Capitolo occhiali da vista.
Nella mia famiglia siamo tutti un po' "ciecati", chi più (io) chi meno, e tutti portiamo gli occhiali.
La procedura che abbiamo sempre seguito in Italia prevedeva le fasi visita oculistica privata-ottico-occhiali-fatture in dichiarazione per scaricare il 19% della spesa sostenuta. (https://www.glance24.com/it/news/54/occhiali-da-vista-sono-mutuabili)
Una volta ho prenotato per i miei figli, allora bambini, un controllo in ospedale con l'impegnativa rossa del medico di base: ho pagato un ticket ma non ricordo l'importo e ho aspettato mi pare circa 6 mesi, ma tanto non era niente di che, perciò non ha avuto alcuna importanza.
E' possibile ottenere la fornitura gratuita degli occhiali da vista seguendo una diversa procedura, che ora vi descrivo.
Il paziente, munito di certificato di disabilità, si reca da un oftalmologo dipendente o convenzionato col ssn che gli prescrive gli ausili (giuro, si chiamano così) adatti alla sua disabilità utilizzando il modulo prestampato predisposto dall'Ufficio Protesi della ASL di competenza. Con prescrizione e certificato di disabilità si reca dall'ottico (non mi è chiaro se dev'essere convenzionato oppure uno qualunque perchè ho trovato informazioni discordanti in rete, ma mettiamo pure che vada bene l'ottico sotto casa...) che, una volta provveduto a realizzare gli occhiali, attesta che quegli occhiali sono destinati ad essere utilizzati da quel determinato paziente e compila una specie di dichiarazione di conformità dell'occhiale alla prescrizione dell'oculista. A questo punto l'ASL richiede il collaudo degli occhiali all'oculista che ha redatto la richiesta originale, dopo di che l'ASL pagherà gli occhiali.
(http://vistafragile.it/ausili-nomenclatore-sanita/) (https://www.disabiliforum.com/forum/44557-prescrizi-ni-occhiali.html)
Dall'altra parte del mondo invece...
I miei ragazzi, soprattutto Matilde, si lamentavano di non vedere più bene con gli occhiali vecchi, così domenica scorsa sono entrata in un negozio di ottica e ho fissato per giovedì due appuntamenti per i controlli. Appuntamento alle 12:45 per Tommy e 13:05 per Mati. Indovinate a che ora è entrato Tommy? Esatto: alle 12:45 sono venuti a chiamarci. Bella visita: controllo del fondo dell'occhio e della pressione intraoculare, poi una macchina che non ricordo di aver mai visto, poi i ragazzi sono stati "consegnati" ad un altro optometrista che ha fatto un po' di anamnesi, ha guardate le vecchie prescrizioni e ha somministrato il solito test delle letterine... tempo complessivo circa una mezz'oretta. Poi siamo stati affidati ad un terzo personaggio che ha aiutato Matilde nella scelta della nuova montatura. Tommy ha voluto conservare i suoi vecchi.
Alla fine di tutto l'ultimo personaggio mi ha chiesto se intendevo pagare subito oppure al ritiro degli occhiali, e mi ha preparato il conto:
Due controlli
Un paio di occhiali completo di lenti e montatura
Lenti nuove sulla montatura vecchia
Totale: £ 35 (circa 40 €)
Nessun certificato, nessuna burocrazia, nessuna attesa.
Al mio sguardo stupito, il solerte ottico mi ha spiegato che la visita e le lenti sono gratuite perchè le paga l'NHS (la nostra ASL), la montatura, invece, è coperta solo fino a 50 £ perciò dobbiamo pagare la differenza.
E' giusto così, mi ha spiegato il mio insegnante di inglese, nessuno compra gli occhiali da vista perchè ne ha voglia!
La società che non viene illuminata dai pensatori, finisce ingannata dai ciarlatani - de Condorcet
26 febbraio 2018
24 febbraio 2018
Uguale, no?
In Inghilterra, chi occupa una casa paga una tassa che si chiama Council Tax: copre la nostra ICI/IMU, la TARI, la TASI, e il passo carraio (dimentico qualcosa? Se non dimentico niente siamo già in vantaggio per 4 tasse a una). Come in Italia, dipende dalle caratteristiche della casa, essenzialmente dimensione e collocazione.
Dopo un paio di settimane dal nostro arrivo nella prima casa, abbiamo ricevuto la comunicazione per il pagamento, con la descrizione delle modalità e le possibili rateazioni. Avendo un contratto di 6 mesi, abbiamo optato per il pagamento in due rate. A fine gennaio abbiamo traslocato e, come per la prima casa, a distanza di pochi giorni abbiamo ricevuto non una ma due comunicazioni: la prima riguardava la tassa sulla nuova casa, la seconda, invece, ci informava che sulla vecchia casa avevamo maturato un credito di 287 Pounds e ci chiedevano cosa volevamo farne: richiedere il rimborso oppure trasferire il credito su un altro "conto".
Abbiamo deciso per il rimborso, così, per vedere come funziona.
Così mio marito ha telefonato al numero indicato, ha comunicato la nostra decisione e ha trasmesso l'iban del conto corrente.
E, 5 giorni dopo la telefonata, abbiamo ricevuto il bonifico.
Dopo un paio di settimane dal nostro arrivo nella prima casa, abbiamo ricevuto la comunicazione per il pagamento, con la descrizione delle modalità e le possibili rateazioni. Avendo un contratto di 6 mesi, abbiamo optato per il pagamento in due rate. A fine gennaio abbiamo traslocato e, come per la prima casa, a distanza di pochi giorni abbiamo ricevuto non una ma due comunicazioni: la prima riguardava la tassa sulla nuova casa, la seconda, invece, ci informava che sulla vecchia casa avevamo maturato un credito di 287 Pounds e ci chiedevano cosa volevamo farne: richiedere il rimborso oppure trasferire il credito su un altro "conto".
Abbiamo deciso per il rimborso, così, per vedere come funziona.
Così mio marito ha telefonato al numero indicato, ha comunicato la nostra decisione e ha trasmesso l'iban del conto corrente.
E, 5 giorni dopo la telefonata, abbiamo ricevuto il bonifico.
18 febbraio 2018
13 febbraio 2018
Vi va di leggere?
Ho appena finito di leggere "Un amore" di Dino Buzzati e vorrei condividere un paio di riflessioni "a caldo".
La prima riguarda il nome della protagonista. La giovane prostituta, della quale vengono talvolta esaltate l'ingenuità e l'intima purezza e altre invece l'infedeltà e la totale mancanza di sincerità, la giovane prostituta, dicevo, si chiama Adelaide, abbreviato in Laide (o, meglio, "la" Laide: siamo pur sempre a Milano!). Può Buzzati non aver notato l'assonanza con "laido", può davvero essere un caso se il nome della protagonista richiama alla mente sconcezza e volgarità?
Altra riflessione riguarda lo stile. Passa talvolta dalla terza alla prima persona e viceversa, quando all'io narrante si sostituisce il protagonista e il racconto dei fatti si trasforma in un fluire di pensieri, di riflessioni sulla sua condizione che si mutano poi in fantasticherie dolorose e, da lì, in sogni dai quali svegliarsi (ma si era poi davvero addormentato?) è difficile. Certo è strano, in un mondo letterario che ha analizzato nel dettaglio tutte le pieghe del dolore femminile per un amore non corrisposto, leggere nell'animo di un uomo e vedere che il patimento è lo stesso: l'attesa di una telefonata, il sospetto del tradimento, l'ostinata negazione delle menzogne... ma è significativo che l'oggetto dell'amore non corrisposto sia una prostituta, una donna che non può permettersi di amare e che un uomo per bene non può amare (sicuramente non secondo le convenzione degli anni '60, ma anche adesso la situazione non è molto diversa!). La conversazione con "la" Piera, alla fine del libro, esplicita le considerazioni in merito all'ipocrisia di Dorigo ma, a mio parere, non aggiunge niente. O forse non aggiunge niente oggi: magari 60 anni fa la società non si sentiva ipocrita nel considerare le prostitute "utili" ma non "lecite".
Fra i pochi protagonisti spicca Milano: ha una dolcezza particolare leggere i nomi delle strade e vederle per come io le ricordo.
Chiudo con una brevissima citazione: quasi alla fine si legge che "...Accanto al letto il telefono sta,..." muto, come la terra, percossa e attonita, di manzoniana memoria...
Da leggere.
La prima riguarda il nome della protagonista. La giovane prostituta, della quale vengono talvolta esaltate l'ingenuità e l'intima purezza e altre invece l'infedeltà e la totale mancanza di sincerità, la giovane prostituta, dicevo, si chiama Adelaide, abbreviato in Laide (o, meglio, "la" Laide: siamo pur sempre a Milano!). Può Buzzati non aver notato l'assonanza con "laido", può davvero essere un caso se il nome della protagonista richiama alla mente sconcezza e volgarità?
Altra riflessione riguarda lo stile. Passa talvolta dalla terza alla prima persona e viceversa, quando all'io narrante si sostituisce il protagonista e il racconto dei fatti si trasforma in un fluire di pensieri, di riflessioni sulla sua condizione che si mutano poi in fantasticherie dolorose e, da lì, in sogni dai quali svegliarsi (ma si era poi davvero addormentato?) è difficile. Certo è strano, in un mondo letterario che ha analizzato nel dettaglio tutte le pieghe del dolore femminile per un amore non corrisposto, leggere nell'animo di un uomo e vedere che il patimento è lo stesso: l'attesa di una telefonata, il sospetto del tradimento, l'ostinata negazione delle menzogne... ma è significativo che l'oggetto dell'amore non corrisposto sia una prostituta, una donna che non può permettersi di amare e che un uomo per bene non può amare (sicuramente non secondo le convenzione degli anni '60, ma anche adesso la situazione non è molto diversa!). La conversazione con "la" Piera, alla fine del libro, esplicita le considerazioni in merito all'ipocrisia di Dorigo ma, a mio parere, non aggiunge niente. O forse non aggiunge niente oggi: magari 60 anni fa la società non si sentiva ipocrita nel considerare le prostitute "utili" ma non "lecite".
Fra i pochi protagonisti spicca Milano: ha una dolcezza particolare leggere i nomi delle strade e vederle per come io le ricordo.
Chiudo con una brevissima citazione: quasi alla fine si legge che "...Accanto al letto il telefono sta,..." muto, come la terra, percossa e attonita, di manzoniana memoria...
Da leggere.
09 febbraio 2018
Homesickness
Cosa ti manca in realtà quando ti manca qualcuno? Di cosa senti la necessità? Un pranzo veloce sotto l'ufficio, un caffè. Confidenze. Risate.
Confidenza.
Oggi l'ho chiamato: mi aveva mandato un messaggio ("Ciao, come stai?" laconico, su whatsapp) ma, digitando la risposta mi si congelava la mano (nevicava, faceva freddo) perciò ho pensato che un colpo di telefono sarebbe stato meglio.
Ed ecco il gelo vero, peggio della neve, dovuto alla confidenza svanita, al non sapere più cosa dirsi, al venir meno di quella quotidianità necessaria a mantenere vitale un rapporto.
Tutto bene, sto andando in stazione, che sorpresa la telefonata, sì oggi fa freddo, qui è tutto grigio, non smette di piovere... va be' ciao, devo andare che mi aspettano.
Cosa mi manca, veramente, delle persone che mi mancano?
Manca la compagnia abituale di certi particolari momenti: il caffè della mattina con qualcuno, il confronto dopo le riunioni a scuola o dopo le pagelle con qualcun'altro, la cena dopo le vacanze con altri ancora, un film, un incontro in biblioteca... ogni evento richiede la sua particolare compagnia, impossibile scambiarle perchè non sono intercambiabili.
Ma, ed è questo che non viene capito, quando torno e cerco di riprendere le vecchie abitudini, non ci riesco: faccio cose che mi appaiono estranee con persone che stento a riconoscere, non seguo le conversazioni, non capisco le battute.
E non parlo.
E se parlo è peggio perchè ho sempre l'impressione che quello che ho da dire, le esperienze nuove che sto vivendo, le scoperte che ho fatto, in realtà non interessino molto a nessuno dei miei interlocutori. Talvolta ricavo dalle loro risposte l'impressione che nulla di ciò che racconto sia davvero nuovo, come quando mio papà racconta del problema alla fognatura della casa al mare: storia vecchia, mai risolta e che mai si risolverà, quindi perchè parlarne?
...faccio cose che mi appaiono estranee con persone che stento a riconoscere, non seguo le conversazioni, non capisco le battute... Loro sono andati avanti sul loro binario io, tornando, li cerco dove li ho lasciati e non li trovo.
(Probabilmente, se anche li trovassi nell'esatta posizione nella quale li ho lasciati non li riconoscerei perchè ho cambiato le lenti agli occhiali...)
Confidenza.
Oggi l'ho chiamato: mi aveva mandato un messaggio ("Ciao, come stai?" laconico, su whatsapp) ma, digitando la risposta mi si congelava la mano (nevicava, faceva freddo) perciò ho pensato che un colpo di telefono sarebbe stato meglio.
Ed ecco il gelo vero, peggio della neve, dovuto alla confidenza svanita, al non sapere più cosa dirsi, al venir meno di quella quotidianità necessaria a mantenere vitale un rapporto.
Tutto bene, sto andando in stazione, che sorpresa la telefonata, sì oggi fa freddo, qui è tutto grigio, non smette di piovere... va be' ciao, devo andare che mi aspettano.
Cosa mi manca, veramente, delle persone che mi mancano?
Manca la compagnia abituale di certi particolari momenti: il caffè della mattina con qualcuno, il confronto dopo le riunioni a scuola o dopo le pagelle con qualcun'altro, la cena dopo le vacanze con altri ancora, un film, un incontro in biblioteca... ogni evento richiede la sua particolare compagnia, impossibile scambiarle perchè non sono intercambiabili.
Ma, ed è questo che non viene capito, quando torno e cerco di riprendere le vecchie abitudini, non ci riesco: faccio cose che mi appaiono estranee con persone che stento a riconoscere, non seguo le conversazioni, non capisco le battute.
E non parlo.
E se parlo è peggio perchè ho sempre l'impressione che quello che ho da dire, le esperienze nuove che sto vivendo, le scoperte che ho fatto, in realtà non interessino molto a nessuno dei miei interlocutori. Talvolta ricavo dalle loro risposte l'impressione che nulla di ciò che racconto sia davvero nuovo, come quando mio papà racconta del problema alla fognatura della casa al mare: storia vecchia, mai risolta e che mai si risolverà, quindi perchè parlarne?
...faccio cose che mi appaiono estranee con persone che stento a riconoscere, non seguo le conversazioni, non capisco le battute... Loro sono andati avanti sul loro binario io, tornando, li cerco dove li ho lasciati e non li trovo.
(Probabilmente, se anche li trovassi nell'esatta posizione nella quale li ho lasciati non li riconoscerei perchè ho cambiato le lenti agli occhiali...)
01 febbraio 2018
Diversi punti di vista
Ieri giornata di incontri genitori insegnanti alla scuola inglese, Dopo aver sperimentato i vari sistemi di colloquio in Italia e in Francia, credo di aver maturato una certa esperienza :-)
Italia
Gli insegnanti hanno un'ora di ricevimento alla settimana più o meno durante tutto l'anno scolastico. In alcune scuole occorre prendere appuntamento (via diario o sito) in altre no: si arriva a scuola e ci si mette in coda, chiedendo chi è l'ultimo per la prof Taldeitali. Il colloquio è un vis à vis genitore-insegnante, dura in generale pochi minuti (ma a volte anche una mezz'ora!)durante i quali vengono rivisti i voti, si parla un po' del comportamento e delle relazioni fra lo studente e gli altri attori della scuola (compagni e insegnanti), a volte l'insegnate dà qualche suggerimento. Solo in rari casi (una delle maestre alle elementari, la prof di matematica delle medie, forse quello di ginnastica, sempre alle medie...) ho avuto la sensazione che il prof avesse davvero a cuore la crescita e la formazione dei miei figli. L'attenzione sempre focalizzata su quali aspetti lo studente deve migliorare, su cosa sbaglia, non sempre si indica come migliorare. Quando il rendimento non lascia spazio a critiche di questo genere, a volte si trova qualcosa che non va nel comportamento o nelle relazioni.
Francia
Nel corso dell'anno la scuola organizza due mezze giornate di ricevimento, dopo il normale orario scolastico. Ci si prenota presentandosi a scuola nel giorno e all'ora indicata e, sgomitando peggio che ad una svendita di Jimmy Choo, si scrive il nome dello studente a penna su un foglio di carta, foglio che poi verrà appiccicato con lo scotch allo stipite della porta dell'aula, il giorno del ricevimento. Ogni colloquio dovrebbe durare non più di 10 minuti, ma ovviamente la durata effettiva dipende da quanto l'insegnante ha da dire o chiacchierare. Ho visto genitori cancellare il nome di chi si è prenotato prima e sostituire il proprio per saltare la fila. Ho visto insegnanti accumulare un'ora di ritardo sulla tabella di marcia, ho visto insegnanti non presentarsi ai colloqui e non avvisare. Ho sostenuto colloqui con insegnanti che non si erano accorti che mia figlia è italiana e all'epoca non parlava francese. Il colloquio era organizzato come quelli italiani: solo con i genitori, voti da una parte e foto dello studente dall'altra...d'altra parte, con 30 alunni per classe che cambiano tutti gli anni (ogni anno le classi vengono rimescolate e i professori ruotano sulle varie sezioni), più di tanto non si può pretendere! Non so se tutte le scuole di Francia siano organizzate così, la nostra lo era ed era un gran casino.
Inghilterra
Come in Francia, gli insegnanti sono a disposizione per due giornate all'anno, durante le quali le lezioni sono sospese. Ci si prenota via sito, con finestre di 10' ciascuna, tempo che deve necessariamente tenere in considerazione la necessità di cambiare edificio per spostarsi da un'aula all'altra. Il colloquio avviene alla presenza dello studente interessato e fa parte dell'attività didattica (le lezioni sono sospese, ma la giornata è considerata una giornata di scuola quanto le altre). All'ingresso, ogni studente riceve una cartelletta contenente: le note circa le modalità e la finalità del colloquio, un modulo sul quale annotare gli obiettivi raggiunti, quelli da raggiungere, e come fare per raggiungerli, un questionario da compilare congiuntamente studente e genitore in merito ai vari aspetti della scuola (didattica, senso di sicurezza, mensa, compiti, ...). Durante il colloquio, il professore si rivolge essenzialmente allo studente, spesso chiedendogli cosa pensa dei suoi risultati e del suo impegno, poi interviene raccontando quali sono i suoi punti di forze, in che cosa ha stupito positivamente il professore o il team di insegnanti, poi fornisce materiali (un semplice schema di risposta ad un particolare tipo di domanda, un plico di fotocopie con esercizi personalizzati o brani di testi da leggere o studiare, in un caso un intero libro col programma dell'anno scorso) e dà informazioni sugli spazi orari di approfondimento o recupero messi a disposizione dalla scuola (tipo gli orari di ricevimento delle nostre università): un'ora di matematica per gli year 10 tutti i lunedì, due spazi per inglese year 11 il giovedì, uno di poesia, uno per le domande aperte, eccetera. Poi, ma solo alla fine, si rivolge a noi genitori sottolineando per cosa dobbiamo essere orgogliosi: per un prof è la capacità che hanno dimostrato di superare le barriere linguistiche, per un altro è stata la straordinaria progressione dei voti, per qualcuno la puntualità nella consegna dei compiti, per altri l'ordine rigoroso dei quaderni o la spontaneità con la quale fanno domande se non capiscono. C'è sempre qualcosa di buono da dire, qualcosa per cui festeggiare. Anche quando i voti non sono sempre eccellenti.
Quando un prof dà ad uno studente una serie di 20 domande dicendo: puoi venire da me anche tutte le settimane, portandomi una domanda alla volta così che io te la corregga, non è un gentile invito, è praticamente un compito aggiuntivo dato perchè evidentemente nella sua materia lo studente è un po' scarsino. Ma così facendo non mette l'accento sul fatto che è scarsino, indica una strada percorribile, che non fa paura e che porta al risultato. Oltre al fatto che mette a disposizione il suo tempo accanto al tempo richiesto allo studente per colmare le sue lacune.
Non male...
Italia
Gli insegnanti hanno un'ora di ricevimento alla settimana più o meno durante tutto l'anno scolastico. In alcune scuole occorre prendere appuntamento (via diario o sito) in altre no: si arriva a scuola e ci si mette in coda, chiedendo chi è l'ultimo per la prof Taldeitali. Il colloquio è un vis à vis genitore-insegnante, dura in generale pochi minuti (ma a volte anche una mezz'ora!)durante i quali vengono rivisti i voti, si parla un po' del comportamento e delle relazioni fra lo studente e gli altri attori della scuola (compagni e insegnanti), a volte l'insegnate dà qualche suggerimento. Solo in rari casi (una delle maestre alle elementari, la prof di matematica delle medie, forse quello di ginnastica, sempre alle medie...) ho avuto la sensazione che il prof avesse davvero a cuore la crescita e la formazione dei miei figli. L'attenzione sempre focalizzata su quali aspetti lo studente deve migliorare, su cosa sbaglia, non sempre si indica come migliorare. Quando il rendimento non lascia spazio a critiche di questo genere, a volte si trova qualcosa che non va nel comportamento o nelle relazioni.
Francia
Nel corso dell'anno la scuola organizza due mezze giornate di ricevimento, dopo il normale orario scolastico. Ci si prenota presentandosi a scuola nel giorno e all'ora indicata e, sgomitando peggio che ad una svendita di Jimmy Choo, si scrive il nome dello studente a penna su un foglio di carta, foglio che poi verrà appiccicato con lo scotch allo stipite della porta dell'aula, il giorno del ricevimento. Ogni colloquio dovrebbe durare non più di 10 minuti, ma ovviamente la durata effettiva dipende da quanto l'insegnante ha da dire o chiacchierare. Ho visto genitori cancellare il nome di chi si è prenotato prima e sostituire il proprio per saltare la fila. Ho visto insegnanti accumulare un'ora di ritardo sulla tabella di marcia, ho visto insegnanti non presentarsi ai colloqui e non avvisare. Ho sostenuto colloqui con insegnanti che non si erano accorti che mia figlia è italiana e all'epoca non parlava francese. Il colloquio era organizzato come quelli italiani: solo con i genitori, voti da una parte e foto dello studente dall'altra...d'altra parte, con 30 alunni per classe che cambiano tutti gli anni (ogni anno le classi vengono rimescolate e i professori ruotano sulle varie sezioni), più di tanto non si può pretendere! Non so se tutte le scuole di Francia siano organizzate così, la nostra lo era ed era un gran casino.
Inghilterra
Come in Francia, gli insegnanti sono a disposizione per due giornate all'anno, durante le quali le lezioni sono sospese. Ci si prenota via sito, con finestre di 10' ciascuna, tempo che deve necessariamente tenere in considerazione la necessità di cambiare edificio per spostarsi da un'aula all'altra. Il colloquio avviene alla presenza dello studente interessato e fa parte dell'attività didattica (le lezioni sono sospese, ma la giornata è considerata una giornata di scuola quanto le altre). All'ingresso, ogni studente riceve una cartelletta contenente: le note circa le modalità e la finalità del colloquio, un modulo sul quale annotare gli obiettivi raggiunti, quelli da raggiungere, e come fare per raggiungerli, un questionario da compilare congiuntamente studente e genitore in merito ai vari aspetti della scuola (didattica, senso di sicurezza, mensa, compiti, ...). Durante il colloquio, il professore si rivolge essenzialmente allo studente, spesso chiedendogli cosa pensa dei suoi risultati e del suo impegno, poi interviene raccontando quali sono i suoi punti di forze, in che cosa ha stupito positivamente il professore o il team di insegnanti, poi fornisce materiali (un semplice schema di risposta ad un particolare tipo di domanda, un plico di fotocopie con esercizi personalizzati o brani di testi da leggere o studiare, in un caso un intero libro col programma dell'anno scorso) e dà informazioni sugli spazi orari di approfondimento o recupero messi a disposizione dalla scuola (tipo gli orari di ricevimento delle nostre università): un'ora di matematica per gli year 10 tutti i lunedì, due spazi per inglese year 11 il giovedì, uno di poesia, uno per le domande aperte, eccetera. Poi, ma solo alla fine, si rivolge a noi genitori sottolineando per cosa dobbiamo essere orgogliosi: per un prof è la capacità che hanno dimostrato di superare le barriere linguistiche, per un altro è stata la straordinaria progressione dei voti, per qualcuno la puntualità nella consegna dei compiti, per altri l'ordine rigoroso dei quaderni o la spontaneità con la quale fanno domande se non capiscono. C'è sempre qualcosa di buono da dire, qualcosa per cui festeggiare. Anche quando i voti non sono sempre eccellenti.
Quando un prof dà ad uno studente una serie di 20 domande dicendo: puoi venire da me anche tutte le settimane, portandomi una domanda alla volta così che io te la corregga, non è un gentile invito, è praticamente un compito aggiuntivo dato perchè evidentemente nella sua materia lo studente è un po' scarsino. Ma così facendo non mette l'accento sul fatto che è scarsino, indica una strada percorribile, che non fa paura e che porta al risultato. Oltre al fatto che mette a disposizione il suo tempo accanto al tempo richiesto allo studente per colmare le sue lacune.
Non male...
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