Valorizzazione Del Territorio

Tourism is one of the country's main productive activities and sustainable tourism is one of the driving forces of new models of economic development based on the principles of Green Economy. The paper aims to focus the attention on new forms of tourism aimed at enhancing, integrating environmental sustainability of the landscape, cultural heritage and environmental resources by identifying their potential value and making them attractive.

Calvino dedica le Conferenze americane "..ad alcuni valori o qualità o specificità (della letteratura) che (mi) stanno particolarmente a cuore, cercando di situarle nella prospettiva del nuovo millennio” e parla poi, come sappiamo, di valori come la Leggerezza, la Rapidità, l'Esattezza, la Visibilità, la Molteplicità. Oggi, qui, vorremmo lavorare con lo stesso spirito: dare risalto alle specificità del paesaggio, esaminarne i risvolti teoretici ma anche operativi, che incidono nel comportamento quotidiano e sui nostri lavori. Del paesaggio vorremmo discutere il valore non tanto in assoluto quanto nelle qualità che emergono nel confronto con opportunità e scelte alternative, in quel bilancio logico o ideologico, intuitivo o considerato che comunque le pratiche quotidiane del territorio e del progetto ci obbligano ogni volta a sostenere. In esse il valore del paesaggio (nel senso di importanza per il ruolo che assume) si delinea da sé, per la sua implicita commisurazione con gli altri bisogni, con le scelte, con i piaceri che gli sono "concorrenziali" nell'uso del territorio.
Infatti ormai il tema del paesaggio non solo si impone all’attenzione di svariate discipline di indagine e di rappresentazione come "luogo" dell'identità e motore della mobilità di intere comunità, ma è diventato anche asse di riferimento per gran parte delle strategie di azione sul territorio: le prospettive della sostenibilità, della salvaguardia della diversità, del controllo delle trasformazioni si misurano sempre più non solo con gli aspetti “strutturali” socioeconomici e dell’ecosistema ma anche con gli aspetti “culturali” e “politici” del paesaggio.
Nella fase in cui nella pianificazione territoriale ed urbana e nei programmi di intervento complesso la parola d’ordine è “(ri)qualificazione”, l’impostazione paesistica consente di affrontare con un’ottica e una comprensione nuova temi progettuali di grande urgenza, quali quelli emergenti dai luoghi critici dell’abbandono (la “montagna”, gli “entroterra”), dell’anomia (il “periurbano”, l’”infrastrutturale”), del degrado (lo “sfruttato”, il “dismesso”).
Tutto ciò comporta l'ingresso del tema del paesaggio nel mondo delle pratiche, dei progetti, delle trasformazioni guidate. E' anche per questo che improvvisamente il paesaggio diventa, anche per i tecnici ed i gestori del territorio, una risorsa oggetto di valutazione, del confronto operativo tra bilanci alternativi di vantaggi o di penalizzazioni: si esce dal sistema indiscutibile dei beni immateriali e incommensurabili e si entra in quello dei beni non indefinitamente disponibili ma limitati, deperienti, in qualche misura considerabili come risorse scarse.
Proviamo quindi ad assumere il valore del paesaggio come centro di riflessione: si tratta di un'angolatura che probabilmente permette di considerare con una luce diversa sia il concetto di paesaggio che quello di valore: ciascuno dei due termini porta l'altro ai margini del proprio significato consolidato, lo obbliga a misurarsi con elaborazioni teoriche inusitate e con pratiche, che scopriremo di uso comune ma che abbiamo troppo poco analizzato e discusso.
Possiamo forse definire il paesaggio stesso come risultato del processo di messa in valore culturale del territorio, come quel sistema di segni leggibili sul territorio e apprezzati da parte di ciascuno di noi singolarmente o come gruppo sociale o culturale (gli abitanti, gli amanti della natura, gli appassionati della montagna, del.....). Il territorio preesiste, in questa accezione, al paesaggio, il quale risulta come prodotto da una (s)elezione, da una valorizzazione culturale di parti rispetto ad un insieme indifferenziato.
Sembra avvenire cioè per il paesaggio nei confronti del territorio (e dell’ambiente) ciò che Wittgenstein afferma avvenire per l’arte nei confronti della natura:
“...l’arte ci mostra i prodigi della natura. Il suo fondamento è il concetto dei prodigi della natura. (Lo
schiudersi di un fiore. Che cosa c’è di splendido in questo?). Si dice: ”Guarda come si schiude!”..
Ma se il paesaggio come l'arte è un medium, una mano che indica ciò che vale la nostra attenzione e la nostra significazione, e se questo è il valore culturale del paesaggio, in primo luogo ci interessa capire se e come il valore culturale si tramuta in valore economico, quali passaggi più o meno controllati portano quel processo selettivo e di sottolineature, tutto soggettivo e simile a quello artistico, a definire un prodotto utilizzabile come risorsa, come bene da scambiare per ottenere altri beni, condivisibile con una comunità che in qualche misura ne fa non solo uso ma anche commercio.
In secondo luogo ci interessa entrare nel merito, non solo capire i meccanismi di traduzione del paesaggio da bene a risorsa, ma anche capire i criteri che ce lo hanno fatto preferire, le Qualità per dirla con Calvino, del paesaggio a cui teniamo.

Per saperne di più visita: https://landscapefor.eu/

2009_Il Fronte mare di Pozzuoli /Area Flegrea in “La costa del golfo di Napoli: storia e innovazione”: la riqualificazione e la fruibilità del patrimonio storico-culturale della Campania; Massa Editore Napoli, 2009

An analysis of planning tools of the local and more wide-spreading area and of the plans and
measures currently being put into effect or scheduled, has provided an up to date picture of the
complex situation of the territory of Pozzuoli.
The last earthquake activity of the 1980s marked the beginning of a series of infrastructural
measures of considerable entity carried out with heavy large-scale financing, just as the closing
down of several old industrial plants in the early 1990s and the transformation of the Olivetti
factory into a technological park led to a process of re-conversion of the territory and the
beginnings of social and economic change, the effects of which are still being felt.
While raising the value of the archaeological and environmental heritage and strengthening rail
links in an area which has increasingly become a place of leisure and culture - re-inventing its own
future by realising the potential of its cultural identity - have played a fundamental role in terms
of territorial competitiveness, it is also true to say that operations of managerial interconnections,
urban and environmental redevelopment as well as the recovery of the precious historical
relationship between land and sea do provide the chance to transform latent potential into a
concrete opportunity for development. It is also worth stressing that the tradition-innovation duo
adopted in many cities that have set up creative strategies bound to urban, social and economic
renewal has turned out to be extremely fruitful in terms of socio-economic development.
This study is intended to highlight the need to put into operation extensive urban and
environmental redevelopment in those areas which appear compromised by the construction of
viaducts, tunnels, flyovers and overhead causeways and those fallen into disuse following
redirection of a stretch of the Cumana railway along the coast - areas of abandon and urban decay
- but also to identify buildings sited along the coast which have fallen into disuse and for which
a new function must be found.
Research results also point to the need to organise strategic action put in place by regional
planning and development measures in recent years, with numerous planning and design projects
that have been or are being carried out, through the detailed understanding of multiple aspects
ranging from the most pressing physical aspects to those perhaps more difficult to interpret
including social, cultural and historical aspects and most important of all the effective needs of the
inhabitants.

Tesi magistrale a.a. 2015-2016 in cui analizzo le teorie sul paesaggio naturale e antropico e quelle sulla percezione dello stesso.
Tentativo di valorizzare le aree dismesse dell'area in un percorso naturalistico, data la forte interconnessione di parchi locali tramite piste ciclabili.
Approfondimento sul paesaggio della fascia nord di Milano, attraversata dal canale artificiale Villoresi.
Caso-studio sulla riqualificazione dell'area ex-Alfa Romeo, dismessa alla fine degli Anni 90 e attualmente trasformata in uno dei centri commerciali più grandi d'Europa.
Illustrazioni realizzate tramite basiche operazioni GIS.
(perdonatemi alcuni grossolani errori di battitura!!)

L’autenticità è un concetto che investe diversi ambiti, dall’arte, alla musica, al turismo. Quando si parla di autenticità nel turismo si intende, in generale, la ricerca, da parte di alcuni turisti, di qualcosa di vero o di un’esperienza il più possibile “pura”, reale, non artefatta o precostituita. Questa ricerca si può dirigere verso paesaggi bucolici, paradisi tropicali o antichi borghi. Tuttavia, il viaggiatore contemporaneo si dirige anche verso luoghi –o meglio «non-luoghi»– che sono esplicitamente non-autentici, perché del tutto artificiali, come i parchi tematici, di cui il souvenir è l'estremo simulacro.

La storia del Mediterraneo è la storia delle sue coste e delle sue isole e di tutte le rotte che, intersecandolo, hanno diffuso civiltà, culture, pensieri. Tutta la storia e la vita dell’uomo, ogni suo evento, ogni sua speranza, ogni sua realizzazione, è sempre avvenuta, in qualche modo, sul mare o attraverso il mare. Guardando al Mediterraneo, come mare da dominare, esso si rivela ‘specchio’ di una parata di fortezze d’acqua, rocche appartenenti a sistemi castellari, manieri, che mutano aspetto in relazione ai cambiamenti politici e ai progressi nell’arte del guerreggiare, alla cui ombra, in un universo infinito di rotte d’acqua, si riflettono le gesta quotidiane della gente di mare, di condottieri, nobili, pellegrini, crociati e pirati. L’originaria funzione di difesa e di controllo di queste architetture, ha fatto sì che nel passato costituissero dei segni forti sul territorio, elementi significativi di grande valenza architettonica. Oggi la situazione di tali manufatti è chiaramente mutata, motivo in più per interpretarne il significato attuale, prevalentemente settato sulla funzione di nodi di comunicazione turistica e promozione culturale del territorio. Dapprima utilizzate come semplici postazioni d’avvistamento, sorte per la difesa passiva delle coste, in seguito, dopo l’introduzione delle armi da fuoco, vengono dotate di ulteriori corpi di fabbrica, massicci e articolati, che permettono a queste scole troneggianti sul Tirreno d’ingaggiare battaglie contro gli attacchi provenienti dal mare; integre o allo stato di rudere, raccontano in silenzio brai di storia. Il contributo si propone, attraverso lo studio delle fonti d’archivio e iconografiche, di approfondire caratteri tipologici e tecniche costruttive, nonché possibili azioni di restauro e valorizzazione, di alcune di queste fabbriche comprese nel litorale laziale; tra queste le torri d’avvistamento e di presidio di un territorio, in un insieme compatto, che si raccorda, a nord, con le torri di Fiumicino, torre campanaria di S. Ippolito, torre Niccolina, torre Alessandrina e torre Clementina, e, a sud, con le torri Paterno, tor Vajanica, tor Caldara.

L'abstract analizza le fasi del processo di antropizzazione del tratto costiero laziale compreso fra Civitavecchia a Nord e Nettuno a Sud, focalizzando l’attenzione su evidenze morfologiche, toponimi, testimonianze archeologiche e architettoniche, strutture portuali, insediamenti urbani, torri d’avvistamento e di presidio del territorio, casali agricoli, in quanto tracce, ancora visibili di situazioni e presenze ormai cancellate dallo scorrere del tempo; segni non del tutto alterati dalla modificazione antropica dell’area, contraddistinta, soprattutto nel secolo passato, da una forte espansione urbana ed edilizia, una parte della quale incontrollata nonché dalla costruzione della importante infrastruttura dell’aeroporto di Fiumicino. In particolare, viene indagato il litorale ostiense, fin dall’antichità ‘di-segnato’ dalla presenza del Tevere che, nel tempo, ha determinato con il trasporto di sedimenti e detriti, l’avanzamento della costa di circa 4 chilometri. Un insieme complesso che andrebbe salvaguardato con un progetto unitario che coinvolga sia i beni culturali sia quelli ambientali, ormai strettamente correlati tra loro nel determinare caratteri e qualità del paesaggio attuale.
Paesaggio costiero; Lazio; Ostia Antica; Valorizzazione; Torri

Per raggiungere tale fine, si è tenuto in considerazione lo sviluppo socio-economico e culturale della regione in generale attraverso lo studio della strutturazione del suo territorio, integrandolo con concisi cenni sui momenti storici che si ritengono caratterizzanti e identificanti per la comprensione degli specifici fenomeni che interessano il comprensorio territoriale analizzato. Gli strumenti della ricerca storica sono costituiti prevalentemente dalle fonti letterarie, iconografiche, archivistiche e bibliografiche, dalla cartografia storica e dalle indagini dirette sull"intera superficie del territorio in oggetto, finalizzati ad acquisire i dati concernenti la frequentazione e il popolamento dall"età antica e medievale, con attenzione al ruolo delle risorse, alle attività produttive, al contesto ambientale dei siti individuati. Gli atti degli archivi storici forniscono notizie da verificare sul patrimonio edilizio e sulle aree agricole, dalle quali è possibile ricavare la struttura e la dislocazione degli insediamenti nel territorio e le varie forme del paesaggio storico. La fonte cartografica fondamentale per avere un quadro figurativo dell"Italia pre-unitaria è quella costituita dai catasti degli Stati Pre-unitari, quali il Catasto Napoleonico, il Catasto Gregoriano, il Catasto Borbonico. Per la documentazione iconografica, grande importanza assume anche le stampe che dalla metà del "600 rappresentavano le città e il paesaggio in quelli che erano i diari di viaggio, valgano per tutte le vedute dell"abate Pacichelli Il Regno di Napoli in Prospettiva, pubblicato postumo nel 1702) o dei viaggi di Edward Lear (Diario di un viaggio a piedi, 1847) o ancora quelle legate al Gran Tour di Henry Swinburne (1777) e di Jean Claude Richard de Saint-Non (1778) in Voyage pittoresque a Naples et en Sicile, fonti inesauribili di sorprese e di scoperte, e le Carte Geografiche e gli Atlanti della Calabria, dei quali fondamentali sono state le molteplici Carte dei Regni di Napoli e di Sicilia con le Carte della Calabria Ulteriore del Rizzi-Zannoni. La cartografia ufficiale dell"I.G.M. (Istituto Geografico Militare) in scala 1:50.000 o 1:25.000

parte prima 17 Introduzione. Le strade romane del territorio e della città Patrizia Basso, Brunella Bruno, Piergiovanna Grossi 35 I miliari dell'agro veronese: ipotesi e spunti di riflessione per un inquadramento topografico Piergiovanna Grossi 59 La via Postumia a Verona "venti anni dopo" Giuliana Cavalieri Manasse 81 Una strada strutturata dell'età del Bronzo a Vallese di Oppeano 115 Indagini recenti sulle strade della Valpolicella romana Brunella Bruno, Paola Fresco 129 La via Brescia-Verona (via "Gallica"): gli scavi a Peschiera del Garda Brunella Bruno, Francesca Meloni 145 Un'antica strada a Grezzana: dati archeo logici Gianni de Zuccato, Andrea Checchi 155 Le strade di Verona: lavori in corso. Notizie degli interventi 2013-2019 Brunella Bruno 173 Viabilità secondarie nelle necropoli lungo la via Postumia a Verona: i casi di via Albere, Spianà e Porta Palio Giulia Pelucchini parte seconda 185 Introduzione. Valorizzare i percorsi stradali antichi: esperienze a confronto e possibili direzioni future Claudia Cenci 193 Il parco archeo logico dell'Appia Antica tra storia, tutela e valorizzazione Rita Paris 205 Il progetto Via Annia. Recupero e valorizzazione di un'antica strada romana Francesca Veronese 215 Il caso mAppiaM! Progetti di crowdsourcing per conoscere e valorizzare il patrimonio archeo logico Saverio Giulio Malatesta 223 Public archaeology a Verona: un percorso sperimentale lungo la via Postumia Claudia Cenci, Piergiovanna Grossi 233 Valorizzazione della strada (via Claudia Augusta?) di Brentino Belluno Raffaella Bortolin 243 I Tratturi, le Vie Verdi. Tutela e valorizzazione Giovanna Battista 251 Bibliografia verona e le sue str ade 6

Pietro Fedele fu anche un mecenate che spese molto del suo impegno per la valorizzazione del patrimonio culturale.
così, si fece concedere in enfiteusi la Torre di Paldolfo Capodiferro, alla foce del fiume Garigliano, abbandonata da anni, che restaurò a proprie spese, grazie al progetto di Gino Chierici, e destinò a museo della vciviltà aurunca.
Qui, oltre al suo studiolo, nel quale soleva ritirarsi a studiare, raccolse un patrimonio di inestimabile valore culturale, con quadri, oggetti di statuaria, pergamene e una ricchissima biblioteca.
Alla fine dell'ottobre 1943 i tedeschi in ritirata, dopo aver depredato il Museo, minarono e atterrarono un monumento che rappresentava una pagina di storia importante, essendo stata costruita tra 961-981 (come dedusse lo stesso Pietro Fedele in uno dei suoi primi scritti) per celebrare la vittoria della lega cristiano contro i saraceni e fortemente voluta dal principe longobardo Paldolfo Capodiferro.

Baronissi è raggiungibile dalla vicina Salerno, passando per la località Fratte, area archeologica etrusco-sannitica ed importante in età contemporanea per le industrie cotoniere di fondazione belga.
Percorrendo la Spontumata, incontriamo la piccola località di Aiello, sulle quali alture i resti di una rocca; si affaccia la piccola chiesa dedicata a San Pietro Apostolo, rimaneggiata; sulla facciata una Madonna lactans franco borgognona.
Le tracce dell’antica fondazione sono visibili nel campanile.
Se percorriamo la strada che ci ha condotto sulle alture in senso inverso, ci troviamo in via Indipendenza, dove sono i resti di una chiesa un tempo dedicata alla Madonna del Rosario.
In località Acquamela la casa appartenuta alla Regina Margherita di Durazzo, scelta per la amenità del luogo, vista la vicinanza al fiume Nofilo, affluente dell’Irno dal quale la Valle prende il nome.
Accanto alla casa della Regina Margherita, una Chiesa già Convento dedicato alla Santissima Annunziata, oggi dedicata a San Domenico di Guzman.

Il contributo approfondisce un argomento di grande dibattito, a Roma, nella prima metà del Novecento: il sistema del verde cittadino in rapporto ai monumenti. Interesse, probabilmente, mutuato dalla tradizione inglese ottocentesca visto che alcuni personaggi della cultura romana, dediti allo studio della vegetazione e dei giardini (Giacomo Boni, Maria Pasolini Ponti), sul finire del secolo stringono stretti rapporti con esponenti anglosassoni (W. Morris, Ph. Webb, W. D. Caröe). Roma, sin dall’Unificazione italiana, pone la questione del rapporto inscindibile che i ruderi, all’interno della città, hanno sviluppato con il mondo vegetale; il Piano Regolatore del 1873, infatti, già contiene precise indicazioni in merito auspicando l’organizzazione di giardini cittadini, preferibilmente all’inglese. Prescrizioni che acquisiscono un ruolo fondamentale nella configurazione che la città sta assumendo, dando luogo a esperienze uniche; tra queste si ricordano: la ben nota sistemazione dei Fori e del Palatino, con il relativo dibattito sulla “Flora delle rovine”; il giardino progettato nell’angolo tra la ricostruenda chiesa di S. Rita da Cascia e la scala d’Aracoeli; l’organizzazione di largo Argentina e del Tempio di Venere e Roma; la lunga vicenda della Passeggiata archeologica; l’esperimento del parco di Traiano su colle Oppio; il parco Savello sull’Aventino e molti altri. Non meno interessanti le figure di: Giacomo Boni e i continui rapporti di collaborazione con i tecnici dell’Orto botanico, Gustavo Giovannoni, Antonio Muñoz e Raffaele De Vico. Esperienza unica, quella italiana, nell’unione tra giardino e monumento, che viene presentata, con grande successo, anche alla Conferenza di Atene del 1931 e che sarà seguita da numerosi altri progetti per la città.

Il poster analizza le fasi del processo di antropizzazione del tratto costiero laziale compreso fra Civitavecchia a Nord e Nettuno a Sud, focalizzando l’attenzione su evidenze morfologiche, toponimi, testimonianze archeologiche e architettoniche, strutture portuali, insediamenti urbani, torri d’avvistamento e di presidio del territorio, casali agricoli, in quanto tracce, ancora visibili di situazioni e presenze ormai cancellate dallo scorrere del tempo; segni non del tutto alterati dalla modificazione antropica dell’area, contraddistinta, soprattutto nel secolo passato, da una forte espansione urbana ed edilizia, una parte della quale incontrollata nonché dalla costruzione della importante infrastruttura dell’aeroporto di Fiumicino. In particolare, viene indagato il litorale ostiense, fin dall’antichità ‘di-segnato’ dalla presenza del Tevere che, nel tempo, ha determinato con il trasporto di sedimenti e detriti, l’avanzamento della costa di circa 4 chilometri. Un insieme complesso che andrebbe salvaguardato con un progetto unitario che coinvolga sia i beni culturali sia quelli ambientali, ormai strettamente correlati tra loro nel determinare caratteri e qualità del paesaggio attuale.

La nozione di valorizzazione sembra oggi generare profondo sospetto in chi riconosce le proprie radici ideali nella percezione di un valore delle opere d'arte indipendente da fenomeni extra-artistici che possano determinarne la comprensione e la fruizione. In Italia, in particolare, ha pesato fortemente l'inevitabile confronto con l'idealismo: le radici della storia dell'arte italiana sono in Adolfo Venturi e Pietro Toesca. Ma la nozione di valorizzazione ha un fondamento costituzionale e figura nel Codice dei Beni culturali e del Paesaggio: quale può essere allora l'apporto della storia dell'arte allo sviluppo delle funzioni e delle attività di valorizzazione? Da molti storici dell'arte la valorizzazione è stata concepita come una sorta di male minore, in grado di promuovere il patrimonio, i cui valori di qualità resterebbero però appannaggio di pochi. Nelle politiche culturali di oggi, invece, ci sono due dimensioni ineliminabili: il riconoscimento di valori culturali sovra-soggettivi e l'impegno a rendere largamente disponibile l'esperienza culturale come aspetto del welfare.

The fortified site of Fenestrelle, called the "Great Wall of Piedmont", consists of eight defensive works, featuring the largest European alpine fortress; its building began in 1728, according to the project by I. Bertola. The fortress-which is still a State property-was abandoned after ending its military life in 1947, and suffered damages due to degradation until 1990, when the recovery began, mainly for small lots, and with specific major interventions. This contribution will illustrate the process leading to the restoration and reuse of a good part of the inferior fortress San Carlo, and of the visit trails, allowing to return the site to fruition for museal, educational and cultural purposes; special attention is reserved to the restoration of the Royal Gate, which was in the state of ruin. In order to frame the interventions in the contemporary debate on restoration and museum adaptation, we can't omit to point out the concertation actions from which the financial resources for restoration and reuse came, and the main topics addressing the critical-evaluation approach. The reflection on intrinsic and extrinsic factors that influenced the restauration choises will be displained with particular reference to needs for economic sustainability, cultural purposes of implementing the users range, and new trends in visitors' enjoyment models. The essentially conservative and minimalist nature of the restoration works, the subordination of the new museal fittings to the peculiarity of the existing artifacts, the chance to live safely and freely a true exploring experience of military spaces and paths, made the Fort an attractive place, appreciated both by common visitors and scholars. Introduzione. Storia e composizione della Fortezza di Fenestrelle La costruzione del complesso di forti di Fenestrelle, monumento simbolo della Provincia di Torino dal 1999 (e detto la 'Grande muraglia piemontese' per le sue dimensioni, e il suo sviluppo lungo tutto il fianco sinistro della valle), rientra all'interno di importanti interventi fortificatori voluti da Vittorio Amedeo II per bloccare un possibile ritorno francese in Val Chisone, passata sotto il controllo dei Savoia in seguito alla Pace di Utrecht del 1713 (fig. 1); alla fine del XIX secolo fu inoltre deciso di costruire una serie di opere a presidio del colle dell'Assietta e del Colle delle Finestre, collegate tra loro e alle fortificazioni della vicina Valsusa con rotabili e mulattiere. Il Primo Ingegnere di S.M. e architetto militare Ignazio Bertola progettò un complesso che, includendo il Fort Mutin e il piccolo forte a metà del versante, voluto contro i Savoia nel 1692 dal Re Sole (A.A.V.V., 2009; Minola, 2012), proteggesse la pianura torinese da eventuali tentativi francesi di invasione dei territori persi; i lavori iniziarono nel 1728, proseguendo fino al 1793 e poi dal 1836 al 1850 (Ridotta Carlo Alberto, che sbarrava la strada verso la Francia, e forse l'attuale chiesa) (A.A.V.V., 2009). Nella progettazione dell'opera e nella direzione dei lavori si alternarono poi diversi altri ingegneri e architetti militari, tra cui V.A. Varino de La Marche, L.B. Pinto, C. A. Rana (Minola, 2012). Dopo l'Unità d'Italia, tra il 1874 e il 1896, la fortezza venne ulteriormente potenziata (pur non essendo mai coinvolta in assedi o assalti di rilievo, fu infatti molto importante, grazie al suo ruolo "dissuasivo"), divenne poi sede del Battaglione "Fenestrelle" del 3° Reggimento Alpini (A.A.V.V., 2005), e terminò la sua vita militare come carcere fascista, se si escludono alcuni assalti partigiani al termine della II Guerra Mondiale; già dal XVIII secolo i suoi spazi furono comunque spesso adibiti a celle di detenzione per personaggi di prestigio, detenuti comuni, avversari politici, militari. Nel 1947 l'esercito italiano decise di dismettere la struttura, che fu abbandonata e subì danni dovuti al degrado, alle intemperie e a saccheggio. Il complesso (fig. 2) è composto da otto opere difensive, tra cui tre forti (San Carlo (fig. 3), Tre Denti, Delle Valli), sette ridotte (le principali sono la Carlo Alberto, Santa Barbara, Delle Porte) e due batterie (Dello Scoglio, Ospedale), ognuna con ruolo specifico nelle strategie di difesa. Tutte le strutture sono collegate da spalti, bastioni, ben 28 risalti (postazioni di artiglieria disposte a gradoni, unite tra loro da

Esiste una economia della bellezza, ne siamo certi, anche se le condizioni affinché si realizzino nel Bel Paese possono talvolta apparire utopistiche.
Occorre “agitare il patrimonio”. E investire nell’innovazione, a partire da alcuni concetti da condividere...

La presentazione intende fare il punto sul progetto "Spazi Medievali" ad un anno dal suo avvio. Partendo dalla sua ideazione da parte dell'Associazione "Culturalmente", del Comune e dell'Associazione Turistica Pro Loco di Candelo e dalla sua attivazione grazie ad un contributo della Compagnia di San Paolo, le slide illustrano le azioni realizzate, delineandone punti di forza e di debolezza, cercando, infine, di indicare le prospettive future di sviluppo.

Dopo quasi due anni di collaborazione a titolo gratuito con il Touring Club Italiano, frutto di una convenzione con l'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, quegli argomenti sono stati rivisti, ristrutturati e ampliati in nuovi articoli che trattano di temi quali la didattica della geografia, la storia del pensiero geografico e cartografico, i processi di valorizzazione del patrimonio e del territorio.

Dalla Val Trebbia alla Valle Scrivia, prosegue il nostro “cammino” alla scoperta dei borghi dell’Antola, anima autentica ed identità di questo territorio.
Per racchiudere in poche battute la varietà di ricchezze storiche, architettoniche, paesaggistiche e culturali che caratterizzano i borghi in Alta Valle Scrivia, abbiamo immaginato un itinerario di visita da compiersi in due giornate.

La nozione di valorizzazione sembra oggi generare profondo sospetto in chi riconosce le proprie radici ideali nella percezione di un valore delle opere d'arte indipendente da fenomeni extra-artistici che possano determinarne la comprensione e la fruizione. In Italia, in particolare, ha pesato fortemente l'inevitabile confronto con l'idealismo: le radici della storia dell'arte italiana sono in Adolfo Venturi e Pietro Toesca. Ma la nozione di valorizzazione ha un fondamento costituzionale e figura nel Codice dei Beni culturali e del Paesaggio: quale può essere allora l'apporto della storia dell'arte allo sviluppo delle funzioni e delle attività di valorizzazione? Da molti storici dell'arte la valorizzazione è stata concepita come una sorta di male minore, in grado di promuovere il patrimonio, i cui valori di qualità resterebbero però appannaggio di pochi. Nelle politiche culturali di oggi, invece, ci sono due dimensioni ineliminabili: il riconoscimento di valori culturali sovra-soggettivi e l'impegno a rendere largamente disponibile l'esperienza culturale come aspetto del welfare.

Nell’ambito delle attività di ricerca svolte dall’Università degli Studi di Milano – Istituto di Geografia Umana per il progetto Murst  Cooperazioni Interuniversitarie Internazionali  intitolato “Ambiente e patrimonio culturale per lo sviluppo del turismo sostenibile. Nuovi itinerari alla scoperta di un’eredità comune europea e alla crescita di nuove imprenditorialità”,  è stato realizzato un approfondimento dedicato, in particolare, alla coltura della vite valtellinese, che ha caratterizzato questo territorio fin dal medioevo.
Prendendo spunto dall’ampia letteratura storica tramandata sulla viticoltura della Valtellina, lo studio si è focalizzato sull’analisi della cartografia otto e novecentesca, con l’obiettivo di individuare la localizzazione e la distribuzione precisa del vigneto nelle fonti esaminate.
Il metodo adottato si è basato sulla realizzazione di una banca dati geografica (GIS), costituita da una serie di quattro carte tematiche che evidenziano la presenza del vigneto a varie soglie temporali, da quella attuale fino alla data del 1890.
Il trattamento informatico delle fonti cartografiche storiche analizzate ha pertanto consentito l'elaborazione di una banca dati multitemporale, dalla fine dell’ottocento fino ai giorni nostri, in grado di fornire indicazioni sul grado di persistenza e sulla distribuzione del vigneto valtellinese, offrendo una lettura al tempo stesso sintetica e diacronica degli effetti prodotti da questa coltura nel paesaggio della zona esaminata.

Abstract
Our study was conducted within the activities of the University of Milan – Institute of Human Geography for the Murst Project with the title : “Environmental and cultural heritage for the development of sustainable tourism: New  itineraries for the discovery of a common European heritage and the growth of a new culture of enterprise”. We focused, in particular, on the growing of the Valtellina vine, which has been typical in this region since the Middle Ages. Taking into account the large existing historic literature on this topic, we mainly analysed the cartography of the nineteenth and the twentieth centuries, aiming to precisely determine the vineyards position and distribution.
The method which has been used is based on the creation of a GIS database, consisting of a collection of thematic maps that describes the vineyards at four different time, from 2000 to 1890.
In order to build this thematic layers we have scanned and georefered a series of cartographical sources. Next we have carried out some interpretative sessions based on these topographic sources.
A subsequent GIS analysis has furthermore allowed the production of an multitemporal database, starting from the ending of the 19  century to the present day, able to provide both information on the vineyard evolution and a syntetic and diachronic view of the landscape effects induced by this kind of culture.

The fortifications that rise around the harbour of Genova are architectural expressions that emphasize and clarify the relationship between man and landscape structure. The defence system intended as a single organic landscaping element is a key feature in the perception of the landscape it occupies. With the study of the geological structure and geomorphological landscape, it is possible to create the basis for an assessment of the characteristics that have influenced the design choices and functional work. The need to convert and valorise these military facilities is an opportunity to deal with studies that take into account the characteristics of the area.

Si fa un gran dire che l’Italia possiede la gran parte del patrimonio culturale dell’umanità. Un claim buono per tutte le stagioni, ma nel frattempo si assiste impotenti ai crolli di Pompei, si continua a confondere la valorizzazione con la tutela, si rinuncia alla fruizione del patrimonio che rimane “inagito”, si abbandonano intere aree del paese perché “minori” o “interne”, si definisce chi ha studiato materie umanistiche come “laurea debole”. Già, perché la forza sta nel confermarsi devoti al culto del mattone e del consumo di paesaggio, che rimane trasversalmente fervido e che convalida il brutto concreto delle periferie, minacciando le vite di tutti.

"Si fa un gran parlare di beni culturali e di patrimonio archeologico  mentre, paradossalmente, nell’archeologia italiana si registra in contemporanea,  quel ‘cultural lag’ (ritardo culturale), introdotto dalla manualistica sociologica americana nella distinzione tra “cultura materiale” e “cultura non materiale”. Nella cultura dell’accoglienza in Sicilia, il cultural lag è determinato dall’assenza di un ‘anello di congiunzione’ tra due categorie concettuali complementari e in stretto rapporto di reciprocità:  quella del ‘bene da custodire’ e  quella del ‘custode del bene’. Si tratta evidentemente di una chiara manifestazione di ritardo organizzativo, una variabile che dipende strettamente dalla cultura - quindi classificabile come ritardo culturale -, il cui riscatto è indissolubilmente commisurato alle svolte istituzionali che sapranno indirizzare la gestione dei beni culturali verso uno stato di coscienza, di maturità e di attenzione alle due categorie, fondamentali del processo culturale, del ‘bene da custodire’ e del ‘custode del bene’.
Accade così che in Sicilia, gli angeli custodi dell’archeologia, paladini della bellezza, non hanno le ali. Accade così che in Sicilia, … Dedalo metterà in moto la macchina amministrativa per dotare i custodi delle proprie ali.
Reclutati alla Regione in modo disorganico e frammentario, senza vere e proprie selezioni né interventi formativi di base, i custodi svolgono le loro funzioni –importantissime – senza il sostegno di una chiara normativa di riferimento e con una non ben definita identità di ruolo. Eppure i custodi (tante volte precari o ex precari stabilizzati senza alcuna procedura concorsuale) sono il biglietto da visita che si mostra ai turisti. Il turista che si reca a visitare i nostri siti archeologici per primi incontra i custodi. Per qualsiasi necessità i turisti a chi si rivolgono? Ai custodi. Che, pertanto, perché possano offrire l’immagine migliore dell’isola, debbono sapersi relazionare col pubblico mostrando garbo, competenza, disponibilità. Vero è che nel DNA del siciliano vi è il senso dell’ospitalità –più spiccato che altrove-, ma è pure vero che non ci si può affidare a esso soltanto se si ha a cuore la sorte del nostro incommensurabile patrimonio archeologico senza prendersi cura della necessità di affinare la professionalità di chi opera nel campo rivelandosi di fatto lo sponsor delle antichità testimoni di secolari civiltà.
Il tema della formazione dei custodi riveste perciò un interesse particolare e strategico nella gestione del patrimonio archeologico. Tante volte le grandi questioni – e quella del “rapporto tra archeologia e società” lo è – sono meglio affrontate se si parte dal basso, occupandosi di problemi concreti apparentemente non “nobili”. Così come è vero che tante dottissime dissertazioni arricchiscono i convegni ma restano circoscritti a dibattiti tra studiosi che non investono la collettività, mentre lo sviscerare temi pratici, come quello della funzione dei custodi e della loro formazione, si riflette su un campo d’azione che vorremmo sempre più attento e adeguatamente attrezzato: quello della promozione turistica, del potenziamento della forza attrattiva del nostro patrimonio.
Accade così che in Sicilia, l’Assessorato alle Autonomie Locali e alla Funzione Pubblica della Regione ha promosso un’iniziativa formativa rivolta ai custodi e ai funzionari che si interfacciano con il pubblico in materia di beni culturali. Si tratta del corso “Cultura dell’accoglienza: il front office come porta di accesso al patrimonio culturale e all’offerta turistica”, un percorso formativo, articolato in più giornate, che ha puntato a rafforzare la cultura dell’accoglienza nei siti archeologici con l’ obiettivo di fornire gli strumenti generali per comprendere l’archeologia del territorio nella propria dimensione mediterranea. In tal modo è stato fornito il basic know-how delle principali testimonianze storico-archeologiche presenti nel territorio e nei relativi fondali sottomarini, nonchè degli strumenti culturali di base per garantire  un approccio "cosciente" necessario per un'efficiente attività di front office.
Tale percorso formativo ha illustrato, tramite laboratori interattivi, i beni archeologici, storico-artistici ed etno-antropologici che sono chiamati a sorvegliare, fornendogli insieme alle conoscenze di base anche le linee-guida in tema di tecniche di relazione e comunicazione al pubblico, di  informazione in lingua inglese, naturalmente limitandosi a quelle espressioni più ricorrenti che chi opera nel front office deve conoscere.
L’iniziativa, che ha ricevuto una Segnalazione d’Eccellenza al “Premio Basile” 2013 promosso dall’AIF (Associazione Italiana Formatori), non costa un euro alla Regione: i formatori sono tutti funzionari dell’amministrazione esperti di archeologia e di marketing turistico, eccellenze professionali nell’organico regionale che hanno offerto il loro expertise per il buon funzionamento dell’amministrazione al fine di costruire una vera e propria “porta di accesso” al patrimonio culturale e all’offerta turistica in termini dinamici, positivi ed efficaci.  Questo rappresenta certamente un esempio di come si possa operare per l’archeologia nel contesto di una crisi economica così difficile da superare.
Quale la mission dell’iniziativa formativa promossa della Regione?
Far acquisire ai custodi la consapevolezza dell’importanza del loro ruolo, di quanto siano  fortunati nell’essere destinati a fare un lavoro che ha come ufficio il parco di archeologico di Selinunte o della Neapolis a Siracusa, di quanto sia vero quanto ripeteva il principe Myskin nell “L'Idiota” di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”. E chissà quanti di essi, grazie a questa iniziativa, diranno quel che negli anni Settanta ripeteva un vecchio custode dei templi di Selinunte: “Dovessi rinascere tornerei a fare di nuovo l’archeologo”…
La missione della Regione Siciliana sta quindi proprio nell’attivazione della Service- Profit Chain ( il modello di Heskett,1997) volta a sviluppare una circolo virtuoso tra soddisfazione/ produttivita’ del personale e valore/ soddisfazione del fruitore finale, nella consapevolezza che il personale  di front office e’ fondamentale  per il vantaggio competitivo del fare cultura in quanto: e’ una parte essenziale del “catena” che produce e veicola ‘cultura’; identifica la qualità dei servizi; conferisce personalita’ all’offerta turistica, valorizza i beni culturali.
Tutto questo necessita di una opportuna formazione – sperimentata con successo grazie al corso “Cultura dell’accoglienza: il front office come porta di accesso al patrimonio culturale e all’offerta turistica” - perché gli  angeli custodi dell’archeologia, paladini della bellezza, abbiano le loro ali.
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Atti del Convegno Nazionale, Cavità di origine antropica, modalità di indagine, aspetti di catalogazione, analisi della pericolosità, monitoraggio e valorizzazione, Roma 1 dicembre 2017.
Dott.ssa Simona Sterpa, direttore degli scavi nella necropoli di Norchia, località Guado di sferracavallo (2014-attualità), Cultural Progect Manager per la progettazione e valorizzazione sostenibile del territorio.

Il lavoro costituisce il risultato conclusivo del progetto di Piano di Valorizzazione dei Beni Culturali della Regione Molise. Il Piano è stato impostato in diverse sezioni che permettono di illustrare approfonditamente le analisi, le elaborazioni e i risultati specifici degli ambiti disciplinari interessati dalla pianificazione in azioni di conservazione e valorizzazione integrata delle risorse culturali. I beni costituiscono quel “sistema” si cose che compongono il patrimonio di un popolo, sia sul piano culturale sia, per definizione stessa, su quello economico, anche se il valore che si considera non è esprimibile in termini strettamente monetari. Si trattadi un valore complesso sottoposto alla variabilità delle componenti che lo definiscono: oggetti d’arte, monumenti, musei, case, paesaggi, città, costumi, tradizioni, un insieme definito ma non chiuso, suscettibile di continui ampliamenti poiché esso è legato al territorio che lo ha prodotto e non può essere offerto come una entità data ma derivata. Tale patrimonio costituisce un elemento portante della nostra società poiché è parte essenziale dell’identità di ciascuno di noi, rappresenta la ricchezza di un popolo, di un paese, di una nazione, del singolo che riconosce in esso le sue radici, le sue  origini. Su di esso, sulla riscoperta della cultura locale in senso conservativo e in senso creativo che è stato impostato il piano, finalizzandolo alla conservazione e tutela del patrimonio locale ma anche alla valorizzazione della diversità che sono alla base delle identità dei nostri popoli.