Emilio D’Agostino
Dip. di Scienze della Comunicazione
Univ. degli Studi di Salerno
Grammatiche lessicalmente esaustive delle passioni.
Il caso dell’Io collerico. Le forme nominali.
Solo la passione è il segno dell’esistenza
Feuerbach Grundsätze der Philosophie der Zukunft 26
Premessa
Se si esaminano le tre definizioni dei lemmi passione, emozione e sentimento in un comune dizionario d’uso dell’italiano, ad esempio il Grande
Dizionario dell’italiano di De Mauro:
(1) Passione
1. OB LE patimento fisico: io veggo te star fermo nella tua acerba crudeltà né poterti la
mia passione in parte alcuna muovere (Boccaccio)
2a. CO TS relig. spec. con iniz. maiusc., insieme dei tormenti e delle sofferenze sopportate sulla croce da Gesù Cristo | TS relig. narrazione evangelica di tali sofferenze: la P.
secondo Luca
2b. BU fig., pop., sofferenza prolungata: la degenza in ospedale è stata una passione
3a. TS mus. grandiosa composizione musicale, nata nel sec. XVII, in origine polifonica e
successivamente monodica e polifonica, che ha come tema il martirio e la morte di Cristo in croce
3b. TS lett., teatr. sacra rappresentazione che ha come tema il martirio e la morte di
Gesù Cristo in croce
4. BU sofferenza morale, spirituale
5. FO sentimento che per le sue caratteristiche e la sua forza domina l'intera personalità, talvolta turbandone l'equilibrio psichico: non riesce a reprimere le sue passioni, la
gelosia è una passione pericolosa
6. FO amore violento e caratterizzato da forte sensualità: una passione incontenibile,
passione senile | estens., chi ha ispirato tale sentimento: è stato solo una passione, lei
è stata la più grande passione della sua vita
7. FO forte interesse e inclinazione per qcs.: passione politica, passione per il calcio;
persona dalle forti passioni: chi ha un temperamento fortemente passionale | l'oggetto
che ispira tali sentimenti: la musica è la sua più grande passione
8. TS psic. tendenza dominante che svolge un'azione direttrice sul pensiero e sulla condotta, influenzando i giudizi di valore e modificando variamente i processi logici
9. CO parzialità, atteggiamento condizionato dai sentimenti e quindi privo di obiettività
e razionalità: giudicare con passione, valutazione condizionata dalla passione
DATA: av. 1294.
ET Sinonimi: febbre, frenesia, fuoco, furore, tormento.
1
Contrari: apatia.
IMO: dal lat. passiōne(m), der. di păti "sopportare, 1patire".
(2)Emozione
1. FO impressione, sensazione forte: provocare, suscitare una forte emozione, un'emozione violenta; un viaggio ricco di emozioni, che emozione rivederti!; turbamento, agitazione: essere in preda all'emozione, non riuscire a parlare per l'emozione
2. TS psic. intensa esperienza psichica, piacevole o spiacevole, accompagnata da reazioni fisiche e comportamentali
Sinonimi: commozione, turbamento. DATA: 1644.
ETIMO: dal lat. tardo emotiōne(m), der. di emovēre "smuovere", cfr. fr. émotion.
(3) Sentimento
1. stato emotivo relativamente stabile derivato da un moto interiore di marca positiva o
negativa, che si può o meno manifestare esteriormente: suscitare, ispirare un sentimento paterno, materno, essere spinti da un sentimento di pietà, provare un sentimento di gioia, nutrire sentimenti di odio, i miei sentimenti verso di lei non cambieranno
mai | sensazione intermedia tra lo psichico e il fisico nata in seguito a un stimolo sensoriale o a un'elaborazione mentale: provo un sentimento di nausea per il degrado di questa città, provo un sentimento di disgusto per la sporcizia di questo quartiere
2. spec. sing., l'affettività in contrapposizione alla ragione e all'intelletto: lasciarsi guidare dal sentimento in una scelta, farsi travolgere dal sentimento
3a. sensibilità, finezza di sentire: una ragazza piena di sentimento
3b. slancio affettivo o partecipazione emotiva carica di calore e di intensità: abbracciare, baciare, parlare, suonare con sentimento
Sinonimi: anima.
4. spec. al pl., modo di pensare, sentire, comportarsi indicativo della morale e dell'etica
individuale: buoni, onesti, bassi, ignobili sentimenti
5. coscienza, percezione di realtà di carattere spirituale, morale, civile, ecc., assunte
come valori: il sentimento dell'onore, del perdono, del dovere, della fratellanza
6. CO fam., piena consapevolezza di sé e delle proprie azioni, senno: essere fuori, uscire di sentimento; con tutti i sentimenti, con ogni cura
Sinonimi: senno.
7. BU senso: i cinque sentimenti; perdere i sentimenti, svenire; tornare in sentimenti,
rinvenire
DATA: ca. 1300.
ETIMO: dal lat. mediev. sentimĕntu(m), v. anche 1sentire.
si noteranno alcuni tratti definizionali fondamentali. Per il primo, la Passione: il patimento forte, intenso, prolungato, la sofferenza, capace di
turbare l’equilibrio, di influenzare i giudizi di valore e di modificare i
processi logici, di determinare la parzialità del comportamento e del
giudizio, un sentimento privo di obbiettività e razionalità, suoi sinonimi
sono febbre, frenesia, fuoco, furore, tormento, suo contrario apatia,
suo dominio più tipico quello amoroso, suo esempio più frequente il martirio e la passione del Cristo. Per il secondo, l’Emozione: la sensazione
2
forte, l’intesa esperienza psichica, la capacità di turbare l’animo. Per il
terzo, il Sentimento: uno stato emotivo relativamente stabile, uno slancio, contrapposto alla ragione e all’intelletto, può essere, però, usato
anche come sinonimo di senno.
Riguardando le tre definizioni nel loro complesso, sembra delinearsi un quadro nel quale, tra gli stati emotivi, relativamente stabili alcuni altri no, alcuni tra essi presentano fondamentalmente il carattere
dell’eccesso e della sofferenza acuta. Delle passioni, più in particolare,
sulla base della definizione del dizionario, appare dominante il carattere
perturbante: la ragione, il giudizio, l’equilibrio, a loro contrapposti, sono
condannati a subirne, a patirne, gli attacchi. L’universo del nonrazionale, in tal senso, apparirebbe contraddistinto, non solo
dall’assenza del logos, ma dalla presenza di slanci esplosivi volti alla negazione e alla distruzione di questo. Tra l’irrazionale, l’irragionevole e
l’eccessivo costituirebbero una forza dirompente, difficilmente controllabile. In modo schematico:
Ragione vs. Emozione
Passione = emozione eccessiva
Tali definizioni, in realtà, sembrano riprendere, semplificandola, la lunghissima e complessa tradizione che dall’epica omerica alle scienze cognitive contemporanee ha affrontato il tema delle passioni. In esse, è riflessa, però, una parte soltanto di tale tradizione, quello che potremmo
dire escludente. L’altra, quella che potremmo dire includente è taciuta.
le passioni rappresentano modi di essere e di sentire di tipo relazionale,
attraverso le quali ci si colloca in rapporto con le persone, le situazioni e
i valori storicamente dati della nostra collettività. Costituiscono una reazione forte e radicale, talvolta estrema, dissonante rispetto alla cosiddetta “normalità”, in quanto in ogni passione c'è quasi sempre una dimensione anomala e trasgressiva rispetto alle consuetudini del nostro
contesto, che, pertanto, finisce con il giudicare chi la manifesta come un
essere dominato dagli istinti. In realtà, passioni ed emozioni giocano un
ruolo fondamentale nell’attività cognitiva degli individui e il rapporto
con la ragione è stato negli ultimi decenni, in vari ambiti di ricerca, riesaminato, eliminando i poli estremi della contrapposizione. Non è vero
che la passione sia totalmente priva di rapporto con una ragione profonda. C'è sempre una ragione dentro la passione. L'altro estremo contestato oggi che la passione possa rientrare tutta in una prospettiva razionale.
La passione, da questo punto di vista, rappresenta un momento di fortis-
3
simo sentire, legato ad una ulteriore componente razionale, un progetto,
un senso, che l’individuo vuole attribuire ad una relazione con l'oggetto
con cui si relaziona.1
In questo contributo, che segue quello sul vocabolario della “menzogna”, il tema affrontato è quello dell’espressione linguistica delle passioni, e mi occuperò di un “apparato significante”, per dirla con Moravia
(1995), che nasce con l’inizio stesso della letteratura universale e che
manifesta il concetto, per l’appunto, di Passione. Non affronterò tanto il
tema delle parole sulla passione quanto, piuttosto, il tema delle parole
della passione: non di tutte, ammesso che sia possibile riprodurre oggi
una nuova nosografia delle passioni come quella stoica, ma di un dominio
particolare, quello dell’ira. Ad altri domini come, ad esempio, quello del
desiderio dedicherò un altro contributo. Nel paragrafo successivo, tenterò di giustificare il perché di tale scelta, per il momento credo di poter
dire soltanto che l’Ira è associata alla prima apparizione e definizione
della soggettività occidentale, nel mondo omerico, e che di lì, attraverso
una storia complicata è giunta sino a noi.
L’approccio qui seguito, quindi, sarà di tipo strettamente linguistico, perché mi occuperò delle parole che una lingua naturale offre
all’uso comune (le parole della passione), non del lessico specializzato
(le parole sulla passione), anche se non sarà possibile ignorare del tutto
quella lunga storia ambivalente del concetto di Passione.2
1. L’Ira: un’emozione fondamentale
E’ possibile rintracciare l’ira (o il suo più immediato sinonimo rabbia)
nella manualistica della psicologia delle emozioni. Ad esempio in D’UrsoTrentin (1998) si legge come la rabbia (o ira) sia un’emozione tipica considerata fondamentale e inclusa tra i “sette vizi capitali” anche se, diversamente dall’odio che è definito un tipico stato di lunga durata, l’ira
presenta il carattere di un’accensione momentanea. Essa costituisce una
fra le più precoci tra le emozioni insieme alla gioia e al dolore, ed è considerata come “la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione sia
fisica che psicologica” e insieme al disgusto e al disprezzo fa parte della
cosiddetta “triade dell’ostilità”. Per quanto sia sottoposta ad una forte
pressione sociale negativa, essa colpisce individui di ogni classe ed età.
1
2
Su tali temi rimando a Damasio (1994) e (1999) e a Goleman (1995).
In ogni caso rimando a D’Agostino (2004).
4
All’ira si associa una tipica espressione facciale riconosciuta in tutte le
culture studiate: l’aggrottare violento delle sopracciglia e lo scoprire e il
digrignare i denti, oppure lo stringere fortemente le labbra, mentre il
corpo tende fin quasi all’immobilità per poi accentuare notevolmente
l’attività motoria. Ad un “volto dell’ira” si accompagnano anche condizioni fisiche particolari come l’aumento del battito cardiaco e la respirazione accelerata ed irregolare. Le sensazioni soggettive più comuni sono
calore, irrigidimento della muscolatura, irrequietezza continua, paura di
perdere il controllo, la voce spesso si alza di volume e di intensità, il tono può essere minaccioso, stridulo o sibilante. Essa è considerata alla
stregua di uno stato emotivo capace di creare nell’organismo “un propellente energetico” utilizzabile per l’azione o per l’espressione verbale.
Una delle cause principali della rabbia è rappresentata dalle minacce
all’auto-stima o dai tentativi da parte di altri di imporre la loro volontà.
D’Urso (2001) disegna anche un quadro sintetico dell’immagine
dell’arrabbiato nel quale quasi ognuno può facilmente riconoscersi anche
nelle modalità linguistico-comunicative: uso del tu, frasi tronche,
espressioni dialettali, coprolaliche, a sfondo sessuale, uso di forme imperative ecc. Anche se probabilmente è tanto diffusa tra gli uomini come
tra le donne, diverso è il grado di accettazione sociale rispettivo, infatti
il giudizio negativo è più forte nei confronti delle seconde. TrentinD’Urso (1998) notano come vi siano molti termini della lingua che fanno
riferimento a questa reazione emotiva. Infatti, ira, collera e rabbia sono
considerati, in italiano, sinonimi di uno stato emotivo intenso, mentre se
ne registrano altri che descrivono lo stesso sentimento ma in intensità
minore (irritazione, fastidio, corruccio, impazienza) e anche qualcuno
che, invece, ne accentua l’intensità (esasperazione, furore), oppure altri
come accanimento che ne indicano il protrarsi. Si può notare ancora con
gli autori, come in italiano sembri dominante la localizzazione e le conseguenze della rabbia nel corpo (non ci vide più dalla rabbia, si rodeva il
fegato), l’espressione linguistica di una dimensione di passività e di patologia (è stato più forte di me, perdere le staffe, pazzo di rabbia) e la
convinzione che il controllo della rabbia faccia male alla salute fisica ancor più che a quella mentale (se non glielo dicevo sarei scoppiato, era
così controllato che gli è venuto l’ulcera, la cirrosi).3
Anche nel più recente Canali-Pani (2003) si sottolinea il carattere
fondamentale di tale emozione, “madre” di tutte le altre ed il legame
con l’aggressività di specie:
3
Cfr. D’urso-Trentin (1998) p. 312.
5
L’ira è una delle emozioni basilari, forse la madre di tutte le emozioni, impossibile dire
di aver vissuto senza averla mai provata, difficile definirla un vizio, a meno che non si
intenda come vizio quello di non essere riusciti a controllarla e di essere, quindi, vittime della carne che è in noi, dell’animale che l’uomo era, è ancora e troppo spesso dimentica di essere. Per parlare dell’ira e della rabbia, dei gesti irrazionali e
dell’aggressività da un punto di vista biologico, bisogna tutto sommato parlare di emotività in generale. Proprio così, il vizio è tutto qui, è solo il difficile controllo delle proprie emozioni. Scusate se vi sembra poco. (p. 244)
L’ira, in tal senso, parente stretta dell’aggressività, rappresenta il primo
buon esempio di Passione che, in quanto tale, allontana dalla Ragione,
poiché chi ne è colto perde la padronanza delle proprie azioni, quasi fosse sotto l’azione di un agente esterno, come fanno immaginare espressioni come essere assalito dall’ira, tenere l’ira sotto controllo, lottare
contro l’ira. D’altronde, in questa stessa condizione sembrano trovarsi
tutte le passioni in generale e la loro complessa “nebulosa”.
D’Urso (2001), riprendendo Averill (1982), ricorda come
un’emozione come l’ira possa essere interpretata, nella prospettiva della costruzione sociale delle emozioni, anche come “ruolo sociale transitorio”, con il quale impersoniamo l’arrabbiato secondo il copione che la
società suggerisce, con le sue norme esplicite, ma soprattutto quelle implicite, modellando il nostro modo di sentire. D’altro canto, Anolli
(2002), a proposito del cosiddetto ”lessico emotivo” sottolinea come esista una grande differenza tra la semantica e l’estensione dei singoli repertori emotivi:
Si va dal lessico emotivo inglese che contiene oltre 2000 parole a quello olandese con
1500 termini per giungere al lessico cinese (di Taiwan) con 750 parole e alla lingua di
Malay con 230 termini. Fra le culture preletterate gli Ifaluk hanno un vocabolario emotivo composto di 58 termini, mentre i Chewong fruiscono soltanto di una decina di parole per esprimere tutte le emozioni. (p.111)
E’ interessante notare, inoltre, come non sussista una corrispondenza
per la medesima categoria emotiva fra una lingua e l’altra. In particolare, Anolli cita il caso proprio della collera:
per esempio, la categoria collera in italiano non corrisponde al liget degli ilongor (una
tribù dei cacciatori di teste nelle Filippine centrali) che, assieme alla collera, comprende anche la fierezza della competizione, la baldanza e il bisogno di provare se
stessi. Né corrisponde al song degli ifaluk della Micronesia, per i quali il song è un insieme di collera, riprovazione, di rifiuto del cibo e autopunizione per punire l’altro. A
sua volta, la categoria di ikari della lingua giapponese soltanto in parte equivale a col-
6
lera, in quanto, pur esprimendo astio verso l’avversario, comporta una tendenza ad allontarsi, un sentimento di impotenza e di inibizione. (p. 112)
Per quanto riguarda le opinioni sull’ira, in lingue come l’italiano, D’Urso
(2001) riporta una serie di espressioni linguistiche comuni che vanno dal
riferimento mitologico (essere un’Erinni), all’energia (incanalare la rabbia accumulata, a furor di popolo), agli eventi metereologici (la sua faccia si era rannuvolata, è di umore burrascoso) alla dinamica dei gas
(comprimere la propria rabbia), al fuoco (attizzare la rabbia, dare in
escandenze), alla crescita graduale (ribollire d’ira, la sua rabbia trabboccò), all’attivazione brusca (sbottare, avere uno scatto d’ira), alla descrizione delle manifestazioni e delle conseguenze (stare con la bava alla bocca, fremere di rabbia, digrignare i denti, vedere rosso, scoppiare
le vene, mangiarsi il fegato dalla rabbia, farsi il sangue amaro, andare
in bestia, essere inferocito, infierire, urla belluine, essere una belva,
essere inviperito, perdere il lume della ragione, essere fuori di sé), alle
espressioni idiomatiche (perdere le staffe, perdere i freni, girare i coglioni, farsi venire i cinque minuti, uscire dai gangheri, alzarsi col piede
sbagliato, avere un diavolo per capello).
2. L’ira di Achille
Achille, figlio di Peleo, re di Ftia in Tessaglia, e della dea Teti figlia di
Oceano: l’oggetto del racconto de I’Iliade è per l’appunto la sua collera.
Della causa della famosa “debolezza” del suo tallone sono narrate due
leggende. La prima vuole che, immerso nel fuoco dalla madre per eliminare la sua parte mortale, si bruciasse il labbro e il soprosso del piede
destro. Curato dal centauro Chirone con l’osso di un gigante famoso per
le sue doti di corridore, deve a quest’episodio la sua fama di uomo veloce. La seconda vuole che, immerso nello Stige dalla madre per assicurargli l’immortalità, solo sempre il famoso tallone, per il quale lei lo manteneva, rimanesse mortale. Partecipa alla guerra di Troia alla testa dei
Mirmidoni e prese parte anche all’operazione su Lirnesso nella quale,
mentre Agamennone prendeva Criseide, lui fece altrettanto con Briseide:
le due donne origine della disputa tra i due re nel decimo anno
dell’assedio. E’ con questa disputa che ha inizio propriamente la narrazione omerica. Malgrado alcuni tratti gentili, la figura di Achille è stata
tramandata dai filosofi greci, specie gli Stoici, come uomo violento,
7
schiavo delle passioni e proprio per queste ragioni lo si oppone normalmente ad Ulisse.
E’ F. Codino che, nell’introduzione alla traduzione de L’Iliade, ricorda come, contrariamente a quanto accadeva nella poesia eroica di
tradizione orale, l’ira dell’eroe semidio occupi lo spazio di tutto il poema:
Nell’Iliade non si parla solo dell’ira di Achille; anzi in molti libri non se ne parla affatto.
Ma è notevole che essa sia messa talmente in evidenza fino dalla prima parola che potrebbe dare il titolo al poema e che attorno ad essa sia costruita un’opera così ampia.
(p. XII)
D’altronde, non soltanto è Achille ad essere dominato dall’ira, ma ad esserlo sono molti degli eroi rappresentati nel poema, tranne Ulisse. Ad
esempio, lo stesso Agamennone nelle scene iniziali del Libro I:
Così detto, sedette; s’alzò fra loro
l’eroe figlio d’Atreo, il molto potente Agamennone,
infuriato; d’ira tremendamente i neri precordi
103
lo stesso Ettore, nel libro IX, è rappresentato dagli ambasciatori presso
la tenda di Achille nel modo seguente:
… Ettore, ebbro della sua forza,
infuria spaventoso, ché sfida Zeus, e non rispetta
uomini o déi, lo ha preso una rabbia selvaggia.
erano gonfi, gli occhi parevano fuoco lampeggiante
238
E’, però, comunque Achille a dominare il palcoscenico dell’eccesso:
Libro I
canta, o dea, l’ira d’Achille Pelide,
rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,
gettò in preda all’Ade molte vite gagliarde
d’eroi, ne fece il bottino dei cani,
di tutti gli uccelli – consiglio di Zeus si compiva –
da quando prima si divisero contendendo
l’Atride signore d’eroi e Achille glorioso.
…
Disse così; al Pelide venne dolore,
il suo cuore nel petto peloso fu incerto fra due:
se, sfilando la daga acuta via dalla coscia,
facesse alzare gli altri, ammazzasse l’Atride,
o se calmasse l’ira e contenesse il cuore.
1
192
8
E gli parlò la dea Atena occhio azzurro:
Io venni a calmar la tua ira …
207
Nel saggio sulla sacralizzazione della violenza e del sangue, Ehrenreich
(1997) ricorda come:
il momento forse più triste di tutto il cruento poema è la trasformazione di Achille da
bellissimo eroe in belva sanguinaria e cannibalica. Al termine del loro duello, Achille
chiama Ettore morente “carne” e si rammarica che il proprio appetito non sia più forte.
(p. 53)
Infatti, Ettore è per Achille krea:
Libro XXII
No, cane, non mi pregare, né pei ginocchi né pei genitori;
345
ah! Che la rabbia e il furore dovrebbero spingere me
a tagliuzzar le tue carni e a divorarle così, per quel che mi hai fatto.
Achille, se in battaglia è contrapposto ad Ettore, nel proprio campo trova il suo controaltare, come s’è detto, in Ulisse che in primo luogo è descritto saggio e abile con le parole:
Libro II
Disse così, non disobbedì la dea Atena occhio azzurro
e si lanciò d’un balzo giù dalle vette d’Olimpo.
Giusne rapidamente alle agili navi degli Achei;
trovò Odisseo, simile a Zeus per saggezza
…
Figlio glorioso di Laerte, abile Odisseo
…
con le tue blande parole trattieni ognuno degli uomini
166
173
180
ma, che per la sua metis, rientra nella nostra mitologia come “l’ingannatore”
e “il mentitore” per eccellenza, il “polipo” opposto alla “dritta volpe”, il motivo decorativo sinuoso a ellissi messo contro quello più arcaico lineare di cui
parla Tagliapietra (2000):4
Libro III
Quello è il figlio di Laerte, Odisseo abilissimo,
che crebbe tra il popolo d’Itaca, la ricca di rocce,
e conosce ogni sorta d’inganni e di acuti pensieri
4
200
Nota su Tagliapietra
9
Con Vegetti (1995) va notato come L’Iliade si apra con la parola menis,
la famosa ira di Achille, ma come, allo stesso tempo, Omero utilizzi ben
quattro termini per indicare ciò che parzialmente si traduce con
l’italiano ira. Vegetti nota come, in realtà, per descrivere la “nebulosa
collerica” si alternino le seguenti parole:
menis “l’indignazione” “il risentimento violento”
cholos “la collera aspra ed amara”
menos “il furore guerriero in campo di battaglia”
thimòs “l’impulso emotivo che scatena l’azione”
e a proposito dell’emozione provata da Achille nota:
la prima e ancora incerta percezione di sé come soggetto sia pur precariamente unificato di azione avviene dunque nel fuoco dell’emozione collerica, nella reazione violenta ed aggressiva alla minaccia che viene dall’altro. La fragilità antropologica della figura del signore eroico rende questa minaccia mortale, come nel caso di Achille. Ogni lesione alla sua dignità e al suo onore (timé) che si produca nelle dinamiche di interazione sociale viene avvertita come catastrofica, perché la signoria dell’eroe, il suo comando sul gruppo umano che gli è sottoposto, non hanno alcuna forma di legittimazione se non la continua e tenace riaffermazione del suo valore e quindi del suo potere.
[…] Nello spazio dell’ira che separa l’offesa dalla vendetta si produce dunque la prima
autoconfigurazione di un soggetto che più tardi sarebbe stato chiamato ‘passionale’,
ma che ora è ‘eroico’ e non conosce alternative possibili. (p. 40)
Ma se la menis penetra anche Ettore l’illustre, il luminoso e il più amato
dagli déi a Ilio, si impossessa di lui, come forza passionale quasi esterna
al suo cuore, come nella similitudine del Libro XXII:
Come serpente montano attende l’uomo sopra il suo buco,
mali veleni ha mangiato, lo penetra collera atroce,
guarda fisso, terribile, arrotolato sopra il suo buco;
così Ettore, con inestinguibile ardore, non arretrava,
ma poggiando lo scudo lucente al gradino del muro,
diceva irato al suo cuore magnanimo…
94
Achille mostra nella rappresentazione omerica un tratto che è per certi
versi sorprendente. Il riferimento è al Libro IX e all’ambasceria di Fenice, Aiace e Odisseo. Agammenone li ha inviati con promesse di doni per
risarcire e quindi convincere Achille a tornare a combattere:
Ma poi che ho sbagliato seguendo pensieri funesti,
io voglio soddisfarlo, dargli compenso infinito;
e dirò a tutti voi i magnifici doni
119
10
Il re si esprime in termini di doron. I magnifici doni devono servire a porre rimedio all’ira e all’abbandono del pelide dopo che il suo geras, il
bottino, gli è stato tolto dallo stesso Agamennone. Benveniste (1962) ricorda alcuni aspetti linguistici che a tale riguardo sono significativi. Il
greco varie forme che si riferiscono tutte al “dono”: dós, dôron, doreá,
dósis e dotíne, tutte con alla base la radice *do-. In particolare, dôron e
doreá sembrano avere lo stesso senso: il primo è il dono materiale, il secondo il fatto di destinare o portare questo. Dotíne, pur traducibile con
dono, costituisce il termine più particolarizzato:
Libro IX
che l’onoreranno (timésousi) come un dio con offerte (dotínai) 155
ricchi tributi (liparàs thémistas) a lui pagheranno, sotto il suo scettro
Timésousi e thémistas, legati a timé, si associano alla nozione di “prerogativa del capo” e di “rispetto”. Agamennone, dunque, riconosce il proprio errore e cerca di porvi rimedio, ma Achile, come è noto, rifiuta. La
risposta ai tre ambasciatori che elencano i dora suona:
Ai capi, a re, donò premi d’onore,
che a loro restano intatti; solo a me fra gli Achei
l’ha ritolto, si tiene la sposa mia dolce.
335
Ma il premio, colui che l’ha dato
Se l’è ripreso, violento
367
Mi sono odiosi i suoi doni, lo stimo quanto un capello.
Anche se dieci, venti volte di più mi donasse
Di quanto ora possiede…
378
…
…
Entrambi, così facendo, hanno infranto l’obbligo del dare-ricevere, come
noterebbe Mauss (1950) riguardo al potlàc melanesiano e, quindi, non essendoci stato scambio, le loro anime, attraverso i doni, non si sono confuse.5 I tre emissari di Agamennone tacciono:
Parlò così: muti rimasero tutti, in silenzio,
scossi dalla parola; rifiutava con molta violenza
430
Fenice:
5
Cfr. Mauss (1950), in particolare il cap. II.
11
così sappiamo che anche il fiore degli uomini antichi,
degli eroi, se mai qualcuno vinceva l’ira violenta,
eran sensibili ai doni, aperti alle parole
524
Ma perché Achille rifiuta ed il suo risentimento prevale? Come mai non
c’è riconciliazione possibile, nonostante, come nota Fenice ciò è sempre
accaduto anche con gli déi mediante sacrifici e doni e come suggerisce
Aiace anche nel caso dell’assassinio di un fratello o di un figlio? E’ qui
dunque, in questo scenario, che è possibile notare come appare un Io
non più eteroprodotto, ma generato dalla coscienza di un Sé unitario e
(almeno in parte) autonomo rispetto agli stessi déi. P. K. Feyerabend,
nel suo ultimo lavoro pubblicato postumo, nota come Achille e i suoi interlocutori parlino due linguaggi diversi:
Muti rimangono tutti, in silenzio scossi dalla parola
e, se il linguaggio è una “costrizione contro l’esperienza” nel senso che è
un tentativo collettivo di semplificare e sistemare l’esperienza in scatole
chiuse ben maneggevoli6, pur parlando Achille e i suoi interlocutori della
stessa idea, l’onore, mentre per questi ultimi il comportamento di Agamennone è pienamente tollerabile, per il primo:
il merito è stato trascurato non solo nel suo caso, ma anche in altri, l’onore è orfano e
l’ingiustizia da lui notata sta nella natura delle cose.7
Agamennone, intollerabilmente, è stato il primo a sottrarsi all’obbligo di
“donare molto e dappertutto” (Mauss). Per l’epistemologo scomparso,
Achille ha fatto una scoperta e, in ciò, la soggettività ha certamente
svolto un ruolo, poichè è stata la sua ira ad agire da cassa di risonanza,
facendogli notare ciò che gli altri non ancora avevano notato. Essersi dovuto privare di Briseide è per Achille, dunque, una ferita non rimarginabile, come dice Citati (2002):
una lacerazione che lo colpisce nell’intimo, nella ragione di essere e di vivere […] Se
questa è la prima volta che l’Io prorompe nella letteratura occidentale, si tratta di
un’esplosione spaventosa, capace di distruggere il mondo. […] L’offesa che ha ricevuto
è inespiabile: non può venire riparata con doni, scambi di cose, o possessi. Egli non tollera che le passioni del suo io, la sua menis, vengano scambiate con oggetti. (p. 77)
6
7
Feyerabend cita il saggio di Baxandall (1994) su Giotto.
Cfr. Feyerabend (1999) p. 44.
12
Ancora Feyerabend nota:
Achille ha fatto una scoperta. La soggettività ha certamente svolto un ruolo: è stata
l’ira di Achille ad agire da cassa di risonanza, facendogli notare ciò che gli altri non
avevano ancora notato.8
E’ dunque, molto verosimilmente, con l’Ira che inizia la storia del Soggetto nella cultura occidentale ed è la tradizione omerica che sta
all’origine di tutte le rappresentazioni che di quella sono state date.
Come, d’altronde, è sempre in quest’epica che va, molto probabilmente,
rintracciata anche la nascita di un Desiderio non più anch’esso eteroprodotto, attraverso la raffigurazione in particolare del desiderio femminile. Come nota Sissa (2003), Penelope non è soltanto “un’eroina del
ricordo”, come direbbe Citati, ma piuttosto la donna che, incerta e perplessa, dopo il sogno dell’aquila-Ulisse che uccide le sue oche-Proci nel
suo cortile (Odissea, Libro XIX), si appresta a scegliere un nuovo marito,
non più sulla base dei ricchi doni promessi, ma sulla base di una spinta di
puro carattere soggettivo e sensuale: una fisicità pari almeno a quella di
Ulisse. Salvo il carattere delle virilocalità attraverso Telemaco, se Penelope è oggetto di desiderio in quanto donna, il desiderio in lei sarà destato nuovamente soltanto attraverso la fisicità della prova dell’arco. La
sintesi dei caratteri dei due Soggetti, quello tragico e quello desiderante, la si ritroverà successivamente nell’appassionata e furiosa Medea di
Euripide che coniugherà entrambe le dimensioni.
Nel tracciare una sorta di fortuna dell’ira non è possibile dimenticare le tradizioni legate alla filosofia greca (Platone e Aristotele), la tradizione veterotestamentaria e quella medievale – l’ira è uno dei sette
peccati capitali – ma per ragioni di spazio si rimanda a D’Agostino (2004).
3. L’Ira nell’italiano contemporaneo
Nei dizionari di uso comune dell’italiano si ritrovano definizioni come le
seguenti:
Zanichelli
Ira
s. f.
8
Cfr. Feyerabend op. cit. P. 47.
13
1 collera, corruccio, furia, furore, indignazione, iracondia, irritazione, esacerbazione,
rabbia, sdegno, stizza, bile, fiele, accanimento, arrabbiatura, isterismo CONTR. calma,
placidità, quiete, tranquillità, mansuetudine, mitezza, flemma, impassibilità, imperturbabilità
2 (spec. al pl.) gravi discordie
3 (fig.) (di vento, di mare, ecc.) furia, veemenza
FRAS. è un'ira di Dio (fig., fam.), è una persona terribile, è una cosa terribile.
V. anche stizza
L'impeto dell'animo improvviso e violento che si rivolge contro qualcuno o qualcosa è
denominato ira: infiammarsi, accendersi, avvampare, ardere d'ira; trattenere, placare
l'ira; l'espressione essere accecato dall'ira rappresenta figuratamente l'essere oltremodo irato; una persona o cosa terribile e pericolosa si definisce invece nel linguaggio familiare con la locuzione è un'ira di Dio. Nell'ambito particolare della teologia cattolica
l'ira è uno dei sette vizi capitali e consiste nell'ingiusto e smodato desiderio di vendetta. Chi per tendenza naturale o abituale è facile preda di questo sentimento si dice caratterizzato da irascibilità, ossia da iracondia. I sinonimi che più si avvicinano a ira sono collera, rabbia e arrabbiatura: andare, montare in collera; essere in collera con
qualcuno; parole piene di rabbia; ho fatto prendere a mio padre una bella arrabbiatura.
L'irritazione è invece lo stato o la condizione di chi ha perso la pazienza senza arrivare
però agli accessi violenti che contraddistinguono l'ira e i suoi sinonimi precedenti: provo irritazione verso la sua ipocrisia. In particolare, un'irritazione acuta ma di breve durata, dovuta specialmente a scontentezza, contrarietà o impazienza, si dice stizza:
reagire con un moto di stizza; questo termine corrisponde a bile usato in senso figurato: sputare, ingoiare bile; rodersi dalla bile; molto vicino è anche fiele, che però designa un'irritazione accompagnata da rancore, amarezza e astio: parole di fiele; essere
pieno di fiele.
All'origine di questi moti dell'animo c'è di solito un sentimento di vivo risentimento o di
riprovazione provocato da chi o da ciò che sembra intollerabile, ossia un sentimento di
sdegno o indignazione: trattenere lo sdegno; muovere, suscitare la pubblica indignazione; per indicare uno sdegno misto a dolore e delusione si adopera il termine corruccio: dimostrare il proprio corruccio; sentire corruccio. Quando la reazione emotiva è
sproporzionata a quanto l'ha provocata e sfocia in atti d'ira smodati e incontrollati si
ricorre ai termini isteria ed isterismo, usati in senso estensivo e non specialistico e
connotati naturalmente da una sfumatura negativa; l'accanimento è invece un odio tenace, una rabbia ostinata e quasi persecutoria contro qualcuno: perseguitare con accanimento un rivale. Ancora più intensi sono il furore e la furia, che consistono in una
veemente agitazione collerica, per lo più di durata limitata, così violenta che quasi offusca la ragione:
accendere qualcuno di furore; un furore momentaneo; placare il furore; lasciamogli
sbollire la furia; andare su tutte le furie; entrambi questi termini sono equivalenti al
significato figurato di ira, che indica lo scatenarsi degli elementi naturali: l'ira del mare; la furia del vento e della pioggia ha causato danni enormi; il furore delle acque distrusse il villaggio.
De Mauro
Ira
14
s.f.
1a. AU stato di violenta irritazione che tende a manifestarsi con parole di sdegno e gesti di collera aggressiva, indignazione e sim.: ira implacabile, feroce; scatto, sfogo d'ira; accendersi, avvampare, fremere d'ira; provocare, suscitare l'ira di qcn.; frenare,
trattenere l'ira; sfogare la propria ira su qcn. | essere accecato dall'ira, essere adirato
tanto da perdere il controllo di se stesso
Sinonimi: bile, collera, irritazione, rabbia, stizza.
1b. TS teol. uno dei sette peccati capitali che consiste in un violento e smodato desiderio di vendetta
2a. CO odio, risentimento: attirare su di sé le ire di qcn. | avere qcn. in ira, odiarlo,
detestarlo | essere in ira a qcn., essere odiato o malvisto da qcn.
Sinonimi: risentimento.
2b. BU spec. al pl., grave discordia: le ire cittadine, le ire di parte
3. LE giusto sdegno, nobile furore: nutrìa contro a' Persi in Maratona... la virtù greca e
l'ira (Foscolo)
Sinonimi: indignazione.
4. CO fig., violenza degli elementi naturali: ira del vento, del mare in tempesta
5. CO chi è fuori di sé per la rabbia, furia: sembrare un'ira scatenata
In realtà, anche se Dante ha condannato ad essere straziato dalle altre
anime Filippo Argenti nelle acque della palude Stigia (Canto VIII
dell’Inferno) e Ludovico Ariosto all’inizio il suo poema cita l’ira e i giovenil furori d’Agramante, l’italiano contemporaneo usa ben poco i lemmi della “nebulosa collerica”. Se si esaminano i dizionari di frequenza
dello scritto (Lessico di frequenza dell’italiano contemporaneo) e del
parlato (Lessico di frequenza dell’italiano parlato), si osserva come con
principali lemmi di tale dominio di significato e cioè collera, furia, furore, ira, rabbia e sdegno si registri un quadro come il seguente:
scritto
+
+
+
-
collera
furia
furore
ira
rabbia
sdegno
parlato
+
+
-
con tre lemmi per lo scritto e soltanto due per il parlato.9 Se, si ricerca
la forma volgare incazzarsi ci si accorge che, assente nello scritto, nel
parlato ha il rango 3184 superiore a quello di ira (3818) e a quello di fu9
In realtà, va notato come nel caso di furia possa aver influito nel calcolo, deviandolo,
una forma come a furia di.
15
ria (4024). Tipica, quindi, del parlato dell’italiano contemporaneo, tale
forma sembra occupare il ruolo principale come espressione generica
dello stato emotivo in questione.10
4. Lessico e Grammatica dell’Ira
S’è detto all’inizio che questo era un contributo di ordine strettamente
linguistico e descrittivo. Rimandando a Gross (1975) e, per l’italiano, ai
normalmente citati EMDA (1981) e D’Agostino (1992), in quest’occasione
è presentata una tavola lessico-grammaticali dei nomi dell’ira, costruita
su un vocabolario di 170 lemmi.11
4.1. I nomi dell’ira
Le forme nominali incluse nella classificazione corrispondono tutte a
forme predicative, come si rivela dalla correlazione con predicati verbali
e/o con predicati aggettivali:
arrabbiatura – arrabbiarsi - arrabbiato
ira – irarsi - iroso
10
Per quanto concerne la sintassi delle forme composte legate al nome cazzo in italiano
contemporaneo, si veda Elia (2002).
11
adirarsi adiratamente adirato arrabbiamento arrabbiare arrabbiarsi arrabbiata arrabbiatamente arrabbiato arrabbiatura collera collericamente collerico incollerire incollerirsi incollerito contrariare contrariarsi contrariato contrarietà corrucciamento corrucciare corrucciarsi corrucciatamente corrucciato corruccio corrucciosamente corruccioso
furente furentemente furia furibondamente furibondo furiosamente furioso furore imbufalire imbufalirsi imbufalito incacchiarsi incacchiato incacchiatura incavolarsi incavolato incavolatura incazzarsi incazzato incazzatura incazzosamente incazzoso incollerire
incolle rirsi incollerito infuriare infuriarsi infuriatamente infuriato inquietarsi inquietato
ira iracondamente iracondia iracondo iracundia iracundo irarsi irascersi irascersi irascibile irascibilità irascibilmente iratamene irato irosamente iroso irritabile irritabilità irritamento irritante irritare irritarsi irritatamente irritativo irritato irritatore irritazione
rabbia rincollerire rincollerirsi rincollerito rinfuriare rinfuriato sdegnamento sdegnare
sdegnarsi sdegnatamente sdegnato sdegnazione sdegno sdegnosaggine sdegnosamente
sdegnosità sdegnoso stizza stizzare stizzarsi stizzire stizzirsi stizzito stizzosamente stizzoso
16
e dall’esistenza di un GN frutto di una nominalizzazione:
l’ira di Luca
lo sdegno di Ugo
la rabbia di Eva
e, per tale ragione, le forme di frase in questione sono state analizzate
tutte in costruzioni a verbo supporto.
17
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arrabbiamento
arrabbiata
arrabbiatura
collera
contrarietà
corrucciamento
corruccio
furia
furore
incacchiatura
incavolatura
incazzatura
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iracondia
iracundia
irritamento
irritazione
rabbia
sdegnamento
sdegnazione
sdegno
sdegnosaggine
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stizza
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+
19
Sono state, dunque, esaminate le seguenti proprietà: proprietà distribuzionali e proprietà trasformazionali.
Nel caso delle proprietà distribuzionali, è stata presa in esame la
posizione soggetto (N0). Esso non è mai un soggetto frastico (N0 =: Che F)
e, per tale ragione, tali predicati nominali costituiscono una sotto-classe
degli operatori elementari di tipo harrisiano, in particolare, della forma
O(nn):
Eva si è presa un’arrabbiatura con Luca
Ugo è in collera con Max
Luca prova sdegno nei confronti di Eva
Per quanto concerne, invece, le proprietà trasformazionali, sono state
testate proprietà relative ai Vsup, in particolare, di alcuni di essi: avere,
sentire, avvertire, nutrire, prendersi, covare, essere in, andare in.
Avere costituisce il supporto di uso generalizzato e correlato con
Essere nella costruzione aggettivale equivalente:
Ugo ha rabbia nei confronti di Eva
Ugo è rabbioso nei confronti di Eva
Luca ha una forte collera per il tuo comportamento
Luca è fortemente incollerito per il tuo comportamento
e si conferma il loro comune statuto di verbi di “stato”, come sostenuto
in Benveniste (1966):
Ugo ha uno stato d’ira
Ugo è in uno stato d’ira
costruzioni per le quali sussiste la relazione di coreferenza tra N0 e stato
che dà luogo al GN:
lo stato d’ira di Ugo
Va notato, inoltre, che i GN del tipo Nira di N0 possono rientrare in forme di frase “standard-incrociate”12 del tipo:
Per la definizione di costruzione “standard-incrociata”, si rimanda a EMDA (1981) e a
D’agostino (1992).
12
20
l’ira brillava negli occhi di Ugo
gli occhi di Ugo brillavano d’ira
Va notato, inoltre, come alla forma di frase con avere si correlano nella
maggioranza dei casi le due costruzione con i supporti provare e sentire:
Luca ha una forte collera nei confronti di Eva
Luca prova una forte collera nei confronti di Eva
Luca sente una forte collera nei confronti di Eva
In tal senso, si nota, quindi, una “rete di supporti” 13 costituita, da un lato, da essere, nelle costruzioni aggettivali, e, dall’altro, da avere e dalle
possibili estensioni di questo come provare e sentire. Quindi, nel caso
della presenza anche di una forma verbale correlata morfofonologicamente, si assisterà ad una classe di equivalenze come la seguente:
Essere Aggira
Vira
Avere Nira
Provare Nira
Sentire Nira
Con i due supporti provare e essere si rintracciano anche costruzioni del
tipo:
provare un senso di N =:
Luca ha provato un forte senso di sdegno nei confronti di Eva
essere in N =:
Ugo è in collera con Luca
Nel primo caso, con senso in equivalenza con sentimento, ci si collega
alla classe nominale delle “impressioni e modificazioni fisiche e psichiche ad opera di stimoli esterni o interni”:
Luca prova un senso di stanchezza (fisica)
13
Per la nozione di “rete di supporti” si rimanda a D’Agostino (1992).
21
*Luca prova un sentimento di stanchezza (fisica)
Luca prova un senso di (rabbia + depressione + angoscia)
Luca prova un sentimento di (rabbia + depressione + angoscia)
Nel secondo, invece, ci si collega a membri della classe di costruzioni di
tipo “psicologico”:
Luca è in (angoscia + ansia + *timore + *paura) per Eva
Infine, sono state esaminate estensioni come nutrire, prendersi, andare
in e, caso a parte, l’estensione aspettuale covare:
Eva nutre sdegno verso Luca
Ugo si è preso una forte arrabbiatura con Eva
Luca è andato in collera Max
Max ha covato l’ira verso Eva a lungo
In realtà, l’interesse nei confronti dei nomi dell’ira è legato al fatto che
essi rappresentano una sottoclasse ben caratterizzata di quelli che Gross
(1995) definisce expressions de sentiment. In particolare essi, come già
s’è detto, non accettano completive e infinitive in posizione soggetto,
come invece accade con con i nomi e i verbi che tradizionalmente sono
stati chiamati “psicologici” che possono essere interpretati come causativi:
Eva è in angoscia
Eva è in collera
il tuo comportamento fa angosciare Eva
il tuo comportamento fa incollerire Eva
il tuo comportamento angoscia Eva
*il tuo comportamento incollerisce Eva14
il tuo comportamento (crea + causa) angoscia in Eva
il tuo comportamento (crea + causa) collera in Eva
il tuo comportamento è la causa dell’angoscia di Eva
il tuo comportamento è la causa della collera di Eva
e, pertanto, pur potendo naturalmente essere inserire in costruzioni causative non presentano intrinsecamente il tratto della causatività.
14
In realtà, in questo caso è il pfx di derivazione in- a presentare un valore causativo.
22
Conclusioni
In quest’occasione è stata presentata una classificazione di nomi legati al
campo semantico dei sentimenti, in particolare quelli dell’ira. Se si confronta l’analisi proposta con quella avanzata precedentemente sui verbi
della menzogna, si registrerà la differenza fondamentale per la quale se
questi ultimi costituiscono una classe di operatori non elementari, quelli
analizzati adesso, invece, rappresentano una classe di operatori elementari. In un’altra prospettiva, va evidenziato come l’italiano contemporaneo
abbia “svuotato” tali forme di valori fortemente definizionali dell’individuo e
si limiti, nell’uso comune, ad impiegare forme generiche e non caratterizzate.
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