Il nuovo film di Piero Messina e l’esordio alla regia di Margherita Vicario rappresenteranno l’Italia all’evento al via il prossimo 15 febbraio. Con loro i grandi nomi da festival come quello di Bruno Dumont, Olivier Assayas, Abderrahmane Sissako e Hong Sangsoo.
di Tommaso Tocci
C’è di nuovo aria di cambiamento alla Berlinale, il primo dei grandi festival europei dell’anno, che nella capitale tedesca a febbraio metterà in scena l’edizione numero settantaquattro. Sarà l’ultima di Carlo Chatrian alla guida, con Tricia Tuttle già annunciata come nuova direttrice dall’anno prossimo. Un mandato di cinque anni che sulla carta è stato completo, eppure nella pratica sarebbe potuto essere diverso e più lungo; evidentemente era destino, per un periodo iniziato con la pandemia e concluso con interferenze politico-organizzative e un delicatissimo momento per tutta l’industria culturale in Germania a seguito della guerra a Gaza.
Debitamente introdotto da proclami di tolleranza e appelli alla solidarietà, il programma della nuova edizione vede ancora una volta un concorso coraggioso e mai ovvio nelle scelte. 20 film si contenderanno l’Orso d’oro (assegnato da una giuria presieduta dall’attrice Lupita Nyong’o), tra cui due con presenze italiane. La prima è il ritorno di Piero Messina che dopo il bell’esordio con L’attesa (in concorso a Venezia nel 2015) torna con il futuro distopico di Another End, in cui dirige Gael García Bernal e Renate Reinsve. E poi il primo film da regista di Margherita Vicario, già attrice e cantante che in Gloria! racconta la scena musicale della Venezia di fine settecento dalla prospettiva delle giovani donne a cui era a malapena concesso di partecipare.
Ad aprire il festival ci sarà un volto che porta con sé il prestigio della stagione dei premi, quel Cillian Murphy che è sulla cresta dell’onda grazie a Oppenheimer. In Small Things Like These torna nella sua Irlanda, seppur in una coproduzione con il Belgio (belga è anche il regista Tim Mielants che ha diretto Murphy nel successo televisivo Peaky Blinders), per una storia d’epoca torbida sugli abusi della Chiesa cattolica nelle Case Magdalene, vicenda che già aveva ispirato Peter Mullan per Magdalene.
Non mancano poi i grandi autori contemporanei, da Bruno Dumont, che con L’empire fa una parodia sci-fi di guerre stellari con gli alieni che sbarcano nel nord della Francia, a Olivier Assayas con la “Covid-comedy” Hors du temps con Vincent Macaigne. A dieci anni di distanza dal successo di Timbuktu ci sarà una nuova opera anche per Abderrahmane Sissako con Black Tea. E poi la solita, confortante presenza di Hong Sangsoo con A Traveler’s Needs (che lo riunisce a Isabelle Huppert), e l’atteso secondo film di Mati Diop, il documentario Dahomey, dopo lo stupefacente Atlantics del 2019.
Dopo l’Orso d’argento alla sceneggiatura per Museo (guarda la video recensione), sarà curioso vedere il messicano Alonso Ruizpalacios alle prese con una storia “alla The Bear” in La cocina, su un ristorante di New York, così come l’opera visionaria e ricca di sorprese su un ippopotamo in Pepe, potenziale film culto del festival. Da seguire anche lo svedese Gustav Möller che firmò The Guilty (guarda la video recensione) nel 2018 e ora torna con Vogter, interpretato da una star come Sidse Babett Knudsen. Da notare poi come l’unico film statunitense in concorso sia una scelta non scontata come A Different Man di Aaron Schimberg, con Sebastian Stan.
In una sezione Encounters che sembra più radicale del solito, da tenere d’occhio il nuovo di Matías Piñeiro Tú me abrasas, l’esordio alla regia della scrittrice francese Christine Angot con Une famille, e l’intrigante mix culturale tra Brasile e Cina di Dormir de olhos abertos a firma di Nele Wohlatz.
Spiccano nella sezione Panorama il ritorno di Bruce LaBruce con The visitor, che rilegge il Pasolini di Teorema, il nuovo e atteso film di André Téchiné Les gens d’à côté, con un cast notevolissimo composto da Isabelle Huppert, Hafsia Herzi e Nahuel Pérez Biscayart, e una delle voci più interessanti del cinema norvegese, Dag Johan Haugerud, già autore dell’ottimo Barn e che con Sex presenta la prima parte di un ambizioso progetto di trilogia che arriverà in rapida successione.
Ci sarà anche un Orso d’oro alla carriera per Martin Scorsese, un tributo a Edgar Reitz, e una sezione Berlinale Special che tra gli americani include direttamente dal Sundance Love Lies Bleeding di Rose Glass, tra le proposte più interessanti della scena indipendente di quest’anno, e Adam Sandler che torna “drammatico” nei panni di un astronauta in Spaceman. Oltre a loro si vedranno le presenze di Atom Egoyan con Seven Veils, Abel Ferrara con Turn in the wound, e il maestro Tsai Ming-liang con Wu suo zhu.