We were born sick Nei giorni già densi che precedono le festività il precario menage maraonide è funestato da continue ricadute della Piccolissima, la quale nel mese di dicembre ha frequentato il nido per un totale di sei giorni, uno in più di quel che ci permetterebbe di usufruire della quota scontata del 50% causa malattia. La graziosa cialtrona passa dunque con disinvoltura da un malanno all'altro. «Possiamo a questo punto ragionevolmente sostenere che mia figlia è cagionevole, doc?» ho chiesto stamani alle 8.07 al pediatra. «In effetti», mi ha risposto lui con voce cavernosa (come ho già scritto, nutro il forte sospetto che risponda dal cesso alle chiamate dei genitori preoccupati).
Every sunday's getting more bleak Nell'inverno del nostro malcontento la Piccolissima si è svegliata ieri mattina con la febbre a 39 e un muco appiccicoso che le aveva - scusate il dettaglio - cancellato i lineamenti del volto. Da mesi in famiglia noi adulti si esce solo alternati, dovendo uno dei due restare a casa a badare alla figliola colante. I ratti maggiori non se ne curano ma continuano imperterriti nelle loro attività di disturbo della quiete.
I'll tell you my sins Incapaci di comprendere con esattezza di quali peccati siamo chiamati a rispondere, teniamo botta come possiamo. Gli incastri vita-lavoro si fanno via via più complessi. Io perdo progressivamente il senno anche grazie alle chat di mamme su Whatsapp, donde provengono notizie contrastanti sulle feste scolastiche e i compiti da eseguire. Nel casino ho ciccato l'orario della festa del Pupo: per la prima volta nella nostra carriera da genitori io e Mike Delfino siamo arrivati in ritardo alla recita natalizia.
Only then I am human Quindici minuti ci sono stati fatali. Siamo arrivati ultimi, quando i bambini di tutte le prime erano già sciamati dalla palestra in cui avevano intrecciato canti melodiosi fino in classe, dove avevano cominciato ad azzannare fette di pandoro e addobbi. «Mamma», la frase che non avrei mai voluto sentire, «Non siete venuti alla recita», mi ha detto il mio cucciolo-miele vestito da angioletto. Quaranta paia di occhi si sono posati su di noi.
And she's buying a stairway to Heaven Per consolarmi la rappresentante di classe mi ha intasato lo smartphone di improbabili video in cui il Pupo è un puntino sfuocato. «Tuo figlio se lo ricorderà per tutta la vita», mi ha detto un'altra mamma. Il giorno dopo mi ha chiamato un'amica, infuriata con l'ex marito. «Paola, so che non ci crederai. Quel colpevole idiota mi ha fatto tardare alla festa di Natale della scuola. Mi ha detto un'ora per l'altra, sono arrivata ed era già tutto finito. Una cosa, ti giuro, da vigliacchi. La bambina stava malissimo. Non mi sono mai sentita così miserabile». «Neanch'io», le ho risposto, e non sapevo cos'altro aggiungere.
Gonna put my pink dress on Nei momenti di difficoltà il maraonide si distingue per la sua capacità di reagire. Anche se questa volta persino mia madre, in genere indulgente e comprensiva, mi ha blandamente insultato per la mia inettitudine, mi sono sforzata di fingere che nulla fosse successo e il giorno dopo mi sono presentata alla recita della Pupa con inutile anticipo e un velo di rossetto sulle labbra. Per risarcimento ho fatto prelevare il Pupo dalla sua classe e ci ho portato pure lui. «Facciamo che vale come fosse la mia?» mi ha chiesto. «Paola, grazie al cielo oggi ce l'hai fatta», mi ha salutato la maestra di matematica. «Abbiamo saputo che ieri hai sbagliato orario». Quel che si dice una fama meritata.
One day baby we'll be old Ora ditemi per piacere che almeno una volta è successo anche a voi. Se non questo, almeno qualcosa di simile. Svelatemi qualcosa che io possa un giorno raccontare ai miei figli per riderne con loro.
And think of all the stories we could have told Sono tuttavia fortunata perché laddove un altro uomo mi avrebbe crocifisso, Mike Delfino ha incassato signorilmente e mi ha detestato in silenzio per un paio di minuti al massimo. I ratti maggiori hanno altrettanto fortunatamente ereditato il mio senso dell'umorismo: sono bambini spiritosi, abituati a drammatizzare solo eventi vacui e inessenziali. Non posso proprio lamentarmi di loro, se non per un dettaglio che ho inquadrato solo di recente: da una certa ora in poi, si deteriorano. Diciamo che dalle 19 perdono tono, vanno fuori controllo. Diventano insopportabili mucillagini, si fanno miagolanti e meosi (questo è un aggettivo che abbiamo inventato in famiglia, penso renda l'idea). Mentre scrivo questo post, al piano di sopra dorme il sonno dei giusti il Pelloni, primogenito della mia carissima Pellona, un santo di sei anni e mezzo insospettabilmente diventato amico del Pupo. Stasera io e Mike Delfino li guardavamo giocare e mentre lui infilava una serie di «Sì, certo», «Grazie mille», «Volentieri», «D'accordo», abbiamo pensato di aver sbagliato qualcosa nell'educare i nostri figli. Il punto è che non abbiamo mica capito cosa.
Soundtrack: Take me to church
Stairway to heaven
4th and vine
One day/Reckoning song
Ho traslocato su erounabravamamma.it
Vi aspetto!
lunedì 22 dicembre 2014
mercoledì 10 dicembre 2014
Ricorrenze
«E tu chi sei?» domandò il Bruco. […] Intimidita,
Alice rispose: «Io – a questo punto quasi non lo so più, signore – o
meglio, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma da allora credo
di essere cambiata più di una volta».
Tomorrow's gaining speed on you Stamani è arrivata in camera nostra la Pupa, morbida e stropicciata di sonno. «Sono le 8.08, mamma, lo sai?» ha pigolato con i segni del lenzuolo in faccia. Diciassette minuti dopo, maledicendo la sveglia che non era suonata, ho trascinato fuori casa i due ratti maggiori. Io sotto il cappotto indossavo un pile quasi nero, dei jeans macchiati, i fantasmini al posto delle calze. «Siamo arrivati giusti giusti», ha trillato il Pupo con la sua esse da Jovanotti alle 8.39, entrando disinvolto a scuola dal cancello della vergogna. «Non proprio, Pupo», gli ho urlato firmando il registro dei ritardi davanti agli occhi giudicanti della commessa, ma lui era già scomparso in fondo al corridoio.
And love, love will be my strongest weapon Dopo aver lasciato i ratti maggiori, sono tornata a casa in tempo per guardare la Piccolissima cominciare la sua giornata. Assieme a Mike Delfino ho aperto la porta della sua stanza che era inondata di sole, proprio come il giorno in cui è nata. Lei se ne stava sdraiata nel lettino sveglia, tranquilla. Si era messa il ciuccio in bocca da sola, e si guardava le mani. Poi ci ha visto e ha sorriso.
Make it all okay Pensavo di recente che negli ultimi mesi la Piccolissima ha triplicato il suo peso, ed è cresciuta in altezza di 30 centimetri. Cose che nella vita non le succederanno più. Poi pensavo che ha molti capelli, quasi solo in cima alla testa: sembra un misto tra Fonzie e Rihanna. E poi: cammina, ma solo attaccata ai muri. Scivola insomma felice e prudente lungo la vita, cercando di continuo un punto d'appoggio. Passa tanti minuti ad attaccare e staccare magneti dal frigo: speriamo tutti che, a differenza dei ratti maggiori, sia una persona contemplativa. Mangia volentieri zuppa di cipolla, sogliola, lenticchie. Dice «Am, am» quando qualcosa le piace molto, fa un chiaro «Prrr» quando non gradisce più. Strappa di continuo i peli al cane, poi gli infila la manina in bocca come farebbe un circense mettendo la testa tra le fauci di un leone. Lui resta immobile e si lascia strappare le tonsille mentre scuote perplesso la coda, spennellandole il volto.
Not again, not today Una volta quand'ero incintissima della Pupa, dieci anni fa, nel backstage del concerto dei R.E.M., ho avuto la fortuna di incontrare Michael Stipe. Lui mi ha posato una mano con le dita piene di cerotti bianchi - gli servivano per non farsi male mentre suonava - sul pancione. L'ha lasciata un po' lì. Era calda. Poi mi ha fissato e mi ha detto: «Have a good delivery». Mentre l'avevo davanti ho pensato, come sarebbe bello essere sempre guardata così da un uomo.
Forgiveness is the only hope I hold La Piccolissima nel frattempo chiama «mamma» le piastrelle della cucina, i suoi giochi, il padre, i fratelli. Io per ora sono il suo mondo. Da due giorni ha la febbre e il naso che cola, ma non lo sa. Questa settimana non andrà all'asilo, ma non lo sa. Dipende da me, da noi, in tutto; però non sa neanche questo. Stasera dopo cena le abbiamo messo davanti una torta con la sua prima candelina. L'ha guardata con scarso interesse, era stanca, aveva la febbre. Poi ha tentato un sorriso. Oggi il mio amore piccolissimo e grandissimo compie un anno, e nemmeno se lo immagina.
Soundtrack C'è in effetti un bellissimo album dei R.E.M. del 2004, si intitola Around the sun. Ascoltatelo tutto per piacere, specie The final straw. Poi pensate a Michael Stipe su quel palco, con i cerotti bianchi attorno alle dita.
Tomorrow's gaining speed on you Stamani è arrivata in camera nostra la Pupa, morbida e stropicciata di sonno. «Sono le 8.08, mamma, lo sai?» ha pigolato con i segni del lenzuolo in faccia. Diciassette minuti dopo, maledicendo la sveglia che non era suonata, ho trascinato fuori casa i due ratti maggiori. Io sotto il cappotto indossavo un pile quasi nero, dei jeans macchiati, i fantasmini al posto delle calze. «Siamo arrivati giusti giusti», ha trillato il Pupo con la sua esse da Jovanotti alle 8.39, entrando disinvolto a scuola dal cancello della vergogna. «Non proprio, Pupo», gli ho urlato firmando il registro dei ritardi davanti agli occhi giudicanti della commessa, ma lui era già scomparso in fondo al corridoio.
And love, love will be my strongest weapon Dopo aver lasciato i ratti maggiori, sono tornata a casa in tempo per guardare la Piccolissima cominciare la sua giornata. Assieme a Mike Delfino ho aperto la porta della sua stanza che era inondata di sole, proprio come il giorno in cui è nata. Lei se ne stava sdraiata nel lettino sveglia, tranquilla. Si era messa il ciuccio in bocca da sola, e si guardava le mani. Poi ci ha visto e ha sorriso.
Make it all okay Pensavo di recente che negli ultimi mesi la Piccolissima ha triplicato il suo peso, ed è cresciuta in altezza di 30 centimetri. Cose che nella vita non le succederanno più. Poi pensavo che ha molti capelli, quasi solo in cima alla testa: sembra un misto tra Fonzie e Rihanna. E poi: cammina, ma solo attaccata ai muri. Scivola insomma felice e prudente lungo la vita, cercando di continuo un punto d'appoggio. Passa tanti minuti ad attaccare e staccare magneti dal frigo: speriamo tutti che, a differenza dei ratti maggiori, sia una persona contemplativa. Mangia volentieri zuppa di cipolla, sogliola, lenticchie. Dice «Am, am» quando qualcosa le piace molto, fa un chiaro «Prrr» quando non gradisce più. Strappa di continuo i peli al cane, poi gli infila la manina in bocca come farebbe un circense mettendo la testa tra le fauci di un leone. Lui resta immobile e si lascia strappare le tonsille mentre scuote perplesso la coda, spennellandole il volto.
Not again, not today Una volta quand'ero incintissima della Pupa, dieci anni fa, nel backstage del concerto dei R.E.M., ho avuto la fortuna di incontrare Michael Stipe. Lui mi ha posato una mano con le dita piene di cerotti bianchi - gli servivano per non farsi male mentre suonava - sul pancione. L'ha lasciata un po' lì. Era calda. Poi mi ha fissato e mi ha detto: «Have a good delivery». Mentre l'avevo davanti ho pensato, come sarebbe bello essere sempre guardata così da un uomo.
Forgiveness is the only hope I hold La Piccolissima nel frattempo chiama «mamma» le piastrelle della cucina, i suoi giochi, il padre, i fratelli. Io per ora sono il suo mondo. Da due giorni ha la febbre e il naso che cola, ma non lo sa. Questa settimana non andrà all'asilo, ma non lo sa. Dipende da me, da noi, in tutto; però non sa neanche questo. Stasera dopo cena le abbiamo messo davanti una torta con la sua prima candelina. L'ha guardata con scarso interesse, era stanca, aveva la febbre. Poi ha tentato un sorriso. Oggi il mio amore piccolissimo e grandissimo compie un anno, e nemmeno se lo immagina.
Soundtrack C'è in effetti un bellissimo album dei R.E.M. del 2004, si intitola Around the sun. Ascoltatelo tutto per piacere, specie The final straw. Poi pensate a Michael Stipe su quel palco, con i cerotti bianchi attorno alle dita.
lunedì 24 novembre 2014
Il progresso che cancella l'anima dei luoghi
Chiedo tu cambi tutta la mia vita, ora
Stamattina Tiziano Ferro ha presentato il suo nuovo album - che poi è un lussuoso «best of» con una manciata di inediti - nell'altrettanto lussuoso cortile del palazzo del centro di proprietà di una nota maison di moda. Fuori, nella vetrina dello showroom, ho visto un vestitino da bambina da 1300 euro. Dentro il cortile invece era pieno di limoni (gli alberi) con tanto di limoni (i frutti) sui rami. Ho pensato strano però, a fine novembre, a Milano. Poi ho guardato in su e ho visto che a proteggere il cortile c'era un soffitto di cristallo che rendeva l'aria mite, più che accettabile pure per un manipolo di giornalisti selvaggi come me e i miei colleghi del mondo della musica.
E so che serve tempo, non lo nego Mentre Tiziano Ferro ci raccontava le sue canzoni, le sue storie sentimentali e il suo sconcerto nell'apprendere che i dischi non si vendono più come una volta, ho riflettuto su quei - quanti saranno stati? 150, 200? - metri quadrati di cristallo agganciato a possenti tiranti d'acciaio perché non precipitasse. Certo era più pulito dei vetri di casa mia, il che a cascata mi ha portato a immaginare pazienti lavavetri acrobati che per serbarne il lindore mettono a rischio le proprie vite - l'ultimo, a San Francisco, è caduto due giorni fa dall'undicesimo piano, miracolosamente salvandosi. Ecco, allora vorrei sapere voi cosa ne pensate di quella lastra di vetro, messa lì al fine di separarci dal cielo e di permettere l'esistenza dei limoni sui rami, a fine novembre, a Milano.
L'amore va veloce e tu stai indietro Ciò detto, Tiziano Ferro ha scritto molte belle canzoni, alcune vicine al capolavoro, è un bravo cristo, ha sofferto, e non ce l'ho con lui. Ce l'ho piuttosto con chi continua a offrirmi compensi ridicoli perché io scriva post sponsorizzati. Ce l'ho con chi mi spinge in metropolitana per entrare per primo nel vagone, ce l'ho con chi sputa per strada - e no, non sono solo stranieri. Ce l'ho col tempo che non basta mai e con le persone che al tempo non danno valore, con chi non riesce a darmi un appuntamento preciso e rimanda le interviste quattro, cinque, sei volte come se fosse del tutto irrilevante. Intanto lunedì prossimo devo consegnare il mio libro e dire che mi sento molto compressa è dir poco.
Un bene più segreto sfugge all'uomo Dall'universo della Piccolissima arrivano frattanto notizie contrastanti. Alla vigilia del suo primo compleanno sto tentando di darle il latte vaccino, nel biberon. Del mio non restano che poche gocce e in più sono esausta. L'altra sera sono riuscita a fregarla mentre dormiva. Ha ciucciato nel sonno e prima di capire che non quella non era la tetta si era già scolata 120 ml. Ieri sera invece l'ha bevuto da cosciente, e con gusto. Credevo con ciò di aver scollinato ma stamani alla vista del bibe mi ha regalato le sue migliori pernacchie. Poiché ho resettato le precedenti esperienze e non ricordo nulla, eccomi qua: accetto consigli. Come si fa?
La vertigine non è paura di cadere Sapevate che anche i Duran Duran hanno inciso la loro versione di Perfect day? Non è spregevole ma preferisco di gran lunga l'originale.
Quanto al mio giorno perfetto, è stato proprio l'altroieri. Mi sono sdraiata a letto al buio tra i Ratti Maggiori mentre il loro Trovastelle proiettava costellazioni sul soffitto. Ero frantumata dalla stanchezza. Il Ratto col favore delle tenebre mi ha afferrato la mano e poi ha sospirato: «Mamma, come è bello stare con te». La Ratta, già nel dormiveglia, ha aggiunto con voce sognante: «Sì, mamma, davvero. È meraviglioso». Non c'era nessuna lastra di vetro tra noi. Nessun riparo da tenere ossessivamente pulito, ma pioggia che cade, vita che scorre.
Soundtrack: Indietro
Stamattina Tiziano Ferro ha presentato il suo nuovo album - che poi è un lussuoso «best of» con una manciata di inediti - nell'altrettanto lussuoso cortile del palazzo del centro di proprietà di una nota maison di moda. Fuori, nella vetrina dello showroom, ho visto un vestitino da bambina da 1300 euro. Dentro il cortile invece era pieno di limoni (gli alberi) con tanto di limoni (i frutti) sui rami. Ho pensato strano però, a fine novembre, a Milano. Poi ho guardato in su e ho visto che a proteggere il cortile c'era un soffitto di cristallo che rendeva l'aria mite, più che accettabile pure per un manipolo di giornalisti selvaggi come me e i miei colleghi del mondo della musica.
E so che serve tempo, non lo nego Mentre Tiziano Ferro ci raccontava le sue canzoni, le sue storie sentimentali e il suo sconcerto nell'apprendere che i dischi non si vendono più come una volta, ho riflettuto su quei - quanti saranno stati? 150, 200? - metri quadrati di cristallo agganciato a possenti tiranti d'acciaio perché non precipitasse. Certo era più pulito dei vetri di casa mia, il che a cascata mi ha portato a immaginare pazienti lavavetri acrobati che per serbarne il lindore mettono a rischio le proprie vite - l'ultimo, a San Francisco, è caduto due giorni fa dall'undicesimo piano, miracolosamente salvandosi. Ecco, allora vorrei sapere voi cosa ne pensate di quella lastra di vetro, messa lì al fine di separarci dal cielo e di permettere l'esistenza dei limoni sui rami, a fine novembre, a Milano.
L'amore va veloce e tu stai indietro Ciò detto, Tiziano Ferro ha scritto molte belle canzoni, alcune vicine al capolavoro, è un bravo cristo, ha sofferto, e non ce l'ho con lui. Ce l'ho piuttosto con chi continua a offrirmi compensi ridicoli perché io scriva post sponsorizzati. Ce l'ho con chi mi spinge in metropolitana per entrare per primo nel vagone, ce l'ho con chi sputa per strada - e no, non sono solo stranieri. Ce l'ho col tempo che non basta mai e con le persone che al tempo non danno valore, con chi non riesce a darmi un appuntamento preciso e rimanda le interviste quattro, cinque, sei volte come se fosse del tutto irrilevante. Intanto lunedì prossimo devo consegnare il mio libro e dire che mi sento molto compressa è dir poco.
Un bene più segreto sfugge all'uomo Dall'universo della Piccolissima arrivano frattanto notizie contrastanti. Alla vigilia del suo primo compleanno sto tentando di darle il latte vaccino, nel biberon. Del mio non restano che poche gocce e in più sono esausta. L'altra sera sono riuscita a fregarla mentre dormiva. Ha ciucciato nel sonno e prima di capire che non quella non era la tetta si era già scolata 120 ml. Ieri sera invece l'ha bevuto da cosciente, e con gusto. Credevo con ciò di aver scollinato ma stamani alla vista del bibe mi ha regalato le sue migliori pernacchie. Poiché ho resettato le precedenti esperienze e non ricordo nulla, eccomi qua: accetto consigli. Come si fa?
La vertigine non è paura di cadere Sapevate che anche i Duran Duran hanno inciso la loro versione di Perfect day? Non è spregevole ma preferisco di gran lunga l'originale.
Quanto al mio giorno perfetto, è stato proprio l'altroieri. Mi sono sdraiata a letto al buio tra i Ratti Maggiori mentre il loro Trovastelle proiettava costellazioni sul soffitto. Ero frantumata dalla stanchezza. Il Ratto col favore delle tenebre mi ha afferrato la mano e poi ha sospirato: «Mamma, come è bello stare con te». La Ratta, già nel dormiveglia, ha aggiunto con voce sognante: «Sì, mamma, davvero. È meraviglioso». Non c'era nessuna lastra di vetro tra noi. Nessun riparo da tenere ossessivamente pulito, ma pioggia che cade, vita che scorre.
Soundtrack: Indietro
martedì 11 novembre 2014
Tanti auguri, miele
My darling one is turning 6
Sei anni fa come oggi, quasi esattamente a quest'ora, in tutta fretta nasceva il mio Pupo, colui che più adoro e più mi fa impazzire. Il Pupo, il cui nome significa «uomo forte», sempre impegnato a dimostrare che è vero. Il bambino che ha una casa occupata nel cuore, sotto assedio perenne, senza requie, il Pupo, il mio Pupo: un costante brivido sotto la pelle. «Sei bellissimo» gli ripetono (troppo) spesso, al punto che mi chiedo che effetto gli faccia. Il Pupo prima ti ama e poi ti ammazza. Ti riempie di baci e ti spara. Chissà sotto quale cielo, con precisione, è venuto al mondo, cosa lo spinge a scappare da sé stesso e poi invariabilmente tornare, a essere assieme fuoco, terra e vento - a essere eroe e vigliacco, coraggioso e pusillanime, saggissimo e stolto.
Oh love of mine Difficile che al Pupo ne vada dritta una. Difficile che non gli caschi un gioco, che non provochi una lite, che non rompa per sbaglio un vetro, che non si tagli un ginocchio o almeno un pantalone. Che a scuola, in prima elementare, non sia sua la prima nota sul diario. Che in giardino davanti a casa non tolga la terra dai vasi facendosi sgridare dai vicini, che non perseguiti i lombrichi portandoli via da una pozza per spostarli in un'altra, qualche metro più in là. Che non si faccia sorprendere con le mani nel vasetto della nutella, che non rubi una fetta di torta per portarla di nascosto al suo amico del cuore. Il Pupo è Pierino, Pierino è il Pupo. O il lupo.
Would you condescend to help me Il Pupo è anche quello che ha paura del buio, e di E.T.; che ti prega di fargli «mille coccole, e poi ancora mille» per traghettarlo in un sonno senza mostri. Che la notte chiama «mamma» con una vocina da piccolissimo, e di giorno si cambia chiuso in bagno, da solo, perché già da mesi non vuole più farsi vedere nudo. Il Pupo è paterno. O materno. Accudisce i piccoli come fossero una cosa delicata e preziosa. Quando si dimentica di dover fare il duro è dolce e morbido. Quando si lascia baciare sul collo e ride della sua risata argentina, mi suonano in testa mille campane. Quando gli chiedo qual è il suo preferito dei mille soprannomi che gli ho dato, mi guarda e mi sussurra: «miele». Auguri Pupo, mia croce, mia delizia.
Sei anni fa come oggi, quasi esattamente a quest'ora, in tutta fretta nasceva il mio Pupo, colui che più adoro e più mi fa impazzire. Il Pupo, il cui nome significa «uomo forte», sempre impegnato a dimostrare che è vero. Il bambino che ha una casa occupata nel cuore, sotto assedio perenne, senza requie, il Pupo, il mio Pupo: un costante brivido sotto la pelle. «Sei bellissimo» gli ripetono (troppo) spesso, al punto che mi chiedo che effetto gli faccia. Il Pupo prima ti ama e poi ti ammazza. Ti riempie di baci e ti spara. Chissà sotto quale cielo, con precisione, è venuto al mondo, cosa lo spinge a scappare da sé stesso e poi invariabilmente tornare, a essere assieme fuoco, terra e vento - a essere eroe e vigliacco, coraggioso e pusillanime, saggissimo e stolto.
Oh love of mine Difficile che al Pupo ne vada dritta una. Difficile che non gli caschi un gioco, che non provochi una lite, che non rompa per sbaglio un vetro, che non si tagli un ginocchio o almeno un pantalone. Che a scuola, in prima elementare, non sia sua la prima nota sul diario. Che in giardino davanti a casa non tolga la terra dai vasi facendosi sgridare dai vicini, che non perseguiti i lombrichi portandoli via da una pozza per spostarli in un'altra, qualche metro più in là. Che non si faccia sorprendere con le mani nel vasetto della nutella, che non rubi una fetta di torta per portarla di nascosto al suo amico del cuore. Il Pupo è Pierino, Pierino è il Pupo. O il lupo.
Would you condescend to help me Il Pupo è anche quello che ha paura del buio, e di E.T.; che ti prega di fargli «mille coccole, e poi ancora mille» per traghettarlo in un sonno senza mostri. Che la notte chiama «mamma» con una vocina da piccolissimo, e di giorno si cambia chiuso in bagno, da solo, perché già da mesi non vuole più farsi vedere nudo. Il Pupo è paterno. O materno. Accudisce i piccoli come fossero una cosa delicata e preziosa. Quando si dimentica di dover fare il duro è dolce e morbido. Quando si lascia baciare sul collo e ride della sua risata argentina, mi suonano in testa mille campane. Quando gli chiedo qual è il suo preferito dei mille soprannomi che gli ho dato, mi guarda e mi sussurra: «miele». Auguri Pupo, mia croce, mia delizia.
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that's amore
mercoledì 5 novembre 2014
Trenta giorni all'alba
Dovete fare pensieri dolci e meravigliosi
Mi è piaciuto che questo inizio d'autunno sia stato a conti fatti fin qui così clemente. Mi piace però anche il vento che oggi agita le foglie degli alberi in giardino e rende i bambini elettrici. Per finire il libro che sto scrivendo di recente mi capita di alzarmi alle 5.40, subito dopo la poppata mattutina della Piccolissima, anziché tornare a letto a rotolarmi e imprecare nel tentativo di riprendere sonno. Così ho osservato l'alba più spesso di quanto mi sia mai capitato prima. Molti scrittori che ho intervistato per lavoro negli anni, in effetti, mi hanno ripetuto che è proprio in quel momento sospeso tra la notte e il giorno che riusciamo a volare alti; è in quell'ora assieme magica e tragica che ancora possiamo sentire quel prurito sulle spalle nel punto dove un tempo avevamo un paio di ali.
Nessun uomo bianco è così astuto Da cogliere di sorpresa i pellerossa senza imbrogliare. Pensavo che quelle raccontate dai famosi scrittori fossero fregnacce e invece ho capito che se ho una probabilità su cento di riuscire, un giorno, a campare di libri, quella probabilità risiede per me nell'arrivare in anticipo sulla giornata; evitando, nei limiti del possibile, di farmela rotolare addosso come uno schiacciasassi implacabile che non ho modo di schivare.
Quando il primo bambino rise per la prima volta Nel frattempo i miei figli permangono in modalità casino, il che non aiuta la mia concentrazione. Sono lieta di verificare giorno dopo giorno che hanno in questo preso da me, tutti e tre, e amplificano con la crescita il fare caciarone ma tenace tipico dei Maraonidi. Il Maraone non entra, irrompe. Il Maraone non cammina, corre. Non si stanca, si sfinisce. Non mangia, si abbotta. Non discute, ma massacra l'avversario. Non sorride, si contorce a terra dalle risate fino a svenire. È in fondo una specie di Chuck Norris, però di origini ciociare.
Tutti i bambini crescono, meno uno Avere in casa tre Maraonidi di statura compresa tra i 70 e i 130 centimetri è un bello sbattimento persino per la Maraonide-madre, che avendoli generati e geneticamente influenzati ben sa di che pasta sono fatti. All'asilo nido della Piccolissima l'ultimo report la descrive «ottimamente inserita, simpatica, decisa, ostinata; per ottenere quel che vuole strilla a più non posso finché non l'ottiene». Tra gli altri achievements della Pupa ci sono la risata sforzata a comando (con tono gutturale), il ripetere «mamma» con voce bassissima e rauca, tipo E.T., il segnalare l'appetito con una serie di «am, am, am» progressivi espressi a decibel che aumentano esponenzialmente.
Oh, perché non puoi restare così per sempre? I Pupi grandi sono molto affezionati alla sorella. Le affibbiano ogni genere di soprannome e lei risponde a tutti. La chiamano «corpo» perché soprattutto da nuda somiglia a un compatto tronchetto della felicità. Oppure Bobona, Small Boboni, Sbomballoni, e ultimamente anche Small Farloni che non vuol dire niente ma fa ridere. «Dov'è tua sorella?». «Sta farlonando sotto il tavolo». «Che combina Boboni?». «Ha dato ancora il suo Plasmon al cane». Laccio ha capito come gira il fumo e si fa trattare come una bambola di pezza in cambio di doni gastronomici: il Pupo lo chiama «lo spazzino» perché quando a tavola non gli piace qualcosa è sufficiente farlo scivolare a terra con discrezione; qualcuno, nel giro di pochi istanti, arriverà a farlo sparire. Se mi fate una lista dei soprannomi più buffi in voga nelle vostre famiglie ve ne sarò grata.
Soundtrack: Se avete capito le citazioni (penso di sì, eh) allora sapete anche cosa andare a (ri)ascoltare.
Mi è piaciuto che questo inizio d'autunno sia stato a conti fatti fin qui così clemente. Mi piace però anche il vento che oggi agita le foglie degli alberi in giardino e rende i bambini elettrici. Per finire il libro che sto scrivendo di recente mi capita di alzarmi alle 5.40, subito dopo la poppata mattutina della Piccolissima, anziché tornare a letto a rotolarmi e imprecare nel tentativo di riprendere sonno. Così ho osservato l'alba più spesso di quanto mi sia mai capitato prima. Molti scrittori che ho intervistato per lavoro negli anni, in effetti, mi hanno ripetuto che è proprio in quel momento sospeso tra la notte e il giorno che riusciamo a volare alti; è in quell'ora assieme magica e tragica che ancora possiamo sentire quel prurito sulle spalle nel punto dove un tempo avevamo un paio di ali.
Nessun uomo bianco è così astuto Da cogliere di sorpresa i pellerossa senza imbrogliare. Pensavo che quelle raccontate dai famosi scrittori fossero fregnacce e invece ho capito che se ho una probabilità su cento di riuscire, un giorno, a campare di libri, quella probabilità risiede per me nell'arrivare in anticipo sulla giornata; evitando, nei limiti del possibile, di farmela rotolare addosso come uno schiacciasassi implacabile che non ho modo di schivare.
Quando il primo bambino rise per la prima volta Nel frattempo i miei figli permangono in modalità casino, il che non aiuta la mia concentrazione. Sono lieta di verificare giorno dopo giorno che hanno in questo preso da me, tutti e tre, e amplificano con la crescita il fare caciarone ma tenace tipico dei Maraonidi. Il Maraone non entra, irrompe. Il Maraone non cammina, corre. Non si stanca, si sfinisce. Non mangia, si abbotta. Non discute, ma massacra l'avversario. Non sorride, si contorce a terra dalle risate fino a svenire. È in fondo una specie di Chuck Norris, però di origini ciociare.
Tutti i bambini crescono, meno uno Avere in casa tre Maraonidi di statura compresa tra i 70 e i 130 centimetri è un bello sbattimento persino per la Maraonide-madre, che avendoli generati e geneticamente influenzati ben sa di che pasta sono fatti. All'asilo nido della Piccolissima l'ultimo report la descrive «ottimamente inserita, simpatica, decisa, ostinata; per ottenere quel che vuole strilla a più non posso finché non l'ottiene». Tra gli altri achievements della Pupa ci sono la risata sforzata a comando (con tono gutturale), il ripetere «mamma» con voce bassissima e rauca, tipo E.T., il segnalare l'appetito con una serie di «am, am, am» progressivi espressi a decibel che aumentano esponenzialmente.
Oh, perché non puoi restare così per sempre? I Pupi grandi sono molto affezionati alla sorella. Le affibbiano ogni genere di soprannome e lei risponde a tutti. La chiamano «corpo» perché soprattutto da nuda somiglia a un compatto tronchetto della felicità. Oppure Bobona, Small Boboni, Sbomballoni, e ultimamente anche Small Farloni che non vuol dire niente ma fa ridere. «Dov'è tua sorella?». «Sta farlonando sotto il tavolo». «Che combina Boboni?». «Ha dato ancora il suo Plasmon al cane». Laccio ha capito come gira il fumo e si fa trattare come una bambola di pezza in cambio di doni gastronomici: il Pupo lo chiama «lo spazzino» perché quando a tavola non gli piace qualcosa è sufficiente farlo scivolare a terra con discrezione; qualcuno, nel giro di pochi istanti, arriverà a farlo sparire. Se mi fate una lista dei soprannomi più buffi in voga nelle vostre famiglie ve ne sarò grata.
Soundtrack: Se avete capito le citazioni (penso di sì, eh) allora sapete anche cosa andare a (ri)ascoltare.
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giovedì 23 ottobre 2014
I bambini e l'autunno
Ditemi, dunque
Vorrei sapere chi ha inventato l'espressione «mali di stagione». I mali di stagione sono come la frutta di stagione? Ad ogni buon conto a Milano fino all'altro ieri c'erano 25 gradi e nonostante questo la Piccolissima si è beccata tre forme virali in un mese (tra cui la sesta malattia).
«Paola, è il caldo. C'è troppo caldo» mi ripete sempre un mio amico, maestro di yoga.
«È il nido. Sai, questi bambini che vengono al nido e si sputazzano addosso... mangiano gli stessi giochi...» (state attenti: questo mi fa molto ridere. La frase non è, chessò, «bevono dallo stesso bicchiere», ma «mangiano gli stessi giochi». Che in effetti è vero). Segue considerazione finale: «Cosa vuoi, Mamma, non puoi aspettarti nulla di diverso» (questo me l'ha detto la maestra dell'asilo. Solo le maestre e gli operatori sanitari ti chiamano «mamma». Io ogni volta resto sconcertata per qualche istante, e mi viene il dubbio di avere avuto altri figli senza accorgermene).
Tous le mêmes La mia pediatra di riferimento, la dottoressa ZiaBubu, è tanto brava da essere sempre impegnata. L'ultima volta, due settimane fa, quando l'ho chiamata mi ha detto che aveva posto a novembre. «Ma mia figlia è malata adesso». Naturalmente la Piccolissima si ammala sempre di venerdì. Il nostro pediatra di base, ex chitarrista degli Stormy Six, ex aspirante cohouser, appassionato velista, è uno di cui mi fido. Però per avere un suo parere bisogna chiamarlo la mattina tra le 8 e le 9, prima che vada in studio. Spesso lo trovo occupato, poi a quell'ora sto portando bambini a scuola e cani in giro e perdo l'occasione. Anche quando lo becco sono sempre un po' a disagio perché ho la sensazione che mi stia rispondendo dal cesso. Comunque l'ultima volta non sono riuscita a parlargli e con la ZiaBubu irraggiungibile e il weekend che incombeva mi sono sentita in dovere di procurarmi un nuovo medico. Un simile gesto sa sempre di tradimento, ma comunque ne avevo proprio bisogno. La mia amica C. nel parlarmi di lui mi ha spiegato che è il dottore di riferimento della Comunità ebraica di Milano. Ho detto solo «ah» perché non sapevo come commentare la notizia. Lei mi ha visto incerta e allora ha specificato: «Sai, gli ebrei sono gente seria. Sanno quel che fanno. E poi, hanno un sacco di figli. Dunque il loro medico dev'essere per forza bravo». Ho detto ancora: «ah».
Et que j'aime trop les blablablas Il dottore in questione mi ha ricevuto la sera stessa di venerdì, alle 19.30. «Oggi finisco presto», ha precisato quando, un'oretta più tardi, ci siamo salutati. «Ma le mie figlie sono grandi, non hanno più tanto bisogno di me». È un uomo preciso, coscienzioso e non mi ha chiamato «mamma». La Piccolissima aveva la solita inutile forma virale ma niente alle orecchie e niente nei polmoni. Il dottore mi ha consigliato di farle osservare dopo ogni malanno un periodo di convalescenza e di lavarle il naso sì, ma con acqua tiepida. Ecco due cose su cui non avevo mai riflettuto, a testimonianza del fatto che anche una mamma-pro ha sempre qualcosa da imparare.
Dis-moi merci Dovete sapere che il sistema immunitario dei miei Pupi grandi è molto wow. Sarà l'omeopatia? L'alimentazione? La vita attiva? Il riposo adeguato? Una gran botta di c...? Sta di fatto che l'anno scorso non hanno perso un giorno di scuola. Tuttavia l'altro giorno il Pupo, proprio lui! ci ha tradito. «Buongiorno, qui è l'elementare XY. Dovete venire a prendere... il bambino. O la bambina. Cos'è, maschio o femmina? Ha la febbre». «Ho un maschio e una femmina. Dev'essere lei a dirmi quale dei due». «Eeeh, aspett... È il Pupo. È il Pupo». «Cos...?». «Clic». Benedicendo l'usuale accuratezza ed empatia di cui sono capaci le commesse della nostra scuola, Mike Delfino è partito in quarta per andare a salvare la sua adorata progenie. Stavo giusto finendo di dire alla mia collega: «Oh, per fortuna che per una volta ci è andato lui», quando mi è squillato il telefono. (Mike Delfino, con voce grave): «Sono io. Sono qui con il bambino. Ora che si fa?». «Non so, intanto magari puoi dirmi come sta». «Eeeh... gli provo la febbre?». «Magari. E poi mi richiami». (Due minuti dopo, con voce catacombale): «Sono sempre io. Ha 37.8. È alta. E ora che si fa?». «Se ha anche, tiro a indovinare, mal di gola e brividi, e se la temperatura sale, ma soprattutto: se lui si lamenta, tra un po' puoi dargli della tachipirina». «Eh, già. Ma dove la vado a pescare la tachipirina?».
Vous les hommes êtes tous les mêmes Nel breve istante di esitazione intercorso tra quella domanda e la mia risposta, mi è venuta in mente una pubblicità di qualche anno fa, di cui però ho solo un vago ricordo. Magari voi potete aiutarmi. «Ehi, mi hai sentito? Si può sapere dove la trovo, questa tachipirina?».
«In freezer. Devi guardare in freezer. È lì che teniamo i medicinali. E non, come qualcuno potrebbe pensare, nell'armadietto in bagno».
Soundtrack: Tous le mêmes
Vorrei sapere chi ha inventato l'espressione «mali di stagione». I mali di stagione sono come la frutta di stagione? Ad ogni buon conto a Milano fino all'altro ieri c'erano 25 gradi e nonostante questo la Piccolissima si è beccata tre forme virali in un mese (tra cui la sesta malattia).
«Paola, è il caldo. C'è troppo caldo» mi ripete sempre un mio amico, maestro di yoga.
«È il nido. Sai, questi bambini che vengono al nido e si sputazzano addosso... mangiano gli stessi giochi...» (state attenti: questo mi fa molto ridere. La frase non è, chessò, «bevono dallo stesso bicchiere», ma «mangiano gli stessi giochi». Che in effetti è vero). Segue considerazione finale: «Cosa vuoi, Mamma, non puoi aspettarti nulla di diverso» (questo me l'ha detto la maestra dell'asilo. Solo le maestre e gli operatori sanitari ti chiamano «mamma». Io ogni volta resto sconcertata per qualche istante, e mi viene il dubbio di avere avuto altri figli senza accorgermene).
Tous le mêmes La mia pediatra di riferimento, la dottoressa ZiaBubu, è tanto brava da essere sempre impegnata. L'ultima volta, due settimane fa, quando l'ho chiamata mi ha detto che aveva posto a novembre. «Ma mia figlia è malata adesso». Naturalmente la Piccolissima si ammala sempre di venerdì. Il nostro pediatra di base, ex chitarrista degli Stormy Six, ex aspirante cohouser, appassionato velista, è uno di cui mi fido. Però per avere un suo parere bisogna chiamarlo la mattina tra le 8 e le 9, prima che vada in studio. Spesso lo trovo occupato, poi a quell'ora sto portando bambini a scuola e cani in giro e perdo l'occasione. Anche quando lo becco sono sempre un po' a disagio perché ho la sensazione che mi stia rispondendo dal cesso. Comunque l'ultima volta non sono riuscita a parlargli e con la ZiaBubu irraggiungibile e il weekend che incombeva mi sono sentita in dovere di procurarmi un nuovo medico. Un simile gesto sa sempre di tradimento, ma comunque ne avevo proprio bisogno. La mia amica C. nel parlarmi di lui mi ha spiegato che è il dottore di riferimento della Comunità ebraica di Milano. Ho detto solo «ah» perché non sapevo come commentare la notizia. Lei mi ha visto incerta e allora ha specificato: «Sai, gli ebrei sono gente seria. Sanno quel che fanno. E poi, hanno un sacco di figli. Dunque il loro medico dev'essere per forza bravo». Ho detto ancora: «ah».
Et que j'aime trop les blablablas Il dottore in questione mi ha ricevuto la sera stessa di venerdì, alle 19.30. «Oggi finisco presto», ha precisato quando, un'oretta più tardi, ci siamo salutati. «Ma le mie figlie sono grandi, non hanno più tanto bisogno di me». È un uomo preciso, coscienzioso e non mi ha chiamato «mamma». La Piccolissima aveva la solita inutile forma virale ma niente alle orecchie e niente nei polmoni. Il dottore mi ha consigliato di farle osservare dopo ogni malanno un periodo di convalescenza e di lavarle il naso sì, ma con acqua tiepida. Ecco due cose su cui non avevo mai riflettuto, a testimonianza del fatto che anche una mamma-pro ha sempre qualcosa da imparare.
Dis-moi merci Dovete sapere che il sistema immunitario dei miei Pupi grandi è molto wow. Sarà l'omeopatia? L'alimentazione? La vita attiva? Il riposo adeguato? Una gran botta di c...? Sta di fatto che l'anno scorso non hanno perso un giorno di scuola. Tuttavia l'altro giorno il Pupo, proprio lui! ci ha tradito. «Buongiorno, qui è l'elementare XY. Dovete venire a prendere... il bambino. O la bambina. Cos'è, maschio o femmina? Ha la febbre». «Ho un maschio e una femmina. Dev'essere lei a dirmi quale dei due». «Eeeh, aspett... È il Pupo. È il Pupo». «Cos...?». «Clic». Benedicendo l'usuale accuratezza ed empatia di cui sono capaci le commesse della nostra scuola, Mike Delfino è partito in quarta per andare a salvare la sua adorata progenie. Stavo giusto finendo di dire alla mia collega: «Oh, per fortuna che per una volta ci è andato lui», quando mi è squillato il telefono. (Mike Delfino, con voce grave): «Sono io. Sono qui con il bambino. Ora che si fa?». «Non so, intanto magari puoi dirmi come sta». «Eeeh... gli provo la febbre?». «Magari. E poi mi richiami». (Due minuti dopo, con voce catacombale): «Sono sempre io. Ha 37.8. È alta. E ora che si fa?». «Se ha anche, tiro a indovinare, mal di gola e brividi, e se la temperatura sale, ma soprattutto: se lui si lamenta, tra un po' puoi dargli della tachipirina». «Eh, già. Ma dove la vado a pescare la tachipirina?».
Vous les hommes êtes tous les mêmes Nel breve istante di esitazione intercorso tra quella domanda e la mia risposta, mi è venuta in mente una pubblicità di qualche anno fa, di cui però ho solo un vago ricordo. Magari voi potete aiutarmi. «Ehi, mi hai sentito? Si può sapere dove la trovo, questa tachipirina?».
«In freezer. Devi guardare in freezer. È lì che teniamo i medicinali. E non, come qualcuno potrebbe pensare, nell'armadietto in bagno».
Soundtrack: Tous le mêmes
giovedì 9 ottobre 2014
Buoni propositi (o occasioni sprecate)
Cadono le bombe sopra i tetti
Non hai un risotto da seguire perché non si attacchi alla pentola, un articolo di giornale da leggere, o addirittura un libro - visto che è con quello in mano, che ami farti vedere in giro?
Non potresti più proficuamente dedicarti al cambio di stagione, giacché l'autunno, è evidente, ci si insinua tra le lenzuola e negli armadi e anche i più coriacei tra noi hanno dovuto arrendersi alle calze e alle scarpe chiuse?
Esplodono le granate nelle case
Che ne diresti, in alternativa, di iscriverti a un corso? Ma stavolta devi andarci per davvero, eh. Non come quella volta che hai pagato in anticipo per tutto l'anno e poi, delle dodici lezioni di cucina creativa, ne hai frequentate solo due (o tre).
Potresti senza troppo sforzo osare l'orto sul terrazzo: su internet ci sono un sacco di tutorial che spiegano come fare. Se invece la pigrizia avesse la meglio su di te, ricordati che a due isolati da casa organizzano un bel cineforum. Al bar dell'angolo troverai i volantini. Non costa neanche tanto, e in programmazione ci sono i film dell'anno scorso, quelli che hai perso perché la mamma era malata/ti è nato un figlio/hai fatto troppi straordinari al lavoro.
Tutte le nostre paure e debolezze le butteremo via
Senza contare quel che ti è rimasto indietro. Settimane fa hai giurato che avresti mandato al tuo amico una lettera vera, di carta, proprio come si faceva una volta, ma non hai ancora trovato una mezz'ora libera per scriverla.
Avevi anche promesso a tua sorella, ricordi? che l'avresti aiutata a cambiare il box doccia. È una faticaccia ma, almeno, quando vai a trovarla ti prepara una crostata da sballo. Ci mette un po' troppo burro ma che diavolo: la mangi così di rado che certo non ti ucciderà.
Potresti imparare a nuotare. O a sciare. Potresti passare un weekend al mare e goderti la luce morbida del tramonto di metà pomeriggio. È arrivato il momento di ritinteggiare la cucina. Di mettere a posto la bicicletta. Di prendere le lenzuola nuove per il letto, allegre e colorate proprio come le sognavi. Di fare il pane a mano/di comprare il pane, per sfizio, per una volta, nel negozio più buono e più caro del quartiere.
Aspetteremo una nuova stagione
Tra l'altro, te lo devo proprio chiedere: su cosa stai vigilando esattamente? Quale micro-porzione di mondo temi vada in pezzi, se tu non sarai lì a montare la tua silenziosa guardia, come un cane fedele? Ti dò una notizia: non c'è proprio niente da guardare. Nessuno cambierà idea grazie al tuo contributo. Ci sono invece, piuttosto, tantissime cose che rimandi da tempo. Troppo tempo. È una vergogna, ti ripeti di continuo, ma in concreto non fai nulla per cambiare la situazione. Consiglio mio: perché non te le scrivi su un foglio queste cose e poi, a cominciare dalla prima, non provi a realizzarle?
Vai a correre. Vai a teatro. Regalati un giro di shopping. Non perdere l'inaugurazione di quella mostra. Impara a produrre la birra artigianale. Cara sentinella in piedi, non ci credo che non hai nient'altro da fare. La vita è breve. Il tempo non si ferma. Se proprio te ne stai lì con le mani in mano, prova a guardare questo video. Ma soprattutto: non costringere tuo figlio/tuo nipote a seguirti, quando partecipi alle tue inutili veglie silenziose. È solo un bambino. Hai mai pensato che potrebbe essere omosessuale? Non glielo auguro, eh. Poveretto. Con una madre, un padre, uno zio, un nonno come te, quanta fatica farebbe.
Soundtrack: Estate #1107
Non hai un risotto da seguire perché non si attacchi alla pentola, un articolo di giornale da leggere, o addirittura un libro - visto che è con quello in mano, che ami farti vedere in giro?
Non potresti più proficuamente dedicarti al cambio di stagione, giacché l'autunno, è evidente, ci si insinua tra le lenzuola e negli armadi e anche i più coriacei tra noi hanno dovuto arrendersi alle calze e alle scarpe chiuse?
Esplodono le granate nelle case
Che ne diresti, in alternativa, di iscriverti a un corso? Ma stavolta devi andarci per davvero, eh. Non come quella volta che hai pagato in anticipo per tutto l'anno e poi, delle dodici lezioni di cucina creativa, ne hai frequentate solo due (o tre).
Potresti senza troppo sforzo osare l'orto sul terrazzo: su internet ci sono un sacco di tutorial che spiegano come fare. Se invece la pigrizia avesse la meglio su di te, ricordati che a due isolati da casa organizzano un bel cineforum. Al bar dell'angolo troverai i volantini. Non costa neanche tanto, e in programmazione ci sono i film dell'anno scorso, quelli che hai perso perché la mamma era malata/ti è nato un figlio/hai fatto troppi straordinari al lavoro.
Tutte le nostre paure e debolezze le butteremo via
Senza contare quel che ti è rimasto indietro. Settimane fa hai giurato che avresti mandato al tuo amico una lettera vera, di carta, proprio come si faceva una volta, ma non hai ancora trovato una mezz'ora libera per scriverla.
Avevi anche promesso a tua sorella, ricordi? che l'avresti aiutata a cambiare il box doccia. È una faticaccia ma, almeno, quando vai a trovarla ti prepara una crostata da sballo. Ci mette un po' troppo burro ma che diavolo: la mangi così di rado che certo non ti ucciderà.
Potresti imparare a nuotare. O a sciare. Potresti passare un weekend al mare e goderti la luce morbida del tramonto di metà pomeriggio. È arrivato il momento di ritinteggiare la cucina. Di mettere a posto la bicicletta. Di prendere le lenzuola nuove per il letto, allegre e colorate proprio come le sognavi. Di fare il pane a mano/di comprare il pane, per sfizio, per una volta, nel negozio più buono e più caro del quartiere.
Aspetteremo una nuova stagione
Tra l'altro, te lo devo proprio chiedere: su cosa stai vigilando esattamente? Quale micro-porzione di mondo temi vada in pezzi, se tu non sarai lì a montare la tua silenziosa guardia, come un cane fedele? Ti dò una notizia: non c'è proprio niente da guardare. Nessuno cambierà idea grazie al tuo contributo. Ci sono invece, piuttosto, tantissime cose che rimandi da tempo. Troppo tempo. È una vergogna, ti ripeti di continuo, ma in concreto non fai nulla per cambiare la situazione. Consiglio mio: perché non te le scrivi su un foglio queste cose e poi, a cominciare dalla prima, non provi a realizzarle?
Vai a correre. Vai a teatro. Regalati un giro di shopping. Non perdere l'inaugurazione di quella mostra. Impara a produrre la birra artigianale. Cara sentinella in piedi, non ci credo che non hai nient'altro da fare. La vita è breve. Il tempo non si ferma. Se proprio te ne stai lì con le mani in mano, prova a guardare questo video. Ma soprattutto: non costringere tuo figlio/tuo nipote a seguirti, quando partecipi alle tue inutili veglie silenziose. È solo un bambino. Hai mai pensato che potrebbe essere omosessuale? Non glielo auguro, eh. Poveretto. Con una madre, un padre, uno zio, un nonno come te, quanta fatica farebbe.
Soundtrack: Estate #1107
lunedì 29 settembre 2014
Fratelli, ancora sogni, e vento di scirocco
Mi fa paura il silenzio, ma non sopporto il rumore
Il Pupo 2.0 ha perso un dentino e sibila come non mai. La scuola va «benissimo» e lui è un bambino nuovo, che tra le altre cose la sera apparecchia da solo la tavola in modo spontaneo e creativo. Per premiare il suo spirito di iniziativa ci troviamo perciò costretti a mangiare usando i coltelli da pesce e le forchette da insalata, di cui è un grande amante. Si cena sempre a lume di candela perché «è romantico e misterioso». Tra i piatti dispone banane che ha tagliato lui stesso a pezzetti, col coltello. «Non ti è familiare, mamma?» mi chiede indicandomi ogni volta, orgoglioso, gli stessi gruppetti di bucce e polpe. Per non frustrare la sua passione per il table setting evito di rispondergli che mi sembrano buttate lì a caso. A fine cena occorre anche mangiare i bocconi anneriti.
Vedo passare persone, e cani Per qualche motivo insondabile la gente si sente in dovere di raccontarmi tutti i fatti suoi, sempre. In particolare, sono un magnete per gli sciroccati. Poiché non sono ancora rientrata dalla maternità - lo farò lunedì prossimo - incontro persone perlopiù nella sala d'attesa del pediatra oppure all'asilo, o a scuola: dunque il mio target di riferimento sono sciroccate femmine e prole-munite.
Sciroccata 1, aka donna che conosco da dieci minuti al termine di un monologo in cui ha parlato solo di sé e dei suoi figli: «... E naturalmente il bambino non lo faccio vaccinare».
Io: «Eccallà. Guarda, non sono la persona adatta con cui parlare di questo tema».
Lei: «Peeerché?»
Io: «La mia tesi di laurea è sulle malattie infettive, e sui vaccini».
Lei: «Io ho sentito parlare di bambini che sono diventati autistici dopo il vaccino. Ci sono un sacco di studi in tal senso. E poi i vaccini distruggono il sistema immunitario, e questo lo sanno anche i sassi».
Io: «Se tutti ragionassero come te, il mondo sarebbe allo sbando».
I matti vanno contenti, sull'orlo della normalità Per fortuna quando incontro uno sciroccato ho imparato a dirgli subito quello che penso e a girare i tacchi. È curioso, ma di recente mi sono anche imbattuta in diverse sostenitrici della corrente da me denominata «bambinismo senza limitismo».
Sciroccata 2, aka donna che conosco da cinque minuti, incontrata a una festa di amici: «... E insomma tu come ti trovi con il tuo pediatra? No, perché la mia mi ha ricusato».
Io: «Come? Non ho mai sentito una cosa simile.»
«Sai, ritengo che i bambini non debbano conoscere limiti né imposizioni. Hai letto il libro Smettila di reprimere tuo figlio? In pratica la tesi, che io trovo validissima, è che un bambino abbia sempre un motivo per fare quello che fa. Quelli che possono sembrare pianti e capricci sono in realtà espressione di un bisogno profondo. Sei tu, genitore, a doverli comprendere, interpretare e accettare. Perciò io, avendo intuito che mia figlia non gradiva essere visitata sul lettino, ho chiesto alla pediatra di visitarla in braccio a me. Lei ha sbuffato ma poi ha accettato. Però insisteva per svestirla. Le ho spiegato che alla bambina non piace: anche se ha solo 18 mesi sa farsi capire benissimo. Le ho proposto di visitarla attraverso la maglietta. Insomma ne è nata una discussione, al termine della quale la pediatra mi ha indicato la porta e mi ha detto di cercarmi un altro dottore. Ne conosci uno bravo?»
Io: «Forse ci vorrebbe un dottore bravo per te».
A caccia di grilli e serpenti Mentre la Piccolissima esce con discreta fatica e mille menate accessorie dalla sesta malattia, Pupo&Pupa attraversano un periodo splendido. L'altra mattina in piscina, mentre si asciugavano da soli i capelli, li osservavo riflessi nello specchio e pensavo: diosanto, sono belli da far male. La Pupa aiutava il Pupo ravviandogli con le mani le ciocche bionde, lui aveva la testa piegata di lato e la guardava con affetto. Da qualche tempo tra loro non c'è urgenza, ma pace. La scorsa settimana lui le ha regalato una bambola morbida, di pezza, ma nessuno di noi sapeva dove diavolo l'avesse presa. Lei ha ringraziato e poi ha insistito un po'. «Dai, dimmi da dove viene». Lui, sorridendo: «Ehm... l'ho trovata per strada». Lei: «Dai, non ci credo». Lui: «Ehm... l'ho trovata nella spazzatura». Lei, ridacchiando: «Dai, dimmi la verità». Lui, dopo un'esitazione: «D'accordo, d'accordo. L'ho trovata in un sogno». La Pupa si è stretta nelle spalle come a dire: occhei, questa spiegazione è plausibile. Io, in quell'esatto istante, ho pensato che se il Pupo fosse un uomo mi innamorerei di lui.
Soundtrack: I matti
Povero me
Il Pupo 2.0 ha perso un dentino e sibila come non mai. La scuola va «benissimo» e lui è un bambino nuovo, che tra le altre cose la sera apparecchia da solo la tavola in modo spontaneo e creativo. Per premiare il suo spirito di iniziativa ci troviamo perciò costretti a mangiare usando i coltelli da pesce e le forchette da insalata, di cui è un grande amante. Si cena sempre a lume di candela perché «è romantico e misterioso». Tra i piatti dispone banane che ha tagliato lui stesso a pezzetti, col coltello. «Non ti è familiare, mamma?» mi chiede indicandomi ogni volta, orgoglioso, gli stessi gruppetti di bucce e polpe. Per non frustrare la sua passione per il table setting evito di rispondergli che mi sembrano buttate lì a caso. A fine cena occorre anche mangiare i bocconi anneriti.
Vedo passare persone, e cani Per qualche motivo insondabile la gente si sente in dovere di raccontarmi tutti i fatti suoi, sempre. In particolare, sono un magnete per gli sciroccati. Poiché non sono ancora rientrata dalla maternità - lo farò lunedì prossimo - incontro persone perlopiù nella sala d'attesa del pediatra oppure all'asilo, o a scuola: dunque il mio target di riferimento sono sciroccate femmine e prole-munite.
Sciroccata 1, aka donna che conosco da dieci minuti al termine di un monologo in cui ha parlato solo di sé e dei suoi figli: «... E naturalmente il bambino non lo faccio vaccinare».
Io: «Eccallà. Guarda, non sono la persona adatta con cui parlare di questo tema».
Lei: «Peeerché?»
Io: «La mia tesi di laurea è sulle malattie infettive, e sui vaccini».
Lei: «Io ho sentito parlare di bambini che sono diventati autistici dopo il vaccino. Ci sono un sacco di studi in tal senso. E poi i vaccini distruggono il sistema immunitario, e questo lo sanno anche i sassi».
Io: «Se tutti ragionassero come te, il mondo sarebbe allo sbando».
I matti vanno contenti, sull'orlo della normalità Per fortuna quando incontro uno sciroccato ho imparato a dirgli subito quello che penso e a girare i tacchi. È curioso, ma di recente mi sono anche imbattuta in diverse sostenitrici della corrente da me denominata «bambinismo senza limitismo».
Sciroccata 2, aka donna che conosco da cinque minuti, incontrata a una festa di amici: «... E insomma tu come ti trovi con il tuo pediatra? No, perché la mia mi ha ricusato».
Io: «Come? Non ho mai sentito una cosa simile.»
«Sai, ritengo che i bambini non debbano conoscere limiti né imposizioni. Hai letto il libro Smettila di reprimere tuo figlio? In pratica la tesi, che io trovo validissima, è che un bambino abbia sempre un motivo per fare quello che fa. Quelli che possono sembrare pianti e capricci sono in realtà espressione di un bisogno profondo. Sei tu, genitore, a doverli comprendere, interpretare e accettare. Perciò io, avendo intuito che mia figlia non gradiva essere visitata sul lettino, ho chiesto alla pediatra di visitarla in braccio a me. Lei ha sbuffato ma poi ha accettato. Però insisteva per svestirla. Le ho spiegato che alla bambina non piace: anche se ha solo 18 mesi sa farsi capire benissimo. Le ho proposto di visitarla attraverso la maglietta. Insomma ne è nata una discussione, al termine della quale la pediatra mi ha indicato la porta e mi ha detto di cercarmi un altro dottore. Ne conosci uno bravo?»
Io: «Forse ci vorrebbe un dottore bravo per te».
A caccia di grilli e serpenti Mentre la Piccolissima esce con discreta fatica e mille menate accessorie dalla sesta malattia, Pupo&Pupa attraversano un periodo splendido. L'altra mattina in piscina, mentre si asciugavano da soli i capelli, li osservavo riflessi nello specchio e pensavo: diosanto, sono belli da far male. La Pupa aiutava il Pupo ravviandogli con le mani le ciocche bionde, lui aveva la testa piegata di lato e la guardava con affetto. Da qualche tempo tra loro non c'è urgenza, ma pace. La scorsa settimana lui le ha regalato una bambola morbida, di pezza, ma nessuno di noi sapeva dove diavolo l'avesse presa. Lei ha ringraziato e poi ha insistito un po'. «Dai, dimmi da dove viene». Lui, sorridendo: «Ehm... l'ho trovata per strada». Lei: «Dai, non ci credo». Lui: «Ehm... l'ho trovata nella spazzatura». Lei, ridacchiando: «Dai, dimmi la verità». Lui, dopo un'esitazione: «D'accordo, d'accordo. L'ho trovata in un sogno». La Pupa si è stretta nelle spalle come a dire: occhei, questa spiegazione è plausibile. Io, in quell'esatto istante, ho pensato che se il Pupo fosse un uomo mi innamorerei di lui.
Soundtrack: I matti
Povero me
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giovedì 18 settembre 2014
Inserimenti. E sogni
La variante Slocovich
Quel che più temevo è infine accaduto. Nella mia già estremamente complessa scacchiera di incastri familiari si è inserita la temuta variante Slocovich, Stefano Slocovich essendo un mio adorabile oltreché, a detta di alcune persone,gnocc intelligente vicino di casa. A esser precisi è il mio vicino più vicino: il suo soggiorno-cucina è situato esattamente dietro il mio letto, dunque diciamo che quando prepara le uova strapazzate e io sto dormendo in genere sogno di essere dal parrucchiere, al lavatesta.
Chissà se mi pensi Quando non sogno di essere dal parrucchiere sogno di tornare piccola. Vorrei che qualcuno si prendesse cura di me, mi portasse in braccio, mi carezzasse la schiena fermandosi appena sopra il coccige per un grattino affettuoso.
Questo purtroppo non accade. Accade invece che di notte, a corrente alternata rispetto ai risvegli della Piccolissima, io abbia sentito ultimamente sinistri rumori provenire da casa Slocovich. Tonfi, misteriosi fruscii, rumori sordi. Come se qualcuno stesse facendo un trasloco, trascinando corpi inanimati o entrambe le cose assieme.
Se non ti addormenti Ho scritto perciò a S.S. alle 6 e 17 di ieri mattina una breve mail che aveva come oggetto «Voglio dormire». Poiché egli è notoriamente una persona squisita mi ha risposto quasi subito spiegandomi che, lavorando nel cinema, gli capita di dover essere sul set nottetempo. E questo già lo sapevo. Però nelle scorse notti insomma, gli dispiace tanto ma gli è successo di dover fare avanti indietro più volte, e certo ha sbagliato a tirare su e giù più volte le rumorose tende a rullo, e certo si era dimenticato che una porta blindata sbattuta alle 3.09 ha un impatto diverso da quello della stessa porta sbattuta all'orario palindromo delle 9.03, e non intendeva essere molesto ma insomma, a ripensarci gli è anche venuto in mente che a un certo punto «il gatto in effetti si è messo a correre e nel correre deve aver rovesciato alcuni sgabelli». Quest'ultima notazione mi ha fatto molto ridere.
E quante pecore conti Alla mia fatica solita si aggiunge insomma la scarsità assoluta di sonno. Anche dando per scontato che S.S. smetta di scagliare gatti contro gli sgabelli, la Piccolissima ha cominciato il nido e di notte pretende di ciucciare ogni ora come se avesse due giorni di vita, mi si dice «per rinsaldare il rapporto con la madre». Se poi anziché allattarla tento di riaddormentarla col ciuccio sbatte le braccia tipo pale di mulino a vento e poi soffia a volume altissimo, fffff! fffff!, per rendere evidente il suo disappunto.
Chissà se mi cerchi Sto nel frattempo completando l'inserimento più lungo della storia: l'orario della Piccolissima viene prolungato di quindici minuti al giorno, mi si dice «perché il progresso, seppur lento, sia costante e stabile». E così nelle ultime settimane ho trascorso intere giornate a portare e prendere bambini a scuola, giacché, in tre che sono, le loro entrate e uscite avvengono a sei orari diversi.
Se mi vuoi lì vicino In concomitanza con la variante Slocovich è però avvenuta una cosa emozionante. Ricorderete, perché vi hofracass tenuto informati, che il Pupo durante l'ultimo anno si è svegliato dalle tre alle cinque volte per notte - chiamandoci di continuo e portandoci vicini all'esaurimento - e ha dormito perennemente avvinghiato a sua sorella maggiore. «Ho paura di E.T.» era la sua frase ricorrente. Ed era evidente eccome, che avesse delle preoccupazioni.
Ebbene, dal primo giorno di prima elementare ha cominciato una nuova vita. Mi sono commossa l'altra notte vedendolo sdraiato nel suo letto, l'aria serena, abbandonato e immobile come dev'essere un bambino che dorme, distante mezzo metro dalla Pupa. Da una settimana a questa parte non ci chiama più. «La mia maestra è bravissima», mi ha detto oggi tornato da scuola, e ha sorriso. Allora ho pensato che è proprio vero che le cose, tutte, fanno paura quando sono lontane. Poi ci arrivi vicino e scopri che puoi girarci attorno. O scalarle fino in cima a un passo che è solo il tuo, e finalmente scendere, con sollievo, dall'altra parte.
Soundtrack: Chissà se mi pensi (ma quant'era bella questa canzone?)
Quel che più temevo è infine accaduto. Nella mia già estremamente complessa scacchiera di incastri familiari si è inserita la temuta variante Slocovich, Stefano Slocovich essendo un mio adorabile oltreché, a detta di alcune persone,
Chissà se mi pensi Quando non sogno di essere dal parrucchiere sogno di tornare piccola. Vorrei che qualcuno si prendesse cura di me, mi portasse in braccio, mi carezzasse la schiena fermandosi appena sopra il coccige per un grattino affettuoso.
Questo purtroppo non accade. Accade invece che di notte, a corrente alternata rispetto ai risvegli della Piccolissima, io abbia sentito ultimamente sinistri rumori provenire da casa Slocovich. Tonfi, misteriosi fruscii, rumori sordi. Come se qualcuno stesse facendo un trasloco, trascinando corpi inanimati o entrambe le cose assieme.
Se non ti addormenti Ho scritto perciò a S.S. alle 6 e 17 di ieri mattina una breve mail che aveva come oggetto «Voglio dormire». Poiché egli è notoriamente una persona squisita mi ha risposto quasi subito spiegandomi che, lavorando nel cinema, gli capita di dover essere sul set nottetempo. E questo già lo sapevo. Però nelle scorse notti insomma, gli dispiace tanto ma gli è successo di dover fare avanti indietro più volte, e certo ha sbagliato a tirare su e giù più volte le rumorose tende a rullo, e certo si era dimenticato che una porta blindata sbattuta alle 3.09 ha un impatto diverso da quello della stessa porta sbattuta all'orario palindromo delle 9.03, e non intendeva essere molesto ma insomma, a ripensarci gli è anche venuto in mente che a un certo punto «il gatto in effetti si è messo a correre e nel correre deve aver rovesciato alcuni sgabelli». Quest'ultima notazione mi ha fatto molto ridere.
E quante pecore conti Alla mia fatica solita si aggiunge insomma la scarsità assoluta di sonno. Anche dando per scontato che S.S. smetta di scagliare gatti contro gli sgabelli, la Piccolissima ha cominciato il nido e di notte pretende di ciucciare ogni ora come se avesse due giorni di vita, mi si dice «per rinsaldare il rapporto con la madre». Se poi anziché allattarla tento di riaddormentarla col ciuccio sbatte le braccia tipo pale di mulino a vento e poi soffia a volume altissimo, fffff! fffff!, per rendere evidente il suo disappunto.
Chissà se mi cerchi Sto nel frattempo completando l'inserimento più lungo della storia: l'orario della Piccolissima viene prolungato di quindici minuti al giorno, mi si dice «perché il progresso, seppur lento, sia costante e stabile». E così nelle ultime settimane ho trascorso intere giornate a portare e prendere bambini a scuola, giacché, in tre che sono, le loro entrate e uscite avvengono a sei orari diversi.
Se mi vuoi lì vicino In concomitanza con la variante Slocovich è però avvenuta una cosa emozionante. Ricorderete, perché vi ho
Ebbene, dal primo giorno di prima elementare ha cominciato una nuova vita. Mi sono commossa l'altra notte vedendolo sdraiato nel suo letto, l'aria serena, abbandonato e immobile come dev'essere un bambino che dorme, distante mezzo metro dalla Pupa. Da una settimana a questa parte non ci chiama più. «La mia maestra è bravissima», mi ha detto oggi tornato da scuola, e ha sorriso. Allora ho pensato che è proprio vero che le cose, tutte, fanno paura quando sono lontane. Poi ci arrivi vicino e scopri che puoi girarci attorno. O scalarle fino in cima a un passo che è solo il tuo, e finalmente scendere, con sollievo, dall'altra parte.
Soundtrack: Chissà se mi pensi (ma quant'era bella questa canzone?)
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venerdì 29 agosto 2014
Bentornati!
Il più grande problema sono le piastrelle
Ero scomparsa inghiottita dai bambini, dalle vacanze e dai lavori di ristrutturazione di casa, che come da copione ci stanno uccidendo. Rientrati a Milano stiamo cambiando la cucina ma preferisco non entrare nel dettaglio. Quel che posso dire è che da sempre la mia nemesi sono le piastrelle. Due case fa, per esempio, l'impresa cui mi ero affidata mi ha mandato un piastrellista pazzo che lavorava prendendo a mazzate e spesso spaccando gli eleganti rettangoli 7,5x15 che avevo scelto per rivestire una parete.
There's just enough of you in me È perciò quel periodo dell'anno in cui ci si veste di fretta, al buio, indossando calzini spaiati e correndo alla cieca a rispondere al citofono. Gli artigiani si svegliano all'alba, il capo dell'impresa prima di tutti, alle cinque, e giungono da noi ogni mattina un po' prima della mattina precedente. Vado dunque come sempre sbattendo negli angoli e mi procuro lividi sospetti, in odor di violenza domestica. Ora in particolare mi fa male il naso ma non ricordo dove esattamente sono andata a picchiarlo.
I heard that you were drunk and mean Le piastrelle a questo giro amano rendersi irreperibili. Le stiamo inseguendo per tutto il Nord Italia. Sono come i cerchi nel grano: qualcuno dice di averle avvistate, poi vai a verificare e scopri che in realtà non ci sono. Ieri finalmente nella campagna piacentina abbiamo trovato quelle da pavimento: le vecchie cementine esagonali di un tempo, bianche rosse e grigie, recuperate una a una, con pazienza, da un signore con una storia bellissima che vi racconterò un'altra volta.
Staring down the brilliant dream Per la parete della cucina i preventivi cambiano di continuo, come una tovaglia che qualcuno ti sfili all'improvviso da sotto i piatti, proprio mentre sei seduto a mangiare. «Ma mi aveva detto 100 in tutto». «Signora, è ubriaca? Intendevo 100 al metro quadro». Il capolavoro è un tizio che si è offeso perché alla fine le piastrelle da pavimento le abbiamo prese nel piacentino e non da lui. «Io quelle da parete ce le avrei, qui pronte in casa. Ma, ecco, ho deciso che non ve le dò più».
For me to have this sympathy I Pupi grandi sono ancora in vacanza: con i lavori in casa abbiamo preferito tenerli lontani. Staziona invece al nostro fianco la Piccolissima, giunta al ragguardevole traguardo di otto mesi e mezzo, che si sveglia da settimane tre/quattro volte per notte (saranno i denti? Se avete opinioni confortanti vi prego di condividerle). Diciamo allora che la mancanza di sonno mi ha fatto perdere un po' di lucidità. Ieri per esempio al momento di pagare ho avuto qualche defaillance con la moglie del trovatore di cementine.
(Io) «Allora per la fattura poi ci sentiamo. Intanto mi segno il suo nome. Lei è la signora...»
(Lei) «Carmen».
(Io, davanti a Mike Delfino che non credeva alle sue orecchie) «Carne?»
(Lei, esterrefatta) «Ehm... no... Carmen».
Shame on you A voi i lavori in casa creano stress o tutto sommato tenete botta? A me, nonostante la polvere e la fatica e le sveglie all'alba e le piastrelle introvabili, gli artigiani mettono sempre di buonumore. Poi li rispetto perché lavorano sudati e ricoperti di polvere, imprecando costantemente, senza nessun motivo. La bestemmia è diciamo il loro rosario. Sono anche multilingue: «Ma va caca n'du campanaru». «Mannaia la materia». «Ma vafangul tu, mammt, patrita, sorita, e tutt a razz toj» erano le perle del capo dell'impresa, calabrese. Un operaio sudamericano ripeteva scuotendo la testa: «Andate a lavar el culo». Il piastrellista ucraino invece aveva imparato a bestemmiare in italiano, però con un curioso accento: «Porki, porki, porki». Ometto le volgarità più stratosferiche.
Soundtrack Sono le Indigo Girls, ragazze spettinate e selvagge come me e la Piccolissima in questi giorni. Vi metterei i link ma devo andare a congedare il piastrellista, porki.
Ero scomparsa inghiottita dai bambini, dalle vacanze e dai lavori di ristrutturazione di casa, che come da copione ci stanno uccidendo. Rientrati a Milano stiamo cambiando la cucina ma preferisco non entrare nel dettaglio. Quel che posso dire è che da sempre la mia nemesi sono le piastrelle. Due case fa, per esempio, l'impresa cui mi ero affidata mi ha mandato un piastrellista pazzo che lavorava prendendo a mazzate e spesso spaccando gli eleganti rettangoli 7,5x15 che avevo scelto per rivestire una parete.
There's just enough of you in me È perciò quel periodo dell'anno in cui ci si veste di fretta, al buio, indossando calzini spaiati e correndo alla cieca a rispondere al citofono. Gli artigiani si svegliano all'alba, il capo dell'impresa prima di tutti, alle cinque, e giungono da noi ogni mattina un po' prima della mattina precedente. Vado dunque come sempre sbattendo negli angoli e mi procuro lividi sospetti, in odor di violenza domestica. Ora in particolare mi fa male il naso ma non ricordo dove esattamente sono andata a picchiarlo.
I heard that you were drunk and mean Le piastrelle a questo giro amano rendersi irreperibili. Le stiamo inseguendo per tutto il Nord Italia. Sono come i cerchi nel grano: qualcuno dice di averle avvistate, poi vai a verificare e scopri che in realtà non ci sono. Ieri finalmente nella campagna piacentina abbiamo trovato quelle da pavimento: le vecchie cementine esagonali di un tempo, bianche rosse e grigie, recuperate una a una, con pazienza, da un signore con una storia bellissima che vi racconterò un'altra volta.
Staring down the brilliant dream Per la parete della cucina i preventivi cambiano di continuo, come una tovaglia che qualcuno ti sfili all'improvviso da sotto i piatti, proprio mentre sei seduto a mangiare. «Ma mi aveva detto 100 in tutto». «Signora, è ubriaca? Intendevo 100 al metro quadro». Il capolavoro è un tizio che si è offeso perché alla fine le piastrelle da pavimento le abbiamo prese nel piacentino e non da lui. «Io quelle da parete ce le avrei, qui pronte in casa. Ma, ecco, ho deciso che non ve le dò più».
For me to have this sympathy I Pupi grandi sono ancora in vacanza: con i lavori in casa abbiamo preferito tenerli lontani. Staziona invece al nostro fianco la Piccolissima, giunta al ragguardevole traguardo di otto mesi e mezzo, che si sveglia da settimane tre/quattro volte per notte (saranno i denti? Se avete opinioni confortanti vi prego di condividerle). Diciamo allora che la mancanza di sonno mi ha fatto perdere un po' di lucidità. Ieri per esempio al momento di pagare ho avuto qualche defaillance con la moglie del trovatore di cementine.
(Io) «Allora per la fattura poi ci sentiamo. Intanto mi segno il suo nome. Lei è la signora...»
(Lei) «Carmen».
(Io, davanti a Mike Delfino che non credeva alle sue orecchie) «Carne?»
(Lei, esterrefatta) «Ehm... no... Carmen».
Shame on you A voi i lavori in casa creano stress o tutto sommato tenete botta? A me, nonostante la polvere e la fatica e le sveglie all'alba e le piastrelle introvabili, gli artigiani mettono sempre di buonumore. Poi li rispetto perché lavorano sudati e ricoperti di polvere, imprecando costantemente, senza nessun motivo. La bestemmia è diciamo il loro rosario. Sono anche multilingue: «Ma va caca n'du campanaru». «Mannaia la materia». «Ma vafangul tu, mammt, patrita, sorita, e tutt a razz toj» erano le perle del capo dell'impresa, calabrese. Un operaio sudamericano ripeteva scuotendo la testa: «Andate a lavar el culo». Il piastrellista ucraino invece aveva imparato a bestemmiare in italiano, però con un curioso accento: «Porki, porki, porki». Ometto le volgarità più stratosferiche.
Soundtrack Sono le Indigo Girls, ragazze spettinate e selvagge come me e la Piccolissima in questi giorni. Vi metterei i link ma devo andare a congedare il piastrellista, porki.
giovedì 7 agosto 2014
Bisogna per forza fidanzarsi?
Una vita no frills. |
Il Pupo, cinque anni e mezzo, l'altra sera, stranamente pensieroso, con la sua esse da Jovanotti:
«Mamma. Quando sarò grande devo per forza sposarmi? Fidanzarmi?»
«No, amore mio. Non per forza. Però spero che tu incontri una persona con cui ti venga voglia di farlo. Perché me lo chiedi?»
(Enfatico) «Non ho voglia di tutto quel casino, sai».
«No, non so. Ma se me lo spieghi sono contenta».
(Declamando e contando sulla punta delle dita): «Uno. Non voglio possedere un cellulare. Due. Non voglio lavorare tutto il tempo sul telefono come fa papà. Tre. Non voglio nemmeno possedere un computer».
«E pensi che queste cose siano legate al fidanzamento, alla famiglia?».
«Penso solo che sarà difficile trovare una ragazza che voglia vivere con uno come me».
«Come te, in che senso?»
(Guardandomi serio con quei suoi occhi bellissimi, verdi e dorati) «Mamma, sai, io voglio essere un ragazzo pescatore. Vivrò in una capanna, vicino a un bosco».
«Amore, sono sicura che troverai una ragazza capace di apprezzare».
«Più facile in Francia che in Italia, vero?»
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giovedì 24 luglio 2014
Scambiocasa con sorpresa/2
Era una raganella
Era una raganella il grazioso animale che l'altro giorno si agitava nella tenda del soggiorno. «Così verde, ma così verde... così verde non ne avevo mai vista una», ha detto il Pupo. Come abbia fatto a finire lì, nessuno lo sa.
A vivere in campagna dicono che dopo qualche tempo ci si abitua. Sarà. Però questa campagna a conti fatti è per me un po' troppo intensa. Il gatto Bubbles (i franzusi suoi proprietari lo pronunziano, ho scoperto, Babbòls) certo se la spassa, perché può mangiare insetti e altri animali ogni santo giorno.
Scherzi Ci vuole uno spirito di patata, dico io, a mettere un finto ragno gigante, in plastica, in agguato a fianco della lavatrice in una casa già piena di ragni. Poiché portano guadagno nessuno di essi, veri o finti che siano, viene perseguitato. Ma occorrono nervi saldi per restare impassibili quando te ne stai tutto tranquillo, nudo e inerme, nella vasca da bagno e uno zampelunghe si muove in modo bizzarro, un po' sghembo, puntando dritto nella tua direzione.
Bambini Ai bambini la vacanza non è dispiaciuta per nulla. Ieri mattina il Pupo ha trillato tutto allegro: «Mamma, papà, venite a vedere! C'è un topo morto in piscina». Vero. Era piccolino, però. Ho saputo che pipistrello in francese si dice «chauve-souris», letteralmente «topo calvo». La persiana della stanza accanto alla mia sta sempre aperta e abbiamo scoperto che lì dietro, raggruppati tra il legno caldo e il muro, ce ne stanno una trentina. Mike Delfino ha usato il bastone lunghissimo che si usa per pulire la piscina per spostare la persiana, ieri al crepuscolo, e mostrare ai bambini come si libravano in aria. Spiccavano il volo uno a uno, veloci, vicini, e ho pensato che tutto sommato non erano così diversi dagli storni.
Sgarrupo Questa l'abbiamo chiamata la casa dello sgarrupo, intanto perché scricchiola tutta. La responsabilità principale è del pater familias, un ingegnere informatico con l'hobby del bricolage. Non so voi ma io diffido di questo tipo di maschio. Avrei dovuto capirlo subito, il giorno che siamo arrivati qui: davanti casa, dove la gente in genere piazza un gazebo e quattro piante, qui c'è una piccola betoniera. Il garage sembra il paradiso di Manny Tuttofare. Ma poiché l'ing. è un hobbista e non un professionista fa le cose un tanto al chilo, per esempio al primo piano - che poi è dove ci sono le stanze - qua e là mancano pezzi di parquet, dunque sembra di vivere nel gioco del Domino. Mike Delfino per malriposta solidarietà di genere si è convinto che presto il suddetto hobbista completerà l'opera. Io che sono femmina dico, non per i prossimi vent'anni.
Sgarrupo/2 L'ingegnere è un fanatico del legno. Trova un pezzo di legno e lo trasforma in arredo. Di un bancale da carico/scarico - però scartavetrato e con tre mani di flatting - ha fatto un tavolino da caffè. Di un truciolare di risulta, un portalampada. Di un gruppo di rami intrecciati una scultura che vorrebbe essere appendiabiti ma più che un cappello non tiene, inoltre rischia di cavarti un occhio ogni volta che entri in camera da letto e non hai l'accortezza di balzare, appena oltre la soglia, mezzo metro a sinistra.
Sgarrupo/3 Potrei andare avanti per ore. La padrona di casa è fanatica del Giappone e ha appeso polverosi kimono ovunque. Ha dipinto tronchi e rami secchi di rosso e li ha piantati qua e là in giardino. I mobili della sua cucina non hanno il fondo: le cose poggiano direttamente a terra. Non ci sono nemmeno i pensili, dunque per prendere l'olio e l'aceto devi fare due flessioni ogni volta. Però la casa è piena di Elle Décoration cui lei dice di ispirarsi di continuo per piazzare qua e là certe bottiglie opache, colorate, piene di sabbia grigia e vecchie biglie.
Franzusi Una volta che hai modificato (abbassato) i tuoi standard e ti adatti a pensare che quella in cui vivi sia l'equivalente di una casa scout, tutto sommato non è così male. La mia amica che vive a Marsiglia da anni e che in questi giorni è venuta a trovarmi ha sentenziato: «È la finta eleganza tipica della classe media francese. Entri e ti sembra carino, poi guardi meglio e tutto cade a pezzi». Per esempio per lavare tutto - piatti, cucina, tavolo, piastrelle, volendo anche pavimenti - c'è un'unica spugna gialloverde. Non esiste aspirapolvere ma solo uno scopino portatile e un iRoomba, quel robot idiota che rotea ubriaco per ore sbattendo qua e là, ma nonostante le ferite che si autoinfligge di continuo non riesce, com'è ovvio, a pulire né angoli né scale. Per contro, c'è un giga proiettore con impianto stereo e subwoofer, e ci siamo sparati l'intera saga di Harry Potter quasi come al cinema, a 180 decibel.
Franzusi/2 I franzusi fanno molti figli. Noi in giro con tre sembravamo dei dilettanti. La famiglia media si bulla su monovolumi a sette posti da cui escono nani in scala, ordinati e composti. L'altro giorno a un tavolo c'erano due genitori, a occhio trentacinquenni, con quattro maschi dai 15 ai 5 anni. Il padre sembrava Matt Damon investito da un tir, la madre fumava nervosa, ma facevano di tutto per salvare le apparenze. I bambini erano fermi come delle sfingi. A un certo punto il più piccolo ha tentato di muovere un arto e il padre e la madre sono saltati su all'unisono: «Calme-toi, calme-toi», calmati, gli dicevano. Ho pensato che forse potevo provare a lasciargli il Pupo per mezza giornata, e vedere come me lo restituivano.
Bilanci Tuttavia la vacanza coi Pupi è sempre uno spasso. Sia all'andata che al ritorno avevamo previsto di far tappa a Nizza, dove vive la sorella di Mike D., e non vedo l'ora che sia domattina per lasciare questo posto alla volta della Costa Azzurra, e fare un bagno in quel mare dal colore irreale. La Piccolissima, ufficialmente chiamata «The Small» dai suoi fratelli, è cresciuta bene, e molto: in un laboratorio alla Cité de l'Espace di Tolosa l'abbiamo pesata e abbiamo scoperto che qui sulla Terra pesa più di 9 chili (mentre sulla Luna solo uno). L'abbiamo anche messa davanti a un simulatore di vento a 75 chilometri orari, lei ha sbattuto forte le ciglia ma non ha detto «beh». La cosa bella della Piccolissima è anche questa: puoi metterla di fronte alla Monna Lisa, al Louvre, come a fissare una parete del gabinetto, e per lei non fa alcuna differenza. Non pensate sia una bella metafora?
L'immagine è di repertorio. |
A vivere in campagna dicono che dopo qualche tempo ci si abitua. Sarà. Però questa campagna a conti fatti è per me un po' troppo intensa. Il gatto Bubbles (i franzusi suoi proprietari lo pronunziano, ho scoperto, Babbòls) certo se la spassa, perché può mangiare insetti e altri animali ogni santo giorno.
Scherzi Ci vuole uno spirito di patata, dico io, a mettere un finto ragno gigante, in plastica, in agguato a fianco della lavatrice in una casa già piena di ragni. Poiché portano guadagno nessuno di essi, veri o finti che siano, viene perseguitato. Ma occorrono nervi saldi per restare impassibili quando te ne stai tutto tranquillo, nudo e inerme, nella vasca da bagno e uno zampelunghe si muove in modo bizzarro, un po' sghembo, puntando dritto nella tua direzione.
Bambini Ai bambini la vacanza non è dispiaciuta per nulla. Ieri mattina il Pupo ha trillato tutto allegro: «Mamma, papà, venite a vedere! C'è un topo morto in piscina». Vero. Era piccolino, però. Ho saputo che pipistrello in francese si dice «chauve-souris», letteralmente «topo calvo». La persiana della stanza accanto alla mia sta sempre aperta e abbiamo scoperto che lì dietro, raggruppati tra il legno caldo e il muro, ce ne stanno una trentina. Mike Delfino ha usato il bastone lunghissimo che si usa per pulire la piscina per spostare la persiana, ieri al crepuscolo, e mostrare ai bambini come si libravano in aria. Spiccavano il volo uno a uno, veloci, vicini, e ho pensato che tutto sommato non erano così diversi dagli storni.
Sgarrupo Questa l'abbiamo chiamata la casa dello sgarrupo, intanto perché scricchiola tutta. La responsabilità principale è del pater familias, un ingegnere informatico con l'hobby del bricolage. Non so voi ma io diffido di questo tipo di maschio. Avrei dovuto capirlo subito, il giorno che siamo arrivati qui: davanti casa, dove la gente in genere piazza un gazebo e quattro piante, qui c'è una piccola betoniera. Il garage sembra il paradiso di Manny Tuttofare. Ma poiché l'ing. è un hobbista e non un professionista fa le cose un tanto al chilo, per esempio al primo piano - che poi è dove ci sono le stanze - qua e là mancano pezzi di parquet, dunque sembra di vivere nel gioco del Domino. Mike Delfino per malriposta solidarietà di genere si è convinto che presto il suddetto hobbista completerà l'opera. Io che sono femmina dico, non per i prossimi vent'anni.
Sgarrupo/2 L'ingegnere è un fanatico del legno. Trova un pezzo di legno e lo trasforma in arredo. Di un bancale da carico/scarico - però scartavetrato e con tre mani di flatting - ha fatto un tavolino da caffè. Di un truciolare di risulta, un portalampada. Di un gruppo di rami intrecciati una scultura che vorrebbe essere appendiabiti ma più che un cappello non tiene, inoltre rischia di cavarti un occhio ogni volta che entri in camera da letto e non hai l'accortezza di balzare, appena oltre la soglia, mezzo metro a sinistra.
Sgarrupo/3 Potrei andare avanti per ore. La padrona di casa è fanatica del Giappone e ha appeso polverosi kimono ovunque. Ha dipinto tronchi e rami secchi di rosso e li ha piantati qua e là in giardino. I mobili della sua cucina non hanno il fondo: le cose poggiano direttamente a terra. Non ci sono nemmeno i pensili, dunque per prendere l'olio e l'aceto devi fare due flessioni ogni volta. Però la casa è piena di Elle Décoration cui lei dice di ispirarsi di continuo per piazzare qua e là certe bottiglie opache, colorate, piene di sabbia grigia e vecchie biglie.
Franzusi Una volta che hai modificato (abbassato) i tuoi standard e ti adatti a pensare che quella in cui vivi sia l'equivalente di una casa scout, tutto sommato non è così male. La mia amica che vive a Marsiglia da anni e che in questi giorni è venuta a trovarmi ha sentenziato: «È la finta eleganza tipica della classe media francese. Entri e ti sembra carino, poi guardi meglio e tutto cade a pezzi». Per esempio per lavare tutto - piatti, cucina, tavolo, piastrelle, volendo anche pavimenti - c'è un'unica spugna gialloverde. Non esiste aspirapolvere ma solo uno scopino portatile e un iRoomba, quel robot idiota che rotea ubriaco per ore sbattendo qua e là, ma nonostante le ferite che si autoinfligge di continuo non riesce, com'è ovvio, a pulire né angoli né scale. Per contro, c'è un giga proiettore con impianto stereo e subwoofer, e ci siamo sparati l'intera saga di Harry Potter quasi come al cinema, a 180 decibel.
Franzusi/2 I franzusi fanno molti figli. Noi in giro con tre sembravamo dei dilettanti. La famiglia media si bulla su monovolumi a sette posti da cui escono nani in scala, ordinati e composti. L'altro giorno a un tavolo c'erano due genitori, a occhio trentacinquenni, con quattro maschi dai 15 ai 5 anni. Il padre sembrava Matt Damon investito da un tir, la madre fumava nervosa, ma facevano di tutto per salvare le apparenze. I bambini erano fermi come delle sfingi. A un certo punto il più piccolo ha tentato di muovere un arto e il padre e la madre sono saltati su all'unisono: «Calme-toi, calme-toi», calmati, gli dicevano. Ho pensato che forse potevo provare a lasciargli il Pupo per mezza giornata, e vedere come me lo restituivano.
Bilanci Tuttavia la vacanza coi Pupi è sempre uno spasso. Sia all'andata che al ritorno avevamo previsto di far tappa a Nizza, dove vive la sorella di Mike D., e non vedo l'ora che sia domattina per lasciare questo posto alla volta della Costa Azzurra, e fare un bagno in quel mare dal colore irreale. La Piccolissima, ufficialmente chiamata «The Small» dai suoi fratelli, è cresciuta bene, e molto: in un laboratorio alla Cité de l'Espace di Tolosa l'abbiamo pesata e abbiamo scoperto che qui sulla Terra pesa più di 9 chili (mentre sulla Luna solo uno). L'abbiamo anche messa davanti a un simulatore di vento a 75 chilometri orari, lei ha sbattuto forte le ciglia ma non ha detto «beh». La cosa bella della Piccolissima è anche questa: puoi metterla di fronte alla Monna Lisa, al Louvre, come a fissare una parete del gabinetto, e per lei non fa alcuna differenza. Non pensate sia una bella metafora?
giovedì 17 luglio 2014
Scambiocasa con sorpresa
Pipistrelli (e altri animali)
Per qualche motivo non del tutto comprensibile, ma certo spinti anche dalla stanchezza e dagli ormoni post-parto, qualche mese fa abbiamo concordato il nostro consueto scambiocasa estivo con una famiglia francese che vive in un'oscura località del Midi-Pirenei. Già dal nome avremmo dovuto capire che non è montagna (non ancora), non è mare, è insomma una mezza campagna incerta e polverosa la cui principale attrattiva sono le zanzare.
And it was not your fault, but mine La località, nel caso voleste spinti da umana curiosità anche solo sbirciare su Google Maps, porta l'accattivante nome di Escorneboeuf, letteralmente "scorna-buoi". Attorno non c'è nulla. Ma nulla davvero. Solo una chiesa romanica sempre chiusa la cui campana però, mistero della fede, non manca di svegliarci ogni mattina alle 7; un microscopico bosco di cedri; e un immenso campo di grano a tre metri da casa. Ma tre metri veri, eh? Tra noi e lui c'è giusto un piccolo fosso pieno di insetti e di una cosa che sembra compost ma che non oso guardare da vicino.
I really fucked it up this time La famiglia francese che nel frattempo a Milano occupa casa nostra, che sapeva bene dove abitava ma ovviamente non ci ha avvertito, ci sbeffeggia mandandoci email tipo «Siamo stati a vedere la mostra di Salgado» oppure «ma che bello, il nuovo allestimento del Design museum» o ancora «Meraviglioso, il sushi all-you-can-eat che ci hai consigliato», mentre noi qui mangiamo lenticchie e investiamo i nostri risparmi in palette scacciamosche. A proposito, non avevo mai visto le zanzare muoversi in piccole nubi compatte. Voi sì?
Come as you are Al Pupo per fortuna certe cose vengono naturali. Mentre mangiamo attorniati da mosche che si posano di continuo sui piatti e sul cibo - è la campagna, bellezza - lui le schiaffeggia a mani nude per tenerle lontane. Alcune però le grazia, secondo insondabili criteri suoi personalissimi: «Questa è mia amica», «Questa ho capito che fa la brava». Dà una caccia spietata anche a vespe e formiche rosse, ma vuole bene a tutti gli altri insetti: dal bombo allo scarrafone alla forbice alla coccinella al ragno che porta guadagno, tutto lo interessa, nulla lo schifa.
You see a lot up there but don't be scared Il problema di come occupare il tempo considerato che nei dintorni c'è poco o nulla da vedere è un problema, diciamo, secondario. Siamo anzitutto impegnati a tenere la campagna fuori da casa. Topi non ne abbiamo ancora visti ma l'altra sera stavo leggendo seduta in soggiorno in un raro momento di quiete e ho sentito due «plop», «plop» come due polpette di sabbia umida scagliate contro il muro. Poi ho alzato brevemente lo sguardo e ho chiamato Mike Delfino pregandolo di venire a vedere. «Fai che non siano quello che penso», ho sospirato rassegnata, indicando due grumi scuri e pelosi appollaiati contro uno degli alberi-scultura di cui questa casa è piena.
Who needs action when you got words «Madre santa, non avevo mai visto un pipistrello tanto da vicino». «E adesso che si fa?». «Non sono esperto di pipistrelli». «Aspetta che li googlo. Dice di prenderli delicatamente con i guanti». «Non se ne parla». «Non ti credevo così pavido». «Allora fallo tu». «Sei matto? Potrei vomitare». «Aspetta, ho un'idea, porto in giardino tutto l'albero-scultura con le due bestie sopra».
Nel trasferimento, uno dei due animaletti ha spiccato il volo, è andato a sbattere contro un vetro e poi si è infilato sotto un pianoforte. Siamo andati a letto rassegnati e un po' preoccupati. Per tutta la notte mi è sembrato di sentire dei sommessi «plop», «plop», come di una polpetta di sabbia umida che cercasse invano di uscire di casa. La mattina dopo abbiamo trovato il grazioso animaletto, invero un po' stordito, appollaiato sul cavo di una delle lampade da terra del soggiorno.
Jesus don't want me for a sunbeam Contavamo molto sul Pupo, ma lui ci ha liquidato con un «Siete matti», e così, senza troppe speranze, abbiamo tirato fuori la nostra carta di riserva. «Pupa, hai visto che bello scoiattolino?». «Ma mamma, perché è nero e ha le ali e la faccia da topo?». «Sono francesi. Sono fatti così». «È un pipisssstrello!» ha sibilato il Pupo, fervente naturalista, tradendoci all'istante. «Se lo prendi con delicatezza e lo porti fuori ti dò dieci euro», ho offerto alla mia angelica bambina. Lei ha mormorato «Non c'è bisogno», è andata in camera e con semplicità è tornata tenendo in mano una maglietta, ha avvolto con tocco lieve il pipistrello e l'ha portato in giardino, sotto una pianta. Cinque minuti dopo è tornata a controllarlo. «Non c'è più! È volato via! Allora sta bene!» ha trillato contenta. Poi ha guardato la sua maglietta e ha scosso il capo con un sorrisetto. «Che c'è, mia eroina?» le ha chiesto Mike Delfino, ammirato. «È tutta pelosina. Non la voglio più lavare».
And the work, it was fun Adesso vorrei raccontarvi qualcosa sull'arredamento di questa casa e sulle condizioni di pulizia in generale, ma vedo che la tenda in fondo al soggiorno ondeggia. Forse non sono abbastanza forte per vivere in campagna. Chi di voi ci abita, come diavolo fa? Mi faccio coraggio e vado a dare un'occhiata. Voi intanto andate a riascoltarvi questa, che secondo me non sentite da un po'. Quanto alle altre canzoni citate, vi lascio il piacere di andarvele a scoprire mentre io capisco che razza di bestiola è entrata qui dentro stavolta.
Per qualche motivo non del tutto comprensibile, ma certo spinti anche dalla stanchezza e dagli ormoni post-parto, qualche mese fa abbiamo concordato il nostro consueto scambiocasa estivo con una famiglia francese che vive in un'oscura località del Midi-Pirenei. Già dal nome avremmo dovuto capire che non è montagna (non ancora), non è mare, è insomma una mezza campagna incerta e polverosa la cui principale attrattiva sono le zanzare.
And it was not your fault, but mine La località, nel caso voleste spinti da umana curiosità anche solo sbirciare su Google Maps, porta l'accattivante nome di Escorneboeuf, letteralmente "scorna-buoi". Attorno non c'è nulla. Ma nulla davvero. Solo una chiesa romanica sempre chiusa la cui campana però, mistero della fede, non manca di svegliarci ogni mattina alle 7; un microscopico bosco di cedri; e un immenso campo di grano a tre metri da casa. Ma tre metri veri, eh? Tra noi e lui c'è giusto un piccolo fosso pieno di insetti e di una cosa che sembra compost ma che non oso guardare da vicino.
I really fucked it up this time La famiglia francese che nel frattempo a Milano occupa casa nostra, che sapeva bene dove abitava ma ovviamente non ci ha avvertito, ci sbeffeggia mandandoci email tipo «Siamo stati a vedere la mostra di Salgado» oppure «ma che bello, il nuovo allestimento del Design museum» o ancora «Meraviglioso, il sushi all-you-can-eat che ci hai consigliato», mentre noi qui mangiamo lenticchie e investiamo i nostri risparmi in palette scacciamosche. A proposito, non avevo mai visto le zanzare muoversi in piccole nubi compatte. Voi sì?
Come as you are Al Pupo per fortuna certe cose vengono naturali. Mentre mangiamo attorniati da mosche che si posano di continuo sui piatti e sul cibo - è la campagna, bellezza - lui le schiaffeggia a mani nude per tenerle lontane. Alcune però le grazia, secondo insondabili criteri suoi personalissimi: «Questa è mia amica», «Questa ho capito che fa la brava». Dà una caccia spietata anche a vespe e formiche rosse, ma vuole bene a tutti gli altri insetti: dal bombo allo scarrafone alla forbice alla coccinella al ragno che porta guadagno, tutto lo interessa, nulla lo schifa.
You see a lot up there but don't be scared Il problema di come occupare il tempo considerato che nei dintorni c'è poco o nulla da vedere è un problema, diciamo, secondario. Siamo anzitutto impegnati a tenere la campagna fuori da casa. Topi non ne abbiamo ancora visti ma l'altra sera stavo leggendo seduta in soggiorno in un raro momento di quiete e ho sentito due «plop», «plop» come due polpette di sabbia umida scagliate contro il muro. Poi ho alzato brevemente lo sguardo e ho chiamato Mike Delfino pregandolo di venire a vedere. «Fai che non siano quello che penso», ho sospirato rassegnata, indicando due grumi scuri e pelosi appollaiati contro uno degli alberi-scultura di cui questa casa è piena.
Who needs action when you got words «Madre santa, non avevo mai visto un pipistrello tanto da vicino». «E adesso che si fa?». «Non sono esperto di pipistrelli». «Aspetta che li googlo. Dice di prenderli delicatamente con i guanti». «Non se ne parla». «Non ti credevo così pavido». «Allora fallo tu». «Sei matto? Potrei vomitare». «Aspetta, ho un'idea, porto in giardino tutto l'albero-scultura con le due bestie sopra».
Nel trasferimento, uno dei due animaletti ha spiccato il volo, è andato a sbattere contro un vetro e poi si è infilato sotto un pianoforte. Siamo andati a letto rassegnati e un po' preoccupati. Per tutta la notte mi è sembrato di sentire dei sommessi «plop», «plop», come di una polpetta di sabbia umida che cercasse invano di uscire di casa. La mattina dopo abbiamo trovato il grazioso animaletto, invero un po' stordito, appollaiato sul cavo di una delle lampade da terra del soggiorno.
Jesus don't want me for a sunbeam Contavamo molto sul Pupo, ma lui ci ha liquidato con un «Siete matti», e così, senza troppe speranze, abbiamo tirato fuori la nostra carta di riserva. «Pupa, hai visto che bello scoiattolino?». «Ma mamma, perché è nero e ha le ali e la faccia da topo?». «Sono francesi. Sono fatti così». «È un pipisssstrello!» ha sibilato il Pupo, fervente naturalista, tradendoci all'istante. «Se lo prendi con delicatezza e lo porti fuori ti dò dieci euro», ho offerto alla mia angelica bambina. Lei ha mormorato «Non c'è bisogno», è andata in camera e con semplicità è tornata tenendo in mano una maglietta, ha avvolto con tocco lieve il pipistrello e l'ha portato in giardino, sotto una pianta. Cinque minuti dopo è tornata a controllarlo. «Non c'è più! È volato via! Allora sta bene!» ha trillato contenta. Poi ha guardato la sua maglietta e ha scosso il capo con un sorrisetto. «Che c'è, mia eroina?» le ha chiesto Mike Delfino, ammirato. «È tutta pelosina. Non la voglio più lavare».
And the work, it was fun Adesso vorrei raccontarvi qualcosa sull'arredamento di questa casa e sulle condizioni di pulizia in generale, ma vedo che la tenda in fondo al soggiorno ondeggia. Forse non sono abbastanza forte per vivere in campagna. Chi di voi ci abita, come diavolo fa? Mi faccio coraggio e vado a dare un'occhiata. Voi intanto andate a riascoltarvi questa, che secondo me non sentite da un po'. Quanto alle altre canzoni citate, vi lascio il piacere di andarvele a scoprire mentre io capisco che razza di bestiola è entrata qui dentro stavolta.
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venerdì 4 luglio 2014
Errori da non fare (con bambini)
È quattro giorni che ti amo
Credo di essere arrivata al capolinea. Un paio d'ore fa mi sono addormentata con la bavetta all'angolo della bocca come non mi succedeva da mesi, allattando la Piccolissima nel suggestivo borgo ligure già teatro, all'inizio di maggio, dell'incidente idiota a causa del quale mi sono rotta un polso. Da due giorni mi sono trasferita qui, armi e bagagli, assieme ai bambini e ai miei genitori, che litigano abbastanza e spesso si comportano come bambini. Dunque totalino bambini = cinque.
I follower di questo blog sono ormai da giorni fermi a 799. Cosa ci vorrà all'800esimo a prendere il coraggio di fare quel «clic» lo sa solo il Signore.
Il tempo, qui, è immoto come il numero dei follower del blog. Il borgo è torpido fuorché nelle ore notturne. È dopo il tramonto che i giovani abitanti del luogo, come i vampiri, si animano e si intrattengono in gioviali passatempo tipo suonare i campanelli di tutte le case alle 23.40. È successo l'altroieri, ché eravamo appena arrivati dopo un viaggio complesso e io desideravo solo dormiredormiredormire.
Però stai bene dove stai Va detto che i miei genitori hanno due auto. Mia madre fino a pochi anni fa non aveva il bancomat ma alla sua macchina personale guai, non avrebbe mai rinunciato. In più sono litigarelli (l'ho già detto?) e condividere uno spazio intimo come quello dell'abitacolo per loro è una sfida inaffrontabile. Dunque due auto. Mio padre però doveva già trasportare i gatti e mia madre ha una guida diciamo creativa, perciò caricarle a bordo i Pupi e affrontare con lei la Cisa impestata di tir e gallerie implica un atto di fede che non mi sono sentita di fare. Ho così deciso di profittare della sugosa offerta estiva di Trenitalia «i bimbi viaggiano gratis» e con soli 26 euro io e la progenie l'altroieri abbiamo percorso la Milano-La Spezia in comode 3 ore e 40 (compreso ritardo di 35 minuti, intrinseco alla tratta). I Pupi si sono comportati bene da Milano a Voghera, due fermate in cui abbiamo condiviso il vagone con una mamma furlana e le sue rustiche figliolette. Da Voghera a Sestri Levante ci hanno fatto compagnia due severissimi inglesi mangia-minori, che hanno passato il tempo a leggere riviste coltissime e a scambiarsi commenti sgradevoli sui miei figli. Ero troppo stanca per litigare e così mi sono limitata, per punirli, a lasciare che i bambini compissero gesti snervanti e orribili tipo fare slittare in su e in giù il poggiatesta di continuo (Pupo) ed essere meosa e piagnucolare (Pupa, che aveva anche la febbre). La Piccolissima alternava i classici versi da neonata a risate gutturali che ha di recente messo a punto e che trova accattivanti, e non ha avuto bisogno di presentazioni.
Da Sestri Levante a Spezia - praticamente l'ultima mezz'ora - siamo rimasti da soli e ci siamo infine decompressi. Il Pupo ha passato il tempo a far puzzette nello scompartimento chiuso, ma almeno eravamo rilassati.
Uomo che cammina sui pezzi di vetro Sempre il Pupo sostiene ormai da un anno che circoli a piede libero un misterioso sconosciuto che per fargli dispetto ha infilato un pezzo di vetro sul pungiglione di un'ape, e che ha poi costretto l'ape a pungerlo in un occhio, col che lui ora sarebbe orbo. Non so per quale motivo si sia inventato questa storia ma devo ammettere che è piuttosto suggestiva. Un po' meno suggestivo è stato, al termine di una frenetica giornata di commissioni, portare il giorno prima della partenza tutti e tre i bambini dalla dottoressa ZiaBubu. Da sola. Questo lo devo veramente mettere nella lista degli errori da non fare con i bambini. Lo studio della dottoressa in due minuti è diventato l'Arena das Dunas al momento dell'incontro-scontro Suarez-Chiellini, con il Pupo che diceva «L'ho morsa per sbaglio, sono caduto su di lei» a proposito della sorella maggiore.
Niente a che vedere col circo La dottoressa ha misurato, tastato e intervistato a lungo i bambini, facendo molte domande ai due grandi, che è uno dei motivi per cui mi piace andare da lei. Tra le informazioni che ho trattenuto:
- il Pupo è il più alto della classe e in senso più ampio ha sfondato ogni possibile tabella di percentili. Pesa come sua sorella, aka la Pupa
- la Pupa è la più bassa della classe ma sta bene anche se in formato mignon
- la Piccolissima è, in proporzione, la più grassa dei tre
- la Piccolissima non sa fare la cacca nel pannolino ma prima o poi imparerà. Per ora va benissimo metterla sul water al mattino e farla evacuare lì sfruttando la forza di quel che la dottoressa ha definito «torchio addominale»
- la Pupa è una bambina gentile. Il Pupo invece ha molti margini di miglioramento
- I bambini ogni tanto vanno portati dall'oculista e dal dentista ma non mi ricordo con che cadenza
- Gli amici del Pupo si chiamano Matthews, Jon Howard, Brandon, Shahira, Vandana e Ada. Con quest'ultima, l'unica italiana, il Pupo si è prima sposato, poi separato, poi rifidanzato. L'ha infine fecondata mettendo al mondo un certo numero di figli. Il primogenito si chiama Alberto e ha 40 anni. In generale i figli del Pupo «vivono con la madre» e «dormono». Lui non li vede quasi mai, né provvede economicamente al loro sostentamento.
Come ombrello teso tra la terra e il cielo Sono tornata a casa un po' confusa. Alle 21.33, poco prima di crollare addormentata, ho mandato un sms alla dottoressa ZiaBubu scrivendole che ero esausta e mi scusavo, ma purtroppo avevo capito solo il 30 per cento di tutto quel che mi aveva detto nel corso della visita. Lei mi ha risposto: «A quest'ora dovresti essere già a nanna. I tuoi figli sono vispi, sani e simpatici. Il loro habitat naturale è la giungla, il che è positivo. Ti basti sapere questo».
Soundtrack: Pezzi di vetro
Credo di essere arrivata al capolinea. Un paio d'ore fa mi sono addormentata con la bavetta all'angolo della bocca come non mi succedeva da mesi, allattando la Piccolissima nel suggestivo borgo ligure già teatro, all'inizio di maggio, dell'incidente idiota a causa del quale mi sono rotta un polso. Da due giorni mi sono trasferita qui, armi e bagagli, assieme ai bambini e ai miei genitori, che litigano abbastanza e spesso si comportano come bambini. Dunque totalino bambini = cinque.
I follower di questo blog sono ormai da giorni fermi a 799. Cosa ci vorrà all'800esimo a prendere il coraggio di fare quel «clic» lo sa solo il Signore.
Il tempo, qui, è immoto come il numero dei follower del blog. Il borgo è torpido fuorché nelle ore notturne. È dopo il tramonto che i giovani abitanti del luogo, come i vampiri, si animano e si intrattengono in gioviali passatempo tipo suonare i campanelli di tutte le case alle 23.40. È successo l'altroieri, ché eravamo appena arrivati dopo un viaggio complesso e io desideravo solo dormiredormiredormire.
Però stai bene dove stai Va detto che i miei genitori hanno due auto. Mia madre fino a pochi anni fa non aveva il bancomat ma alla sua macchina personale guai, non avrebbe mai rinunciato. In più sono litigarelli (l'ho già detto?) e condividere uno spazio intimo come quello dell'abitacolo per loro è una sfida inaffrontabile. Dunque due auto. Mio padre però doveva già trasportare i gatti e mia madre ha una guida diciamo creativa, perciò caricarle a bordo i Pupi e affrontare con lei la Cisa impestata di tir e gallerie implica un atto di fede che non mi sono sentita di fare. Ho così deciso di profittare della sugosa offerta estiva di Trenitalia «i bimbi viaggiano gratis» e con soli 26 euro io e la progenie l'altroieri abbiamo percorso la Milano-La Spezia in comode 3 ore e 40 (compreso ritardo di 35 minuti, intrinseco alla tratta). I Pupi si sono comportati bene da Milano a Voghera, due fermate in cui abbiamo condiviso il vagone con una mamma furlana e le sue rustiche figliolette. Da Voghera a Sestri Levante ci hanno fatto compagnia due severissimi inglesi mangia-minori, che hanno passato il tempo a leggere riviste coltissime e a scambiarsi commenti sgradevoli sui miei figli. Ero troppo stanca per litigare e così mi sono limitata, per punirli, a lasciare che i bambini compissero gesti snervanti e orribili tipo fare slittare in su e in giù il poggiatesta di continuo (Pupo) ed essere meosa e piagnucolare (Pupa, che aveva anche la febbre). La Piccolissima alternava i classici versi da neonata a risate gutturali che ha di recente messo a punto e che trova accattivanti, e non ha avuto bisogno di presentazioni.
Da Sestri Levante a Spezia - praticamente l'ultima mezz'ora - siamo rimasti da soli e ci siamo infine decompressi. Il Pupo ha passato il tempo a far puzzette nello scompartimento chiuso, ma almeno eravamo rilassati.
Uomo che cammina sui pezzi di vetro Sempre il Pupo sostiene ormai da un anno che circoli a piede libero un misterioso sconosciuto che per fargli dispetto ha infilato un pezzo di vetro sul pungiglione di un'ape, e che ha poi costretto l'ape a pungerlo in un occhio, col che lui ora sarebbe orbo. Non so per quale motivo si sia inventato questa storia ma devo ammettere che è piuttosto suggestiva. Un po' meno suggestivo è stato, al termine di una frenetica giornata di commissioni, portare il giorno prima della partenza tutti e tre i bambini dalla dottoressa ZiaBubu. Da sola. Questo lo devo veramente mettere nella lista degli errori da non fare con i bambini. Lo studio della dottoressa in due minuti è diventato l'Arena das Dunas al momento dell'incontro-scontro Suarez-Chiellini, con il Pupo che diceva «L'ho morsa per sbaglio, sono caduto su di lei» a proposito della sorella maggiore.
Niente a che vedere col circo La dottoressa ha misurato, tastato e intervistato a lungo i bambini, facendo molte domande ai due grandi, che è uno dei motivi per cui mi piace andare da lei. Tra le informazioni che ho trattenuto:
- il Pupo è il più alto della classe e in senso più ampio ha sfondato ogni possibile tabella di percentili. Pesa come sua sorella, aka la Pupa
- la Pupa è la più bassa della classe ma sta bene anche se in formato mignon
- la Piccolissima è, in proporzione, la più grassa dei tre
- la Piccolissima non sa fare la cacca nel pannolino ma prima o poi imparerà. Per ora va benissimo metterla sul water al mattino e farla evacuare lì sfruttando la forza di quel che la dottoressa ha definito «torchio addominale»
- la Pupa è una bambina gentile. Il Pupo invece ha molti margini di miglioramento
- I bambini ogni tanto vanno portati dall'oculista e dal dentista ma non mi ricordo con che cadenza
- Gli amici del Pupo si chiamano Matthews, Jon Howard, Brandon, Shahira, Vandana e Ada. Con quest'ultima, l'unica italiana, il Pupo si è prima sposato, poi separato, poi rifidanzato. L'ha infine fecondata mettendo al mondo un certo numero di figli. Il primogenito si chiama Alberto e ha 40 anni. In generale i figli del Pupo «vivono con la madre» e «dormono». Lui non li vede quasi mai, né provvede economicamente al loro sostentamento.
Come ombrello teso tra la terra e il cielo Sono tornata a casa un po' confusa. Alle 21.33, poco prima di crollare addormentata, ho mandato un sms alla dottoressa ZiaBubu scrivendole che ero esausta e mi scusavo, ma purtroppo avevo capito solo il 30 per cento di tutto quel che mi aveva detto nel corso della visita. Lei mi ha risposto: «A quest'ora dovresti essere già a nanna. I tuoi figli sono vispi, sani e simpatici. Il loro habitat naturale è la giungla, il che è positivo. Ti basti sapere questo».
Soundtrack: Pezzi di vetro
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martedì 24 giugno 2014
Mi sembra di avere cento fratelli
Mo' basta veramente, però
Martedì scorso, con parto da manuale e dieci giorni d'anticipo, la neomamma L. ha messo al mondo il nuovo fratellino della Pupa. A noi che da sei mesi abbiamo in casa la Piccolissima, la quale nel frattempo ha acquisito il peso specifico e la consistenza di un tondino di ferro, il bebé sembra lieve e microscopico. «Vorrà dire che ti chiameremo il Microscopico», ha detto con semplicità mia figlia. Conoscenti in transito nell'una e nell'altra casa continuano a rassicurarla e a complimentarsi: «Auguroni!». «Che fortuna che hai». «Un fratello è sempre una risorsa». «Pensa poveretti i figli unici, quanto si annoiano». «Beata te, avrei voluti averli io, due fratelli e una sorella». «Tutti i piccolini di casa ti adoreranno, vorranno fare quello che vuoi tu, vorranno somigliarti in tutto».
Convivere a volte è peggio di uccidere Mentre il geniale parroco di Cameri nelle ultime ore ha paragonato «le unioni non benedette da un matrimonio in chiesa» a «un omicidio, con la differenza che quest'ultimo è un peccato occasionale, mentre la convivenza un'infedeltà continuativa», nella nostra Bovisa operaia il Don di riferimento, alla notizia di una nuova nascita nella nostra famiglia allargata, vacilla ma non crolla. «Ci sono altri bambini in arrivo o per adesso ci fermiamo qui?» ci ha chiesto ieri con lo sguardo incerto, quando siamo andati a riprendere la Pupa all'oratorio estivo. «Spero di no. Guarda, già così mi sembra di avere cento fratelli», gli ha risposto lei citando il dottor Seuss. Poi se n'è andata trotterellando, in un'imitazione quasi perfetta di Maccio Capatonda (se non lo conoscete prendetevi 62 secondi per guardarlo). «Mo' basta veramente, però», ripeteva. «Mo' basta, mamma. Mo' basta, papà. Mo' basta, tutti. Grazie».
Martedì scorso, con parto da manuale e dieci giorni d'anticipo, la neomamma L. ha messo al mondo il nuovo fratellino della Pupa. A noi che da sei mesi abbiamo in casa la Piccolissima, la quale nel frattempo ha acquisito il peso specifico e la consistenza di un tondino di ferro, il bebé sembra lieve e microscopico. «Vorrà dire che ti chiameremo il Microscopico», ha detto con semplicità mia figlia. Conoscenti in transito nell'una e nell'altra casa continuano a rassicurarla e a complimentarsi: «Auguroni!». «Che fortuna che hai». «Un fratello è sempre una risorsa». «Pensa poveretti i figli unici, quanto si annoiano». «Beata te, avrei voluti averli io, due fratelli e una sorella». «Tutti i piccolini di casa ti adoreranno, vorranno fare quello che vuoi tu, vorranno somigliarti in tutto».
Convivere a volte è peggio di uccidere Mentre il geniale parroco di Cameri nelle ultime ore ha paragonato «le unioni non benedette da un matrimonio in chiesa» a «un omicidio, con la differenza che quest'ultimo è un peccato occasionale, mentre la convivenza un'infedeltà continuativa», nella nostra Bovisa operaia il Don di riferimento, alla notizia di una nuova nascita nella nostra famiglia allargata, vacilla ma non crolla. «Ci sono altri bambini in arrivo o per adesso ci fermiamo qui?» ci ha chiesto ieri con lo sguardo incerto, quando siamo andati a riprendere la Pupa all'oratorio estivo. «Spero di no. Guarda, già così mi sembra di avere cento fratelli», gli ha risposto lei citando il dottor Seuss. Poi se n'è andata trotterellando, in un'imitazione quasi perfetta di Maccio Capatonda (se non lo conoscete prendetevi 62 secondi per guardarlo). «Mo' basta veramente, però», ripeteva. «Mo' basta, mamma. Mo' basta, papà. Mo' basta, tutti. Grazie».
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lunedì 16 giugno 2014
Famiglie allargate
Io, che sono come il filo
«Noi siamo una famiglia allargata e tra dieci giorni avrò un fratellino. Però non dalla mia mamma, ma dalla sposa del papà di mia sorella», racconta fiero con la sua esse il Pupo, 5 anni, a chiunque incontri.
All around me are familiar faces «Tu mi hai fatto nascere perché vi tenessi tutti vicini», riflette ad alta voce la Pupa, 9 anni, mentre giocherella, in apparenza distratta, con un braccialetto di bigiotteria. «Io sono come il filo. Voi siete le perline, vi tengo assieme. Perciò non devo rompermi, o scivolerete via».
Soundtrack: Mad World
«Noi siamo una famiglia allargata e tra dieci giorni avrò un fratellino. Però non dalla mia mamma, ma dalla sposa del papà di mia sorella», racconta fiero con la sua esse il Pupo, 5 anni, a chiunque incontri.
All around me are familiar faces «Tu mi hai fatto nascere perché vi tenessi tutti vicini», riflette ad alta voce la Pupa, 9 anni, mentre giocherella, in apparenza distratta, con un braccialetto di bigiotteria. «Io sono come il filo. Voi siete le perline, vi tengo assieme. Perciò non devo rompermi, o scivolerete via».
Soundtrack: Mad World
giovedì 5 giugno 2014
Alla vigilia di un viaggio (con bambini)
Mai indossare calze di collant subito prima di un viaggio
Ore 21.02 «Mamma, ti sei fatta male o ti sei solo spaventata?» mi ha chiesto l'altra sera il Pupo, osservandomi accasciata, immobile ai piedi dei due gradini che, in casa nostra, separano la cosidetta «stanza segreta» (un ripostiglio che contiene soprattutto giochi, nda) dalla zona soppalco.
In effetti ci ho messo qualche istante a rispondere, stringendo i denti e piangendo in silenzio mentre davo a me stessa dell'idiota.
Rewind. Ore 21.01 Stavo per l'appunto uscendo dalla stanza segreta, quando, avendo ai piedi due sottili calzini di collant, sono scivolata e caduta, andando a sbattere sul parquet prima con entrambe le ginocchia - sulle quali ora si stagliano ben visibili i due lividi di riferimento - e immediatamente dopo, per par condicio, con entrambi i polsi, nell'istintivo quanto inutile gesto che il 98% della popolazione mondiale compie per proteggersi il volto e la testa in caso di capitomboli. «Idiota idiota idiota», mi sono ripetuta 15/16.000 volte.
Perciò ho esitato Soffermandomi qualche istante a valutare i danni prima di rispondere al Pupo. Per fortuna ho presto capito di non essermi fatta (quasi) niente. Del resto è solo da una settimana che sono senza gesso: sarebbe stato paradossale rompermi subito un altro osso. Qualcuno nei commenti a questo blog mi aveva parlato del senso di liberazione che si prova quando, dopo aver perso per un mese l'uso di un arto (nel mio caso, il braccio destro) all'improvviso lo si riacquista. In effetti, a me la liberazione l'hanno fatta proprio sudare.
Una mattina di fine maggio, all'ospedale Galeazzi Mi sono presentata garrula e speranzosa all'accettazione, con 55 minuti d'anticipo rispetto al mio appuntamento.
(Io, 54 minuti dopo, al banco informazioni) «Mi scusi, secondo quanto c'è scritto qua tra un minuto sarei attesa in sala raggi. Ma pur essendo arrivata presto, allo sportello ho ancora ventordici persone davanti, è mai possibile? Come faccio adesso?»
(Addetta) «Abbia pazienza, è che l'età media dei pazienti è un po' alta, gli anziani fanno fatica in sede di accettazione. Non si preoccupi, non la rimandano a casa con il gesso».
(27 minuti dopo, finalmente all'accettazione, dopo aver pagato il ticket) «Benissimo cara, ora attenda che chiamino il suo numero. Quando sentirà il suo numero vada in fondo a questo corridoio a destra, al presidio infermieri, e mostri queste carte. Sapranno indirizzarla».
How soon is now? 14 minuti dopo, con 45 minuti di ritardo rispetto al mio appuntamento, mi sono consegnata spontaneamente al presidio infermieri.
(Infermiera brusca) «Abbiamo chiamato il suo numero?»
«Sì».
«È sicura?»
(Senza esitazione) «Sì».
«Uhm... strano, qui non risulta. Vabbe' vabbe' dia qua. Ok, mi faccia vedere... Bene, deve andare al primo piano e chiedere della dottoressa R».
«È lei che mi farà la lastra?»
«No. La dottoressa R deve solo firmare e timbrare questo foglio. Poi con il foglio lei andrà al piano -1, in sala raggi».
«Ah».
Officina ortopedica Di fronte agli occhi del visitatore, al primo piano, si staglia la scritta della speranza: «Officina ortopedica». Vien da pensare che qui si crei, si ripari, si rimonti con grazia ciò che è stato smontato. Però in corridoio, di fronte allo studio della dottoressa Romanò, ci sono sei sette persone in attesa. «Scusate, voi state aspettando...». La risposta è un coro all'unisono: «La dottoressa R. Però sta v i s i t a n d o».
«Potrei secondo voi velocemente intrufolarmi, farle firmare codesto foglio e nello spazio di 30 secondi togliere il disturbo?»
È come se gli occhi dei pazienti in attesa fossero campioni di nuoto sincronizzato. S'alzano al cielo perfettamente coordinati, poi uno bofonchia: «Mmmm ooocchei, se proprio deve».
Le sudate carte Qualche minuto dopo vittoriosa fuggo verso il piano -1. Prendo l'ascensore sbagliato, finisco davanti alla sala operatoria, fingo indifferenza, salto sull'ascensore giusto, ed eccomi finalmente in sala raggi.
(Infermiere brusco): «Qui manca un foglio».
«Quale foglio?»
«La fotocopia di quest'altro».
«Eh».
«Senza la fotocopia non può fare i raggi. Dovevano fargliela in accettazione».
«Sì, ma non me l'hanno fatta».
«Adesso è un problema».
(Io, paziente) «Vuole che torni su? Magari rifaccio la coda, poi tra un 75/90 minuti ci vediamo qui con la fotocopia».
(Voltandosi verso una fotocopiatrice già accesa): «Ooocchei, gliela faccio io».
Sicura di non essere incinta? 30 minuti dopo, in sala raggi. La radiologa è un tipo ansioso e mi chiede quattro/sei volte se sono sicura di non essere in gravidanza. Le dico che sto allattando una neonata e lei mi snocciola le decine di casi di sue conoscenti rimaste incinte dopo una settimana dal parto. Le dico un po' secca che, a parte questo, non deve preoccuparsi: non c'è nessuna possibilità che io sia incinta. «Ooocchei, la mia era solo una domanda». Fortunatamente la lastra va bene. «E adesso cosa faccio?»
«Torni al primo piano, dalla dottoressa R. È lei che toglie i gessi».
Un po' penso a uno scherzo, un po' mi viene da piangere. L'ascensore non funziona. Salgo a piedi, lentamente: piano terra, primo piano. Per fortuna davanti a me, all'officina ortopedica, non c'è più nessuno. I pazienti in attesa si sono come dissolti. Mi cade l'occhio su una finestra che qualcuno ha lasciata aperta e penso che si siano tutti buttati di sotto, per l'esasperazione.
I bet you look good on a dance floor Busso, ma nessuno risponde. Riprovo a bussare, poi entro. La dottoressa R è al telefono: sta parlando con qualcuno dell'organizzazione di una festa. È seccata perché un amico comune porta sempre vino scadente. Ormai ho perso ogni ritegno, le agito il gesso davanti al naso per farmi notare. L'assalto olfattivo funziona: dopo meno di un minuto chiude la telefonata. Per scalpellarmi via il gesso chiama uno specializzando, che si gode il delicato bouquet floreale emanato dal mio braccio dopo un mese di costrizione ma mi usa la gentilezza di fingere indifferenza. Una volta libera corro in bagno. Stranamente il dispenser non è rotto e contiene anche il sapone, così mi prendo il lusso di passare 10 minuti d'orologio a strofinarmi e sciacquarmi.
Esco dall'ospedale con due ore di ritardo, la Piccolissima a casa avrà certamente fame, il braccio è debole e lo sento strano: però sono di buonumore, pazienza, tutto passerà. Nelle ore immediatamente successive stringo mani, tocco persone e batto cinque come neanche Matteo Renzi in visita nelle scuole, carezzo bambini, firmo documenti, mi lavo i denti, scolo la pasta, taglio la carne, mi faccio pure giocosamente mordere la mano da Laccio («il cane che ti rompe un braccio» ©).
Good vibrations Pensieri sparsi nelle notti che seguono:
1. È proprio vero. Quando vieni privato di qualcosa, la gioia che provi nel tornarne in possesso è indescrivibile.
2. È proprio vero. I meccanismi secondo i quali funziona, in Italia, la sanità sono spesso farraginosi, inutilmente faticosi (avete aneddoti in merito? Se sì, mi divertirebbe molto leggerli).
3. È proprio vero: alla vigilia di un viaggio bisognerebbe più che mai stare attenti a non finire in pericolo. Domattina se il cielo ci assiste partiamo per una settimana di mare. Non devo non devo non devo indossare più i collant, non devo scivolare. Non devo rompermi un altro polso.
4. (ultimo) È proprio vero: mi riduco sempre all'ultimo momento. Ore 15.56: devo fare le valigie, un poco di spesa, partecipare a una festa di bambini, portare a scuola i regali per le maestre, istruire il vicepadre di Laccio, un amico che starà a casa nostra con lui durante la nostra settimana di vacanza, sul da farsi.
Voi ci riuscite, a organizzarvi in anticipo? Se sì: come? Quali sono i segreti? Io non ne sono mai stata capace. E così, in queste ore, un'ansia sottile mi pervade. Però senza gesso la vita mi sorride. Ho due braccia. La lavanda nel mio patio è sfacciatamente in fiore. Ooocchei, lo dico: sono felice.
Soundtrack: Rewind
How soon is now?
I bet you look good on a dance floor
Good vibrations
Ore 21.02 «Mamma, ti sei fatta male o ti sei solo spaventata?» mi ha chiesto l'altra sera il Pupo, osservandomi accasciata, immobile ai piedi dei due gradini che, in casa nostra, separano la cosidetta «stanza segreta» (un ripostiglio che contiene soprattutto giochi, nda) dalla zona soppalco.
In effetti ci ho messo qualche istante a rispondere, stringendo i denti e piangendo in silenzio mentre davo a me stessa dell'idiota.
Rewind. Ore 21.01 Stavo per l'appunto uscendo dalla stanza segreta, quando, avendo ai piedi due sottili calzini di collant, sono scivolata e caduta, andando a sbattere sul parquet prima con entrambe le ginocchia - sulle quali ora si stagliano ben visibili i due lividi di riferimento - e immediatamente dopo, per par condicio, con entrambi i polsi, nell'istintivo quanto inutile gesto che il 98% della popolazione mondiale compie per proteggersi il volto e la testa in caso di capitomboli. «Idiota idiota idiota», mi sono ripetuta 15/16.000 volte.
Perciò ho esitato Soffermandomi qualche istante a valutare i danni prima di rispondere al Pupo. Per fortuna ho presto capito di non essermi fatta (quasi) niente. Del resto è solo da una settimana che sono senza gesso: sarebbe stato paradossale rompermi subito un altro osso. Qualcuno nei commenti a questo blog mi aveva parlato del senso di liberazione che si prova quando, dopo aver perso per un mese l'uso di un arto (nel mio caso, il braccio destro) all'improvviso lo si riacquista. In effetti, a me la liberazione l'hanno fatta proprio sudare.
Una mattina di fine maggio, all'ospedale Galeazzi Mi sono presentata garrula e speranzosa all'accettazione, con 55 minuti d'anticipo rispetto al mio appuntamento.
(Io, 54 minuti dopo, al banco informazioni) «Mi scusi, secondo quanto c'è scritto qua tra un minuto sarei attesa in sala raggi. Ma pur essendo arrivata presto, allo sportello ho ancora ventordici persone davanti, è mai possibile? Come faccio adesso?»
(Addetta) «Abbia pazienza, è che l'età media dei pazienti è un po' alta, gli anziani fanno fatica in sede di accettazione. Non si preoccupi, non la rimandano a casa con il gesso».
(27 minuti dopo, finalmente all'accettazione, dopo aver pagato il ticket) «Benissimo cara, ora attenda che chiamino il suo numero. Quando sentirà il suo numero vada in fondo a questo corridoio a destra, al presidio infermieri, e mostri queste carte. Sapranno indirizzarla».
How soon is now? 14 minuti dopo, con 45 minuti di ritardo rispetto al mio appuntamento, mi sono consegnata spontaneamente al presidio infermieri.
(Infermiera brusca) «Abbiamo chiamato il suo numero?»
«Sì».
«È sicura?»
(Senza esitazione) «Sì».
«Uhm... strano, qui non risulta. Vabbe' vabbe' dia qua. Ok, mi faccia vedere... Bene, deve andare al primo piano e chiedere della dottoressa R».
«È lei che mi farà la lastra?»
«No. La dottoressa R deve solo firmare e timbrare questo foglio. Poi con il foglio lei andrà al piano -1, in sala raggi».
«Ah».
Officina ortopedica Di fronte agli occhi del visitatore, al primo piano, si staglia la scritta della speranza: «Officina ortopedica». Vien da pensare che qui si crei, si ripari, si rimonti con grazia ciò che è stato smontato. Però in corridoio, di fronte allo studio della dottoressa Romanò, ci sono sei sette persone in attesa. «Scusate, voi state aspettando...». La risposta è un coro all'unisono: «La dottoressa R. Però sta v i s i t a n d o».
«Potrei secondo voi velocemente intrufolarmi, farle firmare codesto foglio e nello spazio di 30 secondi togliere il disturbo?»
È come se gli occhi dei pazienti in attesa fossero campioni di nuoto sincronizzato. S'alzano al cielo perfettamente coordinati, poi uno bofonchia: «Mmmm ooocchei, se proprio deve».
Le sudate carte Qualche minuto dopo vittoriosa fuggo verso il piano -1. Prendo l'ascensore sbagliato, finisco davanti alla sala operatoria, fingo indifferenza, salto sull'ascensore giusto, ed eccomi finalmente in sala raggi.
(Infermiere brusco): «Qui manca un foglio».
«Quale foglio?»
«La fotocopia di quest'altro».
«Eh».
«Senza la fotocopia non può fare i raggi. Dovevano fargliela in accettazione».
«Sì, ma non me l'hanno fatta».
«Adesso è un problema».
(Io, paziente) «Vuole che torni su? Magari rifaccio la coda, poi tra un 75/90 minuti ci vediamo qui con la fotocopia».
(Voltandosi verso una fotocopiatrice già accesa): «Ooocchei, gliela faccio io».
Sicura di non essere incinta? 30 minuti dopo, in sala raggi. La radiologa è un tipo ansioso e mi chiede quattro/sei volte se sono sicura di non essere in gravidanza. Le dico che sto allattando una neonata e lei mi snocciola le decine di casi di sue conoscenti rimaste incinte dopo una settimana dal parto. Le dico un po' secca che, a parte questo, non deve preoccuparsi: non c'è nessuna possibilità che io sia incinta. «Ooocchei, la mia era solo una domanda». Fortunatamente la lastra va bene. «E adesso cosa faccio?»
«Torni al primo piano, dalla dottoressa R. È lei che toglie i gessi».
Un po' penso a uno scherzo, un po' mi viene da piangere. L'ascensore non funziona. Salgo a piedi, lentamente: piano terra, primo piano. Per fortuna davanti a me, all'officina ortopedica, non c'è più nessuno. I pazienti in attesa si sono come dissolti. Mi cade l'occhio su una finestra che qualcuno ha lasciata aperta e penso che si siano tutti buttati di sotto, per l'esasperazione.
I bet you look good on a dance floor Busso, ma nessuno risponde. Riprovo a bussare, poi entro. La dottoressa R è al telefono: sta parlando con qualcuno dell'organizzazione di una festa. È seccata perché un amico comune porta sempre vino scadente. Ormai ho perso ogni ritegno, le agito il gesso davanti al naso per farmi notare. L'assalto olfattivo funziona: dopo meno di un minuto chiude la telefonata. Per scalpellarmi via il gesso chiama uno specializzando, che si gode il delicato bouquet floreale emanato dal mio braccio dopo un mese di costrizione ma mi usa la gentilezza di fingere indifferenza. Una volta libera corro in bagno. Stranamente il dispenser non è rotto e contiene anche il sapone, così mi prendo il lusso di passare 10 minuti d'orologio a strofinarmi e sciacquarmi.
Esco dall'ospedale con due ore di ritardo, la Piccolissima a casa avrà certamente fame, il braccio è debole e lo sento strano: però sono di buonumore, pazienza, tutto passerà. Nelle ore immediatamente successive stringo mani, tocco persone e batto cinque come neanche Matteo Renzi in visita nelle scuole, carezzo bambini, firmo documenti, mi lavo i denti, scolo la pasta, taglio la carne, mi faccio pure giocosamente mordere la mano da Laccio («il cane che ti rompe un braccio» ©).
Good vibrations Pensieri sparsi nelle notti che seguono:
1. È proprio vero. Quando vieni privato di qualcosa, la gioia che provi nel tornarne in possesso è indescrivibile.
2. È proprio vero. I meccanismi secondo i quali funziona, in Italia, la sanità sono spesso farraginosi, inutilmente faticosi (avete aneddoti in merito? Se sì, mi divertirebbe molto leggerli).
3. È proprio vero: alla vigilia di un viaggio bisognerebbe più che mai stare attenti a non finire in pericolo. Domattina se il cielo ci assiste partiamo per una settimana di mare. Non devo non devo non devo indossare più i collant, non devo scivolare. Non devo rompermi un altro polso.
4. (ultimo) È proprio vero: mi riduco sempre all'ultimo momento. Ore 15.56: devo fare le valigie, un poco di spesa, partecipare a una festa di bambini, portare a scuola i regali per le maestre, istruire il vicepadre di Laccio, un amico che starà a casa nostra con lui durante la nostra settimana di vacanza, sul da farsi.
Voi ci riuscite, a organizzarvi in anticipo? Se sì: come? Quali sono i segreti? Io non ne sono mai stata capace. E così, in queste ore, un'ansia sottile mi pervade. Però senza gesso la vita mi sorride. Ho due braccia. La lavanda nel mio patio è sfacciatamente in fiore. Ooocchei, lo dico: sono felice.
Soundtrack: Rewind
How soon is now?
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mercoledì 28 maggio 2014
Buon compleanno, Pupa
Epic fail
Tutto abbastanza tranquillo qui nel Bovisashire. Oggi la Pupa compie 9 anni e non passa giorno senza che io ringrazi il cielo per averla avuta. Il suo ingresso nel decimo anno di vita avviene peraltro nel segno di una certa instabilità, in coincidenza perfetta con l'arrivo imminente del suo terzo fratello. L'altro giorno tornando da scuola siamo passate davanti alla chiesa del nostro quartiere e abbiamo incontrato per caso il sacerdote: under 40, gentile, kid-friendly. «Buongiorno, don G», l'ho salutato. «Nel vederla approfitto per chiederle se conosce le date dei battesimi di settembre. Volevo organizzare quello della Piccolissima adesso, a maggio, ma poi mi è occorso questo incidente», ho detto indicandomi il polso gessato.
La pazienza non cresce in una notte «Deve avere un po' di pazienza», ha risposto don G. «Come saprà stiamo per nominare il nuovo parroco, tante cose stanno accadendo nella nostra chiesa. Dobbiamo riaggiornarci a metà giugno. Sarete a Milano per allora?». «Certo che sì», è intervenuta garrula la Pupa. «Alla fine della scuola andremo al mare ma poi torniamo, sa com'è, sta per nascere il mio fratellino». Al prete prima sono caduti gli occhi sul mio addome (quasi) piatto, poi è franata la mascella. «Eh?». «Sì, don G, vede, ecco, noi... io e il padre della bambina siamo divorziati». «Eh?». «Siamo divorziati». «Cooosaaah?». «Siamo divorziati. Il fratellino di cui parla mia figlia, eeeh... viene dalla parte del papà. Per parte nostra, cioè mia, la sorellina l'abbiamo già avuta. È nata lo scorso dicembre. È lei che battezziamo».
(Lui): «Aaah. Benissimo».
(Io): «Bene».
(Lui): «Perfetto. Perfetto. Bene. Benissimo».
(Pupa): «È una bellissima notizia, vero?»
Siamo fatti in modo terribile e prodigioso (Salmi 139:14) «Pupa, perché devi sputtanarmi davanti al prete? Ti ho già spiegato che non è obbligatorio raccontare sempre a tutti, nel dettaglio, la nostra situazione famigliare». «Mamma, e tu perché usi questa parola? Non l'ho mai sentita, dunque penso che è una parolaccia». «Penso che sia. Quando finirà, la tua guerra ai congiuntivi?». «Perché cambi discorso? Perché dici parolacce?». «Hai ragione. Ora respira profondamente e ripeti con me: "Mamma, mi spiace di averti sputtanato davanti al prete"». «Non posso, è una parolaccia. Comunque sei stata tu, a raccontare tutto al prete. Io, io gli ho solo detto che stava per nascermi un fratellino».
La pazienza non cresce in una notte/2 Ah, quanta pazienza devo avere. Quanta pazienza, quando chiedo a Mike Delfino di tenere la Piccolissima per mezz'ora in modo da lasciarmi concludere questo post - l'ho cominciato stamani, chissà se riuscirò a metterlo online entro mezzanotte - e lui comincia a roteare per la stanza tipo avvoltoio, ad attendere che io finisca con la bambina in braccio, girandomi attorno in cerchi sempre più stretti mentre lei gracida stanca e stridula, e quando gli chiedo «Puoi andare di sopra un pochino, per piacere», mi risponde stizzito, dopo aver avuto tutta la giornata per sé e per il suo lavoro, «Aaaah, ti piace la vita comoda, vero?».
La pazienza non cresce in una notte/3 Quanta pazienza devo avere, quando prendo la Piccolissima e lei mi vomita addosso per la terza volta in un giorno, e il vomito per una volta non mi finisce sui vestiti ma con misteriosa diabolica precisione scivola giù giù nella scarpa destra, nella stretta intercapedine tra il piede e l'interno della calzatura, di modo che debbo poi andarmene in giro per un bel pezzo facendo scic-sciac, prima di tornare a casa e finalmente cambiarmi. Quanta pazienza ci vuole a stare con qualcuno, a starci davvero intendo, a tenere assieme - in piedi - una casa che non sia solo solida ma anche luminosa. Per fortuna succedono anche cose che ci fanno ridere, e tanto. Come quando l'altra mattina Mike Delfino si è svegliato alle sei pensando che fossero le sette e mezza. Non trovava il cellulare, era convinto fosse tardissimo. Io dormivo beata, lui rimbambito com'era è andato a guardare l'ora sul termostato. Ha letto 23, ha pensato fossero le 11 di sera. Si è stupito per tutta quella luce. Nel dubbio ha deciso di svegliare Baracca e Burattini, li ha portati al piano di sotto, ha ignorato l'orologio a muro e anche quello del forno, li ha fatti vestire, ha scaldato il latte, si è preparato a sua volta. Alle sette del mattino erano tutti pronti a uscire, un po' pallidi e smarriti. «Sono fatto così», mi ha spiegato poi la sera esausto, tra gli sbadigli. «Quando parto, parto. Ormai mi ero alzato, il meccanismo era avviato», si è giustificato. Questa è la nostra vita: meccanismi che si avviano, che arrestare è difficile. Questa è la nostra famiglia: diciamo ai preti quel che non si deve. Facciamo figli. Cerchiamo di tirarli grandi al meglio, festeggiamo compleanni. Tanti auguri, Pupa, scusa se pubblico solo ora questo post. Grazie perché mi hai fatto diventare mamma; grazie perché ancora non dici i congiuntivi, e perché mi spingi fuori dai binari di continuo. Non uso più quell'altra parola che a te non piace, quella che non ripeteresti.
Tutto abbastanza tranquillo qui nel Bovisashire. Oggi la Pupa compie 9 anni e non passa giorno senza che io ringrazi il cielo per averla avuta. Il suo ingresso nel decimo anno di vita avviene peraltro nel segno di una certa instabilità, in coincidenza perfetta con l'arrivo imminente del suo terzo fratello. L'altro giorno tornando da scuola siamo passate davanti alla chiesa del nostro quartiere e abbiamo incontrato per caso il sacerdote: under 40, gentile, kid-friendly. «Buongiorno, don G», l'ho salutato. «Nel vederla approfitto per chiederle se conosce le date dei battesimi di settembre. Volevo organizzare quello della Piccolissima adesso, a maggio, ma poi mi è occorso questo incidente», ho detto indicandomi il polso gessato.
La pazienza non cresce in una notte «Deve avere un po' di pazienza», ha risposto don G. «Come saprà stiamo per nominare il nuovo parroco, tante cose stanno accadendo nella nostra chiesa. Dobbiamo riaggiornarci a metà giugno. Sarete a Milano per allora?». «Certo che sì», è intervenuta garrula la Pupa. «Alla fine della scuola andremo al mare ma poi torniamo, sa com'è, sta per nascere il mio fratellino». Al prete prima sono caduti gli occhi sul mio addome (quasi) piatto, poi è franata la mascella. «Eh?». «Sì, don G, vede, ecco, noi... io e il padre della bambina siamo divorziati». «Eh?». «Siamo divorziati». «Cooosaaah?». «Siamo divorziati. Il fratellino di cui parla mia figlia, eeeh... viene dalla parte del papà. Per parte nostra, cioè mia, la sorellina l'abbiamo già avuta. È nata lo scorso dicembre. È lei che battezziamo».
(Lui): «Aaah. Benissimo».
(Io): «Bene».
(Lui): «Perfetto. Perfetto. Bene. Benissimo».
(Pupa): «È una bellissima notizia, vero?»
Siamo fatti in modo terribile e prodigioso (Salmi 139:14) «Pupa, perché devi sputtanarmi davanti al prete? Ti ho già spiegato che non è obbligatorio raccontare sempre a tutti, nel dettaglio, la nostra situazione famigliare». «Mamma, e tu perché usi questa parola? Non l'ho mai sentita, dunque penso che è una parolaccia». «Penso che sia. Quando finirà, la tua guerra ai congiuntivi?». «Perché cambi discorso? Perché dici parolacce?». «Hai ragione. Ora respira profondamente e ripeti con me: "Mamma, mi spiace di averti sputtanato davanti al prete"». «Non posso, è una parolaccia. Comunque sei stata tu, a raccontare tutto al prete. Io, io gli ho solo detto che stava per nascermi un fratellino».
Quanta pazienza. |
La pazienza non cresce in una notte/3 Quanta pazienza devo avere, quando prendo la Piccolissima e lei mi vomita addosso per la terza volta in un giorno, e il vomito per una volta non mi finisce sui vestiti ma con misteriosa diabolica precisione scivola giù giù nella scarpa destra, nella stretta intercapedine tra il piede e l'interno della calzatura, di modo che debbo poi andarmene in giro per un bel pezzo facendo scic-sciac, prima di tornare a casa e finalmente cambiarmi. Quanta pazienza ci vuole a stare con qualcuno, a starci davvero intendo, a tenere assieme - in piedi - una casa che non sia solo solida ma anche luminosa. Per fortuna succedono anche cose che ci fanno ridere, e tanto. Come quando l'altra mattina Mike Delfino si è svegliato alle sei pensando che fossero le sette e mezza. Non trovava il cellulare, era convinto fosse tardissimo. Io dormivo beata, lui rimbambito com'era è andato a guardare l'ora sul termostato. Ha letto 23, ha pensato fossero le 11 di sera. Si è stupito per tutta quella luce. Nel dubbio ha deciso di svegliare Baracca e Burattini, li ha portati al piano di sotto, ha ignorato l'orologio a muro e anche quello del forno, li ha fatti vestire, ha scaldato il latte, si è preparato a sua volta. Alle sette del mattino erano tutti pronti a uscire, un po' pallidi e smarriti. «Sono fatto così», mi ha spiegato poi la sera esausto, tra gli sbadigli. «Quando parto, parto. Ormai mi ero alzato, il meccanismo era avviato», si è giustificato. Questa è la nostra vita: meccanismi che si avviano, che arrestare è difficile. Questa è la nostra famiglia: diciamo ai preti quel che non si deve. Facciamo figli. Cerchiamo di tirarli grandi al meglio, festeggiamo compleanni. Tanti auguri, Pupa, scusa se pubblico solo ora questo post. Grazie perché mi hai fatto diventare mamma; grazie perché ancora non dici i congiuntivi, e perché mi spingi fuori dai binari di continuo. Non uso più quell'altra parola che a te non piace, quella che non ripeteresti.
domenica 18 maggio 2014
Non si uccidono così anche i pidocchi?
Stavolta niente musica, perché
La casa è all'improvviso quieta, la Pupa a una festa, i maschi di casa - cane compreso - al parco. La Piccolissima dorme nella culla, non si sa per quanto. Io, polso rotto, bestiale raffreddore e un giro di domopak in testa, scrivo. Un antico interrogativo riecheggia nella mia mente e tra queste pareti: esiste un modo per liberarsi definitivamente dai pidocchi?
Scuole del centro vs scuole di periferia Nei tre anni in cui la Pupa ha frequentato la scuola materna posh, in casa non se n'è mai visto uno. Invece quella del Pupo, qui nel Bovisashire, ne è piena. «Da noi sono endemici», si stringono nelle spalle le maestre. Qui vige la regola severissima per cui ogni bimbo pizzicato anche solo con un singolo ovetto debba starsene a casa fin quando non supera l'esame di riammissione alla Asl. Di solito è Mike Delfino a portarci il Pupo. Indossa la camicia buona e fa grandi sorrisi alle dottoresse per ingraziarsele, sperando che guardino più lui negli occhi che il bambino dietro le orecchie.
Vivo, morto o X Il fatto è che vige pure la crudele regola che per essere riammesso il bambino non debba avere in testa una sola lendine; poco importa che sia viva, morta o chissà, quelli sono capaci di rimandarti a casa anche solo per un granello di forfora sospetto. Tantissimi dubbi mi attanagliano. Perché il Pupo prende sempre i pidocchi? È vero che i capelli biondi li attirano più di quelli scuri? Ho lavato a 60 gradi tutte le lenzuola e anche le federe, basterà o devo lavare anche i cuscini? Non è una notizia davvero curiosa che il tennista Roger Federer abbia avuto due coppie di gemelli una di seguito all'altra? Come facciamo a dormire senza cuscini?
Altre domande Qualche giorno fa ho chiesto a mia madre di portare il Pupo dal parrucchiere. «Solo una spuntatina per piacere. Soprattutto, non fargli tagliare i capelli sulla nuca. Mi raccomando, lo sai che, per quanto bellissimo, il nostro principino ha una lieve asimmetria del cranio». «Tranquilla. Per chi mi prendi?». Il Pupo è tornato a casa che sembrava un ciddone. Diciamo una specie di improbabile calippo, una cosa che non si può guardare, un taglio disgraziato, i capelli cortissimi soprattutto sulla nuca. Lato positivo della faccenda: le lendini si vedono meglio, e ieri ho beccato pure qualche vivace animaletto.
In caso di denuncia Ed ecco che tutta la famiglia tranne la Piccolissima ha fatto due trattamenti, uno ieri mattina e l'altro oggi, perché ho visto ancora un paio di bestioline in giro per la testa del Pupo. Se domani da scuola me lo rimandano a casa saprò che è stato uno di voi a denunciarmi, non fatelo per piacere, dopo due ore di schiuma mortifera e domopak voglio ben sperare che non ci sia più nulla di vivo tra i nostri capelli. Il domopak lo aggiungo perché mi sono convinta che così le bestie soffochino meglio.
Ancora domande Del resto avevo preannunciato, questo è un post pieno di dubbi. Esiste su internet un sito che promette l'eradicazione totale e definitiva dei pidocchi «con un rimedio da 3 euro al supermercato», voi sapete cos'è? Il sito propone di acquistare un corso a 37 euro ma la cosa mi fa innervosire. Detto sito sostiene anche che i rimedi che ci mettiamo in testa siano «tossici e portino al cancro e alla morte», anche questo mi fa innervosire. Io ho provato anche un pettinino elettrico che promette di bruciare vive le bestiole un po' con lo stesso principio della racchetta antizanzare, ma l'unico effetto è stato procurare una quantità di segni rossi sulla cute dei bambini. Mia zia usava allo stesso scopo la piastra per lisciare i capelli ma mi pare che anche quella sia ad alto rischio ustioni.
Verità e leggende A voler essere ottimisti qui direi che si fanno dagli otto ai dieci trattamenti all'anno (ogni volta almeno doppi, a distanza di sette giorni l'uno dall'altro). Durante questi tranquilli weekend di paura vagoliamo per casa per ore, nervosi e irritabili, con i nostri preservativi di pellicola cacciati sul capo. Ognuno ha le sue teorie: Mike Delfino per esempio sostiene di essere il meno aggredito della famiglia perché «il cloro della piscina infastidisce i pidocchi», la Pupa che la sua compagna Y «ha avuto i pidocchi per tutto l'anno senza mai smettere», io che i capelli colorati respingano le bestie dannate - i miei non li ho mai tinti ma forse dovrei cominciare, vi risulta funzioni? Sui pidocchi circolano verità e leggende. Una mia amica dice di spruzzare un misto di lavanda, timo e bergamotto (credo) sulla nuca dei bambini. Un tizio che conoscevo ha fatto un incidente in moto, si è rialzato in piedi da solo dicendo «Non è nulla», poi si è tolto il casco e gli è caduta la testa. Un'altra amica lava i capelli suoi e dei figli con acqua e aceto, ne sapete qualcosa? Aiuto. Alla Pupa stamani sono venute le guance rosse perché le era colato un po' di prodotto sul volto, lei sopporta stoica ma così tutta a chiazze, poveretta, faceva impressione.
La casa è all'improvviso quieta, la Pupa a una festa, i maschi di casa - cane compreso - al parco. La Piccolissima dorme nella culla, non si sa per quanto. Io, polso rotto, bestiale raffreddore e un giro di domopak in testa, scrivo. Un antico interrogativo riecheggia nella mia mente e tra queste pareti: esiste un modo per liberarsi definitivamente dai pidocchi?
Scuole del centro vs scuole di periferia Nei tre anni in cui la Pupa ha frequentato la scuola materna posh, in casa non se n'è mai visto uno. Invece quella del Pupo, qui nel Bovisashire, ne è piena. «Da noi sono endemici», si stringono nelle spalle le maestre. Qui vige la regola severissima per cui ogni bimbo pizzicato anche solo con un singolo ovetto debba starsene a casa fin quando non supera l'esame di riammissione alla Asl. Di solito è Mike Delfino a portarci il Pupo. Indossa la camicia buona e fa grandi sorrisi alle dottoresse per ingraziarsele, sperando che guardino più lui negli occhi che il bambino dietro le orecchie.
Vivo, morto o X Il fatto è che vige pure la crudele regola che per essere riammesso il bambino non debba avere in testa una sola lendine; poco importa che sia viva, morta o chissà, quelli sono capaci di rimandarti a casa anche solo per un granello di forfora sospetto. Tantissimi dubbi mi attanagliano. Perché il Pupo prende sempre i pidocchi? È vero che i capelli biondi li attirano più di quelli scuri? Ho lavato a 60 gradi tutte le lenzuola e anche le federe, basterà o devo lavare anche i cuscini? Non è una notizia davvero curiosa che il tennista Roger Federer abbia avuto due coppie di gemelli una di seguito all'altra? Come facciamo a dormire senza cuscini?
Altre domande Qualche giorno fa ho chiesto a mia madre di portare il Pupo dal parrucchiere. «Solo una spuntatina per piacere. Soprattutto, non fargli tagliare i capelli sulla nuca. Mi raccomando, lo sai che, per quanto bellissimo, il nostro principino ha una lieve asimmetria del cranio». «Tranquilla. Per chi mi prendi?». Il Pupo è tornato a casa che sembrava un ciddone. Diciamo una specie di improbabile calippo, una cosa che non si può guardare, un taglio disgraziato, i capelli cortissimi soprattutto sulla nuca. Lato positivo della faccenda: le lendini si vedono meglio, e ieri ho beccato pure qualche vivace animaletto.
In caso di denuncia Ed ecco che tutta la famiglia tranne la Piccolissima ha fatto due trattamenti, uno ieri mattina e l'altro oggi, perché ho visto ancora un paio di bestioline in giro per la testa del Pupo. Se domani da scuola me lo rimandano a casa saprò che è stato uno di voi a denunciarmi, non fatelo per piacere, dopo due ore di schiuma mortifera e domopak voglio ben sperare che non ci sia più nulla di vivo tra i nostri capelli. Il domopak lo aggiungo perché mi sono convinta che così le bestie soffochino meglio.
Ancora domande Del resto avevo preannunciato, questo è un post pieno di dubbi. Esiste su internet un sito che promette l'eradicazione totale e definitiva dei pidocchi «con un rimedio da 3 euro al supermercato», voi sapete cos'è? Il sito propone di acquistare un corso a 37 euro ma la cosa mi fa innervosire. Detto sito sostiene anche che i rimedi che ci mettiamo in testa siano «tossici e portino al cancro e alla morte», anche questo mi fa innervosire. Io ho provato anche un pettinino elettrico che promette di bruciare vive le bestiole un po' con lo stesso principio della racchetta antizanzare, ma l'unico effetto è stato procurare una quantità di segni rossi sulla cute dei bambini. Mia zia usava allo stesso scopo la piastra per lisciare i capelli ma mi pare che anche quella sia ad alto rischio ustioni.
Verità e leggende A voler essere ottimisti qui direi che si fanno dagli otto ai dieci trattamenti all'anno (ogni volta almeno doppi, a distanza di sette giorni l'uno dall'altro). Durante questi tranquilli weekend di paura vagoliamo per casa per ore, nervosi e irritabili, con i nostri preservativi di pellicola cacciati sul capo. Ognuno ha le sue teorie: Mike Delfino per esempio sostiene di essere il meno aggredito della famiglia perché «il cloro della piscina infastidisce i pidocchi», la Pupa che la sua compagna Y «ha avuto i pidocchi per tutto l'anno senza mai smettere», io che i capelli colorati respingano le bestie dannate - i miei non li ho mai tinti ma forse dovrei cominciare, vi risulta funzioni? Sui pidocchi circolano verità e leggende. Una mia amica dice di spruzzare un misto di lavanda, timo e bergamotto (credo) sulla nuca dei bambini. Un tizio che conoscevo ha fatto un incidente in moto, si è rialzato in piedi da solo dicendo «Non è nulla», poi si è tolto il casco e gli è caduta la testa. Un'altra amica lava i capelli suoi e dei figli con acqua e aceto, ne sapete qualcosa? Aiuto. Alla Pupa stamani sono venute le guance rosse perché le era colato un po' di prodotto sul volto, lei sopporta stoica ma così tutta a chiazze, poveretta, faceva impressione.
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mercoledì 7 maggio 2014
Sempre più difficile
Se ti tagliassero a pezzetti
Si è poi rivelata davvero brillante l'idea di caricare Baracca e Burattini e partire giovedì scorso per l'ultimo ponte, alla volta del caratteristico borgo ligure tutto salitine e discesine che ospita una suggestiva casa di famiglia, nonostante il meteo avverso. Come ha suggerito Mike Delfino: «Andiamo lì e ci rilassiamo un po'. Anzi, sai come si dice in questi casi: stacchiamo. E se fa freddo o piove, che problema c'è? Vorrà dire che accenderemo il caminetto». In trasferta abbiamo conseguito un un duplice obbiettivo: il Pupo ha fatto il primo bagno di stagione - temperatura acqua 5 gradi, aria 10 gradi - e io mi sono rotta il primo polso della mia vita. In effetti, spero anche l'ultimo.
Laccio, il cane che ti spacca il braccio Eccomi dunque a scrivere questo post indossando il grazioso guanto di gesso che vedete nella foto sopra. Se per caso ve lo state chiedendo: è scomodo, fastidioso e anche doloroso. Per la precisione mi sono sfracellata al suolo venerdì sera, inseguendo il cane che era scappato di casa contestualmente conquistando il titolo di Idiota dell'Anno. Ho scoperto che non è per nulla difficile, scivolare sotto la pioggia battente su una delle salitine/discesine del caratteristico borgo. Stavo cadendo di chiappa - il che sarebbe stato perfetto - ma all'ultimo momento l'istinto fallace mi ha spinto a poggiare la mano a terra. Trovandomi giusto all'inizio di maggio, aka il mese mariano, ho trovato particolarmente appropriato invocare la Madonna e tutti i santi.
E guarirai da tutte le malattie «Non è niente di grave», ho poi rassicurato gli amici del caratteristico borgo che ci aspettavano a cena. «Niente di grave», ho ripetuto andando a letto, verso le 23, con tre tachipirine in corpo e qualche vago sospetto. «Mi fa un male atroce. Mi accompagni al pronto soccorso?» ho scritto alle 2 di notte alla mia amica del caratteristico borgo. Lei ovviamente dormiva, e così in ospedale ci siamo arrivate solo al sabato mattina. «Signora, è un'infrazione del piramidale. Nell'ambito delle fratture polso/mano, poteva andarle molto peggio», mi ha fatto notare dopo quattro ore d'attesa e tre lastre il medico dell'ospedale di Sarzana, strana città di confine tra Liguria e Toscana. «Se lo dice lei, che ne ha visti tanti». «Veramente sono otorino, è il primo gesso che faccio». «Ah, fantastico». «Non sia negativa. Se con lei mi va bene, avrò avuto il 100% di successi». «Ha ragione, ma sa com'è. Anche per me è il primo gesso, sono un po' apprensiva». «Maremma, qui non si può più nemmeno scherzare. Suvvia, sono ortopedico».
Dove sarò domani, che ne sarà dei miei sogni infranti, dei miei piani Una delle idee forti di questo periodo (l'originale, peraltro, non è di Chiara Gamberale) è che valga la pena di provare ogni giorno a fare qualcosa di diverso dal solito, anche solo per pochi minuti. A voler guardare il lato positivo della faccenda, il braccio rotto mi permette di sperimentare attività del tutto inedite. Per esempio non posso più prendere in braccio la neonata normalmente, ma devo triangolarmela addosso con uno scatto del basso addominale seguito da un rapido quanto preciso movimento del polso (il sinistro, quello sano), lanciandomela tra petto e spalla come fosse una sciarpina. Lei ha pianto solo le prime volte, ora si limita a sbattere le ciglia per la sorpresa.
Ma sono lacrime Per pulirmi ho bisogno di Mike Delfino. Se la cava bene ma tende a strofinarmi con troppo vigore, a tratti quasi con rabbia. Ho calcolato che di qui al giorno della rimozione del gesso - sperabilmente il 28 maggio, la data esatta del compleanno della Pupa - dovrà farmi almeno 11 docce, una ogni 48 ore. So che carezza l'idea di cominciare a lavarmi con l'idropulitrice, acquisto collettivo dei miei vicini della casa-cantiere: «Basta regolare la pressione al minimo. Sarà come portarti all'autolavaggio».
Dammi quel che vuoi, io quel che posso Ora ditemi sinceramente secondo voi quanto sono sfigata da 1 a 10. Bambini + cane + pesci di cui uno psicotico = ci mancava solo il polso rotto. Per forza di cose Baracca (la Pupa, se non l'aveste capito) e Burattini (suo fratello) sono dovuti entrare nel circuito del lavoro minorile. «Bambini, io non ce la faccio. D'ora in poi dovrete aiutarmi in tutto. Per esempio a caricare la lavastoviglie, a stendere i panni, ad apparecchiare. Vi vestirete da soli, smetterete di menarvi, farete i rutti in silenzio, tu Pupo ti addormenterai senza pretendere che restiamo sdraiati al tuo fianco per 40 minuti. Fate conto che per questo mese io divento la bambina e voi gli adulti». «Allora dobbiamo aiutarti anche a lavarti il culetto?». «No, Pupo. Sperabilmente quello, in qualche modo, continuerò a farlo da sola».
Soundtrack: Domani
L'ultimo bacio
La cura
Se ti tagliassero a pezzetti
Si è poi rivelata davvero brillante l'idea di caricare Baracca e Burattini e partire giovedì scorso per l'ultimo ponte, alla volta del caratteristico borgo ligure tutto salitine e discesine che ospita una suggestiva casa di famiglia, nonostante il meteo avverso. Come ha suggerito Mike Delfino: «Andiamo lì e ci rilassiamo un po'. Anzi, sai come si dice in questi casi: stacchiamo. E se fa freddo o piove, che problema c'è? Vorrà dire che accenderemo il caminetto». In trasferta abbiamo conseguito un un duplice obbiettivo: il Pupo ha fatto il primo bagno di stagione - temperatura acqua 5 gradi, aria 10 gradi - e io mi sono rotta il primo polso della mia vita. In effetti, spero anche l'ultimo.
Laccio, il cane che ti spacca il braccio Eccomi dunque a scrivere questo post indossando il grazioso guanto di gesso che vedete nella foto sopra. Se per caso ve lo state chiedendo: è scomodo, fastidioso e anche doloroso. Per la precisione mi sono sfracellata al suolo venerdì sera, inseguendo il cane che era scappato di casa contestualmente conquistando il titolo di Idiota dell'Anno. Ho scoperto che non è per nulla difficile, scivolare sotto la pioggia battente su una delle salitine/discesine del caratteristico borgo. Stavo cadendo di chiappa - il che sarebbe stato perfetto - ma all'ultimo momento l'istinto fallace mi ha spinto a poggiare la mano a terra. Trovandomi giusto all'inizio di maggio, aka il mese mariano, ho trovato particolarmente appropriato invocare la Madonna e tutti i santi.
E guarirai da tutte le malattie «Non è niente di grave», ho poi rassicurato gli amici del caratteristico borgo che ci aspettavano a cena. «Niente di grave», ho ripetuto andando a letto, verso le 23, con tre tachipirine in corpo e qualche vago sospetto. «Mi fa un male atroce. Mi accompagni al pronto soccorso?» ho scritto alle 2 di notte alla mia amica del caratteristico borgo. Lei ovviamente dormiva, e così in ospedale ci siamo arrivate solo al sabato mattina. «Signora, è un'infrazione del piramidale. Nell'ambito delle fratture polso/mano, poteva andarle molto peggio», mi ha fatto notare dopo quattro ore d'attesa e tre lastre il medico dell'ospedale di Sarzana, strana città di confine tra Liguria e Toscana. «Se lo dice lei, che ne ha visti tanti». «Veramente sono otorino, è il primo gesso che faccio». «Ah, fantastico». «Non sia negativa. Se con lei mi va bene, avrò avuto il 100% di successi». «Ha ragione, ma sa com'è. Anche per me è il primo gesso, sono un po' apprensiva». «Maremma, qui non si può più nemmeno scherzare. Suvvia, sono ortopedico».
Dove sarò domani, che ne sarà dei miei sogni infranti, dei miei piani Una delle idee forti di questo periodo (l'originale, peraltro, non è di Chiara Gamberale) è che valga la pena di provare ogni giorno a fare qualcosa di diverso dal solito, anche solo per pochi minuti. A voler guardare il lato positivo della faccenda, il braccio rotto mi permette di sperimentare attività del tutto inedite. Per esempio non posso più prendere in braccio la neonata normalmente, ma devo triangolarmela addosso con uno scatto del basso addominale seguito da un rapido quanto preciso movimento del polso (il sinistro, quello sano), lanciandomela tra petto e spalla come fosse una sciarpina. Lei ha pianto solo le prime volte, ora si limita a sbattere le ciglia per la sorpresa.
Ma sono lacrime Per pulirmi ho bisogno di Mike Delfino. Se la cava bene ma tende a strofinarmi con troppo vigore, a tratti quasi con rabbia. Ho calcolato che di qui al giorno della rimozione del gesso - sperabilmente il 28 maggio, la data esatta del compleanno della Pupa - dovrà farmi almeno 11 docce, una ogni 48 ore. So che carezza l'idea di cominciare a lavarmi con l'idropulitrice, acquisto collettivo dei miei vicini della casa-cantiere: «Basta regolare la pressione al minimo. Sarà come portarti all'autolavaggio».
Dammi quel che vuoi, io quel che posso Ora ditemi sinceramente secondo voi quanto sono sfigata da 1 a 10. Bambini + cane + pesci di cui uno psicotico = ci mancava solo il polso rotto. Per forza di cose Baracca (la Pupa, se non l'aveste capito) e Burattini (suo fratello) sono dovuti entrare nel circuito del lavoro minorile. «Bambini, io non ce la faccio. D'ora in poi dovrete aiutarmi in tutto. Per esempio a caricare la lavastoviglie, a stendere i panni, ad apparecchiare. Vi vestirete da soli, smetterete di menarvi, farete i rutti in silenzio, tu Pupo ti addormenterai senza pretendere che restiamo sdraiati al tuo fianco per 40 minuti. Fate conto che per questo mese io divento la bambina e voi gli adulti». «Allora dobbiamo aiutarti anche a lavarti il culetto?». «No, Pupo. Sperabilmente quello, in qualche modo, continuerò a farlo da sola».
Soundtrack: Domani
L'ultimo bacio
La cura
Se ti tagliassero a pezzetti
giovedì 24 aprile 2014
Amiche mie (e altri dilemmi)
Mia madre, se contasse bene i panni che ha lavato, probabilmente vestirebbe il mondo
«Sbrigati a scrivere questo post, che il libro diventa vecchio» (dice la mia amica). «Non posso, non ce la faccio, non ho tempo». «Dì la verita, il problema è che sei pigra». «Hai ragione. È colpa mia. Perché al mattino verso le cinque cinque e mezza, dopo aver allattato e riaddormentato la Piccolissima, potrei benissimo alzarmi, andare a correre al parco profittandone per portare fuori anche il cane Laccio (che non è un pagliaccio), tornare e fresca di doccia, dopo essermi passata la crema idratante su tutto il corpo e un po' di contorno occhi che non guasta mai, preparare per il resto della famiglia ancora dormiente anche la colazione, magari qualche centrifugato, un po' di yogurt fatto in casa, e poi spalmare artisticamente generose quantità di marmellata biologica sul pane impastato a mano la sera prima, e ancora mi avanzerebbe tempo per scrivere un'oretta, dopodiché potrei svegliare il mio amato con qualche dolce carezza di quelle che piacciono a lui, e poi sottrarre i bambini al sonno ricoprendoli di baci e cominciare allegramente la giornata insieme a loro. Invece sai che faccio, dopo aver allattato e riaddormentato la Piccolissima?». «No». «Mi riaddormento pure io».
I battiti del cuore Però, però, però: la settimana scorsa ho incontrato Silvia Ballestra, di cui sono sempre stata fan e che ha da poco pubblicato il romanzo Amiche mie, diventando definitivamente la mia eroina personale. Perché racconta di quattro donne - Carla Sofia Norma Vera - che, amiche mie, potrebbero esserlo davvero, preoccupate del cibo scadente della mensa scolastica, afflitte dopo una separazione, stritolate dal ruolo di madre-moglie oltre il quale (a volte) c'è il nulla, sconcertate da uomini-piacioni impegnati a corteggiare ragazzine. Di cosa parla il libro? «Di donne che in fondo non erano state raccontate né studiate. Insomma, non erano state celebrate seriamente».
I cani hanno la febbre tutto l'anno Mi piace di Silvia Ballestra che dopo tanti anni a Milano, dove sono nati i suoi due figli, le sia rimasto appiccicato addosso l'accento marchigiano, viscoso e birichino, sicché mi accorgo riascoltando l'intervista che certe sfumature delle parole le escono diverse da come escono dalla mia bocca, ma per il resto mi sento simile a lei e alle protagoniste di Amiche mie, che affrontano i fatti della vita «semplicemente, perché è così che va fatto: sono appena passate da una fase precisa, quando i bambini sono piccoli, in cui si è chiamate a essere madri. Del resto di alcune cose, tipo le gravidanze, lo svezzamento, è ovvio che si debbano occupare le mamme. Il punto è che quando hai finito di farle tenti di tornare in possesso della tua vita, anche lavorativa, ma sappiamo che molte donne, quando tornano, il lavoro non lo trovano più. Manca la via di mezzo. Ci sono quelle che il lavoro non lo trovano da principio, quelle che lo perdono perché hanno avuto un figlio, e però all'opposto sono tante anche quelle che lavorano troppo; c'è ancora quel detto lì, o i figli o il lavoro, e invece bisognerebbe trovare un compromesso».
Tutto nasce dal basso (e poi va su) Quando parla Silvia Ballestra inclina la testa di lato e fa un mezzo sorriso, «Io penso che dal basso possiamo e dobbiamo cambiare le cose. Alcune cose positive adesso stanno succedendo, dei segnali ci sono. Dopodiché certo ci vuole fatica, il nostro è un percorso di lotta». Addirittura? le chiedo. «Massì. In una metaforica partita a Risiko l'uomo ammassa carrarmatini, la donna si indebolisce. Ancora accade, fuori e dentro il mio romanzo. L'importante è non deprimersi, semmai arrabbiarsi. Socialmente con la mensa che non funziona, nel privato con i mariti. Sono stufa dei "Che bravo, quest'uomo che cucina. Che bravo, questo papà che cambia il pannolino"». Quante volte sentite ripetere questa frase o magari la dite voi stesse? (Se la dite, perché la dite?)
Tutto può succedere, su questo non ci piove Se chiedete a un bambino di disegnare la sua famiglia è facile che sul foglio ci finiscano una mamma ai fornelli che cucina, e un papà che guarda la tv. «Non sarebbe un male in sé se a volte, almeno a volte, accadesse il contrario. Sennò si genera infelicità, almeno credo. Io non potrei starci in un rapporto così». Le protagoniste di Amiche mie lo sanno bene. «Per Carla, Sofia, Norma e Vera la relazione di coppia non è un "sogno da realizzare" ma piuttosto un "progetto". Mi piace la parola progetto perché ha dentro l'idea di qualcosa che bisogna sforzarsi di costruire, concretizzare, non è il sogno di Biancaneve. Mi interessava parlare anche di donne separate senza entrare nel giudizio sulle coppie, volevo almeno sfiorare il tema delle famiglie smembrate, poi lo so che chi rimane sul campo spesso ci rimane fra macerie, lì per lì è un vero choc, però è una fortuna, trovo, che il matrimonio non sia più una condanna "fine pena mai"».
E dopo un po' mi hai lanciato la solita scarpa col tacco A proposito di ruoli, «È pur vero che il maschio, mentre tu litighi e gli dici le peggio cose, ribalti tutta la tua vita, metti in discussione il rapporto, minacci di andartene, arrivi per la rabbia a prendere selvaggiamente a pugni l'auto in cui sei seduta, è capace di non dirti nulla se non "Ehi, guarda che quello è l'airbag del passeggero"».
E tu già lo sai che ritorno da te Certe cose dunque, ci ricorda Amiche mie, non cambiano mai. «Però cose che un tempo erano ovvie oggi non sono più tali, come la moglie senza bancomat a cui il marito elargisce ogni settimana il denaro contato per fare la spesa, anche se è ancora vero il contrario: un marito che perde il lavoro e deve farsi mantenere dalla moglie entra in crisi profonda». La donna invece no. «Sa farsi bastare quel che ha. Un aspetto tipico del femminile postmoderno sono "i lavoretti". L'altro giorno in piscina ho visto una donna con i suoi bambini che si tirava fuori dalle tasche dell'accappatoio decine di collane fatte da lei. Lo slogan è: "Almeno faccio qualcosa"». Da madre di figli maschi (due) come si regola nell'educarli? «Fatico tanto e dico a me stessa e alle "amiche mie": non dobbiamo tornare indietro, dobbiamo ricordare le lotte delle donne che hanno combattuto per noi negli anni 70, siano benedette sempre. Però penso che piano piano anche i maschi stiano cambiando, sono ottimista da questo punto di vista. Grossi spostamenti ancora non si sono visti, lo so. Ma secondo me arriveranno». Allora da madre di figlio maschio (uno) mi chiedo e vi chiedo, questi cambiamenti sono proprio dietro l'angolo, oppure un po' più lontano?
Soundtrack: Capo Horn
Un raggio di sole
Dal basso
Tutto può succedere
«Sbrigati a scrivere questo post, che il libro diventa vecchio» (dice la mia amica). «Non posso, non ce la faccio, non ho tempo». «Dì la verita, il problema è che sei pigra». «Hai ragione. È colpa mia. Perché al mattino verso le cinque cinque e mezza, dopo aver allattato e riaddormentato la Piccolissima, potrei benissimo alzarmi, andare a correre al parco profittandone per portare fuori anche il cane Laccio (che non è un pagliaccio), tornare e fresca di doccia, dopo essermi passata la crema idratante su tutto il corpo e un po' di contorno occhi che non guasta mai, preparare per il resto della famiglia ancora dormiente anche la colazione, magari qualche centrifugato, un po' di yogurt fatto in casa, e poi spalmare artisticamente generose quantità di marmellata biologica sul pane impastato a mano la sera prima, e ancora mi avanzerebbe tempo per scrivere un'oretta, dopodiché potrei svegliare il mio amato con qualche dolce carezza di quelle che piacciono a lui, e poi sottrarre i bambini al sonno ricoprendoli di baci e cominciare allegramente la giornata insieme a loro. Invece sai che faccio, dopo aver allattato e riaddormentato la Piccolissima?». «No». «Mi riaddormento pure io».
I battiti del cuore Però, però, però: la settimana scorsa ho incontrato Silvia Ballestra, di cui sono sempre stata fan e che ha da poco pubblicato il romanzo Amiche mie, diventando definitivamente la mia eroina personale. Perché racconta di quattro donne - Carla Sofia Norma Vera - che, amiche mie, potrebbero esserlo davvero, preoccupate del cibo scadente della mensa scolastica, afflitte dopo una separazione, stritolate dal ruolo di madre-moglie oltre il quale (a volte) c'è il nulla, sconcertate da uomini-piacioni impegnati a corteggiare ragazzine. Di cosa parla il libro? «Di donne che in fondo non erano state raccontate né studiate. Insomma, non erano state celebrate seriamente».
I cani hanno la febbre tutto l'anno Mi piace di Silvia Ballestra che dopo tanti anni a Milano, dove sono nati i suoi due figli, le sia rimasto appiccicato addosso l'accento marchigiano, viscoso e birichino, sicché mi accorgo riascoltando l'intervista che certe sfumature delle parole le escono diverse da come escono dalla mia bocca, ma per il resto mi sento simile a lei e alle protagoniste di Amiche mie, che affrontano i fatti della vita «semplicemente, perché è così che va fatto: sono appena passate da una fase precisa, quando i bambini sono piccoli, in cui si è chiamate a essere madri. Del resto di alcune cose, tipo le gravidanze, lo svezzamento, è ovvio che si debbano occupare le mamme. Il punto è che quando hai finito di farle tenti di tornare in possesso della tua vita, anche lavorativa, ma sappiamo che molte donne, quando tornano, il lavoro non lo trovano più. Manca la via di mezzo. Ci sono quelle che il lavoro non lo trovano da principio, quelle che lo perdono perché hanno avuto un figlio, e però all'opposto sono tante anche quelle che lavorano troppo; c'è ancora quel detto lì, o i figli o il lavoro, e invece bisognerebbe trovare un compromesso».
Tutto nasce dal basso (e poi va su) Quando parla Silvia Ballestra inclina la testa di lato e fa un mezzo sorriso, «Io penso che dal basso possiamo e dobbiamo cambiare le cose. Alcune cose positive adesso stanno succedendo, dei segnali ci sono. Dopodiché certo ci vuole fatica, il nostro è un percorso di lotta». Addirittura? le chiedo. «Massì. In una metaforica partita a Risiko l'uomo ammassa carrarmatini, la donna si indebolisce. Ancora accade, fuori e dentro il mio romanzo. L'importante è non deprimersi, semmai arrabbiarsi. Socialmente con la mensa che non funziona, nel privato con i mariti. Sono stufa dei "Che bravo, quest'uomo che cucina. Che bravo, questo papà che cambia il pannolino"». Quante volte sentite ripetere questa frase o magari la dite voi stesse? (Se la dite, perché la dite?)
Tutto può succedere, su questo non ci piove Se chiedete a un bambino di disegnare la sua famiglia è facile che sul foglio ci finiscano una mamma ai fornelli che cucina, e un papà che guarda la tv. «Non sarebbe un male in sé se a volte, almeno a volte, accadesse il contrario. Sennò si genera infelicità, almeno credo. Io non potrei starci in un rapporto così». Le protagoniste di Amiche mie lo sanno bene. «Per Carla, Sofia, Norma e Vera la relazione di coppia non è un "sogno da realizzare" ma piuttosto un "progetto". Mi piace la parola progetto perché ha dentro l'idea di qualcosa che bisogna sforzarsi di costruire, concretizzare, non è il sogno di Biancaneve. Mi interessava parlare anche di donne separate senza entrare nel giudizio sulle coppie, volevo almeno sfiorare il tema delle famiglie smembrate, poi lo so che chi rimane sul campo spesso ci rimane fra macerie, lì per lì è un vero choc, però è una fortuna, trovo, che il matrimonio non sia più una condanna "fine pena mai"».
E dopo un po' mi hai lanciato la solita scarpa col tacco A proposito di ruoli, «È pur vero che il maschio, mentre tu litighi e gli dici le peggio cose, ribalti tutta la tua vita, metti in discussione il rapporto, minacci di andartene, arrivi per la rabbia a prendere selvaggiamente a pugni l'auto in cui sei seduta, è capace di non dirti nulla se non "Ehi, guarda che quello è l'airbag del passeggero"».
E tu già lo sai che ritorno da te Certe cose dunque, ci ricorda Amiche mie, non cambiano mai. «Però cose che un tempo erano ovvie oggi non sono più tali, come la moglie senza bancomat a cui il marito elargisce ogni settimana il denaro contato per fare la spesa, anche se è ancora vero il contrario: un marito che perde il lavoro e deve farsi mantenere dalla moglie entra in crisi profonda». La donna invece no. «Sa farsi bastare quel che ha. Un aspetto tipico del femminile postmoderno sono "i lavoretti". L'altro giorno in piscina ho visto una donna con i suoi bambini che si tirava fuori dalle tasche dell'accappatoio decine di collane fatte da lei. Lo slogan è: "Almeno faccio qualcosa"». Da madre di figli maschi (due) come si regola nell'educarli? «Fatico tanto e dico a me stessa e alle "amiche mie": non dobbiamo tornare indietro, dobbiamo ricordare le lotte delle donne che hanno combattuto per noi negli anni 70, siano benedette sempre. Però penso che piano piano anche i maschi stiano cambiando, sono ottimista da questo punto di vista. Grossi spostamenti ancora non si sono visti, lo so. Ma secondo me arriveranno». Allora da madre di figlio maschio (uno) mi chiedo e vi chiedo, questi cambiamenti sono proprio dietro l'angolo, oppure un po' più lontano?
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Un raggio di sole
Dal basso
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