Viaggiatori stranieri in Italia

Based on some literary extracts (autobiographical prose and poetry) of the Valencian writer Josep Piera, the relationship
between the experience of the journey and the writing that comes along as a result of it is analyzed. Three key concepts
are discussed : the journey, the Mediterranean and literature. As we will see, the Mediterranean is understood here as a
close and familiar world : a mythical, historical, cultural and vital geographical space. The places visited (Greece, Naples,
Sicily, etc.) interact and produce a dialogue with the geographical space and the notion of human time.

Brindisi Raccontata da poeti, scienziati, artisti, statisti, professionisti, giornalisti, militari e uomini di mare, è una sorta d’immagine d’insieme che tende a descrivere la città non secondo il modulo della vecchia e aulica storiografia, quanto piuttosto di una città evidenziata nei suoi scorci culturali e nelle sue proposte, colta, dai personaggi che ne formano le pagine, quasi in movimento, sempre viva, appassionata e consapevole della grande storia pregressa e dell’impegnativo cammino da fare.
In realtà, Perri ripercorre una strada aperta nel 1909 da don Pasquale Camassa che, leggendo le targhette itinerarie di Brindisi, dette alle stampe Brindisini Illustri, un’opera rimasta immortale, perché l’Autore descrisse con passione vari personaggi che seppero egregiamente operare col senno o con la mano.
Urbanistica, letteratura, testimonianze storico-artistiche che d’impatto appaiono al visitatore, fanno denotare materiali eterogenei, frammenti di civiltà ancora visibili, lacerti di memorie a volte prive di continuum spazio-temporale.
I viaggiatori annotano e memorizzano, interessati (forse incantati), la chiave interpretativa di tale apparente discontinuità e comprendono che è tutta nel legame che attraversa i referenti ideali delle comunità che hanno convissuto pacificamente a Brindisi, una vita complessivamente segnata dalla tolleranza, che ha consentito di evidenziarla come un’area in cui da sempre si vive una cultura della reciproca comprensione. - Antonio Caputo

Il volume ha come tema centrale l’uso che è stato fatto, nel corso dei secoli, delle antichità della Calabria ai fini della costruzione di una identità regionale. Partendo dall’epoca romana si cerca di fare luce sulla percezione che, per due millenni, gli abitanti della Calabria hanno avuto di se stessi e sull’immagine che ne hanno rimandato all’esterno. In estrema sintesi si potrebbe dire che la calabresità, l’identità culturale dei calabresi è stata rappresentata, fino a tutto l’Ottocento ed oltre, dai topoi letterari della tenacia, della sobrietà e dell’onore. Essi hanno costituito l’ossatura di un mito arcaico, di un’identità in parte orgogliosamente cercata, ma, soprattutto, inconsciamente subita dalla cultura nazionale ed europea che, a partire dal XVI secolo, aveva, sì, un atteggiamento d’attenzione, ma in fondo godeva di un sottile divertimento, rispetto a questa cultura “altra”. Il brigantaggio e la povertà, endemica come le malattie, avevano contribuito -in parte grazie anche all’auto-esaltazione letteraria di alcuni valori che l’arretratezza portava con sé- a cristallizzare nell’immaginario culturale europeo questa idea della Calabria e dei calabresi che, del resto, poco o nulla hanno fatto per scrollarsela di dosso.
L’identità culturale dei calabresi non è che, così come ancora si configura dopo tanti secoli, un insieme di invenzioni, perlopiù basate su un uso disinvolto delle antichità, che si ritiene sia necessario seppellire per sempre perché falso e dannoso.

The perception of antique progressively changes in Calabria along the 18th and 19th centuries, when the antiquarian studies were abandoned, and the intention to safeguard monuments spread. A prime example of this gradual rediscovery of the so-called “ruins” is Scolacium, where H. Swiburne, J.H. Riedesel, C.T. Ramage and other travellers of the Grand Tour not only caught sight of significant “vestige(s) of ancient remains”, but were also attracted by the picturesque nature and landscape. D.-V. Denon alone (1778) recognises the Roman theatre. The antiques of Scolacium are described for the first time in the 19th century by L. Grimaldi, an erudite local researcher. Simultaneously, the Bourbonic government of Naples intervenes to protect the Norman church at Roccelletta di Borgia, by issuing two administrative acts (1844 and 1854). After the Unification of Italy, the story of Scolacium was still narrated with rhetoric language and no originality. The cultural climate radically changes at the end of the 19th century, thanks to G. Fiorelli and F. Lenormant, whose new interpretation of the archaeological landscape of Scolacium anticipates the prompt protection measures developed by P. Orsi. In the 1910 indeed, the latter acquires, on behalf of the Italian State, the arm of a bronze statue, that was previously part of a private collection.

1. «Non c'è città senza mercato e senza strade: esse si nutrono di movimento. 2 » Questa affermazione di Fernand Braudel, all'apparenza banale, pone l'accento su un problema storico di grande rilevanza: quello del rapporto fra strade e città attraverso la lunghissima storia del popolamento dell'ecumene. Analizzando il caso italiano all'interno della sua vastissima opera sull'età di Filippo II, lo stesso Braudel osserva che «naturalmente la carta delle città coincide, nell'insieme e nei particolari, con la carta stradale. L'asse che passando per Bari va da Taranto ad Ancona e per Bologna, Modena e

I dipinti sono stari riprodotti con Ia cortese attoizazzione del SignorJoël Girardi in occasione della Mosca organizzatadalla Galleria Accademia Fine Arts di Monaco nei mesi di giugro-luglio zoo7. 'C.Gor.ooNr, MémoiresdeGoWoni,pourserviràl'histoiredesavie,etàcelledesonthéâtre: précédes d'une notîce sttrLa comidie ittliefiie du sei<ième siècle, et sur GoÂoni, r, par M. Moreau, Paris, Ponthieu , 1822, p. 4 Oè* êd., Paris, Veuve Duchesne, y8z, Evoll'). <STUDI VENEZIANI> . LXI ' 2O1O ' <Arrivando direttamente da Padova, i viaggiatori raggiungevano Fusina in un piccolo battello chiamato burchiello. Da Mestre, il tragherto conduceva i nostri autori dalla fermata di canal Salso fino al canale della Giudecca. Altre città come chioggia, vicino al Lido, o Malamocco, permeftevano ai viaggiatori di godere dello spettacolo àela ciaà dal mare e di entrare poi in laguna fno all'ultima sosta della Riva degli Schiavoni, in prossimità di piazza san Marco> (4. cosurrcn, viagi e turkmo d vene{a dnl cinquecento al Novecetto, yenezia,Eùzioru <I Sette>, g9o,p.8).

Intervento presentato al Seminario "Attraverso la Storia" organizzato dalla Società Italiana per la Storia dell'Età Moderna (SISEM) a Bologna nei giorni 24-26 novembre 2016.
Si prendono in esame alcune memorie di viaggio dei pochi viaggiatori passati per i Presìdi di Toscana nel XVIII secolo. Queste descrizioni e informazioni che i diari di viaggio ci concedono possono quindi essere confrontate e incrociate con i documenti di archivio e restituirci così un quadro esaustivo dei luoghi presi in esame.
I Presìdi di Toscana erano un territorio di proprietà personale del re di Napoli a partire dalla loro riconquista nel 1734, nell'ambito della guerra di successione polacca, e restarono tali fino al 1796, anno in cui vennero inglobati nel demanio del regno. Quanto, dunque, questo territorio era "napoletano" agli occhi dei viaggiatori? Può essere considerato una "porta" del regno, seppur lontana e figurata?

The study contains an anthology of passages in translation devoted to the town of Viterbo and the surrounding area known by the name of Tuscia.
The passages are drawn from the works of six British Seventeenth Century travellers: Gilbert Burnet, John Clenche, Andrew Balfour, John Ray, John Raymond and Richard Lassels.
It is well known to Hodoeporics scholars that, as Rome was by far the travellers’ most important and longed for destination, Viterbo and the little towns and villages of the then, as well as now, depressed Tuscia region were too near to the Eternal City for them to be of real interest.
Moreover, the homogeneity of content characteristic of most hodoeporic texts, and some of those examined are no exception, contributes to stress the general lack of attention towards this area shown by early modern travellers.
While emphasizing the above concepts, the study also highlights how a closer analysis of the works may help modern readers to discover, or rediscover and appreciate through the authors’ outlook, the basically unspoilt and too often disregarded beauty of the places described.

È noto che dal Medioevo fino alla seconda metà del Settecento lo Stato russo ebbe numerosi contatti culturali ed economici prevalentemente con gli Stati della penisola italiana settentrionale e centrale. Il Mezzogiorno, invece, e il Regno di Napoli in particolare, non cadde nella sfera degli interessi russi in Italia ino al XVIII secolo per la sua posizione geograica e la mancanza di obiettivi politici comuni. Tuttavia, i russi ebbero l’opportunità di approfondire la loro scarsa conoscenza della celebrata bellezza della Campania sotto il regno di Caterina II (1729-1796), quando nel 1777 l’Impero russo stabilì relazioni diplomatiche con il Regno di Napoli. Da quel momento in poi, i contatti politici e, soprattutto, culturali tra i due paesi cominciarono a rafforzarsi. Napoli diventò una meta quasi obbligatoria per i viaggiatori russi del Grand Tour, tra i quali troviamo i rappresentanti più illuminati del cosiddetto “secolo d’oro” della cultura russa ottocentesca. La maggior parte di questi viaggiatori ci ha lasciato delle preziose testimonianze del suo soggiorno napoletano, tra cui importanti dipinti, curiosi diari, opere letterarie e acuti saggi. Il presente articolo mira a ricostruire la storia dei primi contatti dei viaggiatori russi con il Regno di Napoli dalla seconda metà del XVIII secolo e ino all’instaurazione nel secolo successivo di rapporti sempre più stretti, soprattutto in campo artistico, quando i viaggi in Campania divennero motivo di formazione pluriennale per molti giovani talenti.

From the Middle Ages up to the second half of the 18th century, Russia had numerous cultural and economic contacts mainly with the central-north Italian peninsula states. Due to its geographical position and lack of common political goals, Southern Italy, and the Kingdom of Naples in particular, did not fall into the sphere of Russian interests until that period. In 1777, with the establishment of diplomatic relations with the Kingdom of Naples, the Russians had the opportunity to deepen the little knowledge they had of the celebrated beauty of Campania under the reign of Catherine II (1729-1796). From that moment on, political and, above all, cultural contacts between the two countries began to strengthen. Naples became an almost obligatory destination for many Russian travelers, among which we find the most enlightened representatives of the so-called “Golden Age” of Russian culture. Most of
them left us precious testimonies of their Neapolitan stay in form of numerous enchanting canvases, curious diaries as well as acute essays. This study aims to reconstruct the history of the first contacts of Russian travellers with Naples from the second half of the 18th century up to the establishment of closer cultural relations, when a tour in Campania became a sort of internship experience for many young talents.

O. SERGI PIRRO', “La Madonna del Muro”. Piccola storia di un’immagine mariana nella cattedrale di Catanzaro: il ritrovamento, il ricordo di F. Lenormant, la cappella, in «Obiettivo Calabria», 4, 2017, pp. 48 - 51.
Rivista bimestrale della Camera di Commercio di Catanzaro.

Autunno in Italia di Ilias Venezis, pubblicato nel 1949, è un libro di viaggio, come lo stesso autore avverte nel sottotitolo. È il viaggio che lo scrittore greco compì in Italia nel 1948, da poco conclusa la seconda guerra mondiale. Non si tratta però di semplice resoconto, com’è nella più generale letteratura odeporica, fatto cioè di annotazioni, appunti e riflessioni, per così dire, giornalistiche, di un viaggiatore più o meno disinteressato. Autunno in Italia è tutto questo, e altro. È il viaggio dell’anima e della memoria. Il viaggio, emblematico, compiuto dall’uomo e dall’intellettuale greco nel Paese dell’invasore, quando la ferita era ancora viva e dolorante. È il viaggio imposto dal bisogno struggente di verificare - al di là dell’immaginazione e del pur esigente filtro della letteratura, dell’arte, della cultura e della tradizione - taluni luoghi d’elezione privilegiati d’Italia, luoghi del mito e luoghi…della sventura. Così Autunno in Italia si rivela approdo della coscienza, traguardo di catarsi.


Traduttore Diego D'Oria

Il discorso sui viaggiatori di Sardegna non può dirsi esaurito: il ricorso a un'analisi che tenga conto di un approccio multidisciplinare - nella fattispecie delle relazioni che intercorrono tra testo scritto e immagine - nelle opere illustrate apre possibili nuovo scenari di ricerca. Se Cagliari, in quanto capitale, ottiene di diritto un ruolo di rilievo nell'economia della narrazione, lo stesso non può dirsi della parte grafica: a partire da questa constatazione, una posizione discriminante assumono le vedute della città, che spesso non si limitano a descrivere fedelmente quanto il viaggiatore ha avuto modo di osservare ma creano nell'immaginario del lettore nuove possibili fascinazioni - e proprio a partire da un'interazione significante con il testo scritto.

La guida Itinerari Italiae realizzata nel 1600 da Franz Schott in Anversa è stata una fortunata pubblicazione che ha visto la sua riedizione per oltre 150 anni. Fu compilata in tre libri in occasione del Giubileo di quell’anno in lingua latina e a seguito di alcuni viaggi compiuti in Italia da Schott sul finire del Cinquecento. Le numerose edizioni che si susseguirono a cura di editori italiani presentano tutte una serie di incisioni raffiguranti città e territori a illustrazione delle descrizioni. Queste ultime, più volte rinnovate e ampliate, fanno riferimento a testi contemporanei e ai classici latini e greci, mentre il corredo iconografico fu spesso modificato, attingendo da opere prevalentemente del Cinquecento. Il saggio si sofferma sulla collocazione culturale dell’opera e, in modo particolare, sul corpus illustrativo delle prime edizioni.

Il saggio parla dell’imponente Albergo Reale di Terracina, fatto costruire alla fine del ‘700 in riva al mare dal papa Pio VI e distrutto nel 1944 dalle mine dell'esercito tedesco in ritirata. Nell’edificio alloggiarono quasi tutti i viaggiatori provenienti da Roma, in attesa di passare il confine con il Regno Borbonico posto all’Epitaffio; per questo fornì l’ispirazione dapprima allo scrittore statunitense Washington Irving, che in esso ambientò nel 1824 i suoi famosi racconti sui briganti laziali, e poi agli autori francesi della celeberrima operetta lirica “Fra Diavolo, ou L’hôtellerie de Terracine”, del 1830, che ebbe un immenso successo in tutta Europa nel corso del XIX secolo. La popolarità di tali opere contribuì a creare un vero e proprio mito letterario sulla Locanda di Terracina, come veniva spesso denominato l’Albergo Reale; fra i suoi ospiti si ricordano illustri autori quali Stendhal, Dumas, Dickens e Andersen, che considerava l’Albergo “il più grande e il più bello sulla strada tra Roma e Napoli”. Questo studio, in origine comparso sulla rivista “Annali del Lazio Meridionale”, nel 2017 è stato pubblicato, in forma monografica e con diversi aggiornamenti, da BookCart Editore con il titolo “La Locanda di Terracina. Un mito letterario del ‘Grand Tour’ sull’Appia”.

Il volume illustra, attraverso saggi e schede di catalogo, le raccolte storico-artistiche, bibliografiche ed etno-antropologiche che nel corso degli ultimi decenni si sono affiancate alle originarie - e più vaste - collezioni archeologiche del Museo di Adrano

Alla fine del secolo XVIII, si accentuarono gli spunti di ricerca
dell’ABATE DI SAINT NON, al secolo Jean Baptiste Claude RICHARD (1727-1791), che, ispirato dal fascino di storia e leggenda che si diffondeva dai quei luoghi, si spinse nell’Italia meridionale al fine di scoprire le grandi tracce archeologiche della misteriosa e decantata “Magna Graecia”, nonché i resti di quelle che erano state le antiche civiltà del territorio: ruolo fondamentale nel progetto ebbe anche Dominique Vivant DENON (1747-1825), nobile e diplomatico parigino molto vicino alla Marchesa de POMPADOUR, il quale incaricato da RICHARD DE SAINT-NON di guidare nel Mezzogiorno e in Sicilia un'équipe di architetti, incisori, disegnatori, scrittori, poeti, pensatori, e addirittura diplomatici, ne eseguì egli stesso molte incisioni e scrisse la maggior parte degli appunti e delle annotazioni del viaggio, che poi verranno largamente tagliate, interpolate e manipolate, secondo la ricostruzione di Atanasio MOZZILLO, maggior studioso della periegetica sul Sud Italia

Anna Tedesco (Palermo) Corrado Pavolini, «Scenario» e la questione della regìa d'opera nel primo Novecento Elena Petrušanskaja-Averbakh (Mosca) La polifonia delle intenzioni: materiali d'archivio sulla prima del "Rake's Progress" Alessandro Mastropietro (Catania) "Amore e Psiche" di Sciarrino: una drammaturgia musicale tra organico e mito _____________________________ Spazio Cinema • Relazioni libere V

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Giunto a Roma nel marzo del 1889, per visitare l'Esposizione di vetri e ceramiche italiane antiche e moderne, Leopold Gmelin dovette essere incuriosito dalla lettura di un libro uscito l'anno precedente intitolato Da Roma a Sulmona. Guida storico artistica della regione attraversata dalla nuova ferrovia. In effetti la linea ferroviaria in questione era stata inaugurata il 29 luglio del 1888 e la guida di Luigi Degli Abbati era uscita con la tempestività di un instant book. Invogliato ad intraprendere un viaggio in Abruzzo, Gmelin ne pubblicò nei mesi successivi il resoconto sulla Deutsche Bauzeitung, storica rivista dell'ordine professionale degli architetti ed ingegneri tedeschi, con il titolo: Architektonisches aus den Abruzzen. Stranamente, però, l'architetto tedesco non seguí il nuovo tracciato della Roma-Avezzano-Sulmona, ma, dando solo un cenno dei centri più interessanti toccati da questa linea e dalla Sulmona-Popoli, Pescara, preferí, forse per l'importanza artistica delle città, visitare Rieti e L'Aquila prima di giungere a Sulmona. Del tragitto, percorso comunque in ferrovia, Gmelin poté riferire in maniera piuttosto circostanziata, sia perché i lenti treni del tempo, ma non va dimenticato che si tratta di linee di montagna, si fermavano a lungo nelle stazioni, tanto da dargli il tempo di popolare il suo taccuino con schizzi di paesaggi e paesi, sia perché egli approfondí la conoscenza dei luoghi visitati con la lettura dei pochi libri e saggi, tedeschi e italiani, disponibili sull'argomento. Il testo fu inoltre arricchito da alcuni disegni e fotografie per quanto, di queste ultime, Gmelin lamentasse la scarsa disponibilità sul mercato. Nel suo viaggio lo studioso ebbe anche modo di interessarsi all'oreficeria medioevale, tanto da fornire un importante e pioneristico contributo, in cui venivano per la prima volta stabiliti confronti con opere custodite in musei di altre regioni italiane ed esteri, pubblicato l'anno successivo sulla rivista Zeitschrift des bayerischen Kunst-Gewerbe-Vereins e, in italiano, nel 1891 sulla Rivista Abruzzese di Scienze Lettere ed Arti, diretta da Giacinto Pannella, e in estratto. Nella tappa a Sulmona Gmelin ebbe modo di incontrare Pietro Piccirilli, che allora attendeva ai suoi primi studi sull'architettura medioevale della città, impegnandosi attivamente anche per la sua conservazione. Lo studioso sulmonese dovette sentire una particolare affinità con l'ospite tedesco, suo coetaneo e collega insegnante in una scuola, come allora si diceva, di arti applicate. Nel recensire brevemente la parte delle Architektonisches concernente Sulmona, Piccirilli, testimoniando cosí della serietà dello studio, definí Gmelin "architetto valentissimo ed artista egregio" che "parla della nostra città con erudizione vastissima e con singolare competenza". Mentre, dal saggio sull'oreficeria, il sulmonese trasse spunto per approfondire l'argomento, divenendo a sua volta uno dei principali studiosi di tale forma di espressione artistica. Limitata è stata invece la conoscenza delle Architektonisches, sia per la difficile reperibilità in Italia della rivista dove furono pubblicate, che per non aver goduto di una versione italiana. Eppure, proprio gli entusiastici cenni di Piccirilli, sollecitavano la mia curiosità, con il conseguente invito, a Paola Ardizzola e ad Angelika Wessel, a tradurre lo studio di Gmelin per il pubblico italiano, aggiungendovi gli esiti di una originale ricerca d'archivio da esse appositamente compiuta. Il risultato mi pare la riscoperta di un attento studioso, scrittore dal piglio accattivante, architetto ed abile disegnatore, interessato alle opere d'arte prescindendo dalla suddivisione positivista in maggiori e minori. Una figura perciò attuale, la cui conoscenza merita di essere maggiormente approfondita; e il compito, gravoso e piacevolmente interessante, di svolgere queste nuove ricerche spetterebbe, ancora una volta, alle due autrici e curatrici del valido lavoro che qui si presenta.

Dalla presentazione al volume di Adriano Ghisetti Giavarina
I saggi di OPUS, Gangemi.

La serie di vedute urbane secentesche contenute negli Itinerari di Franz Schott in questo saggio sono osservate considerando l’effetto prodotto dalla figurazione all’interno di un testo descrittivo dedicato al viaggiatore. È una riflessione sul percorso - e non meno sulle tappe - che proprio dal Seicento diventa elemento ordinatore del territorio e dello spazio abitato, quale parte sostanziale di una rete di collegamenti sino a quel momento trascurata. Le immagini sono dunque un riferimento visivo importante nel viaggiatore, utile per orientarsi e identificare un luogo, dato percettivo legato al reale. Ad un tempo sono un soggetto commerciale per gli editori che, insieme a disegnatori e incisori, divulgheranno le bellezze e le singolarità del momento, al di là delle mura turrite, anche in piccoli formati cartacei.

Oreste Sergi Pirrò - “FRANCOIS LENORMANT E CATANZARO. PAYSAGE ET HISTOIRE: APPUNTI DI UN VIAGGIO”. Conferenza organizzata nell’ambito dei “Mercoledì culturali” del Circolo di Cultura “Augusto Placanica”. Catanzaro 7 febbraio 2018 – ore 18:00 – Circolo di Cultura “Augusto Placanica”, Via L. Settembrini, 26. Un itinerario di arte e storia all’interno di Catanzaro sulle tracce di un illustre studioso del passato, l’archeologo francese Francois Lenormant. Un excursus alla scoperta di ciò che resta del suo itinerario sul litorale jonico della Calabria e le impressioni di viaggio pubblicate all’indomani del suo piacevole soggiorno nella città dei tre colli.

The volume presents the works of three Russian travellers who visited Milan in three different periods. In these texts the city emerges in a new light, revealing surprisingly unusual aspects. In mid XVII century, painter Vladimir Jakovlev analyses the urban space, investigating the facets of daily life and describing people’s habits and behaviours. In early XX century, writer and art historian Pavel Muratov resorts to the intermediation of the pictorial code, concentrating on Leonardo’s Last Supper, to explain the reasons why, in his view, Milano has not grown into the city of artists of genius, whereas it has become a main centre for capable craftsmen, implicitly anticipating its future role of modern and industrial city. Over the first years of the XXI century, literary critic Petr Vajl’ embraces a new approach to the city, taking inspiration from the cinematographic code. The critic exploits images taken from Luchino Visconti’s film “Rocco e i suoi fratelli” (Rocco and His Brothers) to create a city model mainly based on theatricality. The city theatricality emerges from La Scala’s opera tradition, the majestic architecture of the city’s Central Station and the overabundance of spires and statues decorating the Cathedral: an excess interpreted by Vajl, in the light of Visconti’s aesthetics, as an overabundance of passions and emotions leading to the disintegration of individual harmony and the weakening of family ties, a distinctive feature of the modern era. Therefore, the picture of Milan seems to be instrumental in introducing a more complex representational model of the city into the Russian culture, a model that cannot be defined resorting to a single cultural pattern: from one side, the feature of daily life modernity and dynamism is highlighted, but on the other, aesthetic spaces of inestimable value, notably the Cathedral and La Scala, evoke a type of vision corresponding to the Russian mythical perception of Italy.

La collana dell’editore abruzzese Rocco Carabba, diretta da Giovanni Rabizzani (1884-1918), sviluppò un’idea già di Alessandro D’Ancona: raccogliere traduzioni di studi letterari storici e critici, memorie, lettere, adatti a «rievocare le più geniali, curiose e anche bizzarre impressioni che nell’animo e nell’arte degli scrittori stranieri furono suscitate dalla complessità dell’Italia». Carducci nel 1889 scriveva: «Non sarebbe male che gli italiani studiassero un po’ più ciò che gli stranieri han detto per tanti e tanti anni del loro paese e di loro». Si propone una ricognizione dei testi pubblicati e dei luoghi visitati, con attenzione al sud e alla Calabria, anche come viaggio linguistico (molti importanti dialettologi furono stranieri).

Il volume, che costruisce un’immagine della città di Catania per mezzo delle testimonianze dei viaggiatori europei giunti in Sicilia tra il XVI e il XIX secolo, si inserisce nella tradizione di studio della travel literature di cui analizza l’evoluzione attraverso il filtro culturale della classicità. Si tratta di un lavoro in cui l’autrice analizza le testimonianze scritte e figurate che costituiscono una parte del ricchissimo patrimonio costituito dai récits de voyage redatti dai numerosi personaggi dell’alta e media borghesia europea durante i loro viaggi in Italia che si concludevano sempre più spesso con una suggestiva permanenza in Sicilia. Il mito dell’Etna “ignivomo mostro” si delinea ed emerge da queste pagine con chiarezza ed icasticità e i resoconti di viaggio ne disegnano i contorni dando vita a suggestive descrizioni di cui l’autrice dà ampia e documentata testimonianza. La pubblicazione è arricchita da un centinaio di riproduzioni di stampe d’epoca, incisioni, carte topografiche, dipinti, ecc.

SOMMARIO

Premessa
Giuseppe Benanti

Prefazione
Enrico Iachello

Viaggi e viaggiatori

Resoconti di viaggio

Note

Bibliografia