venerdì 20 aprile 2012
Does Italy Want Berlusconi Back?
giovedì 5 aprile 2012
«Sono suicidi di Stato»
SOS INASCOLTATO DEI LAVORATORI. Ma a quell'Sos nessuno sembra aver prestato troppa attenzione. E così davanti all'ennesimo gesto disperato di un operaio edile di origine marocchina che il 29 marzo si è dato fuoco davanti al municipio di Verona perché senza stipendio da mesi, l'ottimismo manifestato solo il giorno prima dal presidente della Repubblica grida vendetta.
IL GESTO DISPERATO DI BOLOGNA. Proprio mentre Giorgio Napolitano diceva: «Credo ci sia una straordinaria consapevolezza tra gli italiani, non vedo esasperazione cieca e ho molta fiducia sulla capacità di comprensione di un momento difficile», un artigiano bolognese si dava fuoco all'interno della sua macchina davanti alla sede dell'Agenzia delle Entrate. «Pago le tasse, ora non ce la faccio più...», ha scritto in una delle lettere d'addio.
«NAPOLITANO SI AFFACCI ALLA FINESTRA». Parole davanti alle quali il filosofo Gianni Vattimo si chiede: «Se non sono suicidi di Stato questi cosa sono?». E invita Napolitano «ad affacciarsi alla finestra del Quirinale per vedere se davvero non ci sono italiani esasperati».
«C'è una differenza tra esasperati e disperati», continua il filosofo torinese. «Forse Napolitano e Monti non considerano i disperati perché tanto quelli si tolgono di mezzo da soli, invece gli esasperati possono protestare e ribellarsi».
Vattimo: «Indignato dall'indifferenza di questa classe dirigente»
Ma per ora le forze sembrano mancare. E così non resta che l'autolesionismo: «Queste persone hanno perso la fiducia, non vedono nessuno che possa portare la bandiera per loro, hanno perso tutto». E basta guardare le cause che hanno portato a gesti così estremi «per capire di chi sono le responsabilità».
«STRETTI TRA TASSE E STIPENDI RIDICOLI». «Tasse, stipendi ridicoli, stretta creditizia, tutto scaricato sulle spalle degli operai e dei piccoli imprenditori», denuncia Vattimo.
«Su cui si aggiungono le ganasce di Equitalia, l'impossibilità di pagare i propri dipendenti e l'imposizione fiscale», osserva Bonomi. «Per questo spero che questi problemi entrino nell'agenda della politica, delle istituzioni, dell'Agenzia delle Entrate. Ma ne dubito».
LO SPETTRO DEGLI ANNI 70. In fondo, ricorda il sociologo, «già negli Anni 70 avevamo conosciuto questo fenomeno dei suicidi tra i cassintegrati della Fiat che avevano perso il lavoro e con esso il loro luogo di appartenenza». Ma ovviamente anche allora «tutto fu nascosto come la polvere sotto il tappeto».
DAGLI OPERAI AI PICCOLI IMPRENDITORI. Da allora i cambiamenti sono stati pochi. Prima i protagonisti di questa strage silenziosa «erano soprattutto gli operai. Poi è emerso il capitalismo molecolare e il fenomeno ha iniziato a riguardare anche i piccoli imprenditori», spiega Bonomi.
«L'ASSENZA DELLA POLITICA». Una situazione talmente drammatica, «che mi stupisce che ne muoiono ancora così pochi. Forse gli altri moriranno di fame», dice Vattimo, «ma anche allora la politica farà finta di nulla, per paura di esasperare un clima già asfissiante. Per non riconoscere questi suicidi di Stato».
«Non dimentichiamo», ricorda Bonomi, «che spesso sono proprio le istituzioni a non pagare le fatture e a mettere in difficoltà i piccoli imprenditori e i loro dipendenti». Lo dimostrano i dati della Cgia di Mestre, secondo cui gli imprenditori italiani sono creditori dello Stato per oltre 70 miliardi di euro.
Bonomi: «Non collegare direttamente il Noi e i traumi dell'Io»
LE RESPONSABILITÀ DELLA STAMPA. E, secondo Vattimo, la responsabilità è anche di «quella stampa “indipendente” che ha pompato Mario Monti come il salvatore e invece ora anziché ricredersi continua a non collegare i fatti».
E i fatti raccontano di «piccoli imprenditori abbandonati dallo Stato che vedono come unica soluzione ai loro problemi il suicidio». Un gesto che «di certo non sta meditando di compiere Sergio Marchionne», aggiunge Vattimo.
LA MORIA DI AZIENDE. Perché ancora una volta i più deboli cadono sotto i colpi dei grandi. «In Piemonte», fa notare il filosofo, «vedo ogni giorno centinaia di piccole aziende che chiudono nel silenzio generale».
E così un pensiero assilla Vattimo: «Chissà quando inizieremo a contare anche i suicidi degli esodati. E chissà se anche allora chi sta al potere non sentirà sulle proprie spalle il peso di quelle morti».
venerdì 28 ottobre 2011
Il lavoro in un box di un testo di economia
Un caso da manuale, nel vero senso del termine: fin troppo. Se non siamo al “Bruxelles consensus”, dopo quello di Washington, poco ci manca, e poco li differenzia, nonostante la pessima performance del secondo negli anni Novanta. Tutto si basa sulla fiducia degli investitori, che prevede un gioco ricorsivo tra i mercati finanziari, che sulle analisi delle istituzioni internazionali fondano le loro decisioni di investimento, e le istituzioni internazionali stesse, pronte a giustificare qualsiasi avanzata sulla strada dell’agenda integrazionistica con la necessità di ristabilire la fiducia dei mercati stessi.
Il solito mantra delle riforme strutturali, ma anche il pareggio di bilancio in costituzione (la rivincita, semmai ce ne fosse bisogno, dell’ultraliberismo); misure per la crescita, ma condite da ciò che con tutta probabilità le toglierà respiro: privatizzazioni, concorrenza, politiche dell’offerta ed “efficienza del mercato del lavoro”: “C’è… l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”.
Licenziamento per crisi, insomma. Davvero basta il box di un libro di testo di economia per riformare la legislazione sul lavoro nel senso auspicato dalla Bce? Davvero le istituzioni europee intendono procedere su questa strada per implementare la tristemente nota strategia di Lisbona, ormai così lontana, nel tempo e nelle aspettative che aveva suscitato? Non abbiamo imparato nulla dalla lettura del bellissimo saggio di Luciano Gallino (foto a sinistra), Finanzcapitalismo (Einaudi 2011), che ci ricorda come, ai tempi della crisi, e di una politica ormai felice di causare quegli stessi danni cui poi le si chiede di rimediare, il lavoro sia ormai l’ultima delle preoccupazioni delle imprese “irresponsabili” e completamente finanziarizzate del nuovo millennio?
Anche per questo vorremmo invitare tutti i lettori del Fatto Quotidiano a un convegno che terremo a Torino, nei prossimi due giorni, sul lavoro in prospettiva europea: convegno che vedrà la partecipazione, tra gli altri, dello stesso Gallino, nonché dei sociologi Alain Ehrenberg e Alessandro Casiccia, ma anche di Antonio Di Pietro e Guy Verhofstadt, presidente del gruppo Alde al Parlamento europeo. Per parlare di lavoro, e in particolare della filosofia e della cultura del lavoro, per riportare il tema al centro della scena. A Torino, presso il Torino Youth Centre di Via Pallavicino 35.
giovedì 27 ottobre 2011
Convegno "Il mercato del lavoro nella strategia europea 2020"
Qui di seguito una lettera d'invito. Non mancate!
sabato 10 settembre 2011
Dobbiamo fermarli!
E’ da più di un anno che in Italia cresce un movimento di lotta diffuso. Dagli operai di Pomigliano e Mirafiori agli studenti, ai precari della conoscenza, a coloro che lottano per la casa, alla mobilitazione delle donne, al popolo dell’acqua bene comune, ai movimenti civili e democratici contro la corruzione e il berlusconismo, una vasta e convinta mobilitazione ha cominciato a cambiare le cose. E’ andato in crisi totalmente il blocco sociale e politico e l’egemonia culturale che ha sostenuto i governi di destra e di Berlusconi. La schiacciante vittoria del sì ai referendum è stata la sanzione di questo processo e ha mostrato che la domanda di cambiamento sociale, democrazia e di un nuovo modello di sviluppo economico, ha raggiunto la maggioranza del Paese.
Siamo quindi di fronte a un passaggio drammatico della vita sociale e politica del nostro Paese. Le grandi domande e le grandi speranze delle lotte e dei movimenti di questi ultimi tempi rischiano di infrangersi non solo per il permanere del governo della destra, ma anche di fronte al muro del potere economico e finanziario che, magari cambiando cavallo e affidando al centrosinistra la difesa dei suoi interessi, intende far pagare a noi tutti i costi della crisi.
Nell’Unione europea la costruzione dell’euro e i patti di stabilità ad esso collegati, hanno prodotto una dittatura di banche e finanza che sta distruggendo ogni diritto sociale e civile. La democrazia viene cancellata da questa dittatura perché tutti i governi, quale che sia la loro collocazione politica, devono obbedire ai suoi dettati. La punizione dei popoli e dei lavoratori europei si è scatenata in Grecia e poi sta dilagando ovunque. La più importante conquista del continente, frutto della sconfitta del fascismo e della dura lotta per la democrazia e i diritti sociali del lavoro, lo stato sociale, oggi viene venduta all’incanto per pagare gli interessi del debito pubblico che, a loro volta, servono a pagare i profitti delle banche. Di quelle banche che hanno ricevuto aiuti e finanziamenti pubblici dieci volte superiori a quelli che oggi si discutono per la Grecia.
Questo massacro viene condotto in nome di una crescita e di una ripresa che non ci sono e non ci saranno. Intanto si proclamano come vangelo assurdità mostruose: si impone la pensione a 70 anni, quando a 50 si viene cacciati dalle aziende, mentre i giovani diventano sempre più precari. Chi lavora deve lavorare per due e chi non ha il lavoro deve sottomettersi alle più offensive e umilianti aggressioni alla propria dignità. Le donne pagano un prezzo doppio alla crisi, sommando il persistere delle discriminazioni patriarcali con le aggressioni delle ristrutturazioni e del mercato. Tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato, è sottoposto a una brutale aggressione che mette in discussione contratti a partire da quello nazionale, diritti e libertà, mentre ovunque si diffondono autoritarismo padronale e manageriale. L’ambiente, la natura, la salute sono sacrificate sull’altare della competitività e della produttività, ogni paese si pone l’obiettivo di importare di meno ed esportare di più, in un gioco stupido che alla fine sta lasciando come vittime intere popolazioni, interi stati. L’Europa reagisce alla crisi anche costruendo un apartheid per i migranti e alimentando razzismo e xenofobia tra i poveri, avendo dimenticato la vergogna di essere stato il continente in cui si è affermato il nazifascismo, che oggi si ripresenta nella forma terribile della strage norvegese.
Il ceto politico, quello italiano in particolare coperto di piccoli e grandi privilegi di casta, pensa di proteggere se stesso facendosi legittimare dai poteri del mercato. Per questo parla di rigore e sacrifici mentre pensa solo a salvare se stesso. Centrodestra e centrosinistra appaiono in radicale conflitto fra loro, ma condividono le scelte di fondo, dalla guerra, alla politica economica liberista, alla flessibilità del lavoro, alle grandi opere.
La coesione nazionale voluta dal Presidente della Repubblica è per noi inaccettabile, non siamo nella stessa barca, c’è chi guadagna ancora oggi dalla crisi e chi viene condannato a una drammatica povertà ed emarginazione sociale.
Per questo è decisivo un autunno di lotte e mobilitazioni. Per il mondo del lavoro questo significa in primo luogo mettere in discussione la politica di patto sociale, nelle sue versioni del 28 giugno e del patto per la crescita. Vanno sostenute tutte le piattaforme e le vertenze incompatibili con quella politica, a partire da quelle per contratti nazionali degni di questo nome e inderogabili, nel privato come nel pubblico.
Tutte e tutti coloro che in questi mesi hanno lottato per un cambiamento sociale, civile e democratico, per difendere l’ambiente e la salute devono trovare la forza di unirsi per costruire un’alternativa fondata sull’indipendenza politica e su un programma chiaramente alternativo a quanto sostenuto oggi sia dal centrodestra, sia dal centrosinistra. Le giornate del decennale del G8 a Genova, hanno di nuovo mostrato che esistono domande e disponibilità per un movimento di lotta unificato.
Per questo vogliamo unirci a tutte e a tutti coloro che oggi, in Italia e in Europa, dicono no al governo unico delle banche e della finanza, alle sue scelte politiche, al massacro sociale e alla devastazione ambientale.
Per questo proponiamo 5 punti prioritari, partendo dai quali costruire l’alternativa e le lotte necessarie a sostenerla:
1. Non pagare il debito. Bisogna colpire a fondo la speculazione finanziaria e il potere bancario. Occorre fermare la voragine degli interessi sul debito con una vera e propria moratoria. Vanno nazionalizzate le principali banche, senza costi per i cittadini, vanno imposte tassazioni sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie. La società va liberata dalla dittatura del mercato finanziario e delle sue leggi, per questo il patto di stabilità e l’accordo di Maastricht vanno messi in discussione ora. Bisogna lottare a fondo contro l’evasione fiscale, colpendo ogni tabù, a partire dall’eliminazione dei paradisi fiscali, da Montecarlo a San Marino. Rigorosi vincoli pubblici devono essere posti alle scelte e alle strategie delle multinazionali.
2. Drastico taglio alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra. Dalla Libia all’Afghanistan. Tutta la spesa pubblica risparmiata nelle spese militari va rivolta a finanziare l’istruzione pubblica ai vari livelli. Politica di pace e di accoglienza, apertura a tutti i paesi del Mediterraneo, sostegno politico ed economico alle rivoluzioni del Nord Africa e alla lotta del popolo palestinese per l’indipendenza, contro l’occupazione. Una nuova politica estera che favorisca democrazia e sviluppo civile e sociale.
3. Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro. Abolizione di tutte le leggi sul precariato, riaffermazione al contratto a tempo indeterminato e della tutela universale garantita da un contratto nazionale inderogabile. Parità di diritti completa per il lavoro migrante, che dovrà ottenere il diritto di voto e alla cittadinanza. Blocco delle delocalizzazioni e dei licenziamenti, intervento pubblico nelle aziende in crisi, anche per favorire esperienze di autogestione dei lavoratori. Eguaglianza retributiva, diamo un drastico taglio ai superstipendi e ai bonus milionari dei manager, alle pensioni d’oro. I compensi dei manager non potranno essere più di dieci volte la retribuzione minima. Indicizzazione dei salari. Riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, istituzione di un reddito sociale finanziato con una quota della tassa patrimoniale e con la lotta all’evasione fiscale. Ricostruzione di un sistema pensionistico pubblico che copra tutto il mondo del lavoro con pensioni adeguate.
4. I beni comuni per un nuovo modello di sviluppo. Occorre partire dai beni comuni per costruire un diverso modello di sviluppo, ecologicamente compatibile. Occorre un piano per il lavoro basato su migliaia di piccole opere, in alternativa alle grandi opere, che dovranno essere, dalla Val di Susa al ponte sullo Stretto, cancellate. Le principali infrastrutture e i principali beni dovranno essere sottratti al mercato e tornare in mano pubblica. Non solo l’acqua, dunque, ma anche l’energia, la rete, i servizi e i beni essenziali. Piano straordinario di finanziamenti per lo stato sociale, per garantire a tutti i cittadini la casa, la sanità, la pensione, l’istruzione.
5. Una rivoluzione per la democrazia. Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta, per riconquistare il diritto a decidere e a partecipare affermando ed estendendo i diritti garantiti dalla Costituzione. Tutti i beni provenienti dalla corruzione e dalla malavita dovranno essere incamerati dallo Stato e gestiti socialmente. Dovranno essere abbattuti drasticamente i costi del sistema politico: dal finanziamento ai partiti, al funzionariato diffuso, agli stipendi dei parlamentari e degli alti burocrati. Tutti i soldi risparmiati dovranno essere devoluti al finanziamento della pubblica istruzione e della ricerca. Si dovrà tornare a un sistema democratico proporzionale per l’elezione delle rappresentanze con la riduzione del numero dei parlamentari. E’ indispensabile una legge sulla democrazia sindacale, in alternativa al modello prefigurato dall’accordo del 28 giugno, che garantisca ai lavoratori il diritto a una libera rappresentanza nei luoghi di lavoro e al voto sui contratti e sugli accordi. Sviluppo dell’autorganizzazione democratica e popolare in ogni ambito della vita pubblica.
Questi 5 punti non sono per noi conclusivi od esclusivi, ma sono discriminanti. Altri se ne possono aggiungere, ma riteniamo che questi debbano costituire la base per una piattaforma alternativa ai governi liberali e liberisti, di destra e di sinistra, che finora si sono succeduti in Italia e in Europa variando di pochissimo le scelte di fondo.
Vogliamo trasformare la nostra indignazione, la nostra rabbia, la nostra mobilitazione, in un progetto sociale e politico che colpisca il potere, gli faccia paura, modifichi i rapporti di forza per strappare risultati e conquiste e costruire una reale alternativa.
Aderiamo sin d’ora, su queste concrete basi programmatiche, alla mobilitazione europea lanciata per il 15 ottobre dal movimento degli “indignados” in Spagna. La solidarietà con quel movimento si esercita lottando qui e ora, da noi, contro il comune avversario.
Per queste ragioni proponiamo a tutte e a tutti coloro che vogliono lottare per cambiare davvero, di incontrarci. Non intendiamo mettere in discussione appartenenze di movimento, di organizzazione, di militanza sociale, civile o politica. Riteniamo però che occorra a tutti noi fare uno sforzo per mettere assieme le nostre forze e per costruire un fronte comune, sociale e politico che sia alternativo al governo unico delle banche.
Per questo proponiamo di incontrarci il 1° ottobre, a Roma, per un primo appuntamento che dia il via alla discussione, al confronto e alla mobilitazione, per rendere permanente e organizzato questo nostro punto di vista.
lunedì 4 aprile 2011
Due riflessioni... su lavoro e conoscenza
Il prof. Gianni Vattimo, riflette sul libro La conoscenza in una società libera di Marino Centrone - Vito Copertino - Rossana De Gennaro - Massimiliano Di Modugno - Giacomo Pisani. Febbraio 2011, pp. 455, Levante Editori.
Video a cura di Davide de Palma (dashumankapital.wordpress.com)
Gianni Vattimo, una riflessione sul lavoro
Video a cura di Davide de Palma (dashumankapital.wordpress.com)
venerdì 25 febbraio 2011
11 marzo, sciopero generale: l'appello
Il governo italiano ha già fatto sapere che intende adeguarsi ai nuovi parametri, accentuando i provvedimenti già avviati in questi anni.
Crescita delle disuguaglianze sociali, sottrazione di reddito e diritti ai lavoratori, abbassamento generale delle aspettative sociali e culturali del paese, indicano che - dentro la crisi – sono lavoratori, precari, disoccupati, utenti dei servizi pubblici a pagare i costi più elevati. E a vedersi negata persino la possibilità di resistere sul piano della democrazia e della rappresentanza sindacale.
Di tale scenario e di tale futuro si sono rivelate ben consapevoli le piazze degli studenti, dei precari, dei metalmeccanici, che ormai da troppo tempo chiedono uno sciopero generale e generalizzato che mandi un segnale chiaro e forte al governo italiano ed a quelli europei, alla Fiat e Confindustria, per contrastare apertamente la “lotta di classe dall’alto” dichiarata da Marchionne e dal sistema delle imprese.
Non c'è più da attendere. È tempo che questo sciopero generale e generalizzato si faccia il prima possibile.
Riteniamo per questo che lo sciopero proclamato per l’11 marzo raccolga questa esigenza e segni un primo punto di rilancio a tutto campo del conflitto sociale nel nostro paese; per riaffermare come irrinunciabili i diritti, la democrazia, i salari e la dignità di lavoratori, precari, disoccupati, studenti e utenti dei servizi.
Primi firmatari:
Valerio Evangelisti (scrittore); Gianni Vattimo (eurodeputato); Angelo D'Orsi (docente universitario, Torino) ; Manlio Dinucci (saggista e giornalista); Margherita Hack (astrofisica)
Giorgio Gattei (docente università, Bologna); Claudio De Fiores (costituzionalista); Pietro Adami (giurista); Franco Russo (giurista); Annamaria Rivera (docente universitaria); Antonia Sani (insegnante, comitato Scuola e Costituzione); Fabio Marcelli (giurista); Enrico Campofreda (giornalista); Luciano Vasapollo (docente universitario); Vittorio Agnoletto (medico); Franco Ragusa (giurista); Emilio Molinari (campagna mondiale per l'acqua); Isidoro Malandra (giurista)
venerdì 14 gennaio 2011
Torino, la Fiat, gli operai... Se gli intellettuali escono dal sonno
Un articolo apparso oggi su L'Unità, a commento delle prese di posizione di alcuni intellettuali contro l'accordo proposto da Marchionne; ne riporto qui unicamente la prima parte, con intervista al sottoscritto.
Torino, la Fiat, gli operai...
Se gli intellettuali escono dal sonno
Annozero, un resoconto
Interessante (e di parte) resoconto della puntata di Annozero di ieri apparso oggi su Il sussidiario.net. Riporto fedelmente dall'articolo di Gianluigi Da Rold:
ANNOZERO - Legittimo impedimento, ridimensionato dalla Corte Costituzionale, e referendum alla Fiat vengono mescolati insieme nella trasmissione, confusa e tumultuosa, di "Annozero" sotto la consueta regia di Michele Santoro. Sembrano, ma in effetti lo sono, due fatti determinanti per l'agenda politica italiana, quasi epocali per il futuro del Paese.
Sul palco televisivo ci sono protagonisti della politica e dei media che battibeccano in politichese e sindacalese. Il protagonista della contestazione è il filosofo Gianni Vattimo, che parte con un secco "analfabeta" al vicedirettore de "Il Giornale" Nicola Porro.
Vattimo sventola un foglio dove c'è la proposta di accordo che prevederebbe, a suo parere, una grave lesione del diritto di sciopero. Persino il giusvalorista Ichino si era schierato con la tesi di Porro, ma subito il filosofo Vattimo, il teorico del "pensiero debole", lo aveva interrotto dicendo: "Ma lei l'ha letto l'accordo?". In collegamento da Torino, il segretario della Fiom, Landini, ovviamente fa un coro forte alle tesi di Vattimo.
Difficile stabilire un dialogo o solamente un dibattito pacato e comprensibile, partendo dalle condizioni di fatto del nuovo mercato globale dell'auto. L'obiettivo, nemmeno tanto celato di Santoro, è quello di mettere sullo stesse piano sia Marchionne, l'orco della Fiat, sia Berlusconi, l'orco per antonomasia della cosiddetta "transizione italiana" , cioè dei nemici da battere e da sconfiggere. Nella linea editoriale di "Annozero" non si risparmiano neppure i dissidenti del Partito democratico, come Fassino ("Voterei sì") e come il sindaco di Torino, Chiamparino.
Al proposito diventa quasi edificante il consueto editoriale di Marco Travaglio. Il sedicente allievo di Indro Montanelli attacca quasi più Marchionne di Berlusconi, naturalmente mettendoli però sullo stesso piano e dalla stessa parte, due antidemocratici che sono "bravissimi a parlare d'altro". Non c'è alcun dubbio che la redazione di "Annozero", con le sua star in testa voterebbero volentieri per il "no".
La trasmissione è quasi uno "spottone" per il "no" propagandato dalla Fiom.
L'inviato di "Annozero" a Torino mette in dubbio anche la validità del piano industriale della Fiat, mentre Travaglio, dallo studio romano, fa i conti in tasca a Marchione, i suoi guadagni e le sue stock-option azionarie. L'inviato di "Annozero" si mette anche a contestare il rappresentante dei metalmeccanici della Cisl. In soccorso di "Annozero" e della Fiom arriva ovviamente il vicedirettore di "laRepubblica" Massimo Giannini, che attacca Berlusconi perché non si sarebbe mai occupato della Fiat, quindi di fatto proponendo un intervento statale o comunque governativo su un'azienda privata. In realtà il segretario della Fiom, Landini, è più coerente e obiettivo invocando un intervento pubblico, smascherando di fatto i liberali di maniera e quindi di convenienza occasionale. Gioco facile a questo punto per un rappresentante della maggioranza di governo come Gasparri, che spiega: "ma come ci siamo lamentati per anni che lo Stato dava soldi alla Fiat e adesso ci lamentiamo che non li dà?". Ma non potevano mancare, dopo l'intervento di Gasparri, le testimonianze, scelte a caso, di due studenti de "La Sapienza", che hanno aderito, non si sa bene a quale titolo, all'iniziativa della Fiom e saranno presenti allo stabilimento Fiat di Cassino. La coda della trasmissione è rappresentata da due altri interventi politici, un'intervista a Casini e una a Bersani sul futuro del governo. Scontate e noiose.
giovedì 13 gennaio 2011
Stasera, ad Annozero
Tutti uguali? In onda giovedì 13 gennaio
Vattimo: "Non potrà che aumentare la conflittualità sociale"
Riprendo qui un articolo appena pubblicato sul convegno odierno del sindacato di base Usb.
Vattimo: “Non potrà che aumentare la conflittualità sociale”
Per Vattimo però si pone un problema successivo, perché dopo il referendum bisognerà decidere che cosa fare, stando anche all’accordo che impone ai sindacati di mantenere l’ordine evitando contrasti con le regole aziendali. «Di questo passo non potrà che aumentare la conflittualità sociale ed è bene che la Cgil si dia una mossa e faccia scioperi selvaggi. Non c’è più tempo, già lo sciopero del 28, in caso di vittoria del sì, sarà in contrasto con l’accordo. Che succederà? Gli operai che sciopereranno verranno puniti o licenziati? Sarà già in vigore il nuovo contratto?». Il professore parla di un problema istituzionale, dovuto anche all’assordante silenzio del Governo e degli altri enti pubblici. «Non ho nessun rispetto per le istituzioni che non funzionano e non fanno gli interessi dei cittadini – attacca – e nemmeno il Parlamento europeo ci prende in considerazione. L’Italia sta diventando una colonia marginale del capitalismo occidentale. Si fanno andar bene Berlusconi perché manda a morire i militari in Afghanistan al posto degli altri. Gli Usa, ad esempio, stanno sostituendo le loro truppe coi mercenari».
Poi è tornato sulla situazione interna del nostro paese: «Aprire un nuovo fronte di scontro sociale, come ad esempio la questione Fiat e del lavoro in generale, è una strategia. Mi chiedo se Marchionne possa prendere soldi pubblici e investire all’estero se gli va, ma può davvero disporre di questi capitali come gli pare e piace? Stando così le cose, siamo un paese senza futuro. O ci svegliamo adesso, o restiamo ai comodi del sistema capitalistico. Non facciamoci abbindolare come i partiti di sinistra, con l’illusione di una globalizzazione che non è altro che una presa per i fondelli per lo sfruttamento dei poveri».
Paolo Morelli – [email protected]
mercoledì 12 gennaio 2011
Mirafiori, intervista a Gianni Vattimo: “Perché sto con la Fiom”
Dal sito di MicroMega
Ascolta l'intervista a Gianni Vattimo (a cura di Emilio Carnevali)
(12 gennaio 2011)
mercoledì 5 gennaio 2011
"Ostentata prepotenza Fiat". L'appello di 19 intellettuali
"Ostentata prepotenza Fiat"
l'appello di 19 intellettuali
Un gruppo di docenti universitari denuncia in un appello pro Fiom "il carattere ricattatorio di Marchionne". Tra i firmatari: Revelli, D'Orsi, Vattimo e Cottino
Di fronte all’ostentata dimostrazione di prepotenza offerta in questi giorni dalla Fiat e di fronte ai contenuti dell’accordo da essa imposto per lo stabilimento di Mirafiori, riteniamo di non poter tacere.
Non può essere taciuto il carattere esplicitamente ricattatorio, da vero e proprio Diktat, che pone i lavoratori, già duramente provati dalla crisi e dalla cassa integrazione, con salari tra i più bassi d’Europa, nella condizione di dover scegliere tra la messa a rischio del proprio posto e la rinuncia a una parte significativa dei propri diritti; tra la sopravvivenza e la difesa di condizioni umane di lavoro; tra il mantenimento del proprio reddito e la conservazione della propria dignità. E’ un’alternativa inaccettabile in una società che pretenda di rimanere civile e in un Paese che voglia continuare a definirsi democratico.
Maria Vittoria Ballestrero
Michelangelo Bovero
Piera Campanella
Alessandro Casiccia
Amedeo Cottino
Gastone Cottino
Bruno Contini
Giovanni De Luna
Lucia Delogu
Mario Dogliani
Angelo D’Orsi
Angela Fedi
Riccardo Guastini
Ugo Mattei
Ernesto Muggia
Marco Revelli
Marcella Sarale
Giuseppe Sergi
Gianni Vattimo
lunedì 3 gennaio 2011
La campagna di Micromega a sostegno della Fiom
Riporto qui il post di Carmine Saviano sul suo blog (Repubblica) "Movimenti", che dà notizia della campagna di Micromega a sostegno della Fiom e del suo rifiuto di firmare l'accordo marchionnesco.
Una civile indignazione. Restituire centralità politica al lavoro. Riportarlo in cima all’agenda politica. Si moltiplicano gli appelli per sostenere la battaglia della Fiom contro “i diktat di Marchionne”. Da domani parte la campagna di Micromega “Si ai diritti, no ai ricatti. La società civile con la Fiom”. Tre le prime adesioni: Camilleri, Flores D’Arcais, Margherita Hack. Ed è già in rete il manifesto di “Lavoro e Libertà”, la nuova associazione costituita, tra gli altri, da Stefano Rodotà, Luciano Gallino, Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Rossana Rossanda e Aldo Tortorella. Il punto di partenza e gli obiettivi sono comuni: una civile indignazione per sostenere il sindacato dei metalmeccanici.
L’appello di Micromega. L’accordo proposto dalla Fiat “contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto”. Una clausola che presuppone “l’annientamento di un diritto costituzionale inalienabile”. E l’appello di Micromega ha già raccolto tante adesioni. Tra queste: don Andrea Gallo, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Luciano Gallino, Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lorenza Carlassarre, Sergio Staino, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Marco Revelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Carlotto, Valerio Magrelli, Valeria Parrella, Lidia Ravera e Alberto Asor Rosa.
Lavoro e Libertà. E’ possibile sottoscrivere l’appello di Lavoro e Libertà sul sito di Articolo 21. Tra le critiche espresse al sistema Marchionne: la riduzione del grado di democraticità del mondo del lavoro, il mancato rafforzamento di meccanismi pubblici in grado di fare da contrappeso alle scelte operate nel campo economico, il prevalere di interessi di parte – quelli delle aziende – sui diritti dei lavoratori. “Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria”. Poi la domanda: “Come è possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all’altezza della sfida?”.
sabato 9 ottobre 2010
Velhas sombras, novos medos
Afastada a ameaça do comunismo, a Europa teme agora o terror, a imigração, a perda do emprego e o fim do que o capitalismo garante
A decepção mais recente foi a notícia da chegada da extrema direita ao Parlamento sueco. É evidente que não significa a conquista da maioria, mas é uma mudança significativa em um país que foi o modelo da social-democracia europeia durante décadas. E esse é apenas o último fato emblemático de uma situação europeia na qual os governos de direita - que pudicamente se definem de centro - são cada dia mais numerosos. Aliás, o Parlamento Europeu tem uma maioria de direita e muito raramente as esquerdas - liberais, socialistas, verdes - obtêm algum resultado, que então deve ser submetido à aprovação do Conselho Europeu, uma espécie de Câmara Alta da União Europeia que representa os governos dos vários países. Mas não há dúvida de que, à parte esses mecanismos institucionais, a Europa tem hoje uma feição politicamente moderada que tende continuamente a tornar-se abertamente de direita e, como é possível constatar pelas recentes leis xenófobas aprovadas na França (seguindo, aparentemente, o exemplo da Itália de Berlusconi!), aproxima-se cada dia mais do fascismo; um fascismo por enquanto muito brando, mas que promete endurecer de uma maneira que cada vez menos se coaduna com a tradição liberal e democrática do continente.
Por que motivo de repente (nem tão de repente: é que desde o fim do nazismo não se via um fenômeno tão generalizado) nos tornamos conservadores, muitas vezes até racistas? Os que sempre se declararam fiéis aos ideais da esquerda custam a compreender , e tampouco as hipóteses que apresento aqui poderão ser consideradas as mais acertadas. Paradoxalmente, a visão de mundo da esquerda, na Europa, sempre se alicerçou em pressupostos filosóficos da tradição historicista, que foi também a ideologia do colonialismo. De fato, segundo ela existe uma trajetória unitária da história humana que caminha para uma civilização cada vez mais completa; na ponta dessa trajetória, com o direito de conduzi-la, está a Europa, que "leva a civilização" aos povos "subdesenvolvidos". Quando, com a rebelião das antigas colônias, esse esquema historicista se tornou insustentável, inclusive filosoficamente, a fé no progresso do mundo rumo à democracia e ao socialismo, assim como a esquerda, sofreu uma crise de confiança. No plano das convicções e do compromisso político coletivo ocorreu algo semelhante à queda do Muro de Berlim. Ainda hoje, a esquerda se sente órfã, necessitada de diretrizes ideais. Se o comunismo se revelou impossível, em nome de que deveríamos continuar lutando?
É evidente que essa questão ideológica não envolve os milhões de eleitores que em várias partes da Europa abandonam os partidos de esquerda e passam a aderir às correntes conservadoras, ou, como acontece com maior frequência, se refugiam no abstencionismo. Essa consideração se ressente com certeza do meu ponto de vista italiano, mas o fenômeno é geral. Diz igualmente respeito ao socialismo francês, aos trabalhistas ingleses e até ao socialismo espanhol. Ao mesmo tempo, e mais ainda do que a queda de tensão ideológica que identificamos com a derrubada do Muro de Berlim, outra etapa até agora decisiva para o estabelecimento de um clima de direita na Europa foi constituída provavelmente pelos ataques do 11 de Setembro e pelo início da "guerra ao terror" americana. De dez anos para cá, o principal motivo apontado para a política conservadora é a luta contra o terrorismo - uma luta que, por sua vez, é essencialmente terrorista, isto é, precisa cultivar um sentimento de medo constante. A ameaça do comunismo soviético na Guerra Fria foi substituída pelo medo generalizado; não apenas o medo de ataques terroristas, mas muito mais, nos últimos tempos, o medo da perda do emprego, da perda do pouco ou muito que o capitalismo mundial continua garantindo aos cidadãos da metrópole. O sucesso da direita na Itália, França, Holanda ou Suécia baseia-se no medo da perda do emprego e, principalmente, da imigração. Os romas são apenas o alvo mais recente; mas, há anos, os países de "fronteira", como a Itália, a Espanha, a França, são dominados por uma obsessão defensiva, que se sobrepõe, em grandes partes da sociedade, à defesa da liberdade, da privacidade, das próprias instituições democráticas. É sempre o medo de perder a estabilidade, a tranquilidade, os privilégios, que impede também a concretização de uma Europa mais autenticamente federal, e por isso também mais forte e capaz de administrar as relações com os mundos que pressionam suas fronteiras. Na Itália, por exemplo, o governo Berlusconi, sustentado de maneira determinante por um partido cada vez mais explicitamente racista e criptonazista como a Liga Norte, concluiu um acordo com o ditador líbio Kadafi confiando-lhe a tarefa de patrulhar o Mediterrâneo, sem muitos escrúpulos quanto à legalidade e ao respeito aos direitos humanos, impedindo a imigração clandestina de cidadãos africanos que muitas vezes buscam apenas asilo político. O método utilizado por Kadafi para reprimir imigrantes clandestinos tem o mesmo efeito da ameaça constante de transferir as indústrias para fazer frente aos problemas trabalhistas. Foi assim que os operários de uma das poucas grandes fábricas do sul da Itália, a Fiat de Pomigliano, nas proximidades de Nápoles, tiveram de escolher entre aceitar uma considerável (e inconstitucional) limitação dos seus direitos sindicais e a eventual perda do emprego com a transferência da fábrica para a Sérvia. Inútil dizer que o medo triunfou: o referendo realizado entre os operários terminou com a vitória da empresa. Outro exemplo italiano: nos últimos 15 anos, estatísticas independentes têm afirmado que vários pontos porcentuais do produto interno bruto (PIB) passaram dos salários para os lucros: os ricos estão cada vez mais ricos e os trabalhadores, cada vez mais explorados. O desespero que alimenta as vitórias da direita na Europa é fruto também desses desequilíbrios.
Gianni VattimoTRADUÇÃO DE ANNA CAPOVILLA
lunedì 4 ottobre 2010
L'Europa e la novità latino-americana
L'Europa e la novità latino-americana
I giornali, e la televisione, italiani hanno parlato pochissimo e in modo molto superficiale del tentato golpe in Ecuador. Quello che so l’ho letto soprattutto nel Guardian di Londra e in alcune newsletter da Cuba. Già questo relativo silenzio dice molto su come si vedono le cose latino-americane dall’Europa, ormai quasi dovunque dominata da governi di destra, o comunque di stretta osservanza statunitense. Si dice talvolta che tutte le comunicazioni via internet che noi inviamo e riceviamo, in tutto il mondo, passino attraverso i server che hanno la base negli Usa, e dunque che siano potenzialmente controllate dalla Cia. Non so se sia vero; quel che mi pare certo è che, in Italia e anche in vari paesi d’Europa, le agenzie di notizie, prima, e i giornali, poi, filtrano in modo molto stretto le informazioni sull’America Latina. Così, del golpe anti-Correa noi abbiamo saputo e parlato pochissimo.
martedì 28 settembre 2010
Con la Fiom contro Berlusconi

Camilleri, Flores, don Gallo, Hack:"In piazza con la Fiom contro il regime Berlusconi-Marchionne"
L'appello di Andrea Camilleri, Paolo Flores d'Arcais, don Andrea Gallo e Margherita Hack perché il 16 ottobre si scenda in piazza a fianco alla Fiom. Un invito rivolto a società civile, associazioni, club, volontariato, gruppi viola, e "a tutte le personalità che hanno il privilegio e la responsabilità della visibilità pubblica".
venerdì 4 dicembre 2009
Schiavi moderni
Sono in prevalenza africani, per lo più impiegati in lavori agricoli stagionali nel Sud; ma molti anche europei comunitari, come i polacchi: forse anche in quanto comunitari molti di questi ultimi si sono ribellati chiedendo condizioni di lavoro migliori, con il risultato che alcuni, quanti non

Del resto su questo tema 'L'espresso' ha fatto inchieste memorabili. Sembrerebbero vicende di ordinaria amministrazione nella nostra Italia razzista, bigotta, ladrona; e dunque perché ancora una volta raccontarle? Ma il libro non è di quelli che possono essere sostituiti da statistiche, o articoli giornalistici, né è solo un documento. Proprio in quanto esercizio altamente letterario, riesce a farci vedere con una straordinaria intensità che il mondo dei clandestini è un universo di persone e di storie che nessun centro di identificazione ed espulsione può tacitare. Insomma, un racconto vero e bello sul nostro Paese, oggi.