Gruppo 63

Enrico Filippini e Edoardo Sanguineti si conobbero al primo convegno del Gruppo 63. Da quell'incontro nacque un rapporto duraturo di amicizia e di collaborazione tra i due intellettuali. Il saggio si propone di ricostruire, grazie a inediti materiali d'archivio,  il profondo legame che s'instaurò nella temperie della neoavanguaria tra il funzionario editoriale Filippini e il poeta ligure: dalla cura redazionale delle raccolte sanguinetiane pubblicate da Feltrinelli, alla collaborazione per la rivista Marcatrè, fino all'attenzione che Filippini mostrò per la ricezione critica dell'opera poetica di Sanguineti all'estero.

This article begins by noting a critical, if critically neglected truth about Giorgio Manganelli’s literary production: it is emphatically obscene. I then identify and analyse a pervasive tension between an avowal of a linguistic and rhetorical transparency developed in reference to reproductive organs, and an affirmation of illegibility. Studying ‘La letteratura come mafia’ (1968), ‘La letteratura come menzogna’ (1967), Hilarotragoedia (1964),and other writings that focus on reproductive organs and express both a frustration with cycles of tumescence and detumescence and a lurid horror feminae, this article isolates the rhetorical strategies that enable such an incongruous aesthetic union of the illegible and the obscene.

La corrispondenza inedita (1941-1961) tra Luciano Anceschi e Vittorio Bodini riguarda aspetti importanti della loro ricerca estetica e letteraria e più in generale della cultura poetica in Italia di fine Novecento. Il carteggio è una testimonianza della loro attività creativa e critica, e indica l'orizzonte estetico comune di una riflessione costante sulla poetica moderna, tra avanguardie e modernismo (Ermetismo), tradizione italiana ed europea (Barocco), nuova avanguardia e surrealismo.

The unpublished correspondence (1941-1961) between Luciano Anceschi and Vittorio Bodini concerns important aspects of their aesthetic and literary research and more in general of the poetic culture in Italy in the late twentieth century. The correspondence is a testimony of their creative and critical activity, and indicates the common aesthetic  horizon of a constant reflection about the modern poetics, between avant-garde and modernism (Hermeticism), the Italian tradition and the European one (Baroque), new avant-gardes and surrealism.

Il 27 aprile 1890 Anna Kuliscioff, personalità femminile di rilievo vissuta a cavallo tra XIX e XX secolo, donna dal forte temperamento e dall'acuta intelligenza, organizzò una conferenza sul "Monopolio dell'uomo", a Milano, fomentando con parole accese e al contempo pacate, l'emancipazione femminile. Alla fine dell'ottocento, così come nei primi anni del novecento, ci troviamo nel solco di un'Italia frigida e ben incappottata di fronte alle ventate di novità anti-tradizionaliste (mi riferisco alla sorgente dei movimenti femministi, rigogliosa in Francia già durante la rivoluzione francese) che la pungono appena, così da riservare una strada tortuosa ed impervia a cambiamenti sociali e di mentalità a grande scala. L'operato di personalità attive socialmente, culturalmente e umanamente, come la Kuliscioff, compagna ed amante di Filippo Turati, fu fondamentale; si trattò di uno tra i primi sampietrini levigati e fieri che avrebbero un giorno brillato alla luce del sole, sul ciglio di strade più libere e più faticose. Nel corso della storia della letteratura italiana, il contributo delle donne è stato per secoli ostacolato da convenzioni e strutture sociali definite ed austere, collocanti l'essere femminile inferiormente all'arte ed alla cultura stesse, pur essendo irrimediabilmente oggetto d'ispirazione del virile e preminente inchiostro maschile. Il novecento italiano, teatro d'una certa varietà letteraria, d'un frammentario ed originale panorama artistico e culturale, fu finalmente sensibile, seppure faticosamente, al femmineo ed insolito apporto letterario; appaiono donne di rilievo quali Sibilla Aleramo, Lalla Romano, Elsa Morante, Grazia Deledda, Dacia Maraini, Alda Merini e naturalmente, Natalia Ginzburg la cui opera ci apprestiamo qui ad analizzare, ancorandoci alla biografia della scrittrice e della sua famiglia. La famiglia Levi: una della tante famiglie dinamiche, vivaci, attive politicamente e culturalmente nella triste Italia delle opposizioni, dei contrasti sanguinolenti, insozzata da una febbrile inclinazione alla violenza e ai totalitarismi, dal delitto di Stato (nel 1924 fu assassinato dagli squadristi uno dei più fervidi oppositori del fascismo, Giacomo Matteotti); una delle tante famiglie segnate inequivocabilmente dalle vicende storiche a ridosso ed, in seguito, nel pieno del ventennio fascista; vittima indiretta di certe deliranti ideologie, fino al sopraggiungere dell'occupazione nazista che vediamo condire di amari picchi d' ansietà e terrore le pagine di "Lessico famigliare". In effetti, questo libro non si snoda soltanto in una vicenda strettamente privata, intima e familiare, seppure facciano ANALISI NARRATIVA "LESSICO FAMIGLIARE" DI NATALIA GINZBURG solitamente da sfondo ai racconti ed alle memorie, frutti maturi e sinceri, da cogliere senza esitazione, ambienti circoscritti, limitati dalle mura domestiche ed affettuose.

Che cosa sia il romanzo della neoavanguardia lo dice, per cominciare, il convegno del Gruppo 63 tenutosi a Palermo nel settembre 1965, allo scopo di discutere, scrittori e critici, di romanzo sperimentale. Allora si preferì un'etichetta che mettesse l'accento sui testi, già editi per una parte importante: Capriccio italiano di Edoardo Sanguineti, Fratelli d'Italia di Alberto Arbasino, Barcelona di Germano Lombardi, Lo sproloquio di Giancarlo Marmori (1963), L'oblò di Adriano Spatola e Hilarotragoedia di Giorgio Manganelli (1964). Una serie altrettanto importante era in lavorazione: L'orizzonte di Carla Vasio, Il grande angolo di Giulia Niccolai, Il serpente di Luigi Malerba, Tristano di Nanni Balestrini (1966); e sarebbero arrivati a breve Partita di Antonio Porta e La fi glia prodiga di Alice Ceresa, insieme al secondo romanzo di Sanguineti, Il Giuoco dell'Oca, e di Lombardi, La linea che si può vedere (1967). Una coda signifi cativa si registra nel biennio che conclude la vicenda neoavanguardistica nel suo complesso, parallelo all'esperienza della rivista "Quindici": escono L'arte della fuga di Giuseppe Pontiggia (che per la verità non partecipa ai convegni e lascia "il verri" nel 1961, quando gli autori intorno a Luciano Anceschi cominciano a concepirsi come avanguardia), Narcisso di Sebastiano Vassalli (cui nel 1970 seguirà Tempo di màssacro), e i nuovi lavori di Malerba (Salto mortale), Manganelli (Nuovo commento) e Arbasino (Super-Eliogabalo). Nel 1971 giungerà alle stampe anche Comiche di Gianni Celati: ma a quell'altezza Balestrini, con Vogliamo tutto, recuperando il romanzo a una dimensione epica capace di raccontare le lotte dell'operaio-massa, avrà avviato un'esplorazione solitaria che sembra mettere il punto all'intera stagione.

In uno dei saggi più citati per la definizione delle poetiche della nuova avanguardia, subito dopo aver ricordato come gli esperimenti poetici di Nanni Balestrini siano riconducibili ai procedimenti del collage, del montaggio e all'uso di algoritmi e varie pratiche combinatorie (un'ormai più che consolidata acquisizione critica), Edoardo Sanguineti avanzava -con la sua consueta verve provocatoria -un'obiezione «immediata e facilissima»: operazioni di quest'ordine, e cioè di questo disordine, di poesia per montaggio, visiva, elettronica, o tradizionalmente materializzata con neri inchiostri, ha senso una sola volta, la prima: esperimentata in un'occasione, essa finisce per assumere quel carattere, piuttosto fantascientifico che parascientifico, per il quale, nella mutevolezza delle combinazioni singole, nelle ripetute incarnazioni, nelle metempsicosi del processo costruttivo e del suo principio formale, si ritrova, proprio come avviene nella deduzione verificante, sempre la medesima legge. Una volta accettata e compresa l'infinita possibilità di essa, la replica diviene necessariamente inutile, priva di contenuto conoscitivo, ridotta a mera riprova del già noto e già accertato: l'infinita possibilità è la peggiore tra le cattive infinità. 1 Prima di considerare la problematica soluzione che lo stesso Sanguineti propone a questa "facilissima" obiezione, è importante notare come essa, per quanto facile, non sia per nulla innocua. Paradossalmente, infatti, la futilità della ripetizione è da sempre una delle argomentazioni principali anche di chi vorrebbe ridurre a sterile provocazione ogni gesto d'avanguardia, soprattutto quand'esso neghi -come nel caso del riuso di materiali preesistenti -il concetto di creazione individuale. Si consideri, ad esempio, la celebre analisi dei readymade di Duchamp proposta da Peter Bürger, uno dei più fermi sostenitori dell'impossibilità di una neoavanguardia:

La fine della seconda guerra mondiale produce uno sconquassamento del tessuto sociale, economico e politico, del quale non può non risentirne anche la letteratura. C'è infatti il bisogno di reagire ad una tabula rasa prodotta non soltanto, in termini reali, dai bombardamenti che hanno ridotto in macerie le città di tutta Europa, ma causata, anche in termini individuali, da quasi un decennio di guerra e brutalità appena trascorso. In prima battuta la risposta necessaria è stata la reazione impegnata del Neorealismo, lo smascheramento del silenzio inevitabile in una guerra così cruda e finora imposto dai regimi. A seguito della ripresa sociale, politica e soprattutto economica nel decennio successivo, c'è la possibilità oltre che il bisogno, da parte della "classe intellettuale" italiana di muoversi liberamente in un ampio, anche se talvolta intricato, sistema di forze tra intellettuali, movimenti culturali, editori, gruppi ed esperimenti letterari che creano una fitta rete di connessioni in Europa. Tutto questo viene infatti favorito, oltre che da una ripresa economica e quindi dalla maggiore possibilità di stampare e di pubblicare, anche dal mutamento che l'industria culturale subisce, avviando quella trasformazione per cui ogni libro sarà considerato più che un vezzo artistico, un prodotto di consumo.

Immagine di copertina: Andi Kacziba, Vìola project, Talee IV., 2015. Foto di Alessio Melloncelli L'editore resta a disposizione di tutti gli eventuali proprietari dei diritti sulle immagini riprodotte nel caso non si fosse riusciti a reperirli per chiedere detta au torizzazione. In caso di cortese segnalazione si, provvederà tempestivamente a porre rimedio a eventuali omissioni e/o errori di riferimenti relativi e, in caso di conclamata violazione dei diritti si provvederà alla rimozione di suddette immagini dalle successive ristampe. © 2019 -Copyright by Gruppo Editoriale Castel Negrino Proprietà letteraria e artistica riservata Riproduzione e traduzione anche parziali vietate Marchio del Gruppo Editoriale Castel Negrino Strada per Castel Negrino, 8 20886 Aicurzio (MB) info@virtuosa-

I padri di Amelia Rosselli sono molti, e quasi tutti rinnegati se non addirittura rimossi. Pier Paolo Pasolini, intanto, che attraverso un patrocinio critico ed editoriale di marca anti-avanguardistica complica il rapporto, che sarebbe stato altrimenti quasi naturale, con il Gruppo 63. Marcel Duchamp, poi, la cui rivoluzione estetica offre lo spunto cruciale per l’invenzione dello “spazio metrico”, del resto letteraria¬mente garantita dalle sperimentazioni e riflessioni sul verso dovute a Walt Whitman, Cesare Pavese e Charles Olson, tra gli altri. Infine William Shakespeare: alla sua opera l’io rosselliano attinge i fondamentali rispecchiamenti filiali con cui tentare di ricostruire la propria storia e la propria identità, compromesse da un’amnesia che contribuisce a fissare tanto l’affinità tra autore e soggetto quanto la loro irrimediabile separazione.
L’arte e la letteratura, più che essere sintomo abnorme, servono qui in effetti da strumento di ricerca esistenziale, di ricostruzione. In questa, per la brama di riconoscersi, il soggetto finisce col fabbricare una storia di cui è fulcro a tal segno da rendere instabili al pari di sé i riscontri del reale, scoprendosi quale funzione del linguaggio piuttosto che quale individuo.
Amelia Rosselli – parafrasando il Roland Barthes di quegli anni – nega così al lettore, definitivamente, la possibilità di vederla intrattenere con il suo libro il rapporto di antecedenza che un padre ha con il figlio, di considerarla insomma il passato di Variazioni belliche.

Famiglia, ma non troppo è il titolo di un articolo di giornale di Edoardo Sanguineti uscito su «Paese Sera» il 2 maggio 1974 in occasione del referendum abrogativo sul divorzio; prendendo le mosse dai dibattiti referendari, Sanguineti, con i modi ironici consueti alla sua scrittura giornalistica, inizia la sua critica alla propaganda per il divorzio con un breve bozzetto autobiografico in cui si dipinge come Marito fedele da anni venti di una degnissima metà, egli ha rispettato senza sforzi notabili quel pacchetto di impegni che spontaneamente, e laicamente, già contrasse dinnanzi all'autorità severa dello Stato, incarnata in un probo e garbato funzionario subalpino, financo adorno di fascia tricolore, coltivando inclinazioni di forte solidarietà affettiva verso la donna che benevolmente volle congiungere il proprio destino a quello, non brillante e non fastoso, di un grafomane bellettrista e di un docente stipendiato; padre felice di non scarsa prole (maschi 3, femmine 1), può raccogliersi ogni sera meditabondo, come molti mortali di questa cara patria, puntualmente rispondendo alle fascinose fanfare del Carosello, dinanzi al piccolo schermo, e orientare di poi, non senza un breve moto della mano, ora sull'uno e ora sull'altro canale, i propri occhi pazienti, sentendosi intanto circondato, fisicamente e moralmente, da una soffice coltrice di sentimenti ben temperati e di riposato intenerimento. L'Ulisse è una rivista peer reviewed e open access, a cadenza annuale.

The article aims to discuss the methods and the usefulness of the study of personal archives (of writers, intellectuals, artists) to reconstruct not only the social and cultural context of an historical period but also the "narrative of the self" that the creator of the archive, in part consciously and in part unconsciously, has built to testimony his own life experience. The personal archive can be read as an autobiography established through the documents of both the private and the public spheres. This approach is useful for understanding both the work of an author and his cultural discourse in its synchronic and diachronic development.
The example of the Archive of Enrico Filippini shows that by the comparison of the public image of the author and the image reflected by the archive it’s possible to better understand not only his works and the context in which they were written, but also the intellectual discourse underlying his multiple activities: writer, literary editor, Germanist, translator, journalist, cultural mediator. Enrico Filippini (Cevio 1932 – Roma 1988) is the Swiss Italian intellectual that in the years 1958-1988 has contributed the most to promote culture across national borders and languages between the northern and southern hemispheres. Emigrated to Milan in the 1950s, he worked in the 1960s as an editorial consultant for the publishing house Feltrinelli, translating and introducing in Italy German authors of the Group 47 (Uwe Johnson, the Nobel prize winner Günter Grass) and Swiss authors (Max Frisch, Friedrich Dürrenmatt) among many others. He should also be remembered for his important translations of philosophers Edmund Husserl, Walter Benjamin and the Swiss psychiatrist Ludwig Binswanger. In the early 1960s, his knowledge in the field of foreign literature of experimental area allowed him to lay the foundations of the Gruppo 63, which consisted in meetings of experimental writers inspired by the German Group 47; in this context he wrote his first experimental short stories and plays. In 1976 he began his career as a journalist as of the foundation of «la Repubblica». He wrote in twelve years about five hundred cultural articles, interviewing and debating with many of the most influential contemporary thinkers (Roland Barthes, Michel Foucault, Jürgen Habermas, Gianfranco Contini and many others).
The originality of my paper consist in highlighting the dynamics characterizing the eclectic activity of Enrico Filippini through a comprehensive study of his archives in order to reveal the author’s “narrative of self". Analysing the works and the creative process of the author (sketches, unpublished and unfinished work), studying his correspondence with other intellectuals (among the most important of the late twentieth century in Europe), considering the documents related to his editorial and journalistic work it’s possible to highlight new authorial aspects which characterized his entire cultural activity. For example, his creative laboratory is a work in progress where his life experiences are often recorded in memo form, without being reworked and fixed in a finished form in order to intentionally avoid the closure of experience. If the task of literary critics is to ensure the disclosure and the memory of an author, for example by publishing collection of short stories, novels, newspapers articles, in the case of Enrico Filippini is necessary, from a critical point of view, to consider and report his deep aversion to the closure of experience. Only then can we understand his fondness for experimental narrative during the 1960s and his propensity for journalistic activity and cultural mediation in later years. For these reasons it is useful to consider not only the published works of Enrico Filippini but also the “self-narrative” that emerges from the archive; the more fragmented his testimony appears to us, the richer it is because it allows us to understand the complexity of reality.
For its content and methodological discussion, the study may be of interest as well to researchers of other Humanities including areas such as other Literatures, Historiography, Archival science, Philosophy, Publishing History, History of translations, Modern European Intellectual History. The paper could also be interesting for the Comparative Literature Studies since the identification of the modus operandi of Enrico Filippini opens new paths of research, e.g. in order to better understand the similarities between his writing style and the one of Uwe Johnson, as well as the one of French writers of the nouveau roman.
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Lo studio degli archivi offre la possibilità di sondare il terreno fluido tra dimensione pubblica e privata delle carte, tra attività creativa e professionale di un autore, tra poetica del singolo e contesto culturale. I documenti dell'Archivio Enrico Filippini testimoniano una “narrazione di sé” che l'autore, in parte consapevolmente, ha costruito per testimoniare la sua esperienza di vita e che può essere letta come un’autobiografia da ricomporre. L'articolo intende fornire un'anticipazione dei risultati di uno studio complessivo delle carte, dal quale emerge il ritratto di uno degli intellettuali più notevoli della seconda metà del Novecento italiano.

Durante as décadas de 1950 e 1960, a Itália vive o período do chamado “boom econômico”, momento definido por Pier Paolo Pasolini como “mutação antropológica”. A partir de variações socioeconômicas, que estão intimamente ligadas ao modo de vida moderno, o campo cultural não pôde ficar imune e passou a ser ponderado em relação a sua produção e funcionalidade. Nesse sentido, a produção literária passa por questionamentos e é repensada com outros instrumentos e formas, em que o uso da língua e o modo de se relacionar com ela e com a nova realidade estabelecida ganham novas atribuições. É nesses anos que surge a experiência do Grupo 63: reunião de jovens críticos e literatos que, no início da década de 60, procurou romper com certo comodismo e conformismo nas produções artísticas e literárias. As discussões promovidas não refletiam uma postura estética homogênea, tampouco uma ideologia orgânica, proporcionando um amplo laboratório intelectual e se constituindo, ainda que por um breve período, como pedra de toque no panorama literário italiano. Sendo assim, o objetivo deste ensaio é repensar a complexa rede de relações que, no período em questão, envolve estética, ideologia e indústria cultural, incluindo nos vários níveis de debates posições até contrapostas de autores como Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Giorgio Manganelli e Giovanni Raboni. Dentro e fora do Grupo 63, portanto, mas sempre nas bordas dessa experiência.

La critica italiana inizia a interessarsi a Robbe-Grillet sul finire degli anni Cinquanta, anche se più alle sue teorie che alla sua opera. Gli infuocati anatemi contro la metafora e contro il romanzo «ben fatto» si impongono al centro della scena culturale, suscitando accese polemiche e altrettanto vivaci prese di posizione a suo favore. Attraverso un ampio ventaglio di articoli, saggi, convegni e interviste le varie “fazioni” coinvolte nello scontro creano e diffondono immagini molto diverse del medesimo autore: quella proposta dall’establishment non coincide con quella sostenuta dalla critica impegnata di sinistra; che, a sua volta, è in netto contrasto con le interpretazioni fenomenologiche di alcuni rappresentanti della neoavanguardia. Ognuno tenta, insomma, di ricondurlo entro una differente «sceneggiatura autoriale», giudicandolo in base alla propria concezione della letteratura. Robbe-Grillet, dal canto suo, si dimostra controparte attiva in questo dibattito, ribadendo in numerosi interventi l’inadeguatezza dell’etichetta di école du regard. Rifiutando le rigide griglie interpretative proposte dalla critica e adottando quella che R. M. Allemand definirà «la tecnica dell’anguilla» egli cercherà così di resistere, con alterne fortune, agli innumerevoli tentativi di canonizzazione.

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La critique italienne commence à s’intéresser à Robbe-Grillet vers la fin des années 50, mais d’abord à ses théories plutôt qu’à ses romans. Ses anathèmes incendiaires contre la métaphore et le roman «bien fait» engendrent de vives polémiques. À travers articles, actes de colloques, postfaces, interviews, les différents “partis” impliqués dans l’affrontement créent et diffusent des images très différentes du même auteur: l’image proposée par l’establishment ne coïncide pas nécessairement avec celle présentée par la critique engagée de gauche; laquelle, à son tour, contraste nettement avec les interprétations phénoménologiques de quelques représentant de la «neoavanguardia». Chacun cherche à le faire adhérer à un «scénario auctorial» différent, établi sur la base d’une idée très personnelle de la littérature. Robbe-Grillet, de son côté, ne se prive pas d’entrer activement dans le débat, le plus souvent de façon indirecte, rejetant notamment l’étiquette école du regard. Il cherche finalement à esquiver les grilles interprétatives rigides que la critique ne cesse de lui proposer, adoptant ce que R. M. Allemand définira «la technique de l’anguille». Au fond, il regimbe devant toute tentative de cristalliser en un dogme les principes de sa poétique.

«Storie avventurose di libri necessari» è una traversata del Novecento italiano. Racconta, in undici saggi, le fortune e gli infortuni, i segreti e gli intrighi delle opere che hanno dato forma a un secolo di letteratura. Racconta le avventure dei libri, ma anche di chi li ha scritti: e per riuscire a farlo ricorre a carte d’archivio, a documenti inediti, a lettere private, a scritti dimenticati o nascosti dagli autori stessi.
Si salpa l’ancora ricostruendo le tracce lasciate nell’opera dei nostri scrittori dal più bel libro di avventure di tutti i tempi, «L’isola del tesoro». E si prosegue, proprio come negli agguati pirateschi di Stevenson, andando a scoprire perché il saluto «Ohi, Peppì!» equivalesse per Domenico Rea a un’offesa grave, e perché mai Corrado Alvaro dedicasse tanti pensieri all’eros di Mussolini. Vedremo quali nessi invisibili sussistano tra Beckett & Borges (e tra Fruttero & Lucentini che li hanno introdotti qui in Italia), e che cosa Fortini e Vittorini videro sbarcare a Bocca di Magra insieme con Marguerite Duras. Ma, come nella vita corsara, saremo spesso chiamati a combattere: e da Calvino, da Fenoglio, da Meneghello, impareremo ad apprezzare le differenze di stile che ci sono tra una pistola, un mortaio e un fucile mitragliatore per chi sta rischiando la vita nella guerra civile. O magari ci limiteremo a litigare pur amandoci attraverso il tempo e lo spazio, come Sciascia fece con Stendhal, o Parise con Darwin.
Eppure, la lotta senza tregue sarà sempre quella che uno scrittore combatte contro se stesso: e per raccontarla dovremo estrarre alla luce la virgola ebraica intessuta nella scrittura di Bassani, dovremo estorcere a Mario Soldati – proprio mentre si sta godendo un gelato – il suo passato di critico d’arte, dovremo interrogare Primo Levi e Giorgio Manganelli finché non confessino le vere ragioni della loro contesa sullo scrivere chiaro e lo scrivere oscuro.

Agli inizi degli anni Sessanta, mentre un’agguerrita schiera di neoavanguardisti ingaggiava una furiosa battaglia con lo spettro dell’establishment, uno sparuto drappello di romanzieri rimaneva in disparte rispetto al resto della truppa.
I loro nomi? Oreste del Buono, Raffaele La Capria, Emilio Tadini, Giuliano Gramigna. Esploratori di una zona di confine, finora poco conosciuta, tra lo sperimentalismo italiano e il Nouveau Roman, sarebbero passati alla storia come la “linea Butor”.
La retroguardia dell’avanguardia racconta attraverso i loro romanzi e le loro storie tutto ciò che avreste voluto sapere sul Gruppo 63, ma non avete mai osato chiedere.

Buddhas don't practice nonsense» Bodhidharma, VI sec. I. Prendere sul serio la poesia comica Nulla esige una lettura seria più di un testo che non ha senso. O meglio, nulla esige una lettura seria più di un testo che sembra non avere senso. O, ancora meglio, nulla esige una lettura seria più di un testo nonsense -tecnicismo letterario da non ridurre alla tradu-* Ringrazio Giulia Niccolai, Milli Graffi, Maurizio Spatola, Daniele Papotti e la Fondazione Toti Scialoja per i materiali bibliografici oggi introvabili che mi hanno permesso di consultare. Un ringraziamento particolare alla professoressa Biancamaria Frabotta, che mi ha iniziato al nonsense, e al professor Claudio Ciociola, che mi ha incoraggiato a parlarne in contesti molto seri. Per le poesie, l'edizione usata è la seguente: G. Niccolai, Poemi & Oggetti, a cura di M. Graffi, Le Lettere, Firenze 2012. Per le citazioni dei testi (in gran parte precedentemente raccolti in G. Niccolai, Harry's Bar e altre poesie, Feltrinelli, Milano 1981 e in Ead., Frisbees (poesie da lanciare), Campanotto, Udine 1994) userò le seguenti sigle, riferite a singole plaquettes o a sezioni del libro, seguite dal numero di pagina nel'ed. cit.: HD per Humpty Dumpty (prima ed.

Un tòpos della critica vuole che la pubblicazione di 'Vogliamo tutto', nel 1971, costituisca una svolta rispetto alla precedente opera di Balestrini, avviatasi dieci anni prima con i Novissimi e con l’esperimento informatico di 'Tape Mark I'. Un lavoro iperformalista, ludico, anticomunicativo e disimpegnato avrebbe lasciato il campo a una letteratura più affabile e fruibile, assunti i caratteri dell’epica, dell’oralità e dell’impegno.
Riconoscendo alla scrittura balestriniana un orizzonte estetico più ampio è forse possibile un’ipotesi alternativa. Si tratta di mettere a frutto gli studi sul rapporto tra una civiltà – i suoi modi di percezione e di pensiero – e la tecnologia del linguaggio che gli è propria, e in particolare l’idea secondo cui l’uomo tipografico conosce con l’elettronica un’oralità di ritorno, ricalcando un ben noto rovesciamento dialettico.
In effetti Balestrini attraversa gli anni Sessanta agendo lungo tre direttrici e mostrando – anche grazie a modelli quali Döblin o Brecht, e a interlocutori più o meno impliciti quali Pasolini, Vittorini o Calvino – come l’impegno possa scaturire dall’esasperazione del formalismo, l’oralità da una scrittura massimamente tipografica, e infine l’epica dalle tecnologie più avanzate del tardo capitalismo. Un’azione segnata dalla forza utopica e dalla tensione rivoluzionaria su cui Vogliamo tutto, con l’intera parabola che vi ha condotto, si regge.

Pagliarani, Lacan, La ragazza Carla: una psicoanalisi letteraria di Andrea Donaera I poeti, che non sanno quel che dicono, è ben noto, dicono però sempre le cose prima degli altri. (JACQUES LACAN, Il Seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud) Si comincia col solletico e si finisce arsi con la benzina. Si tratta pur sempre di godimento. (JACQUES LACAN, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi) A pezzi o interi, non si continua a vivere ugualmente scissi? (ALDO BUSI, Seminario sulla gioventù)

Le abitudini si fanno con la pelle così tutti ce l'hanno se hanno pelle Elio Pagliarani, La ragazza Carla Dopo averci abituati ai suoi innumerevoli travestimenti, sono certo che Sanguineti consentirà che ci si provi, per una volta, a "travestirlo" con le fattezze un po' grottesche di Marsia, il satiro suonatore di siringa che osò sfidare Apollo. D'altra parte è lo stesso Sanguineti ad autorizzare l'operazione, quando, in Reisebilder 29, si dipinge come un «osceno fauno di mezza / età», e tracciando un proprio autoritratto in Glosse 5 lo completa con «zampe zufolesche». Anche nelle splendide versioni pascoliane di L'ultima passeggiata, il poeta si definisce «faunesco furbesco grottesco», senza contare l'autorappresentazione «zufolante» di Sopra il proprio ritratto e le «sperticatissime siringhe» che costituiscono uno dei numerosi optional del poeta funambolo di Cataletto 12. Per un poeta che ha voluto fare dell'avanguardia un'arte da museo, ponendosi come capofila dell'esperienza della nuova avanguardia italiana, Marsia -"colui che combatte" -pare un travestimento ideale, soprattutto se si considera la suggestione che proviene dalla scelta di un titolo come Marsia e Apollo per la raccolta del Gian Maria Annovi Scuoiamenti: Sanguineti, Marsia (e Marx) dalle avanguardie storiche arriva fino alla neoavanguardia italiana: anche Sanguineti, proprio come il Marsia della lettura del mito approntata da Adriana Cavarero, scegliendo la phonè rappresentata dal flauto doppio «evoca un mondo in cui predominano la sfera acustica e le espressioni della corporeità» 6 ; si pensi solo ad Alfabeto apocalittico o alla «vocalità corporea» e all'«antimusica» 7 di Laborintus II, scritto per Luciano Berio, ma anche alla frantumazione sintattica e fatica delle raccolte successive che rendono artaudianamente «il ritmo rozzo ed epilettico del nostro tempo» 8 . Se Apollo rappresenta la melodia e la compostezza, Marsia la disarmonia 9 e l'anarchia, se l'uno determina con la misura del piede il metro e il ritmo, l'altro deforma entrambi con il suo zoccolo caprino, proprio come avviene con «l'inquietudine metrica» 10 di Sanguineti e sodali, a partire dalla versificazione atonale e gestuale di Laborintus, articolata per cola. Per comprendere la pulsione al sovvertimento metrico di Sanguineti basta rivolgersi a uno dei suoi travestimenti più riusciti, Commedia dell'Inferno, in cui il poeta si propone letteralmente di «devastare gli endecasillabi danteschi» 11 . Proprio Dante colloca il mito di Marsia all'inizio del Paradiso, invocando Apollo perchè penetri in lui infondendogli la sua ispirazione: «Entra nel petto mio, e spira tue / sì come quando Marsia traesti / della vagina delle membra sue» (Paradiso, I,(19)(20)(21). Non stupisce che, accingendosi alle «sublimi squisitezze astratto teologali del Paradiso» 12 , Dante scelga di invocare Apollo, ma è interessante che nel farlo si rifaccia al mito di rovesciamento di Marsia, con cui si identifica corporalmente, proprio perché il passaggio dalla commedia al sacrato poema necessita di un sacrificio della corporeità precedente, violento come il lasciarsi scuoiare da Apollo. Pare che anche Dante, dopo le bassezze del parlato infernale e lo stile medio purgatoriale, senta l'esigenza di rivoltare come un guanto il proprio linguaggio 13

A partire dall'esperienza del Gruppo 63, l'evoluzione della poetica di Nanni Balestrini è avvenuta in parallelo alle trasformazioni del tessuto semiotico e mediale della cultura contemporanea. La complessa elaborazione di uno dei suoi romanzi, Tristano, pubblicato nella sua prima versione nel 1966, può risultare da questo punto di vista paradigmatica, soprattutto alla luce del suo più recente sviluppo, il film Tristanoil (2012). Nella "Nota dell'Autore" che introduce la seconda versione di Tristano, pubblicata nel 2007, Balestrini stabilisce una precisa genealogia mediale del suo romanzo in "Tape Mark I", l'esperimento poetico realizzato nel 1961 sfruttando la potenzialità combinatoria di un computer IBM 7070, con risultati considerati immediatamente pioneristici a livello internazionale, tanto da essere incluso, nel 1968, nella mostra Cybernetic Serendipity, curata da Jasia Reichardt all'Institute of Contemporary Art di Londra 1 . Ideato seguen-1-Il contributo di Balestrini allo sviluppo di quella che viene oggi designata con l'espressione arte digitale è sottolineato in numerosi studi internazionali. Si vedano, ad esempio, Hannah Higgins (a cura di), Mainframe Experimentalism: Early Computing and the Foun -

Non, Thérèse, non, il n'est point de Dieu, la nature se suffit à elle-même; elle n'a nullement besoin d'un auteur, cet auteur supposé n'est qu'une décomposition de ses propres forces. F. De Sade, Justine ou les malheurs de la vertu [1791] È difficile, considerando il paradosso dei suoi décollages allo stesso tempo informali e intitolati a un soggetto preciso, impedire che affiori alle labbra il nouveau réalisme di Rotella e Villeglé per parlare di certa felicissima produzione visuale di Costa dagli anni Ottanta in giù 1 . La carta come medium, come segno autosufficiente nei * -Tutti i manufatti citati sono visionabili in forma digitalizzata sul sito della "Biblioteca Digitale Reggiana" <http://digilib.netribe.it/bdr01>, archivio digitale a cura della Biblio teca Panizzi di Reggio Emilia. 1 -Tra quelle fin qui censite nei cataloghi, le prime opere autonome ascrivibili alla tecnica iniziata da Rotella negli anni Sessanta risalgono al 1983, ma come vedremo Costa aveva già usato precedentemente il décollage in almeno due libri d'artista incollando brani di carta colorati su fogli bianchi variamente rilegati. Esperimenti simili (carta su carta, su faesite e su legno) continueranno per tutto il decennio fino alla scomparsa dell'autore, impegnato an cora nel 1991 in décollages come Le ante (quattro ante d'armadio con carta e oggetti) e ibridi con brani di grafica a china.

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Le vicende che legano Enrico Filippini alla casa editrice Feltrinelli e alla nascita del Gruppo 63 sono al centro di un'ampia indagine, condotta su documenti d’archivio, che chiarisce i rapporti tra la neoavanguardia e l'industria culturale in anni decisivi (1954-1969) per l’apertura della cultura italiana a un orizzonte internazionale.

Il volume traccia un ritratto a tutto tondo di Enrico Filippini (filosofo, letterato editore, traduttore della letteratura tedesca, scrittore neoavanguardista, giornalista e critico militante) mettendo in luce il legame tra le varie attività e il suo impegno etico.

Dalla Milano degli anni Cinquanta, che vide Enrico Filippini protagonista, insieme a Enzo Paci, della riscoperta della fenomenologia e della traduzione di Husserl, all’aggiornamento della cultura italiana che impegnò Filippini negli anni Sessanta all’interno della Feltrinelli.

La mediazione transnazionale di Enrico Filippini fu fondamentale tanto per la fondazione del Gruppo 63 quanto per la promozione all’estero delle opere di Edoardo Sanguineti (Capriccio italiano e Triperuno).

Il concetto di ecfrasi dev’essere necessariamente ripensato a seguito di alcune modificazioni tecnologiche, in particolare determinate dal medium fotografico, che ha alterato le modalità dello sguardo e, di conseguenza, la restituzione letteraria dell’oggetto artistico. La descrizione poetica diventa estremamente dettagliata, assumendo uno stile che può essere paragonato a quello dell’iperrealismo americano. Questi temi verranno indagati attraverso una campionatura di testi scelti nella produzione senile di Sanguineti, dove l’aspetto mimetico dell’ecfrasi viene portato alle estreme conseguenze, in quella che il poeta stesso ha definito un’«iperbolica fedeltà» alla fonte artistica.


http://www.arabeschi.it/lecfrasi-ai-tempi-del-medium-fotografico-tra-iperrealismo-e-mimesi-paradossale/


Some technical innovations, mostly related to the medium of photography, have changed the way we observe reality and therefore the literary description of artworks, that is, the practice of ekphrasis. In this paper I will argue that the very definition of ekphrasis should be reassessed, acknowledging the impact of these technical innovations. In particular, poetic descriptions of artworks became more and more detailed, getting closer to what is called ‘American hyperrealism’. Selected poems by Sanguineti will be the main focus of our analysis. These poems allow to appraise Sanguineti’s claim that ekphrasis fully unfold sits mimetic power when it follows from a ‘hyperbolic accuracy’ to the artistic object of the poetic description.

By analyzing the most visual poems by Giulia Niccolai (namely the concrete ones in Humpty Dumpty and the meta-typographical ones in Poema & Oggetto), this article shows that the author’s experimental method throughout the 1970s coincided with an exploration of her own subaltern condition as a woman within the patriarchal context of Italy’s Neo-Avant-Garde. Rather than a process towards the reclaiming of her own authorial voice—as it has been described by previous scholarships—the self-marginalization of the ‘Mulino di Bazzano’ creative phase is interpreted as an original and ironic way to smash the patriarchy from a proudly lateral position. Manganelli’s interpretation of Niccolai as a “Sherezade” (as well as her own identification with Desdemona) is put into question through the poet’s own meta-literary comments in the early 1980s; and her intention to undermine phallogocentrism is retraced to its roots in the very opening of her first book of poems. Her writing by proxy, her borrowed languages, and her voiceless cut-up experiments (conducted both on texts by others and on actual objects) are read as feminist gestures.