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domenica 17 aprile 2011

La libertà di amare nelle società democratiche

Un articolo sull'incontro organizzato dalla Biennale della Democrazia 2011 (Torino, 13-17 aprile 2011)

La libertà di amare nelle società democratiche

Si possono definire realmente democratiche società dove non è possibile esprimere a pieno la propria affettività? Questa la domanda che ha rappresentato il filo conduttore dell’incontro al Teatro Gobetti dal titolo “Liberi di amare. Omosessualità e transgenderismo nella società multiculturale”. Voci del dibattito Gianni Vattimo, Vladimir Luxuria e Franco Buffoni.

Le rivendicazioni di diritti della gay community sono spesso appelli di tipo culturale. Sono l’espressione di un desiderio di democrazia: poter vivere a pieno la propria vita senza discriminazioni. Vladimir Luxuria, politica e attivista dei diritti Lgbt (Lesbian, gay, bisexual and transgender) spiega: “libertà di amare non significa solamente potersi innamorare di qualcuno, ma anche poter esternare questo amore. Fino alla libertà di sentirsi uguali agli altri, di poter fare progetti, di essere riconosciuti dallo stato”.

Secondo Vattimo, filosofo e politico torinese, le questioni intorno ai Lgbt sono frutto di decenni di repressione, i cui responsabili sono le tradizioni culturali locali e la Chiesa. Bisogna capire fino a che punto i rapporti con la comunità di appartenenza condizionano le persone. Un omosessuale può “infischiarsene di ciò che si pensa di lui, ma allo stesso tempo soffre perché appartiene ad un gruppo in cui non si riconosce”. La soluzione spesso è la fuga. Scappare da una “società legalmente repressiva, ma giuridicamente intollerabile”. Dalle città di provincia verso le metropoli, dall’Italia verso Paesi più tolleranti. “È un fatto democratico – continua Vattimo – non avere il diritto di organizzarsi una vita affettiva secondo ciò che detta il proprio cuore? Dov’è finito il diritto alla felicità?”.

La gay community sta vivendo una battaglia culturale, contro gli stereotipi e i preconcetti radicati nella nostra società. È una lotta che inizia nell’ambito famigliare. “La barzelletta meglio essere neri che gay, almeno non devi dirlo alla mamma è ancora valida” – conclude il filosofo.

Secondo Buffoni internet può rappresentare una chiave di svolta per educare i giovani alla cultura della diversità. E per aggiornare una legislazione antiquata, non al passo con i tempi.

Luxuria conclude con una nota sentimentale. Per ora, non essendoci una legge che riconosca le coppie di fatto, c’è solo un positivo per le coppie gay: esse vivono un sentimento intenso, un amore romantico, avversato. Quell’amore descritto da Shakespeare in Romeo e Giulietta e da Manzoni nei Promessi Sposi.

Francesca Dalmasso, Master in Giornalismo di Torino

lunedì 4 aprile 2011

Due riflessioni... su lavoro e conoscenza

Gianni Vattimo, riflessione sul libro La conoscenza in una società libera

Il prof. Gianni Vattimo, riflette sul libro La conoscenza in una società libera di Marino Centrone - Vito Copertino - Rossana De Gennaro - Massimiliano Di Modugno - Giacomo Pisani. Febbraio 2011, pp. 455, Levante Editori.
La conoscenza in una società libera è stato il tema di un seminario che un gruppo di ricercatori ha svolto nel corso del 2009-2010 nei Giardini di Avalon a Molfetta.
Nel volume Marino Centrone analizza la natura dispotica del sapere nella società contemporanea, il sapere come potere; Vito Copertino individua nel paradigma della complessità il carattere della nuova narrazione, della nuova scienza; Rossana de Gennaro affida al pensiero utopico il superamento della miseria del presente; Massimiliano Di Modugno presenta il rapporto tra anarchismo e post-strutturalismo come una nuova filosofia al lavoro; Giacomo Pisani analizza il concetto di alienazione.
Video a cura di Davide de Palma (dashumankapital.wordpress.com)




Gianni Vattimo, una riflessione sul lavoro

Video a cura di Davide de Palma (dashumankapital.wordpress.com)


sabato 11 dicembre 2010

Non sono solo cartoline

Recensione apparsa su L'espresso, 3 dicembre 2010

Non sono solo cartoline

Le cartoline - intorno alle quali c'è un fiorente collezionismo - sono solo arte minore che merita al massimo l'attenzione riservata al documento d'epoca o alla memoria soggettiva, di famiglia? Si tratta di qualcosa che ricade quasi completamente nel terreno del souvenir - gondole veneziane, duomi di Milano in marmo, magari busti di Lenin o teste di Mussolini? Abbiamo sempre sospettato che non si tratti solo di questo, e da molti anni ormai Enrico Sturani, il massimo studioso italiano del genere che egli stesso chiama "cartolinesco", con i suoi lavori, dei quali l'ultimo libro è come il coronamento, offre significative ragioni per andare oltre una prospettiva così limitata.
Del resto, i suoi studi possono a giusto titolo inserirsi in quella tendenza della critica novecentesca che è venuta via riscattando tante espressioni artistiche considerate minori o addirittura puro prodotto commerciale (dalla fotografia al cinema alla musica pop o al fumetto) elevandole alla dignità di temi di studio accademico. Le cartoline che Sturani raccoglie e analizza in questo affascinante volume ("Cartoline", Barbieri, pp. 417, euro 37) sono certo anche significativi documenti d'epoca: pensiamo alle prime cartoline pubblicitarie di inizio Novecento, o a quella di propaganda politica dei tempi del fascismo e delle due guerre mondiali.
Ma l'intento dell'autore, è soprattutto analizzare e presentare criticamente un capitolo della storia dell'arte che merita di essere considerato nella sua specificità. Per i suoi legami con le trasformazioni sociali e tecnologiche che vi si riflettono, ha un ruolo di interlocutore attivo nel dialogo con la pittura "maggiore", specie in relazione all'avanguardia; e al pubblico dei fruitori d'arte e alla teoria offre spunti decisivi per il ripensamento dello stesso senso dell'esperienza estetica nel mondo contemporaneo.

Gianni Vattimo

lunedì 22 novembre 2010

Partorire idee e bambini


Partorire idee e bambini

L'espresso, 25 novembre 2010

Neppure Hannah Arendt, una delle grandi donne filosofe del nostro tempo, che ha opposto alla centralità dell’"essere per la morte" di Heidegger il concetto di natalità, sembra aver colto tutta la portata filosofica di quell’elementare evento originario che è il partorire. Francesca Rigotti, che insegna filosofia nella università di Lugano, vede anche in fatti come questo, tra i tanti che costellano tutta la storia del pensiero occidentale, il segno che la filosofia,m entre ha dedicato tanta attenzione alla nozione di creatività, non ha mai saputo collegarla al fatto elementare del parto. Dimenticando anche l’origine delle tante metafore che adoperiamo per parlarne, a cominciare dal termine "concetto": qualcuno si ricorda che è il prodotto di un concepimento? Certo si dice che una mente è “feconda”, che un’idea è “partorita”, ma persino quando si parla del parto nel senso letterale si fa attenzione soprattutto a chi nasce, non alla partoriente, eppure la nascita è una faccenda che impegna due soggetti, non solo chi viene al mondo. In realtà, pensa l’autrice, la cultura occidentale maschilista ha espropriato la donna anche di questo “primato”. Spesso pensando che le donne sono meno creative – in termini di opere d’arte, di sistemi filosofici, di fondazione di stati – perché per loro la creatività si esercita e si esaurisce tutta nell’essere madri. Ma non solo – come mostrano tanti esempi che il libro ricorda – una donna può fare figli e produrre opere; ma dall’esperienza del partorire, non obliata, possono nascere opere ben altrimenti originali e “creative” di quelle a cui ci ha abituati la cultura maschilista.

Gianni Vattimo

Francesca Rigotti, Partorire con il corpo e con la mente, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 178, € 16.