Femminicidio

Con fatica il lemma femminicidio è entrato nel nostro vocabolario, vincendo a poco a poco la reticenza riguardo alla sua morfologia e al suo significato: la violenza sulla donna fino a provocarne la morte per mano di uomini è un fenomeno sempre esistito, in passato si consumava tra le mura domestiche, oggi che la donna esce e conduce una vita sociale, si consuma anche all'esterno, con cadaveri ritrovati in discariche, prati, macchine, mettendo sotto gli occhi di tutti la violenza perpetrata.

In queesto libro l'autrice affronta il tema delle violenze e soprattutto degli assassinii delle donne da parte degli uomini con un approccio particolare derivante dalla sua condizione transgender, cioè di donna nata maschio. Pur rifuggendo ogni spiegazione determinista, per esperienza sia diretta, sia derivante da dieci anni di militanza  nell'ambito della promozione dei diritti delle persone Transgender e Intersessuate, la Izzo cerca di ampliare la visione e la comprensione del maschilismo individuando un tavolo a tre gambe principali: la prima antropologica, la seconda socioculturale (psicologica, familiare, tradizionale), sulle quali si  è scritto di tutto e di più e aggiunge una terza una gamba "biologica e informazionale" di cui invece non si vuole parlare anche per la difficoltà delle donne di comprendere a fondo certe predisposizioni maschili e viceversa. Difficile perché alle reali predisposizioni si sommano una enorme quantità di stereotipi culturali che nulla hanno a che fare con la radice del "maschile" e del "femminile". Il vissuto delle transgender da maschio a donna vivono dentro se stesse un passaggio piuttosto brusco da una prevalenza testosteronica ad una estrogenica. Anche i "trans" da Femmina a Uomo contribuiscono con la conferma di ciò che cambia davvero e quanto è stereotipo (o perlomeno si avvicinano maggiormente all'obbiettività). L'aspetto genetico (di cui non si può ancora dire molto per assenza di studi nel merito), ormonale e cerebrale. Questo libro, non vuole sostituire o spiegare con le differenze ormonali le ragioni del maschilismo che si è imposto in ogni epoca e cultura. Più semplicemente vuole affiancare alcune di queste ragioni alle prime "due gambe" su cui si studia da decenni. Del resto, un tavolo, per restare in piedi ha bisogno come minimo di tre gambe, afferma l'autrice. Nel libro sono raccontate alcune di queste differenze che possano servire alla Donna di capire se e quando un Uomo può diventare pericoloso: tenta di individuarne alcuni "prodromi".  Non mancano consigli alle madri di figli sia maschi sia femmine, sia gender non conforming, alle donne anziane sposate con uomini anziani che culturalmente sono cresciuti in una cultura che considerava leciti alcuni atteggiamenti derivanti anche dalla natura specifica dei maschi. Affiancare e integrare quindi, con un primo contributo a cui, auspica, se ne possano aggiungere altri

Il focus ha riguardato gli stereotipi  che dal XVIII secolo ad oggi sono emersi nelle relazioni fra i generi al fine di dimostrare che le radici della violenza non sono naturali, ma il risultato di pratiche culturali e di configurazioni storiche.Nella convinzione che la violenza contro le donne sia una questione principalmente  maschile, mi sono concentrata sulla virilità e sulla mascolinità.Nel trattare questi argomenti,i media dovrebbero tenerne conto, senza patologizzare o naturalizzare comportamenti estremi,ma puntando alla loro prevenzione.Ho analizzato le campagne di sensibilizzazione realizzate nel nostro paese in merito alla violenza contro le donne.Infine, grazie al contributo di Stefano Ciccone dell'Associazione Maschile Plurale, ho proposto nuove modalità comunicative per affrontare questo tema così delicato.

"Ni una más" è il grido di protesta con cui le madres e gli attivisti conducono la loro lotta contro omertà e impunità che caratterizzano il fenomeno del femminicidio di Ciudad Juárez, città messicana al confine con gli Stati Uniti. Le relazioni tra violenza, misoginia, memoria e rappresentazione nella "città delle morte", sono esplorate attraverso un approccio interdisciplinare.
Francesca Guerisoli analizza le modalità con cui l'arte e le forme creative si oppongono al femminicidio, costruendo un orizzonte simbolico nel quale si colloca una battaglia culturale e politica transnazionale nel tentativo di ristabilire una memoria pubblica occultata dal sistema politico ed economico dominante. L'arte nata in relazione alla violenza e al femminicidio è indagata attraverso la descrizione delle opere e delle pratiche messe in atto da collettivi locali e da artisti che operano anche a livello internazionale, come Teresa Margolles, Lorena Wolffer, Ursula Biemann, Santiago Sierra, Regina José Galindo, Francis Alÿs.
Il progetto d'arte partecipativa Zapatos Rojos di Elina Chauvet, nato nel contesto di Juárez, è divenuto il simbolo più popolare della lotta al femminicidio nel nostro Paese. L'analisi critica mette in rilievo il significato della marcia di scarpe rosse e il valore che il progetto, nato in una realtà specifica, esprime anche in tutti quei contesti in cui la relazione asimmetrica tra i sessi porta al femminicidio.

Il libro ha ottenuto il patrocinio di Amnesty International - Italia: "Per la capacità di andare oltre i fatti del femminicidio, sapendo ispirare nel lettore un desiderio concreto di cambiamento. Un libro che non soltanto racconta, documenta alla perfezione e denuncia una piaga del nostro tempo con chiara fermezza, ma che trasforma l'arte in strumento per contrastare silenzio ed omertà".

postmedia books 2016
240 pp. 147 ill.
isbn 9788874901562

Sostenuto da un crescente impegno femminista in materia e dalla visibilità mediatica di alcuni casi di femminicidio, il discorso italiano sulla violenza di genere ha raggiunto un notevole livello di popolarità con l'ingresso nel nuovo millennio, spartiacque a seguito del quale si è stabilito come uno degli argomenti ricorrenti del dibattito mainstream nazionale. Nonostante la nuova posizione di visibilità, il mainstreaming del discorso sulla violenza di genere si è accompagnato ad un processo di semplificazione delle istanze femministe che lo avevano prodotto, finendo spesso per avallare, invece che contestare, i pregiudizi di genere da cui il fenomeno della violenza stesso trae linfa. La svalutazione delle complesse teorizzazioni femministe sull'abuso sessista a favore di una retorica semplificata è fenomeno tristemente confermato dalle ricerche in materia, le quali hanno dimostrato come le narrazioni mediatiche della violenza tendano a farsi veicolo di pericolose riproposizioni dell'orizzonte dicotomico di genere e ad appoggiarsi a criteri di notiziabilità che tradiscono l'aderenza a stereotipi razzisti.
È nel contesto fin qui descritto che attivisti e artisti i quali hanno frequentato la penisola negli ultimi due decenni si sono impegnati nella realizzazione di una notevole varietà di  prodotti culturali capaci di offrire una narrazione alternativa e problematizzata della violenza di genere. Tali prodotti, la cui diffusione e popolarità non di rado ha interessato anche i canali e i livelli mainstream, hanno direttamente affrontato le spinose questioni etiche poste dalla rappresentazione narrativa del fenomeno tentando, ad esempio, di elaborare soluzioni creative per superare l'impasse della ri-oggettificazione della vittima/sopravvissuta attraverso la descrizione della violenza o la problematica relativa alla rappresentazione del carnefice come soggetto con cui il lettore/spettatore possa identificarsi.
A partire dalla pubblicazione di Rappresentare la violenza di genere. Sguardi femministi tra critica, attivismo e scrittura (Mimesis 2018), curato da Marina Bettaglio, Nicoletta Mandolini e Silvia Ross, la tavola rotonda si propone come occasione di incontro e dialogo interdisciplinare sui temi della narrazione della violenza di genere nell'Italia del nuovo millennio. Seguendo la struttura del volume, la sessione riunisce studiosi di letteratura, di cinema e di media, nonché attivisti pronti a discutere le criticità poste dalla rappresentazione dell'abuso sessista nel contesto nazionale e oltre.

The term femicide—the physical or psychological annihilation of a woman because
she is a woman—has become an extensively used term in the mass media since 2012, following
awareness campaigns led by feminist activists in Italy who introduced international theories of
lethal gender violence. Contributing to recent discussions on the topic, some forms of artistic
narration (literary, theatrical, and cinematic) have attempted to re-dignify stories and victims of
femicide that the media has in many cases dismissed. The anthology Nessuna più. 40 scrittori contro
il femminicidio (Elliott 2013) is among these. This interview with the editor, Marilù Oliva, examines
the relationship of the author with the topic of gender violence and her ethic-theoretical
approach.

Ancora oggi i dati sul femminicidio largamente inteso sono, a livello statistico,  definiti e registrati in maniera grossolana. Comprendono infatti anche tutta una serie di atti compiuti che esulano dal fatto criminoso dell'offendente sulla vittima perpetrato " in quanto donna". Tantomeno i crimini dovrebbero essere incasellati nella sola violenza domestica o rilegati ai contrasti della sfera affettiva come nel comune pensiero. L'articolo propone una classificazione statistica diversificata al fine di prevedere linee di prevenzione più estese e meglio mirate introducendo e definendo, ad esempio, i riconosciuti delitti compassionevoli.

Introduzione Ad oggi, non è ancora evidente se il femminicidio rappresenti l’esito finale di una storia di violenze o sia piuttosto un evento drammatico isolato nelle sue peculiarità. Sebbene gli operatori sanitari abbiano incrementato la loro attenzione verso il problema, le donne vittime di violenza inflitta da un conoscente e assistite in Pronto Soccorso rimangono in larga parte non riconosciute, con conseguente underreporting e sottostima del fenomeno misurato da fonti sanitarie. Si è quindi costituito un gruppo di progetto mirato a valutare metodi di raccolta e
integrazione di dati utili a studiare i fattori di rischio per violenze domestiche e femminicidi.
Obiettivi Valutare se gli accessi in Pronto Soccorso nel periodo precedente il decesso siano predittori di femminicidio.
Metodi Disegno di studio: caso-controllo con matching. Selezione dei casi: donne residenti in Piemonte uccise dal marito/convivente/familiare nel periodo 2005-2010, tratte da un archivio di femminicidi e rintracciate nelle schede di morte di fonte Sistan (in totale 42 casi). Selezione dei
controlli: donne residenti in Piemonte, di almeno 18 anni, decedute per incidente stradale nel periodo 2006-2010 (440 soggetti). Matching: campione di controlli con matching 3:1 ai casi per età e stato civile, età e istruzione, età e condizione professionale (prodotti 3 dataset).
Outcome: accessi in Pronto Soccorso nei 24 mesi precedenti il decesso (escludendo una finestra temporale precedente la data di morte, per escludere che l’accesso in Pronto Soccorso sia legato al trauma che ha poi causato il decesso). Analisi: regressione logistica non condizionale per il full dataset;
regressione logistica condizionale per i dataset con matching.
Risultati Le donne vittime di femminicidio hanno una probabilità significativamente superiore di avere un accesso in Pronto Soccorso nei 24 mesi precedenti la morte rispetto alle donne di pari età e condizione sociale decedute per incidente stradale. Tale associazione è evidente sia analizzando il full dataset (OR=1.83 aggiustando per età; OR=1.91 aggiustando per età e principali variabili
socio-demografiche), sia, soprattutto, analizzando i dataset con matching per età e istruzione (OR=2.42), età e condizione professionale (OR=2.03), età e stato civile (OR=1.95). Tutti gli OR sono statisticamente significativi.
Conclusioni I risultati suggeriscono come il femminicidio sia preceduto, in un’ampia proporzione di casi, da episodi di violenza fisica documentabile da accessi in Pronto Soccorso nel periodo precedente la morte. Le variabili di dimensione sociale (soprattutto istruzione e condizione professionale) influenzano tale associazione.

Il termine femminicidio, nella sua accezione contemporanea, è un neologismo che identifica i casi di omicidio doloso o preterintenzionale in cui una donna viene uccisa da un uomo per motivi basati sul genere. Esso costituisce dunque un sottoinsieme della totalità dei casi di omicidio aventi un individuo di sesso femminile come vittima. Un aspetto spesso comune a tale tipologia di crimini è la sua maturazione in ambito familiare o all'interno di relazioni sentimentali più o meno stabili. Il significato di tale neologismo è definito come: "Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte".

La violenza sulle donne ha origini lontane e di questi atroci fatti ne sono testimonianza i documenti degli archivi e in particolare i protocolli dei notai, che anticamente raccoglievano l’istanza di chiunque, anche per una semplice dichiarazione. Il presente lavoro raccoglie una serie di queste testimonianze nel cosentino.

La violenza di genere è un problema antico ma sempre attuale, che dovrebbe riguardare l'intera collettività oltre ai carnefici e alle vittime. L'esame di reati violenti come stupri, omicidi e ferimenti, commessi contro donne calabresi dall'Unità al 1885, restituisce un quadro tristemente veritiero della società contadina della Calabria dell'Ottocento.
Articolo pubblicato su «Il Dispaccio» del 6 aprile 2020.

Negli ultimi anni si fa sempre più strada nello scenario giuridico l’idea che uno Stato possa essere responsabile internazionalmente per gli atti di violenza basati sul genere, commessi da soggetti terzi sul proprio territorio. Significativa a tale riguardo è la sentenza della Corte interamericana per i diritti umani (Corte IDH) González y otras (“Campo Algodonero”) Vs. México, del 16 novembre 2009.

In the last years, the idea that a State can be internationally responsible for acts of violence based on gender, committed by third parties on its territory, is increasingly widespread in the legal scenario. The judgment of the Inter-American Court for Human Rights (Corte IDH) González y otras (“Campo Algodonero”) Vs. México, of November 16, 2009 is significant in this regard.

Recensione al libro di Vittoria Haziel ‘E Dio creò la donna’, Sperling & Kupfer, 2008.

La delirante equivalenza donna-peccato è il millenario filo d'acciaio all'origine di tante tragedie che travolgono nella stessa catastrofe donne negate e uomini violenti.
«Non da sole», occorre ricostruire i ponti: la rabbia femminista ha mostrato l'inadeguatezza a conseguire anche il solo obiettivo dell'autodeterminazione. Dobbiamo - conclude Haziel - ritrovare la polena, la figura femminile coi seni nudi protesi in avanti che sulla prua delle antiche navi parlava ai marinai della donna che non c'era.

Maurizio Gabbana riesce attraverso lo strumento dell’arte, nello specifico quello fotografico, e della bellezza ad affrontare un tema forte come quello del femminicidio e a trasmettere un messaggio di denuncia di rilevanza sociale, dando la prova della sua grande capacità di unire l’impegno civile e sociale alle sue innate doti d’artista. Una capacità che in queste opere è riuscito a sublimare. L’artista racconta con coraggio e maestria il dolore e il martirio di alcune donne vittime di violenza nelle mura di casa. Lo fa attraverso un linguaggio moderno, simbolico e diretto che amplifica ancora di più l’impatto emotivo con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema tanto delicato.
La sensibilità ha condotto Maurizio Gabbana alla realizzazione di scatti fotografici adatti a rendere la società contemporanea partecipe di ciò che accade alle donne private della loro dignità e ridotte a larve umane da uomini.

I examine specific discursive strategies crafted in Serena Maiorana's book Quello che resta. Storia di Stefania Noce in the context of the genre of testimoinal biography and representations of feminicide in Italy. I argue that the author recasts elements of the genre, thereby performing a radical critique of systemic structures of violence against women and of the dominant discourses that represent feminicide.

Negli Usa un contrasto torna a stridere e un dilemma a proporsi
È arrivata in questi giorni, mentre il popolo americano andava al voto per il suo presidente, la notizia secondo cui il governo federale degli Stati Uniti ha fissato per l'8 dicembre prossimo l'esecuzione capitale di Lisa Montgomery, a più di sessant'anni dall'ultima esecuzione di una donna negli Usa, nel 1953. Il delitto per cui Montgomery è stata condannata a morte nel 2004 è stato incredibilmente feroce: Lisa ha strangolato una conoscente di ventinove anni che era incinta e, dopo averle tagliato il ventre, le ha rapito la bambina di otto mesi non ancora nata e miracolo-samente sopravvissuta, di cui si credeva la vera madre. Un orrendo femminicidio compiuto da una donna come rivendicazione di maternità. L'efferatezza del gesto si spiega soltanto alla luce della drammatica vicenda personale di Lisa Montgomery: dopo un'infanzia e un'adolescenza piene di violenze e di abusi, più volte stuprata dal compagno della madre e abusata anche dai suoi due mariti, ha trovato nell'alcol un fragile conforto alla propria condizione di disagio psichico, contrassegnata da gravidanze isteriche che spiegano la dinamica dell'omicidio. L'esecuzione è prevista per iniezione letale. Il modo incruento dell'esecuzione e il fatto che questa sia stata programmata nel giorno stesso in cui la Chiesa cattolica celebra la festa dell'Immacolata Concezione apre un inedito scenario di riflessione. La coincidenza temporale accomunerà due donne diametralmente opposte: l'Immacolata da una parte, Lisa Montgomery, indelebilmente macchiata, dall'altra. Eppure quella testimonianza altissima e quella storia terribile paiono intrecciarsi in maniera più profonda. Se la sentenza sarà confermata, nello stesso giorno avverranno conte-stualmente la celebrazione della vicenda umana di una donna priva di peccato fin dal grembo materno, Maria di Nazareth, immacolata a partire dal suo stesso concepimento, e la soppressione della vita di un'altra donna, Lisa Montgomery, che ha elevato il concepimento a fantasia delirante e ha posto nel grembo materno della sua vittima il proprio sigillo di infamia. Come Maria è giunta al limite estremo dell'umano in direzione del divino, così Lisa si è spinta al limite opposto verso la più fosca e abietta condizione di inumanità. Eppure, sebbene a distanza abissale, non mancano le analogie. Tutte le protagoniste della vicenda e del no-stro discorso intanto sono donne: Maria di Nazareth, Lisa Montgomery, la persona barbaramente uccisa, la figlia di quest'ultima. Maria e Lisa poi sono in qualche modo accomunate anche dall'eccezionalità del loro essere madri: in modo verginale ma reale l'una, secondo la fede cattolica, in maniera psicotica e immaginaria l'altra, secondo il parere dei medici. Nel delitto di Lisa possiamo addirittura intravedere degli echi biblici e scorgere in lei il drago rosso di Apocalisse 12.3-5, quello che nel testo sacro «si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino ap-pena nato», sì che «il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono». È stupefacente che questo brano venga riferito dalla Chiesa cattolica a Maria e letto in occasione di un'altra fe-sta mariana, quella della sua assunzione in cielo il 15 agosto. Non è il caso qui di soffermarsi sulla rilevanza politica che la decisione riguardante Lisa Montgomery può rivestire nella competizione elettorale in corso negli Stati Uniti, rispecchiandone le dinamiche o influenzandone gli esiti. L'osservatore e-sterno si chiede perché i gravi ed evidenti disturbi mentali della condannata non siano stati sufficienti per prevedere un diverso tipo di pena. Ma il punto fondamentale è un altro. Se le autorità statunitensi con-fermeranno l'esecuzione della con-danna prevista, la vicenda di Lisa Montgomery, che tanto chiaramente si staglia al confine estremo tra l'umano e il disumano, porrà l'opinione pubblica e la nostra coscienza di fronte a un dilemma. Da una parte, la scelta di compiere con la pena di morte prevista, per quanto senza spargimento di sangue e dunque «immacolata» essa possa essere, un passo irrimediabile al di là di questo confine, oltrepassando con la spietatezza di chi condanna il confine ultimo dell'umano raggiunto dalla condannata. Dall'altra parte, la scelta di prendersi cura dell'umanità così profondamente svilita nella psiche di questa donna e assumersi il carico collettivo del delitto indicibile che da questa umanità ferita è scaturito, nell'ottica mariana secondo cui Dio guarda l'umiliazione delle sue creature e rialza chi è stato umiliato. Senza escludere nessuno.

A partire dal 2012 la sfera della comunicazione massmediatica ha accolto un acceso dibattito sul tema del femminicidio, neologismo di derivazione femminista che indica l’uccisione o annichilimento di una donna per ragioni riconducibili all’appartenenza di genere. L’ingresso del discorso femminista sulla violenza letale di genere nell’area mainstream ha stimolato un proliferare di narrazioni sull’argomento: da una parte la cronaca periodica ha garantito una sempre più ampia (anche se spesso problematica) copertura del fenomeno, dall’altra la letteratura ha deciso di confrontarsi con il femminicidio sforzandosi di aprire spazi per una rappresentazione alternativa a quella giornalistica.
Il mio intervento si propone di condurre un’analisi comparata tra un campione di articoli di giornale dedicati ai femmicidi di Stefania Noce e Sara Di Pietrantonio e una selezione di racconti tratti da Rosa sangue (2016), descritta dai curatori Donato Altomare e Loredana Pietrafesa come “antologia fantastica per raccontare il femminicidio”. Il trait d’union che guida l’esame incrociato è il comune riferimento a modalità stilistiche tipiche dell’horror, un genere che, se da una parte poggia su un’implicita tendenza alla spettacolarizzazione e alla rappresentazione stereotipica, dall’altro garantisce, se adeguatamente maneggiato, possibilità di resistenza alla semplificazione sensazionalistica

The present paper aims at analyzing the Italian TV program about domestic violence, named Amore criminale, with a semio-pragmatic approach. The analysis’s objective is the study of how the program tries to demystify the Italian myth of “Mother-Courage”, identified as a devote and sacrificial motherhood. An historical and sociological introduction enables to understand the origin and the evolution of the myth and the latter will be directly linked to the phenomenon of “feminicide” and domestic violence in Italy. The semio-pragmatic analysis focuses on the discursive, enunciative and affective relations employed by the TV program in order to deconstruct the myth of “Mother-Courage”. The demystification of the myth is a militant act of denunciation of the patriarchal ideology that tries to keep women in their submissive place by flattering them with a cult of motherhood.

It is unclear if femicide represents either the final outcome of an history of violence or a dramatic isolated event. The study aims to evaluate whether admissions in Emergency Departments during the 24 months preceding a woman's death may be considered a risk predictor for femicide. A case-control study design was used. Victims of femicide during 2005-2010 with residence in Piedmont, Italy, were considered as cases (42). Women with the same residence who died in road traffic accidents were selected as controls (440). Odds Ratios were computed, adjusting for socioeconomic characteristics. Victims of femicide had a significantly higher probability to have an admission to Emergency Departments when compared to controls of the same age and socioeconomic status. This suggests that femicide is in most cases preceded by episodes of physical violence that can be documented by admissions in Emergency Departments.

Book chapter published in the volume Rappresentare la violenza di genere. Sguardi femministi sulla letteratura, il cinema, il teatro e il discorso mediatico contemporanei, edited by Marina Bettaglio, Nicoletta Mandolini and Silvia Ross, in 2018 for the Italian Publisher Mimesis.

Un estratto del discorso tenuto nella sala consiliare di Isola del Liri (FR) il 05/02/2016.

Il rapporto tra uomini e donne, attraverso le evoluzioni della cultura greco-romana e nel confronto con i valori dei popoli italici a cominciare dal Volsci.

Una riflessione tra avere ed essere, tra sentimento e possesso.

L'amore sano che si origina dalla vita e si struttura nell'essere da vita e l'amore malsano che si deriva dalla cultura di morte e si struttura nel possesso che toglie la vita.

L'origine della discriminazione di genere che culmina persino nel femminicidio risiede proprio nelle tare culturali che sopravvivono indenni ai secoli.