Anche se molti fondamentalisti non sono d'accordo, è ormai abbastanza generalmente acquisito che la secolarizzazione - l'erosione e trasformazione in senso laico della tradizione religiosa - è un fenomeno legato all'essenza stessa della religione, e in particolare un vero fenomeno cristiano.
È da qui che parte il libro del sociologo tedesco Ulrich Beck, il quale intitola la sua opera
Il Dio personale. Un'espressione che a prima vista sembrerebbe esprimere la più pura ortodossia cristiana, giacché, come abbiamo imparato dal catechismo, Dio è per l'appunto una persona, non un'entità astratta o una specie di nome per la totalità dell'essere. È solo a un Dio personale in questo senso che si possono rivolgere preghiere e atti di amore.
Ma nel titolo di Beck il termine «personale» allude piuttosto al credente stesso: noi ormai crediamo in un dio nostro, termine di una esperienza che ciascuno vive in proprio e secondo la propria identità più profonda.
Spesso i fondamentalisti parlano di questo come di una «religione à la carte»: secondo loro, oggi ognuno si fa la sua religione, o possiamo dire il suo Dio, secondo i propri gusti e ideali individuali. Beck suggerisce che in fondo un Dio personale nel primo senso, più oggettivo, del termine, non può alla lunga che divenire anche un Dio personale nel secondo senso: se il Dio in cui crediamo è una persona è difficile che non ci rapportiamo a lui a nostra volta come persone specifiche.
Questo è in fondo il senso della secolarizzazione: non una dissoluzione e presa di congedo dal religioso, ma lo sviluppo di una esperienza sempre meno rigidamente istituzionalizzata del rapporto con Dio. E proprio il cristianesimo, con la sua insistenza sulla coscienza individuale, ha spinto la religiosità in questa direzione.
È il problema di fronte a cui si trovano oggi le chiese, non solo la cattolica e non solo le chiese cristiane. Beck, che è un sociologo, documenta fenomeni analoghi a quella che chiamiamo secolarizzazione anche in altri territori religiosi, e anzitutto nell'Islam. La questione è insomma, sul piano descrittivo su cui si colloca Beck: come si stanno configurando e si configureranno le grandi religioni della tradizione, in un mondo come il nostro, nel quale modernità e post-modernità sembrano tutte, anche se in modi diversi, orientare la credenza religiosa nel senso di una sempre maggiore individualizzazione?
Non è solo un problema per le gerarchie ecclesiastiche, che vedono ridursi la propria autorità nella sfera pubblica e incontrano sempre più resistenza da parte degli stessi fedeli che pure professano il loro credo. Anche per i credenti sembra difficile immaginare una vita religiosa senza istituzioni, senza i riti, le feste, in generale la «guida» delle loro tradizionali autorità. E si noti poi, come mostra bene Beck, che la secolarizzazione «occidentale» (riscontrabile soprattutto nel mondo cristiano europeo-americano) non solo non significa una diminuzione della religiosità, ma ha anche un potente contraltare (è il caso di dirlo) nella crescente diffusione del cristianesimo, cattolico o protestante, in regioni come Africa, Asia, America Latina. Il che conferma che le chiese sono, come dice il sociologo, dei global players, degli agenti globali.
Utile ricordarlo a noi italiani che spesso, guardando alla situazione della Chiesa cattolica in Italia, abbiamo l'impressione non immotivata che qui si stia assistendo agli ultimi spasimi di un «potere» tanto più esigente e dispotico quanto più consapevole del proprio declino.
Le chiese, insomma, lungi dall'essere alla fine, come pensava e voleva una teoria troppo ingenua e lineare della modernizzazione e della secolarizzazione, manifestano oggi una vitalità rinnovata proprio nella misura in cui sono, nella loro stessa costituzione originaria, soggetti globali e dunque adeguati all'epoca della mondializzazione. In qualche senso, la religiosità è tanto più universalistica quanto più è individualizzata. Sono le istituzioni ecclesiastiche, molto più che la fede individuale, a pretendere l'esclusiva del rapporto con il divino, verso l'esterno, e verso l'interno l'ortodossia dei loro fedeli.
Naturalmente Beck non si nasconde i tanti rischi che l'individualizzazione della religiosità porta con sé. Non solo certi fenomeni - visibili soprattutto in America – della nascita di nuove sette spesso ispirate da pastori o guru che badano soltanto agli affari. Piu sottilmente, il grande rischio è che le coscienze individuali siano profondamente manipolate dai media e dal potere - una questione a cui è sensibile soprattutto Juergen Habermas, che Beck cita spesso nel suo lavoro.
Ma quest'ultimo rischio è ovviamente legato alla questione della libertà politica in un mondo dove i sistemi di controllo e di manipolazione stanno diventando sempre più potenti. Le chiese che cosa faranno per combattere i rischi contro la libertà?
Per Beck, le religioni possono e devono avere un ruolo politico fondamentale nella costruzione di un mondo più giusto. Ma solo, pensa Beck e noi siamo d'accordo con lui, se, con una non facile trasformazione, sapranno sostituire alla dedizione alla verità (solo il nostro Dio è vero e salva, gli altri sono «dèi falsi e bugiardi») il valore prevalente della pace. Non sarebbe anche questo un modo per realizzare il vero trionfo del Cristianesimo come religione della carità?
Gianni Vattimo interverrà domani (h.11, Cortile di Palazzo Carignano) a Torino Spiritualità su «Credere di credere» in un dibattito con Ermanno Bencivenga e Alberto Voltolini, moderato da Giancarlo Bosetti, autore di «Il fallimento dei laici furiosi» (Rizzoli).