BRINDISI “RACCONTATA”
Gianfranco Perri
2014
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BRINDISI “RACCONTATA”
Gianfranco Perri
2014
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"...io così sciolsi la vela,
coi compagni molto a me fidi,
in un’alba d’estate
ventosa, dall’àpula riva
ove ancor vidi ai cieli
erta una romana colonna;
io così navigai..."
Gabriele D'Annunzio - Maia, 1903
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BRINDISI “RACCONTATA”
Ancora un libro sulla mia cittá, ed ancora una volta un libro senza prestese
letterarie, né tanto meno storiche. Un libro informale, un racconto, anzi tanti
racconti, scelti e riassunti tra quelli in cui mi sono imbattuto, scritti dai
viaggiatori, da quei miei amici ideali quali sono tutti i viaggiatori del tempo e
dello spazio, e da quelli che hanno conosciuto e scritto di Brindisi in particolare.
E quanti saranno stati i viaggiatori che son passati da Brindisi nello spazio degli
ultimi tremila anni? Tanti, tantissimi, un´infinitá! Da Brindisi e dal suo porto sono
infatti passati “tutti”, si proprio tutti. Da molto prima della nascita di Gesú Cristo
fino ai nostri giorni, attraverso i tempi gloriosi della Roma republicana e poi
imperiale, quindi nei tempi delle tante crociate e poi, dopo la lunga pausa dei
secoli bui del porto che era stato il piú bello ed il piú sicuro del Mediterraneo, nei
tempi moderni di fine ‘700 ed in quelli a cavallo tra ‘800 e ‘900 con la Valigia delle
Indie da Londra a Bombay, e finalmente anche dopo, ininterrottamente fino ai
nostri giorni e nonostante le due grandi guerre del secolo scorso.
Certo, assolutamente non un libro di storia, eppure quella sequenza cronologica
che ho voluto seguire nell´ordinare i racconti qui “raccontati”, in qualche modo la
storia di Brindisi la lascia intravedere, la lascia scoprire ed indovinare, quanto
meno ad un lettore appena appena un pò fantasioso... a me é successo e mi auguro
possa succedere anche a qualcun altro!
Gianfranco Perri
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BRINDISI “RACCONTATA”
presentazione di Antonio Mario Caputo
È impossibile parlare di Brindisi senza sottolineare l’importanza del suo porto,
giacché le due cose costituiscono un tutto inscindibile. Non esiste infatti avvenimento
della sua storia che non abbia attinenza con il porto.
Di questo capolavoro della natura si accorsero i romani che, conquistata nel 267 a.C.,
elevarono Brindisi alla dignità di Municipio nell ’89 a.C., riconoscendole tutti i diritti
della cittadinanza romana.
Furono tanti quelli che per terra e per mare toccarono il suolo brindisino e proprio
qui furono prese decisioni gravi e solenni, qui, dove la civiltà greca e la cultura romana
s’incontrarono per la prima volta.
Si giungeva a Brindisi gettandosi alle spalle i rischi che “il viaggio”, in quanto tale,
comportava: Afferra il giorno che passa e non fare nessun affidamento sul domani,
ammoniva Orazio, ma egli stesso, sul declinare del I sec. a.C., accetta ben volentieri di
partire alla volta di Brindisi, per la paradossale situazione di incomprensioni e guerre
che si era creata, tanto da mettere a repentaglio la stessa potenza di Roma.
Il poeta latino di Venosa sa che Brindisi, che definisce Balcone del Cielo, è il più grande
porto di Roma repubblicana, con un valore strategico di prim’ordine, in
comunicazione con l’Oriente attraverso un frequente servizio di traghetto che lo
collegava con Durrachium.
Orazio a Brindisi si sente un privilegiato, nella città adriatica è in compagnia di
Mecenate, Cocceio Nerva, Fonteio Capitone, Vario, Tucca e Virgilio (che ha casa sulla
collina del porto), sono a Brindisi in veste di mediatori per tentare un accordo tra
Antonio e Ottaviano. Ed è forse la segreta speranza di un successo, che finalmente si
possa giungere alla pace, che fa esclamare ad Orazio, con un sospiro di sollievo: Finis
viae, ovvero: Qui finisce la strada delle incomprensioni.
Prima di congedarsi dall’ospitale Marco Lenio Flacco brindisino, Orazio ha modo di
vantare la cucina, la frutta, l’olio, il vino e le ostriche reali di Brindisi ed anche il
famoso sarago brindisino, già prima di lui decantato mirabilmente dall’altro poeta
latino, nativo di Rudiae (Lecce), Quinto Ennio.
Mi è sembrato opportuno fare un tal tipo di premessa, perché il libro del concittadino
Gianfranco Perri sull’odeporica, coraggiosamente parte da Strabone, storico e
geografo dell’antica Grecia, vissuto dal ca. 60 a.C. al ca. 20 d.C., che descrive con
metodo scientifico tutto il mondo allora conosciuto con i suoi costumi e gli
ordinamenti politici, fino ad arrivare agli appunti di viaggio del 2013 di Marika Keller,
evidentemente nostra contemporanea.
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In mezzo a questi due poli: illustrissimi, illustri, famosi, conosciuti, emergenti che, con
diverse angolature, hanno scritto e parlato di Brindisi.
BRINDISI “RACCONTATA”, questo il titolo scelto da Gianfranco Perri, ingegnere
minerario con alle spalle un curriculum denso e di tutto rispetto anche come scrittore,
per il suo lavoro.
Sì, Brindisi Raccontata da poeti, scienziati, artisti, statisti, professionisti, giornalisti,
militari e uomini di mare, è una sorta d’immagine d’insieme che tende a descrivere la
città non secondo il modulo della vecchia e aulica storiografia, quanto piuttosto di una
città evidenziata nei suoi scorci culturali e nelle sue proposte, colta, dai personaggi
che ne formano le pagine, quasi in movimento, sempre viva, appassionata e
consapevole della grande storia pregressa e dell’impegnativo cammino da fare.
In realtà, Perri ripercorre una strada aperta nel 1909 da don Pasquale Camassa che,
leggendo le targhette itinerarie di Brindisi, dette alle stampe Brindisini Illustri,
un’opera rimasta immortale, perché l’Autore descrisse con passione vari personaggi
che seppero egregiamente operare col senno o con la mano.
Urbanistica, letteratura, testimonianze storico-artistiche che d’impatto appaiono al
visitatore, fanno denotare materiali eterogenei, frammenti di civiltà ancora visibili,
lacerti di memorie a volte prive di continuum spazio-temporale.
I viaggiatori annotano e memorizzano, interessati (forse incantati), la chiave
interpretativa di tale apparente discontinuità e comprendono che è tutta nel legame
che attraversa i referenti ideali delle comunità che hanno convissuto pacificamente a
Brindisi, una vita complessivamente segnata dalla tolleranza, che ha consentito di
evidenziarla come un’area in cui da sempre si vive una cultura della reciproca
comprensione.
Perri ha realizzato, col suo libro tutto da leggere, un progetto ambizioso che, per dirla
con Benedetto Croce: Promuove la coscienza e la stima della propria terra.
Chiudendo, mi piace immaginare che sul belvedere delle Colonne, in uno scenario
certamente magnetico, si soffermi, al morir di un giorno trascorso a Brindisi, il famoso
pilota e scrittore, Antoine de Saint-Exupéry (Lione 1900 – mar Tirreno 1944), autore
del conosciuto romanzo “Il piccolo Principe”, abbattuto col suo aereo, nel corso della
Seconda Guerra Mondiale, da un aviatore della Luftwaffe e, guardando il cielo, ripeta
quello che è passato alla storia come un suo suggestivo aforisma:
E mi piace la notte ascoltare le stelle.
Sono come cinquecento milioni di sonagli.
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"Il viaggio e la letteratura di viaggio"
Dagli albori dell`umanità ad oggi
Il viaggio, che altro non è che la trasparente metafora del corso della vita umana, e la
letteratura di viaggio a sua volta metafora dell`autobiografia, hanno permeato da sempre la vita
e la cultura letteraria dell`Occidente. E infatti, nella storia dell`umanità vi sono grandi incontri
che il viaggio favorisce e la letteratura di viaggio rivela; vi sono grandi eventi che il viaggio
scopre e la letteratura di viaggio testimonia; vi sono emozioni straordinarie nell`esperienza di un
singolo viaggiatore che la letteratura di viaggio riesce talvolta a rendere universali. Il viaggio e
l`incontro con l`altro inoltre, trascendono la loro essenza stimolando ed imponendo tanti
quesiti... sul pregiudizio, sulla memoria, sul tempo, su quanto di innato e quanto di acquisito è
nell`uomo: sul grande valore cioè dell`esperienza, etc.
L`odeporica, dal greco odoiporein, camminare, è il termine che definisce il genere letterario della
letteratura di viaggio, che comprende al suo interno opere di diverse tipologie, dal reportage
giornalistico al racconto di viaggio dei grandi poeti, dai testi delle guide turistiche ai romanzi.
L`odeporica è tema di immensa potenzialità per la sua capacità di combinare narrazione e
descrizione, spazialità e diacronia; si rende disponibile a infinite sfumature di metaforicità e
allegorie, di avventure dell`individuo e di destino dei popoli. È il perfetto incrocio fra reale e
fantastico, fra reale e meraviglia, combinando testimonianze autobiografiche, epica, versione
romanzesca e trasfigurazione lirica.
Da sempre il viaggio costituisce uno dei temi portanti dell`umanità, come testimoniato già nel
più antico ciclo epico medio-orientale, dalla cosidetta Epopea di Gilgamesh, il cui sfondo storico è
collocato all`inizio del terzo millennio a.C. e che si conosce attraverso testimonianze scritte
sumeriche databili fra 1900 e 1700 a.C. Però il paradigma indiscusso della narrazione di viaggio,
punto di riferimento del tema per tre millenni e fino ad oggi, è l`Odissea in cui il tema del viaggio
pervade il racconto ed è occasione del racconto di altri viaggi. Con Ulisse, certamente il primo
protagonista viaggiatore-narratore che registri la cultura occidentale.
Seguono poi molte testimonianze dei tanti viaggiatori-scrittori con testi descrittivi che fondono
la geografia, la storia e l`antropologia; e poi i diari di bordo che descrivono la conformazione
delle rive, indicano le distanze in giorni di navigazione, danno informazioni sui porti e sulle
popolazioni costiere: affascinante fra le narrazioni storiche di viaggio è l`Anabasi di Senofonte
del IV secolo a.C. Successivamente, sviluppi significativi si hanno nel genere della letteratura
latina, sia quelli indirizzati al racconto autobiografico, e poi l’elegia, l’epistola e la satira, come i
frammenti delle Satire di Galio Lucilio.
Quindi, il viaggio diventa anche sostegno e impulso della finzione letteraria nel genere cui si dà il
nome di romanzo: una delle più antiche narrazioni di questo genere è attribuita a Antonio
Diogene vissuto forse nel I secolo d.C., mentre nella letteratura romanzesca databile fra il III o il
II secolo d.C., il viaggio e l`intreccio sono tra i protagonisti principali della narrazione dei
romanzi d`amore.
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Con il cristianesimo il viaggio assume invece il significato semantico dalla significazione di
un`esistenza umana concepita come transizione, come passaggio terrestre verso Dio. Una nuova
tipologia di viaggio, il pellegrinaggio, produce un`immensa fioritura di itinerari che in latino
descrivono in forma di diario o di guida il percorso verso i luoghi santi. Il genere attraversa tutto
il medioevo e sposta l`enfasi dalla descrizione dei luoghi al significato mistico del percorso.
Il viaggio pervade e struttura la Divina commedia di Dante, in quanto portatore di significazioni
allegoriche a diversi livelli: metafora dell`esperienza esistenziale del narratore, bagaglio
linguistico e repertorio di immagini per la descrizione di un oltretomba che è perpetuo
movimento di anime, demoni, angeli e figure magiche. E poi, la narrativa romanzesca
medioevale recupera dai modelli pagani antichi il tema del viaggio, sia come connotazione
eroica del personaggio sia come sostegno dell`intreccio. Esempi famosi sono le due raccolte di
novelle più importanti del Trecento: il Decameron (1349-1353) e i Racconti di Canterbury
(1386-1400). Data la sua origine fra l`epica e la fabula milesia, un genere narrativo segnato
nell`antichità dalle peripezie comiche e a sfondo erotico che rinvia ad una urgenza conoscitiva di
carattere forte anche quando le avventure narrate fossero inventate, il romanzo è dunque
congenitamente incastonato nella polarità archetipica fra ‘identità’, da definirsi in confronto con
l’Altro da sé, e ‘viaggio’, reale, immaginario o metaforico.
Già a partire dal XII secolo riprende comunque l`intento di narrare esperienze reali di viaggio, si
sviluppa il genere della vera e propria relazione di viaggio; intesi all`inizio come pura
documentazione aggiuntiva di compilazioni enciclopediche geografiche, i resoconti tendono a
assumere progressivamente autonomia testuale e dignità letteraria, delegando spesso a altri
scrittori di mestiere la trascrizione dei racconti del viaggiatore. È il caso, nel 1298, de Il Milione
di Marco Polo mentre, con il Giornale di bordo di Cristoforo Colombo del 1492 e anni susseguenti,
saranno nuove le finalità perseguite: scoprire e conquistare.
E contemporaneo di Cristoforo Colombo è Antonio De Ferrariis (1444-1517) detto il Galateo,
rappresentante dell`umanesimo meridionale, nato a Galatone e orbitante dell`Accademia
napoletana, autore del De Situ Japigiae, importante fatica letteraria scritta tra il 1506 ed il
1511: una relazione descrittiva e geografica relativa alla Japigia, la parte meridionale della
Puglia corrispondente alle odierne provincie di Lecce, Taranto e Brindisi. L`autore racconta tutto
ciò che ha visto di persona e, quando dispone di fonti attendibili, rievoca le vicende storiche più
importanti, sia antiche che recenti, e le mette in relazione con quelle narrate nelle opere di Plinio
il vecchio o di Strabone e Tolomeo. L`itinerario parte da Taranto e termina a Nardò, dopo aver
toccato, seguendo i modelli classici, prima tutte le località di mare tra cui Brindisi e poi quelle
interne. L`opera, che può definirsi la più antica guida del Salento, fu stampata la prima volta nel
1558 a Basilea e fu poi ristampata a Napoli nel 1624.
Tra la fine del Seicento e per tutto il Settecento, si sviluppò in Europa quel complesso fenomeno
sociale e culturale che fu denominato il Grand Tour e che vide l`Italia tutta, frequentata da
numerosi viaggiatori, letterati, artisti, poeti e non solo, le cui testimonianze costituiscono ancora
un vastissimo patrimonio iconografico, pittorico e letterario. L`Italia era, nell`ambito della
pratica del Grand Tour, una tappa obbligata: i suoi paesaggi, i suoi monumenti civili e religiosi,
le sue raccolte d`arte, le vestigia archeologiche di cui l`avevano arricchita le genti che l`avevano
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abitata in passato e poi, massimamente, le civiltà greca e romana, erano tra i principali fattori di
attrazione di quella folta schiera di viaggiatori che arditamente decidevano di varcare il confine.
Il Grand Tour, generalmente anche se non esclusivamente, per quanti giungevano in Italia via
mare, iniziava da Genova, mentre per chi attraversava le Alpi iniziava da Torino per poi
proseguire per Firenze e dintorni e quindi Roma. Anche Napoli fu inserita a pieno titolo nel
Grand Tour dopo che furono portate alla luce le città di Pompei ed Ercolano sepolte sotto le
ceneri dell`eruzione vesuviana del 79 d.C. E con Napoli, anche tutto il resto del regno cominciò ad
essere meta di viaggiatori da tutta l`Europa quando, al contempo e sulla scia del rousseaismo, le
regioni meridionali vengono anche ad assurgere ad archetipo di un sognato paradiso edenico,
dove il buon selvaggio vive ai margini della società civilizzata.
Il Grand Tour si era affiancato a quel tipo di emigrazione intellettuale che in precedenza era
stata caratteristica solamente degli artisti, soprattutto delle arti figurative, e generalmente
ricchi solo del proprio genio, che scendevano in Italia per confrontarsi con l`arte classica. Le
esperienze di viaggio sono poi via via più fitte di curiosità non solo letterarie e artistiche, ma
anche naturalistiche e sociologiche, ricche di contatti con la gente del luogo e producono scritti e
relazioni intellettuali ed umane. Accanto alla ricerca del bello classico come modello assoluto,
s`impone anche il concetto di viaggio come esperienza di una realtà fisico-geografica e come
realtà antropologica intimamente connessa alla realtà umana. Il paesaggio viene valutato nella
sua fisionomia geografica e al contempo nella sua valenza più complessa e unitaria in cui si
fondono economia e storia, politica e letteratura.
La pubblicazione del Voyage pittoresque nel Regno delle Due Sicilie, ideato nella seconda metà
del Settecento da Jean Baptiste Claude Richard, abate di Saint-Non, opera in cinque volumi ricca
di 542 tavole e vignette incise da lui stesso e dai migliori artisti suoi contemporanei, contribuì
notevolmente a risvegliare l`amore per le vedute antiche e nuove, per le opere d`arte, per gli
scavi e le antichità di tutta l`Italia meridionale. Saint-Non (1727-1791), parigino cresciuto nel
fervore delle idee progressiste che precedettero la rivoluzione francese, fu una nobile figura di
letterato e raffinato conoscitore dell`arte. Legato ai principali filosofi e scrittori del suo tempo,
tra cui Rousseau, seguì la moda settecentesca dei letterati europei che giungevano in Italia sulle
tracce della classicità greca e romana. Il viaggio nell`Italia meridionale fu intrapreso in
compagnia di artisti suoi amici, però proprio gli appunti di viaggio gli suggerirono concretizzare
la redazione del Voyage.
Nel Grand Tour l`Italia assume coscienza di sé e i viaggiatori stranieri contribuiscono fortemente
al formarsi di tale coscienza per mezzo della loro diretta esperienza che si manifesta attraverso i
diari e le corrispondenze di viaggio, ma anche attraverso l`affermarsi del vedutismo che con
dipinti, disegni e incisioni riesce a fissare le immagini stereotipe di ogni città. Per molti di quei
viaggiatori il viaggio in Italia costituisce il viatico per un`agognata rinascita interiore. Il viaggio
erudito e il concetto di viaggio come esperienza e conoscenza dell`uomo convivevano in un felice
connubio, ma al contempo alimentavano una serie di miti preconcetti che spesso guidavano i
viaggiatori più alla ricerca di una conferma della propria immagine mentale che all`obiettiva
conoscenza scevra di ogni pregiudizio.
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Nell`Ottocento cambia il modo di viaggiare: più vicino all`attuale che a quello di fine Settecento.
Con le guerre napoleoniche non esiste più il Grand Tour come istituzione d`origine aristocratica,
e anche il genere letterario del diario di viaggio subisce una trasformazione: i viaggiatori non
seguono più itinerari prestabiliti, ma si addentrano nel territorio per conoscerne anche le aree
più ignote e inaccessibili. Anche se nella letteratura del secondo Ottocento l`esperienza del
viaggio trova ancora amplissimo spazio nella produzione di molti importanti autori dell`epoca,
verso la fine del secolo si manifesta la crisi del mito del viaggio come scoperta dell`ignoto e
quindi delle scritture di viaggio come rivelazione del nuovo e del diverso. I veri viaggiatori sono
quelli che non hanno meta, coloro che partono per partire: ciò che caratterizzerà la declinazione
poetica moderna del termine è proprio la sottrazione di senso che subisce il viaggio, la perdita
della sua capacità di significare la conoscenza, di nominare la scoperta.
Il viaggio metaforico poi, si rivela altrettanto concreto quanto il viaggio reale. Sicché ai tanti
ricordi esibiti dai viaggiatori viene aggiunta l`informazione che ne danno gli antichi o coloro che
resuscitarono le conoscenze corografiche degli antichi, non sempre derivata da esplorazioni
reali o da interessi propriamente odeporici. La descrizione è il viaggio metaforico per
antonomasia, al punto da oscurare il viaggio reale perché quest`ultimo, per chi lo recepisce, non
è altro che descrizione, cioè narrazione di cose viste o visibili, e la realtà effettiva del viaggio è
una casuale circostanza, un pretesto nel senso specifico della parola, che può anche non esserci
stato, e per chi legge è spesso indifferente che ci sia stato o meno, pari a una novella che vanti
retoricamente una fonte reale.
“Ho visto” e “mi hanno detto”, con le loro varianti espressive, accompagnano la narrazione fino
alla confessione della meraviglia e dell`importanza delle regioni attraversate e sono dirette ad
un lettore che attende la sicurezza che può dare un testimone, come avviene nel caso della
cronaca. Qui si è appunto di fronte alla cronaca di un viaggio che diventa descrizione sia quando
affronta la vera e propria descrizione di ciò che si è visto, sia quando si utilizzano le nozioni
apprese dai libri e si può testimoniare che ciò è vero, o non è più possibile documentarlo perché il
tempo ha cancellato le tracce.
Il fine della letteratura di viaggio è infatti, quello di favorire la conoscenza di altre culture e
popolazioni e rappresentare il viaggio come processo ermeneutico, sia per l’autore che per i
lettori. Nella prospettiva degli studi culturali e della critica postcoloniale, la letteratura
odeporica costituisce un esempio di traduzione interculturale poiché si basa anche sul rapporto
tra identità e alterità. Il viaggiatore che scrive infatti, oltre a descrivere i luoghi visitati,
rivendica il proprio diritto di rendere in una lingua più accessibile alla propria cultura gli
incontri avvenuti con l`Altro.
Molti viaggiatori durante i viaggi pongono domande alla propria guida per ottenere notizie sui
costumi, sulle costruzioni, sulle tecniche di coltivazione e allevamento nei diversi luoghi. La sosta
dei viaggiatori in locanda e i lunghi percorsi, permettono di conoscere la situazione e i problemi
di un paese. Guide dunque, turistiche sì, ma spesso tematiche che ricostruiscono e propongono al
viaggiatore percorsi specifici e alternativi alle generiche guide dei luoghi.
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L`avvento della guidistica nell`Ottocento e la sua circolazione sempre più copiosa nel secolo
seguente, parallelamente alla diffusione di un turismo sempre più ampio, indussero gli studiosi di
letteratura a restringere il campo della odeporica, a mettere cioè dei necessari paletti: guidistica
sì, purché in forma di racconto di viaggio o testimonianza di scrittori e giornalisti che
propongono la propria linea interpretativa di un territorio o, infine, proposta di percorsi
alternativi al turismo di massa.
Va finalmente segnalato che la produzione odeporica subisce un vero e proprio sconvolgimento
con la modernità, quando si impone la velocizzazione degli spostamenti umani consentita dai
nuovi mezzi di locomozione che trova riscontro nei miti futuristi della velocità, della tecnica e
della macchina. Negli ultimi decenni poi, sopraggiunge il boom della narrazione di viaggio
integrata dall`illustrazione geotopografica, con certa na analogia fra l`antico modo di esporre le
meraviglie e il più attrezzato modo attuale di mostrare le immagini più o meno nobilitate dallo
strumento fotografico, emarginando cioé la scrittura e l`approfondimento cognitivo.
E per concludere con questa sintetica introduzione al "meraviglioso viaggiare" e quindi al
"fascino del raccontare il viaggio", ho selezionato le seguenti affermazioni, tutte certamente di
grande attualità:
«...Per accrescere le conoscenze, i libri non sono più sufficienti: occorre andare a vedere
personalmente la realtà, ‘toccarne’ le forme e ‘udirne’ i suoni. Solo il viaggio poi, chiama
direttamente in causa anche l`identità del viaggiatore, che al contatto con l’Altro viene
rafforzata per differentiam, oppure viene ridiscussa.
I viaggi accrescono lo spirito, lo elevano, lo arricchiscono di conoscenze e lo mettono al riparo
dai pregiudizi nazionali regionali e parrocchiali. Si tratta di una specie di studio che compensa
ciò che è trattato nei libri, consente di giudicare personalmente gli uomini, i luoghi e le cose. Il
fine principale che si deve proporre un viaggio, è senza dubbio quello di esaminare le abitudini, i
costumi, il genio delle altre nazioni, il loro gusto, le loro arti, le loro scienze, le loro manifatture e
la loro economia, le loro credenze e convinzioni.
La dimensione del viaggio offre, in una condizione totale di sinestesismo della percezione,
l`esperienza visiva e uditiva del coinvolgimento attivo e partecipativo del soggetto rispetto
all`oggetto, tale da consentire l`acquisizione di una piena consapevolezza di sé e dell`Altro. Il
viaggio assurge così a simbolo e a pratica del pensiero, partecipando alla continua ricostruzione
del sapere.
Non c’è nessuna situazione nella quale una persona curiosa possa in modo appropriato e
piacevole informarsi per quel che riguarda i fatti della storia, come quando si trova sul posto e
può toccare con mano com’era al tempo, un momento o una scena particolare di ogni grande
azione ed evento memorabile...».
Gianfranco Perri
BIBLIOGRAFIA:
La biblioteca di viaggio nelle Puglie a cura di Rosanna Lavopa - Edizioni del CISVA - 2013
Letteratura e viaggio di Pino Fasano - Edizioni Laterza, Roma - 2006
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BRINDISI “RACCONTATA” da
Lucio Strabone
nel ..... aC
Q. Ennio - T. Livio - G. Plinio - G. Cesare - M. Lucano
..... aC
Antonio de Ferrariis
nel 1510
Leandro Alberti
1525
Giovanni Maria Moricino
1600
George Berkeley
1717
Francesco Maria Pratilli
1745
Jean Battiste Claude Richar
1759
Johann Hermann von Riedesel
1767
Henry Swinburne
1771
Andrea Pigonati
1781
Carl Ulysses von Salis Marschlins
1789
Jacob Philipp Hakert
1789
Baldassarre Papadia
1791
Friedrich Leopold Stolberg
1792
Antoine Laurent Castellan
1797
Richard Keppel Craven
1818
Craufurd Tait Ramage
1828
Charles Didier
1829
Gustave Flaubert
1851
Wilhelm Vischer
1853
Luigi Giordano
1853
Maria Esperance von Schwartz
1868
Sanford Robinson Gifford
1868
Ferdinand Gregorovius
1875
Juean Arthur Rimbaud
1875
Charles Yriarte
1883
Gustav Meyer
1890
Joseph Viktor Widmann
1903
Paolo Emilio Thaon di Revel
1919
Cesare Brandi
1954
Iole La Rosa
negli anni ’50 ’60 ’70
Giuseppe Cocco
1977
Gianfranco Perri
1999
Carlos Mora
2010
Paola Palazzo
2012
Marzia Keller
2013
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BRINDISI “RACCONTATA”
Gianfranco Perri
É ben risaputo che la storia e la sorte di Brindisi, nel
bene e nel male, sono da sempre state legate
indissolubilmente a quelle del suo famoso e
celeberrimo porto. Una cittá di mare quindi e
sopratutto un porto di mare, d´imbarco e di sbarco,
di cose e sopratutto di persone, viaggiatori solitari e
schiere di viaggiatori, eserciti e popoli, genti anonime
e genti celeberrime.
Viaggi da e per Brindisi, storicamente documentati
come quelli dei condottieri, poeti, politici, letterati,
generali ed imperatori romani, o come quelli dei
crocisegnati, e viaggi storicamente supposti perché
quasi inevitabilmente realizzati, come quelli di Enea
di San Pietro e di San Francesco.
Ed in tempi piú vicini, viaggi di re, di scrittori, di presidenti, di magnati, di pittori, di celebritá,
e poi... viaggi di tanti e tanti e tanti, piú o meno anonimi o piú o meno illustri, viaggiatori.
Tutti son passati da Brindisi, tutti hanno visto Brindisi ed alcuni hanno vissuto Brindisi.
Personalmente ne ho conosciuti tantissimi nel mio andare per il mondo e nel mio sistematico
chiedere “... se per caso conoscessero Brindisi”. E molti di quei tanti che l´hanno conosciuta,
Brindisi certamente l´hanno anche descritta, o quanto meno l´hanno raccontata.
Chissá quanti racconti, certamente un numero infinito,
hanno raccontato il passaggio da Brindisi, e chissá quanti
racconti, certamente tantissimi, si sono scritti sul
passaggio da Brindisi: son certo che messi tutti assieme
quegli scritti comporrebbero tanti volumi da poter
riempire un´intera grande biblioteca. Ma pochissimi,
solamente una parte minuscola di quei racconti scritti nei
millenni, si sono conservati: solo quei pochi che sono stati
pubblicati o comunque ben archiviati in qualche
biblioteca.
E di quei pochissimi ne ho qui raccolto una piccola parte,
spesso riassumendone solo i tratti piú significativi e
presentandoli quindi in successione cronologica.
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Anche se é abbastanza naturale e comunque spiegabile che non siano pervenuti documenti
che descrivano come fosse la cittá di Brindisi nelle sue lontanissime origini e negli anni della
sua protostoria e anche della sua storia pre-romana, é invece un vero peccato che tra i tanti
romani colti, letterati, filosofi, politici, storici, etc., non fosse diffusa la consuetudine di
raccontare per scritto i luoghi e le cittá visitate e conosciute.
Solamente il grande Strabone, da geógrafo sui generis quale fu in quanto anche storico, ha
lasciato una documentazione importante, veramente eccezionale e valorosissima, l´unica
appunto relativamente estesa che sia disponibile sui tempi della Brundusium romana, anche
se la stessa purtroppo non comprende una vera e propria descrizione fisica della cittá, ma solo
una sua descrizione geografica, tra l´altro essenzialmente riferita al porto.
Infatti, nonostante a Brindisi furono in tanti e famosissimi i cittadini romani che vi
transitarono e che anche vi sostarono durante periodi prolungati, basti tra tutti pensare a
Cicerone, a Oracio e a Virgilio, nessuno di loro ha lasciato una chiara descrizione, neanche
parziale, della Brundusium che conobbero e che vissero.
Né d´altra parte lo fece nessuno degli illustri e pur letterati cittadini di Brundusium, quali tra
tanti altri Marco Pacuvio, Lucio Ramnio e Lenio Flacco: sarebbe stato interessantissimo, ed
invece la piú dettagliata descrizione fisica della quale si dispone su quella che fu la romana
Brundusium, molto probabilmente altra non é che quella scritta dal letterato e pittore
francese Antoine Laurent Castellan, il quale visitó Brindisi nel 1797 e, descerivendola nelle
“Lettres sur l'Italie” pubblicate nel 1819, raccontó anche di siti e resti romani ancora
identificabili ai suoi tempi e poi definitivamente scomparsi senza aver lasciato traccia alcuna.
E ad un altro iullustre visitante di fine settecento a Brindisi, il barone tedesco Johann
Hermann von Riedesel, si deve aver raccontato nel suo “Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna
Grecia” pubblicato nel 1771, dell´origine nella Brundusium romana del «fare un Brindisi», di
quell´augurio cioé che accompagnato al gesto dell´alzata dei calici, era destinato a diventare il
più famoso ed utilizzato al mondo: Ai tempi della grande Roma, essendo Atene il massimo
centro culturale del mondo, culla di personaggi come Cartesio, Ippocrate, Pitagora e cosí via, i
rampolli romani piú privilegiati si recavano in Grecia per acculturarsi, e naturalmente lo
facevano partendo dal porto di Brindisi. Sorse cosí l´abitudine di recitare, all´accomiatarsi tra
parenti e amici con un buon bicchiere di vino locale, il seguente augurio: «possano gli dei
propizi farci rincontrare a Brindisi». L´uso di formulare tale augurio si estese in seguito ai
momenti del commiato tra parenti ed amici d´altre città di mare, con il dire «facciamo come a
Brindisi» e poi nel tempo si estese a mó di buon augurio in generale e di festeggiamento, con il
piú comune dire «facciamo un brindisi».
E prima di passare a raccontare la “Brindisi raccontata” dai viaggiatori susseguitisi nel tempo
a partire dall´epoca romana, una sola eccezione: un frammento brevissimo dal racconto, non
di un visitante, ma di un Brindisino doc, di certo tra i piú illustri di questa cittá:
“Ove il mare Adriatico bagnando l`estrema parte d`Italia, si distende entro la penisola, che
Japigia dagli antichi si nominava, quivi è formato dalla natura il porto di Brindisi: porto il piú
celebre che immaginar si possa in tutta l`antichitá, e che racchiudendo in se stesso più porti,
oltremodo si rendette rinomato né tempi della Roma repubblicana…” -Annibale De Leo, 184614
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Lucio Strabone, vissuto tra il 60 aC e il 23 dC, fu tra i piú importanti geografi dell´antichitá, fu
anche storico e perció le sue opere geografiche sono densamente complementate da
valorosisime considerazioni storiche. Di origini greche e vissuto in età augustea, Strabone fu
autore, intorno all´anno zero, della “Geographia” in ben 17 libri. E nel Libro Sesto del Tomo I
dedicato all´Italia meridionale, a proposito di Brindisi, tra molte altre cose scrisse:
«...Nella Japigia, che i Greci chiamavano e chiamano Messapia, adesso si distingue la Calabria,
che oltre al territorio dei Messapi comprende, intorno al promontorio Japygium, il settore dei
Salentini. A nord di queste genti, abitano le popolazioni chiamate in greco Peucezi e Dauni, ma
che ora si chiamano Apulii, cosí come tutta le regione sopra la Calabria si chiama Apulia.
La Regio II di Augusto: “Apulia et Calabria”
...Il sito del porto insieme alla stessa città di Brundusium da l´aspetto precisamente della testa
di un cervo, dal quale anche il nome, che nella lingua dei Messapi si dice Brentesion.
...La terra brindisina è più ricca di quella tarentina; è sì magra, ma molto produttiva, ed il miele
e la lana sono fra i suoi prodotti più celebrati. E il porto é assai più comodo per i molti seni che
s´incontrano in una medesima bocca, e tutti sicuri dalle tempeste, laddove quello tarantino
essendo molto più ampio ed esteso, ha le sue acque sempre esposte alle agitazioni de' venti,
oltre il pericolo di alcuni sassi nascosti sotto le onde.
...Due vie collegano Brundusium a Roma: una a man diritta per i Peucezi, i Dauni e i Sanniti;
l´altra, l´Appia, carrozzabile a man sinistra, che tirando per Oria, piega sino a Taranto, e
s´indirizza per Venosa, e poi ambedue vie si uniscono a Benevento...».
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La Calabria romana accorpó la Messapia di Brindisi e la Sallenzia di Taranto
Il porto di Brindisi, la messapica Brunda, poi in latino Brundusium, fu dai Romani subito
considerato di facile passaggio dall´Italia alla Grecia e dalla Grecia all´Italia. Lo storiografo
romano repubblicano Tito Livio, vissuto tra il 19 aC e il 57 dC, che annoveró Brundusium tra
le diciotto colonie che aiutarono la romana repubblica con soldati e navi nel tempo che
guertreggiava con Annibale in Italia, assicurava che iI console Paolo Emilio in otto ore colla
sua flotta da Brindisi giunse a Corfù, e che il console Servio Sulpizio Galba, partitovi colla sua
armata arrivò in un giorno nella Macedonia.
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E dai Romani, oltre che per il porto, Brundusium fu decantata per la fertilità della campagna e
anche per la pescosità delle sue acque. Lo stesso Strabone, si é giá detto, attestava che l´agro
brindisino, nonostante la terra fosse leggera, era certamente migliore del tarantino, mentre lo
scrittore romano contemporaneo di Strabone, Gaio Plinio, detto Plinio il vecchio, vissuto tra il
23 e il 79 dC, studioso multidisciplinare e grande specialista di agroalimentazione, nella sua
opera “Naturalis Historia” commentò molto benevolmente il vino della la vigna brindisina «la
quale sostenuta da un semplice giogo che si fa con una pertica o una canna o una corda di
crine o di giunco, dá le migliori uve da vino, poiché cosí sostenuta l´uva é costantemente
mantenuta esposta al caldo dei raggi solari, avverte di piú il soffio dei venti e perde piú
velocemente la rugiada».
Commentava inoltre Plinio, come nel porto di Brindisi -in primis Italiae portus nobili- una
fonte elargisse ai naviganti un´acqua purissima: “Le fontanelle”. E quindi, a proposito delle
ostriche brindisine, che erano molto celebri presso i romani, lo stesso Plinio raccontava che
dissertandosi quali fossero più preziose, se le brindisine o le britanniche, si determinò
finalmente che le une e le altre per essere riprodotte si collocassero nel lago Lucrino, che era
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giá famoso per i suoi vivai; e cosí si poté costatare come le ostriche brindisine non solo
ritenessero il proprio sapore, ma acquistassero anche quello del luogo ov'erano state
trapiantate.
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Caio Giulio Cesare invece, nei suoi “Commentarii de bello civili” del 49 aC, quando racconta di
Brundusium, oltre che per descrivere il porto ed i dettagli tecnici del suo vano tentativo di
sbarrarne il canale di accesso per impedire la fuga di Pompeo, lo fa per segnalare che i suoi
soldati vi si ammalarono di malaria, nell´aria malsana dell´autunno brindisino, rimanendone
decimati: «...gravis autumnus in Apulia circumque Brundusium ex saluberrimis Galliae et
Hispaniae regioinibus omnem exercitum valetudine temptaverat...».
Andrebbe peró segnalato a questo proposito come la malaria, effettivamente patita dai soldati
cesariani a Brindisi, non necessariamente fosse del tutto autoctona, essendo anche abbastanza
accreditata la tesi dello storico inglese Peter Atsbury Brunt, secondo la quale i soldati di
Cesare giunti a Brindisi erano giá affetti da forme malariche indotte dal plasmodium vivax o
dal plasmodium malariae.
Mappa di Andrea Palladio in ”I Commentari di C. Givlio Cesare” - 1575
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Marco Anneo Lucano, vissuto tra il 39 e il 65 dC ed autore del famoso poema epico Farsalia
sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo, nel Libro II dell´opera, cosí in versi descrive Brindisi:
«...Questa città fu un tempo possesso dei coloni Dittèi, che navi cecròpie trasportarono,
profughi attraverso il mare, da Creta, allorquando le vele proclamarono falsamente che Tèseo
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era stato sconfitto. Un angusto tratto di terra dell´Italia, che ormai si restringe, spinge nel
mare quella tenue lingua, che racchiude le onde dell´Adriatico come fra corna ricurve. Tuttavia
in questa gola così stretta, in cui si insinua il mare, non potrebbe esserci un porto, se un´isola
non facesse scaricare sui suoi scogli la violenza dei cori e non respingesse le onde stanche. Da
una parte e dall´altra la natura ha posto di fronte al mare aperto monti rocciosi ed ha tenuto
lontani i venti, in modo che le imbarcazioni potessero rimanere all´attracco, assicurate da una
fune anche debole. All´esterno si estende per largo tratto la superficie del mare, sia che si
faccia vela verso i tuoi porti, o Corcìra, sia che ci si diriga a sinistra verso l´illirica Epidamno,
che si tende in avanti sui flutti dello Ionio. Questo è il rifugio dei naviganti, allorquando
l´Adriatico sprigiona tutta la sua violenza e i Ceràuni si immergono nelle nubi e la calabra
Sasòna è sommersa dai flutti spumeggianti...».
*****
E per finalmente concludere questo capitolo romano, giá nel 200 aC e quindi ben prima di
tutti gli altri illustri e famosi personaggi d´epoca romana citati, il poeta e drammaturgo
Quinto Ennio di Rudiae, il quale pertanto certamente conosceva molto bene quello di cui
stava parlavando -Brundusium pulchro praecinctum praepete portu- aveva decantato il porto
di Brindisi e la bontá e la salubritá del mare brindisino, e si era specialmente profuso in lodi al
sarago brindisino «Brundusii sargus bonus est» precisando anche, che per essere veramente
buono doveva esso avere grandi dimensioni!
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Antonio De Ferrariis detto Il Galateo, nato a Galatone nel 1444, fu medico e filosofo, e morí
nel 1517. Pur non essendo un viaggiatore, perché vissuto in un´epoca in cui “viaggiare” non
era ancora di moda, visitó piú volte Brindisi e ne lasció la seguente descrizione, certamente la
prima in assoluto che sia compatibile con tale moderna accezione del termine, nella sua opera
“De situ Japygiae” scritta in latino nel 1510 e pubblicata nella cittá di Basileae nel 1558:
«...Nell´ultima parte della penisola é posta la nobile cittá di Brindisi, che taluni stimano
appellarsi Isola Brunda e i Greci la dicono Brendesio. É risaputo che questo nome Brunda
significhi capo di cervo, non nella lingua greca o latina, ma nella messapia o peucezia. Il porto
somiglia infatti alla testa di un cervo e le corna cingono la cittá per la piú parte.
Questo porto é notissimo in tutto il mondo, onde il proverbio secondo il quale, sono tre i porti
sicuri nell´orbe: Iunii, Iulii, et Brundusii.
Il porto interno é chiuso da due torri e da una catena; il porto esterno, da una parte e
dall´altra, é protetto da scogli e da isole messe di rincontro. Sembra fatto con sagace industria
da natura provvida e scherzosa.
Dal monte Gragano ad Otranto la riviera é quasi rettilinea, incurvata per brevi tratti. A Brindisi
invece, la terra divisa accoglie il mare come in un golfo; nell´interna parte v´é uno stretto, che
dicemmo chiuso da torri e da una catena.
Mappa di Brindisi del cartografo e ammiraglio ottomano Piris Reis - 1525
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Questa imboccatura del porto era anticamente profondissima e valicabile da ogni sorte di
navi, quantunque di grande portata. Giovanni Antonio da Taranto, nella guerra che si faceva
tra l´aragonese Alfonso e i Veneziani, temendo che la cittá cadesse in potere dei Veneziani o di
Alfonso, sommerse una nave oneraria carica di ingenti pietre sull´imboccatura, e in tal modo
ostruí l´ingresso, onde al presente non é valicabile se non a piccole navi e a biremi e a triremi.
Il re Ferdinando ed il re Alfonso d´Aragona, spesso han tentato di scavare quel passaggio, ma
desistettero dall´impresa.
Da quello stretto, due fosse che circonvallano la cittá ricevono il mare che si dilaga assai
dentro terra. Specialmente nel corno destro é sorprendente la profonditá del mare; dicono che
in qualche punto ecceda la misura di venti passi.
La cittá é quasi una penisola tra i due seni, dalla parte d´occidente sul corno destro tiene una
“rocca” di struttura maravigliosa e di pietre quadrate, costruita prima da Federico primo figlio
di Enrico e nipote di Enobardo, poscia munita da Ferdinando e Alfonso suo figlio. Poi cinsero
ancora colle stesse mura la cittá dalla parte del mare, dove ne era priva.
Alfonso edificó pure un castello inespugnabile sopra l´isola in cui era il tempio di Sant´Andrea,
la quale é poco lungi dall´imboccatura del porto esterno.
La cittá, un tempo popolosissma, ora per le frequenti sedizioni e per l´inclemenza dell´aree é
deserta e in gran parte vuota. Ció, d´ordinario interviene a tutte le grandi cittá che sono prive
di popolo numeroso: si accusa l´intemperie del clima, peró la negligenza dei suoi cittadini ha
disonorato Brindisi, la quale, se si fosse dato scolo alle sue acque, non avrebbe conseguito una
sí trista rinomanza...».
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Quasi contemporaneo del Galateo, un altro illustre italiano, il frate bolognese Leandro Alberti
visse tra il 1479 e il 1552. Storico filosofo e teologo, fu autore della monumentale opera
“Descrittione di tutta l´Italia”, scritta intorno al 1525 e pubblicata per la prima volta a Bologna
nel 1550, fu seguita da altre dieci edizioni pubblicate a Venezia e da due traduzioni latine
pubblicate a Colonia. Il volume descrive l´assetto storico e topografico dell´Italia e dedica un
importante spazio anche alla Terra D´Otranto, identificata come nona regione della Italia, in
cui a proposito di Brindisi, che Alberti visitó di persona, si legge, tra altro:
«...Brindisi, nominata Brundisium da Strabone, che vuole che fosse abitata dai Cretesi arrivati
da Creta con Teseo e Gnoso, fu da re governata e Falante, capitano dei Tarentini, vi tolse gran
parte del suo territorio. Al fine questa città fu colonia dei Romani e fu di tanta possanza nei
tempi antichi, ch´ella era a capo dei Salentini.
Ora è molto male abitata e peggio edificata. E ciò é accaduto per le maledette fazzioni, e i
cittadini si sono rovinati fra sé, guastando e abbruciando gli edifici, e facendo peggio di quanto
avrebbero fatto i nemici.
Arrivando dal mare si vede una forte “rocca” e poi il tanto nominato porto, annoverato fra i
primi porti del mondo e fatto dalla natura in tal guisa che, come nota Strabone, sotto una
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bocca sono serrati molti porti, tanto sicuri che non possono esser conturbati da alcuna forza
dei venti e meno dalle procellose onde del mare.
Un primo porto detto interno tiene la forma delle corna del cervo, essendo la cittá nel mezo di
esse e fu per questo nominata Brundesium, cioè capo di cervo. Talmente giace l´altro porto
detto esterno, che vi si entra ove è la forte “rocca”. Nell´interno, dall´uno lato e dall´altro lato sì
come due corna, sono l´acque marine che insieme si congiungono e fanno la città una penisola.
Entrati nel porto interno, chiaramente si veggono dette due corna fra la città e la terra ferma
esser di tanta larghezza e profondità che sarebbero bastevoli a contenere ogni grandissima
armata di mare di quanta grossezza fosse di navi.
Alla stretta bocca tra i porti vi sono due torrette una contra l’altra, alquanto discoste e dalle
quali si può tirare una catena di ferro per sicurezza del porto interno. Passasi da questo porto
all´altro maggiore allargandosi continuamente d´ambedue i lati, e così allargando si crea un
altro e piú grande porto, bello e sicuro, fuori dal quale dopo alquanto spatio, a man destra
vedesi la Torre del Cavallo e a man sinistra similmente di riscontro di questa vi è la Torre
della Penna. Queste due torri furono fatte per sicurezza di esso porto e di essa cittá.
Fra queste due grandi torri, nel mezo del mare dirimpetto alla stretta foce del primo porto tre
miglia però discosto dalla città, si scorge uno scoglio lungo un miglio e largo mezzo, nel cui
principio verso la città si vede la fortissima “rocca” fatta da Ferrando d´Aragona, re di Napoli,
per maggior sicurezza di questo secondo porto, che sia bisogno a ciascun che vi vuole entrare,
che passi a man destra o a man sinistra vicino a questa fortezza nominata Castello dell´Isola.
È questa fortezza, come io ho veduto, talmente fatta che pare inespugnabile essendovi però
dentro le cose necessarie. Ed è tutta posta in isola, essendovi stato tagliato una fossa nel sasso
dalla parte che risguarda al settentrione, overo al mare, per la quale passa l´acqua marina.
Ritornando al primo porto, nel cui mezo è parte della città, anticamente vi era anche una
fontana d’acqua dolce ove venivano i marinari a pigliar dell´acqua per li loro bisogni, come
scrive Plinio. E a questa città, per esser posta in luogo molto disposto per potersi passare
tanto per terra quanto per acqua dalla Grecia e dall’Asia e d´altri paesi a Roma e da Roma ai
detti luoghi, assai persone anticamente convenivano, come ben si può conoscere dalla storia.
Livio sovente nomina essa città, annoverandola fra quelle dieciotto colonie le quali dierono
aiuto ai Romani, con denari e soldati ne’ tempi che guerreggiava Annibale contra loro
nell´Italia, e citando come fosse assediato quivi Gneo Pompeo da Cesare e dimostrando il
modo tenuto da Pompeo per uscire di Brindisi, essendo molto ben guardato il porto da Cesare,
la qual cosa molto minutamente descrive anche Cesare nei suoi comentari delle guerre civili.
Veggonsi circa il porto, pur nella città, due colonne di pietra drizzate assai alte e la cagione
perché siano quivi poste, non l´ho potuto intendere. Diede gran fama ne’ tempi antichi a
questa città Marco Pacuvio, poeta figliuolo di una sorella di Ennio, che scrisse alcune tragedie
e morì d´anni 90 in Taranto.
Questa città, ornata della dignità archiepiscopale, ha un territorio molto fertile e copioso delle
cose per il viver dell´uomo. Fra l´altre cose, produce tanto oglio che pare cosa incredibile a chi
non avrà veduto le grandi selve degli olivi che vi sono...».
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F. Leandro Alberti: Frontespizio dell´edizione veneziana del 1577
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*****
Andrea Della Monica, originario del distretto leccese e padre maestro carmelitano, in Lecce
pubblicó nel 1674, l´opera intitolata “Memoria historica dell´antichissima e fedelissima cittá di
Brindisi” la quale peró, prima che fosse stampata portava il titolo “Dell´antichitá e
vicissitudine della cittá di Brindisi” ed il suo autore, come risulta dalla copia manoscritta
conservata nella Biblioteca Annibale De Leo, era il brindisino Giovanni Maria Moricino,
morto nel 1628. Del plagiario Della Monica risulta originale solo l´XI Capitolo del libro V,
l´ultimo capitolo dell´opera, che tratta degli avvenimenti che vanno dal 1604 al 1671.
L´opera pertanto fu verosimilmente scritta dal Moricino intorno all´anno 1600, venendo cosí
a costituire anche una interessante e rara descrizione, importante testimonio documentale,
della Brindisi di quegli anni a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. I Capitoli sesto e settimo del
Libro primo infatti, sono dedicati alla descrizione fisica della cittá: del porto il sesto e delle
parti interne della cittá il settimo, ed in questi capitoli, tra altro si puó leggere:
«...A chi mira la cittá dall´alto, invece di una sembra esserne due per essere divisa in due colli,
uno volto a settentrione e l´altro all´austro, abbassandosi in mezzo a loro una piccola valle
dalla quale son divisi, cominciando detta divisione dal mare a drittura della foce che si dirama
nelle due corna.
Corre questa valletta dall´oriente al ponente, ma caminando verso il mediterraneo della cittá,
si va perdendo la sua bassezza, tanto che nell´estremitá della cittá, verso ponente viene ad
agguagliarsi con la planitie dell´uno e dell´altro colle, senza esservi piú distintione tra i due
colli e la valle.
In quella valletta vi sono grandissimi edifici antichi, uno de’ quali é il superbo palagio dove
anni addietro si amministrava la giustitia, qual fu fondato dai Romani per uso delle loro
armate e abitato poi dal duca d´Atene, uno delli reali del regno, serbando nelle sue ruine lo
splendore della passata magnificenza.
Nel mezzo di questa valle siede la Piazza rustica della cittá, che é quadrata e di amplio ambito,
dove negotia la gente bassa e vi dimorano i venditori di biade, legni, frutti, foglie e simil. La
Piazza urbana é piú in su, a man diritta venendo dal mare, occupa la falda che va salendo al
destro colle verso settentrione, é circondata intorno intorno dall´artefici piú civili, vi si
trattiene la gente piú stimata e la militia vi fa sempre il suo corpo di guardia.
Ritornando al principio di questa valle, a man destra incomincia a sorgere il destro colle che,
risguardando al mare da levante, sostiene come in un promontorio le due colonne, una delle
quali é rovinata nell´etá nostra. Non lungi da quelle colonne, a dirittura vers´occidente, vi é
oggi il Duomo, opera del re normanno Ruggiero, congionto al Palazzo arcivescovale, fabbrica
nobilissima e riguardevole per la sua grandezza e mirabile architettura.
Questa parte destra della cittá é hoggi la piú nobile, sí di privati edifici, come di tempij piazze e
vie. Questo luogo, per esser piú salubre e meno esposto ai perigli de’ nemici, s´ha conservato
nella magnificenza antica ed é stato arricchito da’ cittadini di nuove habitationi, percioché
esposto al mare dal settentrione, che per esser ivi profondissimo é puro, non possono
giungervi fiati se non purissimi e purgatissimi. Ed é anche questo luogo, coperto dal vento
meridionale dall´opposto colle sinistro.
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Questo luogo ha sempre allettato la parte piú nobile de’ cittadini anche perché piú protetto da
l´incursioni hostili per esser stata questa parte della cittá anticamente qual penisola, quando il
mare entrava nella valletta in mezzo dei due colli. Tanto piú che l´istesso angolo di questa
destra parte della cittá é hoggi assicurato dalla “rocca” maggiore, il castello che fu anche
anticamente refuggio e fortezza della cittá, vedendosi sino ad hoggi le reliquie d´una cittadella
con parte delle mura e delli fossi, ritenendo ancora quel luogo il nome Cittadella.
L´altra parte della cittá, che dal sinistro colle verso mezzogiorno é circostritta, fu anticamente
anco ella favorita da frequenti e nobili habitationi, come ne fanno amplia fede le rovine che
dalle fondamenta ogni giorno si cavano e i molti pavimenti d´opra vermicolata o mosaica che
parte di sotto terra si scoprono e parte nella superficie d´alcune strade della cittá sin ad hoggi
si vedono.
Fiorí questa parte nel fiorir de’ Romani i quali in essa, ad immagine di Roma di cui la cittá era
sorella diletta, construssero la Via Lata che fino ad hoggi con maraviglia si prattica e ancora
mostra, sí per la lunghezza come per l´ampiezza e drittura, che dovea ragionevolmente
contenere nobili e ricche habitationi. Ai tempi nostri questa parte della cittá, benché sia per
tutto habitata e habbia sontuosi palagi e chiese, nondimeno non é di cosí salubre aria.
La cagione nasce principalmente posciaché, esposta all´austro vento di natura meno sano,
riceve da quello i vapori del sinistro corno del mare che, meno profondo e di piú debole moto,
li somministra molti e impuri. I vapori del settentrionale vento poi, oltre che riparati dal colle
destro molto prima che vi arrivino passando per la valle fraposta e mischiandosi con quelli
aliti grossi e humidi, vi giungono anch´essi impuri: per ambidue questi venti dunque, l´austro
e il settentrionale, il colle sinistro cede ed invidia per salubritá il destro.
Mappa di Brindisi (con il titolo errato) di Joan Blaeu – 1663
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La bocca d´entrata dal grande porto esteriore a quello piccolo interiore che si divide nelle due
braccia, é un varco chiuso da una catena che si tira tra due torri. Le braccia si diramano una
verso tramontana a man destra e l´altra di man manca, non a drittura del vento opposto, ma
verso l´Africo. Le rive di queste due corna che sono opposte alla cittá, s´innalzano in colline
ripiene di giardini, olive e vigne, scorgendosi insieme buon spatio d´amena campagna e il
mare di fuora che bagna tutta la riviera. Le altre due rive interne, che toccano la cittá, la
cingono in penisola: la sinistra nell´entrare del porto irriga la parte australe e bagna
immediatamente le mura del colle senza che tra quelle e il lido vi sia spatio alguno vacuo da
coltivarsi, ma l´altra ch´é verso settentrione, lasciando qualche spatio vuoto fra l´onda estrema
e il colle che fa muro da quel canto alla cittá, dá luogo ad un borgo che da una fonte d´acqua
salsa scaturendo di sotto il colle vien chiamato della Fontana Salsa.
Dove poi ambedue le corna si terminano nell´entrar delle valli stagnando l´acque loro e quelle
de torrenti, per l´instabil suolo del molle limo non si puó passare a cavallo né a piedi, e perció
cosí dall´uno come dall´altro corno vi sono fabbricati ponti di pietra, sotto dei quali il mare
nella sua crescente passa buon spatio delle valli, allagandole, e benché nello scemar dell´acque
si ritiri il mare, lascia no di meno il luogo molle fangoso e inaccessibile.
Chiamasi quel della sinistra riva australe ‘il ponte piccolo’ presso al quale vi é una antica e
mirabil chiesa fuor delle mura, che ricevendo il nome dal vicino ponte, si dimanda Santa Maria
del Ponte. L´altro ponte poi, che chiude la riva destra settentrionale, il quale trapassa un
miglio in circa la drittura delle mura della cittá, vien nominato ‘il ponte grande’ come é longo
piú di trecento passi, era il principio della famosa via Appia e vicino allo spatio dell´antica
scala del porto brundusino, con la prima chiesa che edificó il popolo brundusino a Dio quando
si convertí alla sua fede, dedicata a Santo Leucio, primo vescovo e apostolo de’ Brundusini.
Fa l´area della cittá una figura curvilinea d´un mezzo circolo, del qual l´arco sono le due corna
di mare, le quali abbracciano in un´isola la piazza donde é fondata la cittá, e la corda é il muro,
che per il continente vien tirato a drittura da una punta all´altra delle due corna.
Delli due angoli poi, che si fanno dove l´una e l´altra estremitá dell´arco si tocca con le punte
della corda, quello settentrionale, che soprasta alli due terzi della longhezza del destro corno,
contiene sul mare del settentrione una non men ben bella e ingegosa che forte e ampia
fortezza, opera di Tedeschi e Aragonesi, la quale a differenza dell´altra rocca minore posta in
mare sull´isola, vien chiamata il Castel grande. L´altro angolo poi, ch´é formato dalla corda
toccante l´arco nell´altra opposta parte del mar australe, contiene un grosso e ben
fiancheggiato torrione che, emulo de’ castelli, assicura da quel canto, non solo buona parte
della corda a sua drittura, ma anche l´arco ancora verso la longhezza del corno australe;
chiamasi questa “rocca” dal nome di San Giacomo. Tutto il resto della corda poi, che forma il
muro mediterraneo fin all´angolo del castello, é munito di tre altri torrioni minori che con i
loro fianchi s´assicurano l´un l´atro e guardano le cortine fraposte tra loro.
Sicurissima é poi la cittá dall´incursione de’ nemici dalla parte del mare, percioché non
essendo penetrabile l´entrata del maggior porto per la fortissima “rocca” dell´isola da cui é
difesa, e non essendovi fuori del porto, dall´una o dall´altra parte della riva, porto sicuro per
navi nemiche, fuorché il troppo picciolo ricetto di Guaceto...».
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Andrea Della Monaca: Frontespizio dell´edizione originale del 1674
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Bisogna peró attendere gli inizi del secolo XVIII per incontrare le prime formali descrizioni di
Brindisi riportate da veri viaggiatori, che furono per lo piú stranieri. Nel 1717, George
Berkeley, letterato di origini irlandesi, viaggió da Roma a sud, e sul suo “Diario di viaggio in
Italia e Lettere”, a proposito di Brindisi, dove giunse la sera del 25 maggio, segnala il contrasto
tra la bellezza ed il rigoglio del paesaggio agrario circondante la cittá e l´ambiente malsano
dell´area portuale, senza quindi soluzione di continuitá alcuna con quanto aveva giá segnalato
il Galateo nel suo De situ Japygiae quasi 200 anni prima:
«...Giungendo a Brindisi venendo da Egnazia, osserviamo una campagna ben coltivata a grano
e vigne, con pochi alberi da frutta. Alla periferia di Brindisi, dalla parte dove siamo entrati in
cittá, vi sono fitti aranceti.
La città è costruita male, con case sparpagliate ed è decisamente povera. È di qui che di solito
ancora ci si imbarca per la Grecia, arrivando nella città di Illyricum Dyrrachium, oggi Durazzo.
Il porto interno peró é bloccato e l´aria é irrespirabile. Pochi sono gli abitanti, che stimo si
possano calcolare sui quattromila o cinquemila. Il perimetro della cittá vecchia é all´incirca di
sette miglia.
Le mura sono molto fortificate, i resti molto meno. Camminando lungo le mura osserviamo
che una parte di esse é costituita da antiche rovine e abbiamo riconosciuto alcuni resti delle
mura della città vecchia, molto più grande della nuova. Le strade e le piazze sono del tutto
deserte e parecchi frammenti antichi di colonne sono sparsi per l´intera cittá.
Le chiese non sono granché. Vi abitano numerosi Cappuccini, frati conventuali Minori, e anche
un monsignore greco.
Vi sono due colonne in marmo bianco, una ancora integra, di ordine corinzio con un´urna sulla
cima. Dell’altra resta solo il basamento e un pezzo del capitello che è caduto ed è rimasto sulla
base. Le parti intermedie della colonna, cadendo nel 1528 senza una causa immediata
apparente, si sparsero tutt´intorno. Sulle due colonne c´erano dei puttini e, in cima, il fogliame.
Fidelitas Brundusina sulle colonne, è il motto dello stemma della cittá di Brindisi.
Quanto al porto, lo limitano esternamente varie piccole isole più un´isola con ul castello e una
fortezza, poi un porto o baia e, piú all’interno, un altro porto o baia, la testa del cervo, quindi le
corna che abbracciano i lati della cittá. Delle due fortificazioni, la più recente è stata voluta dal
re Filippo II e la aragonese piú antica si trova su una lingua di terra a due miglia dalla città: si
pensa che siano le meglio fortificate di tutto il regno.
I magistrati di Brindisi, sindaco, maestro giurato, tesoriere, etc., vengono nominati secondo un
rito particolare, ossia un bambino che tira a sorte delle palline di diverso colore nel municipio
e alla presenza del governatore e del giudice, il giorno della festa della Vergine Assunta.
Abbiamo lasciato Brindisi attraversando un ponte su uno stretto golfo del mare, alla fine di
una delle due corna. La campagna sulla strada per Lecce é coltivata a olive e grano, con anche
tante vigne e vari alberi di fico e pere. Gli alberi dei tanti boschetti di ulivi che si susseguono,
sono grandi e molto vecchi. Poi ci sono piccole fattorie e ville, che a tratti si fanno più
numerose...».
27
*****
Francesco Maria Pratilli è stato un prete, archeologo e antiquario napoletano, vissuto tra il
1689 e il 1763. Fu da molti discusso fino ad essere tacciato di falsario, e poi fu da altri
riabilitato. In archeologia trattò principalmente le strade romane e fu autore di molte opere, la
più importante delle quali è ritenuta quella intitolata “Della Via Appia riconosciuta e descritta
da Roma a Brindisi” pubblicata a Napoli nel 1745. Nell´ultimo capitolo di questo libro, il XVII,
l´autore naturalmente giunge a Brindisi ed il testo si conclude con quasi sette pagine
interamente dedicate a commentare la storia e l´attualitá della cittá da lui conosciuta.
«...Al comun parere di tutti gli storici, fu questa cittá riputata antichissima e di gran nome; da
alcuni appellata Brundisum da altri Brundusium e da’ poeti, per accomodarsi al metro, Brenda,
o Brunda. Da Stefano Brentesium e nella mezza etá Brundusiopolis...
In questa cittá dunque, che negli antichi secoli aveva piú ampio giro circondato in tutti e tre i
lati dal mare, talché faceva figura di una penisola, dove al presente é molto ristretta nel suo
circuito, avean termine le vie Appia e Trajana da me descritte, e ancor di presente se ne
vedrebbono vicino le mura di Brindisi le reliquie, se nell´anno 1716 col raggiustarsi della via
per lo ponte, non fussero state di lá svelte, o ricoverte le antiche selci.
Le vie romane Appia e Trajana riconosciute e descritte da Petrilli nel 1745
Entrava ella via per lo ponte, detto grande, fabbricato sul corno destro del mare, o sia porto
picciolo -quello interno- e conduceva nella cittá passando prima la fontana dalla quale, se pur
non fusse dall´altra di cui parleremo di qui appoco, caricavano l´acqua per loro provigioni i
navilj -onde é surto poi forse l´adagio del brindisi e del brinzare all´altrui salute nelle mense- e
chiamasi la fontana Appia, o la fontana grande, con a fianchi e dietro vaghi giardini, e vigneti al
pié del colle che gli sovrasta: in un vaso grande lungo palmi 22 e aproporzione largo, riceve
l´acqua che in abbondanza gli somministra per secreti acquidotti.
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Nel muro di quella fonte si legge:
APPIA APPIO FONS TANCREDO REGE EDITA AMBO FERDINANDO LOFFREDO HEROE INSTAURATA QUARE
STA BIBE, ET PROPERA, ET TRIA HAEC COMMODA HIS TRIBUS PROCERIBUS ACCEPTA REFERTO.
ANNO DOMINICAE INCARNATIONIS MCXCII REGNANTE DNO NRO TANCREDO INVICTISS REGE ANNO III ET
FELICITER REGNATE DNO NRO GLORIOSISS REGE ROGERIO FILIO EJUSS ANNO I MENSE AUG. IND. X HOC
OPUS FACTUM EST AD HONOREM EORUNDEM REGUM.
Ma né la via Appia in Brindisi fu fatta da Appio il cieco, né la fonte da Ruggieri. Questa é da
stimarsi opera anzi de’ tempi dell´imperador Trajano rifatta poi da’ Normanni. Antica
certamente debbe essere la fonte; e negli antichi tempi era poco lontana dal muro della cittá;
essendosi ora assai diminuito il suo ambito delle miglia sette in circa che prima aveva; ed era
la cittá guardata da fortissime torri, siccome ancora si riconosce.
L´altra fonte, celebrata da Plinio, era nella parte occidentale del porto grande -quello esternoe di la piú tosto si dovettero caricar d´acqua le navi per uso de’ soldati, e de’ viandanti. Venne
quest´acqua chiamata per le sue qualitá incorrutibilis dal testé citato romano scrittore. Io peró
stimo che la stessa acqua passasse prima dall´una fonte all´altra per segreti acquitotti.
Presso il giá detto ponte grande vogliono i Brindisini che si fussero unite le due vie, Appia e
Trajana, per menare unitamente nella cittá per quel luogo forse che ora chiamano Osanna, non
guari lontano dal monistero de’ Cappuccini. Io peró non saprei dare loro tutta la ragione,
perché assai lungo giro avrebbe dovuto fare la via Appia e invece con maggior brevitá sarebbe
entrata per quella parte che guarda Mesagna, per donde credo che condur dovette fino alla
Porta di Mesagna.
La via Trajana entrava certamente per lo ponte grande, che guarda la Marina di Ostuni. E la via
Tarantina dovette entrare nell´opposta parte del ponte grande, nella quale sul sinistro corno
del mare picciolo havvi altro ponte rimpetto al monistero de’ frati Minimi; e di lá dal
medesimo se ne riconoscono le vestigia.
La cittá vedesi ora quasi in due parti divisa, una a destra verso tramontana, l´altra a sinistra
rivolta ad ostro, alquanto piú bassa della prima. E mostra ancora nelle sue frequenti rovine la
passata grandezza, e in due alte e belle colonne dirizzate mostra il non piú oltra di sue
magnificenze e del suo splendore.
Il suo nobil porto non ha piú quel grand´uso di prima essendo molto arrenato, e i due corni
laterali, che diconsi il mare picciolo o il porto picciolo, sono in parte seccati e chiamansi
vogarmente saline, poco lontano dalle quali é la vallata che mena a Patricia, con altra fonte in
forma di penisola che ancora vi si vede.
In Brindisi adunque, in cui siamo, terminavano le due celebratissime vie Appia e Trajana co’
loro rami, e ancor la Tarantina, se diversa chiamar si debbe dall´Appia di cui anzi era ramo, e
colla stessa poco sopra di Taranto riunivasi per condurre a Venosa.
Rimettiamo il curioso lettore che delle cose di Brindisi richiederebbe maggior contezza, alle
memorie che di questa cittá diede il padre Della Monaca; incombendo ora a me, che feci scorta
a’ miei compagni viaggiatori, di fermarmi quivi e prender col riposo della penna, ancor quello
della mente e dell´occhio...».
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*****
Anche il francese Jean Battiste Claude Richard, abate di Saint Non, che visitó Brindisi nel
1759, nel suo celebre “Voyage pittoresque” pubblicato a Parigi nel 1781, commentó l´ambiente
malsano di Brindisi come effetto della mancanza di regolamentazione dei flussi del porto
interno, attribuendovi tutto il peso di un problema storico:
«...Il porto di Brindisi é un vero miracolo della natura in un paese cosí uniforme e cosí poco
adatto ai ripari. In fondo al porto c´é un canale che comunica con un bacino a semicerchio, dal
quale la cittá é circondata, e che un tempo doveva essere di bellissimo effetto. La terra a
Brindisi é ottima e produce vino e olio della migliore qualitá.
C´erano nella cittá alcuni resti antichi, fra cui i ruderi di antiche terme. Per il resto, l´aria di
questa cittá é sempre stata malsana al massimo grado, soprattutto in estate, il che non poteva
essere attribuito che allo stato deplorevole in cui versava il porto da tempo immemorabile...».
*****
Un altro importante viaggiatore straniero a Brindisi in epoca moderna, é il barone tedesco
Johann Hermann von Riedesel, il quale visitó la cittá intorno al 1767 facendovi tappa nel
suo “Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna Grecia” che poi relató nell´omonimo suo libro
edito nel 1771, ed in cui é possibile leggere:
«...Brindisi, un tempo celebre, dove si equipaggiavano le flotte, le piú formidabili, in cui si
preparavano le imprese piú importanti, dove esisteva uno dei migliori porti d´Italia, ora non é
che un piccolo paese molto malsano, di circa novemila anime e la cui rada non puó ricevere
che le barche dei pescatori ed a stento si riconosce la forma e la grandezza dell´antico porto
nel mezzo dello stagno sabbioso che il mare ha formato nel suo sito.
Le Vasche limarie dell´acquedotto romano: resti della cisterna meridionale
Presso della porta che mena a Napoli, si veggono gli avanzi di una costruzione, in mattoni, che
sembra essere stata una conserva di acqua: le “Vasche Limarie”, avanzi di un invaso di
decantazione dell´acquedotto romano.
Peró il piú bello, o meglio il solo monumento dell´antica Brundusium che si sia conservato, é
una colonna di marmo bianco, di ordine romano composito, elevata presso il porto, a fianco
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della quale ven´era un´altra simile, il cui piedistallo é ancora a posto mentre la colonna é stata
trasportata a Lecce. Quella che é ancora a posto a Brindisi, ha cinquantasette palmi e mezzo di
altezza e cinque palmi e mezzo di diametro; il capitello é ornato, nei quattro angoli, con
quattro divinitá marine; nel mezzo di ciascun lato si trova un dio, con i suoi attributi, cioé
Giove, Ercole, Nettuno e Plutone.
C´é anche un tempio la cui forma non é perfettamente circolare, e non vi é pórtico all´entrata:
essa descrive un semicerchio differente, che non fa corpo col resto della costruzione, il che gli
dá una irregolaritá sgradevole. Si riconosce pure il cattivo gusto del tempo della decadenza
delle arti, negli ornamenti dell´antica porta, che oggi é murata...».
Chiesa di San Giovanni al Sepolcro - Foto Giacomo Borgi del 1870
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Lo scrittore inglese Henry Swinburne passó da Brindisi nell´anno 1778 e nel Volume II del
suo libro “Travels in the Two Sicilies” stampato a Londra nel 1783, cosí scrisse:
«...Brindisi é una grande cittá se si tiene conto dell´estensione delle sue imponenti mura, ma le
case abitate non superano la metá della cerchia. Le strade sono stortuose e sconnesse, le
costruzioni povere e fatiscenti. La cattedrale, dedicata a San Teodoro, fu fatta edificare dal re
Ruggero, ma non é architettonicamente pregiata al pari di tante altre volute da quel monarca.
Poco rimane dell´antica Brundusium, tranne innumerevoli frammenti di colonne fissati agli
angoli delle strade per proteggere le case dalle ruote dei carretti, qualche residuo di mosaico
sul pavimento di antiche abitazioni, la colonna del faro, un´ampia vasca di marmo dalla quale
scorre acqua attraverso teste di bronzo di cervi, rovine di acquedotti, e varie monete nelle
vetrine di un antiquario.
Il suo castello, costruito dall'imperatore Federico II per proteggere il ramo settentrionale del
porto, è grande e maestuoso, e fu ristrutturato da Carlo V. La cittá si sviluppa su due colline.
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Quella a nord è ben coltivata e ben alberata, mentre quella a sud è nuda di alberi ed é coltivata
solo a granturco.
Il porto sull´Adriatico è doppio, la parte esterna è separata da quella interna da un canale
molto stretto. Penso che sia probabile che questo porto sia stato prodotto da un terremoto.
Nulla può essere più bello di questo porto interno, adattato alla navigazione e ad ogni tipo di
commercio. É molto profondo e si estende in lunghezza due miglia e mezzo, ed in larghezza
mille duecento metri nella parte piú ampia.
Nell´antichitá la navigazione notturna era guidata da luci poste sul capitello delle due colonne,
di una delle quali solo resta il piedistallo, cadde dopo il terremoto del 1456 e i pezzi furono
donati alla cittá di Lecce. Il capitello di quella in piedi è ornato con figure di sirene e tritoni.
In tutto il regno di Napoli non esiste un porto con una miglior situazione per il commercio di
quello di Brindisi, eppure non ha né commercio, né traffico marittimo di alcuna rilevanza, a
causa dell´ostruzione del canale di comunicazionte tra il porto esterno e quello interno. Tutto
ció inizió nel 49 a.C. quando Giulio Cesare, tentando di bloccare la fuga delle flotta di Pompeo,
provó vanamente a ostruire il passaggio facendolo riempire di pali pietre e terra. E poi
continuó nel XV secolo, quando fu il principe di Taranto, Antonio Orsini Del Balzo, che nel
1449 vi fece affondare navi zavorrate per impedire il passaggio alle nemiche flotte veneziane,
soffocando cosí e definitivamente quella bocca di mare e rendendo quindi il porto interno
impraticabile al traffico marittimo.
Per il 1752 la situazione era cosí tanto peggiorata da risultarne del tutto interrotta ogni
comunicazione tra i due porti e da risultarne ostacolato ogni ricambio di acque. Il porto
interno è diventato un lago verde fetido pieno di infezioni, tanto che non pesci ma solo
anguille vi possono vopravvivere, e vi possono transitare non barche, ma canoe di un semplice
tronco d´albero. In pochissimi anni la popolazione si é ridotta drasticamente, da diciottomila
sono diminuiti nel 1766 a soli cinquemila, disgraziati, pallidi e tormentati da febbri maligne...».
A view of the city of Brindisi the anc. Brundusium taken from the North West Head of the Port
(Travels in Two Sicilies - Henry Swinburne - London 1783)
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*****
Finalmente, i lavori per il recupero del porto di Brindisi iniziarono il 4 marzo del 1776 sotto la
direzione di Andrea Pigonati che consegnó l´opera compiuta il 30 dicembre 1778. Purtroppo
quelle opere dovevano a breve risultare essere state in gran parte mal concepite e mal
eseguite. Pigonati, una volta ricevuto dal re l´incarico di progettare ed eseguire quei lavori,
giunse a Brindisi via terra il 17 luglio del 1775 e vi sostó durante svariati mesi e poi, conclusi i
lavori, pubblicó nel 1781 la sua “Memoria del riaprimento del porto di Brindisi sotto il Regno
di Ferdinando IV”. Lui non era certo un viaggiatore, ma un ingegnere, e volle comunque
testimoniare alcune sue impressioni sulla Brindisi che aveva conosciuto:
«...La cittá di Brindisi é situata in una penisola del mare Adriatico abbracciata da due grandi
seni di acqua, che formavano un tempo l´antico commendatissimo porto brindisino. É la cittá,
fortificata di muraglie dalla parte dell´istmo che si frappone fra due seni di acqua, con de’
baluardi e due porte, l´una detta di Mesagne e l´altra di Lecce.
Vi é un castello costruito da Federico II con tutte le regole dell´arte di quel tempo, essendo
formato di grossi pezzi sul gusto delle antiche fabbriche romane. Dentro la piazza del castello,
sopra una porta adorna di disegni grotteschi, esiste in rilievo la statua di Federico II. E Carlo II
D´Angió fece edificare un altro palazzo reale dove al presente ne esistono le rovine, dirimpetto
il convento de’ Padri Minimi.
Venendo da Napoli, dopo aver passato un ponte che attraversa uno dei grandi rami del porto,
incontrammo un fonte di anica struttura, fatto riattare da Tancredi. Quindi osservammo il
convento de’ Padri Cappuccini, una tronca piramide sulla quale l´archivescovo e clero
brindisino la mattina della domenica delle palme cantano, in greco, l´epistola e il vangelo.
Passato il convento de’ Cappuccini entrammo in cittá per la porta detta di Mesagne,
lasciandoci a destra un aquidotto di fabbrica romana e gli avvanzi ancora di una fabbrica
antica che esser poteva un pubblico bagno, o conserva di acqua.
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Nell´ingresso ci sembró la cittá un villaggio di poca gente, essendo le abitazioni di primo
incontro basse, rustiche e mal edificate, frá quali due conventini, l´uno de’ Padri Agostiniani e
l´altro de’ Carmelitani di niun gusto di architettura.
Al primo arrivo, quantunque fossero le ore quattordici del giorno, da noi non si osservarono
per le strade se non pochissime persone, le quali in un profondo silenzio, come se stati fussero
abitatori piuttosto di un asolitudine che di una cittá, rappresentavano in se stesse l´idea viva
della miseria e della tristezza, per non chiamarle anzi imagine e vicino maturo pasto di morte.
Ero io d´opinione che l´uscita sul tardi dei lavoratori al travaglio della campagna e la ritirata a
buon´ora, fosse precauzione per gli effetti nocivi dell´aria, ma conobbi in seguito esserne altra
la causa; perché ivi é tenor di vita di tutta la bassa gente passare la maggior parte del tempo
nelle taverne, che riguarda come il proprio tetto, giacché gli osti con somma generositá dan
franco il fuoco sale e oglio a chiunque porta commestibili per prepararseli, purché li mangi in
quel luogo e quindi con generoso smaltimento del vino, oggetto d´interesse del tavernario.
E anche da questo é nato l´abbandono del lavoro e il desolamento delle famiglie del basso
popolo, giacché tal gente, dedita oltremodo al piacere delle taverne, abbandona la propria
famiglia, non si da cura dell´educazione dei figli, e producendo nelle nelle proprie case la
miseria costringe in certo modo le donne al libertinaggio.
Stampa da Il riaprimento del porto di Brindisi di Andrea Pigonati – 1781
Ma trattandosi di porto e di cittá marittima, ragion vuole che la di lei descrizione s´incominci
da quello che le genti osservar possono, venendo per mare a cercare il porto.
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Venendo dunque in Brindisi dalla parte orientale, si vede in prospetto da’ naviganti un gran
seno di mare. Al principio di questo seno dalla parte sinistra di chi guarda la cittá e ’l porto, vi
sono cinque isolette, dette Petagne, o per meglio dire cinque grandi scogli che sporgono in
fuori terra da Sciocco a Maestrale.
Dalla parte di terra, nell´aspetto di Scirocco vi é una Torre detta del Cavallo. Dalla parte di
Maestro, quasi in mezzo al gran seno nella parte destra, vi é un´isola sulla quale esiste il
celebre Forte di Mare con a fianco il Lazzeretto per le contumacie.
Le isole dette Petagne proteggono il gran seno dai venti Scirocco e Levante, e l´isola del Forte e
Lazzeretto lo coprono in gran parte dalle onde di Levante, e soffre piccola traversia dal vento
Greco e Levante; quindi é che per questa posizione rendesi il gran seno quasi un sicuro porto,
che giustamente in ordine al suo sito chiamasi porto esteriore.
Questo porto, per quanto sodamente puó conghietturarsi, é oggi, a mio credere, maggiore di
ampiezza di quel che era nel tempo della repubblica romana, quando vivevano Cesare e
Pompeo, giacché le onde han corroso il lido e il mare si é avanzato fin dove prima era terra;
siccome lo dimostrano le fabbriche che esistono sotto del livello del mare molto lontane da
terra, ed una antica colonna di marmo per uso di legare i legni che trovasi inclinata per lo
sforo sofferto dalle navi legate, lontana dal lido nel luogo detto ’le fontanelle’.
Nel centro della sinuositá del porto esteriore di vedono fangose secche e poi una ampia palude
formata da terreno nuovo. E nel centro della curva entrante dal porto esteriore al porto
interno vi sono plaudi che si denominavano ’delle torrette’ perché vicino esistono due torri
che fece edificare Carlo II D´Angió acció si fosse chiusa la bocca con catena. D´una rimangono
gli avanzi e l´altra esiste intera e serviva per alloggiare le guardie della dogana.
Queste paludi s´erano formate sopra di strati d´alghe marcite, che erano ridotte a una specie
di torba, e dove i cespugli ed arene avevano formato un´argine atto ad impedire lo scolo al
mare; onde l´acqua piovana di tutta l´estensione del gran piano, e che filtrava dalle collinette
vicine, era ivi stagnata, e nei tempi caldi corrotta a fegno producendo orribile fetore.
Passato le paludi delle torrette e lasciato il fetore, si presentava il gran porto interno, che
cinge con due rami la cittá, osservandosi assai da lontano prima di pervenire in tal sito una
colonna. É questa la colonna d´ordine composito, il fusto di marmo bigio orientale ed il
piedestallo e il capitello di marmo bianco.
Il porto interiore é formato dalla natura senza aiuto alcuno dell´arte, e come diviso in due
braccia, cinge la cittá fino all´istmo. Il braccio destro é il maggiore ed é d´un miglio e mezzo di
lunghezza fino all´estremo dov´é il ponte che venendo per terra si attraversa. Il braccio
sinistro é piú ripiegao ed é di minor lunghezza, essendo di circa un miglio.
Il fondo del primo braccio é di natura limoso e del secondo é arenaceo ed in questo si
producono le chiocciole bianche della specie che i naturalisti chiamano concha chordis, ed in
tutti li due bracci non si pescano che piccioli cefali e capitoni.
Negli estremi de sopradetti bracci s´immettono due canali d´acqua prodotta da sorgenti delle
campagne e da filtrazioni delle acque piovane delli laterali rialti, che formano due valli dove
corrono questi fiumicelli...».
35
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Nell´aprile del 1789, lo scienziato svizzero che fu un importante economista di quei tempi
Karl Ulysses von Salis Marschlins, visitò Brindisi e scrisse:
«...A misura che ci avvicinavamo alla città si presentavano regioni di miseria e di desolazione,
che fa pena vedere lì incolta una campagna benedetta dal suolo fertile e dal clima più propizio!
Gli antichi ed estesi avanzi di un rovinato castello, segnano l`entrata.
Larghe strade con case rovinate, cortili ricoperti di erbe, miserabili tuguri appoggiati a vecchie
mura e contenenti i più squallidi rappresentanti dell`umanità, precedono varie chiese e
conventi e poche case abitabili, dove cinquemila persone sono giornalmente esposte ai lenti
ma inevitabili effetti della febbre malarica.
Veduta tra San Paolo e Santa Teresa - Disegno del 1789 - Museo San Martino di Napoli
Anche se i principi Angioini e il re Ferdinando d´Aragona fecero tentativi per risollevarla,
sotto i vari successori Brindisi sarebbe stata addirittura annientata, se in certo qual modo non
fosse oggi mantenuta in vita da un tratto di sessantamila moggi di terreno fertilissimo, che
produce tanto olio, da mettere qualche volta in imbarazzo i proprietari.
Ma l´abbandono totale in cui è stato lasciato il porto, ha dato vita a paludi estesissime che
circondano il paese e riempiono l`aria di esalazioni pestilenziali, per cui non esiste più un
volto roseo in Brindisi: la febbre malarica regna durante tutto l`anno, e sono pochi quelli che
tirano innanzi la loro miserabile vita sino all`età di sessant`anni.
Alcuni anni addietro, l`ingegnere Pigonati fu mandato qui dal re con l`ordine di rimettere il
porto in stato da servirsene, ma forse per ignoranza o altra ragione, i lavori vennero così mal
eseguiti, che la città è tuttora così miserabile e insalubre com`era prima della sua venuta.
Sebbene siano appena passati soli dodici anni d`acchè l`opera di Pigonati è stata compiuta, già
il canale è nuovamente bloccato dalle alghe e dalla rena.
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E con quale giustizia si può -signor Pigonati- rimproverare ai Brindisini la loro indolenza,
perchè lavorano solo quattro ore al giorno e passano il rimanente della giornata nelle taverne,
cercando di affogare nel vino la loro miseria?
Nel porto interno, un braccio è molto più lungo dell`altro: il ramo settentrionale si spinge per
un miglio e mezzo nella campagna, è largo 800 palmi nel punto più stretto e misura cinquanta
palmi di profondità; mentre quello verso sud è lungo solo un miglio, è largo settecento
cinquanta palmi e profondo diciasette palmi nel punto piú basso. Il primo ha un letto melmoso
mentre il secondo lo ha di arena.
Quello che è realmente da sorprendere è come il governo non abbia ancora pensato a un
nuovo progetto per risollevare la misera città, ridonandole la posizione più importante
d`Italia, con solamente l`aprirne e quindi ripulirne il suo grandissimo porto.
Essendomi fermato a lungo su questo soggetto, Brindisi, che oltre ad essere importante per se
stesso serve a dimostrare come pensa e come agisce il governo del Regno di Napoli, saluterò
con un addio questo disgraziato paese...».
*****
In quello stesso anno 1789 anche un tedesco, questa volta un pittore, il famoso paesagista
Jacob Philipp Hakert deve certamente essere stato in visita a Brindisi. Lui non ha lasciato
nessuno scritto in merito, ma in compenso ha lasciato un bellissimo quadro che si conserva
nella reggia di Caserta:
Il porto di Brindisi in un dipinto del 1789 di Philipp Hakert - Conservato nella reggia di Caserta
37
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I giorni 4 e 5 maggio 1791 Baldassarre Papadia, studioso galatinese amico di Annibale De
Leo, l`arcidiacono che sarà poi arcivescovo, fu a Brindisi e cosí racconta di quel suo viaggio:
«...Così dopo molte ore di penoso cammino giunsi in Brindisi. Città è questa che non presenta
alcuna ombra di bello a chi la mira dalla parte di terra, ma che, guardata dal suo invidiabile
porto, è amena e vaga.
Ha molte chiese e monasteri e son da vedersi la Cattedrale che fu rifatta dal pincipio di questo
secolo ed è ornata e spaziosa, e la Madonna degli Angeli chiesa delle monache cappuccinelle,
finanziata da Massimiliano duca di Baviera nel 1606 a prieghi del beato Lorenzo da Brindisi. Il
palazzo dell`arcivescovato è comodo, come bastantemente grande è il Seminario.
Facciata del Seminario in Piazza Duomo - Architetto Mauro Manieri - 1720
Due forti, ossia castelli, difendevano Brindisi, quel di terra verso borea, poco distante dalle
mura, e l`altro di mare eretto su d`uno scoglio nell`imboccatura del famoso porto e dirimpetto
alla città.
Il primo si può dire che è diruto totalmente. Era una delle più veste e solide fortezze, aveva
sotterranei immensi e spaziosi. Che amene e grandiose vedute dalle sue altezze rovinose!
Tutto però ora casca e dà materiale a qualche fabbrica che si costruisce o in città o fuori.
L`altro invece si conserva ancora e dove sta riposto qualche pezzo d`artiglieria buono. Questo
castello difende le due imboccature in mezzo a cui è sito, per dove passano le navi per entrare
in porto.
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Nel porto si son versati dei tesori per nettarlo, ma di netto altro non vidi che un canale che si è
formato dal lido dove fa il carico su dei piccoli battelli e tira alle due descrittevi imboccature
per retta linea; il quale canale conviene incessantemente nettare dall`alga e dall`arena che il
vento d`est senza intermissione accumula e imbocca: vidi pochi lavoratori prezzolati, pochi
forzati impiegati, e molti inspettori.
Taccio delle lagune che circondano quell`infelice città nella quale nei tempi estivi si respira
un`aria la più malsana e dallo spiacevole lezzo. I viveri non sono qui cari. Il vino è
mediocremente buono. I fogliami sono abbondanti, teneri e saporosi, anche se le campagne
però sono, lo dico con pena, mal coltivate e per la maggior parte incolte per mancanza di
braccia. Il pesce è più scarso che abbondante, non per colpa del mare, ma per pura
infirgandaggine della bassa gente, che si contenta viver povera nell`ozio, che di sussistere
agiata colla pesca.
Altra cosa sono i nobili, puliti ed affabili, e quei pochi ch`ebbi l`onore di trattare mi confusero
colle di lor garbate maniere. Il mio amico Annibale De Leo e suo zio Ortensio, celebre
antiquario e uomo di lumi e di cognizioni, che, son pochi giorni la morte rapì, aveano di
famiglia un museo e una biblioteca che è ricca d`ottimi libri ed ha la raccolta di tutti gli
scrittori che hanno parlato delle cose di questa provincia, così editi come inediti.
Il museo contiene piccola sì, ma preziosa raccolta di monete urbiche ed imperiali, così in oro
come in argento ed in bronzo. Le corniole ed i cammei accrescono non poco splendore al
museo per la di lor bellezza e rarità, nè mancano statuette antiche di bronzo e di marmo, tra le
quali s`ammira qualche lapida originale che contiene dell`iscrizioni appartenenti a quella
antica città.
Intatto è l`archivio, così della città come di quel capitolo. Fin dal secolo XI comincia infatti
quella Chiesa a numerare le sue pergamene, e sono pochi gli archivi che esistono nel regno
così doviziosi e ben conservati. Le bolle e i diplomi che mi fe' vedere il signor De Leo,
appartengono a quella nobile città e gli aveva tutti egli trascritti...».
*****
Friedrich Leopold Stolberg, un letterato e poeta tedesco amico di giovinezza di Goethe,
venne a Brindisi nel 1792 e cosí crisse nel libro “Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und
Sicilien” del 1794:
«...Molti sono i fattori che fanno sí che da grande cittá qual era in passato, Brindisi sia
diventata una cittadina di circa seimila abitanti. Le strade che conducono a Brindisi ora sono
cattive, l´attivitá commerciale limitata, l´aria malsana. Gli abitanti hanno il viso gonfio e un
colorito pallido.
Dal porto, un tempo importantissimo, partono ora solo pochissime imbarcazioni di
piccolissime dimensioni. Il fango ha danneggiato l´accesso al porto interno, le cui acque
impossibilitate a defluire sono stagnate provocando la malaria. Il livello dell´acqua si alza per
la presenza di un´alga maleodorante e per via di un ruscello che a causa delle piogge, prima di
immettersi nel porto interno si gonfia e straripa.
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Don Carlo Pollio, l´ingegnere idraulico che adesso dirige i nuovi lavori di bonifica del porto
interno, racconta che nei lavori di sterro di una spiaggia alta, col cui terriccio si intendeva
colmare un punto paludoso, era stata scoperta la parte inferiore dei muri di una casa romana
con un pavimento a mosaico nella stanza da letto.
E racconta anche, l´ingegnere Pollio, che si stanno riempendo di terra i punti paludosi e su di
essi verranno sistemati dei giardini. Dighe di pietre impediranno d´ora in avanti l´ingresso alle
alghe e quel poco che penetrerá nel porto verrá trasportato a primavera in punti elevati a
seccare prima dell´inizio della calura estiva.
E “racconta” ...che si circonderá tutto il porto interno con muraglie su sui crescerá, secondo la
natura in questa regione, un muschio profumato. Con l´aiuto di filtri si sta sfangando l´entrata
al porto grande, sulle rive alte verranno piantati degli olmi e si devierá il torrente nel mare
aperto tramite un condotto sotterraneo che verrá fatto passare sotto la collina...».
*****
Il 20 agosto 1797, passando da Brindisi Antoine Laurent Castellan, letterato e pittore
francese, obbligato al periodo di quarentena nella rada di Brindisi, scrisse pagine e pagine
sulla cittá e sui suoi cittadini. Di seguito alcune di quelle:
«...Abbiamo gettato l´ancora sulla costa ovest, presso un serbatoio d´acqua, con vista al
Castello costruito su rocce a fior d´acqua, e che occupa il centro del grande porto e ne
comanda le due entrate. Siamo presso un gran serbatoio sotterraneo, scavato nella massa
rocciosa, é riempito da una sorgente molto fresca e copiosa che nasce dalle rocce che sono a
ridosso della costa e che alimenta “Le fontanelle” delle quali parló anche Plinio, situate
appunto nella parte occidentale del porto grande.
Mappa a scala 1/5000 - Dettaglio del Piano del Porto rilevato da Lepier - 1800
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Una scialuppa ci trasporta verso il porto interno, in cui si entra da uno stretto canale aperto da
poco per far uscire le acque del mare che, finché sono rimaste chiuse e stagnanti, si
corrompevano, esalavano vapori mefitici ed erano occasione di crudeli malattie.
Adesso l´acqua comincia a scorrere di nuovo, e l´aria sta diventando un pó piú pura e le febbri
meno micidiali, ma ci sono ancora tante esalazioni nauseabonde.
Qui e lá si vedono anche innalzarsi palme, cipressi ed alcuni altri alberi che contrastano con le
fabbriche e ne rendono le linee estremamente pittoresche.
Il porto interno si divide in due bracci che penetrano nella terra a destra e sinistra: avevamo
più volte preso quest´ultima direzione per recarci al lazzaretto, costruito di recente
all´estremitá della cittá, in riva al mare.
Gli altri lavori ordinati dal governo languono; vi sono solo occupati forzati guidati e guardati a
vista da un umero quasi uguale di soldati, per la maggior parte invalidi.
La notte nulla ci proteggeva dagli attacchi malsani dell´aria e della nebbia che penetrava in noi
con un´umiditá glaciale, il cui contrasto era tanto piú marcato quanto piú la giornata era stata
insopportabile.
Le estremitá delle lingue di mare che circondano la cittá, e particolarmente il posto in cui ci
troviamo, sono coperto di nere canne, che nascondono insetti e rettili malsani.
Inoltre dal fondo delle acque, che hanno un ammasso di matrerie putride in disfacimento, ci
sono continue esalazioni di un gas fetido, i cui globuli giungono a scopiare alla superficie del
mare e sembrano farlo ribollire. Abbiamo persino notato dei pesci che sembrano, in qualche
modo, fuggire il loro elemento avvelenato, poiché guizzano in continuazione al di sopra della
superficie e vi si rituffano solo a malincuore.
Brindisi ci é stato detto contiene sufficienti abitazioni per dare alloggio a quarantamila
abitanti; appena seimila vi vegetano. La maggior parte dei bambini che vi nascono non
raggiunge la pubertá; gli altri, pallidi e senza forza, trascinano un´esistenza dolorosa che
termina spesso con spaventose malattie. Gli abitanti diminuiscono giorno per giorno in modo
spaventoso, sopratutto durante i grandi caldi.
Se l´interno della cittá é triste e deserto, le fabbriche che offre nel suo largo sviluppo sono di
un bello stile. E poi, palme, cipressi ed alcuni altri alberi che si levano qua e lá fra le case e
contrastano con le fabbriche, rendono la vista pittoresca e piacevole.
La cittá di Brindisi sorge su una lingua di terra il cui angolo sporgente si trova di fronte
all´entrata del porto, e qui s´innalza un´alta colonna antica di marmo bianco, che termina con
un capitello composito molto ricco. A fianco si vedono il piedistallo e la base di una colonna
simile, che dopo essere crollata è stata trasportata a Lecce.
Le tante chiese, coperte di tetti piatti, o di cupole schiacciate, con i loro campanili quadrati e
dalle arcate movimentate sostenute da colonnine, offrono lo stile d´architettura longobarda
che precedette il Rinascimento, stile dal carattere di molto superiore a quelo di un gran
numero di monumenti dei secoli scorsi, in cui la bellezza plastica scompare sotto la ricchezza
di ornamenti inutili e di elementi architettonici del tutto ridicolamnete involuti.
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Rappresentazione fantasiosa di Brindisi di Antoine Laurent Castellan
(Incisione pubblicata nel Lettres sur l’Italie di A. L. Castellan - Parigi 1819)
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Costeggiando il cordone spesso interrotto delle mura, si trova il castello, le cui torrette son in
un certo qual modo ombreggiate dalle nubi di corvi che sono i loro soli abitanti. Si nota la
solida costruzione composta da pietre tra esse perfettamente combacianti, e che sembrano
essere andate oltre il tempo.
Non lungi, si trova un´antica fontana che chiamavano Appia, oggi Fontana Tancreti. Alcuni
fanno risalire la sua costruzione a Appio il cieco, altri a Traiano. Ha due serbatoi quadrati
attraversati da un arco, con un tetto piramidale di pietra. Il cartiglio e le iscrizioni occupano il
centro del muro tra i due serbatoi uniti da un canale che fa da abbeveratoio per le bestie, e
forma in un certo qual modo il basamento della fonte. Il governatore Aloisio de Torres, la
riattivó nel 1618 e vi furono attaccate tutte le altre fontane della cittá.
La Fontana Tancreti di origini romane ristrutturata dal re normanno Tancreti nel 1192
E poi, le tante rovine: terme, tombe, mosaici, vecchi pezzi di mura, case diroccate o quasi, cui si
assegnavano denominazioni fastose: qui la casa deve spiró Virgilio; vicino, quella dove
Cicerone, divorato dall´inquietudine e indeciso tra i due rivali che si contendevano l´impero
del mondo, attendeva lo sviluppo di quella grande tragedia; piú lontano, i resti dei palazzi,
dimora di Pompeo o Cesare.
Dopo circa due settimane di quarantena, trascorsa tra l´imbarcazione, il Lazzaretto e il
bagnasciuga della fontana, finalmente sbarchiamo in cittá. Non c´é una sola locanda decente a
Brindisi, ma si offre l´ospitalitá con una franchezza ed un disinteressamento degni dei tempi
antichi. La gente agiata adatta un padiglione o un appartamento della sua casa come foresteria
destinata a ricevere gli stranieri o i viaggiatori, e poi pratica nei loro confronti tutte le virtú
dell´ospitalitá. Ci ospita Don Pippo, Philipe They, un giovane amico appartenente ad una
famiglia rispettabile della Provenza, stabilitasi in questo paese da lungo tempo. Nella sua casa
ci accolse con una colazione, delle bibite e altre bevande d´ogni tipo.
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Si sa che il nome di questa cittá esprime in tutta Italia gli auguri che si formulano quando si
beve alla salute di qualcuno. La parola brindisi deriva dall´abbondanza e dall´ottima qualitá
dei vini di Brindisi, o dal debole dei suoi abitanti per i piaceri di Bacco, o dall´uso che qui si
aveva, d´improvvisare alcune rime ad ogni bicchiere di vino che si beveva; uso che esiste
ancora in varie cittá d´Italia e persino in Roma.
Un saggio antiquario di Brindisi, Ortensio De Leo, dá a questa parola una piú nobile e piú
antica etimologia: egli la fa risalire ai romani, i quali avevavo l´usanza di accompagnare i
parenti e gli amici fino a Brundisium, o di venire ad incontrarli qui al loro ritorno, ed egli fa
derivare l´espressione «far brindisi» dal nome del luogo in cui avvenivano gli addii, gli auguri
per la buona riuscita del viaggio, e dove poi ci si rivedeva, al ritorno, per la prima volta.
Peró, la cittá é povera, non ci sono quasi affatto botteghe, e non hanno che gli articoli di prima
necessitá. Se si vuole il piú piccolo oggetto di lusso, bisogna farlo venire da Lecce, Barletta, e
persino da Napoli.
Le malattie hanno spospolato intere strade, il popolo si nutre poco e male, e stuoli di
mendicanti premono alle porte di chiese e conventi, dove si distribuisce minestra. Gli
ammalati son tanto numerosi, che un solo ospedale no é piú bastato, e ce n´é voluto un
secondo; e gli abitanti diminuiscono ogni giorno, sopratutto durante i caldi.
Chi abita in campagna pare godere di maggiore agiatezza, anche a giudicare dall´abito delle
donne, che é molto ricercato. In generale peró, il costume degli abitanti di Brindisi ci é parso
singolare; un pó meno quello delle donne, le quali accettano piú o meno le mode francesi e
inglesi, mentre gli uomini vestono ancora come in Francia cinquant´anni fa.
Senza esagerare, la metá degli abitanti della cittá popola i conventi: in un luogo in cui mancano
le industrie, il commercio, e quindi ci sono poche ricchezze, si preferisce la vita in comunitá a
quella di una normale famiglia; essa é meno costosa e offre risorse ben maggiori.
D´altronde i monasteri hanno un reddito e proprietá, le quali, essendo inalienabili, sono al
sicuro dalle occasioni che spesso depistano la fortuna dei privati. L´esiguitá dei mezzi della
maggior parte delle famiglie, le pone nell´ impossibilitá di dedicarsi ai dispendiosi piaceri della
societá.
Nei conventi si é accolti; qui si trova una certa compagnia; si fanno parecchi tipi di giochi; si fa
musica; i parlatori divengono veri e propri salotti e in alcuni si fa a meno persino della ruota e
della grata. Per ció, giovani allevati sin dall´infanzia in un luogo che di convento ha il nome
senza averne l´austeritá, lo preferiscono al mondo che non conoscono e persino alla casa
paterna.
Qui non godrebbero infatti dei piaceri offerti da quei ritiri religiosi, dei quali si fa loro
apprezzare ogni fascino per convincerli a pronunciare, fin dall´etá di quattordici anni, dei voti
che procureranno loro, per il resto della vita, un´esistenza almeno assicurata, se non
assolutamente indipendente.
Il maggiore della famiglia, destinato a perpetuarne il nome, eredita la totalitá di un esiguio
patrimonio e i cadetti, ridotti a una legittima ancor piú esigua, entrano in qualche comuniá, o
partono con cappa e spada, a cercar fortuna.
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Passando un giorno sul lungomare, siamo stati colpiti dalla folla che si accalcava alla porta
d´una casa dove si udiva musica. Ci fanno spazio e ci invitan ad entrare in una stanza bassa che
serviva, da parecchi anni, da teatro in cui poter vedere le formalitá osservate per la guarigione
della puntura della tarantola.
Il “tarantolismo” a Brindisi tra il ‘700 e il ‘900
I muri di questa grande stanza erano ornati di ghirlande di foglie, di mazzolini di fiori e di
pampini con i loro frutti; erano stati persino appesi, di tanto in tanto, degli specchietti e nastri
di tutti i colori; una compagnia numerosa sedeva intorno all´appartamento, e l´orchestra
occupava un angolo: era composta d´un violino, d´un basso, d´una chitarra e d´un tamburo
basco.
Ballava una donna: aveva solo venticinque anni, e gliene avresti dati quaranta; i suoi tratti
regolari, ma alterati da un´eccessiva magrezza, gli occhi spenti, l´aspetto triste ed abbattuto,
contrastavano con la sua toilette molto ricercata e variopinta di nastri e merletti d´oro e di
argento; le trecce dei capelli erano sciolte, e un velo bianco le ricadeva sulle spalle; ballava
senza sollevarsi, con noncuranza, girando senza posa su se stessa e molto lentamente; le due
mani tenevano le cocche di un fazzoletto di seta muovendolo al di sopra della testa, che
talvolta rovesciava all´indietro: in quello stato ella ci offriva assolutamente la posa di quelle
baccanti che si vedono su certi bassorilievi antichi.
Il motivo che si suonava in quel momento era languido, cadenzato, e ripetuto a capo fino a
sazietá. Dopo si cambió motivo senza interrompere il tempo; questo motivo era meno lento, e
un terzo divenne piú intenso, precipitoso e saltellante. Questi brani di musica formavano una
successione di rondó, o quello che noi francesi chiamiamo ‘pot pourri’.
Si passava dall´uno all´altro motivo, ritornando infine al primo, per concedere un po’ di tregua
a colei che ballava, e permetterle di rallentare il passo, senza peró smettere di ballare; ella
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seguiva il movimento della musica; e, come la musica si animava, lei si agitava e girava con piú
intensitá; ma il sorriso non tornava sulle labbra esangui, la tristezza continuava ad essere
stampata nello sguardo, rivolto ora verso il soffitto, piú spesso verso terra, oppure a caso,
senza fissare nulla, benché si cercasse di distrarla con ogni sorta di mezzi.
Le offrivano fiori e frutta; lei li teneva un momento in mano, poi li gettava; le presentavano
anche fazzoletti di seta di diversi colori; lei li scambiava col suo, li agitava in aria per alcuni
istanti e li restituiva per riprenderne altri. Parecchie donne della compagnia hanno in seguito
partecipato e ballato con lei, in modo da attirare la sua attenzione e di ispirarle gioia, ma senza
potervi riuscire.
Il violento esercizio che lei sembrava prendere a malincuore e con una sorta di trascinamento
irresistibile, doveva stancarla molto; il sudore le scendeva dalla fronte; il petto era affannoso,
e ci hanno informato che tale stato sarebbe terminato con una completa cessazione delle
facoltá; che allora la si doveva trasportare al letto; che l´indomani, al risveglio, avrebbe
ricominciato a ballare e che i giorni seguenti avrebbero usato lo stesso rimedio, finché le fosse
stato procurato un sollievo.
Lo spettacolo aveva qualche cosa di penoso e mi ha molto piú intensamente colpito quando ho
appreso l´interessante storia di quella malata: non é stata punta dalla tarantola, benché ne sia
persuasa, peró la si lascia nell´errore per nasconderle o per farle dimenticare la vera causa del
suo stato, e per non toglierle ogni speranza di guarigione...».
*****
É il 24 maggio del 1818 quando un prestigioso turista inglese giunge a Brindisi, si tratta del
barone Richard Keppel Craven, che poi scriverá:
«...Brindisi, in un primo momento appare una localitá interessante per le molte reminescenze
che suscita e le vestigia che ancora conserva della sua antica importanza, ma l´immaginazione
deve stare all´erta e sorreggere quest´illusione, o poche ore saranno piú che sufficienti per
distruggerla.
Arrivai a Brindisi da Lecce, ed entrai attraversando un ponte che oltrepassa uno stretto
braccio di mare, subito seguito dalla porta della cittá. Sulla destra osservai il portale di una
chiesa gotica, Santa Maria del Ponte, con un disegno ricco ed una esecuzione perfetta.
Il porto per il quale era cosí rinomata nei tempi antichi, dettagliatamente descritto da
Strabone e da tanti altri autori, mantiene ancora i suoi vecchi confini, cosí come la particolare
forma che dá il nome alla cittá: anche capacitá e sicurezza restano inalterate, ma la poca
profonditá dell´entrata rende inutili questi vantaggi.
La Cattedrale é un grande e brutto edificio, non possiede nulla di notevole, tranne un mosaico
pavimentale ed alcuni seggi nel coro, intagliati in modo particolare. Fu inizialmente dedicata a
San Teodoro, ma dopo la ricostruzione dalla quasi totale distruzione seguita ad un terremoto,
fu posta sotto la protezione di San Pelino.
Uno dei piú significativi resti antichi a Brindisi é una colonna di marmo, alta circa 50 piedi, che
comprende basamento e capitello: i suoi angoli sono ornati da busti di varie divinitá marine
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mentre al centro sono scolpiti i volti di Marte, Pallade, Nettuno e Giove. Il basamento e la base
del pilastro dell´altra colonna che é a fianco, sono ancora al loro posto, ma la parte superiore,
abbattutasi al suolo senza una causa apparente, rimase lí fino al 1663, quando portarono i
pezzi a Lecce per ricomporla con il proposito di sostenere la statua di Sant´Oronzo. Il
trasporto fu mal fatto, tanto che le teste del capitello furono rottre e rozzamente sostituite.
Il castello, una delle piú belle costruzioni del genere che abbia mai visto, é situato a circa
mezzo miglio dalla cittá, tra questa e l´altro ponte, che racchiude il lato nord-occidentale del
porto, le cui acque, che qui sono maggiormente profonde, bagnano le fondamenta di
un´immensa torre circolare che fiancheggia questo edificio, difeso sulla terraferma da un
profondo fossato.
Tra il castello e questo lato del porto, vicino alla strada c´é una fontana, che si dice sia una
costruzione romana. Su ciascuno dei lati vi é una nicchia da cui scorrono due esigui ruscelli
d´acqua molto buona, che si riversano in un bacino di riserva piú grande, ora cosí pieno di
terra e pietre che il terreno sottostante é diventato una pozza di fango. Andai ad osservare la
differenza di gusto che, si diceva, esiste tra le due fonti, a riprova del fatto che derivano da due
sorgenti separate. Una superficie rovinata e senza forma, conserva i nomi dei romani da cui fu
costruita la fontana, del re Tancredi il normanno che in seguito la restauró, e dell´imperatore
Carlo V che l´allargó ed abbellí. Quest´ultimo nome é visibile cosí come lo stemma e la
caratteristica aquila aperta, ma non riuscii a vedere alcuna traccia delle precedenti iscrizioni.
Il porto esterno, sul lato nord é formato da un´estesa catena di rocce basse, alla cui estremitá
su un´isola, si innalza un forte usato come faro, cittadella e stazione telegrafica. La parte piú
antica del forte fu costruita da Alfonso d´Aragona, e fu in seguito ampliata da Carlo V ed
ancora allargata nel 1614 da un governatore spagnolo. L´estremitá dell´isola su cui si trova il
forte, é separata dal resto da un fossato e da un ponte levatoio. In passato questa parte era
stata usata come Lazzaretto per la posizione particolarmente adatta...».
Il castello Alfonsino con Forte a mare – Incisione del 1878
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*****
Nel giugno 1828 Craufurd Tait Ramage, il precettore irlandese in casa del console britannico
a Napoli, passò da Brindisi. Poi, pubblicò i suoi ”Ricordi del Ramage” nel ”The Nook and Biways
of Italy”.
«...Mentre si inoltrava il tramonto, guardavo con ansia davanti a me nella speranza di scorgere
le mura di Brindisi, quando fui colto da un tremendo temporale, mentre mi trovavo in un
bosco dove il mio mulattiere affermava che erano stati compiuti molti assassinati e rapine.
Però finalmente, poco dopo il tramonto, attraverso una porta semi-diroccata entrai in una
città che aveva un aspetto malconcio e deserto. Ma è sempre così nelle città italiane di notte,
perchè non vi sono lampioni nelle strade.
Porta Napoli o Porta Mesagne - Ricostruita nel 1243 da Federico II – Foto Alinari del 1905
Brindisi è una città molto antica nota ad Erodoto, padre della storia che visse nel 450 a.C.
L`ottimo porto situato in posizione molto vantaggiosa per controllare l`Adriatico, fin
dall`antichità deve aver attirato l`attenzione delle nazioni marinare. La città divenne il più
importante centro navale dei romani lungo la costa adriatica, perchè il suo porto era
abbastanza grande da consentire a tutta la flotta di trovarvi riparo sicuro. Qui nell`83 a.C.
sbarcò Silla di ritorno dalla mitridatica guerra e nel 57 a.C. sbarcò anche Cicerone di ritorno
dall`esilio.
Durante la guerra tra Cesare e Pompeo, la città fu teatro d`importanti operazioni militari e fu
qui che dopo la morte di Cesare, il giovane Ottaviano assunse per la prima volta il nome di
Cesare. È noto ai cultori della letteratura classica il viaggio compiutovi da Orazio, quando
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accompagnò Mecenate e Cocceto per concludere un accordo amichevole tra Antonio e
Ottaviano. Poi, nel 19 a.C. vi morì il grande poeta romano Virgilio, di ritorno dalla Grecia.
Anticamente vi erano due porti, uno interno e l`altro esterno, ma ora l`ingresso al porto
interno è quasi completamente ostruito dalla sabbia ed il porto stesso è divenuto poco più di
una palude, e la malaria dilaga.
Dovunque si volga lo sguardo, l`occhio è colpito da una maestosa colonna di marmo cipollino,
alta quasi quindici metri, il cui capistello è tutto adornato di figure rappresentanti gli dei
marini: al centro di ogni lato sono raffigurati i volti di Giove, Nettuno, Marte e Minerva. Vicino
a questa colonna ve ne è un`altra, di cui sono rimaste solo la base e il piedistallo: precipitò a
causa del terremoto nel 1528.
In lontananza si scorgeva un bel castello al limite nord-occidentale del porto, le cui
fondamenta venivano lambite dalle acque del porto e, dalla parte verso terra, da quelle di un
profondo fossato. Fu costruito da Federico II e completato da Carlo V. Ora adibito ad ignobili
usi, è una volgare prigione e risuona del fragore delle catene di comuni malfattori.
Vi è in questa città una biblioteca di cui avevo sentito parlare fin da quando ero a Napoli. È
abbastanza grande e contiene in prevalenza opere di teologia, poichè è un lascito del
penultimo arcivescovo di Brindisi, Annibale De Leo. Annesso alla biblioteca vi è un piccolo
museo, dove è raccolta una collezione di vasi antichi e monete.
Lasciai Brindisi per mare, sotto il sole cocente di mezzogiorno e mentre nel porto interno
procedevamo lentamente a remi, provavo un irresistibile senso di soffocamento e di languore.
Attraversammo quindi il porto esterno: l`imboccatura è protetta da alcune piccole isolette
sulla maggiore delle quali, Sant`Andrea, sorge un castello fatto erigere da Alfonso II.
Anticamente su quest`isola esisteva pure un faro simile a quello di Alessandria. La nostra rotta
era tra le isolette e la terra ferma. Da li, la città di Brindisi con il suo castello, che si trova su di
un terreno leggermente elevato, aveva un aspetto molto imponente...».
*****
E l´anno seguente é la volta di un altro svizzero, Charles Didier che nel 1829 passa da
Brindisi e cosí la racconta:
«...Passata ad Otranto, poi a Gallipoli, la vita marittima era un tempo tutta concentrata nella
città di Brindisi. A Brindisi si approntavano le invincibili flotte, destinate dai romani alla
conquista dell`oriente. Effettivamente il suo porto è un miracolo della natura, in una zona così
unita e così scoperta: una grande rada formata da due moli naturali, la cui entrata è protetta
da un castello. In fondo al porto, un canale, che comunica con un bacino circolare, il quale si
sviluppa intorno alla città, e che doveva essere d`un meraviglioso effetto quando le navi
romane, nel loro fasto, vi dondolavano.
Si distinguono ancora alcune delle colonne che Cesare aveva fatto erigere all`entrata del porto
circolare per bloccarvi Pompeo. La decadenza della città ha inizio da quel momento, il 49 aC.
Queste colonne trattennero infatti mucchi di sabbia che si accumularono, e poi nel 1450, altri
completarono la rovina del porto, facendovi colare a picco imbarcazioni piene di pietre. Tutti
quegli ostacoli avevano lasciato soltanto un passaggio molto stretto e cosí poco profondo, che
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solo le piccole barche potevano arrivare al bacino. Non rinnovandosi più l`acqua, essa divenne
una palude pestilenziale. Sono stati fatti in seguito alcuni lavori per allargare il canale, anche
molto recentemente, ma sono insufficienti e nondimeno il porto è per metà colmato.
Delle due colonne che s`innalzavano sul porto, una si è conservata intera per miracolo;
dell`altra non restano che il piedistallo e un solo pezzo del fusto rovesciato, messo di traverso,
senza dubbio a causa di terremoto. Queste due colonne di marmo bianco, alte cinquantadue
piedi, essendo l`altezza del fusto troppo grande in rapporto al diametro, risultavano
sproporzionate. Si è molto discusso sulla loro destinazione. Siccome si trovavano di fronte
all`ingresso del porto, si è affermato che sostenessero un faro, ma ciò è poco credibile. È più
probabile che fossero lì erette solo per segnare il termine della via Appia.
Le colonne romane – Litografia del Wenzel - 1828
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Non rimane null´altro del fasto di Brindisi, nemmeno le rovine. Due o tre secoli fa, si vedevano
ancora un teatro, delle terme, un tempio del sole e della luna; tutto ciò è stato distrutto, forse
per costruire il forte marittimo e il seminario. Rimangono soltanto un frammento di mura
reticolari alla porta di Napoli, e un pozzo, il traiano, la cui costruzione ricorda la grandezza
romana.
Decimata dalla malaria, la popolazione di Brindisi è scesa da centomila abitanti a seimila: nel
1829 sono nati 270 e sono morti 484.
Brindisi passa per pochissimo civilizzata e per poco industrializzata. Le campagne dei dintorni
sono vere steppe deserte e spesso paludose, dove si può camminare un giorno intero senza
incontrare un viso umano e senza trovare un albero, sotto cui ripararsi dal sole.
Brindisi è la patria del poeta tragico Pacuvio, nipote di Ennio; e si sa che nel 19 a.C. vi morì
Virgilio, e che nel 20 d.C. la vedova di Germanico vi fece sbarcare le ceneri del suo sposo,
avvelenato in oriente.
Nel Medio Evo Brindisi fu teatro di solennità nunziali. Nel 1192, vi furono celebrate le nozze
di Ruggero figlio maggiore di Tancreti, con Irene, figlia dell`imperatore greco, Isacco.
Più tardi furono celebrate le nozze di Federico II con Iole, figlia di Giovanni di Brienne, il quale
aveva ottenuto il titolo di re di Gerusalemme dalla moglie, la regina Maria. Anche Federico II
ricevette in dote questo titolo durante il rito nuziale, e lo stesso fu anche confermato a Carlo
d`Angiò; per cui infine è rimasto al re di Napoli...».
Panoramica - Litografia di Pietro Parboni - 1830
51
*****
Nel febbraio 1851 Gustave Flaubert, lo scrittore francese autore del celebre Madame Bovarý,
sbarcó a Brindisi tornando dalla Grecia, e annotó, secondo certa moda del tempo, le
telegrafiche impressioni seguenti:
«...Lunedí 10 febbraio:
Vista di Brindisi con coste basse, forte e porto - Marinai in maglione - Musicista ambulante e
giovanotto rosso, in cappottino di velluto e basco calzato sull´orecchio - Ipertrofia di cuore Dogana con il commissario di polizia - Strade bianche e tortuose, teatro, albergo di Cupido Cena - Passeggiata fuori cittá, strada, aloe, angolo fortificato, colore arancio del sole, calma Contadini e contadine che ritornano dai campi - “Buona sera!” - Ritorno in albergo - Teatro
“La figlia del conte Orloff “- Notte in grandi letti.
Martedí 11 febbraio:
La mattina aspetto Max che é andato a fare il giro della cittá - Polizia - Partiti proprio a
mezzogiorno - Vecchia carrozza tappezzata in rosso su alte ruote; tre cavalli neri, piume di
pavone in testa. Il padrone, omone in berretto di seta sotto il cappello bianco, ci accompagna;
dietro oltre il cocchiere, c´é un ragazzo a cassetta. Usciti per il luogo in cui ieri sera siamo stati
a passeggio - Strada dritta, pianura piatta, molto verde, ben coltivata; il mare a destra, ben
presto lo si perde di vista - Una fattoria - Passo falso, ci fermiamo, la terra é polverosa, friabile,
spessa – Boschetto di quercioli - Operai lavorano per fare ponti sulle inondazioni...».
Il Castello di terra costruito da Federico II nel 1227 - Artaud de La Salle M. - 1837
52
*****
Ed il 16 marzo del 1853, Wilhelm Vischer, esploratore botanico svizzero, costeggiando
l´Italia per recarsi in Grecia da Trieste, ove si era imbarcato sulla nave a vapore “Mamudie“
appartenente al Lloyd Austriaco, toccó il porto di Brindisi e scrisse:
«...Alle cinque della sera ci ancorammo vicino Brindisi, l´antica Brundisium. Nell´antichitá era
il primo, per importanza, porto di mare della costa orientale italiana e localitá abituale di
transito per l´Illiria e la Grecia, ma oggi é molto decaduta.
Il porto interno, spazioso e ben protetto, é infatti ora insabbiato e accessibile soltanto da
alcune piccole imbarcazioni. Quelle piú grandi devono rimanere in quello esterno, piú esposto
al vento, sul cui lato nord si trova una fortezza con il faro e il telegrafo. Un´altra fortezza, di
maggiori dimensioni, domina il porto interno. A sud di questo porto si estende la cittá, che,
vista dal mare, fa una bella impressione.
Veduta di Brindisi - Mezzatinta acquarellata da un´icisione su rame del 1845
Sugli edifici urbani si erge la vecchia Cattedrale, con una grande cupola ed il campanile
separato da questa. Nella zona esterna sul mare, si elevano due antiche colonne, di dimensioni
possenti, che sono visibili da lontano: l´una é interamente conservata, l´altra risulta diroccata.
L´intera costa orientale d´Italia dal monte Gargano sino a Brindisi, é abbastanza piatta e su
bassi dossi colinari della costa pugliese, che si trovano a una certa distanza dal mare, si
scorgono numerose localitá, da lontano molto belle nel loro biancore scintillante. La zona di
Brindisi é invece molto piatta e risulta poco salubre.
Dopo alcune ore di sosta per imbarcare merci e passeggeri, lasciammo il porto e puntammo
verso la costa dirimpettaia del mare Adriatico...».
53
*****
Ed in quello stesso 1853 l`ingegnere barese Luigi Giordano si recó a Brindisi per questioni
legate alla sua professione, e successivamente pubblicò la seguente dettagliata descrizione
fisica del porto corrispondente a quell´anno:
«...Vuolsi distinguere il porto di Brindisi in due parti, tra loro congiunte da un canale di
comunicazione. La esteriore, che propriamente può dirsi rada, di lunghezza palmi 6000 dal
ridetto canale sino ad incontrare l`isola del Forte di mare.
La profondità delle acque in questa rada, tra i limiti di palmi 14 a 45, finiva con altezze minime
presso al canale; la traversia principale è nella direzione di E-NE.
Mappa del Porto di Brindisi elaborata in inglese nell´anno 1810
(Appartenente alla Biblioteca dell´Univeridad Ebrea di Gerusalemme)
La parte interna constituisce propriamente il porto; essa si divide in due rami, nel mezzo dei
quali è la città. Il primo di sì fatti rami detto occidentale, ha la lunghezza di palmi 6500 fino ad
incontrare il ponte grande su la strada per Lecce, la larghezza media é di palmi 1200. Il
secondo verso oriente, ha la lunghezza di palti 4500, ed arrestasi a palmi 1200 sottocorrente
al ponte piccolo su la stessa strada per Lecce, la sua larghezza media è palmi 800.
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La profondità delle acque é maggiore nel primo che nel secondo ramo, ma spesso interrotta da
bassi fondi, principalmente nel punto in cui si uniscono i rami ed in prossimità del lido.
A questi rami del porto seguono due ampie e profonde vallate, le quali rispettivamente son
chiamate dai due ponti di cui abbiamo discorso. Quivi le acque impaludavano, del pari che
nello spazio il quale rimane fra il limitare del secondo ramo del porto ed il rispondente ponte
su la strada di lecce.
Tra il porto interno e la rada è uno stretto che li pone in comunicazione. Scarsissima é la
profondità delle sue acque, e verso la parte interna veniva distinto in due canali dall`isola
Angioina da cui quello di levante toglieva il nome, nell`atto che l`altro di ponente si
denominava Borbonico.
Procedendo dal ridetto stretto di comunicazione verso la rada, è su la destra la costa di Cala
Murena, dalla quale partono due vaste paludi. L`una, denominata fiume piccolo, rimane in un
burrone profondo, distante dallo sbocco del canale percorrendo il lido palmi 2800, la
lunghezza è palmi 3800, la larghezza media palmi 500. L`altra, dimandasi fiume grande, dista
dalla precedente palmi 8000, ha la lunghezza di palmi 5800, la larghezza media di palmi 1100.
Ad oriente dello sbocco di fiume piccolo nella rada è una secca di pietra mazzaro, che s`inoltra
nel mare per la lunghezza di 1500 palmi.
Questa costa di Cala Murena, e più quella parte che tra i due burroni intercede, ha per lunghi
tratti una scarpa verso il mare quasi verticale, di più o men notevole altezza, composta di
terra, bolo e tufo carpino, disposti per lunghi e spessi strati; una sì fatta scarpa così
pronunziata è normale alla direzione dei venti boreali, che la pongono in frana continua.
A sinistra della stessa rada è la Costa Guacino la quale, composta dagli stessi materiali della
opposta costa, è più soggetta a franamenti per la sua esposizione ai venti orientali, e nella
parte prossima al canale, anche a quelli della traversia. La lunghezza di quella linea di sì fatta
costa, che più ai franamenti rimane esposta, è circa palmi 5500.
Un due miglia all`incirca dallo sbocco del canale nella rada, ed alla distanza minima di palmi
2200 dalla costa destra, sono le così dette Pedagne; scogli di alquanta estensione, che di pochi
palmi si elevano dal livello del mare.
La mentovata isola del Forte di mare, la quale quasi limita la lunghezza della rada, rimane
circa 2200 palmi distante dalla Costa Guacino. Questa isola è divisa in due da un canale cavato
appositamente nel masso per isolare il forte...».
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Il 25 maggio 1865, poco dopo l´unitá d´Italia, venne inaugurata a Brindisi dai principi Umberto e
Amedeo di Savoia la stazione ferroviaria, la cui costruzione era stata favorita dal progetto della
«Valigia delle Indie» divenuto realtá nel 1872, a sua volta conseguenza quasi diretta dell´apertura del
Canale di Suez, inaugurato il 17 novembre del 1869, nonché del completamento del traforo del
Moncenisio che sotto il monte Frejus aveva comunicato l´Italia con il nord d´Europa il 17 ottobre del
1871. E cosí finalmente, in una cittá che con un porto risanato ed in buona parte ristrutturato
comiciava a rinnovarsi, le descrizioni dei viaggiatori che da Brindisi cominciarono a transitare
sempre piú numerosi, cambiarono via via il tono.
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Maria Esperance von Schwartz, in arte Elpis Melena, scrittrice tedesca di origine, amica
personale di Garibaldi, si trovó a passare da Brindisi in viaggio per la Grecia nel 1868 e, con lo
pseudonimo di Elpis Melena, nel volume “Von Rom nach Creta” pubblicato nel 1870, scrisse:
«...Brindisi evoca l´atmosfera orientale dei vicoletti non lastricati, delle abitazioni a un piano e
dei negozietti levantini. E appena il progetto della ‘Valigia dele Indie’ andrá in porto, Brindisi
andrá certamente incontro ad un avvenire radioso.
L´Hotel d´Inghilterra, gestito da Sebastiano Gallo, é sorprendentemente pulito ed é fornito di
ogni confort. Mentre in cittá fervono i lavori di sistemazione di un mastodontico albergo
internazionale composto da diverse case situate sul mare.
E su quello stesso mare giunge l´allegra baldoria dei marinai inglesi ubbriachi, mentre dalla
coperta di una fregata ancorata sulla banchina risuona un canto popolare irlandese.
Nelle strade interne richiamano l´attenzione le lunghe fila di muli che sono stati acquistati in
parte dall´esercito italiano per la sua artiglieria da montagna, in parte dagli inglesi per una
spedizione in Abissinia...».
Il Grand Hotel delle Indie in costruzione sul lungomare - Foto Giacomo Brogi 1870
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Le Sciabiche: lo storico quartiere marinaro di Brindisi - Foto Giacomo Brogi 1870
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E di nuovo un altro importante paesagista visitó Brindisi, questa volta in quello stesso 1868.
Si tratta di pittore americano Sanford Robinson Gifford, che giunse a Brindisi per imbarcarsi
per l´Egitto, poco prima dell´inizio delle operazioni della ‘Valigia delle Indie’ e rimase cosí
colpito dalla bellezza del paesaggio portuale e dalla speciale luce che da quel mare scaturiva,
tanto da decidere di dipingerlo, con le barche a remi e le bellissime barche a vela dei pescatori
e con sullo sfondo, velato ma imponente, il Castello Alfonsino e il nostro Forte a mare.
Fishing Boats coming into Brindisi Harbor – Oleo di Sanford Robinson Gifford - 1868
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E nel 1875 fu la volta di una breve visita a Brindisi di Ferdinand Gregorovius, il famoso
storico tedesco autore del libro “Nelle Puglie” pubblicato anche in italiano a Firenze nel 1882.
Purtroppo Gregorovius, il cui cognome era originariamente Grzegorzewski, non ebbe il tempo
di sostare molto a Brindisi e forse per questo, nel suo libro non vi é un capitolo dedicato alla
cittá, ma solo qualche appunto nel diario dei suoi viaggi: ”Brindisi! Quali ricordi dell´epoca di
Pacuvio, Antonio, Cesare e Augusto. Con un senso di nostalgia guardai oltre il porto verso il
mare di Grecia” e poi il seguente breve cenno, nella parte finale del capitolo dedicato a Lecce:
«...L´archivio del Duomo di Brindisi é valorosissimo e possiede ben cinquantotto bolle di papi,
un diploma greco dell´imperatore Basilio, dieci dei Normanni, sei degli Hohensthaufen, sedici
degli Angioini, uno dei conti di Lecce, ventiquattro dei principi di Taranto, quattro degli
Aragonesi e due della repubblica di Venezia.
E quello sin qui detto dovrebbe essere sufficiente per dare al lettore un concetto delle
condizioni e degli eventi come anche degli studi storici in questa singolare cittá, ove un tempo
la piú raffinata cultura ellenica, innestandosi sul tronco rozzo e barbaro detto comunemente
messapico, venne in fiore e poscia bruscamente dié giú e si disfece, senza che altre forme del
pari significanti di civiltá venissero a prenderne il posto.
É peró ben possibile che l´antica Calabria s´apparecchi ora ad andare incontro ad un nuovo e
splendido avvenire, e che Brindisi ripigli daccapo importanza internazionale, come stazione
centrale europea sulla nuova Via Appia degli scambi mondiali, la quale, muovendo
dall´Inghilterra, va oggi sino all´India e alla Cina...».
Il vagone ristorante della Valigia delle Indie “Londra-Brindisi-Bombay” - Foto del 1912
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E ironia della storia: fu proprio in quello stesso anno 1875 che Brindisi fu visitata da un altro
famoso straniero, un personaggio peró di indole e fisionomia ben diverse da quelle dello
storico tedesco Gregorovius. Si trattava del poeta francese Jean Nicolas Arthur Rimbaud, il
celebre "poeta maledetto" del movimento decadentista, che morí nel 1891 con soli 37 anni
appena compiti.
Con una esistenza assolutamente rocambolesca e scioperata venne a Brindisi, partendo da
Milano e viaggiando per lunghi tratti a piedi, come era sua abitudine, restandone affascinato...
da un fascino al quale molto probabilmente contribuí la bontá e l´abbondanza del vino rosso
brindisino!
A Brindisi Rimbaud si trattenne per ben cinque mesi, nel vano temporeggiare per un imbarco
sul piroscafo della Valigia delle Indie che poi non ci fú, suscitando tra i paesani non pochi
commenti, con quell´aria strampalata ed a tratti allucinata dal buon vino, passeggiando su e
giú per il corso e per il lungomare, o frequentando le numerose cantine in compagnia dei tanti
crapuloni locali dell´epoca bevendo cantando con la erre moscia, o in qualcuno dei bordelli
cittadini per soddisfare personali voglie "sregolate" (G. Cafiero, 1991).
Tra i suoi versi Rimbaud non risulta aver lasciato un esplicito riferimento a Brindisi, ma
Giancarlo Cafiero, al quale piace credere che Rimbaud abbia amato profondamente Brindisi, é
anche convinto di leggerne il racconto in alcuni di essi:
Poesie di Jean Nicolas Arthur Rimbaud con un suo ritratto del 1871
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Scritta raccogliendo e riordinando pezzi elaborati a piú riprese fino al 1883, anno in cui si
pubblica a Milano, "Le Rive dell´Adriatico e il Montenegro" é un´importante opera odeporica
composita, legata alla produzione giornalistica del reportage di viaggio. L´autore é infatti il
francese Charles Yriarte, la cui vita si divide tra incarichi istituzionali e produzione letteraria,
viaggiando per l´Europa, e svolgendo le attività di scrittore e di giornalista.
L´esteso capitolo che nell´opera è dedicato a Brindisi, ad una prima veloce lettura pare essere
null´altro che un "acido" ritratto impietoso della città di quel fine Ottocento, in buona misura
peró abbastanza in contrasto con quanto raccontato da altri viaggiatori dell´epoca. Avrà ciò
qualcosa a che vedere con la nazionalità dell´autore, nazione alla quale apparteneva la città
portuale di Marsiglia, acerrima competitrice di Brindisi per la valigia sulla rotta da Londra a
Bombay? Francamente credo proprio di si!
«...Come città moderna, ed escluso l´interesse che può svegliare tra i cultori della storia,
Brindisi non riserva al viaggiatore altro che un disinganno senza compenso. È una grande
illusione nazionale, accarezzata per molto tempo, e, giova dirlo, ormai svanita in tutti i cervelli
pratici. Ma, per essere giusti, basterebbe una circostanza -per esempio una guerra dell´Italia, o
di una potenza alleata dell´Italia, in Oriente- per darle di nuovo momentaneamente una
grandissima importanza: quella importanza appunto che alcuni economisti e certe menti facili
ad accendersi le avevano predetta per sempre.
Il suo porto è vuoto, e costantemente vuoto; in cinque giorni, vi ho veduto cinque navi, di cui
due vengono a tempo fisso: l´una per il servizio delle Indie, l´altra per quello d´Ancona. La
natura ha fatto moltissimo per questo porto, giacchè è ben riparato, e forma un bacino
naturale protetto contro l´alto mare da una lingua di terra abbastanza alta per tagliar i venti.
La goletta è larga e profonda, e stende, per così dire, la foce alle navi che la cercano; la
disposizione è felicissima: rappresenta un corno di cervo rovesciato, di cui la radice
figurerebbe l´entrata, e i due rami i due bacini, riparati ciascuno da un promontorio: tra essi si
avanza la città. Questa forma naturale della pianta del porto è così spiccata, che Brindisi prese
per stemma un corno di cervo; dappoi gli Spagnuoli aggiunsero una colonna tra i due rami.
Per altro, in tutte le medaglie antiche da me viste, l´attributo di Brundusium è un arione sopra
un delfino. Anche se il simbolo del corno non deve risalire molto addietro nella storia, è
curioso che tutti gli antichi scrittori che discorrono del porto di Brindisi, parlando dei due
bacini, dicono: il Corno.
La posizione geografica, rispetto all´Oriente, è unica come via rapida di comunicazione; ma è
soltanto un passaggio, e un passaggio così rapido, che gl´Inglesi dell´India, i quali, partiti da
Sonthampton per Bombay, hanno attraversato la Francia e l´Italia come un lampo, non
mettono, per così dire, piede a terra a Brindisi, sopratutto dopo che la valigia si spinge fino alla
riva. S´imbarcano senza gettar uno sguardo sulla città; gli abitanti speravano di trattenerli nel
ritorno, e avrebbero forse potuto riuscirci; ma quando l´isolano lascia una nave, dove ha
vissuto diciassette giorni -durata regolare dei viaggio da Bombay a Brindisi- non prova come
noi, deboli continentali, il bisogno di ripigliar forze sulla terraferma; i più anzi non fanno
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neppur le abluzioni a terra, giacchè escono da una cabina fornita di tutti i comodi; nè sentono
nessun desiderio di rifocillarsi, non essendosi privati di nulla. Insomma, nulla li eccita, nè
curiosità naturali, nè attrattive procurate dall´industria degli abitanti; e passano oltre.
Due altre circostanze hanno potentemente contribuito a distogliere i viaggiatori dal
soggiornare a Brindisi. L´albergo pomposamente intitolato: Great Eastern India, che sorge
proprio sulla riva, allo sbarco dal piroscafo, vuol essere evitato con cura.
Fatto costruire dalla Società delle ferrovie meridionali, ha aspetto decorosissimo; ma, oltrechè
i prezzi sono assolutamente inverosimili, mi par impossibile di potervi mangiare: arrivato alle
undici di notte, ho dovuto, pur avendo davanti una tavola pulitamente apparecchiata, con
arredi decenti e un numeroso personale di camerieri, andarmene a letto senza neppur
sgranocchiare un biscotto secco con un pó di formaggio. L´albergo essendo vuoto sette giorni
sopra otto, quest´ottavo è un´occasione troppo propizia per scorticare a sangue l´inglese che
sbarca di ritorno dalle Indie; se non che l´inglese ha una vendetta pronta: la propaganda ostile,
e poichè gl´Inglesi non canzonano su questo punto, i loro compatrioti evitano attentamente
l´albergo ormai denunziato.
Il piroscafo della Valigia delle Indie di fronte al Great Eastern India Hotel - 1880
Non è del resto da dimenticare che i piroscafi della Peninsular and Oriental Company hanno
per testa di linea Venezia: i viaggiatori, non assolutamente angustiati dal tempo, preferiscono
fermarsi in quest´ultima città, che ha sempre un´attrattiva per gli stranieri; cotesto itinerario
permettendo loro inoltre di passar un giorno a Milano, trascurano Brindisi, che non presenta
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loro nulla. Senza dubbio, il passaggio dei viaggiatori può arricchire una città, massime se è
continuo e abbondante; ma Brindisi aveva fatto assegnamento sopratutto sul transito, e, anche
da questo lato, la delusione fa non meno grande. Se cerco una ragione pratica, la trovo nella
stessa posizione della città, così vantaggiosa per il viaggiatore, ma ben poco per
l´esportazione. Infatti, Brindisi è il primo porto all´ingresso del golfo Adriatico, e le mercanzie
trovano ogni vantaggio a proseguir il viaggio fin in fondo al golfo, sia a Trieste, sia a Venezia.
La traccia di questa disillusione, così prontamente venuta per Brindisi, lo straniero la scorge ai
primi passi che move nelle vie; la città si direbbe danneggiata da un terremoto e, senza
nessuna esagerazione, un buon quarto delle case sono cominciate e coperte di paglia. Le
costruzioni furono sospese all´altezza dei primi strati di mattoni del primo piano, e moltissime
botteghe sono chiuse. Brindisi ha l´aspetto di un grosso villaggio nuovamente tagliato, nella
parte moderna, da una larga via che va dalla stazione al porto; ma la sonnolenza e
l´abbandono lasciano un´impronta su ogni cosa. Non esistono qui nè monumenti, nè piazze, nè
mercati. Le vie sono malissimo tenute; non c´è industria, nè altro commercio fuor di quello
dell´olio e del vino: lo stagnamento pare completo.
Il porto deserto vede deserta anche la parte della riva dove approdano i piroscafi. Rompono
un pó questa meschina apparenza alcuni antichi stabilimenti, monasteri o palazzi;
un´abitazione curiosa, la casa del Montenegro, vicina al porto, rovinata e convertita in
tipografia, indica cosa doveva essere un tempo l´abitazione d´un nobile a Brindisi. La parte
della fortezza dov´è la galera e alcune vestigia del tempo degli Spagnuoli, parlano
all´immaginazione degli amatori della storia; ma è difficile dimenticar la delusione provata. A
questa riva, la mente si figurava di trovare una facciata straordinaria; di vedervi approdare
tutte le nazioni viaggianti; inoltre, di contemplarvi io spettacolo di una varietà di vestiarii
come a Smirne, un movimento come a Marsiglia, dei facchini affaccendati a scaricar e caricar
mercanzie, delle ferrovie, dei carri carichi e scarichi, dei docks; insomma l´Oriente in Europa, e
l´Inghilterra attiva in Italia: come appunto aveva promesso l´ammiraglio Ferragut il giorno in
cui, gettando gli occhi sulla felice disposizione della entrata e dei bacini del porto, pronosticò
l´avvenire di Brindisi.
Personalmente, per altro, abbiamo avuto dei compensi; tutte le nazioni del mondo hanno qui
dei consoli, giacchè tutti i principi, più o meno, passano un giorno di qui; e il rappresentante
della Francia in questo porto, signor Mahon, un pó nostro confratello, avendo scritto alcuni
volumi pieni d´interesse, ci ha consolati alla meglio del nostro disinganno: Brindes o
Brundusium ci avrebbe del resto fatto dimenticare la Brindisi dei tempi moderni.
A cinque metri sul porto, sopra un breve terrazzo, sorgono le due colonne monumentali, che
indicavano il cominciamento della via Appia. Questa regina viarum, come dice un verso di
Stazio, principiando da Roma, andava fino a Benevento, e passando per Venosa e Oria,
metteva capo al porto. Gli eserciti romani, movendo alla conquista dell´Oriente, partivano
direttamente dalla capitale, per imbarcarsi qui sulle galee: Brundusium era il Brest o il Tolone
dell´Italia; innalzare queste due colonne al punto dove la strada riusciva al mare, era far
allusione alle colonne d´Ercole, e designar la fronte dell´impero sull´Adriatico con una
prospettiva sulla Grecia e le rive di quell´Oriente, che Roma stava per sottomettere, prima di
veder sè stessa cancellata dalla superficie del mondo per opera dei Barbari.
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Chi in questa celebre Brundusium, prendesse a studiar le antichità, e sopratutto l´epigrafia,
giacchè in realtà non ci sono monumenti romani intatti e nemmeno rovine di monumenti
salvo le colonne, quali grandi memorie non evocherebbe a Brindisi!
Veggo nella città un pozzo che si chiama Pozzo Trajano e leggo in Pratillo un´iscrizione del
Municipio di Brindisi in onore dell´imperatore. Qui si ancorava la flotta romana o di qui
partivano tutte le soldatesche per l´Oriente; eravi un arsenale e una scuola navale, nel porto si
fabbricavano delle galere come i nostri vascelli da scuola, unicamente per istruire ufficiali e
marinai. Pel traffico gli Orientali ci avevano banchi, e fra i cippi che si trovano nel museo, in
uno leggiamo il nome d´un negoziante della Bitinia, che qui dimorava: Hostilius Hypatus,
Bithynus negotiator.
Allora come adesso si esportavano fichi squisiti, e quando Crasso s´imbarcò per la sua
sfortunata spedizione contro i Parti, siccome i merciaiuoli gridavano per le vie: "Cauneas!
Cauneas! Dei fichi! Dei fichi!" una certa inflessione nella pronuncia fece credere ai suoi soldati
superstiziosi che si gridasse "Cave ne eas" -guardatevi di partire-. Essi ebbero cosí il
presentimento del disastro che li attendeva.
Oggi, dal principe di Galles sino a lord Lytton e Midhat pascià, quanti partono per l´Oriente e le
Indie passan di qui; ed era lo stesso allora. I generali, i consoli, i questori, gl´imperatori
quando si ponevano alla testa degli eserciti, attraversavano la città. Il ricordo di Mecenate,
quello di Pacuvio, di Cicerone e di Virgilio è qui vivissimo. Mecenate ci venne a riconciliare
Antonio ed Augusto, Marco Pacuvio ci visse tutta la sua vita.
Di Cicerone, si segue giorno per giorno l´itinerario. Egli è esiliato dalla legge Clodia 357 e deve,
in forza del testo stesso della legge, dimorare a quattrocento miglia da Roma; viene a
imbarcarsi a Brindisi per la Grecia. Quando dico che viene a Brindisi, dovrei dire sotto
Brindisi, perchè vi si nasconde finchè Attico sia venuto a raggiungerlo nei giardini di Lenio
Placco. Egli parte per Durazzo d´Albania, ove resta un anno soltanto, poi richiamato torna a
Brindisi il giorno stesso della festa della colonia, ed è portato in trionfo. Sei anni dopo vi
rientra ancora come proconsole, poi come trionfatore coi fasci e il lauro e vi soggiorna ancora
tre volte di seguito: l´ultima volta, era la dimane di Farsaglia.
Virgilio mori a Brindisi, e vi mostrano la sua casa: È sul porto, quasi su quel terrazzo donde
s´innalzano le colonne. Benché nobile nelle modanature e grave nella sua semplicità, la dimora
del poeta, in faccia a quel mare azzurro, a quelle belle coste colorate, a quella natura ridente,
con una vista lontana dell´Oriente, par ritratta dall´epoca del Rinascimento -voglio dire di quei
begli anni quando le modanature eran sì pure- in guisa che mi è d´uopo interrogare la materia
piuttosto che la forma per sapere se mi trovo dinanzi a un monumento antico o ad una
costruzione della fine del secolo decimoquinto o dei venti primi anni dell´undicesimo.
Infine la tradizione esiste, e certo v´ha qualche cosa, perchè Virgilio ritornò dalla Grecia con
Antonio e Augusto; cadde malato a Brindisi per effetto del mare, e mori davanti il porto, il 22
settembre, ventott´anni (?) prima della venuta di Cristo. La casa è segnata nei documenti del
tempo quale Domus Virgilii Maronis in loco San Stephani et juxta viam publicam ex Borea.
E si capisce facilmente che cosa fosse allora la città, già fortificata poichè Cesare parla di lavori
d´assedio dovuti fare al principio della guerra civile e, senza dubbio ben fornita di monumenti.
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Casa di Virgilio a Brindisi - Incisione in acciaio di Karl Werner – 1840
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Ma Federico II, che edificò il grande e forte castello ancora in piedi, dopo i Barbari distrusse
ogni cosa per servirsi dei materiali. La decadenza di Brindisi si spiega benissimo. Dovette
cadere d´un colpo il giorno in cui Roma cessò d´essere l´unica capitale dell´impero, e
Costantinopoli divenne residenza degli imperatori; per il porto militare l´era finita. Non più
flotte, non riunioni di truppe per l´Oriente, non caserme, non arsenali, non magazzini di viveri,
e quindi non più esportazione, nè commercio: è la fine d´un mondo, e questo luogo appartato
d´Italia non ha ormai più relazioni col mondo esterno.
Nel quarto secolo conserva le proporzioni di città, benché deserta; ma sotto Giustiniano, nel
quinto secolo, Procopio la descrive come desolata, mezzo distrutta, e priva delle mura.
Brindisi non andò immune dalle devastazioni dei Goti, dei Greci, dei Longobardi e dei Saracini:
quest´ultimi ne compirono la rovina. Insomma, di tutti quegli avanzi romani che dovevano
essere enormi, resta in piedi soltanto una colonna e il rimanente si rassume in iscrizioni e in
pietre d´anfiteatro e di terme. Degli altri periodi, rimangono sopratutto delle costruzioni
militari fatte da Federico II di Germania e anche dagli Aragonesi, i cui stemmi decorano le
porte e le facciate. Le fosse della città furono convertite in orti e i galeotti vi coltivano legumi.
Non ho ancora toccato della condizione più grave: alludo alla mal´aria, a quell´emanazione
sottile che genera la febbre, insidia l´abitante e lo distende sul letto in preda ai brividi, colla
tinta livida. Molto fu fatto per migliorare le tristi condizioni di Brindisi rispetto alla salubrità; i
pantani d´acque stagnanti furono convertiti in orti; Carlo III, che fu re di Napoli, si adoperò
molto al risanamento, e anche Ferdinando II se ne occupò con sollecitudine.
L´eccellente arcidiacono Giovanni Tarentini, che fu nostra guida, ci ricordava il tempo in cui in
questo corso dove passeggiavo con lui e col signor Mahon, crescevano i giunchi nei paduli. Si
sarebbe potuta vincer la natura, ma a patto che il risultato corrispondesse agli sforzi fatti per
rialzar Brindisi; e non essendosi avverata la speranza d´una grande affluenza, la città s´è
stancata, la provincia ha rinunziato a spese infruttuose e il governo italiano, così ricco di porti
da Venezia fino a Genova, non ha creduto doversi imporre nuovi sacrifizi.
Non posso dire che non ci sia a Brindisi nessun monumento archeologico degno d´interesse.
L´arcidiacono Tarentini mi fece gli onori di una scoperta recente: é una cripta di forma
quadrata, che si apre nella chiesa di Santa Lucia e rappresenta certamente un antico tempietto
dei primi tempi cristiani, dedicato già a San Nicola, vescovo di Mira. La cripta daterebbe senza
dubbio dal tempo in cui i Greci introdussero in Italia il culto di San Nicola, cui Giustiniano
aveva dedicato un tempio a Costantinopoli ed il cui corpo è conservato nella chiesa di Bari. Un
altro monumento che mi parve degno d´illustrazione, è San Giovanni, una basilica dei primi
tempi cristiani: trovasi ridotta a uno scheletro, ma la città di Brindisi dovrebbe conservarne
gli avanzi. Dal solo aspetto dei muri e delle colonne di marmo, è evidente esserci qui delle
vestigia di tempi vetusti. Le porte non sono più quelle che davano anticamente accesso; il
carattere bizantino nasconde le forme romane, incassate nella muraglia; dei grossi
rivestimenti impediscono di vedere le commessure a secco, senza calce nè cemento, che
indicano una costruzione antica; la pianta circolare, leggermente ovale, denunzia l´origine:
sgraziatamente, la volta è rovinata. Sui muri si vedono ancora alcuni affreschi di tempi molto
posteriori, e sul suolo giacciono dei frammenti di statue del periodo romano, e dei capitelli
spezzati, piamente raccolti dalla mano dell´eccellente canonico...».
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*****
Poi nel 1890 il filologo austriaco Gustav Meyer, visitó Brindisi e nel suo libro “Puglia 1890”,
tra altre cose, scrisse:
«... Brindisi, da tutti quelli che son costretti a restarvi soltanto un paio di ore, od anche un
giorno solo, per aspettare il battello a vapore, è ritenuta come un sito mortalmente noioso. Io
voglio rettificare questo giudizio che pur corre sulla bocca di tutti i viaggiatori.
La città, e la stessa via che mena al porto, presentano un aspetto serio e tranquillo. Tutto vi è
ordinato; e la stessa ciurmaglia, così diversa e pur tanto caratteristica delle città di mare, qui
manca del tutto.
L´occhio passa volentieri dalle case moderne fabbricate su due promontorii e ombreggiate da
pini e da palme, al porto interno, e di là al pittoresco castello angioino, che oggi sostiene il faro
per indicare a grande distanza dal porto la costa italiana.
Come nell´antichità Brindisi era situata sul termine della Via Appia, ed era il punto di partenza
per coloro che movevano verso l´Oriente ed alla Grecia, ed il punto di arrivo per quelli che vi
giungevano: il poeta Virgilio morì in Brindisi nel suo ritorno da Atene; così essa conserva
anche oggi lo stesso ufficio, essendo il punto di arrivo delle ferrovie dell´Europa nordoccidentale, e quasi un anello di congiunzione fra quelle regioni e l´Oriente e le Indie.
E lo conserva sempre, anche dopo l´apertura della strada ferrata per Salonicco, e nonostante i
timori e le speranze di alcuni che male auguravano a questo porto di Brindisi.
Più volte nel corso della settimana giungono e partono legni mercantili italiani, austriaci e
greci, che fanno il commercio con Corfù, con Costantinopoli, col Pireo e con Alessandria di
Egitto; e questo porto è il punto di arrivo della valigia indiana.
La Via Marina sul lungomare in Piazza Baccarini - Foto del 1903
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Settimanalmente vi arriva un piroscafo immenso della Compagnia orientale e peninsulare, che
di giorno sembra un mostro galleggiante sulle acque e di sera una lunga via tutta illuminata.
Il rumore ed il chiasso nel carico e nello scarico delle merci, le centinaja di viaggiatori che
scendono a terra per visitare la città, gli indiani di colore scuro col turbante in testa che si
mostrano qua e là nelle bettole del porto, e la folla che si aduna sulla spiaggia per contemplare
questo spettacolo, a bocca aperta; e di più qualche banda musicale che in modo orribile suona
la “Santa Lucia” o qualche nuova canzone popolare, tanto per buscar qualche soldo dalle
signore o dai signori inglesi appoggiati al parapetto della nave; tutto questo mette un po’ di
vita e di movimento nella città, ordinariamente assai calma e tranquilla.
E da ciò deriva che, passeggiando sulla banchina del porto interno, ed esaminando le insegne
delle botteghe ci par di essere in una città governata da un’amministrazione inglese. Tutte le
etichette sono in due lingue; tutti, dal venditore di coralli e di fotografie sino al più meschino
vinaio, annunziano le loro magnifiche specialità in inglese e in italiano.
Quando anche mancassero in Brindisi gli avanzi delle antiche mura, anteriori alla conquista
romana, a provare l’esistenza d’una città messapica, come quelle che si vedono a Manduria, a
Ceglie e in altri luoghi della provincia di Lecce, le iscrizioni messapiche rinvenute nelle tombe
toglierebbero ogni dubbio che la città moderna riposa sopra un suolo japigico.
E ciò vien confermato dalla versione dell´antico nome della città trasmessoci da Strabone; e
forse per questo noi possiamo ricordare la parola albanese a “brin” che significa le corna
ramose o i palchi del cervo.
All´epoca messapica succedette in Brindisi la romana. Al tempo dei Romani, Brundusium con
Taranto e Otranto –Hydruntum- erano i luoghi più importanti di questa contrada; ma i resti
della coltura latina sono in Brindisi più importanti che in qualunque altro luogo dell´intera
Puglia.
Ognuno conosce la colonna romana che sorge sopra un promontorio presso l´Albergo delle
Indie Orientali. Ve n´erano due che si innalzavano come segnali del porto, non lungi da questo;
ma una di esse cadde e fu donata nel 1656 dai Brindisini ai Leccesi; ed oggi, sormontata dalla
statua di San Oronzo, adorna la piazza principale di Lecce.
Molte altre reliquie romane vedonsi in Brindisi, e tra queste: avanzi di terme, un acquedotto
sotterraneo, la così detta Fonte o Pozzo di Trajano nell´interno della città, un pezzo della Via
Appia presso la Masseria dei Lapani e una quantità d´iscrizioni, di urne sepolcrali e di
frammenti di statue di marmo trovati nella costruzione del porto, della ferrovia e delle nuove
abitazioni.
Tutto questo materiale trovasi oggi riunito nel Museo della città, cioè nell´antica chiesa di San
Giovanni al Sepolcro; museo fondato mercè le cure indefesse dell´arcidiacono Giovanni
Tarantini. Uno dei più notevoli cimelii dello stesso è un mosaico romano, che rappresenta la
lotta di Teseo col Minotauro nel laberinto di Creta.
Quantunque Brindisi esercitasse su di me un fascino irresistibile per le sue antiche e gloriose
memorie, pure fui costretto a lasciar questa città nel giorno seguente al mio arrivo, e salii sul
treno che in un´ora mi portò a Lecce...».
67
1898:
Cara Maria Teresa Mi fece molto piacere ricevere una tua lettera, e te ne ringrazio di cuore. Il
giorno di ritornare in Collegio ancora non l´ho fissato, ma si tratta di poco e cosí ci potremo rivedere un´
altra volta. Mi saluterai da parte mia tutti gli altri e le bambine dandoti un bacio tua sorella Francesca
27-5-1898 ore 20
Carissimo Mar..., ho trovato qualche cartolina di Brindisi e subito te ne invio una.
Il Corso Garibaldi che tu vedi é la migliore strata di Brindisi e va dalla stazione al porto. Nella 6° casa a
sinistra della figura di questa cartolina si trova l´Hotel ove sto io. Di a mamma che non ho ancora visto
l´agente ma... se ancora trovato domani le scriveró.Dille ancora che alle 18 ho ricevuto la sua lettera del
26. Bacia la tua sorellina e Mamma a mio nome e tu ricevi un abbracco e mille contgratulazioni per il
bell´... che hai dato. Questo lo faccio anche piú volentieri perché so che sei buono e carino.
Grazie della tua lettera che ho gradito tanto. Il tuo Mall...
68
*****
Nel 1903 passó da Brindisi il letterato svizzero Joseph Viktor Widmann e, trascorrendovi
una sola mattinata, restó colpito sopratutto dall´imbattersi “in tante popolane col capo avvolto
in grandi fazzoletti neri da cui sbirciavano visi rinsecchiti”:
«...Con la vista della scalinata di Virgilio rimango ripagato dalla noia della strada che dalla
stazione conduce al porto e dalla delusione porovocata dalla vista della nave ‘Bosnia’
attraccata al porto. La vista delle colonne romane evoca memorie classiche e, inevitabilmente,
il verso col quale Orazio chiude la V Satira del Libro I “Brundusium longae finis chartaeque
viaeque”.
Passeggiando per il centro storico mi richiama l´attenzione l´ammirevole palazzo
rinascimentale Nervenga, finché la passeggiata termina al caffé, dove piú tardi mi fermai
ritornando verso la stazione. Il Caffé di un conferderato, Caprez, giá Caflisch, dove vi trovai un
sottufficiale, un degno rappresentante dei ‘miles gloriosus’ che si stava esibendo davanti a un
ragazzino al quale andava millantando le sue gesta eroiche alzandosi piú volte di scatto dalla
sedia e correndo all´impazzazta per il caffé...» Calabrien Apulien und Strefeirein an den
oberitalienisken – 1904.
Il Caffé Caprez -giá Caflisch- in Corso Garibaldi - Foto del 1918
Ed é un peccato peró che a Brindisi non ci fosse piú il Caffé di Francesco Palmisano, detto
“Cicciotto” che a partire dal 1848 si era trasformato in un ritrovo liberale dove alcuni cittadini
brindisini, notabili e non, furono arrestati mentre erano intenti “a cospirare”. O il botteghino
di Cesare Chimienti, in cui nel 1856 furono con lui arrestati e processati per “associazione
illecita e per cospirar contro il governo” Domenico Balsamo, Giovanni Crudomonte, Cesare
Gioia, Giovanni Bellapenna, Ignazio Mele, Giuseppe Camassa, Tommaso Quarta, Giovanni
Laviani e don Pasquale Marangio di San Pietro Vernotico.
69
*****
Paolo Emilio Thaon di Revel, ammiraglio Capo di Stato Maggiore della Marina Militatre
Italiana e Duca del mare, fu comandante in capo delle forze navali italiane del Basso Adriatico
durante la prima guerra mondiale e da Brindisi diresse quasi tutte le operazioni di guerra
della marina militare. Piemontese e grande ammiratore di Brindisi e del suo porto, alla fine
della guerra volle concedere alla cittá un´alta onorificenza, la croce al merito di guerra, e in
data 18 ottobre 1919 scoprí la targa bronzea ammurata sulla parete della Capitaneria di porto
sul lungomare, opera dello scultore brindisino Edgardo Simone, che riporta la seguente
motivazione dell´onorificenza, redatta personalmente dall´ammiraglio:
«Alla gloriosa cittá di Brindisi la cui generosa popolazione, nonostante le replicate offese dal
mare e dal cielo le numerose vittime della ferocia nemica e le privazioni indicibili causate dalla
sospensione di ogni traffico, mai piegó l´animo, conferisco la croce al merito di guerra.
All´ammirazione degl´italiani addito la cittá decorata per la magnifica prova di coraggio e di
fede che ha dato durante la lunga ed aspra guerra e perché con la sua fierezza efficacemente
contribuí al raggiuungimento della vittoria finale».
Targa bronzea a testimonio dell´onorificenza concessa da P.E. Tahon de Revel a Brindisi
Il contributo della città a quella guerra fu certamente notevole: 207 azioni navali e aeree, 30
incursioni aeree nemiche, 14 aerei nemici abbattuti, 660 bombe nemiche sulla città, 227 unità
da guerra concentrate nel porto contemporaneamente ad altre unità alleate, 504 crociere e
202 viaggi per il salvataggio dell'esercito serbo.
70
*****
Territorio della Colonia in occasione della successione del piú volte morto Melenicchy.
Anche tutti i battaglioni Eritrei (compreso il mio che dovevo raggiungere a Bengasi secondo
il primo telegramma) sono stati telegraficamente richiamati in Eritrea ove li raggiungeró o
mi raggiungeranno–Salute ottima viaggio splendido may extras. Buona Pasqua Saluti baci
affettuosissimi.
Spero poter impostare a Port Said. Saluti baci Augusto
Il fantomatico personaggio, citato con il nome di “Melenicchy” nello scritto autografo di questo
probabile ufficiale dell´esercito italiano che da Brindisi si era imbarcato per Porto Said in
Egitto diretto in Eritrea per ricongiungersi con il suo battaglione, era probabilmente Menelik
II, il re di Etiopia che nel 1896 dichiaró guerra all´Italia e clamorosamente ne sconfisse
l´esercito nella battaglia di Adua, a seguito della quale il capo del governo italiano, Crispi,
dovette dimettersi.
Menelik II in realtá era effettivamente morto il 12 dicembre del 1913 in Adis Abeba all´etá di
69 anni, ma la sua leggenda continuava ad inquietare l´esercito italiano stanziato nella
colonioa d´Eritrea. Dopo il breve regno di suo nipote Iasú, a Menelik II successe sul trono di
Etiopia la figlia Zauditú I, che peró solo regnó sotto la reggenza del futuro imperatore, il Negus
Hailé Selassié.
La data della missiva dell´ufficiale non é nota, ma si tratta di una cartolina che a Brindisi fu
stampata alla fine della prima guerra mondiale, nel 1918, e la breve lettera fu probabilmente
scritta intorno all´anno 1920.
71
Cripta del Monumento al Marinaio d´Italia – Inaugurato a Brindisi il 4 Novembre 1933
72
*****
Il brano che segue è tratto dalle prime pagine del “Viaggio nella Grecia antica” scritto da
Cesare Brandi e pubblicato nel 1954 con poi diverse riedizioni. Cesare Brandi, sienese, è
stato uno dei maggiori critici e storici dell´arte, fondatore della teoria del restauro, studioso di
estetica, saggista, scrittore e poeta.
Nel leggere la descrizione che Brandi fa di Brindisi nel suo interessante libro, per un pó non si
riesce a capire da che cosa, di preciso, si recepisca una inconscia ma indubbia trasmissione di
positivitá. É la luce! Lo si capisce rileggendolo. La luce che dardeggia su Brindisi, e non solo in
primavera come é toccato di constatare a Brandi ma, lo garantisco io, tutto l´anno e fin´anche
in pieno agosto.
La “ luce” di Brindisi in una recente edizione del “Viaggio nella Grecia Antica” di Brandi
«...La bellezza di Brindisi non è travolgente, e più che di bellezza bisogna parlare di attrattiva;
ma il piano stesso della città, con la sua lunga strada alberata, e lo sbocco su un mare
dolcissimo, permette di assaporare via via per quel che vale, e vale parecchio, la luce candida
che dardeggia la città da ogni lato. Sarà stata la primavera, l´aria lavata dalle piogge recenti, il
sole che non acceca come d'estate: ma in quella luce sembrava di trovarsi entro pareti di
cristallo, nella lanterna d´un faro.
Il porto si presenta, da un lato, ameno, quasi come il porticciuolo d´Ischia, e qui pochi pini
bastano a ‘gradare’ il colore del mare e del cielo come su una tavolozza: poi di qua e di là, la
graziosa forcella che fa il mare incuneandosi, e che evoca non solo La Valletta, ma addirittura
la posizione di New York, con Manhattan come un inguine, fra l´Hudson e un braccio
dell´oceano. Ed è quell´anello d´acqua limpida e ferma che riverbera la luce sulla città: anche a
New York, che ha una bellissima luce raso terra, si deve certamente alla stessa ragione.
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Quando si arriva alla scalea, che sopra ha le colonne dell´Appia, il lungomare, con la sua curva
garbata ci ha guidato come a un traguardo: e, in fondo, quasi neppure s´è avvertito il
Monumento al Marinaio, che allora parve così presuntuoso nella facile astrazione del timone,
estolto a simbolo, più che di una classe, di un´epoca che proprio timone non ebbe.
Le colonne, nel consuntivo attuale di una e un sesto, poiché i restanti rocchi della seconda
servirono alla statua di Sant´Oronzo a Lecce, si arrogano naturalmente tutto il patetico di quel
viaggio, forse rimasto il più celebre dell´antichità dopo quelli degli Argonauti e di Telemaco;
Orazio e Virgilio che si danno l´addio, fra quelle colonne massicce, sono un duetto mancato al
nostro fornito melodramma.
Ma Brindisi non finisce lì: risalendo per la strada che porta al Duomo, s´incontrano casette
amabili, portalini ben composti, e il campanile della Cattedrale che scavalca la via, un
campanile che ha l´inestimabile pregio di competere alla strada stessa come la mano al
braccio. Nella piazza che segue, il palazzetto del Seminario è una delle perle dell´architettura
del Salento: con quelle statue scapate che penzolano da tutte le parti, sulle pilastrate vigorose,
ancora un pó borrominiane.
Poi ci son delle belle mensole scolpite, e ancora delle vestigia non inutili di un decoro
architettonico tutt´altro che consueto: il palazzetto gotico, un pó rifatto, ma non del tutto
adulterato, dove il Comune fa pagare le imposte o altre noie del genere. Se vi sembra poco,
tutto ciò, non perdete d´occhio questa splendida trafittura della luce bianca, oggi frizzante
come un´acqua minerale.
Ora la nave arriva, e attira la solita bella e indolente gioventù paesana; la disoccupazione, in
questi luoghi fin troppo classici, assume l´aspetto casuale e irrevocabile dei ruderi di marmo
in mezzo ai prati. Sembra un ornamento, ed è una piaga...».
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*****
Ed ecco qui il racconto della Brindisi degli anni ‘50 ‘60 e ‘70 nella trascrizione libera di una
simpatica intervista di Iole La Rosa a tre brindisini doc: Giorgio Tricarico Giancarlo Cafiero e
Galiano Lombardi, mio cugino, pubblicata sul mensile TuttoBrindisi di Luglio-agosto 2010.
«...La spiaggia di Sant’Apollinare, i corsi pieni di turisti, i tentativi di abbordaggio delle
ragazze, i giovani con gli zoccoli... Un tuffo nel passato per rivivere gli anni in cui a Brindisi si
festeggiava l´estatee, riscoprendo una vitalità che nel corso degli anni si è purtroppo spenta e
risulta oggi sonnecchiante, agonizzante.
Un´immagine di vita brindisina dalla fine degli anni ’50 agli anni ’70. Le entusiasmanti
giornate trascorse sulle sue meravigliose spiagge, e poi i traghetti colmi di turisti diretti in
Grecia, India o Israele, e ancora le luci delle insegne luminose lungo i corsi, le suggestive
partenze di decine di traghetti con luci e suoni che ancora sembra di sentire, la rotonda di
Sant’Apollinare, i pomeriggi danzanti e le tante nottate trascorse all’Estoril Club 84, o alla
Sciaia a mare...».
La spiaggia di Sant’Apollinare
“Non avevamo tanto, ma vivevamo bene e ci sentivamo felici”, esordisce Giorgio Tricarico con
una luce speciale che gli illumina lo sguardo. “La città viveva nel porto e con il porto che era
pieno di traghetti, italiani e non, che attraccavano e salpavano di giorno e di notte”, aggiunge
Giancarlo Cafiero.
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“Dai treni scendevano ragazzi che provenivano da tutto il mondo. Attendevamo soprattutto
l’arrivo del treno proveniente da Parigi, pieno di francesi, ma giungevano in città anche tanti
inglesi, tedeschi. Uscendo da casa, i giovani brindisini, anche se non particolarmente colti,
avevano l’opportunità, di confrontarsi, di ampliare i propri orizzonti ricevendo nuovi stimoli”,
ricorda Galiano Lombardi.
La terrazza del Ristorante La Sciaia a mare
«...L’internazionalizzazione ha caratterizzato Brindisi in quel fortunato contesto storico
cittadino. Chiunque si adoperava per imparare le lingue, fosse solo per un approccio con le
turiste, accompagnare un passeggero in transito presso le biglietterie, per conoscere qualche
particolare della vita nei luoghi di provenienza di quella gente che appariva a volte strana,
altre bizzarra, di certo emancipata rispetto alla cultura del nostro profondo sud...».
“Noi giovani dell’epoca riuscivamo a integrarci e instaurare rapporti di amicizia, a volte anche
di amore, a differenza degli anziani che, per un retaggio storico legato all’antico passaggio dei
treni della Valigia delle Indie, all’arrivo dei turisti esclamavano ‘lu trenu ti li inglisi!’. E giá,
erano tutti inglesi i forestieri!” narra Giancarlo Cafiero con aria sognante, “…ricordo ancora le
reazioni degli anziani brindisini all’apparire dei primi giovani hippy”.
“Sconcertati dall’abbigliamento vivace e coloratissimo, dai modi di fare, dai lunghi capelli e
dalle grandi fasce, incuriositi dai canti intonati al loro passaggio in città, rimanevano sbigottiti
e scambiavano impressioni e commenti che animavano intere giornate! Io e pochi altri
eravamo i capelloni della città. Ci sentivamo hippy (ovviamente eravamo visti come persone
strane e poco raccomandabili) e non potevamo che vedere di buon occhio il confronto con chi
viveva con in cuore le proprie idee e le diffondeva nel mondo!”.
“Mi è rimasto impresso un episodio singolare”, interviene sorridendo Lombardi, “l’arrivo di un
uomo in sella sul suo cavallo. Non ricordo che anno fosse, arrivò quest’uomo con il suo
destriero pretendendo di salire a bordo del traghetto per proseguire il viaggio. Un episodio
indimenticabile!”
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I ricordi cominciano a divenire sempre più cristallini, così Cafiero spiega che a Brindisi
arrivavano anche tanti ragazzi diretti ad Israele per contribuire alla sua ricostruzione.
Avevano scelto di seguire le regole di vita del kibbuz e raggiungevano quei luoghi per
costruire e coltivare masserie e fattorie, vivendo in comunità. “La maggior parte di loro non ha
fatto ritorno”.
E i giovani con gli zoccoli ai piedi facevano ‘le vascate’. “Passeggiavamo su e giù per i corsi alla
ricerca di uno sguardo da parte delle ragazze. Spesso però andavamo ‘a turiste’, provando
l’approccio con queste donne belle, emancipate con grandi cappelli bianchi di paglia sulla
testa, pantaloncini corti, pesanti borracce appese al collo”, ricorda Giorgio Tricarico.
Sacchi a pelo nei Giardinetti della Stazione marittima - Foto di Pino Spina 1972
“I corsi erano pieni di luci, insegne in tutte le lingue: dall’inglese al greco all’italiano. Greci e
brindisini avevano avuto l’intuito commerciale di aprire biglietterie che lavoravano di giorno
e di notte”, dice Giorgio Tricarico.
“Era un vero e proprio spettacolo assistere alla partenza delle navi. Le luci, i suoni, le manovre
incantavano grandi e piccini. Molti leccesi raggiungevano Brindisi per partecipare a tale
evento con la propria famiglia e tanti brindisini, gustando un gelato, trascorrevano le serate
sulle banchine.
Il punto d’incontro era il Banco di Napoli o il bar Olimpia”, continua Sandro Miggiano che ci
raggiunge abbronzatissimo e sorridente. “Noi militari dell’aeronautica avevamo terreno
fertile, la divisa riscuoteva sempre successo. La sera poi portavamo panini e coca-cola e
animavamo le feste che duravano nottate intere. Quanti falò organizzati sulla spiaggia!”.
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Il traghetto greco “Egnatia” per la Grecia
Il traghetto italiano “Appia” per la Grecia
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“Molto spesso i turisti approfittavano della sosta per concedersi un bagno al mare e così
prendevano le piccole imbarcazioni che li portavano sulle spiagge di Sant’Apollinare, la Pineta,
Fiume Piccolo o Fiume Grande, spiagge curate, organizzate, con un mare cristallino. Altre volte
soggiornavano per settimane - perché rimasti senza soldi! - partecipando ai festeggiamenti
continui sia sulle spiagge che nei locali. Si organizzavano giochi e feste a Sant’Apollinare”.
“Ricordo che la proprietaria era Irma Mastrobisio, indimenticabili le orzate preparate dal
signor Longo…”, racconta Tricarico. La rotonda sul mare di Sant’Apollinare aveva una sua
magia e molti brindisini la ritrovano nelle parole della famosa canzone italiana ‘Una rotonda
sul mare’ interpretata da Fred Bongusto, il quale durante l’estate del 1964, anno in cui vinse
Canzonissima, si era esibito presso la Casina Municipale della Selva di Fasano e aveva
trascorso le sue giornate sulla spiaggia di Sant’Apollinare. Una leggenda romantica!
La rotonda sul mare di Sant’Apollinare
Anche i pomeriggi danzanti all’Estoril restano indimenticabili. Si organizzavano feste
pomeridiane per permettere ai più giovani ed alle ragazze - che la sera dovevano rimanere in
casa -, di divertirsi e danzare. Ovviamente le scuse per uscire di casa erano le più fantastiche e
non mancavano le mamme che arrivavano improvvisamente per portar via le figlie dal locale!
La sera l’Estoril si trasformava in night, streap tease e feste la facevano da padrone. La Sciaia a
mare si popolava di gente proveniente da tutta la regione, di cantanti famosi che si esibivano o
che trascorrevano le loro serate mondane. Costante, direi quasi quotidiana, era la presenza di
Domenico Modugno, si esibivano anche Peppino di Capri, Nicla di Bruno, i migliori gruppi
musicali italiani ed era una grande attrazione per tutto il sud Italia” spiega con un po’ di
nostalgia Tricarico. “Alle serate partecipavano celebrità come, ad esempio, il primo ballerino
della compagnia di Wanda Osiris o importanti e facoltosi personaggi brindisini, leccesi e
tarantini”.
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L´’Estoril Club 84 - La terrazza
“Un colpo d’occhio era anche l’organizzazione della ‘Festa dell’uva’. Sul lungomare si
festeggiava con l’esibizione di gruppi folkloristici provenienti da ogni parte d’Europa,
dall’Ungheria, Cecoslovacchia, Grecia… La festa delle feste era però la ‘melonata’. Il giorno di
Ferragosto, su tutte le spiagge, sulle banchine, sul lungomare si aprivano giganti angurie che
rappresentavano un momento di grande gioia. Si organizzavano balli, giochi e festeggiamenti
che duravano per tutta la giornata e poi la notte con falò, musica e allegria.”
La Nave Ausonia alla Stazione Marittima
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«...C’era una volta l’estate brindisina, ci rimane da ribadire! C’era il buon umore, il benessere,
l’economia, la spensieratezza di gente semplice. È difficile ricordare senza provare nostalgia, è
veramente arduo non perdersi dietro meravigliosi racconti di storia reale, vissuta e non fare
confronti. Noi però, seguendo l’esempio dato dai nostri simpatici amici durante i racconti di
squarci di vita personale e cittadina, vogliamo rileggere queste pagine con la loro stessa gioia.
Lasciandoci con tante riflessioni insieme alla speranza manifestata da Giancarlo Cafiero di
rivedere i corsi principali come grandi vie internazionali e con il suggerimento di Galiano
Lombardi di riassegnare a Brindisi la sua naturale veste di grande stazione, ferroviaria,
portuale e aeroportuale, per ricoprire il ruolo di passaggio, di transito dall’oriente
all’occidente, la valenza internazionale che nella storia le ha portato tanta fortuna e fortune.
“La Valigia delle Indie” di Giancarlo Cafiero e Galiano Lombardi - Via Tarantini 20
La conclusione è dedicata ad uno speciale commiato. La definitiva chiusura, avvenuta quasi in
sordina, della Stazione marittima, un prezioso riferimento storico che merita un adeguato
riconoscimento. Ma questa è un’altra storia, è una storia più antica, legata alla Valigia delle
Indie, ai lunghi viaggi e alle grandi avventure...».
81
*****
Il 5 febbraio 1999 il settimanale brindisino “Senzacolonne” publicó l´intervista integrale che
Giovanni Membola mi fece via web. Una delle sue domande fu: “cosa piú ti piace e cosa meno ti
piace di Brindisi”. Ho conservato quella mia risposta:
«... Di Brindisi mi piace -e non ci rinuncio mai, anche indipendentemente dal tempo, quello
atmosferico e quello dell´orologio- il passeggiare tra casa mia, in via Castello 3 ad angolo con
via Cittadella nuova... poi via Santabarbara o via Santa Aloi, poi piazza Santa Teresa o via
Tarantini, passando dalla Valigia delle Indie, poi via Colonne o lungo la discesa Lucio Scarano
che fiancheggia le Sciabbiche... ed il lungo mare: tutto intero e per piú volte, dalla porta della
Marina Militare, La Difesa, alla porta della Stazione Marittima.
E´ un lungomare bellissimo ed unico; la vista dalle Colonne Romane -non ho voglia di
commentare il ¨senzacolonne¨ perché non ho voglia di interrompere questo mio gradevole
momento- é per me di un bello difficile da descrivere. É un vero peccato che non sia
degnamente valorizzata quella bella terrazza adiacente alla scalinata, ci si potrebbero
trascorrere delle ore in vera contemplazione.
Poi mi piacciono di Brindisi, e mi mancano in certi momenti, tantissime altre cose: il dialetto,
la cucina, la campagna e, di nuovo, le passeggiate nel centro: anche dall´altra parte, dalle parti
della via Lata, la Chiesa del Cristo -avevo una ragazza che abitava nell´istituto commerciale-,
Porta Lecce, I Bastioni, Porta Mesagne, Il Calvario e... tornando a casa, il Chiostro di San
Benedetto, dove ho fatto il Catechisno e... tante altre cose.
Quello che non mi piace di Brindisi non te lo voglio dire, ...magari un´altra volta...». Gianfranco
Dalla terrazza delle colonne romane
82
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Giuseppe Cocco, fotografo romano di architetture e paesaggi, domenica mattina 8 agosto
2010 giunge in treno da Roma a Brindisi per, alla sera tardi, imbarcarsi: un classico, direi!
Giuseppe Cocco ha un Blog “penisolabella” e su di esso c´é “A passeggio per Brindisi”:
«...Zaino in spalla e macchine fotografiche al collo, inizia una giornata a zonzo per Brindisi, che
terminerà alle 23 di sera quando il mio viaggio proseguirà verso l'Albania. Il primo impatto
visivo è di una città dal disordine urbanistico che ha perso un´identità precisa.
Le colonne gemelle e la testa di cervo che si vedono sullo stemma civico fanno riferimento alle
colonne che tuttora segnano il termine della via Appia romana, che qui giungeva allo scalo per
le rotte del Mediterraneo orientale, attivi ancora oggi per la Grecia e l'Albania. La testa di
cervo, in messapico "brunda" o "brendon, allude insieme all´origine del nome, alla
configurazione del luogo, per la caratteristica dell´area marina portuale a forma di corna.
...Vista l´ora, mi dirigo lungo il corso Garibaldi, arteria commerciale della cittá che traversa
Brindisi dalla stazione al porto, alla ricerca di un buon bar per fare colazione: caffè,
pasticciotto e via, senza sosta, per le strade di Brindisi.
La città, che mi appare pressoché deserta per l´intera mattinata e il primo pomeriggio,
probabilmente a causa della giornata domenicale estiva -solo spazzini e qualche cane portato
a passeggio- scoprirò, essere popolata e vitalizzata da centinaia di ragazze e ragazzi, uomini,
donne anziani e bambini che si riversano a sera nel corso principale e sul lungo porto, si
siedono ai bar, entrano ed escono dalle gelaterie. Peró si vede che anche qui morde la crisi
economica, testimoniata tra l´altro dai molti negozi dismessi lungo la centrale “Garibaldi”.
...Osservo le architetture: alle basse palazzine di massimo tre piani che dialogano con palme
delicate, sono stati aggiunti palazzoni a più piani. In pieno centro storico, alcuni edifici sono
stati abbattuti e sostituiti con un pachiderma di metallo, il Teatro Verdi, realizzato su un
progetto dell´architetto Nespega, risalente al 1970, ma inaugurato solo nel 2006: un grande
edificio moderno ricoperto di metallo grigio che incombe su resti archeologici della Brindisi
romana, sotto il quale sta l´area archeologica di San Pietro degli Schiavoni, in cui si
riconoscono una strada lastricata romana con le abitazioni, le botteghe e le terme che vi si
affacciavano.
Vi ho trascorso una bella giornata, se pur estiva, rinfrescata da una brezza marina, più che
brezza, che scompigliava i capelli, su e giù per i vicoli, nella prima parte della mattinata
ombreggiata di tanto in tanto da nuvolaglia sparsa.
All´ora di pranzo mi sono fermato per mangiare una grigliata di pesce sotto gli ombrelloni del
Betty caffè, un bel locale posizionato in uno slargo ameno a ridosso delle ultime case del
centro storico, prospiciente il lungo porto nel lato sud, completo di tutto: bar, gelateria e
pasticceria, e nella stessa piazzetta, anche la Skipper trattoria-pizzeria.
A lato, sul lungo porto, c´é il giardinetto adiacente all´edificio della Capitaneria di Porto,
trasformato in sala d´attesa con giovani stravaccati in ogni dove che accanto ai propri zaini,
mangiando e bevendo, aspettano la partenza del traghetto che li porterà verso la vacanza
greca...».
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"Brindisi in bianconero" di Giuseppe Cocco - Agosto 2010
84
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Il 16 marzo 2010 il non ancora attempato signore spagnolo Carlos Mora, dopo un nuovo
commiato da Brindisi e dai suoi figli che stavano vivendo in quegli anni con i loro nonni
materni Iazzi Cavalieri, residenti in cittá, annota sul suo diario personale online:
«...Per quelle strane cose che ti riserva la vita sentimentale, ho avuto l´opportunità di
conoscere e frequentare Brindisi. Ogni qual volta arrivo in questa piccola città, un porto molto
importante e con tanta storia, mi sento bene, come se ci avessi vissuto per tantissimi anni, e
questa volta non ha certo fatto eccezione.
Qui tutto è familiare, semplice e tranquillo, soprattutto il porto, dove quasi ogni notte vado a
camminare per poi sedermi per vari minuti ad ammirare il suo splendido mare e osservare i
tanti brindisini che, per la maggior parte giá adulti, ma anche alcuni giovani, chiacchierano
sereni e animatamente in piccoli gruppetti, mentre si godono la passeggiata e respirano la
salubre e spesso penetrante aria di mare.
Passeggiando sul lungomare Regina Margherita raggiungo il piazzale Lenio Flacco tutt´ora
parzialmentre delimitato dalle antichissime rovine di un muro addirittura messapico, cioé
pre-romano. E mi sento come parte integrante di questo meraviglioso paesaggio portuale, dal
quale poi mi dileguo attraverso le stradette del centro storico, semplice ma vivace malgrado il
relativo freddo di questi giorni di fine inverno.
Confesso che mi attrae l´andare al Duomo, la chiesa Cattedrale, situata vicino dove soggiorno
normalmente. Di origine medievale, il Duomo é stato quasi interamente ricostruito seguendo
il progetto originale, dopo il rovinoso terremoto nel 1743 che lo distrusse. Al suo interno si
può ammirare un mosaico policromo del 1178 e una suggestiva corona di legno dell´anno
1594. In questa chiesa, il principe normanno Ruggiero, figlio di Tancredi, fu incoronato re di
Sicilia nel 1191, e nel 1225 si celebrarono le nozze tra Isabella di Brienne, regina di
Gerusalemme, e l´imperatore Federico II.
Spesso raggiungo, naturalmente e rigorosamente a piedi, la stazione ferroviaria centrale,
semplice ma accogliente e di tanto in tanto mi ci fermo a prendere un caffè. Da lì mi dirigo al
porto, ma invece di percorrere il corso ampio e rettilineo, cammino tra le strade lastricate ed i
vicoli stretti che lo costeggiano su entrambi i lati, e cosí ogni volta continuo a regalarmi nuove
sorprese in un cittá che ne é veramente piena: palazzi più o meno antichi con belle facciate,
chiese delle piú svariate epoche, resti e monumenti romani tra cui l´imponente colonna
terminale della via Appia, le antiche porte medievali di accesso alla storica città, punto
d´incontro tra i romani imperi d´oriente e occidente e successivamente punto di transito sulle
rotte dei pellegrini e dei croicisegnati per la Terra Santa.
In realtà mi piace cosí intimamente soggiornare in questa città, che non nutro alcuna
titubanza nel credere che, prima di rincarnare in questa mia vita attuale, certamente io sia giá
nato e vissuto a Brindisi.
Ed ogni qual volta devo accomiatarmi mi sento un pó a disagio, una sensazione strana anche
se ho conosciuto molte tante altre città ed ho vissuto in diversi altri paesi. Ma Brindisi è per
me un qualcosa di molto speciale: spero proprio di ritornarci ancora, e presto!...»
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Il Duomo: la Cattedrale del 1143 ricostruita dopo il terremoto del 1743
*****
Quattro giovani professionisti, Paola Palazzo, Ilaria Barbaresi, Filippo Pisciotta e Stefania
Pipitone, tre archeologi ed un architetto, per vari hanno lavorato insieme a Brindisi nello
scavo della Casa del Turista, completato nel dicembre 2011, e poi si sono anche occupati negli
scavi sul lungomare Regina Margherita durante i lavori di risistemazione ormai in corso di
completamento in questo aprile 2012.
Per Paola Palazzo, la sola originaria di Brindisi del gruppo, si é trattato di un´esperienza che
gli ha anche permesso di ripercorrere e ricontattare luoghi, volti, suoni, odori che
appartengono ai suoi ricordi e a tutto ciò che li lega alla città in cui é nata ed in cui ha vissuto
fino alla maggiore età.
«...Rimanere stabilmente a Brindisi per un periodo lungo sei mesi, non mi succedeva da molto,
forse troppo tempo, circa trent’anni per l’esattezza. Il momento è arrivato inaspettatamente in
una fase della mia vita che, forse, corrisponde a quella della cosiddetta maturità, in cui ci si
sente finalmente liberi di scegliere e di rischiare, senza temere il confronto con il proprio
passato.
É stato un viaggio speciale, sia umanamente che professionalmente, un´occasione che mi ha
dato la possibilità di riportare alla luce i resti di un piccolo scorcio di città che si affaccia sul
seno di Ponente, protetto da un porto sicuro ed insieme riappropriarmi di un pezzo di storia
di un passato che mi riguarda.
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Scendendo in profondità nelle viscere di una città così immensamente ricca di storia, a cui io
sento di appartenere ed in cui mi sento sempre accolta, si percepisce da subito quanto ancora
c’è da scoprire e conoscere.
La terra restituisce informazioni preziose che ci permettono di risalire a ritroso nel tempo ed
entrare in contatto con la città, il suo porto, la vita di chi l´ha abitata, costruita, demolita,
conquistata, governata, abbandonata e fatta rinascere. La sua storia merita di essere
degnamente raccontata per essere apprezzata fino in fondo da chi ci vive e da chi, solo di
passaggio, possa condividerne la sua importanza.
La storia del complesso della Casa del Turista, la ex Scuola Marinara, con la sua bella facciata
in blocchi di carparo che prospetta sul porto interno del seno di Ponente, è molto suggestiva; è
stato un vero privilegio entrare in contatto con quel luogo, lavorare all’interno di quelle mura
spesse e irregolari, intervallate da archi e colonne, che oggi si trovano incorporate nell’isolato
compreso tra l´attuale Viale Regina Margherita e la via di Santa Chiara.
É stato emozionante provare a ricostruire le vicende di un edificio che, grazie alla sua
strategica posizione, ha avuto un ruolo storico fondamentale per lo sviluppo della città, a
partire dall’età romana fino ai nostri giorni.
E adesso ci troviamo nuovamente davanti alla Casa del Turista, ma questa volta non più
protetti dalle sue poderose mura. Siamo all´esterno, esposti ai venti, alle correnti, alle voci, al
traffico di Viale Regina Margherita, il lungomare del seno di Ponente, impegnati in uno scavo
che rappresenta un grande intervento di archeologia urbana e preventiva allestito in città, nel
suo centro storico e lungo la passeggiata tanto amata dai brindisini.
Gli scavi sul lungomare Regina Marcgherita - Tra 2012 e 2013
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Al di sotto delle lastre di pietra lavica, rimosse per il rifacimento della pavimentazione
stradale, sono emerse strutture riconducibili ad alcuni contesti edilizi ben definiti realizzati
alla fine del ‘700, nell´ambito dei lavori di riassetto urbanistico della città voluti dal re di
Napoli, Ferdinando IV.
Gli scavi hanno messo in luce, nel tratto compreso fra Palazzo Montenegro e l´Hotel
Internazionale, il muro di delimitazione della precedente banchina portuale, su cui
s´innestano a distanza regolare i moletti di attracco per le imbarcazioni e, davanti a Palazzo
Montenegro, un edificio a cisterne con ambienti ipogei voltati, realizzato nel 1798, su progetto
dell´ingegnere Carlo Pollio, incaricato dal re di correggere e completare le opere di bonifica
del porto di Brindisi già avviate dal Pigonati.
Gli scavi sul lungomare Regina Marcgherita - Tra 2012 e 2013
Ilaria, Filippo e Stefania, hanno cercato di vedere il più possibile di Brindisi. Oltre ai
monumenti ed ai resti archeologici più evidenti e valorizzati, come l´area archeologica di San
Pietro degli Schiavoni, le colonne romane, la Cattedrale, Palazzo Nervegna, hanno scoperto
veri e propri tesori artistici, che meriterebbero la visita anche di coloro che ‘passano’ in questa
città per poche ore: il tempietto medievale di San Giovanni al Sepolcro, che appare
all´improvviso in una piazzetta tra i vicoli della città, la Chiesa del Cristo con la sua facciata
romanica, situata a ridosso delle antiche mura, nascosta dietro l’angolo di un edificio; il
chiostro medievale della Chiesa di San Benedetto, aperto purtroppo solo poche ore al giorno;
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i bellissimi affreschi della Chiesa di Santa Maria del Casale, che raccontano tra le immagini
sacre la vicenda storica delle Crociate. E verso il mare l’area delle fornaci di Apani e Giancola,
le splendide spiagge d’estate e il mare d’inverno con le soste al lido dell’Arca di Noè aperto
tutto l´anno.
La nostra scoperta della città si è estesa anche ai sapori, ed è diventato quasi un gioco la
ricerca dei posti in cui trovare i migliori pasticciotti, focacce, rustici, orecchiette, burrate e
stracciatelle, tarallucci… delizie di cui abbiamo fatto scorta tornando a casa. Prima di
cominciare a lavorare nello scavo il nostro arrivo è stato accolto dal rito della focaccia con la
cipolla mangiata sul porto al tramonto, una visione unica che abbiamo avuto la fortuna di
conoscere nel periodo dei festeggiamenti del Santo Patrono. E insieme ai sapori abbiamo
vissuto il quotidiano, il fermento di altre attività come le mostre fotografiche, gli incontri
pubblici e le manifestazioni di associazioni e movimenti che a Brindisi lottano per migliorare
la qualità della vita.
Spesso i Brindisini stessi criticano la scarsa partecipazione dei loro concittadini alle vicende
politiche della città, eppure abbiamo conosciuto persone combattive, decise a far sentire la
propria voce sulle decisioni che riguardano in primo luogo l´ambiente, per allontanare per
sempre dalla città lo spettro dei grandi impianti industriali.
Speriamo che la città riscopra la bellezza e l´unicità dei suoi paesaggi e della sua storia, che
non venga più offesa da industrie nocive, né devastata da impianti fotovoltaici sorti in mezzo
agli ulivi e vicini a zone di interesse archeologico...».
*****
Nel giugno 2013 un blog tour alla scoperta di Brindisi: lo ha scritto rigorosamente online
Marzia Keller su "Brindisi is my destination: gli appunti di viaggio di Denis Strickner".
«...Cin Cin! Così è cominciata la prima blogger experience made in Brindisi… con un brindisi
all´apertura del Negramaro Wine Festival 2013, dove é stata dura spiegare a tutti gli ospiti
internazionali che “Brindisi” fosse la stessa parola che si usa per descrivere un incontro di
calici. Ma poi, tra un Primitivo ed un Negramaro, passando per un Salice Salentino, ci si lascia
ammaliare, senza nemmeno porre troppa resistenza, da latticini succulenti che portano i nomi
di burrata e stracciatella. Ogni tanto una salsiccia e una bombetta rispondono ‘arriviamooooo’
alle richieste dello stomaco, e subito ci si perde tra le gustose fragranze dei vini pugliesi che si
liberano nell´aria, stuzzicando non solo le papille olfattive, ma anche lo spirito.
Il giorno dopo l´esperienza passa attraverso l´arte in ogni sua forma, colore e alchimia. Il parco
multimedia che sorge nel vecchio quartiere marinaro delle Sciabiche è il posto perfetto per
cominciare la giornata, per svegliare il cervello e metterlo in moto in maniera soft, come la
musica che accerchia il salone.
Piú tardi il pranzo in provincia acquisisce l´effetto di un´introduzione alla ‘masseria’ in chiave
storica e perché no, culturale. Into the bike è il giusto connubio tra un tenero giro in bici ed un
modo differente di scoprire la campagna brindisina, attraverso la terra ed i suoi frutti. Il
profumo di olive come il gusto dei fichi è avvolgente, mai invadente. Poi, tra colori rossi
d’Australia e verdi d’Irlanda laggiù, all´orizzonte, a svelarsi in tutto il suo blu, il mare.
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Il giorno seguente dopo una bella colazione sul lungomare alla scoperta del rustico, con pasta
salata ripiena di pomodoro e mozzarella un pó piccante, tutto è pronto per la caccia al tesoro
che ha come intento la conoscenza della città e della sua storia. Da Santa Maria del Casale alle
Colonne Terminali della Via Appia, passando dal Tempio di San Giovanni al Sepolcro e
intercettando fontane piazze e vie caratteristiche attraverso case di pittoreschi personaggi
sempre pronti ad offrirti un sorriso oltre a un bel bicchiere di vino, anche alle 10 di mattina.
A pranzo si scoprono le orecchiette che chiunque apprezza con un sorriso condito da una bella
foto ricordo. Per cena si va al Porticciolo presso la Marina di Brindisi dove ogni piccolo
particolare non è lasciato al caso ed ogni ‘cruditè’ ha il sapore della poesia.
La domenica si salpa verso Torre Guaceto a bordo di un caicco. Ci si lascia cullare da onde e
pioggia smangiucchiando qualcosa a bordo prima di tuffarsi nello snorkeling. Poi ci si fa
letteralmente rapire dall´ambiente che circonda il parco, dove ci si sente tanto piccoli di fronte
allo spettacolo della natura, assoluta protagonista della scena, quasi insormontabile.
Lunedì bella vista panoramica sulla città dal monumento al Marinaio d´Italia e cena sul
lungomare mentre Brindisi si prepara per il grande evento: la Brindisi-Corfù, una regata
storica, vera, difficile. Una sfida di 100 miglia che quest´anno solo i più coraggiosi e audaci
avranno vinta. Il sole dell´alba infatti, tutt´ad un tratto da amico é diventato nemico, le onde
non accarezzano più le prue come in banchina e le mettono alla prova, le sfidano. Il vento è
tagliente e il suo non è più un sibilo nello scalfire le vele, ma un rombo. E mentre una barca
volando sull´acqua taglierá il traguardo al tramonto, qualche altra annasperá e troverá
bonaccia vedendo terra solo dopo venti lunghissime ore...».
La XXVIII regata Brindisi–Corfú - il 13 Giugno 2013
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BIBLIOGRAFIA
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Quino Ennio Annales
Tito Livio Historiae romanae
Gaio Plinio Naturalis historiae
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Giovanni Maria Moricino Dell´antichitá e vicissitudine della cittá di Brindisi, 1600
George Berkeley Diario di viaggio in Italia e Lettere, 1717
Francesco Maria Pratilli Della via Appia riconosciuta e descritta – Napoli 1745
Jean Battiste Claude Richar Voyage pittoresque – Paris, 1759
Johann H. von Riedesel Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna Grecia – Zurich, 1771
Henry Swinburne Travels in the Two Sicilies – 1783, London
Andrea Pigonati Memorie del riaprimento del porto di Brindisi – Napoli, 1781
Karl von Salis Marschlins Viaggio attraverso il regno di Napoli – Zurich, 1788
Jacob Philipp Hakert Dipinto del 1789
Baldassarre Papadia Vite d´alcuni uomini illustri salentini – Lecce, 1806
Friedrich Leo Stolberg Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien – Leipzig, 1794
Antoine Laurent Castellan Lettres sur l´Italie – Paris, 1819
Richard Keppel Craven A Tour through the Kingdom of Naples – London, 1821
Craufurd Tait Ramage The Nooks and by-ways of Italy – London, 1868
Charles Didier Reportage per la Revue des Deux Mondes – Paris, 1830
Gustave Flaubert Journal de voyage – Brindisi, 1851
Wilhelm Vischer Erinnerungen und Eindrúcke aus Griechenland – Basel, 1857
Luigi Giordano Introduzione al progetto di un nuovo porto – Bari, 1853
Sanford Robinson Gifford Dipinto del 1868
Maria Esperance von Schwartz (Elpis Melena) Von Rom nach Creta – Jena, 1870
Ferdinand Gregorovius Nelle Puglie – Lipsia, 1877
Juean Arthur Rimbaud Illuminations – Paris, 1886
Charles Yriarte Le rive dell´Adriatico e del Montenegro – Milano, 1883
Gustav Meyer Puglia Sud: Appunti di viaggio Schlesische Zeitung – Breslavia, 1890
Joseph V. Widmann Calabrien Apulien und Strefeirein an den oberitalienisken – Seen, 1904
Paolo Emilio Thaon di Revel Motivazione di un´onorificenza – Brindisi, 1919
Cesare Brandi Viaggio nella Grecia Antica – Firenze, 1954
Iole La Rosa Un´intervista su Tuttobrindisi – Brindisi, 2010
Gianfranco Perri Un´intervista di G. Membola su Senzacolonne – Brindisi, 1999
Giuseppe Cocco A passeggio per Brindisi: “Blog penisolabella” – Brindisi, 2010
Carlos Mora Apuntes de viajes online – Brindisi, 2010
Paola Palazzo Un´intervista di I. Santoro su Brundisium.net – Brindisi, 2012
Marzia Keller Brindisi is my destination: appunti di viaggio di Denis – Brindisi, 2013
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" Bisogna ricominciare il viaggio... sempre! "
Il titolo che ho scelto per questa mia riflessione conclusiva “Bisogna ricominciare il viaggio...
sempre“ é una citazione di José Saramango de Sousa, lo scrittore poeta e gionalista portoghese
scomparso da qualche anno, che fu premio Nobel di letteratura nel 1998. Una citazione che giá
qualche tempo fa aveva richiamato, forse un pó inconsciamente, la mia attenzione e per
questo motivo avevo voluto pubblicarla sul mio diario di Fb.
E adesso che ho in qualche misura completato questa mia piacevole fatica -di raccogliere
leggere ordinare e sintetizzare questi tanti pezzetti che son riuscito a rintracciare dei racconti
“raccontati” su Brindisi da alcuni dei tantissimi viaggiatori che l´hanno visitata in tempi cosí
diversi e cosí distanti tra di essi e scritti da viaggiatori, personaggi e persone, tra di loro
altrettanto differenti ed apparentemente altrettanto distanti tra di loro- é stato inevitabile
ritornare col pensiero a quella citazione di Saramango e ritornare quindi a ripercorrere con il
pensiero i miei tanti viaggi intrapresi fin dalla prima gioventú: tutti viaggi mai interrotti e
anzi, effettivamente “sempre ricominciati“.
Non ho potuto quindi evitare di cercar di scoprire piú da vicino il significato della citazione di
Saramango, o quanto meno il significato “per Saramango“ di quella citazione, e poi di cercar di
scoprire anche le ragioni di quel voler viaggiare, di quel voler ricominciare il viaggio sempre,
ragioni che probabilmente hanno spinto anche molti di quei tanti viaggiatori... fino a Brindisi.
Forse perché quel significato e magari anche quelle ragioni, altro non sono che le stesse del
mio viaggiare e del mio “ ricominciare il viaggio... sempre “.
E ricominciarlo da Brindisi, naturalmente: perché é da Brindisi che ho spiccato il mio primo
volo su Mustang P51, un vecchio aereo militare ad elica accompagnato a soli sei anni da mio
padre, aviatore dell´Aeronautica Militare; perché é da Brindisi che ho preso il mio primo treno
verso il Nord fin fuori i confini italiani, e sempre da Brindisi ho abbordato la mia prima nave
per traghettare a Oriente; e perché, e sopratutto perché, é da Brindisi, dalla panchina del porto
di Brindisi, che ho contemplato, per ore ed ore per giorni e giorni, gli approdi e le partenze di
quelle navi, enormi e maestuose ai miei occhi di bambino e di adolescente, che numerosissime
e dai nomi insoliti esotici e quasi fiabeschi si avvicendavano freneticamente al cospetto di tutti
noi Brindisini negli anni ’60.
Per Saramango “...il viaggio non finisce mai; solo i viaggiatori finiscono e possono peró persistere
nella memoria nel ricordo e nella narrazione; l´obiettivo finale di un viaggio altro non é che
l´inizio di un altro viaggio... sempre “. Per tutti gli altri viaggiatori invece, la mia ricerca del
significato e delle ragioni del loro viaggiare é stata meno facile, é stata piú lunga, piú articolata
ed anche sofferta ed incerta, ma poi qualche risposta l´ho anche trovata, anche se si é trattato
sempre di risposte che son difficili da afferrare, da esprimere e da sintetizzare. Opto perció a
spiegare il tutto con la sola stessa emblematica frase con cui ho iniziato questo mio libro:
“ il viaggio... altro non è che la trasparente metafora del corso della vita umana ”
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E forse cosí é anche piú chiaro perché “bisogna ricominciare il viaggio... sempre” e sopratutto,
spero sia piú chiaro perché i giovani, sopratutto i giovani, devono “sempre intraprendere il
viaggio”. Parola di chi il viaggio lo ha da sempre intrapreso, e lo intraprende ogni volta che gli
é possibile!
E bisogna anche ricordare che “viaggio” non é sempre o solo quello che implica uno
spostamento spaziale, piú o meno ampio, della propria persona. “Viaggio” é anche quello della
propria esperienza di vita, quello cioé di ogni giorno di ogni mese e di ogni anno, un viaggio
che “non finisce mai”, un viaggio che pertanto ed a maggior ragione “deve ricominciare...
sempre”: con nuove tappe, con nuove esperienze, con nuovi interessi, con nuove e rinnovate
passioni ed emozioni.
E finalmente, credo che “ogni viaggio deve anche essere completato... sempre”. Puó risultare
banale, ma forse non lo é del tutto. Le difficoltá infatti, o gli eventi, o le circostanze, spesso
tramano contro l´obiettivo di completare ció che si inizia, o piú semplicemente... passa la
voglia, passa l´entusiasmo, prevalgono i dubbi e la fatica o, peggio ancora, la paura.
Personalmente credo sia sempre un errore non completare un percorso voluto ed iniziato, o
quanto meno credo sia un errore “non tentare” di completarlo e “non lottare” per concludere
un progetto voluto ed iniziato; e tutto ció senza che finalmente importi troppo se il risultato
immediato raggiunto sia poi piú o meno positivo o sia addirittura negativo: ogni progetto
iniziato infatti, grande o piccolo ambizioso o modesto che sia, se portato a termine é
indubbiamente utile alla propria crescita, alla propria maturitá, alla propria esperienza. Al
contratrio, ogni progetto interrotto é solo un´opportunitá persa, un´esperienza perduta per
sempre ed assolutamente impossibile da rimpiazzare.
Non voglio peró filosofeggiare, non ne ho la preparazione, né avrei l´esprienza sufficiente per
poterlo fare. Voglio invece, a proposito di quanto sopra affermato, “raccontare” un racconto
che mi accompagna da tantissimo, quasi da sempre direi: un racconto che peró ricordo solo
vagamente, un racconto fattomi leggere tantissimi anni fa dal mio stimato e mai dimenticato
maestro delle elementari, Angelo Pinto. Un racconto che a ben riflettere, credo proprio sia in
qualche modo il principale ed inconscio responsabile di quella mia profonda convinzione,
prima commentata, dell´importanza di completare sempre ogni progetto voluto ed iniziato.
Provo a trascrivere ció che a memoria ricordo di aver letto in quel racconto:
.....
«... Ormai maggiorenne, uomo adulto, sposato e padre di un bel bambino d´etá scolastica, un
giorno come tanti altri ero andato a prendere mio figlio a scuola. Faceva appena la prima
elementare e frequentava, le circostanze della vita cosí avevano voluto, quella stessa scuola che
era stata anche la mia scuola elementari... la San Lorenzo.
Quel giorno peró avevo fatto un pó tardi, un importante impegno di lavoro e poi il traffico e poi,
pioveva anche un pó. Fatto sta che quando raggiunsi il marciapiede di fronte al portone della
scuola dove normalmente attendevo che mio figlio uscisse con tutti gli altri suoi compagni, ormai
non c´era piú nessun altro genitore ad attendere, non c´erano piú scolari che uscivano dalla
scuola ed il portone era socchiuso: decisamente avevo fatto molo tardi.
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Non c´erano altre alternative, e cosí spinsi timidamente il pesante uscio ed entrai... Non avevo
mai piú varcato quel portone da quando, varie decine d´anni prima, avevo finito di frequentare
le elemtari. Il corridoio era deserto ed in nulla mi sembró cambiato da allora. Istintivamente e
lentamente comiciai a dirigermi, a sinistra, fino alla fine di quel primo pezzo di corridoio e poi
girai a destra avviandomi nell´altro pezzo di corridoio a metá del quale, lo ricordai benissimo,
c´era l´aula che era stata la mia.
Fu a quel punto che cominciai a sentire una voce maschile, solida ma allo stesso tempo e per certi
versi come se fosse in qualche modo stanca, che annunciava ripetutamente il mio cognome:
Perretti... Perretti... Perretti. Ah, stanno chiamando mio figlio pensai, qualcuno mi ha visto
entrare e lo stanno cercando per consegnarmelo.
Avevo nel frattempo raggiunto la porta di quella che era stata la mia aula; era aperta e cosí
intravidi subito la presenza in cattedra di due o tre signori... “Scusatemi” dissi con tono incerto
“sono il papá di Perretti, purtroppo ho fatto tardi”. …” Vieni, vieni avanti Perretti, ti stiamo
aspettando” esclamó seccamente interrompendomi uno dei tre signori in cattedra.
Timidamente entrai e con pochi e lenti passi raggiunsi il centro della cattedra. Ormai ero molto
vicino ai tre signori e cosí inevitabilmente cominciai a rendermi conto di certi particolari: erano
tutti e tre molto anziani dai capelli tutti bianchi... anzi no, i capelli non erano bianchi, ma lo
sembravano perché ricoperti da una spessa coltre di polvere grigiastra, ed anche le loro giacche
avevano le spalline ricoperte dalla stessa polvere, ed anche il piano della cattedra era ricoperto
dalla polvere... “Vai alla lavagna Perretti, tocca a te, dove t´eri cacciato.” esordí un altro dei tre...
“É da un bel pó che ti stiamo aspettando per esaminarti, ormai manchi solo tu per completare gli
esami finali per la licenza elementare di questa classe” disse il terzo maestro in cattedra.
“Bravo Perretti, tranquillo, vedrai che tutto andrá bene, io lo so che sei preparato...” irruppe una
quarta voce alle mie spalle. Una voce anch´essa antica e stanca, ma familiare. Mi girai e vidi a
pochi passi da me l´inconfondibile figura del mio maestro delle elementari, stava in piedi e lo
riconobbi subito nonostante fosse adesso molto piú vecchio e nonostante fosse anche lui tutto
ricoperto da quella spessa polvere bianca.
“Bravo, bravo” proseguí... “Bravo Perretti, io lo sapevo che prima o poi saresti arrivato e che tutti
noi abbiamo fatto bene ad aspettarti. Adesso che sei arrivato potremo finalmente completare
questo nostro impegno ed andare poi tutti a casa per raggiungere i nostri cari, ritrovare i nostri
affetti, adempiere alle nostre altre occupazioni. E tu potrai finalmente superare gli esami,
raggiungerai questo tuo importante traguardo, sarai promosso e dopo le vacanze andrai alla
scuola media, poi al liceo e poi all´universitá. Io ti conosco bene Perretti, con un pó di impegno e
con molta buona volontá ne farai tanta di strada tu, ma non dimenticartelo mai peró: la volontá
innanzi tutto, la volontá di andare sempre avanti fino a completare ognuno degli impegni che
vorrai assumere”.
Io ero rimasto ammutolito ed ero ormai del tutto paralizzato, e d´un tratto mi sentii come
traslato a quel giorno di 29 anni prima, a quel venerdí di giugno, a quel mio ultimo giorno di
scuola dell´ultimo anno, il quinto quindi, delle elementari. A quei tempi si dovevano superare gli
esami finali per ottenere la licenza elementare, quegli esami erano naturalmente una cosa molto
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seria, bisognava sostenerli al cospetto di una commissione esterna di tre maestri, ed io avevo
studiato molto per prepararmi bene.
Qindi, in quella strana paralisi che mi aveva avvolto e come fosse un vecchio film in bianconero,
comiciai a rivedermi in quel lontanissimo giorno: mi trovavo nel corridoio in nervosa attesa di
essere esaminato e quando ormai mancava molto poco al mio turno, venne a chiamarmi il
bidello il quale mi disse che al portone c´era ad attendermi mio zio che doveva parlarmi.
Raggiunsi mio zio che mi disse di dovermi portare un momento a casa per via di una urgenza
sopravvenuta e che poi sarei tornato a scuola. Una volta giunti a casa peró, mi spiegarono che
quell´urgenza era in effetti una disgrazia: mio padre era deceduto.
Naturalmente né io né altri in quel giorno pensammo che dovevo tornare a scuola. Poi da quel
giorno in avanti, inevitabilmente, tutto in casa cambió. Poi venne l´estate, poi l´autunno e poi
cambiammo casa, poi la mamma cominció a lavorare ed io in qualche modo cominciai ad
aiutarla, poi trascorsero gli anni e la mia vita proseguí... mai piú pensai di dover ritornare a
scuola.
Non so quanto tempo trascorsi in quello stato di paralisi assoluta, ma so che ci rimasi fino a
quando sulla porta dell´aula comparve una giovane bidella tenendo per mano mio figlio:
“Buongiorno signor Perretti, ecco qui il suo bambino, ha fatto il bravo mentre attendeva il suo
arrivo, ma lei cosa ci fa tutto da solo in quest´aula deserta, non ha visto che ormai sono andati
tutti via? É giá molto tardi”.
Senza rispondere rigirai lo sguardo verso la cattedra e vidi che non c´era piú nessuno, neanche la
polvere, e non c´era piú neppure il mio maestro. E cosí, ancora un pó intontito, presi per mano
mio figlio e con una certa fretta mi avviai all´uscita... Non ho mai piú potuto dimenticare nessuna
di quelle parole indirizzatemi quel giorno dal mio maestro...».
.....
Io invece, non ricordo null´altro di quel racconto, e non so se o come continuasse, e non
ricordo neanche il suo titolo, né tano meno conosco il nome dell´autore. Certo é peró, che quel
racconto mi suggestionó profondamente quando da bambino lo lessi. Cosí come é anche certo
che molto probabilmente quel racconto, nella sua semplicitá e magari solo indirettamente,
abbia poi in qualche misura influenzato la mia formazione ed il mio carattere: “il mio viaggio”.
Gianfranco Perri
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Nell´agitato e venturoso viaggio della vita si è ineluttabilmente spesa la mia gioventú, e
poi, come Ulisse, son di nuovo approdato alla mia terra nativa. E così, in questo nuovo
inizio di percorso, mi ritorna chiaro alla mente il poema “Itaca” di Kostantin Kavafis.
G.P.
...Sempre devi avere in mente Itaca,
raggiungerla sia il pensiero costante;
soprattutto, non affrettare il viaggio.
Fa che duri a lungo, per anni,
e che da vecchio metta piede sull'isola,
tu, ricco dei tesori accumulati per strada.
...Hai goduto del tuo lungo viaggio,
é stato pieno di peripezie, pericoli, esperienze
e molti giorni di sereno.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di essa mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?
Non attenderti ricchezze da Itaca;
forse non ha null'altro da offrirti
oltre a questo meraviglioso viaggio.
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso,
giá tu avrai capito ció che Itaca vuole significare...
Kostantin Kavafis
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Tutte le volte in cui mi è capitato di scrivere un libro, sia quando si è trattato di libri
tecnici legati alla mia professione di professore universitario e progettista di gallerie e sia
quando, molto più di recente, si è trattato di Brindisi, l’ho sempre fatto senza averlo
programmato o deciso a priori, ma solo dopo aver scritto più appunti, in partenza tra di
essi scollegati e comunque in ordine non sequenziale, scritti in momenti diversi anche
abbastanza distanziati tra di essi e scritti per il solo piacere di afferrare e sviluppare e poi
ordinare una qualche idea o pensiero, o più semplicemente per il piacere di approfondire
e quindi meglio sistematizzare la conoscenza di un qualche evento o personaggio o luogo
che abbia attratto la mia attenzione o la mia fantasia.
Poi, un bel giorno d’un tratto balena l’idea della scrittura del libro e quindi comincia la
fase di organizzazione degli appunti, della ricerca e dello studio per il loro completamento
e per la loro integrazione ai fini di un determinato obiettivo: questa seconda fase per me
inizia con la scrittura dell’indice del libro e termina con la scrittura dell’introduzione del
libro… e si, l’introduzione la scrivo sempre alla fine, perché solo alla fine riesco, e magari
non sempre, a capire il senso di quel che ho creato.
Questo libro non ha certo costituito un’eccezione. Un libro di fatto scritto durante anni tra
tante pause e tante nuove letture, tra tanti appunti e qualche articolo scritto per il mio
blog “Via da Brindisi” su Senzacolonne News.
Poi, la decisione di dare una sistematicità a quegli appunti e soprattutto di dare loro un
qualche ordine: quindi selezionarli, completarli ed integrarli. Il risultato? Queste cento
pagine, questi quaranta racconti presentati seguendo il solo ordine cronologico.
Racconti tutti evidentemente e necessariamente slegati tra di essi, ma strettamente ed
intimamente accomunati da un chiaro filo conduttore: “sono i racconti di viaggiatori del
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tempo e dello spazio, viaggiatori che passano da Brindisi, viaggiatori dalle diverse
sensibilità che Brindisi osservano e ci descrivono… ci raccontano, appunto!”.
E raccontano racconti che ci emozionano: di quell’emozione autentica e intima che si può
provare con solo scoprire come un determinato personaggio, giunto da più o meno
lontano, magari 100, o 1000, o ancor più anni fa, scrive e racconta come abbia sostato in
quella stessa riva, in quella stessa scalinata, al cospetto di quello stesso mare.
Come abbia calpestato quegli stessi vicoli e abbia varcato quelle stesse soglie, di chiese,
castelli, conventi, monasteri e palazzi. Come abbia attraversato quelle stesse porte, abbia
sostato in quelle stesse piazze e abbia contemplato quelle stesse mura torri e torrioni.
Come abbia gioito di quegli stessi panorami e di quella stessa candida luce che da ogni lato
dardeggia la città e soprattutto il suo mare: “…in quella luce sembrava di trovarsi entro
pareti di cristallo, nella lanterna d’un faro...” – Cesare Brandi, 1954.
E poi l’emozione non fa che continuare a crescere, con lo svelare e confrontare le tante
diverse, alle volte contrastanti ma quasi sempre appassionate travolgenti e coinvolgenti,
sensazioni suscitate da Brindisi in ognuno di quei viaggiatori, e ancor più al pensiero di
quanti e quali straordinari “fatti” di incredibile rilevanza siano stati lì protagonizzati, o
siano comunque trascorsi nei millenni in tutti quei luoghi… Si proprio ed esattamente in
quegli stessi luoghi che a tanti di noi ci hanno visto nascere, crescere, giocare, studiare,
marinare, battagliare, gioire, soffrire, amare…
Ma mi pare di non aver ancora spiegato cosa in fondo sia secondo me questo mio “Brindisi
Raccontata”. Ebbene devo confessare che io credo di averlo cominciato a percepire solo
quando ho letto quanto ha gentilmente voluto scrivere il prof. Caputo:
••• Sì, Brindisi Raccontata da poeti, scienziati, artisti, statisti, professionisti,
giornalisti, militari e uomini di mare, è una sorta d’immagine d’insieme che tende a
descrivere la città non secondo il modulo della vecchia e aulica storiografia, quanto
piuttosto di una città evidenziata nei suoi scorci culturali e nelle sue proposte, colta, dai
personaggi che ne formano le pagine, quasi in movimento, sempre viva, appassionata e
consapevole della grande storia pregressa e dell’impegnativo cammino da fare •••
E per finalmente concludere, nulla di meglio che ricorrere alla mia introduzione a questo
mio “Brindisi Raccontata”:
••• ancora una volta un libro senza pretese letterarie, né tanto meno storiche. Certo,
assolutamente non un libro di storia, eppure quella sequenza cronologica che ho voluto seguire
nell´ordinare i racconti qui “raccontati”, in qualche modo la storia di Brindisi la lascia
intravedere, la lascia scoprire ed indovinare, quanto meno ad un lettore appena appena un po’
fantasioso... a me è successo e mi auguro possa succedere anche a qualcun altro! •••
Gianfranco Perri
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BRINDISI "filia solis"
Nella parte più a nord del Salento è situata Brindisi, città antichissima crogiolo di
culture e teatro di vicende entrate a buon diritto nei manuali della grande storia, città
nobile e antica che secondo alcuni si dovrebbe chiamare Brunda. E' noto a tutti che
questo nome significa testa di cervo, non in greco o latino, ma in lingua messapica, il
porto di Brindisi ha infatti la forma di una testa di cervo, le cui corna abbracciano gran
parte della città. Il porto è famosissimo in tutto il mondo e da ciò nacque il proverbio
che sono tre i porti sicuri della terra: Iunii, Iulii, et Brundusii (De situ Japygiae - Il
Galateo, 1558).
La parte più interna del porto è cinta da torri e da una catena; quella più esterna la
proteggono gli scogli da una parte e una barriera di isole dall'altra: sembra l'opera
intelligente di una natura burlona, ma accorta. La costa, che dal monte Gargano fino a
Otranto è quasi rettilinea ed incurvata in brevi tratti, nei pressi di Brindisi si spacca ed
accoglie il mare, formando un golfo che si insinua nella terra con uno stretto delimitato,
come già detto, dalle torri e dalla catena. Un tempo, questa stretta imboccatura era
profondissima e poteva essere attraversata con navi di qualsiasi grandezza.
Da questo stretto, il mare si riversa per un lungo tratto dentro la terraferma attraverso
due fossati naturali che circonvallano la città; è sorprendente, sopratutto nel corno
destro, la profondità del mare che in qualche punto, dicono, supera i venti passi. La città
ha all'incirca la forma di una penisola, tra i due bracci di mare. Sul corno destro, ha una
fortezza di straordinaria fattura, costruita con blocchi di pietra squadrata per volere di
Federico II, e poi ha il castello Alfonsino, il Forte a mare dei brindisini.
Brindisi è cresciuta sul più orientale porto d'Italia che ne ha determinato il destino. Le
colonne terminali della via Appia, specchiandosi dall'alto della loro scalinata nelle
acque del porto interno, vigilano su quella che la tradizione vuole come l'ultima dimora
di Virgilio.
E poi Brindisi cela tantissimi altri frammenti di storia, le cui testimonianze sono ancora
leggibili nel tessuto urbano, attraverso itinerari che si devono percorrere per ammirare
l'eleganza dei suoi numerosi palazzi, le maestose dimore dei Cavalieri Templari, la
ricchezza del suo patrimonio chiesastico e da ultimo, per scoprire l'essenza autentica
della città che il grande Federico II defini' "filia solis", esaltando la mediterranea
solarità di questo straordinario avamposto verso l'Oriente.
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