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Smith

La struttura fisica dei materiali solidi di interesse tecnologico dipende principalmente dalla posizione di atomi, ioni, molecole che compongono il solido e dalle forze che li legano. Se gli atomi (o gli ioni) sono presenti secondo una disposizione ripetitiva nelle tre dimensioni, essi formano un solido che ha ordine a lungo raggio, ed è detto solido cristallino. I materiali con solo ordine a corto raggio sono classificati come amorfi (o non cristallini). La disposizione degli atomi nei solidi cristallini può essere descritta immaginando gli atomi come punti di intersezione delle linee di una maglia tridimensionale, chiamata reticolo spaziale, che può ripetersi come una sequenza infinita di punti. Un gruppo di atomi organizzati con una determinata disposizione relativa uno all'altro ed associato con i punti del reticolo cristallino costituisce il tema, o la base. La dimensione e la forma della cella elementare possono essere descritte mediante tre vettori reticolari (a,b,c) che hanno origine nel vertice della cella. La lunghezza dei vettori e gli angoli tra essi (,,) sono le costanti reticolari della cella elementare. Assegnando dei valori specifici alla lunghezza degli assi ed agli angoli compresi tra essi, possono essere costruite celle elementari di diverso tipo. La cristallografia ha mostrato che sono necessari solamente 7 diversi sistemi cristallini per dare origine a tutti i possibili tipi di reticolo. Alcuni dei 7 sistemi hanno delle possibili varianti nell'unità elementare base. Bravais mostrò che 14 celle elementari standard possono descrivere tutti i possibili reticoli cristallini. Questi reticoli, detti per l'appunto di Bravais, si basano su quattro tipi fondamentali di cella elementare: semplice, a corpo centrato, a facce centrare ed a basi centrate.

Tecnologia Meccanica Parte Astarita-Formisano Smith La struttura fisica dei materiali solidi di interesse tecnologico dipende principalmente dalla posizione di atomi, ioni, molecole che compongono il solido e dalle forze che li legano. Se gli atomi (o gli ioni) sono presenti secondo una disposizione ripetitiva nelle tre dimensioni, essi formano un solido che ha ordine a lungo raggio, ed è detto solido cristallino. I materiali con solo ordine a corto raggio sono classificati come amorfi (o non cristallini). La disposizione degli atomi nei solidi cristallini può essere descritta immaginando gli atomi come punti di intersezione delle linee di una maglia tridimensionale, chiamata reticolo spaziale, che può ripetersi come una sequenza infinita di punti. Un gruppo di atomi organizzati con una determinata disposizione relativa uno all’altro ed associato con i punti del reticolo cristallino costituisce il tema, o la base. La dimensione e la forma della cella elementare possono essere descritte mediante tre vettori reticolari (a,b,c) che hanno origine nel vertice della cella. La lunghezza dei vettori e gli angoli tra essi (,,) sono le costanti reticolari della cella elementare. Assegnando dei valori specifici alla lunghezza degli assi ed agli angoli compresi tra essi, possono essere costruite celle elementari di diverso tipo. La cristallografia ha mostrato che sono necessari solamente 7 diversi sistemi cristallini per dare origine a tutti i possibili tipi di reticolo. Alcuni dei 7 sistemi hanno delle possibili varianti nell’unità elementare base. Bravais mostrò che 14 celle elementari standard possono descrivere tutti i possibili reticoli cristallini. Questi reticoli, detti per l’appunto di Bravais, si basano su quattro tipi fondamentali di cella elementare: semplice, a corpo centrato, a facce centrare ed a basi centrate. Circa il 90% degli elementi metallici cristallizza secondo tre sole strutture cristalline, tutte di tipo compatto: cubica a copro centrato (CCC), cubica a facce centrate (CFC) ed esagonale compatta (EC). L’esagonale compatta è una variante della struttura esagonale semplice. La maggior parte dei metalli cristallizza con strutture compatte in quanto tanto più gli atomi sono vicini tra loro (legandosi saldamente insieme) tanto più viene rilasciata energia dando luogo ad una situazione di livello energetico più basso, e quindi più stabile. La distanza tra gli atomi (distanza interatomica) nelle strutture cristalline può essere determinata sperimentalmente con la diffrazione ai raggi x. CCC L’atomo centrale è circondato da otto atomi, e si dice pertanto che ha numero di coordinazione 8. Ognuna di queste celle ha al suo interno un atomo completo collocato al centro della cella elementare ed un ottavo di atomo in ognuno degli otto vertici della cella: quindi per ogni cella c’è un totale di 2 atomi. Gli atomi sono in contatto l’uno con l’altro lungo la diagonale del cubo. La relazione tra il lato del cubo (a) ed il raggio atomico è: CFC In questa cella elementare vi è un punto reticolare in ogni vertice del cubo ed un punto al centro di ogni faccia. Gli atomi sono estremamente compatti: infatti il fattore di compattazione atomica (FCA) è pari a 0.74. La relazione tra il lato del cubo ed il raggio atomico è: EC I metalli non cristallizzano nella struttura esagonale semplice perché il FCA è troppo basso. Gli atomi possono raggiungere infatti un’energia più bassa ed una condizione più stabile cristallizzando in un’esagonale compatta (FCA pari a 0.74). Questa strutta ha numero di coordinazione pari a 12. Il rapporto tra l’altezza del prima esagonale ed il lato della base è chiamato rapporto c/a. Tale rapporto, in una struttura esagonale compatta ideale, è pari a 1.633. Per determinare la posizione degli atomi e le loro direzioni si usa un sistema a tre assi ortogonali. Le posizioni si determinano usando delle distanze unitarie. Spesso nei reticoli cristallini è necessario fare riferimento a specifiche direzioni poiché esistono metalli e leghe che variano le loro proprietà con l’orientazione cristallografica. Per i cristalli cubici gli di una direzione cristallografica sono le componenti scomposte del vettore di direzione lungo gli assi, ridotto agli interi più piccoli. Tutti i vettori paralleli tra loro hanno gli stessi indici di direzione. Le direzioni si dicono cristallograficamente equivalenti se la distanza tra gli atomi lungo ogni direzione è la stessa. Per identificare i piani cristallini nelle strutture cristalline cubiche viene utilizzato il sistema di notazione di Miller. Gli indici di Miller di un piano cristallino sono definiti come i reciproci delle intersezioni frazionarie (con le frazioni normalizzate a numeri interi) del piano con gli assi cristallografici relativi ai tre spigoli non paralleli della cella elementare cubica. Per determinarli bisogna seguire i seguenti passi:  scegliere un piano che non passi per l’origine;  determinare le intersezioni di tale piano con gli assi x,y,z ;  fare i reciproci delle frazioni;  normalizzare le frazioni. Una relazione valida solo per il sistema cubico è che gli indici di direzione di una direzione perpendicolare ad un piano cristallografico sono gli stessi indici di Miller di quel piano. Per esempio la direzione [100] è perpendicolare al piano (100). In base a semplici considerazioni geometriche, si può dimostrare che per le strutture cristalline cubiche vale la relazione: Nella struttura esagonale i piani vengono comunemente identificati usando quattro indici al posto dei tre usati per il sistema cubico. Gli indici, chiamati di Miller-Bravais, si scrivono secondo la notazione (hkil). I piani di base della cella elementare hanno grande importanza per questo tipo di struttura cristallina. Essendo quello superiore parallelo agli assi, le sue intersezioni saranno: a1= a2= per cui gli indici di direzione saranno (0001). a3= c=1 Anche le direzioni sono indicate con quattro indici [uvwt]. u,v e t sono le coordinate di posizione e w è la coordinata lungo l’asse c. Al fine di mantenere uniformità per gli indici dei piani e delle direzioni della cella, è stato stabilito che u+v=-t. EC e CFC sono strutture compatte: ciò significa che gli atomi sono fra loro il più possibile addensati, fino ad ottenere un FCA=0.74. I piani (111) e (0001) hanno gli stessi arrangiamenti; tuttavia le strutture cristalline tridimensionali non sono identiche in quanto c’è una differenza di impilamento dei piani atomici che può essere descritta considerando gli atomi delle sfere rigide. La CCC non è una struttura compatta per cui non ha piani compatti come la CFC e la EC. I piani più compatti appartengono alla famiglia dei piani 110. Tuttavia gli atomi sono molto vicini fra loro lungo le direzioni ortogonali, cioè lungo <111>. Densità volumetrica = massa della cella elementare Volume della cella elementare Densità planare = numero equivalente di atomi i cui centri sono tagliati dall’area in esame Area selezionata Densità lineare = numero di diametri atomici intersecati dalla linea considerata Lunghezza della linea considerata Molti elementi e composti, in differenti condizioni di temperatura e pressione, esistono in più di una forma cristallina. Anche molti metalli di importanza industriale, ad elevate temperature e a pressione atmosferica, subiscono trasformazioni allotropiche. I raggi x usati per la diffrazione sono onde elettromagnetiche con lunghezze d’onda tra (0.050.25)nm. Per produrre i raggi x serve un voltaggio di 35 kV applicato tra un catodo ed un anodo (che funge da bersaglio metallico), entrambi posti sotto vuoto. Quando il filamento di tungsteno del catodo viene riscaldato, vengono rilasciati elettroni per via termoionica, accelerati dalla grande d.d.p. Lo spettro mostra due picchi caratteristici della radiazione chiamati linee k e k (che sono caratteristici per ogni elemento). Dato che la lunghezza dei raggi x è confrontabile con la distanza interplanare degli atomi nei solidi cristallini, quando un fascio di raggi x colpisce un solido cristallino possono essere prodotti dei picchi di diffrazione rinforzati di radiazioni di varie intensità. Quando un fascio monocromatico incidente di raggi x, di lunghezza d’onda , colpisce questo insieme di piani con un angolo tale che le varie onde che lasciano i differenti piani non siano i fase tra loro, non si genera alcun fascio rinforzato: abbiamo dunque interferenza distruttiva La condizione affinché abbia luogo interferenza costruttiva è data dalla legge di Bragg: Questa fornisce la relazione sulla posizione dei fasci rinforzati diffratti in termini di lunghezza d’onda  della radiazione di raggi x incidente e delle distanze interplanari dhkl dei piani cristallini. La tecnica più usata è il metodo delle polveri: Viene usato un campione ridotto in polvere, ottenendo così un orientamento casuali di molti cristalli in modo tale da garantire che alcune delle particelle siano orientate rispetto al fascio di raggi x in maniera tale da conentire le condizioni di diffrazione previste dalla legge di Bragg. Le tecniche di diffrazione permettono di determinare le strutture dei solidi cristallini. L’analisi dei dati di diffrazione dei raggi x per celle elementari cubiche può essere semplificata combinando la formula per la distanza con la legge di Bragg, ottenendo: Gli atomi dei materiali amorfi sono legati in modo disordinato per fattori che inibiscono la formazione di una disposizione periodica. Gli atomi, quindi, occupano le posizioni spaziali in modo casuali in contrapposizione a specifiche posizioni nei solidi cristallini. I materiali polimerici come il polivincloruro sono formati da lunghe catene molecolari ritorte che sono aggrovigliate, formando un solido con struttura amorfa. Una modesta velocità di raffreddamento impedisce la formazione della struttura cristallina e i tetraedri si uniscono angolo con angolo per formare una rete perdendo ordine a lungo raggio. I metalli solo in condizioni rare si trovano in forme allotropiche, poiché, avendo blocchi elementari molto piccoli e mobili in condizioni di fuso, è inevitabile che cristallizzino. I metalli amorfi hanno maggiore resistenza a rottura e corrosione, ed in più proprietà magnetiche apprezzabili. Inoltre non mostrano aspetti di diffrazione con picchi acuti con l’analisi ai raggi z, e ciò è dovuto alla mancanza di ordine e periodicità nella struttura atomica. Quando una lega solidifica, ogni grano inizia indipendentemente la fase di accrescimento, seguendo una crescita dettata dalla struttura cristallina specifica dell’elemento, Il cristallo cresce con una struttura disordinata per cui è massima la dispersione del calore. Le strutture che si formano hanno un rapporto superficie/volume altissimo e le geometrie sono di tipo allungato: si formano le dendriti.  Microsegregazione: se il raffreddamento è drastico, e dendriti tendono a presentare una variazione di concentrazione del soluto passando dal cuore verso i rami esterni. Allo stesso modo il liquido che circonda le dendriti presenta una diversa concentrazione e la crescita avviene con microsegregazione.  Macrosegregazione: la mancanza di una completa diffusione porta alla formazione di grani a concentrazione disomogenea. Durante la solidificazione si possono verificare differenze di composizione anche lontane dal getto. La solidificazione dei metalli e delle leghe è un importante processo industriale, poiché la maggior parte dei metalli vengono prodotti partendo dal metallo fuso e facendolo solidificare come semilavorati, direttamente come prodotti finiti. La salificazione di un metallo, di una lega, può essere divisa in due stadi: formazione dei nuclei stabili di solidificazione (nucleazione); crescita dei nuclei a formare cristalli e formazione di una struttura a grani. La nucleazione omogenea avviene in un metallo fuso quando il metallo stesso fa sì che gli atomi formino nuclei. Quando un metallo liquido puro è raffreddato in modo adeguato al di sotto della temperatura di solidificazione di equilibrio, si creano numerosi nuclei omogenei a seguito del fatto che alcuni atomi, soggetti a lento movimento, si legano tra loro. Perché un nucleo si stabile (in modo da formare un cristallo) deve raggiungere una dimensione critica. Un gruppo di atomi, legati tra loro, di dimensione inferiore a quella critica è detto embione, menrte uno di dimensioni maggiori è detto nucleo. Gli embrioni sono continuamente formati e ridisciolti nel metallo fuso a causa dell’agitazione atomica. Nella nucleazione omogenea deve essere considerata l’energia libera di volume (rilasciata nella trasformazione liquidosolido) e l’energia di superficie richiesta per creare superfici del nuovo solido formato dalle particelle solidificate. Gv è la variazione dell’energia libera tra liquido e solido per unità di volume di metallo; la variazione di energia libera per un nucleo sferico di raggio r sarà: 4 Gvr^3. 3 La variazione di energia libera di volume rispetto al raggio di un embrione (o di un nucleo) è la curva inferiore del grafico ed è negativa perché l’energia viene rilasciata durante la trasformazione liquidosolido. Vi è poi un’energia che si oppone alla formazione di embrioni e nuclei, ed è l’energia necessaria per formare la superficie delle nuove particelle. L’energia Gs è la curva superiore, ed è positiva perché viene assorbita durante la trasformazione. Sottoforma di equazione, la variazione di energia libera per la formazione di un embrione, o nucleo, di raggio r connessa alla solidificazione di un metallo puro è: Differenziando questa equazione otteniamo una relazione tra la dimensione del nucleo critico, energia libera di superficie l’energia libera di volume: Maggiore è il grado di sottoraffreddamento T al di sotto della temperatura di fusione di equilibrio del metallo, maggiore è la variazione dell’energia libera di volume Gv, ,mentre la variazione dell’energia di superficie Gs non varia molto con la temperatura. Quindi la dimensione critica è fortemente influenzata da Gv. Alla temperatura di solidificazione, la dimensione critica del nucleo tende ad essere infinita perché T0; quando aumenta il sottoraffreddamento la dimensione critica diminuisce. La nucleazione eterogenea avviene in un liquido, sulle pareti di un contenitore, su impurità insolubili, o altri materiali strutturali che abbassano l’energia libera critica richiesta per formare un nucleo stabile. Perché avvenga tale nucleazione, l’agente nucleante solido deve essere bagnato dal metallo liquido. La nucleazione eterogenea avviene sull’agente nucleante perché l’energia di superficie per formare un nucleo stabile è più bassa su questo materiale rispetto a quella che sarebbe necessaria se il nucleo si formasse nel liquido puro stesso. Poiché l’energia di superficie è più bassa per la nucleazione eterogenea, la variazione di energia libera totale per la formazione di un nucleo stabile sarà più bassa e la dimensione critica del nucleo sarà più piccola. Pertanto, nella nucleazione eterogenea, è richiesto un grado minore di sottoraffreddamento per formare un nucleo stabile. Dopo che sono stati formati dei nuclei stabili in un metallo che solidifica, questi nuclei si accrescono formando cristalli. In ogni cristallo che solidifica, gli atomi sono disposti in maniera essenzialmente regolare, ma varia l’orientazione di ogni cristallo. Il metallo solidificato che contiene molti cristalli è detto policristallino; i cristalli nel metallo solidificato sono chiamati grani, e le superfici tra di essi bordi di grano. Quasi tutti i metalli e le leghe di interesse tecnologico sono fatti solidificare in modo da ottenere una struttura a grani fini, poiché questo tipo di struttura determina migliori proprietà di resistenza meccanica e di uniformità dei prodotti finiti. Si ottengono due principali tipi di strutture di grano: grani equiassici; grani colonnari. Se durante la solidificazione le condizioni nucleazione ed accrescimento sono tali da far sì che i cristalli possano crescere più o meno nello stesso modo in tutte le direzioni, si sviluppano grani equiassici. Essi crescono principalmente a contatto con le pareti raffreddate delle lingottiere. I grani colonnari sono grani allungati, sottili ed irregolari, che si sviluppano quando il metallo solidifica relativamente piano, in presenza di un forte gradiente di temperatura, e di (relativamente) pochi nuclei. Crescono perpendicolarmente alle pareti della lingottiera, perché lungo tali direzioni sono presenti alti gradienti di temperatura. I metalli e le leghe sono ottenuti realizzando la solidificazione in varie forme. Se il metallo deve essere deformato dopo la solidificazione, si producono grossi getti di forma semplice, che poi vengono trasformati negli opportuni semilavorati. Il metallo fuso viene colato in una lingottiera con un fondello mobile che viene abbassato lentamente man mano che la forma viene riempita. La lingottiera è raffreddata con acqua, che tra l’altro cola anche lungo la superficie solidificata del getto. Per ottenere getti con dimensione fine dei grani vengono aggiunti degli affinatori di grano. Per le leghe di alluminio si usa il titanio, il baro o lo zirconio così da avere nuclei finemente dispersi. Vi sono alcuni materiali costituiti da un solo cristallo, e vengono definiti monocristalli. Per ottenere strutture monocristalline, la solidificazione deve avvenire attorno ad un singolo nucleo, così che nessun altro cristallo sia nucleato e possa crescere. Per favorire ciò, la temperatura all’interfaccia solido-liquido deve essere solo leggermente inferiore a quella del punto di fusione del solido, e la temperatura del liquido deve aumentare all’interfaccia. Questo gradiente di temperatura può essere ottenuto facendo in modo che il calore latente di solidificazione fluisca lungo il cristallo in fase di solidificazione; inoltre, la velocità di crescita del cristallo deve essere bassa, così che la temperatura all’interfaccia sia leggermente inferiore al puto di fusione del solido. Una lega metallica è una miscela di due o più componenti (due metalli, o un metallo ed un non metallo). Le leghe, inoltre, possono essere semplici o estremamente complesse. Nelle soluzioni solide costituzionali formate da due elementi, gli atomi del soluto possono sostituire nel reticolo cristallino gli atomi del solvente. La struttura cristallina del solvente resta invariata, ma il reticolo cristallino può essere distorto dalla presenza di atomi di soluto, in particolare se c’è una differenza significativa tra i diametri atomici dei due elementi. Le regole di Hume-Rothery favoriscono un’ampia solubilità allo stato solido: i diametri degli atomi dei due elementi non devono differire per più del 15% ; le strutture cristalline dei due elementi devono essere le stesse; non devono esserci differenze apprezzabili di elettronegatività così da evitare la formazione di composti; i due elementi dovrebbero avere la stessa valenza. Le soluzioni solide interstiziali possono formarsi quando un atomo è più grande di un altro. Il raggio del vuoto interstiziale più grande nel ferro- è di 0.053 nm, e dato che il raggio atomico del carbonio è 0.075 nm, si può capire come mai la massima solubilità del carbonio nel ferro- sia solo del 2.08%. Nella realtà i cristalli non sono mai perfetti e contengono vari tipi di intersezioni e difetti che influenzano alcune delle loro proprietà fisiche e meccaniche. Il difetto di punto più semplice è la vacanza, costituita da un sito atomico dal quale un atomo è assente. Queste possono essere prodotte durante la solidificazione come il risultato di disturbi locali durante la crescita dei cristalli. Le vacanze sono difetti di equilibrio nei metalli, e la loro energia di attivazione (o meglio di formazione) è di 1 eV. Qualche volta un atomo può occupare una posizione interstiziale tra gli atomi che lo circondano nelle normali posizioni atomiche (auto interstiziale). Quando due ioni di carica opposta si allontanano da un cristallo ionico si crea una bivacanza catione-anione chiamata difetto di Scottky. Se un catione positivo si muove in un sito interstiziale in un cristallo ionico, si crea anche la vacanza di un catione nel normale sito dello ione: questo doppio difetto vacanza auto interstiziale è chiamato difetto di Frenkel. La presenza di questi difetti nei cristalli ionici aumenta la loro conduttività elettrica. I difetti di linea (dislocazioni) sono difetti che causano distorsioni di reticolo, concentrate attorno ad una linea. Una dislocazione a spigolo è creata in un reticolo dall’inserzione di un messo piano aggiunto di atomi ( dislocazione positiva, T dislocazione negativa). La distanza di scostamento degli atomi attorno alla dislocazione è detta vettore di Burgers ed è perpendicolare alla linea della dislocazione a spigolo. La dislocazione a spigolo ha una regine di sforzi di compressione dove c’è il mezzo piano aggiunto ed una regione di trazione sotto questo mezzo piano. La dislocazione a vite si può formare in un cristallo perfetto a seguito dell’applicazione verso l’alto e verso il basso di sforzi di taglio nelle regioni di un cristallo perfetto a seguito di un taglio con un piano di sezione. Questi sforzi di taglio introducono una regione di reticolo cristallino distorto con forma di una rampa a spirale di atomi distorti, da cui il nome di dislocazione a vite. La maggior parte delle dislocazioni è di tipo misto. I difetti planari comprendono le superfici esterne, i bordi di grano, i geminati, i bordi a basso ed alto angolo, torsioni o difetti di impilamento. L’energia più alta associata agli atomi sulla superficie di un materiale, rende la superficie suscettibile all’erosione ed alla reazione con elementi nell’ambiente. I bordi di grano sono difetti di superficie di materiali policristallini che separano i grani di diverso orientamento. Nei metalli si creano durante la solidificazione, quando i cristalli crescono simultaneamente e si scontrano tra loro. Il bordo è una regione compresa tra due grani ed è di cattivo arrangiamento atomico tra grani adiacenti. I geminati sono un altro esempio di difetto bidimensionale: è una regione nella quale un’immagine speculare dalla struttura esiste dall’altra parte di un piano o di un bordo di grano. Si formano quando il materiale viene deformato plasticamente. Quando una disposizione di dislocazioni a spigolo è orientata in modo che sembra disorientare o inclinare due regioni di un cristallo, si forma un difetto bidimensionale chiamato bordo inclinato a basso angolo ( < 10°). Se  supera i 20° viene considerato come un comune bordo di grano. Difetti di volume si formano quando un gruppo di difetti di punto si unisce per formare un vuoto, o un poro, tridimensionale. Questi difetti influenzano fortemente comportamento e prestazioni del materiale. Per la metallografia, la superficie di un piccolo campione di un materiale viene preparata mediante una procedura lunga e dettagliata che serve per minimizzare il contrasto topografico. La superficie pulita viene poi attaccata con agenti chimici che attaccheranno principalmente gli atomi al bordo di grano. Un metodo per misurare la dimensione dei grani è il metodo ASTM: Molti processi tecnologici per la produzione sono legati alla velocità con cui si muovono gli atomi allo stato solido. Spesso viene coinvolto il riarrangiamento spontaneo degli atomi a formare nuove e più stabili aggregazioni atomiche. Perché avvenga ciò, gli atomi devono avere un’energia sufficiente a superare una barriera energetica, o di attivazione: tale energia è detta energia di attivazione E* (J/mole). Ad ogni temperatura, solo una frazione di atomi/molecole avrà energia sufficiente per raggiungere E* : man mano che aumenta la temperatura, sempre più atomi raggiungono questo livello. Il numero di vacanze in equilibrio ad una particolare temperatura in un reticolo cristallino metallico può essere espresso dalla relazione: Arrhenius trovò che la velocità di molte reazioni chimiche era una funzione della temperatura: La diffusione può essere definita come il meccanismo con cui la materia è trasportata attraverso la materia. I movimenti degli atomi nei liquidi risultano, in generale, più lenti rispetto a quelli nei gas, come evidenziato dal movimento di tinture colorate nell’acqua liquida. Gli atomi possono muoversi nel reticolo cristallino da un sito atomico all’altro se le vibrazioni termiche consentono di superare l’energia di attivazione, e se ci sono vacanze o altri difetti cristallini nel reticolo. Essendo le vacanze dei difetti di equilibrio, consentono di far avvenire la diffusione costituzionale degli atomi. L’energia di attivazione per l’autodiffusione è uguale alla somma dell’energia di attivazione per formare una vacanza e l’energia di attivazione per muovere la vacanza. Gli atomi devono, però, rompere i legami originali e ciò è aiutato dalle vacanze. Nelle leghe, per far avvenire ciò, deve esistere la solubilità solida di un tipo di atomo nell’altro. La diffusione interstiziale di atomi nei reticoli cristallini avviene quando gli atomi si muovono da un sito interstiziale all’altro vicino senza spostare permanentemente nessuno degli atomi del reticolo. Perché tale meccanismo sia efficiente, la dimensione degli atomi deve essere relativamente piccola rispetto a quella degli atomi della matrice. Si consideri la diffusione di atomi di soluto nella direzione x tra due piani atomici paralleli tra loro e perpendicolari al foglio, separati da una distanza x. Si assume che non ci sia variazione nella concentrazione di atomi di soluto in questi piani nel tempo: queste condizioni di diffusione sono dette stazionarie. E’ il caso di un gas che diffonde attraverso un lamierino metallico. Il flusso di atomi in questo tipo di sistema può essere descritto dall’equazione: J=-D dC I Legge della diffusione di Fick dx Questa indica che per condizioni di diffusione stazionarie (senza variazione del sistema nel tempo) la diffusività per il gradiente di diffusione è uguale al flusso di atomi. I valori della diffusività dipendono da molte variabili: il tipo di meccanismo di diffusione (interstiziale/costituzionale) influenza molto la diffusività. Gli atomi piccoli possono diffondere interstizialmente nel reticolo cristallino di atomi di solvente più grandi; la temperatura a cui avviene la diffusione influenza la diffusione moltissimo questo meccanismo: se aumenta la temperatura, aumenta anche la diffusività; il tipo di struttura cristallina del reticolo di solvente è importante; il tipo di difetti cristallini presenti nella regione di diffusione allo stato liquido; la concentrazione delle specie diffuse è importante in quanto alte concentrazioni di atomi di soluto influenzano la diffusività. Questo aspetto della diffusione allo stato solido è anche piuttosto complesso. Nella maggior parte dei casi avviene la diffusione in condizioni non stazionarie, in cui la concentrazione degli atomi di soluto, in ogni punto del materiali, varia col tempo. Per i casi di diffusione in condizioni non stazionarie si applica la II legge della diffusione di Fick: dCx = d ( D dCx ) dt dx dx Questa afferma che la velocità di variazione della composizione è uguale alla diffusività per la velocità di variazione del gradiente di concentrazione. La concentrazione di atomi di soluto in ogni punto, nella direzione x, aumenterà quando aumenta il tempo, allora la soluzione della II legge di Fick sarà: Cs – Cx = erf ( x ) Cs - Co 2t Molti componenti d’acciaio, che operano in condizioni di scorrimento o rotazione, devono avere uno strato superficiale indurito, resistente all’usura, ed un cuore interno tenace, resistente alle sollecitazioni statiche e dinamiche cui sono soggetti. Lo strato esterno viene indurito attraverso alcuni trattamenti di indurimento superficiale come la cementazione gassosa. Nella prima parte di tale processo le parti d’acciaio sono poste in un forno a contatto con atmosfera contenente metano, o altri idrocarburi, a 927°C. Il carbonio dell’atmosfera diffonde attraverso la superficie dell’ingranaggio, che, dopo successivi trattamenti termici, acquisirà elevata durezza superficiale, dovuta all’alto tenore di carbonio. La diffusione di impurità in wafer di silicio per cambiare le loro caratteristiche di conduzione elettrica (drogaggio) è una fase importante nella produzione dei moderni circuiti elettronici integrati. In uno dei metodi di drogaggio utilizzati, la superficie di silicio viene esposta al vapore di una opportuna impurità ad una temperatura superiore ai 1100°C, in un forno costituito da un tubo di quarzo. Come nel caso della cementazione gassosa della superficie di un acciaio, la concentrazione delle impurità diffuse diminuisce dalla superficie verso l’interno, con l’aumentare della profondità. Cambiando il tempo di diffusione, cambierà anche la concentrazione delle impurità alle varie profondità di penetrazione. N.B.: le profondità tipiche di diffusione nei wafer di silicio sono dell’ordine di pochi micrometri, mentre il wafer ha di solito uno spessore di qualche centinaio di micrometri. Dato che la diffusione atomica riguarda movimenti a livello atomico, ci si aspetta che all’aumentare della temperatura aumenti anche la diffusione: si è provato che l’influenza delle temperature sulla velocità di diffusione può essere espressa dalla seguente equazione: -Q/RT D = Do e D = diffusività Do = costante di proporzionalità ln D = ln Do - Q Q = energia di attivazione RT R = costante molare dei gas T = temperatura Se i valori della diffusività per un sistema di diffusione sono determinati da due diverse temperature, i valori di Q e Do possono essere determinati risolvendo un sistema a due equazioni. La maggior parte dei metalli viene lavorata dapprima fondendo il metallo in un forno che contiene il metallo fuso. Al metallo possono essere aggiunti elementi alliganti, per ottenere la lega della composizione voluta; per esempio all’alluminio può essere aggiunto del magnesio solido che, fondendo, può essere mescolato meccanicamente con l’alluminio per ottenere un getto omogeneo di una lega alluminio-magnesio. Dopo che le impurezze di ossidi e di idrogeno indesiderate sono stati rimossi, la lega Al-Mg viene colata in una forma di un’unità di colata semicontinua con raffreddamento diretto: così vengono prodotte enormi bramme. I prodotti finiti sono ottenuti partendo da semilavorati di fora standard: nastri e lamiere sono prodotti partendo da semilavorati a forma di parallelepipedo. I pezzi estrusi come barre e profilati, invece, sono ottenuti da billette e semilavorati di diverse sezioni. I pezzi possono essere colati in uno stampo che ha già la forma del prodotto finito e solitamente sono richieste solo poche operazioni alle macchine utensili, o altre operazioni di finitura per ottenere il pezzo finito. I prodotti ottenuti in questo modo sono chiamati getti e le leghe usate per produrli leghe per getti. Le laminazioni a caldo ed a freddo sono metodi spesso utilizzati per ottenere vari tipi di manufatti metallici. Con questi processi possono essere ottenuti prodotti finiti di sezione costante e notevole lunghezza. La laminazione a caldo dei semilavorati viene effettuata perché, quando il metallo è caldo, si possono ottenere maggiori riduzioni di spessore ad ogni passata. Prima di essere laminati a caldo, i semilavorati per lamiere e nastri vengono riscaldati a circa 1200°C. Tale processo viene continuato finché la temperatura del semilavorato in lavorazione diventa così bassa da rendere troppo difficoltosa la laminazione. Il semilavorato è allora riportato in temperatura e viene proseguita la laminazione finché si ottiene un nastro di spessore sufficientemente sottile da permette l’avvolgimento in spirali (coil). Dopo la laminazione a caldo, ch può includere alcuni passaggi a freddo, i rotoli di metallo vengono solitamente sottoposti ad un trattamento termico di riscaldamento chiamato ricottura, che ha lo scopo di addolcire il metallo e rimuovere qualsiasi incrudimento introdotto durante la laminazione a caldo. La percentuale di riduzione di sezione a freddo di una lamiera, o di un nastro di metallo, può essere calcolata come: % rid = Spessi – Spessf 100% Spessi L’estrusione è un processo di deformazione plastica in cui un materiale viene sottoposto ad un’elevata pressione per costringerlo a passare attraverso l’apertura di una matrice, allo scopo di ridurre la sezione. Molti metalli vengono estrusi a caldo poiché la resistenza alla deformazione del metallo è inferiore a quella che avrebbe se fosse estruso a freddo. Durante l’estrusione il metallo di una billetta posta all’interno di una pressa d’estrusione viene costretto da un pistone ad attraversare la matrice, cosicché il metallo viene deformato in modo continuo per formare un elemento con una determinata sezione uniforme. L’estrusione diretta prevede che la billetta sia posta all’interno della pressa di estrusione e sia spinta direttamente dal pistone attraverso la matrice. Nell’estrusione inversa il pistone cavo regge la matrice, mentre all’uscita della pressa vi è posta una piastra che chiude il tutto. Le forze d’attrito e la potenza richiesta per l’estrusione inversa sono minori di quelle necessarie per l’estrusione diretta; tuttavia i carichi che possono essere applicati nel processo inverso, usando quindi il pistone cavo, sono minori rispetto a quelli che possono essere applicati nell’estrusione diretta. La forgiatura è un altro metodo normalmente utilizzato per deformare i metalli nelle forme desiderate. Nel processo di forgiatura il metallo è costretto ad assumere la forma desiderata mediante l’azione di un maglio o di una pressa. La maggior parte delle operazioni di forgiatura è condotta sul metallo ad elevata temperatura. Nella forgiatura al maglio, un maglio in caduta libera viene fatto urtare ripetutamente sulla superficie del metallo; nella fucinatura alla pressa, invece, al metallo viene applicata una lenta, ma graduale, forza di compressione. La forgiatura in stampo aperto è condotta tra due stampi piatti, o di una forma molto semplice, come cavità a forma di V o semicircolari, ed è molto utile per produzioni di grossi componenti, quali alberi d’acciaio per turbine a vapore o generatori elettrici. Nella forgiatura a stampo chiuso il metallo che deve essere forgiato viene posto tra due stampi che riproducono l’impronta del prodotto da ottenere. Si ricorre al processo di forgiatura per produrre pezzi di forma irregolare che richiedono una deformazione plastica per migliorarne la struttura metallica, riducendone la porosità e affinando la struttura interna. La trafilatura è un’importante metodologia di formatura dei metalli in cui un tondino, od il filo grezzo di partenza, viene costretto a passare attraverso una o più matrici coniche di trafilatura, L’imbutitura è un altro processo di formatura dei metalli durante la quale delle lamiere subiscono una profonda deformazione per essere trasformate in prodotti concavi. Una lamiera grezza viene posta sopra un’opportuna sagome e poi viene pressata con un punzone. Se il metallo ritorna alle sue dimensioni originali dopo che è stata rimossa la forza, si dice che ha subito una deformazione elastica. L’entità di deformazione elastica che un metallo può tollerare è piccola, poiché durante la deformazione elastica gli atomi del metallo vengono allontanati dalla loro posizione originale, ma non tanto da poter occupare nuove posizioni reticolari. Se un metallo viene deformato tanto da non poter recuperare completamente le sue dimensioni originali, si dice che ha subito una deformazione plastica. Consideriamo una barra cilindrica di lunghezza lo e sezione Ao sottoposta ad una forza di trazione agente lungo il suo asse. Si definisce sforzo nominale  agente sulla barra cilindrica il rapporto tra le forza media F che agisce lungo l’asse e la sua sezione iniziale Ao.  = F/Ao La deformazione nominale causata dall’azione i una forza di trazione lungo l’asse di un provino metallico è il rapporto tra la variazione di lunghezza nella direzione della forza e la lunghezza iniziale del provino stesso:  = lo = l – lo lo lo Una deformazione elastica longitudinale in un metallo è accompagnata da una variazione delle dimensioni laterali. In presenza di un comportamento isotropo -x e -y sono uguali. Modulo di Poisson  =  (laterale) = - x = - y  (longitudinale) z z Un altro importante metodo attraverso il quale il metallo può essere deformato è l’azione di uno sforzo di taglio. L’azione di una semplice coppia di forze di taglio viene indicata, in simboli, con S (forza di taglio che agisce su una superficie di area A). Lo sforzo di taglio  è legato alla forza di taglio S dalla relazione:  = S/A La prova di trazione consente di valutare la resistenza meccanica dei metalli e delle leghe. In questa prova un campione di metallo viene tirato fino a rottura in un tempo relativamente breve e ad una velocità costante di deformazione. La forza sul provino che è sottoposto alla prova viene misurata da una cella di carico, mentre la deformazione si ottiene da un estensimetro attaccato al provino ed i dati sono registrati da un software di controllo tramite computer. La tipologia dei provini varia considerevolmente. Per elementi metallici di elevata sezione (come le lamiere) viene generalmente usato un provino cilindrico del diametro di ½ pollice, circa 12.5 mm, oppure di 10 mm. Le proprietà meccaniche dei metalli e delle leghe, importanti per la progettazione strutturale, che si possono ricavare dalla prova di trazione sono: Modulo di elasticità; Carico di snervamento ad una deformazione dello 0.2% ; Carico di rottura; Allungamento percentuale a rottura; Strizione percentuale a rottura. Nella prima parte della prova di trazione il metallo viene deformato elasticamente: ciò significa che, se la forza applicata viene tolta, il provino tornerà alla sua lunghezza iniziale. Per i metalli la deformazione elastica è solitamente minore dello 0.5%. Nella regione a comportamento elastico è valida la relazione:  = E chiamata legge di Hooke, un cui E è il modulo di Young. Il modulo di elasticità è legato alle forze di legame tra gli atomi del metallo o della lega. Gli acciai hanno moduli di elasticità elevati, intorno ai 207 GPa; gli allumini intorno ai 6976 GPa. Il carico di snervamento è una grandezza molto importante per la progettazione strutturale, poiché rappresenta la sollecitazione al di sopra della quale, nei metalli, o nella lega, si manifestano significative deformazioni plastiche. Dato che nel diagramma sforzo deformazione non vi è un ben definito punto in cui finisce la deformazione elastica e inizia quella plastica, il carico di snervamento si definisce come la sollecitazione in corrispondenza della quale si ha una prefissata deformazione plastica permanente residua, in genere pari allo 0.2%. Il carico di snervamento allo 0.2% di deformazione permanente residua è determinato dal diagramma sforzo-deformazione nel seguente modo: Si traccia una retta parallela al diagramma (parallela al tratto elastico-lineare), partendo da un valore di deformazione percentuale dello 0.2% (0.002 m/m); quindi si proietta sul’asse dello sforzo il punto di incontro di tale retta con la curva sforzo-deformazione. Il carico di rottura è il massimo valore della resistenza raggiunto nel diagramma sforzo-deformazione: infatti, superato tale carico, si manifesta sul provino un restringimento localizzato della sezione (chiamato strizione). Conseguentemente lo sforzo nominale diminuirà all’aumentare della deformazione fino al sopraggiungere della rottura, in quanto esso viene calcolato in riferimento alla sezione iniziale del provino e non a quella effettiva. Più il metallo è duttile, più sarà evidente la strizione sul provino prima della rottura e quindi maggiore sarà la diluizione dello sforzo nominale dopo il raggiungimento del valore massimo. Il carico di rottura viene determinato tracciando una riga orizzontale dal valore massimo sulla cura fino all’asse degli sforzi. L’entità di allungamento che un provino può subire durante la prova di trazione fornisce un valore della duttilità del metallo. La duttilità dei metalli è comunemente espressa come allungamento percentuale partendo da un tratto di 5.1cm, o pari a 5 volte il diametro. In generale più è elevata la duttilità, più è elevato il valore dell’allungamento percentuale. Oltre che con un estensimetro, l’allungamento percentuale si può determinare ricongiungendo le due metà del provino e misurando l’allungamento finale con un calibro: a% = lf - li 100% li L’allungamento percentuale a rottura è un parametro di importanza tecnologica non solo per la misura della duttilità, ma anche come indice della qualità del metallo. Se nel metallo sono presenti pori o danni, l’allungamento percentuale può diminuire. La duttilità del metallo può essere anche espressa in termini di riduzione percentuale della sezione (strizione). Questa viene ottenuta dop la prova misurando il diametro della sezione di rottura: Str% = Ao – A 100% Ao E’ una misura della duttilità del metallo, ed anche un indice di qualità: può infatti diminuire se nel metallo sono presenti inclusioni e/o porosità. Prove di durezza La durezza indica la capacità di un materiale di scalfire, penetrare, deformare, rimbalzare oppure di resistere a tali azioni. Al contrario di altre grandezze, la cui misura è indipendente dal procedimento scelto, per la misura della durezza è indispensabile precisare la modalità di prova eseguita. La prima di durezza in ordine cronologico è la scala di Mohs: in essa sono indicati 10 livelli individuati da altrettanti materiali di riferimento (talco, gesso, calcite, apatite, fluorite, ortoclasio, quarzo, topazio, corindone, diamante) ognuno dei quali è capace di scalfire i precedenti e viene scalfito dai successivi. Le prove statiche si basano sulla misura dell’impronta lasciata sulla superficie del materiale da testare da un penetratore adeguatamente caricato. A questa classe appartengono le prove Brinell, Vickers, Rockwell e Knoop. Si distinguono per: Tipo di penetratore usato; Carico applicato; Tecnica di rilevamento dell’impronta. Nella prova di rimbalzo un oggetto , di massa e dimensioni definite, è lasciato cadere sulla superficie da provare, misurandone il rimbalzo, Le superfici più dure sono meno plastiche e fanno rimbalzare maggiormente ogni oggetto che le urta. Appartengono a questa classe la prova Shore e quelle degli strumenti elettronici portatili (Equotip, Esewey). Nelle prove sclerometriche un microaratro, generalmente di diamante e adeguatamente caricato, viene trascinato sulla superficie con velocità costante. La durezza è valutata misurando l’ampiezza del solco. Nella prova di smorzamento si misura la diminuzione dell’ampiezza dell’oscillazione di un pendolo con un perno duro che sfrega sulla superficie del pezzo da provare. Il pendolo di Herbert appartiene a questa classe. Nella prova di taglio si misura la forza necessaria per tagliare un truciolo di opportune dimensioni dalla superficie del pezzo da provare, tramite un utensile standardizzato. Nella prova di abrasione la superficie del pezzo da provare striscia, sotto adeguato carico, contro un disco rotante. La misura della durezza è valutata in base all’usura. Nella prova d’erosione un abrasivo in particelle di date dimensioni è proiettato contro la superficie da provare. La variazione del peso del pezzo darà una valutazione della durezza. Per le prove di rigatura l’oggetto più duro incide il più tenero. A questa classe appartiene la prova alla lima ed ogni prova atta a classificare i materiali secondo la scala di Mohs. La prova di durezza Brinell si esegue applicando un carico sul provino mediate un opportuno penetratore e misurando la superficie dell’impronta lasciata sullo stesso. La durezza Brinell è proporzionale al rapporto tra il carico di prova e l’area dell’impronta. Il penetratore deve avere una superficie rettificata e lucidata a specchio; è una sfera d’acciaio per materiali di durezza Brinell minore di 350, o di metallo duro per durezza pari a 650. Il diametro può avere misure pari a [1 ; 2.5 ; 5 ; 10]mm. Quando lo spesso della provetta lo consente, si utilizza preferenzialmente una sfera di 10mm di diametro; gli altri diametri vengono usati per spessori inferiori ai 6mm. I risultati della prova dipendono dalla relazione tra il carico applicato F ed il diametro della sfera D. La comparabilità dei risultati dipende dagli angoli di penetrazione . Se per prove effettuate con F e D diverse gli angoli risultano uguali, allora le misure sono comparabili. Le condizioni di prova normali prevedono un carico F = 29.42 kN. Si deve, inoltre, tendere a rispettare la seguente condizione: 0.25 D < d < 0.5 D (condizione ideale d = 0.375 D). A tal fine il carico va dimensionato a seconda del materiale testa e del diametro (espresso in millimetri) del penetratore secondo la legge di similitudine meccanica: 2 F [N] = 1 k D 0.102 Il carico viene applicato incrementandolo fino al raggiungimento del valore prescelto in un tempo variabile tra (28) secondi, poi resta applicato sul provino per un tempo variabile tra (1015) secondi. Trascorso tale tempo si elimina il carico e si visualizza la superficie del provino sulla quale sarà impressa l’impronta a forma di calotta sferica. E’ possibile anche eseguire la prova in condizioni diverse da quelle nominali: in questo caso, al simbolo HB sono aggiunti al pedice il diametro del penetratore usato espresso in millimetri, il carico di prova espresso in kgf e la durata di applicazione del carico espressa in secondi (ad es. : HB5-7355-20). La prova si esegue facendo almeno tre impronte su una superficie levigata, o quantomeno esente da difetti grossolani. Si rilevano col microscopio le misure dei diametri delle impronte (due diametri tra loro perpendicolari per ogni impronta e dei due diametri se ne calcola la media aritmetica). Inoltre si verificano le condizioni di validità: La distanza tra i centri delle impronte non deve essere minore di tre volte il diametro medio dell’impronta d, mentre la distanza tra il centro delle impronte ed il bordo del provino deve essere minimo due volte e mezzo d. Qualora due impronte adiacenti abbiano diametri diversi, la distanza deve essere rilevata considerando il diametro medio dell’impronta più grande; Il diametro medio di ogni impronta deve essere compreso tra (0.240.6) D; Lo spessore, in millimetri, del provino deve essere minimo otto volte la profondità dell’impronta. Se sono verificate le condizioni di validità si calcola la media aritmetica di tutti i diametri. E’ possibile esprimere la profondità dell’impronta in funzione di D e d: Questa prova ha dei limiti applicativi: Nel caso di materiali molto duri si può verificare una deformazione della sfera; Se l’impronta è larga, la sfera può agire da innesco a rottura; Non ci sono limiti al valore di carico, bisogna però evitare eccessive penetrazioni. E’ stata rilevata, inoltre, una relazione lineare tra durezza e resistenza meccanica per gli acciai (tranne gli austenitici): Rm = (3.43.6) HB  Applicabile fino ad HB = 430 Relazione di tipo statico Non accettata per prove di collaudo Secondo l’analisi di Meyer il diametro dell’impronta nella durezza Brinell non varia in modo lineare con il variare del carico applicato, ma: n’ P = a d n’ = misura dell’effetto della derogazione sulla durezza del metallo a = resistenza del materiale alla penetrazione iniziale Ricavando d da prove a diversi livelli di P è possibile ricavare stime dei parametri a ed n’, ovvero una semplice valutazione della capacità d’incrudimento del materiale. n  = k  con n’ = n+2 Se procediamo per confronto ci imbattiamo in un nuovo tipo di prova Brinell chiamata prova di durezza di Poldi: HBr = P/Ar HBi = P/Ai P = HBr Ar = HBi Ai  HBi = HBr Ar Ai La prova di durezza Vickers è stata introdotta per le misure di durezza di materiali estremamente duri, ed usa un penetratore di diamante a forma di piramide a base quadrata, con angolo al vertice di 136° e carico di prova [1.9 < F < 980.7] N. In condizioni standard la prova viene condotta con un carico di 30 kg per una permanenza di (1015) secondi, dopo una crescita graduale per un tempo di (210) secondi. In condizioni diverse, i risultati vengono indicati facendo seguire al simbolo HV un indiche che specifichi, nell’ordine, il carico impiegato ed il tempo di permanenza (es. : HV30/20 ; HV5/15). La prova si esegue facendo almeno tre impronte. Si rilevano col microscopio le misure delle diagonali di ognuna delle impronte e se ne calcola la media aritmetica. Inoltre si verificano le condizioni di validità: la distanza tra i centri delle impronte e tra il centro delle impronte ed il bordo del provino deve essere minimo due volte e mezzo la diagonale media dell’impronta per acciai e leghe di rame, e minimo due volte e mezzo la diagonale media dell’impronta per leghe leggere. Qualora due impronta adiacenti abbiano diagonali diverse, la distanza deve essere rilevata considerando la diagonale dell’impronta più grande; lo spessore in millimetri del provino deve essere minimo 1.5 volte la diagonale media dell’impronta. Se sono verificate le condizioni di validità, si calcola la media aritmetica di tutte le diagonali. Si calcola la superficie dell’impronta media con la formula: 2 s = 4 ½ a h = d . sin 68° Infine si calcola l’indice di durezza Vickers con la formula  HV = 0.102 F = 0.1891 F S d^2 Le prove di micro durezza sono prove che vanno effettuate con carichi molto limitati. Sono utilizzate per: Oggetti di dimensioni limitate; Durezze superficiali; Valutare la variazione di durezza in funzione della profondità della superficie del pezzo; Materiali fragili. La prova di durezza Knoop è una prova di microdurezza, condotta con carichi compresi tra 25 e 3000 grammi. E’ usata per: Provini piccoli o sottili; Materiali fragili; Misure di durezza sui singoli grani. Il penetratore usato è un diamante a forma di piramide allungata (l’impronta lasciata è a forma di rombo). La durezza è data dalla relazione: HK = F/A = 14.2 F/ (d^2). Vantaggi: le prove Knoop presentano una maggiore facilità e rapidità di lettura rispetto alla Vickers; il metodo è indicato per misurare la durezza dei materiali molto fragili, o molto sottili, o induriti superficialmente. Dalle prove Vickers e Knoop si possono avere dati su tenacità e di modulo di Young per materiali fragili. Svantaggi: accurata preparazione del campione e limitato volume di materiale interessato dalla prova. Per superare l’inconveniente di misurare le dimensioni dell’impronta mediante microscopio micrometrico (operazione lenta e faticosa), ha avuto grande diffusione la prova di durezza Rockwell. Il procedimento prevede inizialmente l’applicazione del penetratore conto la superficie del pezzo sotto un precarico dato e l’azzeramento dello strumento indicatore, quindi l’aggiunta di un carico principale che produce l’impronta ed infine la lettura della profondità permanente sotto l’azione del solo precarico (in questo modo siottiene un metodo semplice di lettura perché tiene conto del ritorno elastico del materiale). Con l’impiego di 5 penetratori e 6 condizioni di carico, si realizzano 30 tipologie di scale capaci di coprire esigenze relative alla grande maggioranza dei materiali impiegati nell’industria. Il penetratore è una sfera d’acciaio del diametro di 1.587mm = 1/6 di pollice (Rockwell B). HRB = 130-500h h = b-a  profondità dell’impronta espressa in millimetri. Per la Rockwell C il penetratore è un cono di diamante con un angolo di apertura di 120° e raggio di curvatura, in corrispondenza della punta, di 0.2mm . HRC = 100 – 500h Nell’eseguire la prova di durezza Rockwell bisogna fare in modo che lo spessore della provetta sia almeno pari a 10h per prove effettuate con il penetratore conico, ed almeno 15h per prove con il penetratore sferico. Inoltre la distanza tra i centri di due impronte adiacenti deve essere almeno 2mm e la distanza tra il centro dell’impronta ed il bordo della provetta almeno uguale a 1mm. Esistono monogrammi e tabelle di conversione che permettono di passare da una scala di durezza all’altra. Non esiste una corrispondenza biunivoca a causa della differenza del principio fisico, del volume di materiale e della modalità di prova. La prova di durezza Shore è di natura dinamica: consiste nel lasciar cadere, da un’altezza prestabilita, un percussore di peso noto sul materiale in esame. La durezza viene rilevata in funzione dell’altezza di risalita del percussore: più è alto il rimbalzo più è duro il materiale, perché si deforma di meno. Questa prova viene effettuata con uno scleroscopio costituito da un tubo di vetro graduato, all’interno dl quale cade il percussore, da un’altezza di 254mm. Lo scleroscopio Shore è facilmente portatile e si presta bene su pezzi di grandi dimensioni su cui è difficile la prova Vickers o Rockwell. Consideriamo la deformazione plastica di una barra cilindrica costituita da un monocristallo di zinco, ottenuta sollecitando la barra oltre il suo limite elastico Un esame del cristallo di zinco dopo la deformazione mostra che sulla superficie sono apparse delle deformazioni a gradino, chiamate bande di scorrimento. Queste bande sono causate dallo scorrimento, o deformazione, dovuta a sforzi di taglio degli atomi del metallo lungo specifici piani cristallini chiamati piani di scorrimento. Lo scorrimento avviene lungo questi piano all’interno delle singole bande di scorrimento. Questi sottili gradini, chiamati linee di scorrimento, distano solamente 50-500 diametri atomici, mentre le bande sono separate da circa 10000 diametri atomici. Perché i grossi cristalli possano deformarsi ai bassi valori di resistenza di taglio osservati, nel cristallo deve essere presente un’elevata densità di difetti, chiamati dislocazioni. Le dislocazioni si formano in gran numero (circa 10^6 cm/cm^3) già durante la solidificazione del metallo, ma se ne formano molte di più quando il cristallo viene deformato, cosicché un cristallo che ha subito un’alta deformazione può contenerne fino a 10^12 cm/cm^3. Le dislocazioni nei cristalli reali possono essere osservate al microscopio elettronico a trasmissione su sottili lamine metalliche ed appaiono come linee a causa del disallineamento degli atomi che interferisce con il percorso di trasmissione del fascio elettronico del microscopio. Le dislocazioni provocano uno spostamento degli atomi lungo specifici piani cristallini di scorrimento ed in specifiche direzioni cristallografiche di scorrimento. Di solito i piani di scorrimento sono quelli più compatti, e sono anche quelli più distanziati. Lo scorrimento è favorito lungo i piani compatti in quanto è richiesto un minore sforzo di taglio per lo spostamento degli atomi rispetto ai piani meno densi. Tuttavia, se lo scorrimento sui piani compatti è ostacolato, ad esempio, dalla presenza di elevati stati di sforzo locali, allora possono diventare operativi anche i piani meno densi. Nelle direzioni compatte, lo scorrimento è favorito dal fatto che, se gli atomi sono vicini, è sufficiente una minore energia per muoverli da una posizione all’altra. L’insieme di un piano di scorrimento e di una direzione di scorrimento è chiamato sistema di scorrimento. Lo scorrimento nelle strutture metalliche avviene lungo una serie di sistemi di scorrimento caratteristici di ogni struttura cristallina. Per i metalli con struttura cristallina CFC lo scorrimento avviene sui piani compatti {111} e nelle direzioni di massima compattazione {110}. La struttura CCC non è compatta e non ha un piano predominante a più alta densità atomica come nella CFC. Lo scorrimento ha generalmente inizio sui piani {110} che hanno la medesima densità atomica: tuttavia sui piano {112} e {123} può avvenire tranquillamente. Poiché i piani non sono compatti, nei metalli con struttura CCC sono necessari valori più alti di sforzo di taglio che nei metalli con struttura CFC. Nella EC, il piano di base (0001) è il piano di massimo densità atomica ed è generalmente il piano di scorrimento per i metalli con struttura EC come zinco, cadmio e magnesio che hanno un alto rapporto c/a. Invece per i metalli che hanno un basso rapporto c/a, lo scorrimento avviene comunemente anche sui piani prismatici {1010}e sui piani piramidali {1011}. In tutti i casi la direzione di scorrimento resta la <1020>. Il basso numero di sistemi di scorrimento nei metalli EC limita la loro duttilità. Lo sforzo richiesto per provocare lo scorrimento in un metallo puro monocristallino dipende principalmente dalla struttura cristallina del metallo, dalle caratteristiche dei suoi legami atomici, dalla temperatura a cui è deformato e dall’orientamento dei piani di scorrimento attivi rispetto agli sforzi di taglio. Se una coppia di forze S agisce su una superficie di area A ad essa parallela, lo sforzo di taglio  è definito come:  = S/A  l’unità di misura normalmente utilizzata è il MPa. Lo scorrimento all’interno del metallo inizia quando lo sforzo di taglio raggiunge un determinato valore chiamato sforzo critico di taglio (c). Questo è sostanzialmente il valore del carico di snervamento di un monocristallo ed è equivalente al carico di snervamento di un metallo policristallino o di una lega, determinato dalla curva sforzo-deformazione ottenuta dalla prova di trazione. La relazione che intercorre tra lo sforzo assiale che agisce un una barra cilindrica di un metallo puro monocristallino ed il valore di sforzo critico di taglio prodotto su un sistema di scorrimento all’interno della barra può essere ottenuto nel seguente modo. Per consentire il movimento delle dislocazioni nel sistema di scorrimento, la forza deve produrre un sufficiente sforzo di taglio nella direzione dello scorrimento; lo sforzo critico di taglio è: c = F/ Al La componente di taglio F è legata alla forza assiale F dalla relazione F = F cos ; l’area del piano di scorrimento (area di taglio) è Al = Ao/ cos . Dividendo la forza di taglio per l’area di taglio otteniamo la relazione: Un secondo importante meccanismo di deformazione plastica che può avvenire nei metalli è la geminazione. In questo processo una parte del reticolo atomico è deformata in modo da formare un’immagine speculare del reticolo non deformato ad esso contiguo. Il piano cristallografico di simmetria tra la parte deformata e quella in deformata del reticolo metallico è chiamato piano di geminazione. Nella geminazione gli atomi si muovono con distanza proporzionali alla loro distanza dal piano di geminazione. Inoltre, tale processo, lascia delle regioni deformate nel cristallo, piccole, ma ben definite. La geminazione coinvolge solo una piccola frazione del volume totale del cristallo del metallo e così la quantità di deformazione che può essere prodotta è piccola. Il ruolo importante della geminazione nella deformazione sta nel fatto che le variazioni dell’orientamento del reticolo possono realizzare nuovi sistemi di scorrimento con un orientamento favorevole rispetto allo sforzo di taglio e così consentire un ulteriore scorrimento. A temperatura ambiente è stata osservata per metalli con struttura EC. Nei metalli CCC si riscontra a temperature molto basse (ci sono casi rilevati anche a temperatura ambiente, ma con velocità di deformazione elevata). I metalli con struttura cristallina CFC mostrano la non tendenza a formare geminati di deformazione. I metalli e le leghe monocristallini sono usati principalmente per scopi di ricerca, e solo in pochi casi per applicazioni tecnologiche. I bordi di grano, infatti, rinforzano i metalli e le leghe agendo da barriere al movimento delle dislocazioni, eccetto che alle alte temperature dove diventano zone di debolezza a seguito della possibilità di scorrimento tra grani. A temperatura ambiente i grani fini risultano dare maggior forza, durezza e tenacità ai metalli, che sono anche più suscettibili all’incrudimento. Però sono meno resistenti alla corrosione ed al creep (deformazione sotto carico costante ad elevate temperature). Una dimensione di grano fine risulta anche avere un comportamento più uniforme ed isotropico. Per due componenti realizzati con la stessa lega, il componente che un numero maggior di grani, o un minore diametro medio del grano, è più forte. La relazione tra resistenza meccanica e dimensione di grano è di grande importanza. L’equazione di Hall-Petch è un’equazione empirica che mette in relazione la resistenza di snerva memento di un metallo, y, con il diametro medio di grano, d, come segue: Quando il diametro di grano diminuisce, la resistenza di snervamento del materiale aumenta. Tale equazione non si applica a dimensioni di grano estremamente grossolane o fini, e nemmeno su metalli usati ad alte temperature. A tutte le sollecitazioni il rame policristallino è più resistente del monocristallino: ad esempio al 20% di deformazione lo sforzo per il policristallino è di 276 MPa, contro i 55 MPa del monocristallino. Durante la deformazione plastica dei metalli, le dislocazioni che si formano e si muovono lungo un piano di scorrimento particolare non possono passare da un grano all’altro seguendo la stessa direzione. Le linee di scorrimento cambiano direzione in corrispondenza dei bordi di grano: infatti in ogni grano le dislocazioni si orientano in relazione ai suoi piani preferenziali di scorrimento che hanno orientamenti diversi da quelli dei grani vicini. Quando aumenta il numero di grani, ed il diametro degli stessi diventa più piccolo, le dislocazioni all’interno di ogni grano possono muoversi ad una distanza minore prima di incontrare il bordo di grano, punto nel quale termina il loro movimento ( scorrimento di dislocazioni). E’ per questa ragione che i materiali a grana fine possiedono maggiore resistenza meccanica. Consideriamo la deformazione plastica di provini ricotti di rame non legato con struttura a grani equiassici: durante una successiva deformazione plastica a freddo i grani scorrono l’uno sull’altro deformandosi a seguito della generazione, movimento e riassetto delle dislocazioni. Con l’aumentare del tasso di laminazione a freddo i grani sono via via più allungati nella direzione di laminazione, come conseguenza dei movimenti delle dislocazioni. Man mano che aumenta la deformazione plastica a freddo, fino a giungere ad una deformazione del 50%, la struttura della cella diventa sempre più densa ed allungata nella direzione di laminazione. La densità delle dislocazioni aumenta all’aumentare della deformazione a freddo. Il meccanismo esatto attraverso cui la densità delle dislocazioni aumenti durante la deformazione a freddo non è del tutto compreso. Nuove dislocazioni vengono create dalla deformazione a freddo e queste interagiscono con quelle già esistenti: all’aumentare della densità delle dislocazioni, diventa sempre più difficile il loro movimento attraverso la foresta di dislocazioni esistente, e quindi diventa difficile, con l’aumento della deformazione a freddo, l’ulteriore deformazione del metallo. Questo fenomeno è quello che normalmente viene chiamato incrudimento del metallo. Quando i metalli duttili come rame, alluminio e ferro- vengono deformati a temperatura ambiente dopo essere stati ricotti, si incrudiscono a causa dell’interazione della dislocazione appena descritta. L’incrudimento è uno dei metodi più importanti per aumentare la resistenza meccanica di alcuni metalli. Un altro metodo, oltre l’incrudimento, con cui può essere aumentata la resistenza dei metalli è il rafforzamento per soluzione solida. L’aggiunta di uno o più elementi ad un metallo può aumentare la resistenza meccanica in seguito alla formazione di una soluzione solida. La struttura delle soluzioni solide costituzionali ed interstiziali la troviamo già discussa in precedenza. Quando atomi costituzionali (di soluto) vengono miscelati allo stato solido con quelli di un altro metallo (solvente), si creano campi di sollecitazione legati a deformazioni reticolati, attorno ad ogni atomo di soluto. Ci sono due fattori importanti nel rafforzamento per soluzione solida: Fattore di grandezza relativa: la differenza nella grandezza atomica degli atomi del soluto e del solvente incide sulla quantità del rafforzamento da soluzione solida a causa delle deformazioni solide prodotte nel reticolo cristallino. Le deformazioni del reticolo creano maggiori difficoltà al movimento delle dislocazioni e quindi rafforzano il metallo; Ordine a corto raggio: raramente le soluzioni solide sono miscele casuali; spesso hanno luogo dei fenomeni di raggruppamento di atomi molto simili, determinando il cosiddetto ordine a corto raggio; a seguito di tali fenomeni il movimento delle dislocazioni risulta ostacolato per via dell’esistenza di su strutture con differenti legami, determinando il rafforzamento del materiale. Molte volte la ridotta duttilità del metallo lavorato a freddo non è desiderabile ed è richiesto un metallo più dolce. A questo scopo il metallo lavorato a freddo viene riscaldato in un forno. Se il metallo viene riscaldato ad una temperatura sufficientemente alta e per un tempo adeguato, la struttura incrudita subirà una serie di trasformazioni chiamate: recupero, ricristallizzazione e ingrossamento dei grani. Il trattamento termico che addolcisce la struttura è chiamato ricottura, ed i termini ricottura parziale e completa vengono spesso usati per indicare il livello di addolcimento, Quando un metallo subisce una profonda deformazione a freddo che lo rende incrudito, gran parte dell’energia spesa per la deformazione plastica viene conservata nel metallo stesso sottoforma di difetti di linea, cioè dislocazioni o altri difetti (come quelli di punto). Quindi, un metallo incrudito a un’energia più elevata di uno non incrudito. Quando in metallo deformato a freddo viene riscaldato nell’intervallo di temperatura in cui avviene il recupero, che si trova appena sotto l’intervallo di temperatura di ricristallizzazione, esso subisce un rilascio delle tensioni interne. Durante il recupero viene fornita energia sufficiente per consentire il riassetto delle dislocazioni in configurazioni di minore energia. In alcuni metalli che sono stati incruditi il recupero genera una struttura subgranulare con bordi di grano a basso angolo; questo processo, chiamato poligonizzazione, rappresenta una trasformazione strutturale che spesso precede la ricristallizzazione. L’energia interna del metallo che ha subito il recupero annulla molte dislocazioni, o le porta in condizioni di minore energia. Durante il recupero diminuisce leggermente la resistenza del metallo incrudito, mentre di solito viene significativamente aumentata la sua duttilità. Riscaldando un metallo deformato a freddo ad una temperatura sufficientemente alta, nella sua struttura, che ha in precedenza subito il recupero, si nucleano e iniziano a crescere nuovi grani non deformati; si forma così una struttura ricristallizzata. Dopo un mantenimento sufficientemente lungo alla temperatura di ricristallizzazione, la struttura incrudita viene completamente sostituita da una struttura a grani ricristallizzati. La ricristallizzazione avviene attraverso due meccanismi principali: un nucleo isolato può accrescersi all’interno di un grano deformato; un grano originario ad alto angolo può migrare in una regione del metallo maggiormente deformata. In entrambi i casi, la struttura della parte concava del bordo che si muove è priva di deformazione ed ha un’energia interna relativamente bassa, mentre la struttura sulla parte convessa della interfaccia che si muove è molto deformata ed ha un’alta densità di dislocazioni, ed un’alta energia interna. Il movimento del bordo di grano è lontano dal centro di curvatura del bordo, ed in questo modo la crescita di un nuovo grano durante la ricristallizzazione primaria porta ad una generale diminuzione dell’energia interna del metallo a seguito della sostituzione delle regioni deformate con regioni prive di deformazioni. In seguito ad un trattamento di ricottura che provoca la ricristallizzazione della struttura, la resistenza a trazione di un metallo deformato a freddo plasticamente diminuisce notevolmente, mentre la sua duttilità aumenta. I fattori importanti che influenzano il processo di ricristallizzazione dei metalli e delle leghe sono: entità della deformazione plastica precedentemente subita dal metallo, temperatura, tempo, dimensione iniziale del grano e composizione del metallo (o della lega). Riguardo al processo di ricristallizzazione possono essere fatte le seguenti osservazioni: perché la ricristallizzazione possa avvenire è necessario un valore minimo di deformazione del metallo; minore è il grado di deformazione (al di sopra del minimo) più è elevata la temperatura necessaria per provocare la ricristallizzazione; aumentando la temperatura di ricristallizzazione diminuisce il tempo necessario per completarla; la dimensione finale del grano dipende principalmente dal grado di deformazione: maggior è la deformazione, minore è la temperatura di ricottura per la ricristallizzazione e minore è la dimensione del grano ricristallizzato; più grande è la dimensione iniziale del grano, maggiore è l’aumento di deformazione richiesto per avere un’equivalente temperatura di ricristallizzazione; la temperatura di ricristallizzazione diminuisce con l’aumento della purezza del metallo: l’aggiunta di elementi di lega che formano soluzioni solide aumenta la temperatura di ricristallizzazione. La superplasticità si riferisce alla capacità di alcune leghe metalliche di deformarsi al 2000% ad elevate temperature e basse velocità di carico Queste leghe non si comportano superplasticamente quando caricate a temperature normali. Per esempio la lega Ti(6 A1-4V) si allunga al 12% a temperatura ambiente, mentre al 750-1170% a 840-870°C e a velocità di carico molto basse (1.3*10^-4 s^1). Per ottenere la superplasticità il materiale ed il processo di carico devono avere alcune condizioni: il materiale deve possedere una dimensione di grano fine (5-10m) ed essere altamente sensibile alla velocità di deformazione; è richiesta un’alta temperatura di carico, maggiore del 50% della temperatura di fusione del metallo; è richiesta una bassa e controllata velocità di deformazione nell’intervallo [0.01-0.0001]s^-1. Questi requisiti non sono facilmente raggiungibili da tutti i materiali e quindi non tutti i materiali possono avere un comportamento superplastico. Quando le dislocazioni si muovono lungo il grano, si produce la deformazione plastica. Ma quando la dimensione del grano diminuisce, il movimento delle dislocazioni diventa più limitato ed il materiale diventa più forte. Comunque l’analisi metallografica di materiali che hanno mostrato superplasticità ha mostrato un’attività limitata delle dislocazioni all’interno del grano. Questo supporta il fatto che i materiali superplastici sono suscettibili ad altri meccanismi di deformazione come lo scorrimento dei bordi di grano e la diffusione ai bordi di grano. Ad elevate temperature si ritiene che una grossa quantità di deformazione sia accumulata per scorrimento e rotazione dei singoli grani, o di gruppi di grani, l’uno con l’altro. C’è anche una convinzione che lo scorrimento dei bordi di grano sia dettato da una variazione graduale della forma dei grani quando la materia è mossa dalla diffusione attraverso il bordo di grano. Esistono molti processi di lavorazione che prendono vantaggi dal comportamento superplastico dei materiali per produrre componenti complessi. La formatura per soffiatura è un processo nel quale il materiale superplastico è forzato sottopressione di un gas per deformarsi e prendere la forma della filiera. Il comportamento superplastico può essere combinato con la saldatura per diffusione per produrre componenti strutturali con limitato materiale da rottamazione. Uno degli aspetti importanti della selezione dei materiali nella progettazione, sviluppo e produzione di molti componenti è la possibilità di fallimento del componente in esercizio. Il fallimento può essere definito come l’incapacità del materiale, o di un componente, di eseguire una determinata funzione, incontrare i criteri di prestazione (sebbene possa ancora funzionare), oppure lavorare in sicurezza ed affidabilità anche dopo deterioramento. Lo snervamento, l’usura, la deformazione di compressione (instabilità elastica), la corrosione e la frattura sono esempi di situazioni in cui un componente può fallire. In molti campi esistono codici e standard, che sono messi a punto dai vari enti, che devono essere seguiti da tutti i progettisti. Ogni ingegnere dovrebbe essere completamente familiare con il concetto di frattura e fallimento dei materiali, ed i grado di estrapolare informazioni dal fallimento di un componente e dalle cause di collasso. Le informazioni ricavate sono usate per aumentare le prestazioni di sicurezza e minimizzare le possibilità di collasso mediante miglioramenti nella progettazione, nei processi di produzione e sintesi e selezione dei materiali. Da un punto di vista puramente prestazionale-meccanico, gli ingegneri sono interessati al fallimento per frattura di componenti progettati/realizzati in metallo, materiali ceramici, materiali compositi o polimerici, ma anche materiali per l’elettronica. La frattura è la separazione in due o più parti di un solido sollecitato. In generale la rottura dei metalli può essere classificata in duttile o fragile, ma può anche essere mista. La frattura duttile avviene dopo un’estesa deformazione plastica ed è caratterizzata da basse velocità di propagazione della rottura. La frattura fragile, invece, avanza, di solito, lungo i piani cristallografici (detti piani di clivaggio) e si propaga rapidamente. Consideriamo la rottura duttile di un provino di trazione cilindrico, del diametro di 12.5mm. Se viene applicata una sollecitazione che supera il suo carico di rottura, e viene mantenuta abbastanza a lungo, il provino si romperà. Si possono individuare tre stadi distinti nella rottura duttile: sul provino inizia la strizione e si nucleano dei micro vuoti all’interno della zona strizionata; i micro vuoti coalescono formando una cricca nel centro del provino che propaga verso la superficie in direzione perpendicolare allo sforzo applicato; quando la cricca si avvicina alla superficie, la sua direzione si inclina di 45° rispetto all’asse di trazione e si verifica una rottura di tipo coppa-cono. Le fratture duttili sono meno frequenti delle fratture fragili e le principali cause sono i sovraccarichi dei componenti. Il sovraccarico potrebbe avvenire come risultato di: progettazione non corretta (includendo la selezione dei materiale, e quindi in fase di sottoprogettazione), fabbricazione non adeguata, abuso (il componente viene usato a livelli di carico superiori a quelli promessi dal progettista). Molti materiali metallici si rompono in modo fragile con deformazione plastica molto limitata. Di solito la rottura fragile avanza lungo piani caratteristici sotto l’azione di una sollecitazione normale al piano di clivaggio stesso. Molti metalli con struttura cristallina di tipo EC manifestano rottura fragile a causa del loro limitato numero di piani di scorrimento. La maggior parte delle rotture fragili nei metalli policristallini sono trans granulari, cioè le cricche propagano attraverso la matrice dei grani. Essa può avvenire anche in modo intergranulare se i bordi di grano sono soggetti a particolari fenomeni di corrosione, oppure se la regione del bordo di grano è stata infragilita dalla segregazione di elementi dannosi. Si ritiene che la rottura fragile nei metalli avvenga in tre fasi: la deformazione plastica concentra le dislocazioni in corrispondenza a ostacoli sui piani di scorrimento; nelle zone in cui le dislocazioni sono bloccate, si instaurano sforzi di taglio che nucleano delle microcricche; le microcricche si propagano per azione di ulteriori sollecitazioni a cui si può aggiungere il contributo dell’energia immagazzinata che si libera durante la propagazione delle microcricche. In molti casi le fratture fragili avvengono a causa dell’esistenza di difetti nel metallo. Questi si formano durante lo stadio di fabbricazione, oppure si sviluppano durante il servizio. Difetti non desiderati come difetti di ripiegamenti, ampie inclusioni, indesiderati flussi di grano, bassa microstruttura, porosità, rotture e cricche possono formarsi durante le operazioni di lavorazione come forgiatura, laminazione, estrusione e fusione, cricche da fatica, infragilimento da idrogeno atomico e danneggiamenti da corrosione, spesso portano ad una finale frattura fragile. La tenacità è una misura della quantità di energia necessaria affinché il materiale si rompa, o meglio: è la quantità di energia che un materiale è in grado di assorbire prima di giungere a rottura. Questa proprietà è di notevole importanza tecnologica in relazione all’attitudine di un materiale a resistere ad una sollecitazione d’urto senza rompersi. Ricapitolando la frattura duttile è caratterizzata da un’alta deformazione plastica e da una lenta propagazione della cricca. Dunque la rottura avviene dopo una grande deformazione plastica. Il cedimento che mette fine al comportamento elastico è causato dallo scorrimento dei piani cristallini che si verifica sui piani inclinati di circa 45° rispetto alla direzione di applicazione della forza dove le tensioni tangenziali sono massime. La frattura fragile, invece, è quella che avviene dopo una piccola deformazione plastica. Il cedimento consiste nella perdita di coesione tra gli atomi, fenomeno che porta al distacco frontale del materiale (tipica dei materiali ceramici e di alcuni metalli). Un materiale fragile è un materiale che si rompe dopo un allungamento percentuale di circa il 5%. Le fratture fragili nei metalli sono dovute a difetti come: pieghe, porosità, strappi, cricche, danni da corrosione e infragilimento da idrogeno. Il comportamento a rottura di un materiale dipende da molti fattori. In particolare contribuiscono: stato di tensione triassiale, bassa temperatura e alta velocità di deformazione (un materiale che si rompe duttilmente in una prova di trazione, può rompersi fragilmente in una prova di impatto). La tenacità è una misura della quantità di energia che un materiale è in grado di assorbire prima di giungere a rottura. Si definisce resilienza la capacità che ha un materiale di resistere alla rottura a flessione per urto. L’inverso della resilienza fornisce indicazioni sulla fragilità dei materiali: quanto più è grande la resilienza, tanto più piccola risulta la fragilità. La macchina per eseguire la prova di resilienza è nota come pendolo di Charpy. Esso consiste in una pensante mazza che scende per gravità dall’alto, incontra sulla sua traiettoria una provetta unificata, la rompe e continua la sua corsa oltre la provetta risalendo fino ad una certa quota. La macchina è tarata per dare immediatamente su un quadrante il valore dell’energia assorbita dalla provetta. Oltre alla provetta, tutto l’apparato della macchina deve possedere forma e dimensioni unificate per garantire alla prova valori attendibili, confrontabili e ripetibili. Il lavoro assorbito dalla provetta è dato dalla differenza tra l’energia posseduta dal pendolo all’inizio della sua corsa e l’energia posseduta nella posizione finale, quando è risalito oltre la provetta. L’energia disponibile prima della caduta è data dal peso P del pendolo moltiplicato per l’altezza H di caduta. L’energia posseduta dal pendolo quando risale è data dal peso P per l’altezza h di risalita. Quindi il lavoro per rompere la provetta è dato da: L = P (H-h) Dividendo L per la sezione So della provetta in corrispondenza del taglio, si ottiene l’indice di resilienza: k = L/So Per rendere attendibile la prova di resilienza è necessario usare provette unificate aventi precise caratteristiche dimensionali e di forma. Le provette formali hanno una sezione quadrata con lato di 10mm e lunghezza 5smm; durante il prelievo si deve evitare ogni riscaldamento o raffreddamento che potrebbe alterare le proprietà del materiale. Le provetta hanno un taglio ad U, o buco di chiave, profondi 5mm, oppure a V di 2mm. Per materiali non ferrosi si può usare la provetta Mesnager con V a 2mm. A seconda del tipo di provetta usata varia il simbolo della resilienza. Le norme prescrivono che la macchina deve rendere disponibile un’energia nominale di [30010]J e che la velocità d’impatto è [5 < v <5.5]m/s. La superficie della provetta dopo la rottura sarà poco riflettente e fibrosa se la rottura è di tipo duttile. Se fragile, invece, sarà riflettente. Scriveremo, inoltre, ku oppure kv a seconda che il provino presenti intaglio ad U o a V. Se le condizioni di prova non sono quelle normali è necessario completare il simbolo con indicazioni riguardanti l’energia disponibile della macchina e le dimensioni della provetta. La temperatura di prova è di 235°C. Per prove a temperature differenti la provetta deve essere immersa nel mezzo di raffreddamento o riscaldamento per un tempo sufficiente a far raggiungere all’intera provetta la temperatura prescritta e non devono passare più di 5 secondi tra prelevamento a temperatura controllata e fine della prova. I valori di resilienza possono variare sensibilmente; infatti a basse temperature la resilienza assume valori inferiori a quelli ottenuti per temperature superiori. Inoltre si evidenzia un campo di temperatura in cui i valori di resilienza subiscono una brusca variazione. In alcune condizioni, si osserva in servizio un cambiamento significativo nella resistenza a frattura di alcuni metalli, ad esempio la transizione duttile-fragile. Basse temperature, alti livelli di sforzo ed elevate velocità di carico, possono portare un materiale duttile a comportarsi in maniera fragile. Solitamente la temperatura è selezionata come la variabile che rappresenta questa transizione, mentre la velocità di carico e di sforzo sono mantenute costanti. Lo strumento per le prove d’impatto può essere utilizzato per determinare l’intervallo di temperatura per la transizione di comportamento duttile e fragile dei materiali. Fattori che influenzano la temperatura DBT sono la composizione di lega, il trattamento termico e la lavorazione. La transizione duttile-fragile è una considerazione importante nella selezione dei materiali per componenti che operano in ambienti freddi; per esempio le navi che navigano in acque fredde e le piattaforme offshore, che sono collocate nelle zone artiche, dovrebbero avere una temperatura DBT significativamente inferiore a quella di funzionamento o di servizio. Queste prove, tuttavia, non permettono di fornire parametri di progetto utilizzabili nel caso in cui i componenti metallici in esame contengano cricche o difetti. Informazioni di questo tipo si ottengono dalla meccanica della frattura, metodologia che consente la realizzazione di analisi teoriche e sperimentali sulla stabilità strutturale, o viceversa, rottura di materiali contenenti cricche o difetti. L’uso comune vuole che si usi il termine rottura quando si parla di carico di rottura, rottura duttile, rottura fragile, rottura per fatica o per creep, ed invece il termine frattura quando si parla di tenacità a frattura e meccanica della frattura. La frattura di un metallo inizia nella zona in cui la concentrazione degli sforzi è massima. L’intensità dello sforzo all’apice della cricca dipende sia dallo sforzo nominale applicato che dalla lunghezza della cricca stessa. Per esprimere la combinazione degli effetti dello sforzo all’apice della cricca e della lunghezza della cricca, si ricorre al fattore di intensità degli sforzi kI; l’apice I indica la modalità di prova I, in cui uno sforzo di trazione provoca l’apertura della cricca. Sperimentalmente, nel caso di sollecitazione di trazione assiale su una lastra di metallo contenente un intaglio o una cricca su un lato o al centro (prova di tipo I) si è trovato che: Il valore critico del fattore di intensità degli sforzi che causa la frattura del provino viene chiamato tenacità a frattura kIC del materiale: Il valore della tenacità a frattura è espresso in MPam. I valori di tenacità a frattura dei materiali sono utili nella progettazione meccanica, in particolare quando si lavora con materiali di ridotta tenacità o duttilità, come le leghe di alluminio ad alta resistenza, gli acciai e le leghe di titanio. I materiali che mostrano poca deformazione plastica prima della frattura hanno dei valori di tenacità a frattura relativamente bassi e tendono ad essere più fragili, mentre quelli con valori di kIC più alti sono più duttili. In molti tipi di applicazioni, parti metalliche soggette a sforzi ripetitivi o ciclici andranno incontro a rottura dovuta a fatica caricando ad un livello di sforzo molto inferiore rispetto a quello al quale la parte potrebbe fallire sotto l’applicazione di un solo sforzo statico. In molte applicazioni i componenti metallici, soggetti a sollecitazioni ripetitive o cicliche, si possono rompere pur se soggetti ad uno sforzo inferiore a quello che il componente può sopportare in condizioni di sollecitazione statica; queste rotture sono chiamate rotture per fatica. Una volta nucleata, la cricca si propaga attraverso il componente per effetto della sollecitazione ciclica o ripetuta; durante questo stadio del processo di fatica, si creano sulla superficie di rottura delle linee di progressivo avanzamento della cricca, dette linee di spiaggia. Alla fine, la sezione residue si è così ridotta da non poter più sopportare la sollecitazione e avviene la rottura finale. Abbiamo due zone: una regione con la superficie liscia dovuta all’azione di sfregamento tra le superfici della cricca quando questa propaga attraverso la sezione, con presenza in genere di linee di spiaggia, ed un’area con superficie rugosa, formata dalla rottura finale quando la sollecitazione diventa troppo alta per la sezione residua. La prova a fatica più comunemente usata su piccola scala è la prova a flessione rotante, in cui un provino viene posto in rotazione e soggetto ad una forza perpendicolare all’asse di rotazione che, a seguito della rotazione del provino, genere sulle fibre esterne del provino sforzi alternati di trazione e compressione di uguale ampiezza. Il centro del campione è soggetto a tensione nella superficie inferiore e a compressione nella superficie superiore a causa del peso attaccato al centro dello strumento. Per le leghe di alluminio, lo sforzo che provoca la rottura diminuisce all’aumentare del numero di cicli. Per l’acciaio al carbonio, invece, all’aumentare del numero di cicli si ha dapprima una diminuzione della resistenza a fatica e poi la curva tende ad un asintoto orizzontale, al di sotto del quale non si ha più diminuzione della resistenza a fatica all’aumentare del numero di cicli (asintoto = limite di fatica). Molte metodologie di prova a fatica, di interesse sia industriale che di ricerca, prevedono sforzi assiali di torsione e di flessione. Nel ciclo di sollecitazioni alternato simmetrico di forma sinusoidale l’andamento è tipico di un albero rotante che lavora a velocità costante senza sovraccarichi. Un andamento di questo tipo è ottenuto con le apparecchiature a flessione rotante, in cui la sollecitazione massima e minima sono uguali in valore assoluto, ma di segno opposto. I diversi cicli possono essere caratterizzati per mezzo di una serie di parametri: lo sforzo medio m, media algebrica degli sforzi massimo e minimo nel ciclo a fatica m = (max + min)/2; l’intervallo del ciclo di sforzo r = max - min; l’ampiezza del ciclo di sforzo a = r /2; il rapporto R = min/max. Quando un provino di un metallo duttile omogeneo è sottoposto a sollecitazioni cicliche, avvengono i seguenti principali cambiamenti strutturali durante il processo di fatica: innesco della cricca (è il primo sviluppo del danno di fatica); crescita delle cricche lungo le bande di scorrimento. L’innesco della cricca avviene perché la deformazione plastica non è un processo completamente reversibile. Deformazioni plastiche che si ripetono in senso opposto provocano la formazione sulla superficie del provino metalli di creste e gole, chiamate estrusioni di bande di scorrimento e intrusioni di bande di scorrimento, nonché dei danni all’interno del metallo lungo barre di scorrimento preesistenti; crescita della cricca lungo piani soggetti ad alti sforzi di trazione. Durante lo stadio I, la cricca può crescere in un metallo policristallino solo per un’estensione parti a pochi diametri di grano prima che la sua direzione cambi per orientarsi perpendicolare alla direzione del massimo sforzo di trazione agente sul provino; rottura duttile. Infine, quando la cricca si è estesa lungo un’area sufficientemente ampia per far sì che la sezione trasversale resistente del provino non sia più in grado di sopportare la sollecitazione applicata, il campione si rompe per rottura duttile. La resistenza a fatica di un metallo o di una lega è influenzata anche da fattori diversi dalla composizione chimica del metallo stesso: concentrazione degli sforzi. La resistenza a fatica è notevolmente ridotta dalla presenza di fattori che determinano intensificazione degli sforzi come intagli, fori, sedi di chiavette o cambiamenti bruschi nella sezione trasversale; rugosità superficiale. In generale, migliore è la finitura superficiale del provino di metallo, più è alta la resistenza alla fatica. Superfici rugose creano punti di intensificazione degli sforzi che facilitano la formazione delle cricche da fatica; condizione superficiale. Dal momento che la maggior parte delle rottura a fatica si originano dalla superficie del metallo, qualsiasi cambiamento significativo delle condizioni superficiali influenza la resistenza a fatica del metallo; ambiente corrosivo. Se un componente soggetto a fatica opera in un ambiente corrosivo, la sua resistenza a fatica può diminuire sia perché viene facilitato l’innesco della cricca per effetto della corrosione superficiale, sia può essere aumentata la velocità di propagazione della cricca se la corrosione determina infragilimento del materiale. La combinazione di un attacco corrosivo e di sforzi ciclici su un metallo è detto corrosione-fatica. Quando un materiale metallico è sottoposto ad una sollecitazione costante a elevata temperatura, superiore alla metà della sua temperatura assoluta di fusione, essa può subire una progressiva deformazione plastica nel tempo. Questa deformazione dipendente dal tempo è chiamata scorrimento viscoso a caldo (creep). Il creep dei materiali metallici è molto importante per alcuni settori applicativi quali quelli che comportano elevate temperature. Consideriamo il comportamento di un metallo policristallino sottoposto ad una sollecitazione costante ad alta temperatura, rappresentando la variazione della lunghezza del provino in funzione del tempo: si ottengono delle curve (curve di creep). Il comportamento macroscopico del materiale può essere descritto nel modo seguente: inizialmente si verifica un allungamento istantaneo del provino, o. Successivamente, il provino mostra una fase di creep primario in cui la velocità di deformazione decresce col tempo; la pendenza della curva di creep (d/dt) è definita come velocità di creep, quindi durante il creep primario la velocità di creep diminuisce col tempo. Nella seconda fase (creep secondario) la velocità di creep è costante (creep stazionario). Infine si ha il creep terziario in cui la velocità di creep aumenta rapidamente nel tempo fino alla deformazione a rottura. La forma della curva di creep dipende fortemente dalla sollecitazione applicata e dalla temperatura. Sollecitazioni più alte a temperature più alte aumentano la velocità di creep. Durante il creep primario il metallo si incrudisce per sostenere la sollecitazione applicata e la velocità di creep diminuisce col tempo dal momento che un incrudimento ulteriore diventa più difficile. Durante il secondario, si verificano fenomeni di recupero, che eguagliano quelli di incrudimento per cui il metallo continua ad allungarsi, ma con velocità costante. In questo caso (punto) è detto velocità minima di creep, e la resistenza allo scorrimento viscoso del materiale metallico è massima. Infine per un provino soggetto a sollecitazione costante , la velocità di creep aumenta nello stadio terziario a causa della formazione dei micro vuoti ai bordi di grano e allo scorrimento relativo di tali bordi. A basse temperature e basse sollecitazioni i metalli mostrano creep primario, ma il secondario è trascurabile dal moment che la temperatura è troppo bassa perché il fenomeno possa essere governato dal recupero. In ogni caso se la sollecitazione sul metallo è al di sopra del carico di rottura, il metallo si allungherà come in una prova di trazione ordinaria. Gli effetti della temperatura e della sollecitazione sulla velocità di creep vengono determinati mediante apposite prove di creep. Prove multiple sono realizzate con diversi livelli di sollecitazione a temperatura costante, oppure variabile e a sollecitazione costante, e le curve sono normalmente diagrammate. Per ogni curva si misura la velocità minima, cioè la pendenza del secondo stadio. La prova di creep-rottura è uguale a quella di creep, salvo per il fatto che le sollecitazioni sono più alte e che la prova viene protratta fino alla rottura. I dati delle prove sono diagrammati come logaritmo dello sforzo nominale in funzione del logaritmo del tempo di rottura. I dati sperimentali di cree-rottura per ogni particolare lega possono essere diagrammati riportando in ordinata lo sforzo ed in ascissa una combinazione di tipo empirico, definita come parametro di Larsen-Miller: Noto lo sforzo applicato e la temperata si può calcolare il tempo di creep-rottura per una lega, oppure nota la temperatura ed il tempo di vita che si vuole abbia un componente, si può calcolare lo sforzo massimo applicabile, in base al quale un componente può essere dimensionato. A causa di altri elementi, come difetti, scarsa progettazione e misure, i componenti metallici talvolta falliscono per frattura o fatica o per creep. Se avvengono durante la prova di prototipi possono essere usate come feedback per migliorare la progettazione. Se avvengono dopo la vendita, la failure analysis può essere usata come parte di un caso. Il primo stadio del processo consiste nel determinare la funzione del componente, le richieste dell’utente e le circostanze del collasso. L’analisi inizia con l’esame ottico. Dopo l’analisi ottica e tutti gli altri esami non distruttivi, si passa alle prove intrusive e anche distruttive. I metalli puri monocristallini CFC possiedono un carico di snervamento maggiore, ma una duttilità a trazione inferiore al 5%. La tenacità può essere determinata stimando l’area sottesa alla corrispondente curva sforzo-deformazione. La riduzione di duttilità e tenacità è associata alla formazione di bande di deformazione [banda di deformazione di taglio]. La laminazione a freddo permette la formazione di un’ampia densità di dislocazioni. La crescita della cricca a fatica aumenta nel regime intermedio quando diminuisce la dimensione dei grani. Inoltre si osserva una minore sogli di crescita di cricca a fatica per il metallo monocristallino. La maggior parte dei dati riguardanti la fatica ad alto numero di cicli dei metalli e delle leghe si riferisce al legame tra sforzo nominale necessario per provocare il collasso ed il numero di cicli (curve -N). Per realizzare queste prove si usano provini lisci o intagliati ed è pertanto difficile distinguere tra l’innesco e la propagazione della cricca di fatica. Difetti o cricche preesistenti all’interno di un componente infatti riducono o possono completamente eliminare la fase di innesco della cricca; pertanto la durata a fatica di un componente contenente difetti può essere notevolmente più breve della durata di uno senza difetti. Si applica una sollecitazione verticale ciclica di un intervallo costante che determina una variazione di sforzo nominale sulla sezione resistente del provino pari a ; l’applicazione della forza determina la propagazione della cricca in direzione orizzontale. Uno strumento elettrico fa passare una corrente costante e misura la tensione associata che si modifica con la propagazione della cricca. Il potenziale viene associato alla lunghezza della cricca, che può essere monitorata in funzione del numero di cicli. Elaboriamo i dati della lunghezza della cricca in funzione del numero di cicli ed utilizziamo molti provini (di uno stesso materiale) con un intaglio laterale. Per ogni coppia di dati si può calcolare la velocità di propagazione della cricca: Tutti i dati si sovrappongono molto bene sul grafico. [inserisci grafico e commenti paragrafo: velocità di propagazione delle cricche] L’invecchiamento artificiale è un trattamento termico utilizzato per produrre miscele di fasi dure, uniformemente distribuite in una matrice dolce. La fase precipitata interferisce con i movimenti delle dislocazioni, e, come risultato, rafforza la lega. Si definisce fase una porzione omogenea di un materiale, che si differenzia da altre porzioni per diversità di microstruttura e/o composizione chimica. I diagrammi di stato sono rappresentazioni grafiche delle fasi presenti in un sistema a diverse temperature, pressioni e composizioni. Una sostanza pura quale l’acqua, può esistere, in funzione di temperatura e pressione, in fase solida, liquida gassosa. Nel diagramma di stato pressione-temperatura dell’acqua si può notare come esista un punto triplo a bassa pressione (4.579 torr) e bassa temperatura (0.0098°C) in cui coesistono le tre fasi. Le linee di separazione tra fasi solide hanno le stesse proprietà delle linee di separazione tra fase liquida e solida. Per esempio, in condizioni di equilibrio, Fe- e Fe- possono coesistere a 910°C e ad 1 atm, mentre al di sopra dei 910°C esiste solo Fe- e al di sotto Fe-. In base a considerazioni termodinamiche Gibbs ricavò un’equazione che permette di calcolare il numero di fasi che possono trovarsi/coesistere in equilibrio in un determinato sistema. F + V = C + 2 F = numero di fasi che coesistono nel sistema V = gradi di libertà C = numero di componenti del sistema Di solito un componente è un elemento, un composto, o una soluzione del sistema; i gradi di libertà sono il numero di variabili che possono essere modificate indipendentemente senza che cambi il numero di fasi in equilibrio nel sistema. L’applicazione della regola al diagramma di stato di equilibrio P-T dell’acqua pure ci dice che al punto triplo coesistono tre fasi, e dal momento che c’è una sola componente, il numero di gradi di libertà è V = 0. Ciò vuol dire che nessuna delle variabili può essere cambiata mantenendo la coesistenza delle tre fasi, ed il punto triplo è detto punto di invarianza. Se consideriamo un punto lungo la linea di solidificazione vi saranno due fasi, e V = 1, e quindi P o T possono essere cambiate mantenendo la coesistenza delle due fasi. Se consideriamo un punto interno ad una singola fase avremo V = 2, possono essere variate indipendentemente sia P che T, lasciando il sistema monofasico. Una curva di raffreddamento si ottiene registrando T e velocità di raffreddamento (o meglio il tempo di raffreddamento) quando il materiale passa da fuso a solido, fino alla temperatura ambiente. Le curve possono essere usate per determinare le temperature di transizione di fase. Se il metallo si raffredda in condizioni di equilibrio, T scende costantemente lungo AB; al punto di fusione inizia la solidificazione e la curva è piana (plateau/regione di arresto termico). In BC abbiamo una miscela liquido-solido. Al punto C la frazione solida aumenta fino alla completa solidificazione. T è costante perché c’è bilancio tra il calore perso dal metallo attraverso lo stampo ed il calore latente fornito dal metallo che solidifica. Il calore latente mantiene la miscela alla temperatura di solidificazione finché questa non è completa. A solidificazione completata la curva mostra un’ulteriore diminuzione di temperatura (tratto CD). Il sottoraffreddamento appare sulla curva come una diminuzione al di sotto della temperatura di solidificazione. La curva può anche dare informazioni riguardo la trasformazione di fase allo stato solido nei metalli. Il ferro puro cambia struttura a seconda della temperatura di raffreddamento. A pressione atmosferica la curva mostra una temperatura di solidificazione pari a 1538°C, e si forma il Fe- (CCC). A 1394°C abbiamo un secondo plateau, e la formazione di Fe- (CFC). A 912°C vi è un’altra trasformazione di fase solido-solido in cui si forma Fe-(CCC). Consideriamo una lega formata da due metalli (lega binaria), costituita da due componenti. In alcuni sistemi binari i due elementi sono completamente solubili, ed esiste una sola struttura cristallina (sistemi isomorfi). Perché siano completamente solubili l’uno nell’altro devono soddisfare almeno una delle regole della solubilità allo stato solido di Hume-Rothery: la struttura cristallina di ogni elemento della soluzione solida deve essere la stessa; la dimensione degli atomi dei due elementi non deve differire per più del 15%; gli elementi non dovrebbero formare composti tra loro e pertanto non dovrebbe esserci una differenza apprezzabile di elettronegatività tra i due elementi; gli elementi dovrebbero avere la stessa valenza. Tali regole, però, non sono sempre contemporaneamente tutte applicabili alle coppie che mostrano completa solubilità. L’are al di sopra della linea più alta dl diagramma (linea di liquidus) corrisponde alla regione di stabilità della fase liquida, mentre l’area al di sotto della linea più basse (linea di solidus) alla regione di stabilità della fase solida. La regione tra le due linee è una regione bifasica. Per il diagramma di fase binario isomorfo Cu-Ni, in accordo con la regola di Gibbs, al punto di fusione dei componenti puri V = 0. Ciò significa che ogni variazione nella temperatura cambierà la microstruttura del solido/liquido. Nella regione monobasica V = 2, dunque possiamo mantenere la microstruttura variando temperatura e composizione. Nella regione bifasica V = 1, dunque può variare indipendentemente una sola variabile. I diagramma di stato di equilibrio binari di due componenti completamente solubili l’uno nell’altro allo stato solido possono essere costruiti partendo da una serie di curve di raffreddamento liquido-solido. Le curve di raffreddamento dei metalli puri mostrano un arresto di temperatura al punto di solidificazione (AB). Le soluzioni solide binarie mostrano cambiamenti di pendenza nelle curve di raffreddamento in corrispondenza delle curve di liquidus e solidus. La diminuzione della velocità di raffreddamento è dovuta al fatto che durante la solidificazione si libera calore latente di solidificazione che deve essere smaltito. Per le leghe non abbiamo regione di arresto termico (come nei metalli puri). La solidificazione inizia ad una specifica temperatura e termina ad una inferiore. Le leghe solidificano in un intervallo di temperatura, quindi quando ci si riferisce alla temperatura di solidificazione si intende la temperatura alla quale il processo termina. Le percentuali in peso delle fasi in qualsiasi regione di un diagramma di stato di equilibrio, possono essere calcolate con la regola della leva. Per ricavare le equazioni che permettono di ottenere la regola. Consideriamo il diagramma di stato di equilibrio di due elementi A e B, completamente solubili l’uno nell’altro. X = composizione di lega in esame Wo = frazione in peso di B in A T = temperatura considerata Tracciamo una linea orizzontale da te che interseca la curva di solidus e liquidus. Alla temperatura T, x è formata da una miscela di liquido con frazione in peso pari a wl e di solido pari a ws. Le quantità in peso dei due costituenti si ottengono ponendo che la somma tra frazione di peso di fase liquida e solida sia pari ad 1. Quindi la frazione in peso di una fase di una lega bifasica è pari al rapporto tra la lunghezza del segmento sulla linea orizzontale che trova dalla parte opposta rispetto alla lega di interesse e l’intero segmento. Quando le leghe Cu-Ni vengono fatte raffreddare attraversando le regioni bifasiche liquido-solido, al diminuire della temperatura le composizioni delle fasi devono modificarsi di continuo mediante diffusione allo stato solido, che avviene lentamente. Per eliminare i gradienti di concentrazione ci vuole molto tempo, quindi la microstruttura è caratterizzata da una struttura con grani di composizione chimica disomogenea. Consideriamo una lega 70%Cu-30%Ni rapidamente raffreddata da To. Il primo nucleo solido, a T1, ha composizione 1. Dopo un rapido raffreddamento a T2, si formano strati a composizione 2, senza significative variazioni rispetto ad 1; la composizione totale a T2 si trova tra 1 ed 2, ovvero ’2. Dato che la linea ’2L2>2L2 ci sarà più liquido e meno solido rispetto a quanto ce ne sarebbe in condizioni di equilibrio. . La maggior parte delle strutture (microstrutture) ottenute da fusione sono in parte a grani disomogenei, e presentano dei gradienti di composizione. Questa struttura non è desiderabile, soprattutto se la lega deve essere lavorata successivamente. Per evitare/eliminare la struttura con grani di composizione disomogenea, i lingotti/getti vengono riscaldati ad elevate temperature per permettere la diffusione in modo più rapido allo stato solido. Tale processo è chiamato omogeneizzazione. Tale trattamento avviene ad una temperatura inferiore alla temperatura di fusione della fase che fonde a temperatura più bassa , onde evitare fenomeni di fusione incipiente. Se la lega è surriscaldata si possono avere fusioni localizzate o liquazioni. Se la fase liquida mostra uno strato continuo lungo i bordi di grano la lega perde resistenza. Molte leghe binarie (come Pb-Sn) sono costituite da metalli con limitata solubilità allo stato solido. Le regione di limitata solubilità (fase  e fase ) sono chiamate soluzioni solide limite (appaiono alle estremità del diagramma). La fase  è ricca di piombo in cui può disciogliersi al massimo il 19.2% di stagno a 183°C. La fase  è ricca di stagno e si discioglie massimo il 2.5% di piombo a 183°C. Se la temperatura scende al di sotto dei 183°C, la massima solubilità scende seguendo la linea di solvus. Nei sistemi binari eutettici esiste una specifica composizione della lega, nota come composizione eutettica, che solidifica ad una temperatura più bassa rispetto alle altre composizioni. Tale temperatura (temperatura eutettica) corrisponde alla temperatura più bassa di esistenza della fase liquida durante un raffreddamento lento. La composizione e la temperatura eutettica determinano il punto eutettico. Quando il liquido di composizione eutettica viene raffreddato lentamente alla temperatura eutettica, il liquido si trasforma in due fasi solide (,). Tale trasformazione (trasformazione eutettica) è chiamata trasformazione invariante perché avviene a determinate condizioni di equilibrio, composizione e temperatura. Al procedere di tale trasformazione la fase liquida è in equilibrio con  e . Avendo 3 fasi, V = 0  alla temperatura eutettica si ha un arresto termico. In una trasformazione eutettica, le due fasi solide (+) possono avere diverse morfologie. Di primaria importanza è la massimizzazione dell’energia libera all’interfaccia -. Un altro fattore importante è il modo in cui le due fasi son nucleate e si accrescono. Un esempio di struttura eutettica lamellare (il tipo più comune) viene formato durante una trasformazione eutettica Pb-Sn. Un altro tipo di trasformazione frequente nei diagrammi di stato di equilibrio prima è la trasformazione peritettica. Di solito è presente nei diagrammi più complessi (quando le temperature di fusione dei due elementi sono diverse). Una fase liquida interagisce con una fase solida per dare un solido diverso da quello precedente. Il punto peritettico è invariante poiché in quelle condizioni le fasi , e liquida coesistono in equilibrio. Tale trasformazione avviene quando una lega peritettica viene raffreddata lentamente al di sotto della temperatura peritettica. Se una lega nel sistema Fe-Ni con meno del 4.3% di Ni ed è raffreddata lentamente attraverso liquido+, si avrà un eccesso di fase . Durante il raffreddamento industriale delle leghe peritettiche, lo scostamento dalle condizioni di equilibrio di solito è molto grande per la bassa velocità di diffusione atomica che si viene creando. Durante un raffreddamento in condizioni di equilibrio (o molto lento) di una lega peritettica attraverso la temperatura peritettica, tutta la fase solida  reagisce con la liquida per dare la fase . Durante la solidificazione rapida avviene il circondamento (la fase  circonda la fase ). La fase  costituisce una barriera alla diffusione e la trasformazione procede a velocità decrescente. Un raffreddamento rapido produce grani disomogenei, di fase , e questi grani sono circondati dalla fase . Un’altra trasformazione invariante con tre fasi è la trasformazione monotettica: in questa trasformazione una fase liquida dà origine ad un’altra fase liquida più la fase . In determinati intervalli i liquidi sono immiscibili e costituiscono fasi distinte. Esempio è Cu-Pb a 955°C con il 36% di Pb. Il piombo viene aggiunto in piccoli tenori a molte leghe per rendere più facile la lavorazione, riducendo la duttilità. Ciò riduce solo in minima parte la resistenza meccanica della lega. Leghe al piombo sono usate per fare cuscinetti sfruttando il fatto che piccole quantità di piombo sporcano la superficie di usura riducendo l’attrito. Altre due importanti trasformazione sono l’eutettoidica e la peritettoidica. Eutettica ed eutettoidica sono simili poiché entrambe portano alla formazione di due fasi solide da una sola fase (solo che nell’eutettoidica è solida, nell’altra è liquida). Nella peritettica da una fase solida più una liquida, otteniamo una seconda fase solida mentre nella peritettoidica da due fasi solide otteniamo una terza fase solida. Le temperature e le composizioni delle fasi reagenti sono fissate; in accordo con la regola delle fasi, V = 0 nei punti di trasformazione. E’ conveniente distinguere tra fasi limite e fasi intermedie. Le fasi limite sono soluzioni solide che si hanno in un intervallo all’estremità dei diagrammi di stato, confinanti con i componenti puri. Le fasi intermedie sono soluzioni solide che si hanno in un intervallo di composizione di esistenza interno al diagramma di stato, e, in un diagramma binario, sono separate dalle altre fasi da regioni bifasiche; il diagramma di stato di equilibrio Cu-Zn ne è un esempio. Le fasi intermedie non sono presenti solo nei diagrammi di stato binari dei materiali metallici. Se il composto intermedio è formato da due metalli, il materiale risultante è cristallino (intermetallo). I composti intermetallici dovrebbero essere stechiometrici. In molti casi avviene un certo grado di sostituzione atomica che fornisce ampi scostamenti dalla stechiometria. In un diagramma di fase, gli intermetalli appaiono sia come una singola linea verticale, significativa della natura stechiometrica del composto, oppure come un intervallo di composizione, significativo di un composto non stechiometrico. La percentuale di legami ionici o covalenti formati nei composti intermetallici dipende dalle differenze nella elettronegatività degli elementi coinvolti. Il diagramma di stato di equilibrio Mg-Ni contiene i composti intermetallici Mg2Ni MgNi2 , con legame essenzialmente metallico e composizione stechiometrica definita. Il composto intermetallico MgNi2 è un composto con fusione congruente perché mantiene costante la sua composizione fino al punto di fusione, mentre Mg2Ni è un composto con fusione incongruente, poiché quando riscaldato subisce una decomposizione peritettica a 761°C nelle fasi liquida ed MgNi2. Per una lega metallica ternaria le composizioni sui diagrammi di stato ternari sono di solito rappresentati su un triangolo equilatero. Sono validi ad 1atm, e possono essere rappresentati riportando la composizione su una base triangolare e la temperatura su un asse vermicolare, con rappresentazione tridimensionale. Più spesso però si ricorre ad una o più sezioni isoterme di tale diagramma, proiettando le sezioni sulla base triangolare. Si tracciano tre linee perpendicolari dai vertici ai lati opposti del triangolo e la distanza dal lato al vertice lungo la linea perpendicolare corrisponde al 100% dell’intera linea. Per determinare la percentuale in peso di una lega rappresentata dal punto x, basterò determinare le coordinate di tale punto rispetto alle tre perpendicolari. Questi diagrammi sono importanti per lo studio di alcuni materiali ceramici (silice-leucite-mullite).