Declamation

Alms, alms, alms. Spare me a piece of bread. Spare me your mercy. I am a child so young, so thin, and so ragged. Why are you staring at me? With my eyes I cannot see but I know that you are all staring at me. Why are you whispering to one another? Why? Do you know my mother? Do you know my father? Did you know me five years ago? Yes, five years of bitterness have passed. I can still remember the vast happiness mother and I shared with each other. We were very happy indeed. Suddenly, five loud knocks were heard on the door and a deep silence ensued. Did the cruel Nippon's discover our peaceful home? Mother ran to Father's side pleading. "Please, Luis, hide in the cellar, there in the cellar where they cannot find you," I pulled my father's arm but he did not move. It seemed as though his feet were glued to the floor.

La fiction et le vers. Comment les Modernes ont légitimé la rime, et comment, par là même, ils l’ont perdue (1548-1826)

Avec cet article, nous avons voulu montrer que la logique aboutissant à la forme privilégiée du théâtre moderne, le théâtre en prose, était un produit de la logique du barreau des Anciens, et non pas de leur théâtre, ni de leur poésie. Le processus de la légitimation de la rime s’avèrera un cas symptomatique de l’invasion de la logique des avocats anciens dans le domaine de la fiction des Modernes. Nous articulerons ce processus en trois temps. Dans un premier temps, nous verrons que la manière dont les arts poétiques de la Renaissance ont légitimé la rime impliquait déjà sa dévalorisation. Les références resterons les mêmes jusqu’au XVIIIe siècle : Cicéron et Quintilien. Dans un deuxième temps, la négativité de la figure « affectée » qu’est la rime sera analysée au sein du système de la rhétorique romaine, et nous examinerons les conditions dans lesquelles les poètes modernes étaient amenés à choisir la logique de l’orateur ancien au lieu de celle du poète ancien. Enfin, nous verrons le processus dans lequel cette logique de la rhétorique romaine s’est acclimatée chez les Modernes, particulièrement dans le domaine de théâtre, sous le nom de « déclamation », et que c’est dans ce cadre théorique que la légitimité de la rime est remise en question, ce qui a provoqué l’appel à un théâtre en prose. Au cours de cette analyse, la notion d’« affectation » que les Modernes ont tiré de Quintilien se révèlera comme un stigmate de la pénétration de la logique oratoire dans le théâtre, et reliera ainsi cette étude à nos derniers articles concernant les conditions théoriques de l’exclusion du chant et de la danse dans le théâtre des Modernes. (...)

Théodora Psychoyou, "De la présence de l’air de cour dans les écrits théoriques du XVIIe siècle : une rhétorique de l’actio", in Poésie, musique et société. L’air de cour en France au XVIIe siècle, éd. Georgie Durosoir, Sprimont, Mardaga, 2006, p. 183-205 (coll. “Études du Centre de musique baroque de Versailles”).

Teatro, letteratura e ricerca si intrecciano indissolubilmente nell’opera e nella vita di Luigi Rasi (1852-1918), direttore della Regia Scuola di Recitazione di Firenze e ultimo esponente di un’illustre tradizione ottocentesca di insegnamento della declamazione come disciplina principe della scena. Figura ibrida di attore, studioso e docente, dotato di una vasta cultura, Rasi seppe attraversare i confini tra le arti, in dialogo con le istanze del suo tempo e in una prospettiva europea. La sua concezione della scena fu in grado di coniugare la storia con la sperimentazione: entro questo contesto egli concepì la formazione teatrale come un tassello fondamentale di un più ampio progetto di riforma del teatro italiano e del suo rapporto con la società, dai cui semi fecondi sarebbero scaturiti frutti anche nei decenni successivi del Novecento. Grazie anche alla valorizzazione di materiali e di carteggi inediti, il volume ricostruisce in una prospettiva unitaria la figura e l’attività di Rasi e ne spiega il contributo determinante, lungo direzioni inedite, alla storia del teatro.

Seneca the Elder is the author of a collection of rhetorical extracts aimed to preserve from oblivion the traces of the most outstanding declaimers of his time. Although he claims to rely exclusively on his memories in composing his collection, evidence in his text leads to assume that Seneca has actually made use of several categories of written sources. This essay focus on the com- bination of memories and written sources on which Seneca probably grounded his collection, and eventually places this work in a tradition headed by Cicero’s rhetorical dialogues.

illuminare il mondo che esisteva intorno e dentro la Phèdre di Racine nel momento della sua nascita. La ricerca si è concentrata, oltre che sul teatro francese del XVII secolo in generale, sull'aspetto performativo di Phèdre, e dunque sugli attori che ne furono, oltre a Racine, gli artefici e gli interpreti. Phèdre è stata nel tempo interpretata dalle più grandi attrici francesi, dalla Champmeslé, la “creatrice”, alla Lecouvreur, alla Clairon, alla Dumesnil, a Rachel, fino Sarah Bernhardt - per fermarsi al XIX secolo e citare solo le più note - e inizialmente l'ipotesi era quella di tracciare una storia di Phèdre seguendo il passaggio di testimone da un'attrice all'altra, cercando di capire come questo personaggio fosse mutato nelle mani di attrici diverse e via via sempre più lontane dalla Phèdre “originale”. Ma il teatro del XVII secolo e gli attori che lo hanno animato, mi hanno del tutto trattenuta a loro stessi, come dei personaggi pirandelliani che vogliono tornare a vivere. La Champmeslé soprattutto, su cui le pubblicazioni in italiano sono quasi inesistenti e datate. Eppure la Champmeslé è stata l'interprete principale di tutto il teatro di Racine, è stata una delle attrici più pagate del suo tempo, probabilmente la prima vera “star” del teatro francese. [...]
Lo studio qui proposto, quindi, è relativo alla Phèdre di Racine negli anni del suo debutto e si concentra, non solo, ma principalmente, sulla sua attrice, la Champmeslé, sul ruolo principale della pièce, Phèdre, e sulla “recitazione cantata”. Era impossibile affrontare Phèdre senza affrontare questo nodo della “recitazione cantata”, senza cercare di capire di più.  Il punto di vista che guida tutto il lavoro è quello dello studio degli aspetti, come dicevo, performativi e relativi alla messa in scena di Phèdre.
Dove debutta Phèdre, quando, con chi, perché e sopratutto come? Queste le domande a cui si è cercato di rispondere. Per farlo ho attinto alle fonti più diverse, dagli archivi della Comédie-Française, ai trattati di retorica e poesia del '600, alle gazzette mondane, agli epistolari, ai trattati, alle memorie e soprattutto agli studi recentissimi sulla recitazione francese nel XVII secolo che, per mezzo della rivalutazione e dell'analisi della punteggiatura, hanno aperto nuove vie di indagine e nuovi metodi. Ho approfittato delle indicazioni e delle citazioni dei e sui testi antichi che i testi moderni proponevano per approfondirle e leggerle nel loro contesto, approcciando quindi sempre, nei limiti della reperibilità, direttamente i testi originali per osservarli nella loro interezza.  Questo ha richiesto del tempo in più, ma ha aumentato la capacità di visione complessiva e di comprensione che spero questo studio su Phèdre abbia raccolto.
Il lavoro è diviso in due parti: la prima parte consiste in una panoramica di tipo storico, il clima teatrale in cui la pièce ha debuttato, lo spazio scenico, gli attori che hanno interpretato Phèdre, la cui identità è per la maggior parte di loro solo ipotizzata, e concentra il focus soprattutto sull'attrice principale, la Champmeslé, sulla sua carriera artistica, sulle sue peculiarità attoriali e sulle impressioni che questa attrice suscitò nei suoi contemporanei. Una ricerca effettuata personalmente presso gli archivi della Bibliothéque-Musée de la Comédie-Française mi ha permesso, tra le altre cose, di redigere una tabella sulle date effettive delle messe in scena dal 1677 al 1700.
La seconda parte si concentra invece sulle testimonianze intorno a quel debutto, sulle possibili ipotesi del perché Racine abbia scelto quel testo, sulla “recitazione cantata”, sulla punteggiatura in Racine, su una proposta personale di interpretazione del personaggio in base alle categorie di fureur e plainte e in ultimo su un'ipotesi di analisi di una scena del testo, nello specifico la scena del récit di Phèdre. [...]
Il momento storico in cui debutta Phèdre  (1677) corrisponde all'inizio del declino del grande periodo storico del teatro francese. [...]  La Commedia dell'Arte sbarcata in suolo francese un secolo prima ha ormai conquistato tutta la società, ma sta per essere cacciata via da Parigi (1697).  Luigi XIV, il Re Sole, [...] , comincia a perdere interesse per il teatro, vuoi per motivi politici, vuoi per l'influenza di Mme de Maintenon, [...] Corneille aveva smesso di scrivere da qualche anno  e morirà pochi anni dopo, Molière era già morto 4 anni prima, abbandonato dal Re, e Lully aveva da poco cominciato la sua impresa nella creazione dell'Opera francese.  Racine ha già scritto tutti i suoi capolavori e lascerà il teatro proprio dopo Phèdre per non tornarvi mai più.  In ultimo, divampa in quegli anni la querelle degli Antichi e dei Moderni che, come sottolinea Giovanni Macchia, può leggersi come un segno di morte quasi totale della poesia. 
Il grand siècle sta finendo e altri secoli verranno, con estri diversi e talenti diversi, ma nessun altro, nella storia del teatro francese, raggiungerà l'altezza di questo. O per lo meno l'altezza del suo mito.

Oratory and rhetoric are the most appropriate fields to test the lexical specialization of the verbs declamo and recito: declamo describes preparatory exercises of oratory itself; on the opposite hand, recito is referred to the reading of speeches, which are definitely fixed in a written version. Indeed recito always presupposes the presence of a written text. The exam of the occurrences of the phrase orationem (et sim.) recitare provides a sample not only of the evolution of the meaning of such verb but also of the changes that oratory underwent.

Riddle performance acts when translated from language to another may lose their riddle texture unless such translations takes into consideration the verbal and non verbal features of performance. In this record, I endeavour to document the riddle acts through detailed descriptions and involvement of the audience and context into the text. I regard the conversation between the participant audiences as the riddle act performed around a theme or riddle precedent. In this way, the riddle gets contextualised in a way that any translation needs to take this in mind for authenticity.

The riddle is one of the least studied genres of oral literature and with this book I bring to your desk a recording of riddle act with active audiences. By focusing on the performer of the riddle, this study departs from earlier studies that presented riddles as short alphabetized lists of questions-and-answers.

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This study of the genesis of Claude Debussy’s mélodies on poems by Paul Verlaine, which present different versions and several modifications, reveals the importance of the place granted to the adequacy between music and textual enunciation. Beyond the relationship connecting verbal semantics and direct musical illustration, Debussy seems to be really aware of poetical diction from the text’s musicality and metrics, as enhanced by Verlaine. My research, supported by a philological study of the sources – both manuscripts and editions –, concentrates on textual diction. For this purpose, I have used testimonies and theoretical writings from the end of the nineteenth century, as well as the very first recordings of poetry declamation and musical performances. These documents have allowed me to shed light on the importance of prosody, of accentuation, of the interpretative reading of the text in its musical setting. This contribution, focalized on rhythm – a notion at the intersection of poetic text and music – tends to re-insert the reality of the poem’s own diction in the performance of Debussy’s mélodies.

The focus of this paper is the use of arguments based on nature in Roman declamation, taking into account both the concept of natural law in general and the specific use of the expressions iura and leges naturae: I will try to outline their background, in the rhetorical treatises and in philosophical theorization, especially in Cicero and the Stoics (with particular attention to the younger Seneca, who was influenced by declamation, but who in turn influenced later declamatory collections: Calpurnius Flaccus, the Minor and Major Declamations), without neglecting traces of the conceptualization of natural law in Roman jurisprudence.

Il vascello del parricida. Un tema declamatorio tra mito e retorica (Seneca, Controversiae, 7, 1) 0. Il motivo dei rapporti fra mito e declamazione di scuola è stato oggetto in tempi recenti di ripetuta attenzione da parte degli studiosi: Alfredo Casamento, Danielle van Mal-Maeder, Graziana Brescia, Emanuele Berti, Lucia Pasetti se ne sono occupati in vario modo e misura 1 . Queste pagine intendono offrire un contributo all'approfondimento di un aspetto promettente nello studio della retorica scolastica a Roma.

An extended footnote to Concert Song and Concert Speech around 1800 (2017). Gustav Anton von Seckendorff, author of 'Vorlesungen über Deklamation und Mimik' (1816), is among the many early nineteenth-century theorists of declamation the only one who had a noteworthy, if brief stage career. References to Seckendorff ’s ideas on declamation have become more frequent in recent scholarship, but little is known about his extraordinary life. Drawing upon period journalism and the memoires of contemporaries, this article presents a sketch for a fuller picture.

This paper proposes a new synthetic account of the presence of Cicero as both character and source in Lucan's Bellum Ciuile. Lucan's treatment is derived primarily from Virgil's technique for creating intertextually complex characters, but further builds on Sallust's displacement of Cicero in his narrative of the Catilinarian conspiracy and on the declamatory practice of reducing the orator to a few prominent and recognizable traits. Cicero the character, as he briefly appears at the opening of the seventh book, is not simply an ahistorical caricature: he is constructed through a careful series of allusions designed to indict his use of violence in the suppression of Catiline. Other prominent aspects of Cicero in the tradition are displaced and transferred to other characters more important to Lucan's design, Cato and Pompey. Lucan's depiction of Pompey, especially his death and decapitation, draws on the language and affect of the tradition associated with Cicero, using Cicero's own words and the obituary of Cicero in the lost historical epic of Cornelius Severus. Finally, the language of Cicero's peace-making efforts in his correspondence, suppressed in Lucan's depiction of him as a warmonger, forms an important part of the narrator's own emotional evocations of the impending catastrophe of civil war. The combination of models Lucan uses is more broadly reflective of his technique in composing a historical epic.

Da ormai un ventennio, il corpus di declamazioni in lingua latina è fatto oggetto di una larga riconsiderazione all'interno di un interesse più ampio per le pratiche connesse alla retorica di scuola nella cultura greco-romana 2 . Tale efficace rivalutazione ha consentito di leggere l'esperienza scolastica finalizzata alla prassi forense privilegiando in alcuni casi linee di ricerca già battute, come, ad esempio, quella riguardante i rapporti tra retorica e diritto 3 , ma conferendo nuova importanza alle componenti squisitamente letterarie o agli apporti del mito che le quattro raccolte di declamazioni a noi note lasciano emergere.

The paper focuses on Seneca the Elder's Controversia 10,5. The text concerns the charge to the painter Parrhasius of torturing to death an Olyntian slave that had served as a model of a Prometheus. The interests of declaimers highlight the concept of realism in art, introducing a theme, that of the relationship between real and believable, which crosses several issues on which the rhetoric has produced deep and accurate reflections.

CENTRO DI STUDI SULLA FORTUNA DELL’ANTICO “EMANUELE NARDUCCI”

16° Giornata di Studi   
ASPETTI DELLA FORTUNA DELL’ANTICO
NELLA CULTURA EUROPEA

VENERDÌ 15 MARZO 2019
Convento dell’Annunziata, Baia del Silenzio - Sestri Levante

Ore 9.00 Indirizzi di saluto delle Autorità, del Dirigente Scolastico del Liceo ‘Marconi-Delpino’, prof.ssa Daniela Loero, e del Coordinatore del ‘Centro di Studi sulla Fortuna dell'Antico’, prof. Sergio Audano

Ore 9.30 Presiede GIOVANNI MENNELLA, Università di Genova

ALESSANDRO GHISALBERTI (Università Cattolica di Milano),
Aristotele e il cambio dei paradigmi filosofici nell'Occidente medioevale
ANGELA G. DRAGO (Università di Bari),
L’eroismo tragico dell’ultimo Leopardi e il recupero impossibile della classicità
GIULIO FIRPO (Università di Chieti),
Garibaldi tra dittatura degli antichi e dittatura dei moderni
Discussione

Ore 13.00  Intervallo e ristoro

Ore 15.00 Presiede GIOVANNI CIPRIANI, Università di Foggia

ALFREDO CASAMENTO (Università di Palermo),
Dimenticare(?): come finisce una guerra civile. Un tema retorico e politico tra antico e moderno
GRAZIA MARIA MASSELLI (Università di Foggia),
Ariovisto il 'tudesco'. Il tema della vanagloria in Carlo Emilio Gadda
LUCIA PERRONE CAPANO (Università di Foggia),
Riscritture: “Die Schutzbefohlenen” (I rifugiati coatti) di Elfriede Jelinek e “Le Supplici” di Eschilo

Ai sensi della legge 107/2016 il Liceo “Marconi-Delpino” è soggetto
accreditato per la formazione del personale della scuola. Il convegno è
pertanto valido come aggiornamento per i Docenti che vi partecipano. Verrà rilasciato attestato di partecipazione.

Introduzione: tra diritto, retorica e letteratura | 1 Gernot Krapinger Die Grabverletzung in den Declamationes minores | 11 Biagio Santorelli Il denaro negato. Casi di infitiatio depositi nelle Declamazioni minori | 31 Giuseppe Dimatteo La 'pena d'infamia' e l'inibizione dello ius accusandi. Le norme e le argomentazioni in tema di infamia delle Declamazioni minori 250, 263, 265 e 275 | 47 Mario Lentano Auribus vestris non novum crimen. Il tema dell'adulterio nelle Declamationes minores | 63 Lucia Pasetti Extra rerum naturam: retorica contro filosofia cinica nella Declamatio minor 283 | 81 Claire Oppliger Quelques réflexions sur la méthode (ou les méthodes ?) du Maître des Petites déclamations | 103 Chiara Valenzano Matrigne, avvelenatrici, donne incestuose: il paradigma di Medea nelle Declamationes minores | 117 Danielle van Mal-Maeder Tisser des lieux communs. Quelques réflexions autour de la figure du parasite dans les Petites déclamations | 137 Julien Pingoud Le théâtre dans les Petites déclamations. La comédie de la prostituée aux yeux crevés | 157 Bereitgestellt von | De Gruyter / TCS Angemeldet Heruntergeladen am | 14.11.16 12:36 VI | Indice generale Alfredo Casamento Come un figlio: variazioni tematiche e modalità narrative. A proposito di Sen. contr. 10,2 e decl. min. 258 | 191 Elenco degli autori | 213 Bibliografia | 215 Indice analitico | 231 Indice dei luoghi | 243

This paper focuses on the extant roman declamations featuring characters of ‘addicti’, i.e. free-born roman citizens not able to pay back a debt and consequently “assigned” to their creditors. A comparison with the extant legal texts governing the debt bondage of roman citizens suggests that the ‘addictus’, as portrayed in roman declamation, may be the outcome of a rhetorical creation; therefore, caution is needed in assuming declamatory sources as witnesses to the actual condition of ‘addicti’ in the Roman imperial age.

The present article offers a large-scale survey of the Latin declamations dealing with parricide. Because of the importance of the father/son relationship in Roman culture, the topic of parricide is widespread, being attested in both declamatory collections and rhetorical handbooks. Examination of the topic sheds light on the contradictions and pathologies of the Roman family and provides a glimpse into the dark side of a strongly patriarchal society.

This paper offers a new interpretation of a vexed passage in the pseudo-Quintilianic Major declamation 9. In chapter 19, the speaker describes himself as a ‘debitor delicatus’, referring to his attitude towards a friend who rescued him at the cost of his own life; I suggest to interpret this phrase in the light of its only other attestation in the digest (13, 7, 25): the speaker is claiming that he is only bound to do what he promised (i.e. to support his friend’s father), acting like a “fussy” debtor, without considering his friend’s generosity.

For almost six centuries the culmination of any young Roman citizen’s education was the school of rhetoric: here, under the guidance of a professional rhetorician, he would spend his teenage years learning how to devise and deliver declamations on fictional themes. Because of their key role in the Roman educational system, these speeches afford an invaluable insight into the ways of thought of the political and intellectual class in imperial Rome. In this paper I explore the fictional world of declamation, with its set of characters, laws, and recurring situations. My aim is to show that, while teaching students how to concoct a fictional speech, Roman teachers exposed them to a broad range of debates on both ethical issues and questions posed by the daily life of their own society. As a case study, I focus on Latin declamations based on situations involving blind characters: I take into account the special rights granted to blind characters, the duties that every fellow-citizen is expected to fulfill towards them, and rules of pietas to be followed even when pleading a case against blind people. A comparison with Roman laws will shed light on what was actually mandatory for a Roman and what was added by the fictional laws of declamations, in order to assess to what extent the rhetorical training contributed to the ethical and moral education of the new generations of Roman citizens

The present study examines declamatory quotations appearing in the collection of the elder Seneca (Contr. 10.4), focusing in particular on close similarities between the quotations of eighteen different speakers. Similarity between speakers is found to relate to five categories (definable in terms of argument, theme, and repeated verbal formulae) -what this study calls 'shared loci.' Quotations are sorted into groups according to the five identified shared loci, formulaic language that works to bind together similar quotations is underscored, and a brief commentary is offered on each shared locus and its quotations. The article proposes that the close similarity between quotations, within a limited number of categories, reveals that speakers were sensitive to others' speeches and generated similar passages, in part, as responses to one another: similar passages were part of a system of communication. As it relates to the theme of the present volume, then, this study emphasizes the internally communicative nature of declamatory language. Whereas this language manifestly addresses issues of law and criminal acts, its meanings must to some degree be sought in the rules and occasions of community interaction.

This article addresses some interpretative issues concerning the text of decl. 292. In paragraph 1 (sermo), the obscure way in which the Master faces the problem of the status confirms the dependence from Quintilian’s Institutio, where this particular case appears to be known but is not fully theorized (as will be, later, by Hermogenes). In par. 4 it is advisable
to retain (with Shackleton Bailey 2006) the reading of the mss. (Illud enim est tempus doloris), deleted as antintrusive gloss by M. Winterbottom 1984: the sequence recalls Cic. Sest. 52 (on the sufferings of Cicero’s exile). In par. 6, the expression perdidi beneficium, used in a pregnant sense, posits a direct relationship between the Master of the Minores and
Seneca’s De beneficiis.

This dissertation aims to explore the role of rhetoric in the transformation and reinvention of Roman epic, through extensive analyses of Ovid's Metamorphoses and Lucan's Bellum Civile. These works stand out from other Roman epics due to their stylistic and generic characteristics, as well as their pervasive inclusion of rhetoric. These qualities make their place within the Roman epic tradition

Philip Hardie has recently highlighted the prominence and significance of fama in Latin Literature. His wide-ranging study covers authors such as Livy, Tacitus and Pliny and establishes the workings of fama in prose texts. ¹ This chapter will apply some of his findings to Roman declamation.

P.Lond. Lit. 138 (1st century AD) contains six anonymous rhetorical compositions. The second of them is a declamation concerning an accusation of theft levelled against a man who stole his own money deposited in a friend's field. The text is interspersed with didactic notes explaining select features of the speech. It is the aim of the present paper to re-edit this µελέτη, to clarify its structure, and to discuss the textual and exegetical problems it poses. P.Lond. Lit. 138 = M.-P. 3 2515 è vergato sul verso di un τόµος συγκολλήσιµος da un'unica mano in una scrittura di modulo piccolo, priva di segni d'interpunzione, databile al I sec. d.C. e affine alla prima mano dell'Athenaion politeia (P.Lond. Lit. 108) 1 nonché alla mano di P.Oxy. LXXVI 5093 (contenente composizioni retoriche) 2 . Pubblicato per intero nel 1927 da Milne 3 , il papiro presenta tre declamazioni e tre proginnasmi, secondo la seguente articolazione, riconosciuta per la prima volta da Stramaglia: 1) coll. I-III 4: declamazione relativa a una δίκη ξενίας; 2) coll. III 5-IV 18: declamazione su un'accusa di furto legata a una disputa per un deposito;3) coll. IV 19-V 37: proginnasma (νόµου εἰσφορά) su una legge che condanna i ladri a pagare il quintuplo della somma rubata; 4) coll. V 38-VII 21~36: proginnasma (νόµου εἰσφορά) sulla legge che regolamenta la δίκη ξενίας; 5) coll. VII 22~37-VIII 20: declamazione in difesa di un imputato in una δίκη ξενίας; 6) coll. VIII 21-X: proginnasma (νόµου εἰσφορά) su una legge che stabilisce come pena l'ἀτιµία 4 . I diversi brani retorici dovevano essere separati _________ *Ho collazionato il testo di P.Lond. Lit. 138 su riproduzioni fotografiche. I punti dubbi sono stati autopticamente controllati sul reperto da Daniela Colomo, che ringrazio di cuore per il suo generoso aiuto. Di molte osservazioni e correzioni sono debitore ad Antonio Stramaglia, con il quale ho discusso l'intero lavoro. 1 La somiglianza tra la mano di P.Lond. Lit. 138 e la prima mano dell'Athenaion politeia fu rilevata già da Kenyon 1898, 245 e da Milne 1927, 101. Sui copisti che operarono sul manoscritto dell'Athenaion politeia vd. ora Del Corso 2008. 2 Cfr. Colomo 2011, 85. 3 Cfr. Milne 1927, 101-118. 4 Cfr. Stramaglia c.d.s. Lo studio del criterio seguito nelle scelte tematiche e formali e nell'ordinamento degli esercizi retorici raccolti nel manoscritto meriterebbe un approfondimento che esula dagli scopi del presente lavoro. Su temi e forme dei proginnasmi, e la distribuzione tempo-