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SMITH, ADAM

2006, V. Melchiorre (ed.) Enciclopedia Filosofica, 12 vols., Milano: Bompiani

A short reconstruction of this author's work in ethics, politics end economics with a discussion of the ethical and epistemological basis of his economic theory.

SMITH, ADAM. – Filosofo scozzese, n. a Kirkaldy il 5 giugno 1723, m. a Edinburgo il 17 luglio 1790. Fu successore di Francis Hutcheson all'Università di Glasgow. I. LA TEOLOGIA NATURALE, LA TEORIA DEL LINGUAGGIO, L’EPISTEMOLOGIA. Smith pubblicò la Teoria dei sentimenti morali (1759, 6a ed. 1790 con ampie modifiche) e La ricchezza delle nazioni (1776) e non completò una «storia filosofica delle arti e delle scienze» e una «teoria della giurisprudenza e del governo» di cui restano frammenti; non è rimasto nulla delle lezioni di «teologia naturale» i cui contenuti sarebbero forse rientrati nella prima delle due opere non scritte. Smith fu amico e collaboratore di David Hume e fu anch'egli un post-scettico. In epistemologia, etica, politica, economia rielaborò le idee di Hume con l’intento di costruire un sapere «utile» anche se senza fondamenti, evitando i «sistemi» come la teoria cartesiana dei vortici e le teorie contrattualiste di Hobbes e Locke. Si possono ricostruire le dottrine di Smith sulla teologia naturale a partire da passi di opere pubblicate e lezioni. Smith affermava che l’immaginazione tende a unificare l’esperienza e quindi la nozione di Dio è un’esigenza ineliminabile della natura umana. Questa nozione, se razionalizzata, si risolve nella nozione di un Dio autore di un ordine in cui ogni cosa è necessaria e anche il male si risolve bene. Tale nozione è però un’idea-limite, necessaria ma insostenibile quando ci impegniamo nelle credenze della vita quotidiana ove l’immaginazione si rivela incapace di seguire le catene di cause ed effetti fino all’estremo costringendoci a considerare solo gli effetti immediati. La credenza in un Dio non solo ordinatore ma giudice è un’esigenza dell’immaginazione anche per il bisogno di immaginare la virtù riconosciuta e il vizio punito che fa sì che un individuo con forte coscienza morale sentirà l’esigenza di aderire alla credenza religiosa; questa però non può identificarsi con la teologia razionalizzata degli stoici o dei platonici di Cambridge perché questa rende impossibili i giudizi morali con la tesi dell’uguale necessità del vizio e della virtù nell’ordine del mondo. In Considerations Concerning the First Formation of Languages ([1761], in Essays on Philosophical Subjects, a cura di W.P.D. Wightman - J.C. Bryce - I.S. Ross, Oxford 1980; tr. it. Considerazioni sulla formazione dei linguaggi, in Saggi filosofici, a cura di P. Berlanda, Angeli, Milano 1984) spiegò l’origine e l’evoluzione dei linguaggi sulla base di principi associazionistici; i linguaggi evolvono spontaneamente scomponendo progressivamente i termini fino a creare termini altamente «metafisici» come la parola «Io»; perciò i linguaggi moderni possiedono la capacità di operare distinzioni più sottili ma sono nel loro complesso più complicati di quelli antichi. In The Principles which lead and direct Philosophical Enquires: illustrated by the History of Astronomy ([1795] in Essays on Philosophical Subjects, cit.; tr. it. Storia dell'astronomia, in Saggi filosofici, cit.) ricostruì l'evoluzione della scienza naturale partendo dalla psicologia associazionistica humiana per ridurre tutte le teorie scientifiche a «macchine immaginarie» costruite dalla mente riprendendo idee che familiari e trasponendole a un campo nuovo «per colmare lo spazio vuoto» fra due fenomeni con la conclusione che anche la teoria newtoniana, la più perfetta, non può essere creduta una «scoperta» di concatenazioni causali esistenti nella natura al di là del velo dei fenomeni, ma soltanto una meravigliosa costruzione di una «catena immaginaria». L’epistemologia di Smith è quindi scettica, ma di uno scetticismo limitato, che ammette una funzione delle teorie nell’organizzare i fenomeni e una selezione fra teorie migliori e peggiori. La pratica manuale è anzi la base delle nostre conoscenze perché l’unica esperienza autentica che abbiamo è la costruzione delle macchine, dove operiamo a contatto con il mondo fisico e abbiamo una verifica operativa della maggiore o minore bontà delle innovazioni introdotte. Tutti principi teorici introdotti in altri campi sono prodotto di un’analogia con cui si traspone ciò che ci è noto a un campo ignoto. Le macchine si perfezionano gradualmente attraverso miglioramenti introdotti 10726 talvolta per desiderio di risparmiare fatica dal lavoratore e talvolta per amore di semplicità dal «filosofo»; questi miglioramenti sono volti a diminuire il numero di passaggi con cui si compie un’operazione e così, al contrario di quanto fanno i linguaggi che nel corso della loro evoluzione divengono più complicati, l’evoluzione delle macchine le rende via via più semplici. II. L’ETICA Anche in etica e in politica, Smith applicò il programma humiano di «filosofia sperimentale». La natura umana era da lui ritenuta un oggetto di conoscenza privilegiato rispetto alla natura fisica, perché i principi in base ai quali giudichiamo dei comportamenti non sono congetture ma principi della mente dei quali abbiamo esperienza immediata (A Theory of Moral Sentiments [1759], a cura di A.L. Macfie, D.D. Raphael, Clarendon, Oxford 1978; tr. it. Teoria dei sentimenti morali, a cura di E. Lecaldano, Milano 1995, VII.IV.14). La filosofia morale è costruita con principi della «scienza astratta della natura umana», non evidenti a priori e certi, ma giustificati sulla base dell’osservazione (Ivi, VII.III.1.5). Il «principio» che permette la teoria dei sentimenti morali è che esistano nella natura dell'uomo meccanismi che lo rendono partecipe delle fortune altrui provato dal fatto che constatiamo sovente «che spesso ci derivi sofferenza dalla sofferenza». Il giudizio morale è dettato dal senso comune, e la filosofia ha (come in Kant) il compito di correggere gli errori sedimentativi dalle passioni o dalle dottrine erronee correggendo gli eccessi ascetici o egoisti delle etiche normative correnti attraverso la dimostrazione della loro origine da tesi metaetiche erronee. Contro i sostenitori dei sistemi basati sull'amore di sé va obiettato che l'assunzione che questo sia sempre vizioso è un sofisma basato su un pregiudizio dei «moralisti popolari» e che è un «fatto» l’esistenza della simpatia, dato che ci fa ammirare la virtù di un Catone anche se questi non ne può derivare alcun beneficio e quindi non la si può connettere con l'amore di sé. I sistemi razionalisti peccano invece per la riduzione eccessiva del numero dei principi nel fare della ragione l’unica fonte della morale; questa è l’autrice delle massime generali che sono formate per induzione, ma queste sono derivate da un «immediato senso e sensazione», e «la ragione non può rendere un particolare oggetto gradevole o sgradevole in se stesso per la mente» (Ivi, VIII.III.1.7). I filosofi antichi «ordinarono le massime della vita comune in un modo sistematico e le posero in connessione fra loro attraverso un numero limitato di principi comuni» (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations [1776], a cura di R.H. Campbell, A.S. Skinner, W.B. Todd, Oxford 1976; tr. it. Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, a cura di A. Roncaglia, Roma 1995, V.I.3.2.25) perché la filosofia morale è ispirata dalla «bellezza di un ordinamento sistematico di diverse osservazioni connesse attraverso un numero limitato di principi comuni» tenta di spiegare i «principi di connessione» di quelle «regole e massime» che sono state accettate per consenso generale. Così la stessa aporia sta al centro della filosofia naturale e della filosofia morale: nella prima si ha la tensione fra l’impossibilità di cogliere principi veri e la necessità di adottare teorie «migliori» di altre in base a una serie di criteri «indiretti»; nella seconda si ha la stessa tensione capovolta dato che i principi ultimi ci sono immediatamente accessibili ma si rivelano impotenti costringendoci ad affidarci a principi imperfetti che sono in grado di fornire una guida per l’azione. La radice dei giudizi morali sta nel meccanismo della «simpatia», da intendere in senso etimologico come «il nostro sentimento di partecipazione per ogni passione, quale che sia» (Teoria dei sentimenti morali, cit., I.I.6). Abbiamo maggiore simpatia per le piccole gioie che per le grandi, massima per i grandi dolori, nessuna per i piccoli. Questa asimmetria è sufficiente 10727 a spiegare il grado di appropriatezza comunemente percepito nella condivisione delle passioni altrui, il relativo grado di accettabilità delle passioni egoistiche, nonché l’origine del risentimento e quindi dell’istituzione del diritto penale. La simpatia è corretta dallo «spettatore imparziale», un ipotetico osservatore che, essendo disinteressato, sa valutare l'adeguatezza della reazione simpatetica e cerca di moderare gli eccessi delle reazioni spontanee e uniformarle (Ivi, III.I.6 della 2a ed.). svolge il compito di neutralizzare la deformazione che le «originarie passioni egoistiche della natura umana» introducono nella nostra percezione delle nostre perdite e guadagni che ci «appaiono grandi o piccoli non secondo le loro reali dimensioni ma secondo la vicinanza o la lontananza» come avviene per gli oggetti fisici nella visione, e «l'abitudine e l'esperienza ci hanno insegnato a far ciò così facilmente e così prontamente che ne siamo a malapena consapevoli» (Ivi, III.III.3 della 2a ed.). Nella morale come in altri campi regna l'autoinganno che ci fa percepire i fenomeni in modo deformato: nella percezione visiva correggiamo i dati immediati facendoci sembrare più grande ciò che sappiamo essere grande anche se lo vediamo in lontananza; nella vita associata attribuiamo grande valore a una posizione sociale elevata in modo sproporzionato ai suoi vantaggi reali e se è vero che l’individuo è dominato dallo AMORE DI SÉ (v.), questo è a sua volta prigioniero dell'immaginazione e ci spinge a ricercare beni immaginari che in certi casi, fortunatamente, beneficano in realtà la collettività anziché l’individuo; infatti questi si affanna per acquistare per lo più «carabattole di frivola utilità» (Ivi, IV.I.6) ma l’amore di sé frenato dalla prudenza diviene «interesse autocentrato» o «desiderio di migliorare la nostra condizione», una passione calma che è la molla che spinge all’industriosità e alla parsimonia. L’asimmetria delle relazioni simpatetiche crea fra l’altro il paradosso della felicità (Ivi, parte I, sez. 2, cap. 5) che nasce dal fatto che la parte più importante della felicità deriva dalla coscienza di essere amato e quindi gli improvvisi cambiamenti di fortuna non danno felicità, mentre il progresso graduale richiama la simpatia, e così chi raggiunge gradualmente la fortuna raggiunge anche la felicità perché «vi è destinato dagli altri prima ancora di giungervi». III. LA TEORIA POLITICA. I contenuti dell’opera politica ci sono noti attraverso appunti di lezioni (Lectures on Jurisprudence, a cura di R.L. Meek - D.D. Raphael - P.G. Stein, Oxford 1978; tr. it. a cura di E. Pesciarelli, Lezioni di Glasgow, Urbino 1989). Si tratta di una teoria della legge di natura empiricizzata e storicizzata che combina Pufendorf con Grozio (a cui si vuole ritornare per correggere l’eccessivo apriorismo del primo) e con Montesquieu e Rousseau per porre le basi di una «giurisprudenza naturale» che svolgesse la stessa funzione normativa delle teorie del giusnaturalismo seicentesco pur abbandonando concetti astorici come quello di stato di natura e di contratto sociale. La teoria principale è la teoria dei quattro stadi (v. MODI DI SUSSISTENZA) che ricostruisce la storia delle istituzioni legali e politiche delle diverse società umane collegandole alle forme di famiglia e di proprietà e collegando queste a loro volta al modo di sussistenza, rispettivamente la caccia, la pastorizia, l’agricoltura e il commercio. Il modo di sussistenza spiega in ultima istanza la creazione e il cambiamento delle istituzioni; ad esempio il diritto di proprietà non poteva svilupparsi nell’età dei cacciatori quando non vi era nessun bene durevole che potesse essere posseduto e trasportato, nelle condizioni di vita nomade di queste popolazioni. L’evoluzione che porta a modificare le istituzioni e al passaggio da un modo di sussistenza a un altro è determinata da effetti non intenzionali di azioni umane che sono spinte dalle passioni e dai meccanismi immaginativi e simpatetici della vita umana; ad esempio la fine del feudalesimo e fu un effetto della vanità degli aristocratici che, allorquando all’inizio dell’età moderna furono disponibili beni di lusso da acquistare, iniziarono a consumare le 10728 proprie entrate in questi beni anziché nel mantenere dipendenti come facevano nel medioevo, ciò che assicurava le basi del loro potere. Questa giurisprudenza naturale, anche se empirica e storica, non per questo era una scienza sociale avalutativa e anzi mirava a una ricostruzione di giudizi simpatetici appropriati in quanto basati su una comprensione adeguata delle condizioni di vita che rendevano ragionevole, cioè conforme a giudizi simpatetici informati, alla luce del contesto storico dato, il riconoscimento di certi diritti e libertà, non stabiliti dalla ragione ma suggeriti da un senso di umanità che ha la sua origine nel sentimento. IV. LA TEORIA ECONOMICA La Ricchezza delle nazioni (1776) era un trattato sistematico simile ad altri già pubblicati da Richard Cantillon, i fisiocratici, James Steuart, che trattavano la policy, cioè l'attività del governante rivolta ad assicurare la prosperità della nazione. Anche qui Smith applicò il metodo «sperimentale», rinunciando alle congetture sulle qualità originali della natura umana che stanno alla base dei «principi» richiamati nella spiegazione: a) la «propensione al baratto e allo scambio», fenomeno la cui origine risiede non in un calcolo razionale ma nella facoltà del linguaggio e nel desiderio di persuadere i propri simili; b) il «desiderio di migliorare la nostra condizione», la passione «calma» che trae origine non da un calcolo razionale di benefici reali ma dal desiderio di simpatia; c) l'«interesse autocentrato», cioè l’amore di sé limitato dalla giustizia e dalla prudenza; d) la «mano invisibile» o il principio dei risultati non intenzionali, meccanismo che fa sì che gli individui contribuiscano a promuovere fini diversi da quelli perseguiti. La struttura teorica della Ricchezza delle Nazioni è basata su un’«analisi» che stabilisce queste leggi generali a partire da osservazioni ed esempi storici e da una «sintesi» che deduce i fatti osservati da queste leggi generali combinate. La costruzione teorica fa ampiamente ricorso, non meno della teoria newtoniana secondo la ricostruzione che Smith stesso ne aveva data, all’analogia come procedimento per la costruzione di entità teoriche. La gravitazione dei prezzi, la mano invisibile, la grande ruota della circolazione, la circolazione del valore di scambio come un liquido che vivifica le diverse parti del corpo politico sono una serie di analogie fisiche o biologiche, usate con la consapevolezza della legittimità e dei limiti del loro uso che l’epistemologia scettica moderata di Smith rendeva possibile, che svolgono la funzione di rendere possibile una spiegazione di fenomeni osservati nella società senza fare entrare in gioco né progetti artificialmente posti in atto dagli attori sociali né un ordine razionale che garantisca che gli ordinamenti sociali di fatto esistenti siano anche giusti. Smith formula una diagnosi relativamente pessimista sulla società commerciale moderna, e propone come terapia l'instaurazione del «sistema della libertà naturale» - un sistema più ragionevole perché basato su assunti teorici meno impegnativi degli opposti sistemi della FISIOCRAZIA (v.) e del cosiddetto MERCANTILISMO (v.) che peccano entrambi degli stessi peccati del sistema cartesiano – ovvero di «perfetta libertà, perfetta giustizia, perfetta eguaglianza», ciò che costituisce «il semplicissimo segreto che assicura nel modo più efficace il massimo grado di prosperità a tutte le tre classi» dei lavoratori, dei mercanti, dei proprietari terrieri (La ricchezza delle nazioni, cit., IV.IX.16-17) dove gli individui, entro i vincoli posti da un quadro di istituzioni e leggi volte ad assicurare «libertà, giustizia, eguaglianza», e in presenza di un limitato intervento del governo volto ad assicurare difesa, opere pubbliche, istruzione, spettacoli dei quali il mercato non riesce ad assicurare la cura, sono lasciati liberi di perseguire i propri interessi, con il risultato di saperlo fare in modo meno inefficiente di quanto possa fare un governante, e così facendo cooperano senza saperlo all’interesse pubblico. In questo contesto di una diagnosi sui mali della società commerciale, non certo di un’apologia dell’armonia degli interessi realizzata dal mercato, vanno letti passi famosi di Smith: quello sull’interesse, che secondo Smith 10729 costituisce la molla di gran parte delle interazioni sociali in una società civilizzata, dove si entra in interazione anonima con numerosi individui senza avere il tempo di sviluppare con loro reazioni simpatetiche, per cui non si fa conto sulla loro benevolenza e ci si limita invece a ricorrere al loro interesse proponendo uno scambio reciprocamente vantaggioso, per cui «non è dalla benevolenza del birraio e del macellaio o del fornaio che ci attendiamo il pranzo ma dal loro interesse autocentrato» (Ivi, I.II.2) e quello sulla «mano invisibile» la quale (come una vis a tergo che può causare gli stessi effetti di una vis attractiva nella filosofia naturale newtoniana, e che quindi può essere presa come equivalente ai fini della spiegazione scientifica senza darsi pena di risolvere la questione metascientica della qualità originali della natura che stanno alla base degli effetti osservati) consistendo in realtà nell’interesse autocentrato del singolo lo porta a compiere quegli investimenti che si rivelano per lo più i più utili alla collettività (Ivi, IV.II.4.9). In entrambi i casi non si ha un’apologia morale del libero mercato ma soltanto il giudizio sul suo carattere di second best per via dei risultati distributivi in base ai quali ognuno sta meglio che in una società pre-commerciale nonostante tutta l’oppressiva ineguaglianza che vige nella società commerciale a causa dell’avidità e prepotenza dei mercanti e manifatturieri e per via della compatibilità della società commerciale con un regime politico basato su libertà, eguaglianza e giustizia che difficilmente potrebbe esser instaurato in società ancora più gerarchiche della pur ingiusta società commerciale. Smith fu fra le più illustri vittime della reazione controilluminista. Intorno al 1800 La Ricchezza delle nazioni fu canonizzata in Gran Bretagna come l’atto di nascita dell’economia, venendo citata dai Tory come apologia della proprietà privata, dai Whig come apologia delle libertà individuali, dai Philosophical radical come dimostrazione dell’esistenza di leggi scientifiche dell’economia che dimostravano l’inutilità delle politiche di soccorso alla povertà. La SCUOLA STORICA (v.) tedesca affermò che la sua dottrina propugnava un Laissez faire illimitato e l’armonia spontanea degli interessi e poggiava sulla base di un rozzo utilitarismo edonista e materialista, risultato del «razionalismo» metodologico e dell’«egoismo» etico. A partire da questa lettura crearono poi das Adam Smith Problem, ovvero il problema di come Smith avesse teorizzato la benevolenza nel 1759 e l’egoismo nel 1776. L’etica smithiana è stata in seguito dimenticata perché i filosofi non hanno più letto Smith e gli economisti non ne hanno più letto l’opera morale. Intorno al 1976 si è avuta una rinascita smithiana in concomitanza con la pubblicazione dell’edizione critica. BIBL.: The Glasgow Edition of the Works and Correspondence of Adam Smith, 6 voll., Oxford 1976-1996. SU SMITH: S. CREMASCHI, Il sistema della ricchezza. Economia politica e problema del metodo in Adam Smith, Milano 1984; M.N. LIGHTWOOD, A Select Bibliography of Significant Works about Adam Smith, London 1984; T. RAFFAELLI, La ricchezza delle nazioni. Introduzione alla lettura, Roma 200; I.A. ROSS, The Life of Adam Smith, Oxford 1995; G. VIVENZA, Adam Smith and the Classics, Oxford 2002; J.C. W OOD (a cura di), Adam Smith. Critical Assessments, 7 voll, London 1984-1994. S. Cremaschi 10730