Umorismo

Cosa intendiamo con umorismo, e in che misura possiamo parlare di umorismo, oggi? Il concetto che durante il modernismo Luigi Pirandello ha definito come capacità di saper esprimere il «sentimento del contrario» (1908) appare come requisito fondamentale per lo scrittore contemporaneo: uno strumento necessario a chi si adoperi a appresentare la società del soggetto scisso, retta da un’ideologia che si fonda e si costruisce sull’ambivalenza dei messaggi e sulla progressiva incapacità del pubblico medio di riuscire a decifrarli. In questo articolo, attraverso una lettura dei testi tratti da quella che ho individuato come fase maggiore dell’opera di Walter Siti  – i cinque romanzi dell’”autofiction”: Scuola di nudo (1994), Un dolore normale (1997), Troppi paradisi (2006), Resistere non serve a niente (2012), Exit Strategy (2014) – in comparazione con alcuni scrittori a lui contemporanei, ossia Philip Roth, Don DeLillo e Jonathan Coe, nonché attraverso il recupero della lezione umoristica pasoliniana, è mia intenzione ragionare su una possibile teorizzazione di un umorismo ipermoderno, che, paradossalmente, ha conservato le caratteristiche dell’umorismo così come è stato trasmesso dal modernismo, tuttavia anteponendole alla capacità di provocare il riso.

Col sorriso sulle labbra. La satira tra libertà di espressione e dovere di rispetto * SOMMARIO 1. Introduzione-2. La satira e il diritto alla libertà di espressione-3. Satira, umorismo e rispetto-4. Deridere la religione-5. Le basi morali della libertà di satira-6. Conclusioni.

The paper discusses the relation between Luigi Pirandello's L'umorismo and Umberto Eco's and Richard Rorty's diverging versions of irony. The article highlights genealogical, as well as rhizomatic relations between modernist humour and postmodernist irony. By tracing one of its roots in Pirandello's text, the paper aims to problematise the often over-simplified notion of postmodernist irony as meaningless playfulness and detachment.

Dino Segre, al secolo Pitigrilli, è stato uno scrittore popolare e di successo, citato anche da Umberto Eco per l’innegabile originalità e validità letteraria. Pubblichiamo  un suo racconto inedito in Rete dal taglio ironico e pepato, in cui l'autore con leggerezza – anzi, leggierezza come dicevano i nostri nonni una volta – ci racconta di una vacanza...

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L’Omero dei Castelli Romani non trascura neanche una lettera di quello che scrive, e pratica un altro tipo di epica: Achille Campanile, personalità del Novecento italiano forse un po’ troppo sottovalutata dai quadri storiografici e letterari, è entrato di forza – con le sue battute irriverenti e argute – nell’accezione moderna del termine “epica”. Come definire, infatti, se non “epiche”, le sue intuizioni, non solo riguardo i giochi di parole – molto più di sette, e tutti studiati e presentati in maniera naturale… pardon, legittima!

Il comico, l’umorismo, l’ironia sono dei concetti abbastanza simili tra loro ma che sembrano sfuggire a ogni tentativo di classificazione “scientifica”. Molti autori fanno confusione, e usano questi termini, spesso impropriamente, come sinonimi. Fin dall’antichità diversi scrittori e filosofi hanno tentato di formulare delle definizioni, eppure nessuno ci è riuscito in modo soddisfacente.
Un argomento così seducente non poteva risparmiare un grande pensatore contemporaneo come Umberto Eco, che, armato di strumenti semiologici, ha in più riprese analizzato vecchie ipotesi, mostrandone i punti deboli, fornendo nuovi spunti e proponendo nuove teorie. Certo, un libro che analizzasse sistematicamente il comico non lo ha scritto, ma i saggi che dedica all’argomento possono essere considerati pochi soltanto se paragonati alla sua vastissima bibliografia. In più – questo non va trascurato – Eco è un raffinato scrittore e pubblicista, e le sue concezioni del comico, dell’ironia e dell’umorismo (ma anche le sue perplessità e i suoi dubbi) si riflettono sulle prose letterarie, nei romanzi, e in molti interventi pubblicati sulla stampa.
Ci troviamo, così, di fronte a due aspetti di Umberto Eco: il primo appartiene a un Eco semiologo e studioso, autore del Trattato e di tantissime altre pubblicazioni accademiche; il secondo, invece, è l’ironico e arguto Eco, grande narratore di storie e aneddoti scherzosi, autore di virtuosismi e di giochi linguistici, abile parodista e opinionista dallo spiccato sense of humour. Ovviamente questa è una distinzione di comodo, forse persino troppo rozza, e scevra del benché minimo intento di gerarchizzazione tra Eco semiologo ed Eco scrittore: semplicemente intendiamo analizzare questi due aspetti separatamente, senza far confusione tra testi accademici e testi non scientifici, distinguendo tra Eco teorico del comico e Eco produttore di comico.
Noi non interrogheremo gli scritti umoristici e le parodie di Eco per trovare risposte di livello teorico, questo vogliamo ribadirlo. Al contrario, li analizzeremo soltanto dopo aver inquadrato teoricamente quei problemi sul comico ai quali Eco si è dedicato in altra sede.

Obiettivo del mio lavoro è di varcare la soglia della letteratura umoristica nel luogo in cui essa è venuta a relazionarsi con le vicende più tragicamente note del XX secolo. Quindi, di verificare le possibilità espresse dal genere comico-umoristico cui l’opera fa riferimento di comporre un itinerario letterario di riflessione e metabolizzazione riguardo al contesto dei Lager novecenteschi. Se è vero che tutta quanta la letteratura ha dovuto e deve confrontarsi con il trauma imposto dalle vicende totalitarie e dalle guerre del Novecento, la narrativa comico-umoristica ha espresso in questo senso un parere inequivocabile; un parere che ancora può fornire alla critica numerosi argomenti di riflessione e discussione.
Il lavoro presenta una suddivisione in tre capitoli. Nel primo ho cercato di riflettere sulla matrice arcaica dell’opera clandestina. Perciò, seguendo i binari della comicità universale tracciati da Michail Bachtin, ho introdotto una nozione ampia di comicità, intesa quale sistema di pensiero, quale modalità percettiva e analitica capace di investire, al di là del mero artificio rappresentativo, l’intero sistema di voci ed echi rappreso nelle maglie intrecciate della tradizione, e di intervenire con parola sublimata e rarefatta sui temi più drammaticamente contingenti del presente. Tale indagine a proposito dell’uso guareschiano della comicità è stata condotta sul filo del medesimo esempio tematico e stilistico considerato, nel suo celebre saggio, da Bachtin: quello del Gargantua e Pantagruel di Rabelais. Difatti, nella vitalità esuberante dell’epopea rabelaisiana - in quell’insieme di elementi narrativi che Bachtin faceva risalire alle categorie del realismo grottesco e del carnevalesco quali espressioni liberatrici e gioiose della cultura comica popolare del Medioevo - ho potuto riconoscere il paradigma di un archetipo letterario, per individuare, alla base Diario, l’analoga sostanza di una vis descrittiva capace di abbandonare o disperdere tutti i significati e di indirizzarsi alla comunicazione delle soluzioni più impensate e incomprensibili.
Guareschi mette in scena sequenze di dislocazioni, di gesticolazioni figurative, l'audacia rappresentativa delle quali sembra indirizzarsi unicamente all’espressione di quella vorticosa incredulità con la quale il consesso degli internati si è trovato a contemplare lo stretto orizzonte concentrazionario dei Lager. La disarticolazione comica delimita i contorni di un viaggio surreale: non quello movimentato delle peripezie, degli intrecci, delle incredibili avventure rabelaisiane, ma quello morale, etico, umano della tragedia. Poiché plasmata di comicità, si tratta, ad ogni modo, di un’esperienza folle, di un percorso nel quale la follia del Gargantua è elevata a categoria concreta, reale, vera: è la quotidianità vissuta a bordo del vascello concentrazionario sul quale gli internati militari navigano il mare della storia e della vicenda umana che è la vita.
Dal primo capitolo è dunque emerso come il XX secolo di Guareschi abbia potuto saldare alla soglia culturale della comicità come matrice inestinguibile - come presupposto espressivo dal quale far riaffiorare un'originaria tensione vivificante interna al testo - il significato della rappresentazione di un'umanità scardinata dai propri binari, sottratta ad ogni categoria di ammissibilità, ad ogni giudizio di credibilità.
Il secondo capitolo prende le mosse dalla considerazione che il Diario clandestino sia il risultato della raccolta e dell’assemblaggio di materiali interamente pensati e scritti - ad eccezione dell’Appendice - durante il periodo dell’internamento dell’autore nei Lager tedeschi. Poiché molti dei suoi brani sono stati addirittura letti o recitati durante la prigionia, è a tale specifica connotazione di aderenza al dramma contingente del vissuto, che ho voluto fare continuo riferimento per valutare l’opera nel suo insieme: sia per quanto concerneva il contenuto formale, sia per quanto si riferiva ad aspetti stilistici e narratologici.
Come rispondere, dunque, alla domanda sul genere di appartenenza del Diario guareschiano? Un simile quesito doveva sollecitare non poche ragioni dubbio. Non si tratta, difatti, di una mera rielaborazione in prima persona di una porzione traumatica dell’esistenza, né della schematica o pedissequa descrizione del contenuto formale ed esistenziale di due anni di prigionia. Impraticabile si è rivelato il tentativo di ricondurne la sostanza a formule semplificative come quelle del diario-testimonianza. D’altro canto, altrettanto fuorviante è sembrata l’ipotesi di ridurne forme e aspetti contenutistici al genere del romanzo.
L’unica strada percorribile al fine di concepire una definizione esaustiva del genere mi è sembrata quella di seguire la voce dell’autore che, fin dall’inizio del Diario - dall’Introduzione premessa al testo -, riconosce al proprio racconto la peculiare qualifica di asserzione collettiva, di bilancio complessivo e corale: è la voce del numero 6865 che parla, nel testo, a nome di tutti coloro che hanno collaborato all’edificazione di quella che Guareschi denomina <<Città democratica>>. Il Diario non è, dunque, un romanzo, non un racconto, non una semplice autobiografia: è la risposta testuale a un desiderio di resoconto, a un impulso di sopravvivenza che passa, non importa se consapevolmente o meno, dalla voce e dall’esperienza congiunta di tutti coloro che ne sono stati protagonisti.
La coralità altro non è che il modo lucido, assoluto, decisivo, complessivo, il modo giudice e complice del discorso umoristico che Guareschi impernia sulle forme disarticolate del comico. È la riflessione che ha permesso alla comicità guareschiana di interagire fattivamente, concretamente nel testo, con le tragedie storiche del proprio tempo e, quindi, di depositare l’inconfondibile significato post-totalitario di un esercizio di interazione testuale con la metafisica espulsiva dell’epopea arcaica.
Quanto il discorso umoristico guareschiano sia intimamente connesso all'esperienza concentrazionia, lo dimostra il fatto che entrambi i testi delle due orazioni (Guareschi, 1943 e Guareschi 1951) servite all’autore ad esprimersi inequivocabilmente sulla propria idea di umorismo dipendano temporalmente o ideologicamente da tale circostanza vissuta. È la vicenda dell’internamento a rendere comprensibile l’affermazione sulla quale l’autore ha impostato le proprie ragioni e la propria scrittura: quella di “comico = illogico”.
Una volta riconosciuto il ruolo che il discorso umoristico assume in Guareschi, ho cercato, nel mio lavoro, di estrarne le regole espressive, di riconoscerne e indicarne i tratti e i moduli distintivi. A tale scopo mi sono servita del sostegno teorico fornito dai testi delle due orazioni umoristiche di Guareschi, da un lato; di alcuni testi letterari presi a modello da Giovannino e di alcuni interventi teorici sull’umorismo, dall’altro. L’esercizio della letteratura umoristica doveva difatti accompagnarsi, in Guareschi, alla frequentazione di modelli letterari e alla conoscenza di un’importante scuola di teoresi sull’ironia e sul comico (Gaetano Trezza, Giorgio Arcoleo, Benedetto Croce, Alberto Piccoli Genovese, Luigi Pirandello). Il terzo capitolo della mia tesi è servito quindi a questo: a registrare i tratti stilistici e motivazionali dell’umorismo guareschiano del Diario nel loro specifico relazionarsi a tali pronunce teoriche e letterarie. Per quanto concerne la parte teorica, particolare rilievo è stato dato al confronto con le voci di Alberto Piccoli Genovese e di Luigi Pirandello. Di quest’ultimo sono state prese in considerazione alcune affermazioni del celebre saggio del 1908 e le parole fatte enunciare al Pascal narratore dei due prologhi de Il fu Mattia Pascal, attraverso le quali si è dato ragione di una nozione di anomalia situazionale quale condizione scaturente del discorso umoristico. Di Piccoli Genovese sono invece state tenute presenti le indicazione riguardanti in assoluto le qualifiche caratteriali dell’umorista, nel seguire le quali si è cercato di avvalorare la tesi di una corrispondenza tra l’impostazione umoristica guareschiana e il modello leopardiano delle Operette Morali. Se l'umorismo del Diario clandestino deve indirizzarci verso qualcosa, tale meta non potrà - si è visto - distare molto da quel misterioso abisso al quale è stato Giacomo Leopardi ad avviarci. Di tale legame che assimila la disposizione narrativa del Diario alla lucida visionarietà delle Operette ottocentesche ho potuto trovare definitiva conferma nelle osservazioni teoriche pronunciate da Riccardo Bacchelli a proposito di Leopardi e, sopratutto, nel suo stesso lavoro di scrittore rondista e fautore della ripresa della cosiddetta poesia in prosa leopardiana.
Nel fornire gli elementi di corrispondenza del testo clandestino con alcune specifiche Operette ho infine cercato di fissare definitivamente gli attributi inoppugnabili dell’umorismo guareschiano. I connotati emersi - quelli di serietà e ingenuità, lucidità e spontaneità, retrodatabilità e malleabilità, religiosità - sono talvolta parsi in contraddizione. Il carattere spirituale, ad esempio, non poteva non generare sospetti di improprietà. Ciò nonostante, su tali caratteristiche ho potuto poggiare la dimostrazione della pregnanza del racconto che, attraverso una narrazione che può dirsi vera e realistica, scioglie l’inghippo dell’orrido vissuto e travalica la contingenza in un dettato poetico universale (mette in pratica un procedimento di alterazione dell'immagine che assegna ai fatti e alle sensazioni un valore assoluto).

Trough the reference to Jonathan Swift's literary work, this essay tends to a presentation of humorous-satiric genre as a tool able to force the mankind, overturning traditional or common values and using the figure of metaphor, to face those dangerous elements for its existence and social dimension. Operating on society as «a great cleansing force» (Jeffares 1976), this genrein spite of limitations put forward by leading ideologiestries to act as «agente rivoluzionario di un contesto sociale cristallizzato» (Brilli 1974).

La vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che si incrosta e assume forma. Ogni forma è la morte (Luigi Pirandello, La trappola) La vie est un mouvement inégal, irrégulier et multiforme. (Michel de Montaigne, Essais, III, III) Noi commiseriamo ridendo, o ridiamo commiserando (Luigi Pirandello, L'umorismo) In tristitia hilaris, in hilaritate tristis (Giordano Bruno, Il candelaio) Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti (Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio Operatore) Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena (William Shakespeare, Come vi piaccia, atto II, scena VII) Preferirei restare pazzo e vivere con la più lucida coscienza la mia pazzia. So perfettamente di fare il pazzo: e lo faccio. (Luigi Pirandello, Enrico IV) Meglio essere un pazzo per conto proprio che un savio secondo la volontà altrui. (Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra-La sanguisuga)

Negli studi sull’opera di Pasolini l’analisi dell’uso della comicità e dell’umorismo è spesso ignorata. In questo articolo viene ripercorso il rapporto di Pasolini con le forme del riso, dall’indicazione di Charlot come punto di riferimento emblematico per il proprio impegno intellet-tuale all’elaborazione di un’accezione originale del concetto di umori-smo. Analizzando dichiarazioni e testi teatrali, viene alla luce un aspet-to inedito di Pasolini, che aderisce, in modo consapevole e tormentato, all’umorismo inteso come strumento principe della borghesia, affidan-do a esso gran parte della sua opera nell’ultimo decennio della propria vita. Per Pasolini l’umorismo è il codice comunicativo della borghesia, che si serve di esso per prendere le distanze dalla realtà. E dunque, proprio utilizzando l’umorismo come arma straniante all’interno della forma-tragedia, Pasolini intende combattere la borghesia sfidandola sul terreno della rappresentazione teatrale della realtà attraverso le sue stesse modalità comunicative.

Studio dell'utilizzo di elementi di arguzia, umorismo e gioco di corte nelle opere di tre artisti di formazione veneziana: Lorenzo Lotto, Jacopo Robusti detto il Tintoretto e Paolo Caliari detto il Veronese

(Indice, Introduzione e Bibliografia)

Questo studio affronta quel denso campo culturale che fu la Milano degli Scapigliati, attraverso tre decisivi snodi di una crisi provata da un pensiero che dové definirsi “dualistico” sulla scena del Profondo e del Moderno. L’emergere di un nuovo senso “interiore” dello spazio esterno, nello squilibrato espandersi della città; il precisarsi di un’antinomia intrinseca all’io non meno che al corpo sociale, nelle evoluzioni della tematica del “Doppio”; il definirsi di un’estetica totale, fondata sul principio dell’ “asimmetria”. Un lavoro che affonda nei giunti di quella mai risolta tensione, che nella cultura italiana appare come la prima irruzione di una dialettica dell’avanguardia, considerata nella prospettiva del suo ‘fronte interiore’. [quarta di copertina]
ISBN 88-8176-281-1

Humour is the first of the gifts to perish in a foreign tongue» (Virginia Woolf, On not knowing Greek) Avvio il discorso con un ricordo personale, umoristico senz'altro, di qualche anno fa: una mia cara amica, presentandomi al suo fidanzato spagnolo ed elogiandomi come persona abile a rigirare le situazioni a suo favore, gli disse: «She's very able to turn the omelette». Nonostante la premura dimostrata nell'impiego dell'inglese come lingua franca -premura nei miei riguardi, visto che non conosco lo spagnolo -il solo risultato della traduzione letterale del modo di dire italiano girare la frittata furono una grande perplessità in lui e una mia scrosciante risata.

Il mio lavoro di tesi magistrale indaga un aspetto sconosciuto del racconto sulla Grande Guerra: la narrazione comica e umoristica. La risata diventa in quegli anni strumento di propaganda, arma di evasione dalla realtà, fonte di resistenza dagli stereotipi. Questo lavoro studia la funzione della risata in diversi autori e diversi generi letterari.

La presente tesi ha come oggetto l’analisi di un tipo particolare della traduzione audiovisiva, vale a dire del doppiaggio. Si metteranno a confronto con la versione originale del film animato Shrek, di Andrew Adamson e Vicky Jenson (2001), le sue traduzioni in polacco e italiano. Il fine dell’analisi contrastiva sarà l’individualizzazione di diverse strategie traduttive utilizzate nel caso degli elementi problematici, come i contenuti culturali e la comicità. Si tenterà inoltre di indagare le motivazioni dei traduttori.  Il lavoro sarà diviso in due capitoli. Il primo, la parte teoretica della tesi, consterà di quattro paragrafi dedicati rispettivamente al doppiaggio, alla sua storia e alla traduzione dei contenuti culturali e degli elementi umoristici.  Nel primo paragrafo verrà spiegato il termine della traduzione audiovisiva, che è un tipo particolare di traduzione a causa della presenza dell’immagine che, a volte, la può facilitare oppure ostacolare. In seguito, ne verranno elencati e brevemente descritti tutti i tipi. L’attenzione sarà concentrata sul doppiaggio, l’obiettivo della presente ricerca.  Nel paragrafo successivo sarà presentata la divisione dell’Europa a seconda delle preferenze legate all’uso di un tipo particolare della traduzione audiovisiva. In questa classificazione i paesi europei vengono soprannominati come grandi e piccoli, che rispettivamente indicano quelli che preferiscono il doppiaggio e quelli che ricorrono alle altre tecniche, come la sottotitolazione o il voice over. Successivamente, verrà brevemente passata in rassegna la storia del doppiaggio sia in Polonia sia in Italia.  In seguito, ci si concentrerà sulla traduzione dei contenuti culturali, ovvero di concetti legati a una cultura, non esistenti nelle altre, che possono rivelarsi un vero e proprio filo da torcere ai traduttori. In questo paragrafo verrà inoltre presentata la suddivisione dei contenuti culturali in varie categorie nonché le strategie traduttive che possono esservi applicate. Se ne distinguono tre fondamentali, vale a dire la naturalizzazione, la stranierificazione e la neutralizzazione.  L’ultimo dei paragrafi teoretici delineerà un altro problema traduttivo, quello riguardante la trasposizione degli elementi umoristici, che spesso hanno come fondamento giochi di parole difficilmente traducibili oppure comprendono riferimenti ai


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concetti sconosciuti al pubblico di altra cultura. In questa parte verranno presentati degli esempi di vari tipi di comicità, sulla base di diversi film animati, come L’era glaciale, Madagascar o Shark Tale.  Il secondo capitolo è costituito della parte analitica della tesi, che sarà dedicata ai dialoghi filmici del cartone animato Shrek. Lo scopo dell’analisi sarà di evidenziare e provare a comprendere le strategie traduttive. In seguito, si procederà con il confronto delle versioni polacca e italiana con la versione originale in lingua inglese. Gli esempi analizzati sono stati suddivisi a seconda delle problematiche traduttive, che possono riguardare, già affrontati nella parte teoretica, trasposizione di contenuti culturali, comicità o nomi propri. Ogni esempio sarà accompagnato da un’analisi dettagliata volta a riflettere sulle strategie e scelte traduttive.  Il lavoro si conclude con le conclusioni e la bibliografia di riferimento.

Cuatro corazones con freno y marcha atrás si colloca tra le opere teatrali di Enrique Jardiel Poncela che meglio ne hanno rappresentato la teoria drammatica (Rus Oneca, 2000: 616), e che con maggiore evidenza si sono allineate a quella "estética de lo inverosímil" (Valls e Roas, 2001: web) promossa dal drammaturgo. È l'autore stesso a elogiarne il valore nel prologo alla commedia (Jardiel Poncela, 1960: 870-871), arrivando al punto di annoverarla, "en pleno énfasis renovador" (Conde Guerri, 1993: 85), tra le opere in cui era riuscito a ottenere "con éxito el surrealismo que antes se había intentado hacer vanamente" (Jardiel Poncela, 1970: 285); la critica ha confermato in parte questa opinione, considerando la pièce "la más lograda encarnación del «teatro de lo inverosímil» jardielesco" (Alás-Brun, 1995: 59). L'insoddisfazione per le forme codificate del teatro del suo tempo, benché non senza qualche contraddizione ne assumerà in parte i dettami 1 , portò Jardiel RICARDO. Abrazarlo y comérmelo es poco. Ante él hay que hincarse de rodillas, poner la frente en sus botas y rezarle un Credo... MUJERES. ¡Jesús! JOSÉ. Vaya blasfemia... VALENTINA. Ricardo... EMILIANO. Loco perdido. RICARDO. Ante ese genio, ante ese genio hay... ¡Ay!.. (Se pone pálido y cierra los ojos.

In the Risorgimento period the Sicilian ballad-writers focus on supernatural topics, enriching the European Gothic-fantastic with a dimension of social criticism: the ghostly presences in their works reveal the atrocious noble violence, the danse macabre shows the equalizing power of death. It is equally important the depiction of a horrible but fascinating otherworld, that gives rise to a dynamic and theatrical writing, properly exploited by some scenic rewritings. Years later, in La festa dei morti (1887) Giovanni Verga again resumes ancient, traditional beliefs, giving to the inhabitans of the underworld the task to remember their existence and feelings to the living beings , to provide a link between past and present, underground world and surface. By the end of the Nineteenth Century Giuseppe Pitré, the first Sicilian scholar of Folk Culture, collects a huge number of popular legends of the supernatural, defining a varied and complex universe of amazing creatures, based on Greek mythology but also related to the north european folklore. We move into Modernity with the Pirandellian fantastic: the humoristic sight of the storyteller reinterprets the unsettling popular mythology as a mask, that covers and hides a situation of indigence and suffrance: ware wolves and changed sons are, indeed, sick and isolated human beings, the magical remedies are quackery. Since Pirandello the fantastic tale highlights the illogical and discordant elements in the daily life, revealing the cracks in a world that seems more and more caotic and unintelligible. But in his theatrical rewriting La favola del figlio cambiato Pirandello explores the Sicilian folkloric imagination from another point of view, by proposing a more harmonious reality, in which individual desires, collective needs and unsetting presence of the supernatural could be integrated.
Riassunto: In epoca risorgimentale i ballatisti siciliani privilegiano il soprannaturale come oggetto di narrazione; nei loro testi il fantastico visionario si coniuga con un intento di critica sociale, per cui i mostri diventano simbolo della prepotenza nobiliare, le danze macabre del potere livellatrice della morte. Ne deriva una scrittura dinamica e teatrale, che si realizza in successive riscritture spettacolari. Giovanni Verga in La festa dei morti (1887) nuovamente attinge alle antiche credenze riprendendo il modulo della Totentanz; il suo racconto assegna agli abitatori dell'oltretomba il compito di ricordare, configurando un legame fa passato e presente, mondo sotterraneo e di superficie, il primo preposto a rivelare precarietà ed insensatezza dei viventi. A fine Ottocento Giuseppe Pitrè raccoglie le sparse credenze popolari siciliane costruendo un universo di creature fantastiche che trae alimento dalla mitologia greca, ma mostra anche evidenti affinità con il folkore nordico. Con il fantastico pirandelliano entriamo nella modernità: lo sguardo umoristico del narratore reinterpreta l'inquietante mitologia popolare come maschera , che copre una realtà di meschinità e sofferenza, dove i licantropi o i figli cambiati sono esseri isolati nella malattia. Il racconto fantastico si interiorizza, costituendosi come discorso sull'identità sempre più precaria del soggetto che subisce l'esperienza perturbante, individuata talvolta come occasione di stimmata sociale. Con l'opera teatrale La favola del figlio cambiato Pirandello esplora invece l'immaginario folklorico siciliano proponendo una soluzione armoniosa di integrazione fra Natura e Cultura. Parole chiave: fantastico siciliano, Luigi Pirandello, Giovanni Verga, ballata romantica

http://www.aracneeditrice.it/index.php/pubblicazione.html?item=9788825529210

Tra  il  1927  e  il  1946,  negli  anni  del  consolidamento  e  declino  del  fascismo,  vengono pubblicati  oltre  quaranta  titoli  di  narrativa  umoristica,  soprattutto  romanzi,  molti  dei quali  con  tirature  da  best-seller.  È  l’affermazione  del  genere  umoristico,  fenomeno ascrivibile  a  figure  come  Campanile,  Zavattini,  Guareschi,  Mosca,  Metz,  considerati all’epoca  veri  e  propri  professionisti  dell’intrattenimento.  Questo  volume  ne  descrive  i termini  e  i  caratteri,  ne  rintraccia  le  derivazioni,  ne  sottolinea  la  collocazione  ambigua nell’editoria  irreggimentata,  e  così  facendo  cerca  di  ricostruire  la  più  stravagante tappa  del  rapporto  tra  il  comico  e  la  forma-romanzo  nella  letteratura  italiana  del Novecento.

Koestler nella prima parte de “L’atto della creazione”(1964) compie uno studio sui meccanismi cognitivi ed emozionali che si svolgono nell’umorismo. Questi processi non sono dissimili da quelli presenti nell’intuizione scientifica e nella creazione artistica, un’analogia che viene concretizzata nella costruzione di un pannello a tre voci su cui vengono installate  le forme che possono assumere questi tre ambiti della creazione - Esemplificando, la satira nella parte comica dello schema, diventa analisi sociale per uno sguardo di tipo scientifico e allegoria nella composizione poetica.
Tutto dipende da come si interpreta un evento, o una situazione della realtà.
Premesso questo, mi soffermerò in particolare sulla teoria del riso formulata nei due capitoli iniziali  dell’opera intitolati significativamente “La logica del riso” e “Riso ed emozione”.

L’analisi della struttura narrativa del primo romanzo di Campanile, «Ma che cos’è quest’amore?» (1927), paradigmatica di uno schema che l’autore reitera con poche varianti nei romanzi successivi, è utile a individuare due aspetti fondamentali del suo umorismo: 1) la costruzione dell’opera per frammenti comici (battute, scenette, trovate) ruotanti attorno a un debole pretesto diegetico; 2) l’utilizzo di moduli narrativi mutuati dalla letteratura di consumo (gialla, rosa e d’avventura) i quali, svuotati dall’estro campaniliano, che ne  aggredisce gli elementi costitutivi (il linguaggio,  il pathos,  i personaggi), restituiscono al romanzo una unità di fondo. Ciò  attiva una dialettica comica interna secondo cui, mentre l’esibito e arbitrario montaggio dei frammenti dilata l’intreccio irridendo e parodiando gli stereotipi letterari coevi, questi ultimi agiscono sul piano strutturale preservando coerentemente la paradossale consequenzialità fra gli snodi essenziali della trama.

La Giornata degli Italianisti è un appuntamento ormai consueto, e ben consolidato, nell'ambito della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo organizzata dall'Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, sotto l'egida della nostra Ambasciata, Ne è prova la partecipazione, ogni anno, di un pubblico attento e qualificato costituito da studiosi della nostra lingua e cultura, da dottorandi, da studenti universitari. La Giornata, cui partecipano sia giapponesi che italiani, è un'occasione importante per fare il punto sullo stato dell'arte nell'italianistica in Giappone. Questa pubblicazione -che raccoglie gli interventi della Giornata degli italianisti -giunge, nel 2014, alla quarta edizione; quest'anno, per la prima volta, in formato digitale. Essa rappresenta un'opportunità preziosa che va al di là del mondo accademico: consente infatti anche al lettore non specialista, ma intellettualmente curioso, di farsi un'idea di quella che è una gamma di interessi e di passioni intellettuali davvero ampia e variegata. Il Giappone, paese che crede così fortemente nel valore della cultura da investirvi cifre considerevoli, ha fondato moltissime università, che si sono meritate un'ottima reputazione. Nel mondo accademico nipponico anche l'italianistica brilla per fecondità e originalità dei contributi. Una nutrita schiera di italianisti profondono le loro energie e il loro talento nello studio di tematiche le più svariate e stimolanti. Anche quest'anno, dunque, l'Istituto Italiano di Cultura di Tokyo esprime gratitudine e apprezzamento a tutti coloro che hanno accettato il nostro invito a relazionare e confrontarsi sul tema conduttore, prescelto dal nostro Ministero, "L'Italia dei territori, l'Italia del futuro". Hiroko Kudo riesce a rendere interessante e vivo un argomento ostico, le Regioni a Statuto Speciale; ci fa comprendere quanto anche il dibattito giuridico, in un paese stratificato qual è l'Italia, debba necessariamente tener conto di identità, tradizioni e culture locali, accumulatesi nel corso di una storia millenaria. Katsuhiko Hayashi ci accompagna nel mondo dell'arte italiana, proponendoci un'ipotesi affascinante, ovvero che lo sfondo nel

Sembra che la questione -insieme morfologica e tematica -affrontata nelle tre dense giornate napoletane di Compalit 2015, e ripresa in questo fascicolo di Between, abbia tre teste: un po' come quel famoso dipinto di Tiziano in cui sopra un fondo scuro sono rappresentati tre volti di età diverse, cioè un giovane che legge un foglio su cui sono vergate due righe di un pentagramma, un adulto alla sua sinistra che indica lo spartito e infine un vecchio che guarda l'osservatore. Idealmente, la satira, forma primigenia, luogo di flussi e di mormorazioni, potrebbe essere incarnata dal primo; la parodia, forma "ulteriore" e reattiva, che lascia sempre intravedere la traccia di riferimento, corrisponderebbe al secondo; l'umorismo, forma (auto)riflessiva per eccellenza, che si nutre di umori saturnini e scorge in lontananza la fine del tutto (sia essa morte o catastrofe) troverebbe il suo emblema nel vecchio. Ma l'uomo al * Questo saggio deve considerarsi frutto d'un lavoro comune; in ogni caso, i paragrafi Il prisma dello humour, Yes we can can e Infinite Jest sono stati redatti da Francesco de Cristofaro; il paragrafo La parola bassa da Giovanni Maffei; il paragrafo Il (leggero) peso di Dio da Elisabetta Abignente; il paragrafo Tristram Shandy & altri homunculi da Ugo M. Olivieri; il paragrafo La lumaca sul fuoco da Francesco Cattani. Insieme agli autori del presente contributo e al direttivo di Compalit (), hanno collaborato al convegno Chi ride ultimo. Parodia satira umorismi, tenutosi all'Università di Napoli Federico II dal 16 al 18 dicembre 2015, alcuni componenti dell'Opificio napoletano: in modo particolare, Carmen Gallo e Marco Viscardi.

L’intervento propone spunti di riflessione sul recupero della dimensione comica e parodica di Sterne, e particolarmente del Tristram Shandy, nell’ambito dell’exploit del romanzo umoristico negli anni del fascismo.
In Italia fino a Pirandello si fissò principalmente un’attenzione allo Sterne «sentimentale», e un generale disinteresse – con alcune eccezioni – per il comico più marcatamente metatestuale, parodico e antiromanzesco.
Aspetto questo connaturato storicamente al romanzo umoristico, e che nel Tristram Shandy costituisce la norma compositiva, tanto da meritare la definizione di «romanzo parodistico» (Sklovskij), o di campione degli antiromanzi.
La centralità di questa attitudine parodica viene recuperata appieno nel Ventennio da alcuni autori (Campanile, Mosca, Guareschi, ecc.), complice anche la prima traduzione integrale del Tristram (per Formiggini, nel 1922), per stigmatizzare con la potenza del riso la convenzionalità e falsità degli stilemi della letteratura di consumo (esempi proposti: A. Campanile, In campagna è un’altra cosa, 1931, e G. Guareschi, Il destino si chiama Clotilde, 1943).
La narrativa umoristica, autodichiarando esplicitamente al suo lettore il proprio statuto di menzogna attraverso la riproduzione rovesciata, in una prospettiva coerentemente paradossale, delle forme della letteratura d’appendice, tentava di disinnescarle, e tuttavia finiva spesso contemporaneamente per sostanziare una tipologia d’intrattenimento acritico verso la realtà circostante, sostanzialmente tollerato dal regime.

Fin dal titolo e dalla premessa, provocatoriamente intitolata L'emulo di Cornelio Nepote, le Vite degli uomini illustri di Campanile esplicitano il riferimento parodistico alla biografistica classica. Il De viris illustribus infatti è tra l'altro uno degli esempi più rappresentativi di quel tipo di biografia "esemplare" e paideutica che, sfociando spesso nell'aneddotica, conobbe grande fortuna nell'Italia postunitaria e fascista. Proprio questa impostazione è fatta oggetto dell'ironia di Campanile (cresciuto appunto in quel contesto culturale), il quale fa anche lui ampio ricorso all'aneddotica. Se infatti nei casi più semplici l'effetto comico nasce da un puro gioco linguistico (vedi i virtuosismi sulla polisemia dei nomi di Tasso o Volta), per molti personaggi l'autore si concentra invece su un dettaglio aneddotico che viene esaminato con logica tanto implacabile da risultare assurdo e quindi ridicolo ("Il pappagallo di Alessandro Magno", "Dante e l'uovo"). Non mancano comunque biografie vere e proprie, sebbene stravaganti: biografie paradossali perché interamente sottoposte a questo caustico scetticismo ("Palamede", "Casanova") o perché rilette in funzione di un solo dettaglio ("Vita di Socrate", "Lord Brummel"), o addirittura rovesciate ("La scoperta dell'Europa"). Nel nostro intervento ci proponiamo di esaminare questi vari procedimenti e di valutare la loro componente autenticamente "biografica" e il loro rapporto con la tradizione delle biografie moralistiche. ALESSIO ALETTA, La demitizzazione della biografia moralistica nelle Vite degli uomini illustri di Campanile, in Racconti di una vita. La narrazione biografica breve nella tradizione contemporanea, a cura di Giacomo Raccis e Damiano Sinfonico, «Nuova Corrente», 65, n.162, luglio-dicembre 2018, pp. 135-150.

louis fournel (Paris VIII), alfred noe (Universität Wien), franCisCo riCo (Universidad autónoma de Barcelona), maria antonietta terzoli (Universität Basel). redazione enriCo mattioda (segretario), lorenzo BoCCa Il «Giornale storico della letteratura italiana», fondato nel 1883 da Arturo Graf, Francesco Novati e Rodolfo Renier, e da allora pubblicato a Torino dalla Loescher, è punto di riferimento per gli studi di Italianistica. È presente nelle più importanti biblioteche internazionali ed è sempre valutato al livello più alto nelle classifiche delle riviste umanistiche. Si avvale della consulenza di lettori anonimi (peer review) per la valutazione dei contributi proposti per la pubblicazione. Contributi proposti per la pubblicazione e libri da recensire debbono essere inviati a: «Giornale storico della letteratura italiana» Coloro che desiderano sottoporre un contributo dovranno fare riferimento alle norme per la compilazione che sono scaricabili, in formato PDF, dal sito internet www.loescher.it/riviste Nel medesimo sito sono consultabili i sommari dei fascicoli delle ultime annate, gli abstract degli articoli pubblicati, le informazioni su abbonamenti, ristampe anastatiche, fascicoli arretrati e prezzi Le annate del «Giornale storico della letteratura italiana» dal 1883 al 1995 sono inoltre consultabili on-line, previo abbonamento, nella banca dati Periodicals Archive Online Modalità di pagamento 2016 (4 fascicoli annuali) E 94,50 (Italia) -E 127,50 (estero) Prezzo del singolo fascicolo: E 32

La cultura ottocentesca è particolarmente attenta alle fogge del vestire: l'abito è l'indicatore sociale per eccellenza in molte opere, dove funziona come potente mezzo di comunicazione per informare riguardo a status sociale ed appartenenze ideologiche di chi agisce nel corso della vicenda narrata, agita sul palcoscenico, o descritta in quadri e sculture. I prodotti artistici, come spesso avviene, seguono da vicino la realtà: nell'Europa risorgimentale, in effetti, la moda acquista una precisa funzione segnaletica e normativa al tempo stesso, poiché ogni gruppo riconosce la propria identità assumendo un determinato codice vestimentario, adottando quindi un sistema di regole dell'apparire in società. Il gruppo in primo piano nel definire i propri tratti identitari, soprattutto nella prima metà dell'Ottocento italiano, è la classe borghese in ascesa: le veloci trasformazioni che di decennio in decennio coinvolgono abiti, accessori, capigliature, maquillage delle classi medie indicano la volontà di acquisire un ruolo predominante in un sistema sociale sempre più permeabile alle innovazioni 1 . Dall'imitazione dei costumi nobiliari si passa alla definizione di propri modi di vestire ed atteggiarsi, fino al rifiuto della norma, 1 Già Georg Simmel dal 1895 aveva individuato il fenomeno nel suo notissimo saggio Die Mode: i rapidi cambiamenti delle fogge del vestire non sono dovute alle classi aristocratiche, notoriamente conservatrici, poiché «nessun cambiamento può far crescere il loro potere, hanno sempre qualcosa da temere e nulla da sperare. La variabilità della vita storica dipende dalla classe media e per questo la storia dei movimenti sociali e culturali ha assunto un "tempo" completamente diverso da quando il tiers état ha preso il potere». GeorG Simmel, La moda, a cura di lucio Perucchi, Milano, Mondadori, 1998, p. 56. I mutamenti del codice vestimentario avvengono, secondo recenti ricerche, in base ad un modello trickle-down, «il cui nome raffigura la caduta di un oggetto di moda dalle classi più agiate a quelle più popolari; [questo modello] spiega e giustifica perfettamente il meccanismo che sta alla base delle mode: rapida e continua innovazione sostenuta da alto consumo». michele PorceDDu cilione, Comunicazione non convenzionale, Padova, libreriauniversitaria.it ed., 2013, p. 25.

Nell’articolo si propone una nuova interpretazione di Uxoria, il secondo sportello del dittico matrimoniale del libro VII delle Intercenales di L.B. Alberti. L’autore definisce «festivissima» l’intercenale e garantisce ai lettori che, qualora vogliano leggerla attentamente e per intero, senza dubbio rideranno. Da qui tre interrogativi: l’opuscolo è davvero comico? se sì, di quale comicità si tratta? e questa comicità, nel testo, dove sta? Poiché, come tutti gli altri scritti dell’umanista, anche Uxoria è un “mosaico”, la risposta la dà lo “smontaggio, sistematico e integrale, del testo”. L’Alberti trasforma la parabola delle tre anella e la novella di Melchisedech giudeo di Boccaccio (Decameron I, 3) in una controversia e trasforma un dibattito su quale delle tre religioni monoteistiche sia quella vera, in un dibattito su quale dei tre modi con cui è possibile affrontare il problema della donna e del matrimonio (indulgenza, severità, rifiuto) sia quello vero. Ma umoristica è soprattutto la diversa ambientazione: non più l’Egitto del Saladino, bensì l’antica Sparta. Il paragone tra la Sparta retta dalle liberali leggi sul matrimonio di Licurgo e la Sparta di Uxoria è esilarante.

I cinque episodi dei "Drami delle maschere" di Lucini, editi tra il 1898 e il 1907, sanciscono la presa di coscienza da parte dell'autore della tragica impossibilità nel mondo moderno degli schemi tramandati dal passato e dalla tradizione e della loro distonia ed inutilità rispetto al rivoluzionario e traumatico avvento della modernità. Le maschere luciniane e soprattutto i loro "drammi", che evidentemente anticipano quelli pirandelliani, oggettivizzano non solo la disgregazione dell'io, ma soprattutto offrono una valida alternativa all'impossibilità del tragico come contenuto delle opere letterarie e del genere romanzo come forma preposta alla narrazione novecentesca. Esse infatti aprono la strada alle categorie di grottesco, di ironia, e di umorismo che sono per Lucini l'unica difesa ormai possibile dall'assurdità del mondo e dalla sua non corrispondenza con le aspettative dell'uomo.

The five episodes of Lucini's "Drami delle Maschere", published between 1898 and 1907, sanction the author's awareness of the tragic impossibility in the modern world of the schemes handed down from the past and from tradition and their dystonia and uselessness compared to the revolutionary and traumatic advent of modernity. Lucinian masks and especially their "dramas", which clearly anticipate Pirandellian ones, objectify not only the disintegration of the self, but above all offer a valid alternative to the impossibility of the tragic as the content of literary works and the novel genre as a form intended to twentieth-century narrative. Infact, they open the way to the categories of grotesque, irony, and humor which are for Lucini the only defense now possible from the absurdity of the world and from its non-correspondence with human expectations.

Verbal humour presents a wide spectrum of linguistic, para-linguistic and co-textual elements. Linguistic elements are particularly important, since the speaker codify the semantic objects through the language. Semantic objects originate from higher cognitive processes and are then integrated within the speech flow through peculiar linguistic techniques.
Starting from the audible laugh, interpreted as humour marker produced by the hearer, the following study highlights four different semantic objects (incongruity, exaggeration, alteration and the unexpected) and the morpho-syntactic and lexical features used by the speakers to codify them into the spoken language. The corpus of this investigation is composed of one hundred and five transcriptions of German spoken language conversations.

https://www.mondadoristore.it/L-umorismo-Luigi-Pirandello/eai978880471136/

Composto nel 1908 e rivisto nel 1920, "L'umorismo" è un libro a doppio fondo: un saggio accademico che nasconde il nocciolo della poetica di Pirandello, come testimonia la dedica «alla buon'anima di Mattia Pascal». Il campo di applicazione dell'umorismo non è la natura, ma l'uomo, in quanto dotato di desideri e volontà: sulle sue miserie fa presa il "sentimento del contrario", costringendo il lettore a rimanere sospeso tra riso e pianto. Pirandello rivela nel saggio come sia la compassione a guidarlo nella rappresentazione dei personaggi, allontanandosi nettamente dalle altre declinazioni del ridicolo (il comico, il grottesco, il satirico). Questa edizione dell'"Umorismo", che propone il testo del 1908, mette in luce la vastità delle ispirazioni di Pirandello e insieme il legame tra letteratura ed esperienza umana, dimostrando che il saggio è anche un'autobiografia intellettuale, l'attraversamento appassionato dei modelli di una vita.

Il contributo intende portare alla luce una fonte ignota di Pirandello, il saggio Fondemens psychologiques et métaphysiques de la moralité del filosofo Alfred Fouillée, apparso sulla «Revue des Deux Mondes» il 15 settembre 1889. Secondo il filosofo francese, ciascuno è chiamato a «realizzare» altruisticamente in sé il suo prossimo, «vedendolo com’esso si vede», «sentendolo com’esso si sente», «volendolo com’esso si vuole», per entrare in contatto con un «essere universale» che lo sorpassa. Fin da Sincerità e arte, uscito sul «Marzocco» del 7 marzo 1897, Pirandello trafuga da Fouillée parole-chiave e frasi, arrivando alla parafrasi di intere porzioni testuali. Fagocita così una dottrina che lo ispira tanto nella produzione novellistica e romanzesca (Quand’ero matto..., Stefano Giogli, uno e due, Si gira…), quanto nell’elaborazione teorica (Illustratori, attori e traduttori specialmente). La riscoperta dei Fondemens aggiunge insomma un importante tassello allo studio dell’estetica pirandelliana, consentendo di ripensare le dinamiche dell’umorismo, la genesi del personaggio e più in generale il meccanismo della creazione artistica nell’opera dell’autore siciliano.

This article aims to recover an unknown source used by Luigi Pirandello, that is the essay Fondemens psychologiques et métaphysiques de la moralité by Alfred Fouillée, appeared in the magazine «Revue des Deux Mondes» on September 15th, 1889. According to the French philosopher, every man is called upon to selflessly «realize» his neighbour in himself, «seeing him the way he sees himself», «feeling him the way he feels himself», «wanting him to be the way he wants himself to be», in order to make contact with an «universal being» that overtops him. Since the article Sincerità e arte («Il Marzocco», March 7th, 1897), Pirandello purloins keywords and sentences from Fouillée’s essay, sometimes even paraphrasing whole textual portions. In this way, he phagocytes a doctrine that inspires him, both in the production of short stories and novels (Quand’ero matto..., Stefano Giogli, uno e due, Si gira…), and in the theoretical processing (especially Illustratori, attori e traduttori). Therefore, the rediscovery of the Fondemens can be an important contribution to the study of Pirandellian aesthetics. It allows to rethink the dynamics of humourism, the genesis of the character and more generally the mechanism of artistic creation in the works of the Sicilian author.

Il volume offre il quadro complessivo degli studi dedicati da M.M. ad Aldo Palazzeschi. Come si dice nella premessa «ai saggi già apparsi nel 1996 in Palazzeschi e altri sondaggi, la nuova silloge abbina adesso altri capitoli, frutto di una ricerca protratta e mai decaduta di interesse. Nella varietà delle occasioni e dei modi d'approccio al tema monografico riconfermato, mi auguro che questi testi possano fornire al lettore un mio ritratto di Palazzeschi: un mio modo di leggerlo ed amarlo, una sua immagine testualmente accreditata ed attendibile, il più possibile anticonformistica, libera da convenzioni e pregiudizi, il più possibile rispettosa del vero» (p. 9). L'unico inedito della raccolta, rispetto ai saggi critici che lo precedono, è L'anima del saltimbanco (Lo spettacolo del Controdolore), «[…] un testo scenico costruito su poesie spesso note e notissime, nato dalla volontà di allargare anche attraverso questa modalità di fare cultura a me cara il pubblico ampio che Palazzeschi si merita» (p. 9). Il primo saggio, Palazzeschi, voce dell'immoralismo, consegna al lettore la chiave interpretativa di uno studio ampio e articolato volto a delineare la personalità palazzeschiana in rapporto alla società e alla morale del suo tempo. Ne viene fuori la biografia di un intellettuale irregolare che, calandosi nella pagina scritta, fa della propria opera «una grande confessione» (p. 13), magari camuffata e in taluni momenti portata ad occultare e a fuorviare, ma sempre manifestazione di una sincera e vivace dialettica con le convenzioni e le ipocrisie della propria epoca, inaccettabili pastoie che impediscono una integrazione in seno alla stessa. Il comico di Palazzeschi è lo strumento stilistico attraverso cui egli esprime il proprio immoralismo, che si qualifica come antitesi e critica corrosiva, come appare con chiarezza ne La Piramide, definita da M.M. «il libro più scandaloso di Palazzeschi» (p. 15), sebbene «[…] pur nelle zone immoralisticamente qualificanti del romanzo, al comico sembrano parimenti competere funzioni di copertura e di depistaggio, tanto che nella stessa Piramide è dato rintracciare attivi, insieme, un comico che disvela e un comico che nasconde» (p. 15). Il dipanarsi dei saggi del volume segue la parabola che porta dal primo Palazzeschi, sperimentale e trasgressivo (La parabola di Perelà e "Autobiographie coraugeusement transposée". Interrogatorio della Contessa Maria) a quello più tradizionale e umoristico, di cui si tratta specificamente in Palazzeschi, Teresa e Carolina. Lettura di Sorelle Materassi. «Sullo sfondo di scenari europei storicamente e culturalmente solidali, a partire dagli anni Venti Palazzeschi partecipa di una generale restaurazione di valori, opera una sua conversione letteraria […] che si specifica nel progressivo allontanamento dalle inquietanti, criptografiche e beffarde forme sovvertitrici del suo sperimentalistico esercizio artistico giovanile, a vantaggio di più