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È un po’ che siamo silenti e i nostri 24 lettori (uno in meno del Manzoni, giusto per rispetto) potrebbero essersi chiesti dove fossimo finiti.

Siamo stati sotto traccia anche perché stavamo lavorando a qualcosa che consideriamo importante.

“Chi innova non può rimanere uguale a se stesso”, siamo soliti ripetere. E questa è una regola che prendiamo seriamente.

Subito dopo il lancio della piattaforma Startup Europe Partnership al World Economic Forum di Davos (nel lontano gennaio 2014, qui il link al post di annuncio) ci siamo chiesti quale fosse il passo successivo.

E, trascorsi quasi tre anni,  abbiamo capito che per avere un reale impatto è necessario fare un ulteriore salto di rilevanza e di scala.

 

Rilevanza

Se qualche anno fa lavorare con le startup era considerato dalle aziende qualcosa di nuovo, oggi è diventato prassi comune. Un nostro recente studio mostra come la quasi totalità delle principali aziende europee abbiano programmi che coinvolgono startup. Ma non basta. La stessa ricerca evidenzia come siano veramente poche le aziende che concretamente lavorano con le startup (dove per “concretamente” intendiamo accordi commerciali e partnership strategiche, non iniziative con finalità principalmente di marketing). In altre parole:

Sempre più aziende parlano di startup, ma poche ci lavorano concretamente.

Nella nostra esperienza di lavoro con alcune delle ultime abbiamo verificato come i risultati arrivino quando c’è un commitment serio dal vertice. Solo in questo modo lavorare con le startup diventa “everyday job” per l’organizzazione.

Per questo motivo abbiamo lavorato per aumentare la visibilità sul tema startup ai vertici delle aziende. I “SEP Europe’s Corporate Startup Stars Awards”, di cui abbiamo organizzato la seconda edizione lo scorso 18 dicembre a Brussels, sono un esempio al riguardo. Al di là dell’obiettivo di premiare e dare un giusto riconoscimento a chi sta facendo bene, è stata l’occasione per riunire per mezza giornata i vertici di 36 aziende e discutere circa priorità e linee di azione. Ai massimi livelli, che sono poi quelli che contano per fare succedere le cose.

Scala

Il lavoro fatto con i Matching Event di Startup Europe Partnership in questi tre anni ha permesso di “sporcarci le mani” e sperimentare vari format. Avere organizzato oltre 20 matching event internazionali, coinvolgendo oltre 500 startup e 50 aziende da tutta Europa, ci ha consentito di capire ne profondo cosa funzioni e soprattutto cosa non funzioni. Ma soprattutto abbiamo accumulato una quantità importante di dati sui reali tassi di successo nell’interazione tra imprese e startup – che si attestano tra il 2 e il 5% – e sui tempi richiesti per realizzarli – tra i 6 e i 18 mesi, mediamente.

I dati dicono che degli incontri tra startup e impresa meno di uno su venti si traduce in risultati.
E, quando succede, ci vuole oltre un anno per trovare un accordo.

Perciò, oltre a lavorare sulle “best practice” per produrre più risultati (qui una analisi), ci siamo resi conto che dovevamo aumentare i volumi. Di qui, il format rinnovato di Startup Europe Partnership per il 2018 e 2019 (lo abbiamo chiamato 2.0 per marcare il cambiamento) che, tra le altre cose, ruoterà intorno a momenti di aggregazione più ampi e intensi. 4 grandi Scaleup Summit durante i quali riunire, rigorosamente a porte chiuse, il meglio del mondo delle scaleup (le startup early stage non sono generalmente un buon match per le imprese), delle imprese e della finanza (circa 150 entità in tutto).

I Summit avranno due caratteristiche:

  • Saranno ospitati presso le grandi borse europee che sono l’altro grande anello mancante (i dati ci dicono che solo il 2% delle scaleup europee ha accesso al canale di borsa e che le grandi IPO avvengono oltre oceano).
  • Avranno dimensione internazionale, coinvolgendo scaleup, imprese e investitori da tutta Europa. Perché uno dei limiti principali di molte iniziative per startup è il loro carattere locale o nazionale, all’interno di un mondo molto più vasto.

La dimensione naturale del mondo delle startup è quella internazionale.
Iniziative di respiro locale non hanno molto senso.

Questo è quanto ci ha tenuto impegnati nell’ultimo periodo. Questo è quanto abbiamo annunciato a Brussels il 18 dicembre alla presenza del mondo delle imprese e della Commissione Europea. Alla fine i risultati – e solo quelli – ci diranno se stiamo procedendo nella giusta direzione.

La buona notizia per l’Italia è che il primo Summit sarà organizzato presso la Borsa Italiana il 15 e 16 marzo prossimi. Questo è il nostro piccolo regalo di inizio anno per il nostro Paese in cui continuiamo a credere, come dieci anni fa quando il ponte di Mind the Bridge ha visto la luce.

Alberto Onetti e Marco Marinucci

Al World Economic Forum di Davos, Jack Ma, il fondatore del colosso cinese Alibaba, ha dettato quella che è stata immediatamente battezzata la “Regola del 30“.

  • I prossimi 30 anni vedranno il pieno dispiegarsi della rivoluzione internet. Negli scorsi venti anni si sono create le tecnologie e i relativi campioni (eBay, Facebook, Alibaba, Google…). Nei 30 anni che verranno si vedranno le applicazioni di queste tecnologie.

 

Chi saranno i protagonisti nella costruzione di questo nuovo mondo?

  • Le persone che hanno oggi 30 anni (la generazione internet)
  • Le aziende che hanno meno di 30 dipendenti

 

Quindi i protagonisti dei prossimi 30 anni saranno persone e aziende che non si sono ancora affermate.

Messaggio chiaro e forte a chi pensa di essere arrivato o di essere al sicuro.

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Sono di ritorno dalla mia prima partecipazione al tanto celebrato World Economic Forum di Davos e provo a cimentarmi nella non semplice impresa di riordinare le idee.
La prima impressione che si ha all’arrivo a Davos è di essere circondati da un’atmosfera surreale. I poteri del mondo sono riuniti in una miriade di sale conferenze, sparse in altrettanto innumerevoli hotel e centri conferenze.
L’appena inaugurato Intercontinental Hotel (foto a lato), costruito, come molte altre strutture, per accogliere al meglio per una settimana all’anno i leader del pianeta, si erige nella parte nord del paese e, nella sua rotondità e colonne di fumo, ricorda una versione chic di un bunker di guerra.

Eppure, se non fosse per la presenza pervasiva di auto blu e telecamere e una sottile presenza dei servizi di sicurezza, Davos non si distinguerebbe dai tipici villaggi svizzeri, quieti ed eleganti allo stesso tempo.
Nessuno direbbe che dietro queste colonne di fumo siano riuniti i responsabili di buona parte delle fortune della maggioranza dei paesi del pianeta.
Sarà per inclinazione professionale ma la prima cosa che noto, guardando i programmi in agenda (tutti strettamente ad invito personale e con procedure complicate di check-in), è la centralità dei temi relativi all’innovazione e alla tecnologia.

Ne è testimonianza che, nel giorno di apertura dell’evento, storicamente dedicato a top economisti, prende la scena Mark Benioff  founder di Salesforce, l’impresa, con sede (guarda caso) a San Francisco, leader in software CRM e responsabile di aver coniato il termine SaaS (“software-as-a-service) .
Gli incontri che si svolgono contemporaneamente hanno più o meno tutti la struttura di un “workshop”: ospiti seduti informalmente in tavoli rotondi stile matrimonio, guidati a discutere su temi strategici, a seguito di brevi interventi “scalda-audience” preparati da leader della materia. A conclusione dell’incontro i moderatori della discussione, raccolgono gli input giunti dai vari gruppi-tavoli per poi redarre un documento, ad uso strettamente “interno”, visto che i workshop sono strettamente “off the record”. Spesso il “documento” prende le forme grafiche, come quello in figura…
Il tema di uno di questi incontri a cui ho il piacere di partecipare e’ l’imprenditorialita’ europea: ovvero come sviluppare e mantenere ecosistemi innovativi, fautori di benessere e posti di lavoro.
Il tema è particolarmente caldo. Se ne parla dentro e fuori del forum. Gli articoli come questo su TechCrunch (“Why Silicon Valley can’t find Europe“) o questo panel a DLD 14 fanno capire come il tema della competitività Europea (o mancanza di competitività Europea) sia in cima alle priorità dei policy makers.

Nello stesso giorno, il lancio dello Startup Europe Partnership, motivo principale della mia presenza al Forum, viene ripreso dalla stampa di mezza Europa (TC, The Next Web, IDG, Repubblica, etc.) come uno spunto che possa riattivare le acque melmose dell’innovazione made-in-EU.
All’interno dell’incontro, la discussione scorre fluida, a volte densa, a volte al limite dell’effimero, ma pur sempre enormemente stimolante.
Si discute in particolare del gap macroeconomico e culturale dei sistemi Europa verso gli Stati Uniti. Ironicamente (o strategicamente?) una grande parte dei partecipanti seppur di origini europee, sono residenti negli USA.
Il livello e la diversità dei partecipanti rimane strabiliante.

Al mio tavolo conto, tra gli altri, un cardinale irlandese, il CEO di Akamai, il presidente dell’Estonia, il numero 2 di Telefonica, un professore emerito di Harvard Business School, il CEO di Soundcloud e il responsabile Europa di una primaria società di consulenza.
La frase che risuona forte e chiara è: “Ci hanno insegnato a minimizzare i rischi. Dovremmo imparare, invece, a minimizzare i rimorsi”.

Come a dire, l’approccio al rischio è in buona parte funzione del nostro contesto socio-culturale e va ben oltre gli aspetti prettamente imprenditoriali.

Il presidente Estone si alza e racconta, in un inglese madrelingua, l’esperienza dell’Estonia, oggi un modello di esportazione di tecnologia e talento (un successo tra tutti, Skype), di semplificazione burocratica e apertura internazionale. Tra una considerazione erudita e una battuta, si lascia scappare:

“Per la costituzione di una nuova impresa, da noi oggi ci vogliono 15 minuti, quando in paesi come  l’Italia, per procedure della stessa complessità, ci vogliono ancora 15 mesi…”

Poi si risiede e ritorna a interagire con il mondo via Twitter (nota, lui personalmente, non uno scrittore-ombra).

Lasciamo stare il riferimento, evidentemente esagerato. Ma lascia pensare che, a livello internazionale, l’associazione tra Italia e burocrazia continua ad essere funesta.

Meditate gente…