Le centrali atomiche, la trasparenza e i limiti della scienza
Aetnascuola.it, 12 aprile 2011
I limiti della scienza e della ricerca: intervista a Gianni Vattimo, filosofo del "pensiero debole"
Gianni Vattimo è professore di Filosofia Teoretica all’Università di Torino, già Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia presso lo stesso ateneo. Ha studiato con Hans-Georg Gadamer e Luigi Pareyson. Negli anni cinquanta con Furio Colombo e Umberto Eco, ha lavorato per alcuni programmi culturali della Rai-Tv, conducendo anche il programma settimanale politico-informativo Orizzonte. Membro di comitati scientifici di varie riviste italiane e straniere, ha diretto la Rivista di Estetica. Nel 1997 ha ricevuto l’Onorificenza di Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. È attualmente vicepresidente dell’Academía da Latinidade. Nel 2009 è stato rieletto al Parlamento europeo, dopo il primo mandato dal 1999 al 2004. È conosciuto come il teorico del Pensiero debole. La sua riflessione filosofica è sempre attenta ai problemi della società. Ora, dopo la catastrofe giapponese, tutti i Paesi del mondo si interrogano sul nucleare; la sua opinione resta contraria all’introduzione in Italia di questa tecnologia; per Vattimo si dovrebbe equilibrare il rapporto tra ricerca scientifica e realizzazione tecnologica alle esigenze della società.
Professor Vattimo cosa rappresenta nella società odierna il pensiero debole? È sinonimo di relativismo etico o vuole fondare la legittimità di valori diversi?
Il Pensiero debole è un discorso contro la nozione di fondamento. Il termine fondamento è stato utilizzato nella tradizione filosofica come punto di riferimento ultimo, come evidenza prima, è un concetto su cui tutto si fonda ma che, a sua volta, non è oggetto di domanda. L’evidenza prima è in genere un eccesso di confidenze; in realtà il pensiero debole è l’idea di criticare le pretese di definitività delle metafisiche che ci hanno preceduto e abbiamo ereditato. Non è un’invenzione individuale, è un pensiero filosofico che ritroviamo in Nietzsche e Heidegger. Quando il fondamento è dato come evidente e ci si arresta senza poter andare oltre, non si fa altro che identificare l’essere con l’ente. Il Pensiero debole è un discorso sulla libertà di fronte al fondamento. C’è una frase di Heidegger, scritta in uno dei suoi ultimi saggi, molto emblematica: “Lasciar perdere l’essere come fondamento”. È un relativismo moderato, senza fondamenti assoluti ed equivalenti, in quanto possiamo essere d’accordo su alcune cose mentre su altre mai. Non abbiamo l’arbitrio di decidere quello che vogliamo, esso è controllato dagli altri. Potrei citare un mio collega, Santiago Zabala e anche Orti quando sostiene: “Pur che la conversazione vada avanti”. Heidegger parla dell’essere come linguaggio, lo identifica nel dialogo; l’unico fondamento di cui disponiamo è ciò su cui concordiamo, sono un esempio le leggi o, ancora, il riconoscere la tradizione dei classici, perché sono opzioni su cui convergiamo congiuntamente. Questo significa che sarà anche relativismo, ma poco soggettivo e ancor meno individualistico. È più un discorso di appartenenza a comunità di fede, di valori, in cui gli stessi non sono assoluti. Volendo fare un esempio politico: quando la Chiesa o qualche scuola sostengono che esistono principi non negoziabili è soltanto una questione di autoritarismo. Perché i principi non dovrebbero essere negoziabili? Quali risposte potrebbero trovarsi al di là dei principi stessi? A mio avviso questo contrasta la libertà individuale.
Da filosofo e politico, qual è la sua posizione in merito al nucleare in Italia?
Sono contrario poiché esistono rischi da non trascurare, non soltanto legati alla sicurezza delle centrali ma anche allo smaltimento delle scorie radioattive. Si può ragionare in termini politici su questioni legate alle opportunità tecnologiche. Un mondo pieno di scorie radioattive sarebbe un mondo militarizzato, non voglio immaginare cosa accadrebbe se un malintenzionato penetrasse in un deposito con l’intenzione di commettere atti terroristici, ne potrebbe derivare una catastrofe. Un Paese militarizzato si trasformerebbe in uno Stato in cui verrebbe a mancare il principio di libertà. Esistono tutt’ora tante altre mancanze di libertà nella nostra società, ancor di più se aggiungessimo il problema delle scorie. Ciò che è accaduto in Giappone, anche se per colpa di un fortissimo terremoto e di un altrettanto devastante tsunami, dimostra che si devono sviluppare altre fonti di energia. Da filosofo ritengo di essere antisviluppista; non posso pensare che l’emancipazione umana sia fondata su uno sfruttamento di risorse. Il consumismo, che non condivido assolutamente, è connesso a queste problematiche. Un Pensiero debole è anche un pensiero ecologico volto alla riduzione dell’aggressività in tutti i campi e soprattutto in quello ecologico.
Scossi dal disastro nucleare di Fukushima, il mondo e la comunità scientifica si interrogano sulla sicurezza di questa tecnologia. Secondo lei uno scienziato deve essere libero di fare ricerca teorica e pratica a prescindere da ogni possibile risvolto negativo per la vita delle comunità umane?
Voglio affermare che non considero i diritti della ricerca come diritti assoluti. È la solita questione: il diritto assoluto della scienza alla ricerca si fonda sul quel feticcio che è la verità con la “v” maiuscola. Conoscere la verità è un valore quando serve a qualcosa, si dovrebbe sostituire al concetto di verità quello di carità, soprattutto nel caso dei valori condivisi nel rispetto dell’altro. Non diciamo che siamo d’accordo perché abbiamo trovato la verità, diciamo che abbiamo trovato la verità perché siamo d’accordo. I diritti della scienza sono interessanti, nella nostra storia sono esistiti tanti scienziati pazzi che hanno fatto molte scoperte unicamente per perseguire il loro sogno di verità, altri invece hanno portato avanti scoperte perché volevano raggiungere uno scopo. Quale scienziato non sogna di arrivare grazie alle sue ricerche al Nobel? Non esiste la ricerca disinteressata della verità, è sempre legata a qualche ragione, ribadisco: niente feticci di disinteresse sul valore assoluto della verità.
Qual è allora il giusto equilibrio tra natura, scienza e cultura?
Una gestione più democratica della ricerca scientifica. So benissimo che non si può chiedere a tutti i cittadini di diventare degli esperti di fisica nucleare. Quando ci sarà il referendum sul nucleare cosa potrò fare da cittadino? Potrei chiedere opinioni alla comunità scientifica, però anche quest’ultima è divisa. Come seconda opzione potrei scegliere di farmi informare dagli scienziati migliori, ma qui sorge un secondo problema: sono io in grado di decidere quali sono i migliori? Allora scelgo di confrontare le mie opinioni con qualcuno che condivide i miei ideali politici o con le persone che incontro tutte le domeniche a messa. Non posso accettare solo quello che dice la scienza, potrei farlo se fossero assolutamente tutti d’accordo su questo tema. È una problematica legata alla comunità e alla vita. Bisognerebbe equilibrare alle esigenze della società il rapporto tra ricerca scientifica e realizzazione tecnologica. Credo che la definizione di Lenin sul comunismo come “l’elettrificazione più i Soviet” sia ancora la migliore; egli stesso sosteneva il progresso scientifico, industriale, sotto il controllo dei Soviet, con rispetto parlando per l’Unione Sovietica.
La Tepco, multinazionale energetica che gestisce gli impianti nucleari in Giappone, ha nascosto negli anni diversi problemi tecnici riguardanti le sue centrali. Quando il potere economico è nelle mani di una multinazionale, a suo avviso, come cambia il rapporto tra sviluppo tecnologico e democrazia?
Cambia a vantaggio del capitale e del capitalismo. Una multinazionale per definizione tende a sottrarsi alle discipline nazionali. Purtroppo torna attuale un’espressione delle Brigate Rosse, che ha scandalizzato molto in passato poiché era accompagnata da efferati delitti, sullo Stato imperialista delle multinazionali definito con l’acronimo Sim. Oggi le multinazionali sono l’unica realtà esistente, le organizzazioni politiche in genere sono rinchiuse in un ambito nazionale perdendo così potere. L’Unione Europea è permeata da lobby e interessi. Su questo argomento sono di parte: il capitale mondiale con questo assetto è un vero e proprio mostro incontrollabile.
Multinazionali e capitale, quali sono le ripercussioni sull’individuo?
È anche un problema filosofico, Heidegger utilizzava una bellissima espressione: Gestell. Altro non è che l’insieme delle posizioni, della volontà produttiva. Produrre merci per mezzo di altre merci e denaro per mezzo di denaro, un grande automatismo ma non una legge assoluta. Un pensatore come Severino ha definito questo processo come la logica del nichilismo, oggi ha un nome: capitale. Continuo ad essere un materialista storico, bisognerebbe tagliare la testa ad alcune idre.
Il mondo ha cominciato a riconsiderare le proprie posizioni sulle centrali nucleari soltanto dopo l’ennesima catastrofe. Alcuni pensatori sostengono la necessità di istituire Università delle catastrofi per studiare il problema alla radice. Cosa ne pensa?
È un quesito molto interessante. Nessuno riflette a fondo sul problema fino a quando l’evidenza non fornisce gli strumenti per farlo. Anch’io avrei voluto rendermi conto dei rischi che comporta il nucleare senza assistere a tutte queste catastrofi: l’esperienza è sempre uno shock. La vita personale è fatta di trasformazioni prodotte da incontri che spesso diventano scontri. Guardo all’esperienza non tanto come veniva definita dagli empiristi, cioè approccio sperimentale alla conoscenza, ma piuttosto sono d’accordo con il pensiero di Hegel: l’esperienza è uno scontro con antitesi che devono essere continuamente sintetizzate, uno shock. Non sono in disaccordo con chi teorizza le Università delle catastrofi, questo non per giustificare un disastro in sé, semplicemente perché così accade nel mondo.
Stephen Hawking, matematico e astrofisico, profetizza come unica possibilità di sopravvivenza per l’uomo emigrare nello spazio. Latouche, invece, pone la teoria della decrescita come unico modo per contrastare il fallimento dello sviluppo sostenibile. Qual è la sua opinione in merito?
Simpatizzo molto con le teorie di Latouche, emigrare nello spazio ovviamente è qualcosa che l’uomo ancora vede come sogno per il futuro, Hawking rappresenta l’andamento della nostra storia da tempo, naturalmente non vorrei che si finisse verso un colonialismo spaziale. Si pongono entrambi il medesimo problema sotto prospettive differenti: il primo guarda all’ideale di una società nel futuro, l’altro guarda alle posizioni da prendere nell’immediato. Latouche ci dà delle indicazioni concrete su come il genere umano dovrebbe comportarsi con il proprio pianeta. Quando sarà possibile migrare nello spazio ne riparleremo. Hawking non è irrealistico, è forse una posizione troppo futuristica. Una cosa è certa: se si continua con questa politica e non si pone un freno allo sfruttamento delle risorse, l’umanità si troverà in una situazione ben più grave di quella attuale.
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