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lunedì 15 luglio 2013

L’antisessismo sessista

Sulla sentenza per lo stupro di Montalto di Castro, sulla lotta delle donne, sul bambino di Rosy che sarà dato in adozione….ovvero sull’antisessismo sessista.
E’ stata emessa la sentenza per gli otto ragazzi, all’epoca dei fatti minorenni, rei confessi, che sei anni fa hanno stuprato in gruppo una ragazza di quattordici anni in una pineta di Montalto di Castro a margine di una festa di compleanno.
Il tribunale dei minori di Roma, presieduto da Debora Tripiccioni, che lo scorso gennaio aveva sospeso il processo giunto al termine della fase dibattimentale e nella quale il PM aveva chiesto quattro anni per ciascuno dei ragazzi, ha decretato che gli stupratori saranno sottoposti al regime della messa in prova per 24 mesi. Svolgeranno cioè lavori socialmente utili due volte alla settimana e potranno continuare a studiare e a lavorare e a condurre normalmente la loro vita.
Alla fine di questo periodo e in base al giudizio che sul loro comportamento sarà dato dagli assistenti sociali e dal giudice delegato a seguire i loro progressi, potranno anche ottenere la dichiarazione di estinzione del reato loro contestato. Quello di violenza sessuale di gruppo per aver stuprato a turno una loro coetanea.
Questo è quanto riportato in maniera scarna dai media ed è la fine di una storia di grande violenza e non solo per quello che hanno fatto alla ragazza i suoi coetanei, ma per quello che le ha fatto il paese in cui abitava, Montalto di Castro, attraverso l’atteggiamento ipocrita e sessista, minimizzando il tutto come “bravata”, dicendo che lei se l’è cercata perché indossava la minigonna e attraverso il sindaco PD, zio di uno degli otto, che si è dichiarato pronto a stanziare dei soldi per il reinserimento dei ragazzi e neanche un euro per lei.
E’ stata costretta ad andare via dal paese, a vivere in un’altra città, a prendere coscienza a soli quattordici anni dell’orrore di questa società, di cui la sentenza dell’11 luglio scorso non è che l’atto esemplare.
La così detta “giustizia” di questa società non ci appartiene, né i suoi tribunali, né le sue carceri e non ci appartiene chiedere condanne esemplari per nessuno, ma le sentenze che i tribunali esprimono sono una cartina di tornasole della gerarchia dei valori di questo sistema patriarcale e capitalista, della sua struttura portante e dei suoi metri di giudizio:
-quindici anni di reclusione per “devastazione e saccheggio” a chi ha manifestato al G8 di Genova nel 2001 e sei anni per chi ha manifestato  il 15 ottobre 2011 a Roma……
-tre anni e sei mesi per i poliziotti, tra cui anche una donna, che hanno ucciso Federico
Aldrovandi e nessuna condanna per chi ha ucciso Stefano Cucchi, Carlo Giuliani, Giuseppe Uva….
-mesi di galera per chi ruba al supermercato, venti anni per chi rapina una banca…..
La gerarchia di valori che esprime questo elenco significa che al primo posto della pericolosità sociale sta chi manifesta dissenso politico  o semplicemente alterità nei confronti di questa società perché basta solo la partecipazione ad una manifestazione per subire pesanti condanne.
Sullo stesso piano c’è la tutela della proprietà privata. Anche un paio di magliette rubate all’Oviesse sono costate ad una ragazza la traduzione in cella di sicurezza nella caserma del Quadraro qui a Roma e lo stupro di gruppo da parte di tre carabinieri e un vigile urbano ( a proposito, che fine hanno fatto costoro? C’è uno straccio di processo o non è dato sapere?).
Non parliamo, poi, se qualcuno/a osa  rubare dei cibi , qualche salame o qualche formaggio dagli scaffali di un supermercato. Le patrie galere sono piene di gente detenuta per reati così.
Le istituzioni in divisa hanno una totale impunità, tanto che questo è chiaramente un benefit per il loro “lavoro”, come qualcuna/o si ostina ancora a chiamarlo, come per un impiegato sono i buoni pasto.
La società neoliberista ha annullato il valore della vita umana, perché anche la vita degli individui è considerata una merce, ha senso solo se può essere in qualche modo e fino a quando fornisce possibilità di profitto.
Quindi, giù, giù, nella scala dei valori troviamo l‘uso di un corpo, il suo abuso , la sua eliminazione.
Perché questo nullo  e/o bassissimo valore dell’essere umano che impregna l’impostazione socio-economica della società  dovrebbe trovare una risposta  diversa quando si tratta di una donna o della violenza che subisce?
Il neoliberismo è la configurazione attuale del capitalismo e del patriarcato e, come ogni configurazione ha i suoi modi particolari di esprimersi.
Uno di questi è la strumentalizzazione della violenza sulle donne, sulle diversità e dei diritti umani.
Per cui, da una parte sbandiera attenzione e riprovazione nei confronti di questi aspetti e approva  convenzioni, come quella di Istanbul, propone Task Force, spende parole e convegni, crea associazioni, ma fondamentalmente, dall’altra, lo scopo è creare controllo sociale, leggi securitarie, inasprimento delle pene e strumenti di asservimento.
Così può militarizzare il territorio qui da noi  e portare le guerre neocoloniali nel terzo mondo.
Mai vista una società tanto ipocrita e mistificante dove regna l’antirazzismo razzista, l’antisessismo sessista, la carità pelosa e il devastante “politicamente corretto”.
Il bambino di Rosy, la ragazza uccisa pochi giorni fa dal compagno a casa dei genitori dove si era rifugiata, sarà dato in adozione perché i nonni sono stati giudicati troppo poveri per mantenerlo. Anche la povertà è una condanna. Se non sei capace di mantenere tuo nipote, vuol dire che sei un inetto/a e ti sarà portato via. L’idea di dare del denaro direttamente ai nonni  perché possano mantenere il bambino viene da questa società considerata “immorale”: non si danno dei soldi a chi non è in grado di guadagnarseli.
Una società che sbandiera tanta attenzione ai minori da multare, denunciare, privare della potestà chi viene sorpreso ad elemosinare con i figli/e per strada e tanto violenta da recidere affetti e legami familiari con una freddezza nazista.
Che cosa significa tutto questo per noi che vogliamo lottare contro la violenza maschile sulle donne?
Significa non farsi irretire dalle manifestazioni di attenzione del potere, non farsi strumentalizzare, ribadire una distanza incolmabile.
La nostra liberazione passa attraverso l’autodifesa, l’autorganizzazione, il rifiuto della delega, la presa in carico della lotta, la creazione di luoghi di donne e di reti di donne in autonomia consapevoli  della necessità dell’uscita da questa società.
Le coordinamenta

lunedì 6 agosto 2012

Flamigni: L’obiettivo è affossare la 194

Flamigni: L’obiettivo è affossare la 194
di Cinzia Sciuto

Professor Flamigni, lei è l'unico che ha dato parere contrario al documento del Comitato nazionale di bioetica sull'obiezione di coscienza appena pubblicato. Quali sono le ragioni del suo dissenso?
Il punto fondamentale è che secondo il documento approvato dalla maggioranza del Cnb l'obiezione di coscienza è un modo per dare credibilità alla legge “creontea”, quella basata sui princìpi di forza, di maggioranza, legge che sarebbe, proprio per questo fastidioso modo di imporre la norma, priva di valori etici. Ora, immaginare che sia priva di valori etici una legge – come la 194 – approvata dalla grande maggioranza degli italiani, costruita sulla base del rispetto di determinati valori, preparata da un famoso intervento della Corte costituzionale è perlomeno assai poco credibile. Peraltro, come osserva il costituzionalista Gladio Gemma, se veramente il nostro parlamento avesse approvato una legge che non rispetta i valori fondamentali che devono guidare un paese democratico e laico, allora non ha alcun senso chiedere l'obiezione di coscienza ma bisognerebbe fare una battaglia affinché quella norma cambi. Se, al contrario, riconosco che quei valori sono stati rispettati, allora io non posso pretendere che il legislatore che queste leggi ha configurato rispettando quei valori poi autorizzi me a contraddirlo.

Nel suo parere di dissenso pubblicato in appendice al documento del Cnb lei definisce “mistificatoria” la posizione assunta dalla maggioranza del Comitato. Cosa intende?
Vede, qui c'è un vero e proprio imbroglio. Il concetto di valori “controversi”, che sta alla base del documento del Cnb, è un concetto mistificatorio. Qui non ci sono affatto valori “controversi”, ci sono valori a confronto e la nostra Corte costituzionale ha ribadito che il diritto alla salute della donna prevale sul diritto di esistere dell'embrione che ancora non è persona. Non vedo motivi di esitazione. In verità, l'aumento inverecondo del numero di obiettori serve ai cattolici per stabilire un principio che tra l'altro sulla stampa cattolica è già comparso esplicitamente: quando la legge non potrà più funzionare perché ci sarà un numero esagerato di obiettori di coscienza, vorrà dire che il legislatore dovrà tornare sui suoi passi e verificare di aver fatto un errore perché quella legge non poteva essere applicata.

Però nel documento del Cnb si ribadisce che il servizio di interruzione di gravidanza deve essere garantito...
Certo, ma questa è una cosa che è prevista dalla legge stessa, che indica la mobilità del personale come strumento per garantire il servizio. Ci si dovrebbe chiedere come mai però questa norma non sia mai stata applicata. Il problema è questo: c'è una quota di obiettori veri, ma c'è un'infinità di obiezioni di comodo. E la percentuale di obiettori è ancora più alta di quello che dicono le statistiche ufficiali perché ci sono strutture in cui semplicemente l'interruzione di gravidanza non si fa e i medici non si sentono neanche in dovere di dichiararsi obiettori. In più, obiettore chiama obiettore perché i giovani circondati da non obiettori preferiscono fare obiezione. Ma come si fa a pensare che quello che andava bene per il primo medico ospedaliero che si confrontava con la 194 vada ancora bene oggi? Quando un ragazzo sollevava obiezione di coscienza al servizio militare lo faceva contro un obbligo al quale in quanto cittadino non poteva sottrarsi. Oggi ognuno può scegliere liberamente la professione che vuole. Qui si tratta di problemi che hanno a che fare con la salute delle donne e scegliere di occuparsi della salute delle donne dicendo però preventivamente “di questo aspetto della salute delle donne non mi occupo” a me sembra veramente colpevole.

Negli ultimi mesi c'è stata una mobilitazione dei medici non obiettori, con la campagna “Il buon medico non obietta” e le iniziative della Laiga. È una coincidenza che questo parere esca adesso?
Non esistono coincidenze in bioetica.

(31-07-2012)

venerdì 16 dicembre 2011

"Padri separati uniti contro le donne: boom di falsi siti, è allarme". La denuncia

Fonte: affaritaliani
Venerdì, 16 dicembre 2011 - 12:06:54

Gentile redazione,
faccio seguito all'articolo "Padri separati/Tre milioni sotto la soglia della povertà" (http://affaritaliani.libero.it/cronache/padri-separati111211.html?refresh_ce).
La pur buona pellicola televisiva di Rai Uno sulla vicenda del "padre separato" non vi induca nell'errore: Caritas ospita prevalentemente "genitori separati dai figli" tra gli extracomunitari o i comunitari soli in Italia per lavoro, quelli di fatto che si sottraggono al racket dell'impiego delle manovalanze in nero, ridotti in stato di povertà. I poveri "padri" sono così effettivamente separati dalle famiglie dai molti chilometri, che li separano fisicamente dal proprio paese di origine. Gli italiani hanno una incidenza minima, a Roma sono praticamente sconosciuti, mentre a Milano ce ne solo 5 o 6 in tutto tra i documentati che frequentino le "mense della carità".
Ciò è confermato inoltre dal dato fornito dalla ricerca Istat di recentissima pubblicazione, dedicata alle "condizioni di vita delle persone separate, divorziate e coniugate dopo un divorzio", che rileva come siano le donne a subire una involuzione economica personale e familiare dalla fine di un matrimonio. Altresì dal vostro articolo è scomparso completamente il contenuto del rapporto Eurispes 2011 sulla "condizione dell'Infanzia e dell'Adolescenza", cioè i figli, ad integrale favore di questi padri "certamente adulti" e interessati.

La mistificazione del dato della Caritas è manifattura di un pool di associazioni e di spregiudicati studi legali, interessati ad un obiettivo differenziato solo dall'oggetto statutario molto diverso da quello apparente e che non ha nulla di sociale. Le associazioni dei cd "padri separati" chiedono benefici per se stessi, gli avvocati mirano all'introduzione di una "mediaconciliazione familiare" obbligatoria che, come l'altra ormai in vigore, avrebbe come effetto immediato di far crescere a dismisura i costi di una separazione o di un divorzio per l'introduzione di altre professionalità da retribuire.  

L'intero comparto associativo, invece, è coautore della campagna per l'introduzione della "sindrome di alienazione genitoriale", la P.A.S. (Parental Alienation Syndrome), con il ddl 957 - gemello "cattivo" del ddl 2454 citato dal vostro articolo - per la modifica della L. 54/2006 sull'affidamento condiviso, che ha la presunzione di inserire l'accertamento obbligatorio dell'esistenza di una presunta malattia psichiatrica, per altro priva di alcun avallo medico dalla comunità scientifica internazionale e non inclusa nel DMS IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, la cd bibbia della psichiatria) direttamente nel nostro ordinamento giudiziario.

E' utile ribadire che l'introduzione di un pregiudizio a carattere medico psichiatrico nel nostro ordinamento giudiziario subirebbe un primissimo stop in Aula con la pregiudiziale di costituzionalità, ma anche qualora fosse votata con la fiducia o a colpi di maggioranza perirebbe miseramente di fronte alla Suprema Corte Costituzionale alla prima occasione. La presunta malattia, infatti, è tale fornire uno strumento paramedico giudiziario per definire "alienato" il minore e quindi renderne inefficace la "deposizione in Tribunale". L'effetto dell'introduzione di una presunta malattia nel nostro ordinamento imporrebbe una riduzione immediata del Diritto del Minore, alla stregua di dichiarare inabili alla testimonianza tutti coloro affetti dalla sindrome di Down di ogni ordine e grado (e ve ne sono anche di laureati).

Non è un caso che la PAS sia stata usata con una distruttiva efficacia nei Tribunali americani solo per casi di violenza o abuso di minore nelle dispute di affidamento tra i genitori. Richard Gardner autore della teoria, psichiatra forense tossicodipendente ammalatosi di distrofia simpatica riflessa e morto suicida autoinferendosi numerose coltellate al petto e al collo con una mannaia da macellaio, ebbe dalla esperimentazione solo giudiziaria anche il ritorno di alcuni suicidi tra le vittime strappate al genitore protettivo e collocate dal giudice presso il genitore violento o abusante. Fortunatamente molti dei casi trattati da Gardner furono rivisitati durante lo scandalo e sanate situazioni di inenarrabile violenza ai danni di bambini e bambine. Coloro che negli states sono stati bambini vittime di Gardner oggi sono divenuti associazioni, che combattono strenuamente l'applicazione giudiziaria della teoria criminogena ai casi di pedofilia o di violenza familiare.

Allego le bozze del Rapporto Caritas pubblicato nel 2011 e i link per rivedere l'Indagine Istat sulle "nuove povertà" che conclama la povertà delle "Donne" giovani e con figli, nonché le relazioni redatte ai fini dell'Audizione presso la Commissione Giustizia al Senato sui due ddl scritte dall'Avv. Girolamo Andrea Coffari, presidente del Movimento per l'Infanzia, e dal Dott. Andrea Mazzeo, psichiatra e dirigente medico della Asl di Lecce.

Concludo con il ribadire mestamente che in tempi di grave crisi, quale quello verso il quale si avvia il Paese, la partecipazione mediatica ad una campagna che apre ufficialmente le ostilità tra i "generi" maschile e femminile può, a livello sociale, produrre gravi danni per la popolazione. Istat infatti rileva che il 75% dei genitori maschi non è in regola con il pagamento dell'assegno vitalizio per i figli e, considerando l'ampiezza del dato nazionale prodotto da Istat, è bene sospettare che si celi ben altro oltre alla povertà. Sussiste inoltre il rischio che da questa impietosa campagna nasca inoltre una nuova "affittopoli" di partito.
Pagine come questa che vi mostro sono esclusivo appannaggio mediatico delle organizzazioni descritte sopra e non rappresentano certo l'immagine di una Italia onesta e impegnata a risollevarsi dalla crisi, informo inoltre che i contenuti diffusi dalla pagina sono riprodotti da ben oltre 500 pagine facebook di poco differenti  e un centinaio di siti web commissionati dalle Associazioni e dagli studi legali ad una società di marketing e web hosting fiorentina, la Geobox.IT Srl, il cui titolare è sotto processo il Tribunale di Firenze per gravi maltrattamenti familiari (il reato è stato determinato per effetto di una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, a disposizione se occorre).

Inoltre, cosa gravissima fin in violazione della legge e contro la deontologia professionale di avvocati e medici cui è vietata la pubblicità, tutti i professionisti legati al circuito sono di fatto "pubblicizzati" da queste pagine e con ricca esposizione di indirizzi e altri recapiti.


Loredana Morandi, presidente associazione Argon - Rete di artisti contro le guerre, e responsabile della comunicazione del Movimento per l'Infanzia


I link dell’associazione Argon - Rete di artisti contro le guerre

I link del Movimento per l'Infanzia

Il blog per i comunicati alla stampa:

sabato 3 dicembre 2011

Signora, cosa piange? | Legge 194, Rodotà: “Aboliamo l’ obiezione”

Sull'ultimo numero di D, la Repubblica delle donne, consultabile on line qui, l'articolo "Signora, cosa piange?" di Cinzia Sciuto. Il tema è quell'obiezione di coscienza che per la vita e di coscienzioso non ha praticamente nulla.

I ginecologi non obiettori strutturati negli ospedali italiani sono circa 150, e il loro numero diminuisce costantemente. E le interruzioni di gravidanze tornano a essere un incubo. Che aggiunge dolore a dolore.


di Cinzia Sciuto, da "D" di Repubblica, 3 dicembre 2011

È l’alba, le prime luci del nuovo giorno iniziano a penetrare nella stanza dove Francesca nel suo letto piange in silenzio. Tra poco inizierà la procedura per l’induzione di un travaglio simile a quello di un parto. Ma Francesca non deve partorire, deve abortire. La nuova vita che porta in grembo da 23 settimane è affetta da una gravissima malformazione del cervello, la oloprosencefalia. Francesca Pieri, che all’epoca aveva 35 anni, è ricoverata già da due giorni in un grande ospedale romano ma non ha ancora iniziato la procedura di induzione, che consiste nell’introduzione nell’utero di ‘candelette’ di prostaglandina per stimolare le contrazioni del travaglio. Fino alla 12ma settimana l’interruzione di gravidanza avviene tramite raschiamento, ma dopo il feto è troppo grande ed è necessario un vero e proprio travaglio di parto.

«Il giorno del ricovero», racconta, «è servito per il disbrigo di tutte le pratiche burocratiche. Il secondo invece non ho fatto niente, ho semplicemente aspettato». Quel giorno infatti erano di turno solo medici obiettori, che si sono rifiutati di avviare la procedura di induzione. Francesca quindi ha trascorso tutto il giorno in mezzo a donne in travaglio, bambini appena nati, nonni euforici, fiori e regali, in attesa del medico non obiettore che le introducesse la prima candeletta. Era da sola, con quella vita sospesa in pancia e un profondo dolore nel cuore. Non le rimaneva altro che piangere, in silenzio. Ma anche il pianto le è stato negato: «Signora, cosa piange? Si prepari, questo sarà il giorno più lungo della sua vita». La voce è arrivata dal corridoio, proprio alle prime luci dell’alba. È l’ora del cambio turno, finalmente sta per arrivare un medico non obiettore ma il suo collega prima di andarsene ha voluto lasciare il segno. Sono passati molti anni, ma quelle parole fredde come il ghiaccio Francesca ce le ha scolpite nella testa, e non le dimenticherà mai.

E lei è stata persino «fortunata»: una volta che ha iniziato la procedura di induzione, che è durata in totale un giorno e mezzo, non ha più incontrato medici obiettori. Al contrario di Gea Ferraro, che al quarto mese di gravidanza scopre che il suo bambino è affetto da trisomia 18, una patologia talmente grave da essere definita dai medici ‘incompatibile’ con la vita. Gea, che quel figlio l’aveva tanto desiderato, decide di interrompere la gravidanza. Contatta personalmente una ginecologa non obiettrice che lavora in un altro ospedale della capitale (e che preferisce non essere citata: «Facciamo già tanta fatica a lavorare, non voglio crearmi ulteriori inimicizie tra i colleghi»). La dottoressa programma il ricovero in maniera da farlo coincidere con il proprio turno. L’induzione viene avviata, ogni 3 ore viene inserita una candeletta, ma nel frattempo c’è il cambio turno, Gea guarda l’orologio, si accorge che sono passate più di 3 ore dall’ultima somministrazione e chiede perché non le venga inserita la terza candeletta visto che il travaglio non si è ancora avviato: «Io queste cose non le faccio», si è sentita rispondere. Gea ha quindi aspettato, non ricorda neanche quanto, finché qualcuno è venuto a somministrarle la terza dose del farmaco. Il suo travaglio è durato 18 ore.

Quello dell’aborto sta diventando sempre più un percorso a ostacoli, nel quale le donne – già provate da una delle scelte più dolorose della loro vita – devono fare lo slalom tra ostacoli burocratici e medici obiettori. Obiettori che aumentano sempre di più: secondo i dati forniti dal ministero della Salute si è passati, tra i ginecologi, dal 58.7% del 2005 al 70.7 nel 2009. Ma il numero di medici realmente preposti alle interruzioni di gravidanza, soprattutto agli aborti terapeutici, è ancora più basso di quel che sembra: «Gli aborti entro la dodicesima settimana», spiega Silvana Agatone, presidente della Laiga, un’associazione che riunisce i ginecologi in difesa della 194, «sono fatti in day hospital, si tratta di interventi programmati, la cui durata è nota e per i quali è possibile chiamare medici ‘a gettone’». Cosa che invece non è possibile per gli aborti terapeutici, quelli oltre i 3 mesi, che, come abbiamo visto, possono essere anche molto lunghi e dunque hanno bisogno di essere seguiti da personale strutturato.

«Poiché non esiste un elenco dei medici non obiettori», continua la dott.sa Agatone, «abbiamo fatto una indagine empirica, dalla quale risulta che i ginecologi non obiettori strutturati dentro gli ospedali italiani sono circa 150 e, poiché i giovani non sembrano particolarmente sensibili a questo problema, c’è il rischio concreto che man mano che gli attuali medici non obiettori vanno in pensione non vengano sostituiti». Al Secondo Policlinico di Napoli, per esempio, dallo scorso luglio a effettuare gli aborti è rimasto solo un medico, che è anche il responsabile del Centro per le interruzioni di gravidanza dell’ospedale.
Strano destino quello dell’obiezione di coscienza, che, come scrive Chiara Lalli nel suo recente libro C’è chi dice no (Il Saggiatore), «ha subìto negli ultimi anni un vero e proprio stravolgimento e oggi è spesso usata come un ariete per contrapporsi ai diritti individuali sanciti dalla legge».

L’obiezione di coscienza nasce infatti per opporsi a un obbligo universale che riguardava tutti i cittadini (maschi) e a cui non era possibile sottrarsi: l’obbligo di leva. Chi sollevava l’obiezione di coscienza andava incontro a pesanti conseguenze, persino penali, come raccontano alcuni obiettori della prima ora nel libro di Lalli. Il moderno obiettore, invece, non solo non paga nessuno scotto per la sua scelta, ma, al contrario, ne ottiene indubbi vantaggi, sia in termini di soddisfazione professionale che di carriera. È per questo che il numero degli obiettori è vertiginosamente salito negli ultimi anni: fare aborti non è certamente gratificante e l’obiezione di coscienza – fatti salvi coloro che la sollevano per convinzione – è un’ottima scappatoia offerta dalla legge per sottrarsi a una parte sgradevole del proprio lavoro. Una legge che però è molto chiara: l’obiezione di coscienza può essere sollevata esclusivamente in relazione al «compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza».

Non può essere legittimamente sollevata, per esempio, per rifiutarsi di somministrare un analgesico durante il travaglio abortivo oppure di fare il raschiamento dopo l’espulsione del feto, ad aborto già avvenuto, o ancora di certificare lo stato psicologico della donna. Sono invece tante le testimonianze che le donne affidano soprattutto ai forum in rete e che raccontano di travagli durati molte ore, se non giorni, senza il minimo sostegno farmacologico né psicologico. Donne che portano avanti il travaglio abortivo in stanza, affianco ad altre: Francesca ricorda che la ragazza che era in stanza con lei ha espulso il feto sul suo letto, lì affianco, da sola, mentre lei iniziava ad avere le prime contrazioni. Un’altra donna racconta su un forum: «Mi hanno indotto il parto per 12 ore per poi essere lasciata sola al momento dell’espulsione del feto. Mi hanno lasciato la mia bambina in mezzo alle gambe e in mezzo al sangue per 4 ore e nessuno si è degnato di venire a vedermi». Anche Laura Lauro, napoletana, che ha abortito alla 21ma settimana, ricorda che al momento dell’espulsione è stata lasciata sola: «Ho espulso un feto vitale, nessuno si è preoccupato di tagliare subito il cordone e portarlo via. Quando l’ho sentito che mi sfiorava le cosce ho urlato perché lo portassero via subito».

Tutto questo però ha solo in parte a che fare con l’obiezione di coscienza. Se infatti il singolo medico può rifiutarsi di praticare l’aborto, la struttura sanitaria è in ogni caso obbligata – è sempre la 194 a stabilirlo – a garantire il servizio di interruzione di gravidanza e i «procedimenti abortivi devono comunque essere attuati in modo da rispettare la dignità personale della donna». Dignità che invece è troppo spesso calpestata. Un’altra donna racconta su un forum il suo calvario: dopo essersi sottoposta a vari tentativi di procreazione medicalmente assistita, rimane incinta di due gemelli. Alla ventesima settimana perde uno dei due. Dopo una decina di giorni rifà l’ecografia: «Liquido amniotico inesistente, arti inferiori oramai infilati nel canale», non c'è più niente da fare neanche per il secondo. Ma il battito c’è ancora, chissà per quanto, e quindi per procedere all’aborto terapeutico c’è bisogno del certificato dello psichiatra, ma quello in turno è obiettore e si rifiuta di firmarlo: «La sera un medico con la coscienza e l’umanità che a qualcuno ancora rimane, prende la responsabilità di togliermi dall’incubo, una pasticca, una sola basta per avere un altro travaglio».

Troppo spesso i dibattiti sull’aborto non fanno i conti con le esperienze concrete che le donne vivono sulla propria pelle. Per Francesca – che oggi ha altri due bambini ma che si sente pienamente madre anche di quella figlia mai nata – l’aborto è stato un discrimine nella sua vita, un momento che ha segnato un prima e un dopo. E non riesce proprio a capire l’accanimento dei sedicenti sostenitori della vita: «Come se io fossi per la morte! La verità è che ogni esperienza è a sé. Io stessa, pur non essendo affatto pentita della mia dolorosa scelta, non so dire cosa farei se mi dovessi trovare di nuovo nella stessa situazione. So però che la sola idea di non poter decidere mi atterrisce. È per questo che sarei disposta anche a incatenarmi perché sia garantita a ogni donna la possibilità di scegliere».

(3 dicembre 2011)

Legge 194, Rodotà: “Aboliamo l’ obiezione”


Intervista a Stefano Rodotà di Cinzia Sciuto, da "D" di Repubblica, 3 dicembre 2011
«Oggi, a più di trent’anni dall’approvazione della legge sull’interruzione di gravidanza, la possibilità dell’obiezione di coscienza dei medici andrebbe semplicemente abolita». Non usa mezzi termini Stefano Rodotà, professore emerito di Diritto civile all’Università La Sapienza di Roma ed ex presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali.

Professore, ma si può obbligare un medico ad agire contro la propria coscienza?«Quando la legge è stata approvata la clausola dell’obiezione di coscienza era ragionevole e giustificata: i medici avevano iniziato la loro carriera quando l’aborto era addirittura un reato ed era comprensibile che alcuni di loro opponessero ragioni di coscienza. La legge 194 ha saggiamente raggiunto un difficile equilibrio tra il diritto dei medici a non agire contro la propria coscienza e quello della donna a interrompere la gravidanza. Oggi però chi decide di fare il ginecologo sa che l’interruzione di gravidanza è un diritto sancito dalla legge, che rientra nei suoi obblighi professionali e non è più ragionevole prevedere una clausola per sottrarvisi».

Ma ritiene che una tale modifica sia concretamente fattibile?«Temo di no, in questi anni abbiamo assisitito a una generale stigmatizzazione delle donne che abortiscono e si sono fatti tentativi legislativi – penso alla proposta di legge regionale del Lazio di modifica dei consultori – che vanno nella direzione opposta. Ma per garantire il diritto delle donne all’interruzione di gravidanza, non è necessario cambiare la legge, basta applicarla.

In che senso?«Già oggi gli ospedali non possono trincerarsi dietro la scusa di non avere medici disponibili a effettuare le interruzioni di gravidanza perché questo è un servizio che deve obbligatoriamente essere fornito, come previsto dall’articolo 9 della legge 194, e le strutture che non lo garantiscono possono essere considerate responsabili sotto il profilo civile e penale».

Può essere sufficiente ricorrere a non obiettori ‘a gettone’, come già fanno alcuni ospedali?«Ritengo di no, per due ragioni: innanzitutto perché per gli aborti terapeutici è necessario avere personale strutturato e in secondo luogo perché non devono crearsi medici di serie A che fanno tutto il resto e medici di serie B che fanno solo aborti, con il rischio di una dequalificazione professionale. Gli ospedali possono, e devono, invece fare dei bandi per l’assunzione di personale strutturato non obiettore».

Ma non si configurerebbe come un trattamento discriminatorio nei confronti degli obiettori?«No, perché si tratterebbe di adempiere a un obbligo normativo a cui gli ospedali non possono sottrarsi. E si tratta di un obbligo della massima importanza. In questione infatti non c’è solo il diritto all’interruzione di gravidanza, ma il diritto alla salute della donna, che è un diritto fondamentale della persona e che non è mera assenza di malattia, ma benessere fisico, psichico e sociale. Se una donna che ha deciso di interrompere la gravidanza vive questa scelta in condizioni di malessere e di angoscia perché non sa se, quando e in che condizioni riuscirà a interromperla, c’è una evidente violazione del suo diritto alla salute, che è un diritto fondamentale della persona che non può essere subordinato a esigenze burocratiche o a mancanza di personale».

Un diritto che in Italia è sempre più difficile vedere rispettato, tanto che sono sempre di più le donne che vanno all’estero.«I due grandi obiettivi della 194 erano l’eliminazione degli aborti clandestini e il contrasto al fenomeno del turismo abortivo, che creava una sorta di ‘cittadinza censitaria’, per cui le donne che avevano i soldi salivano su su charter, andavano ad Amsterdam o a Londra e facevano l’interruzione di gravidanza senza correre il rischio di morire. Oggi purtroppo si stanno ricostruendo i meccanismi censitari e selettivi che con la 194 si volevano combattere».

(3 dicembre 2011)

lunedì 19 settembre 2011

Il senso di colpa di Puffetta


Parto da un presupposto: mi piacciono i puffi, sono così ...puffosi, è quasi impossibile non trovarli teneri e divertenti. Così, sono andata a vedere il film in 3D dei puffi. Non mi piace molto il 3D, il più delle volte è una teconologia inutile. Forse perchè non viene utilizzato adeguatamente? Non lo so, so che anche in questo caso se ne poteva fare a meno, il film sarebbe stato ugualmente ...puffoso.
La trama del film è molto semplice e ricalca l'eterna lotta tra puffi e Gargamella, il quale cerca di frullare gli "ometti blu" per ottenere un grande potere, accompagnato dal gatto Birba. Proprio in fuga dal malvagio Gargamella, che finalmente è riuscito a trovare il villaggio segreto, durante la luna blu, alcuni puffi, lui stesso e Birba, attraverso un varco magico - aperto in una cascata - si ritrovano a New York. Nella grande mela una coppia di umani li aiuterà a tornare a casa ed a liberarsi del mago cattivo. La maggior parte delle scene divertenti sono nella prima parte del film, la seconda assume un tono un po' più pesante e sentimentalistico, in vista dell'addio e della morale finale.
La storia è banalotta, ma il film regge bene, la computer grafica ha reso i puffi adeguatamente e per tutto il tempo hai solo voglia di acciuffarne uno e portartelo a casa, salvo pensare che solitamente è ciò che si fa agli animali, privandoli della libertà, perchè sono tanto carini o tanto buoni da mangiare - c'è un Gargamella in ognuno di noi.
Trattazioni a parte meriterebbero i protagonisti umani del film: perchè la donna è incinta? Perchè si sceglie questo momento della vita della coppia? Perchè l'industria cosmetica fa da sfondo a questa vicenda?
Ma ciò su cui mi voglio concentrare è altro. Ai puffi sono state date diverse interpretazioni, chi li vuole màssoni chi li vuole comunisti. In realtà la società dei puffi è in origine una società asessuata di omofili, essi non nascono da altri puffi ma, come viene detto spesso, li "porta la cicogna", puffo vanitoso colpito da un fulmine ha dato vita ad un altro puffo, un baby puffo è stato trovato nella foresta. I puffi, tutti maschi, vivono in cooperazione armonica e, agendo in modo compatto, riescono a sfuggire alle grinfie di Gargamella il quale, intuendo che l'unico modo per raggiungere il proprio scopo è creare una frattura, separare i puffi, crea in laboratorio una Puffetta che metta i maschi uno contro l'altro. Per rompere l'armonia del gruppo, viene introdotto un elemento di disturbo, quale migliore elemento di disturbo se non una femmina, portatrice di scigura bibblica?
Le cose si evolvono però diversamente, Grande Puffo trasforma la Puffetta "maliziosa", dai capelli crespi e neri, in una Puffetta buona e bionda, una minidonna agelicata. Il piano di Gargamella va in frantumi, il pericolo per i puffi è superato, grazie alla saggezza del vecchio che cancella la malia dalla puffa, il livello di seduzione viene infantilizzato - nessuno sarà costretto a lottare per la femmina, nessun puffo diventerà un adulto andandosene con lei e nel contempo rendendo più fragile la compagnia, come voleva il mago, l'unione è salva, anzi rafforzata.
Nel corso del tempo Puffetta si integra perfettamente, non diventa la prostituta del villaggio, come alcuni amano pensare, ma viene accettata come una sorella, un pari, solo di sesso femminile - il genere è espresso dalla leziosità dei gesti e dal vestito.Un'altro tema interessante sarebbe questo: tanti puffi maschi, tanti modelli di maschio, una sola puffa, un solo modello di femmina.
Nonostante l'accettazione rimane in lei, un senso di disagio, un senso di colpa per essere stata creata per il male.
Eccomi giunta al punto: Puffetta ha la consapevolezza di essere stata creata dal cattivo per portare sventura e, nonostante l'intervento di Grande puffo, questa sensazione d'essere sporca e cattiva non la abbandona mai. Lo dice anche Gargamella: tu sei la traditrice.
E lo dice Puffetta chiaramente che a lei non l'ha portata la cicogna, lei è stata fatta apposta per distruggerli. Insomma bisogna che la femmina, anche quella di puffo, si vergogni di se stessa, che si mostri dispiaciuta di esistere, ancorchè sia stata "purificata". Il senso di colpa di Puffetta è il senso di colpa che si richiede alla donna perchè venga accettata dalla comunità.
Se a questo associamo il carattere frivolo che le viene dato: "Allora posso avere più di un vestito" dice guardando le bambole della sua stessa dimensione, il quadro è completo.
Certo che Puffetta è attiva e sveglia come gli altri puffi, ma questo non basta a metterla sullo stesso piano, il senso di colpa è dentro di lei, il peccato originale non le viene mai lavato via.
Vorrei una Puffetta che non chiede più scusa, che urli a voce alta: sono fiera di essere una Puffetta!
Speriamo nel prossimo film!

giovedì 8 settembre 2011

Sacconi pensa che per salvarsi da uno stupro basti dire semplicemente "no"



Ministro
,
le scrivo per esprimerle tutto il mio disprezzo, disgusto e disappunto per l'ignobile storiella dello stupro di massa consenziente (http://tv.repubblica.it/dossier/crisi-italia-2011/sacconi-le-suore-violentate-per-spiegare-la-manovra/75589?video).
La sua ironia sulla più ignobile delle violenze, lo stupro, di cui solo in Italia sono vittime migliaia di donne ogni anno, è tra le testimonianze più palesi del degrado umano di questo paese, degrado di cui lei è artefice in prima persona, poichè
chi non si dichiara apertamente contro la cultura dello stupro è complice di ogni stupro.

Le sue immediate scuse pubbliche per questa, a dir poco, infelice uscita, e le dimissioni dal suo incarico di Governo, le restituirebbero un po' di dignità, e la ricollocherebbero nella categoria essere umano, comunque non tra i migliori,
saluti"

giovedì 16 giugno 2011

Fini, il Fatto Quotidiano e il sadismo vendicativo contro le donne

Da femminismo a sud

L'immagine è un pezzo - il Vol. 3 - della collezione "When an Old Man" di Enrica Beccalli. Il primo fu Oliviero Toscani, il secondo Gue Pequeno]
L’epopea di Massimo Fini non ha eguali. Onore a lui e a Il Fatto Quotidiano che continua a offrire spazio a questo eroe dei diritti del maschio virile che per colpa delle donne cattive non trova nessuna che fondamentalmente gliela dà.
Soffre molto quest’uomo, lo si vede dalla sua espressione un po’ cadente. Le donne gli hanno fatto venire i tic nervosi perchè lui è un autentico paladino dei diritti umani, degli umani che lottano per rivendicare il diritto alla fica gratis passata dalla mutua, e per incoraggiare i suoi prodi e mostrare quanto vive bene con se stesso sul suo sito mostra una foto di vent’anni fa.
Oh le donne, questa razza nemica, come ebbe il “coraggio” di definirle in una antica circostanza, tutte figlie peccaminose di Eva (concetto laicissimo e soprattutto moderno!), che per educarle bisognerebbe mandarle in afghanistan, come consigliò in un’altra occasione.
E siccome il signor Fini (Massimo) non lascia mai le cose a metà allora eccolo pronto a intervenire in difesa dell’ultimo povero diavolo vittima di queste megere. Eccolo ad unirsi al coro di proteste di altri uomini di pari intelligenza, come quel Buttafuoco che ha precisato che queste inservienti, queste cameriere, per di più “immolestabili” non avrebbero dovuto neppure aprire bocca. Perchè si sa che il buon Dio ha inventato la bocca delle donne per un paio di motivi e solo per quelli. Dire sempre di si e fare quell’altra cosa che non citiamo perchè siamo troppo timorate per dirlo ad alta voce.
La vicenda è quella di Strauss-Khan, ancora lui, questo poverissimo individuo che resta ai domiciliari in una villa che costa 50mila dollari al mese. Un uomo bisognoso, senza dubbio, che nel suo approccio con quella cameriera aveva inteso certamente uno scambio tra pari, tra soggetti di eguale estrazione, senza far pesare la sua posizione, il suo denaro e il suo potere. Un uomo che non può aver scambiato una donna per un posacenere, uno stuoino, un accessorio qualunque.
Massimo Fini comprende perfettamente l’anima degli uomini, perciò decide di esporsi ancora una volta. Chiama a raccolta gli “stupratori di tutto il mondo” e finisce la frase esortandoli a stare insieme. “Unitevi” – dice, dimenticando certo che lo hanno sempre fatto e che hanno eletto a difesa del branco l’omertà, il negazionismo, l’invocazione dell’impunità, la demonizzazione delle donne (bottanissime!), la provocazione “intelligente”, la solidarietà di corpo, il buon giornalismo di cordata (maschilista) che segna una linea comune tra Il Fatto Quotidiano, Il Foglio, Il Giornale, Libero, Repubblica, e molti altri quotidiani, in una trasversalità di intenti che vede una inscindibile unione in nome della difesa degli stupratori, specie se ricchi, o bianchi, di razza superiore, orgogliosamente etero anche se hanno un pistolino piccolo e sottile quanto uno spaghetto.
Detto tra noi l’aspetto di questi uomini lascia immaginare che siano arrabbiati con le donne per altri motivi che non siano quelli che hanno dichiarato. Brutti. Grassi. Cadenti. Finiti. Pensate alle facce degli uomini che vediamo in televisione. Riuscite a immaginarli a letto con una donna? Prestazioni precocemente eiaculatorie con rapidissimi movimenti a stantuffo, saliva al sapor di vecchiaia, la naftalina dentro i corpi di donne splendide. Forse si sentono rifiutati, forse avrebbero bisogno di una buona sessione di terapia di gruppo, così da mostrare vittimismo e piagnucolare tutti assieme, per assegnarsi degli esercizi di sadismo pratico, teorico o scritto mirato al loro benessere.
Perchè in fondo cosa può essere di diverso ciò che scrive questo povero uomo se non una prova collettiva di sadismo vendicativo di un genere sull’altro, quello maschile su quello femminile, per riequilibrare i conti, per fargliela vedere, per metterle al proprio posto, per ricacciare in gola a queste sfrontate tutta la loro boria. Come si permettono costoro di fare sentire questi ometti piccoli piccoli, invisibili, inadeguati, brutti. Al tre tutti quanti a urlare che le donne sono ignobili streghe e via al rogo. Così impareranno ad essere compiacenti, a non denunciare gli stupri, a non divulgare segreti delle violenze maschili, a non intaccare il prestigio di questi maschi im-potenti che contavano sul silenzio di donne che per legge devono essere predisposte al martirio.
E’ la natura, che diamine. Non si può andare contronatura. Le donne sotto e gli uomini sopra. E siccome le donne sono state educate per secoli a non dire di NO in modo chiaro, e gli uomini sono stati educati a prendere per un SI qualunque NO gli venga rivolto, allora tutto torna. Dritto e rovescio. Le donne devono tacere. Stupratori di tutto il mondo, unitevi!
Per dirlo meglio, Massimo Fini, tira fuori quel pizzico di anima noglobbbbal misogina e terzoposizionista che è tanto cara a Movimento Zero e ai “movimenti” come quello. Poi dimentica di  non aver mai scritto neppure una parola quando abbiamo visto nelle nostre televisioni le facce dei rumeni arrestati per stupri che non avevano commesso, mentre gli amministratori romani istigavano al linciaggio e la stampa di destra parlava di castrazione.
Infine arriva al punto: “La decapitazione di una carriera prestigiosa, il braccialetto al piede come per una scimmia, una guardia all’uscio e sei milioni di dollari mi sembrano un prezzo un po’ alto per un pompino, sia pure estorto.
Ed è qui che emerge integra la stazza dell’uomo vero, uomo tra gli uomini, paladino dei deboli, di queste fragili creature che violentano le donne perchè non riescono a trattenersi di fronte a quella incredibile esposizione di corpi femminili che insistono in quella enorme vetrina che è il mondo.
Per Massimo Fini un pompino (gliel’ha detto Strauss Khan?), sia pure “estorto” (dunque uno stupro!) non valgono una condanna pubblica, una ribellione, non lo considera un abuso. Un pompino oggi e uno domani, per questo intellettuale così imponente, non valgono una condanna. Sono cose da uomini che in questo mondo di uomini, in cui le donne devono solo essere decorative e pronte a soddisfare il piacere maschile, sono ammissibili.
E già che c’è l’affascinante maschio, che va d’accordo con quelli che restano a farsi le seghe nei parchi dietro una siepe, butta qualche parola di difesa per il ministro francese dimesso per molestie e per il premier italico che ovviamente, secondo il suo parere, sarebbe stato vittima di diciassettenni chiamate “mine vaganti” per le quali l’illustre Fini invoca l’abbassamento dell’età minorile per i reati sessuali.
Insomma il nostro Massimo Fini, assieme al Fatto Quotidiano, anche in questo caso si distinguono per aver fatto una coraggiosa scelta di campo. Gli stupratori invece che le stuprate.
I negazionismi, i banalizzatori, i falsabusisti invece che le abusate.
Massimo Fini, questo “intellettuale” che dice di essere schierato con i proletari, trova corretto schierarsi con i potenti quando abusano di cameriere, povere criste, dipendenti, precarie ricattabili, adolescenti o quando a ottantanni si mettono a fare i giochini con le diciottenni.
Ci pare in fondo che la sua sia una richiesta d’aiuto. Guardatelo, effettivamente ha bisogno. Oh ricchi, potenti che ne avete una a sera e se non ce l’avete ve la prendete, regalatene una pure a lui, gli scarti, i resti, fatelo almeno guardare. In fondo per renderlo felice ci vuole così poco…
Ps: ovviamente è tutta una ironica provocazione intellettuale!

By cybergrrlz 

martedì 7 dicembre 2010

Il corpo delle donne

Il 15 dicembre alle ore 19,00 Proiezione del documentario Il corpo delle donne ed incontro con Simona Marino

Simona Marino è docente di Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia “A. Aliotta” dell’Università di Napoli “Federico II”. Esperta di differenza di genere, al centro della propria riflessione, Simona Marino pone le categorie di identità e differenza, con particolare attenzione alla soggettività femminile e ai problemi della differenza sessuale.

Ass. Sott’e'Ncoppa – sportello Lilith
Via L. Giordano 24
San Sebastiano al Vesuvio
Napoli, Campania
Per info [email protected]

lunedì 25 ottobre 2010

Donne in minigonna davanti al municipio

Manifestazione di protesta contro l'ordinanza del sindaco Pdl Luigi Bobbio che vieta gli abiti troppo succinti: "E' un maschilista, venite tutte"
di STELLA CERVASIO

La “Prima giornata stabiese della minigonna” sarà oggi, e il clou è previsto per le 16, con un sitin davanti al Comune. Tutte le abitanti di Castellammare di Stabia, e non solo, sono invitate a presentarsi in abiti “assai succinti” per protestare contro il nuovo regolamento di polizia urbana, voluto dal sindaco del Pdl Luigi Bobbio, oggi all’esame del consiglio comunale. «La città ha bisogno di un decoro — scrivono in una nota le donne del centrosinistra stabiese — che non può essere misurato con il centimetro sui vestiti delle donne>.


Hanno aderito il consigliere regionale Angela Cortese, la presidente Commissione pari opportunità della Regione Fiorella Girace, la vicepresidente della stessa commissione in Provincia Ilaria Perrelli, la parlamentare Maria Fortuna Incostante, Antonella Cammardella già consigliere regionale. Lo slogan: “Adesso multateci tutte”.

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2010/10/24/news/donne_in_minigonna_davanti_al_municipio-8401614/

martedì 12 ottobre 2010

Che cosa inaudita dire porco a qualcuno che ti offende!

Poco prima di essere colpita dal suo pugno in faccia, lei fa per andarsene, ma lui le sputa addosso, allora lei tenta di dargli uno schiaffo, perchè se qualcuno ti sputa addosso e ti ingiuria reagire è più che giusto e normale, ma lui per affermare la superiorità della sua posizione di maschio bianco italiano adotta come contromisura un pugno in faccia. Tutto questo si vede benissimo dal video, il video mostra qualcosa che non può essere fraintesa, un video, questo: http://www.youreporter.it/video_Lite_alla_fermata_Anagnina_donna_in_coma_per_un_pugno_1 è una prova chiara e inconfondibile, e pure Repubblica decide di dare spazio al misogino razzista di turno: "La donna se l'è cercata. L'ha chiamato anche porco" che cosa inaudita dire porco a qualcuno che ti offende!

L'articolo di repubblica:


Infermiera in coma per un pugno
la lite per un biglietto del metrò

Ai domiciliari un 20enne con dei precedenti per lesioni. Gravi le condizioni della donna, cittadina romena di 32 anni, operata e ricoverata al policlinico Casilino. L'aggressione nella stazione della metropolitana Anagnina, dove la vittima è rimasta a terra

ROMA - Una banale lite per un biglietto nella stazione della metropolitana, lui le dà un pugno in faccia e lei, infermiera professionale di 32 anni, finisce in coma. Dopo essere rimasta a terra, tra il via vai dei passeggeri in transito alla fermata Anagnina. L'autore dell'aggressione, un 20enne romano con dei precendenti per lesioni, è stato arrestato. Bloccato da un uomo che ha assistito alla scena e lo ha avvicinato mentre cercava di allontanarsi, è stato rincorso da altri due viaggiatori. Dopo il disinteresse iniziale, un intervento provvidenziale che ha permesso di individuare e arrestare il responsabile, ora ai domiciliari. L'aggressione ricorda quella del 2007 a Termini, dove il 26 aprile la studentessa Vanessa Russo, 23 anni, venne ferita mortalmente all'occhio sinistro con un ombrello da Doina Matei, condannata a 16 anni. L'ultimo, gravissimo episodio ha profondamente indignato il sindaco Gianni Alemanno in traferta istituzionale in Cina ("Denuncerò chi non ha soccorso" 1), mentre per il Pd locale ormai dilaga la violenza: "Là città è incattivita, Roma sta cadendo in un pozzo senza fondo'".

GUARDA IL VIDEO 2

Il pugno al volto - Il tutto è accaduto all'interno della stazione metropolitana Anagnina, venerdì pomeriggio. Il ragazzo e la donna si trovavano in fila per fare il biglietto, quando tra i due è nato un diverbio. In un secondo momento, quando la cosa sembrava finita, la lite si è riaccesa mentre i due si erano allontanati dallo sportello. Dalle parole il 20enne è passato ai fatti colpendo violentemente con un pugno la donna, che è caduta all'indietro priva di sensi. E' rimasta a terra, tra il via vai dei passanti che percorrevano i corridoi della stazione. Nel frattempo un signore bloccava il ragazzo che si stava allontanado, mentre quel corpo steso per terra cominciava ad attirare l'attenzione di chi si spostava sulla banchina della metro.

Le condizioni della donna
- La vittima è stata soccorsa e trasportata d'urgenza presso il policlinico ''Casilino'', dove è stata operata per le gravissime lesioni riportate al cranio. Sottoposta a un intervento neurochirurgico per un ematoma cerebrale, è ancora mantenuta in coma farmacologico. Le sue condizioni sembrano migliorare: stamattina i medici l'hanno staccata dai tubi, anche se non è ancora fuori pericolo di vita. Si trova nel reparto di rianimazione e i sanitari temono, purtroppo, conseguenze permanenti. L'infermiera 32enne si trova in Italia insieme al marito e al fratello, in ospedale per assisterla durante gli orari di visita consentiti.

Il video choc - Una scena agghiacciante, di violenza inaudita, quella ripresa dalle telecamere della stazione. L'atrio con il giardinetto che custodisce un vecchio vagone della ferrovia Roma-Pantano, semivuoto. Pochi i passanti e tra questi un giovane, non alto ma robusto. Una donna gli si avvicina, lo ferma e gli dice qualcosa. Il ragazzo fa per darle una testata, le sputa sembra dalle immagini. La donna reagisce con uno schiaffo. E' a quel punto che il 20enne si scaglia contro di lei: il pugno sferrato con violenza sul volto, lei che cade all'indietro priva di sensi battendo la testa al suolo. Solo dopo alcuni minuti si forma un capannello attorno al corpo.

LA FOTOSEQUENZA 3

L'autore del gesto - I carabinieri della stazione di Cinecittà, con i militari del 6° reggimento del Genio pionieri impegnati nell'operazione ''strade sicure'', dopo avere raccolto le testimonianze dei presenti, hanno rintracciato e arrestato l'aggressore. Alessio Burtone, questo il suo nome, è stato portato nel carcere romano di Regina Coeli e ora si trova agli arresti domiciliari. Si tratta di un ragazzo con dei precedenti sempre per lesioni. "Quando è stato fermato - racconta il capitano Domenico Albanese, comandante della Compagnia dei Roma Casilina - sembrava non rendersi conto della gravità del suo gesto. Era sconvolto. Ma non direi che si possa definire un giovane violento, nonostante la precedente denuncia nei suoi confronti".

AUDIO - Il racconto del capitano dei Carabinieri della Casilina 4

L'avvocato del giovane - "Il ragazzo non è pregiudicato, è un lavoratore e una persona perbene. Non era assolutamente sotto l'effetto di droghe, ha solo avuto paura. Il gip, su mia richiesta, ha deciso di concedergli gli arresti domiciliari". Così l'avvocato Fabrizio Gallo, legale di Alessio Burtone. "Nel video si vede chiaramente che era la donna a inseguire il ragazzo - ha raccontato il difensore - Alessio mi ha detto che lei gli avrebbe rivolto parole offensive e lo avrebbe provocato dicendogli 'Te la faccio pagare' e 'Ti faccio cadere quando arriva la metro'. A quel punto l'ha colpita". "Quando ieri in carcere, prima che gli concedessero i domiciliari - ha aggiunto Gallo - ho detto ad Alessio che la donna era in coma, ha avuto un momento di sconforto. Non pensava di aver fatto una cosa tanto grave. Aveva paura che fosse armata. Anche i genitori del ragazzo sono delle brave persone e sono costernati per l'accaduto. Farò un'istanza al pm per la riammissione in libertà".

Il testimoni - "Ero dietro di loro quando sono usciti dal bar. Il ragazzo camminava davanti e la donna lo seguiva, insultandolo e poi prendendolo a calci e pugni. Il giovane si è girato dicendo 'Ma falla finita' e con una mano l'ha colpita involontariamente. Lei è caduta a terra come un sacco di patate". A parlare è un commerciante che lavora all'interno della stazione della metro Anagnina e, raccontando di aver assistito all'episodio di venerdì, difende l'aggressore. "In 60 anni non avevo mai visto una scena del genere - ha aggiunto - una donna che picchia in quel modo un uomo. La donna se l'è cercata. L'ha chiamato anche porco". Il dipendente Atac che per primo ha soccorso la donna, ha descritto così la scena: "Ho sentito un tonfo e sono uscito dall'ufficio. La donna era sdraiata per terra, poco distante c'era un uomo che, tenendo un giovane per un braccio, chiedeva aiuto. Ho temuto che potesse morire e sono andato a chiamare soccorsi. Non capivo cosa stava succedendo - ha aggiunto - il ragazzo ripeteva che era stato importunato. All'inizio quando sono uscito non c'era nessuno accanto alla donna, sono stato tra i primi a vederla. Poi carabinieri e vigili hanno allontanato le persone per consentire i soccorsi".

VIDEO - La testimonianza dell'edicolante 5

Le reazioni - Incredulità e rabbia per quanto accaduto. Il sindaco Alemanno, da Pechino, si è detto pronto a denunciare chi non è intervenuto. "Non è accettabile - ha fatto sapere - che in una città come Roma avvengano cose del genere e, tanto più, non è possibile che ci sia una tale indifferenza". Ugualmente il Codacons, che ha depositato una denuncia contro ignoti alla procura della Repubblica di Roma chiedendo ai magistrati "di individuare i soggetti ripresi nel video dell'aggressione, i quali non hanno prestato alcun soccorso alla donna malmenata". E se per Renata Polverini si tratta di un fatto anche "culturale" su cui bisogna intervenire, il Pd di Roma ha insistito sulla "violenza ormai dilagante". "La città è incattivita - ha dichiarato Marco Miccoli, coordinatore locale dei democratici - in preda a pulsioni egoistiche che mai avevano avuto cittadinanza nella capitale" (LEGGI 6)

http://www.repubblica.it/cronaca/2010/10/12/news/donna_roma-7965528/?ref=HREA-1

sabato 11 settembre 2010

"Nazifemminismo"? un ossimoro, in malafede.

Ladyradio spiega perfettamente perchè l'idea di "nazifemminismo" è un'aberrazione storica, un revisionismo in malafede volto alla criminalizzazione del movimento femminista che ricordiamo ha come unico scopo la parità dei diritti tra uomo e donna.

La rete è un Oceano e dunque ospita pesci di tutti i tipi.

Noto con neanche più candido stupore del diffondersi di questa nuova terminologia offensiva e diffamatoria: nazifemminismo.

Qualunque persona con un minimo di cultura saprebbe che unire un movimento come quello Nazista a quello Femminista non solo è ridicolo ma anche pericoloso.

Il Nazismo considerava le donne come parte integrante del processo di purificazione della razza, ragion per cui crearono nursery ed ospedali prettamente ginecologici per donne dall’aspetto perfettamente ariano ( occhi chiari, capelli biondi, pelle chiara).

Pagavano od obbligavano donne giovani e forti per accoppiarsi con soldati ariani-Nazisti.

Una volta dati alla luce, i pargoli venivano portati in scuole Naziste per educarli sin da bambini ad un solo pensiero, una sola idea, un solo ideale. L’idea di far accoppiare donne e uomini con stesso codice genetico avrebbe in realtà instupidito sempre più la razza umana, per poter creare così un gigantesco esercito di persone sempre pronte ( perchè educate sin da piccoli) a servire il loro dittatore.

Il Femminismo è un movimento nato per la parità dei sessi, non certo per rivendicare la supremazia delle donne sugli uomini. Quindi al movimento Nazista la cosa non piaceva ed invitava al popolo tedesco di escludere e denunciare quelle donne che si avvicinavano a tale movimento.

Molte donne hanno perso la vita per simili ideali.

Per non dimenticare anche tutte quelle donne reclutate nelle SS come donne soldato, pronte per l’uso e l’abuso, nonchè alla violenza gratuita. Le donne sono esseri Umani e come tali sanno pensare, parlare, muoversi, non sono divinità o esseri magici venuti da altri Pianeti, nessun* osa dire questo … anzi! Sarebbe ora che ci trattasero come tali e non come cose.

Chi ha inventato questo termine, desidera spingere le persone un po’ più chiuse e poco inclini a porsi delle giuste domande, verso la fobìa del Nazismo. E’ inevitabile che un male così palese come quello dell’ Olocausto evochi paura, lo strumento che usano proprio persone dalla dubbia morale e dai principi non proprio solidi.

Un gruppo anche bello ampio di neo maschilisti canadesi ha invetato questo termine, per fortuna già condannato da Paesi civili e onesti ( vedi N. Gabriel, Un corps à corps avec l’Histoire: les féministes allemandes face au passé nazi, in Femmes et fascismes, a c. di R. Thalmann, 1986).

Cito un blog che riporta questo termine come veritiero:

Vi è un tentativo sporco e criminoso di demonizzare e colpire metà del genere umano, quello maschile, descritto dalla propaganda femminista come un genere che ogni giorno, solo nel nostro Paese, colpirebbe e ucciderebbe migliaia di donne. Ovviamente questa è una menzogna

Già da queste poche righe potrete rendervi conto che la base di chi professa e manda avanti simili indecenze, è qualcuno che vorrebbe eliminare completamente l’accusa di violenza di genere, un male che uomini e donne combattono giorno dopo giorno.

L’utilizzo di vite umane spezzate dalla cieca violenza è non solo disgustoso ma anche controproducente, perchè chi ha subìto simili realtà non resterà zitto, parlerà e ci sarà sempre qualcun* pronto a combattere contro simili parole.

E’ diffamazione, abuso di sistemi informatici per propagande anti Costituzionali, contro i diritti Umani.

Continua su LadyRadiolina

venerdì 20 agosto 2010

Sieropositivo costringe ospite a rapporto senza preservativo

Pluripregiudicato di 46 anni arrestato ieri sera a Milano con l'accusa di violenza sessuale

MILANO - Dopo essersi dichiarato sieropositivo, ha costretto lei, sua ospite, a un rapporto senza preservativo, perche' - come le ha detto picchiandola - vuole infettare tutte le donne. Per questo un pluripregiudicato di 46 anni, Roberto C., e' stato arrestato ieri sera a Milano dalla polizia con l'accusa di violenza sessuale.

La sua vittima e' una donna belga di 32 anni che, dopo un periodo trascorso nel dormitorio di Viale Ortles, si era spostata nell' appartamento dell'uomo, in via Cirie', su consiglio di amici.

Nelle due settimane trascorse insieme, come la donna non ha nascosto alla polizia, i due avevano avuto rapporti sessuali, ma sempre protetti. Nella mattinata di ieri, invece, l'uomo ha costretto la sua ospite a un rapporto senza preservativo.

Quando in serata ha cercato di ripetere la violenza, lei si e' ribellata ed e' stata picchiata. A quel punto ha chiamato la polizia ed e' scesa in strada ad aspettare l'arrivo dei soccorsi. Al suo fianco, l'aggressore semi-svestito.

La donna e' stata accompagnata al Pronto Soccorso dell'ospedale Niguarda e al Centro Antiviolenze, che hanno riscontrato la presenza di contusioni sul suo corpo. Lui, invece, e' stato arrestato per violenza sessuale. Da quanto si e' appreso dalla Polizia, la donna circa sette anni fa avrebbe gia' denunciato una violenza sessuale avvenuta nei dintorni della Stazione Centrale.

ansa


Ospita l' amica a casa e la violenta Sono sieropositivo, ti contagerò

Repubblica — 21 agosto 2010 pagina 6 sezione: MILANO
MENTRE la violentava, le urlava di essere sieropositivoe che voleva contagiarla. Completamente ubriaco, ha costretto la donna, una belga di 32 anni ospite a casa sua, a un rapporto sessuale non protetto.A violentaree rischiare di infettare la donna, Roberto C., 46 anni, pluripregiudicato ed effettivamente sieropositivo, come poi hanno accertato gli agenti delle volanti dopo aver esaminato la documentazione clinica nella sua casa. L' uomo è stato fermato nella notte vicino al palazzo dove abita in via Cirié, a Niguarda. La vittima si è decisa a denunciare l' uomo dopo che, ancora ubriaco e stordito dalla marijuana, aveva ripreso a picchiarla pretendendo un altro rapporto senza il preservativo. Quando la polizia ha soccorso la povera ragazza, l' ha trovata in stato confusionale, coperta di lividi e graffi. Accompagnata prima al pronto soccorso del Niguarda e poi al centro soccorso violenze sessuali della clinica Mangiagalli, è stata dimessa dopo che gli esami hanno confermato lo stupro. «Ero da lui da una quindicina di giorni - ha detto la ragazza belga agli agenti - ci avevano presentato alcuni amici comuni, quando ero al dormitorio di viale Ortles. Con lui avevo avuto dei rapporti sessuali consenzienti, ma è stata la prima volta che mi ha costretto a uno senza protezione». La donna, incensurata, separata da un italiano, e madre di due bambini piccoli affidati ad una comunità, vive da anni come una clochard mangiando e dormendo dove capita. Sette anni fa, in stazione Centrale, aveva subito un' altra violenza sessuale, finita in una denuncia di cui ha subito informato la polizia. Ma ora la sua paura è di essere stata contagiata dal pregiudicato. Una sieropositività, quella dello stupratore, che risulta dalla documentazione clinica trovata dalla polizia in via Cirié. Nell' abitazione, trovate anche confezioni di metadone, usate dall' uomo per cura la sua tossicodipendenza. Se gli esami delle prossime settimane accertassero che la donna è stata contagiata ed è sieropositiva, la posizione dell' arrestato diventerebbe più pesante: all' accusa di violenza sessuale si aggiungerebbe l' imputazione di lesioni gravissime. Intanto, la ragazza, è stata trasferita in una comunità protetta. - SANDRO DE RICCARDIS

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/08/21/ospita-amica-casa-la-violenta-sono.html

venerdì 6 agosto 2010

La fidanzata lo lascia, uccide donna a pugni

MILANO - Lasciato dalla fidanzata, un giovane ucraino, che per hobby fa il pugile, è sceso in strada e ha massacrato di botte fino alla morte la prima donna che ha trovato, una filippina di 41 anni che si stava recando a lavoro.

L'aggressore e' un cittadino ucraino di 25 anni, regolare ma con un piccolo precedente per furto. A dare l'allarme per prima alla polizia è stata la madre del giovane, preoccupata dalla furia con la quale aveva preso le chiavi di casa ed era uscito. Ma la sua telefonata al 113 non ha comunque potuto impedirgli di realizzare i suoi propositi.

"E' da due giorni che va dicendo di voler far fuori qualcuno", avrebbe riferito per telefono la donna, che vive con il figlio in viale Gran Sasso, chiedendo aiuto. Lui, però, una volta sceso in strada, ha fatto poche decine di metri e, in viale Abruzzi, ha subito aggredito la passante, morta poi in ospedale.

Libero.it

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