere. Per tutta la vita.
venerdì 23 marzo 2012
Il giorno che ho visto il diavolo negli occhi di mio figlio
Voi lo sapete che non faccio/non mi faccio pubblicità, ma
Martedì scorso sono stata a Castiglione delle Stiviere, nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario che ospita le madri che hanno ucciso i loro figli. Ho parlato con il direttore, con gli psichiatri che le seguono e anche con alcune di loro. Un'esperienza molto forte ma non voglio dirvi di più: vi metto invece il link al sito di Gioia, se volete leggerlo - non vi nascondo che mi farebbe ancora più piacere che compraste il giornale, perché francamente su carta, con le foto, fa un altro effetto (per la cronaca: costa un euro). I vostri commenti come al solito mi faranno molto piacere. Tenete conto che il sito non lo tengo tanto d'occhio per cui, magari, se avete qualcosa da dire postatelo anche qua.
Martedì scorso sono stata a Castiglione delle Stiviere, nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario che ospita le madri che hanno ucciso i loro figli. Ho parlato con il direttore, con gli psichiatri che le seguono e anche con alcune di loro. Un'esperienza molto forte ma non voglio dirvi di più: vi metto invece il link al sito di Gioia, se volete leggerlo - non vi nascondo che mi farebbe ancora più piacere che compraste il giornale, perché francamente su carta, con le foto, fa un altro effetto (per la cronaca: costa un euro). I vostri commenti come al solito mi faranno molto piacere. Tenete conto che il sito non lo tengo tanto d'occhio per cui, magari, se avete qualcosa da dire postatelo anche qua.
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lunedì 27 giugno 2011
L'estate sta iniziando
E così abbiamo affittato una "baracchina"
Siamo stati una settimana a Follonica, in una casina piccina picciò direttamente sulla spiaggia. Genere da evitare se siete sabbia-fobici, ma ideale se amate le stelle e la ninna nanna delle onde del mare. In un posto così i bambini, ovviamente, sbiellano dalla felicità.
La routine famigliare è sempre la stessa. Si comincia con la sveglia del Pupo, tutte le mattine alle 7, con lo stesso vocino-vocione che avete sentito nell'audio del post precedente: "Mi sono svegliatoooo!".
3 secondi dopo, imperioso: "Scéndereeee!". 6 secondi dopo, se nessuno si presenta al suo cospetto, a 130 decibel: "Mi sono magnato i pantaloni!" ("Magnato" sta per bagnato. Sappiate che non è mai vero. È la classica balla del Pupo per attirare l'attenzione).
9 secondi dopo, in ginocchio da lui, che ha ogni volta l'aria sorpresa come se non mi avesse mai visto prima: "Aaaah! Ciao, mamma. Posso andare a giocare con la sabbia?".
Alcuni numeri della settimana
1 il dentino perso dalla Pupa (era il primo). 2 gli euro arrivati in dono dalla Fatina dei denti (1 ce l'ho messo io, 1 Mike Delfino che non ha resistito alla tentazione di fare il raddoppio).
900 grammi l'aumento di peso della Pupa (misurata prima e dopo - in effetti mi sembrava mangiasse come un vitello, nonostante il dente, etc)
500 grammi l'aumento di peso del Pupo (già un toro di suo)
almeno 50 le mappine tirate senza motivo dal Pupo alla Pupa (che sta lì a prenderle perché è troppo buona)
4 i pisolini pomeridiani miei
5 le volte che sono andata a correre
26 circa i bagni in mare
5 i libri letti (tutti thriller/noir, uno più bello dell'altro)
21 (considerando una media di 3 al giorno) le volte che ho spazzato il pavimento
8 i gettoni delle macchinine acquistati per i Pupi
2 i barattoli di Nutella (grandi) spazzolati.
Un piccolo ricordo della mia nonna
Di mia nonna pugliese forse vi ho parlato in un post in cui vi raccontavo della parola "aggigghio" (una sorta di follia improvvisa che colpisce a volte i miei figli e non solo loro, sospetto) e di altri pittoreschi epiteti che usava rivolgerci.
La nonna era del 1913; è morta nel 2004, di Alzheimer, dopo anni di doloroso tormento suo e nostro. L'aspetto folcloristico era che col passare del tempo e con la perdita dei freni inibitori i suoi insulti si facevano via via più vivaci, inaspettati e gratuiti. Le passavi davanti e lei all'improvviso ti urlava "Carnevale!" (giullare, buffone) oppure "Svituprato!" (senza spina dorsale), "Va à scàzze le rìzze c'ù cùle" (vai a schiacciare i ricci di mare col sedere), "Lampasciuni!" (bambascione) e, da ultimo, un bel Vaffangule.
Poi si fissava con alcune persone, senza motivo. Una mia amica, Leonora (che lei insisteva a chiamare "Leonice") era "la figlia della fattucchiera". Un altro amico, Stefano detto Jimmy, "un barbone che vive nelle scatole dietro la Stazione Centrale".
A raccontarlo oggi fa ridere. In effetti riuscivamo a riderne anche allora.
Negli ultimi anni, d'estate, durante il giorno portavamo la nonna in un hospice per anziani dove abbiamo la nostra casa in Liguria. La lasciavamo lì al mattino - come all'asilo - e la riprendevamo al pomeriggio, tornati dalla spiaggia che lei non sopportava più. Villa Rosa, così si chiama, è un bel posto e mia nonna aveva pure un corteggiatore. Un altro signore, in Alzheimer come lei, con cui passava ore a girare in tondo in giardino, a braccetto. Erano molto teneri, tutti e due eleganti e ben pettinati e completamente fuori di testa.
Un giorno andiamo a prenderla e la troviamo senza dentiera. Tipico suo: amava togliersela e tenersela in mano. So che alcuni diranno "bleah" ma vi assicuro che questo è uno dei risvolti meno schifosi dell'Alzheimer. Così andiamo a casa, lei con la dentiera stretta tra le nocche. Insistiamo un po' perché la molli e la rimetta in bocca, altrimenti come farà a cenare? Lei resiste più del solito (immaginatevi i capricci di un bambino). Proviamo a metterle la dentiera. Non entra. Non calza. Accidenti, com'è possibile?
Mistero svelato la mattina dopo: era del suo corteggiatore. Era un pegno d'amore. C'è chi si scambia gli anelli e chi le dentiere. Abbiamo riso molto, e anche un po' pianto. Ci penso tutte le volte che, come ieri sera tornando dalla Liguria dove ho lasciato i Pupi, passo davanti a Villa Rosa.
Siamo stati una settimana a Follonica, in una casina piccina picciò direttamente sulla spiaggia. Genere da evitare se siete sabbia-fobici, ma ideale se amate le stelle e la ninna nanna delle onde del mare. In un posto così i bambini, ovviamente, sbiellano dalla felicità.
La routine famigliare è sempre la stessa. Si comincia con la sveglia del Pupo, tutte le mattine alle 7, con lo stesso vocino-vocione che avete sentito nell'audio del post precedente: "Mi sono svegliatoooo!".
3 secondi dopo, imperioso: "Scéndereeee!". 6 secondi dopo, se nessuno si presenta al suo cospetto, a 130 decibel: "Mi sono magnato i pantaloni!" ("Magnato" sta per bagnato. Sappiate che non è mai vero. È la classica balla del Pupo per attirare l'attenzione).
9 secondi dopo, in ginocchio da lui, che ha ogni volta l'aria sorpresa come se non mi avesse mai visto prima: "Aaaah! Ciao, mamma. Posso andare a giocare con la sabbia?".
Alcuni numeri della settimana
1 il dentino perso dalla Pupa (era il primo). 2 gli euro arrivati in dono dalla Fatina dei denti (1 ce l'ho messo io, 1 Mike Delfino che non ha resistito alla tentazione di fare il raddoppio).
900 grammi l'aumento di peso della Pupa (misurata prima e dopo - in effetti mi sembrava mangiasse come un vitello, nonostante il dente, etc)
500 grammi l'aumento di peso del Pupo (già un toro di suo)
almeno 50 le mappine tirate senza motivo dal Pupo alla Pupa (che sta lì a prenderle perché è troppo buona)
4 i pisolini pomeridiani miei
5 le volte che sono andata a correre
26 circa i bagni in mare
5 i libri letti (tutti thriller/noir, uno più bello dell'altro)
21 (considerando una media di 3 al giorno) le volte che ho spazzato il pavimento
8 i gettoni delle macchinine acquistati per i Pupi
2 i barattoli di Nutella (grandi) spazzolati.
Un piccolo ricordo della mia nonna
Di mia nonna pugliese forse vi ho parlato in un post in cui vi raccontavo della parola "aggigghio" (una sorta di follia improvvisa che colpisce a volte i miei figli e non solo loro, sospetto) e di altri pittoreschi epiteti che usava rivolgerci.
La nonna era del 1913; è morta nel 2004, di Alzheimer, dopo anni di doloroso tormento suo e nostro. L'aspetto folcloristico era che col passare del tempo e con la perdita dei freni inibitori i suoi insulti si facevano via via più vivaci, inaspettati e gratuiti. Le passavi davanti e lei all'improvviso ti urlava "Carnevale!" (giullare, buffone) oppure "Svituprato!" (senza spina dorsale), "Va à scàzze le rìzze c'ù cùle" (vai a schiacciare i ricci di mare col sedere), "Lampasciuni!" (bambascione) e, da ultimo, un bel Vaffangule.
Poi si fissava con alcune persone, senza motivo. Una mia amica, Leonora (che lei insisteva a chiamare "Leonice") era "la figlia della fattucchiera". Un altro amico, Stefano detto Jimmy, "un barbone che vive nelle scatole dietro la Stazione Centrale".
A raccontarlo oggi fa ridere. In effetti riuscivamo a riderne anche allora.
Negli ultimi anni, d'estate, durante il giorno portavamo la nonna in un hospice per anziani dove abbiamo la nostra casa in Liguria. La lasciavamo lì al mattino - come all'asilo - e la riprendevamo al pomeriggio, tornati dalla spiaggia che lei non sopportava più. Villa Rosa, così si chiama, è un bel posto e mia nonna aveva pure un corteggiatore. Un altro signore, in Alzheimer come lei, con cui passava ore a girare in tondo in giardino, a braccetto. Erano molto teneri, tutti e due eleganti e ben pettinati e completamente fuori di testa.
Un giorno andiamo a prenderla e la troviamo senza dentiera. Tipico suo: amava togliersela e tenersela in mano. So che alcuni diranno "bleah" ma vi assicuro che questo è uno dei risvolti meno schifosi dell'Alzheimer. Così andiamo a casa, lei con la dentiera stretta tra le nocche. Insistiamo un po' perché la molli e la rimetta in bocca, altrimenti come farà a cenare? Lei resiste più del solito (immaginatevi i capricci di un bambino). Proviamo a metterle la dentiera. Non entra. Non calza. Accidenti, com'è possibile?
Mistero svelato la mattina dopo: era del suo corteggiatore. Era un pegno d'amore. C'è chi si scambia gli anelli e chi le dentiere. Abbiamo riso molto, e anche un po' pianto. Ci penso tutte le volte che, come ieri sera tornando dalla Liguria dove ho lasciato i Pupi, passo davanti a Villa Rosa.
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martedì 8 marzo 2011
10 cose che mi danno gioia
Sono (tanto per cambiare) giorni difficili, e
Ieri stavo andando a Roma a intervistare Noa. Più o meno a Firenze, mi squilla il telefono.
"Buongiorno, è l'asilo".
"Oh, no".
"Eh, sì".
"Ancora?"
"Due volte. Liquida".
"Ora cerco qualcuno che la venga a prendere".
"Grazie, signora, arrivederci".
Da un mese a questa parte la Pupa, dopo un attacco acuto di virus gomitillo, non è più la stessa. Tra nausea e mal di pancia, continua a stare male. Abbiamo provato a tenerla a dieta, a sospenderle il latte, l'abbiamo imbottita di fermenti&probiotici. Ieri è tornata all'asilo dopo due settimane di assenza e l'hanno rispedita a casa poco dopo. Oggi ci abbiamo riprovato ma Mike Delfino è arrivato in ritardo di 5 minuti e la classe della Pupa non c'era.
(Bidella sadica) "I bambini oggi sono in gita, sono partiti presto".
(Mike Delfino) "Gita? Quale gita?"
(Bidella) "Eheheh, se voi non state attenti non è colpa nostra".
(Mike) "Ma no, è che la bambina stava male, le notti in bianco, noi non sapevamo, non abbiamo letto..."
(...)
Quando Mike mi ha chiamato per raccontarmi il nostro clamoroso fallimento mi è venuta la nausea. Domani per fortuna abbiamo appuntamento dalla pediatra privata (vedere quello della mutua è complicatissimo, ma ci tornerò sopra), che spero ci dia qualche consiglio valido anche per il mio stomaco.
Ciò detto, raccolgo volentieri l'invito di altre mamme blogger che oggi, 8 marzo, hanno deciso per la festa della donna di pubblicare in contemporanea un elenco delle "10 cose che vale la pena di vivere". Però attenzione: non voglio fare la lista delle prime 10 in assoluto. Diciamo: 10 tra le cose per cui vale la pena di vivere. E non in ordine.
1. Un certo dentifricio "con il classico gusto salino" (avete presente?)
2. I popcorn fatti in casa, con molto sale.
3. Bree, una delle protagoniste di Casalinghe Disperate, per me vera fonte di ispirazione.
4. I Pupi quando per la stanchezza diventano molli e si abbandonano, lasciandosi finalmente stropicciare e baciare.
5. L'oroscopo di Brezsny su l'Internazionale.
6. Le rondini che nidificano sotto il davanzale della cucina nella mia casa in collina.
7. Il camino acceso e le toffolette (o marshmallows) arrostite.
8. Le acciughe, specie a Barcellona o Monterosso.
9. Avere la pelle che sa di sale dopo un lungo bagno al mare.
10. Un concerto dei Mumford&Sons.
Bene, che dirvi? Aspetto ansiosamente i vostri elenchi.
Ieri stavo andando a Roma a intervistare Noa. Più o meno a Firenze, mi squilla il telefono.
"Buongiorno, è l'asilo".
"Oh, no".
"Eh, sì".
"Ancora?"
"Due volte. Liquida".
"Ora cerco qualcuno che la venga a prendere".
"Grazie, signora, arrivederci".
Da un mese a questa parte la Pupa, dopo un attacco acuto di virus gomitillo, non è più la stessa. Tra nausea e mal di pancia, continua a stare male. Abbiamo provato a tenerla a dieta, a sospenderle il latte, l'abbiamo imbottita di fermenti&probiotici. Ieri è tornata all'asilo dopo due settimane di assenza e l'hanno rispedita a casa poco dopo. Oggi ci abbiamo riprovato ma Mike Delfino è arrivato in ritardo di 5 minuti e la classe della Pupa non c'era.
(Bidella sadica) "I bambini oggi sono in gita, sono partiti presto".
(Mike Delfino) "Gita? Quale gita?"
(Bidella) "Eheheh, se voi non state attenti non è colpa nostra".
(Mike) "Ma no, è che la bambina stava male, le notti in bianco, noi non sapevamo, non abbiamo letto..."
(...)
Quando Mike mi ha chiamato per raccontarmi il nostro clamoroso fallimento mi è venuta la nausea. Domani per fortuna abbiamo appuntamento dalla pediatra privata (vedere quello della mutua è complicatissimo, ma ci tornerò sopra), che spero ci dia qualche consiglio valido anche per il mio stomaco.
Ciò detto, raccolgo volentieri l'invito di altre mamme blogger che oggi, 8 marzo, hanno deciso per la festa della donna di pubblicare in contemporanea un elenco delle "10 cose che vale la pena di vivere". Però attenzione: non voglio fare la lista delle prime 10 in assoluto. Diciamo: 10 tra le cose per cui vale la pena di vivere. E non in ordine.
1. Un certo dentifricio "con il classico gusto salino" (avete presente?)
2. I popcorn fatti in casa, con molto sale.
3. Bree, una delle protagoniste di Casalinghe Disperate, per me vera fonte di ispirazione.
4. I Pupi quando per la stanchezza diventano molli e si abbandonano, lasciandosi finalmente stropicciare e baciare.
5. L'oroscopo di Brezsny su l'Internazionale.
6. Le rondini che nidificano sotto il davanzale della cucina nella mia casa in collina.
7. Il camino acceso e le toffolette (o marshmallows) arrostite.
8. Le acciughe, specie a Barcellona o Monterosso.
9. Avere la pelle che sa di sale dopo un lungo bagno al mare.
10. Un concerto dei Mumford&Sons.
Bene, che dirvi? Aspetto ansiosamente i vostri elenchi.
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giovedì 3 marzo 2011
Non c'è montagna più alta di quella che non scalerò
Non c'è scommessa più persa di quella che non giocherò
Da sabato scorso i Pupi sono al mare, anzi in collina (vedi foto, che però risale all'estate scorsa) con i nonni. Tutte le mattine chiamo mia madre per avere notizie:
"Mamma, hanno chiesto di noi?"
"Macchè. Nix. Nada. Neanche una parola".
"Dormono? Mangiano? Si divertono?"
"Oggi veramente ha nevicato e sono un po' meosi, per il resto non hanno un problema al mondo. Tuo figlio non vuole più il pannolino, se lo strappa di dosso infastidito, come fosse un panno imbevuto di cherosene".
"Mi passeresti la Pupa?"
"Ci provo. Sai che non le piace il telefono, ieri ha attaccato subito. Dai vieni amore, vieni a salutare la mamm..."
Clic.
Mi intenerisce parecchio pensare che i miei figli in qualche modo si fingano già grandi e indipendenti. Mi fa sorridere il fatto che non chiedano di me, che non vogliano nemmeno salutarmi al telefono - anche se poi so che quando torneranno a casa, sabato, mi offriranno inermi il collo morbido perché possa respirarne a lungo le pieghe.
Mi piace pensare al Pupo che si strappa il pannolino e osserva pensoso la neve. E alla Pupa, che per molti versi dice ancora cose "da piccola": edentico, tricioperatoro, anatuga (lattuga). Io mi guardo bene dal correggerla. E ho un sussulto ogni volta che è lei a farlo da sola, crescendo: ogni volta che un sollecoto diventa solletico, un cincio lascia il posto al cinque, una stella filata si trasforma in filante. Un giorno una mia conoscente mi ha detto: "Sono così contenta che mia figlia sia già grande, che non si metta più le dita nel naso, che abbia preso la patente, che non sia più necessario imboccarla, o prenderla in braccio quando cade e si sbuccia un ginocchio". Ho pensato: questa signora si è persa dei pezzi per strada. E c'è poco, purtroppo, che si possa fare a riguardo.
Da sabato scorso i Pupi sono al mare, anzi in collina (vedi foto, che però risale all'estate scorsa) con i nonni. Tutte le mattine chiamo mia madre per avere notizie:
"Mamma, hanno chiesto di noi?"
"Macchè. Nix. Nada. Neanche una parola".
"Dormono? Mangiano? Si divertono?"
"Oggi veramente ha nevicato e sono un po' meosi, per il resto non hanno un problema al mondo. Tuo figlio non vuole più il pannolino, se lo strappa di dosso infastidito, come fosse un panno imbevuto di cherosene".
"Mi passeresti la Pupa?"
"Ci provo. Sai che non le piace il telefono, ieri ha attaccato subito. Dai vieni amore, vieni a salutare la mamm..."
Clic.
Mi intenerisce parecchio pensare che i miei figli in qualche modo si fingano già grandi e indipendenti. Mi fa sorridere il fatto che non chiedano di me, che non vogliano nemmeno salutarmi al telefono - anche se poi so che quando torneranno a casa, sabato, mi offriranno inermi il collo morbido perché possa respirarne a lungo le pieghe.
Mi piace pensare al Pupo che si strappa il pannolino e osserva pensoso la neve. E alla Pupa, che per molti versi dice ancora cose "da piccola": edentico, tricioperatoro, anatuga (lattuga). Io mi guardo bene dal correggerla. E ho un sussulto ogni volta che è lei a farlo da sola, crescendo: ogni volta che un sollecoto diventa solletico, un cincio lascia il posto al cinque, una stella filata si trasforma in filante. Un giorno una mia conoscente mi ha detto: "Sono così contenta che mia figlia sia già grande, che non si metta più le dita nel naso, che abbia preso la patente, che non sia più necessario imboccarla, o prenderla in braccio quando cade e si sbuccia un ginocchio". Ho pensato: questa signora si è persa dei pezzi per strada. E c'è poco, purtroppo, che si possa fare a riguardo.
mercoledì 2 febbraio 2011
A.A.A. Volontarie cercasi per intervista. Urgente!
Sono incinta: come lo dico in ufficio?
Help! Accorato appello a tutte le mie lettrici: chi di voi ha voglia di farsi intervistare per un giornale di cui in seguito vi dirò il nome, sul tema "aiuto, sono incinta e non so come dirlo in ufficio"?
Sto cercando di dare una mano a un'amica che prepara un'inchiesta e non riesce a trovare volontarie che rispondano ai seguenti requisiti:
- aver avuto qualche difficoltà sul lavoro nel momento di annunciare la gravidanza, per svariati motivi: capo-negriero, contratto che scade e non sarà rinnovato, invidie tra colleghi/e, paura di demansionamenti e/o mobbing al rientro, vi hanno assunto da 2 giorni, avete fatto 3 bambini in 3 anni... cose così.
- che abbiano voglia di mandarmi una propria foto carina, in cui sono sorridenti, e che abbiano max 35 anni. anche meglio se più piccole, perché le lettrici del giornale sono 20enni! (ho leggermente modificato queste due righe, per essere più chiara e non dare adito a fraintendimenti). ps: la foto verrà pubblicata, e con essa nome, cognome e occupazione dell'intervistata (oltre che le sue dichiarazioni!)
Avete voglia di aiutarmi? Se sì, scrivetemi anche in privato a [email protected]
Se invece volete solo commentare... accomodatevi: avete vissuto personalmente quest'esperienza? Come ve la siete cavata? Avete dei "trucchi" da consigliare? Mosse da fare/mosse da non fare, strategie possibilmente non suicide, suggerimenti brillanti?
Vorrei quasi rimettere in palio un Quaquerello ma non ce l'ho... pensate che quello che ho spedito a MammaMaila, vincitrice dell'ultimo concorso, non funziona (pile ossidate e contatti rovinati). Non riesco a capire perché - quando l'ho inscatolato era perfetto - ma ammesso che la sorte benigna me ne faccia trovare un altro prima o poi, avverto l'obbligo morale di rispedirlo a lei.
Help! Accorato appello a tutte le mie lettrici: chi di voi ha voglia di farsi intervistare per un giornale di cui in seguito vi dirò il nome, sul tema "aiuto, sono incinta e non so come dirlo in ufficio"?
Sto cercando di dare una mano a un'amica che prepara un'inchiesta e non riesce a trovare volontarie che rispondano ai seguenti requisiti:
- aver avuto qualche difficoltà sul lavoro nel momento di annunciare la gravidanza, per svariati motivi: capo-negriero, contratto che scade e non sarà rinnovato, invidie tra colleghi/e, paura di demansionamenti e/o mobbing al rientro, vi hanno assunto da 2 giorni, avete fatto 3 bambini in 3 anni... cose così.
- che abbiano voglia di mandarmi una propria foto carina, in cui sono sorridenti, e che abbiano max 35 anni. anche meglio se più piccole, perché le lettrici del giornale sono 20enni! (ho leggermente modificato queste due righe, per essere più chiara e non dare adito a fraintendimenti). ps: la foto verrà pubblicata, e con essa nome, cognome e occupazione dell'intervistata (oltre che le sue dichiarazioni!)
Avete voglia di aiutarmi? Se sì, scrivetemi anche in privato a [email protected]
Se invece volete solo commentare... accomodatevi: avete vissuto personalmente quest'esperienza? Come ve la siete cavata? Avete dei "trucchi" da consigliare? Mosse da fare/mosse da non fare, strategie possibilmente non suicide, suggerimenti brillanti?
Vorrei quasi rimettere in palio un Quaquerello ma non ce l'ho... pensate che quello che ho spedito a MammaMaila, vincitrice dell'ultimo concorso, non funziona (pile ossidate e contatti rovinati). Non riesco a capire perché - quando l'ho inscatolato era perfetto - ma ammesso che la sorte benigna me ne faccia trovare un altro prima o poi, avverto l'obbligo morale di rispedirlo a lei.
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martedì 1 febbraio 2011
Il cervello delle mamme
Credevate che con la maternità diventasse un avogado, e invece
A quanto pare, certi miti sono fatti per essere sfatati. Io che pensavo per esempio di aver perso una bella fetta della mia memoria con la maternità, sbagliavo. Sembra sia una condizione solo transitoria: potete legittimamente sentirvi sciroccatine e svampitelle nel periodo in cui la vostra panza è smaccatamente simile a un'anguria, ma pochi mesi dopo il parto tornerete come nuove. Anzi meglio.
Lo dice un libro scritto con il cuore (oltre che con il cervello, ahahah) da Katherine Ellison, giornalista e mamma di due pupi, che ha lavorato anni per documentarsi sul tema. Non mi dilungo troppo, ma se siete curiose Il cervello delle mamme ha anche una pagina Facebook che trovate qui.
Vi dirò che a tratti, per esempio quando come l'altra sera ho messo il dentifricio in frigorifero, o quando ho infilato al Pupo due calze sullo stesso piede lasciando l'altro nudo, continuo ad avere dei dubbi. Mi è chiaro che dobbiamo arrenderci al progredire della scienza e alle nuove, prodigiose teorie, ma sarei tuttavia lieta di conoscere le vostre defaillance verbali e comportamentali attribuibili, secondo voi, alla maternità.
A proposito di Pupo e di nudità, ieri sera i due tamarri stavano facendo il bagno (=tuffandosi ripetutamente per ingollare acqua saponata calda e sputarsela addosso) mentre io chiacchieravo amabilmente a pochi centimetri di distanza (= facendo a mia volta la doccia, però da vestita) con la mia amica-vicina Micaela. Trovo che sia molto bello condividere di tanto in tanto queste esperienze formative, intime e significative del rapporto madre-bambino con qualche altro adulto, e per fortuna la vita nella casa-cantiere ce lo permette. Ebbene, eravamo lì a chiederci come si preparino le melanzane e i peperoni sottaceto (se qualcuna, possibilmente di origine pugliese, ha la ricetta è pregata di mandarmela) quando abbiamo sentito il Pupo urlare:
"Lello! Lello! Lello!".
Mi sono girata, ho visto la sua espressione estremamente preoccupata, ho abbassato gli occhi e... ho visto che sua sorella gli si era appesa con la manina al bagigio! Bontà bambina, ho esclamato. Per fortuna il peso del corpo della sventurata, immersa nell'acqua, era evidentemente scarso o nullo. Altrimenti altro che "Lello!" avrebbe urlato, il Pupo.
Domanda. Ma voi, che cosa avreste fatto al posto mio? No, perché io ho preso la Pupa per i capelli, le ho sibilato un secco "Ma sei scema?" e l'ho teletrasportata all'istante dall'altra parte della vasca. Non avevo mai reagito così, e in seguito ho pure riflettuto sul mio comportamento - conclusione provvisoria: diseducativo, ma istintivo. D'altro canto i tamarri, nel giro di zero secondi, hanno dimenticato l'incidente e hanno ripreso allegri a sputazzarsi addosso.
A quanto pare, certi miti sono fatti per essere sfatati. Io che pensavo per esempio di aver perso una bella fetta della mia memoria con la maternità, sbagliavo. Sembra sia una condizione solo transitoria: potete legittimamente sentirvi sciroccatine e svampitelle nel periodo in cui la vostra panza è smaccatamente simile a un'anguria, ma pochi mesi dopo il parto tornerete come nuove. Anzi meglio.
Lo dice un libro scritto con il cuore (oltre che con il cervello, ahahah) da Katherine Ellison, giornalista e mamma di due pupi, che ha lavorato anni per documentarsi sul tema. Non mi dilungo troppo, ma se siete curiose Il cervello delle mamme ha anche una pagina Facebook che trovate qui.
Vi dirò che a tratti, per esempio quando come l'altra sera ho messo il dentifricio in frigorifero, o quando ho infilato al Pupo due calze sullo stesso piede lasciando l'altro nudo, continuo ad avere dei dubbi. Mi è chiaro che dobbiamo arrenderci al progredire della scienza e alle nuove, prodigiose teorie, ma sarei tuttavia lieta di conoscere le vostre defaillance verbali e comportamentali attribuibili, secondo voi, alla maternità.
A proposito di Pupo e di nudità, ieri sera i due tamarri stavano facendo il bagno (=tuffandosi ripetutamente per ingollare acqua saponata calda e sputarsela addosso) mentre io chiacchieravo amabilmente a pochi centimetri di distanza (= facendo a mia volta la doccia, però da vestita) con la mia amica-vicina Micaela. Trovo che sia molto bello condividere di tanto in tanto queste esperienze formative, intime e significative del rapporto madre-bambino con qualche altro adulto, e per fortuna la vita nella casa-cantiere ce lo permette. Ebbene, eravamo lì a chiederci come si preparino le melanzane e i peperoni sottaceto (se qualcuna, possibilmente di origine pugliese, ha la ricetta è pregata di mandarmela) quando abbiamo sentito il Pupo urlare:
"Lello! Lello! Lello!".
Mi sono girata, ho visto la sua espressione estremamente preoccupata, ho abbassato gli occhi e... ho visto che sua sorella gli si era appesa con la manina al bagigio! Bontà bambina, ho esclamato. Per fortuna il peso del corpo della sventurata, immersa nell'acqua, era evidentemente scarso o nullo. Altrimenti altro che "Lello!" avrebbe urlato, il Pupo.
Domanda. Ma voi, che cosa avreste fatto al posto mio? No, perché io ho preso la Pupa per i capelli, le ho sibilato un secco "Ma sei scema?" e l'ho teletrasportata all'istante dall'altra parte della vasca. Non avevo mai reagito così, e in seguito ho pure riflettuto sul mio comportamento - conclusione provvisoria: diseducativo, ma istintivo. D'altro canto i tamarri, nel giro di zero secondi, hanno dimenticato l'incidente e hanno ripreso allegri a sputazzarsi addosso.
mercoledì 24 novembre 2010
Lezioni di nuoto - prima puntata
Non c'è come il nuoto, signora, per farli crescere sani e forti
Ma anche da voi, nel posto in cui abitate, è tutto così difficile? Io fatico a raggiungere il lavoro, a fare la spesa, a tornare a casa a un'ora decente la sera. Dopo un paio di mesi di tentennamento-da-stanchezza-cronica mi sono decisa a iscrivere Pupo e Pupa al corso di nuoto. Piscina comunale, sabato mattina.
Già l'iscrizione in sé non è una cosa banale. Per prima cosa ci vuole il certificato medico. Per fortuna io sono zeppa di certificati. La mia pediatra, la Dottoressa Zia Bubu, è una santa donna: tutte le volte che le porto un Pupo per un motivo o per l'altro la prima domanda che mi fa è: "Hai mica bisogno di certificati?". Ogni tanto le rispondo sì anche se non è vero. Non voglio deluderla. E poi non si sa mai. Come dice lei, "Un certificato non si nega a nessuno".
Quindi, lo scorso venerdì mattina mi sono presentata davanti al bancone della piscina Mùrat (si leggerebbe Murà, ma a Milano diciamo proprio così: Mùrat. Diciamo anche "Piazza Bòlivar" al posto di "Bolivàr". E "Còin", al posto di "Coìn", "Bénetton" al posto di Benettòn. Una volta ho sentito una signora dire "Benétton". Ok, la smetto).
Ore 10 del mattino, appena aperta. Clima sub-tropicale, 35 gradi con l'umidità del 90%.
(Ragazzo che ha indossato la t-shirt di Milano Sport al contrario, con tatuaggio a forma di farfalla sul dorso della mano): "Dimmi, cara."
(Io, grata perché mi ha dato del tu - sembro giovane, sembro giovane!): "Ciao, vorrei iscrivere i bambini a nuoto".
(Lui, passando al "lei" dopo avermi immediatamente s-qualificato come "non appetibile"): "Ok signora, comeleisacisonoicorsidellunedìmartedìmercoledìgiovedìvenerdìpomeriggio, oppure"
(Io): "Un attimo un attimo! Vai più piano ti prego".
(Lui): "Cara, in soldoni: i bambini li vuole mandare durante la settimana o al sabato? Chi li porta, lei, la nonna, la baby sitter o suo marito? Quanti anni hanno? In vasca ci entrano da soli?"
(Io, precisa&veloce): "Sabato. Io. La grande 5, il piccolo 2. Sì e no".
(Lui, spietato): "Quella di 5 ha già fatto nuoto con noi? Se sì, con che maestra? Per il corso genitore-bambino è grande, per il nuoto baby chissà, che ne dice se la mettiamo direttamente nel nuoto ragazzi, cara? Però devo chiederle: nuoto ragazzi principianti o avanzati? È un 2005 o un 2006? Si tuffa? Andava con o senza braccioli? E il piccolo, ha fatto il 'cuccioli in acqua' oppure il "nuoto neonatale'? Io comunque lo metterei in un classico genitore-bambino, dai 2 ai 4 anni, lui ci rientra appieno, va bene cara?"
(Io): "Bleurgh".
(Lui, comprensivo): "Adesso le spiego tutto, cara, non si preoccupi. Se non ha i pannolini contenitivi glieli vendiamo noi a 1 euro l'uno, il corso costerebbe 193 ma siccome ha perso le prime lezioni noi le scaliamo la tariffa e così scendiamo a 160, in più per il piccolo le applico la scontistica del secondo figlio che è pari al 5%, la maggiore invece è a prezzo pieno ma del resto il suo corso costa meno perché il genitore non entra in acqua, allora dunque sarebbero 189, tolte le prime lezioni perse scendiamo a 154, va bene cara? Se invece lei signora mia ha la certificazione ISEE inferiore a 27.000 euro, ecco che posso applicarle la scontistica del 16%, però si calcola sul reddito del nucleo famigliare, non del singolo, va bene cara? Mi dica lei, poi si ricordi che per la maggiore lo sport dai 5 ai 18 anni va in detrazione fiscale e fosse anche solo una pizza gratis io dico: meglio una pizza gratis che niente, vero cara? Allora che faccio? Li metto una alle 10.30, l'altro alle 11 del sabato? Tanto il corso del piccolo dura meno, quindi escono quasi assieme, la prima alle 11.15 e il secondo alle 11.30, poi la grande se vuole mentre aspetta che il fratellino finisca si butta nella vaschetta calda, quella alta 80 centimetri, a 34 gradi, e si diverte un po' mentre vi aspetta, non si potrebbe ma lo fanno tutti, che dice, va bene cara? Viene lei da sola o col marito? Non sembra ma portare i bambini a nuoto stanca, è un po' un sacrificio. Però fa bene, eh. A proposito: ce li ha i certificati medici?".
A questo punto mi girava la testa. Un po' per il caldo, un po' per quel flusso ininterrotto e rapidissimo di informazioni. Mentre il ragazzo tatuato parlava a macchinetta una curiosa associazione di idee mi ha condotto a pensare al cantante Elio quando dice, "Ho fatto due etti e mezzo, lascio?". Alla fine non ero più in grado di domandare alcunché, né di controproporre, di cercare soluzioni diverse. Ho accettato supinamente, ho ringraziato, ho pagato. Ho tentato un sorriso obliquo, poi ho sussurrato: "Ok, ciao".
Lui: "Signora comunque complimenti per l'impegno. Non c'è come il nuoto per farli crescere sani e forti, sa".
(Tra un paio di giorni vi posto la prossima puntata).
Ma anche da voi, nel posto in cui abitate, è tutto così difficile? Io fatico a raggiungere il lavoro, a fare la spesa, a tornare a casa a un'ora decente la sera. Dopo un paio di mesi di tentennamento-da-stanchezza-cronica mi sono decisa a iscrivere Pupo e Pupa al corso di nuoto. Piscina comunale, sabato mattina.
Già l'iscrizione in sé non è una cosa banale. Per prima cosa ci vuole il certificato medico. Per fortuna io sono zeppa di certificati. La mia pediatra, la Dottoressa Zia Bubu, è una santa donna: tutte le volte che le porto un Pupo per un motivo o per l'altro la prima domanda che mi fa è: "Hai mica bisogno di certificati?". Ogni tanto le rispondo sì anche se non è vero. Non voglio deluderla. E poi non si sa mai. Come dice lei, "Un certificato non si nega a nessuno".
Quindi, lo scorso venerdì mattina mi sono presentata davanti al bancone della piscina Mùrat (si leggerebbe Murà, ma a Milano diciamo proprio così: Mùrat. Diciamo anche "Piazza Bòlivar" al posto di "Bolivàr". E "Còin", al posto di "Coìn", "Bénetton" al posto di Benettòn. Una volta ho sentito una signora dire "Benétton". Ok, la smetto).
Ore 10 del mattino, appena aperta. Clima sub-tropicale, 35 gradi con l'umidità del 90%.
(Ragazzo che ha indossato la t-shirt di Milano Sport al contrario, con tatuaggio a forma di farfalla sul dorso della mano): "Dimmi, cara."
(Io, grata perché mi ha dato del tu - sembro giovane, sembro giovane!): "Ciao, vorrei iscrivere i bambini a nuoto".
(Lui, passando al "lei" dopo avermi immediatamente s-qualificato come "non appetibile"): "Ok signora, comeleisacisonoicorsidellunedìmartedìmercoledìgiovedìvenerdìpomeriggio, oppure"
(Io): "Un attimo un attimo! Vai più piano ti prego".
(Lui): "Cara, in soldoni: i bambini li vuole mandare durante la settimana o al sabato? Chi li porta, lei, la nonna, la baby sitter o suo marito? Quanti anni hanno? In vasca ci entrano da soli?"
(Io, precisa&veloce): "Sabato. Io. La grande 5, il piccolo 2. Sì e no".
(Lui, spietato): "Quella di 5 ha già fatto nuoto con noi? Se sì, con che maestra? Per il corso genitore-bambino è grande, per il nuoto baby chissà, che ne dice se la mettiamo direttamente nel nuoto ragazzi, cara? Però devo chiederle: nuoto ragazzi principianti o avanzati? È un 2005 o un 2006? Si tuffa? Andava con o senza braccioli? E il piccolo, ha fatto il 'cuccioli in acqua' oppure il "nuoto neonatale'? Io comunque lo metterei in un classico genitore-bambino, dai 2 ai 4 anni, lui ci rientra appieno, va bene cara?"
(Io): "Bleurgh".
(Lui, comprensivo): "Adesso le spiego tutto, cara, non si preoccupi. Se non ha i pannolini contenitivi glieli vendiamo noi a 1 euro l'uno, il corso costerebbe 193 ma siccome ha perso le prime lezioni noi le scaliamo la tariffa e così scendiamo a 160, in più per il piccolo le applico la scontistica del secondo figlio che è pari al 5%, la maggiore invece è a prezzo pieno ma del resto il suo corso costa meno perché il genitore non entra in acqua, allora dunque sarebbero 189, tolte le prime lezioni perse scendiamo a 154, va bene cara? Se invece lei signora mia ha la certificazione ISEE inferiore a 27.000 euro, ecco che posso applicarle la scontistica del 16%, però si calcola sul reddito del nucleo famigliare, non del singolo, va bene cara? Mi dica lei, poi si ricordi che per la maggiore lo sport dai 5 ai 18 anni va in detrazione fiscale e fosse anche solo una pizza gratis io dico: meglio una pizza gratis che niente, vero cara? Allora che faccio? Li metto una alle 10.30, l'altro alle 11 del sabato? Tanto il corso del piccolo dura meno, quindi escono quasi assieme, la prima alle 11.15 e il secondo alle 11.30, poi la grande se vuole mentre aspetta che il fratellino finisca si butta nella vaschetta calda, quella alta 80 centimetri, a 34 gradi, e si diverte un po' mentre vi aspetta, non si potrebbe ma lo fanno tutti, che dice, va bene cara? Viene lei da sola o col marito? Non sembra ma portare i bambini a nuoto stanca, è un po' un sacrificio. Però fa bene, eh. A proposito: ce li ha i certificati medici?".
A questo punto mi girava la testa. Un po' per il caldo, un po' per quel flusso ininterrotto e rapidissimo di informazioni. Mentre il ragazzo tatuato parlava a macchinetta una curiosa associazione di idee mi ha condotto a pensare al cantante Elio quando dice, "Ho fatto due etti e mezzo, lascio?". Alla fine non ero più in grado di domandare alcunché, né di controproporre, di cercare soluzioni diverse. Ho accettato supinamente, ho ringraziato, ho pagato. Ho tentato un sorriso obliquo, poi ho sussurrato: "Ok, ciao".
Lui: "Signora comunque complimenti per l'impegno. Non c'è come il nuoto per farli crescere sani e forti, sa".
(Tra un paio di giorni vi posto la prossima puntata).
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lunedì 18 ottobre 2010
Essere mamma secondo Nek
Mi fanno male tutti i muscoli del collo, e
Oggi ho intervistato Nek. Domani mattina, Lory Del Santo. Figura tragica, la cui flirtologia estrema mi ispira sentimenti contrastanti. Presto condurrà un programma: "Missione: seduzione", per insegnare alle donne "come acquisire una marcia in più, superare i propri limiti, conquistare finalmente l'uomo dei sogni". Beata Lory, che a 52 anni, ho letto da qualche parte, tra le altre cose ha ancora voglia di spogliarsi nuda per fare un calco in gesso del suo corpo e venderlo (il calco, non il corpo) in beneficenza. Io che di anni ne ho 15 di meno e ho sempre fatto nuoto, quando esco dalla doccia lancio occhiate sospettose allo specchio e ogni volta giuro "Domani, piscina". Ho proprio voglia di chiederle cosa consiglierebbe a me, se partecipassi al suo programma.
Nek, invece, che è appena diventato papà, oggi - guardandomi dritto negli occhi con quei suoi occhi belli da far tremare le vene dei polsi - mi ha molto intenerito. "Voi donne avete una marcia in più, te lo dico pari". Che vuol dire "te lo dico pari", Nek? "Che te lo dico pane al pane, come se fossi mia sorella. Io non ce la farei mica, sai? Certo i pannolini li cambio, dò una mano, ma è mia moglie la donna d'acciaio. Questa cosa poi, che quando la bambina ha fame a lei zampillano i seni. Guarda: se non l'hai mai visto succedere non ci credi". Lo so, Nek, eccome se lo so. "Ah sei genitore anche tu? Ah come sono contento, ah che bella cosa, sai non avevo mica il coraggio di chiedertelo". Che gattino.
In una realtà parallela vive la mia cara amica Lisa/Elisa, tenutaria di questo bel blog, da cui mi permetto di raccogliere uno spunto. Suo figlio Tito, che ha l'età della Pupa, all'asilo (cioè alla materna, scusate è più forte di me) disegna usando quasi solo il nero, il blu e il marrone. Se proprio gli gira giusto e si sente solare e ottimista, butta lì un bel verde scuro. I suoi disegni sono così intitolati:
"Vortice"
"Uragano"
"Tito ucciso dal vortice"
"Tito ucciso dall'uragano"
"Tito portato via dal vortice"
"Il vortice che risucchia Tito"
"Tito Morto".
Come direbbe Nek, ben venga un bimbo che dice le cose pari. Voglio dire, che ha da temere la mia amica? Suo figlio non può certo peggiorare. La Pupa, invece, fa da sempre disegni come: "Io, la mamma, Bau (Mike Delfino, ndr) e il fratellino andiamo in vacanza". "La nostra bellissima casa nuova, in cui tutti i vicini sono amici". "Io amo la mamma". "Sole, mare, amore, felicità". "La bella spiaggia di Cagliari". "Come ci siamo divertiti tutti assieme quella volta". "La mia dolce nonnina". "Il nonno tiene in braccio il fratellino". "Ritratto della mia amata famiglia". "Grazie mamma perché mi vuoi così bene, anch’io te ne voglio". "Questo cuore gigante non riesce a contenere il mio amore".
I più trasgressivi portano titoli come "Topolino e la carta da buttare" e "Topolino e il cane che non voleva caccare". Capirai.
Ora. È chiaro che si tratta della classica bambina a 5 anni perfetta, che poi da adolescente si farà 27 piercing, diventerà una squatter e manderà una raccomandata con ricevuta di ritorno alla parrocchia per dire che rinuncia al battesimo.
Oggi ho intervistato Nek. Domani mattina, Lory Del Santo. Figura tragica, la cui flirtologia estrema mi ispira sentimenti contrastanti. Presto condurrà un programma: "Missione: seduzione", per insegnare alle donne "come acquisire una marcia in più, superare i propri limiti, conquistare finalmente l'uomo dei sogni". Beata Lory, che a 52 anni, ho letto da qualche parte, tra le altre cose ha ancora voglia di spogliarsi nuda per fare un calco in gesso del suo corpo e venderlo (il calco, non il corpo) in beneficenza. Io che di anni ne ho 15 di meno e ho sempre fatto nuoto, quando esco dalla doccia lancio occhiate sospettose allo specchio e ogni volta giuro "Domani, piscina". Ho proprio voglia di chiederle cosa consiglierebbe a me, se partecipassi al suo programma.
Nek, invece, che è appena diventato papà, oggi - guardandomi dritto negli occhi con quei suoi occhi belli da far tremare le vene dei polsi - mi ha molto intenerito. "Voi donne avete una marcia in più, te lo dico pari". Che vuol dire "te lo dico pari", Nek? "Che te lo dico pane al pane, come se fossi mia sorella. Io non ce la farei mica, sai? Certo i pannolini li cambio, dò una mano, ma è mia moglie la donna d'acciaio. Questa cosa poi, che quando la bambina ha fame a lei zampillano i seni. Guarda: se non l'hai mai visto succedere non ci credi". Lo so, Nek, eccome se lo so. "Ah sei genitore anche tu? Ah come sono contento, ah che bella cosa, sai non avevo mica il coraggio di chiedertelo". Che gattino.
In una realtà parallela vive la mia cara amica Lisa/Elisa, tenutaria di questo bel blog, da cui mi permetto di raccogliere uno spunto. Suo figlio Tito, che ha l'età della Pupa, all'asilo (cioè alla materna, scusate è più forte di me) disegna usando quasi solo il nero, il blu e il marrone. Se proprio gli gira giusto e si sente solare e ottimista, butta lì un bel verde scuro. I suoi disegni sono così intitolati:
"Vortice"
"Uragano"
"Tito ucciso dal vortice"
"Tito ucciso dall'uragano"
"Tito portato via dal vortice"
"Il vortice che risucchia Tito"
"Tito Morto".
Come direbbe Nek, ben venga un bimbo che dice le cose pari. Voglio dire, che ha da temere la mia amica? Suo figlio non può certo peggiorare. La Pupa, invece, fa da sempre disegni come: "Io, la mamma, Bau (Mike Delfino, ndr) e il fratellino andiamo in vacanza". "La nostra bellissima casa nuova, in cui tutti i vicini sono amici". "Io amo la mamma". "Sole, mare, amore, felicità". "La bella spiaggia di Cagliari". "Come ci siamo divertiti tutti assieme quella volta". "La mia dolce nonnina". "Il nonno tiene in braccio il fratellino". "Ritratto della mia amata famiglia". "Grazie mamma perché mi vuoi così bene, anch’io te ne voglio". "Questo cuore gigante non riesce a contenere il mio amore".
I più trasgressivi portano titoli come "Topolino e la carta da buttare" e "Topolino e il cane che non voleva caccare". Capirai.
Ora. È chiaro che si tratta della classica bambina a 5 anni perfetta, che poi da adolescente si farà 27 piercing, diventerà una squatter e manderà una raccomandata con ricevuta di ritorno alla parrocchia per dire che rinuncia al battesimo.
venerdì 15 ottobre 2010
Come sono diversi i miei figli, anche se li ho fatti tutti e due io
Dice: «Signora, l'inserimento al nido è bene farlo con calma»
In parziale contraddizione con quanto dichiarato nel libro che mi ha reso famosa, abbiamo iscritto il Pupo all'asilo nido. In realtà in Ero una brava mamma prima di avere figli (the book) dicevo che secondo me - potendo farlo - sarebbe meglio tenere i bambini molto piccoli a casa e non mandarli al nido. Tuttavia l'estate scorsa il Pupo ha manifestato più volte la sua volontà di cambiare famiglia, emigrare all'estero, farsi adottare da chiunque avesse altri pargoli più o meno della sua età. Di qui l'eroica (dal punto di vista economico) decisione di tenere la tata e iscriverlo al nido tre mattine alla settimana.
Ovviamente nido privato, ché per il pubblico le iscrizioni si chiudevano un'era glaciale fa.
Dopo breve indagine la scelta è caduta su una struttura chiamata "i Girasoli", che effettivamente dall'interno ricorda molto un fiore, è luminosa e ha pure un soffitto di cristallo diviso in petali.
(Capa educatrice, un mese fa) «Signora, qui ci diamo del tu. Quindi adesso ti spiego come funziona l'inserimento. Il bambino lo farà per ultimo, che è ritardatario. Comincia il 13 ottobre. Fino a fine ottobre viene tutti i giorni. Tu le prime mattine devi contare che al lavoro non ci vai proprio».
«Gulp».
«Eh ma cara è proprio così, che cosa ti credi, c'è gente che va avanti un mese».
«Purtroppo lo so, l'inserimento della Pupa alla materna è durato un anno».
«Sai, i bambini non devono sentirsi abbandonati, devono capire che tu sei con loro, che non li stai parcheggiando, che non vuoi liberartene, soprattutto dev'essere una cosa graduale. Anzi facciamo così: la prossima settimana vieni a compilare i moduli per l'iscrizione e mi porti anche il Pupo, almeno lo vediamo in faccia».
Due settimane fa, cioè la prima volta che io e il Pupo varchiamo la soglia dei Girasoli, lui vede gli altri bambini e inizia a urlare come un forsennato: «Llà! Llà!», che è il suo modo di spiegare che una cosa gli piace. Entra nell'area giochi con gli stivali di gomma addosso e accenna una corsa sul posto, poi batte le mani, emette versi simili a un uccellino in acido, strilla di gioia.
Portarlo fuori di lì, dopo aver compilato i moduli, è un'impresa surreale: si butta a terra, sbava, se potesse morderebbe, lancia una serie di «Llà!» ininterrotti.
«Ok, mamma del Pupo, ho come la sensazione che l'inserimento potrebbe non essere un problema».
Due giorni fa - il fatidico 13 ottobre - prima di uscire abbiamo spiegato al Pupo che saremmo andati «Llà».
«Brum bruum?»
«No, non andiamo in macchina, è qua vicino».
«Papà?».
«No, papà porta alla scuola materna la tua sorellina».
«Coccò?».
«No, non ci sono gli uccellini».
«Maaa?».
«Neanche i gatti. Ora andiamo.»
Arrivati davanti al nido è ricominciato il balletto. «Llà! Llà! Llà!», strideva il disgraziato. Ho dovuto lottare per convincerlo a togliere la giacca e le scarpe prima di entrare. Dopo un secondo già non mi guardava più.
«Scusa, maestra, posso andare a prendere un caffè?»
«Sì però vieni qua, lo saluti e gli spieghi che non lo stai abbandonando, che torni da lui presto, che non vuoi parcheggia...»
«Sì, sì, ho capito. Allora ciao, amorino, la mamma va via per un pochino, d'accordo?»
(Pupo, rivolto a un'altra bambina, tenendole la mano a pinza sulla spalla e infilandole in bocca un cucchiaio di legno): «Aaaamm!»
(Maestra): «Oh, che carino, ha già iniziato il gioco simbolico».
(Io): «Piccolo, io vado, va bene?»
(Pupo, battendo le mani di fronte a un cestone pieno di macchinine e senza degnarmi di un'occhiata): «Bruum bruum! Coccò! Maa! Llà! Llà! Aaammm! Cà!»
(Io): «Okay maestra, "Cà" vuol dire ciao. Significa che ha capito, me ne posso andare, ci vediamo tra un'ora».
Per portare lo sguardo di Satana a casa, quel primo giorno, abbiamo sudato in due: io e la tata, venuta a darmi manforte. La sera, alle undici, sono andata a infilargli un maglione di lana sul pigiama mentre dormiva: si è tirato a sedere nel letto, ha cominciato a battere le mani, a ridere compiaciuto e a dire «Llà», ho faticato a convincerlo che era notte e che l'asilo era chiuso.
Ieri l'ha accompagnato suo padre. Mi ha raccontato di essere rimasto tre minuti a sbirciare il Pupo, poi l'hanno mandato via. «Torna tra un'ora e mezza a prendere il bambino».
Oggi sono andata io. Sulla soglia la maestra mi ha detto, «Vieni pure tra due ore. Se non ce la fai e vuoi mandare la tata, va bene lo stesso. Tuo figlio è come se abitasse qua da sempre, lunedì direi che può già fermarsi per la pappa. Certi bambini cosa vuoi, sono nati giullari. Non è che per caso quand'eri incinta sei andata a vedere il circo?».
In parziale contraddizione con quanto dichiarato nel libro che mi ha reso famosa, abbiamo iscritto il Pupo all'asilo nido. In realtà in Ero una brava mamma prima di avere figli (the book) dicevo che secondo me - potendo farlo - sarebbe meglio tenere i bambini molto piccoli a casa e non mandarli al nido. Tuttavia l'estate scorsa il Pupo ha manifestato più volte la sua volontà di cambiare famiglia, emigrare all'estero, farsi adottare da chiunque avesse altri pargoli più o meno della sua età. Di qui l'eroica (dal punto di vista economico) decisione di tenere la tata e iscriverlo al nido tre mattine alla settimana.
Ovviamente nido privato, ché per il pubblico le iscrizioni si chiudevano un'era glaciale fa.
Dopo breve indagine la scelta è caduta su una struttura chiamata "i Girasoli", che effettivamente dall'interno ricorda molto un fiore, è luminosa e ha pure un soffitto di cristallo diviso in petali.
(Capa educatrice, un mese fa) «Signora, qui ci diamo del tu. Quindi adesso ti spiego come funziona l'inserimento. Il bambino lo farà per ultimo, che è ritardatario. Comincia il 13 ottobre. Fino a fine ottobre viene tutti i giorni. Tu le prime mattine devi contare che al lavoro non ci vai proprio».
«Gulp».
«Eh ma cara è proprio così, che cosa ti credi, c'è gente che va avanti un mese».
«Purtroppo lo so, l'inserimento della Pupa alla materna è durato un anno».
«Sai, i bambini non devono sentirsi abbandonati, devono capire che tu sei con loro, che non li stai parcheggiando, che non vuoi liberartene, soprattutto dev'essere una cosa graduale. Anzi facciamo così: la prossima settimana vieni a compilare i moduli per l'iscrizione e mi porti anche il Pupo, almeno lo vediamo in faccia».
Due settimane fa, cioè la prima volta che io e il Pupo varchiamo la soglia dei Girasoli, lui vede gli altri bambini e inizia a urlare come un forsennato: «Llà! Llà!», che è il suo modo di spiegare che una cosa gli piace. Entra nell'area giochi con gli stivali di gomma addosso e accenna una corsa sul posto, poi batte le mani, emette versi simili a un uccellino in acido, strilla di gioia.
Portarlo fuori di lì, dopo aver compilato i moduli, è un'impresa surreale: si butta a terra, sbava, se potesse morderebbe, lancia una serie di «Llà!» ininterrotti.
«Ok, mamma del Pupo, ho come la sensazione che l'inserimento potrebbe non essere un problema».
Due giorni fa - il fatidico 13 ottobre - prima di uscire abbiamo spiegato al Pupo che saremmo andati «Llà».
«Brum bruum?»
«No, non andiamo in macchina, è qua vicino».
«Papà?».
«No, papà porta alla scuola materna la tua sorellina».
«Coccò?».
«No, non ci sono gli uccellini».
«Maaa?».
«Neanche i gatti. Ora andiamo.»
Arrivati davanti al nido è ricominciato il balletto. «Llà! Llà! Llà!», strideva il disgraziato. Ho dovuto lottare per convincerlo a togliere la giacca e le scarpe prima di entrare. Dopo un secondo già non mi guardava più.
«Scusa, maestra, posso andare a prendere un caffè?»
«Sì però vieni qua, lo saluti e gli spieghi che non lo stai abbandonando, che torni da lui presto, che non vuoi parcheggia...»
«Sì, sì, ho capito. Allora ciao, amorino, la mamma va via per un pochino, d'accordo?»
(Pupo, rivolto a un'altra bambina, tenendole la mano a pinza sulla spalla e infilandole in bocca un cucchiaio di legno): «Aaaamm!»
(Maestra): «Oh, che carino, ha già iniziato il gioco simbolico».
(Io): «Piccolo, io vado, va bene?»
(Pupo, battendo le mani di fronte a un cestone pieno di macchinine e senza degnarmi di un'occhiata): «Bruum bruum! Coccò! Maa! Llà! Llà! Aaammm! Cà!»
(Io): «Okay maestra, "Cà" vuol dire ciao. Significa che ha capito, me ne posso andare, ci vediamo tra un'ora».
Per portare lo sguardo di Satana a casa, quel primo giorno, abbiamo sudato in due: io e la tata, venuta a darmi manforte. La sera, alle undici, sono andata a infilargli un maglione di lana sul pigiama mentre dormiva: si è tirato a sedere nel letto, ha cominciato a battere le mani, a ridere compiaciuto e a dire «Llà», ho faticato a convincerlo che era notte e che l'asilo era chiuso.
Ieri l'ha accompagnato suo padre. Mi ha raccontato di essere rimasto tre minuti a sbirciare il Pupo, poi l'hanno mandato via. «Torna tra un'ora e mezza a prendere il bambino».
Oggi sono andata io. Sulla soglia la maestra mi ha detto, «Vieni pure tra due ore. Se non ce la fai e vuoi mandare la tata, va bene lo stesso. Tuo figlio è come se abitasse qua da sempre, lunedì direi che può già fermarsi per la pappa. Certi bambini cosa vuoi, sono nati giullari. Non è che per caso quand'eri incinta sei andata a vedere il circo?».
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lunedì 30 agosto 2010
Voi, che vivete sicuri nelle vostre tiepide case
Il Pupo, la proprietà privata, le spiagge sarde
Per i Pupi è stata un'estate gloriosa: tre mesi di mare in tre diverse località. Sono tornati a casa ieri, floridi, felici e più tamarri che mai.
C'è il dettaglio che il Pupo è nato in un posto in cui è normale entrare e uscire dalle case altrui: dove abitiamo noi, le porte dei vicini sono sempre aperte. E così ha trasferito questo concetto anche in vacanza: appena arriva in spiaggia sceglie la famiglia più appetibile, che poi sarebbe quella con i giochi migliori, i sacchetti di patatine più grandi, i castelli più alti. Individua l'obiettivo, parte in quarta e va a farsi adottare. Credete che qualcuno lo cacci? Macché. Nessuno resiste al fascino dell'angelo biondo. Gli estranei fanno per il Pupo quello che nemmeno i suoi genitori: lo viziano, pendono dalle sue labbra, lasciano che distrugga a calci le più sofisticate piste di biglie. La Pupa, meno sfrontata e più consapevole, di solito lo manda avanti. In qualche modo il Pupo controlla che la scena sia sicura - come gli eroi dei thriller - poi manda un messaggio telepatico alla sorella, che a quel punto lo raggiunge.
Non pensiate che ai Pupi basti una famiglia per mattina. La permanenza massima registrata è 40 minuti. Poi si stufano, e cambiano ombrellone, il che lascia un senso di amaro disincanto e non troppo mascherata delusione nei genitori e fratelli affidatari, che si erano illusi di essere stati scelti per sempre.
Può essere che quest'estate li abbiate incontrati anche voi. Hanno avuto successo soprattutto al Poetto, la grandissima spiaggia di Cagliari, frequentata tendenzialmente da autoctoni scuri di capelli, tra cui era facile individuare uno sfacciato tronchetto di 90 centimetri con un casco di trucioli chiari. Col passare dei giorni il Pupo al Poetto è diventato come Marco Carta ad Amici: era tutto un "Aiò, Fabio, vedi che è arrivato il Pupo, guarda come è biondo". "Michela, guarda che bel piccioccheddu". "Eja, Nenè, ti ho detto che il Pupo è qui con me". Io e Mike Delfino abbiamo vissuto al traino, circondati d'affetto e di verità non sempre richieste - ma quanto pesa?, mannaggia quanto pesa, gli piace mangiare, eh?, il clima di Milano fa schifo - e, anche se stare soli era impossibile, di certo non ci siamo annoiati. L'ultimo giorno mi è spiaciuto non poter avvisare tutti che stavamo partendo. Ma su una spiaggia libera con centinaia di ombrelloni come fai? Dovresti noleggiare uno di quegli aerei con lo striscione pubblicitario che, specie in passato, sorvolavano il lungomare. L'estate sta finendo e il Pupo se ne va. Aiò.
Per i Pupi è stata un'estate gloriosa: tre mesi di mare in tre diverse località. Sono tornati a casa ieri, floridi, felici e più tamarri che mai.
C'è il dettaglio che il Pupo è nato in un posto in cui è normale entrare e uscire dalle case altrui: dove abitiamo noi, le porte dei vicini sono sempre aperte. E così ha trasferito questo concetto anche in vacanza: appena arriva in spiaggia sceglie la famiglia più appetibile, che poi sarebbe quella con i giochi migliori, i sacchetti di patatine più grandi, i castelli più alti. Individua l'obiettivo, parte in quarta e va a farsi adottare. Credete che qualcuno lo cacci? Macché. Nessuno resiste al fascino dell'angelo biondo. Gli estranei fanno per il Pupo quello che nemmeno i suoi genitori: lo viziano, pendono dalle sue labbra, lasciano che distrugga a calci le più sofisticate piste di biglie. La Pupa, meno sfrontata e più consapevole, di solito lo manda avanti. In qualche modo il Pupo controlla che la scena sia sicura - come gli eroi dei thriller - poi manda un messaggio telepatico alla sorella, che a quel punto lo raggiunge.
Non pensiate che ai Pupi basti una famiglia per mattina. La permanenza massima registrata è 40 minuti. Poi si stufano, e cambiano ombrellone, il che lascia un senso di amaro disincanto e non troppo mascherata delusione nei genitori e fratelli affidatari, che si erano illusi di essere stati scelti per sempre.
Può essere che quest'estate li abbiate incontrati anche voi. Hanno avuto successo soprattutto al Poetto, la grandissima spiaggia di Cagliari, frequentata tendenzialmente da autoctoni scuri di capelli, tra cui era facile individuare uno sfacciato tronchetto di 90 centimetri con un casco di trucioli chiari. Col passare dei giorni il Pupo al Poetto è diventato come Marco Carta ad Amici: era tutto un "Aiò, Fabio, vedi che è arrivato il Pupo, guarda come è biondo". "Michela, guarda che bel piccioccheddu". "Eja, Nenè, ti ho detto che il Pupo è qui con me". Io e Mike Delfino abbiamo vissuto al traino, circondati d'affetto e di verità non sempre richieste - ma quanto pesa?, mannaggia quanto pesa, gli piace mangiare, eh?, il clima di Milano fa schifo - e, anche se stare soli era impossibile, di certo non ci siamo annoiati. L'ultimo giorno mi è spiaciuto non poter avvisare tutti che stavamo partendo. Ma su una spiaggia libera con centinaia di ombrelloni come fai? Dovresti noleggiare uno di quegli aerei con lo striscione pubblicitario che, specie in passato, sorvolavano il lungomare. L'estate sta finendo e il Pupo se ne va. Aiò.
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Vita nella casa-cantiere
giovedì 3 giugno 2010
Le nuove vincitrici, il senso di giustizia della Pupa, la tata dei Briatore poteva fare la dog-sitter
Il mio nome è Ken, Ken Falco
(Io sprofondata nel divano a leggere, Pupa che mi piazza la testa in grembo)
"Ghega. Ghega ghega".
"Pupa, adesso perché parli come un bebè?"
"Perché voglio essere come il fratellino. Voglio avere zero anni. Voglio il mio amico ciuccio. Voglio bere il lattino dalle tue tette".
"Pupa, il fratellino non ha più zero anni. Ne ha uno e mezzo, è alto un metro e novanta, ho smesso di allattarlo l'estate scorsa. E col ciuccio hai deciso tu di smettere, ti ricordi? Dopo che abbiamo letto per la centesima volta 'Ciao, ciao, ciuccio'."
"Allora voglio crescere piccola".
"Amorino, non è possibile. Si cresce solo grandi".
"Allora voglio dimenticare certe parole".
"In che senso?"
"Tipo tricioperatoro, erbivoli, il nome dei pianeti tranne Saturno che me lo voglio ricordare. Io mi dimenticavo certe parole, così poi poteviamo dire in giro che ero piccola".
"Pupa, amorino, ti senti forse trascurata?"
"No, io sono di cinque anni, il fratellino è di un anno e ha avuto meno coccole, poverino. Quando non c'era il fratellino ci conoscevamo solo io e te, vero? Adesso tocca a lui".
(Segue colluttazione per il possesso di un pennarello. Il Pupo ne esce con un vistoso morso sull'avambraccio destro)
Mi corre, nel frattempo, il piacevole obbligo di informarvi che le vincitrici dell'ultimo concorso sono SONIA BC e GLORIA ROSSI!
I nomi li ha scelti il Pupo in maniera assolutamente casuale. Sonia, Gloria, aspetto i vostri indirizzi per mandarvi una copia del mio nuovo libro!
E mentre starete chiedendovi perché nel sottotitolo di questo post c'è un richiamo a Ken Falco...
qualcuna, in un commento recente, si domandava come mai il piccolo Nathan Falco sia stato chiamato così dagli stimatissimi coniugi Briatore&Gregoraci.
E' tutto vero: il nostro amato Flavio voleva rendere omaggio al cartone animato anni Ottanta. (Nessun legame, invece, con il noto cantante Falco). E Nathan? Secondo la Gregoraci, la scelta "è caduta su questo nome perché significa dono di Dio". Se è per questo, anche Matteo.
PS piccolo aggiornamento: i B&C sono stati avvistati poche ore fa sulla terraferma, a Forte dei Marmi. Dopo lo sbarco forzato dallo yacht della settimana scorsa ("Ho dovuto lasciare a bordo anche la culla!", il grido di dolore della Gregoraci), passeggiavano sul lungomare. Curioso notare come - lo testimoniano le foto - Elisabetta si porti sempre in braccio l'amato cagnolino, mentre il dono di Dio viene affidato, di norma, alla sua inseparabile tata.
(Io sprofondata nel divano a leggere, Pupa che mi piazza la testa in grembo)
"Ghega. Ghega ghega".
"Pupa, adesso perché parli come un bebè?"
"Perché voglio essere come il fratellino. Voglio avere zero anni. Voglio il mio amico ciuccio. Voglio bere il lattino dalle tue tette".
"Pupa, il fratellino non ha più zero anni. Ne ha uno e mezzo, è alto un metro e novanta, ho smesso di allattarlo l'estate scorsa. E col ciuccio hai deciso tu di smettere, ti ricordi? Dopo che abbiamo letto per la centesima volta 'Ciao, ciao, ciuccio'."
"Allora voglio crescere piccola".
"Amorino, non è possibile. Si cresce solo grandi".
"Allora voglio dimenticare certe parole".
"In che senso?"
"Tipo tricioperatoro, erbivoli, il nome dei pianeti tranne Saturno che me lo voglio ricordare. Io mi dimenticavo certe parole, così poi poteviamo dire in giro che ero piccola".
"Pupa, amorino, ti senti forse trascurata?"
"No, io sono di cinque anni, il fratellino è di un anno e ha avuto meno coccole, poverino. Quando non c'era il fratellino ci conoscevamo solo io e te, vero? Adesso tocca a lui".
(Segue colluttazione per il possesso di un pennarello. Il Pupo ne esce con un vistoso morso sull'avambraccio destro)
Mi corre, nel frattempo, il piacevole obbligo di informarvi che le vincitrici dell'ultimo concorso sono SONIA BC e GLORIA ROSSI!
I nomi li ha scelti il Pupo in maniera assolutamente casuale. Sonia, Gloria, aspetto i vostri indirizzi per mandarvi una copia del mio nuovo libro!
E mentre starete chiedendovi perché nel sottotitolo di questo post c'è un richiamo a Ken Falco...
qualcuna, in un commento recente, si domandava come mai il piccolo Nathan Falco sia stato chiamato così dagli stimatissimi coniugi Briatore&Gregoraci.
E' tutto vero: il nostro amato Flavio voleva rendere omaggio al cartone animato anni Ottanta. (Nessun legame, invece, con il noto cantante Falco). E Nathan? Secondo la Gregoraci, la scelta "è caduta su questo nome perché significa dono di Dio". Se è per questo, anche Matteo.
PS piccolo aggiornamento: i B&C sono stati avvistati poche ore fa sulla terraferma, a Forte dei Marmi. Dopo lo sbarco forzato dallo yacht della settimana scorsa ("Ho dovuto lasciare a bordo anche la culla!", il grido di dolore della Gregoraci), passeggiavano sul lungomare. Curioso notare come - lo testimoniano le foto - Elisabetta si porti sempre in braccio l'amato cagnolino, mentre il dono di Dio viene affidato, di norma, alla sua inseparabile tata.
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mercoledì 26 maggio 2010
Tutto quello che so della vita l'ho imparato da Sex and the City
E' uscito! Da oggi in libreria il mio figlioletto più giovane
Vi faccio alcuni esempi di quel che ho capito io guardando ossessivamente, per mesi, la serie in tv:
- Che ogni cuore spezzato prima o poi trova la sua colla
- Che quando arriva un bambino qualcos'altro se ne va
- Che con quello che ho nell'armadio potevo comprare casa
- Che almeno una volta nella vita bisogna fare sesso con un deficiente
- Che non si possono avere 35 anni per sempre
- Che per far spazio ai suoi scatoloni, a qualcuno dei tuoi vestiti devi rinunciare
(...)
Se siete curiose di sapere come ho argomentato le tesi di cui sopra - e da quale delle protagoniste, Carrie Charlotte Miranda o Samantha, ho tratto ispirazione - potete leggere il mio libro, che è in vendita da oggi. A proposito: ieri sera sono stata all'anteprima di Sex and the City 2 (il film). Ne parleremo prestissimo, appena lo vedete anche voi.
E ora, la seconda parte del concorso:
Quali sono le cose importanti della vita che avete imparato voi da Sex and the City, da un'altra serie, da un film oppure da un libro?
Avete tempo per rispondere fino a venerdì! In palio due copie del mio nuovo libro.
PS La saga Briatore mi appassiona assai (vedi mio commento al post precedente).
lunedì 29 marzo 2010
Era un giorno come tanti altri
Certe cose non si dimenticano
Poiché curiosamente ho un cospicuo numero di amiche e conoscenti vicine al parto, e mi pare di trascurarle un po', ripesco questo post dell'anno scorso (che ho anche pubblicato sul mio libro) per tornare, assieme a voi, sul tema.
Vedete la manina rosa? Il post partecipa a "Mamma che ridere", quindi scrivete, scrivete, scrivete, perché a) i vostri commenti verranno premiati e b) sono curiosissima di sapere quel che avete combinato in sala parto. Non dimenticate di lasciare un indirizzo email (potete scrivermi anche in privato)!
Prima della nascita della mia primogenita, detta “la Pupa”, avevo anche frequentato dei corsi. Il generico “preparto”, il rilassante “stretching per gestanti”, il noiosissimo “acquaticità in gravidanza”, un breve quanto inutile seminario “simulazioni di allattamento”. Mi ero anche documentata sull’esoterico canto carnatico, secondo il metodo di Frédérick Leboyer, che si rifà alle antiche tradizioni indiane e consiglia alle donne di utilizzare la voce, modulandola, per soffrire meno durante il travaglio.
Pensavo: sarà lungo ma sopportabile. In fondo non sono una che frigna.
Mi immaginavo il dolore come un’onda. Pensavo: se non cerco di resistere, se mi lascio trasportare da quest’onda, ce la farò senza grandi problemi. Il trucco sta nel passare attraverso l’onda, mi ripetevo.
Un sabato mattina verso le undici, tre giorni dopo la data presunta del parto, ho perso il tappo di muco di cui mi avevano parlato tanto. Sapevo che poteva precedere l’inizio del travaglio di pochi minuti come di due o tre giorni. “Ohibò!” ho detto. Dieci minuti dopo sono cominciate le contrazioni.
Tutti allegri e tranquilli – c’era anche mia sorella, che doveva solo accompagnarmi in auto ma poi è rimasta con me, preziosa doula improvvisata, fino alla fine – all’ora di pranzo siamo andati in ospedale. Mi hanno visitato: dilatazione un centimetro. “Signora, se vuole può andare a casa. È un primo figlio, ci vorrà del tempo”.
Ho fatto una smorfia. Il dolore aumentava. “Okay, vedo se c’è una camera libera”, si è convinta l’ostetrica.
Alle due mi hanno dato una stanza. Nel tragitto tra l’ascensore e il mio letto, in corridoio, mi piegavo ogni trenta secondi. Non che abbia mai provato, ma avevo la sensazione che qualcuno mi sparasse all’addome.
- (Infermiera, caustica, assistendo ai miei silenziosi contorcimenti): “Ehi, senti un po’. Se continui così non arrivi in fondo”.
- (Io, prendendo vagamente fiato): “Grazie, bengentile. È confortante”.
- (Infermiera, con l’aria di chi sa lunga): “A meno che…”
- (Io, speranzosa): “A meno che?”
- (Infermiera, allontanandosi lungo il corridoio mentre sghignazza): “A meno che il tuo non sia un parto pre-ci-pi-to-so!”.
Prima dell’arrivo della Pupa pensavo che non avrei chiesto l’epidurale. Volevo che il mio fosse un parto più naturale possibile, ma per prudenza avevo fatto comunque la visita preliminare dall’anestesista (“mi servirà solo in caso di complicazioni”, pensavo).
Alle tre sono entrata in sala travaglio, col fiato corto, urlando a centoventi decibel, “Epidurà! Epidurà! Epidurà!”. Alzavo anche la mano per attirare l’attenzione e riuscivo a pensare solo due cose: 1) Non riesco nemmeno a finire la parola “epidurale” e 2) Se incontro Frédérick Leboyer gli spacco la faccia.
L’epidurale non è arrivata. Dopo un veloce monitoraggio mi hanno proposto di fare il travaglio nella vasca. Ho detto sì e volevo tuffarmi subito, ma mi hanno fermato: “Aspetta almeno che ci sia l’acqua”. Quando finalmente è arrivato il momento mi ci hanno buttato dentro sollevandomi di peso. L’acqua calda rilassa all’istante i muscoli e lenisce il dolore. “Ohporcavaccacosìsiragiona”, ho detto. Tuttoattaccato.
Dopodichè, ho perso le parole.
Mi dicevano: “Respira lentamente”. Io ansimavo come un mantice.
Mi dicevano: “Calma”. Mi sembrava di non riuscire ad aprire bocca, ma mi hanno raccontato che ho morso. Prima il lenzuolo, poi il braccio di qualcuno.
Mi hanno tirato fuori dalla vasca, ogni tanto mi visitavano. Sembravo posseduta come nell’Esorcista. La dilatazione progrediva veloce. Troppo veloce per un primo figlio. Sei, sette centimetri. “Ehi, è troppo veloce persino per l’epidurale”, ha commentato qualcuno a un certo punto. “Non c’è pausa tra una contrazione e l’altra”, ha aggiunto qualcun altro. Ah, ah, avrei riso se mi fossi ricordata come si faceva. In quel momento ho pronunciato la mia prima e unica parolaccia. Una ginecologa di passaggio mi ha fulminato. “Non hai imparato niente al corso preparto?”. “In effetti no, signora. Non mi ricordo nulla”. Ed era proprio così.
(to be continued)
Poiché curiosamente ho un cospicuo numero di amiche e conoscenti vicine al parto, e mi pare di trascurarle un po', ripesco questo post dell'anno scorso (che ho anche pubblicato sul mio libro) per tornare, assieme a voi, sul tema.
Vedete la manina rosa? Il post partecipa a "Mamma che ridere", quindi scrivete, scrivete, scrivete, perché a) i vostri commenti verranno premiati e b) sono curiosissima di sapere quel che avete combinato in sala parto. Non dimenticate di lasciare un indirizzo email (potete scrivermi anche in privato)!
Prima della nascita della mia primogenita, detta “la Pupa”, avevo anche frequentato dei corsi. Il generico “preparto”, il rilassante “stretching per gestanti”, il noiosissimo “acquaticità in gravidanza”, un breve quanto inutile seminario “simulazioni di allattamento”. Mi ero anche documentata sull’esoterico canto carnatico, secondo il metodo di Frédérick Leboyer, che si rifà alle antiche tradizioni indiane e consiglia alle donne di utilizzare la voce, modulandola, per soffrire meno durante il travaglio.
Pensavo: sarà lungo ma sopportabile. In fondo non sono una che frigna.
Mi immaginavo il dolore come un’onda. Pensavo: se non cerco di resistere, se mi lascio trasportare da quest’onda, ce la farò senza grandi problemi. Il trucco sta nel passare attraverso l’onda, mi ripetevo.
Un sabato mattina verso le undici, tre giorni dopo la data presunta del parto, ho perso il tappo di muco di cui mi avevano parlato tanto. Sapevo che poteva precedere l’inizio del travaglio di pochi minuti come di due o tre giorni. “Ohibò!” ho detto. Dieci minuti dopo sono cominciate le contrazioni.
Tutti allegri e tranquilli – c’era anche mia sorella, che doveva solo accompagnarmi in auto ma poi è rimasta con me, preziosa doula improvvisata, fino alla fine – all’ora di pranzo siamo andati in ospedale. Mi hanno visitato: dilatazione un centimetro. “Signora, se vuole può andare a casa. È un primo figlio, ci vorrà del tempo”.
Ho fatto una smorfia. Il dolore aumentava. “Okay, vedo se c’è una camera libera”, si è convinta l’ostetrica.
Alle due mi hanno dato una stanza. Nel tragitto tra l’ascensore e il mio letto, in corridoio, mi piegavo ogni trenta secondi. Non che abbia mai provato, ma avevo la sensazione che qualcuno mi sparasse all’addome.
- (Infermiera, caustica, assistendo ai miei silenziosi contorcimenti): “Ehi, senti un po’. Se continui così non arrivi in fondo”.
- (Io, prendendo vagamente fiato): “Grazie, bengentile. È confortante”.
- (Infermiera, con l’aria di chi sa lunga): “A meno che…”
- (Io, speranzosa): “A meno che?”
- (Infermiera, allontanandosi lungo il corridoio mentre sghignazza): “A meno che il tuo non sia un parto pre-ci-pi-to-so!”.
Prima dell’arrivo della Pupa pensavo che non avrei chiesto l’epidurale. Volevo che il mio fosse un parto più naturale possibile, ma per prudenza avevo fatto comunque la visita preliminare dall’anestesista (“mi servirà solo in caso di complicazioni”, pensavo).
Alle tre sono entrata in sala travaglio, col fiato corto, urlando a centoventi decibel, “Epidurà! Epidurà! Epidurà!”. Alzavo anche la mano per attirare l’attenzione e riuscivo a pensare solo due cose: 1) Non riesco nemmeno a finire la parola “epidurale” e 2) Se incontro Frédérick Leboyer gli spacco la faccia.
L’epidurale non è arrivata. Dopo un veloce monitoraggio mi hanno proposto di fare il travaglio nella vasca. Ho detto sì e volevo tuffarmi subito, ma mi hanno fermato: “Aspetta almeno che ci sia l’acqua”. Quando finalmente è arrivato il momento mi ci hanno buttato dentro sollevandomi di peso. L’acqua calda rilassa all’istante i muscoli e lenisce il dolore. “Ohporcavaccacosìsiragiona”, ho detto. Tuttoattaccato.
Dopodichè, ho perso le parole.
Mi dicevano: “Respira lentamente”. Io ansimavo come un mantice.
Mi dicevano: “Calma”. Mi sembrava di non riuscire ad aprire bocca, ma mi hanno raccontato che ho morso. Prima il lenzuolo, poi il braccio di qualcuno.
Mi hanno tirato fuori dalla vasca, ogni tanto mi visitavano. Sembravo posseduta come nell’Esorcista. La dilatazione progrediva veloce. Troppo veloce per un primo figlio. Sei, sette centimetri. “Ehi, è troppo veloce persino per l’epidurale”, ha commentato qualcuno a un certo punto. “Non c’è pausa tra una contrazione e l’altra”, ha aggiunto qualcun altro. Ah, ah, avrei riso se mi fossi ricordata come si faceva. In quel momento ho pronunciato la mia prima e unica parolaccia. Una ginecologa di passaggio mi ha fulminato. “Non hai imparato niente al corso preparto?”. “In effetti no, signora. Non mi ricordo nulla”. Ed era proprio così.
(to be continued)
venerdì 19 marzo 2010
Mamma che ridereeeee
Scriviamo assieme uno spettacolo teatrale?
Ve lo chiedo senza girarci troppo attorno.
Ve lo chiedo senza girarci troppo attorno.
Siccome un po' ormai vi conosco, e
so se che se leggete questo blog siete molto spiritose (e spiritosi), e inoltre:
- quasi certamente avete un figlio (o più)
- o un nipotino
- oppure occasionalmente, diovibenedica, avete fatto da babysitter ai miei pupi
- o comunque, insomma, quando vedete in giro un bambino non urlate per il raccapriccio,
se vi va, come spero, di partecipare, potete sbizzarrirvi con aneddoti inerenti ai temi che di volta in volta vi proporrò, e che ruotano tutti attorno alla maternità.
Funziona come con i normali commenti: voi li lasciate e io li raccolgo.
Col tempo vi svelerò nuovi dettagli sullo spettacolo: per ora posso dirvi che si terrà a maggio, sarà interpretato da un'attrice comica brava, simpatica e mamma di cui mannaggia ancora non ci hanno detto il nome, e che è un'iniziativa di The talking village (il banner che da settimane ho inserito sulla mia home page vi porta al sito). Per ogni dubbio, per scoprire la lista dei 10 blog che partecipano, oppure se siete blogger a vostra volta e volete dare il vostro contributo, andate a sbirciare Mamma che ridere.
Ah! Fino al 7 aprile, in tutti i post che hanno la manina rosa, lasciare un commento premia: il nostro sponsor è la Huggies, e ogni settimana i 15 aneddoti più divertenti ricevono uno sbadaluffo di pannolini a casa (a proposito: se non avete un account registrato, ricordatevi di lasciare un indirizzo mail in fondo al commento, per contattarvi se vincete).
Chi partecipa e non ha figli può usare i pannolini per imballare oggetti fragili o anche come confezione regalo di un anello di fidanzamento (so che è surreale ma il mio l'ho ricevuto proprio così, avvolto in un elegante Newborn. Però non era un Huggies. Mi scusi, signor sponsor) (Oddio, non si sarà mica offeso) (Uhm. Dev'essere della Vergine. Tipi un pochino permalosi).
Bene. E ora, visto che sono in ritardo perché ho impiegato 29 ore a capire come incollare il banner con la manina rosa, direi che possiamo anche partire.
Nelle prossime ore vi fornirò lo spunto per il primo tema. Ma sentitevi libere di proporre aneddoti anche extra-lista! Vale tutto, e sarei davvero felice se qualcuno dei commenti partiti da qui finisse sul palco di un teatro.
P.S. La Pupa dice spessissimo "Esterodàzzino". Il primo che indovina cos'è vince un bicchiere di vino rosso. Niente pannolini però.
so se che se leggete questo blog siete molto spiritose (e spiritosi), e inoltre:
- quasi certamente avete un figlio (o più)
- o un nipotino
- oppure occasionalmente, diovibenedica, avete fatto da babysitter ai miei pupi
- o comunque, insomma, quando vedete in giro un bambino non urlate per il raccapriccio,
se vi va, come spero, di partecipare, potete sbizzarrirvi con aneddoti inerenti ai temi che di volta in volta vi proporrò, e che ruotano tutti attorno alla maternità.
Funziona come con i normali commenti: voi li lasciate e io li raccolgo.
Col tempo vi svelerò nuovi dettagli sullo spettacolo: per ora posso dirvi che si terrà a maggio, sarà interpretato da un'attrice comica brava, simpatica e mamma di cui mannaggia ancora non ci hanno detto il nome, e che è un'iniziativa di The talking village (il banner che da settimane ho inserito sulla mia home page vi porta al sito). Per ogni dubbio, per scoprire la lista dei 10 blog che partecipano, oppure se siete blogger a vostra volta e volete dare il vostro contributo, andate a sbirciare Mamma che ridere.
Ah! Fino al 7 aprile, in tutti i post che hanno la manina rosa, lasciare un commento premia: il nostro sponsor è la Huggies, e ogni settimana i 15 aneddoti più divertenti ricevono uno sbadaluffo di pannolini a casa (a proposito: se non avete un account registrato, ricordatevi di lasciare un indirizzo mail in fondo al commento, per contattarvi se vincete).
Chi partecipa e non ha figli può usare i pannolini per imballare oggetti fragili o anche come confezione regalo di un anello di fidanzamento (so che è surreale ma il mio l'ho ricevuto proprio così, avvolto in un elegante Newborn. Però non era un Huggies. Mi scusi, signor sponsor) (Oddio, non si sarà mica offeso) (Uhm. Dev'essere della Vergine. Tipi un pochino permalosi).
Bene. E ora, visto che sono in ritardo perché ho impiegato 29 ore a capire come incollare il banner con la manina rosa, direi che possiamo anche partire.
Nelle prossime ore vi fornirò lo spunto per il primo tema. Ma sentitevi libere di proporre aneddoti anche extra-lista! Vale tutto, e sarei davvero felice se qualcuno dei commenti partiti da qui finisse sul palco di un teatro.
P.S. La Pupa dice spessissimo "Esterodàzzino". Il primo che indovina cos'è vince un bicchiere di vino rosso. Niente pannolini però.
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