MNEMATA
STUDI DI LETTERATURA, STORIA E CIVILTÀ
TRA RICERCA E DIDATTICA
Direttori
Stefano C
Presidente Delegazione di Cuneo
Amedeo Alessandro R
Università degli Studi di Milano
Comitato scientifico
Cinzia B
Università Cattolica del Sacro Cuore
Lia Raffaella C
Università degli Studi di Genova
Gian Franco G
Accademia delle Scienze di Torino
Ermanno M
Università degli Studi di Torino
Federica P
Universidad Carlos III de Madrid
Stefano S
Università degli Studi di Torino
Anna L
Durham University
MNEMATA
STUDI DI LETTERATURA, STORIA E CIVILTÀ
TRA RICERCA E DIDATTICA
La collana raccoglie studi di letteratura, storia e civiltà, fondati
su solide basi scientifiche ma al contempo attenti alla didattica
liceale e all’alta divulgazione, con l’intento di creare un collegamento e un confronto tra mondo accademico e insegnamento
scolastico. Il campo d’indagine è costituito dai prodotti culturali
e dai fenomeni storici della tradizione greco–latina ed ebraico–
cristiana con una particolare attenzione per il confronto con le
epoche successive in una prospettiva interdisciplinare.
Gian Franco Gianotti
Rileggendo Petronio e Apuleio
Aracne editrice
www.aracneeditrice.it
[email protected]
Copyright © MMXX
Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale
www.gioacchinoonoratieditore.it
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via Vittorio Veneto,
Canterano (RM)
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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre
A Irene e Matias, perché non dimentichino
Indice
Premessa
Parte I
Petronio
Capitolo I
Petronio, autore e opera
.. L’autore, – .. Il Satyricon: ipotesi sulla trama e sezioni
superstiti, – .. Il Satyricon: generi letterari e parodia, .
Capitolo II
Scrivere e riscrivere Petronio
.. Tradizione manoscritta, – .. Edizioni, – .. Falsi
ritrovamenti e contraffazioni, .
Capitolo III
Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
.. Scene e racconto, – .. Scene da una Cena: chi narra e
chi guarda, – .. Portate spettacolari, – .. Chi parla e chi
ascolta: lo spettacolo della lingua tra discorsi da tavola, dispute e proverbi, – .. Altri aspetti spettacolari: risse, racconti,
funerali, .
Capitolo IV
A tavola da Trimalchione: eccessi gastronomici e debiti
culturali
.. Le vie della Grande Bouffe, – .. Le prime scene,
– .. Gustatio, – .. Primae mensae. I. Il cielo e la terra,
Indice
– .. Primae mensae. II. Le altre portate, – .. La cena nella
cena, le secundae mensae, la seconda cena, .
Capitolo V
I due maestri di Primigenio
Capitolo VI
Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
.. Una difficile fedeltà, – .. Tagli, fusioni, trasposizioni,
– .. Interpolazioni d’autore, .
Parte II
Apuleio
Capitolo I
Apuleio, autore e opere
.. L’autore e le opere perdute, – .. Apuleio filosofo e
oratore, – .. Apuleio narratore: il racconto dell’uomo-asino
e la favola di Amore e Psiche, .
Capitolo II
Da Montecassino a Firenze: la riscoperta di Apuleio
.. Storie di Metamorfosi: i codici di Apuleio, – .. La
riscoperta di Apuleio, – .. Il codice apuleiano di Boccaccio, – .. Spunti apuleiani nelle novelle del Decameron,
– .. Metamorfosi di storie: due novelle d’adulterio, .
Capitolo III
In viaggio con l’asino
Capitolo IV
Spunti teatrali nella narrativa latina: le Metamorfosi di
Apuleio
.. Teatri senza testi, testi senza teatro, – .. Scenari apuleiani, – .. Lo spettacolo del mondo, tra cielo e terra: la Bella,
la Bestia, gli amori, la morte e la rinascita, .
Indice
Capitolo V
Andromeda e Psiche: vicende nuziali e assunzioni in cielo
.. Andromeda euripidea: nozze e destino astrale, – .. Ovidio e Manilio: figure immobili e moti stellari, – .. Psiche,
dalla rupe all’Olimpo, .
Capitolo VI
Tra Platone e Iside: per una rilettura dell’XI libro delle
Metamorfosi apuleiane
.. Ragni, asini, démoni, – .. Da Platone all’Egitto, –
.. L’epifania di Iside, – .. Al servizio di Iside, – .. Da
Iside a Osiride, da Corinto (e da Madauro) a Roma, .
Premessa
Speculare, e dunque inversa, rispetto a ricerche su nuovi argomenti è la rilettura di contributi che costellano i trascorsi
personali di studio, utili se non altro come documentazione
di itinerari conclusi o da tempo abbandonati. Di solito le due
operazioni si intersecano o, meglio, si intrecciano nella vita
di chi continua a fare per professione ricerca, perché il rinnovo d’attenzione ai testi del proprio passato è non secondario
sussidio per confermare o ridiscutere risultati, delineare ambiti
e confini, sfruttare connessioni e spunti euristici, correggere
soluzioni precedenti, prospettare orientamenti in funzione di
nuovi interessi di studio.
Discorso diverso vale per chi, come il sottoscritto, da anni
in pensione, non dispone più di tempo e risorse mentali sufficienti per promuovere nuovi progetti di ricerca. L’età avanzata
tollera a mala pena l’attività che Arnaldo Momigliano definiva
“passatempo della domenica pomeriggio”, vale a dire qualche
piccola indagine come apporto individuale alla storia degli studi
classici; deserti e silenzi si aprono, invece, di fronte ai tentativi di dare vita e sostanza a studi del tutto nuovi. Si dilata, in
effetti, il tempo a disposizione per fare bilanci, per ripensare
a quanto si è fatto o non si è fatto, per rimeditare e rileggere
quanto si è scritto. Insomma, negli anni di quiescenza dal servizio attivo aumenta progressivamente lo spazio retrospettivo
del ricordo e della rilettura, a scapito di ogni programmazione
a venire: nella personale imago del Giano bifronte, sodale di noi
tutti, il viso rivolto al futuro sbiadisce via via fino a scomparire,
mentre diventa più acuta la vista degli occhi che guardano al
passato. Inutile dire che il tempo a disposizione si è moltiplicato in maniera abnorme, da quando la pandemia Covid- ha
Premessa
iniziato a diffondersi anche in Italia, soprattutto in Lombardia
e in Piemonte, rinchiudendo gli anziani all’intero delle pareti
domestiche.
Succede allora che più e più volte, in occasioni diverse, si
finisca per fare ritorno agli scritti di anni recenti o lontani e si
ceda al desiderio di ristampare i testi meno avari di risultati, non
per autocompiacimento, ma perché ci sono formulazioni da
chiarire o da rendere meno implicite, margini di integrazione o
di aggiornamento, rimedio a sviste o a fraintendimenti oppure
a errori effettivi, sedi di non facile accesso per eventuali lettori
tuttora interessati a ricerche di tal genere.
Queste, in breve, le ragioni che presiedono alla riproposta
di miei interventi su alcuni momenti della narrativa latina d’età
imperiale, momenti rappresentati da Petronio e da Apuleio.
Sono saggi che hanno accompagnato due stagioni dei miei
studi, più antica la stagione segnata da Apuleio, più recente
quella segnata da Petronio; saggi che mi hanno consentito di
misurare la tenuta delle mie pagine rispetto ai progressi della
critica più recente e, contemporaneamente, di prendere atto
dei risultati più notevoli circolanti tra gli addetti ai lavori. Ciò
detto, pare giusto e doveroso concludere riconoscendo il debito
contratto con le Riviste e con i volumi collettanei che hanno
concesso ospitalità alla prima resa pubblica di questi contributi
e a cui vanno, oggi, i miei più sentiti ringraziamenti.
Torino, giugno
P I
PETRONIO
Capitolo I
Petronio, autore e opera∗
.. L’autore
Sull’autore del Satyricon prevalgono negli ultimi anni le tesi
presenti in un volume postumo di un giovane studioso inglese
approdato all’University of Texas e scomparso prematuramente,
Kenneth Frank Campbell Rose (-): il Petronius Arbiter
presente nei manoscritti medioevali come autore del Satyricon
è da identificare con il Petronio elegantiae arbiter alla corte di
Nerone di cui parla Tacito: «Per Petronio il giorno trascorreva
nel sonno, la notte tra doveri ufficiali e divertimenti; e come
altri si erano acquistati fama grazie a operosa attività, così lui
in ragione della sua indolenza. Tuttavia non era giudicato un
dissoluto e uno scialacquatore, come chi dilapida le proprie
sostanze, ma un personaggio di gusto ricercato. E le sue parole
e le sue azioni, quanto più apparivano disinvolte ed esibivano
noncuranza, tanto più venivano accolte con favore come espressioni di semplicità. In ogni caso, come proconsole in Bitinia e
come console seppe mostrarsi energico e all’altezza dei compiti. In seguito, tornato ai vizi o piuttosto alla loro imitazione, fu
ammesso da Nerone nella cerchia ristretta degli amici intimi
come arbitro del gusto, per tutto il tempo in cui il principe
non reputava piacevole e seducente per lusso nulla che non
fosse raccomandato da lui. Di qui l’odio di Tigellino , rivolto
contro un rivale superiore nella scienza del piacere. Stimola
∗
La prima redazione è comparsa col titolo La narrativa latina. Petronio e Apuleio,
in S. Casarino, A.A. Raschieri (a cura di), Figure e autori del romanzo, Aracne, Roma
, -.
. Gaio Sofonio Tigellino, prefetto del pretorio di Nerone.
Rileggendo Petronio e Apuleio
pertanto la crudeltà del principe, passione superiore a tutte le
altre; contesta a Petronio l’amicizia con Scevino , dopo averne
corrotto uno schiavo perché denunciasse il padrone e avergli
tolto ogni mezzo di difesa e incarcerato la maggior parte dei
suoi. In quei giorni Cesare si era diretto in Campania; e Petronio, spintosi a Cuma, veniva trattenuto sul posto: allora non
tollerò oltre d’essere sospeso fra timore e speranza. Non ebbe
però fretta di morire: tagliate le vene, per poi fasciarle o riaprirle a piacere, discorreva con gli amici, non di argomenti seri e
tali da procurargli gloria di fermezza. Ascoltava non discorsi
sull’immortalità dell’anima e massime filosofiche , ma carmi
leggeri e versi giocosi. Quanto agli schiavi, ad alcuni distribuì
doni, ad altri nerbate. Si accomodò a banchetto, si abbandonò
al sonno, volendo che la morte, per quanto imposta, sembrasse
accidentale. Neppure nel testamento volle adulare – come la
maggior parte dei condannati – Nerone o Tigellino o altri, ma
fece un resoconto dettagliato, coi nomi dei pervertiti e delle
prostitute, delle depravazioni del principe e della singolarità
d’ogni sua perversione e, dopo aver sigillato il testo, lo inviò
a Nerone. Spezzò poi l’anello, perché non servisse a rovinare
altre persone» (Annales , -) .
Se nel personaggio tacitiano si riconosce Tito Petronio Nigro, non troppo insicura appare la carriera politica: consul suffectus nel d.C., proconsole in Bitinia. La morte per suicidio,
secondo Tacito, si colloca nell’anno d.C.; la data di nascita
dovrebbe cadere tra il e il d.C. Luogo di nascita potrebbe
essere Marsiglia, città evocata in relazione a Petronio Arbitro
da Servio e da Sidonio Apollinare. Con l’identificazione così
riproposta si torna a una tradizione che accomuna le maggiori
auctoritates petroniane nel tempo, da Giuseppe Giusto Scaligero
a Franz Bücheler. Non sono tuttavia mancate proposte diverse,
. Oppositore di Nerone.
. Morte antifilosofica: a differenza di Seneca (suicida nel a.C.) il Petronio
di Tacito capovolge il modello della morte di Socrate, che discute dell’immortalità
dell’anima in attesa degli effetti della cicuta, come narra Platone nel Fedone.
. Traduzione di Alessandro Franzoi (con ritocchi).
. Petronio, autore e opera
come fa fede l’elenco stilato da Albert Collignon (), il quale
pensava ai primi decenni del II sec. d.C. Nel primo Settecento
Pieter Burman ha collocato nell’età che intercorre tra la fine
del regno di Augusto e il regno di Claudio (di cui Trimalchione
sarebbe la caricatura) la vita dell’autore e l’ambientazione del
racconto. Agli inizi dell’Ottocento Barthold Georg Niebuhr ha
proposto il III secolo d. C. come data per l’autore e le vicende
narrate, sulla scorta di un’iscrizione di tale periodo con i nomi
di Encolpio e di Fortunata. La proposta non ha avuto fortuna, ma nel corso del Novecento il problema della datazione è
stato risollevato da Enzo V. Marmorale, pronto dapprima ad
accettare la soluzione d’età neroniana, ma poi convintosi che
«il Satyricon fu scritto dopo il d. C.» e che l’autore andrebbe
ravvisato «in uno dei Petronii vissuti fra la seconda metà del II
e la prima metà del III secolo d.C.», dunque tra Commodo ed
Elagabalo. Dopo Marmorale il problema della datazione conosce ancora qualche impennata, per lo più in prospettiva non
troppo tarda (età flavia, per esempio) , ma la ‘congruenza’ tra il
ritratto del Petronio tacitiano e lo spirito che anima il Satyricon
appare come elemento poziore: l’autore del testo va dunque
ravvisato nel personaggio di età neroniana e gli si attribuisce un
orientamento filosofico di matrice epicurea.
.. Il Satyricon: ipotesi sulla trama e sezioni superstiti
Secondo i calcoli moderni il Satyricon doveva constare di almeno o addirittura di libri, numero canonico, quet’ultimo,
della narrazione epica a partire dai poemi omerici. Tuttavia,
prima del IX secolo della nostra era, vale a dire prima dell’epoca a cui si possono far risalire i dati più antichi della tradizione
manoscritta, il testo è vittima di perdite ingenti. Quanto è sopravvissuto, attraverso quattro rami diversi di trasmissione ,
. Vd. la sintesi di Martin .
. In proposito si rinvia al saggio successivo.
Rileggendo Petronio e Apuleio
corrisponde – con lacune – al finale del XIV libro, al XV libro
e a parte del XVI. Nulla si può dire con sicurezza sulle vicende contenute nei libri perduti; non mancano però ipotesi di
ricostruzione dell’intera opera che di cui si riassumono quelle
meno aleatorie. Per i libri iniziali si pensa a un preludio ambientato a Marsiglia, probabile città natale dell’autore: qui avrebbero
luogo la presentazione del protagonista-narratore, Encolpio, e
forse il racconto dell’ira di Priàpo nei confronti del giovanotto (profanazione di misteri poco morigerati?). In occasione di
un’epidemia il protagonista sarebbe stato cacciato come capro
espiatorio dalla città, secondo un’usanza gallica ricordata da
Servio, il commentatore di Virgilio: «Ogni qual volta gli abitanti
di Marsiglia erano colpiti da una pestilenza, uno dei cittadini
poveri si offriva di farsi mantenere per un anno con cibi di qualità a spese pubbliche. A fine anno, costui veniva condotto in
giro per la città adorno di verbene e vesti sacre: bersaglio di maledizioni, perché ricadessero su di lui i mali di tutti, da ultimo
veniva espulso. Questo si è letto in Petronio» . Con la condanna
all’esilio si ritiene che abbia inizio il viaggio del personaggio
narrante, Encolpio, verso sud, parte per terra e parte per mare.
Durante il viaggio alla volta dell’Italia Meridionale, costellato da
imprese tutt’altro che edificanti , avverrebbero l’incontro e il
legame con lo schiavetto Gitone. Questi, all’incirca, sarebbero
gli avvenimenti narrati nei primi libri. Nei quattro libri successivi la narrazione, fattasi più serrata, dovrebbe comprendere
un tratto del viaggio su nave e i primi rapporti con Trifena e
con Lica, l’incontro con Ascilto e la formazione di un instabile
triangolo erotico non alieno da furti e misfatti, infine l’arrivo
in una Graeca urbs dell’Italia del Sud e l’approdo di Encolpio e
Ascilto alla scuola del retore Agamennone.
Dal XV libro in poi le sezioni superstiti del racconto com. Servio a commento di Eneide , (auri sacra fames).
. Almeno a giudicare da allusioni presenti nella parte superstite: , (hospitem
occidi); , (hominem occidi, templum violavi); , (Ascilto a Encolpio: non taces . . .
gladiator obscene, quem de ruina harena dimisit? Non taces, nocturne percussor?).
. Petronio, autore e opera
prendono le peripezie del terzetto in mezzo a una composita
realtà sociale che conosce affermazione e ascesa di provinciali
e liberti. Lo scenario muta in continuazione: i primi passi – per
noi – si svolgono nell’ambito di una scuola di retorica, sede di
una vivace discussone de causis corruptae eloquentiae (§§ -); si
fa una rapida puntata in un postribolo (§§ -) per passare, non
senza sconnessioni narrative, a contese erotiche tra i due rivali
(§§ -) e a un’affollata scena di mercato (§§ -), tra vendite
truffaldine e recuperi insperati. Seguono due o tre giorni di
baldoria del terzetto con Quartilla, disinibita officiante di riti
in onore di Priàpo , e le sue ancelle; celebrate le nozze precoci
tra Gìtone e la giovanissima servetta Pannichide, con contorno
erotico che coinvolge tutti i presenti (§§ -. ), i tre protagonisti, in compagnia del retore Agamennone, si recano in qualità
d’invitati a cena nella ricca dimora del liberto Trimalchione.
Il grande intermezzo della Cena Trimalchionis (§§ , - )
interrompe il racconto di schermaglie omoerotiche e di viaggi
(mobilità nello spazio) e si presenta come tappa consacrata alle
avventure dello sguardo e della parola, come vivace spaccato
sociale in cui si intrecciano fortune personali e comportamenti
di classe, conflitti culturali e antagonismi linguistici, il tutto
nella cornice spettacolare d’impenitenti esibizioni di ricchezze
eccessive e di non eccelse moralità.
Terminato il caleidoscopio della cena nella dimora del liberto Trimalchione (trionfo della mobilità sociale), riprende
il racconto di avventura e di combinazioni amorose. Gitone
preferisce seguire Ascilto e abbandona Encolpio; rimasto solo,
l’Io narratore recita il ruolo dell’amante abbandonato, per poi
cercare conforto alla sua disperazione in una pinacoteca, dove
incontra una sorprendente figura di anziano poetastro dal no. Jensson ritiene che l’ira di Priàpo dipenda dal rituale officiato da Quartilla durante il quale Encolpio avrebbe impersonato il dio («nothing provokes divine
anger like the impersonation of a god by a mortal»); l’ipotesi si fonda su interpretazione schematica di Sidonio Apollinare , - e -, in particolare di v.
(Hellespontiaco parem Priapo), inteso come ammissione di sacrilegio da parte di
Encolpio.
Rileggendo Petronio e Apuleio
me antifrastico: Eumolpo (“bravo cantore”). Il nuovo arrivato
dà subito un saggio delle sue capacità affabulatorie, narrando dapprima la piccante vicenda del “Fanciullino di Pergamo”
(esempio di fabula Milesia), poi recitando uno spezzone di poema sulla Presa di Troia; la recita ha come risultato le sassate dei
presenti (§§ -). La narrazione prosegue col ritrovamento
di Gitone alle terme: il vecchio Eumolpo sostituisce Ascilto,
anche nelle attenzioni non disinteressate rivolte a Gitone; si
forma così un nuovo terzetto, che intraprende un viaggio per
mare, imbarcandosi sulla nave di Lica di Taranto e di Trifena,
personaggi con i quali Eumolpo e Gitone hanno avuto burrascosi trascorsi a noi non noti, perché descritti nelle sezioni di
testo non pervenute (§§ -). Sulla nave si susseguono pericolosi incontri e riconoscimenti, contese e pacificazioni, momenti
distensivi occupati dalla narrazione – per bocca di Eumolpo della novella della “Matrona di Efeso” (altra fabula Milesia), fino
alla fortunosa tempesta che manda a picco la nave (§§ -).
Il naufragio provoca la morte di Lica e ispira a Encolpio un
enfatico compianto sulla fragilità dell’umana esistenza (§ :
ubique naufragium est). Scampato ai marosi, il terzetto si rimette
in viaggio alla volta di Crotone. Durante il cammino si discute
di poesia ed Eumolpo recita esametri epici sul tema del
Bellum civile tra Cesare e Pompeo (§§ -, cadenze virgiliane
in polemica con la Farsaglia di Lucano?). Nella cittadina calabra
la brigata vive nuove salaci avventure: fortunate per Eumolpo,
sfortunate per Encolpio, che scopre la propria impotenza sessuale, attribuita all’ira di Priàpo (parodia di tema epico, l’ira
di Posidone verso Odisseo o l’ira di Giunone nei confronti di
Enea) e sanata in extremis per divino intervento (§§ -). Il
testo per noi si interrompe col testamento di Eumolpo, il quale
escogita un intrigante espediente per liberarsi dai cacciatori
d’eredità; a coloro che sperano di diventare suoi eredi pone
l’obbligo di cibarsi del suo cadavere (§ ). Con gli episodi
ambientati a Crotone si giunge alla fine del XVI o, tutt’al più, al
XVII libro. Ma il Satyricon originario continuava per altri tre o
sette libri. Per via d’ipotesi, si può immaginare che dal XVIII
. Petronio, autore e opera
libro Eumolpo esca di scena (testamento come premessa della
scomparsa?), mentre Encolpio e Gitone si imbarcherebbero per
l’Egitto, patria di dottrine religiose ed esoteriche. Durante il
viaggio o in terra egiziana è pensabile che alla coppia si unisca
un terzo personaggio, amico e rivale, col risultato di ricostituire
così il terzetto omoerotico che sembra tema portante dell’opera, come parodia delle convenzionali storie d’amore. L’Egitto,
però, non sarebbe l’ultima tappa, in quanto sono ipotizzabili un
passaggio in Grecia e infine un ultimo tragitto verso l’imboccatura occidentale dell’Ellesponto, alla volta di Lampsaco, la città
nota per il culto di Priàpo, dove Encolpio potrebbe espiare le
colpe commesse ed essere iniziato ai rituali del dio: finale ricostruibile per via analogica con le conclusioni delle Metamorfosi
di Apuleio.
.. Il Satyricon: generi letterari e parodia
L’accostamento tra l’opera di Petronio e le Metamorfosi di Apuleio non è trouvaille esegetica dei moderni, ma risale già a epoca
tardo-antica. Macrobio, nel commento al Somnium Scipionis (,
, ), dopo aver ricordato che di due tipi sono le narrazioni di
vicende fittizie (fabulae), quelle che provocano il piacere degli
ascoltatori o quelle che promuovono progressi morali , scrive:
«accarezzano l’udito, per esempio, le commedie che Menandro
o i suoi imitatori hanno composto per la scena, oppure i racconti pieni di casi inventati di innamorati su cui si è esercitato
molto l’Arbitro o in cui si è talora divertito, con nostra sorpresa,
Apuleio». In effetti, tratti comuni tra il Satyricon superstite e i
libri apuleiani non mancano, dalla narrazione in prima persona
e dagli spunti ‘picareschi’ che accompagnano il vagabondare
dei protagonisti alle umorose riprese del motivo epico dell’i. Come si vede, il binomio tradizionale, risalente ad Aristotele e riformulato
da Orazio (Ars poetica, v. : Aut prodesse volunt aut delectare poetae), può vantare
presenza secolare in sede di giudizi letterari.
Rileggendo Petronio e Apuleio
ra di qualche dio (di Priàpo o di Venere), dalla separazione
degli amanti (Gitone troppo vicino o troppo lontano rispetto
ad amici-rivali; Psiche lontana da Cupido e Lucio-asino da se
stesso) alle mense ‘esemplari’ di Trimalchione e di Byrrhena,
dalla satira menippea alle fabulae Milesiae e alle novelle di magia
servite a tavola. Temi e motivi comuni, tuttavia, non dipendono
solo da eventuali rapporti diretti tra le due opere, ma chiamano
in causa un panorama letterario più ampio, i possibili rapporti
tra narrativa latina e quella greca rappresentata dagli scriptores
erotici. Come è noto, dai primi secoli dell’età imperiale, sono
giunti integri cinque racconti in prosa d’argomento erotico e
avventuroso, ambientati in scenari fantastici o tutt’al più verosimili, riuniti – per somiglianze e punti in comune – sotto la
generica classificazione di ‘romanzo greco’. Sono le Avventure
di Cherea e Calliroe di Caritone di Afrodisia (sec. I d.C.); le Storie
efesiache di Anzia e Abrocome di Senofonte Efesio (sec. II d.C.);
la Storia di Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio (sempre sec. II
d.C.); Amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista (fine del
sec. II d.C.); le Storie etiopiche di Eliodoro (metà del sec. III d.C.).
A questi cinque racconti, giunti per tradizione diretta, si può
aggiungere qualche operetta – autentica o sospetta – presente
nel corpus degli scritti di Luciano di Samosata (Storia vera, Lucio
o l’asino), la sintesi delle Meraviglie al di là di Thule di Antonio
Diogene (I sec. d.C.); l’originale dell’anonima Historia Apollonii
regis Tyrii (di cui resta la versione latina) e frammenti papiracei:
le Storie fenicie di Lolliano (II sec. d.C.); il Romanzo di Metioco e
Partenope (II sec. d.C.); le Storie babilonesi di Giamblico (fine II
sec. d.C.) .
Ora, alle spalle delle Metamorfosi apuleiane stanno due antecedenti greci, lo pseudo-lucianeo Lucio o l’asino e i libri di
Metamorfosi di Lucio di Patre evocati dal cod. della Biblioteca
del patriarca bizantino Fozio, anche se non è chiara la dinamica
dei rapporti reciproci. Ma alle spalle di Petronio, alle spalle cioè
dell’autore di età neroniana che pure mostra di conoscere e
. La narrativa greca in frammenti è raccolta in Stephens, Winkler .
. Petronio, autore e opera
parodiare luoghi comuni e motivi convenzionali presenti nel
‘romanzo greco’ (a lui posteriore!), quali tradizioni letterarie è
possibile riconoscere o immaginare? Di solito, per il ‘romanzo’
antico e per l’opera petroniana, il lavoro critico si è cimentato
nella ricerca dei precedenti, al fine di stabilire derivazioni o
parentele con altri generi narrativi noti, canonici o meno. Inevitabile punto d’inizio va ravvisato nella narrazione in versi,
dunque negli stacchi narrativi dei poemi omerici e in quanto
di omerico rivive in Virgilio. Che in Petronio si percepisca la
volontà di parodiare Iliade e Odissea (magari intrecciandone
episodi, cadenze e funzioni) e, più in generale, si dia spazio a
un’epica degradata di eroi di bassa statura etico-sociale capaci di
conflitti in sedicesimo, è constatazione acclarata. Ancor più evidenti sono le citazioni e le allusioni virgiliane oppure allusioni
alla satira e alla tradizione teatrale, tragica, comica e mimica.
Si colgono altresì echi della storiografia e della biografia: insomma, a proposito dei generi della poesia e della prosa, si
potrebbe attribuire a Petronio l’espressione presente nella lezione sulla poesia impartita per strada da Eumolpo: solo una mens
ingenti flumine litterarum inundata (Petron. , ) è in grado di
gestire con tale maestría un numero così grande di riferimenti
letterari. Dunque, come per le Metamorfosi apuleiane, anche
per il Satyricon superstite si è di fronte a un autore che si muove
con disinvoltura all’interno del sistema culturale globale, ne
smonta e rimonta a piacere le articolazioni, riscrive il già scritto
e gli assegna nuove funzioni, non rispetta motivi collaudati e dà
vita, agendo alle spalle del narratore, a una sorta di enciclopedia
dei generi tradizionali a disposizione di lettori di palato fine e di
stomaco forte, capaci di apprezzare la divertita miscela di prosa
e versi, di stile raffinato e contenuti ‘popolari’ o scabrosi. Alla
pari delle Metamorfosi, il Satyricon superstite mostra come la
. Si pensi in part. all’episodio di Encolpio-Polieno e Circe nonché alla rampogna parodica, quasi-omerica e centonaria virgiliana, rivolta da Encolpio alla parte del
corpo che lo ha tradito: Petron. -.
. Per es. l’episodio di Didone rivive, degradato e umoroso, nella novella della
Matrona di Efeso (Petron. -).
Rileggendo Petronio e Apuleio
letteratura antica d’intrattenimento non rappresenti tanto un
genere autonomo, quanto si definisca come licenza di incursione – parodica o seriosa – entro i confini di tutti i generi, da
cui può ricavare e riciclare in piena libertà ogni dettaglio per
adattarlo a nuovi scenari.
Priva di specifici antecedenti o di paralleli effettivi, l’opera
petroniana appare come forma aperta a ogni possibilità espressiva.
In effetti la casistica dei generi letterari del mondo classico non
prevede statuto definito per la narrativa, indicata con molti nomi:
in greco μῦθος, λόγος, ἀπαγγελία, ἀπόλογος, διήγησις,
διήγημα, ἱστορίη; in latino fabula, fabella, enarratio, historia, res
ficta, exemplum fictum, argumentum. Rispetto alle denominazioni
antiche e alle soluzioni proposte nel tempo, un momento di consenso dei critici sta nel ricorso ai termini moderni di ‘romanzo’ e
‘novella’, in quanto l’anacronismo viene compensato dalla flessibilità delle definizioni, in grado di abbracciare tutte le possibilità
di sviluppo narrativo. Rimane tuttavia aperto un problema: nel
Satyricon troppi episodi e troppi ingredienti narrativi appaiono
parodia di situazioni presenti nel romanzo d’amore e d’avventura,
documentato – si sa – da opere posteriori all’età di Nerone. Il paradosso cronologico è innegabile e fornisce qualche motivazione
a quanti intendano collocare l’autore del Satyricon in età flavia o
dopo la fine del II sec. d.C. Ma l’elenco dei ‘luoghi comuni’ tra
testo latino e testi greci più tardi è iniziato e s’è sviluppato tra gli
studiosi che non dubitano della paternità del Petronio neroniano.
Dall’elenco si ricava che il motivo delle serie vicissitudini della
coppia eterosessuale di amanti, costante nel romanzo greco, si
trasforma nelle poco serie peripezie di coppie o terzetti di amanti
omosessuali; si prosegue con la parodia dell’ira divina, con contorno di dettagli inseriti in giochi di specchi deformanti: descrizioni
di opere d’arte con scene amorose; baci come fusione di anime;
amori sotto coperte o mantelli; elogio dell’incarnato dell’amante (femmina o maschio, poco importa); fedeltà e infedeltà degli
amanti; amici veri e falsi; presenza ed eliminazione di rivali in
amore; processi e monologhi; scene di folla e assemblee popolari; viaggio per mare, tempesta e naufragio; finti suicidi e morti
. Petronio, autore e opera
apparenti; elogio del partner e della sua stirpe; scambi epistolari;
sogni simili sognati da più sognatori.
Bene: fino agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, alla
luce dei dati allora in possesso, era convinzione che il Petronio
neroniano avrebbe dovuto conoscere solo i cosiddetti romanzi
di Esopo e di Alessandro Magno, le Milesiae di Aristide tradotte
da Sisenna, le Menippee di Varrone, i frustuli del Romanzo di
Nino e gli spunti raccolti negli Erotikà pathémata di Partenio
di Nicea (I sec. a.C.). Pertanto si congetturava l’esistenza di
altra letteratura d’intrattenimento, perduta per i moderni, ma
da cui l’autore del Satyricon e gli autori del ‘romanzo greco’
avrebbero attinto situazioni topiche da sfruttare liberamente, in
prospettiva seria oppure comica e parodistica. Tale congettura
ha assunto contorni reali dopo che nel è stato pubblicato
un papiro proveniente dalle sabbie egiziane di Ossirinco che
conserva frammenti prosimetrici sulle avventure omoerotiche di due personaggi del mito, Eracle e il proprio scudiero,
il nipote-eromenos Iolao . Il papiro è del I sec. a.C.: la narrazione, nota come Romanzo di Iolao, per quanto parziale e mal
conservata, descrive o evoca, per via di allusioni, storie di sesso
(ambivalente) non troppo dissimili da quelle del Satyricon e
presenta la medesima mistione di prosa e poesia. Sussistono
dunque pochi dubbi sull’esistenza di una letteratura d’intrattenimento in lingua greca in grado di fornire confronti, almeno
per qualche contenuto, con quanto rimane del Satyricon.
Ultimo punto: nel Romanzo di Iolao i protagonisti sono personaggi noti, certificati dal mito, dall’epica e dal teatro: di Eracle,
in particolare, si conoscono sia i meriti connessi con le Dodici
Fatiche sia le innumerevoli avventure amorose, etero- e omosessuali, nonché la bulimía cara alla commedia. Di contro la
narrativa in prosa declassa, sì, avventure e amori dalle sfere del
mito e della storia alle cronache di tutti i giorni, ma si trova
. POxy (testo in The Oxyrinchus Papyri , , -; Stephens, Winkler
, -). Vd. J. Henderson, The “Satyrica” and the Greek Novel: Revision of Some
Open Questions, «International Journal of the Classic Tradition» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
a fare i conti con personaggi privi dell’identità e dello statuto
sociale garantiti dai grandi generi letterari (storiografia, epica,
tragedia). Ricorre perciò a un espediente già sperimentato dalla commedia, l’assegnazione ai personaggi di ‘nomi parlanti’,
veri e propri documenti d’identità che riscattano dalla folla degli sconosciuti i protagonisti, non altrimenti ‘riconoscibili’, di
vicende quotidiane di basso profilo. Come Evelpide e Diceopoli in Aristofane, come Pirgopolinice o Pseudolo nel teatro
plautino, così i personaggi del Satyricon portano nel nome la
propria identità e il proprio destino. Qualche esempio chiarisce
ragioni ed effetti di tali denominazioni: per Agamemnon rhetor
et Menelaus antescholanus i nomi greci si riferiscono alla saga
degli Atridi e ai temi tragici delle declamationes delle scuole di
retorica; Encolpius, trascrizione del greco ᾿Εγκόλπιος (dall’espressione ἐν κόλπωι, “in seno”, col valore di “favorito”) è
nome di amasio; Ascyltus ( ἄσκυλτος, “instancabile”) è spiegato
dall’esclamazione o iuvenem laboriosum! in Petron. , , là dove
se ne esaltano le dimensioni inguinali (inguinum pondus tam
grande ...); Giton ( γείτων, “vicino”), troppo vicino a chiunque;
Trimalchio è nome composto dal prefisso intensivo tri- (“tre
volte”) e μαλχίων, diminutivo di μάλχος, calco di radice semitica che significa “potente, signore” (cfr. Malchus, Melchior,
Moloch), con allusione all’origine del personaggio (cfr. Petron.
, : ex Asia veni) e probabile valenza caricaturale; Eumolpus
( Εὔμολπος, “bravo cantore”), nome del mitico cantore figlio
del dio Posidone e iniziatore dei misteri di Eleusi, qui ha sicura
valenza caricaturale e antifrastica, perché assegnato a un vecchio poetastro, che è mal sopportato da eventuali ascoltatori
e si segnala soprattutto per battute salaci e non sopiti appetiti
sessuali.
Si può concludere osservando come temi e motivi che il testo del Satyricon superstite condivide con altre tradizioni siano
sempre sottoposti a metamorfosi di intenzionali e intelligenti parodie. In particolare, la scelta di far agire un terzetto di
innamorati omosessuali in continuo e caleidoscopico sommovimento secondo capricciose scomposizioni e ricomposizioni
. Petronio, autore e opera
(rispetto, s’intende, alla coppia di amanti eterosessuali degli
erotici scriptores o alla coppia omoerotica del Romanzo di Iolao)
impone impreviste dinamiche d’amore e d’avventura in grado
di scardinare l’intero sistema letterario e piegarlo a nuovi assetti
divertiti e divertenti.
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Capitolo II
Scrivere e riscrivere Petronio∗
.. Tradizione manoscritta
Il Satyricon di Petronio, stando ai calcoli moderni, doveva constare di almeno o, addirittura, di libri (come voleva la
tradizione dell’epica omerica); tuttavia prima del IX secolo
della nostra era, vale a dire prima dell’epoca a cui si possono
far risalire i dati più antichi della sua tradizione manoscritta,
l’opera ha subito perdite ingenti . Quanto è sopravvissuto, attraverso rami diversi di trasmissione e talora attraverso tessere
scompaginate di qualche ripresa letteraria oppure di derivazioni
effettive o presunte , corrisponde con lacune al finale del XIV
La prima stesura è comparsa in «Sileno» , , -.
. Sui calcoli della possibile estensione del Satyricon vd. S.J. Harrison, Introduction a Id. (a cura di), Oxford Readings in the Roman Novel, Oxford Univ. Press, Oxford
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. Vd. per es. A. Collignon, Pétrone au Moyen Age et dans la littérature française,
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Firenze ; Catherine Connors, Rereading the Arbiter: Arbitrium and Verse in the
Satyrica and in ‘Petronius redivivus’, in H. Hofmann (a c. di), Latin Fiction: the Latin
∗
Rileggendo Petronio e Apuleio
libro, al XV libro e a parte del XVI (con probabili aggiunte di
qualche spezzone derivante dai libri successivi). È interessante
notare che per tre delle quattro classi di manoscritti si è debitori
all’attività culturale del monachesimo benedettino di area francese, negli scriptoria di Auxerre, Fleury e Orléans. Il caso non è
unico: un altro grande testo della narrativa latina, le Metamorfosi
di Apuleio, sì è salvato grazie ai Benedettini di Montecassino, a
conferma che l’Ordine non ha conosciuto o assecondato – per
lunghi periodi - le pulsioni censorie che hanno accompagnato
la storia delle istituzioni religiose e che sono culminate nel
Concilio di Trento.
Intendiamoci: le ragioni della sopravvivenza possono essere diverse e non riconducibili ad anacronistiche difese di ogni
libertà d’espressione. Per esempio, le Metamorfosi apuleiane
devono la conservazione anche o soprattutto alla discreta fortuna dell’autore, filosofo d’orientamento platonico discusso
seriamente da Sant’Agostino; e d’interpretazione ‘filosofica’
se non dell’intera opera almeno della bella fabella di Amore
e Psiche si parla fin dai tempi di Fulgenzio (V-VI sec. d.C.),
Novel in Context, Routledge, London , -; H. McElroy, The Reception and Use
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Ancien. Série littéraire et philosophique» , , -; Corinna Onelli, Freedom
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del Satyricon di Petronio e i suoi lettori, «Italian Studies» , .
.
. Scrivere e riscrivere Petronio
autore che altresì testimonia conoscenza – forse non diretta –
del Satyricon . Nel caso di Petronio le dimensioni della perdita
sono così ampie che non si può escludere, talora, la presenza
di intenzioni censorie; sappiamo però che quasi due terzi della
parte superstite si sono salvati essenzialmente per due ragioni,
sia perché sono stati considerati testi di buona scrittura su cui
fondare lo studio della lingua latina, sia perché sono stati letti
in controluce come documento di crisi della retorica scolastica
e satira della società imperiale di Roma da parte di un testimone dei vizi della corte neroniana, in quanto l’autore è stato
ed è identificato, senza eccessivi problemi, col Petronio Arbiter
elegantiarum di cui conosciamo vita e morte grazie a Tacito
(Annales , -) . In effetti, brani di Petronio (proverbi,
sentenze, brevi stacchi poetici e l’episodio della Matrona di
Efeso) compaiono – insieme a passi scelti di Cicerone, Tibullo,
Ovidio e altri – nelle raccolte antologiche (Florilegia, sigla φ
negli apparati) che a partire dal XII sec. circolano in Gallia come
repertori fraseologici in chiave di apprendimento linguistico .
Quanto al resto, si registrano due classi di Excerpta manoscritti:
i Brevia sive Vulgaria (classe O) che conservano Satyricon -, ;
; , -, ; i Longiora sive Maiora (classe L) che conservano
le seguenti porzioni di testo: -, ; -, (parte iniziale della
Cena Trimalchionis); ; -; infine sette sentenze variamente
‘edificanti’ (per es. Nemo nostrum non peccat. Homines sumus, non
. Vd. B. Baldwin, Fulgentius and his Sources, «Traditio» , , -; É. Wolff,
Fulgentiana, in F. Chausson, É. Wolff (a c. di), Consuetudinis amor. Fragments d’histoire
romaine offerts à Jean-Pierre Callu, “L’Erma” di Bretschneider, Roma , -.
. Vd. tra gli altri G. Garbugino, Studi sul romanzo latino, Alessandria, Edizioni
dell’Orso, , - (La poetica di Encolpio e il ritratto tacitiano di Petronio) con bibliogr.
. B. L. Ullman, Petronius in the Mediaeval ‘Florilegia’, «Classical Philology» ,
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Florilegium Gallicum, Lang, Bern-Frankfurt am Main .
Rileggendo Petronio e Apuleio
dei) trascritte di seguito a , , subito dopo due distici dedicati
al supplizio di Tantalo presentato come simbolo del ricco avaro
che non sa godere delle proprie ricchezze . Chi ha operato
la scelta dei Brevia mostra preferenza per le sezioni in poesia,
quasi totale disinteresse verso le parti a contenuto omoerotico,
attenzione ai brani di argomento retorico e letterario; i Longiora
presentano versi in più, più del doppio delle sezioni in prosa,
non percepibili intenzioni censorie.
.. Edizioni
Da queste due classi derivano le prime edizioni a stampa: dei
Brevia compare l’editio princeps a Milano attorno al per i
tipi di Antonio Zarotto e per le cure di Franciscus Puteolanus
Parmensis (Francesco Dal Pozzo, † ) . Editio princeps dei
. Possibile restauro testuale in S. Poletti, Nemo . . . non nostrum peccat (Petron.
Sat. .). Habinnas’ Maxim Restored, «Classical Quarterly» , , -.
. Vd. Chr. Beck, The Manuscripts of the Satyricon of Petronius Arbiter Described
and Collated, Riverside Press, Cambridge Mass. ; E.T. Sage, The Text Tradition of
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. Vd. V. Scholderer, Printing at Milan in the Fiftheen Century, «The Library»
. Scrivere e riscrivere Petronio
Longiora, posteriore di quasi un secolo, è l’editio Tornaesiana,
che compare a Lione nel per i tipi di Johannes Tornesius
( Jean de Tournes, -), con la collaborazione di Denis
Lebey de Batilly (-) ; è seguita, nel giro di un decennio, dalle due edizioni parigine curate nel e nel , con
indubbi progressi ecdotici, da Petrus Pithoeus (Pierre Pithou,
-) e comparse per i tipi di Mamert Patisson .
Nei decenni successivi si susseguono le edizioni di Johann
Wouwer nel , di Melchior Goldast nel , di Jean Bourdelot nel , di Johann Peter Lotich nel e nel medesimo anno di Theodore de Juges : tutte più volte ristampate, a
s. IV, , , ; A. Rini, Petronius in Italy from the th Century to the Present Time,
Cappabianca Press, New York , -; R. Contarino, Dal Pozzo, Francesco, detto
il Puteolano, «Dizionario Biografico degli Italiani» (d’ora in poi «D.B.I.») ,
(on-line).
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del ’Longa’ e i codici di Tornesio, «Materiali e Discussioni» , , -; Id., Medioevo
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Magister transalpino Guido de Grana, ca -, fruitore degli Excerpta Longa
petroniani).
. Vd. M. McClure, A Comparative Study of the Pithoeus Editions of Petronius, Diss.
Pittsburgh, ; T. Wade Richardson, Reading and Variant in Petronius, cit., sgg.; P.
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. Johannes Wowerius ( Johann Wower o Wouwer, -): Petronii Arbitri
Satyricon, ed. Johannes a Wouweren, Leiden, ex officina Plantiniana Raphelengii,
(testo riedito nel , nel , più volte nel , nel , nel , nel ,
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Satiricon, cum Petroniorum Fragmentis, edidit G. Ehrardus, Helenopoli (Frankfurt),
pro bibliopoleo Ioan. Theobaldi Schönwetteri excudit Ioannes Bringerus, (rist.
, , ).
. Joannes Bourdelotius ( Jean Bourdelot, † ): T. Petronii Arbitri Satyricon. Io.
Bordelotius Emendavit, supplevit, Commentarium perpetuum adiecit, Parisii, per i tipi di
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Rileggendo Petronio e Apuleio
riprova dell’interesse che Petronio suscita nella Res publica litterarum europea, soprattutto in aree geografiche non sottoposte
al controllo tridentino. Come si vede, dopo la princeps milanese dei Brevia l’Italia non dedica più nessuna cura editoriale al
Satyricon. In realtà, la situazione sta per cambiare, in forza di
un nuovo ritrovamento; ma prima che ciò avvenga, va registrata la comparsa di un fenomeno iniziato con brevi inserzioni
interpolate nell’edizione parigina di Petronio () a cura di
Jean Richard , vale a dire la ricerca o l’inserimento di presunte
aggiunte testuali , e destinato a proporsi periodicamente lungo
tutta la storia della ricezione moderna del Satyricon. Sempre nel
corso del , infatti, l’umanista iberico José Antonio González
de Salas incrementa tale atteggiamento e pubblica a Francoforte l’Extrema editio del Satyricon, con l’aggiunta di un piccolo
numero di supplementi latini ritrovati, a detta dell’editore, in
una imprecisata antica edizione parigina . Nulla di tutto questo
è dato trovare nelle edizioni parigine conosciute; ma la tentazione di incrementare le pagine superstiti di Petronio sembra
nascere dalla convergenza di duplice suggestione: l’aspirazione
a colmare le lacune di un testo largamente frammentario; il
precedente di Cidi Hamete Benengeli, il presunto autore araTh. de Juges, Genevae, apud Ioannem Mercerium, (il testo è suddiviso in
capitoli).
. Johannes Richardus: Satyricon Petronij Arbitri Viri Consularis. Longe quam antea
tersius & emendatius. Cumulatae magnam partem lacunae praefixa hac nota “. Adiecta
varia eiusdem auctoris epigrammata hactenus literariae lucis experta. Accesserunt Iani
Douzae praecidanea & Ioan. Richardi notae, Apud Guilielmum Linocerium, Lutetiae
Parisiorum MDXXCV. I praecidanea qui citati compaiono in Janus Dousa ( Jan van der
Does, -), Petronii Arbitri Viri Consularis Satyricon, ex officina Ioannis Paetsii,
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Satiricon. Extrema editio ex Musaeo D. Iosephi Antoni Gonsali De Salas, Helenopoli
(Frankfurt), cura Wolfgangi Hofmanni, (rist. ). Praeludia et commenta in
Petronii Satyricon si leggono nel II vol. della II ed. di T. Petronii Arbitri Satyricon
quae supersunt, curante Petro Burmanno, Amstelaedami, Jansson-Waesberg, , . Vd. J. López Rueda, González de Salas, humanista barroco y editor de Quevedo,
Fundación Universitaria Española, Madrid .
. Scrivere e riscrivere Petronio
bo da cui deriverebbe, attraverso traduzioni, l’essenziale della
storia di Don Chisciotte, come Miguel de Cervantes dichiara a
partire dal capitolo IX della I Parte della sua opera . Cervantes
riprende, in buona sostanza, un espediente diffuso nel poema
cavalleresco di casa nostra, vale a dire la cronaca di Turpino,
leggendario vescovo di Reims, indicata come fonte fittizia delle
vicende di Orlando da Pulci, Boiardo e Ariosto; manco a dirlo
il libro di Cervantes sarà a sua volta oggetto di ripresa e continuazione, come sappiamo dalla Continuation de l’ histoire de
l’ admirable don Quichotte de la Manche di Robert Challe () . La finzione di manoscritti o di testi comunque ritrovati
è ingrediente letterario destinato a lunga fortuna, come mostrano, a tacer d’altro, i casi del Manuscrit trouvé à Saragosse del conte
polacco Jan Nepomucen Potocki (-), del dilavato e graffiato manoscritto dell’Anonimo citato da Alessandro Manzoni,
oppure dello pseudobiblium Necronomicon di Abdul Alhazred
inventato dalle fantasticherie non sempre irreprensibili dello
statunitense Howard Phillips Lovecraft (-) .
L’edizione di González de Salas è ristampata nel , alla
vigilia di una scoperta – questa volta – reale che cambia in
maniera definitiva la ricezione e l’esegesi del testo petroniano.
. Vd. tra i contributi più recenti H. Mancing, Cide Hamete Benengeli vs. Miguel
de Cervantes. The Metafictional Dialectic of Don Quijote, «Cervantes» , , -; D.J.
Stewart, Cide Hamete Benengeli, Narrator of Don Quijote, «Medieval Encounters» ,
, -; J.G. Maestro, Cide Hamete Benengeli y los narradores del Quijote, in J.P.
Sánchez (a c. di), Lectures d’une oeuvre. Don Quichotte de Cervantes, Editions du Temps,
Paris , -; Carrol B. Johnson, Phantom Pre-texts and Fictional Authors: Sidi
Hamid Benengeli, Don Quijote and the Metafictional Conventions of Chivalric Romances,
«Cervantes» , , -.
. R. Challe, Continuation de l’histoire de l’admirable Don Quichotte de la Manche,
a cura di J. Cormier e M. Weil, Droz, Genève .
. In generale vd. M. Farnetti, Il manoscritto ritrovato. Storia letteraria di una
finzione, Società Editrice Fiorentina, Firenze . Per Cervantes e Manzoni è da
vedere Marta Chini, Naturalmente un manoscritto: Cide Hamete e l’anonimo manzoniano,
in Clizia Gurreri, Angela M. Jacopino, A. Quondam (a c. di), Moderno e modernità:
la letteratura italiana (XII Congresso Nazionale dell’ADI, Roma - settembre
), redazione elettronica di Emilio Bartoli, Roma, Dipartimento di Italianistica e
Spettacolo, .
Rileggendo Petronio e Apuleio
Infatti, pochissimi anni dopo, verisimilmente nel corso del ,
viene recuperato a Traù, l’antica Tragurium, in Dalmazia un
codice miscellaneo quattrocentesco di provenienza fiorentina:
dopo testi di Tibullo, Properzio e Catullo, il codice riporta di
Petronio gli Excerpta Brevia (ff. -), seguiti dal grande frammento noto come Cena Trimalchionis (ff. - = Satyricon
, - , , sigla H). La scoperta del codex Traguriensis nella biblioteca del nobile Niccolò Cippico (Nikola Cipiko, -) è
attribuita al dalmata Marin Statilić (Marinus Statileus o Statilius),
doctor iuris nell’Università di Padova; e appunto a Padova esce,
nel , l’editio princeps della Cena Trimalchionis , preceduta
e seguita da annose discussioni sull’autenticità del Fragmentum
Tragurii repertum (riedito più volte nel triennio successivo) , in
quanto l’impasto linguistico delle conversazioni dei liberti alla
mensa di Trimalchione sembrava (e in effetti è) assai lontano
dal bel latino esibito dalle sentenze ospitate nei Florilegia e dai
frammenti fino ad allora noti .
. Editio Patavina: Petronii Arbitri Fragmentum Nuper Tragurij Repertum, Patavii,
Typis Pauli Frambotti, . Storia del ritrovamento in Giovanni Lucio (Ivan Lučić,
-), Memorie storiche di Tragurio, ora detto Traù, Venezia, Stefano Curti, ,
sgg.
. Jacobus Mentelius (anagrammato in J.C. Tilebomenus; Jacques Mentel, ): Anekdoton ex Petronii Arbitri Satirico Fragmentum, Parisii, Typis Edmundi Martini, dec. . Johannes Schefferus ( Johann Scheffer, -): T. Petronii Arbitri
Fragmentum Nuper Tragurii Dalmatiae Repertum, cum Adnotationibus Ioh. Schefferi, Upssala, excudit Henricus Curio, . Thomas Reines (Thomas Reinesius, -): T.
Petronii Arbitri in Dalmatia Nuper Repertum Fragmentum, edidit Th. Reinesius, Leipzig, sumptibus Laur. Sigism. Cörneri, literis Christiani Michaelis, . Christoph
Arnold (Chr. Arnoldus, -): T. Petronii Arbitri Fragmentum Traguriense, Veneti,
ad Rom. Pontificem Oratoris benefico redintegratum. Una cum Jo. Caij Tilebomeni
conjecturis, Hadriani Valesii et Jo. Christophori Wagenseilii dissertationibus epistolicis; aliorumque clarissimorum virorum judiciis, ad Christophorum Arnoldum
super hac re perscriptis. Accedit V. C. Joh. Schefferi dissertatio, de fragmenti huius
vero auctore; et Index necessarius, Noribergae, sumtibus Michaelis & Joh. Friderici
Endterorum, .
. In merito all’ampia polemica sull’autenticità ci si orienta grazie ai saggi
di Nicola Pace: Nuovi documenti sulla controversia secentesca relativa al Fragmentum
Traguriense della Cena Trimalchionis di Petronio, in R. Pretagostini, E. Dettori (a
c. di), La cultura letteraria ellenistica. Persistenza, innovazione, trasmissione, Quasar,
Roma , -; Ombre e silenzi nella scoperta del frammento traurino di Petronio
. Scrivere e riscrivere Petronio
A dispetto di tenaci resistenze, sappiamo che la disputa si
è risolta a favore dell’autenticità: decisiva in proposito è stata
la presenza della sezione iniziale della Cena (Satyricon -, )
negli Excerpta Longiora; a partire da tale constatazione si sono
progressivamente riconosciute a Petronio raffinate capacità
mimetiche nel rappresentare il contrasto linguistico (e sociale)
tra sermo vulgaris e lingua dei dotti. Succede così che a anni
dalla scoperta della Cena compaia finalmente, in compagnia
dei Carmina Priapea e altri testi, la prima edizione del testo
petroniano risultante da tutte le quattro classi, L O φ H, di
testimoni riconosciuti: il volume esce ad Amsterdam nel
per i tipi di Joan Blaeu (-), editore noto, ma a firma di
un curatore sconosciuto, Michael Hadrianides, personaggio del
tutto ignoto oppure pseudonimo mai spiegato . Insomma: il
Petronio riconosciuto viene messo a disposizione dei lettori
europei da parte di un illustre sconosciuto; bisogna attendere
altri anni e passare attraverso numerose edizioni – anche
e nella controversia sulla sua autenticità, in P.F. Moretti, C. Torre, G. Zanetto (a c.
di), Debita dona. Miscellanea di studi in onore di Isabella Gualandri, D’Auria, Napoli
, -; Documenti inediti dalla “Bibliothèque Nationale de France” del dibattito
secentesco sul frammento traurino di Petronio, «Acme» , , -; L’epilogo ignoto
della controversia seicentesca sul frammento traurino di Petronio, «Studi Umanistici
Piceni» , , -; B. Lučin, Petronije na istočnoj obali Jadrana: Codex traguriensis
(Paris. Lat. ) i Hrvatski Humanisti, «Colloquia Maruliana» , , - (con
ampio riassunto in lingua inglese); S. Gibertini, Per una bibliografia critica del Codex
Traguriensis (Paris, B. N. F., Lat. ), «Paideia» , , -; Id., Integrazioni
alla bibliografia critica del Codex Traguriensis (Paris, B. N. F., Lat. ): -, ibid.
, , -. I saggi di N. Pace sono raccolti ora, con l’aggiunta di un capitolo
nuovo sulla Dissertatio di J. Scheffer, in Tragurii fetus mirabilis. Studi sulla controversia
secentesca relativa al frammento di Petronio ritrovato in Dalmazia, LED, Milano ;
sintesi parziale dello stesso A., New Evidence for Dating the Discovery at Traù of the
Petronian Cena Trimalchionis, in M.P. Futre Pinheiro, D. Constan, B.D. MacQueen (a c.
di), Cultural Crossroads in the Ancien Novel, de Gruyter, Berlin-Boston , -).
. T. Petronii Arbitri Satyricon, cum Fragmento nuper Tragurii reperto. Accedunt
diversorum Poetarum Lusus in Priapum. Pervigilium Veneris, Ausonii cento nuptialis,
Cupido crucifixus, Epistolae de Cleopatra, & alia nonnulla. Omnia Commentariis, & Notis
Doctorum Virorum illustrata. Concinnante Michaele Hadrianide, Amstelodami, apud
J. Blaeuium, (rist. Kessinger Publishing, LLC, Whitefish, MT ).
Rileggendo Petronio e Apuleio
purgate – e rappresentazioni sceniche di corte , per giungere
alla grande edizione dell’olandese Pieter Burman, filologo di
vaglia che accompagna il testo con le proprie note e una ricca
antologia di studiosi e commentatori di Cinque e Seicento .
.. Falsi ritrovamenti e contraffazioni
Nell’intervallo tra l’edizione di Hadrianides e quella di Burman accadono due eventi, di portata diversa, tuttavia in grado
di dare la misura della fortuna di Petronio. Il più ampio è la
“Querelle des Anciens et des Modernes” che – sappiamo bene
– non ha davvero né vincitori né vinti, ma finisce per collocare
il Satyricon in un territorio di confine, dove il testo si affranca
dall’origine antica e viene accostato alle opere dei Modernes per
vivacità di stile e varietà anticlassica degli episodi. Il secondo
riguarda direttamente il testo e sembra riproporre, mettendo
in scena nuovi protagonisti e nuove località (pur sempre di area
balcanica) di presunti ritrovamenti, la vicenda della scoperta
della Cena Trimalchionis: nel François Nodot (-),
ufficiale di ventura e poligrafo, annuncia all’Accademia di Francia d’essere in possesso di un manoscritto petroniano trovato
. Johannes Andreas Bosius ( Johann Andreas Bose, -), Titi Petronii Arbitri Satyricon Puritate Donatum, ejectis obscoenis, commentisque Gonsalii, Lotichii, Aliorumque cum Fragmentis Trajur. et Albae Graecae recuperatis, usibus juventutis restitutum.
Accesserunt annotationes e MSC. Jo. A. Bosii, Jena, Johannes Bielke, .
. Come fa fede, per esempio, il manoscritto di Gottfried Leibniz, Trimalcion
moderne, composé l’an pour le Carneval d’Hanovre: vd. M.L. Babin, Leibniz und
der Trimalcion Moderne. Edition der Berichte von der Aufführung im Februar , ed E.
Schäfer, Das Festmahl des modernen Trimalcion, in L. Castagna, E. Lefèvre (a c. di),
Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi su Petronio e sulla sua fortuna, de Gruyter,
Berlin-New York , - e -. Anche Leibniz, insomma, va menzionato
tra i ‘riscrittori’ di Petronio.
. Petrus Burmannus (Pieter Burman, -): T. Petronii Arbitri Satyricon
quae supersunt, curante Petro Burmanno, Trajecti ad Rhenum (Utrecht), apud Guilielmum Van de Water, , con le note tra gli altri di Nicolaus Heinsius (-) e
di Jacobus Gronovius (-). La II ed., curata dal figlio Gaspard, è menzionata
supra a n. (rist. anastatica, Olms, Hildesheim-New York ). Il testo di Petronio
è suddiviso in capitoli, suddivisione divenuta canonica.
. Scrivere e riscrivere Petronio
nel durante l’assedio di Belgrado (Alba Graeca). Il manoscritto conterrebbe porzioni di testo latino sino ad allora ignote:
l’anno successivo Nodot pubblica a Parigi – anche se il frontespizio reca l’indicazione di Rotterdam – l’edizione del presunto
Petronius auctior col titolo Titi Petronii Arbitri Satyricon, cum
fragmentis Albae Graecae recuperatis nunc demum integrum . L’attacco dell’apostrofe iniziale al lettore è piuttosto impegnativo in
merito alle dimensioni del ritrovamento: En tibi, Lector erudite,
Titum Petronium Romani quondam leporis Arbitrum, at eum non
ut antehac mancum, aut mutilum: sed sanum, sed incolumem, sed
suis omnibus membris restitutum. Non meno netta suona la chiusa: Hoc quoque te monitum velim, ne quid esset, quod desiderares,
Epistolas subiecimus duas, quarum quae prior totam novarum (sic)
Fragmentorum historiam, quibus scilicet artibus recuperata ea sint,
breviter simul exponit ac dilucide. Nova vero Fragmenta, ut facilius
distinguantur, Italico caractere excusa sunt. Vale .
Modernità dell’autore e incremento del testo provocano una
serie di ristampe, corredate dalla Traduction entière e aperte da
una Vie de Pétrone che rielabora e amplifica le notizie ricavate
da Tacito; le parti esegetiche, inoltre, puntano su motivazioni
edificanti, in quanto l’opera è considerata satira non troppo
coperta della corruzione della corte di Nerone, identificato con
Trimalchione, mentre il retore Agamennone sarebbe controfigura di Seneca . Non sorprende che dalla pretesa trouvaille
nasca una fitta discussione sull’autenticità dei nuovi frammenti,
ma questa volta il verdetto dei dotti è negativo: come fu se. Roterodami, Typis R. Leers, (in realtà Parisii).
. Op. cit., -. A seguire compaiono in latino la lettera dell’ottobre di
Nodot a François Charpentier (-) dell’Académie Française, con l’annuncio
che «Petroniana mihi apud me esse Fragmenta, quotquot era desiderabantur», e la
risposta del novembre successivo in cui Charpentier si congratula per il ritrovamento
ed esclama: «Tu thesaurum, cuius vel minima pars omni aestimatione superior,
totum nobis, integrumque restituis».
. Vd. per es. Traduction entière de Pétrone, suivant le nouveau manuscrit trouvé à
Bellegrade en , I-II, Cologne, chez P. Groth,; La Satyre de Petrone, traduite, avec
le texte latin suivant le nouveau manuscrit trouvé à Bellegrade en , I-II, Cologne, chez
Pierre Marteau, .
Rileggendo Petronio e Apuleio
gnalato tempestivamente , le ‘parti ritrovate’ appaiono frutto
dell’immaginazione di Nodot, che iscrive il proprio nome a
pieno titolo, come falsario petroniano, nella storia della Literary
Forgery ; falsario di tutto rispetto – è il caso di dire – dato che
la sua edizione è periodicamente ristampata e oggi fa mostra
di sé anche nella rete dei libri on-line. Dell’episodio, della fortuna delle interpolazioni nonché delle reazioni provocate danno
utilmente notizia i volumi di Walter Stolz e di Silvia Stucchi:
il primo documenta la falsificazione e passa in rassegna le edizioni di Nodot; il secondo ricostruisce un capitolo della storia
letteraria europea e mette a disposizione del lettore di casa
nostra la traduzione francese e la resa italiana dei passi interpolati, segnalando nel commento come le aggiunte di solito
servano da buon raccordo tra sezioni sconnesse per la frammentarietà del testo e diano prova della sintonia del falsario con
l’originale . Non a caso si è scritto di recente che le ragioni
per cui meritano ancor oggi di essere ristampate le aggiunte
di Nodot, apprezzabili dal punto di vista narrativo, consistono
nel fatto che «they offer good links between the fragments and
therefore make it easier to understand the whole story» .
. Vd. George Pellisier (pseud. di Claude-Ignace Breugière de Barante, ), Observations sur le Pétrone trouvé à Belgrade, Paris, Veuve Daniel Hortemels,
.
. In generale vd. J. Anson Farrer, Literary Forgery, Longman and Green, London , - (sul codex Traguriensis), - (su Simonidis); G. Bagnani, On Fakes
and Forgeries, «Phoenix» , , -; A. Grafton, Forgers and Critics. Creativity and
Duplicity in Western Scholarship, Princeton Univ. Press, Princeton ; K.K. Ruthven,
Faking Literature, Cambridge Univ. Press, Cambridge . Ulteriori dati bibliografici
in Anne H. Stevens, Forging Literary History: Historical Fiction and Literary Forgery in
Eighteenth-Century Britain, «Studies in Eighteenth Century Culture» , , -,
e in J. Martínez (a c. di), Fakes and Forgers of Classical Literature. Ergo decipiatur!, Brill,
Leiden-Boston .
. W. Stolz, Petrons Satyricon und François Nodot: Ein Beitrag zur Geschichte literarischer Falschung, Steiner, Stuttgart ; Silvia Stucchi, Osservazioni sulla ricezione
di Petronio nella Francia del XVII secolo. Il caso Nodot, Aracne, Roma . Vd. inoltre
M.E. Steinberg, Interpolaciones en el testo de Petronio: F. Nodot y las traducciones del
Satyricon, «Anales de Filología Clásica» -, -, -.
. Così C. Laes, Forging Petronius: François Nodot and Fake Petronian Fragments,
«Humanistica Lovaniensia» , , - (la citazione è tratta da p. ).
. Scrivere e riscrivere Petronio
Va subito aggiunto che il caso Nodot non pone termine alla
tentazione di produrre nuovi manoscritti con ulteriori frammenti, di inventare nuove porzioni di testo, di scrivere e riscrivere Petronio. Oltre un secolo dopo il manoscritto di Belgrado
fa la sua comparsa un presunto manoscritto rinvenuto nella
Biblioteca elvetica di San Gallo: a proclamarne il ritrovamento
e a renderlo di pubblico dominio è l’iberico José Marchena
Ruiz y Cueto (-?), ex religioso riparato in Francia per
sfuggire all’Inquisizione, vicino a Marat, poi ai Girondini, infine a Bonaparte. Presente a Basilea al seguito del generale
Moreau, Marchena studia la sessualità antica; mette pertanto a
punto un nuovo frammento petroniano (da inserire all’altezza
di Satyricon , , a integrazione dell’orgia con Quartilla) atto a corroborare il tenore delle proprie ricerche, ne dedica la
pubblicazione all’Armata napoleonica del Reno e attribuisce
versione francese e note a un fantomatico teologo di nome
Lallemand (L’Allemanno?) . Anche il Petronio di Marchena
(che nel cerca inutilmente di far pubblicare ‘nuovi’ versi
di Catullo) continua a far parte della biblioteca non solo virtuale
del presente, come mostra una riedizione uscita in Spagna di
recente .
A questo punto mette conto ricordare un caso, per così dire
opposto, da far risalire agli anni in cui Marchena oscillava tra
rivoluzionari e armata napoleonica, per poi rendere di pubblico dominio il ‘suo’ Petronio di San Gallo. Protagonista è
Jean-Gabriel La Porte du Theil (-), valente studioso del
mondo classico, membro dal de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, successivamente socio de l’Académie de
. Fragmentum Petronii ex Bibliothecae Sti Galli Antiquissimo MSS. Excerptum,
nunc Primum in Lucem Editum. Gallice vertit ac notis perpetuis illustravit Lallemandus, S.
Theologiae Doctor, Schoell, Basel («in every line it has exactly the Petronian turn
of phrase», a giudizio di Stephen Gaselee). Vd. A. Smarius, Pseudo-Petronius. Het
‘Fragmentum Petroni’ van José Marchena, Diss. Amsterdam ; J. Álvarez Barrientos,
Libertine erudition: José Marchenaìs Fragmentum Petronii and the Power of the False, in J.
Martínez (a c. di), Fakes and Forgers of Classical Literature, cit., -.
. José Marchena, Fragmentum Petronii. Edición de J. Álvarez Barrientos,
Espuela de Plata, Sevilla .
Rileggendo Petronio e Apuleio
France ricostituita e infine conservatore della Bibliothèque Nationale. Appunto nella Bibliothèque sono conservati tre volumi
petroniani, con testo latino – inclusi i falsi di Nodot –, traduzione francese e note, opera di La Porte du Theil . Della mancata
diffusione non si conoscono le ragioni effettive: si può pensare
a un episodio di censura, in contraddizione con lo spirito del
tempo che predicava la libertà di stampa e vedeva una riedizione del Pétrone latin et français di Nodot ( voll., Paris, chez Gide,
), ma non si può escludere un caso d’insoddisfazione o di
autocensura da parte di un intellettuale che metteva al primo
posto la serietà del lavoro critico .
Manoscritti ritrovati, editori sconosciuti o troppo riservati,
falsari e traduttori-fantasma: la storia di Petronio continua a
essere ricca di colpi di scena. Ed è storia che non finisce, perché
la frammentarietà del testo costringe anche i filologi di professione a fare i conti con situazioni problematiche che facilitano
il ricorso a soluzioni congetturali, dunque a riscritture editoriali. La prova più chiara è data dall’ottima edizione berlinese
curata nel da Franz Bücheler (-), uno dei maestri
della filologia tedesca del secondo Ottocento . Edizione fondamentale – va detto – che è servita e serve da base di tutte le
edizioni critiche che si sono susseguite fino ai nostri giorni, tut. Titi Petronii Arbitri Satyricôn, Quotquot Hodie Supersunt Fragmenta, Baudouin,
Paris -; BnF, rés. P.Z. -. Sempre nella Bibliothèque nationale è conservato un dossier di fogli in cui sono recensiti manoscritti, edizioni e traduzioni
francesi del Satyricon (BnF, dept. des manuscripts, papiers La Porte du Theil, vol. n°
).
. Vd. H. Omont, L’Edition du Satyricon de Pétrone par la Porte du Theil, «Journal
des Savants» , , - e , , -; D. Lanni, Pétrone au bûcher. L’édition
avortée du Satyricon de Jean-Gabriel La Porte du Theil : un exemple des enjeux, mécanismes
et paradoxes de la censure des éditions savantes au tournant des Lumières (-), in J.
Domenech, Censure, autocensure et art d’écrire, Ed. Complexe, Bruxelles , -.
. Petronii Arbitri Saturarum Reliquiae ex recensione Francisci Buecheleri, Weidmann, Berlin (editio maior, ; ); nello stesso anno esce l’editio minor:
Petronii Arbitri Saturarum Reliquiae. Adiectus est Liber Priapeorum, recensuit F. Bücheler, ibid.). La VI edizione è stata aggiornata da Wilhelm Heraeus (-): F.
Bücheler, W. Heraeus (edd.), Petronii Saturae et Liber Priapeorum, rec. F. Bücheler, ed.
sextam suppl. auctam cur. G. Heraeus, Berlin ( ; ).
. Scrivere e riscrivere Petronio
tavia non esente da tentazioni interventiste piuttosto vivaci. In
presenza di sconnessioni sintattiche o di senso Franz Bücheler
interviene, direttamente nel testo o in apparato, con congetture
personali o altrui; di contro, là dove il testo corre ma presenta iterazioni enfatiche o endiadi di natura retorica, si tende a
proporre l’espunzione di porzioni testuali condannate come
glosse esplicative via via insinuate nel testo per mano di copisti
poco attenti. L’elenco dei passi di volta in volta denunciati come
interpolazioni inizia presto e continua fino a noi . Il Novecento
non fa eccezione, se pensiamo che Konrad Müller, il benemerito curatore dell’edizione teubneriana, cioè dell’edizione di
riferimento oggi per tutti i classicisti, ha pubblicato nel corso
di oltre un quarantennio edizioni e una ristampa riveduta e
corretta (-), proponendo un testo costantemente sottoposto a revisione e notevolmente ritoccato nel tempo . Come
esempio di casa nostra si può menzionare l’edizione paraviana
curata da Gian Carlo Giardina e Rita Cuccioli Melloni: in più di
un caso la doverosa attenzione riservata alla fase dell’emendatio
sconfina in sostituzioni lessicali e parziali riscritture .
. Un primo elenco è già nell’inedito Integer Commentarius in Petronium di
Christian Friedrick W. Jacobs (-) che si legge in copia manoscritta conservata
nella Cambridge University Library e datata ; altre indicazioni in W. Wehle,
Observationes criticae in Petronium, Formis C. Georgi, Bonn . Vd. inoltre M.
Coccia, Le interpolazioni in Petronio, Edizioni dell’Ateneo, Roma ; J.P. Sullivan,
Interpolations in Petronius, «Proceedings of the Cambridge Philological Society»
, , - (che evoca l’ipotesi di Eduard Fraenkel a proposito di un precoce
Carolingian Interpolator),
. Petronii Arbitri Satyriconcum Apparatu Critico, ed. K. Müller, München, E.
Heimeran, (Müller ); Petronius. Satyrica, lat.-deutsch von K. Müller und W.
Ehlers, Heimeran, München (Müller ); Petronius. Satyrica, lat.-deutsch von
K. Müller und W. Ehlers, ibid., (Müller ); Petronii Arbitri Satyricon reliquiae, ed.
K. Müller, Teubner, Stutgardiae et Lipsiae (Müller ); Petronii Arbitri Satyricon
reliquiae. Editio iterata correctior editionis quartae (MCMXCV), Saur, MünchenLeipzig (Müller ; rist. Monachii et Novi Eboraci, W. De Gruyter, ). Vd.
M. Coccia, Konrad Müller e le interpolazioni in Petronio, «Riv. di Cultura Classica e
Medioevale» , , -.
. Petronii Arbitri Satyricom recognoverunt et emendaverunt Ioannes Carolus
Giardina et Rita Cuccioli Melloni, Corpus Paravianum, Augustae Taurinorum ;
gli interventi sul testo petroniano sono raccolti in G. Giardina, Contributi di critica
Rileggendo Petronio e Apuleio
Se dunque anche il Petronio dei filologi non è sempre eguale
a se stesso e sfida lettori ed interpreti con la sua frammentarietà e la sua incompiutezza , nessuna meraviglia che il Satyricon possa far sentire suggestioni e influenze su autori che
rappresentano, generazione dopo generazione, le voci della
modernità; basti pensare a scrittori come Anatole France, Joris
Karl (meglio, Charles-Marie-Georges) Huysmans, Oscar Wilde
(a cui è stata attribuita la traduzione uscita a Parigi nel e
firmata “Sebastian Melmoth”) , Francis Scott Fitzgerald, Thomas Stearns Eliot, Henry Miller, Pier Paolo Pasolini, Alberto
Arbasino, Gore Vidal, oppure a musicisti come Giorgio Gaslini
e Bruno Maderna . Discorso a parte meriterebbe la riscrittura
testuale. Da Catullo alla Historia Augusta, Herder, Roma , -. Il testo dell’edizione paraviana è reso in italiano in Petronio. Satyricon, a cura di Monica Longobardi,
presentazione di Cesare Segre, Barbera, Siena .
. G. Vannini, Petronio per il nuovo millennio: i traguardi raggiunti e le tendenze
della ricerca, in AA. VV., Lector, intende, laetaberis. Il romanzo dei Greci e dei Latini,
Edizioni dell’Orso, Alessandria , -.
. “Sebastian Melmoth”: Petronius. Satyricon, Charles Carrington, Paris
(reprinted as “attributed to Oscar Wilde, -”, P. Covici, Chicago ). L’attribuzione è contestata da R. Boroughs, Oscar Wilde’s Translation of Petronius: the Story
of a Literary Hoax, «English Literature in Transition» , , -. Sugli interessi e
le traduzioni inglesi per il testo petroniano vd. S. Gillespie, Petronius on Dreams:
Years of English Translations, «Translation and Literature» , , -.
. Qualche citazione alla rinfusa: G.L Schmeling, D.R. Rebman, T. S. Eliot
and Petronius, «Comparative Literature Studies» , , -; H.K. Riikonen,
Petronius and Modern Fiction: Some Comparative Notes, «Arctos» , , -; D.
Gagliardi, Petronio e il romanzo moderno. La fortuna del Satyricon attraverso i secoli,
La Nuova Italia, Firenze ; Maria Grazia Bajoni, Variazioni su Petronio: qualche
nota sulla fortuna del Satyricon nel Novecento, «Maia» , , -; M. Fusillo, Il
Satyricon di Bruno Maderna: un’opera ‘poliglotta’, «Kleos» , , -; R. Chevallier,
La bibliothèque de Des Esseintes ou le latin ‘décadent’: une question toujours d’actualité,
«Latomus» , , -; N. Endres, A Bibliography of Petronius’ Nachleben in Modern
Literature, «Petronian Society Newsletter» , ; P. Lago, Petronio e Petrolio: una
rilettura contemporanea del Satyricon, «Maia» , , -; N. Endres, Roman Fever:
Petronius’ Satyricon and Gore Vidal’s The City and the Pillar, «Ancient Narrative» ,
, -; Id., Petronius in West Egg: The Satyricon and the Great Gatsby, «The F.
Scott Fitzgerald Review» , , -; S. Pasticci, La presenza del Satyricon sulla
scena culturale degli anni Settanta, da Maderna a Pasolini, «Musica e Realtà» , ,
-, M. Fusillo, Petronius and Contemporary Novel. Between New Picaresque and Queer
Aesthetics, in M.P. Futre Pinheiro, S.J. Harrison (a c. di), Fictional Traces. Receptions of
. Scrivere e riscrivere Petronio
filmica operata da Federico Fellini, che anni or sono metteva
in scena il canovaccio di Petronio contaminato con spunti derivati da altri autori antichi (Svetonio, per esempio, e Tacito e
soprattutto Apuleio) e interpretato, fellinianamente, come una
triste dolce vita di una Roma imperiale ormai in fase di avanzata
decomposizione (Fellini-Satyricon, distribuito nel ) .
La fortuna del vero Satyricon, il testo antico più tradotto
nelle lingue moderne, non esclude – ovviamente – curiosità
e interesse per il Satyricon che non c’è, che è stato inventato
o che non è ancora stato ritrovato. Nel , per esempio, si
stampa a New York, per i tipo di Horace Liveright, la traduzione
curata da W. C. Firebaugh, corredata dai supplementi che si
devono a González de Salas, Nodot e Marchena: The Satyricon
of Petronius Arbiter. Complete and unexpurgated translation by W.
C. Firebaugh, in which are incorporated the forgeries of Nodot and
Marchena, and the readings introduced into the text by De Salas.
Sopravvissuto a un precoce processo per oscenità scaturito
dalla vena puritana della società statunitense , scomparso a
quanto risulta dopo il dai canali tradizionali di vendita,
il volume è ora accessibile come e-book (eBooks@Adelaide,
) che si scarica a pagamento da Internet o si stampa su
richiesta. Che il comune senso del pudore d’oltre Atlantico
non conosca unicamente severe pulsioni repressive sembra
the Ancient Novel, Barkuis, Groningen , -; R. Maclean, A Petronian Brothel
in the Great Gatsby, «Ancient Narrative» , , -; A. Musio, Petronio in moviola:
riscritture della Cena Trimalchionis a confronto, «Calíope» , , -.
. Vd. A. Sütterlin, Petronius Arbiter und Federico Fellini. Ein strukturanalytischer
Vergleich, Lang, Frankfurt am Main ; J. P. Sullivan, The Social Ambience in Petronius’
Satyricon and Fellini Satyricon (), in M.M. Winkler (a c. di), Classical Myth and
Culture in the Cinema, Oxford Univ. Press, Oxford , -; Joanna Paul, FelliniSatyricon: Petronius and Film, in J. Prag, I. Repath (a c. di), Petronius. A Handbook,
Blackwell, London , -: R. De Berti, E. Gagetti, F. Slavazzi (a c. di), FelliniSatyricon. L’immaginario dell’antico, Cisalpino-Monduzzi, Milano . Si veda in
questo volume Petronio e gli altri nel “Satyricon” di Federico Fellini.
. Le illustrazioni del testo, a cura di Norman Lindsay, e le interpolazioni
di Marchena comportano alla casa editrice un’accusa di pubblicazione oscena. Per
questo e per casi analoghi vd. H. McErroy, The Reception and Use of Petronius: Petronian
Pseudepigraphy and Imitation, «Ancient Narrative» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
confermare il fatto che sotto lo pseudonimo di Petronius venga
pubblicato New York Unexpurgated: An Amoral Guide for the Jaded,
Tired, Evil, Non-conforming, Corrupt, Condemned, and the Curious,
Humans and Otherwise, to Under Underground Manhattan, Matrix
House, New York . Succede così che una casa editrice
specializzata in pubblicazioni hard di non eccelso profilo (come
mostrano titoli analoghi messi in circolazione nello stesso anno)
e un compilatore di non raffinata cultura finiscano per affidarsi
al nome dell’antico autore latino per diffondere una guida ai
piaceri e alle perversioni del presente .
Intanto il ‘giuoco del Satyricon’ (per dirla alla maniera del
compianto Edoardo Sanguineti) non conosce sosta, per buona
sorte su altro piano. «Quod autem nec Nodotius nec Marchena
est ausus, id unus Arrius est aggressus, ut Encolpi Petroniani
casus ab ipsis exordiis suppositiciis denarraret»: nel Harry
C. Schnur, anzi Gaius Arrius Nurus (-), traduttore e
poeta, nel pubblicare un’ulteriore versione tedesca dell’opera
(Petron. Satyricon: Ein römischer Schelmenroman, Reclam, Stuttgart , rist. ), non resiste alla tentazione di dare vita a un
suo supplemento. Tuttavia, a differenza dei falsari d’antan, la paternità non viene celata: Gai Arri Nuri, Encolpi casus, biografia
e vicende di Encolpio, dalla nascita all’ingresso nella scuola di
retorica di Agamennone, narrate ovviamente in prima persona,
allo scopo di rendere meno sconnessa o più perspicua la storia .
. Vd. H. McElroy, The Reception and Use of Petronius cit., -.
. E. Sanguineti (-), Il giuoco del Satyricon. Un’imitazione da Petronio,
Einaudi, Torino . La traduzione di Sanguineti, insieme a quella di Piero Chiara (testo latino a cura di Federico Roncoroni) è ristampata in Petronio. Satiricon,
Mondadori, Milano .
. Vd. D. Sacré, Gai Arri Nuri Supplementum Petronianum, in G. Tournoy, D.
Sacré (a c. di), Pegasus devocatus. Studia in honorem C. Arri Nuri sive Harry C. Schnur.
Accessere selecta eiusdem opuscula inedita, Peteers, Leuven , - (Praefatio et
Encolpi casus); Chr. Laes, Imitating Petronius: H.C. Schnur’s Petronian Supplement, in
D. Sacré, G. Tournoy (a c. di), Myricae. Essays in Memory of Jozef Ijsewijn, ibid., ,
-; T. Tschögele, Petronische Prosa von John Barclay bis Harry Schnur: ein Beitrag
zur Rezeptionsgeschichte der Satyrica, «Göttinger Forum für Altertumswissenschaft»
, , -.
. Scrivere e riscrivere Petronio
Trent’anni dopo Luca Canali (Roma, -), traduttore collaudato di Petronio e già consulente di Fellini per la pellicola
del , propone una nuova versione inserita in un romanzo
ambientato nel nostro presente: Satyricon. Se Petronio l’avesse
scritto oggi, Piemme, Casale Monferrato .
Nel Ellery David Nest – probabile nomen fictum alla
stregua dell’Ellery Queen della letteratura poliziesca, come
finti suonano i titoli accademici maturati nelle improbabili Università di Osnanich of Heidelberg e di Carlboro State in East
Manchester (Massachussetts) – pubblica a proprie spese la traduzione inglese di episodi che gettano uno sguardo indiscreto sulle perversioni dell’antica Roma e che immediatamente
precederebbero l’inizio del Satyricon superstite, affermando
che derivano da un manoscritto ritrovato nel a Morazla
(Bosnia) da tal Reinhardt Strüch (fortunatamente «a German
scholar familiar with the works of ancient Rome») e già edito
da un non meglio conosciuto dr. David S. Johnson (The New
Satyricon: The Recovered Books, Monticello Park Press, NY). Il
volume del troppo Emeritus Professor Nest s’intitola The Satyricon: The Morazla Scrolls, Tamarac, Florida, Llumina Press, e
ha la pretesa di far conoscere quanto precede il vero incipit del
Satyricon, vale a dire il viaggio sulla nave di Lica da Marsilia a
Ostia, il tenore dell’offesa a Priapo e ulteriori scene che fanno rimpiangere la misurata inventiva di François Nodot. Se a
Nest si è debitori di un dettagliato e falso prologo, non manca
chi si è premurato di consegnare al lettore di oggi un nuovo
epilogo dell’opera, un finalino commemorativo che riassume
alcuni temi cari al narratore antico. Questa volta l’autore è un
personaggio reale, Andrew Dalby, linguista, storico e studioso
di gastronomia, redattore di Wikipedia nato a Liverpool nel
e titolare di un sito on-line con tanto di Curriculum vitae
et studiorum, noto soprattutto per il volume dal titolo Redisco. Vd. L. Canfora, Canali, un finale per il Satyricon di Petronio, «Il Corriere della
Sera» del .., . Merita qui un cenno anche Ugo Dèttore (-), che
durante la Seconda Guerra Mondiale pubblica una traduzione italiana del Satyricon
con alcune aggiunte: Satyricon, Bianchi-Giovini, Milano .
Rileggendo Petronio e Apuleio
vering Homer: Inside the Origins of the Epic (New York ), in
cui ripropone, approfondita, la tesi di Samuel Butler (The Authoress of the Odyssey, ) che Omero era una donna, a parere
di Dalby moglie di un nobile greco, forse «vissuta nel VII sec.
a.C. e contemporanea di Archiloco». Ebbene, poco prima di
‘documentare’ la metamorfosi femminile del cantore di Achille
e di Odisseo, Mister Dalby ha affidato a una Rivista internazionale, pubblicata dall’University California Press e specializzata
in cibi d’ogni epoca e d’ogni dove, poco più di una decina di
pagine in cui si narra di un banchetto immaginato a Marsiglia
(patria probabile dell’autore) una ventina di anni dopo l’episodio finale di Crotone: The Satyrica Concluded, in «Gastronomica.
The Journal of Food and Culture» /, , - (il banchetto,
offerto questa volta da Encolpio, viene raccontato dal ritrovato
retore Agamennone).
Insomma: tradotto e riscritto, commentato e imitato, incrementato o impoverito da editori più o meno interventisti, crocevia tra inventive antiche e recenti, Petronio si rivela davvero
come il più moderno degli scrittori antichi.
Capitolo III
Spettacoli comici, attori
e spettatori in Petronio∗
.. Scene e racconto
Dalle Quaestiones convivales di Plutarco sappiamo che era tradizione dei simposi del mondo greco concedere spazio ad attori
che recitavano scene di mimi o versi di Menandro; anzi, sempre
a detta di Plutarco, sarebbe stato più facile immaginare un simposio senza vino piuttosto che un simposio senza Menandro .
Il paradosso plutarcheo, a ben vedere, è solo apparente, se si
tiene conto di testimonianze antiche: per tempo infatti – molto
prima dell’età di Menandro e della sua fortuna parateatrale – si
deve prendere atto non soltanto della stretta connessione tra
simposio e attività poetica, ma più in generale della presenza
di aspetti spettacolari entro la cornice della commensalità. Per
esempio, il Simposio di Senofonte ( a.C.), nel descrivere il
banchetto immaginato nella dimora del ricco Callia in occasione della vittoria nel pancrazio ottenuta nelle Panatenee del
a.C. dal favorito del padrone di casa, presenta una situazione
interessante per la storia degli spettacoli privati. Nell’intervallo
tra banchetto e simposio un ‘impresario’ di Siracusa introduce
∗
La prima stesura è comparsa in M. Blancato, G. Nuzzo (a cura di), La commedia latina: modelli, forme, ideologia, fortuna, Istituto Nazionale del Dramma Antico,
Siracusa , -.
. Plut. Quaest. conv. b e b. Vd. C. Corbato, Symposium e teatro: dati e
problemi, e G. Brugnoli, Mimi edaces, in F. Doglio (a c. di), Spettacoli conviviali dall’antichità classica alle corti italiane del ‘, Viterbo , - e - (il contributo di C.
Corbato è ristampato in ΟΙΝΗΡΑ ΤΕΥΧΗ. Studi triestini di poesia conviviale, a c.
di K. Fabian, E. Pellizer, G. Tedeschi, Alessandria , -).
Rileggendo Petronio e Apuleio
nella sala una flautista, una ballerina e un suonatore di cetra che
allietano i commensali (tra cui siede Socrate), intercalando ai
discorsi dei presenti esibizioni di particolare destrezza (danza
dei cerchi e delle spade); infine, al termine dei conversari, l’uomo di Siracusa presenta due ballerini – femmina e maschio –
che interpretano, con danza apertamente mimetica, l’incontro
tra Arianna abbandonata e Dioniso sulla spiaggia di Nasso. Sul
contenuto erotico dello spettacolo non ci dovrebbero essere
dubbi, se diamo retta al commento finale d’autore: «Quando i
simposiasti li videro strettamente allacciati tra loro e far le viste
di andare a letto insieme, i celibi giuravano di volersi sposare,
mentre gli ammogliati in tutta fretta partivano a cavallo alla
volta delle proprie spose, per godere della loro compagnia. [. . . ]
Questa fu allora la conclusione del simposio».
Bene: il binomio tra convito e spettacolo sembra godere
di tradizione di lunga durata, tanto più se si ammette che le
pratiche di commensalità in vigore nelle ricche dimore greche
possono riprodurre, in forma minore e privata, prassi conviviali
attestate nelle regge dell’epica omerica, come fa fede tra l’altro
l’iporchema narrato in Odissea , -, vale a dire gli amori
di Ares e Afrodite cantati da Demodoco nella reggia dei Feaci durante il banchetto in onore dell’ospite (ancora per poco)
ignoto, mentre un coro di giovanetti mima l’episodio mitico,
destinato a grande fortuna come motivo filosofico-letterario e
come prototipo celeste dei mimi d’adulterio . Ma se il simpo. Xen. Symp. , -, - e ; , -. Vd. B. Huss, The Dancing Socrates and the
Laughing Xenophon, or the Other Symposium, «American Journal of Philology» ,
, -; A. Andrisano, Lo spettacolo privato del Simposio senofonteo: riflessioni
a proposito dell’esegesi di IX -, «Annali dell’Università di Ferrara» , , -; V.
Wohl, Dirty Dancing: Xenophon’s Symposium, in P. Murray, P. Wilson (a c. di), Music
and the Muses. The Culture of ‘Mousiké’ in Classical Athens, Oxford , -. Sulla
mimesi che compete all’arte degli orchestai si discute a partire da Aristot. Poet. a
-: «Di solo ritmo, senza unione di musica e canto, consiste l’arte dei danzatori:
anche costoro mediante ritmi e figure imitano caratteri, passioni e azioni».
. Vd. W. Burkert, Das Lied von Ares und Aphrodites. Zur Verhältnis von Odyssee
und Ilias, «Rheinisches Museum» n. F. , , - (= The Song of Ares and Aphrodite, in Homer, in W. Burkert, Classical Scholarship in Translation, a c. di P.V. Jones e
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
sio greco offre spazi e opportunità per sezioni spettacolari in
grado di assicurare divertimento e buona digestione, bisogna
attendere l’avvento dell’impero romano per trovare, con buona
frequenza, situazioni speculari e inverse in cui sono le forme
dello spettacolo a dettare le leggi del convito. Naturalmente,
l’operazione appare facilitata se il regista del convito coincide
con l’imperatore o, comunque, con personaggi di grandi mezzi
e grande potere. In merito non è necessario prendere le mosse
dai costosi pranzi quotidiani di Lucullo o dalla grandiosa cena
pontificale allestita nel a.C. da Quinto Cecilio Metello Pio,
per poi scomodare tardi allestimenti sfarzosi alla maniera di
Elagabalo, lungo itinerari precipiti di immaginate e deplorate
decadenze ; sono infatti sufficienti notizie coeve all’avvento del
principato. A tacere delle esibizioni conviviali di Lucio Munazio
Planco alla corte di Antonio e Cleopatra (note da Velleio Patercolo , , : cum caeruleatus et nudus caputque redimitus arundine
et caudam trahens, genibus innixus Glaucum saltasset in convivio) ,
G.M. Wright, Oxford , -); B.K. Braswell, The Song of Ares and Aphrodite:
Theme and Relevance to Odyssey , «Hermes» , , -; C.G. Brown, Ares,
Aphrodite, and the Laughter of the Gods, «Phoenix» , , -; S. Grandolini, Gli
Amori di Ares e Afrodite nel Canto di Demodoco (Od. , -): un esempio antichissimo di
ΣΠΟΥΔΟΓΕΛΟΙΟΝ, in C. Santini, L. Zurli (a c. di), Ars Narrandi. Scritti di Narrativa Antica in Memoria di Luigi Pepe, Perugia , -; M.J. Alden, The Resonances
of the Song of Ares and Aphrodite, «Mnemosyne» , , -; L. Edmunds, Mars
as Hellenistic Lover: Lucretius, De rerum natura , - and its Subtexts, «International
Journal of the Classical Tradition» , , -; J. Burgess, Neoanalysis, Orality and
Intertextuality. An Examination of Homeric Motif Transference, «Oral Tradition» , ,
-; R. Palmisciano, Gli amori di Ares e Afrodite (Od. , -). Statuto del discorso
e genere poetico, «Seminari Romani» , , -; T. Braccini, Divino scandalo. Gli
amori di Ares e Afrodite tra folktales e storie sacre, in AA.VV., Il trono variopinto. Figure e
forme della Dea dell’Amore, Alessandria , -.
. Per Lucullo vd. Plut. Luc. -; elenco dei prestigiosi convitati e ricco menu
della cena del a.C. si leggono in Macr. , , - (vd. N. Marinone, Il banchetto
dei pontefici in Macrobio, in Id., Analecta graecolatina, Bologna , -); per le
dispendiose e controverse abitudini di Elagabalo si rinvia a Hist. Aug., Heliog. - (vd.
M. Sommer, Elagabal, Wege zur Konstruktion eines ‘schlechten’ Kaisers, «Scripta Classica
Israelica» , , -; G. Mader, History as Carnival, or Method and Madness in the
Vita Heliogabali, «Classical Antiquity» , , -).
. La presenza del verbo saltare sembra evocare un’esibizione di pantomima.
Vd. S. Swain, Novel and Pantomime in Plutarch’s ‘Antony’, «Hermes» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
da Svetonio veniamo a sapere che ad Augusto (almeno in gioventù) non dispiacesse intervenire come attore in spettacoli
audaci a uso privato. Così in Aug. viene ricordata una poco
morigerata esibizione teatral-gastronomica anteriore ad Azio:
«Fu molto famosa una sua cena segreta che dalla voce popolare
veniva chiamata dei ‘Dodici Dèi’, durante la quale i convitati
avevano preso posto in veste di dèi e di dee e il principe stesso
si era travestito da Apollo. Non gliela rinfacciano solo le lettere
di Antonio, il quale enumera con critica molto pungente i nomi
di tutti i partecipanti, ma anche questi notissimi versi circolanti
sotto anonimato: «Quando per questa mensa fu ingaggiato il
corego / e la casa di Manlio vide sei dèi e sei dee, / con Cesare empiamente travestito da Apollo / a imbandire adulterii
di numi finora sconosciuti, / distolsero gli occhi dal mondo
tutti i celesti / e lo stesso Giove fuggì dall’aureo suo trono. Ad
aumentare lo scandalo della cena furono la carestia e la fame di
cui soffriva allora la città».
Appunto sotto Augusto, nel a. C. secondo il Chronicon di
S. Gerolamo, decolla a Roma la pantomima, grazie agli attoridanzatori Batillo di Alessandria e Pilade di Cilicia, esperti (o iniziatori) di esibizioni mimetiche su temi mitologici, specializzato
il primo in danze comico-parodiche (saltatio hilara), il secondo
in danze drammatiche (saltatio tragica). La rappresentazione –
vero e proprio teatro di gestualità, musica e danza, a svantaggio della parola – ha come protagonisti un coro, un’orchestra,
istrioni e danzatori . Si noti: il fatto che Pilade sia liberto di
. Sul repertorio dei pantomimi (orchestai, saltatores, histriones) informa Lucian. De saltatione. Vd. per es. V. Rotolo, Il pantomimo: studi e testi, Palermo ;
M. Kokolakis, Pantomimos and the Treatise perì orchéseos, «Platon» , , -; J.-P.
Morel, Pantomimus allectus inter iuvenes, in J. Bibauw (a c. di), Hommages à M. Renard,
Bruxelles , –; M.L. Angrisani Sanfilippo, Testimonianze sulla fortuna del
pantomimo a Roma, «Studi Romani» , , -; H. Leppin, Histrionen. Untersuchungen zur sozialen Stellung von Bühnenkünstlern im Westen des röm. Reiches zur
Zeit der Republik und des Principats, Bonn ; G.F. Gianotti, Forme di consumo teatrale: mimo e spettacoli affini, in O. Pecere, A. Stramaglia (a c. di), La letteratura di
consumo nel mondo greco-latino, Bari , -; E.J. Jory, The Drama of the Dance.
Prolegomena to an Iconography of Imperial Pantomime, in W.J. Slater (a c. di), Roman
Theater and Society, Ann Arbor , -; M.E. Molloy, Libanius and the Dancers,
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
Augusto e Batillo di Mecenate aiuta a comprendere quali siano
gli orientamenti della corte in tema di spettacoli (popolari), con
buona pace della polemica oraziana contro il cattivo gusto della
plebecula e a difesa del teatro dotto modellato sugli exemplaria
greca. Sempre ai tempi di Augusto è attivo a Roma il mimografo
greco Filistione: autore di komodìai biologikài, sembra il primo
a insistere su temi decisamente erotici, potenziando gli aspetti
audaci e scollacciati che accompagnano la vicenda del mimo
nella società imperiale . È comunque probabile che i suoi testi
fossero letterariamente sostenuti e facessero rivivere accenti
di buona tradizione poetica, a giudicare dalla messa a punto
di una synkrisis tra Menandro e Filistione destinata a discreta
circolazione scolastica e, chissà, a recite alternate durante i
Hildesheim-Zürich-New York ; M.-H. Garelli-François, La pantomime antique ou
les mythes revisités: le repertoire de Lucien (Danse, -), «Dioniso» n.s. , , -;
E.J. Jory, Roman Pantomime, London ; I. Lada-Richards, Silent Eloquence. Lucian
and Pantomime Dancing, London ; E. Hall, R. Wyles (a c. di), New Directions
in Ancient Pantomime, Oxford ; M. Cadario, L’immagine di una vedette del pantomimo: l’altare funebre di Teocritus Pylades (CIL ) tra Lodi e Milano, «Stratagemmi.
Prospettive Teatrali» , , -; A. Zanobi, Seneca’s Tragedies and the Aesthetics
of Pantomime, London-New York ; G. Tedeschi, Spettacoli e trattenimenti dal IV
sec. a.C. all’età tardo-antica secondo i documenti epigrafici e letterari, Trieste ; Id.,
Raccontar danzando. Excursus sulla pantomima imperiale, «Camenae» , , -.
. Un’idea sulla natura dei mimi obscena iocantes d’età augustea si ricava da
Ovidio (Tristia , -). Vd. R.W. Reynolds, The Adultery Mime, «The Classical
Quarterly» , , -; P.E. Kehoe, The Adultery Mime Reconsidered, in D.F. Bright,
E.S. Ramage (a c. di), Classical Texts and their Tradition. Studies in Honor of C.R.
Trahman, Chico (California) , -; E. Rawson, The Vulgarity of the Roman
Mime, «Liverpool Classical Papers» , , -; S. Perea Yébenes, Extranjeras en
Roma y en cualquier lugar: mujeres mimas y pantomimas, el teatro en la calle y la fiesta
de Flora, in G. Bravo, R. Gonzáles Salinero (a c. di), Extranjeras en el Mundo Romano,
Madrid , -; C. Panayotakis, Comedy, Atellane Farce and Mime, in S. Harrison (a
c. di), A Companion to Latin Literature, Oxford , -; Id., Women in the GraecoRoman Mime of the Roman Republic and the Early Empire, «Ordia Prima» , , -;
L. Cicu, Il mimo teatrale greco-romano. Lo spettacolo ritrovato, Roma ; M. Andreassi,
«Adultery Mime»: da pratica scenica a modello ermeneutico, «Rheinisches Museum» ,
, -; V. Gonzáles Galera, Histrionicus miles: mimos en las cohortes vigilum y en
ejército romano, «Conventus Classicorum» , , -.
. S. Jäkel (ed.), Menandri sententiae. Comparatio Menandri et Philistionis, Lipsiae
; vd. C. Pernigotti, La “Comparatio Menandri et Philistionis”: tradizione del testo
e morfologie testuali, in M.S. Funghi (a c. di), Aspetti di letteratura gnomica nel mondo
Rileggendo Petronio e Apuleio
banchetti; sappiamo però bene che nella storia del mimo e
della pantomima il testo non rappresenta certo l’ingrediente
più importante e decisivo.
Tuttavia, se risulta secondaria ai fini dell’esecuzione di spettacoli del genere (e in prospettiva delle nostre conoscenze in
proposito), la presenza di un testo ritrova tutta la centralità e
l’importanza, quando altri generi letterari trasmettano notizie,
ricostruiscano ed evochino situazioni, subiscano e accolgano
nel proprio tessuto connettivo il riverbero di immagini e cadenze proprie di tali rappresentazioni. Possiamo quindi riprendere
il discorso là dove si era interrotto, in vista cioè di descrizioni
di conviti in cui si avvertano espliciti richiami ai modi della
teatralità popolare, di quella teatralità, dunque, che a Roma
risulta largamente egemone, anche perché – come si è detto
– voluta o incoraggiata dal potere imperiale. Quanto sin qui
premesso muove, ovviamente, nella direzione della narrativa
antica e suggerisce un’inevitabile incursione nel Satyricon di
Petronio, con particolare attenzione al grande intermezzo noto
come Cena Trimalchionis (Petron. , - , ) .
Non è questa la sede per ridiscutere l’identità dell’autore
o l’eventualità che in Trimalchione vada ravvisata la caricatura di qualche imperatore; mi limito a dire che, in compagnia
della grande maggioranza degli studiosi più recenti , ritengo
antico, II, Firenze , - (a C. Pernigotti si deve l’ed. delle Menandri sententiae,
Firenze ). La notizia del lessico Suda (F Adler) che Filistione possa essere
l’autore del Philogelos è accettata o contestata periodicamente dagli studiosi, a far data
da H. Reich, Der Mimus. Ein litterar-entwickelungsgeschichtlicher Versuch, Berlin
(rist. Hildesheim ), -, convinto che molti spunti della raccolta risalgano
a mimi di Filistione: rassegna in M. Andreassi, Le facezie del Philogelos, Lecce ,
-.
. Per edizioni, traduzioni e commenti si rinvia alla Nota bibliografica del primo
saggio qui ristampato. Per le realtà conviviali romane vd. per es. N.W. Slater (a c.
di), Dining in a Classical Context, Ann Arbor ; E. Gowers, The Loaded Table:
Representations of Food in Roman Literature, Oxford ; K. Dunbabin, The Roman
Banquet: Images of Conviviality. Cambridge ; M.B. Roller, Diner Posture in Ancient
Rome: Bodies, Values and Status, Princeton .
. Come si ricava dal lavoro di K.F.C. Rose, The Date and Author of the Satyricon,
Leiden . Vd. W. Keulen, Il romanzo latino, in L. Graverini, W. Keulen, A. Barchiesi,
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
che l’autore del Satyricon sia da identificare col personaggio
descritto da Tacito in Annales , - e che nella figura di Trimalchione non sia delineato un profilo specifico e riconoscibile,
ma che ai connotati di più d’un principe dei Giulio-Claudi si
sommino i tratti marcatamente grotteschi di qualche personaggio comico . Piuttosto, ci si limiterà a ribadire come gli aspetti
comici e umorosi della prosa petroniana siano in buona misura
tributari e, insieme, concorrenti degli spettacoli di età imperiale.
Insomma, ammesso che si possa parlare di ‘romanzo comico’
per il Satyricon , si deve altresì ammettere che il ridiculum non
sia unicamente di natura verbale (giochi di parole, motti di
spirito, cambio repentino di registri espressivi, malintesi voluti
o involontari, sermo cotidianus e accensioni letterarie, lessico
scabroso e sintassi perturbata, riuso di espressioni proverbiali),
ma si realizzi anche mediante descrizione di colpi di scena,
drammaticità di dialoghi, caratterizzazione farsesca di personaggi, scenari pacchiani e trovate a sorpresa . In effetti, in tale
Il romanzo antico. Forme, testi, problemi, Roma , -.
. Da condividere le considerazioni di E. Courtney, A Companion to Petronius,
Oxford-New York , -.
. In proposito si possono vedere B.E. Perry, Petronius and the Comic Romance,
«Classical Philology» , , -; Chr. Stöcker, Humor bei Petron, Diss. ErlangenNürnberg ; D. Gagliardi, Il comico in Petronio, Palermo ; N.W. Slater, Reading
Petronius, Baltimore-London ; S. Ruden, Toward a Typology of Humour in the
Satyricon of Petronius, Cambridge (Mass.) ; M. Plaza, Laughter and Derision in
Petronius’ Satyrica: a Literary Study, Stockholm ; Ead., The Culture of Folk Humour
in Petronius’ Cena Trimalchionis, «Literary Imagination» , , -; V. Rimell,
The Satiric Maze: Petronius, Satire and the Novel, in K. Freudenburg (a c. di), The
Cambridge Companion to Roman Satire, Cambridge , -.
. Già B.E. Perry, The Ancient Romances. A Literary-Historical Account of their
Origins, Berkeley-Los Angeles , , ha osservato come il ‘romanzo’ antico
costituisca una forma letteraria fluida quanto a fonti e definizioni, ma capace di far
rivivere a parole passione per il mondo degli spettacoli e aspetti della vita teatrale.
Sui rapporti tra teatro e narrativa vd. per es. J.W.H. Walden, The Stage-terms in
Heliodorus’s Aethiopica, «Harvard Studies in Classical Philology» , , -; E.
Marino, Il teatro nel romanzo: Eliodoro e il codice spettacolare, «Materiali e Discussioni»
, , -; Th. Paulsen, Inszenierung des Schicksals: Tragödie und Komödie im
Roman des Heliodorus, Trier ; E. Mignogna, Leucippe in Tauride (Ach. Tat. , -):
mimo e ‘pantomimo’ tra tragedia e romanzo, «Materiali e Discussioni» , , -;
D. Crismani, Il teatro nel romanzo ellenistico d’amore e d’avventura, Alessandria ; S.
Rileggendo Petronio e Apuleio
ottica, la Cena Trimalchionis offre un campionario spettacolare
di prim’ordine ; proviamo a scorrerne insieme il catalogo.
.. Scene da una Cena: chi narra e chi guarda
A voler iniziare dai commensali della Cena, si può dire che la
miscela non inerte di personaggi di scuola, come il praeceptor eloquentiae Agamennone e i presunti scholastici Encolpio e
Ascilto , a contatto con Trimalchione e gli altri liberti presenti a
Couraud Lalanne, Théâtralité et dramatisation rituelle dans le roman grec, «Groningen
Colloquia on the Novel» , , -; L. Graverini, La scena raccontata: teatro e
narrativa antica, in F. Mosetti Casaretto (a c. di), La scena assente? Realtà e leggenda
sul teatro nel medioevo, Alessandria , - (sintesi in L. Graverini, W. Keulen, A.
Barchiesi, Il romanzo antico, cit., sgg.).
. Vd. P.G. Walsh, The Roman Novel. The Satyricon of Petronius and the Metamorphoses of Apuleius, Cambridge , -; G.N. Sandy, Scaenica Petroniana, «Transactions and Proceedings of the American Philological Association» , , -;
G. Rosati, Trimalchione in scena, «Maia» , , - (= Trimalchio on Stage, in
Oxford Readings in the Roman Novel, ed. by S.J. Harrison, Oxford , -); N.W.
Slater, Reading Petronius, cit., -; C.P. Jones, Dinner Theater, in N.W. Slater (a
c. di), Dining in a Classical Context, cit., -; S. Bartsch, Actors in the Audience:
Theatricality and Doublespeak from Nero to Hadrian, Cambridge Mass. (Appendix
: The Cena Trimalchionis as Theater, -); M. Faltenbacher, Anmerkungen zur Cena
Trimalchionis des Petron, «Anregung» , , -; L.A. Callari, La Cena come spettacolo e lo spettacolo come cena nel Satyricon di Petronio, Palermo ; C. Panayotakis,
Theatrum Arbitri. Theatrical Elements in the Satyrica of Petronius, Leiden , in part.
- (vd. S. Morton Braund, Petronius on Stage, «Classical Review» , , -);
V. Rimell, Petronius and the Anatomy of Fiction, Cambridge , - (Behind the
Scenes); M.E. Steinberg, El escenario teatral en la Cena de Trimalción: ex machina y
parodia, in S. López Moreda, J. Gómez Santa Cruz (a c. di), Ideas. Las varias caras del
conflicto: guerra y culturas enfrentadas, Madrid , -; J. Augier-Grimaud, La
théâtralité dans la Cena Trimalchionis: esthétique du vulgaire et fracture sociale, «Bulletin
de l’Association G. Budé» , -; S.D. Steven, From Drama to Narrative. The
Reception of Comedy in the Ancien Novel, in S.D. Olson (a c. di), Ancient Comedy and
Reception, Berlin , -. Non manca chi sostiene che il testo petroniano vada
preso in considerazione non solo in funzione della lettura ma anche della recitazione:
V. Rudich, Petronius: the Immoral Immoralist, in Id., Dissidence and Literature under
Nero: the Price of Rhetoricization, London , .
. Così in , Encolpio dice ad Ascilto: et tu litteras scis et ego; e Ascilto replica:
hodie . . . tamquam scholastici ad cenam promisimus. Sulla figura dello scholasticus
nel mondo antico e sulla tradizione che lo vuole oggetto di battute e storielle
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
tavola contiene un elemento d’immediata portata drammatica,
vale a dire la differenza sociale e culturale tra i due gruppi. Tale
dislivello è destinato a sfociare in triplice esito: l’ammirazione
stuporosa e costante dei primi di fronte alle lautitiae della
dimora (, : casula erat, nunc templum est) e della mensa (dum
omnia stupeo di , ; repleti voluptatibus di , ; in his eramus
lautitiis di , ; potantibus ergo nobis et accuratissime lautitias
mirantibus di , ; damus omnes plausum di , ; ‘sophos’ universi
clamamus di , ; damnavi ego stuporem meum di , ; mirari nos
celeritatem coepimus di , ; plausum post hoc automatum familia
dedit di , ; comprobamus nos factum di , ; nec diu mirari licuit
tam elegantes strophas di , ; attonitis admiratione universis di
, ; miramur nos et pariter credimus di , ); i conversari dei
convitati (Filerote, Ermerote, Echione, Seleuco, Ganimede, Nicerote, Abinna, ovvero una sorta di “Convito dei Sette / Otto
diversamente Sapienti”) ; la tensione tra gli ex-schiavi e gli
comiche vd. M. Andreassi, Le facezie del Philogelos, cit., -. Sui nomi parlanti – esito
che accomuna il Satyricon e la tradizione della commedia – vd. S. Priuli, Ascyltus.
Note di onomastica petroniana, Bruxelles ; G. Petrone, Nomen/omen: poetica e
funzione dei nomi (Plauto, Seneca, Petronio), «Materiali e Discussioni» -, , -;
J. Perkins, Trimalchio: Naming Power, in S.J. Harrison, M. Paschalis, S. Frangoulidis (a
c. di), Metaphor and the Ancient Novel, Groningen , -; H. Solin, Onomastica
petroniana. Il senso nascosto dei nomi nel Satyricon, «Il Nome nel Testo» , , -.
. Il tema delle lautitiae, vere o caricaturali (comunque sempre esibite), corre lungo l’intero testo superstite del Satyricon. Vd. , (episodio di Quartilla: in
proximam cellam ducti sumus, in qua tres lecti strati erant et reliquus lautitiarum apparatus splendidissime expositus); , (Trimalchio lautissimus homo); , (cum has ...
miraremur lautitias); , (in his eramus lautitiis, cum Trimalchio ad symphoniam allatus
est); , (potantibus ergo nobis et accuratissime lautitias mirantibus); , (nec adhuc
sciebamus nos in medio lautitiarum, quod aiunt, clivo laborare); , (an tibi non placent
lautitiae domini mei?); , (Scissa lautum novendialem servo suo misello faciebat); ,
(has lautitias aequavit ingeniosus cocus); , (in aliud triclinium deducti sumus ubi
Fortunata disposuerat lautitias); , (Eumolpo: utinam quidem, «inquit», sufficeret
largior scena, id est vestis humanior, instrumentum lautius, quod praeberet mendacio fidem);
, (Enothea, ne quod vestigium sceleris superesset, totum anserem laceratum verubus
confixit, epulasque etiam lautas paulo ante, ut ipsa dicebat, perituro paravit).
. Con tracce di parodia filosofica, come ricorda F. Bessone, Discorsi dei liberti e
parodia del “Simposio” platonico nella “Cena Trimalchionis”, «Materiali e Discussioni»
, , -; vd. anche F. Dupont, Le plaisir et la lois. Du “Banquet” de Platon au
“Satiricon”, Paris ; J. Bodel, The Cena Trimalchionis, in H. Hofmann (a c. di), Latin
Rileggendo Petronio e Apuleio
uomini di lettere che porta, come vedremo, a forme di scontro
verbale, blando quello di Trimalchione in persona che fa la lezione al retore Agamennone (, e , -), acceso e risentito
sul piano sociale quello di Ermerote nei confronti di Ascilto e
Gitone (-). Succede così che gli scholastici siano ammessi
alla Cena non solo come invitati, ma anche (o soprattutto) come
narratori e spettatori interni al racconto. Lo spettacolo inizia
subito, ancor prima dell’ingresso nella casa dell’ospite, in quanto già la scena preliminare del bagno attira lo sguardo, genera
sorpresa e suscita ammirazione e promuove il racconto: «Noi
nel frattempo, vestiti di tutto punto, cominciamo a gironzolare
o, piuttosto, a scherzare e ad avvicinarci ai crocchi di giocatori,
quando all’improvviso vediamo un vecchio calvo, vestito d’una
tunica rosso-vivo (videmus senem calvum, tunica vestitum russea)
che gioca a palla in mezzo a una schiera di schiavi giovanetti
dalle lunghe chiome. E non erano tanto i ragazzotti, sebbene
ne valesse la pena, a costituire lo spettacolo che aveva attirato
i nostri sguardi (ad spectaculum duxerant), quanto il padrone di
quella schiera che in ciabatte (soleatus) si esercitava con una
palla verde-pisello. Né mai si curava di raccogliere quella che
cadeva a terra, ma c’era uno schiavo che ne aveva un sacco
pieno e riforniva a sufficienza i giocatori. Notammo altresì delle
novità (notavimus etiam res novas): due eunuchi, infatti, stavano
in piedi a due estremità opposte del cerchio; di questi l’uno
reggeva in mano un pitale d’argento, l’altro contava le palle,
non quelle – però - che rimbalzavano da una mano all’altra
nel gioco dei rilanci, ma quelle che cadevano a terra. Mentre
restiamo ammirati di fronte a queste raffinatezze (cum has ergo
Fiction. The Latin Novel in Context, London-New York , -. Atteggiamenti
del genere non sono assenti dai mimi di Decimo Laberio: vd. per es. T. De Filippi,
Laberio e i filosofi, «Quaderni del Dip. di Filologia, Linguistica e Tradizione Classica.
Univ. di Torino» , -.
. È troppo vedere in questo termine un’allusione al mimo, cioè al genere di
spettacolo che rinuncia all’impiego di maschere sceniche e all’uso di calzari (fabula
planipedaria, mimi excalceati), per puntare sulla gestualità e la mimica del volto o, più
in generale, sull’espressività del corpo senza eccessivi impacci?
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
miraremur lautitias), giunge di corsa Menelao e dice: “È questo
l’uomo presso il quale state per mettervi a tavola; anzi, state
già vedendo l’inizio della cena (iam principium cenae videtis)” .
Menelao aveva appena terminato di parlare che Trimalchione
fece schioccare le dita; a quel segnale l’eunuco gli pose sotto
il pitale mentre quello continuava a giocare. Liberata la vescica, egli chiese dell’acqua per le mani; bagnata appena la punta
delle dita, se le asciugò tra i capelli di un servitorello. Sarebbe
troppo lungo elencare ogni dettaglio. Entrammo dunque nella
stanza da bagno: riscaldati dalla sudata, nel giro di un attimo
passammo alla doccia fredda. Già Trimalchione, cosparso da
capo a piedi d’unguento, veniva asciugato non con semplici
teli di lino, ma con accappatoi di lana morbidissima. Intanto,
sotto i suoi occhi, tre massaggiatori bevevano del Falerno e
poiché, tra risse e litigi, ne versavano a terra la maggior parte,
Trimalchione affermava che questo era un brindisi alla sua salute. Quindi, avvolto in una coperta di colore scarlatto (involutus
coccina gausapa), fu fatto accomodare sulla lettiga, preceduta
da quattro battistrada ornati di insegne e da una carrozzina a
mano in cui veniva trasportato il suo favorito, un ragazzino
piuttosto vizzo, cisposo, ancora più brutto del suo padrone.
Mentre dunque veniva portato via, gli si avvicinò all’altezza del
capo un musicante con un flauto di piccolissime dimensioni e
come se avesse da dire qualche segreto all’orecchio, continuò a
suonare per tutto il tragitto. Noi lo seguiamo, ormai pieni di
ammirazione (sequimur nos admiratione iam saturi), e in compagnia di Agamennone giungiamo alla porta di casa sul cui stipite
era affissa una targa con questa iscrizione: “qualunque schiavo
uscirà di casa senza ordine del padrone riceverà cento nerbate”.
Del resto proprio all’ingresso c’era il portiere vestito di verde
con tanto di cintura color ciliegia (ostiarius prasinatus, cerasino
succinctus cingulo) ed era intento a pulire piselli in un piatto
. Vera e propria «didascalia da teatro», secondo M. Barchiesi, L’orologio di
Trimalchione: struttura e tempo narrativo in Petronio (), in Id., I moderni alla ricerca
di Enea, Roma , .
Rileggendo Petronio e Apuleio
d’argento (in lance argentea). Sulla soglia, poi, stava appesa una
gabbia dorata (cavea pendebat aurea) nella quale una gazza dalle
penne screziate (pica varia) salutava coloro che entravano» (,
- , ).
In effetti, lo spettacolo – vivacissimo – è assicurato fin dai
preliminari e non lascia dubbi sull’intenzionale imitatio vitae
di quotidiane realtà. Lo sguardo del narratore e dei suoi compagni (videmus, notavimus, videtis, singula excipere, admiratione
saturi) è catturato da un personaggio vistoso, un vecchio calvo
(figura propria del teatro popolare, della farsa atellana e del
mimo) avvolto in colori sgargianti, rappresentato in atteggiamenti ludici e triviali, accompagnato da un corteo multiforme
(giovani schiavi dotati di lunghi capelli, eunuchi, massaggiatori,
musicisti) che gronda opulenta ostentazione e prefigura meno
lieta comitiva , seguito infine dagli stessi spettatori fin sulla
soglia di casa, dove i colori dell’ostiarius (a tacere dalla variegata
livrea di gazze loquaci) raddoppiano il colpo d’occhio prodotto
dai colori padronali e l’oro e l’argento di gabbie e supellettili confermano ostentate opulenze. La situazione non cambia
con l’ingresso nella sontuosa dimora dell’anfitrione, in quanto
di sorpresa e ammirazione non minori sono oggetto le pareti
dipinte dell’atrio (, -) e le decorazioni in postibus triclinii
(, -) . Entro i confini di questo impressionante scenario gli
. Vd. L. Cicu, Moechus calvus, «Sandalion» -, , -.
. Secondo D. Gagliardi, Il corteo di Trimalcione. Nota a Petron. , -, «Riv. di
Filologia e di Istruzione Classica» , , - (cfr. Id., Il tema della morte nella
Cena petroniana, «Orpheus» , , -), il piccolo corteo evocherebbe un corteo
funebre, in linea con la costante preoccupazione della morte che aleggia nel contesto
della Cena. Vd. W. Arrowsmith, Luxury and Death in the Satyricon, «Arion» , ,
-; A.D. Leeman, Morte e scambio nel romanzo picaresco di Petronio, «Giornale
Italiano di Filologia» , , -; C. Chandler, First Impressions: Eschatological
Allusion in Petronius, Satyrica -, in C. Deroux (a c. di), Studies in Latin Literature
and Roman History, XII, Bruxelles , –.
. Vd. G. Bagnani, The House of Trimalchio, «American Journal of Philology» ,
, -; L. Bocciolini Palagi, L’apoteosi di Trimalchione e l’arte plebea del curiosus
pictor (Petr. Sat. , -), «Quaderni di Cultura e Tradizione Classica» , , -;
B. Wesenberg, Zur Wanddekoration im Hause des Trimalchio, in L. Castagna, E. Lefèvre
(a c. di), Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi su Petronio e sulla sua fortuna,
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
scholastici rivelano la propria caratura di ‘intellettuali di rango
minore’ e finiranno per abbandonare il ruolo effettivo di protagonisti a Trimalchione e ai liberti suoi pari, per comportarsi
da spettatori stupiti e ammirati del mimus vitae che si svolge
di fronte e accanto a loro, costretti – dall’autore nascosto che
usa la parodia ai danni dei suoi personaggi – a registrare la
supremazia dei gesti e delle parole degli indocti e a prendere
atto dell’inadeguatezza e dell’inefficacia dei propri studi e della
propria eloquenza. Insomma, insieme ai suoi compari, risulta
più attendibile dei presunti specialisti del discorso pubblico
un parvenu, astuto ed esibizionista, che si vanta di lasciare agli
eredi una smisurata fortuna e di «non aver mai ascoltato un
filosofo» . Sembra allora pienamente confermata la discussione de causis corruptae eloquentiae con cui si apre, segnata dalle
parole di Encolpio, quello che per noi è l’incipit del Satyricon:
le tirate dei declamatori sarebbero da tollerare, «se aprissero
la strada a chi aspira all’eloquenza. Ora invece dall’enfasi degli
argomenti e dal vuoto baccano delle espressioni i giovani ricavano un unico vantaggio: una volta giunti nel foro pensano di
esser stati sbalestrati in un altro pianeta (putent se in alium orbem
terrarum delatos). Ritengo perciò che gli adolescenti a scuola
finiscano per rimbecillire del tutto, perché non ascoltano e non
vedono nulla di quanto abbiamo a portata di mano (quia nihil
ex his, quae in usu habemus, aut audiunt aut vident)» . Perché
Berlin-New York , -.
. Vd. A. La Penna, L’intellettuale emarginato da Orazio a Petronio, in AA.VV, Il
comportamento dell’intellettuale nella società antica, Genova , -.
. Per dirla alla maniera di G.B. Conte, L’autore nascosto. Un’interpretazione del
Satyricon, Bologna (Pisa ).
. Come suona la parte finale dell’epitafio funebre dettato in , : sestertium
reliquit trecenties nec unquam philosophum audivit.
. Petron. , -. Vd. per es. P. Cosci, Per una ricostruzione della scena iniziale
del Satyricon, «Materiali e Discussioni» , , -; G. Kennedy, Encolpius and
Agamemnon in Petronius, «American Journal of Philology» , , -; W. Kissel,
Petrons Kritik der Rhetorik (Sat. -), «Rheinisches Museum» , , -; P. Soverini, Il problema delle teorie retoriche e poetiche di Petronio, in Aufstieg und Niedergang
der röm. Welt II . , , -; C. Pellegrino, T. Petronio Arbitro, Satyricon. I
Rileggendo Petronio e Apuleio
la società delineata da Petronio assuma l’aspetto di un mondo
capovolto non è dunque necessario attendere l’episodio finale
ambientato a Crotone e la sovversione dei valori ivi praticata .
Già la Cena, infatti, muove nella medesima direzione e si presenta come mundus inversus, in cui tutti sono implicati nelle
dinamiche di inevitabili processi metamorfici e si vengono a
trovare in posizioni estranee alle loro condizioni o alle loro origini. In particolare, gli intellettuali, di solito abituati a respirare
alta letteratura e a deridere i pauperorum verba , si riducono al
ruolo di spettatori, abilitati unicamente a emettere segnali di
ammirazione e far sentire suono di applausi . Di contro gli
indocti, che appaiono in evidente ascesa sociale in quanto detentori di ricchezza ma non (ancora) del potere del linguaggio,
occupano saldamente il centro della scena e si improvvisano
capitoli della retorica, Introduzione, testo critico, commento, Roma ; M. Gonoji, The
Criticism of Rhetorical Education in “Satyricon”, «Classical Studies» , , -; C.
Salles, Le professeur de rhétorique et son élève: les positions de Pétrone et de Quintilien,
«Euphrosyne» , , -; P. Fedeli, L’eloquenza come metafora: Petron. , ; G.
Petrone, La regola di Agamennone, e Th. Baier, Encolps Phantasiae, in L. Castagna, E.
Lefèvre (a c. di), Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi su Petronio e sulla sua
fortuna, cit., -, - e -; J.C. Mirales Maldonado, La critica della retorica
contemporanea nel Satyricon di Petronio, «Maia» , , -; A. Iacoviello, La
retorica sovversiva. Commento a Petr. Satyricon §§ -, Bari -.
. Vd. P. Fedeli, Petronio: Crotone o il mondo alla rovescia, «Aufidus» , , -;
Suk-Young Kim, The Shade of Saturnalia in the Satyricon of Petronius, in J. Augustyn,
E. Matheis (a c. di), Carnival. A History of Subversive Representations, New York ,
-; G. Vogt-Spira, Ars pervertendi. I Satyrica di Petronio e i limiti del rovesciamento, in
L. Castagna, G. Vogt-Spira (a c. di), Pervertere. Aesthetik der Verkehrung. Literatur und
Kultur neronischer Zeit und ihre Rezeption, München-Leipzig , -.
. Così si legge in Petron. , , su cui si avrà modo di tornare più avanti.
. Non è un caso se l’esecuzione di un poema classicheggiante centrato sulla
Troiae halosis da parte di un rappresentante (squalificato) della categoria dei litterati
(quos odisse dives solent) sortisce effetto disastroso: Ex is, qui in porticibus spatiabantur,
lapides in Eumolpum recitantem miserunt. At ille, qui plausum ingenii sui noverat, operuit
caput extraque templum profugit (, -). Encolpio, pronto a passare dall’altra parte,
malignamente commenta: Rogo, inquam, quid tibi vis cum isto morbo? Minus quam
duabus horis mecum moraris, et saepius poetice quam humane locutus es. Itaque non miror,
si te populus lapidibus persequitur. Ego quoque sinum meum saxis onerabo ut, quotiescunque
coeperis a te exire, sanguinem tibi a capite mittam (, -). Si aggiunga che anche la
recita del Bellum civile (-) si muove entro la cornice di giudizi centrati sulla
decadenza delle lettere e della poesia.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
protagonisti dello spettacolo del proprio modo di vivere, della
propria esistenza.
Bene: come è noto, il genere teatrale che concede qualche
ospitalità ai ceti più umili dei servi e al démi-monde di lenoni,
cortigiane e parassiti è il genere della commedia, in particolare
della commedia plautina; ma la struttura della palliata (in cui
servi e cortigiane agiscono sempre in funzione dei giovani
domini, ancorché vestiti alla greca) e il suo declino nel tempo
non la rendono modello apprezzabile, se si escludono le scelte
lessicali del sermo cotidianus et vulgaris. Tra fine della repubblica
e avvento del principato commedia e tragedia conoscono la vita
stentata e umbratile delle recitationes di fronte a un pubblico
elitario e selezionato (si pensi ai casi di Gaio Melisso e di Asinio Pollione), mentre le scene vengono lasciate stabilmente a
histriones, mimi et saltatores. Ora, se è vero che l’imitatio vitae
è predicato di ogni rappresentazione, è altrettanto vero che al
mimo è stato riconosciuto titolo di massimo rappresentante
dell’arte mimetica. Mimi sunt dicti Graeca appellatione quod rerum humanarum sint imitatores, dirà Isidoro di Siviglia (Origines
, ); dal canto suo, la tradizione grammaticale pone l’accento
sia sul carattere imitativo (mîmós estin mímesis toû bíou) sia sul
livello non precisamente elevato dell’oggetto dell’imitazione:
per il grammatico Diomede il mimo è sermonis cuiuslibet et
motus sine reverentia vel factorum et dictorum turpium cum lascivia
imitatio; secondo il De fabula attribuito a Evanzio la mimica levitas è risultato che deriva ab diuturna imitatione vilium rerum ac
levium personarum.
In buona sostanza, sembra lecito dire che tutta la Cena è
una rappresentazione mimica recitata da Trimalchione e comprimari (il grex mimorum è numeroso, perché può riprodurre
quotidianità tumultuose) a beneficio di scholastici dal ruolo depotenziato: per dirla altrimenti, «è difficile che l’influenza del
mimo su Petronio possa essere frutto di esagerazione» , il tut. K. Preston, Some Sources of Comic Effect in Petronius, «Classical Philology» ,
, .
Rileggendo Petronio e Apuleio
to grazie alla verve narrativa e alle soluzioni a effetto (proverbi
compresi) che fanno parte del repertorio di un autore da tempo definito dalla critica “imitatore dei mimi”, imitatore dunque
della imitatio vitae per eccellenza . Vista in dettaglio, la rappresentazione petroniana sa mescolare particolari che evocano gli
ingredienti delle scene di massa e che appartengono a tutte le
forme di spettacolo della società imperiale. Per esempio, se si
presta attenzione allo spazio in cui si svolge la Cena, non riesce
troppo difficile constatare come la sala da pranzo sia di volta in
volta prossima allo scenario della pantomima o all’arena di un
anfiteatro: «l’avresti creduto un coro da pantomima (pantomimi
chorum), non il triclinio di un buon padrone di casa» (, ) , in
quanto ogni servizio di cibo e bevande è accompagnato da musica e canti (ad symphonian). A proposito dello spazio tricliniare si
ricordi che in , «entrarono due Etiopi dai lunghi capelli con
in mano piccolissimi otri, come quelli coi quali di solito s’innaffia la sabbia nell’anfiteatro (harenam in amphitheatro), e sulle
mani ci versarono del vino»; una scena di spettacolo circense,
precisamente una venatio, viene allestita in , - per catturare
i tordi usciti a volo dal ventre squarciato dell’enorme aper pilleatus; in , -, è la volta di acrobati e giocolieri (petauristarii)
. Come è noto, Petronio è uno degli autori latini più citati nelle raccolte di
proverbi antichi: vd. A. Otto, Die Sprichwörter und sprichwörtlichen Redensarten der
Römer, Leipzig (rist. anast. Hildesheim ); R. Häussler, Nachträge zu A. Otto,
Sprichwörter und sprichwörtliche Redensarten der Römer, Hildesheim ; R. Tosi,
Dizionario delle sentenze latine e greche, Milano . Vd. G. Vannini, La funzione
stilistica e caratterizzante delle espressioni proverbiali nel Satyricon, «Philologia Antiqua»
, , -.
. Vd. H. Reich, Der Mimus, cit., sgg.; M. Rosenblüth, Beiträge zur Quellenkunde
von Petrons Satiren, Diss. Berlin , -; F. Moering, De Petronio mimorum imitatore,
Diss. Münster ; F. Giancotti, Mimo e gnome. Studi su Decimo Laberio e Publilio Siro,
Messina-Firenze , -; L. Cicu, Donne petroniane. Personaggi femminili e tecniche
di racconto nel Satyricon di Petronio, Sassari , - e passim; C. Panayotakis,
Theatrum Arbitri, cit., passim.
. Vd. E. Hall, The Singing Actors of Antiquity, in P. Easterling, E. Hall (a c. di),
Greek and Roman Actors. Aspects of an Ancient Profession, Cambridge , -; C.
Caruso, La professione di cantante nel mondo romano, in M.L. Caldelli, G.L. Gregori, S.
Orlandi (a c. di), Epigrafia . Atti della XIV e Rencontre sur l’épigraphie in onore di S.
Panciera, Roma , -.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
di scarsa destrezza; in , , quando il padrone di casa dà ordine
di approntare le secundae mensae, i servi spargono segatura colorata e polvere di mica tritata, vale a dire gli ingredienti che di
solito servono a ripulire l’arena del circo dopo ogni scontro .
Si aggiunga un dettaglio che caratterizza la tecnica espressiva
del narratore e non sembra privo di rilievo ai fini del nostro
discorso: le forme del verbo sequor o dei suoi composti e, più
in generale, i verbi di movimento compaiono di frequente in
posizione iniziale di periodo, per rendere evidente lo svolgersi
degli avvenimenti e l’incalzare delle situazioni, vere e proprie
entrate in scena in rapida successione: vd. Petron. , (occurrit
nobis ille idem servus); , (sequebatur puer) e (accessere continuo
duo servi); , (insecutus est lecticarius) e (statim allatae sunt
amphorae); , (circumferebat Aegyptius puer); , (processit
statim scissor); , (secutum est hoc repositorium); , (insecuta
sunt Cydonia etiam mala) .
.. Portate spettacolari
A ben vedere, tuttavia, il vero spettacolo si concentra innanzi
tutto sulle portate, la cui composizione suscita stupore ammirato e dettagliato resoconto da parte del narratore. La successione
è, in effetti, grandiosa e procede secondo calibrate regie a effetto. Cominciamo dall’antipasto: allata est gustatio valde lauta
che consiste in «un asinello di bronzo corinzio carico d’una
bisaccia, che portava in una tasca olive chiare, nell’altra olive
nere. L’asinello era coperto ai lati da due piatti sui cui orli erano
incisi il nome di Trimalchione e il peso in carati d’argento. Dei
piccoli ponti, poi, saldati al piano del vassoio sostenevano dei
. Cfr. anche Petron. , - con la nota di N.W. Slater, From Harena to Cena:
Trimalchio’s Capis, «Classical Quarterly» , , -. Vd. Plin. , e , ;
Suet. Calig. , .
. In proposito è ancora utile P. Perrochat, Quelques procédés du style d’Encolpe
dans la Cena Trimalchionis, in AA. VV., Mélanges de philologie offerts à A. Ernout, Paris
, -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
ghiri aspersi di miele e polvere di papavero. Erano state sistemate altresì delle salsicce bollenti sopra una griglia di argento, e
sotto la griglia prugne di Siria con chicchi di melograno» (,
-). Suppellettili di pregio, metalli preziosi e carati esibiti, cibi
non comuni e accostamenti cromatici ricercati: la narrazione
segnala gli aspetti della ricchezza e dell’ostentazione che attirano gli sguardi e fanno spettacolo. È il medesimo procedimento
visto all’opera nella scena del bagno; non minore attenzione
suscita il secondo vassoio: una gallina di legno ad ali aperte
intenta a covare finte uova di pavone fatte di pingue impasto di
farina e gravide ciascuna di un grasso beccafico immerso nel
tuorlo pepato (, -) .
Tra l’asinello di metallo e la gallina di legno – soggetti gastronomici giocati sulla imitatio naturae – fa il suo ingresso
Trimalchione in persona, portato in sala da pranzo e sistemato
a mensa, alla stessa stregua dei piatti che si susseguono lungo
la cena; ma a differenza della reazione ammirata che di solito
suscitano le spettacolose portate, questo ingresso suscita il riso (, : in his eramus lautitiis, cum Trimalchio ad symphoniam
allatus est , positusque inter cervicalia minutissima expressit imprudentibus risum). Intendiamoci: l’ingresso ritardato è non meno
. I servi che a suon di musica assordante frugano tra la paglia in cerca di uova
di nuovo conio costituiscono spettacolo anche agli occhi del padrone di casa, che
convertit ad hanc scenam vultum (, ): l’osservazione conferma come il racconto
proceda su registri lessicali che rimandano a situazioni teatrali. Per maggiori dettagli
ed eventuali maggiori implicazioni vd. R. Schievenin, La gallina di Petronio e le altre,
«Exemplaria Classica» , , -.
. L’ingresso di Trimalchione è reso con lo stesso lessico riservato ai piatti di
portata: , (allata esta gustatio valde lauta); , (repositorium allatum est cum corbe);
, (allatae sunt amphorae vitrae diligenter gypsatae); , (larvam argenteam attulit
servus); (nisi epidipnia esset allata); , (vitulus in lance . . . allatus est). In , le
operazioni si moltiplicano: cum secundas mensas Trimalchio iussiset afferri, sustulerunt
servi omnes mensas et alias attulerunt. L’operazione speculare e contraria è già stata
sperimentata in , (superiorem partem repositorii abstulerunt) e in , (iam sublatum
erat ferculum). Alla fine della Cena sarà Trimalchione stesso a immaginare il proprio
funerale facendo ricorso a una voce verbale che permette di sostituire asporto di
feretri ad asporto di vivande e vassoi: Ego gloriosus volo efferri, ut totus mihi populus
bene imprecetur (, ).
. Un ingresso del genere è di sicuro effetto e ha illustri precedenti: Augusto
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
spettacolare e ricorda la prima apparizione di Trimalchione al
bagno, corredato com’è di accumulo di dettagli vistosi e colorati , dal pallium scarlatto e dalla mappa laticlavia (come si addice
a un autorevole ma fittizio ’senatore’ da convito) agli anelli, agli
amuleti e ai bracciali d’oro o d’avorio. Ma i particolari di pregio
non nascondono, anzi evidenziano, il tratto che contradditingue Trimalchione (adrasum caput) e lo assimila ai personaggi
del teatro comico, come per altro già anticipato dalla notazione
di , (videmus senem calvum). Pertanto, l’entrata in scena del
personaggio principale dell’intera rappresentazione (comica)
non può non provocare la risata degli spettatori interni, ma –
si badi – soltanto degli spettatori imprudentes: la precisazione
serve a isolare dai convitati abituali (a loro volta comprimari
della Cena) coloro che vengono colti di sorpresa , dunque i
giovani scholastici non abilitati a far parte dello spettacolo e incapaci di occultare genuina reazione all’apparire dell’abnorme
’portata’ di Trimalchione, per giunta impegnato in operazioni
non troppo riguardose degli ospiti (esplorazione dentaria con
stecchini d’argento, continuazione di partita ai dadi ricca di
oggetti pregiati e di espressioni volgari) .
convivia nonnumquam et serius inibat et maturius relinquebat, cum convivae et cenare
inciperent, prius quam ille discumberet, et permanerent digresso eo (Suet. Aug. ).
. Su tale aspetto ci si orienta grazie ad A. Casartelli, La funzione distintiva del
colore nell’abbigliamento romano della prima età imperiale, «Aevum» , , -.
. In , le risate indotte dalla graziosa concessione trimalchionesca di libere
emissioni viscerali sono coperte da opportune sorsate (Gratias agimus liberalitati
indulgentiaeque eius, et subinde castigamus crebris potiunculis risum). In , - e in ,
- le intemperanti risate di Ascilto (Quid rides, inquit, berbex? ... Bellum pomum,
qui rideatur alios ... Ridet! Quid habet quod rideat?) e di Gitone (etiam tu rides, caepa
cirrata?) suscitano l’indignata reazione di Ermerote. In , spetta a Nicerote segnalare il problematico rapporto tra docti e indocti, tra liberti e scholastici: vd. più
avanti. Le funzioni del riso nell’opera sono classificate da M. Plaza, Laughter and
Derision in Petronius’ Satyrica. A Literary Study, Stockholm (vol. utile, anche se
da maneggiare con qualche cautela).
. Ut deinde pinna argentea dentes perfodit: “Amici, inquit, nondum mihi suave
erat in triclinium venire, sed ne diutius absentivos morae vobis essem, omnem voluptatem
mihi negavi. Permittetis tamen finiri lusum.” Sequebatur puer cum tabula terebinthina et
crystallinis tesseris, notavique rem omnium delicatissimam. Pro calculis enim albis ac nigris
aureos argenteosque habebat denarios. Interim dum ille omnium textorum dicta inter lusum
Rileggendo Petronio e Apuleio
La comparsa delle anfore e l’etichetta di un vino d’annata
(annata ultracentenaria, secondo la ’poetica dell’eccesso’ che
segna cose e persone nella dimora del ricchissimo parvenu) servono a introdurre una scena da simposio greco-orientale, con
tanto di scheletro d’argento fatto circolare tra i commensali
e brindisi-lamento di Trimalchione sulla brevità della vita, il
cui unico aspetto positivo sembra comunque consistere nella coincidenza tra benessere e mangiar bene, a giudicare dal
corto-circuito giocato sulla polisemia di esse (da sum e da edo:
, ) . Sic erimus cuncti: al brindisi del padrone di casa sulla
comune condizione umana fa immediatamente seguito – se
il testo non è qui frutto di continuità rabberciate alla meglio
– una portata d’eccezione che omnium convertit oculos. Si tratta
di un vassoio a due piani che sul piatto superiore (o sul coperchio) reca i segni dello Zodiaco connessi a cibi modesti (ad tam
viles accessimus cibos) per via vagamente analogica (, -) e
nel piatto inferiore (infra, scilicet in altero ferculo) espone tra gli
applausi vivande prelibate (res electissimae) ricavate da animali
di terra, d’aria e di acqua (altilia, sumina, pisces) e alternate, dall’esterno verso il centro, da presenze simbolicamente allusive
di limiti esistenziali: agli angoli del vassoio quattro figurine di
consumit . . . (, -).
. Ergo vivamus, dum licet esse bene (vd. A. Setaioli, I due ‘epigrammi’ di Trimalchione: Sat. , ; , , «Prometheus» , , -). Paralleli e antecedenti sono
rintracciabili nelle usanze egiziane evocate da Erodoto (, ), nei numerosi inviti
a bere della lirica greca e nelle riprese latine di Lucrezio e di Orazio. Vd. K. Dunbabin, Sic erimus cuncti. The Skeleton in Graeco-Roman Art, «Jahrbuch des Deutschen
Archäologischen Instituts» , , -.
. Vd. J.G.W. De Vreese, Petron und die Astrologie, Amsterdam ; J. Colin,
Encolpio e il piatto d’argento con lo zodiaco (Petronio ), «Riv. di Filologia e di Istruzione Classica» , , -; W. Deonna, M. Renard, Croyances et superstitions de
table dans la Rome antique, Bruxelles (tr. it.: A tavola con i Romani, Riti e superstizioni dell’antichità, Venezia ); E. Salza Prina Ricotti, Il ferculum dello Zodiaco,
«Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia» -, -,
-; A. Borghini, A proposito dello zodiaco petroniano, «Aufidus» , , -; D.
Keyer, Trimalchio’s Astrology. Naïve Superstitions or Intentional Jokes? (Petr. Sat. . –;
. –), «Hyperboreus» , , –; O.C. Schwazer, ‘Between amateur astrology
and erudite gimmick’. A Re-examination of Trimalchio’s Horoscope (Petr. Sat. ), «Acta
Antiqua Hungarica» , , -.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
Marsia, da sfidante di Apollo declassato a erogatore di garum al
pepe , e al centro una lepre fornita di ali, ipostasi gastronomica
di Pegaso, l’alato destriero che disarcionò Bellerofonte intenzionato a dare la scalata al cielo (, -). Il piatto dello Zodiaco è
simbolo del destino cui sono sottoposti tutti gli uomini, come
s’impara dalla rassegna degli influssi astrali sul mondo umano
di , -; ma intanto tra piatto superiore e vassoio inferiore si
apre un breve intermezzo occupato dall’esecuzione stonata di
una melodia di mimo e chiuso dal celebre invito anfibologico
di Trimalchione: cenemus; hoc est ius cenae (, ) .
I motti di spirito centrati su omofoni e doppi sensi non sono
estranei al mondo delle persone colte, ma sembrano godere di
buona fortuna tra gli ingredienti verbali del mimo, almeno per
quanto è dato sapere da Cicerone: «Sulla parola si basa anche
un tipo di motto non insulso, in forza del quale si dà a vedere
di intendere un termine alla lettera e non secondo lo spirito
del contesto. Su quest’unico tipo di battute si regge per intero
il Tutor, un vecchio mimo davvero in grado di suscitare risate.
Lascio però da parte i mimi, perché intendo illustrare questo genere di umorismo con qualche esempio ben noto» . Appunto
. La salsa piccante – nella variante più liquida, si sarebbe tentati di dire – scorre
dalle statuette di Marsia, evocando così la genesi del fiume omonimo (affluente del
Meandro), nato dal supplizio dell’infelice sileno: vd. Ov. met. , -.
. , : atque ipse (un Aegyptius puer o lo stesso Trimalchione) etiam taeterrima
voce de Laerpiciario mimo canticum extorsit. Di un mimo intitolato Il venditore di silfio
non si hanno altre notizie, ma vien fatto di pensare a titoli simili del mimografo
Decimo Laberio, centrati su tenui argomenti o su mestieri quotidiani, come Augur,
Catularius, Piscator, Centonarius: vd. D. Romano, Laserpiciarius Mimus (Petr. Sat. ,
), «Dioniso» , , -. Inoltre, considerato che il canto chiude la scena del
piatto dello Zodiaco, non è forse inutile ricordare che tra i titoli tramessi dei mimi
di Laberio i temi astrologici sono ben attestati: Aries, Cancer, Gemelli, Taurus, Virgo.
. Sul passo dati, bibliogr. e interpretazione in G. Mazzoli, Ius cenae (Petron. ,
), in L. Castagna, E. Lefèvre (a c. di), Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi
su Petronio e sulla sua fortuna, cit., -. Vd. altresì G. Piccaluga, Ius: la prospettiva
giuridico-alimentare dell’ordine delle cose, «Ilu. Revista de Ciencias de las Religiones» ,
, -.
. Cic. de orat. , : Est etiam in verbo positum non insulsum genus ex eo, cum ad
verbum, non ad sententiam rem accipere videare; ex quo uno genere totus est Tutor, mimus
vetus, oppido ridiculus. Sed abeo a mimis; tantum genus huius ridiculi insigni aliqua et
Rileggendo Petronio e Apuleio
di giochi di parole – lo sappiamo – si diletta il ricco parvenu: qui
nell’omografo e omofono ius si concentra la duplice valenza
di “legge” e “sugo” della Cena. Esempi ulteriori non mancano:
poco più avanti nel doppio senso di Carpe coesistono vocativo
dell’antroponimo Carpus e imperativo del verbo carpere (,
-) ; in , - la procedura di manumissio per mensam del puer
speciosus in acconciatura dionisiaca gioca su triplice valore di
Liber (antroponimo, teonimo, presunta nascita libera di Trimalchione) ; in , - la distribuzione di apophoreta accompagnata
da biglietti allusivi moltiplica a sazietà tutti i bisticci possibili
tra parole che designano e cose designate . Appena Ermerote,
vero e proprio iniziatore ai misteri della domus , finisce di presentare i dati essenziali della biografia socio-economica della
coppia dei padroni di casa e le alterne fortune di colliberti a
loro volta sucosi – vale a dire pieni di sugo – (-), allora il
sugo della cena si trasforma in legge della vita e del mondo. Il
che avviene, quando Trimalchione decide di adattare i panni
dell’Ulisse virgiliano alla propria misura antropologica e impartire agli scholastici una lezione di philologia da tavola, precisando
a modo suo i rapporti tra caratteri umani e segni zodiacali, per
nota re notari volo.
. Vd. R.M. Newton, Petronian Urbanity in the ’Carpe, Carpe’ Joke (Petr., Sat. .
-. ), «Syllecta Classica» , , -. Osserva P. Fedeli, Il romanzo, in G. Cavallo, P.
Fedeli, A. Giardina, (a c. di), Lo spazio letterario di Roma antica, I, Roma , , che
alla polisemia di carpe/Carpe contribuisce anche l’atteggiamento di Trimalchione,
che sembra impersonare in chiave minore la filosofia del carpe diem di oraziana
memoria.
. Vd. Vd. J.P K. Kritzinger, ‘Non negabitis me – inquit – habere Liberum patrem’:
Petronius, Sat, . Revisited, «Acta Classica» , , -.
. Il risultato di siffatte spiritosaggini è scontato (diu risimus) e si avrà modo di
ritornarvi sopra. Intanto vd. B.L. Ullman, Apophoreta in Petronius and Martial, «Classical Philology» , , -; H.D. Rankin, Saturnalian Wordplay and Apophoreta in
Satyricon , «Classica et Mediaevalia» , , -.
. Vd. C. Salles, Hermeros, le “mystagogue” de la Cena Trimalchionis, in P. Defosse
(a c. di), Hommages à Carl Deroux, II, Bruxelles , -.
. In Petron. , - si legge il celebre ritratto di Fortunata. Sulle implicazioni
della presenza femminile nella Cena vd. L. Cicu, Fortunata, «Sandalion» , ,
-; Id., Donne petroniane. Personaggi femminili e tecniche di racconto nel Satyricon di
Petronio, Sassari , -.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
formulare infine l’amara legge del mondo e rendere evidente,
con compiaciuta affermazione della propria razionalità (nihil
sine ratione facio), l’importanza della terrena realtà alimentare:
«Così l’orbita celeste gira come una macina, e produce sempre
qualche male , sia che gli uomini nascano o muoiano. Se poi
vedete nel mezzo una zolla di terra e sopra la zolla un favo,
non faccio nulla senza ragione. La madre Terra sta al centro, di
forma arrotondata come un uovo, e contiene in sé ogni sorta di
beni come un favo» (, -).
In effetti, si può convenire che «la cucina e il mimo aggrediscono la cultura tradizionale, rappresentata dal gruppetto degli
scholastici» . La convergenza di tale duplice azione governa anche le successive portate: il repositorium dell’ambiguo cinghiale
col beretto da liberto (aper pilleatus / scrofa con lattonzoli) e
la venatio dei volatili vivi che ne costituiscono il farcimen (,
-); la distribuzione di uva corredata da versi trimalchioneschi
e assicurata dallo schiavetto in costume di Bacco destinato a
diventare Libero in forza di repentino affrancamento (, -); il
gigantesco porcus Troianus ripieno di salcicce, palam exinteratus
(, -) ; la già menzionata distribuzione di apophoreta (.
-); il vitello lessato con elmo in testa (vitulus elixus allatus
et quidem galeatus) fatto a pezzi da uno scalco che impersona
Aiace in preda a follia (, -); il piatto di focacce allo zafferano
che fanno contorno a un Priapo di pasta capace comunque di
. G. Mazzoli, art. cit., .
. Sic orbis vertitur tamquam mola et semper aliquid mali facit. La nota di pessimismo che caratterizza la legge (ius) della vita è parsa inaccettabile a D.R. Shackleton
Bailey, On Petronius, «American Journal of Philology» , , -, che è intervenuto sul testo, con una inutile proposta di supplemento, comunque rivelatrice
d’una concezione meno drammatica del mondo: et semper aliquid «boni aut» mali facit
(supplemento accolto nel testo dell’edizione paraviana di G. Giardina e R. Cuccioli
Melloni).
. Così A. Cucchiarelli, Trimalchione e la Cena di Marte (partendo da Satyr. , ),
«Studi Classici e Orientali» , , ; vd. anche Id., Mimo e mimesi culinaria nella
Cena di Trimalchione (con un’esegesi di Satyr. ), «Rheinisches Museum» , ,
-.
. Vd. L. Pepe, Petronio e il ’Porcus Troianus’ (), in Id., Sermo Milesius, Napoli
, -
Rileggendo Petronio e Apuleio
sorreggere more vulgato frutta e grappoli (, -); manicaretti
stuzzica-appetito (matteae) coincidenti con l’ingresso ritardato
di Abinna, reduce da un altro banchetto e a sua volta narratore
di una cena nella Cena (, - e , -); le secundae mensae, il
dessert e la carne di porco come materia universale dell’arte
culinaria (, - e , - , ). Si badi: elementi di cultura tradizionale (poetico-mitologica) sono ben presenti e spaziano dal
cielo alla terra, da Marsia a Pegaso, da Dioniso a Priapo, dalla
pazzia di Aiace ai succedanei del Cavallo di Troia dal ventre
ripieno; il tutto sotto la regia dell’ulisside Trimalchione e grazie
all’abilità di uno specialista, materiae structor, quasi certamente
da identificare col cocus prezioso cui sta a pennello il nome
di Dedalo imposto dal padrone di casa in veste di legislatorenomenclatore (, : Non potest esse pretiosior homo. Volueris,
de vulva faciet piscem, de lardo palumbam, de perna turturem, de
colaepio gallinam. Et ideo ingenio meo impositum est illi nomen
bellissimum; nam Daedalus vocatur) . Sempre alla tradizione culturale, evocata nei suoi aspetti di divulgazione popolare, fanno
riferimento gli accenni alla danza del cordace e l’imitazione
dell’histrio Siro con accompagnamento corale da parte dei servi
(, -) , l’impari discussione letteraria di , il poco perspicuo
spettacolo greco degli Omeristi accompagnato dal confuso commento latino di Trimalchione (, -) , la mesta evocazione
. Vd. A. Cameron, Myth and Meaning in Petronius: Some Modern Comparisons,
«Latomus» , , -; A. Perutelli, La parodia del mito in Petronio, «Latina Didaxis» , , -; J. Fabre-Serris, Le Satiricon: un nouveau regard sur la Mythologie,
in Ead., Mythologie et Littérature à Rome. La réécriture des mythes aux Iers siècles avant
et après J.-Chr., Lausanne ; G. Schmeling, (Mis)uses of Mythology in Petronius, in
J. Miller, C. Damon, K. Myres (a c. di), Vertis in usum. Studies in Honor of Edward
Courtney, Leipzig , -. Troppo drastico e generico C.R. Gonçalves, Ignorância dos libertos e mitologia na Cena Trimalchionis (Satyricon -), «Gallaecia» , ,
-.
. Vd. B. Baldwin, The Slaves’ Chorus in Petronius, «Emerita» , , -.
. Vd. A. Cucchiarelli, In difesa degli ‘Omeristi.’ Nota testuale a Petronio, Satyr.
, , «Materiali e Discussioni» , , –. Sulle esecuzioni degli Homeristai
cfr. Athen. , b-d; in POxy (II sec. d.C.) si legge il testo frammentario d’un
contratto per un mimo, omerista e danzatore, chiamato a esibirsi durante una
festività locale; da POxy (III sec. d.C.) apprendiamo che un mimo e un omerista
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
delle esperienze teatrali di Plocamo (, -), le imitazioni varie
e la miscela di versi di atellane e versi virgiliani storpiati da Massa, ex-attore di mimi servo di Abinna (, - , ) , infine le
arie del citaredo Menecrate straziate da Trimalchione al bagno
(, -) .
Per quanto isolati dal loro abituale contesto – il mondo dei
libri e dei docti, ma anche i mimi e le pantomine d’argomento
mitologico – e ridotti a gustose decorazioni gastronomiche
o a scipiti intermezzi dell’abnorme esibizione della Cena, tali
elementi rappresentano comunque punto di raccordo tra spettacolo e spettatori, tra cibarie esibite e fruitori ammessi alla
consumazione. Ma si deve altresì ammettere che nel Satyricon la cultura tradizionale – concentrata nel gruppetto degli
scholastici – conserva una delle sue funzioni peculiari, quella
cioè di narrare il narrabile secondo i precetti della topica della
narrazione e i rapporti – ora stretti ora allentati a piacere – tra
forme espressive e specifiche situazioni. Detto altrimenti, al
narratore esplicito e all’autore che sta alle sue spalle non fanno
difetto tropi e figure indispensabili al fine di esprimere le diverse componenti del quadro d’insieme e lo statuto socio-culturale
di protagonisti e comprimari .
sono ingaggiati per le feste di Crono (altre notizie in G. Tedeschi, Lo spettacolo in
età ellenistica e tardo-antica nella documentazione epigrafica e papiracea, «Papyrologica
Lupiensia» , , -; T. Gammacurta, Papyrologica scaenica, Alessandria ).
. Miscela sgradevole all’orecchio di Encolpio, che sentenzia: nullus sonus
unquam acidior percussit aures meas, ... ut tunc primum me etiam Vergilius offenderit
(, ). Vd. R. Degl’Innocenti Pierini, Abinna, lo schiavo Massa e la ‘cultura’ di strada:
a proposito di Petronio , «Paideia» , , -; S. Gorman, Petronius as Massa?
Reading Virgil in Petronius’ Satyricon, London (AbleMedia).
. In generale per i riferimenti letterari si rinvia a N.M. Horsfall, The Uses of
Literacy and the Cena Trimalchionis, «Greece & Rome» , , - e -.
. Vd. per es. R. Beck, Some Observations on the Narrative Tecniques of Petronius,
«Phoenix» , , -; L. Callebat, Structures narratives et modes de représentation
dans le Satyricon de Pétrone, «Revue des Etudes Latines» , , - (= Id.,
Langages du roman latin, Hildesheim , -); C.W. Wooten, Petronius, the Mime
and Rhetorical Education, «Helios» , , -; A. Laird, Ideology and Taste: Narrative
and Discourse in Petronius’ Satyricon, in Id., Powers of Expression, Expressions of Power:
Speech Presentation and Latin Literature, Oxford , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
.. Chi parla e chi ascolta: lo spettacolo della lingua tra
discorsi da tavola, dispute e proverbi
Dunque, l’estetica dello sguardo assicura fruizione visiva agli
spettatori interni e ai lettori mediante descrizione ammirata o
perplessa delle sorprendenti portate e degli spettacoli ad esse
intercalati. Il che comporta – ovviamente – il ricorso costante a
un ingrediente retorico, l’ekphrasis, forma di comunicazione
deputata a mettere le parole al servizio della vista allo scopo di
annullare la distanza tra spettatore e lettore . Questo per quanto concerne il ‘campo visivo’ a cui fa altresì riferimento il gusto,
presente lungo tutto il racconto superstite, per gesticolazioni
vitalistiche e teatrali in grado di integrare i codici verbali via
via adottati. È comunque scontato che spetta al virtuosismo di
Petronio il compito di variare le strategie espressive in funzione
delle esigenze della narrazione e delle diversità culturali dei
personaggi di volta in volta chiamati a prendere la parola e a
esibire il proprio ethos. Sull’altalenante rete di registri retorici
che fa da tramite tra l’autore e il narratore (scholasticus sospeso
tra esaltazione e afasia) non occorre indugiare ulteriormente,
. In generale vd. G. Ravenna, L’ekphrasis poetica di opere d’arte in latino. Temi
e problemi, «Quaderni dell’Istituto di Filologia Latina di Padova» , , -; D.
Rosand, Ekphrasis and Generation of Images, «Arion» s. III, , , -; G. Boehm, H.
Pfotenhauer (a c. di), Beschreibungskunst - Kunstbeschreibung: Ekphrasis von der Antike
bis zur Gegenwart, München ; A. Zumbo, L’ekphrasis d’opera d’arte: esercitazione
letteraria o strumento di comunicazione?, in AA.VV., La ‘parola’ delle immagini e delle
forme di scrittura, Messina , -; B. Duffalo, Ecphrasis and Cultural Identification
in Petronius’ Art Gallery, «Word & Image» , , -. Si aggiungano i saggi
raccolti in J. Elsner (a c. di), The Verbal and the Visual: Culture of Ekphrasis in Antiquity,
«Ramus» , , e in S. Bartsch, J. Elsner (a c. di), Special Issues on Ekphrasis,
«Classical Philology» , . Utili dettagli sono offerti da S. Stucchi, Su alcuni
esempi di ekphrasis relativi alla caratterizzazione dei personaggi petroniani in L. Castagna,
E. Lefèvre (a c. di), Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi su Petronio e sulla sua
fortuna, cit., -.
. Vd. per es. S. Ricci, La gestualità nel Satyricon, in L. Castagna, G. Vogt-Spira (a
c. di), Pervertere. Aesthetik der Verkehrung. Literatur und Kultur neronischer Zeit und ihre
Rezeption, cit., -. Qualche spunto in R. Newbold, Nonverbal Communication in
the Satyricon and in Apuleius’ Metamorphoses, «Quaderni Urbinati di Cultura Classica»
, , -.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
in quanto si dispone di ottima letteratura secondaria . Piuttosto mette conto ribadire come il caleidoscopio linguistico,
sempre all’opera nel Satyricon, raggiunga il livello più alto e
movimentato appunto nel corso della Cena, in quanto strumento principe per dare voce e carattere individuale alle personae
loquentes impegnate a interpretare e confrontare tratti peculiari
delle rispettive esistenze .
Come è stato più volte osservato , il conflitto di lingua e
cultura è manifestazione di differenze sociali. Dal tardo retore
Coricio veniamo a sapere che la contrapposizione tra registri
linguistici diversi, tra parlare forbito ed espressioni sgrammaticate, è ingrediente comico del mimo, in genere finalizzato
a traguardi edificanti: nel corso di tali spettacoli, in effetti, «è
possibile vedere soldati e ascoltare oratori, e talora due mimi,
di cui uno imita un tipo incapace di parole corrette e l’altro un
personaggio ben educato nel parlare, col risultato che, quando il
primo viene deriso e il secondo applaudito, negli spettatori si fa
strada la considerazione che l’educazione sia da perseguire, allo
scopo di essere elogiati, e invece sia da rifuggire l’ignoranza,
per evitare di essere motivo di scherno» (Apol. mim. ). Di
intenzioni edificanti – a dire il vero – in Petronio non si avverte
traccia ; in quanto possiamo leggere prevale invece il gusto per
. Per tutti si rinvia al già citato vol. di G.B. Conte, L’autore nascosto, e alla
bibliografia ivi raccolta. Utilissimi aggiornamenti fornisce G. Vannini, Petronio : bilancio critico e nuove proposte, «Lustrum» , .
. Vd. tra l’altro M. Möller, Petron, in Ead., Talis oratio qualis vita. Zu Theorie
und Praxis mimetischer Verfahren in der griechisch-römischen Literaturkritik, Heidelberg
, -.
. Tra gli altri, da V. Ciaffi, Struttura del Satyricon, Torino .
. Anche se non è mancato, nella storia della difficile e limitata trasmissione
testuale, qualche momento di ricezione in chiave edificante: vd. B.L. Ullman, Petronius in the Mediaeval ‘Florilegia’, «Classical Philology» , , -; T. Brandis, W,
Ehlers, Zu den Petronexzerpten des Florilegium Gallicum, «Philologus» , , -;
J. Hamacher, Florilegium Gallicum: Prolegomena und Edition der Exzerpte von Petron bis
Cic, De oratore, Bern-Frankfurt am Main ; R. Hobohm, Petron - ein Autor schon
für jüngere Schüler? Der Roman als Lektüregegenstand der . Jahrgangsstufe, in AA.VV.,
Bildung ohne Verfallsdatum. Auxilia Unterrichtshilfen für den Lateinlehrer, Bamberg ,
-.
Rileggendo Petronio e Apuleio
la libera (e divertita) giustapposizione tra espressività diversamente calibrate e orientate, col risultato di dare vita a un mondo
di parole umorosamente mescolate e capaci di riprodurre sulla
pagina le scansioni sociali di una stra-ordinaria quotidianità.
Sulle variazioni linguistiche petroniane esiste una letteratura
così copiosa e articolata da sconsigliare ulteriori incursioni in
proposito. Ci si limiterà pertanto a menzionare i principali momenti in cui i dislivelli di lingua e stile conferiscono al racconto
dimensione scenica e si configurano come “spettacolo delle
voci” .
Qualche cenno, in merito, si è già anticipato, ma ora è possibile essere più espliciti. Gli interventi dei liberti, per esempio,
sembrano aprire più di un passaggio in direzione della dimensione drammatica del testo. Così in - i ragguagli di Ermerote
sui dati biografici e sulle ricchezze dei padroni di casa non solo
anticipano la biografia che Trimalchione stesso fornirà di sé
in , - , , ma funzionano come una sorta di didascalia
interna e offrono una campionatura di hapax legomena, di grecismi e ibridi greco-latini, di espressioni triviali e proverbiali, di
colloquialismi e diminutivi a sorpresa, di aspetti popolari e folclorici, così densa da non lasciar dubbi sull’intenzionale volontà
di riprodurre forme affabulatorie e toni del sermo cotidianus et
vulgaris . Tale dimensione diventa ancora più evidente quan. Della formula si è debitori al titolo della raccolta di saggi a cura di F. De
Martino e A. H. Sommerstein, Lo spettacolo delle voci, Bari . Di “romanzo pieno
di voci” parla G. Peri, Discorso diretto e discorso indiretto nel Satyricon. Due regimi a
contrasto, Pisa , (il iv cap., Fenomenologia del discorso nella Cena, dedica adeguato
spazio ai discorsi degli scholastici).
. Termini e modi di dire si citano nell’ordine in cui si presentano, senza pretesa
di esaustività: nummos modio metitur (, ); noluisses de manu illius panem accipere (,
); Trimalchionis topanta est (, ); saplutus e lupatria (, ); pica pulvinaris (, );
fundos habet qua milvi volant, nummorum nummos (, ); babae babae (, ), quemvis
ex istis babaecalis in rutae folium coniciet (, ); lacte gallinaceum (, ); arietes . . .
culavit in gregem (, ); ex India semen boletorum (, ); cum Incuboni pilleum rapuisset,
et thesaurum invenit (, ); est tamen sub alapa (, ); sociorum olla male fervet, et
ubi semel res inclinata est, amici de medio (, ); phantasia, non homo (, ). In
generale vd. G. Tarditi, I diminutivi nel Satyricon di Petronio, Genova ; V. Ciaffi,
Intermezzo nella Cena Petroniana (. - . ), «Riv. di Filologia e Istruzione Classica»
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
do, assente Trimalchione in trasferta ad lasanum, si intrecciano
liberamente i convivarum sermones (, - , ). Apre i conversari il breve intervento del liberto Dama, segnato da un nome
problematico e da una forte attrazione verso il vino, che in
poche battute confessa il proprio stato di ebrezza a suon di hapax (pataracina, staminatas, matus) e metaplasmi (balneus, vinus),
dopo aver formulato un’indimenticabile sententia simposiale
sulla brevità della vita: dies . . . nihil est. Dum versas te, nox fit (,
-) . Il cenno di Dama ai bagni (vix me balneus calfecit) consente all’interlocutore successivo, il liberto d’origine orientale
Seleuco, di intervenire, rivelando scarsa propensione all’igiene
personale perseguita per via idrica (, : ego . . . non cotidie lavor
. . . aqua dentes habet), ma identica simpatia per abbondanti assunzioni di vino, unico e vero rimedio al freddo (, : sed cum
mulsi pultarium obduxi, frigori laecasin dico). In realtà – prosegue
n.s. , , -; C. Roncaioli, Il diminutivo e l’età di Petronio, «Giornale Italiano di
Filologia» , , -; G. Alessio, Hapax legomena e altre cruces in Petronio, Napoli
(«Quaderni Linguistici» VI-VII); A. Stefenelli, Die Volkssprache im Werk des Petron,
Wien- Stuttgart ; A. Dell’Era, Problemi di lingua e stile in Petronio, Roma ;
D. Altamura, Proverbia locutionesque populares apud Petronium, «Latinitas» , ,
-; P. Soverini, Osservazioni sul lessico come mezzo di caratterizzazione stilistica in
Petronio, «Rendiconti Accademia delle Scienze di Bologna» , -, -; H.
Petersmann, Petrons Urbane Prosa. Untersuchungen zu Sprache und Text, Wien ;
A. Perutelli, Le chiacchiere dei liberti. Dialogo e commedia in Petronio -, «Maia»
, , -; M.A. Cervellera, Petronio il multiforme, Lecce ; M. Salanitro,
Conuiuarum sermones (Petron. , - ), «Invigilata Lucernis» , , -; B.
Boyce, The Language of the Freedmen in Petronius’ Cena Trimalchionis, Leiden ;
R. Gerschner, Sprachlich-stilistische Studien zum Gebrauch des Griechischen in Petrons
Satyrica, Wien ; G. Highet, Petronius’s Dinner Speakers, in R. Ball (a c. di), The
Unpublished Lectures of Gilbert Highet, Bern , -; M.G. Cavalca, I grecismi
nel Satyricon di Petronio, Bologna ; J.F. Gaertner, Sprachbau und Sprachfreiheit in
Petrons Satyrica, in D. Brodka, J. Janik, S. Sprawski (a c. di), Freedom and its Limits
in the Ancient World, Kraków , -; D.H. Roberts, Petronius and the Vulgar
Tongue: Colloquialism, Obscenity, Translation, «Classical and Modern Literature» ,
, –.
. L’antroponimo non è attestato dal cod. Traguriensis che in questo punto
ha clamat. Il nome Dama è stato recuperato da N. Heinsius (apud Burman), che
ha spiegato la lezione manoscritta come errore dovuto alla confusione tra d e cl.
Vd. C. Pellegrino, I convivarum sermones e il liberto Dama. Satyr. , -, «Latomus»
, , -; M.G. Cavalca Schiroli, Dama: Petron. Satyr. , -, in AA.VV.,
Mnemosynum. Studi in onore di A. Ghiselli, Bologna , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
Seleuco – le mancate abluzioni dipendono da un impegno più
pressante e non iterabile, vale a dire la partecipazione al funerale di un pari grado, il buon Crisanto (, -: nec sane lavare
potui; fui enim hodie in funus. Homo bellus, tam bonus Chrysanthus
animam ebullit) . Si noti: Dama ha ripreso inter pocula il motivo
della brevità dell’esistenza umana, già proposto come brindisi
da Trimalchione; ora Seleuco introduce scene di funerale e
forme di elogio funebre, con punte consolatorie di malcerto
effetto (, : medici illum perdiderunt, immo magis malus fatus;
medicus enim nihil aliud est quam animi consolatio). A modo loro,
i liberti di Petronio adattano alla propria dimensione una considerazione di portata generale: la vita umana si può davvero
giudicare soltanto dopo la morte, perché – per dirla con le parole di Solone a Creso – prima di formulare un giudizio «di ogni
cosa bisogna considerare la fine» . E naturalmente il giudizio
ultimo di Seleuco predica la brevità e l’inconsistenza della vita
mediante formule di saperi proverbiali in cui l’eco di tradizioni
illustri si coniuga con l’efficace brevitas dell’espressività popolare: utres inflati ambulamus. Minoris quam muscae sumus . . . nos
non pluris sumus quam bullae (, ) . L’elogio del defunto ha
. Vd. D. Gagliardi, La morte a tavola (sul monologo di Seleuco al c. del Satyricon),
«Atene e Roma» n.s. , , -; M.G. Cavalca, Tra proverbi e immagini: Seleuco
(Petron. Sat. ), «Paideia» , , -.
. Hrd. , , ; cfr. Simon. Fr. Page (cit. nella nota successiva) e Ov. Met. ,
-: sed scilicet ultima semper / exspectanda dies hominis, dicique beatus / ante obitum
nemo supremaque funera debet.
. Utres inflati: un chiaro precedente si legge nel fr. Kaibel di Epicarmo: «la
natura degli uomini? Otri enfiati». Indubbia ripresa in Apul. Met. , (cadavera illa
iugulatorum hominum erant tres utres inflati variisque secti foraminibus). Il paragone con
le mosche deriva dal fr. Page in cui Simonide di Ceo canta un mondo soggetto
a «mutazione piú rapida di scarto di mosca dalle ali tese» Cfr. Eronda Mimiambi
, («io valgo quanto una mosca») e Suet. Dom. , (Inter initia principatus cotidie
secretum sibi horarum sumere solebat, nec quicquam amplius quam muscas captare ac stilo
praeacuto configere; ut cuidam interroganti, essetne quis intus cum Caesare, non absurde
responsum sit a Vibio Crispo, ne muscam quidem). Tra le opere di Luciano compare
un Elogio della mosca, che appartiene alla tradizione retorica degli elogi antifrastici
rivolti a soggetti di poco conto o di solito considerati negativi: vd. A. Peri, Teoria
e prassi degli enkomia adoxa, «Incontri Triestini di Filologia Classica» , -,
-. Homo bulla est si legge in Varr. agr. , , (in greco pamphòlux ho ànthropos).
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
come primo contraltare la denuncia del comportamento della
moglie; e si tratta di denuncia che si fa attacco dell’intero genere femminile in forza – manco a dirlo – di altre espressioni
di taglio proverbiale: mulier quae mulier milvinum genus. Nemini
nihil boni facere oportet; aeque est enim ac si in puteum conicias. Sed
antiquus amor cancer est (, ).
Seleuco cessa di parlare, ma la morte di Crisanto non scompare dai discorsi da tavola, perché l’intervento successivo, per
bocca del liberto Filerote, dopo aver seccamente esortato a
interessarsi dei vivi (, : vivorum meminerimus) , continua a
parlare del defunto, di cui tesse una sorta di elogio funebre antifrastico. Si può dire meglio: dopo l’elogio, il biasimo. Come si
vede, le due forme del discorso epidittico escono dall’atmosfera
rarefatta delle scuole di retorica e si misurano con corpose situazioni concrete: lontani dai livelli linguistici praticati dai signori
della parola, elogio e biasimo restano impigliati nelle maglie
espressive del demi-monde dei personaggi della Cena. Così anche
l’anti-elogio dello scomparso – carattere litigioso, ricchezze
ammassate in maniera non ineccepibile, inclinazione verso piaceri poco normalizzati – gioca su auctoritates proverbiali ora
troppo ora poco perspicue (, -: paratus fuit quadrantem de
stercore mordicus tollere; linguam caninam comedi; inter initia malam parram pilavit; longe fugit quisquis suos fugit; numquam autem
recte faciet, qui cito credit), su icastici modi di dire conditi di
accenni mitologici e venati di non troppo impliciti doppi sensi
(, -: durae buccae fuit, linguosus, discordia, non homo; plane
Cfr. Pers. , e schol. ad loc. (proverbialiter dicimus, homo bulla est); Lucian. Charon ;
Erasmus, Adagia (Homo bulla). Ulteriori occorrenze in H.D. Saffrey, Homo bulla.
Une image épicurienne chez Grégoire de Nysse, in J. Fontaine, C. Kannengiesser (a c. di),
Epektasis, Mélanges patristiques offerts au cardinal J. Daniélou, Paris , -, e in J.
Nassichuk, “Homo bulla est”. La métaphore de la bulle dans la littérature humaniste latine
et française, in X. Bonnier (a c. di), Les parcours du comparant. Pour une histoire littéraire
des métaphores, Paris , -. Sulla fortuna iconografica vd. L. De Girolami
Cheney, The Symbolism of the Skull in Vanitas: Homo Bulla Est, «Cultural and Religious
Studies» , , -.
. Espressione proverbiale già presente in Cic. De fin. , : sed veteris proverbii
admonitu vivorum memini.
Rileggendo Petronio e Apuleio
Fortunae filius. In manu illius plumbum aurum fiebat . Facile est autem, ubi omnia quadrata currunt; niger tamquam corvus. Noveram
olim oliorum et adhuc salax erat. Immo etiam puellarius erat, omnis
Minervae homo). La presenza finale di Minerva sembra puntare
in direzione di capacità intellettuali non comuni e, comunque,
non estranee a chi – postremo ulisside in sedicesimo – ha conosciuto in vita successi economici. Ma si tratta di riconoscimento
parziale e ironico, in quanto l’altalenante ’biasimo funebre’ culmina con una battuta: donne, cani e ragazzi restano in questo
mondo, mentre il defunto si porta nell’aldilà unicamente le sue
troppo versatili inclinazioni.
Terminato il duplice ritratto dell’estinto, interviene un altro
liberto, Ganimede, che nel nome ricorda il principe troiano
rapito da Zeus e noto come coppiere degli dèi. A differenza
del mitico omonimo, il nuovo Ganimede non vola alto, ma
resta saldamente ancorato a situazioni terrene, perché l’autore
gli assegna il ruolo di contestatore socio-politico. La sua tirata
suona anomala rispetto ai conversari degli altri convitati: non di
storie di successi personali o di pettegolezzi privati o di piccole
infamie parla il nuovo interlocutore, ma denuncia il costo della
vita, la corruzione di amministratori e profittatori, paradossalmente polemico nei confronti di chi si è arricchito in fretta e
in maniera esorbitante (come il padrone di casa, come gran
parte dei presenti e come molti dei personaggi evocati nel corso
delle conversazioni). Lontano da argomenti «che non stanno
né in cielo né in terra» (quod nec ad caelum nec ad terram pertinet), Ganimede parla invece di siccità e carestia, di caro-vita,
di malgoverno locale e magistrati d’altri tempi, della cattiva
condizione personale e del declino della religiosità collettiva.
Anche il suo intervento, tuttavia, è scandito da frasi proverbiali
(, -: serva me servabo te. . . . cum quo audacter posses in tenebris micare; quotidie peius! Haec colonia retroversus crescit tamquam
coda vituli; populus est domi leones, foras vulpes. Nemo enim cae. Si osservi: Edipo (Fortunae filius) e il tocco di Mida sono qui evocati in rapida
successione.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
lum caelum putat) e da espressioni forti e colorite (aediles male
eveniat, qui cum pistoribus colludunt; isti maiores maxillae semper
Saturnalia agunt; habemus aedilem trium cauniarum; si nos coleos
haberemus, non tantum sibi placeret; nemo Iovem pili facit; statim
urceatim plovebat; dii pedes lanatos habent) .
A dispetto della koiné linguistica e culturale che ne innerva
le forme espressive, il mondo dei liberti petroniani è attraversato da tensioni e contrasti che valgono a stabilire confini
riconoscibili alle diverse esistenze personali. Così succede che
il passaggio di parola da Ganimede all’interlocutore successivo avvenga per interruzione: in effetti, l’ultimo spunto della
denuncia di Ganimede, agri iacent, resta sospeso non a causa
di lacuna testuale, ma a causa di perentorio invito altrui a non
parlare di disgrazie, espresso con formula eufemistica: oro te –
inquit Echion centonarius – melius loquere (, ) . L’intervento di
Echione , articolato in due parti a seconda del personaggio al
quale si rivolge, occupa lo spazio maggiore dei conversari dei
liberti e svolge almeno due funzioni, per così dire, sceniche,
confermando l’accorta regia che presiede allo spettacolo della
Cena. Innanzi tutto, rispetto alla vena di contestazione che anima l’intervento di Ganimede, Echione rivela un atteggiamento
piuttosto conformistico e non si nega battute da spensierato
buontempone: ammette – è vero – l’esistenza della crisi (, :
Non mehercules patria melior dici potest, si homines haberet. Sed
laborat hoc tempore, nec haec sola), ma ne attenua la portata e aggiunge subito che le cose in città non vanno poi così male (, :
si aliubi fueris, dices hic porcos coctos ambulare). A suo giudizio l’aspetto di maggior interesse è rappresentato dai ludi pubblici che
. Vd. A. Cotrozzi, Quotidie peius: un liberto rimpiange il passato (Petronio ),
«Studi Classici e Orienttali» , , -.
. Vd. Vd. E.E. Burris, Breaks in Conversation and the Text of Petronius, «Classical
Philology» , , -.
. L’antroponimo è ben presente nel mito greco: lo porta uno degli Argonauti
(gemello di Eurito e figlio di Hermes); è inoltre il nome di uno dei cinque superstiti
nati dai denti di drago seminati da Cadmo alla fondazione di Tebe, sposo di Agàve
e padre di Pénteo, il re tebano oppositore del culto di Dionìso fatto a pezzi dalle
Baccanti (madre compresa) invasate dal dio.
Rileggendo Petronio e Apuleio
si annunciano particolarmente fastosi, compreso un sapido e
crudele dettaglio di cronaca locale: la condanna ad bestias di uno
schiavo sfortunato, colto sul fatto cum dominam suam delectaretur
(, ). Ecco: nel palesare la propria predilezione per i giorni
di festa e per gli spettacoli gladiatorii – di cui è ottimo giudice
–, Echione si contrappone, sì, all’intervento di Ganimede, ma
anche ne integra la dimensione pubblica di vita municipale .
Se infatti si pone mente al fatto che Ganimede affronta il tema
della carestia attraverso riferimenti al pane e ai fornai (, -
e -: Non mehercules hodie buccam panis invenire potui. Aediles
... cum pistoribus colludunt - Itaque illo tempore annona pro luto
erat. Asse panem quem emisses, non potuisses cum altero devorare),
mentre Echione concentra tutta l’attenzione sui giochi pubblici,
non si fa fatica a ravvisare come nell’insieme dei due interventi
si delinei, sia pure in forma antitetica, il ’binomio sociologico’
destinato a diventare tradizionale, panem et circenses (Iuv. , ),
per designare l’organizzzazione del consenso in età imperiale . Del resto, Echione non è da meno nell’inanellare hapax e
grecismi (lanisticia, caldicerebrius, mixcix, zelotypos, burdubasta),
metaplasmi (caelus, excellente, amphitheater, delectaretur, stigmam)
e frasi proverbiali (quod hodie non est, cras erit: sic vita truditur;
- qui asinum non potest, stratum caedit; - ille milvo volanti poterat
ungues resecare: colubra restem non parit; - manus manum lavat).
Insomma, interessi popolari e impasto linguistico colorito
collaborano nel dare rappresentazione, sulla pagina, di uno
spaccato di vita quotidiana. Ma il vero ’capolavoro’ imperniato
su Echione si ha quando il centonarius, riportando il discorso sul
mondo delle lettere e della scuola, si rivolge ad Agamennone
con formulazioni fortemente venate di metaplasmi popolareschi: Videris mihi, Agamemnon, dicere: ’Quid iste argutat molestus?’
. Vd. J.P. Lynch, The Language and Character of Echion the Ragpicker: Petronius,
Satyricon -, «Helios» , , -; J.M. Serrano Delgado, Ganimedes y Equión: un
pasaje municipal en la Cena Trimalchionis (Sat. -), «Revue de Philologie» , ,
-.
. Vd. almeno P. Veyne, Il pane e il circo, tr. it., Bologna ; K.-W. Weeber,
Panem et circenses. Massenunterhaltung als Politik im antiken Rom, Mainz .
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
Quia tu, qui potes loquere, non loquis. Non es nostrae fasciae, et ideo
pauperorum verba derides. Scimus te prae litteras fatuum esse (,
). Come si è osservato da parte di un editore inglese, «when
Echion turns to adress the rhetorician Agamemnon, his Latin
becomes strikingly incorrect» . Dunque, la crisi della lingua
si accentua nel momento in cui la persona loquens interpella
il maestro di retorica e si avventura sul terreno della cultura:
elogio di Primigenio, puer ingeniosus alle prese con qualche
libro di malcerta declinazione (, : aliquot libra rubricata) e
due figure di indimenticabili precettori, il primo che non vult
laborare, il secondo qui plus docet quam scit (, -) . In buona
sostanza, Echione vede peggiorare il proprio ruolo, diventa
personaggio ancor meno capace di lingua corretta (per dirla
alla maniera di Coricio) e conclude con due perle scolastiche
di natura proverbiale e di problematica dizione: quicquid discis,
tibi discis ... litterae thesaurum est, et artificium numquam moritur
(, ) .
Disciplina, litterae, artificium: in forza di tali nozioni, comunque evocate, non dovrebbe essere difficile il passaggio di parola
a chi professa l’arte del discorso pubblico e ha a disposizione il
lessico appropriato a tutti i generi di esternazione verbale. Ma la
contrapposizione diretta tra lingua e cultura viene dilazionata:
il compito di segnare la fine dei liberi conversari dei liberti non
può spettare al retore, ma al padrone di casa, che rientra dopo
essersi sgravato del peso superfluo del ventre . Riapparso in
. Così M.S. Smith, Petronii Arbitri Cena Trimalchionis, cit., .
. Appunto loquor sembra il punto dolente dell’apostrofe, se si accettano il
tradito loquere e loquis (correzione di Peter Burman per loqui del cod. Traguriensis).
Eppure, in , (melius loquere) Echíone si mostra meno sprovveduto, come del resto
Seleuco e Ganimede, che sanno cavarsela quando sono alle prese col verbo: Seleuco
in , (videor mihi cum illo loqui), Ganimede in , (nec schemas loquebatur, dove
però a far scalpore è il grecismo schemas con tanto di metaplasmo alla latina).
. Discussione del testo nel contributo successivo in questo volume.
. Vd. E.E. Best Jr., Attitudes toward Literacy Reflected in Petronius, «Classical
Journal», , , -; A.V. Soady, Primigeni crede mihi, quicquid discis, tibi discis,
«Classical Bulletin» , , -.
. Vd. P. Toohey, Trimalchio’s Constipation: Periodizing Madness, Eros, and Time,
Rileggendo Petronio e Apuleio
scena, Trimalchione compie pubbliche abluzioni, intrattiene gli
ospiti sui propri disturbi intestinali e incrementa il galateo delle
buone maniere a tavola concedendo il diritto a ogni sorta di
emissioni: Nemo nostrum solide natus est . Ego nullum puto tam
magnum tormentum esse quam continere ... Nec tamen in triclinio
ullum vetui facere quod se iuvet, et medici vetant continere (, -).
Di reazioni a questo tipo di continentia si hanno notizie sia sul
piano filosofico sia sul piano storico: secondo Cicerone (Fam.
, , ) gli Stoici etiam crepitus aiunt aeque liberos ac ructus esse
oportere; secondo Svetonio (Claud. ), l’imperatore Claudio dicitur etiam meditatus edictum, quo veniam daret flatum crepitumque
ventris in convivio emittendi, cum periclitatum quendam prae pudore
ex continentia repperisset. Ebbene, la liberalitas di Trimalchione
realizza in àmbito privato quanto avrebbe predicato una delle
più seriose scuole antiche di pensiero e quanto aveva in mente
un imperatore, per altro destinato a morire a teatro tra tormenti
viscerali . Nel momento in cui manifesta le proprie competenze scatologiche, Trimalchione ha un antenato nella figura
dell’uomo disgustoso (ho aedés) che compare nei Caratteri di
Teofrasto: «a desinare narra che, avendo preso l’elleboro, è andato di sopra e di sotto e che la bile nelle sue scariche è più nera
del sugo che ha davanti» . Si tratta di figura dagli indubbi effetti
comici, come comica suona ogni concessione al lessico delle
deiezioni fisiologiche . In particolare, non è inutile ricordare
in M. Golden, P. Toohey (a c. di), Inventing Ancient Culture, London , -. Vd.
altresì S. Maso, Obscenitatem suam spectaculum facere. Esibizione ed elogio dell’incultura:
tra Seneca e Petronio, in A. Camerotto, S. Maso (a c. di), La satira del successo. La
spettacolarizzazione della cultura nel mondo antico, Milano-Udine , -.
. Vd. Petron. , : ita vero, inquam ego, tanquam solidos alligaturus, quibus
non soleat venter iniuriam facere? (Encolpio a Eumolpo: «insomma – dico – tu hai
intenzione di legarci come se fossimo tutti d’un pezzo e non soggetti al mal di
pancia?»).
. Cf. Sen. Apoc. , : Exspiravit autem dum comoedos audit, ut scias me non sine
causa illos timere. Ultima vox eius haec inter homines audita est, cum maiorem sonitum
emisisset illa parte, qua facilius loquebatur: “vae me, puto, concacavi me”.
. Theophr. Charact. , : (la trad. è di G. Pasquali). Vd. D.F. Leão, Trimalquião:
à luz dos Caracteres de Teofrasto, «Humanitas» , , -.
. Riscontri relativi alla commedia attica in J. Henderson, The Maculate Muse.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
che situazioni del genere trovano ospitalità tra gli ingredienti
dei cosiddetti spettacoli popolari d’età imperiale, come testimonia il mimo greco Charition, testo riportato da P.Oxy , in cui
bordate di pordaì emesse da un servus pedens dalle staordinarie
capacità mettono in fuga schiere di sprovveduti Indiani che
tengono prigioniera una fanciulla greca . Che a Petronio la
situazione non paia disdicevole conferma un dettaglio che si
legge all’inizio dell’episodio ambientato a Crotone, quando Encolpio e il poetastro Eumolpo decidono di inscenare – guarda
caso! – il mimo (componere mimum) del vecchio ricco privo di
eredi; lungo il cammino verso la città i bagagli sono caricati
sulle spalle di Gitone e del servo di Eumolpo, Corace, i quali
danno vita a una clamorosa protesta: il primo, non contento
degli improperi, tollebat subinde altius pedem, et strepitu obsceno
simul atque odore viam implebat. Ridebat contumaciam Giton et
singulos crepitus eius pari clamore prosequebatur (, -).
Ora, tornando al reduce da impegnativi secessus, non riesce
difficile osservare come Trimalchione, recuperate le funzioni di
regista della cena (ordini ai cuochi, , -) e indicate su scala
abnorme le coordinate geografiche dei propri possedimenti
(Italia meridionale, Sicilia, Africa: , -), riprenda la discussione introdotta da Echione da posizioni mutate e, per così dire, di
forza. Nei confronti di Agamennone, infatti, Echione sembra
comunque riconoscere la supremazia della formazione culturale, anche se misurata col metro di elementari conoscenze;
Trimalchione, invece, dall’alto della sua posizione economica
e del ruolo di padrone di casa – l’uno e l’altra non a caso puntualizzati come premessa –, si sente alla pari col maestro di
Obscene Language in Attic Comedy, Cambridge , e passim. Cfr. hymn. Hom.
Herm. -; Cratet. fr. Kassel-Austin; Hor. Serm. , , -; Anth. Pal. ,
(Nicarco); Strab. , , ; Athen. , b.
. Vd. S. Santelìa, Charition liberata, Bari ; M. Andreassi, Mimi greci in Egitto.
Charition e Moicheutria, Bari , -; E. Hall, Iphigenia in Oxyrhynchus and India:
Greek Tragedy for Everyone, in S. Tsitsirides (a c. di), Parachoregema, Heraklion ,
-; S. Tsitsirides, Greek Mime in the Roman Empire (P.Oxy. ), «Logeion» , ,
-.
Rileggendo Petronio e Apuleio
retorica: sed narra tu mihi, Agamemnon, quam controversiam hodie
declamasti? Ego autem si causas non ago, in domusionem tamen litteras didici. Et ne me putes studia fastiditum, tres bybliothecas habeo,
unam Graecam, alteram Latinam. Dic ergo, si me amas, peristasim
declamationis tuae (, ). Studi personali alla buona in chiave
giuridica, due o tre biblioteche di cultura greco-latina , un bel
grecismo tecnico (peristasis) a designare la struttura della declamazione: tutto questo sciorina con compiaciuta ostentazione
l’umorosa domanda rivolta ad Agamennone. E il retore ricorre
ai repertori di scuola per esibirsi in una declamazione di scontata tradizione: Pauper et dives inimici erant. Argomento trito e
ritrito, quello dell’inimicizia tra il ricco e il povero, nelle aule
dei declamatori ; ora, nella dimora di un parvenu straricco, va
incontro a un’inevitabile interruzione, quid est pauper?, formu. Due o tre biblioteche? Piuttosto che correggere il testo, sembra opportuno
pensare o a una incongruenza di chi parla dovuta al vino, oppure a una reticenza
dietro cui andrebbe ravvisata la mancata menzione d’una biblioteca in lingua ebraica,
la terza lingua antica legata a forte tradizione scritta. Comunque, l’incongruenza
tra numerali e oggetti numerati è un altro ingrediente comico; ma vd. B. Adamik,
Tres bybliothecas habeo, unam Graecam, alteram Latinam. Textkritische, philologische und
soziolinguistische Interpretation von Petrons Satyricon . , «Acta Antiqua Hung.» ,
, -.
. Al gr. perìstasis corrisponde nel lessico retorico latino appunto il termine
circumstantia (non a caso segnalato in margine dal cod. Traguriensis). Gli elementi
della peristasis / circumstantia sono di solito sei: persona (quis?), azione (quid?), luogo
(ubi?), tempo (quando?), modo (quemadmodum?), causa (cur?); da Quintiliano , ,
- sappiamo che alcune scuole potevano aggiungere altri tre elementi: materia,
strumento, occasione.
. Cf. Sen. Contr. , (pauper, cum haberet filium et divitem inimicum filiam habentem, peregre profectus est. rumor fuit de morte eius. filius cum divite in gratiam rediit et
eius filiam duxit. reversus pater cogit illum uxorem repudiare; nolentem abdicat) e (dives
pauperem vicinum rogavit, ut sibi arborem venderet, quam sibi dicebat obstare; pauper
negavit. dives incendit platanum, cum qua et domus arsit. pro arbore pollicetur quadruplum,
pro domo simplum); , (dives pauperem de nuptiis filiae interpellavit tertio; ter pauper
negavit); , (Quidam, cum haberet filium et divitem inimicum, occisus ... inventus est).
Due delle Declamationes maiores di Ps.Quintiliano iniziano con le parole pauper et
dives inimici (Decl. maiores VII e XI; la IX propone una variazione: pauperis et divitis
inimicorum filii iuvenes amici erant; la XIII ripropone in chiave diversa lo stesso binomio: Pauper et dives in agro vicini erant iunctis hortulis). Anche negli estratti delle
Declamationes di Calpurnio Flacco (II sec. d.C.) è dato trovare cinque o sei occorrenze
del tema, introdotto sempre dalle stesse parole (pauper et dives inimici).
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
lata con le parole di una massima attribuita a Seneca filosofo .
Da navigato commensale che conosce l’arte di farsi invitare ,
Agamennone sa che la domanda non attende risposta, ma solo
un commento, che non tarda a venire, sulla finezza della battuta:
“Urbane”, inquit Agamemnon et nescio quam controversiam exposuit
(, ). Come si nota subito, la controversia non è degna di memoria e di menzione da parte del narratore, che pure è studente
di retorica, ma studente contestatore, se ci ricordiamo della sua
tirata contro la ventosa et enormis loquacitas venuta dall’Asia (,
). In sintonia con la contestazione di allora e, soprattutto, con
gli interessi dell’autore, questa volta tocca a un liberto venuto
dal vicino Oriente prendersi gioco della prassi declamatoria su
argomenti scontati e contestare la definizione stessa di controversia: Hoc, inquit, si factum est, controversia non est; si factum non
est, nihil est (, ). Questa battuta e altre del genere sono accolte da elogi a non finire; e il consenso nasce da tutti i presenti,
scholastici compresi, come mostra la I persona plurale del verbo
incaricato di segnalare le reazioni del ’pubblico’ (, : haec
aliaque cum effusissimis prosequeremur laudationibus). L’elogio
incrementa la compiaciuta pretesa di Trimalchione di essere
insieme signore del convito ed effettivo maestro di cultura; il
che gli permette, lì per lì, di evocare improbabili letture omeriche e autopsie personali di decrepite ed estenuate Sibille in
vena di annullamento, più avanti di farsi giudice letterario di
una syncrisis sbilenca tra Cicerone e Publilio Siro (, : rogo,
inquit, magister, quid putas inter Ciceronem et Publilium interesse?
Ego alterum puto disertiorem fuisse, alterum honestiorem) e am. Quis est pauper? Qui sibi videtur. Vd. G. Puglisi, Quid est pauper? (Petron. ,
-). Povertà e strategie amministrative nell’Italia romana, «Siculorum Gymnasium» ,
, -.
. Cfr. Petron. , - e , . Si potrebbe aggiungere , : secondo Ermerote,
Agamennone sa apprezzare il mondo dei liberti (ecce magister tuus, homo maior natus:
placemus illi). In , Ascilto così rimprovera Eumolpo, sottolineamdo a che prezzo
si ottengono inviti: multo me turpior es tu hercule, qui ut foris cenares, poetam laudasti.
. Vd. in generale H. Mac L. Currie, The Satyricon’s Serious Side: Petronius and
Publilius, «Latomus» , , -. Va ricordato che Seneca (Ep. , -) mette alla
berlina il ricchissimo e ignorante liberto Calvisio Sabino, che ha la pretesa di dare
Rileggendo Petronio e Apuleio
mettere che il mestiere del letterato è difficillimum artificium (,
). In tal modo si propone – non v’è dubbio – il contrasto tra
personaggi di livello linguistico e culturale diverso, come vuole
la storia del mimo secondo Coricio; ma nel Satyricon, e in particolare nella Cena, il gioco delle parti appare ribaltato, perché
gli applausi (interessati) vanno ai protagonisti extrascolastici,
mentre la derisione è riservata ai professionisti della cultura.
.. Altri aspetti spettacolari: risse, racconti, funerali
Altro ancora riserva lo spettacolo di parole su cui è costruita la
Cena. Conferma che risate e derisioni sembrano programmate
a senso unico viene dall’episodio successivo alla già ricordata
distribuzione degli apophoreta, corredati da cartellini allusivi
che esperiscono tutta una serie di giochi di parole per ‘definire’
gli oggetti distribuiti (, -). L’effetto è scontato (diu risimus),
ma uno degli scholastici, Ascilto, ha il torto di ridere troppo
(usque ad lacrimas) e di farsi beffe di tutto (cum omnia . . . eluderet), suscitando la reazione violenta di uno dei commensali
(unus ex collibertis excanduit). Così in , si apre una nuova
dimostrazione dei rapporti ineguali tra ex-schiavi in ascesa sociale e studenti in formazione, tra uomini del fare e uomini del
dire. Trimalchione ha affermato che «Marte ama l’eguaglianza»
(, ) e che a tavola non c’è discriminazione; si dovrebbe dire,
piuttosto, che alla tavola del ricco di umili origini si reagisce a
discriminazioni tradizionali e si pareggia il conto, recuperando
sul piano sociale debiti di cultura. Ancora una volta, pertanto,
il potere della parola non sta dalla parte degli scholastici o dei
loro giovani amichetti, che si limitano a ridere eccessivamente,
come spettatori di scarso autocontrollo. Negata agli uomini del
dire, nella Cena la parola resta privilegio dei liberti, in questo
giudizi sui poeti greci col sussidio di schiavi addottrinati.
. Vd. J. D’Arms, The Roman Convivium and Equality, in O. Murray (a c. di),
Sympotica: A Symposium on the Symposion, Oxford , -; A. Cucchiarelli,
Trimalchione e la Cena di Marte (partendo da Satyr. , ), cit., -.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
caso di Ermerote, che reagisce in maniera risentita a risate per
lui fuori posto di Ascilto (, -: quid rides, berbex? – Bellum pomum, qui rideatur alios – Ridet! Quid habet quod rideat? - Tibi soli
ridiclei videmus) e, subito dopo, di Gitone, il quale imita Ascilto
e si esibisce a sua volta in una risata indecorosa (, : risum . . .
indecenter effudit), andando incontro a invettiva di non minore
intensità (, : Tu autem . . . etiam tu rides, cepa cirrata?) . La
duplice rampogna non smentisce, per così dire, il programma
egualitario del convito, in quanto riserva al giovane ingenuus
e all’ancor più giovane servus la stessa sequela aggressiva di
insulti, di espressioni proverbiali, di hapax e metaplasmi coloriti.
Così Ascilto viene apostrofato come larifuga e nocturnus qui non
valet lotium suum, lacticulosus, vasus fictilis, lorus in aqua, hircus
in ervilia; e il giovane Gitone viene bersagliato come crucis offla,
corvorum cibaria, terrae tuber, mus in matella, vulpis uda . Anche
le frasi sentenziose indirizzate ai due malcapitati si possono
considerare equivalenti. In molle carne vermes nascuntur (, );
in alio pedunclum vides, in te ricinum non vides (, ): è quanto
spetta ad Ascilto. Dal canto suo Gitone sente massime adeguate
alla propria condizione: qualis dominus, talis et servus (, ); at
nunc mera mapalia: nemo dupondii evadit (, ). Ma l’aspetto
più interessante dello scontro sta nella piena rivendicazione
individuale e sociale da parte della persona loquens. Il sussulto
di Ermerote è davvero degno di nota: riassume la sua storia
personale, celebra l’emancipazione raggiunta e i livelli di vita
autonoma conseguiti, soprattutto afferma la propria dignità (,
-: ipse me dedi in servitutem et malui civis Romanus esse quam
tributarius. Nunc spero me sic vivere, ut nemini iocus sim. Homo
inter homines sum, capite aperto ambulo; assem aerarium nemini
debeo . . . mille denarios pro capite solvi; sevir gratis factus sum;
. Vd. A. Borghini, Cepa cirrata (Petron. LVIII ): una segnalazione, «Aufidus» ,
, -.
. Sulla funzione degli insulti zoologici vd. F. Biville, Et tu cum esses capo, cocococo
(Pétr. .). Métaphores et onomatopées animalières dans Sat. -, «Latomus» , ,
-.
Rileggendo Petronio e Apuleio
spero, sic moriar, ut mortuus non erubescam) . E quando la tirata
investe Gitone, ecco riaffiorare il contrasto tra docti e indocti
a graduatoria inversa. Si segnala, infatti, il dislivello educativo
e culturale tra liberti e mondo della scuola, ma lo spunto serve a stabilire la superiorità d’una buona educazione all’antica,
anche se limitata a nozioni elementari, rispetto ai costi (inutili)
dell’educazione retorica (, -: Non didici geometrias, critica
et alogas naenias, sed lapidarias litteras scio, partes centum dico ad
aes, ad pondus, ad nummum. . . . Iam scies patrem tuum mercedes
perdidisse, quamvis et rhetoricam scis) .
Si è parlato di rissa e diverbio, ma si deve ammettere che
ognuno di questi termini è eccessivo, perché Ascilto e Gitone
non proferiscono una sola parola, tenuti lontano come sono
dalle forme del discorso diretto e della replica. Sorte leggermente migliore, all’interno di una rissa sucessiva meno diseguale,
sembra toccare a Fortunata, quando vorrà reagire alle effusioni
troppo marcate che Trimalchione riserva a un puer di bell’aspetto . Le parole della donna, riportate dapprima in discorso
indiretto, si concludono con un sonoro e diretto insulto zoomorfico: Fortunata, ut ex aequo ius firmum approbaret, male dicere
Trimalchionem coepit et purgamentum dedecusque praedicare, qui
non contineret libidinem suam. Ultimo etiam adiecit: “canis!” (,
) . Certo, Fortunata appartiene allo stesso mondo del padro. Si noti come la duplice speranza di Ermerote sia introdotta con le stesse
espressioni (spero me sic vivere, ut . . . / spero, sic moriar, ut . . . ) e come, in vita e in
morte, compaia l’identica preoccupazione di non essere oggetto di derisione e di
smacco della memoria. Si direbbe che il tutto è formulato in maniera risentita e
seriosa, anche se il rossore post mortem anticipa la battuta di Trimalchione a proposito
dell’ampolla di nardo con cui unge i presenti durante la prova generale delle proprie
esequie (, : spero futurum ut aeque me mortuum iuvet tamquam vivum).
. Sulla scena vd. le considerazioni di G.B. Conte, L’autore nascosto, cit., -,
e di G. Jensson, The Recollections of Encolpius. The Satyrica of Petronius as Milesian
Fiction, Groningen , -. Utili considerazioni in A.D. Booth, La valeur de la
bonne naissance selon Herméros (Satyr. ), «Echos du Monde Classique» , , -.
. Vd. R. Schievenin, Trimalchione e il puer non inspeciosus, «Boll. di Studi Latini»
, , -.
. Sui rapporti tra epiteti zoomorfici e tradizione della favola degli animali si
possono vedere D. Goguey, Des animaux et des hommes dans le Satiricon, in P. Defosse
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
ne di casa e dei suoi compari; oltre al protagonismo in qualche
scenetta femminile (esibizione di gioielli e oggetti di lusso, propensione a danze non castigatissime) , le spettano dunque
diritto di parola e iniziativa di diverbio, tanto da consentire alla
critica di evocare, in filigrana plebea, i litigi delle massime divinità dell’Olimpo omerico . Il prezzo è però piuttosto alto,
visto che la parte più consistente dello scontro è appannaggio
del consorte, il quale replica con gesti violenti (calicem in faciem
Fortunatae immisit) e con punizione piuttosto severa, anche se
poco seria: Habinna, nolo statuam eius in monumento meo ponas,
ne mortuus quidem lites habeam. Immo, ut sciat me posse malum
dare, nolo me mortuum basiet (, ). Insomma, parole poco
alate, oggetti volanti e contundenti, espunzioni da monumenti
funebri e interdizione di baci postumi: tutto serve a movimentare la situazione in chiave teatrale, come teatrale è la falsa lite
degli schiavi, che ignorano il verdetto di Trimalchione e prendono a randellate le rispettive anfore, col risultato a sorpresa di
scodellare sul pavimento ostriche e frutti di mare, serviti poi
ai commensali in compagnia di lumache su graticole d’argento: duplici lautitiae – rozze e insieme preziose – programmate
dall’ingeniosus cocus e dal regista del convito (, -).
Ricapitolando, nell’universo del banchetto trimalchionesco,
il diritto di parola non viene esteso a quanti, nel mondo reale,
ne sono gli effettivi detentori. Di questa censoria ritorsione
sociale è ulteriore conferma la serie di narrazioni che, dopo l’in(a c. di), Hommages à Carl Deroux, II, Bruxelles , -; I. Marchesi, Traces of a
Freed Language: Horace, Petronius, and the Rhetoric of Fable, «Classical Antiquity» ,
, -. Per completare il quadro delle risse simpotiche, si deve ricordare che
anche gli animali non ne sono esenti, come fa fede lo scontro tra la catella nigra atque
indecenter pinguis di Creso e l’ingens formae canis Scilace, praesidium domi familiaeque
(, -).
. Vd. Petron. , - ; , e , . I movimenti e i gesti di Fortunata, dal
rientro in scena su preciso segnale (signo dato) al siparietto con Scintilla e alla scenata
di gelosia, permettono di ricordare che solo il mimo e la pantomima potevano
contare su effettive presenze femminili.
. Vd. M. Ypsilanti, Trimalchio and Fortunata as Zeus and Hera: Quarrel in the
Cena and Ilias, «Harvard Studies in Classical Philology» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
termezzo dei conversari, scandisce la seconda parte della Cena:
tutti i narratori appartengono alla schiera dei liberti, mentre
gli scholastici restano prigionieri del loro ruolo di pubblico, in
particolare di pubblico di ascoltatori. Se si fa un passo indietro,
al termine dell’improbabile disquisizione sull’origine dei vasi
corinzii (, : fusione di ori e bronzi nell’incendio di Troia voluta da . . . Annibale!), ci si imbatte nel padrone di casa in veste
di narratore. La preferenza accordata ai vitrea, agli oggetti di
vetro che hanno un pregio assoluto (non olent) e un non meno
assoluto difetto (la fragilità), fornisce l’occasione per il racconto
del vetro infrangibile (, -). La breve storiella, destinata a buona fortuna letteraria , riassume in poche battute una peripezia
artigianale a fine tragico: l’incauto inventore della phiala vitrea
quae non frangebatur, ammesso alla presenza dell’imperatore,
crede di toccare il cielo con un dito (ma l’immagine di , è
più colorita: putabat se coleum Iovis tenere) ; il principe, invece,
pensoso del crollo della produzione del vetro frangibile, ordina di decapitare l’ingenuo artigiano . Il narratore approva la
ragione economica che provoca l’esito funesto, quia enim, si
scitum esset, aurum pro luto haberemus (, ), anche perché non
vuole e non può nascondere le sue predilezioni per i metalli
preziosi (, : in argento plane studiosus sum).
Andamento analogo, con situazioni che precipitano verso
un finale rovinoso, presentano gli altri due racconti della Cena,
l’episodio di licantropia narrato da Nicerote (, - , ) e
la veglia funebre del morticino raccontata dallo stesso Trimal. Cfr. Plin. , ; Isid. Or. , , ; Joh. Saresb. Pol. , . Vd. per es. G. Polara,
La tradizione medievale della novella del vetro infrangibile, in AA.VV., Semiotica della
novella latina, Roma , -.
. Testo da difendere, contro ogni attacco di perbenismo congetturale: vd. R.
Glei, Coleum Iovis tenere? Zu Petron. , , «Gymnasium» , , -.
. Vd. A. Borghini, La paura di Cesare e il vetro infrangibile: un contributo, «Aufidus» , , -; G. Sommariva, La novella del vetro infrangibile e un preteso incidente
nella cena Trimalchionis (Petr. Satyr. , -; , -), «Filologia Antica e Moderna» ,
, -. Su questo e gli altri racconti petroniani vd. P. Fedeli, Di Mundo, Petronio
Arbitro. I racconti del ‘Satyricon’, Roma ; G. Anderson, The Novella in Petronius,
in H. Hofmann (a c. di), Latin Fiction. The Latin Novel in Context, cit., -.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
chione (, -) . In questi due casi la piega degli avvenimenti
non è più determinata dalla mano occulta dell’economia, ma
da non meno occulte forze misteriose che producono paurosi effetti metamorfici (mutazione di un soldato fortis tamquam
Orcus in lupo mannaro, morti e sottrazione di cadaveri) e che
colorano l’atmosfera del convito di motivi folclorici a mezza via
tra religiosità e superstizione . Lessico, immagini ed espressioni proverbiali conferiscono anche a questi due racconti la
stessa carica mimetica esibita nel corso dei liberi conversari
da tavola: non viene meno, infatti, il tasso di hapax legomena e
metaplasmi, di volgarismi e di frasi fatte che caratterizza i livelli
linguistici esterni al mondo delle scuole . Né mancano altri
spunti e motivi già visti all’opera: per esempio, nell’esitazione
di Nicerote a iniziare il racconto si avverte la medesima preoccupazione di Ermerote per il giudizio e l’eventuale derisione
. Sulle novelle del lupo mannaro e della notte delle streghe si rinvia a E.
Lefèvre, Petrons Spuknovellen , - , , in J. Herman, H. Rosén (a c. di), Petroniana.
Gedenksschrift für Hubert Petersmann, Heidelberg , -, e alla bibliogr. ivi
raccolta. Si aggiungano A. Borghini, Lupo mannaro: il tempo della metamorfosi (Petr.,
Satyr. LXII ), «Aufidus» , , -; M.I. D’Autilia, Il licantropo. Un topos del
‘racconto meraviglioso’ tra Petronio e oralità folklorica, «Primum Legere» , , -.
. Per questi e simili aspetti si rinvia a T. Pinna, Magia e religione nella Cena
Trimalchionis, Sassari ; M. Grondona, La religione e la superstizione nella Cena
Trimalchionis, Bruxelles ; C. Codoñer, Lexique du ‘sacré’ et réalités religieuses chez
Pétrone, «Revue de Philologie» , , -; H. Petersmann, Religion, Superstition
and Parody in Petronius’ Cena Trimalchionis (), in Id., Lingua et Religio, Göttingen
, -. Per analisi di taglio antropologico si rinvia a due articoli di G.B. Bronzini:
Analisi antropologica di un racconto letterario classico, in G. Ferroni (a c. di), Modi del
raccontare, Palermo , -; Il lupo mannaro e le streghe in Petronio, «Lares» , ,
-.
. Termini e modi di dire si citano nell’ordine in cui compaiono: bacciballum,
corporaliter, benemoria (, -); fefellitus sum, egi aginavi, in angustiis amici apparent (,
-); scruta scita, persuadeo hospitem, apoculamus (, -); ad stelas facere, animam in
naso esse, circumminxit (, -); matauitatau, in larvam intravi, paene animam ebullivi,
per bifurcum (, -); nobis adiutasses, tamquam copo compilatus, exopinissent (,
-). Fin qui la narrazione di Nicerote; ecco ora le particolarità del racconto di
Trimalchione: asinus in tegulis, vitam Chiam gessi, ipsimi nostri delicatus decessit . . .
margaritum, caccitus et omnium numerum (, -); in tristimonio, valde audaculum,
salvum sit quod tango, baro noster, illum tetigerat mala manus (, -); manuciolum de
stramentis factum, stramenticium vavatonem, plussciae, quod sursum est deorsum faciunt,
phreneticus periit (, -).
Rileggendo Petronio e Apuleio
da parte degli scholastici (, : Itaque hilaria mera sint, etsi timeo
istos scholasticos ne me rideant. Viderint: narrabo tamen, quid enim
mihi aufert, qui ridet? satius est rideri quam derideri) . Un po’ di
divertimento si ravvisa nello stacco epico di cui il primo narratore (Encolpio e, alle sue spalle, Petronio) fa ironico dono al
narratore extrascolastico (, : Haec ubi dicta dedit talem fabulam
exorsus est) . Il racconto parla di esperienza diretta; tuttavia,
non troppo sorprendente suona la dichiarazione finale, da storico di mirabilia che sembra ammettere reazioni incredule, ma
enfatizza la veridicità di quanto ha narrato (, : Viderint quid
de hoc alii exopinissent; ego si mentior, genios vestros iratos habeam).
In effetti, si tratta di preoccupazione subito cancellata, in quanto
il racconto ricompatta tutti i presenti in un’unica reazione di
ammirato stupore (attonitis admiratione universis), ancor prima
che l’auctoritas di Trimalchione avalli l’attendibilità di Nicerote
e confermi, con un nuovo racconto, l’esistenza di orripilanti
forze oscure (, -: scio Niceronem nihil nugarum narrare: immo
certus est et minime linguosus. Nam et ipse vobis rem horribilem
narrabo). Scatta così la novella della veglia funebre insidiata dall’azione magica di streghe in caccia di cadaveri: anche questa
narrazione presenta uno spunto autobiografico come suggello
di autenticità, in quanto il morto è un giovinetto che aveva
preceduto Trimalchione stesso nel ruolo di amasio del padrone (, : cum adhuc capillatus essem, nam a puero vitam Chiam
gessi, ipsimi nostri delicatus decessit). Un bel ragazzino, dunque,
dall’alterna fortuna: in vita oggetto di attrazione agli occhi del
dominus , in morte oggetto di attenzione da parte delle streghe,
. Vd. M. Plaza, Conflict and Derision in Niceros’ Story (Petr. Sat. .-.),
«Latomus» , , -.
. Cfr. Verg. Aen. , -: haec ubi dicta dedit, lacrimantem et multa uolentem /
dicere deseruit, tenuisque recessit in auras (così svanisce l’ombra di Creusa apparsa in
sogno a Enea).
. Situazione tutt’altro che riprovevole, anche perché può essere la strada
dell’emancipazione, come dirà lo stesso Trimalchione: ad delicias ipsimi annos quattuordecim fui. Nec turpe est, quod dominus iubet. Ego tamen et ipsimae satis faciebam.
Scitis quid dicam: taceo, quia non sum de gloriosis (, ). La morale è compendiata in
, , a proposito del servo condannato perché sorpreso a sollazzare la padrona: quid
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
che ne sottraggono il corpo – per macabri scopi di necromanzia
– e lo sostituiscono con un manichino di paglia, provocando
per giunta la morte del corpulento uomo di Cappadocia che
ha tentato di opporsi al sortilegio notturno.
Diversi sono gli aspetti che la critica recente ha cercato di
mettere in luce a proposito di questi racconti: di volta in volta
si è avuto modo di sottolineare l’irruzione del fantastico o dell’irrazionale nel quotidiano, i livelli espressivi e la distanza dal
linguaggio degli scholastici, il realismo delle classi subalterne,
l’impianto retorico o lo stile dei resoconti militari, l’appartenenza al genere del racconto meraviglioso o folclorico; di contro
non manca chi intende parlare di narrazione di personali esperienze vissute . Va però anche detto o ribadito che le storie
di fantasmi e orrori notturni, pur senza costituire un genere
specifico , rientrano nei racconti di intrattenimento, come
dimostrano anche le novelle di Socrate e Aristomenne (narrata
durante il viaggio del protagonista verso Hypata) e della fallimentare veglia funebre di Telifrone (narrata durante la cena in
casa di Byrrhena) che si leggono nelle Metamorfosi di Apuleio
(rispettivamente in , - e , -). I racconti apuleiani hanno
non pochi punti di contatto con le due novelle petroniane. In
particolare, se si tiene presente che il racconto di Telifrone,
come si è di recente ricordato , ha indubbia ambientazione
conviviale ed evoca situazioni simposiache, non si può escludere che anche i racconti petroniani abbiano analoga funzione
di intrattenimento a banchetto. Vero è che la novella di Telifrone si apre e si chiude tra le risate dei convitati e serve da
preludio alla festa del dio Riso (Met. , , : Inter haec convivium
servus peccavit, qui coactus est facere?
. La bibliografia pertinente è elencata e discussa da G. Vannini, Petronio : bilancio critico e nuove proposte, cit., -.
. Ma vd. M. García Teijeiro, El cuento de miedo en la antigüedad clásica, «Mene»
, , -.
. Vd. M. Zimmerman, Cenatus solis fabulis? A Symposiastic Reading of Apuleius’
Novel, in W. Riess (a c. di), Paideia at Play: Learning and Wit in Apuleius, Groningen
, -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
totum in licentiosos cachinnos effunditur omniumque ora et optutus
in unum quempiam angulo secubantem conferuntur. Met. , , :
Cum primum Thelyphron hanc fabulam posuit, conpotores vino madidi rursum cachinnum integrant, Met. , , : Sollemnis . . . dies
a primis cunabulis huius urbis conditus crastinus advenit, quo die
soli mortalium sanctissimum deum Risum hilaro atque gaudiali ritu
propitiamus. Hunc tua praesentia nobis efficies gratiorem) . Qui,
invece, il racconto di Trimalchione impone – si direbbe unicamente o soprattutto – agli scholastici un atto di omologazione
credula alla cultura del narratore, atto non disgiunto dai soliti
atteggiamenti di stuporosa condiscendenza (, : miramur nos
et pariter credimus, osculatique mensam rogamus Nocturnas, ut suis
se teneant, dum redimus a cena).
A porre fine alla cena e a far ritorno a casa i due giovani
scholastici e Gitone tentano per ben due volte: la prima volta,
senza successo, quando la compagnia dei commensali segue
Trimalchione nella catabasi del bagno e i giovani, novi generis
labyrintho inclusi, non riescono a trovare la via d’uscita ; la
seconda volta, con successo, quando approfittano dell’intervento dei vigiles, richiamati da strepiti fuor di misura, fuggono a
gambe levate dalla dimora di Trimalchione e ritrovano la via di
casa grazie alla previdente sagacia di Gitone, che trionfa delle
tenebrose signore della notte, facendo rivivere a modo suo il
mito del filo di Arianna e prefigurando l’astuzia folclorica di
Pollicino (, : tandem expliciti acumine Gitonis sumus. Prudens
enim pridie, cum luce etiam clara timeret errorem, omnes pilas columnasque notaverat creta, quae lineamenta evicerunt spississimam
. Vd. V. Ciaffi, Petronio in Apuleio, Torino , -; M.G. Bajoni, La scena
comica dell’irrazionale (Petr. - e Apul. Met. I - e II -), «Latomus» , ,
-; D. Van Mal-Mader, Groningen Commentaries on Apuleius. Apuleius Madaurensis,
Metamorphoses. Livre II, Groningen , -.
. Cfr. Petron. , - , . Vd. M.-C. Minazio, La maison-piège de Trimalchion, in
Mélanges Esther Bréguet, Lausanne , -; P. Fedeli, Petronio: il viaggio, il labirinto,
«Materiali e Discussioni» , , -; R.M. Newton, Trimalchio’s Hellish Bath,
«Classical Journal» , , -; T.J. Leary, Getting out of Hell: Petronius , ff.,
«Classical Quarterly» , , -; P. Lago, Il viaggio e la dimensione ‘infernale’ nel
Satyricon, «Aufidus» , , -.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
noctem, et notabili candore ostenderunt errantibus viam) .
Bene: i remoti nipotini di Teseo riescono a fuggire dal labirinto di nuovo genere, ma non prima di aver assistito a un
piccolo spettacolo funebre articolato in più movimenti, un po’
perché tale spettacolo sembra costituire il culmine antifrastico
della Cena , soprattutto perché tradizione vuole che al labirinto siano associate scene di morte . L’attacco è dato dall’ingresso tardivo e rumoroso di Abinna, sevir Augustalis in carica e
lapidarius incaricato del monumento funebre di Trimalchione:
noto a quasi tutti i presenti – ma non al narratore Encolpio, che
reagisce sorpreso e guadagna un rimbrotto da parte del navigato Agamennone (, : contine te, homo stultissime) –, Abinna
giunge tardi a banchetto, palesemente alticcio, col capo incoronato e umido d’unguento, un po’ come l’Alcibiade del Simposio
platonico che arriva tardi e già ubriaco in casa di Agatone .
Come si è già avuto modo di accennare, la presenza di Abinna,
scortato dalla moglie Scintilla, dà luogo a due brevi intermezzi:
il racconto del menu del banchetto funebre da cui è reduce, il
tutto condito da espressioni popolari via via degradanti fino a
un poco appetitoso catillus concacatus (, -); la scenetta di
Fortunata e della sua controfigura Scintilla intente ad ammirare
gioielli e a cicalare su argomenti femminili, chiusa dal gesto
improvviso di Abinna, che solleva i piedi di Fortunata super
lectum, facendole risalire la tunica super genua (, ) . La rea. L’accortezza di Gitone sembra decisiva nei tentativi di lasciare la dimora
di Trimalchione: ducente . . . Gitone ad ianuam venimus (, ); iam dudum se ratione
acutissima redemerat a cane (, ).
. In merito la bibliografia più recente è elencata e discussa da G. Vannini,
Petronio -: bilancio critico e nuove proposte, cit., -.
. Per dirla alla maniera di R.J. Clark, Catabasis: Vergil and the Wisdom-Tradition,
Amsterdam , -.
. Vd A. Cameron, Petronius and Plato, «Classical Quarterly» n. s. , , ; A. Cucchiarelli, L’entrata di Abinna nella Cena Trimalchionis (Petron. Satyr. ),
«Annali della Scuola Normale Sup. di Pisa. Classe di Lettere, Storia e Filosofia» s. IV
, , -.
. Sulla figura di Scintilla e il ritorno di Fortunata «sul palcoscenico del triclinio
e nel campo della mimesi» vd. L. Cicu, Donne petroniane, cit., -; secondo H.D.
Rileggendo Petronio e Apuleio
zione della donna è di vergognoso rossore (, : incensissimam
rubore faciem sudario abscondit): nel corso dell’intera Cena l’intesa complice tra le due donne e il gesto di Abinna a spese di
Fortunata (con cui sembra vantare buona familiarità) sono gli
unici dettagli che possono vagamente evocare situazioni erotiche di tricae teatrali a partecipazione femminile . Ma altra è la
funzione del nuovo arrivato: marmista funerario accreditato,
il personaggio ha ricevuto l’incarico di allestire il mausoleo
del padrone di casa; pertanto la sua presenza vale a riportare
in primo piano il tema della morte. È Trimalchione stesso a
indirizzare il discorso in tale direzione, lungo un crescendo
di commozione a cui non sono estranee le copiose libagioni:
dapprima promette l’affrancamento degli schiavi post mortem e
dà lettura del proprio testamento tra i singhiozzi dei servi (,
: ingemescente familia) ; poi dà disposizioni circa l’impianto
figurativo del proprio monumento funebre, elencando con precisione statue e immagini a compendio della propria vicenda
personale e socio-economica (, -) . Non mancano dettagli
Rankin, Some Comments on Petronius’ Portrayal of Character, «Eranos» , ,
«Scintilla is more or less a duplicate of Fortunata».
. Discorso diverso – ovviamente – vale per le altre parti del Satyricon in
cui l’attivismo erotico delle donne non manca di presenze intriganti, in aperta
concorrenza con gli episodi omoerotici: dalla vecchia erbivendola che conosce la
via del postribolo (, -) al triduo orgiastico con Quartilla, Psiche e Pannichide (,
– , ), dagli appetiti di Trifena, che non totam voluptatem perdiderat (, ) alla
matrona di Efeso (-), dagli amori di Circe e Polieno-Encolpio (, - , ; ,
- , ) ai riti priapici di Proseleno ed Enotea (, - , ), dall’ambigua moralità
della matrona Philomela ai pygesiaca sacra ai quali Eumolpo sottopone la figlia (,
-).
. Cfr. Petron. , : Amici, inquit, et servi homines sunt et aeque unum lactem biberunt, etiam si illos malus fatus oppresserit. Tamen me salvo cito aquam liberam gustabunt.
Ad summam, omnes illos in testamento meo manu mitto. Sul problema degli schiavi sono
da vedere M.A. Cervellera, Petronio e gli schiavi (a proposito di Petr. ), «Annali Fac. di
Lettere e Filosofia, Univ. di Lecce» -, -, -; G. Puglisi, Il microcosmo di
C. Pompeius Trimalchio Maecenatianus. Schiavi e liberti nella casa di un mercante romano
(Petr. -), «Index» , , -.
. Tutti gli elementi citati trovano riscontro in quanto è dato vedere nelle
necropoli d’età imperiale: vd. in part. J. Whitehead, The ‘Cena Trimalchionis’ and
Biographical Narration in Roman Middle-Class Art, in P.J. Holliday (a c. di), Narrative
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
per custodie future, allo scopo di evitare che in monumentum
meum populus cacatum currat (, ); non manca un orologio che
continui a segnare il tempo per Trimalchione, ut quisquis horas
inspiciet, velit nolit, nomen meum legat (, ). Ma non bastano
immagini e misura del tempo; ad assicurare la durata della
memoria deve provvedere un epitafio finale (, ), giocato
non senza ironia su formule ben presenti nelle testimonianze
epigrafiche . La descrizione del monumento e la recita dell’epitafio sortiscono ancor più vistoso effetto di commozione:
Haec ut dixit Trimalchio, flere coepit ubertim. Flebat et Fortunata,
flebat et Habinnas, tota denique familia, tamquam in funus rogata,
lamentatione triclinium implevit. Immo iam coeperam etiam ego plorare, cum Trimalchio: Ergo, inquit, cum sciamus nos morituros esse,
quare non vivamus? (, -). Ecco: ancora in vita Trimalchione
si piange e viene pianto (anche dal narratore) come morto; ma
la mortalità evocata a banchetto – lo sappiamo – è pretesto per
nuovi brindisi o, comunque, per nuove schegge di vita felice
(, : sic vos felices videas, coniciamus nos in balneum, meo periculo,
non paenitebit) .
Con la scena del bagno ha avuto inizio il grande episodio
della Cena; ora con una nuova scena al bagno ci si avvia a conclusione, non prima però della lite con Fortunata e la conseguente
damnatio memoriae già ricordata. Anche del primo, fallimentare,
and Event in Ancient Art, Cambridge , -; A. Mehl, Wirtschaft, Gesellschaft,
Totenglauben: die ‘Igeler Säule’ bei Trier und ihre Grabherren. Mit einemAnhang: das Grab
des Trimalchio, «Laverna» , , - (in part. -); L.H. Petersen, The Baker, his
Tomb, his Wife, and her Bread-Basket: the Monument of Eurysaces in Rome, «The Art
Bulletin» , , - (in part. -); F. Guidetti, La tomba di Trimalchione.
Saggio di commento archeologico al Satyricon, in AA.VV., Lo sguardo archeologico. I
normalisti per Paul Zanker, Pisa , -.
. Vd. P. Tremoli, Le iscrizioni di Trimalchione, Trieste , -; J.H. D’Arms,
The ’Typicality’ of Trimalchio, in Id., Commerce and Social Standing in Ancient Rome,
Cambridge Mass., , - (in part. -); M. Beard, Vita Inscripta, in W.W.
Ehelers (a c. di), La biographie antique, Vandoeuvres-Genève , - (in part.
-); J.F. Donahue, Euergetic Self-Representation and the Inscriptions at Satyricon .,
«Classical Philology» , , -; J. Nelis-Clément, D. Nelis, Petronius’ Epigraphic
Habit, «Dictynna» , , - (p. ).
. Vd. anche Petron. , : Itaque tangomenas faciamus et usque in lucem cenemus.
Rileggendo Petronio e Apuleio
tentativo di fuga di Encolpio, Ascilto e Gitone si è già detto;
resta da dire delle condizioni in cui matura la fuga effettiva, vale
a dire del finto funerale del padrone di casa. In fondo c’era da
aspettarselo: a contraltare e a coronamento dell’imitatio vitae,
filone lungo cui si venuta svolgendo la regia della Cena, non può
non trovare spazio l’imitatio mortis, preannunciata e prefigurata
da spie variamente allusive fino alla descrizione del mausoleo ,
poi sigillo finale all’autobiografia di Trimalchione e, in scorcio,
di Abinna (, – , ) . La scena finale ha una sua grandezza e persino non improbabili risvolti storico-realistici, se
ricordiamo che Seneca raccomandava a Lucilio come esercizio
spirituale quotidiano quanto altri faceva per esibizionismo di
cattivo gusto: Itaque sic ordinandus est dies omnis tamquam cogat
agmen et consummet atque expleat vitam. Pacuvius, qui Syriam usu
suam fecit, cum vino et illis funebribus epulis sibi parentaverat, sic
in cubiculum ferebatur a cena ut inter plausus exoletorum hoc ad
symphoniam caneretur: βεβίvωται, βεβίvωται. Nullo non se die extulit. Hoc quod ille ex mala conscientia faciebat nos ex bona faciamus
(Sen. Ep. , -). Lontano dalle preoccupazioni del filosofo e
prossimo al cattivo gusto del governatore della Siria ai tempi
di Tiberio, il ricchissimo Trimalchione detta le sue massime
capitali e celebra, in preda ai fumi del vino, il proprio funerale
. Sulla trama di riferimenti interni, espliciti o impliciti, attira l’attenzione S.
Frangoulidis, Trimalchio as Narrator and Stage Director in the Cena: An Unobserved Parallelism in Petronius’ Satyricon , «Classical Philology» , , -, che sottolinea
gli aspetti di contatto tra il finto funerale e la veglia funebre di , -. Vd. altresì Ch.
Saylor, Funeral Games: The Significance of Games in the Cena Trimalchionis, «Latomus»
, , -. Documentazione sui funerali pubblici in G. Wesch-Klein, Funus
publicum, Heidelberg ; C. Edwards, Death in Ancien Rome, New Haven (pp.
-: Playing dead: Trimalchio); vd. anche J. Bodel, Death and Display: Looking at
Roman Funerals, in B. Bergmann, C. Kondoleon (a c. di), The Art of Ancient Spectacle,
New Haven , -. Come narra Suet. Vesp. , durante le solenni esequie di
Vespasiano è l’archimimo Favor a sfilare con la maschera del defunto imperatore,
imitandone gesti, portamento e battute da spilorcio.
. Vd. S. Döpp, Leben und Tod in Petrons ‘Satyrica’, in G. Binder, B. Effe (a
c. di), Tod und Jenseits im Altertum, Trier , -; R. Martin, Le ’grand air’ de
Trimalchion (Satyricon -), «Vita Latina» , , -; R. Rieks, Die Autobiographie
des Trimalchio, in D. Waltz (a c. di) Scripturus vitam. Lateinische Biographie von der
Antike bis in Gegenwart. Festgabe für W. Berschin, Heidelberg , -.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
al termine dello spettacolo della propria esistenza: «“Credetemi:
hai un soldo, vali un soldo; hai qualcosa, sarai qualcuno (assem
habeas, assem valeas; habes, habeberis). Così l’amico vostro: un
tempo era rana, ora è re. Intanto tu, Stico, tira fuori i paramenti
coi quali voglio essere portato alla tomba. Porta anche l’unguento e un assaggio di vino di quell’anfora con cui do disposizione
che siano lavate le mie ossa. . . . Io voglio esser portato via in
gran pompa, in modo che tutta la gente possa indirizzarmi
parole d’augurio”. Subito aprì l’ampolla del nardo e ci fece ungere tutti dicendo: “Spero che da morto mi piaccia quanto da
vivo”. Fece poi versare il vino in apposito recipiente e disse:
“Immaginate di essere stati invitati al mio banchetto funebre”
(Putate vos [. . . ] ad parentalia mea invitatos esse). La situazione
stava diventando davvero nauseante, quando Trimalchione, abbrutito da una sbornia spaventosa, ordinò di far entrare in sala
elementi di un nuovo concerto, cioè dei suonatori di corno;
appoggiato a un cumulo di cuscini, si distese sul fondo del letto
e disse: “Fate finta che io sia morto. Fate sentire qualcosa di
bello!” (Fingite me, inquit, mortuum esse. Dicite aliquid belli). Tutti
insieme, i suonatori di corno attaccarono una rumorosa marcia
funebre» (, - , ) .
Ibat res ad summam nauseam: finalmente una reazione non
servile da parte dei giovani scholastici, stanchi ormai del ruolo
di spettatori condiscendenti. Finalmente un’azione da protagonisti: occasionem opportunissimam nacti (il tumultuoso intervento dei vigiles) Agamemnoni verba dedimus, raptimque tam
plane quam ex incendio fugimus (, ). Fuga finale a gambe
levate: nel verbo fugimus (promettente I persona plurale) si
è talora creduto di avvertire un’eco oraziana derivante dalla
chiusa della Cena di Nasidieno, il ricco personaggio che ha
qualche tratto in comune con Trimalchione (Hor. Sat. , ,
-: a detta degli ospiti le ultime portate sarebbero suavis
res, si non causas narraret earum et / naturas dominus; quem
. Vd. J. Bodel, Trimalchio’s Underworld, in J. Tatum, G. Vernazza (a c. di), The
Search of the Ancient Novel, Baltimore-London , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
nos sic fugimus ulti, / ut nihil omnino gustaremus) . L’eco oraziana, s’intende, non è da escludere, ma nello specifico è
probabile che l’una e l’altra fuga (entrambe in chiusa, entrambe movimentate) siano tributarie delle soluzioni con cui
erano soliti terminare i mimi, almeno stando all’orazione
ciceroniana in difesa di Marco Celio, accusato di violenza,
sacrilegio e veneficio. Secondo Cicerone l’accusa è inconsistente e sconclusionata, alla stregua dei finali dei mimi: Mimi
ergo iam exitus, non fabulae; in quo cum clausula non invenitur,
fugit aliquis e manibus, deinde scabilla concrepant, aulaeum tollitur (Cic. Cael. ) . Non è dunque troppo azzardato dire
che con l’espediente mimico della fuga ha termine la funzione di spettatori che lo spettacolo della Cena Trimalchionis ha
imposto al narratore esplicito e ai suoi compagni.
In realtà, sarebbe più appropriato dire che in tal modo viene ripristinato il ruolo di protagonisti che Encolpio e Gitone,
in compagnia di Ascilto dapprima e di Eumolpo poi, svolgono
nelle altre parti superstiti del Satyricon, ruolo di protagonisti
comici o parodici, a seconda dei modelli o delle tradizioni che
la critica ha indicato come antecedenti dell’opera petroniana . Come si è voluto distinguere, nella narrazione in prima
persona, tra un Encolpio transparent narrator che descrive
la Cena e un Encolpio agent narrator che racconta episodi di
cui è anche attore , così non sembra inutile distinguere, tra
scholastici spettatori durante la Cena e intellettuali attori negli
. Vd. J. Revay, Horaz und Petron, «Classical Philology» , , -.
. Vd. M. S. Smith, Petronii Arbitri Cena Trimalchionis, cit., : «If Petronius
required to turn to literary sources for inspiration here, he is more likely to have
found it in the endings of mimes: cf. Cic. Cael. ».
. Rassegna in G. Jensson, The Recollections of Encolpius. The Satyrica of Petronius as Milesian Fiction, Groningen , -; vd. anche A. Barchiesi, Tracce
di narrativa greca e romanzo latino, in AA.VV., Semiotica della novella latina, Roma
, -, rielaborato in L. Graverini, W. Keulen, A. Barchiesi, Il romanzo
antico, cit., -.
. In merito si rinvia allo studio di A. Laird, Ideology and Taste: Narrative and
Discourse in Petronius ’ Satyricon, in Id., Powers of Expression, Expressions of Power,
cit., - e -.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
altri episodi, vale a dire in Petron. -, e -. Va tuttavia
notato come in tutte le situazioni, evocate per sommi capi o
descritte in dettaglio, gli uomini di cultura, veri o presunti,
siano accomunati da incomprensioni e sorprese, da fallimenti
e dall’incapacità di governare sentimenti e reazioni emotive.
Insomma, quando non sono spettatori di esibizioni altrui, sono protagonisti delle loro incerte esistenze. Avventure ricche
di esiti non programmati o imprevedibili, sofferenze poco
serie inflitte o patite senza alcuna ragione, farse e travestimenti di scadente progettazione e di peggior effetto, piccole
infamie e improbabili tenerezze, centoni virgiliani degradati
ad apostrofi inguinali, naufragi reali e metaforici, morti per
acqua e impettite riscritture letterarie: di questo tenore sono
i casi umani che si rincorrono nel Satyricon, intercalati a intermezzi poetici che sembrano allontanare l’attenzione dalle
singole peripezie, ma sempre compendiati da massime d’ordine generale e generalmente sviluppati secondo maliziose
cadenze serio-comiche, come mostra – esempio per tutti –
la provvidenziale tempesta che pone fine a troppo affollati
giochi d’amore su nave e permette a Encolpio di innalzare
sulla fragilità dell’umana esistenza un lamento funebre ben
intarsiato di prelievi tradizionali ( - ) .
Non sempre avventure ed episodi si risolvono in risata, ma
nei momenti cruciali, in momenti di transizione o in clausole,
si avverte l’ombra del mimo, cui fanno esplicito rimando specifiche occorrenze lessicali. Così, all’inizio del triduo orgiastico
che precede la Cena, l’improvvisa risata di Quartilla risuona
per tutta la casa, ma sembra artefatta all’orecchio di chi non
si spiega il subitaneo sbalzo d’umore (, : Omnia mimico risu exsonuerant, cum interim nos quae tam repentina esset mutatio
animorum facta ignoraremus, ac modo nosmetipsos, modo mulieres
. Vd. tra l’altro J. Nagore, Reescritura de un topos retorico: la fragilidad de la
vida humana (cap. ), in Ead. (a c. di), Estrategias intertextuales en la narrativa
latina: el Satyricon de Petronio, Buenos Aires , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
intueremur) . Così la preferenza di Gitone accordata ad Ascilto
pone fine all’amicizia tra i giovani scholastici e rivela il triste
destino di un amante abbandonato, come la fine del mimo dissolve la finzione scenica: Nomen amicitiae, sic, quatenus expedit,
haeret; / calculus in tabula mobile ducit opus. / Dum fortuna manet,
vultum servatis, amici; / cum cecidit, turpi vertitis ora fuga. / Grex
agit in scaena mimum: pater ille vocatur, / filius hic, nomen divitis
ille tenet. / Mox ubi ridendas inclusit pagina partes, / vera redit
facies, adsimulata perit (Petron. , ) . Più avanti, in , , con
Eumolpo fa la comparsa un personaggio male in arnese a mezza via tra i vecchioni del mimo e gli intellettuali invisi ai ricchi:
senex canus, exercitati vultus et qui videretur nescio quid magnum
promittere, sed cultu non proinde speciosus, ut facile appareret eum
<ex> hac nota litteratorum esse, quos odisse divites solent. In ,
il duplice tentativo di suicidio di Gitone e di Encolpio con
un rasoio smussato è una mimica mors agli occhi di impassibili
testimoni . In , è Lica a definire, rivolto a Trifena, trucchi
da mimo il travestimento di Encolpio e Gitone per apparire
schiavi: Nunc mimicis artibus petiti sumus et adumbrata inscriptione derisi . Infine, prima di entrare in Crotone Eumolpo,
Encolpio e Gitone diventano protagonisti di una finzione scenica – ovviamente di un mimo – ai danni dei cacciatori d’eredità:
Prudentior Eumolpus convertit ad novitatem rei mentem genusque
divitationis sibi non displicere confessus est. Iocari ego senem poetica
levitate credebam, cum ille: “Utinam quidem, «inquit», sufficeret
. Sulle valenze mimiche sottese all’episodio di Quartilla vd. C. Panayotakis,
Theatrum Arbitri, cit., - (già Id., Quartilla’s Histrionics in Petronius, Satyrica , , , «Mnemosyne» , , -).
. Vd. P. Habermehl, Petronius, Satyrica -. Ein philologisch - literarischer
Kommentar, I, Berlin-New York , - (con bibliogr.).
. Petron, , - , presenta struttura analoga a un “mimo d’adulterio”: C.
Panayotakis, Theatrum Arbitri, cit. -. Commento a Petron. in P. Habermehl,
Petronius, Satyrica -, cit., -.
. Per il problema di ordine testuale vd. P. Habermehl, Petronius, Satyrica -,
cit., . L’episodio della nave di Lica è già indicato come «der Mimus auf dem
Schiffe» da M. Rosenblüth, Beiträge zur Quellenkunde von Petronius Satiren, cit., -.
Vd. C. Panayotakis, Theatrum Arbitri, cit., -.
. Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio
largior scena, id est vestis humanior, instrumentum lautius, quod
praeberet mendacio fidem: non mehercules operam istam differrem,
sed continuo vos ad magnas opes ducerem”. Atquin promitto, quicquid exigeret, dummodo placeret vestis, rapinae comes, et quicquid
Lycurgi villa grassantibus praebuisset: “nam nummos in praesentem
usum deum matrem pro fide sua reddituram. Quid ergo, inquit Eumolpus, cessamus mimum componere? Facite ergo me dominum, si
negotiatio placet (, -)” .
È tempo di concludere, ma prima è opportuno ricordare
che personaggi di rango ben maggiore hanno assimilato la propria esistenza, giocata sul palcoscenico della storia e non tra
le pagine di un romanzo, a un lungo spettacolo fondato sulla
trama di una straordinaria quotidianità. Come narra il biografo dei Cesari, in punto di morte Augusto, exquirens an iam de
se tumultus foris esset, petito speculo, capillum sibi comi ac malas
labantes corrigi praecepit, et admissos amicos percontatus, ecquid
iis videretur mimum vitae commode transegisse (Suet. Aug. , ).
Bene: se anche Augusto – responsabile tra l’altro della fortuna
del mimo e della pantomima a spese del teatro regolare caro
a Orazio – se anche Augusto, dicevo, non ha dimenticato
giovanili travestimenti apollinei per “Cene dei Dodici Dèi” e
non ha disdegnato di misurare la propria vita sul metro del
mimo, non c’è da meravigliarsi che Petronio abbia voluto costruire le esistenze fittizie dei suoi personaggi senza lesinare
riferimenti a situazioni spettacolari note e diffuse sulla scena
d’età imperiale. E non è un caso che, nel mondo in cui spetta
al marmista Abinna in preda al vino precisare i limiti umani
(, : Nemo, inquit, nostrum non peccat. Homines sumus, non dei),
sia Trimalchione stesso a enunciare – con un epigramma da
. Da intendere come apparato scenico: vd. P. Fedeli, Encolpio - Polieno,
«Materiali e Discussioni» -, , .
. Vd. L. Cicu, Componere mimum (Petron. Sat. , ), «Sandalion» , ,
-.
. Vd. per es. G.F. Gianotti, Histriones, mimi et saltatores: per una storia degli
spettacoli ’leggeri’ d’età imperiale, in AA.VV., Vitae Mimus. Forme e funzioni del teatro
comico greco e latino, Como , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
brindisi – la legge della repentina mutatio che è anche la legge
della narrazione mimetica, dunque la legge del mimo o del romanzo della vita quotidiana: Quod non expectes, ex transverso fit
/ et supra nos Fortuna negotia curat: / quare da nobis vina Falerna
puer (, ) .
. Vd. E. Sanguineti, Satyricon, Petronio, in F. Moretti (a c. di), Il romanzo. II.
Le forme, Torino , : «Qui parla, per la prima volta davvero, ma una volta per
sempre, il romanzo».
Capitolo IV
A tavola da Trimalchione:
eccessi gastronomici e debiti culturali∗
.. Le vie della Grande Bouffe
L’Expo (Nutrire il pianeta, energia per la vita) è definitamente alle spalle: come Pollenzo insegna e come da tempo predica
Slow Food, il dibattito sull’alimentazione e sul cibo, già imperniato periodicamente su Terra Madre / Salone del Gusto e
saldamente insediato negli studi televisivi come ricettario visibile, arte culinaria in diretta e agonismo gastronomico tra carnosi
protagonisti e giudici austeri, si sta moltiplicando in questi ultimi anni. È facile profezia che iniziative in merito acquistino
ulteriore intensità e coinvolgano sempre di più il mondo degli
studi e gli specialisti dell’alimentazione; gli esempi non mancano, come ha confermato, per esempio, il convegno Cibo, filosofia
e arte organizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di
Pollenzo nel o come ha mostrato la giornata di studi promossa dall’Istituto Lombardo (Accademia di Scienze e Lettere)
il ottobre dal titolo L’alimentazione tra storia, letteratura e cultura nell’antichità e nel Medioevo. In tale occasione, per
quanto riguarda il mondo antico, si è preso atto dell’importanza
dei cereali nell’alimentazione della Grecia classica (Ugo Fantasia), della poesia gastronomica testimoniata nel IV sec. a.C.
dalla Vita di delizie, poemetto sui viaggi in cerca dei cibi più
∗
La prima stesura è comparsa in «Giornale dell’Accademia di Medicina di
Torino» , , -.
. I saggi allora presentati sono raccolti da N. Perullo, Cibo, estetica e arte.
Convergenze tra filosofia, semiotica e storia, ETS, Pisa .
Rileggendo Petronio e Apuleio
raffinati e dei vini migliori composto da Archestrato di Gela
(Ornella Montanari) e di tre componimenti del II libro delle
Satire oraziane (; ; ) da cui emergono stili di vita diversi e
divergenti rapporti con la sfera del cibo in tema di ars cenandi
(Paolo Fedeli). In sintesi, si tratta di momenti esemplari, a riprova di come la storia dell’alimentazione sia fattore costitutivo
della storia dell’umanità, ieri come oggi, in quanto determina identità etnico-culturali e miti, pratiche religiose e sociali,
comportamenti pubblici o private opzioni di vita.
In generale, si può ricordare come i pasti narrati nei poemi
omerici, al campo nell’Iliade o nelle regge dell’Odissea, presentino tutti aspetti e funzioni di natura rituale che vanno ben
oltre la necessità di soddisfare «il desiderio di cibo e bevanda»
(Il. , e passim). Possono variare le occasioni e le scadenze
possono essere troppo ravvicinate, ma di volta in volta non si
oscurano le ragioni religiose e sacrificali, i momenti deliberativi che prolungano a mensa i consigli dei guerrieri, la prassi
dell’ospitalità che accomuna i palazzi regali di Menelao o di
Alcinoo e le umili dimore di non immemori guardiani di porci. Non c’è però spazio, nei poemi, per dettagli gastronomici
insistiti o per il tema della fame, perché materiale poetico giudicato sconveniente – come informa Ateneo, Deipnosofisti ,
D – rispetto al prestigio del genere eroico e alla statura dei
suoi protagonisti. Se si eccettua il racconto dei pasti selvaggi di
Polifemo (Od. , ss.), l’unica vera eccezione è rappresentata
da Iro , il vorace mendico di Itaca che inaugura la serie degli
schiavi del ventre nella letteratura antica, capostipite dei personaggi da commedia che sognano paesi di cuccagna, dei parassiti
condannati a calcare le scene in qualità di vittime di fame mai
davvero saziata .
. Od. , ss. Sui giochi dell’allusione poetica in tema di ventre vd. E. Bakker,
Remembering the gastêr, in Ph. Mitsis, Chr. Tsagalis (a c. di), Allusion, Authority, and
Truth. Critical Perspectives on Greek Poetic and Rhetorical Praxis, Berlin-New York ,
-.
. In merito vd. quanto ho scritto altrove: Mets pour tous: la f ête grecque entre austérité et cocagne, in L. Bertelli, G.F. Gianotti, Tra storia e utopia. Studi sulla storiografia
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
Come la figura del parassita – che il poeta comico Epicarmo
(V sec. a.C.) ha sottratto a originarie mansioni sacre (relative,
pare, a partizione delle carni dei sacrifici) e consegnato al genere comico come personaggio caricaturale – passa dal teatro
greco a quello romano, così finisce per coinvolgere anche l’attività letteraria di Roma, in concorrenza con frugalità antiche
e popolari, la ghiotta tradizione delle prelibatezze del palato
(Hedyphagetica), l’epica dei piaceri del gusto formalizzata da
Matrone di Pitane e, appunto, da Archestrato di Gela : poesia
catalogica delle delizie da tavola intese come traguardo di ascese sociali e segno di raffinata civiltà. Tale tradizione è presente
a Roma a far data da un perduto poemetto in esametri di Ennio
(gli Hedyphagetica appunto; II sec. a.C.); compare a chiare lettere in Orazio nella Cena di Nasidieno, precursore del liberto
Trimalchione nell’ostentazione grossolana e nella ricerca di
assurde originalità (Satire , ) ; governa l’intero spazio dell’opulenza gastronomica della Cena petroniana (Satyricon . . ) e trova ospitalità nelle gourmandises del tardo ricettario di
Apicio (per rinascere in compagnia delle Muse Maccaroniche
di Teofilo Folengo o delle pantagrueliche tavolate di François
Rabelais).
Insomma, il rapido percorso qui evocato degli eccessi gastronomici presenti nelle letterature classiche poco o nulla ha
che vedere con la storia dell’alimentazione e con forme corrette
di nutrizione in funzione auxologica o preventiva. Piuttosto,
e sul pensiero politico antico, Alessandria .
. Vd. S.D. Olson, A. Sens, Matro of Pitane and the Tradition of Epic Parody in the
Fourth Century BCE, Atlanta, Scholars Press, . O. Montanari, Archestrato di Gela.
Testimonianze e frammenti, Bologna ; S.D. Olson, A. Sens, Archestratos of Gela.
Greek Culture and Cuisine in the Fourth Century BCE. Text, Translation and Commentary,
Oxford .
. Vd. per es. M. Coccia, Cena di Nasidieno e cena di Trimalchione, in Atti del
convegno nazionale di studi su Orazio, Torino , -; J. Augier-Grimaud, Nourriture et culture dans la Cena Triamchionis: deux enjeux de puissance, «Camenulae» ,
(http://lettres.sorbonne-universite.fr/article/camenulae-no--janvier-). In
generale è da vedere W. Tietz, Dilectus ciborum. Essen im Diskurs der römischen Antike,
Göttingen .
Rileggendo Petronio e Apuleio
dato che la nostra attenzione si concentra adesso sulla scena del
grande banchetto nella sontuosa dimora di Trimalchione, si
deve prendere atto di una commensalità smisurata e abnorme
in cui si mescolano, in una sorta di caleidoscopio ingigantito, estetica paraletteraria e maliziosa allusività, imitatio vitae e
imitatio naturae, teatralità plebee e imbarazzanti licenze fisiologiche, carenze di bon ton e pietanze eccessive, sapide narrazioni
e vitalismo verbale. Il tutto condito da parte dell’autore, come
impone il piccante ius Cenae, da ingredienti di alta cucina culturale: divertite babeli di espressività allotrie, trivialità impudenti
e doppi sensi in libertà, indovinelli dalla soluzione scontata e
formule proverbiali non sempre pertinenti o perspicue, miscela
di registri tra serio e faceto, intriganti commistioni di prosa e
poesia.
.. Le prime scene
Il grande affresco della Cena di Trimalchione (che per autonomia narrativa rappresenta un unicum nella letteratura antica)
racchiude un campionario spettacolare di prim’ordine scandito
dalle differenze socio-culturali dei commensali: da un lato il
padrone di casa e i colliberti, fieri delle proprie ascese sociali e
detentori di ricchezze ostentate con cattivo gusto; dall’altro gli
scholastici – un maestro di retorica e due scolari, veri o presunti –, detentori della scienza del linguaggio pubblico, narratori
e, soprattutto, spettatori interni della Cena. Sapientemente intercalati e calibrati, i dislivelli di comportamento e di lingua
tra i due gruppi danno vita a esiti molteplici: sorpresa e ammirazione degli ‘intellettuali’ di fronte all’esagerato spettacolo
della grande abbuffata; liberi conversari dei liberti e afasia degli
scholastici, incapaci di reagire ai toni umorali e sanguigni di
linguaggi popolari; tensione tra i nuovi ricchi e i signori della
parola, a tutto svantaggio di questi ultimi .
. Vd. G.F. Gianotti, Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio, in M. Blancato
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
Lo spettacolo ha un preludio nelle terme, dove i giovani invitati hanno modo di osservare Trimalchione dapprima intento
al gioco della palla (, : videmus senem calvum ... inter pueros
capillatos ludentem pila), poi impegnato in operazione fisiologica
en plein air (, -: Trimalchio digitos concrepuit, ad quod signum
matellam spado ludenti subiecit. Exonerata ille vesica aquam poposcit ad manus, digitosque paululum adspersos in capite pueri tersit),
infine avviato verso casa in portantina, preceduto da battistrada
in alta uniforme e dalla carrozzina del poco attraente amasio
(, : praecedentibus phaleratis cursoribus quattuor et chiramaxio,
in quo deliciae eius vehebantur, puer vetulus, lippus, domino Trimalchione deformior) , accompagnato da un suonatore di flauto
che non la smette per tutto il tragitto (, : symphoniacus cum
minimis tibiis accessit et ... toto itinere cantavit). La prima scena
in cui fa la sua comparsa Trimalchione contiene una serie di
spunti che sembrano anticipare il tenore espressivo dell’intera sezione. Prima notazione: il vecchio calvo (senis calvus) è
figura che pare uscire dal teatro popolare, dalla farsa atellana
e dal mimo; di solito rappresenta un anziano marito, stupido
e gabbato, ma qui, in qualità di giocatore tra giovanetti dalla
lunga chioma (contrapposta alla calvizie del dominus), ricorda
personaggi da commedia e si fa caricatura dell’anziano dai pruriti erotici, anzi omoerotici, come confermano la presenza del
mignon, ancor più brutto del padrone, e le esperienze fatte in
gioventù da Trimalchione . Il lessico del corpo e delle esigenze
fisiologiche fa parte a pieno titolo del realismo del Satyricon,
contrappunto demistificante di temi e motivi alti riciclati dale G. Nuzzo (a c. di), La commedia latina: modelli, forme, ideologia, fortuna, Siracusa
, - (ora in questo volume); si aggiunga S. Maso, Obscenitatem suam spectaculum facere. Esibizione ed elogio dell’incultura tra Seneca e Petronio, in A. Camerotto,
S. Maso (a c. di), La satira del successo. La spettacolarizzazione della cultura nel mondo
antico, Milano-Udine , -. Per testo e traduzione si fa ricorso a quanto ho
pubblicato altrove: La Cena di Trimalchione. Dal Satyricon di Petronio, Acireale-Roma
.
. Ritratto ribadito in , : puer lippus, sordidissimis dentibus ...
. Come racconta egli stesso in , : ad delicias ipsimi domini annos quattordecim
fui.
Rileggendo Petronio e Apuleio
l’autore; il gesto di tergere le dita nei capelli d’un servitorello è
segno icastico di possesso da parte di un ex-schiavo liberato che
a sua volta riproduce a spese altrui comportamenti padronali.
Il gruppo in cammino verso casa sembra evocare un corteo
funebre, una sorta di exsequiae al contrario, preambolo della
costante preoccupazione della morte che aleggia lungo tutto
il testo della Cena, dall’orologio che segna perdite di vita (,
) ai brindisi sul vino d’annata e sullo scheletro argenteo (,
-), alla descrizione della tomba, del testamento e del finto
funerale di Trimalchione (, - e , -). Inoltre, il lessico
dello sguardo ammirato riservato ai tre giovanotti (videmus, ad
spectaculum ducere, notavimus, cum miraremus e così di seguito
per tutta la serata) non lascia dubbi sul ruolo di spettatori interni
da parte di Encolpio e compari, spettatori pieni di ammirazione
che fanno ricorso alla propria cultura soltanto in funzione di
elogi equamente ripartiti tra l’apparato sontuoso della cena e le
discutibili battute dell’anfitrione.
La scena seconda non è meno spettacolare: cambia l’ambientazione, alle terme si sostituisce la dimora di Trimalchione che
attira la vista degli invitati e suscita ammirazione ancora più
intensa: omnia stupeo e admiratione iam saturi, dirà il narratore
di sé e dei propri compari . Per le dimensioni della casa bisogna
attendere la descrizione che ne fa Trimalchione stesso in ,
: «Intanto, sotto lo sguardo vigile di Mercurio [divinità impegnata unicamente a garantire il successo al ricco liberto], ho
costruito questa dimora. Come ben sapete, era una casupola e
adesso è un tempio. Ha quattro sale da pranzo, venti camere
da letto, due portici di marmo; al piano superiore una serie di
stanze, la camera in cui dormo io, il soggiorno di questa vipera
[la consorte Fortunata], la cameretta molto confortevole del
portiere; e la foresteria che accoglie gli ospiti» . Per ora ci si
. Vd. M. Mayer-Olivé, Admiratione iam saturi. Nota a Sat. , , in A. Martínez
Fernández, H. Velasco López, A. Zamora Salamanca (a cura di), Agalma. Homenaje a
Manuel García Teijeiro, Valladolid , -.
. , : Interim dum Mercurius vigilat, aedificavi hanc domum. Ut scitis, casula erat;
nunc templum est. Habet quattuor cenationes, cubicula viginti, porticus marmoratos duos,
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
deve accontentare di primi scorci settoriali, a partire dalla porta
d’ingresso, presidiata dal portiere in divisa dagli stessi colori
del padrone (verde e rosso) intento a pulire piselli in vassoio
d’argento; sulla soglia una scritta a lettere capitali limita gli spostamenti degli schiavi e una gazza dalle penne screziate dentro
una gabbia d’oro saluta gli ospiti. Colori di casato, scritte padronali e oggetti quotidiani di metallo prezioso: tutto in funzione
di potere e ricchezza ostentati senza ritegno. Le pareti dell’atrio
sono interamente affrescate e via via esibiscono un ingens canis
da guardia (così verisimile da provocare lo spavento di Encolpio e le risate dei compagni), scene dall’Iliade e dall’Odissea,
spettacoli di gladiatori e, soprattutto, la carriera di un Trimalchione ancora capillatus dalle origini servili all’emancipazione e
ai vertici della ricchezza, con tanto di apoteosi finale . Sempre
nell’atrio un’edicola ospita i Lares argentei del padrone di casa
(duplice millanteria, per il materiale prezioso impiegato e per
la presenza non canonica di divinità tutelari di famiglia nella
vicenda di un ex-schiavo), una statua marmorea di Venere segnala la devozione di chi ha iniziato le proprie fortune grazie ai
rapporti erotici coi padroni, infine una pisside d’oro custodisce,
reliquia veneranda, la prima barba di Trimalchione (, -) .
Ma non basta: dopo che nell’anticamera della sala da pranzo
gli ospiti osservano l’amministratore (procurator) impegnato
coi rendiconti delle spese, il narratore ha modo di ammirare
(miratus sum), fissati sugli stipiti del triclinio, un cumulo di
oggetti che celebrano, senza sobrietà, la carica e il rango del
padrone di casa: scuri e fasci littori sovrapposti a una sorta di
rostro navale, una lucerna a due becchi, due iscrizioni di chi ha
susum cellationem, cubiculum in quo ipse dormio, viperae huius sessorium, ostiarii cellam
perbonam; hospitium hospites capit.
. Vd. P. Veyne, Vie de Trimalchion, «Annales ESC» , , - (tr. it. in
AA.VV., La società romana, Roma-Bari , -).
. A proposito di Nerone giovane Svetonio scrive: barbam primam posuit conditamque in auream pyxidem et pretiosissimis margaritis adornatam Capitolio consecravit
(Vita di Nerone , ), passo spesso citato per sostenere che in Trimalchione compaiono
tratti caricaturali neroniani.
Rileggendo Petronio e Apuleio
fatto tali donativi a Trimalchione in qualità di sevir Augustalis
(massimo traguardo istituzionale per i liberti), una tavola con
l’agenda dei pranzi fuori-casa del dominus e una tavola con
i moti astrali e il calendario dei giorni fasti e nefasti (, ). Ancora millantato credito: al collegio dei seviri spettano
come insegne solo i fasces, mentre le scuri competono alle
magistrature di rango superiore, ma tant’è: il donatore conosce
il debole del padrone di casa, eccede nel simbolismo del dono
e non sbaglia, visto che l’emblema sta in bella vista all’ingresso
del triclinio, in compagnia dell’agenda del padrone (acta domini,
d’interesse locale) e del calendario modellato su quelli delle
istituzioni pubbliche. L’insieme, manco a dirlo, è di gradimento
degli ospiti, che procedono his repleti voluptatibus.
Come preludio sarebbe più che sufficiente, ma prima dell’ingresso nel triclinio c’è ancora spazio per un’ulteriore scenetta:
l’invito a badare al passo della soglia (dextro pede), la querelle col
tesoriere intento a contare pezzi d’oro, servo pronto a condannare un altro servo per la perdita d’un capo di vestiario, ma
altresì pronto a condonare la pena su intercessione dei tre giovanotti (, -). A ben vedere, la figurina del tesoriere Cinnamo è
una sorta di Trimalchione in sedicesimo: schiavo, parla in modo
sprezzante dei subordinati; veste abiti vivaci e costosi; mostra
risentita preoccupazione per eventuali perdite economiche, ma
perdona, come farà poi Trimalchione, gli errori degli schiavi
dietro le insistenze degli ospiti .
.. Gustatio
Ricapitolando, si può dire che gli episodi fin qui registrati, dall’incontro alle terme all’ingresso nella domus padronale e all’attraversamento dell’atrio, hanno la funzione sì, di dilatare i
termini della narrazione e ritardare l’incipit effettivo della cena,
. Vd. R. Bedon, Pétrone, Satiricon, XXX: le dispensator Cinnamus, «Bulletin de l’
Association G. Budé» , -.
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
ma servono soprattutto come praeparatio: si anticipano con effetti enfatici l’atmosfera e la poetica dell’eccesso che in seguito
si manifestano a chiare lettere nell’intera sequenza occupata
dal trimalchionesco banchetto. Bene: si entra finalmente nel
triclinio, ci si accomoda nei posti assegnati, i servi provvedono
alle abluzioni delle mani e ... a una minuziosa pedicure, accompagnando i gesti rituali con canti continui, tanto che il narratore
commenta: «avresti potuto credere che si trattava d’un coro da
pantomima, non del triclinio d’un buon padrone di casa» (, :
pantomimi chorum, non patris familiae triclinium crederes). In effetti, col coro dei servi lo spettacolo ha davvero inizio e proseguirà
per l’intera durata del convito: il lessico delle rappresentazioni
ne darà conto, alternando portate sontuose ed esibizioni di professionisti, conversari improvvisati e intrattenimenti folclorici,
litigi senza misura e distribuzione di doni, divagazioni paramitologiche e discussioni culturali non sempre o non del tutto
assurde, battute in libera uscita e chiose proverbiali di presunto
buon senso popolare.
È tempo, dunque, di seguire lo sviluppo della cena, che si articola, come vuole la tradizione romana, in tre fasi: la gustatio o
promulsis, cioè l’antipasto accompagnato da vino dolce preparato con miele (mulsum); le primae mensae, la parte più sostanziosa
del pasto, annaffiata dal vino migliore e affidata a portate di
carni e di pesce con contorni di varia natura; le secundae mensae,
vale a dire dessert di dolci e frutta, che di solito segnano la fine
del banchetto; in occasioni importanti si poteva finire con la
comissatio (analoga al simposio greco), serie di bevute a turno
tra i commensali . Se la successione tradizionale è qui rispettata
(a differenza della cena di Nasidieno in cui s’inizia a bere fin dal
mezzogiorno, de medio potare die, secondo Hor. Sat. , , ), l’apparato e il numero delle portate sono raddoppiati o moltiplicati
tre o quattro volte, come conviene alla dimensione iperbolica di
tutto quanto riguarda Trimalchione. Dettaglio non secondario:
. Vd. K.M.D. Dunbabin, The Roman Banquet. Images of Conviviality, Cambridge
; F. Dupont, Les mots grecs du banquet romain, «Métis» n.s. , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
quando arriva l’antipasto, il padrone di casa è assente; vuoto
risulta il posto a lui destinato, il primo del primo letto tricliniare,
di solito riservato all’ospite più importante del convito, mentre
al padrone di casa spetta per tradizione il primo posto del terzo
letto. Segnalato come deroga esplicita della tradizione (novo
more), il particolare non lascia dubbi: nei banchetti in casa di Trimalchione il personaggio di maggior riguardo è Trimalchione
stesso, che ritarda il suo ingresso imitando precedenti imperiali, addirittura il comportamento di Augusto così descritto da
Svetonio: «Talvolta interveniva ai banchetti in ritardo e se ne
andava via in anticipo, sicché i convitati cominciavano a cenare
prima che il principe prendesse posto e rimanevano a tavola
dopo che si era allontanato» .
Assente Trimalchione, arriva la prima portata dell’antipasto:
allata est gustatio valde lauta (, ). Due precisazioni sembrano
necessarie per quanto riguarda il lessico. Il tema delle lautitiae,
delle raffinatezze (vere o caricaturali), è presente nell’intero
testo superstite del Satyricon, dal lautitiarum apparatus predisposto da Quartilla (, ) all’instrumentum lautius del programma
di Eumolpo (, ) e alle epulae lautae di Oenothea (, ),
sempre in riferimento diretto ai livelli alti degli alimenti o al
prestigio di chi non lesina sull’ospitalità conviviale. Non a caso,
fin dall’episodio delle terme, Trimalchione è indicato come
lautissimus homo (, ) e le lautitiae, oggetto di ammirazione e
di gustose assunzioni di cibo, compaiono come termine-chiave
per illustrare eccellenze di apparato e magistrali prodotti di
cucina. Non meno interessante la presenza in posizione, per
così dire, strategica dei composti di fero (adfero, ausfero) e dei
deverbativi ferculum / fericulum per indicare l’inesausto via vai
di portate che arrivano o di piatti e vassoi che vengono portati
via, non sempre vuoti. Si può riprendere ora il discorso nel
momento in cui è portato a mensa il primo antipasto molto
raffinato: «sul vassoio dell’antipasto stava ritto un asinello di
. Vita di Augusto : Convivia nonnumquam et serius inibat et maturius relinquebat,
cum convivae et cenare inciperent, prius quam ille discumberet, et permanerent digresso eo.
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
bronzo corinzio carico d’una bisaccia, che portava in una tasca
olive chiare, nell’altra olive nere. L’asinello era coperto ai lati
da due piatti sui cui orli erano incisi il nome di Trimalchione
e il peso in carati d’argento. Piccoli ponti, saldati al piano del
vassoio, sostenevano ghiri aspersi di miele e polvere di papavero. Erano state sistemate altresì delle salsicce bollenti sopra una
griglia di argento, e sotto la griglia prugne di Siria con chicchi di
melograno» (, -). Trimalchione è assente, ma il suo nome
è presente, a testimoniare la proprietà di oggetti di pregio in cui
i materiali preziosi e i cibi, ricercati gli uni e disposti ad arte gli
altri, danno vita a due quadretti dettati da intenzionale imitatio
naturae (natura mutata in melius, s’intende): l’esito della raccolta
differenziata delle olive e la cottura delle salcicce, con prugne
di Siria e chicchi di melograno a raffigurare le braci sotto la
graticola.
Nel bel mezzo di tali lautitiae fa la sua comparsa Trimalchione, anzi ad symphoniam allatus est, viene portato a mensa a
suon di musica: alla stregua d’un piatto raffinato il lautissimus
padrone di casa viene, per così dire, servito a tavola come cibo
per gli occhi, come spettacolo che suscita il riso del terzetto, che
pure ha già assistito all’anteprima di Trimalchione alle terme.
Come il primo, anche il secondo ritratto è memorabile: «Da
un mantello scarlatto sbucava la sua testa pelata e intorno al
collo, già appesantito dal vestito, aveva infilato un tovagliolo
con ampio bordo purpureo da cui pendevano frange. Al dito
mignolo della mano sinistra portava un grande anello, placcato
d’oro, mentre all’ultima falange del dito successivo un anello
più piccolo, d’oro massiccio, saldato con pezzetti di ferro a guisa
di stelline. E per non limitarsi a ostentare solo queste ricchezze,
mise a nudo il braccio destro, ornato da un bracciale d’oro
e un cerchio d’avorio intrecciato con una lamina luccicante»
(, -). Colore scarlatto e bordo purpureo sono segni distintivi dell’ordine senatorio; l’anello placcato in oro imita l’anello
d’oro dei cavalieri, il secondo anello è un amuleto astrale: il
ricchissimo liberto tende a innalzare il proprio rango, evocando
tratti distintivi delle classi alte della società. Come segno eviden-
Rileggendo Petronio e Apuleio
te dell’ascesa ai fastigi della ricchezza e rivalsa dell’inferiorità
sociale, il parvenu Trimalchione qui esibisce bracciali d’oro e
d’avorio di foggia orientale, più avanti ordinerà che la statua
del monumento funebre lo rappresenti in toga pretesta con
anelli d’oro alle dita (, ). Le ragioni del ritardo sono dette
con l’eleganza di chi si è appena tolto di bocca uno stuzzicadenti d’argento: era impegnato in una partita, che ora intende
continuare; per questo lo segue un giovane schiavo che porta
una scacchiera di terebinto, dadi di cristallo e monete d’oro e
d’argento come pedine (, -). Oro, argento, materiali preziosi
per oggetti quotidiani: l’ostentazione continua, come continua
la gustatio con la seconda portata. Infatti, mentre Trimalchione
gioca e i convitati sono ancora alle prese col primo piatto, viene
portato un vassoio (repositorium allatum est) che merita l’attenzione dei presenti e dei lettori d’ogni tempo: «il vassoio reggeva
una cesta, in cui c’era una gallina di legno con le ali aperte a
cerchio, come di solito si mettono quando covano le uova. Si
avvicinarono subito due schiavi e al suono d’una musica assordante si misero a frugare tra la paglia; dopo averne tirato fuori
uova di pavone, le distribuirono ai commensali» (, -). La
sorpresa non consiste nell’espediente di porre uova di pavone a
covare sotto una gallina in funzione vicaria, considerato che per
Varrone (Rerum rusticarum , , ), Columella (, , ) e Plinio
(Nat. hist. , ) si tratta di prassi diffusa, nota – si direbbe – a
Trimalchione stesso che assume la regia della scena, dicendo
pavonis ova gallinae iussi supponi e invitando i convitati a provare
se sia già avvenuto il concepimento dei pulcini. La sorpresa sta
altrove: anche il secondo antipasto è frutto accurato di imitatio
naturae, riprodotta come fictio manifesta (la gallina è di legno) e
manifestamente intesa a superare il dato naturale, in quanto le
uova di pavone son fatte d’impasto di farina e al loro interno,
una volta rotte con cucchiai piuttosto massicci (come si addice
al mondo di Trimalchione) su consiglio d’un commensale di
vecchia data esperto di trovate del genere, rivelano la presenza
di un grasso beccafico immerso in tuorlo pepato (, -). Da
Platone si sa che l’arte è imitazione della natura e comporta
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
aspetti negativi; dalla Poetica di Aristotele si sa, di contro, che
la mimesi artistica porta progressi cognitivi e incrementi di
razionalità; in tutta la Cena, invece, l’arte culinaria non solo
ha lo scopo di esaltare il padrone di casa come regista, ma ha
soprattutto la pretesa di migliorare la natura (modificandola) e
celebrare se stessa, quasi attività demiurgica in grado di dare
forma e sostanza a un mondo nuovo .
.. Primae mensae. I. Il cielo e la terra
Dopo che anche Trimalchione ha assaggiato salcicce e beccafico, dopo che a tutti è concessa un’ultima bevuta di mulsum, a
suon di musica spariscono i vassoi degli antipasti (gustatoria) e
come segnale d’inizio delle primae mensae vengono portate in
sala anfore con vino d’annata, d’incredibile annata: allatae sunt
amphorae vitreae diligenter gypsatae [...] cum hoc titulo: Falernum
Opimianum annorum centum (, ). Neppure il vino sfugge alla
poetica dell’eccesso che segna cibi, cose e persone nella casa del
ricchissimo parvenu. La data del Falerno Opimiano corrisponderebbe al a.C., anno del consolato di Lucio Opimio. Se si
accetta l’indicazione dei cento anni, si ottengono solo paradossi:
al tempo di Opimio la designazione dei vini non era ancora in
vigore, un vino di tale età sarebbe imbevibile, la Cena andrebbe
collocata nel a.C. I dati paradossali negano qui ogni realismo,
ma sono in funzione di precisa volontà d’autore: il presunto
secolo accumulato sul vino di pregio supera la durata media
della vita dell’uomo e attiva la vena poetica di Trimalchione,
che si abbandona a un lamento, testualmente non ineccepibile,
sulla brevità dell’umana esistenza. «Trimalchione batté le mani
e disse: “Ahimè! il vino vive dunque più a lungo del povero
omiciattolo. Brindiamo allora e inzuppiamoci come spugne!
La vita, è il vino!”» (, ). Si noti: dalla comparsa del vino,
. Vd. per es. A. Cucchiarelli, Mimo e mimesi culinaria nella Cena di Trimalchione
(con un’esegesi di Satyr. ), «Rheinisches Museum» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
impiegato insolitamente per lavare le mani (vinum dederunt in
manus; aquam enim nemo porrexit), scompare dalla vista l’acqua,
che sarà evocata soltanto in , da un invito poco urbano di
Trimalchione alla bevuta e alla minzione: Aquam foras, vinum
intro.
Tra il tono divertito dell’autore e l’ammirazione dei convitati, lo spunto ‘lirico’ si muove sulla falsariga e come caricatura
della poesia greca del simposio, nella fattispecie degli inviti a
bere di tradizione alcaica. E non basta: la circolazione a mensa d’un piccolo scheletro d’argento, secondo usanze orientali,
eccita ancora di più la vena poetica del padrone di casa che si
misura con una quasi-malinconica strofetta di non impeccabile
struttura metrica: «Ahimè, poveri noi, come il misero omuncolo nella sua totalità è cosa da nulla! / Così saremo tutti, dopo
che l’Orco ci avrà portato via. / Dunque viviamo, finché è
lecito mangiare e star bene! (ergo vivamus, dum licet esse bene)»
(, ). La nullità dell’uomo ha ispirato spesso la poesia del
simposio e quella sepolcrale, come mostra, esempio scelto tra
tanti, un epigramma anonimo dell’Antologia Palatina (, ):
«Nulla e poi nulla è la stirpe dei mortali ( οὐδὲν καὶ μηδὲν
τῶν μερόπων τὸ γένος). / Un’altra coppa versami dunque,
compagno, / e dammi da bere il vino, oblio del dolore!». Per il
contenuto può essere utile il confronto con Lucrezio , -
(Hoc etiam faciunt ubi discubuere tenentque / pocula saepe homines et inumbrant ora coronis, / ex animo ut dicant: ’brevis hic est
fructus homullis; / iam fuerit neque post umquam revocare licebit) e
con Orazio, Sat. , , - (terrestria quando / mortalis animas
vivunt sortita, neque ulla est / aut magno aut parvo leti fuga: quo,
bone, circa / dum licet, in rebus iucundis vive beatus; / vive memor,
quam sis aevi brevis). Ma la serietà del lamento, anche se misurata con i due antecedenti, è soltanto apparente, come rivela
il terzo verso. Esse è, a prima vista e intenzione, l’infinito di
sum; ma la valenza verbale è ambigua (in quanto esse è anche
forma sincopata di edere), ha il duplice significato di “essere” e
“mangiare” e si iscrive tra i giochi di parole cari al padrone di
casa. Il risultato, va da sé, tende all’eccesso: il traduttore si vede
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
costretto a rendere esse due volte, come verbo dell’esistenza e
come verbo dell’alimentazione, confortato dal fatto che nella
filosofia non eccelsa della Cena l’uomo è quel che mangia.
Conviene dunque tornare a ciò che si mangia, per prendere
atto di una portata doppia. A guisa di coperchio, il piatto superiore attira l’attenzione degli astanti, sia per la rappresentazione
dei dodici segni dello Zodiaco sia per la modestia dei cibi che il
maestro di mensa ha posto in corrispondenza di ciascun segno
in base a principi analogici non sempre perspicui; in mezzo al
piatto una zolla di terra sostiene un favo (, -). Insomma, dal
brindisi un po’ malandrino sulla nullità umana si passa a una
rappresentazione del mondo e si sale dalla terra al cielo, un cielo a portata di triclinio, come talora s’incontra nella tradizione
letteraria , ma ‘povero’ rispetto alle altre portate: nulla, però, è
lasciato al caso dal materiae structor (da identificare, credo, con
il cocus sapiente menzionato più avanti), demiurgo in seconda,
perché a rivendicare la paternità intera della struttura sarà lo
stesso Trimalchione. Nihil sine ratione facio, dirà infatti in , ,
dopo aver spiegato i caratteri dei nati sotto ogni segno zodiacale
e aver fatto porre sul Cancro, suo segno natale, non un cibo
ma una corona, prima di concludere il momento cosmico della
Cena con una sententia degna d’un filosofo presocratico fuori
tempo: «La madre Terra sta al centro, di forma arrotondata
come un uovo, e contiene in sé ogni sorta di cose buone come
un favo».
Il piatto dello Zodiaco, con i modesti cibi analogici, non è
destinato al consumo: è vero che Trimalchione pronuncia il
famoso invito (Suadeo, cenemus; hoc est ius cenae) che giustifica
forma e sostanza del pasto , ma a suon di musica i servi porta. Vd. per es. un fr. di Alessi Comico (IV sec. a.C.) riportato da Ateneo, Deipnosofisti , a-b: «fu servito / un vassoio splendidamente fragrante dell’aroma delle
Stagioni, / l’emisfero dell’intera volta del cielo. / Tutte le cose belle di lassù c’erano
nel vassoio: / pesci, capretti e in mezzo correva uno scorpione, / uova divise a metà
rappresentavano le stelle».
. Anche in questo caso Trimalchione gioca sul doppio senso di ius (diritto e
sugo); così la traduzione si sdoppia: «Prego, ceniamo! questo è il succo legittimo della
Rileggendo Petronio e Apuleio
no via il ‘coperchio del cielo’ e al di sotto, cioè in un altro piatto
di portata, i convitati scoprono cibi scelti (res electissimas) che
promuovono ammirazione e pronti assaggi: volatili e mammelle di scrofa, una lepre con ali posticce (Pegaso in corpo minore),
agli angoli del vassoio quattro figure di Marsia, dai cui otri una
salsa pepata (garum) cola su pesci, che sembrano nuotare nell’Euripo (, -). Animali celesti (gli uccelli), terrestri (scrofe,
lepre) e marini (i pesci nel garum); inoltre l’allusione a Pegaso,
che nel mito disarcionò Bellerofonte mentre questi intendeva dare la scalata al cielo; la presenza, moltiplicata per quattro,
del povero Marsia, il sileno frigio che osò sfidare Apollo, fu
scorticato e col sangue generò il fiume omonimo, qui supplito
da colate di salamoia pepata. Come si vede, il piatto inferiore
contiene un’antologia sommaria degli esseri che vivono al di
sotto della volta celeste, sotto il cielo dello Zodiaco, e aggiunge
due esempi di folli sfide al divino da non imitare.
Nel mondo di Trimalchione, mentre la sfera del sacro non
supera i confini di concezioni superstiziose e opportunistiche,
si sta in generale con i piedi ben saldi per terra, matrice d’ogni
bene di consumo tamquam favus, sia sul piano cosmico sia sul
piano della geografia privata, come adesso si vedrà. Spetta infatti al vicino di mensa di Encolpio, il liberto Ermerote, dare
notizia sui presenti alla cena, a cominciare da Fortunata, nome
sin troppo parlante della consorte di Trimalchione, per passare
alle carriere di alcuni commensali non privi di buone sostanze sucosi, pieni di sugo, come vuole il lessico della Cena –, dopo
aver menzionato il cumulo dei prodotti che le terre di proprietà
fruttano al padrone di casa. «Non pensare che sia tenuto a comcena». Stesso gioco di parole compare in , , dove l’epiclesi trimalchionesca Carpe
è vocativo di Carpus (nome dello scalco) e imperativo del verbo carpere (“squarciare,
dividere in parti”). La soluzione è fornita dall’interlocutore per ora anonimo di . :
«ogni volta che dice ’Squarcia!’, con la stessa parola lo chiama per nome e gli dà un
ordine».
. Nome dello stretto di mare che separa la Beozia dall’Eubea. A Roma il nome
designa, per iperbole metonimica, ogni canale artificiale, a teatro, nell’arena, nei
giardini e nelle dimore di lusso.
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
prare qualcosa (quicquam emere). Ogni cosa gli nasce da quanto
possiede», dice Ermerote, che elenca alla rinfusa limoni, pepe,
lana geneticamente modificata col contributo dei montoni di
Taranto, miele pari a quello dell’Imetto grazie all’innesto di api
dell’Attica, porpora, mule di pura razza e al vertice delle prelibatezze, tanto per esagerare, semi di funghi importati dall’India
e l’impossibile latte di gallina (, -). L’ampiezza delle proprietà e delle rendite di Trimalchione non è tema che si riduca alle
pur entusiastiche battute del colliberto e nel corso della Cena
al lettore non sono invidiate ulteriori notizie. La prima volta è
Trimalchione a disegnare, con mano non precisa ed eccessiva,
la geografia dei suoi possedimenti: «Grazie al favore divino non
compro nulla (non emo), ma tutto ciò che fa venire l’acquolina
in bocca, è frutto del podere di campagna che ancora non ho
visitato. Si dice che confini tra gli abitati di Terracina e quelli di
Taranto. Ora voglio collegarmi alla Sicilia con l’acquisto di qualche campicello, in modo che, se mi prende lo sfizio di andare
in Africa, io possa navigare sulle mie proprietà» (, -) . Poi
sarà il resoconto d’un contabile a spiegare, tamquam Urbis acta,
come nell’ultimo semestre terreni, animali e schiavi abbiano
incrementato le fortune di Trimalchione, anche a sua insaputa
(, -).
Come è stato notato, il triclinio diventa la mappa del mondo:
i piatti si riferiscono a luoghi, che spesso coincidono con una
proprietà di Trimalchione. Così l’egemonia del padrone di casa
si fa tutt’uno con l’opulenza del cibo, anche se non mancano
altre pretese, con qualche rischio, a dire il vero, perché intendono
muoversi addirittura sul terreno dell’alta cultura. Per esempio,
prima dei rapporti tra carattere delle persone e segno zodiacale,
sentiamo Trimalchione cimentarsi in una citazione dotta e in
una sententia serio-comica: «Pensate che io sia soddisfatto delle
. In . Trimalchione predice un’altra estensione dei propri latifondi, in
direzione della Puglia: si contigerit fundos Apuliae iungere, satis vivus pervenero.
. Vd. G.B. Conte, L’autore nascosto. Un’interpretazione del Satyricon, Bologna
(Pisa ), .
Rileggendo Petronio e Apuleio
pietanze che avete visto sul coperchio del vassoio? Così poco è
noto Ulisse? Anche a tavola bisogna conoscere la filologia!» (,
- ). Sic notus Ulixes? è citazione testuale da Virgilio, Eneide ,
: sono parole di Laocoonte, che cerca invano di impedire ai
Troiani di portare entro le mura il Cavallo di Legno. Nel passo
virgiliano Ulisse è evocato come figura negativa, signore d’ogni
astuzia ingannatrice; invece Trimalchione si identifica con l’antico
re di Itaca allo scopo di esaltare la propria arguta intelligenza!
Come corollario si impara che non c’è tregua allo studio delle
lettere, neppure a cena. La philologia che l’autore attribuisce al
ricco parvenu è scherzosa e caricaturale, ma la battuta di Trimalchione sembra avere due scopi: provare la superiorità lessicale
del padrone di casa rispetto agli altri liberti; affrontare alla pari
gli scholastici presenti a mensa. Per ora i conti con la cultura non
sono troppo disastrosi, come avverrà invece più avanti, durante
spericolate incursioni nella storia e nel mito.
.. Primae mensae. II. Le altre portate
Terminata l’escursione tra cielo e terra grazie alle Case dello
Zodiaco e a quanto avviene quaggiù sotto il patrocinio dei segni
celesti, il triclinio cambia aspetto: il nuovo apparato è quello
delle scene di caccia, delle venationes, con simulacri di reti, spiedi, panie e mute di cani che scorrazzano in libertà (, -). E
la selvaggina? arriva, sì, in tavola, ma nascosta nella seconda
portata. Entra un grande vassoio, su cui è adagiato un cinghiale
di prima grandezza, con tanto di pileo in testa: dalle zanne
pendono due piccoli canestri, pieni di datteri freschi e secchi.
Intorno, la presenza di maialini di pasta, appesi alle mammelle,
indica che sul vassoio è adagiata una scrofa (, -). Tutto è in
continua mutazione: l’animale che appare come maschio aper
pilleatus si rivela scrofa attorniata da minores porcelli, che sono
consegnati come doni d’asporto (apophoreta) ai commensali.
. Usanza conviviale, gli apophoreta sono i doni offerti dall’ospite ai convitati
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
Né i lattonzoli, tuttavia, né l’ambiguo cinghiale sono la vera
cacciagione per cui s’è trasformato lo scenario. Avanza infatti
un servo, in veste di cacciatore, che sventra il cinghiale (tornato
a essere aper nell’estrema rovina): dagli squarci esce a volo uno
stormo di tordi; catturati da servi-uccellatori, sono distribuiti
insieme ai datteri a ciascuno dei convitati (, -). Dal ventre
aperto del cinghiale farcito escono tordi vivi, come dal ventre
del Cavallo di Legno uscì, nell’ultima notte di Troia, la schiera
di Greci guidati da Ulisse, non a caso appena nominato da Trimalchione. Si vedrà più avanti, in , , un altro piatto allusivo
della Presa di Troia, piatto che contende a questo la definizione
di Porcus Troianus (antenato della porchetta); intanto una postilla, affidata a Ermerote, svela il piccolo mistero del berretto
della libertà sulla testa del cinghiale: «Questo cinghiale, riservato come piatto forte della cena di ieri, fu rimandato indietro
(dimissus est) dai convitati; così oggi torna in tavola alla stregua
di liberto» (, ). Il gioco di parole su dimissio vale come lezione offerta da un liberto a uno scholasticus; ma il berretto
della libertà non esaurisce la propria funzione e resta al centro
della scena successiva, sempre sul registro dei giochi verbali.
Un giovane servo di bell’aspetto, coronato d’edera e tralci, si
presenta in sala come dio del vino, distribuisce grappoli d’uva
e recita poesie del padrone, il che non stupisce troppo, considerate le pulsioni liriche di cui s’è già fatta esperienza. Subito
riaccesa, la vena poetica di Trimalchione gioca sul teonimo
greco e gli epiteti cultuali latini del dio e opera una manumissio
per mensam, indirizzando al giovinetto una battuta (Dionyse, liber
esto), che provoca immediata reazione: il servitorello toglie il
berretto al cinghiale e se lo mette in capo. La seconda battuta
è rivolta ai presenti: Non negabitis me habere Liberum patrem (,
-). Qui il gioco un po’ puerile ruota su liber, attributo che
connota il giovane schiavo nel momento dell’affrancamento, e
come viatico alla fine del pasto. Nella Cena ci sono altre due distribuzioni di apophoreta, in , - (preceduta da estrazione a sorte di biglietti enigmatici, prassi cara
ad Augusto; vd. Svetonio, Vita di Augusto : munera dividebat ... titulis obscuris et
ambiguis) e in , (con discesa dei doni dal soffitto).
Rileggendo Petronio e Apuleio
Liber, epiteto di Dioniso nella formula religiosa Liber Pater: così
dicendo Trimalchione gioca altresì sulla propria nascita, che da
servile diventa quella d’un uomo libero, pari ai natali di tutti
coloro che hanno un ‘padre libero’ .
Terminata la venatio e concluso l’intermezzo di DionisoLibero, il motivo della libertas ha ancora un sussulto. Provato
dal cibo ingurgitato e dal ruolo stimolante di primo attore,
Trimalchione abbandona la sala da pranzo e si apparta per soddisfare altri stimoli meno nobili (comportamento tuttavia più
civile della minzione pubblica alle terme). Il corpo, anche il
corpo del padrone, ha le sue necessità e l’apparato della Cena è
in grado di soddisfarle tutte, in entrata e in uscita. L’assenza di
Trimalchione diventa occasione di forte cambiamento, messo
in moto dal piccolo gruppo di cui fa parte l’Io-narratore: «noi,
conquistata la libertà in assenza del tiranno (libertatem sine tyranno nacti), iniziammo a dare il via ai discorsi dei commensali»
(, ). Si noti: qui il senso di libertas e tyrannus, binomio d’ossimoro politico, va commisurato con l’atmosfera della cena.
Tyrannus può essere, sì, inteso come sostituto di rex bibendi, di
re delle bevute nel simposio, ma il termine ‘denuncia’ l’assoluta
preminenza di Trimalchione. La libertas, eco dei giochi verbali
che hanno reso libero il giovane schiavo ornato di tralci di vite,
è libertà di parola che per iniziativa degli scholastici viene estesa
ai commensali. Prospettata così la nuova situazione (i liberi
conversari dei colliberti), è agevole segnalare, come da più parti
si è fatto , che il cambiamento è frutto di sapida miscela tra
intenzioni d’autore e cambio di modello: non più gli Hedypha. Vd. J.P.K. Kritzinger, ‘Non negabitis me habere Liberum patrem’: Petronius, Sat.
. Revisited, «Acta Classica» , , -; T.R. Ramsby, ‘Reading’ the Freed Slave
in the Cena Trimalchionis, in S. Bell, T.R. Ramsby (a c. di), Free at Last! The Impact of
Freed Slaves on the Roman Empire, London , -.
. Vd. per es. A. Cameron, Petronius and Plato, «Classical Quarterly» , ,
-; F. Dupont, Le plaisir et la loi. Du Banquet de Platon au Satiricon, Paris
( ); F. Bessone, Discorsi dei liberti e parodia del “Simposio” platonico nella “Cena
Trimalchionis”, «Materiali e Discussioni» , , -; Ou. Molyviati, The Cena
Trimalchionis and Plato’s Aesthetics of Mimesis, in M. Futre Pinheiro, S. Montiglio (a
cura di), Philosophy and the Ancient Novel, Groningen , -.
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
getica, ma la tradizione del banchetto filosofico, del Simposio
di Platone, per intenderci. Certo, non vanno cercati spunti di
alta filosofia nei discorsi dei compari di Trimalchione, perché la
ripresa del modello si attua sul piano della parodia, ma l’autore
non perde di vista il testo platonico, come conferma più avanti
, -, dove l’ingresso tardivo d’un invitato già alticcio (Habinnas iam ebrius) ricalca l’entrata in ritardo di Alcibiade ebbro
nella dimora di Agatone.
Come già le parole di Ermerote e dello stesso Trimalchione,
la lingua dei liberti offre una campionatura di hapax legomena,
di grecismi e ibridi greco-latini, di trivialità e proverbi, di colloquialismi e metaplasmi, di aspetti popolari e folclorici così
densa da non lasciar dubbi sull’intenzione mimetica di riprodurre affabulazioni e toni del sermo cotidianus et vulgaris. Quanto
ai contenuti, se non s’innalzano a filosofici pensieri sull’essere, si attestano tuttavia a spunti sull’esistere, a questioncelle
sulle difficoltà e sui piccoli piaceri quotidiani. Apre la serie il
liberto Dama, che confessa la propria ebbrezza e formula una
memorabile sententia sulla brevità della vita: dies . . . nihil est.
Dum versas te, nox fit (--). Segue Seleuco, ostile all’acqua
e favorevole al vino, con l’elogio funebre d’un morto recente:
predica a sua volta l’inconsistenza della vita mediante formule
proverbiali tra eco di tradizioni illustri e brevitas popolare: utres
inflati ambulamus. Minoris quam muscae sumus. Non pluris sumus
quam bullae (, ). Il tema funebre persiste nel discorso di Filerote, che esorta a parlare dei vivi (, : vivorum meminerimus),
ma continua a parlare del defunto, criticandone vita e costumi.
Dopo l’elogio, il biasimo: le due forme del discorso epidittico
lasciano l’atmosfera rarefatta delle scuole di retorica e si misurano con situazioni concrete, impigliate nell’immaginario e nel
lessico dei personaggi della Cena. Ancorato a situazioni terrene
è Ganimede, che in , sgg. denuncia la crisi economica e
la corruzione generale, in polemica con quanti si sono arricchiti troppo e in fretta (come l’anfitrione, come gran parte dei
presenti e dei tipi citati nei conversari). L’intervento finale, del
centonarius Echíone, è duplice: a Ganimede ribatte con tono di
Rileggendo Petronio e Apuleio
benpensante, negando la gravità della crisi e descrivendo feste
e spettacoli della vita municipale (, -); si rivolge poi ad Agamennone e con crescente impaccio linguistico indica come
futuro discepolo del retore un fanciullo di casa dagli interessi
culturali alla buona (, : litteris satis inquinatus est).
Gli scholastici hanno provocato i discorsi altrui, ma sono
rimasti silenti in ascolto delle parole degli indocti; il compito di
porre fine ai conversari non spetta perciò al retore, vale a dire a
colui che professa l’arte del discorso pubblico, ma al padrone di
casa che rientra nel triclinio alleggerito del peso superfluo del
ventre, compie pubbliche abluzioni, discetta sui propri disturbi
intestinali e incrementa il galateo delle buone maniere a tavola
concedendo graziosamente ai convitati il diritto a ogni sorta di
emissioni corporee (, -). Recuperate così le funzioni di regista della cena, Trimalchione si preoccupa della preparazione,
per così dire, à la carte della pietanza successiva. Con l’ingresso a suon di musica di tre bianchi maiali si consuma un’altra
scenetta, giocata sull’inopinatum: i fornelli della casa sanno cucinare in casseruola anche animali grossi come vitelli; il cuoco
incaricato di cucinare il maiale anziano dichiara di essere della
quarantesima decuria, rivelando la dimensione della famiglia
servile di Trimalchione, proprietario di almeno schiavi (,
-).
Dati gli ordini per la preparazione del porco, Trimalchione
si rivolge a sua volta ad Agamennone e chiede il tema della controversia del giorno, sciorinando studi personali paragiuridici,
il possesso di due o tre biblioteche, un bel grecismo tecnico
(peristasis) a designare le circumstantiae della declamazione. Agamennone cita un tema trito e ritrito di scuola: Pauper et dives
inimici erant; ma subito il liberto venuto dall’Asia liquida con
una battuta basata sullo scheletro del sillogismo aristotelico la
tradizione scolastica delle controversie fittizie: «Se è un fatto
avvenuto, non c’è controversia che tenga; se il fatto non c’è,
. Timore reverenziale nei confronti del maestro di retorica o malizioso
divertimento dell’autore alle spalle della persona loquens?
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
allora non c’è proprio un bel niente» . Le lodi dei presenti
incrementano il compiacimento di Trimalchione di sentirsi insieme signore del convito e maestro di cultura; si permette,
lì per lì, di evocare improbabili letture omeriche e autopsie
impossibili di decrepite Sibille desiderose di morire (, -),
più avanti di narrare la storia del vetro infrangibile (), di farsi
giudice in una syncrisis sbilenca tra Cicerone e Publilio Siro,
di recitare versi contro il lusso (, -) e di ammettere che il
mestiere del letterato è difficillimum artificium (, ) .
In mezzo a tali sproloqui occupa la tavola un vassoio con un
porco smisurato, ben più grosso del maiale avviato a cottura
sollecita di poco prima: l’imponente animale è sventrato davanti a tutti da un servo costretto a recitare il mimo del cuoco
inetto; dai tagli che si moltiplicano sotto la spinta del ripieno
escono fuori fiotti di salcicce e sanguinacci (, -). Ancora
una volta la scena mitica del Cavallo di Troia ispira all’artista di
cucina, meglio a Trimalchione e al suo capo-cuoco, la traduzione gastronomica d’un racconto epico a tutti noto. Non si tratta,
però, di novità, perché dell’esistenza d’un piatto lussuoso di
questo tipo parlava già un’orazione del II sec. a.C. a sostegno di
leggi suntuarie contro l’usanza di portare in tavola il cosiddetto
Porcus Troianus ripieno di altri animali, come l’antico Cavallo
di Troia era gravido di armati (Macrobio, Saturnali , , ). Se
si ricorda l’ambiguo cinghiale farcito di tordi di , -, si deve
ammettere che la novità trimalchionesca sta nel raddoppio dei
piatti che evocano l’Equus Troianus.
Ecco: la moltiplicazione delle portate è un tratto della dismisura di Trimalchione, confrontabile con comportamenti
imperiali. Soccorre ancora una volta Svetonio: di solito Augusto offriva cene di tre portate (ternis ferculis), al massimo, se le
voleva più copiose ma senza spese di troppo, offriva cene di sei
portate (Vita di Augusto ). Le spese non sono certo pensiero
. , : Hoc, inquit, si factum est, controversia non est; si factum non est, nihil est.
. Vd. R. Daniel, Liberal Education and Semiliteracy in Petronius, «Zeitschrift für
Papyrologie und Epigraphik» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
prioritario del padrone di casa le cui rendite, come si viene
a sapere dagli spunti autobiografici promossi da bevute fuori controllo, sono in continuo aumento, tanto che potrà dire:
quicquid tangebam, crescebat tamquam favus (, ). Più importante, si direbbe senza tema di smentita, è l’allestimento dei
piatti e delle portate, nonché la cura riservata agli intermezzi
spettacolari – danze e recite improvvisate (, -; , -; ,
-); acrobati con esiti scadenti (, -, ); recita degli Omeristi e strampalate didascalie antiomeriche di Trimalchione (,
-) ; racconti di paura per buona digestione (, -); risse
di cani e ‘cavalluccio padronale’ (, -) – che nuovamente
sembrano richiamare abitudini di altissimo rango, inaugurate
da Augusto, che tra una portata e l’altra faceva esibire lettori e narratori, ballerini, istrioni e saltimbanchi (Svetonio, loc.
cit.). Talora l’intermezzo prepara la portata immediatamente
seguente, come succede quando Trimalchione pone fine alla
sgangherata ricostruzione della Guerra di Troia: «Naturalmente vinse Agamennone e diede in sposa Ifigenia, sua figlia, ad
Achille. Per questa ragione Aiace diventa matto, e subito se
ne darà dimostrazione» (, ) . La follia di Aiace – è noto
– non è causata da impossibili gelosie, ma dall’assegnazione
delle armi di Achille a Odisseo su non imparziale giudizio degli Atridi, ma la tirata paramitologica rivela subito la propria
funzione anticipatoria. Tra gli strepiti degli Omeristi, infatti,
vitulus elixus allatus est: trasportato su d’un vassoio di duecento
libbre (suppellettile degna d’una dimora in cui tutto è eccesso
e ostentazione), fa la sua comparsa un vitello lessato; simbolo
degli armenti vittime della spada di Aiace, l’animale è fatto a
pezzi dal gladio di uno scalco, che gesticola come un pazzo e
distribuisce le carni in punta di spada tra i commensali ammirati (, -). Il mito entra in cucina e si trasforma in vivanda
. , -: Scitis, inquit, quam fabulam agant? Diomedes et Ganymedes duo fratres
fuerunt. Horum soror erat Helena. Agamemnon illam rapuit et Dianae cervam subiecit ...
. Vd. P. Grossardt, Der Trojanische Krieg in der Darstellung des Trimalchio (Petron,
Sat. ,-), «Rheinisches Museum» , , -.
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
spettacolare: messa in scena della “pazzia di Aiace” in chiave
gastronomica, vera e propria pantomima, con un finto Aiace
che fa la parodia della strage di animali imbelli (qui addirittura
già cucinati), eseguendo la danza della spada che appartiene al
repertorio dei ballerini-interpreti, come informa Luciano di
Samosata, Sulla danza -.
Il racconto non conosce sosta, anche se progressivamente il narratore, e alle sue spalle l’autore, accompagna al gusto
per l’abnorme offerta di cibarie l’interesse per comportamenti
sociali, conversari mimetici, ritualità conviviali d’alto bordo.
Nel punto in cui siamo giunti, alla pantomima di Aiace tiene
subito dietro la seconda distribuzione di apophoreta, che questa
volta spiovono dai lacunaria del soffitto mediante un marchingegno meccanico: non più legati al cibo, come in precedenza,
i ricordini sono ora corone d’oro e ampolle d’alabastro piene di profumo, segni inequivoci, tangibili e asportabili, della
ricchezza dell’anfitrione.
Mentre c’è chi raccoglie gli apophoreta (diversivo per preparare una portata a sorpresa), c’è chi dà un’occhiata alla mensa e
vi trova, già deposto, «un vassoio colmo di focacce: il centro è
occupato da un Priàpo cotto al forno che, secondo l’immagine
ben nota, regge col basso ventre piuttosto esteso e prominente
frutta d’ogni genere e grappoli d’uva». Finalmente! Il dio della
fertilità, il guardiano dei raccolti con la sua gioiosa o minacciosa
protrusione itifallica compare in tavola e riassume, in maniera
icastica, la forza produttrice di ricchezza che vivifica le proprietà di Trimalchione (per altro senza figli, ma forse non privo di
residue speranze in forza della rappresentazione vulgata del
dio). La scena che segue, però, è lontana da pensieri di fondazioni familiari: «Con avidità allunghiamo le mani verso quel
fastoso apparato (ad pompam), e qui, d’improvviso, un nuovo
svago giocoso riportò l’allegria. Infatti, tutte le focacce e tutti
i frutti, anche al tocco più lieve, iniziarono a spargere zafferano, facendone arrivare l’odore acuto fino a noi. Pensando
che fosse una portata sacra (sacrum fericulum), aspersa com’era
d’ingrediente di natura così religiosa, ci alzammo in piedi tutti
Rileggendo Petronio e Apuleio
insieme e dicemmo: “Salute ad Augusto padre della patria!”»
(, -). Bene: la tumescenza assoluta di Priàpo e la nuvola
pungente di zafferano provocano un saluto poco regolamentare all’imperatore di turno. Nell’universo privato dell’anarchico
liberto, che scimmiotta prerogative elitarie e ostenta Lari fittizi
(, -), non pare aspetto prioritario la devozione politica: è
vero che con le bevute ci si è già spinti molto avanti, ma la cura
impiegata nella preparazione impedisce di disconoscere l’intenzionale ironia e di spiegare la scena come frutto di spensierata
ubriacatura.
Dopo il provocatorio atto d’ossequio, l’Io narratore perde
di vista il cibo e concentra la propria attenzione e quella dei
lettori d’ogni tempo sull’episodio di licantropia narrato da Nicerote (, - , ) e sull’assalto delle streghe alle spoglie d’un
morticino nella veglia funebre narrata da Trimalchione stesso
(, -). In dettaglio, il racconto di Trimalchione impone agli
scholastici un atto di credula omologazione alla cultura di chi
parla, accompagnato dai soliti atteggiamenti di condiscendenza
stuporosa (, : miramur nos et pariter credimus). La capacità di
giudizio di Encolpio non è però scomparsa del tutto, se il giovanotto cita con disgusto l’ultima portata, la sesta, delle primae
mensae, definite in senso ironico matteae, ghiottonerie: galline
d’allevamento e uova d’oca incappucciate, ribattezzate dal padrone di casa come gallinae exossatae; per giunta una gallina
a testa, cioè un’esagerazione quanto al numero e una caduta
di stile quanto alla scelta del volatile pro turdis (, -). Altra
critica, a metà tra tradizione scolastica e sensibilità estetica, sarà
indirizzata alla recita di versi virgiliani per bocca del servo del
nuovo arrivato, vale a dire del servo di Abinna: «Mai suono più
stridulo colpì le mie orecchie; oltre alla pronuncia delle sillabe
lunghe e brevi alla maniera errata del barbari, quello vi mescolava versi di Atellana, tanto che allora per la prima volta mi
risultò insopportabile anche Virgilio» (, ). Il risveglio dello
spirito critico prelude alla fine dell’ammirata condiscendenza
nei confronti dello stile di vita del ricco parvenu e prepara i tentativi di fuga, fallito il primo e riuscito il secondo, del terzetto
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
dal labirinto d’una dimora dalle troppe porte.
.. La cena nella cena, le secundae mensae, la seconda cena
Ci si è mossi troppo in fretta, però, per inseguire i segni (non
sempre confermati) di rinnovata autonomia di giudizio da parte
di Encolpio; è bene ricordare che tra i due episodi succedono
eventi degni d’attenzione. Intanto fa il suo ingresso il nuovo
arrivato, il marmista Abinna, con tanto di consorte e corteo al
seguito: impresario di monumenti funebri ingaggiato da Trimalchione per la costruzione dell’ultima dimora, è reduce da
un’altra cena – cena funebre, tanto per essere in tema - e non
cela il proprio stato d’ebbrezza, calato, come s’è già detto, nello
stesso ruolo che fu di Alcibiade nel Simposio di Platone . Abinna è della stessa stoffa del padrone di casa con cui si misura in
colloquio a suon di calici. Come c’è chi sa l’arte di farsi invitare
a cena , così Abinna conosce l’arte della lusinga e alla domanda sul trattamento ricevuto dall’ospite precedente risponde:
«Abbiamo avuto proprio tutto, all’infuori della tua presenza; la
luce dei miei occhi, in effetti, era qui» . Come Trimalchione,
è interessato alla quantità e alla qualità del cibo, senza il bon
ton di tacere eventuali conseguenze su viscere e stomaco. La
prova è l’elenco di quanto ha già ingurgitato altrove: maiale con
salcicce, sanguinacci e interiora di pollo (optime facta), bietole e
pane integrale (preferito al pane bianco perché et vires facit, et
cum mea re causa facio, non ploro), focaccia al cacio e miele irrorata da ottimo vino di Spagna, ceci, lupini, noci a piacere e una
mela a testa. Il piatto forte è la carne d’orso: Abinna ne mangia
. Vd. A. Cucchiarelli, L’entrata di Abinna nella Cena Trimalchionis (Petron. Satyr.
), «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa» s. , , , -.
. , : Excipimus urbanitatem iocantis, et ante omnes Agamemnon, qui sciebat
quibus meritis revocaretur ad cenam. Il bello è che Agamennone, in , -, con la pretesa
di dare precetti, afferma che chi vuole intraprendere la carriera letteraria deve
evitare atteggiamenti servili e non cercare inviti alle cene dei potenti.
. , : Omnia, inquit, habuimus praeter te; oculi enim mei hic erant.
Rileggendo Petronio e Apuleio
più di una libbra, mentre la consorte al primo assaggio paene
intestina sua vomuit; seguono formaggio molle e vino cotto,
lumache, fegatini in tegame, rape, uova incappucciate, senape
e olive farcite, mentre pernae missionem dedimus, il prosciutto
è congedato come un veterano a fine servizio (, -). Anche
alla tavola dell’ospite di Abinna ci sono piatti in abbondanza,
alcuni simili a quelli presenti sulla mensa di Trimalchione; simile è altresì il caso del prosciutto, che ha sorte simile a quella
dell’aper pilleatus rispedito in cucina durante il convito del giorno prima. Manca tuttavia, nel racconto della cena nella cena, il
senso spettacolare dell’apparato, la costruzione dei piatti a sorpresa; non si avverte, insomma, la mano di un regista in vena di
stupire i presenti, soprattutto la notizia di ‘dotti conversari’ tra
commensali, né s’intravede l’abilità d’un capo-cuoco in grado
di realizzare quanto prevede l’inesausta e greve creatività del
padrone.
Per conoscere l’artefice o, almeno, uno degli artefici di tanta dovizia si deve attendere ancora un po’. Prima le donne al
convito, Fortunata e Scintilla (consorte di Abinna), esibiscono
abbigliamento e gioielli, provocando le lamentele dei mariti a
proposito dei costi femminili (, -). Poi, su ordine di Trimalchione, i servi tolgono di mezzo le primae mensae e preparano
le secundae, ripulendo la sala con ingredienti che suscitano la
sorpresa di Encolpio, a causa della presenza sul pavimento della
polvere di mica, di solito usata al circo: il dettaglio rende esplicita la corrispondenza tra l’anfiteatro e il triclinio di Trimalchione,
collaudata dalla venatio e da una serie di esibizioni che talora
hanno come protagonista lo stesso padrone di casa. Finalmente,
ecco le secundae mensae, in compagnia di una freddura di Trimalchione: «Certo, avrei potuto accontentarmi di questa portata
(hoc fericulo), perché le seconde mense voi le avete ormai davanti. Ma se c’è qualcosa di buono, servilo pure in tavola!» (,
). Il gioco di parole è di disperante banalità: con hoc fericulo si
può indicare tutto ciò che è stato portato in sala, dunque anche
le nuove mensae o tavole, che hanno sostituito le precedenti e
che si possono definire secundae mensae, concrete e fuor di me-
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
tafora in luogo del grecismo tecnico che assegna alle secundae
mensae il compito di designare il post-pasto. Il termine tecnico
fa la sua comparsa in , e interrompe sbracate esibizioni di
servi e compiaciuti commenti dei rispettivi padroni: «strazi così
numerosi non avrebbero avuto termine, se non fosse stato portato in tavola il post-pasto (nisi epidipnis esset allata), cioè tordi
di farina di segala farciti d’uva passa e noci», seguito da mele
cotogne ricoperte di spine (per sembrare ricci di mare, come
vuole l’imitatio naturae più volte vista all’opera) e da una portata
tanto mostruosa da rendere preferibile – sostiene Encolpio – la
morte per inedia: un’oca d’allevamento, in apparenza, con contorno di pesci e d’ogni tipo di volatili (, ). Come il resto della
cena, il dessert risulta piuttosto pesante e non finisce qui, ma
prima di ennesime aggiunte Trimalchione sentenzia che uno
solo è l’ingrediente di tutto ciò che si vede in tavola. Encolpio
smarrisce di nuovo il ben dell’intelletto e formula ipotesi errate:
cibi di sterco o di fango; si conferma così la scarsa propensione dello scholasticus a comprendere la realtà che lo circonda.
Trimalchione invece sa, demiurgo dell’universo estiatorio in
cui regna; conosce infatti il materiale, carne di porco per tutti
i cibi in tavola e per molti altri a volontà, e conosce l’autore di
tali metamorfosi culinarie, insignito dal padrone del nome di
Dedalo, del più grande architetto del mito greco che s’insedia
a mensa e in cucina come segno di un’eccellenza radicata nella
vita quotidiana . Anche senza il bene di una prova, con Dedalo
piace identificare l’abile materiae structor del piatto dello Zodiaco e il responsabile delle trovate culinarie che trasformano la
cena di Trimalchione nella corposa resa spettacolare di quanto
altri generi letterari – satira, commedia, epica gastronomica,
per esempio – hanno raccontato come ricettario catalogico o
. S. Döpp, Mythen im Alltag. Beispiele aus Petrons Satyrica, in Chr. Schmitz (a
c. di), Mythos im Alltag. Alltag im Mythos. Die Banalität des Alltags in unterschiedlichen
literarischen Verwendungskontexten, München, Fink, , -, mostra come i
personaggi petroniani abbiano confidenza con la mitologia, soprattutto per quanto
concerne i poemi epici, e se ne servano per caratterizzare le situazioni da loro
vissute.
Rileggendo Petronio e Apuleio
come rassegna lessicale di manicaretti.
Manicaretti che ancora si aggiungono a manicaretti, come
le ostriche e i pettini di mare che cadono da ‘anfore della cuccagna’ infrante a bastonate da due finti contendenti e che un puer
raccoglie e distribuisce, come le chiocciole servite su graticola
d’argento da parte di Dedalo in persona, con canto impari all’ingegno, perché intonato tremula taeterrimaque voce (, -) .
Dedalo ha confidenza col padrone e si siede a mensa, gratificando i vicini del proprio odore di salamoia e untumi, per imitare
un attore tragico di grido e fare scommesse sui giochi del circo.
Anzi, si deve precisare che è l’ex-schiavo Trimalchione a trattare con benevolenza l’intera famiglia servile: fa accomodare i
servi a mensa, ne riconosce l’umanità e promette di affrancarli
tutti per testamento (, : et servi homines sunt ... omnes illos
in testamento meo manu mitto). Letto il testamento dalla prima
all’ultima riga tra i gemiti dei servi, Trimalchione dà disposizioni relative all’iscrizione sepolcrale e al proprio monumento
funebre, indicando in dettaglio l’iconografia desiderata – scene
di banchetto comprese - ut contingat post mortem vivere (, -).
È vero che nel frattempo le bevute sono continuate, ma la
descrizione del monumento funerario ottiene il risultato del
pianto generale: piangono Trimalchione e Fortunata, piange
Abinna, piange tutta la servitù, comincia a piangere persino
Encolpio (, -). Ci si dovrebbe trovare oltre le secundae mensae, nel bel mezzo della comissatio riservata alle bevute, alla
libera assunzione di vino; invece si assiste a un simposio di
lacrime che tuttavia non pone termine alla cena. Trimalchione
formula, infatti, un nuovo invito, innestato comunque sul tema
. La voce di Dedalo è pari a quella del padrone, che all’apparire del piatto dello
Zodiaco taeterrima voce de Laserpiciario mimo canticum extorsit (,). Persino il grosso cane di casa, Scylax (“Cucciolo”!), possiede medesima intonazione sgradevole:
taeterrimo latratu triclinium implevit (, ).
. Cfr. Seneca, Epist. a Lucilio , : ’Servi sunt.’ Immo homines. ’Servi sunt’. Immo
contubernales. ’Servi sunt.’ Immo humiles amici. ’Servi sunt.’ Immo conservi, si cogitaveris
tantundem in utrosque licere fortunae. Vd. M. Armisen-Marchetti, Conservi: à propos
encore une fois de Pétrone, Sat. , -, et Sénèque, epist. , in F. Gasti (a c. di), Seneca
e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia , -.
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
lirico dell’inevitabilità della morte: cum sciamus nos morituros
esse, quare non vivamus? Sic vos felices videam, coniciamus nos in
balneum (, ). Un bel bagno alla fine della cena? Certo, ci può
stare, ma Abinna, alter-ego bulimico del padrone di casa reduce
da una cena consumata in toto e da un’altra solo parzialmente
assaggiata, comprende subito le intenzioni del compare di bisboccia ed esclama: «d’un sol giorno farne due, non c’è niente
di meglio per me!» Insomma, il bagno previsto da Trimalchione significa per Abinna che tutto si raddoppia, che una sola
giornata si può vivere due volte: si riparte dal bagno, come
prima dell’ingresso nella dimora del ricco parvenu da parte del
nostro terzetto (questa volta costretto a duplice immersione,
nella vasca d’impluvio durante il primo tentativo di fuga e poi
nella tinozza del padrone) e si ricomincia a cenare. Infatti, smaltita la sbornia, i commensali – evidentemente non affetti da
anoressia – sono condotti in un altro triclinio: in merito non ci
sono problemi, perché la casa ha quattro cenationes, e la voce
di Trimalchione può dare l’inizio alla seconda cena, quasi con
le stesse parole della prima volta: «Amici, inzuppiamoci come
spugne e ceniamo fino al far dell’alba!» .
Il nuovo banchetto ha inizio con un improvvisato rito scaramantico: il canto fuori tempo d’un gallo, considerato di cattivo
augurio come nunzio d’incendio o di morte immatura, ha
duplice soluzione apotropaica: vino versato sotto tavola per
scongiurare incendi; morte del gallo, fatto a pezzi e messo in
pentola, per scongiurare decessi altrui (, -) . L’operazione
prelude al cambio di servitù: congedati i servi della prima cena,
fa il proprio ingresso una nuova squadra di schiavi di cui fa parte
un puer non inspeciosus. Come si ricorderà, nel corso della prima
cena è comparso un puer speciosus, che recita la parte di Bacco e
. , : Amici ... tangomenas faciamus et usque in lucem cenemus. Cfr.
(tangomenas faciamus) e , (cenemus; hoc est ius cenae).
. Vd. W. Deonna, M. Renard, Croyances et superstitions de table dans la Rome
antique, Bruxelles , sgg. Secondo Plinio il Vecchio, Nat. hist. , , incendia inter epulas nominata aquis sub mensam perfusis abominantur. Ma alla mensa di
Trimalchione, come s’è visto, l’acqua non compare neppure per le abluzioni.
Rileggendo Petronio e Apuleio
ottiene l’affrancamento per mensam in forza di battuta (Dionyse,
liber esto!), suscitando l’applauso dei convitati, che coprono di
baci il ragazzino intento a fare il giro della sala (, : laudavimus
dictum et puerum sane perbasiamus). Questa volta la presenza del
servitorello di bell’aspetto mette in moto le voglie dello stesso
Trimalchione: costretto di solito ad accontentarsi delle grazie
del poco attraente amasio, salta addosso al nuovo arrivato e
osculari diutius coepit (, ). Scatta a questo punto la replica, ancor più animata, di quanto è descritto in -, la reazione cioè
di Ermerote alle risate scomposte di Ascilto e Gitone. Infatti, la
scena delle eccessive attenzioni rivolte al bel ragazzo provoca
l’immediata e furibonda reazione di Fortunata, che pure non
ha mostrato gelosia nei confronti del rapporto tra il marito e il
brutto mignon; ora, invece, rivendica a suon di insulti la propria
condizione giuridica di consorte, ottenendo per tutta risposta
il lancio di un calice in testa, una sorta di damnatio memoriae
con cancellazione d’immagine dal monumento funebre e la
lunga requisitoria del marito, suddivisa tra accuse alla donna
e autobiografia celebrativa, con tanto di clausola proverbiale
(, : Credite, mihi: assem habeas, assem valeas; habes, habeberis.
Sic amicus vester, qui fuit rana, nunc est rex). Ancora una volta, la
retorica del biasimo e della lode è calata in un momento privato, sì, ma non troppo, se davvero nella lite tra Trimalchione e
Fortunata si ravvisano, in registro comico, tracce d’un famoso
modello epico, il litigio nel I libro dell’Iliade tra Zeus ed Era,
perché il re degli dèi promette a Teti di restituire ad Achille
l’onore negato da Agamennone . Le parole del diverbio fanno
dimenticare o sostituiscono il cibo, che scompare dalla vista
della seconda cena; non così il vino, ma si tratta di nulla più
d’una degustazione, perché è vino speciale, destinato a officio
funebre, a lavare le ossa del padrone di casa. Come la prima
cena è terminata con la descrizione del monumento funebre
di Trimalchione e la lettura del testamento, così il finale della
. Vd. M. Glock, Ehestreit und Sprachmoral. Zu Homer, Ilias A - und Petron,
Satyrica ,-,, «Forum Classicum» , , -.
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
seconda – il finale per noi, perché viene meno il narratore, che
riesce a fuggire con Ascilto e Gitone grazie all’irruzione dei
vigiles – si conclude col finto funerale di Trimalchione, steso sul
letto tricliniare in qualità di apprendista-cadavere (, : Fingite
me – inquit – mortuum esse. Dicite aliquid belli) .
Come si vede, cibo e vino, che nelle storie riservate all’alimentazione sono di solito garanti di vita , lasciano il posto
a formulazioni d’indirizzo diverso, dettate – ora lo possiamo
dire – dalle molteplici suggestioni che l’autore nascosto è in
grado di far emergere nelle parole e nelle azioni di protagonisti
e comprimari: solo una mens ingenti flumine litterarum inundata
(Petron. , ) può rivelare tale maestría nel fare buon uso di così grande numero di riferimenti culturali . Citazioni e allusioni
trovano calibrata ospitalità nel racconto, in parte come patrimonio fittizio attribuito alle varie personae loquentes, sempre
come patrimonio reale di chi controlla scrittura e riscrittura, di
chi sa far procedere senza tensioni conflittuali testo e ipotesti,
strettamente imbricati e corretti in modo da generare opera
d’intrattenimento e, chissà?, anche di denuncia umorosa mai
scontata o banale. Nessun debito culturale, dunque? Ovviamente no, se si pensa all’autore; più d’uno, invece, se ci si riferisce
ai personaggi. Degli scholastici abbiamo visto i limiti: maestri
del linguaggio, non vanno oltre la capacità di narrare, ma non
sanno comprendere la realtà in cui si trovano e per cui provano
solo ammirata afasia. Discorso diverso vale per Trimalchione
. Vd. tra gli altri M. Erasmo, Reading Death in Ancient Rome, Columbus ,
-.
. Garanti altresì di coraggio guerriero, se si dà retta a Odisseo, che invita
Achille e gli Achei a banchettare prima della ripresa dei combattimenti, perché
«l’uomo che è sazio di cibo e di vino / per l’intera giornata affronta i nemici: / saldo
nel petto è il suo cuore e le sue membra / non cedono prima che tutti abbiano
cessato di combattere» (Iliade , -).
. Così E. Courtney, A Companion to Petronius, Oxford-New York , -,
utile per la rassegna degli autori greci e latini che secondo la critica fanno capolino
nel Satyricon. Vd. anche J. Morgan, Petronius and Greek Literature, e C. Panayotakis,
Petronius and the Roman Literature, in J.R.W. Prag, I. Repath (a c. di), Petronius: A
Handbook, Chichester/Malden (MA) , - e -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
e i colliberti che gli fanno corona, perché nei loro confronti
l’autore, oltre a dare un saggio notevolissimo di mimesi linguistica, compensa ogni deficit culturale con pregi d’altro genere. I
conversari dei liberti sanno essere critici della vita municipale e
non si tirano indietro di fronte a problemi di morale spicciola o
di educazione giovanile. Le invettive di Ermerote contro Ascilto e Gitone mostrano, come del resto le battute di Nicerote in
, (timeo istos scholasticos ne me rideant), timore di derisione
da parte delle persone colte, ma tutte e due le tirate professano onestà di vita e si augurano una fine onorevole, degna di
comportamenti senza macchia . Più complessa – va da sé – è
la figura di Trimalchione in cui non mancano atteggiamenti
non negativi (la benevola comprensione riservata agli schiavi)
o tracce di saperi in qualche modo acquisiti (l’astrologia zodiacale; i grecismi anathymiasis di , per indicare esalazioni
fisiologiche, e peristasis di , per designare l’insieme degli elementi dell’orazione; i conati poetici di , , dove si ammette la
continua mutazione dei casi della vita sotto la regìa della sorte,
per farci sopra una buona bevuta, e di , , dove sedici senari
giambici contro il lusso e il degrado morale sono paradossalmente recitati da chi ostenta lusso sfrenato e dubbia moralità),
ma in cui prevalgono, senza dubbio, formulazioni assurde e
false competenze. Di un clamoroso esempio si è già preso atto: la scombiccherata ricostruzione della Guerra di Troia che
precede la pantomima di Aiace alle prese col vitello lessato in
, -; ora possiamo fare un passo indietro e ricordare come
Trimalchione si avventuri in una strampalata, ma non troppo, ricognizione sulla nascita dei vasi corinzi e descriva l’iconografia
presente su suppellettili di pregio. La comparsa a tavola di una
lanx Corinthia offre il destro al padrone di casa per affermare
che il proprio vasellame è vero corinzio, non perché derivi dalla
città greca, ma perché Corinto è il nome del bronzista da cui
è acquistato. Il padrone di casa fa poi sfoggio di poco credibili
. , : spero, sic moriar, ut mortuus non erubescam. , : Ita lucrum faciam et ita
bene moriar ut populus per exitum meum iuret, nisi te toga ubique perversa fuero persecutus.
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
conoscenze pseudo-storiche sull’origine dei Corinthea e allo
scopo di dimostrare di non essere ignorante (nesapius) continua
palesando insipienza: «Quando Ilio fu conquistato, Annibale
... fece ammassare tutte le statue di bronzo, d’oro, d’argento
in un unico rogo, e appiccò il fuoco: e quelle tutte insieme si
fusero in un’unica lega mista. Così gli artigiani prelevarono
parti da questa massa informe e ne forgiarono scodelle, piatti e
statuine. In tal modo sono nati gli oggetti in lega corinzia, da
tutti uno solo, non più questo né quello» (, -). Annibale
conquistatore di Troia e promotore d’una grandiosa fusione di
metalli: la storia si perde nella risata dei lettori, e dell’autore –
è ovvio – che tuttavia non nega un’indicazione compositiva,
perché là dove si legge ex omnibus in unum, nec hoc nec illud, non
è troppo difficile scorgere, oltre il dato di concrete mescolanze
di metalli, la formula della miscela dei generi letterari operata
nel Satyricon .
Nulla resta com’era all’inizio, tutto si trasforma e assume
nuovo aspetto, come accade anche per le raffigurazioni incise
su vasellame d’argento. Quando finisce di narrare la triste fine
dell’inventore del vetro infrangibile, Trimalchione denuncia la
propria passione per l’argenteria (in argento plane studiosus sum),
ma non mostra eguale passione per informazioni corrette sulle
vicende mitologiche. Afferma infatti di possedere un gran numero di coppe su cui è rappresentato «in che modo Cassandra
uccide i suoi figli e i ragazzi giacciono a terra morti, così bene
che li diresti vivi» e aggiunge d’aver ereditato un vaso ad ansa
su cui è incisa altra scena incredibile: «Dedalo racchiude Niobe
nel cavallo di Troia» . Certo, si può tacere che il sottile giudizio
estetico su ragazzini morti così perfetti da sembrare vivi nasce
dal capovolgimento della perfezione attribuita da Ovidio alla
statua realizzata da Pigmalione (Metamorfosi , -: virginis
. Vd. P. Christensen, Z. Torlone, Ex omnibus in unum, nec hoc nec illum. Genre
and Generic Juxtaposition in Petronius’ Satyricon, «Materiali e Discussioni» , ,
-.
. , : quemadmodum Cassandra occidit filios suos, et pueri mortui iacent sic uti
vivere putes. , : Daedalus Niobam in equum Troianum includit.
Rileggendo Petronio e Apuleio
est verae facies, quam vivere credas / et, si non obstet reverentia,
velle moveri), ma non si può tacere delle confusioni di leggende
e personaggi. Sulle coppe Trimalchione scambia la figura di
Medea con quella di Cassandra, già sventurata a sufficienza
per conto suo; nell’icona del vaso si assiste a una bella mescolanza di miti: la presenza di Dedalo, che rinchiude una figura
femminile all’interno d’un animale di legno, rinvia al mito di
Pasiphae e della vacca lignea indispensabile per concepire il
Minotauro, ma alla “falsa vacca” è sostituito l’animale di legno
più famoso delle antiche saghe, il Cavallo di Troia, mentre a
Pasiphae viene sostituita Niobe (prima d’essere pietrificata per
la strage dei figli), che finisce rinchiusa, da sola o con la prole?,
un po’ come Danae imprigionata col piccolo Perseo nella cassa
fatta costruire da Acrisio.
Nec hoc nec illud, dunque: la formula funziona anche nel
mito, cucinato a puntino e trasformato, come succede al cibo
della cena, sottoposto alla sfida di migliorare la natura e alle
metamorfosi culinarie operate dal Dedalo di casa-Trimalchione.
Ma è ormai tempo di concludere, e lo si può fare con l’aiuto di
Platone, presenza non secondaria, anche se ripensata al ribasso,
lungo l’intero percorso della Cena. In un passo abbastanza noto
del Timeo ( d-e) Platone si sofferma sulle funzioni della bocca umana e scrive: «Per quanto riguarda l’attività della nostra
bocca, è a ragione della necessità e del bene più grande che gli
ordinatori l’hanno provvista (diekósmesan hoi diakosmoûntes) di
denti, di labbra e di lingua secondo la disposizione in cui è ora
ordinata, provvedendo all’ingresso in funzione della necessità,
all’uscita in funzione del bene più grande: in effetti, mentre
necessario è tutto ciò che entra per dare nutrimento al corpo,
la corrente di parole che scorre all’esterno e obbedisce al pensiero è il più bello e il migliore di tutti i flussi ». Ecco: anche
nella Cena non mancano gli ordinatori – uno o due su tutti –
del kosmos sociale e gastronomico che provvede in abbondanza
a quanto deve finire sotto i denti e dà libera uscita a flussi di
parole. Si può obiettare che nel testo petroniano il cibo in ingresso è eccessivo e supera di molto la misura necessaria per la
. A tavola da Trimalchione [. . . ]
sopravvivenza, così come i fiotti di parole che escono dalla bocca di quanti parlano non si possono dire al servizio di pensieri
filosofici. Nondimeno l’ordine complessivo risulta in equilibrio,
per così dire, da compensazione reciproca, in quanto il cibo
eccessivo (e raddoppiato) comporta un incremento della descrizione che arricchisce il lessico di chi narra; le conversazioni
che si susseguono a ruota libera non sono – è vero – al servizio di alte escogitazioni mentali, ma sono, se non il migliore,
pur sempre un bel flusso di parole che parla di vita e di morte,
capace di raffigurare ethos e tic dei personaggi che affollano,
subito oppure in ritardo, l’affollata scena trimalchionesca. Non
ha forse detto l’ordinatore principe del banchetto che oportet
etiam inter cenandum philologiam nosse? A maggior ragione se le
cenae sono due e il convito viene raddoppiato!
Capitolo V
I due maestri di Primigenio∗
Come è noto, l’assenza forzata del padrone di casa, appartatosi
per ragioni intestinali, concede spazio ai liberi conversari dei
liberti e trasforma il triclinio di Trimalchione in succursale
parodica della dimora di Agatone, sede di un poco filosofico
simposio di parvenus di varia fortuna . La conversazione non
affronta un tema comune; tuttavia, gli interventi non sono privi
di connessioni e finiscono per comporsi in una sorta di filosofia
spicciola della vita all’altezza delle esperienze e dei tic delle
personae loquentes . Inizia Dama con una memorabile sentenza
– di collaudate ascendenze liriche – sulla brevità del giorno (dies
. . . nihil est. dum versas te, nox fit), cui fa da correttivo, altrettanto
ben collaudato, l’assunzione di copiose coppe di vino che danno
alla testa e coprono con l’oblio gli affanni quotidiani .
Sappiamo bene che la brevità del giorno è immagine della
brevità della vita, motivo già proposto da Trimalchione come
brindisi a commento dello scheletro argenteo fatto circolare
tra i commensali: eheu nos miseros, quam totus homuncio nil est!
/ sic erimus cuncti, postquam non auferet Orcus. / ergo vivamus,
dum licet esse bene (Petron. , ) . Bene: ora il successivo interIn prima stesura il testo è comparso in «Serclus» , , -.
. Petron. , : Ab hoc ferculo Trimalchio ad lasanum surrexit. Nos libertatem sine
tyranno nacti coepimus invitare convivarum sermones (testo secondo Ernout , ).
Per i richiami platonici vd. Bessone .
. Sulla caratterizzazione dei liberti e i loro discorsi da tavola vd. Maiuri ,
-; Ciaffi ; Perutelli ; Salanitro ; Boyce ; Gaide ; Gaertner .
. Vd. Pellegrino ; Cavalca Schiroli .
. Vd. Grondona ; Dunbabin ; Wöhrle ; Grammatico ; Setaioli
.
∗
Rileggendo Petronio e Apuleio
locutore Seleuco introduce scene di funerale e di compianto
funebre. A modo loro, i liberti di Petronio adattano alla propria
dimensione una massima di portata generale: la vita umana
può essere davvero giudicata soltanto dopo la morte, perché –
per dirla con le parole di Solone a Creso – prima di formulare
un giudizio «di ogni cosa bisogna considerare la fine, come si
concluderà» (Erodoto , , ). Il motivo, assai diffuso nella letteratura antica , trova riformulazione in Ovidio (Met. , -:
sed scilicet ultima semper / exspectanda dies hominis, dicique beatus
/ ante obitum nemo supremaque funera debet) e percorre l’intero
tracciato della Cena, a partire dal piccolo corteo che accompagna
dal bagno a casa Trimalchione fino alle finte esequie del ricco
liberto . Non sorprende allora che Filerote, il personaggio che
interviene subito dopo, esorti, sì, a interessarsi dei vivi (Vivorum
meminerimus), ma poi continui a parlare del morto in questione.
Prende così corpo un secondo elogio funebre in larga misura
antifrastico rispetto al precedente, insieme al quale finisce per
formare una sorta di riduzione sperimentale del genere epidittico della lode e del biasimo, farciti di espressioni tradizionali,
collaudate e proverbiali (utres inflati ambulamus; minoris quam
muscae sumus; non pluris sumus quam bullae; plane Fortunae filius:
in manu illius plumbum aurum fiebat; omnis Minervae homo) a
misura di personaggi estranei alla grande storia.
Le espressioni popolari e proverbiali – si sa – sono di casa
nel Satyricon e scandiscono con frequenza i discorsi dei liberti .
Terminato il duplice ritratto dell’estinto, un’altra espressione
proverbiale (Petron. , : narratis quod nec ad caelum nec ad terram pertinet) segna il passaggio ad argomenti d’ordine politico
e sociale: a pronunciarla è il liberto Ganimede, che a differenza
del mitico omonimo non vola alto, ma resta coi piedi per terra
. Vd. per es. la chiusa dell’Edipo re di Sofocle, vv. -, «nessun mortale
sia detto felice prima che abbia varcato, / senza patire dolore, il termine della vita».
. Vd. Tosi , . In part. si rinvia a Gagliardi e Salanitro .
. Vd. Gagliardi e ; Petrone ; Magnani ; Chandler .
. Vd. da ultimo Vannini .
. I due maestri di Primigenio
e si esibisce in una tirata anomala in confronto a quanto detto
dagli altri commensali. Non parla, infatti, di successi personali
o di squallidi pettegolezzi, di piccole infamie o di dubbie virtù;
denuncia invece il costo della vita, la corruzione e la collusione
di amministratori e profittatori, l’inerzia dei cittadini, le rapide
ascese dei disonesti e il declino dei valori tradizionali . Il passaggio di parola da Ganimede all’interlocutore successivo avviene
per interruzione: l’ultimo atto della polemica di Ganimede, agri
iacent («i campi giacciono desolati . . . »), resta sospeso non a
causa di lacuna testuale, ma a causa di perentorio invito altrui a
non parlare di disgrazie: oro te – inquit Echion centonarius – melius
loquere (Petron. , ). L’intervento di Echione , articolato in
due parti a seconda del personaggio a cui si rivolge, occupa lo
spazio maggiore dei conversari e conferma l’accorta regia che
presiede allo spettacolo della Cena, in quanto svolge due funzioni, per così dire, sceniche. Rispetto alla vena di contestazione
che anima Ganimede, Echione rivela un atteggiamento conformistico: ammette – è vero – l’esistenza della crisi (, : Non
mehercules patria melior dici potest, si homines haberet. Sed laborat
hoc tempore, nec haec sola), ma ne attenua la portata e aggiunge
che le cose non vanno poi così male (, : si aliubi fueris, dices
hic porcos coctos ambulare). Per lui maggior interesse rivestono i
ludi pubblici che si annunciano di buon livello, compreso un
sapido e crudele dettaglio di cronaca locale: la condanna ad
bestias di uno schiavo sorpreso «a far divertire la padrona» (,
). Ecco: nel palesare predilezione per i giorni di festa e per gli
spettacoli dell’arena, Echione si contrappone, sì, all’intervento di Ganimede, ma anche ne integra la dimensione pubblica
. Vd. Petron. , -. Il tutto, manco a dirlo, condito da frasi proverbiali
(serva me servabo te. . . . cum quo audacter posses in tenebris micare; quotidie peius! Haec
colonia retroversus crescit tamquam coda vituli; populus est domi leones, foras vulpes. Nemo
enim caelum caelum putat) e da espressioni colorite (Aediles male eveniat, qui cum
pistoribus colludunt. Isti maiores maxillae semper Saturnalia agunt. Habemus aedilem
trium cauniarum. Si nos coleos haberemus, non tantum sibi placeret. Nemo Iovem pili facit.
Statim urceatim plovebat. Dii pedes lanatos habent). Sull’intervento di Ganimede si
rinvia a Cotrozzi .
. Vd. Baldwin ; Lynch ; Borghini .
Rileggendo Petronio e Apuleio
di vita municipale e non arretra d’un passo nell’impiego di
luoghi comuni e massime popolari .
Di altro tentativo d’integrazione – goffo nell’espressione e
sbilanciato a favore della cultura dei liberti – sembra lecito parlare a proposito della seconda parte dell’intervento di Echione,
che chiama in causa direttamente il retore Agamennone e apre
la strada alle tirate anti-scholastici che avranno per protagonisti
Trimalchione, reduce da appartati recessi igienici, ed Ermerote,
indignato dalle risate scomposte di Ascilto e Gitone. Rivolto
ad Agamennone, Echione intende attirare l’attenzione su problemi di ordine culturale e su questioni relative all’educazione
dei giovani. A sorpresa, ci si trova dunque di fronte a una Institutio grammatica et oratoria in miniatura, aperta da umorose
indulgenze linguistiche. Succede infatti che la persona loquens,
in grado di controllare le forme di loquor e dei verba dicendi
quando interrompe Ganimede e si esibisce nel primo intervento, smarrisca ora livelli accettabili di correttezza espressiva
e affastelli nelle battute iniziali una serie di metaplasmi (Quid
iste argutat? Tu, qui potest loquere, non loquis. Pauperorum verba
derides) e di costrutti discutibili (Scimus te prae litteras fatuum
esse. Aliqua die te persuadeam ...). Come è stato osservato, «when
Echion turns to adress the rhetorician Agamemnon, his Latin
becomes strikingly incorrect» . Insomma: un biglietto da visita
piuttosto scorretto, si sarebbe tentati di dire, come se l’autore
nascosto avesse deciso di concedersi un’ulteriore particola di
divertimento alle spalle di un suo personaggio, proprio nel momento in cui questi si accosta al mondo della cultura e affronta
problemi di formazione scolastica. Perché di questo si tratta:
. Vd. J. M. Serrano Delgado .
. Petron. , -: Quod hodie non est, cras erit: sic vita truditur. Non debemus
delicati esse; ubique medius caelus est. Aut hoc aut illud erit, quid utique. Qui asinum non
potest, stratum caedit. Ille miluo volanti poterat ungues resecare; colubra restem non parit.
Sed sibi quisque peccat. Occidit de lucerna equites; putares eos gallos gallinaceos. Manus
manum lavat.
. Così Smith , .
. Per la formula si rinvia a Conte .
. I due maestri di Primigenio
l’invito ad Agamennone in villa non è finalizzato unicamente a
‘modeste’ prospettive gastronomiche (Petron. , : inveniemus
quod manducemus, pullum, ova), ma riguarda in realtà un possibile allievo futuro del retore: iam tibi discipulus crescit cicaro
meus (Petron. , ). Del cicaro sapremo il nome più avanti, in
Petron. , (Primigenio), ma non sappiamo dire con sicurezza
se si tratti del figlio o di uno schiavetto beniamino di Echione.
Intanto, se sul significato di cicaro le rese moderne convergono
verso designazioni di tipo affettivo («mein Bürsche, my little
boy, mon enfant, mi cariñito, il mio cecino, il mio ciccino, il
mio cocco»), sull’etimologia non c’è consenso: c’è chi definisce
cicaro meus deformazione parodica di Cicero meus, espressione
abituale nell’epistolario ciceroniano per indicare il figlioletto
dell’oratore (“il mio piccolo Cicerone”); c’è invece che pensa
a un sostantivo formato su carus con raddoppiamento oppure
a un’onomatopea popolare per designare un pollo, un passerotto, un fanciullino . Il termine ricompare in Petron. , ,
là dove Trimalchione dà disposizioni sul proprio monumento
funebre ad Abinna: ad dexteram meam pones statuam Fortunatae
meae columbam tenentem, et catellam cingulo alligatam ducat, et
cicaronem meum, et amphoras copiosas gypsatas, ne effluant vinum.
L’uso di cicaro da parte di Trimalchione, personaggio senza
figli, per designare il proprio mignon ha indotto molti commentatori a considerare anche Primigenio come schiavetto del
liberto Echione. A tale eventualità non fa ostacolo, se si bada
alla verisimiglianza storica, il fatto che un dominus si preoccupi
dell’educazione d’un proprio schiavo, in quanto non mancano
notizie di apposite scuole riservate a soggetti di condizione
servile . Nessuna sorpresa, allora, se si finisce per prescindere
dall’effettivo significato di cicaro (termine del lessico popolare
degli affetti applicabile tanto a un figlio legittimo quanto a uno
schiavo nato in casa cui il padrone è affezionato come a un
. Le ipotesi etimologiche sono raccolte in Gaide .
. Vd. per es. Mohler ; Forbes ; Vogt ; Booth ; Daniel ;
Bradley ; Finley , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
figlio) e si concentra l’attenzione sulla carriera scolastica del
giovanetto.
Si viene così a sapere che, al di là di passioncelle coltivate in
concomitanza con gli studi e di drastiche misure di disincentivazione, il ragazzo «ha già dato un calcio al greco elementare e ha
iniziato ad accostarsi al latino con buoni risultati» (Petron. , :
iam Graeculis calcem impingit et Latinas coepit non male appetere).
Come è facile osservare, in miniatura, a livello privato e dalle
parti della casula di Echione, si applica il modello di educazione
linguistica che è dato riscontrare in Quintiliano, , , -: A
sermone Graeco puerum incipere malo, quia Latinum, qui pluribus
in usu est, vel nobis nolentibus perbibet, simul quia disciplinis quoque
Graecis prius instituendus est, unde et nostrae fluxerunt . E come
in Quintiliano si parlerà di culpa docentium tra le cause della
decadenza scolastica , anche in Petronio Echione sostiene che
il problema è rappresentato dai maestri, due per la precisione,
a cui è affidata la formazione di Primigenio. La constatazione
che nel rapporto docente-discente c’è qualcosa che non va segue immediatamente, in forma di concessiva, quanto detto a
proposito dell’apprendimento bilingue: etiam si magister eius
sibi placens sit . A dire il vero, i progressi del discente non sembrano patire effettivi ritardi, anche se il docente, il primo dei
due maestri, si compiace troppo di se stesso, è vittima cioè di
eccessiva autostima – come si direbbe oggi con sociologismi
d’accatto – e va a infoltire, al livello più basso, la schiera di quanti liberalium artium consectatio molestos, verbosos, intempestivos,
sibi placentes facit. (Sen. Epist. , ).
Fin qui il testo procede senza intoppi; nella frase successiva, però, un problema di natura testuale e insieme esegetica
ha messo e mette a dura prova la buona volontà di editori e
. La pittura, per es., e prima ancora la mania dei cardellini: vd. Gaide .
. Sul bilinguismo greco-latino Dubuisson ; Gantar ; AA.VV. ;
Rochette e ; Adams ; Oniga .
. Quint. , , .
. Per l’espressione vd. Petron. , (non tantum sibi placeret) e , (nolo,
inquit, tibi tam valde placeas, detto da Criside, ancella di Circe, a Polieno-Encolpio).
. I due maestri di Primigenio
commentatori. Per comodità si trascrive il passo così come viene dato dal codex Traguriensis (H), testimone unico della Cena
Trimalchionis a partire da Petron. , :
Nec uno loco consistit sed venit dem litteras sed non vult laborare.
La questione riguarda il cambio di soggetto e di modo verbale (venit / dem), nonché il significato da assegnare a litteras.
Nella grande edizione del Franz Bücheler (-) stampa il testo di H e prospetta in apparato un’interpretazione di
questo genere: «venit petens ut tradam quod litteris consignet,
grammatista simul et librarius, ad manum» . Chi ha cercato
di difendere il testo tràdito intende dem litteras come «mandato di pagamento per lo stipendio» (= perscriptio) sulla scorta
di Ov. Ars am. , , oppure traduce: «gli darei dei libri da
leggere» (con la chiosa “per accrescere la sua cultura”) . Altri
immagina che dem litteras, sed non vult laborare siano due frasi
del magister riportate da Echione in discorso diretto, per sottolineare la cattiva disposizione dell’insegnante nei confronti
dell’ingeniosus puer . C’è chi riferisce nec uno loco consistit al
maestro di strada e intende: «He doesn’t stay in one place
either, but he has come all the same to get contract, although he won’t fulfil its terms» . Di recente si è pensato a una
. Bücheler , .
. Lamer , .
. Così Marmorale , . Salvano il testo tràdito ma traducono liberamente
Ciaffi (rist. ), («Non mai che stia fermo in un posto, ma viene, si fa dare
delle lettere da scrivere, ma non vuol lavorare»), Canali , («Non sta mai fermo
in un posto, arriva, si fa dare da scrivere, ma voglia di lavorare saltami addosso») e
Aragosti , («... anche se il suo maestro ha la puzza sotto il naso e non rimane
al suo posto, ma arriva, mi chiede roba da scrivere, ma faticare non vuole»).
. Whittick . Vd. anche Pellegrino , che si limita a supplire «it», a
suo giudizio caduto dopo venit per aplografia, e assegna al maestro la sequenza
successiva “dem litteras sed non vult laborare”. Pellegrino - modifica di poco
la scelta precedente: venit «et» dem litteras sed non vult laborare («ma arriva e: gli darei
un’istruzione letteraria, ma non ha voglia di fare niente»).
. Per questo tipo d’insegnante vd. per es. Bonner .
. Così Booth . Tale soluzione viene citata da Codoñer Merino ,
Rileggendo Petronio e Apuleio
battuta in discorso diretto del docente intercalata alla narrazione di Echione: «arriva: “Carta e penna!” Ma, faticare: zero» .
Nettamente più numerosi sono i critici che hanno considerato
guasto il testo e l’hanno stampato tra cruces, o hanno segnalato
lacuna congetturale tra venit e dem , oppure hanno praticato la
via dell’emendatio. Già Pieter Burman (-) avvertiva che
«mutilus hic locus est, nec divinando facile restituetur», ma poi
stampava sed novit quidem litteras, sed non vult laborare. Sul finire del ‘ Christian Friedrich Wilhelm Jacobs (-), nel
suo commento inedito al Satyricon, ha proposto di leggere sed
it, redit, scit quidem litteras etc. . Via via difesa, meglio precisata
e infine ridotta unicamente all’ultima parte, la congettura viene
accolta nell’edizione teubneriana di Konrad Müller dove è dato
leggere: nec uno loco consistit. scit quidem litteras etc. . Meno
n. come esempio delle difficoltà poste dal testo, dopo aver dichiarato che la sua
traduzione castigliana («aunque su maestro no se mata que digamos») omette sed
venit dem litteras in quanto passo corrotto.
. Così Longobardi , . In seguito Longobardi , ad loc., stampa il testo
secondo l’edizione paraviana di Giardina, Cuccioli Melloni , (= congettura
di Jacobs : vd. infra) e traduce: «... anche se il maestro è uno pieno di sé ed è
un’anima in pena. Preparato, è preparato, ma, faticare: zero».
. Così per es. Díaz y Díaz , rist. , I, , che stampa sed †venit «...»
dem† litteras, ma poi trae ispirazione da Whittick e traduce in piena libertà: «su
profesor está muy pagado de sí mismo y no se detiene en una materia, sino que pasa
de una a otra ... El hombre tiene facilidad para enseñar las letras, pero no quiere
trabajar». Anche Smith , segna lacuna congetturale dopo venit, poi accoglie la
seconda parte della congettura «scit qui»dem litteras di Jacobs (vd. infra).
. Così per es. Ernout , , , che tuttavia in apparato segnala il supplemento di Thomas (sed venit «raro; scit qui»dem litteras) e traduce: ««On le voit
rarement; il a» bien des lettres mais il ne veut rien faire». Vd. anche Sers (sed
venit «domum. Scit qui»dem litteras etc.).
. Burman , .
. Chr. Fr.W. Jacobs, Integer Commentarius in Petronii Arbitri Satiricon Ineditus,
, manoscritto della Cambridge Univ. Library (Add. ), già in possesso di Otto
Jahn (-), amico e collaboratore di Franz Bücheler (nella cui ed. è ben presente
tale commento). Wehle , ad loc., si muove in direzione analoga: sed venit abit,
scit quidem litteras.
. Müller , (in apparato: scit quidem Jacobsio praeeunte Blümmer). La
soluzione, ritenuta preferibile da Vannini , n. , è stata difesa e precisata da
Blümmer .
. I due maestri di Primigenio
convincenti appaiono altre proposte: c’è chi riferisce tutto al
maestro e integra il testo sed venit (sc. domum) idem «hic» littera«tu»s (sc. est), sed non vult laborare ; c’è chi corregge litteras
in lamnas (“monete”), allo scopo di difendere dem del codice,
intendendo che Echione in prima persona si direbbe disposto a
pagare, ma denuncia la scarsa propensione del docente a fare il
proprio lavoro .
Questa, a grandi linee, la situazione testuale ed esegetica
che si è venuta a determinare intorno al nostro passo. Se le
cose stanno così, non sembra illegittimo tentare altra via e proporre, con tutte le cautele del caso, una soluzione alternativa.
Come si è visto, la sequenza veramente problematica è dem
litteras, considerata sempre e comunque come unità semantica.
Se invece proviamo a scindere il nesso, dem potrebbe essere
spiegato come il residuo di un avverbio da unire a sed venit
(in opposizione a nec uno loco consistit); secondo tale ipotesi la
soluzione più probabile sarebbe «tan»dem, avverbio ben presente nel Satyricon : la perdita di tan- potrebbe dipendere da
una lettura frettolosa d’una grafia abbreviata nel modello (pur
sempre in una fase di trascrizione in minuscola). Liberata dalla
dipendenza dall’improbabile dem, la lezione litteras desidera
comunque un verbo reggente; in tal caso si potrebbe pensare
che il verbo sia nascosto (meglio, compresso) nel sed immediatamente successivo, unico sopravvissuto della sequenza «scit»
sed, in cui la caduta di scit si potrebbe spiegare come fenomeno
di aplografia, per somiglianza delle lettere con sed, sempre in
scrittura minuscola.
Insomma, proporrei di leggere il passo così:
Nec uno loco consistit sed venit «tan»dem, litteras «scit» sed non
vult laborare (“Non sa star fermo in un unico posto, ma viene alla
. Capponi , .
. Öberg , ad loc., coll. Petron. , , dove Ermerote polemizza con Ascilto:
quid habet quod rideat? numquid pater fetum emit lamna?).
. Vd. Petron. , ; , ; , ; , ; , ; , ; , ; , ; , .
. Per litteras scire vd. Petron. , : et tu litteras scis et ego.
Rileggendo Petronio e Apuleio
buon’ora; conosce, sì, la letteratura, ma non ha voglia di far fatica”).
Per completezza si segnala che più di recente Alberto Borghini ha proposto altra soluzione, intendendo litteras come
“mandato di pagamento per lo stipendio”: Nec uno loco consistit,
sed venit dem«um ad» litteras, sed non vult laborare.
Ulteriori osservazioni riguardano altresì la figurina del secondo maestro. Questi, a differenza e in contrasto rispetto alla
conoscenza delle litterae e alla presenza non puntualissima esibite dal primo magister, possiede minor dottrina, ma è premuroso,
viene anche nei giorni di festa e si accontenta di quanto gli viene
dato (Petron. , : Est et alter non quidem doctus, sed curiosus, qui
plus docet quam scit. Itaque feriatis diebus solet domum venire, et
quicquid dederis, contentus est). Plus docet quam scit: l’indicazione
più intrigante concerne – va da sé – il dislivello tra conoscenza
e insegnamento, impartito a prescindere o a dispetto di patrimoni di cultura effettivamente acquisiti. Anche se rapidamente
delineato, il secondo maestro sembra avere precedenti illustri:
si pensi in generale ai sofisti impegnati a dimostrare la loro inconsistente dottrina nei Dialoghi di Platone. In particolare viene
in mente la descrizione caricaturale, nell’Eutidemo, dell’assurdo sapere di Eutidemo e Dionisodoro, iscritti d’ufficio nella
schiera di chi ha la pretesa di educare gli uomini, ma che a un
esame accurato si rivela depositario di sorprendenti stranezze . Non si può allora escludere che l’attenzione concentrata
sull’educazione di un giovinetto da parte di non esemplari o
. Borghini -.
. Se si tiene conto che il calendario romano della prima età imperiale contemplava oltre giorni di festa all’anno (all’incirca, dunque, un giorno su tre), non ci
si deve stupire se l’insegnamento viene impartito anche durante i giorni festivi; a
meno che solet domum venire non alluda umorosamente all’abitudine del secondo
magister di presentarsi a casa di Echíone solo per riscuotere quel poco che gli viene
dato.
. Plat. Euthyd. e: «Quando volgo lo sguardo verso qualcuno di coloro che
sostengono di saper educare gli uomini, resto colpito: se li esamino a uno a uno, a
dirti il vero, mi pare che ognuno sia molto strano (allókotos)» (parola di Critone).
. I due maestri di Primigenio
comunque suspect Schoolmasters costituisca un’eco, depotenziata ma umorosa, di situazioni platoniche: appunto il caso del
giovane Clinia, sottoposto a pedagogia intensiva e alternativa
alla presenza dei suoi erastaí nell’Eutidemo, oppure la mancata conoscenza dell’areté e la pretesa di insegnarla da parte dei
sofisti di cui si discute nel Menone.
Eventuali echi platonici a parte, i due magistri che si avvicendano nella dimora di Echione, mentre si aggiungono alla
schiera di insegnanti non ineccepibili più volte evocata dalla
tradizione letteraria , animano un piccolo capitolo della storia
dei tormentati rapporti tra i professionisti dell’insegnamento
e i genitori o, comunque, i committenti dell’attività scolastica.
Di solito erano gli insegnanti a lamentarsi dell’avarizia o delle
pretese insensate dei genitori, come evidenzia il caso di Lucio
Orbilio Pupillo (ca - a. C.), il plagosus maestro di Orazio:
Librum etiam, cui est titulus Peri alogias, edidit continentem querelas de iniuriis, quas professores neglegentia aut ambitione parentum
acciperent . Qui, invece, i maestri non hanno voce, non ha voce
neppure Agamennone, anche se è il destinatario delle divagazioni del liberto in tema di educazione . Echione continua
infatti il suo monologo, tra metaplasmi (libra rubricata, litterae
thesaurum est) e giochi di parole (volo illum ad domusionem
aliquid de iure gustare) , tra proverbiali esortazioni allo studio
. Vd in generale Booth .
. Vd. in merito Nocchi e Nocchi .
. Suet. De gramm. et rhet. , : «Pubblicò altresì un libro dal titolo Assenza di
logica, pieno di lamentele per i torti che potevano ricevere gli insegnanti a causa
della negligenza o delle pretese dei genitori». Vd. Gianotti , -
. Sull’afasia degli scholastici e la libertà di parola dei liberti durante la Cena vd.
Gianotti , sgg.
. Nel primo caso (libra rubricata per libros rubricatos, cioè libri di diritto) il metaplasmo, intenzionalmente calibrato, suggerisce la presenza di un deficit di cultura
nel personaggio piuttosto che uno spunto di vivacità stilistica, come vorrebbe Lynch
. Nel secondo caso Witke propone di riferire est al verbo edo, eliminando
così il metaplasmo: «the pursuit of literature eats away your money».
. Koenjak .
Rileggendo Petronio e Apuleio
(quicquid discis, tibi discis) in funzione di prospettive dissimili (barbiere, banditore, avvocato), in grado però di assicurare
– almeno nell’ottica della persona loquens – sufficienti guadagni , per concludere infine che artificium numquam moritur .
La clausola dovrebbe valere per tutti, per i due maestri (ormai
dimenticati) e soprattutto per il retore Agamennone, chiamato
in causa ma senza diritto di replica. Meglio così, verrebbe da
dire, perché quando Agamennone dovrà esibirsi, a richiesta
del padrone di casa, nel riproporre una sua declamazione di
scuola su tema trito e scontato (Pauper et dives inimici erant),
verrà ridotto al silenzio da Trimalchione, che sbotterà: Hoc ... si
factum est, controversia non est; si factum non est, nihil est (Petron.
, ). Così la cultura dei liberti liquida con una battuta, giocata
sullo scheletro del sillogismo, la prassi delle scuole di retorica,
in linea con quanto si legge in quello che per noi è l’incipit del
Satyricon: non solo gli allievi ma anche i maestri, non appena
escano dal chiuso mondo scolastico, putent se in alium orbem
terrarum delatos (Petron. , ).
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: ’Cui ergo ista didici?’ Non est quod timeas ne operam perdideris, si tibi didicisti.
. Vd. Best ; Soady .
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Capitolo VI
Petronio e gli altri
nel Satyricon di Federico Fellini∗
.. Una difficile fedeltà
Per comodità si ricorda che il Satyricon di Petronio è opera
largamente frammentaria: si calcola che il testo superstite corrisponda a meno di un ventesimo dell’originale; per giunta, il
testo che leggiamo nasce dalla combinazione di tre classi di
testimoni (più un florilegio medioevale di sentenze e proverbi) variamente dislocate negli spazi e nei tempi delle scoperte
moderne. Basti pensare che per l’effettiva editio princeps dell’intero Satyricon superstite bisogna attendere il e le fatiche di
Michael Hadrianides (personaggio ignoto o pseudonimo mai
spiegato) , un paio di decenni dopo il ritrovamento della Cena
Trimalchionis (Petron. , - , ) nel Codex Traguriensis (da
Traù, in Dalmazia) per mano di Marinus Statileus. Un po’ misterioso l’autore antico (ma per lo più identificato col Petronio
elegantiae arbiter della corte di Nerone), del tutto misterioso
l’editore moderno, ricucito a fatica il testo superstite non senza
smagliature, strappi e lacune che rendono desultorio o mal
connesso il filo della narrazione. Lo stato frammentario del
testo costringe anche i filologi di professione a fare ricorso a
soluzioni congetturali, dunque a riscritture editoriali. La prova
Prima stesura in «Lexis» , , -.
. T. Petronii Arbitri Satyricon, cun Fragmento nuper Tragurii reperto. Accedunt
diversorum Poetarum Lusus in Priapum. Pervigilium Veneris, Ausonii cento nuptialis,
Cupido crucifixus, Epistolae de Cleopatra, & alia nonnulla. Omnia Commentariis, & Notis
Doctorum Virorum illustrata. Concinnante Michaele Hadrianide, apud Johannem
Blaeuium ( Joan Blaeu), Amstelodami (Amsterdam) .
∗
Rileggendo Petronio e Apuleio
più chiara è data dall’edizione berlinese curata nel da Franz
Bücheler (-), uno dei maestri della filologia tedesca del
secondo Ottocento. Tale edizione è servita e serve da base di
tutte le edizioni critiche che si susseguono fino ai nostri giorni; tuttavia non è esente da tentazioni interventiste piuttosto
vivaci. In presenza di sconnessioni sintattiche o di senso Franz
Bücheler interviene, direttamente nel testo o in apparato, con
congetture personali o altrui; di contro, là dove il testo corre
ma presenta iterazioni enfatiche o endiadi di natura retorica, si
tende a proporre l’espunzione di porzioni testuali, condannate
come glosse esplicative insinuate nel testo per mano di copisti
poco attenti . Il Novecento non fa eccezione, se pensiamo che
Konrad Müller, il benemerito curatore dell’edizione teubneriana, cioè dell’edizione oggi di riferimento, ha pubblicato nel
corso di oltre un quarantennio edizioni e una ristampa riveduta e corretta (-), proponendo un testo costantemente
sottoposto a revisione e notevolmente ritoccato nel tempo . A
dispetto dell’incompletezza e dei varchi lasciati aperti nella trama, il Satyricon guadagna presto il palcoscenico internazionale
degli studiosi e del lettori (e dei plagiari), diventa col tempo
una delle opere più tradotte nelle lingue moderne (bulgaro ed
ebraico compreso) e non manca di far sentire, soprattutto tra
Otto e Novecento, suggestioni e influenze su scrittori, come
per esempio Joris Karl (meglio, Charles-Marie-Georges) Huysmans, Oscar Wilde, Francis Scott Fitzgerald, Henry Miller,
Edoardo Sanguineti, Pier Paolo Pasolini (Petrolio), Gore Vidal,
Alberto Arbasino o su musicisti come Giorgio Gaslini e Bruno
Maderna .
. F. Bücheler, Petronii Arbitri Saturarum Reliquiae ex recensione Francisci Buecheleri, Weidmann, Berlin ( ; ); F. Bücheler, W. Heraeus, Petronii Saturae
et Liber Priapeorum, rec. F. Bücheler, ed. sextam suppl. auctam cur. G. Heraeus, Berlin
( ; ).
. K. Müller, Petronii Arbitri Satyricon reliquiae. Editio iterata correctior editionis
quartae (MCMXCV), Saur, Monachii et Lipsiae (rist. de Gruyter, Monachii et
Novi Eboraci ).
. Vd. H. K. Riikonen, Petronius and Modern Fiction: Some Comparative Notes,
«Arctos» , , -; D. Gagliardi, Petronio e il romanzo moderno. La fortuna del
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
Struttura aperta e aleatoria, più per le sventure della trasmissione testuale che per le intenzioni d’autore, il Satyricon
circola nella cultura contemporanea con le stigmate della modernità (o addirittura della post-modernità) e si vede assegnata
una ricca serie di primati: incrocio tra fabula Milesia e satura
Menippea, parodia del romanzo greco idealistico (addirittura
anteriore all’invenzione del ‘romanzo’ stesso), narrazione di
viaggi e avventure, mancato Bildungsroman, racconto erotico e
galleria di opzioni sessuali poco normalizzate, denuncia della
corruzione della società imperiale e dunque ‘romanzo storico’
ante litteram, tipologie psicanalitiche proiettate a ritroso, enciclopedia antropologica di romanità atemporali. Smontato e
rimontato da editori e filologi, non esente da intrusioni allotrie
per mano di non abilissimi falsari - François Nodot alla fine
del Seicento, José Marchena Ruiz y Cueto all’inizio dell’Ottocento, per limitarci ai più noti –, pazientemente esposto a
interpretazioni divergenti o contrastanti , il Satyricon suscita per
tempo, fin dalle aule del Liceo, la curiosità di Federico Fellini
Satyricon attraverso i secoli, Firenze, La Nuova Italia, ; Maria Grazia Bajoni,
Variazioni su Petronio: qualche nota sulla fortuna del Satyricon nel Novecento, «Maia» ,
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anni Settanta, da Maderna a Pasolini, «Musica/Realtà» , , -; A. Musio,
Petronio in moviola: riscritture della Cena Trimalchionis a confronto, «Calíope» , ,
-. Talora basta un dettaglio per suscitare l’emulazione moderna: come è noto, il
passo petroniano sulla Sibilla che desidera morire (, ) è citato in esergo da Thomas
Stearns Eliot (-) all’inizio del poema The Waste Land (). A proposito di
citazioni, piace ricordare come Fernando Bandini (Vicenza, -), negli Studi
classici della raccolta poetica La mantide e la città (), abbia saputo far tesoro di
Petron. , -: «Questi monti fabbricati dal cielo / (sue torri e battifredi) gemono
/ per la morte del dio. / E abbiamo visto navi / dolcemente sfasciarsi e / ‘Pan o
megas tethneke’ / piangere una gran folla / nel porto di Paxo. / E l’industria sfruttare
ossa e capelli / degli uccisi. E il Ciclope / con una pinzetta stroppiare / il pollice di
Ulisse. / Et eludendo la guardia bambini / armati di bastoni per la lippa / circondare
l’ampolla dov’è chiusa / la Sibilla. E gridavano: ‘Cosa / vorresti fare da grande?’. Lei
/ rispondeva: ‘Morire’».
. Vd. G.F. Gianotti, Riscrivere Petronio, in questo volume.
Rileggendo Petronio e Apuleio
(-). Come sottolinea la critica , Fellini si riaccosta periodicamente a Petronio, dapprima con un progetto iconografico
per la copertina della traduzione curata da Gian Antonio Cibotto () su commissione dell’editore Canesi non giunta
a buon fine, poi con un progetto cinematografico elaborato
già all’epoca de I vitelloni (). «L’ultima rilettura di Petronio,
durante la convalescenza dopo la grande malattia, gli fa scattare
una sorta d’urgenza per la realizzazione» : la sceneggiatura a
quattro mani con Bernardino Zapponi (-) , la scelta
del cast, i disegni preparatori e i sette mesi di riprese portano
a compimento il film, intitolato Fellini Satyricon, un po’ per
differenziarlo dal coevo Satyricon girato da Gian Luigi Polidoro
(-) , soprattutto – si può aggiungere – al fine di rende. Vd. l’intervento di Joanna Paul, Fellini-Satyricon: Petronius and Film, in J. Prag,
I. Repath (a c. di), Petronius. A Handbook, London, Blackwell, , -; G.L.
Grassigli, J. Reinhardt, Fellini-Satyricon. Tra memoria, racconti e rovine: un sottosuolo dell’anima, Liguori, Napoli . Sugli approdi cinematografici della figura di
Trimalchione vd. per es. P. Lago, Trimalchione al cinema, «Aufidus» , , -.
. Così F. Borin, Federico Fellini. Viaggio sentimentale nell’illusione e nella realtà di
un genio, Gremese, Roma , . La malattia è la pleurite, la rilettura si avvale
della ristampa einaudiana del a cura di V. Ciaffi (vd. infra).
. B. Zapponi, già sperimentato come partner nell’episodio di Tre passi nel
delirio e in Block-notes di un regista, poi ancora co-sceneggiatore di Fellini per I clowns,
Roma, La città delle donne. Vd. B. Zapponi, Il mio Fellini. Massiccio e sparuto, furente
e dolcissimo, vecchio e infantile: l’uomo e il regista nel racconto del suo sceneggiatore,
Marsilio, Venezia ( ). Per la sceneggiatura il rinvio d’obbligo è a D. Zanelli
(a c. di), Fellini-Satyricon, Cappelli, Bologna , -: scene e inquadrature,
non tutte girate o inserite nel montaggio definitivo (scene e inquadrature si citano
secondo l’ordine di questo volume). Si veda altresì F. Fellini, Satyricon. Drehbuch von
F. Fellini in Zusammenarbeit mit B. Zapponi, Diogenes, Zürich ; da tenere presenti
anche gli scarni Appunti di regia riportati da Fellini in Fare un film, Einaudi, Torino
(rist. ), -.
. Raccolti da Liliana Betti, Federico A.C.: disegni per il “Satyricon” di Federico
Fellini. Libri Edizioni, Milano . Una mostra dei disegni felliniani si è tenuta dal
gennaio al aprile , su iniziativa degli Academy Awards di Los Angeles, al n.
del Wilshire Boulevard, Beverly Hills, California.
. Opera sfortunata per realizzazione (nonostante la sceneggiatura di Rodolfo Sonego, -, e un discreto cast di attori capeggiati da Ugo TognazziTrimalchione) e per sequestri della magistratura come spettacolo osceno. Vd. T.
Sanguineti, Il cinema secondo Sonego, Transeuropa, Bologna ; A. Rotondi, Polidoro
Satyricon: per una rivalutazione del Satyricon di Polidoro-Bini, «Studi Urbinati» (B) -,
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
re evidente la profonda presenza del regista-sceneggiatore nel
maneggiare e rimaneggiare l’opera antica .
Gli storici insegnano l’importanza della cronologia. In ossequio a tale precetto bisogna fare ulteriori precisazioni, prima di
tentare un esame ravvicinato della sceneggiatura e del risultato
complessivo del film. La prima precisazione riguarda la cronologia dell’opera antica: di solito Petronio era ed è identificato col
Petronius di cui parla Tacito; ma nel secondo dopoguerra ha
avuto discreta fortuna la tesi di Enzo V. Marmorale (-),
La questione petroniana, Bari, Laterza, , tesa a spostare in
avanti di almeno due secoli la datazione del Satyricon in forza
di considerazioni di storia della lingua. Ora, sappiamo che sul
tavolo di lavoro di Fellini La questione petroniana è presente : il
che può spiegare come la vicenda narrata nel film possa farsi
carico di piccoli o grandi anacronismi e comprendere scene o
atteggiamenti databili in età più tarde (penso soprattutto al tema
della decadenza dei costumi romani). La seconda precisazione
riguarda il tempo di lavorazione del film (cronologia esterna)
e impone di ricordare che cosa abbia rappresentato il ’ nella
storia recente del mondo occidentale e della società italiana. La
terza è di cronologia interna ed è di gran lunga più incisiva, in
quanto tra l’anno de I vitelloni e i lavori preparatori del Satyricon
, -.
. Vd. le considerazioni di G. Highet, Whose Satyricon? Petronius’ or Fellini’s?,
«Horizon» , , -, e di J.-P. De Giorgio, De Fellini à Pétrone. Théàtre, mètalepse
et subjectivitè, in R. Poignault (a c. di), Prèsence du roman grec et latin, Centre de
Recherches A. Piganiol-Prèsence de l’Antiquitè, Clermont-Ferrand , -. In
generale si rinvia a C. Ladjali, ‘Varius Multiplex Multiformis’: Impressions of Federico
Fellini’s Satyricon, «Diogenes» , , -, e a J. C. Stubbs, Federico Fellini as
Auteur. Seven Aspects of his Films, Southern Illinois Univ. Press, Carbondale .
. D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit. in n. , : «Do un’occhiata ai libri
sparsi sulla sua scrivania [...]. Vedo opere celebri e no, studi ponderosi e volumetti di
allegra, diciamo così, divulgazione: La vita quotidiana a Roma di Jérôme Carcopino,
e I detectives dell’archeologia di C. W. Ceram, The Decline of Rome di Joseph Vogt e
i venti volumi di Les peuples de l’antiquité di René Ménard e Claude Sauvageot; La
questione petroniana di Enzo V. Marmorale e volumetti come Storia dell’amore libero,
Erotismo sui Sette Colli e simili; Roma Amor, un volume riccamente illustrato sulla
pittura e scultura erotica romana, ed altri libri d’arte».
Rileggendo Petronio e Apuleio
sono usciti, a tacer d’altro, La strada (), Le notti di Cabiria
(), La dolce vita (), Otto e mezzo (), Giulietta degli
spiriti (). Sarebbe facile, e non improprio, affermare che
nel nuovo prodotto si condensano ombre e umori e atmosfere
delle pellicole precedenti, con l’esito di trasporre a ritroso, sull’antica società petroniana, qualche scheggia della Dolce vita, le
trasfigurazioni oniriche di Otto e mezzo e Giulietta degli spiriti, la
dimensione on the Road di giovani sbalestrati in un mondo popolato di figure indecifrabili e insieme allusive di attualità senza
tempo . Sarebbe facile, ripeto, perché a tutto questo ha provveduto e provvede la copiosa bibliografia internazionale che
si accumula sulla produzione felliniana; quanto a me, ignaro
delle categorie esegetiche proprie della critica cinematografica,
conviene tenere altra via e muovere dal testo di Petronio, per
vedere quanto e come, nella “libera riduzione” operata dal film,
le parole antiche siano state tradotte in spettacolo di immagini
in movimento.
Ecco: possiamo partire dalle parole, dalle parole latine di
Petronio. Sappiamo che l’italiano ascoltato allora nelle sale e
riascoltato oggi nelle riproduzioni di cassette e DVD è frutto
di una terza scelta, dopo che per i dialoghi si sono scartate una
prima ipotesi di un latino gergale da costruire con forti dosi
di creatività linguistica e una seconda ipotesi di romanesco sapido e baroccheggiante. Dunque, prima della traduzione in
immagini, si affronta il problema della resa italiana. Allora il
lettore di casa nostra aveva a disposizione almeno quattro o
cinque versioni abbastanza recenti dell’opera petroniana: il Satyricon tradotto da Ugo Dèttore (-) per Rizzoli ();
la traduzione pubblicata a Firenze nel da Giovanni Alfredo
Cesareo (-) e ristampata con testo latino a fronte da Nicola Terzaghi (-) per la casa editrice Sansoni di Firenze
(); quella curata da Vincenzo Ciaffi (-) per l’UTET
torinese del (ristampata da Einaudi nel ), quella a cura
. Vd. per es. M. Cancogni, Buon viaggio, Eumolpo, «La Fiera Letteraria» ,
agosto , -.
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
di Antonio Marzullo (-) e Mario Bonaria (-)
per i tipi di Zanichelli (, , rist. ), quella già ricordata a cura di Gian Antonio Cibotto (-), coi disegni di
Fabrizio Clerici, per l’editore Canesi () . Ma come è facile
immaginare, la riscrittura in funzione scenica non risulta esclusivamente tributaria di una data versione, in quanto si fonda su
esigenze extratestuali, tanto più che la sceneggiatura viviseziona drasticamente il testo, operando liberamente trasposizioni,
tagli e interpolazioni, il tutto da amalgamare linguisticamente,
a prescindere dalla presenza o meno dei singoli episodi nell’originale. Tuttavia, per quanto concerne la fase linguistica e le
eventuali incursioni nei confini di altri documenti dell’attività
letteraria di Roma antica, la coppia Fellini-Zapponi può contare sulla collaborazione di un valente studioso, il romano Luca
Canali (-), allievo alla “Sapienza” di Natalino Sapegno
(-) e di Ettore Paratore (-) , all’epoca docente
di Letteratura latina all’Università di Pisa. Nei titoli di coda Luca
Canali compare come consulente per la lingua latina, ma i suoi
contributi non si limitano a questioni di correttezza lessicale, in
quanto fornisce i materiali letterari antichi di cui la sceneggiatura ha via via bisogno, è responsabile della prima stesura dei
dialoghi in latino , partecipa attivamente a gran parte della resa
italiana definitiva: intanto si può dire che da quell’esperienza
il Satyricon non ha più abbandonato lo scrittoio di Luca Cana. Le versioni di Cibotto e di Ciaffi sono di sicuro passate, in quest’ordine, tra
le mani Fellini: la prima riguarda il progetto di copertina non accolto dall’editore, la
seconda è il testo-base sui cui è condotta la sceneggiatura e fa capolino, inalterata,
in numerosi punti dei dialoghi o del racconto fuori campo. Non è forse inutile
ricordare che nel corso del escono altre due versioni: Il Satyricon di Petronio
Arbitro, trad. di A. Abadra, Ortles, Milano; Petronio. Satiricon, introduzione e testo di
F. Roncoroni, traduzione di P. Chiara, Mondadori, Milano.
. Anche con Ettore Paratore titolare di Letteratura latina alla Sapienza e autore di voll. di introduzione e commento all’opera antica (Il Satyricon di Petronio,
Le Monnier, Firenze ), ci sono stati contatti (senza successo) in vista della sceneggiatura, come sappiamo da Bernardino Zapponi, presso D. Zanelli (a c. di),
Fellini-Satyricon, cit., .
. I dialoghi latini curati da Luca Canali fino al racconto della Matrona di Efeso
sono raccolti in calce al cit. vol. di D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
li, il quale a più riprese è tornato su Petronio come saggista,
traduttore e persino come ‘continuatore’ della narrazione .
In buona sostanza, tutti gli aspetti sin qui evocati, dalla pressione di volontà attualizzanti alla propensione visionaria e onirica del regista, dalla frammentarietà del testo all’estetica del
frammento della macchina da presa felliniana e ai problemi
della riproducibilità della storia per via di parole e immagini:
tutto questo, dico, cospira verso un esito scontato, la difficile e
impervia fedeltà all’originale da parte di Fellini, del tutto libero
– ben inteso – di immettere il mondo di Roma antica nello
straordinario corto-circuito cronologico di una Eternal Rome ,
in cui primitivismo e decadenza tendono a coincidere, trasformando il testo di Petronio in canovaccio, palinsesto, ipotesto e
pretesto del film, serbatoio di episodi da riprendere o spostare,
da integrare o da omettere . Prima di proseguire, per comodità si riporta il giudizio di Morando Morandini (-) sul
film: «Nella sua struttura di ricognizione onirica di un passato
inconoscibile e di rapporto fantastorico sulla Roma imperiale
. Di L. Canali ricordo Neutralità e vittoria di Petronio, in Petronio. Satyricon, a
c. di U. Dèttore, Rizzoli, Milano (nuova ed. del vol. del ), -; L’erotico e
il grottesco nel Satyricon, Laterza, Roma-Bari ; Vita, sesso, morte nella letteratura
latina, Il Saggiatore, Milano , -; Petronio. Satyricon, a c. di L. Canali, FabbriBompiani-Sonzogno-ETAS, Milano (Bompiani, ); Satyricon. Se Petronio
l’avesse scritto oggi, Piemme, Casale Monferrato (nuova traduzione inserita in
un romanzo ambientato nel nostro presente); Erotismo e violenza nell’antica Roma,
ibid. ; Il tridente latino: Lucrezio, Virgilio, Petronio, Gaffi, Roma .
. Sottraggo l’espressione al titolo del volume di A. Carrera, Fellini’s Eternal
Rome. Paganism and Christianity in the Films of Federico Fellini, Bloomsbury Academic,
Oxford-New York .
. Giudizio positivo sulla ‘libertà’ felliniana di supplire, manipolare, integrare
il testo antico in J.P. Sullivan, The Social Ambience in Petronius’ Satyricon and Fellini
Satyricon (), ora in M.M. Winkler (a c. di), Classical Myth and Culture in the
Cinema, Oxford Univ. Press, Oxford , -. Vd. altresì A.J. Prats, The Individual,
the World and the Life of Myth in Fellini Satyricon, «South Atlantic Bulletin» , ,
-; P. Bondanella, The Cinema of Federico Fellini, Princeton Univ. Press, Princeton
, - (tr. it.: Il cinema di Federico Fellini, Guaraldi, Rimini ); C. Eades, Le
Satyricon: Fellini commentateur de Pétrone?, «Recherches et Travaux» , , -;
A. Carrera, Fellini’s Eternal Rome. Paganism and Christianity in the Films of Federico
Fellini, cit., -.
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
al tramonto, come guardata attraverso l’oblò di un’astronave,
il Satyricon non nasconde le sue ambizioni di essere un film
sull’oggi. L’itinerario picaresco e becero dei due vitelloni antichi (purtroppo né personaggi veri né simboli) lascia il posto
a un’ansia esistenziale e religiosa, all’interrogazione sul significato del nostro passaggio terreno. Su questo versante – al di
là della straordinaria ricchezza figurativa, funerea e notturna
dell’insieme – i momenti più felici sono l’episodio della villa
dei suicidi e l’addio alla vita del poeta Eumolpo» .
.. Tagli, fusioni, trasposizioni
Se dunque proviamo a confrontare le sequenze del testo petroniano con le scene del film, operazione resa agevole grazie a
un minuzioso esame comparativo , ci accorgiamo subito di
come la sceneggiatura abbia agito in profondità, conservando
tuttavia un aspetto essenziale dell’opera superstite, vale a dire la
sua frammentarietà, tradotta in scacco dell’immagine mediante
il sapiente ricorso allo ‘schermo nero’, icastica sospensione
del continuum narrativo e segnale inequivoco di connessioni
mancanti già nell’originale . Il primo taglio, vistoso, riguarda
quello che per noi è l’incipit del racconto superstite. Come è
noto, la scena d’apertura di Petronio si svolge in una scuola di
retorica, dove l’esercitazione di Encolpio, lo studente dal nome
. M. Morandini in Luisa, Laura e Morando Morandini, Il Morandini –
Dizionario dei film, Bologna, Zanichelli, , s. v. Fellini. Vd. anche W. de Medeiros,
Do desencanto à alegria: o Satyricon de Petrónio e o Satyricon de Fellini, «Humanitas»
, , -; Roberta Strati, Tra Petronio Satyricon e Fellini Satyricon (riflessioni
intersemiotiche sull’attualizzazione dell’antico), «Annali dell’Università di Ferrara – Sez.
Lettere» , , -.
. A. Sütterlin, Petronius Arbiter und Federico Fellini. Ein strukturanalytischer
Vergleich, Lang, Frankfurt a.M. .
. Vd. Joanna Paul, Rome Ruined and Fragmented: The Cinematic City in FelliniSatyricon and Roma, in R. Wrigley (a c. di), Cinematic Rome, Troubadour, Leicester
, -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
parlante, e la risposta del retore Agamennone affrontano un
problema cruciale per la cultura romana del I secolo d.C., le
cause della crisi dell’eloquenza e della scuola , e sottolineano
distanze abissali tra sistema educativo e società, perché – come
dice lo scholasticus Encolpio - «dall’enfasi degli argomenti e dal
vuoto baccano delle espressioni i giovani ricavano un unico
vantaggio: una volta giunti nel foro pensano di esser stati sbalestrati in un altro mondo (putent se in alium orbem terrarum
delatos). Ritengo perciò che gli adolescenti a scuola finiscano
per rimbecillire del tutto, perché non ascoltano e non vedono
nulla di quanto è in rapporto con la realtà che ci è familiare» .
L’episodio dà l’avvio ai frenetici movimenti dei giovani protagonisti e li immette, appunto, nel labirintico caos della vita
esterna alla scuola: intento alla disputa, Encolpio non s’accorge
che il compare di studi e rivale erotico, l’infaticabile Ascilto ,
si è allontanato alla chetichella; resosi conto della scomparsa,
muove alla ricerca di Ascilto, sospettando le mire dell’amico
sulla fruizione esclusiva delle grazie del servitorello-amasio
. Trascritto dal greco, l’antroponimo indica “celui qui désire être tenu au sein”
(Stefana Goga, Encolpe et l’enfermement, «Latomus» , , -) col probabile
valore di “favorito”, “beniamino”.
. Il problema, trattato anche da Seneca e dall’autore del Sublime, da Quintiliano
e da Tacito nel Dialogus de oratoribus, inserisce a pieno titolo Petronio nella cultura
del I sec. d. C.
. Petron. , -. Vd. P. Cosci, Per una ricostruzione della scena iniziale del Satyricon,
«Materiali e Discussioni» , , -; G. Kennedy, Encolpius and Agamemnon in
Petronius, «American Journal of Philology» , , -; W. Kissel, Petrons Kritik
der Rhetorik (Sat. -), «Rheinisches Museum» , , -; P. Soverini, Il problema
delle teorie retoriche e poetiche di Petronio, in Aufstieg und Niedergang der röm. Welt II
. , , -; C. Pellegrino, Petronio Arbitro, Satyricon. I capitoli della retorica,
Introduzione, testo critico, commento, Roma, Edizioni dell’Ateneo, ; C. Salles, Le
professeur de rhétorique et son élève: les positions de Pétrone et de Quintilien, «Euphrosyne»
, , -.
. Ascyltus, dal greco “instancabile”; in Petron. , si esaltano le dimensioni
inguinali del personaggio (inguinum pondus tam grande ...) e il poetastro Eumolpo
esclama: o iuvenem laboriosum! (resa latina dell’antroponimo). Vd. S. Priuli, Ascyltus.
Note di onomastica petroniana, Latomus, Bruxelles , che prende in esame tutti i
nomi parlanti, convenzione che Petronio eredita dalla commedia al fine di assicurare
ai suoi personaggi un implicito indicatore di identità..
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
Gitone, “colui che sta vicino” (troppo vicino, è il caso di dire,
all’uno o all’altro dei pretendenti) .
La sceneggiatura taglia l’intero episodio ‘iniziale’ del testo
antico e si apre in medias res: la prima inquadratura presenta
Encolpio davanti a un muro spoglio intento a denunciare, in
sofferta forma enfatica , il tradimento dell’amico-rivale Ascilto,
reo di avergli sottratto il giovane amasio e di averlo ceduto al
capocomico di una compagnia di guitti (scene nn. e ). Alla
scuola di retorica si sostituisce così il teatro del mimo e al maestro del discorso pubblico si sostituisce l’archimimo Vernacchio,
interpretato da Fanfulla (Luigi Visconti, -), prelevato
direttamente dalle scene reali dell’avanspettacolo romano e inserito tra le mura immaginarie di Roma antica per animare il
primo grande episodio interpolato di Fellini-Satyricon (scena
n. ). Sul nome del personaggio e il modo dell’interpolazione
si cercherà di aggiungere qualcosa più avanti; per ora ci si limita a segnalare le conseguenze dell’espunzione dell’episodio
ambientato nella scuola di retorica. Intanto si perdono i toni
di critica all’istituzione scolastica che si sarebbero certamente
prestati a forte attualizzazione (siamo nel -), ma avrebbero attenuato la connotazione onirica che si intendeva dare
alla pellicola. L’interesse per le idee dei giovani di allora non
implica condivisioni di polemiche radicali, ma attenzione ai
comportamenti esemplari, ai sintomi del disagio giovanile e
alle terapie di superamento, alla voglia di libertà, alla lunga e
travagliata iniziazione al mondo degli adulti. In effetti, in quello
che appare un lungo e inconcluso viaggio iniziatico, la coppia
Encolpio-Ascilto, ora con ora senza il loro non restio mignon,
perde subito la compagnia del maestro di retorica Agamenno. Vd. A. Borghini, Gitone, il nome, «Il Nome nel Testo» , , -.
. La tirata iniziale di Encolpio deriva, con qualche taglio, da Petron. , -
(da Ergo me non ruina terra potuit haurire? a Iacent nunc amatores obligati noctibus totis,
et forsitan mutuis libidinibus attriti derident solitudinem meam). Dunque l’inizio del
film prende lo spunto da quello che per noi è l’episodio (scomparsa di Ascilto e sua
sostituzione col vecchio poetastro Eumolpo) che mette in moto l’ultima parte del
Satyricon superstite.
Rileggendo Petronio e Apuleio
ne, che in Petronio sta invece insieme a loro per tutto il grande
intermezzo della Cena di Trimalchione. La cancellazione di
Agamennone permette, però, di dilatare la parte assegnata a
Eumolpo, al vecchio poetastro dal nome antifrastico (“Bravo
cantore”), interpretato da un grande Salvo Randone, che accetta
volentieri di mettere in gioco la sua consumata bravura d’attore
in mezzo al variegato coro di protagonisti, comprimari e comparse, coro tutto doppiato (attori italiani compresi) e composto
non sempre da professionisti e talora da figure forti unicamente
di marcate peculiarità fisiche. Di tali figure e figurine una prima
galleria ‘felliniana’ – ghetto emblematico ma anche trasognato e surreale – è offerta dalle scene notturne della suburra e
del lupanare (scene nn. -), decisamente ampliate (gigantesse
comprese) rispetto all’originale e in grado di assorbire l’episodio del triduo orgiastico con Quartilla (Satyricon -), questo
invece ridotto a poche immagini fugaci . Il lupanare, senza
soluzione di continuità, è integrato nella ciclopica e verticale Insula Felicula o Felicles del Campo Marzio (scene nn. -):
“grattacielo proletario” premoderno, che sappiamo costruito
ai tempi dell’imperatore Settimio Severo (- d. C.), ma qui
anticipato sulla base della descrizione operata dallo storico Jérôme Carcopino, guida sicura nella ricostruzione della società
imperiale. L’Insula è non meno ricca di personaggi inquietanti o
stralunati, esposta, sì, a sguardi rapidi e curiosi, ma quasi subito
spazzata via da un impietoso terremoto cui spetta il compito
di far rivivere i crolli cittadini di cui parla Giovenale (Satira ,
sgg.), cancellare quella folla di personaggi minori (difficile provvedere altrimenti) e ricordare la precarietà dell’umana
. L’episodio di Quartilla e l’unione di Gitone con la piccola Pannichis sono
in parte recuperati, per trasposizione, nella prima stesura della sequenza relativa
alla nave di Lica; ma poi sono espunti nella stesura definitiva o nel corso della
lavorazione del film. Per l’episodio petroniano vd. A. Aragosti, P. Cosci, A. Cotrozzi,
Petronio: l’episodio di Quartilla (Satyricon -, ), Pitagora, Bologna ; L. Cicu,
Donne petroniane. Personaggi femminili e tecniche di racconto nel Satyricon di Petronio,
Delfino Editore, Sassari , -; C. Panayotakis, Quartilla’s Histrionics in Petronius,
Satyrica , -, , «Mnemosyne» , , -; M. Habash, Priapic Punishments in
Petronius’ Satyrica -, «Syllecta Classica» , , -.
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
esistenza .
Fin da subito, dunque, le scelte della sceneggiatura si muovono lungo un tracciato fatto di esclusioni, ampliamenti e riduzioni, fusioni di episodi e libere trasposizioni (o new locations,
come si direbbe altrove). Appunto di trasposizione si deve parlare nel caso di Eumolpo. In Petronio (Satyricon ) l’incontro tra
Encolpio ed Eumolpo avviene dopo la Cena di Trimalchione
e prelude al definitivo distacco tra Encolpio e Ascilto, il quale
scompare dalla narrazione a partire dal cap. e lascia spazio a
un nuovo terzetto (Encolpio, Gitone, Eumolpo) destinato a essere protagonista di nuove avventure (la nave di Lica, i cacciatori
di eredità di Crotone) fino al termine del racconto superstite
(Satyricon , : Cum esset Numantia a Scipione capta, inventae
sunt matres, quae liberorum suorum tenerent semesa in sinu corpora,
esempio storico a conferma della possibilità di cibarsi di cadaveri, come impone il testamento di Eumolpo) . Fellini e Zapponi
anticipano invece la scena della pinacoteca, luogo dell’incontro
tra il giovane scholasticus e il vecchio poeta (scena n. ). In tal
modo Eumolpo può essere presente alla Cena di Trimalchione
(in sostituzione di Agamennone), annunciare strada facendo
(scena n. ) la scheda biografica del ricco anfitrione (compito
che nella Cena spetta a uno dei liberti, Ermerote), sostituire
. J. Carcopino (-), La vita quotidiana a Roma all’apogeo dell’impero (Paris
), tr. it., Laterza, Roma-Bari , rist. , - (Le case e le vie). Per la presenza
degli spunti derivati dall’opera di Carcopino nella sceneggiatura del film si rinvia a
Ester Brunet, “Tramandare-tradire”: storiografia e senso dell’antico nel Fellini Satyricon,
«Engramma. La tradizione classica nella memoria occidentale» , . Sulle scene
nn. - del film vd. il capitolo intitolato El lupanar de la Suburra y la Insula Felicles en
el “Fellini-Satyricon”: contrapuntos eróticos en un cine de fantascienza di F.J. Salvador
Ventura, Temperatura crítica. El cine español de los y la rupturas de la modernidad,
Castellón ; qualche anticipazione già in Id., El mundo clásico en “El Satiricón”
de Fellini, in Consuelo AIvarez Morán y Rosa Maria Iglesias Montiel (a c. di), En
Contemporaneidad de los clásicos en el umbral del tercer milenio, Ed. Universidad de
Murcia, Murcia, , -.
. La frase, nella traduzione di Vincenzo Ciaffi, è pronunciata da uno degli
‘eredi’ che si accinge a cibarsi del corpo di Eumolpo: «Quando Numanzia fu espugnata da Scipione, si trovarono delle madri che stringevano tra le braccia mezzo
rosicchiati i corpi dei loro figli».
Rileggendo Petronio e Apuleio
l’assente Agamennone in un paio di battute, declamare ubriaco
i senari d’attacco del suo poema sulla Presa di Troia (inquadratura ) che in Petronio sono invece recitati nella pinacoteca
(Satyricon ) e infine venir coinvolto in una disputa poetica
con il padrone di casa. Tale disputa merita un supplemento
d’attenzione. In effetti, il Trimalchione di Petronio coltiva una
non impeccabile vena poetica e ne dà dimostrazione in due
occasioni, in Satyricon , e , e , suscitando il plauso
interessato dei commensali . Anche nella Cena sullo schermo
– la parte in cui la sceneggiatura si discosta meno dall’originale
(scene nn. -) – Trimalchione si esibisce come poeta: una
prima volta recitando una mini-antologia di suoi epigrammi, la
seconda volta appropriandosi di alcuni distici elegiaci esterni
alla Cena, introdotti in Satyricon , in tema di amicizia che
non dura più d’una finzione scenica, a commento della scelta a
favore di Ascilto operata da Gitone. Ecco i versi:
Nomen amicitiae, sic, quatenus expedit, haeret;
calculus in tabula mobile ducit opus.
Dum fortuna manet, vultum servatis, amici;
cum cecidit, turpi vertitis ora fuga.
Grex agit in scaena mimum: pater ille vocatur,
filius hic, nomen divitis ille tenet.
Mox ubi ridendas inclusit pagina partes,
vera redit facies, adsimulata perit.
Il nome d’amicizia dura fino a quando c’è tornaconto: / sulla scacchiera la pedina compie i propri movimenti. / Finché la fortuna
regge, avete il volto di sempre, amici! / quando crolla, voltate il viso
in fuga vergognosa. / La compagnia mette in scena un mimo: uno
ha il ruolo del padre, / quell’altro del figlio, un terzo recita la parte
del ricco. / Ma appena il copione si chiude sui ruoli che fanno ridere,
/ ritorna il volto vero, quello simulato sparisce.
. Vd. Catherine Connors, Petronius the Poet: Verse and Literary Tradition in
the Satyricon. Cambridge Univ. Press, Cambridge , - (Trimalchio’s Poetic
Performances).
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
A dire il vero, Trimalchione recita soltanto gli ultimi due
distici; comunque, anche questa è una trasposizione rispetto
all’originale. Quello che in realtà conta è il verso finale che
sembra evocare un verso lucreziano (De rerum natura , : eripitur persona, manet res); di qui la denuncia di plagio da parte di
Eumolpo, la reazione irata del padrone di casa, la cacciata del
critico contestatore dopo una rissa con gli schiavi (scena n. ,
inquadrature -). Si è ipotizzato che l’intrusione della polemica letteraria possa risalire, direttamente o indirettamente, a
un suggerimento di Luca Canali, reduce allora da studi approfonditi sul poema lucreziano . Luca Canali ha però negato la
paternità dell’episodio, che va invece «ricondotto alla fantasia e
alla cultura di Fellini e Zapponi», come si impara dalla lettura di
un ottimo contributo comparso nel . Altra trasposizione,
sempre dall’esterno verso l’interno dell’intermezzo dedicato
a Trimalchione, subisce il racconto milesio della Matrona di
Efeso, forse la sezione più nota e fortunata nel tempo di tutto
il Satyricon . In Petronio la novella è narrata sulla nave di Lica
da Eumolpo: la narrazione (Satyricon -) nasce come prova
della muliebris levitas, della leggerezza e volubilità femminile, e
sigilla tra le risate la fine delle ostilità di Lica e Trifena ai danni
. Vd. L. Canali, Lucrezio poeta della ragione, Editori Riuniti, Roma ( ).
L’ipotesi è formulata da R. Strati, Tra Petronio Satyricon e Fellini Satyricon cit. in n. ,
-.
. N. Pace, La doppia lente. Petronio attraverso Fellini, ovvero Fellini attraverso
Petronio, in R. De Berti, E. Gagetti, F. Slavazzi (a c. di), Fellini-Satyricon. L’immaginario
dell’antico, Cisalpino-Monduzzi, Milano , -, seguito da un Colloquio con
Luca Canali (pp. -; la precisazione si legge a n. di p. ); F. Pesando, Suggestioni
per un archeologo: in margine a Fellini-Satyricon. L’immaginario dell’antico, «Lanx» ,
, -; L. Spina, Riflessioni per il secondo numero di DeM, quasi un Fellynicon,
«Dionysus ex machina» , , -.
. Vd. P. Senay (a c. di), La Matrone d’Éphèse. Histoire d’un conte mythique, «Cahiers des Études Anciennes» e , . Dedicato alla novella e alla sua fortuna
teatrale è il lavoro di Tiziana Ragno, Il teatro nel racconto. Studi sulla “fabula” scenica
della matrona di Efeso, Palomar, Bari . Per le fonti vd. G. Vannini, La Matrona di
Efeso di Petronio e le altre versioni antiche dell’aneddoto, in M. Carmignani, L. Graverini,
B.T. Lee (a c. di), Collected Studies on the Roman Novel, Editorial Brujas, Córdoba ,
-.
Rileggendo Petronio e Apuleio
di Encolpio e Gitone. Nel film la novella è anticipata: a narrarla
si fa avanti uno dei liberti presenti alla Cena (Ermerote, dalla
cadenza pugliese), quando la brigata dei commensali si è ormai
trasferita davanti al monumento funebre di Trimalchione e
il titolare della tomba si è esibito in una prova generale del
proprio funerale (scena n. ). Notturna la scena della tomba,
notturna l’atmosfera delle scene (nn. -) in cui si articola il
racconto, accolto anche questo «da un coro di risate, come se ci
fosse un pubblico invisibile» .
Di un’ultima trasposizione, con cambio di destinatario, mette conto parlare. In Petronio la sequenza sulla nave di Lica termina con una tempesta e il naufragio (Satyricon -): scampano
alla morte Encolpio, Gitone ed Eumolpo (Ascilto è ormai scomparso dalla trama) e quando le onde portano a riva il cadavere
di Lica, Encolpio si abbandona a un lamento funebre sulla precaria condizione umana, intessuto da collaudate formule della
letteratura consolatoria (, -) . Bene: nel film il lamento
funebre, in forma compendiaria e stilizzata, viene riservato
ad Ascilto, che invece di perdersi tra i frammenti di Petronio
accompagna Encolpio fino al penultimo episodio. Ascilto viene
ucciso dal nocchiero ‘infernale’ che ha traghettato i due amici
oltre una non meno ‘infera palude’ verso le prode della maga
Enothea (scena n. , inquadratura ). Davanti al corpo del
compagno ucciso Encolpio esclama: «Dov’è adesso la tua gioia,
la tua prepotenza? Sei in balia dei pesci e delle belve: tu che poco
. D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit., .
. Sui temi funerei dell’episodio petroniano (per altro sviluppati visivamente
da Fellini) vd. V.M. Patimo, L’eroe in vinculis: catabasi e detenzione nell’horridus carcer
Lichae, «Aufidus» -, , -. Di passaggio si può osservare come le immagini
della testa di Lica (decapitato anziché annegato) che affonda nel mare (scena n.
, inquadrature -) derivino da un preciso passo di Satyricon , , in cui
Encolpio riconosce il cadavere sospinto a terra dalle onde: Adhuc tanquam ignotum
deflebam, cum inviolatum os fluctus convertit in terram, agnovique terribilem paulo ante
et implacabilem Licham pedibus meis paene subiectum («Al momento era solo per uno
sconosciuto che mi lamentavo, quando il flutto rivolse verso terra il viso ancora
intatto, e io riconobbi come gettato ai miei piedi Lica, lui sino a poco prima terribile
e spietato»; traduzione di V. Ciaffi).
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
fa ostentavi la tua innocenza guerriera. Avanti adesso, mortali:
riempitevi di sogni ... Dèi grandi, come giace lontano dalla sua
mèta!». La traduzione è quella einaudiana di Vincenzo Ciaffi, ritoccata per adattare il compianto, nato in Petronio in occasione
della morte per mare del terribile Lica, alla misura dell’amicorivale: Ubi nunc est, inquam, iracundia tua, ubi impotentia tua?
Nempe piscibus beluisque expositus es, et qui paulo ante iactabas
vires imperii tui [...]. Ite nunc mortales, et magnis cogitationibus pectora implete. [...] Dii deaeque quam longe a destinatione sua iacet!
(Satyricon , -). Le sottolineature valgono a individuare i
termini ritoccati o sottaciuti. Si noti che non c’è stato bisogno di
snaturare la resa italiana di magnis cogitationibus pectora implete,
se non al prezzo di una piccola riduzione, perché il traduttore
ha inteso «riempitevi i cuori di grandi sogni», ha proposto cioè
una versione straordinariamente in linea – si sarebbe tentati di
dire – con la dimensione onirica peculiare della vena più profonda di Fellini narratore per immagini, di Fellini che intende
fare «un favolone suggestivo e misterioso, [...] un film tutto da
contemplare, a simiglianza dei sogni» .
.. Interpolazioni d’autore
Negli interstizi lasciati aperti dall’andamento frammentario
del Satyricon la sceneggiatura di Federico Fellini e Bernardino
Zapponi introduce liberamente, come si è detto, libere interpolazioni tese a dilatare su scala generale la percezione di un’umanità incerta e decadente in un mondo segnato da una babele di
lingue e di suoni che non sembra conoscere confini. Alla prima
di tali interpolazioni si è già fatto cenno: il teatro ligneo del
mimo Vernacchio (scena n. , inquadrature -) sostituisce
l’episodio ambientato nella scuola del retore Agamennone. Ora
. D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit., (= F. Fellini, Fare un film, cit.,
). Vd. anche A. Moravia, Velato di cenere, popolato di mostri, il Satyricon sarà il
documentario di un sogno, «Vogue» , giugno , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
possiamo dire che la sostituzione è felice, e per due ragioni:
l’inserimento di Fanfulla-Vernacchio e delle sue gags (mani
mozze di poveri Muzii Scevola in sedicesimo e miracoli di ridicoli imperatori) nasce dalla lunga frequentazione felliniana
del mondo dell’avanspettacolo (non a caso ritroviamo Fanfulla
ne I clowns dell’anno successivo), ma anche dalla non errata
considerazione, intuitiva del regista o suggerita dal latinista, che
Petronio è un autore da tempo definito “imitatore dei mimi” e
comunque non chiuso al riverbero teatrale di scene narrate .
Persino in un dettaglio scurrile è possibile confermare l’incontro tra il mondo di Fellini, il mondo di Petronio e il mondo del
mimo. Tutti gli spettatori di Fellini-Satyricon sanno che le frasi
di Vernacchio sono intercalate non solo da risate e risatine, ma
soprattutto da ben assestati crepiti ventrali. Un eroe di simili
emissioni circola liberamente nella Rimini di Fellini bambino:
si tratta di Fafinon de foss, professionista talentuoso di «peti in
numero pressoché illimitato ... e di ogni tonalità» . Ora, in Petronio Trimalchione, dopo essersi sgravato del superfluo peso
del ventre, intrattiene gli ospiti sui propri disturbi intestinali e
incrementa il galateo delle buone maniere a tavola concedendo
il diritto a ogni sorta di emissioni: Nemo nostrum solide natus
est. Ego nullum puto tam magnum tormentum esse quam continere
... Nec tamen in triclinio ullum vetui facere quod se iuvet, et medici
vetant continere (Satyricon , -). Più avanti, lungo la strada
per Crotone, i bagagli vengono caricati sulle spalle di Gitone e
. Nella forma Vernacchio (Vernacchius si legge nei dialoghi latini) l’antroponimo non è attestato in latino; potrebbe essere tuttavia l’esito romanzo di Vernaculus
(da verna, schiavo domestico), termine che rinvia a origini servili e contemporaneamente sottende rapporti epicorici, localistici (cfr. per es. in Cicerone, Brutus ,
sapor vernaculus , «sapore di casa nostra»). La cadenza di Vernacchio è partenopea:
non si dimentichi che la geografia del Satyricon spazia da città della Campania fino a
Crotone.
. Vd. per es. F. Moering, De Petronio mimorum imitatore, J. und A. Temming,
Diss. Münster . Dati e bibliografia in C. Panayotakis, Theatrum Arbitri. Theatrical
Elements in the Satyrica of Petronius, Brill, Leiden ; G. F. Gianotti, Spettacoli comici,
attori e spettatori in Petronio, in questo volume.
. F. Fellini, Fare un film, cit., .
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
del servo di Eumolpo, Corace, i quali danno vita a una clamorosa protesta: il secondo, alla maniera del Barbariccia dantesco,
tollebat subinde altius pedem, et strepitu obsceno simul atque odore
viam implebat. Ridebat contumaciam Giton et singulos crepitus eius
pari clamore prosequebatur (Satyricon , -). Nella tradizione
del mimo il suono del corpo liberato è di casa: l’esempio più
rilevante è dato dal mimo anonimo tràdito da P.Oxy r (papiro di Ossirinco, databile alla metà del II sec. d.C.) che si suole
intitolare dal nome della protagonista, Charition . Esso mette
in scena la liberazione di una fanciulla greca prigioniera di un
popolo barbaro dell’India misteriosa da parte del fratello e di
alcuni compari spintisi, via mare, fino a quelle prode lontane.
Arma decisiva per avere la meglio sui malcapitati Indiani sono
esplosivi crepiti viscerali di un servus pedens, il quale si segnala
anche per una singolare preghiera a una divinità dalle poco
esaltanti prerogative, santa Scorreggia, di cui resta leggibile sul
papiro smozzicato un’apostrofe solenne (v. : kuría Pordé).
Tutte le interpolazioni – va detto – hanno la piena approvazione di Luca Canali, che ritiene legittimi, a fini euristici e
narrativi, ogni tentativo d’interpretazione surreale e ogni esercizio di ricerca fantastica . Così succede che la dilatazione della
sequenza centrata sulla nave di Lica si intersechi con la vicenda
interpolata dell’imperatore assassinato e dia origine a un insieme non petroniano (tra l’altro riscritto e poi ridotto, come
dicono le note di sceneggiatura), in cui si fondono dati extratestuali storici (per esempio la cerimonia, ben documentata, delle
nozze tra Lica ed Encolpio, scena n. ) e interessanti confla. Edizione: I.C. Cunningham (ed.), Herodae Mimiambi. Cum Appendice Fragmentorum Mimorum Papyraceorum, Saur, Monachii et Lipsiae , -. Testo e
comm.: H. Wiemken, Der griechische Mimus, cit., -; S. Santelia, Charition liberata,
Levante Editore, Bari ; Mimi greci in Egitto. Charition e Moicheutria, a c. di M.
Andreassi, Palomar, Bari , -; Id., Il mimo tra ‘consumo’ e ‘letteratura’: Charition
e Moicheutria, «Ancient Narrative» , , -; M. Yevadian, Le papyrus Oxyrhynchos
et le mime de Charition, Séminaire de Recherches de la Chaire de recherche sur
l’Eurasie, Lyon .
. D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit., .
. La cerimonia nuziale è documentata sulla scorta di J. Carcopino, come ri-
Rileggendo Petronio e Apuleio
zioni metastoriche e plurilinguistiche. Infatti, nella figura del
giovane imperatore che vive su di un’isola e muore di morte
violenta all’arrivo di truppe ribelli si sovrappongono le immagini di Tiberio di stanza a Capri, di Nerone suicida all’arrivo
delle truppe di Galba, di Elagabalo ucciso non ancora ventenne
dai pretoriani in rivolta (scena n. ). La somma del “tre per
uno” conferma la dimensione atemporale in cui si sviluppa la
narrazione. Anche i dettagli possono confermare provenienze
da tempi diversi: per esempio, il grande pesce issato sulla nave
di Lica, che va a caccia di loisirs per l’imperatore , sembra
avere duplice matrice, una felliniana, figlia dell’abnorme bestia
marina arenata sulla spiaggia nel finale de La dolce vita ();
l’altra classica, figlia del gigantesco rombo offerto a Domiziano
nella Satira IV di Giovenale.
Dettagli che impreziosiscono e incorniciano altre vicende
interpolate, come nel caso della villa e delle scene riservate ai
nobili suicidi (scene nn. -) . Certo, l’insieme è un omaggio
corda Ester Brunet, “Tramandare-tradire”: storiografia e senso dell’antico nel Fellini
Satyricon, cit. Lo spunto antico deriva da Svetonio, Vita di Nerone : Suam quidem
pudicitiam usque adeo prostituit, ut contaminatis paene omnibus membris novissime quasi
genus lusus excogitaret, quo ferae pelle contectus emitteretur e cavea virorumque ac feminarum ad stipitem deligatorum inguina invaderet et, cum affatim desaevisset, conficeretur a
Doryphoro liberto; cui etiam [...] ita ipse denupsit, voces quoque et heiulatus vim patientium
virginum imitatus. Vd. anche Tacito, Ann. , , - (ipse per licita atque inlicita foedatus
nihil flagitii reliquerat, quo corruptior ageret, nisi paucos post dies uni ex illo contaminatorum grege (nomen Pythagorae fuit) in modum solemnium coniugiorum denupsisset. inditum
imperatori flammeum, missi auspices; dos et genialis torus et faces nuptiales, cuncta denique
spectata, quae etiam in femina nox operit); ulteriori dettagli in Cassio Dione , , e ,
; ; ; ; .
. Vita e morte di Sesto Vario Avito Bassiano (Elagabalo, - d.C., proclamato imperatore a anni): Historia Augusta, Antoninus Heliogabalus (biografia attribuita
a Elio Lampridio). Qualche spunto poteva venire da Antonin Artaud, Héliogabale
ou l’anarchiste couronné, Denoël & Steele, Paris (trad. it. di Albino Galvano:
Eliogabalo o l’anarchico incoronato, Adelphi, Milano ).
. Sugli abnormi piaceri erotici di Tiberio vd. M. Lentano, Sbatti il mostro in
fondo al mare: Caligola e le spintriae di Tiberio, «Quaderni del Ramo d’Oro» , ,
-.
. Vd. F. Salvador Ventura, La villa de los suicidas: una lección felliniana de cultura clásica, in Id. (a cura di), Cine y representacion. Re-producciones de mundos e
re-constructiones filmicas, Université Paris-Sud, Paris , -.
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
al suicidio di Petronio narrato da Tacito in Annales , -; ma
sappiamo che la morte del Petronio tacitiano è priva di compagnia, mentre nel film la presenza della moglie (interpretata da
Lucia Bosè) evoca altri suicidi illustri narrati da Tacito, quello
di Seneca e della moglie Paolina (Annales , ) e quello di
Trasea Peto che prega la moglie Arria di restare in vita (Annales
, -): sullo sfondo sta l’ombra della morte di Cecina Peto
e di Arria Maggiore narrata da Plinio il Giovane (Epist. , ).
A proposito di ombre, da ricordare è la scritta della meridiana
che campeggia, secondo le note di sceneggiatura, sulla facciata della villa, SICUT UMBRA DIES NOSTRI, presente sugli
orologi solari tardo-antichi e medioevali: è scheggia testuale
estrapolata dal Libro di Giobbe (, ) nella versione ieronimiana:
hesterni quippe sumus et ignoramus quoniam sicut umbra dies nostri
sunt super terram . E ancora: nell’imminenza della morte, la
nobile sposa recita i primi due versi di un famoso stacco poetico
dell’imperatore Adriano riportato dalla biografia della Historia
Augusta: animula vagula blandula, / hospes comesque corporis, /
quae nunc abibis in loca / pallidula rigida nudula / nec, ut soles,
dabis iocos! E non basta: entrati nella villa dopo la morte dei
nobili suicidi, Encolpio e Ascilto sostano davanti alle immagini
degli antenati dei padroni di casa; Ascilto si copre il volto con
una delle maschere e brandendo un bastone declama ad alta
voce versi di Archiloco: Ou philéo megan strategòn oudè diapepligménon etc. «Non mi piace un generale gigantesco, gambelarghe,
/ tutto fiero dei suoi ricci, glabro a forza di rasoi. / Io lo voglio
piccoletto; gli si notino le gambe / storte, ma si regga in piedi
saldamente, tutto cuore» (fr. West, traduzione di Filippo
. Sulla metafora dell’ombra, cara alla tradizione classica e alla tradizione
biblica (e non solo), si rinvia a G.F. Gianotti, Uomo, sogno di un’ombra, in Letteratura e
sport. Per una storia delle Olimpiadi, a c. di G. Ioli, Interlinea Edizioni, Novara ,
-, e ad A. Quincoces Lorén, «Come ombra che passa», di versione in versione: nota al
Salmo (), , «Quaderni del Dip. di Filologia, Linguistica e Tradizione Classica
A. Rostagni», Univ. di Torino, n. s. , , -.
. Historia Augusta, De vita Hadriani (biografia attribuita a Elio Sparziano) ,
(= Hadrian. Fr. Blänsdorf ).
Rileggendo Petronio e Apuleio
Maria Pontani).
Il frammento è abbastanza noto e un tempo faceva parte
delle letture scolastiche, in quanto Archiloco rientrava a pieno
titolo tra i lirici greci che si studiavano in II Liceo classico. In
questo caso l’intrusione declamatoria dovrebbe costituire un
piccolo amarcord personale del regista, se è vero che Fellini ha
confessato: «Il professore era comicissimo quando pretendeva
che dei mascalzoni di sedici anni fossero presi da entusiasmo
perché lui declamava con la sua vocina l’unico verso rimasto di
un poeta: «Bevo appoggiato sulla lancia»; e io allora mi facevo
promotore di ilarità sgangherate inventando tutta una serie di
frammenti che andavamo sfacciatamente a riproporgli» .
Fin qui le fonti esterne (lo stesso Fellini e gli altri) si lasciano
individuare senza eccessiva difficoltà. Nel caso dell’episodio
dell’ermafrodito (scene nn. -), invece, la questione della
fonte resta aperta, anche se il tono funereo, giocato sul ratto e
la morte del giovane e ancipite oracolo, contrasta col paesaggio
boschereccio da presepe e appare ben più cupo del tema della
morte che pure percorre il Satyricon di Petronio . Possiamo però valerci di una testimonianza recente di Gore Vidal (-)
in un articolo relativo agli anni romani dello scrittore americano e all’amicizia col regista, dal titolo Così Fellini rubò il mio
. Così F. Fellini, Intervista sul cinema, Laterza, Roma-Bari , . Anche il
verso citato dall’infelice professore è di Archiloco (fr. , West)..
. Vd. per es. D. Gagliardi, Il tema della morte nella Cena petroniana, «Orpheus»
, , -; R. Herzog, Fest, Terror und Tod in Petrons Satyrica, in W. Haug, R.
Warning (a c. di), Das Fest, Fink, München , -; S. Döpp, Leben und Tod
in Petrons ‘Satyrica’, in G. Binder, B. Effe (a c. di), Tod und Jenseits im Altertum,
Wissenschaftlicher Verlag, Trier , -; P. Lago, Il viaggio e la dimensione
‘infernale’ nel Satyricon, «Aufidus» , , -. Nel film il tema sembra più cupo
e insistito, come ha osservato Gian Luigi Rondi sulle colonne de «Il Tempo» il
settembre : «La morte, la fine, l’annientamento sono la cifra del film, il
suo messaggio estetico e drammatico: una nota sola, quella funebre, un colore
solo, quello spettrale, un solo stato d’animo, quello del disfacimento. La Roma
pagana e solare, quel popolo di marmo pario che la tradizione classica ci aveva
tramandato, Fellini li ha avvolti nei fumi, nelle nebbie, nelle brume di un plumbeo
e disperatissimo Nord, dove tutto ormai volge al suo termine, come un immenso,
stravolto funerale».
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
personaggio. Quell’ermafrodito fini col portarlo nel Satyricon: «una
volta gli feci blande rimostranze perché aveva preso dal mio
romanzo Il giudizio di Paride il personaggio dell’ermafrodito
venerato da una setta religiosa. Naturalmente, non aveva letto
il libro. Però l’aveva letto Eugene Walter, uno scrittore americano che viveva a Roma, e nel Satyricon – cui Walter aveva
collaborato – compariva effettivamente una versione del mio
personaggio. Fred negò risolutamente di aver avuto bisogno di
rubarmi il personaggio: “Perché dovrei, visto che l’ermafrodito ... sono io?! Lo sanno tutti» (Corriere della sera, . . ,
). Insomma: Gore Vidal, a ben intendere, non dice una parola risolutiva; traccia tuttavia la strada di un possibile transito
intertestuale che passerebbe attraverso mediazioni suggestive
piuttosto che dipendere da derivazione diretta. In fin dei conti,
la paternità felliniana dell’episodio non sorprende troppo, se
si tiene conto di quante visioni ambigue e bifronti costellano
le sue pellicole. Comunque, anche in questa sequenza è forse possibile ravvisare la firma d’autore: penso al plurimutilato
eroe di guerra, privo di gambe e braccia, che viene trasportato
in carriola davanti all’ermafrodito (scena n. , inquadratura
, arricchita durante la lavorazione): si tratta dell’antenato
‘inventato’ del grande mutilato della I Guerra Mondiale che i
camerati di Rimini presentano a Starace «dopo averlo tolto dalla
carrozzina a rotelle» , preludio dunque a una scena di Amarcord
().
Discorso meno incerto si deve tenere per la duplice aggiunta
. Gore Vidal, Il giudizio di Paride (The Judgment of Paris, ), tr. it., Fazi, Modena . Il romanzo narra la storia di un giovane americano che, terminati gli
studi, si concede un anno sabbatico in viaggio per l’Europa. La vicenda si dipana tra
Roma e Parigi, con intricati rapporti erotici con tre signore. Attraverso le vicende
del giovane protagonista, l’autore reinterpreta il mito greco di Paride, chiamato a
scegliere tra Era, Atena e Afrodite, tra il potere, la saggezza e la bellezza. «Quando
scrivevo Il giudizio di Paride ero molto influenzato da Petronio e Apuleio e da opere
come Satyricon e L’ Asino d’ Oro». - Satyricon fa ripensare a Fellini, che lei ha conosciuto bene. - «Lo chiamavo Fred, lui mi chiamava Gorino. L’ho aiutato spesso» («La
Repubblica», Almanacco dei Libri, .., ).
. F. Fellini, Fare un film, cit., .
Rileggendo Petronio e Apuleio
successiva: la festa del dio Riso come cornice della lotta di
Encolpio col Minotauro in un circo di provincia con tanto di
labirinto ambientato nella Città magica (sic nella sceneggiatura!
Scena n. ). La festa del dio Riso è estrapolata direttamente
dalle Metamorfosi di Apuleio (, -) , dove la festività, celebrata
nella cittadina tessalica di Hypata, ha come momento centrale
il processo-farsa ai danni del protagonista Lucio, accusato di
omicidio per aver passato, rincasando alticcio, tre otri a fil di
spada (episodio noto soprattutto in virtù della ripresa operata
da Cervantes nel suo don Quijote). Qui, nel film, l’intrusione
della festa si spiega sfruttando un dettaglio non particolarmente
visibile, ma comunque presente in Petronio: in Satyricon ,
la maga Enothea rimprovera Encolpio piangente e la vecchia
Proselenos che ha tentato di rianimarne la virilità a suon di
nerbate:
Quid vos, inquit, in cellam meam tanquam ante recens bustum venistis?
Utique die feriarum, quo etiam lugentes rident. «Ehi voi – disse – avete
preso la mia cella per una tomba di fresca data? E proprio in un giorno festivo, in cui anche chi è in lutto ride!» (traduzione di Vincenzo
Ciaffi).
Lo spunto è esile, ma sufficiente: sta di fatto che la festa del
Riso, scandita da suoni e ritmi poco latini, abbraccia e comprende la grande scena della lotta col Minotauro, per chiudersi,
tra le risate di un pubblico multicolore, con l’intervento del
proconsole (a conferma che non siamo più ... in Italia): «Non
devi offenderti delle nostre risate: sappi che oggi hanno inizio
le feste in onore del Dio Riso, le quali non possono cominciare
bene senza una burla a uno straniero» (scena n. , inquadratura
), eco variata o distorta delle parole dei magistrati al protagonista delle Metamorfosi apuleiane (, ): Luci domine [...]ne istud
quod vehementer ingemescis contumeliae causa perpessus es. Omnem
. Dati e bibliografia in Regine May, Apuleius and Drama. The Ass on Stage,
Oxford Univ. Press, Oxford , -; F. Salvador Ventura, Dos fuentes para recrear
la Roma altoimperial: la matrona de Efeso y la fiesta de la risa en el Fellini-Satyricon,
«Habis» , , -..
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
itaque de tuo pectore praesentem tristitudinem mitte et angorem animi depelle. Nam lusus iste, quem publice gratissimo deo Risui per
annua reverticula sollemniter celebramus, semper commenti novitate
florescit.
Maggior interesse suscita, tuttavia, lo scontro circense col
Minotauro in uno scenario fittizio che è un po’ Creta (il labirinto in sedicesimo) e un po’ Malta (la statua rotondeggiante e
acefala della Grande Madre Mediterranea alle spalle di Arianna), isole-ponte verso l’Africa. È vero che la domus stessa di
Trimalchione apparirà agli scholastici in cerca di via di fuga come un labirinto di nuovo genere (Satyricon , : Quid faciamus
homines miserrimi et novi generis labyrintho inclusi), ma in questo
caso non mette conto preoccuparsi di fonti dirette, in quanto
si tratta di mito arcinoto, per documentazione letteraria e iconografica, qui riadattato per fini spettacolari e per spiegare, col
fallimento dell’amplesso con Arianna, la sopraggiunta impotenza di Encolpio . Questo per l’intera sequenza, che compie
una bella e ampia incursione nel mito antico per giustificare un
aspetto di parodia epica ben presente nel testo petroniano (l’ira
di Priapo e lo smacco erotico del protagonista) . Resta sospesa
a mezza voce una domanda: perché, contrapposto all’eroe della
storia destinato a decadenza virile, compare il Minotauro? Certo, nell’ibrido figlio di Pasifae e del toro di Minosse coesistono
forza primitiva, vitalità ferina e strumentazione erotica umana.
. Vd. altresì l’annuncio di Byrrhena a Lucio in Apul. Met. , , : Sollemnis
dies a primis cunabulis huius urbis conditus crastinus advenit, quo die soli mortalium
sanctissimum deum Risum hilaro atque gaudiali ritu propitiamus. Hunc tua praesentia
nobis efficies gratiorem.
. Per questi e altri motivi di cambiamento vd. per es. A.J. Prats, The Individual,
the World, and the Life of Myth in Fellini Satyricon, «South Atlantic Bulletin» , ,
-; B.F. Dick, Adaptation as Archaeology: Fellini-Satyricon , from the ’Novel’ by
Petronius, in A.S. Horton, J. Magretta (a c. di), Modern European Filmmakers and the Art
of Adaptation, Ungar, New York , -; F. Burke, Fellini: Changing the Subject,
«Film Quarterly» , , -.
. Vd. J. McMahon, Paralysin Cave: Impotence, Perception, and Text in the Satyrica
of Petronius, Brill, Leiden ; E. Canzaniello, «Che mi dici, vergogna di tutti gli uomini
e gli dèi?». Il monologo al proprio membro dal Satyricon al Fellini Satyricon, «Between» ,
, -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
Queste potrebbero essere ragioni sufficienti per la contrapposizione, ma c’è forse qualcosa di più. Come si ricorderà, la figura
sgraziata dell’inserviente del circo porge a Encolpio fiaccola e
strumenti di difesa pronunciando parole in spagnolo («Arianna
espera te, amor, amor!»: scena , inquadratura ). Ecco: se
pensiamo a un Minotauro, vitalistico e non pernicioso, da identificare attraverso la lingua iberica, non possiamo avere dubbi.
Il Minotauro spagnolo, per autodefinizione, è Pablo Picasso
(-) , il pittore preferito dal regista: Fellini ha già dato il
nome di Picasso a uno del protagonisti, Richard Basehart, de
Il bidone (), a Picasso ha dedicato un famoso ritratto caricaturale e lo ha menzionato come protagonista di sogni inquieti,
ma sempre capaci di riscattare il sognatore da stati di inerzia e di
confusione . Insomma, nel film Fellini rende omaggio a Pablo
Picasso: il personaggio dal fisico atletico e dalla maschera a testa di toro – modellata secondo espressività iconografiche non
lontane da soluzioni ‘alla Picasso’ – perde alla fine i tratti ferini e
da mostruoso nemico di Encolpio si trasforma in rassicurante
figura amichevole, pronto a rimettere in moto il protagonista
nei meandri della sua storia.
Bene: dopo il fallimento dell’unione con Arianna (ovviamente “grassa e un po’ sfatta”), scena che implica congedo
dalla sfera del mito, si riprende il cammino in compagnia di
Ascilto e del ritrovato Eumolpo. Cammino rapido, si direbbe,
perché, invece di arrivare a Crotone (meta ultima del testo petroniano), ci si muove lungo le strade d’una città africana (scena
) e si arriva al Giardino delle delizie, gran lupanare all’aperto
abitato da leggiadre fanciulle e fanciulline che a gruppi tentano
invano di risvegliare la parte dormiente di Encolpio oppure
. Vd. Paloma Esteban, Sylvia Vautier, Picasso Minotauro, Museo d’Arte Reina
Sofia, Madrid ; Th. Ziolkowski, Minos and the Moderns. Cretan Myth in TwentiethCentury Literature and Art, Oxford Univ. Press, Oxford ; Ph. Dagen, Picasso, tr. it.,
Bardi-Electa, Roma . Il rapporto Fellini-Picasso è stato al centro dell’esposizione
Quand Fellini révait de Picasso presso la Cinémathèque Française (Paris, dal aprile al
luglio ).
. F. Fellini, Fare un film, cit., .
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
intrattengono con successo il vigoroso Ascilto e il non rammollito Eumolpo. Un giovane elefante si muove in un angolo
del Giardino, indubbio indicatore geografico vivente: a farci
capire però che non si tratta di fauna africana, bensì indiana,
sulle pareti compaiono affreschi orientaleggianti che riproducono scene erotiche e avvertono che negli spazi del piacere ha
fatto irruzione l’India del Kamasutra, con un ricco corredo di
immagini e immaginazioni: le molteplici ‘posizioni’ evocate da
Eumolpo, i ritmi di flauti dell’Asia e l’ondeggiare dell’altalena
d’amore, le giovinette velate che agitano inutili verghe, incapaci
di resuscitare perdute energie fisiologiche.
Ancora una volta, dunque, la fantasia felliniana, ben coadiuvata da Bernardino Zapponi, ha lasciato il suo segno, così
come lo lascia nella scena soppressa dei Lupercali (scena n. )
e nelle scene che riguardano Enothea, la maga africana che
riesce finalmente a curare l’impotenza di Encolpio (scene nn.
-). E qui, tra le molte soluzioni escogitate dal punto di vista
figurativo, meritano attenzione l’inquadratura del mago innamorato sospeso in una cesta - probabile suggerimento derivato
dall’antico ’mimo della cesta’, cavallo di battaglia in età flavia
dell’archimimo Latinus (scena n. , inquadrature -) – e
lo sdoppiamento nelle due età e nella duplice figura della maga
Enothea : manco a dirlo, massiccia e monumentale, come vuole l’archetipo della Grande Madre, è la figura con cui Encolpio
finisce per accoppiarsi (scena n. , inquadrature -).
Della morte di Ascilto fuori tempo, fuori posto e fuori contesto, rispetto al Satyricon petroniano, si è già detto; resta da
dire che Fellini – contro Petronio – fa morire anche Eumolpo
(scena n. , inquadrature sgg.) e trasforma la burlesca
clausola testamentaria del vecchio poeta (Satyricon , : Omnes, qui in testamento meo legata habent, praeter libertos meos hac
condicione percipient quae dedi, si corpus meum in partes conciderint
. Chi voglia orientarsi nell’intrico di spunti combinati nell’episodio petroniano
della maga può vedere A. Perutelli, Enotea, la capanna e il rito magico, L’intreccio dei
modelli in Petron. -, «Materiali e Discussioni» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
et astante populo comederint) in scena reale: così, mentre i pretesi
eredi si esibiscono in inappetente cannibalismo , Encolpio si
dirige verso la nave in partenza per l’Africa seguendo invitanti
movimenti di danza di un marinaio di colore .
Proviamo a rileggere le note finali della sceneggiatura: «A
poco a poco, l’allucinato viaggio in una dimensione storica così
favolosa si ferma e si allontana dal nostro occhio. Tutto si screpola, si copre della polvere dei secoli. Si trasforma in un antico
affresco; un affresco stinto, coi colori pompeiani, dove Encolpio
è soltanto uno dei tanti volti di persone, dal sorriso ambiguo,
che adornano l’affresco» . Bloccata dal fermo-immagine, la
figura di Encolpio diventa fotografia immobile, poi segno grafico di una pittura parietale, infine frammento cromatico di un
muro in rovina. Il muro in rovina dell’ultima scena corrisponde,
in una sorta di composizione ad anello o, se si preferisce, di
composizione a recinto, al «muro rossastro, un muro di cinta
o forse la parete esterna di una casa, tutto fittamente graffito
dai passanti», davanti al quale, nelle inquadrature d’inizio, Encolpio declama il suo amore per l’inafferrabile Gitone. Davanti
a un muro si apre la storia, sui resti di un muro in rovina la
storia finisce, dopo essere sfilata lungo interni domestici e pareti
rocciose, caverne pastorali e ostacoli visivi che trasformano la
narrazione per immagini in continuo bassorilievo animato. La
scelta stilistica non è casuale, come impariamo dalle parole, per
. Vd. R. Armstrong, Eating Eumolpus: Fellini Satyricon and Dreaming Tradition,
in J. Parker, T. Matthews (a c. di), Tradition, Translation, Trauma. The Classic and the
Modern, Oxford Univ. Press, Oxford , -.
. In particolare, il tema dell’Africa (già annunciato per es. nella danza in casa
di Trimalchione al suono di madeia perimadeia, scena n. , inquadratura ) diventa
prevalente nella parte finale, come se il paesaggio africano, contrapposto a quello
della culla della civiltà europea, potesse rappresentare un’alternativa primitiva ma
vitale o una via di fuga positiva per la sgangherata umanità rappresentata dalla
pellicola. A ben vedere, intuizioni del genere presuppongono le attese generate dal
grande fenomeno storico della decolonizzazione, affondano le radici nelle ricerche
antropologiche del secondo Dopoguerra e sono condivise da Pier Paolo Pasolini: si
pensi all’ambientazione africana dell’Edipo re () o agli Appunti per un’Orestiade
africana (-).
. D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit., .
. Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini
così dire, programmatiche di Bernardino Zapponi: «Il libro di
Petronio è screpolato, rotto come un muro, fatto di pezzi che
sono reperti archeologici. Alterna [. . . ] la buffoneria allo strazio,
la tragedia alla farsa sconcia, con improvvise effusioni liriche da
far venire i brividi. Poi, silenzi improvvisi, frasi pronunciate da
non si sa chi, persone che emergono dal nulla e dicono il loro
motto, come dannati dalla pece infernale. Una precisa indicazione di stile: dovevamo ampliare le fratture; non colmarle» .
Così succede che di qua e di là dal muro, attraverso le brecce del
tempo, risuonino favelle d’intonazione diversa , come diversi
dalla musica colta europea sono i toni musicali e i ritmi, i cori
e le nenie primitive che vengono dall’Asia e dall’Africa, suoni
lontani che esprimono la medesima lontananza che separa il
nostro incerto presente dalla non meno incerta e anticlassica
umanità che popola le pagine del libro di Petronio e le scene
del film di Federico Fellini.
. D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit., .
. Vd. A. Scala, Diverse lingue, orribili favelle? In margine al multilinguismo del
Fellini-Satyricon, in R. De Berti, E. Gagetti, F. Slavazzi (a c. di), Fellini-Satyricon.
L’immaginario dell’antico, cit. in n. , -.
P II
APULEIO
Capitolo I
Apuleio, autore e opere∗
.. L’autore e le opere perdute
Filosofo e conferenziere itinerante, secondo i modelli di vita
intellettuale della Seconda Sofistica, Apuleio è originario di Madauros (oggi M’Daourouch in Algeria) nella provincia d’Africa.
L’unica data certa della sua vita riguarda il processo per magia
subíto a Sabratha davanti al proconsole Claudio Massimo, in
carica da luglio del a giugno del d.C. Se il processo è
celebrato nell’inverno compreso tra questi due anni, la data di
nascita di Apuleio potrebbe oscillare tra il e il , mentre
la data di morte andrebbe collocata – per via congetturale –
nel decennio - o poco dopo. Buona la condizione sociale
della famiglia e buono il curriculum degli studi: apprendistato a
Cartagine per grammatica e retorica e successivo perfezionamento ad Atene; formazione non comune in campo filosofico
e giuridico. La curiositas del retore africano si rivolge altresì ai
problemi religiosi e alla sfera mistico-magica, facendo emergere aspetti e tradizioni relegati ai margini della cultura ufficiale.
La ricerca di concezioni capaci di spiegare i rapporti che legano
l’uomo al mondo naturale e al mondo divino avvicina Apuleio
alla filosofia platonica, al platonismo che si suole definire ‘medio’ e che corrisponde alla fase di transizione, dal I sec. a.C.
agli inizi del III d.C., che le scuole platoniche attraversano, accogliendo spunti aristotelici (per quanto concerne le scienze
∗
La prima redazione è comparsa col titolo La narrativa latina. Petronio e Apuleio,
in S. Casarino, A.A. Raschieri (a cura di), Figure e autori del romanzo, Aracne, Ariccia
(Roma) , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
naturali), prima di giungere a Plotino e al neoplatonismo. Si
spiega così la qualifica di philosophus Platonicus che Apuleio
accredita di sé e che lo accompagna nel tempo. Tra gli onori
ricevuti da Apuleio a Cartagine, dove si stabilisce dopo aver
molto viaggiato – ad Atene, a Roma e altrove, viae cupidus qual
era – ed esser scampato ai pericoli del processo per magia, si
segnala la carica di sacerdos provinciae: carica dai risvolti religiosi,
relativi al culto dell’imperatore e di Roma, e civili, riguardanti
presidenza della curia locale e allestimento di giochi pubblici.
Apuleio sacerdos chiude la scheda biografica: i dati essenziali derivano dall’orazione di difesa nel processo per magia (Apologia)
e dagli estratti di orazioni intitolata Florida; si rinuncia invece
a letture in chiave autobiografica di sezioni delle Metamorfosi
quali di frequente si incontrano tra gli studiosi moderni.
Il manifesto della produzione apuleiana si legge in un estratto dei Florida, sulla filigrana di un confronto con Ippia di Elide,
l’antico sofista contemporaneo di Socrate e Platone, famoso
per versatilità e dottrina. Afferma il nuovo sofista africano: «le
mie opere nel campo delle Muse sono più numerose di quelle
di Ippia . . . » , perché in grado di riportare a nuova vita (reficere)
le composizioni dell’intero sistema letterario: «poesie d’ogni
genere, adatte alla verga epica come alla lira, al socco come al
coturno; e del pari satire e logogrifi, e poi storie varie e orazioni
elogiate dagli esperti di eloquenza nonché dialoghi apprezzati
dagli esperti di filosofia: queste e altre composizioni ancora, in
greco e in latino, con duplice ambizione, pari studio, analogo
impegno stilistico» (Flor. ). Carattere enciclopedico, bilinguismo e capacità di controllo su tutte le tradizioni della cultura
antica, consapevole aemulatio dei modelli del passato sotto il
segno della continuità e di possibili rifacimenti: sono tratti che
apparentano il retore africano ai rappresentanti della Seconda Sofistica, depositari di conoscenze intese come strumento
di comprensione del reale, motivo di prestigio sociale e ricco
repertorio di possibilità espressive.
Dell’enciclopedismo è testimonianza l’elenco delle opere
perdute: carmina ludicra e versus amatorii, inni agli dèi, orazioni
. Apuleio, autore e opere
e conferenze, Erotikòs lógos (storie d’amore?), Epitoma historiarum (storie abbreviate), Quaestiones convivales, frammenti
dell’Hermagoras, forse racconto centrato su vicende di salvezza
in chiave ermetica. Si aggiungono versioni di testi filosofici,
in particolare di Platone; libri di Astronomica, De proverbiis, De
re rustica, De arboribus, De medicinalibus, De musica. Anche da
cataloghi così scarni emergono due costanti: attenzione al mondo naturale secondo le scienze di stampo aristotelico (in linea
col platonismo medio); pratica di rifacimenti e traduzione (il
reficere) come continuità col passato e volontà divulgativa per
sanare il divario tra opere greche e un pubblico alfabetizzato
solo in latino. Tenace nel tempo è stata la fama di Apuleio come
filosofo naturalista ed esperto di medicina (e di magia), tanto da
facilitare la diffusione, a suo nome, di scritti non autentici, come il De herbarum medicaminibus liber e la chiusa del De remediis
salutaribus, raccolte a mezza via tra medicina empirica e ricette
popolari. Tale elenco mostra Apuleio prossimo agli scrittori
che nel giro di un secolo – da Plinio il Vecchio a Svetonio dei
Prata, da Favorino di Arles a Gellio e a Eliano – si sono misurati con le discipline settoriali e con l’esigenza d’una generale
ricomposizione del sapere da consegnare alla società imperiale
in via d’espansione.
.. Apuleio filosofo e oratore
Il compito di fornire quadro d’unione e scala di valori alla
personale enciclopedia delle scienze è affidato da Apuleio alla
filosofia platonica, già ben consolidata al momento del processo
per magia in forza degli scritti trasmessi sotto il suo nome: De
deo Socratis, Asclepius, De Platone et eius dogmate, De mundo. Una
tradizione separata attribuisce ad Apuleio un opuscolo De interpretatione che porterebbe a cinque gli scritti filosofici. Ci sono
questioni di autenticità, negata unanimemente per l’Asclepius e
a maggioranza per il De interpretatione: solo il De deo Socratis è
da tutti ritenuto apuleiano, mentre sul De mundo e, in misura
Rileggendo Petronio e Apuleio
minore, sul De Platone et eius dogmate si sono avanzati sospetti
per ragioni di stile. La critica recente riassegna gli ultimi due
testi ad Apuleio e spiega le divergenze con la diversa destinazione delle opere sicuramente apuleiane (Apologia, Florida,
Metamorfosi, De deo Socratis), destinate a fruizione pubblica e
più esuberanti sul piano stilistico.
In breve, il De mundo è rifacimento di un trattato pseudoaristotelico conservato, il Περὶ κόσμου (I sec. a.C. o inizi del I
d.C.). Più che traduttore (solo una decina di passi sono versioni
alla lettera), Apuleio è interprete, che rielabora il testo per un
pubblico romano. La prima sezione, sulla cosmologia, passa
dalla descrizione dell’etere alla variegata morfologia della terra; nella seconda sezione, sulla teologia, si mostra come il dio
supremo e unico, invocato plurimis nominibus , animi il cosmo
intero. Legato alle dottrine platoniche è il De Platone et eius dogmate: sintesi della fisica (I libro) e dell’etica (II libro) sulla scorta
dei Dialoghi di Platone e del lavoro esegetico dell’Accademia.
Manca la trattazione della logica, anche se Apuleio promette
un compendio tripartito secondo partizioni invalse nelle scuole.
Però il I libro, nella tradizione manoscritta, si chiude con una
lacuna, di cui si ignorano estensione e contenuti. Non è da
escludere che la sezione logica sia caduta col finale del libro
o che abbia avuto vita separata, per ragioni meccaniche o per
scelte editoriali antiche; di qui l’ipotesi che il De interpretatione rappresenti la terza parte del trattato. Due aspetti meritano
attenzione. Il primo riguarda la biografia di Platone con cui si
apre il I libro : è per noi la più antica delle Vitae Platonis; un
alone agiografico fa del filosofo una figura in via di avanzata
santificazione. Interessante è il cenno ai viaggi di Platone in
Egitto per conoscere gli arcani del sapere sacerdotale: dettaglio
in sintonia col tema della salvazione isiaca del finale delle Meta. De mund. . Cfr. la polyonymia di Iside in Met. , , . Gli scritti filosofici
di Apuleio sono oggetto di nuova edizione: I. Magnaldi, Apulei opera philosophica,
Oxford Univ. Press, Oxford .
. De Platone , -.
. Apuleio, autore e opere
morfosi. Il secondo aspetto, comune al De mundo, è dato dal forte
dualismo tra un mondo materiale sempre più basso e il sommo
dio sempre più alto e lontano; non si nega tuttavia all’uomo la
possibilità di salire dal caos di quaggiù alla conoscenza del sommo bene e farsi simile al dio nei limiti del possibile, secondo
il precetto platonico sulla ὁμοίωσις θεῶι κατὰ δυνατόν (Plat.
Theaet. b ).
Anche il De deo Socratis presenta un universo diviso, ma popolato da potenze intermedie (mediae potestates), i demoni, che
riempiono gli spazi tra terra e cielo e presiedono ai rapporti
tra gli uomini e la divinità, mediatori tra poli altrimenti incomunicabili. Così, il demone di Socrate, la voce interiore che
trasmetteva i divieti divini, si moltiplica all’infinito e occupa
lo spazio intermedio tra la materia e le sedi celesti: forze misteriose (ma intelligibili) che operano nel mondo secondo un
disegno provvidenziale che solo il vero philosophus sa conoscere. Intermedia è la natura dei demoni: immortali alla pari della
divinità superiore, partecipano tuttavia del mondo inferiore in
quanto dotati di corpo (aereo e sottile) e soggetti a passioni, in
questo lontani dal dio primo e ineffabile, per natura imperturbabile. Tre, infine, sono le classi dei demoni: la prima è data
dalle anime incarnate, cioè dalle anime individuali degli uomini
(«anche l’anima umana, quando ancora dimora nel corpo, può
essere definita demone»); la seconda è formata dalle anime disincarnate che alla fine della vita assumono funzioni deterrenti
o protettive, in qualità di Larve o di Lari (a molti compete titolo
di deus, come per esempio a Osiride in Egitto); la terza, da
sempre libera da legami corporei, di specie più elevata e nobile,
ha poteri e ruoli particolari, come per esempio Sonno e Amore.
Pur se diversificata, la natura demonica dell’anima individuale,
di Osiride e di Amore (Eros, Cupido) è motivo di interesse per
i lettori delle Metamorfosi; inoltre, se vero è che il demone di
ciascuno «a tutto prenda parte con curiosità (curiose), su tutto
indaghi, tutto intenda e a guisa di coscienza penetri nei più
Rileggendo Petronio e Apuleio
profondi recessi della mente» , non è meno vero che da umana
curiositas prende avvio l’opera principale. Per Apuleio ognuno
deve dedicarsi al proprio demone, cioè al culto della propria
anima, «culto che altro non è se non l’iniziazione ai misteri della
filosofia». Dunque, il demone è interno all’uomo, in quanto
anima razionale, ma è anche forza divina: ne consegue che all’uomo si apra la possibilità di contatti diretti col divino, grazie
alla mediazione della propria anima, e che l’intera operazione
sia posta sotto il segno della filosofia, di cui costituisce l’impegno più sacro. E di energia demonica risulta dotata l’attività
filosofica, chiamata a mostrare e a far sì che non vi sia «nulla di
più simile e caro al dio di un uomo d’animo perfetto» . Resta
da dire qualcosa dell’Asclepius, unico testo del corpus filosofico trasmesso senza attribuzione. Esso appartiene al cosiddetto
ermetismo, insieme di testi d’età ellenistico-romana circolanti
sotto il nome di Ermete Trismegisto («il tre volte grandissimo»),
fusione tra il dio greco Hermes e Thoth, l’omologo dio egizio
depositario di saperi segreti. Ermetici sono i testi greci che
presentano le rivelazioni di Thoth, primo Ermete, a discepoli e
successori ; un discorso rivelatore di Ermete ad Asclepio offre
appunto il testo latino, versione d’originale greco. La vicinanza
a motivi apuleiani non è però prova sufficiente di autenticità.
Veniamo ora all’episodio meglio noto della vita dell’autore, il processo per magia del / d.C., grazie a una fonte
di prima mano: l’orazione di difesa (Apologia sive De magia),
unico discorso giudiziario latino di età imperiale giunto sino a
noi, capolavoro dell’oratoria della Seconda Sofistica . L’accusa
. De deo Socratis -.
. De deo Socratis . Sulla fortuna del demone di Socrate nella tradizione
medioplatonica vd. S. Mecci, Il demone di Socrate nel medioplatonismo, «Giornale
Critico della Filosofia Italiana» s. VII, , , -
. Testi in A.J. Festugière, La Révélation d’Hermès Trismégiste, I-IV, Paris (per l’Asclepius II, , -); vd. ora M. Stefani, Ps. Apulei Asclepius, Brepols,
Turnhout .
. Vd. V. Hunink, Apuleius of Madauros. Pro se de magia (Apologia), I-II, Gieben,
Amsterdam .
. Apuleio, autore e opere
è d’aver fatto ricorso alla magia per sposare una ricca vedova,
fino ad allora contraria a nuove nozze, e assicurarsi l’eredità.
Difendendosi dal crimen magiae (che ricadeva sotto le sanzioni
della Lex Cornelia de sicariis et veneficis promulgata nell’ a.C. su
proposta di Cornelio Silla), in realtà Apuleio difende la filosofia
e a sua volta, forte della propria superiorità culturale, accusa
d’ignoranza gli accusatori. Non mancano tuttavia spunti da cui
sembra emergere il tono sinistro di un potere misterioso, come
mostra l’invettiva rivolta al principale accusatore: «Ma su di te,
Emiliano, a compenso di tale menzogna il dio messaggero dei
signori del cielo e degli inferi attiri la maledizione degli dèi di
entrambi i mondi e faccia sempre affluire davanti a te le immagini dei morti, tutta la folla delle ombre e dei lemuri, tutte
le schiere dei mani e delle larve, tutti gli spettri della notte, i
terrori dei roghi e gli orrori dei sepolcri dai quali, comunque,
tu per età e per merito non sei molto lontano» (Apol. ). Ignoto
è il verdetto, ma deve esser stato di assoluzione, se Apuleio
continua la carriera di conferenziere fino alla carica di sacerdos
provinciae. Decisiva è l’esibizione finale del testamento della
vedova che nomina erede il figlio: si dimostra così l’inesistenza
del movente e si elimina «la radice stessa del processo, cioè
l’odioso sospetto d’aver dato la caccia all’eredità» (Apol. ).
Nell’orazione ritorna inoltre l’immagine di un universo animato come nel De deo Socratis: «tra dèi e uomini esistono potestà
divine, intermedie per natura e spazio occupato, che presiedono
a tutte le forme di divinazione e ai prodigi dei maghi» (Apol.
).
Per quanto ritoccata con intenti letterari, l’Apologia è un’orazione giudiziaria: si mantiene aderente al dibattito processuale
e resiste alle tentazioni di eccessiva elaborazione formale documentata, per esempio, dalla raccolta di passi di orazioni nota
col titolo di Florida . In tale raccolta i temi sono di varia natura:
aneddoti, elogi di persone autorevoli, spunti mitologi o di vita
. Vd. B.T. Lee, Apuleius’ Florida: A Commentary, de Gruyter, Berlin-New York
( ); F. Piccioni, Apuleio. Florida, cuec editrice, Cagliari .
Rileggendo Petronio e Apuleio
politica, exempla illustri e virtuosismi espressivi, infine motivi
di ordine filosofico, tra cui non manca un cenno a «potenze divine intermedie che è possibile sentire ma non scorgere, come
Amore e altre di tal genere, la cui forma sfugge alla vista, ma
la cui forza è ben nota» (Flor. ). Sono brani che contribuiscono a illustrare la figura di un declamatore disinvolto e vivace,
orgoglioso dei propri saperi e della propria abilità, virtuoso dell’improvvisazione e della divagazione, compiaciuto del favore
che gli riservano autorità e pubblico.
.. Apuleio narratore: il racconto dell’uomo-asino e la favola di Amore e Psiche
Le opere sin qui ricordate sarebbero sufficienti ad assicurare
ad Apuleio posto di rilievo nella storia della cultura latina del II
sec. d.C. Ma insieme al filosofo platonico e al retore itinerante
coesiste il novellatore part time a cui si deve uno dei pochi testi
completi della narrativa latina. Fabula è il termine a cui ricorre
Apuleio quando, nel prologo, avverte il lettore che intende intrecciare fabulae di tipo milesio, vale a dire una serie di racconti
a sfondo erotico e meraviglioso tenuti insieme da un racconto
cornice, in cui la vicenda del protagonista, narrata in prima
persona, si fa garante dell’unità dell’insieme . Accanto a Me. La novella milesia prende nome da Aristide di Mileto (fine del II o inizi
del I sec. a.C.), autore di Racconti Milesii fatti conoscere a Roma in versione latina
da Cornelio Sisenna (storico del I sec. a. C.). Purtroppo dell’originale non rimane
che una glossa lessicale e della traduzione latina si contano dieci scarni frammenti;
sappiamo tuttavia da celebri passi di Ovidio e di Plutarco che l’argomento di tali
racconti era di natura scollacciata e apertamente immorale agli occhi dei benpensanti
(Vd. Ov. Tristia , sgg. e sgg.; Plut. Vita Crassi ). In mancanza di termini
effettivi di confronto, non è possibile dire se e quanto Apuleio - che rivela straordinaria misura anche nei passaggi più scabrosi - abbia innovato rispetto a eventuali
paradigmi della novella milesia, ma se fosse necessario adottare una formula per
definire le Metamorfosi, si potrebbe adottare quella di Milesiae Punicae che si legge
nella tarda biografia dell’imperatore Clodio Albino (Hist. Aug., Vita Clodii Albini ),
e pensare a una specie di variante africana che talvolta è stata evocata dalla critica
moderna per designare la forma alta di elaborazione, per stile e contenuto, a cui il
. Apuleio, autore e opere
tamorphoseon libri dei manoscritti , Sant’Agostino cita il testo
apuleiano come Asinus aureus . In genere si ritiene che Asino
d’oro alluda a qualità letterarie e indichi eccellenza artistica. Per
altri il senso va cercato tra i valori cromatico-allegorici dei miti
egizi che incorniciano il racconto, dalle allusioni del prologo
fino all’epilogo isiaco del libro XI. Nelle tradizioni egiziane
l’asino è l’animale di Seth, l’uccisore di Osiride: il colore fulvo
del suo mantello, simile a quello del deserto, ben potrebbe
spiegare l’ambiguo aureus del titolo alternativo ; ma non è da
escludere una espressione ossimorica che accoppia la bestia
di Seth all’oro di Iside, miniatura a contrasto di percorsi di
redenzione.
Una spettacolare ed esemplare parabola costituisce la trama del racconto principale. Protagonista è Lucio di Corinto,
scholasticus di bell’aspetto e buona condizione sociale, figlio
di Teseo e Salvia: congiunta di Plutarco, la madre dal nome
beneaugurante assicura parentele filosofiche aperte a prospettive di salvezza; erede di repertori mitico-tragici, il padre dal
nome regale è garante di parentele letterarie (euripidee, senecane, plutarchee) che innervano le svolte cruciali della vicenda .
Forte di dati anagrafici e culturali di tutto rispetto, Lucio intraprende un viaggio in Tessaglia, terra di magia, spinto da
ingenita curiositas verso il mondo dell’occulto: meta è la città di
Hypata (“eccelsa”), il cui nome pare suggerire ascese cognitive,
racconto di tipo milesio perviene tra le mani del retore-filosofo di Madauro. Come
esempi di narrazioni milesie si è soliti citare il fanciullino di Pergamo (Petr. -), la
matrona di Efeso (Phaedr. Havet; Petr. -); Alcifrone (II sec. d.C.), Lettere di
parassiti e cortigiane; Epistole erotiche di Aristéneto (V sec. d.C.).
. Dopo quelle di Helm e di Robertson, per il testo apuleiano è oggi disponibile
l’edizione curata da M. Zimmerman, Apulei Metamorphoseon libri XI, Oxford Univ.
Press, Oxford . Da noi è comparso il primo volume dell’edizione nella “Fondazione Lorenzo Valla”: L. Graverini, L. Nicolini (a cura di), Apuleio. Metamorfosi. I.
Libri I-III, Mondadori, Milano .
. Augustin. De civ. Dei , , .
. Di asino pyrrhós (rossiccio, fulvo) parla Plut. De Iside et Osiride B.
. La scheda anagrafica del protagonista si ottiene combinando Met. , , -
(patria e studi); , , (generosa stirps e buona educazione); , , e (nome proprio
e aspetto fisico); , , (scholasticus).
Rileggendo Petronio e Apuleio
ma che è invece trappola in cui si entra bipedi e si esce quadrupedi, degradati a vita asinina. Dunque, la molla che mette il
moto la vicenda è la stessa che nel De deo Socratis appare come
spinta verso conoscenze superiori, cioè la curiositas. L’oggetto
di tanta curiosità non è elevato, ma il lessico impiegato non
perde di vista le implicazioni filosofiche del termine, sia pure
in contesto depotenziato.
Ospite presso una maga dall’intensa attività amatoria (Pamphile, “Colei che ama tutti”), Lucio vuole provarne gli incantesimi e trasformarsi in uccello, un po’ come l’anima platonica,
ansiosa di recuperare le ali e risalire in cielo. L’aiuto dell’ancella Photis (“Piccola luce”), tra notturni incontri d’amore e
iniziazioni precarie ai misteri della magia, apre a Lucio l’officina
feralis della padrona , ma per lo scambio di unguenti magici il
giovane si muta in asino, pur conservando facoltà umane (Met.
, , ). Le notti di Hypata sfigurano il protagonista dal nome
solare e lo privano di identità fisica e statuto sociale. Prima che
Lucio possa valersi dell’antidoto delle rose, irrompe una banda
di briganti che saccheggia la casa dell’ospite e fa razzia degli
animali, veri e di recente imbestiamento, immettendo l’uomoasino nel mondo esterno, a vivervi la propria morte civile. Fin
qui il racconto dei primi tre libri, intercalato da novelle ed episodi funzionali al tema principale. Dal IV al VII libro si sviluppa
il grande intermezzo riservato ai latrones che – nel gioco di
’scatole cinesi’ e racconti speculari del testo – si fa contenitore
della triste storia di Charite, a sua volta castone della favola di
Cupido e Psyche. L’irruzione dei briganti fa scattare l’odissea
dell’irriconoscibile eroe, allontana l’antidoto, apre davanti all’ex
scholasticus insoliti spazi e infelici frequentazioni. Al seguito
della banda Lucio-asino conosce la rude pedagogia del bastone,
regredisce dal cotto al crudo sul piano alimentare e da civiltà a
selvatica barbarie sul piano della vita associata; è inoltre cronista
di banchetti bestiali e imprese criminose, di rapimenti crudeli
. Vd. L. Costantini, The Real Tools of Magic: Pamphile’s Macabre Paraphernalia
(Apuleius, Met. , , -), «Ancient Narrative» , , -.
. Apuleio, autore e opere
e affabulazioni consolatorie, di tentativi di fuga e minacce di
drastiche punizioni. La rovina dei latrones e la tragedia della
casa di Charite segnano per Lucio l’inizio di un non meno
faticoso ritorno verso l’habitat e la condizione degli uomini.
A partire dal libro VIII l’uomo-asino passa al servizio di un
gruppo di sacerdoti ciarlatani, di un mugnaio, di un ortolano,
di un soldato e ancora di un cuoco e un pasticcere al seguito
di un ricco signore, che lo riporta a Corinto e lo reimmette
negli spazi frequentati dall’uomo. Negli intervalli della storia
principale l’Io narratore allarga la scena sulla ’commedia umana’ della società con un’ampia sezione de spectaculis: le novelle
di adulterio del IX libro simili a tricae di mimi ; nel X libro
i drammi della matrigna innamorata e dell’avvelenatrice che
precedono la descrizione della grande pantomima nel circo di
Corinto . Il non più dilazionabile ritorno all’umanità diventa
oggetto del libro XI, ultimo di una serie (+) poco canonica per tradizione letteraria ma forse modellata sul rito della
iniziazione isiaca che si concludeva nell’undicesimo giorno .
L’uomo-asino fugge dal circo verso il porto di Corinto (sede
d’un celebre santuario isiaco) e s’addormenta sulla spiaggia,
dopo aver invocato la fine del penoso stato bestiale. L’epifania
notturna della dea Iside annuncia il recupero dell’umanità e il
nuovo status di fedele isiaco. La retro-metamorfosi si compie
nel corso della festa primaverile della dea: le rose di Iside cancellano la dira facies del quadrupede e segnano l’inizio di una
nuova vita. Recuperate le fattezze umane e iniziato una prima
volta ai misteri di Iside, Lucio si trasferisce a Roma (la vera
città “eccelsa”), dove è sottoposto ad altre iniziazioni. Nella capitale dell’impero al giovanetto di Corinto, esploratore curioso
del mondo magico, si sostituisce infine un brillante avvocato
devoto dei culti egizi.
. Met. , - (novella della giara); - (novella di Filesitero); - (novella del
mugnaio).
. Met. , -; sgg.; - (Giudizio di Paride).
. Met. , , -; , . La relazione tra durata dell’iniziazione e numero dei
libri delle Metamorfosi è osservazione che si deve a Bruno Lavagnini.
Rileggendo Petronio e Apuleio
Nel racconto-cornice Apuleio sfrutta materiali narrativi collaudati, sia dalla coeva fioritura del romanzo greco sia da narrazioni centrate su metamorfosi asinine, in particolare – come
si è già anticipato – da due antecedenti greci, Lucio o l’asino,
conservato nel corpus delle operette di Luciano di Samosata
(II sec. d.C.) e i libri di Metamorfosi dell’altrimenti ignoto Lucio
di Patre citati nella Biblioteca del patriarca bizantino Fozio (cod.
). L’imbestiamento di Lucio è uno dei capitoli della vasta
letteratura di metamorfosi che nell’antichità inizia con la trasformazione dei compagni di Ulisse per mano di Circe (Odissea
, sgg.), attraversa la novellistica degli animali parlanti del
filone Esopo-Fedro e i ’bestiari’ filosofici pitagorico-platonici,
per giungere alle Metamorfosi di Ovidio o al racconto del licantropo nel Satyricon (-). Sono variazioni di temi narrativi di
grande fortuna: se ne avverte la presenza anche nelle novelle
inserite nel racconto-cornice: dalle tre novelle di magia dei primi libri, che introducono l’atmosfera magica della Tessaglia e
le future esperienze di Lucio, alle tre storie centrali di briganti,
che intensificano i toni avventurosi e racchiudono la favola di
Cupido e Psyche, e alla narrazione di fatti luttuosi e criminali
che preludono alla redenzione dell’ultimo libro. L’assenza di
tali inserzioni e del finale isiaco nei precedenti rende lecita l’ipotesi che si tratti di parti apuleiane aggiunte alla trama d’origine:
se non si perde di vista la bussola platonica che orienta l’intera
vicenda, non v’è dubbio che il romanzo sia la prova più alta di
quell’arte del rifacimento (il reficere di Flor. ) in cui Apuleio
stesso ha posto l’apice della propria maestría.
Le Metamorfosi segnano l’emergere a livello letterario di
tradizioni narrative folcloriche; in particolare non mancano raffigurazioni di Psyche su documenti papiracei e glittici anteriori
all’età di Apuleio . Tuttavia, in assenza di fonti letterarie precedenti, se non è possibile valutare il tasso di originalità o almeno
di autonomia delle Metamorfosi, a contare davvero sono le ra. Vd. N. Icard-Gianolio, Psyche, in Lexikon Iconographicum Mythologiae Classicae,
VII, , -.
. Apuleio, autore e opere
gioni che sembrano guidare l’autore nel connettere la favola di
Cupido e Psyche e il racconto dell’uomo-asino. Come Platone
ricorreva al mito come mezzo di approssimazione a verità ardue per interlocutori non esperti, Apuleio ricorre a una bella
fabella per rendere intelligibile il difficile itinerario che l’anima
deve compiere per risalire al divino dal mondo materiale. Si
sviluppa così la favola di Cupido e Psyche che occupa lo spazio
centrale del testo (Met. , - , ) e ne costituisce la chiave
simbolica, inserto di natura speculare in cui l’intera opera si
riflette e riorienta in senso filosofico. È il brano più letto e studiato del romanzo, con trama giocata su sapienti toni fiabeschi
e allusivi. Gelosa della bellezza di Psyche (il termine greco che
designa l’anima), Venere ordina al figlio Cupido (Eros, Amore)
di far nascere nella fanciulla, che è figlia di re, una passione per
il più ignobile degli uomini. Ma il dio si innamora di Psyche e
la fa portare nel suo aureo palazzo, dove la visita nottetempo a
patto di rimanere ignoto. Vinta dalla propria curiositas – motivo
che apparenta Psyche a Lucio e su cui si gioca il parallelismo tra
le due vicende –, Psyche infrange il divieto, a lume di lucerna
osserva lo sposo dormiente e se ne innamora (Met. , , : in
Amoris incidit amorem); una goccia d’olio sveglia Cupido, che
fugge sulla vetta dell’Olimpo. Abbandonata e perseguitata da
Venere, Psyche affronta difficili prove per ricongiungersi allo
sposo perduto. Rischia il fallimento nell’ultima prova – riportare dagli inferi una misteriosa pisside – a causa, manco a dirlo, di
temeraria curiosità. Solo un intervento divino, a questo punto,
può assicurare salvezza: Cupido intercede presso Giove e Giove
placa l’ira di Venere; così Psyche è assunta in Olimpo, sposa
immortale del dio dell’amore.
Narrata da una vecchia malvissuta a una fanciulla dal nome
parlante (Charite-Grazia) prigioniera dei briganti, la bella fabella
è una riedizione del mito di Eros in cui valenze mistiche ed
echi platonici si saldano sotto la spinta del piacere di raccontare.
Il racconto suscita la reazione dell’uomo-asino, che si duole di
non aver a disposizione tavolette e stilo per sottrarre la storia a
tanto precaria fonte orale. In effetti, che insieme al lettore sia
Rileggendo Petronio e Apuleio
Lucio il destinatario vero (e il beneficiario primo) della favola,
non c’è dubbio, stanti i paralleli tra i suoi e i casi di Psyche.
Entrambi, vittime della curiositas (per le arti magiche il primo,
la seconda per le sembianze dello sposo ignoto), decadono dal
loro stato e devono affrontare, imbestiato l’uno e schiava di
Venere l’altra, indicibili tormenti prima di ottenere, grazie a
itinerari iniziatici e a interventi divini, la redenzione finale: Psyche in Olimpo come legittima sposa di Cupido, Lucio a Roma
(Olimpo terreno) come avvocato di grido e seguace dei culti
egizi. In entrambi i casi si attua una positiva integrazione dell’umana curiositas, la quale tuttavia costituisce la molla prima
che fa scattare ogni processo di ricerca; in entrambi i casi, le
vicende capricciose della fortuna si compongono finalmente
in un disegno provvidenziale sotto la guida delle forze demoniche che permettono l’ascesa dal caos del mondo sensibile
al contatto beatificante (e gratificante sul piano sociale) con la
sfera divina. Il dittico delle Metamorfosi si ricompone così in
quadro unitario, perché la storia che Apuleio racconta è una
sola, sebbene sdoppiata nelle vicende dei due personaggi, come una sola – e sdoppiabile – è la figura umana che, a metà
strada tra cielo e terra, verso il basso proietta ombra di bestia,
mentre verso l’alto libera la bellezza dell’anima. Il che equivale
ad ammettere che nel romanzo il retore-filosofo resti fedele
alla concezione del mondo descritta nelle opere filosofiche e
ribadita nell’orazione di autodifesa.
Che il viaggio sia elemento strutturale dei racconti d’avventure in genere e delle Metamorfosi in particolare è osservazione
ricorrente tra gli studiosi, ma bisogna aggiungere che il viaggio
dell’asino umano, parodico rispetto alle trame dei romanzi greci, assicura notevoli novità. In deroga ai racconti tradizionali di
avventure, che immettono eroi viaggiatori in paesi mal noti e
ricchi di mirabilia, qui succede che l’implosione dell’elemento
magico-meraviglioso nella figura del protagonista consenta di
acquisire una nuova ottica (dal basso) da cui guardare e descrivere la società di tutti i giorni, anche nei suoi strati inferiori.
L’esotismo viene dunque sostituito dal realismo, secondo ten-
. Apuleio, autore e opere
denze che avvicinano le Metamorfosi più al Satyricon che ai
romanzi greci: l’opera apuleiana è per noi l’unico testo narrativo latino in grado di offrire rappresentazioni ravvicinate
della vita quotidiana di provincia nel II secolo dell’impero. Per
narrare la cronaca di tutti i giorni, fatta di vicende private e
personaggi sconosciuti, non occorrono storici di professione: è
sufficiente la ’storiografia minore’ dell’asino, in quanto sotto la
pelle d’un animale refrattario a completa domesticazione l’Io
narrante trova defilato posto di osservazione per ’conoscere’ e
registrare i fatti privati, riducendo così il mestiere dello storico, per tradizione fondato su autopsia e ascolto di testimoni, a
divertite combinazioni dell’arte di sbirciare e origliare.
Tale situazione comporta implicazioni sul piano compositivo. La prima riguarda il frequente ricorso a nozioni giuridiche
e casi giudiziari: non si tratta solo di compiaciute intrusioni di
cognizioni professionali d’autore, ma del modo più efficace per
mediare tra natura pubblica della forma letteraria e carattere
privato dei contenuti. Spetta infatti alla sfera del diritto, civile e
penale, il compito di fornire lessico e parametri grazie ai quali
il privato acquista rilievo e interesse pubblico. E siccome sono i crimini i momenti in cui la vita privata diventa pubblica,
è sul terreno dei delitti e delle pene che Apuleio investe con
intensità il proprio sapere giuridico, per affermare un’idea di
giustizia prossima, ideologicamente, alle idee di giustizia dominanti (dei gruppi dominanti) nella società imperiale. Una
seconda implicazione, di natura letteraria, concerne la matrice
epica sottesa al viaggio straniato di un eroe irriconoscibile nel
proprio mondo. Il rinvio d’obbligo agli incantesimi di Circe ha
già indicato la direzione: il richiamo all’Odissea è scontato, non
solo perché è il prototipo occidentale dei racconti di viaggio
e avventura, ma soprattutto perché le Metamorfosi sono disseminate di rimandi alle peripezie di Ulisse. Sempre dall’epica,
come si è detto, derivano l’ira divina nei confronti dei personaggi (l’ira di Venere verso Psyche non si può liquidare come
motivo parodico) e la loro catabasi infernale, Lucio agli inferi
dell’imbestiamento, Psyche in cerca della pisside di Persefone.
Rileggendo Petronio e Apuleio
Intendiamoci: la derivazione non fa velo alla maniera originale
in cui l’autore ripropone temi e motivi diffusi. Infine, come si è
già accennato, anche Apuleio si misura col tema romanzesco
della separazione dei personaggi che aspirano a vita di coppia:
alla separazione degli amanti degli erotici scriptores greci, al terzetto omoerotico che nel Satyricon si scompone e ricompone di
continuo, le Metamorfosi oppongono duplice dolorosa scissione,
tra Psyche-Anima e la sfera del divino, tra Lucio e se stesso,
tra il Lucio solare e la parte bestiale che si cela in ogni uomo.
Anche in questo caso la ricomposizione finale assicura l’happy
end della storia, anzi delle due storie parallele: Psyche ritrova lo
sposo divino e viene assunta in Olimpo, Lucio recupera la postura umana e soggiorna nella capitale dell’impero. Possiamo a
questo punto osservare come la soluzione adottata da Apuleio,
filosofo e narratore, non sia semplice variante di comodo, ma
serio adattamento di un ingrediente di natura narrativa agli
scenari filosofici (l’uomo, l’anima, il cosmo) che gli sono cari.
Succede così che divertimento e meditazione (presenti – credo – fin dall’invito al lettore che chiude il prologo) non si
escludano a vicenda, ma appaiano livelli di lettura connessi in
virtù di una scrittura che sa farsi insieme realistica e allusiva,
che sa evocare, tra le maglie del mondo fisico, il misterioso e
l’immaginario, che sa far sentire, anche tra le scene più basse, i
segni di presenze partecipi della vita segreta del cosmo. Come
scrittore Apuleio consuma fino in fondo l’esperienza stilistica
della “nuova sofistica” cui sa aggiungere vertiginosa abilità personale. Saldo impianto retorico e sapiente dosaggio di arcaismi
e volgarismi, rapidi passaggi e costante capacità di controllare aggiunte e disgressioni, funambolica tensione espressiva,
calibrata miscela di preziosismi formali e sermocinazione quo. Met. , : lector intende: laetaberis. Promessa di divertimento («lettore, fa’
attenzione: ti divertirai»), ma anche invito più alto, se si bada alle potenzialità
espressive dei singoli termini: «lettore, tendi l’animo tuo: troverai la tua letizia», che
va oltre il semplice divertimento (primo e immediato livello di fruizione) e si attesta
ai livelli della meditazione, con l’intenzione di impegnare anche i destinatari meno
scaltriti a cogliere le occasioni di riflessione offerte dal testo.
. Apuleio, autore e opere
tidiana, accorgimenti lessicali di elocutio poetica accanto a toni
risentiti o paludati o parodici: tutti questi aspetti, integrati da
sorridente umorismo e raffinati pezzi di bravura, fanno delle
Metamorfosi un unicum nella storia della prosa latina.
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Capitolo II
Da Montecassino a Firenze:
la riscoperta di Apuleio∗
.. Storie di Metamorfosi: i codici di Apuleio
«Nella materia quanto mai vasta e complessa del Decameron il
mondo classico è poco meno che assente»: così ha sentenziato
uno dei maggiori studiosi di Giovanni Boccaccio, Vittore Branca (-), nella Prefazione () all’edizione del Decameron
per i tipi di Le Monnier . La formulazione suona un po’ troppo perentoria ed è forse dettata dallo scrupolo di non lasciare
spazio a schematiche ricerche di fonti, a Quellenforschungen di
matrice tardo-positivistica, pronte a deprimere il giudizio di valore su ogni testo ospitante modelli precedenti e all’epoca non
ancora ridotte a definitivo silenzio da comandamenti crociani .
La formulazione suona anche un po’ sorprendente, perché, se
è vero che l’autore di Boccaccio medievale ha ragioni da vendere
nel considerare il capolavoro trecentesco come summa della
cultura dell’età di mezzo, dunque della tradizione letteraria
romanza, non è men vero che in oltre mezzo secolo di ricerche
∗
Prima stesura in C. Allasia (a c. di), Il Decamerone nella letteratura europea,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma , -.
. La citazione è tratta da Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca,
Le Monnier, Firenze , xv.
. Per essere poi sostituite da pratiche intra- e intertestuali ritenute più duttili:
cfr. per es. C. Cazalé Bérard, Intratestualità e intertestualità: proposte metodologiche per
un’analisi del racconto, in R. Morabito (a c. di), La storia di Griselda in Europa, Japadre,
L’Aquila-Roma , -.
. Sansoni, Firenze ; cfr. ora V. Branca, Boccaccio medievale e nuovi studi sul
Decameron, Sansoni, Firenze .
Rileggendo Petronio e Apuleio
e di scoperte benemerite Vittore Branca abbia saputo ricostruire il travaglio redazionale delle novelle – per restare all’opera
maggiore di cui qui si discorre – e abbia contribuito a mostrare
come il loro tessuto compositivo ospiti con buona frequenza
temi e motivi che salgono dal passato classico e che trovano nel
novelliere un lettore tutt’altro che occasionale o distratto . In
effetti, si può dire che l’intera carriera di Giovanni Boccaccio,
dalla formazione giovanile e dagli studi di latino sotto la guida
di Giovanni di Domenico Mazzuoli da Strada (il padre di Zanobi) fino alle opere tarde, si compie all’insegna di mai sopiti
interessi nei confronti delle lettere antiche; e non solo delle
lettere di Roma, se ci ricordiamo degli studi della lingua greca
iniziati a Napoli sotto la guida del monaco calabrese Barlaam e
continuati a Firenze con l’aiuto di Leonzio Pilato, lettore nello
Studio Fiorentino e traduttore in latino dei poemi omerici .
La critica moderna ha segnalato la presenza di autori classici
. Penso in particolare alle note apposte all’edizione del Decameron, Einaudi,
Torino (rist. ). Si vedano i due volumi dedicati a Il capolavoro del Boccaccio
e due diverse redazioni, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia , il
primo di M. Vitale (La riscrittura del Decamerone. I mutamenti linguistici) e il secondo
appunto di V. Branca (Variazioni stilistiche e narrative). Tra gli infiniti meriti dello
studioso va ricordato quello di aver diffuso l’iconografia del Certaldese e reso ’visibili’
i manoscritti delle sue opere: V. Branca (a cura di), Boccaccio visualizzato. Narrare per
parole e per immagini fra Medioevo e Rinascimento, I-III, Einaudi, Torino .
. Cfr. tra l’altro H. Hauvette, Boccace. Étude biographique et littéraire, Colin,
Paris ; A. Pertusi, Leonzio Pilato fra Petrarca e Boccaccio, Fondazione Cini, VeneziaRoma ; V. Branca, Giovanni Boccaccio. Profilo biografico, Le Lettere, Firenze ;
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normanna. Il Platone di Enrico Aristippo, Provincia di Reggio Calabria, Reggio Calabria
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L’Odissea marciana di Leonzio tra Boccaccio e Petrarca, Brepols, Turnhout . Su casi
particolari attirano l’attenzione D. Anderson, Before the “Knight’s Tale”: Imitation of
Classical Epic in Boccaccio’s “Teseida”, Univ. of Pennsylvania Press, Philadelphia ,
e I. Candido, ‘Venus duplex’: Apuleio nel ‘Teseida’ e nella ‘Comedia delle ninfe fiorentine’,
in E. Filosa, M. Papio (a c. di), Boccaccio in America, Longo, Ravenna , -;
prospettiva più ampia in J.H. McGregor, The Image of Antiquity in Boccaccio’s Filostrato,
Filocolo and Teseida, Lang, New York . Come è noto, la ’competenza’ della lingua
greca, sussidio di interessi mitologici, viene esibita nella formazione di antroponimi
di andamento ellenizzante e nella scelta di alcuni titoli (Filocolo, Filostrato).
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
nelle opere di Boccaccio e ha ricordato i testi latini che si sono
via via alternati sul suo scrittoio o sono rimasti fino alla fine
nella sua biblioteca, per iniziare successivamente il viaggio alla
volta della Laurenziana . L’inventario comprende, come si è
visto, tutti gli autori che hanno conosciuto continuità di trascrizione e di studio lungo il Medio Evo e che hanno segnato in
vario modo l’universo culturale di personaggi della statura di
Brunetto Latini, di Dante e di Petrarca; si tratta di inventario
davvero ricco, che va da Cicerone ai poemi di Virgilio e di
Ovidio, da Livio a Quintiliano e a Plinio, da Orazio a Tacito e
a S. Gerolamo, da Seneca e Stazio ad Ausonio e a S. Agostino.
Ma accanto agli autori latini che innervano la koiné intellettuale
dell’Europa medievale, assicurano tratti comuni a latitudini
diverse e lasciano «il segno della ragione» classica anche sulle
opere di ispirazione fantastica, la curiositas di Giovanni Boccaccio ha il merito indubbio di aver promosso la ricezione del più
grande novelliere-filosofo della latinità argentea, vale a dire dell’africano Apuleio di Madauro . L’operazione merita di essere
ricordata, in quanto agisce su duplice registro: il primo riguarda
. Vd. in part. G. Velli (-), Memoria, in R. Bragantini, P.M. Forni (a cura
di), Lessico Critico Decameroniano, Bollati Boringhieri, Torino , -.
. Cfr. A. Mazza, L’inventario della ’parva libraria’ di Santo Spirito e la biblioteca di
Boccaccio, «Italia Medioevale e Umanistica» , , -; B.L. Ulman, Ph.A. Stadter,
The Public Library of Renaissance Florence. Niccolò Niccoli, Cosimo de’ Medici and the
Library of San Marco, Cedam, Padova ; L. Regnicoli, M. Boschi, Integrazioni alla
biblioteca del Salutati, «Medioevo e Rinascimento» , , -.
. Senza differenza tra scritti autentici o meno: cfr. per es. J. Usher, A Quotation
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-.
. Espressione mutuata dal discorso iniziale di Pampinea (I, Introd. ): cfr. V.
Kirkham, The Sign of Reason in Boccaccio’s Fiction, Olschki, Firenze .
. Pesantemente datate e ormai superate sono da considerare le pagine riservate
a Boccaccio da J.E. Sandys, A History of Classical Scholarship, II, Cambridge Univ.
Press, Cambridge (= Thoemmes Press, Bristol ), -. Anche se si tratta
di opera benemerita della storia degli studi classici e se il giudizio sull’autore del
Decameron è segnato da non celata ammirazione, il lettore cercherà invano il nome
di Apuleio in rapporto a Boccaccio, introdotto, un po’ a sorpresa, da queste parole:
«his education had unfortunately been left unfinished, and his knowledge of Latin
remained imperfect to the last».
Rileggendo Petronio e Apuleio
la storia del testo apuleiano e getta le premesse della tradizione
linguistica umanistica e rinascimentale che va sotto il nome di
apuleianesimo; il secondo riguarda l’opera stessa di Boccaccio
e costituisce l’inizio della fortuna di Apuleio in età moderna.
Vediamo dunque come stanno le cose, prendendo le mosse dal
luogo in cui gli scritti di Apuleio oratore e novelliere sono stati
conservati, cioè dall’Abbazia di Montecassino .
Per tre opere apuleiane, Apologia sive De magia, Metamorphoses (o Asinus aureus) , Florida, dei circa quaranta testimoni
superstiti il più autorevole è un manoscritto copiato a Montecassino nella seconda metà del sec. XI e successivamente portato a
Firenze, dove è conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana (cod. Laurentianus . , sigla F, cod. Florentinus):
vergato in scrittura beneventana, è ormai illeggibile in molti passi . Il codice è rilegato insieme al codice contenente la
. Sull’importanza dell’Abbazia cfr. almeno H. Bloch, Montecassino in the Middle
Ages, I-III, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma ; M. Dell’Omo, Montecassino,
Un’abbazia nella storia, Biblioteca Miscellanea Cassinese, Montecassino .
. E’ il titolo trasmesso da Augustin. De civ. Dei , , : ... sicut Apuleius in
libris, quos Asini aurei titulo inscripsit, sibi ipsi accidisse, ut accepto veneno humano animo
permanente asinus fieret, aut indicavit aut finxit. L’importanza di un altro scritto di
Apuleio, il De deo Socratis, nella cultura tardo-antica si misura dall’impegno profuso
da Sant’Agostino nell’VIII e nel IX libro del De civitate Dei per commentarlo e confutarlo passo passo: tra i contributi più recenti cfr. L. Karfiková, Augustinus’ Polemik
gegen Apuleius, in AA. VV., Apuleius. Über den Gott des Sokrates, Wissenschaftliche
Buchgesellschaft, Darmstadt , -.
. Sul manoscritto e la sua copia cfr. E.A. Lowe, The Unique Manuscript of Apuleius’ Metamorphoses (Laurentian. . ) and its Oldest Transcript (Laurentian. . ),
«Classical Quarterly» , , - (= Id., Palaeographical Papers -, a c. di
L. Bieler, I, Clarendon, Oxford , -); E. Casamassima, in VI Centenario della
morte di Giovanni Boccaccio. Mostra di manoscritti, documenti ed edizioni, I, a cura del
Comitato Promotore, Certaldo , -; O. Pecere, Esemplari con subscriptiones e
tradizione dei testi latini. L’Apuleio Laur. , () e Qualche riflessione sulla tradizione
di Apuleio a Montecassino (), ora in O. Pecere, A. Stramaglia. Studi apuleiani, Edizioni dell’Università degli Studi di Cassino, Cassino , - e -; M. Baglio, M.
Ferrari, M. Petoletti, Montecassino e gli umanisti, in G. Avarucci, R. M. Borraccini Verducci, G. Borri (a c. di), Libro, scrittura, documento della civiltà monastica e conventuale
nel basso medioevo (secoli XIII-XIV), CISAM, Spoleto , sgg.; G. Magnaldi, G.F.
Gianotti (a c. di), Apuleio. Storia del testo e interpretazioni, Ed. dell’Orso, Alessandria
, sgg.; G. Ammannati, Lectio falsa et emendatio. Congetture alle Metamorfosi
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
seconda metà degli Annales (libri XI-XVI) e le Historiae (libri
I-V) di Tacito, anch’esso scritto nel sec. XI a Montecassino :
testimone della fioritura artistica e culturale del convento benedettino, al tempo dell’abate Richerio di Niederaltaich (-)
e, soprattutto, per iniziativa di un successore, il dotto abate Desiderio (-), poi papa come Vittore III . L’attività di quel
centro scrittorio ha conservato, oltre ad Apuleio e Tacito, il De
lingua latina di Varrone, i Dialogi di Seneca e il De aquae ductibus
di Frontino e altro ancora. Il Laurenziano conserva tracce di
un antico modello riveduto e corretto alla fine del IV sec. tra
Roma e Costantinopoli (subscriptiones di Sallustius, scolaro del
retore Endelechio) . Sempre a Montecassino, intorno al ,
viene redatta una copia diretta del codice principale (F) dopo
che questi ha subito la mutilazione del foglio (corrispondente a Met. , -) ma prima che ingiurie del tempo e interventi di
correttori ne rendessero indecifrabili molte scritture: tale apografo, prezioso perché consente – a dispetto delle negligenze e
delle interpolazioni che lo deturpano – di ricostruire le lezioni
originali di F nei passi di difficile lettura, è a sua volta conservato
nella Biblioteca Laurenziana di Firenze (cod. Laurentianus .
, sigla φ). Da una copia di F anteriore al guasto del f.
di Apuleio e considerazioni sulla fisionomia filologica del Laur. . (F), «Materiali e
Discussioni» , , -.
. Il testo di Tacito occupa i ff. -v (sigla M, cod. Mediceus), quello di Apuleio
i ff. v-v (è questa la parte che si indica con F). Cfr. H. Rostagno (a c. di), Tacitus.
Codex Laurentianus II phototypice editus, Brill, Lugduni Batavorum .
. Cfr. G. Cavallo, Libri e continuità della cultura antica in età barbarica, in Magistra
barbaritas. I barbari in Italia, Garzanti-Scheiwiller, Milano , sgg.; H.E.J.
Cowdrey, L’abate Desiderio e lo splendore di Montecassino, tr, it., Jaca Book, Milano
; S. Adacher, G. Orofino (a c. di), L’età dell’abate Desiderio. I. I manoscritti cassinesi
del secolo XI, Biblioteca Miscellanea Cassinese, Montecassino ; F. Avagliano, O.
Pecere (a c. di), L’età dell’abate Desiderio, ibid., Montecassino ; F. Newton, The
Scriptorium and Library at Monte Cassino, -, Cambridge Univ. Press, Cambridge
, in part. sgg.
. Cfr. O. Pecere, Esemplari con subscriptiones cit.; Id., La tradizione dei testi latini
tra IV e V secolo attraverso i libri sottoscritti, in A. Giardina (a c. di), Società romana
e impero tardoantico. IV. Tradizione dei classici, Trasformazioni della cultura, Laterza,
Roma-Bari , -; A. Stramaglia, Apuleio come auctor: premesse tardoantiche di un
uso umanistico (), in O. Pecere, A. Stramaglia. Studi apuleiani, cit., -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
(e perciò anche alla trascrizione di φ) – oppure dall’antigrafo
dello stesso F forse di ambiente salernitano – deriverebbe un
gruppo di codici recenziori, pre-umanistici e umanistici, tra i
quali spicca l’Ambrosianus N. sup. (sigla A), vergato da due
mani diverse prima della fine del sec. XIII: questi manoscritti,
tra cui va segnalato un altro codice Laurenziano (. , sigla
L ), autografo di Boccaccio, permettono di colmare la lacuna
di Met. , - (il f. di F) e non di rado restituiscono lezioni
genuine o buone congetture là dove F e φ presentano guasti o
errori . A parte vanno menzionati dieci fogli frammentari con
parti dell’Apologia trovati negli anni Quaranta del secolo scorso
nella Biblioteca Comunale di Assisi e ivi registrati col n°
(sigla C): sono i resti di un codice in beneventana coevo di F e
considerato testimone della stessa tradizione .
Questo per quanto concerne la fase più importante, anzi
decisiva, della storia medievale degli scritti di Apuleio oratore e
novelliere; si deve però subito aggiungere che anche per la tradizione delle opere filosofiche di Apuleio, philosophus Platonicus ,
. Cfr. F. Newton, The Scriptorium and Library at Monte Cassino, cit., e n.
. Sugli ambienti culturali di Salerno cfr. B. Lawn, The Salernitan Questions: An
Introduction to the History of Medieval and Renaissance Problem Literature, Clarendon,
Oxford .
. Cfr. D.S. Robertson, The Manuscripts of the Metamorphoses of Apuleius, «Classical Quarterly» , , - e -. Quadro d’insieme della tradizione manoscritta
di Apuleio oratore e novelliere nelle pagine introduttive alle edizioni Teubner (R.
Helm, Lipsiae -), “Corpus Paravianum” (C. Giarratano, Torino ; C.
Giarratano, P. Frassinettii, ibid. ), “Belles Lettres” (D.S. Robertson, P. Vallette,
Paris -). Si aggiunga J.H. Gaisser, The Fortune of Apuleius and the Golden Ass.
A Study in Transmission and Reception, Princeton Univ. Press, Princeton .
. D.S. Robertson, The Assisi Fragments of the Apologia of Apuleius, «Classical
Quarterly» n.s. , , -; F. Piccioni, Sull’Assisiate del De magia di Apuleio,
«Segno e Testo» , , -.
. Oltre al De interpretatione le opere che costituiscono il corpus filosofico dello
scrittore africano sono il De deo Socratis, il De Platone et eius dogmate, il De mundo e
l’Asclepius: non sono mancati dubbi sull’autenticità degli ultimi due scritti (in parte
superati solo sul De mundo). Cfr. B.L. Hijmans Jr., Apuleius Philosophus Platonicus, in
Aufstieg und Niedergang der röm. Welt, II, ., de Gruyter, Berlin-New York , ; R. Klibansky, F. Regen, Die Handschriften der philosophischen Werke des Apuleius,
Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen .
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
sebbene separata rispetto a quella di Apologia e Metamorfosi, si
deve pensare all’Italia Meridionale, e in particolare ad ambienti dotti di Salerno e di Napoli, come centro di interesse e di
irradiazione, così come non si deve escludere un passaggio
dallo scriptorium di Montecassino, come mostra per esempio
la lettura del De deo Socratis apuleiano da parte di Alfano vescovo di Salerno († ), vissuto a lungo nell’Abbazia insieme
al coetaneo e concittadino Guaiferio, poeta e agiografo che a
sua volta rivela buona familiarità coi Florida . Sulle conseguenze della compresenza delle due tradizioni testuali apuleiane
(dell’oratore-novelliere e del filosofo) si avrà occasione di aggiungere qualche considerazione in seguito; per il momento
piace osservare come Montecassino non sia unicamente tappa
cruciale degli itinerari dei testi lungo la curva del tempo, ma
rappresenti una tappa importante per gli itinerari degli uomini, lungo la direttrice nord-sud di un iter Italicum che unisce
Firenze e Napoli (con eventuali andate e ritorni).
.. La riscoperta di Apuleio
Bene: di viaggi concreti possiamo ora parlare, a cominciare
dal , cioè dall’anno in cui Boccaccio adolescente si trasferisce da Firenze a Napoli, dove può portare a compimento la
propria formazione sostituendo progressivamente l’interesse
per il mondo delle lettere agli indirizzi voluti dal padre per il
. Cfr. Alphanus, Vita et passio S. Christinae, PL Migne , b: ... in illo libello
Apulei, qui de deo Socratis titulatur, in quo propter incredibilem copiam suavitatemque
dicendi saepe et multum studere solebamus. Cfr. Waifarius, Vita S. Secundini et Vita S.
Lucii papae et martyris, PL Migne , c (Flor. , -) e c-d (Flor. , ). Cfr. M.
Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, II, Beck, München ,
, e ; S. Costanza, La fortuna di L. Apuleio nell’età di mezzo, Scuola Salesiana
del Libro, Palermo , ; E.H. Haight, Apuleius and his Influence, Cooper Square
Publishers, Inc., New York , sg.; C. Moreschini, Sulla fama di Apuleio nel
Medioevo e nel Rinascimento, in Studi filologici, letterari e storici in memoria di G. Favati,
II, Antenore, Padova , sgg.; M. Dell’Omo, Alfano I, Montecassino e Salerno,
«Latium» , , -; F. Piovesan, Per il testo e le fonti di Guaiferio, «Civiltà Classica
e Cristiana» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
mondo della mercatura e del diritto canonico. Come è noto,
il soggiorno napoletano (fino al ), la frequentazione degli
ambienti colti della capitale angioina e la presenza di maestri
e amici consentanei – da Cino di Pistoia a Paolo da Perugia,
da Andalò del Negro a Barbato da Sulmona, da Dionigi di San
Sepolcro a Nicola Acciaiuoli – sono decisivi per rivelare le vere inclinazioni del giovane, metterlo a contatto con tradizioni
letterarie a tutto campo – dai classici a Dante, dai fabliaux a
Petrarca –, tenere inoltre a battesimo le prime prove d’autore .
Per quanto concerne il discorso che qui interessa, si può dire
che la strada che porta ad Apuleio, aperta dai volgarizzamenti
di classici latini , viene chiaramente indirizzata o, comunque,
corroborata attraverso due autori africani tardoantichi che testimoniano della fortuna dello scrittore africano all’indomani
dell’edizione o della revisione testuale operata da Sallustius e
che sono saldamente insediati nella tradizione scolastica medievale: Marziano Capella e Fulgenzio . I nove libri del De
nuptiis Mercurii et Philologiae del primo incorniciano una vera e
propria enciclopedia delle sette arti liberali entro un racconto
nuziale che risente della favola di Amore e Psiche e del gusto platonizzante per forme di mediazione tra cielo e terra:
il tutto teso a celebrare perennità ed eterna giovinezza della
. Quadro d’insieme offrono F. Torraca, Giovanni Boccaccio a Napoli, s. e., Roma
; É.G. Léonard, Boccace à Naples, Colin, Paris ; A. Altamura, La letteratura
dell’età angioina. Tradizione medievale e premesse umanistiche, Silvio Viti, Napoli ;
R. M. Ruggieri, L’umanesimo cavalleresco italiano da Dante a Pulci, s. e., Roma ;
F. Sabatini, Napoli angioina. Cultura e società, ESI, Napoli, ; É.G. Léonard, Gli
Angioini di Napoli, tr. it., Dall’Oglio, Varese-Milano . Sulle prime prove cfr. G.
Velli, Cultura e “imitatio” nel primo Boccaccio, «Annali della Scuola Normale Superiore
di Pisa» s. ª, , , -.
. Cfr. G. Billanovich, Il Boccaccio, il Petrarca e le più antiche traduzioni in italiano
delle Decadi di Tito Livio, «Giornale Storico della Letteratura Italiana» , , ; M.T. Casella, Tra Boccaccio e Petrarca. I volgarizzamenti di Tito Livio e di Valerio
Massimo, Antenore, Padova .
. Cfr. J.A. Willis, Martianus Capella und die mittelalterliche Schulbildung, «Das
Altertum» , , -; F. Bertini, Interpreti medievali di Virgilio: Fulgenzio e Bernardo Silvestre, «Sandalion» -, -, -; K. Vossing, Schule und Bildung im
Nordafrika der römischen Kaiserzeit, Latomus, Bruxelles .
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
cultura classica secondo modelli in grado di durare nel tempo .
Quanto a Fulgenzio, l’Expositio sermonum antiquorum si presenta come repertorio lessicale che recupera con buona frequenza
e col valore di tradizione indiretta espressioni e vocaboli dalle
Metamorfosi apuleiane; nei Mythologiarum libri infine si legge
una interpretazione della favola di Amore e Psiche in chiave
allegorica destinata a trovare eco tra gli umanisti . E’ noto che
l’interesse lessicografico e retorico, destinato a non venire mai
meno, matura in quel di Napoli, come mostrano le postille di
mano di Boccaccio all’Expositio fulgenziana presenti nel codice
Laurenziano ., documento delle letture giovanili databile
negli ultimi anni del soggiorno partenopoeo . D’altro canto
le Mythologiae non mancano di interessare chi si è accostato
. Dati e bibliogr. in S. Greber, Martianus Capella, ’De nuptiis Philologiae et
Mercurii. Darstellung der Sieben Freien Künste und ihrer Beziehungen zueinander, Teubner,
Stuttgart-Leipzig (p. sgg. per gli influssi apuleiani); A. Cizek, Les allégories
de Martianus Capella à l’aube du Moyen Âge latin, «Revue des Études latines» , ,
-; I. Ramelli, Marziano Capella. Le nozze di Filologia e Mercurio, Bompani, Milano
. Vecchia è la cultura del mondo antico, ma sempre pronta a ringiovanire, come
la Filologia di Marziano Capella, dottissima giovinetta in grado di rinascere insieme
alle ancelle (le arti liberali), tanto che le loro immagini giovani e le figure simboliche
che ne adornano le vesti saranno fonte d’ispirazione per la Primavera di Botticelli: cfr.
C. Villa, Per una lettura della “Primavera”. Mercurio ‘retrogrado’ e la Retorica nella bottega
di Botticelli, «Strumenti Critici» n.s. , , -; C. La Malfa, Firenze e l’allegoria
dell’eloquenza: una nuova interpretazione della “Primavera” di Botticelli, «Storia dell’arte»
, , -; G. Reale, Botticelli. La “Primavera” o le “Nozze di Filologia e Mercurio”?
Rilettura di carattere filosofico ed ermeneutico del capolavoro di Botticelli con la prima
rappresentazione analitica dei personaggi e dei particolari simbolici, Longo, Rimini .
. Cfr. B. Baldwin, Fulgentius and its Sources, «Traditio» , , -; A. Di Piro,
Le Metamorfosi di Apuleio nella tradizione indiretta (), in O. Pecere, A. Stramaglia.
Studi apuleiani, cit., -; B.G. Hays, Fulgentius the Mythographer, Diss. Ithaca (N.
Y.) ; S. Mattiacci, Apuleio in Fulgenzio, «Studi Italiani di Filologia Classica» n.s.
, , -; R.H.F. Carver, The Protean Ass. The Metamorphoses of Apuleius from
Antiquity to the English Renaissance, Oxford Univ. Press, Oxford , -.
. Cfr. B.M. Da Rif, La miscellanea laurenziana XXXIII, , «Studi sul Boccaccio»
, , -; S. Zamponi, M. Pantarotto, A. Tomiello, Stratigrafia dello Zibaldone e
della Miscellanea Laurenziani, in M. Picone, C. Cazalé Bérard (a c. di), Gli Zibaldoni
di Boccaccio. Memoria, scrittura e riscrittura, Cesati, Firenze , -. Si tengano
presenti le considerazioni esposte da S. Gentile e S. Rizzo, Per una tipologia delle
miscellanee umanistiche, in E. Crisci, O. Pecere (a c. di), Il codice miscellaneo. Tipologie e
funzioni, «Segno e Testo» , , - (in part. sgg.).
Rileggendo Petronio e Apuleio
– attraverso Ovidio – alla mitologia classica sotto la guida
di Paolo da Perugia, personaggio che sarà ricordato con riconoscenza all’inizio del De genealogiis deorum gentilium, opera
che nella prima stesura menziona Fulgenzio a proposito del
mito di Prometeo (, -) e che nel V libro (-) registra il
compendio della favola apuleiana di Amore e Psiche secondo
complesse allegoresi intertestuali tributarie di Marziano Capella (De Nuptiis , ) e di Fulgenzio (Myth. , ) . Per quanto
concerne altri spunti dal De nuptiis, basti ricordare la singolare
miscela stilistica sottesa alla scrittura latina dell’epistola II, Mavortis miles exstrenue (), probabilmente indirizzata a Petrarca:
accanto a echi di Dante e di Arrigo da Settimello si avvertono
le voci di Marziano Capella e di Apuleio.
Appunto le Epistole latine del , conservate dal Laurenziano . , mostrano che l’elocutio apuleiana (ricavata da
Apologia, Metamorfosi, Florida) si è installata per tempo nel latino
di Boccaccio e provano che i tre testi di Apuleio sono passati tra
le mani del giovane autore toscano durante il periodo napoleta. Cfr. H. Liebeschütz, Fulgentius metaforalis. Ein Beitrag zur Geschichte der antiken Mythologie im Mittelalter, Studien der Bibliothek Warburg, Leipzig-Berlin ;
M. Pastore Stocchi, La così detta “Allegoria mitologica”, «Studi sul Boccaccio» , ,
-. Sulla presenza di Ovidio cfr. F. Favaro, Nel segno di Ovidio: Giovanni Boccaccio.
Luca Pulci e Lorenzo il Magnifico autori di metamorfosi, Ladisa, Bari .
. Cfr. per es. J.H. Gaisser, Allegorizing Apuleius: Fulgentius, Boccaccio, Beroaldo,
and the Chain of Receptions, «Acta Conventus Neo-Latini Cantabrigiensis», Tempe
(Arizona) , -; A. Bettinzoli, Boccaccio, Apuleio e le Genealogiae deorum gentilium,
in M. Marchiaro, S. Zamponi (a c. di), Boccaccio letterato, Firenze , -.
. G. Traversari, Le lettere autografe di Giovanni Boccaccio del codice Laurenziano
., Società Storica della Valdelsa, Castelfiorentino ; Lo Zibaldone boccaccesco
Mediceo Laurenziano Plut. XXIX. . Riprodotto in facsimile a cura della Biblioteca Medicea
Laurenziana, con prefazione di G. Biagi, Olschki, Firenze ; A.M. Cesari, Presentazione del codice Laurenziano Plut. XXIX , «Archivio Storico Lombardo» , ,
-; I. Bonincontro, Verso l’edizione critica ipertestuale dello Zibaldone Laurenziano
(PL XXIX. ) autografo del Boccaccio. Stato di avanzamento del Progetto, «Testo e senso»
, , -: molte carte sono vergate tra la fine degli anni ’ e ’. Vd G. Auzzas,
Studi sulle Epistole, I-II, «Studi sul Boccaccio», , , - e , , -; Ead.,
Epistole, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, V. , Mondadori,
Milano . Punto di partenza della critica moderna sugli scritti in lingua latina è A.
Hortis, Studi sulle opere latine del Boccaccio, Julius Dase, Trieste .
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
no. Tale constatazione comporta uno spostamento geografico
e ci riconduce alla biblioteca di Montecassino, sede – come si
è detto – dei codici che hanno trasmesso le opere di Apuleio
oratore e novelliere, allo scopo di individuare il manoscritto
utilizzato da Boccaccio. Che si tratti di un codice dell’Abbazia,
di solito identificato con F, è opinione radicata nella letteratura
critica, così come a lungo si è creduto che sia stata la mano di
Boccaccio a trafugare i codici cassinesi e a trasportarli a Firenze,
magari durante il ritorno in patria dopo il secondo, infruttuoso,
viaggio a Napoli () . Di tale responsabilità Boccaccio è esente e va assolto, anche se la notizia fa ancora capolino in libri
recenti . Come si è infatti dimostrato, responsabile del trasferimento è Zanobi da Strada, il figlio di Giovanni Mazzuoli, primo
maestro di latino del Certaldese: corrispondente di Petrarca
e Boccaccio, poeta – non esaltante – in proprio e insegnante
di grammatica, presente a Napoli con l’incarico di segretario
reale dal , dal al soggiorna nell’Abbazia di Montecassino come vicario del vescovo Angelo Acciaiuoli; nominato
segretario apostolico, nel si trasferisce ad Avignone, dove
muore di peste nel . Il merito della dimostrazione spetta
a Giuseppe Billanovich (-), il quale ha altresì identificato la mano di Zanobi nelle postille aggiunte sui margini dei
manoscritti apuleiani presenti a Montecassino, segnatamente
– è il caso di dire – di F, φ e C, cioè sui due futuri codici Lau. Cfr. per es. O. Hecker, Boccaccio-Funde, Westermann, Braunschweig ;
R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV, Sansoni, Firenze
, , sgg.; C. Marchesi, Giovanni Boccaccio e i codici di Apuleio, «Rassegna
Bibliografica della Letteratura Italiana» n.s. , , - ( = Id., Scritti minori di
filologia e di letteratura, III, Olschki, Firenze , -); C. Coulter, Boccaccio
and the Cassinese Manuscripts of the Laurentian Library, «Classical Philology» , ,
-.
. Cfr. per es. M. Acocella, L’Asino d’oro nel Rinascimento. Dai volgarizzamenti
alle raffigurazioni pittoriche, Longo, Ravenna , . Cfr. anche infra, n. .
. Cfr. P. Guidotti, Un amico del Petrarca e del Boccaccio: Zanobi da Strada, poeta
laureato, «Archivio Storico Italiano» , , -; M. Baglio, “Avidulus glorie”:
Zanobi da Strada tra Boccaccio e Petrarca, «Italia Medioevale e Umanistica» , ,
-.
Rileggendo Petronio e Apuleio
renziani e sui fogli assisiati . Se dunque Zanobi, dopo il ,
è l’artefice dell’uscita dei codici (o almeno del codice F) dalle
mura protettive dell’Abbazia benedettina e della conseguente
moltiplicazione delle copie del testo apuleiano, il merito della
ricezione linguistica e letteraria spetta, sempre e comunque, a
Giovanni Boccaccio, che nel corso degli anni napoletani, dunque ben prima del soggiorno cassinese di Zanobi, ha avuto
modo di leggere e di chiosare a sua volta l’Apologia, le Metamorfosi e i Florida. L’operazione non può essere avvenuta che su di
un esemplare dell’Abbazia di Montecassino, meta di uno o più
viaggi da o per Napoli, a seconda di chi si possa considerare
protagonista del viaggio, Boccaccio o un codice apuleiano ;
sappiamo infatti che l’esemplare su cui Boccaccio ha lavorato è
il codice φ, cioè la copia di F, in quanto per alcuni marginalia e
segni di attenzione si è riconosciuta, in concorrenza con quella
di Zanobi, la mano del Certaldese in base al confronto con gli
Zibaldoni autografi .
. Cfr. G. Billanovich, I primi umanisti e la tradizione dei classici latini, Edizioni
Universitarie, Friburgo (CH) , - e - (= Id., Petrarca e il primo umanesimo,
Antenore, Padova , -); Id., Zanobi da Strada tra i tesori di Montecassino, «Rendiconti Accademia Naz. dei Lincei. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche»
s. ª, , , -; M. Baglio, G. Billanovich, S. Brambilla, A. Manfredi, Zanobi da
Strada esploratore di biblioteche e rinnovatore di studi, «Studi Petrarcheschi» n.s. , ,
-.
. Qualche dato in T. Leccisotti, Ancora a proposito del viaggio del Boccaccio
a Montecassino, «Benedectina» , , -. Di uscita precoce di Apuleio da
Montecassino () parla M. Petoletti, Montecassino e gli umanisti. III. I Florida di
Apuleio in Benzo d’Alessandria, in G. Avarucci, R.M. Borraccini Verducci, G. Borri (a
c. di), Libro, scrittura, documento della civiltà monastica e conventuale nel basso medioevo,
cit., -.
. Cfr. H. Hauvette, Notes sur des manuscrits autographes de Boccace à la Bibliotheque Laurentienne, «Mélanges d’Archéologie et d’Histoire de l’École Française de
Rome» , , - (= Id., Etudes sur Boccace (-), con prefazione di C.
Pellegrini, Bottega di Erasmo, Torino , -); E. Casamassima, in VI Centenario
della morte di Giovanni Boccaccio, cit., -; Id., Dentro lo scrittoio del Boccaccio. I
codici della tradizione (), in A. Rossi (a c. di), Il «Decameron». Pratiche testuali e
interpretative, Cappelli, Bologna , -; G. Vio, Chiose e riscritture apuleiane di
Giovanni Boccaccio, «Studi sul Boccaccio» , -, pp. -; M. Fiorilla, La
lettura apuleiana del Boccaccio e le note ai manoscritti laurenziani , e , , «Aevum»
, , - (cfr. dello stesso Autore Marginalia figurati nei codici di Petrarca,
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
.. Il codice apuleiano di Boccaccio
Cerchiamo di ricapitolare: la lettura giovanile delle opere di
Apuleio, provata dall’interesse per l’Expositio sermonum antiquorum di Fulgenzio e dalle riprese lessicali presenti nelle Epistole
del , avviene in base a un codice cassinese che va identificato con φ, il futuro Laurenziano . . Il codice – lo sappiamo –
è ancora (o di nuovo?) a Montecassino fino agli anni di Zanobi;
ma è da credere che Boccaccio abbia agio di disporne a lungo
oppure disponga di una copia personale in cui sono riportati
anche i notabilia e i marginalia che ha avuto modo di segnare
su φ. Insomma, che il sussidio della memoria o la derivazione
da un florilegio apuleiano non siano spiegazioni sufficienti,
ma che le riprese apuleiane derivino da copia scritta mostra abbastanza bene un passo dell’epistola Mavortis (ff. v-r del cod.
Laur. .): commodum semel antelucio, marcidus et semisopitus
surgerem ... gurgustiolum exivi, carpens iter super litora uda. Sed
cum iam nox iret in diem, subito suda mulier ... Le riprese sono
numerose e chiamano in causa luoghi non sempre contigui di
Apologia e Metamorfosi, tutti segnati su φ da note marginali o
interlineari: commodum e nox ibat in diem sono espressioni che
si leggono in Apul. Met. , ( φ in marg. commodum e nox);
antelucio ( φ in marg. antelucio) ; marcidus et sempisopitus si leggono in Met. , ( φ in marg. semisopitus); brevitatem gurgustioli
nostri è espressione di Met. , ( φ interl. scilicet nostre parve
et anguste domus; φ in marg. Gurgustiulum: est cella modica vel
domus pauperum angusta); vel uda vel suda in Apul. Apol. ( φ
interl. humida / splendida) .
Olschki, Firenze ).
. Come ipotizzato da V. Branca, Boccaccio medievale cit., sgg.
. L’espressione ritorna in Apul. Met. , ; φ in marg. antelucio, idest ante lucem
seu diem.
. Questo e altri riscontri in M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit.,
-. Cfr. almeno i seguenti: epystolium (epistolium in Apul. Apol. ; φ in marg.
epistolium); crebris flagitationibus (= Apul. Apol. ; φ interl. multis spissis, rogationibus
flagitationibus); vestra crocota colloquia (histrionis crocota in Apul. Apol. ; φ interl. me-
Rileggendo Petronio e Apuleio
L’ipotesi della copia personale, che segue Boccaccio da Napoli a Firenze, trova conforto dall’esame della prima opera
redatta dopo il ritorno in Toscana, cioè la Comedia delle Ninfe
Fiorentine (Ameto) del -. In questo prosimetro allegorico,
composto da sette narrazioni (di sette Ninfe-Virtù) ordinate in
un racconto-cornice alla maniera del De nuptiis di Marziano
Capella, si sviluppano motivi già presenti nel Filocolo (in particolare nel libro IV) e si fanno le prove dell’opera principale;
la tradizione classica non è assente e da tempo si è osservato
come si faccia ricorso al modello delle Metamorfosi in più di
un’occasione . La favola di Amore e Psiche, per esempio, viene miniaturizzata grazie a una famosa esclamazione nel corso
del capitolo XXXII: «Oh quante volte ricordandomi di Psice, la
reputai felice e infelice; felice di tale marito e infelice d’averlo
perduto, felicissima poi d’averlo ricevuto da Giove». Ma ai fini
del nostro discorso è sufficiente citare un solo passo, l’elogio
a contrasto della capigliatura femminile che si legge in XII :
«Adunque tanta estima la degnità de’ capelli alle femmine quanta se, qualunque si sia, di preziosa veste, di ricche pietre, di
rilucenti gemme e di caro oro circundata proceda, sanza quelli
in dovuto ordine posti, non possa ornata parere; ma in costei
essi, disordinati, più graziosa la rendono negli occhi di Ameto».
In Apul. Met. , il protagonista, lo scholasticus Lucio in trasferta
a Hypata di Tessaglia, così celebra l’attrattiva della chioma della
servetta Photis: Tanta denique est capillamenti dignitas, ut quanvis
auro veste gemmis omnique cetero mundo exornata mulier incedat,
tamen, nisi capillum distinxerit, ornata non possit audire. Sed in
mea Photide non operosus, sed inordinatus ornatus addebat gratiam.
lodiosa, resonantia, φ in marg. crocota. Il termine va restituito nelle edizioni moderne
dell’Epistola che stampano invece l’inutile congettura crocata di A.F. Massera).
. Cfr. G. Petronio, Da Apuleio a Boccaccio (V e VII ), «Italica», , , - (in
part. e ); A. Schiaffini, Tradizione e poesia nella prosa d’arte italiana dalla latinità
medievale al Boccaccio, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma , - e -;
G. Vio, Chiose e riscritture apuleiane, cit., -. Si tengano presenti anche le note di
A.E. Quaglio nell’edizione critica della Comedia, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio,
a cura di V. Branca, II, Mondadori, Milano , -.
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
Qui, non c’è dubbio, Boccaccio sta traducendo, piuttosto che
parafrasare, il passo apuleiano che, in φ, è accompagnato da
due postille interlineari (ordinaverit su distinxerit, artificialis su
operosus) e da un’indicazione a margine: Nota de laude capillorum
(f. r). In realtà non sarebbe neppure necessario scomodare le
note apposte sul codice φ (quella marginale, per giunta, di non
sicura attribuzione) , note che comunque testimoniano come
il passo abbia suscitato qualche interesse; basti invece ribadire
che non si traduce in questo modo, quasi verbatim, da un testo
memorizzato, ma che il nuovo testo volgare presuppone un
testo latino scritto; inoltre, non riesce difficile osservare che
la scrittura di Boccaccio risente apertamente dell’andamento
sintattico e stilistico dell’antico scrittore africano. Pertanto, la
spiegazione che ravvisa, nella storia dei rapporti tra Boccaccio e il testo di Apuleio, due fasi, una prima di lettura e solo
una seconda e più tarda di trascrizione , va integrata con la
precisazione che la prima fase, sicuramente iniziata a Napoli
ma a Napoli non circoscritta, è legata alla presenza di φ o,
comunque, di una copia scritta.
Se dall’Ameto si passa alla prima stesura – la redazione A
manoscritta – dell’Amorosa visione, poema dottrinale in terzine
composto tra il e , si ha la ventura di trovare all’interno
del canto V, nel corso di una galleria di scrittori che culmina
con l’incoronazione di Dante da parte della Sapienza, una rapidissima sintesi delle Metamorfosi siglata dal nomen auctoris,
pienamente integrato tra le auctoritates del poeta moderno:
Bell’uom tornato d’asino, soletto
Si sedeva Apolegio, cui seguiva
Varro e Cicilio lieti nell’aspetto
(Amorosa visione , -) .
. Cfr. M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., n. .
. Cfr. C. Coulter, Boccaccio and the Cassinese Manuscripts, cit., : tempo di
lettura -; tempo di trascrizione - (dunque a ridosso della stesura del
Decameron).
. Così il testo nella prima redazione, giustamente ripristinata dagli editori
Rileggendo Petronio e Apuleio
Insomma, a Firenze il viaggio di Apuleio entro i confini
degli scritti di Boccaccio continua, non più o non soltanto attraverso la trascrizione dell’originale o la scrittura latina, ma
attraverso la resa in volgare, la citazione e il rifacimento. E’
itinerario che passa attraverso l’Elegia di Madonna Fiammetta,
testo che unifica l’esperienza letteraria e amorosa delle Heroides
ovidiane entro lo schema della narrazione in prima persona
peculiare delle Metamorfosi , e che giunge a compimento nella
stesura del Decameron (-) , dove l’impianto narrativo
di stampo apuleiano, giocato sui rapporti tra racconto-cornice
e novelle, raggiunge punto alto e felice di equilibrio. Non è
dunque possibile sostenere ancora che Boccaccio scopra il racmoderni, a partire da quella curata da V. Branca per i tipi di Sansoni nel (cfr.
Amorosa visione. Testo A, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca,
III, Mondadori, Milano , lxxxviii e sgg. per il problema apuleiano). L’editio
princeps comparsa a Milano nel a cura di Girolamo Chiaruzzi (Claricius, su cui
cfr. C. Dionisotti, Girolamo Claricio, «Studi sul Boccaccio» , , -) riporta
questi stessi versi con una interessante variatio: «Bel huom tornato d’asino, soletto
/ Sedevasi il buon Lucio, cui seguiva / Quel greco da cui tolle il bel subgietto». Il
riferimento, in questo caso, è a Luciano, riscoperto in Italia per merito di Manuele
Crisolora negli anni d’insegnamento a Firenze, un paio di decenni dopo la scomparsa
di Boccaccio: Apuleio diventa Lucio (in forza dell’identificazione tra auctor e actor
delle Metamorfosi già operante nella redazione A), ma l’aggiunta di «Quel greco
da cui tolle il bel subgietto» (con espunzione di Varrone e Cecilio) presuppone
la presenza culturale dell’operetta lucianea individuata come modello dell’opera
apuleiana e va attribuita a interpolazione di Claricio; cfr. G. Guastella, Apuleio e il suo
modello nell’editio princeps dell’Amorosa Visione, «Filologia e Critica» , , -; F.
Petrucci Nardelli, Manipolazione di testi ed Errata corrige: l’Amorosa Visione del Claricio,
«Filologia e Critica» , , sgg.
. Cfr. E. Mass, Tradition und Innovation im Romanschaffen Boccaccios. Die Bedeutung des ’Golden Esel’ für die Erneuerung des Prosaromans durch die ’Elegia di Madonna
Fiammetta’, «Groningen Colloquia on the Novel» II, , -. Che la Fiammetta
sperimenti più di un elemento compositivo destinato a trovare ospitalità nell’opera
maggiore è constatazione ricorrente nella critica. In proposito piace ricordare un’osservazione che Foscolo ha fissato nel Discorso storico sul testo del Decamerone: «Diresti
ch’ei scrivesse il Proemio leggendo le Eroidi di Ovidio» (U. Foscolo, Saggi e discorsi
critici, a cura di C. Foligno, Le Monnier, Firenze , ).
. Cfr. V. Branca, Su una redazione autografa del Decameron anteriore a quella
conservata nell’autografo hamiltoniano, «Studi sul Boccaccio» , , -; Id., Prime
proposte sulla diffusione del testo del “Decameron” redatto nel - (testimoniato nel Cod.
Parigino Italiano ), in «Studi sul Boccaccio» , , -.
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
conto apuleiano solo nel e che questa sia la data in cui il
più antico manoscritto cassinese, il codice F, sarebbe giunto a
Firenze in compagnia dell’autore del Decameron .
Ora, prima di concentrare la nostra attenzione sulle novelle,
sembra opportuno chiudere il discorso sulla copia apuleiana
di Boccaccio e, in prospettiva, sulla tradizione di studi e scrittura latina inaugurata dalla riscoperta di Apuleio. Al di là degli
indizi sin qui raccolti, si è già avuto modo di accennare all’esistenza del codice Laurenziano (. , sigla L ), autografo di
Boccaccio, pergamenaceo, di folia su due colonne ciascuno,
comprendente nell’ordine Apologia, Metamorfosi e Florida, seguiti dal testo del De deo Socratis (ff. r - v). Il codice non
dà contributi alla constitutio textus di Apuleio perché – dicono
gli editori – prossimo all’Ambrosianus N. sup. (A) e sfigurato da mende e da interventi congetturali. Se cediamo la
parola a Cesare Giarratano (-), editore apuleiano del
“Corpus Paravianum”, lo sentiamo dire nel suo buon latino da
filologo: «Boccaccius, quod salua tanti nomini reuerentia dico,
librario paene indocto et oscitanti similis codicem descripsit.
itaque mendis omnis generis L scatet, sed etiam ... complures
lectiones bonas aut malas ex ingenio ortas continet, quas uiri
docti postea coniectando inuenerunt. ... quae cum ita sint, post
codicem A eo facile carere possumus»; più drastico, l’editore
delle “Belles Lettres”, Donald Struan Robertson (-),
sentenzia: «il est pratiquement sans valeur» . A prescindere
. La prima affermazione si legge in P.G. Walsh, The Roman Novel, Cambridge
Univ. Press, Cambridge , ; la seconda in R. Weiss, The Spread of Italian
Humanism, Hutchinson, London , , e in E.J. Kenney, Apuleius. Cupid and Psyche,
Cambridge Univ. Press, Cambridge , . Corretta prospettiva offre invece R.H.F.
Carver, The Rediscovery of the Latin Novel, in H. Hofmann (a c. di), Latin Fiction,
Routledge, London-New York , -.
. C. Giarratano, Apulei Metamorphoseon libri XI, Paravia, Torino , xxi sg.;
D.S. Robertson, P. Vallette, Apulée. Les Metamorphoses, I, Les Belles Lettres, Paris
, xlvii sg. (cfr. H.E. Butler, A.S. Owen, Apulei Apologia sive Pro se de magia liber,
Clarendon, Oxford , repr. Olms, Hildesheim , xxxiv sg.: «This MS. contains
little or nothing of value. ... This MS. is very corrupt and unscholarly»). Descrizione
recente di L in R. Klibansky, F. Regen, Die Handschriften der philosophischen Werke
Rileggendo Petronio e Apuleio
dello scarso valore stemmatico del codice, due considerazioni
s’impongono: la presenza del De deo Socratis pone Boccaccio, insieme a Benvenuto da Imola e a Francesco Petrarca , tra coloro
che per primi hanno ricomposto le due tradizioni apuleiane,
quella del novelliere-oratore e quella del filosofo; è da valutare
la possibilità o meno di riconoscere in L la copia di lavoro che
accompagna Boccaccio nel recupero apuleiano fin dai tempi di
Napoli. La prima considerazione permette di ricordare come
agli ambienti dotti di Salerno e di Napoli si debba risalire come
ai centri di interesse e irradiazione dei trattatelli filosofici di
Apuleio, entro i confini di mai sopita attenzione nei confronti
delle opere di Sant’Agostino (il che spiega assai bene l’interesse
di Petrarca): come è noto, il vescovo di Ippona discute a lungo,
nel De civitate Dei, la dottrina demonologica del philosophus
Platonicus Madaurensis . Le conoscenze di Boccaccio, in realtà,
non si limitano al De deo Socratis, come mostrano i riferimenti
al De mundo nel De genealogiis deorum gentilium (, ) e nelle
Esposizioni sopra la Comedia (, exp. ), o il rinvio al De Platone
et eius dogmate ancora in De genealogiis (, ): a suo dire Apuleio
è non mediocris auctoritatis philosophus. Questi dati significano
che Boccaccio, non meno di Petrarca, ha contribuito a munire
la via per una lettura unitaria di Apuleio, programma esegetico
des Apuleius, cit., -.
. Il codice di Benvenuto da Imola, Vaticanus Latinus (seconda metà del
XIV sec.), contiene Apologia, Metamorfosi, Florida, cui fanno seguito i trattati filosofici:
cfr. R. Klibansky, F. Regen, Die Handschriften der philosophischen Werke des Apuleius, cit.,
-. Sul codice di Petrarca, Vaticanus Latinus (anteriore al ; oltre a tutti
gli scritti di Apuleio contiene Frontino, Vegezio e Palladio), cfr. almeno A. Petrucci,
La scrittura di Francesco Petrarca, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano
, - e tavv. IX-X; A.C. de la Mare, The Handwriting of Italian Humanists, I,
, Oxford Univ. Press, Oxford , -; C. Tristano, Le postille del Petrarca nel Vat.
Lat. , «Italia Medioevale e Umanistica» , , -; R. Klibansky, F. Regen,
Die Handschriften der philosophischen Werke des Apuleius, cit., -. Di una lettura
cursoria (raptim et propere) delle Metamorfosi Petrarca parla in Fam. XXII , ; altre
citazioni in A. Scobie, The Influence of Apuleius’ Metamorphoses in Renaissance Italy and
Spain, in B.L. Hijmans Jr., R.Th. van der Paardt (a c. di), Aspects of Apuleius’ Golden
Ass, Bouma’s Boekhuis, Groningen , -.
. Cfr. supra, n. .
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
che non sempre la storia della moderna critica apuleiana ha
saputo o voluto onorare.
Proprio i folia finali (r - v) dell’autografo boccacciano
(L ) riservati al De deo Socratis consentono di passare alla seconda considerazione, in quanto coinvolgono il problema della
datazione del codice nel suo complesso. La convinzione che
Apologia, Metamorfosi e Florida fossero copiati a Firenze, dopo
l’arrivo dei codici di Montecassino o comunque negli anni di
composizione del Decameron, ha suggerito il seguente quadro
cronologico: i ff. r-v, con gli scritti dell’oratore-novelliere
andrebbero datati «probably in later », mentre il De deo Socratis sarebbe stato trascritto «a little earlier». Questa proposta,
formulata da Albinia de la Mare sulla scorta di un’indicazione di
Cornelia Coulter, è stata successivamente ritoccata da Evi Ianni,
che data i ff. r - v poco dopo il e anticipa i ff. r - v
agli anni giovanili di Boccaccio, verisimilmente al - .
In realtà il lavoro giovanile di Boccaccio su φ, come si è visto, e
lo stretto rapporto col testo apuleiano nel decennio fiorentino
- suggeriscono un’altra ipotesi, che cioè non solo i ff.
r -v del De deo Socratis, ma anche i ff. r - v con la “terna
cassinese” risalgano agli ultimi anni del soggiorno napoletano
e che quindi sia possibile ravvisare appunto nel Laurenziano
. (L ) la copia di lavoro realizzata a proprio uso e consumo
dall’autore moderno, allo scopo di avere a portata di mano gli
interessanti materiali narrativi posti in essere dallo scrittore
antico. Questa ipotesi, in verità, ha già avuto un aperto, ma
inascoltato, sostenitore in Concetto Marchesi, secondo cui L
. Cfr. C. Coulter, Boccaccio and the Cassinese Manuscripts, cit., (ma cfr. già
O. Hecker, Boccaccio-Funde, cit., ); A.C. de la Mare, The Handwriting of Italian
Humanists, cit., -; E. Ianni, Elenco dei manoscritti autografi di Giovanni Boccaccio,
«Modern Language Notes» , , ; G. Auzzas, I codici autografi. Elenco e bibliografia, «Studi sul Boccaccio» , , («dopo il , ma - le cc. r -v»).
Cfr. anche P.G. Ricci, Evoluzione nella scrittura del Boccaccio e datazione degli autografi,
in Studi sulla vita e le opere del Boccaccio, cit., -; altri dati e indicazioni in AA.
VV., Bibliografia degli Zibaldoni di Boccaccio, Viella, Roma , e in E. Lippi, Giovanni
Boccaccio, in C. Ciociola (a c. di), Storia della letteratura italiana. X. La tradizione dei
testi, Salerno Edizioni, Roma , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
è «una copia fatta in età giovanile, non molto prima del » e
mostra all’opera «quelle mirabili qualità di trascrittore fedele
che dopo di lui ebbero, tra gli umanisti più grandi, il Niccoli e
il Poliziano» . A dire il vero, l’immagine di Marchesi stride con
quella del copista indotto e sonnacchioso evocata da Giarratano;
quest’ultima, tuttavia, non sembra fare giustizia alla mano che
sta vergando una copia personalissima destinata a un unico lettore, anche perché la presenza di numerose congetture – poco
importa se non sempre convincenti, ma talora riproposte indipendentemente da filologi moderni – fa pensare a un copista
intelligente – anche troppo intelligente e interessato al senso di
quanto sta scrivendo – che non esita a praticare la divinatio ope
ingenii là dove il testo appaia problematico o guasto.
Alla soluzione qui ipotizzata sembra però fare ostacolo un
ultimo problema. Come si è già accennato, per il testo di Apologia, Metamorfosi e Florida l’autografo di Boccaccio viene ascritto
alla classe di codici – la cosiddetta classe I, il cui capostipite
virtuale viene di solito indicato con la sigla a – rappresentata
autorevolmente dall’Ambrosianus N. sup. (A, prima della
fine del sec. XIII), codice in cui di recente si è proposto di ravvisare il testimone di una tradizione apuleiana indipendente
rispetto a quella conservata a Montecassino . Ma una ricollazione recente di A per la porzione relativa all’Apologia permette
di concludere che non è necessario parlare di tradizione indipendente: «La dipendenza da F del capostipite della classe I di
recenziori (a) sembra dimostrata da particolari di A a fronte
di grafie inconsuete, correzioni e segnali di prima mano in F;
la presenza nell’Ambrosiano di sigle e segni di interpunzione
. C. Marchesi, Giovanni Boccaccio e i codici di Apuleio (), ora in C. Marchesi,
Scritti minori di filologia e di letteratura, III, cit., -.
. Così O. Pecere, Qualche riflessione sulla tradizione di Apuleio a Montecassino
(), ora in O. Pecere, A. Stramaglia. Studi apuleiani, cit., in part. sgg. La proposta
di rami di tradizione indipendenti è accolta, per es., da M.D. Reeve, Conclusion, in
O. Pecere, M.D. Reeve (a c. di), Formative Stages of Classical Tradition: Latin Texts
from Antiquity to the Renaissance, CISAM, Spoleto , ; M. Baglio, M. Ferrari, M.
Petoletti, Montecassino e gli umanisti, cit., sgg.
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
analoghi a quelli di F mette in risalto la scrupolosa fedeltà della copia eseguita a monte dall’amanuense di a» . Certo, «una
nuova collazione completa di A appare senz’altro auspicabile» ;
aggiungiamo che essa dovrà coinvolgere anche φ, che abbiamo visto segnato da notabilia di mano di Boccaccio, e lo stesso
autografo L , su cui compaiono alcuni dei segni di attenzione
presenti in φ . L’ipotesi qui prospettata non va dunque scartata
senza appello: in buona sostanza, se è vero che la classe I non
è estranea alla tradizione cassinese di Apuleio e che nell’autografo di Boccaccio ci sono segni di contaminazione con φ ,
non sembra troppo azzardato ribadire che Montecassino è la
sede in cui sono compresenti tutti i materiali manoscritti che
confluiscono nell’autografo di Boccaccio, a cui si dovrebbe riconoscere non solo la funzione di copista ma anche il iudicium
di filologo in grado di vagliare varianti e tradizioni parallele.
A dispetto della giovane età, questo secondo aspetto non
gli va negato, se ci ricordiamo che di varianti apuleiane Boccaccio prende atto proprio nel periodo napoletano, allorché
. G. Magnaldi, Apologia: per una nuova collazione del Laur. . e dell’Ambros.
N. Sup., in G. Magnaldi, G.F. Gianotti (a c. di), Apuleio. Storia del testo e interpretazioni, cit., ; F. Piccioni, Sulla tradizione manoscritta dei Florida di Apuleio: il ruolo
dell’Ambrosiano N. sup., «Revue d’Histoire des Textes» n.s. , , -.
. Sono parole di L. Graverini, Note di aggiornamento, in O. Pecere, A. Stramaglia.
Studi apuleiani, cit., .
. Sui margini di entrambi i codici, inoltre, all’altezza di Met. , , compare
il cosiddetto spurcum additamentum, sulla cui origine (antica, medievale, preumanistica) tanto si è discusso e discute, come si ricava dalle indicazioni bibliografiche
segnalate nei seguenti contributi: G. Pennisi, Apuleio e l’Additamentum a Met. X, ,
Peloritana, Messina ; S. Mariotti, Lo spurcum additamentum ad Apul. Met. , ,
«Studi Italiani di Filologia Classica» s. ª, , - (= S. Mariotti, Scritti medievali
e umanistici, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma , -); M. Zimmerman (a
cura di), Groningen Commentary on Apuleius’ Met. X, Egbert Forsten, Groningen ,
-; E. Lytle, Apuleius’ Metamorphoses and the Spurcum Additamentum (.), «Classical Philology» , , – (l’additamentum sarebbe da attribuire a Zanobi); V.
Hunink, The ‘spurcum additamentum’ (Apul. Met. , ) once again, in W.H. Keulen,
R.R. Nauta, S. Panayotakis (a c. di), Lectiones Scrupulosae. Essays on the Text and
Interpretation of Apuleius’ Metamorphoses in Honour of Maaike Zimmerman, Barkhuis,
Groningen , -.
. «There is evidence of contamination from φ»: R.H.F. Carver, The Rediscovery
of the Latin Novel, in H. Hofmann (a c. di), Latin Fiction, cit., .
Rileggendo Petronio e Apuleio
postilla, nel codice Laurenziano ., l’Expositio sermonum antiquorum di Fulgenzio, testimone di lezioni non attestate dai
codici pervenuti. Che Fulgenzio e Apuleio continuino a fare
coppia nella scrittura latina di Boccaccio mostra, come già si è
detto, la ripresa in chiave allegorica della bella fabella di Amore
e Psiche nel V libro del De genealogiis . Ma, più in generale, va
soprattutto detto che Boccaccio assicura la presenza di Apuleio
come modello di scrittura latina nel mondo delle scuole e dei
dotti: ne fa fede un codice fiorentino della seconda metà del
XIV secolo (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II VI.)
che contiene un accessus all’antico scrittore africano . Si tratta
del primo passo di un percorso che comprende le citazioni e i
rinvii ad Apuleio presenti sui margini del cod. Laur. Plut. .
(Mn, del ), manoscritto di Decameron e Corbaccio vergato e
postillato da Francesco d’Amaretto Mannelli , e che porterà
all’apuleianesimo linguistico e letterario del Rinascimento e
avrà in Filippo Beroaldo, editore e commentatore di Apuleio, il
più noto dei rappresentanti .
. Cfr. B.L. Hijmans Jr., Boccaccio’s Amor und Psyche, in B.L. Hijmans Jr., V. Schmidt (a c. di), Symposium Apuleianum Groninganum, Bouma’s Boekhuis, Groningen
, -; J.L. de Jong, Renaissance Representations of Cupid and Psyche, «Groningen
Colloquia on the Novel» II, , -. Edizione del testo: V. Zaccaria, Genealogie
deorum gentilium, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, VII-VIII,
Mondadori, Milano . Vd. A. Bettinzoli, Boccaccio, Apuleio e le Genealogie deorum
gentilium, in M. Marchiaro, S. Zamponi (a c. di), Boccaccio letterato, Pubblicazioni
dell’Accademia della Crusca, Firenze , -.
. Cfr. G.C. Garfagnini, Un ’accessus’ ad Apuleio e un nuovo codice del Terzo
Mitografo Vaticano, «Studi Medievali» s. ª, , , - (alle pp. - edizione
del codice).
. Cfr. Il DECAMERON di M. Gio. Boccaccio. Tratto dall’ottimo testo scritto da
Francesco Amaretto Mannelli sull’originale dell’Autore. Giusti, Lucca . Le postille di
maggiore vivacità e interesse sono riportate in nota nell’ed. di V. Branca (sigla M). A
Iacopo Corbinelli gli studiosi assegnano postille, integrazioni e correzioni vergate
su Mn da una seconda mano: cfr. S. Carrai, Di chi sono le postille recenziori nel codice
Mannelli?, «Studi sul Boccaccio» , , -.
. Cfr. K. Krautter, Philologische Methode und humanistische Existenz. Filippo
Beroaldo und sein Kommentar zum Goldenen Esel des Apuleius, Fink, München ;
J.F. D’Amico, The Progress of Renaissance Latin Prose: The Case of Apuleianism, «Renaissance Quarterly» , , -; S. Prete, La questione della lingua latina nel
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
.. Spunti apuleiani nelle novelle del Decameron
Veniamo finalmente alla presenza delle Metamorfosi apuleiane
lungo il tracciato dell’opera maggiore di Boccaccio. Ci liberiamo subito di una questione preliminare che riguarda l’assetto compositivo del Decameron. Da tempo – grazie anche
all’insegnamento di un maestro torinese come Giovanni Getto
(-) – la critica fa i conti con il duplice registro delle componenti espressive, novelle e cornice , del Decameron in quanto
“racconto di racconti” . In merito la tradizione offre a Boccaccio paradigmi di sicura autorevolezza ed efficacia: a tacere di
quanto della novellistica orientale è filtrato o sta filtrando nella
cultura del Trecento, nel modo classico non mancano esempi
di narrazioni incastonate in un racconto-cornice, a partire dagli
Apologhi narrati in prima persona dal protagonista dell’Odissea
(canti IX-XIII) ai Dialoghi maggiori di Platone; tra questi esempi
– si intende – le Metamorfosi apuleiane occupano posto di rilievo
compositivo, non tanto per l’alternanza tra racconto in prima
persona e narrazione non soggettiva, quanto piuttosto per le
combinazioni tematiche che organizzano e tengono insieme
Quattrocento e l’importanza dell’opera di Apuleio, «Groningen Colloquia on the Novel»
I, , -; J.H. Gaisser, Reading Apuleius with Filippo Beroaldo, in P. Thibodeau,
H. Haskell (a c. di), Being There Together: Essays in Honor of Michael C.J. Putnam, Afton
Historical Society Press, Afton , -; F. Küenzlen, Verwandlungen eines Esels Apuleius’ “Metamorphoses” im frühen . Jahrhundert. Der Kommentar Filippo Beroaldos
des Apuleius. Die Uebersetzungen von Johann Sieder, Guillaume Michel, Diego Lopez de
Cortegana und Agnolo Firenzuola. Der Schelmenroman “Lazarillo de Tormes”, Winter,
Heidelberg ; G. Sandy, Two Renaissance Readers of Apuleius: Filippo Beroaldo and
Henri de Mesmes, in S.N. Byrne, E.P. Cueva (a c. di), Authors, Authority, and Interpreters
in the Ancient Novel, Groningen , -; J.H. Gaisser, Filippo Beroaldo on Apuleius:
Bringing Antiquity to Life, in M. Pade (a c. di), On Renaissance Commentaries, Olms,
Hildesheim–Zürich–New York , -; Ead., The Fortunes of Apuleius and the
Golden Ass. A Study in Transmission and Reception, Univ. of Princeton Press, Princeton
.
. Penso a G. Getto, Vita di forme e forme di vita nel Decameron, Petrini, Torino
, . Cfr. anche L. Marino, The Decameron Cornice: Allusion, Allegory and
Iconology, Longo, Ravenna .
. Espressione mutuata da T. Todorov, Poetica della prosa, tr. it., Theoria, RomaNapoli , .
Rileggendo Petronio e Apuleio
plessi di novelle (storie di magia, storie di briganti, racconti di
adulterii e di avvelenamenti, peripezie di Carite e di Psiche) .
Ecco: la presenza apuleiana non si avverte unicamente a livello di generale – e generico – impianto narrativo; con l’antico
novelliere Boccaccio sembra intrecciare un dialogo privilegiato,
in quanto dispone di un archivio personale su cui riporta alcuni
dei segni di attenzione già presenti in φ e aggiunge ulteriori
notabilia in funzione di spunti ripresi nel Decameron. Di tali riprese si fornisce qui una piccola antologia che, da sola, sarebbe
sufficiente a collocare le Metamorfosi apuleiane tra le fonti o, se
si preferisce, fra gli ipotesti sottesi all’opera di Boccaccio . Ma
a scanso di dubbi residui, all’elenco seguirà qualche osservazione sulle due novelle, Decameron , e , , che discendono
recta via da narrazioni apuleiane.
Come primo esempio piace citare la novella V della seconda
giornata , cioè la Novella di Andreuccio da Perugia: il protagonista,
. Cfr. R.Th. van der Paardt, Various Aspects of Narrative Technique in Apuleius’
Metamorphoses, in B.L. Hijmans Jr., R.Th. van der Paardt (a c. di), Aspects of Apuleius’
Golden Ass, cit., -; J.J. Winkler, Auctor & Actor. A Narratological Reading of Apuleius’
The Golden Ass, Univ. of California Press, Berkeley-Los Angeles-London ; G. von
Graevenitz, Das Ich am Ende: Strukture der Ich-Erzählung in Apuleius’ Goldenem Esel und
Grimmelshausens Simplicissimus, in K. Stierle, R. Warning (a c. di), Das Ende. Figuren
und Denkformen, «Poetik und Hermeneutik» , , -; L. Callebat, Langages
du roman latin, Olms, Hildesheim , -; W.S. Smith, The Narrative Voice in
Apuleius’ Metamorphoses, in S.J. Harrison (a c. di), Oxford Readings in the Roman Novel,
Oxford Univ. Press, Oxford , -.
. Ovviamente, si tratta di elenco confortato da indicazioni largamente presenti
in sede critica: utilissime le note di V. Branca all’edizione einaudiana del Decameron
(Torino , rist. ), nonché le precisazioni aggiunte dallo studioso in due
contributi successivi: Su una redazione autografa del Decameron anteriore a quella conservata nell’autografo hamiltoniano, «Studi sul Boccaccio» , , -; Ancora su una
redazione del “Decameron” anteriore a quella autografa e su possibili interventi “singolari”
sul testo, ibid. , , -.
. In cui «sotto il reggimento di Filomena si ragiona di chi, da diverse cose
infestato, sia oltre la sua speranza riuscito a lieto fine». A ben vedere è, in chiave laica,
il tema stesso delle Metamorfosi, così compendiato dal sacerdote isiaco che assiste
al ritorno di Lucio dagli inferi della bestialità: multis et variis exanclatis laboribus
magnisque fortunae tempestatis et maximis actus procellis ad portum quietis et aram
misericordiae tandem Luci, venisti ... sed utcumque fortunae caecitas, dum te pessimis
periculis discruciat, ad religiosam istam beatitudinem improvida produxit malitia. ... Lucius
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
al termine di una graveolente discesa agli inferi iniziata in vicolo
Malpertugio , finisce nella tomba fresca di giornata di Filippo
Minutolo, Arcivescovo di Napoli, e qui «venendo meno, cadde
sopra il morto corpo dell’Arcivescovo; e chi allora veduti gli
avesse, malagevolmente avrebbe conosciuto chi più si fosse
morto, o l’Arcivescovo o egli» (Dec. , , ); il confronto diretto
è con l’episodio della custodela feralis di Telifrone, il narratore in
prima persona che racconta come si sia addormentato accanto
all’omonimo cadavere a cui avrebbe dovuto fare la guardia,
permettendo così l’azione magica delle streghe a suo danno:
nec mora, cum me somnus profundus in imum barathrum repente
demergit, ut ne deus quidem Delphicus ipse facile discerneret duobus
nobis iacentibus quis esset magis mortuus (Apul. Met. , , ) .
A tacere delle tumultuose vicende di Alatiel, in cui non è
impossibile scorgere un rovesciamento ironico della favola di
de sua fortuna triumphat (Apul. Met. , , - ). Più in generale si può confrontare
come il tema apuleiano della fortuna abbia non pochi riflessi in Boccaccio: cfr. V.
Cioffari, The Function of Fortune in Dante, Boccaccio and Machiavelli, «Italica» , ,
-, e G. Fry, Philosophie et mystique de la destinée. Étude du thème de la Fortune dans les
Métamorphoses d’Apulée, «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» , , -.
. «la quale quanto sia onesta contrada il nome medesimo il dimostra» (Dec. , ,
). Cfr. per es. G. Herczeg, I cosiddetti ’nomi parlanti’ nel Decameron, in VII Congresso
internazionale di scienze onomastiche, III, Istituto di Glottologia dell’Univ. degli Studi,
Firenze , -; G. Cavallini, Toponomastica napoletana e antroponomastica nella
novella boccacciana di Andreuccio e nella lettura di B. Croce, «il Nome nel Testo» , ,
-. Panoramica sul Medioevo in L. Sasso, Il nome nella letteratura. L’interpretazione
dei nomi negli scrittori italiani del Medioevo, Marietti, Genova . E’ vero che la tradizione comica dei nomi parlanti vanta antecedenti remoti fin dal mondo greco, ma
di tale tradizione Apuleio è certo uno dei più divertenti maestri: cfr. B. Brotherton,
The Introduction of Characters by Name in the Metamorphoses of Apuleius, «Classical
Philology» , , -; B.L. Hijmans Jr., Significant Names and their Function in
Apuleius’ Metamorphoses, in B.L. Hijmans Jr., R.Th. van der Paardt (a c. di), Aspects of
Apuleius’ Golden Ass, cit., -.
. Cfr. L. Rossi, I tre gravi accidenti della novella di Andreuccio di Perugia (Decameron II ), «Strumenti Critici» n.s. , , -. Magis mortuus di Apuleio e «chi
più si fosse morto» di Boccaccio sembrano rivivere – si fa per dire – nella sofferta
avventura di Lapaccio di Geri da Montelupo che passa la notte in compagnia di un
cadavere e all’alba «parea più morto che ’l morto» (Sacchetti, Trecentonovelle, ).
Rileggendo Petronio e Apuleio
Amore e Psiche (Dec. , ) , sempre la seconda giornata fornisce un altro esempio con la novella IX che ha per protagonisti
Bernabò da Genova, Ambrogiuolo da Piagenza e madonna Zinevra, novella nata per mostrare che «quale asin dà in parete tal
riceve» (Dec. , , ) ma soprattutto nota per la ripresa operata
da Shakespeare nel Cimbelino . In Dec. , , Ambrogiuolo
dà inizio alla serie di personaggi – mariti gabbati , amanti e
aspiranti tali – nascosti in una cassa , in quanto «in una cassa
artificiata a suo modo si fece portare non solamente nella casa
ma nella camera della gentil donna», cioè di madonna Zinevra, sposa di Bernabò. Più avanti il soldano, quando Sicurano
da Finale rivela di essere in realtà madonna Zinevra travestita,
«venne in tanta maraviglia, che più volte quello che egli vedeva
. Cfr. L. Vaghetti, La filosofia della natura e la nuova concezione dell’amore e della
vita terrena in Boccaccio, «Nuova Antologia» , , sg.
. Cfr. M.-M. DeCoste, Filomena, Dioneo, and an Ass, «Helitropia» , , -. Il
proverbio piace a Boccaccio, che lo ripropone altre due volte nel Decameron: in Dec.
, , («... acciò che quale asin dà in parete tal riceva»); cfr. Dec. , . («quale asino
dà in parete tal riceve»). Si direbbe un umoroso segnale di derivazione dall’Asino
d’oro apuleiano. Cfr. altresì Corbaccio : «Quale asino dà in parete, cotale riceve».
In generale vd. A. D’Andrea, Avventure letterarie di un asino. Rubriche del Decameron,
«Yearbook of Italian Studies» -, -.
. Cfr. R. Ohle, Shakespeare’s Cymbeline und seine romanischen Vorläufer, Mayer
und Müller, Berlin ; G. Almansi, Lettura della novella di Bernabò e Zinevra (II ),
«Studi sul Boccaccio» , , -.
. Come per es. Ferondo (Dec. , ), che sperimenta le pene del Purgatorio
rinchiuso dapprima in un avello, poi in una piccola cella senza luce, mentre un santo
abate consola la falsa vedova.
. Topos già presente nella tradizione del mimo anteriore ad Apuleio; tra l’altro
famoso è stato il ’mimo della cesta’, cavallo di battaglia in età flavia dell’archimimo
Latinus. Fonti: Hor. Sat. , , ; Mart. , , . , , sg. , . , , sg. , . , , ;
Svet. Dom. , ; Iuv. , sg. (e Schol. ad loc.); , (e Schol. ad loc.); Schol. ad Iuv. , .
Tra le riprese moderne più note si può menzionare Le cuvier di J. La Fontaine (Contes
et Nouvelles IV ). Cfr. H.G. Dick, The Lover in a Cask: a Tale of a Tub, «Italica» , ,
-. A proposito dello stratagemma di Ambrogiuolo per penetrare nella camera di
Zinevra, una sorta di contrappasso vuole che l’episodio boccaccesco abbia suggerito
al pittore Giovanni di Francesco Toscani (cofanaio) il programma figurativo che
decora le pareti esterne di un prezioso cassone conservato a Edimburgo (National
Gallery of Scotland, n. ): l’amante, insomma, può essere visibile anche all’esterno
della cassa!
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
e udiva credette più tosto esser sogno che vero» (Dec. , , ) .
A confronto si cita Apul. Met. , , : alla vista della trasformazione di Panfile in gufo Lucio exterminatus animi attonitus
in amentiam vigilans somniabar; defrictis adeo diu pupulis an vigilarem scire quaerebam. Alla fine, in Dec. , , : Ambrogiuolo,
sottoposto al supplizio del miele, viene infino all’ossa divorato
da mosche, vespe e tafani, un po’ come in Apul. Met. , , il
servo infedele, responsabile del suicidio della propria moglie,
viene sottoposto al supplizio del miele, fino a che le formiche
homine consumpto membra nudarunt ut ossa tantum viduata pulpis
nitore nimio candentia cohaererent arbori.
Se passiamo alla terza giornata, «nella quale si ragiona, sotto
il reggimento di Neifile, di chi alcuna cosa molto da lui desiderata con industria acquistasse o la perduta ricoverasse» , la
novella IV, giocata sull’ardito triangolo tra il troppo penitente
frate Puccio di Rinieri, la fresca e bella sposa, monna Isabetta,
e l’ardente don Felice, presenta un particolare che sembra richiamare una scenetta hard di apuleiana memoria e anticipa la
più scoperta ripresa che si incontra nella novella di Peronella.
In Dec. , , - monna Isabetta si fa beffe del devoto consorte,
che avverte al di là della parete una straordinaria agitazione:
«Gnaffe, marito mio, io mi dimeno quanto io posso», perché
«chi la sera non cena, tutta notte si dimena». Come Peronella,
che in Dec. , , -, mentre insegna al marito come e dove
. Cfr. Amorosa visione , -: («fra me dicendo ch’io pur non sognava, /
posto che mi pareva grande tanto / la cosa, ch’io pur di sognar dubbiava»); cfr.
anche Dec. , , : il gelosissimo Arriguccio Berlinghieri, ingannato dalla sposa con
accorta sostituzione di persona e oltraggiato dai parenti di lei, rimane «come uno
smemorato, seco stesso non sappiendo se quello che fatto avea era stato vero o s’egli
aveva sognato».
. Variazione del tema della II giornata, con uno spunto – apuleiano – in più, a
proposito di chi recupera cose perdute, come Lucio-asino proteso al recupero della
perduta condizione umana.
. Parente a sua volta di ascendenze classiche (per es. Plaut. Miles gloriosus ;
Piramo e Tisbe in Ov. Met. , -) e presente anche nella novella del ricco e geloso
mercante di Rimini (Dec. , , sgg.). Sulla fortuna letteraria di pareti (non sempre
o non del tutto) divisorie si rinvia a P. Fornaro, Metamorfosi con Ovidio. Il classico da
riscrivere sempre, Olschki, Firenze , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
nettare il doglio, si dimena a ritmo e permette al gagliardo
Giannello di divertirsi alle sue spalle, anche madonna Isabetta
sembra partecipe dell’astuzia apuleiana della moglie del fabbro:
at vero adulter bellissimus ille pusio inclinatam dolio pronam uxorem fabri superincurvatus secure dedolabat. Ast illa capite in dolium
demisso maritum suum astu meretricio tractabat ludicre ... (Apul.
Met. , , -) .
Nella quarta giornata, aperta dall’autodifesa d’autore e dalla
novellina delle papere da imbeccare (Dec. , Introd.), «sotto il
reggimento di Filostrato – nome evocatore di precedenti scritture –, si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fine»,
come ha insegnato l’antico catalogo epico delle eroine dyserotes e come insegna la triste storia di Carite e Tlepolemo che
nelle Metamorfosi apuleiane ospita al proprio interno, a guisa di
castone narrativo, la fabella di Amore e Psiche . Appunto alla
vicenda di Carite sembra guardare Boccaccio nella novella di
Lisabetta da Messina: in Dec. , , l’amato Lorenzo morto appare in sogno alla sfortunata fanciulla «pallido e tutto rabbuffato
e co’ panni tutti stracciati», come il morto Tlepolemo appare in
sogno a Carite sanie cruentam et pallore deformem attolens faciem
(Apul. Met. , , ) .
Un altro esempio si ricava dalla quarta giornata. Nella novella
VI si narra della bella Andreuola da Brescia che ama Gabriotto e
gli espone un sogno pauroso (e funesto): udito il racconto della
donna, Gabriotto «se ne rise, e disse che grande sciocchezza
era porre ne’ sogni alcuna fede, per ciò che o per soperchio di
cibo o per mancamento di quello avvieneno, ed esser tutti vani
. Cfr. R. Ferreri, La novella di Frate Puccio, «Studi sul Boccaccio» , -,
-.
. Cfr. Od. , sgg.; Verg. Aen. , - (e Serv. ad loc.); Ov. Heroides.
. Sul cosiddetto Charite-Complex (Apul. Met. , -; , - , ; , -) cfr. S.
Frangoulidis, Charite’s Literary Models: Vergil’s Dido and Homer’s Odysseus, «Latomus»
, , -; E. D. Finkelpearl, Metamorphosis of Language in Apuleius. A Study of
Allusion in the Novel, Univ. of Michigan Press, Ann Arbor , -; L. Nicolini,
Apuleio. La novella di Carite e Tlepolemo, D’Auria, Napoli .
. Cfr. anche Apul. Met. , , : l’ombra dolente del mugnaio appare in sogno
alla figlia e denuncia il delitto della matrigna.
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
si vedeano ogni giorno» (Dec. , , ) . Frase purtroppo fallimentare, come quella che, nel primo racconto di magia delle
Metamorfosi, l’incauto Aristomene indirizza al morituro Socrate
al risveglio dalla notte delle streghe: non immerito medici fidi
cibo et crapula distentos saeva et gravia somniare autumant (Apul.
Met. , , ) . Mette conto segnalare che nel Laurenziano L (f.
vb), all’altezza di questa frase, compare un segno d’attenzione, una manicula, che si ritiene di pugno di Boccaccio . Anche
l’ultima novella della quarta giornata, quella del medico salernitano, della bella e gentil consorte e dell’amante Ruggieri,
sviluppa motivi che hanno corso narrativo nelle Metamorfosi. In
Dec. , , - si compendia quanto segue: la pozione soporifera preparata per un infermo viene bevuta dal giovane amante,
creduto morto dalla donna (perché «egli aveva a buona caviglia
legato l’asino») e deposto in un’arca, resuscitato e imprigionato viene salvato dalla deposizione della serva di madonna. Il
motivo dell’amante nella cassa rimanda alle novelle di adulterio
di cui si parlerà tra poco, mentre gli altri ingredienti sono tutti
presenti, anche se in diverso quadro d’insieme, nella vicenda
della matrigna innamorata e del fanciullo creduto morto per
aver bevuto una falsa pozione avvelenata che si legge in Apul.
Met. , - .
. Cfr. S. Marchesi, Dire la verità dei sogni: la teoria di Panfilo in Decameron IV.,
«Italica» , , -.
. Cfr. G. Vio, Chiose e riscritture apuleiane, cit., .
. Cfr. M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., . Cfr. M. Fiorilla, P.
Rafti, Marginalia figurati e postille di incerta attribuzione in due autografi del Boccaccio
(Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. .; Toledo, Biblioteca Capitular, ms.
.), «Studi sul Boccaccio» , , -.
. Anche in questo caso il detto asinino si può considerare un sorridente
segnale.
. Sulla tradizione letteraria dell’episodio cfr. G. Fiorencis, G.F. Gianotti, Fedra
e Ippolito in provincia (), in G. Magnaldi, G.F. Gianotti (a c. di), Apuleio. Storia
del testo e interpretazioni, cit., -; H. Münstermann, Apuleius. Metamorphosen
literarischer Vorlagen, Teubner, Stuttgart-Leipzig .
Rileggendo Petronio e Apuleio
Lasciando per ora da parte la quinta giornata , passiamo
alla sesta e alla breve novella di Madonna Oretta (Dec. , ):
qui i motivi del viaggio a cavallo, del piacere del racconto che
rende meno aspra la via, delle noiose incongruità del cavaliere narrante e, soprattutto, la battuta di Madonna (Dec. , ,
: «Messer, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto, per
che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè») richiamano alla
mente la parte del viaggio di Lucio verso Hypata in compagnia
di due viandanti narratori, nonché la battuta del prologo sulla
scientia desultoria, vale a dire dell’abilità di acrobata equestre,
praticata dall’auctor del racconto antico (Apul. Met. , -) . La
novella successiva ha per protagonista Chichibio ed è giocata
sulla scomparsa di una coscia di gru – donata dal cuoco a donna Brunetta – che scatena le ire di Currado Gianfigliazzi e la
«presta parola» di risposta del cuoco (Dec. , ). Di questo caso
un antecedente diretto non è dato riscontrare in Apuleio, ma
mette conto ricordare l’episodio narrato in Met. , : un cuoco,
responsabile della galante sparizione della coscia di un cervo,
medita una sostituzione ferale per Lucio-asino. Un dato degno
di menzione riguarda una postilla del codice φ; in margine al f.
v una mano interessata all’episodio e riconosciuta come quel. Anche se non si può fare a meno di osservare come i briganti della III novella,
di Pietro di Boccamazza e l’Agnolella, appaiano un po’ come gli eredi depotenziati
ed evanescenti dei latrones apuleiani attivi dal III al VII libro delle Metamorfosi (cfr.
W. Riess, Apuleius und die Räuber. Ein Beitrag zur historischen Kriminalitätsforschung,
Teubner, Stuttgart ; B. Pottier, Les bandits d’Apulée: une réflexion sur les rapports
entre plèbe et notables dans les cités de l’Empire romain, in Miroir des autres, reflet de soi :
stéréotypes, politique et société dans le monde romain, a c. di H. Ménard, C. Courrier,
Houdiard, Paris , -).
. Cfr. Varro Men. fr. Astbury (Desultorius, perì toû gráphein), alla luce di quanto scrive F. Leo, Coniectanea (), rist. in Ausgewählte Kleine Schriften, II, Edizioni
di Storia e Letteratura, Roma , -. Cfr. J. Usher, ’Desultorietà’ nella novella
portante di Madonna Orietta (Decameron VI ) e altre citazioni apuleiane nel Boccaccio,
«Studi sul Boccaccio» , , -. Non è un caso che in φ, all’altezza del prologo,
si legga la postilla Desultor dicitur qui currendo de uno equo ad alium salit; sic trasumptive
qui de una lingua ad aliam transit; e non è casuale che in Epistola II Boccaccio scriva:
Scio me stilo desultorio nimia inepte ac exotica blaterando narrasse (M. Fiorilla, La lettura
apuleiana del Boccaccio, cit., ).
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
la di Boccaccio ha scritto: Colonus quidam femur cervi domino
mittit, hic coquo assignat, hoc canis rapit. Coquus laqueo strangulare
se parat, uxor impedit, et femur asini loco cervi parare disponunt.
Asinus abrupto capistro aufugit.
Nella settima giornata, come è noto, si ragiona delle beffe
fatte dalle donne ai danni dei rispettivi consorti, consapevoli
o meno. E’ fuor di dubbio che l’autore provi simpatia o, meglio, non abbia remore di ordine morale nei confronti delle
protagoniste di queste novelle, compresa Peronella, vera eroina
apuleiana della giornata e forse dell’intera opera, come mostra
il tono di ammirazione di Filostrato, il narratore di Dec. , ,
anche se lascia trasparire qualche venatura pedagogica di disincantato stampo ovidiano (la narrazione di beffe femminili
dovrebbe scoraggiare gli uomini a farsi beffe delle donne). Bisogna però aggiungere che più tardi, nella stesura del Corbaccio, la
condanna delle donne è totale, perché sono tutte ingannatrici e
streghe; tuttavia, per dire la totale nequizia del sesso femminile,
soccorrono immagini che risentono della descrizione – manco
a dirlo – di Panfile e delle altre streghe apuleiane: «Quante già
su per le sommità delle case, de’ palagi o delle torri andate sono, e vanno, da’ loro amanti chiamate o aspettate? Quante già
presummettero, e presummono tutto ’l giorno, o davanti agli
occhi de’ mariti, sotto le ceste o nelle arche gli amanti nascondere? Quante nel letto medesimo co’ mariti farli tacitamente
intrare? Quante, sole e di notte, e per mezzo gli armati e ancora
per mare e per li cimiteri delle chiese se ne truovano continuo
dietro andare a chi me’ lavora? E, che maggior vituperio è,
veggenti i mariti, ne sono infinite che presummono fare i lor
piaceri?» .
. Cfr. E. Casamassima, Dentro lo scrittoio del Boccaccio, cit., ; M. Fiorilla, La
lettura apuleiana del Boccaccio, cit., -.
. Corbaccio sgg.: l’edizione d’uso è curata da G. Padoan e raccolta in Tutte
le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, VI. , Mondadori, Milano ,
insieme a Elegia di madonna Fiammetta (a cura di C. Delcorno), Consolatoria a Pino
de’ Rossi (a cura di G. Chiecchi). Buccolicum Carmen (a cura di G. Bernardi Perini) e
Allegoria mitologica (a cura di M. Pastore Stocchi). Vd. Simonetta Mazzoni Peruzzi,
Rileggendo Petronio e Apuleio
Ora, in attesa di riportare il discorso su Peronella, si può osservare come, nella novella di Lodovico/ Anichino e madonna
Beatrice, sposa di Egano di Bologna, il motivo del trio in un
letto (Dec. , , sgg.) abbia precedenti classici piuttosto diffusi,
e tra questi vada annoverato proprio un passo del finale della
novella del mugnaio, fonte della vicenda di Pietro di Vinciolo: ...
ut sine ulla controversia tribus nobis in uno conveniat lectulo (Apul.
Met. , , ) .
Sempre di beffe si ragiona nell’ottava giornata, sotto il reggimento di Lauretta: questa volta tutti, uomini e donne, possono
essere artefici e vittime, destinatori e destinatari, in una sorta
di effettiva democrazia paritaria della burla e del divertimento;
e anche in questa giornata gli spunti apuleiani non mancano.
Per esempio, nella novella dello scolare innamorato della bella
vedova, il giovane protagonista, alla vista della signora ignuda,
conosce la stessa inequivoca reazione fisiologica provata da un
lontano antenato, dallo scholasticus Lucio di fronte allo spettacolo provocante della servetta Fotide china sui fornelli. In Apul.
Met. , , il racconto è in prima persona: isto aspectu defixus obstupui et mirabundus steti, steterunt et membra quae iacebant ante;
in Dec. , , è la voce di Pampinea a registrare, come dato di
cronaca imparziale, che «lo stimolo della carne l’assalì subitamente e fece tale in piè levare che si giaceva» . Il dettaglio non
è isolato, come si impara anche dalla novella di Donno Gianni
da Barletta, là dove si narra del modo di trasformare in utile
giumenta la docile e prona moglie di compar Pietro da Tresanti
(povero asinaio). Nel momento cruciale della metamorfosi attaccare da tergo la coda alla futura cavalla - l’officiante del
rito, «risvegliandosi tale che non era chiamato e su levandose, ...
Medioevo Francese nel «Corbaccio», Firenze, Le Lettere, (in part. nella sezione
presenza di Petronio e Apuleio).
. Cfr. V. Schmidt, Ein Trio im Bett: Tema con variazioni bei Catull, Martial, Babrius
und Apuleius, «Groningen Colloquia on the Novel» , , -.
. Il riscontro apuleiano è già indicato dalla nota vergata da Mannelli in margine
al passo del cod. Laur. Plut. . (Mn). In generale cfr. G. Almansi, Alcune osservazioni
sulla novella dello scolaro e della vedova, «Studi sul Boccaccio» , , -.
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
preso il pivuolo col quale egli piantava gli uomini e prestamente
nel solco per ciò fatto messolo, disse “e questo sia bel petto di
cavalla”» (Dec. , , ).
Restando all’ottava giornata e passando alla novella successiva a quella dello scolare, non riesce difficile scorgere, nella
costruzione del ménage incrociato che coinvolge due amici senesi, Spinelloccio Tavena e il Zeppa di Mino, e le rispettive
consorti, una divertita combinazione di motivi tradizionali e
apuleiani, anche perché non manca il segnale asinino a mettere
in allarme il lettore (Dec. , . : «quale asino dà in parete tal
riceve»). Spinelloccio, uso a giacere con la moglie dell’amico,
viene serrato in una cassa, sulla quale il Zeppa pareggia i conti.
Uscito dalla cassa, il marito gabbato propone una soluzione
innovativa al problema delle coppie di fatto: «Zeppa, noi siamo
pari pari ... è buono che noi stiamo amici come solevamo; e
non essendo tra noi dua niun’altra cosa che le mogli divisa, che
noi quelle ancora comunichiamo» (Dec. , , ). Insomma, ciascuna delle donne ebbe due mariti, e ciascun di loro ebbe due
mogli, «senza alcuna quistione o zuffa mai per quello insieme
averne». Si rende così stabile, con l’aggiunta di un elemento
equilibratore, la soluzione precaria e temporanea adottata – come sappiamo - al termine della vicenda apuleiana della moglie
del mugnaio (e riproposta nella chiusa della novella di Pietro
da Vinciolo): plane cum uxore mea partiario tractabo. nec herciscundae familiae sed communi dividundo formula dimicabo, ut sine
ulla controversia tribus nobis in uno conveniat lectulo (Apul. Met.
, , ). Si aggiunga che anche Dec. , , cioè la novella del
medico maestro Simone alle prese con Bruno e Buffalmacco,
non sembra esente da echi apuleiani: quando si racconta dei
presunti sortilegi che permetterebbero all’allegra brigata dei
seguaci di Michele Scotto di convocare disponibilissime amanti
da tutte le parti del mondo (Dec. , , sgg.), sembra agire per
via antifrastica il ricordo degli incantesimi praticati dalle maghe
apuleiane, Panfile in testa, per congiungersi ovunque con ogni
tipo di amanti.
Rileggendo Petronio e Apuleio
.. Metamorfosi di storie: due novelle d’adulterio
Qualche considerazione infine sulle due novelle (Dec. , e
, ) in cui la presenza apuleiana non si limita a spunti isolati,
ma orienta l’intero intreccio: per dirla con le parole di Vittore
Branca, sono «le uniche due novelle per cui si possa richiamare
una fonte classica» in quanto discendono «proprio dallo scrittore latino, Apuleio, che la cultura medievale – per testimonianza
del Boccaccio stesso – sentì quasi come un precursore» . Alle
spalle dei due testi di Boccaccio stanno due sezioni del libro
IX delle Metamorfosi dello scrittore africano (rispettivamente
Met. , - per Dec. , e Met. , - per Dec. , ) : libro
. V. Branca, Boccaccio medievale cit., -. Oltre che dalle postille di Mannelli,
i rapporti con il testo apuleiano sono segnalati da una tradizione che muove da
Lodovico Castelvetro, La Poetica d’Aristotile volgarizzata ed esposta, P. de Sedabonis,
Basilea , (per Dec. , ) e (per Dec. , ). Cfr. U. De Maria, Dell’Asino d’oro
di Apuleio e di varie imitazioni, Roma , sgg.; L. Di Francia, Alcune novelle del
Decameron illustrate nelle fonti, «Giornale Storico della Letteratura Italiana» , ,
-; L. Cappelletti, Osservazioni storiche e letterarie e notizie sulle fonti del Decamerone,
Cappelli, Rocca di San Casciano , sgg.; G. Petronio, Da Apuleio a Boccaccio
cit.; E.H. Haight, Apuleius and Boccaccio, in Ead., More Essays on Greek Romances,
Longmans, Green, and Co., New York , sgg.; D. Radcliff-Umstead, Boccaccio’s Adaptation of Some Latin Sources for the Decameron, «Italica» , , -; L.
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Decameron, ED.I.M., Bologna , -; R. Klesczewski, Erzählen als Kriegskunst:
zum Begriff ‘Erzählstrategie’ (mit Anwendung auf Texte von Apuleius und Boccaccio), in
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’Decameron’. Pratiche testuali e interpretative, Cappelli, Bologna , sgg.; R. Scrivano, Il modello e l’esecuzione, Liguori, Napoli , - (Avventure dell’Asino d’oro nel
Rinascimento); J. Walters, ’No More than a Boy’: The Shifting Construction of Masculinity
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sulla via del romanzo. Metamorfosi di un genere tra antico e moderno, «arnovit. Archivio
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Tales in the Ninth Book of Apuleius’ Metamorphoses, «Hermes» , , -; S.
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. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
che si presenta come vero e proprio dossier antico sulle forme
di adulterio di solito riservate allo spettacolo scollacciato del
mimo e qui riproposte come esito divertito della storiografia dell’asino umano, insospettato e insospettabile testimone
oculare e narratore delle piccole infamie e nequizie della vita
di tutti i giorni. In entrambi i casi il tracciato narrativo delle
’novelle’ apuleiane viene seguito con fedeltà non inerte, nel
senso che l’ordo rerum interno è rispettato in maniera abbastanza scrupolosa – a conferma, si sarebbe tentati di ribadire, che
l’autore moderno si stia avvalendo di mediazione più concreta
di quella offerta da scarni florilegi oppure da saltuarie suggestioni di memoria –, ma secondo intenzioni e caratterizzazioni
che non appartengono all’autore antico. Tanto per cominciare,
Boccaccio non tiene conto della successione delle due novelle
entro la scansione narrativa del libro IX, costruito secondo un
evidente ’crescendo’ della malvagità femminile che culminerà
con le figure delle avvelenatrici del X libro delle Metamorfosi.
Nelle riprese del Decameron non c’è traccia della vena apertamente misogina che anima i due racconti di Apuleio e che
altrove Boccaccio, comunque, mostra di condividere . Qui la
prospettiva è capovolta e dichiaratamente filo-femminile: mentre i mariti apuleiani, un faber e un pistor, sono dei poveracci
che si affaticano senza tregua per mantenere mogli della peggior specie , i personaggi positivi in Boccaccio sono le donne:
contes d’adultère chez Apulée et leur réception à la Renaissance italienne, in AA.VV., La
réception de l’ancien roman de la fin du Moyen Age au début de l’époque classique, Maison
de l’Orient et de la Méditerranée, Lyon , -.
. In merito si rinvia a C. Cazalé Bérard, Filoginia/misoginia, in R. Brigantini,
P.M. Forni (a c. di), Lessico Critico Decameroniano, Bollati Boringhieri, Torino ,
-. Ma si veda R. Martinez, Apuleian Example and Misogynist Allegory in the Tale
of Peronella (Decameron VII.), in T.C. Stillinger, F.R. Psaki (a c. di), Boccaccio and
Feminist Criticism, «Annali d’Italianistica», , -; M.G. Eisner, M.D. Schachter,
“Libido Sciendi”: Apuleius and the Study of the History of Sexuality, «Modern Language
Association» , , -.
. Si tratta, rispettivamente, di un povero fabbro salariato e di un mugnaio.
Apul. Met. , , -: is gracili pauperie laborans fabriles operas praebendo parvis illis
mercedibus vitam tenebat. erat ei tamen uxorcula ... postrema lascivia famigerabilis. ... dum
matutino ille ad opus susceptum profiscitur, statim latenter inrepit eius hospitium temerarius
Rileggendo Petronio e Apuleio
la «bella e vaga» Peronella, trascurata dal marito muratore tenuto dal bisogno troppo tempo fuor di casa (Dec. , , ); la
giovane di pel rosso, «bella e fresca, gagliarda e poderosa», presa in isposa dal ricco Pietro da Vinciolo «per ingannare altrui
e diminuire la generale oppinion» di sodomia (Dec. , , -).
In entrambi i casi l’adulterio femminile sembra scaturire naturaliter dall’andamento problematico del matrimonio e non
implica – a differenza del modello latino – condanna morale
nei confronti delle protagoniste .
Dunque, come si è detto, la prospettiva è positiva: lo è senza
dubbio in Dec. , , novella ambientata a Perugia e posta in
chiusa della quinta giornata, «nella quale, sotto il reggimento di
Fiammetta si ragiona di ciò che a alcuno amante, dopo alcuni
fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse» . Il tema
generale della giornata trova qui una conclusione, per così dire,
moltiplicata: «non solo tutti e tre i protagonisti, dopo le varie
peripezie, sono felici e appagati, ma il giovinetto, invece di un
amante, ne trova due» . A proposito delle predilezioni omoeadulter. Apul. Met. , , : pistor ille, qui me pretium suum fecerat – racconta l’asino
umano – bonus alioquin vir et adprime modestus, pessimam et ante cunctas mulieres longe
deterrimam sortitus coniugam poenas extremas tori larisque sustinebat. ... nec enim uel
unum vitium nequissimae illi feminae deerat, sed omnia prorsus ut in quandam caenosam
latrinam in eius animum flagitia confluxerant.
. Cfr. A. Bonadeo, Marriage and Adultery in the Decameron, «Philological
Quarterly» , , -.
. Oltre ai saggi di AA. VV., Sulla giornata V del Decameron, «Studi sul Boccaccio»
, , cfr. R. Fleming, Happy Endings? Resisting Women and the Economy of Love in
Day Five of Boccaccio’s Decameron, «Italica» , , -.
. Così V. Branca nella nota conclusiva alla novella, nell’ed. einaudiana del
Decameron, Torino (rist. ), . Sempre V. Branca, Su una redazione autografa del Decameron anteriore a quella conservata nell’autografo hamiltoniano, «Studi sul
Boccaccio» , , , dopo aver ricordato che il Parigino It. , rivisto e illustrato
dall’autore stesso, è anteriore al cod. Hamilton , segnala una variante significativa
nel finale della novella di Pietro da Vinciolo: nella prima redazione, in Dec. , , , si
legge «in su la Piazza fu il giovane da Pietro accompagnato», mentre nella seconda il
testo suona «in fino in su la Piazza fu il giovane, non assai certo qual più stato si fosse
la notte o moglie o marito, accompagnato». Sorridente conclusione non indegna di
stare alla pari con quella apuleiana, comunque venata di punte misogine: pudicissima illa uxore alterorsus disclusa solus ipse cum puero cubans gratissima corruptarum
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
rotiche di Pietro da Vinciolo, la critica ha opportunamente
segnalato i contenuti di una commedia, elegiaca del XII-XIII
secolo oppure umanistica del Quattrocento, vale a dire la Conquestio uxoris Cavichioli – in cui uxor quedam conqueritur de marito
sodomita –, come elementi di confronto letterario con la novella di Boccaccio, per quanto concerne il modo di delineare
il comportamento del marito e, di conseguenza, nel sottrarre
il comportamento della moglie ad aperta condanna . Il riferimento, più che probabile, nulla toglie tuttavia all’influenza del
modello apuleiano, non solo perché anche sulla Conquestio si
avverte il riflesso di Apul. Met. , -, ma soprattutto perché
Boccaccio non occulta il proprio effettivo interesse nei confronti delle storie apuleiane d’adulterio. Come primo segnale si
possono ricordare le postille vergate sui margini di φ, ff. v –
r. All’altezza dell’inizio della favola (Met. , , -) si annota: Fabula de pistore et uxore sua nequissima; più avanti, quando
il pistor giustifica il proprio ritorno anzitempo col “racconto
nuptiarum vindicta perfruebatur (Apul. Met. , , ).
. Editio princeps a cura di E. Franceschini, Due testi latini inediti del Basso
Medioevo, «Atti dell’Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Padova» n.s. , -,
- (poi in Id., Scritti di filologia latina medievale, I, Antenore, Padova , -).
Cfr. M. Pastore Stocchi, Un antecedente latino-medievale di Pietro da Vinciolo, «Studi sul
Boccaccio» , , - (secondo cui la Conquestio è tenuta presente da Boccaccio);
D. Radcliff-Umstead, The Birth of Modern Comedy in Renaissance Italy, Univ. of Chicago
Press, Chicago-London , sg.; I. Gualandri, G. Orlandi, Commedia elegiaca o
commedia umanistica? Il problema ‘De Cavichiolo’, in S. Boldrini (a cura di), Filologia e
forme letterarie. Studi offerti a Francesco della Corte, V, QuattroVenti, Urbino , ; N. Carlidge, Homosexuality and Marriage in a Fifteenth-Century Humanist Comedy:
The Debate between Cavichiolus and his Wife, «The Journal of Medieval Latin» , ,
-; A. Bisanti, Appunti sul testo e sulle fonti del ‘De Cavichiolo’, commedia umanistica
del XV secolo, «Interpres» , , -; Id., Anonimo. De Cavichiolo (ed. critica, trad.
e comm.), SISMEL. Edizioni del Galluzzo, Firenze ; Id., Il ‘De Cavichiolo’: una
commedia umanistica al crocevia di generi diversi, in S. Pittaluga, P. Viti (a cura di),
Comico e tragico nel teatro umanistico, Ledizioni, Milano , -. La Conquestio
è antologizzata in J.J. Wilhelm, Gay and Lesbian Poetry: An Anthology from Sappho to
Michaelangelo, Garland Publishing, New York-London , sgg. Le predilezioni
sessuali di Pietro da Vinciolo e, di contro, l’umorosa imparzialità esibita dal mugnaio
apuleiano sono esaminate, senza nulla concedere alla verve narrativa e alle intenzioni
dei due autori, nel saggio Forgetting Foucault presente nel vol. di D.M. Halperin, How
to Do the History of Homosexuality, Univ. of Chicago Press, Chicago , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
speculare” dell’adulterio della moglie del tintore e dell’amante
nascosto nel ripostiglio sulfureo della lavanderia , le chiose di
Boccaccio seguono gli sviluppi del racconto, dapprima con il
segnale puntato sull’incipit (Fabula de uxore fullonis), poi con le
indicazioni sugli effetti dello zolfo, che fa sternutire il ’secondo
adultero’ (Sternutatio), e sulle automatiche reazioni dei presenti (Nota solitum sternutanti salutem imprecari); infine con i due
marginalia che segnano la scoperta dell’amante celato in alveo
ligneo , a causa dell’asino che ne calpesta le dita incautamente
sporgenti dal cassone (Digitos), e la soluzione adottata dal mugnaio, che esige gli stessi diritti della consorte sulle grazie del
giovane amante (Partiario) .
Nella redazione di Boccaccio la novella si chiude con un
distaccato accenno a exploits notturni «a soddisfacimento di
tutti e tre» e con il successivo congedo del giovane amante in
preda a qualche dubbio sulla propria identità sessuale (Dec. ,
, -); manca pertanto il finale cupo della storia apuleiana
che culmina con il ripudio della non irreprensibile sposa e con
la di lei vendetta mortale a suon di magia nera (Apul. Met. , ). Ma la nuova redazione del racconto non si ferma a questa
innovazione, per altro congruente con le diverse connotazioni
imposte ai personaggi da Boccaccio. Ne vanno segnalate, infatti,
almeno altre due o tre. La prima, a ben vedere, consiste nella
trasposizione di un passo lontano nell’ordo rerum apuleiano,
. Come spesso avviene nel tessuto delle Metamorfosi, la fabula de uxore fullonis
(Apul. Met. . -) è incastonata nella fabula della moglie del mugnaio, il quale si fa
promotore del racconto per dar ragione del proprio prematuro ritorno: Boccaccio
ne sfrutta pienamente l’efficacia metanarrativa in Dec. , , -. Per la funzione
letteraria del racconto che riflette se stesso si rinvia a L. Dällenbach, Il racconto
speculare. Saggio sulla mise en abyme, tr. it., Pratiche Editrice, Parma .
. Cfr. Verg. Aen. , -. Ultimo miserabile discendente di eroici marchingegni capaci di epiche conquiste di città nemiche, il cassone delle granaglie si presenta
come malsicuro strumento di difesa di facili amori e squallido armamentario di
scena da mimo (V. Schmidt, Ein Trio im Bett cit., ).
. M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., -. Sul ’diritto’ alla
fruizione condivisa tra coniugi di opportunità extraconiugali si rinvia a quanto detto
supra, a proposito di Dec. , , .
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
ma funzionale alla storia e quindi irrinunciabile: la scena della
vecchia mezzana (Apul. Met. , , : anus quaedam stuprorum
sequestra et adulterorum internuntia), che propone alla donna
un nuovo e più intraprendente amante , viene a trovarsi a
ridosso della notte cruciale, a guisa di presentazione dell’audace e prestante giovanotto, in quanto la novella del Decameron
non può farsi carico del racconto intercalato, nelle Metamorfosi, alla vicenda principale (Apul. Met. , -) . Si tratta di
spostamento inevitabile, ma comunque significativo: insieme
all’incipit, tributario e contrario – come si è visto – di Met. , ,
, mostra come Boccaccio abbia saputo cogliere l’unità della
storia apuleiana al di là delle strategie narrative messe in atto
dal modello antico. La seconda innovazione è più sostanziosa e viene imposta dalla pratica di excerptor imposta all’autore
dalla struttura stessa di una raccolta di novelle rispetto a un
continuum narrativo. Come è noto, nelle Metamorfosi spetta a
Lucio-asino, nella duplice veste di narratore e attore della vicenda, il compito di svelare la tresca al marito, intervenendo
volutamente sulla mano dell’amante nascosto. In particolare,
l’abnorme personaggio, indignato per gli spudorati commenti della sposa sul comportamento della moglie del tintore e
per l’offesa perpetrata ai danni del mugnaio, si sente vicario
di caelestis providentia e opera come vendicatore ufficiale del
misfatto, approfittando dell’abbeverata serale come occasione di vendetta. Così l’asino umano narra in prima persona la
. Cfr. D. Tripp, The Baker’s Wife and her Confidante in Apuleius, Met. IX ff.,
«Emerita» , , -.
. Si tratta della novella di Barbarus, Philesitherus e Myrmex narrata dalla
mezzana alla moglie del mugnaio: sui rapporti con le altre storie d’adulterio cfr. P.
James, Unity in Diversity. A Study of Apuleius’ Metamorphoses with Particular Reference to
the Narrator’s Art of Transformation and the Metamorphosis Motif in the Tale of Cupid and
Psyche, Olms, Hildesheim-Zürich-New York-Bern-Frankfurt a. M.-Paris , -.
Di passaggio, mette forse conto ricordare che la vicenda verrà ripresa nel testo che
viene considerato il primo esempio di commedia “regolare” in prosa italiana, vale
a dire Il Formicone, azione scenica di Publio Filippo Mantovano rappresentata alla
corte di Francesco Gonzaga, Mantova nel (ed. critica a cura di L. Stefani, Ferrara
).
Rileggendo Petronio e Apuleio
propria funzione di strumento provvidenziale: praetergrediens
observatos extremos adulteri digitos, qui per angustias cavi tegminis prominebant, obliquata atque infesta ungula compressos usque
ad summam minutiem contero, donec intolerabili dolore commotus,
sublato flebili clamore repulsoque et abiecto alveo, conspectui profano redditus scaenam propudiosae mulieris patefecit (Apul. Met.
, , ). A Boccaccio è ovviamente preclusa la possibilità di
far agire un asino dagli intendimenti umani in qualità di vindice consapevole di vergognose prassi d’adulterio in nome di
più alti disegni. Pertanto si rimane a livello degli accadimenti
fortuiti e si compie un’ulteriore metamorfosi in declino ontologico (dall’uomo imbestiato alla bestia tout court), col risultato di
affidare a un asino qualunque – anonima e depotenziata ipostasi letteraria – il compito di compiere in maniera fortunosa
quanto nel modello antico rappresenta una scelta deliberata
(mihi ... cogitanti mecumque sedulo deliberabam) che riavvicina il
protagonista imbestiato al recupero della dimensione umana:
«Avvenne che, essendo la sera certi lavoratori di Pietro venuti
con certe cose dalla villa e avendo messi gli asini loro, senza
dar lor bere, in una stalletta la quale allato alla loggetta era,
l’un degli asini, che grandissima sete avea, tratto il capo del
capestro era uscito della stalla e ogni cosa andava fiutando se
forse trovasse dell’acqua; e così andando s’avvenne per mei la
cesta sotto la quale era il giovinetto. Il quale avendo, per ciò che
carpone gli convenia stare, alquanto le dita dell’una mano stese
in terra fuori della cesta, tanta fu la sua ventura, o sciagura che
vogliam dire, che questo asino ve gli pose sù piede, laonde egli,
grandissimo dolor sentendo, mise un grande strido» (Dec. ,
. La metafora non è casuale: in termini di spettacolo questa è la scena-madre
del mimo della cesta (cfr. supra, n. ). In generale sugli aspetti ‘teatrali’ della narrativa
apuleiana interviene S. Frangoulidis, Roles and Performances in Apuleius’ Metamorphoses, Metzler, Stuttgart-Weimar ; si veda altresì W. Keulen, The Wet Ritual of the
Excluded Mistress: Meroe and the Mime, in R.R. Nauta (a c. di), Desultoria scientia, cit.,
, -.
. Cfr. per es. A. D’Antonio, Avventure letterarie di un asino (Decameron V),
«Quaderni d’Italianistica» , , -.
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
, -) . La terza innovazione riguarda i discorsi successivi
alla scoperta dell’adultero. In Apuleio (Met. , , - e , )
la parola compete unicamente al mugnaio, che si rivolge due
volte all’incauto giovine per farsene beffe, una volta prima di
trascinarlo a letto e poi dopo la notte segnata dalla vendetta
delle nuptiae corruptae, mentre la casta sposa viene rinchiusa
in altra stanza senza che le sia concesso di proferire motto .
In Boccaccio, di contro, Pietro da Vinciolo si limita a scarne
battute – per lo più concilianti, ma sempre mirate a fruizioni
alternative –, mentre la donna si esibisce in una vivace tirata –
confrontabile col lamento dell’uxor Cavichioli – sulla confusione
dei ruoli causata dalle opzioni erotiche del marito . Dell’esito,
favorevole a Pietro ma non troppo punitivo per la consorte, si è
detto, anche se resta in sospeso a chi dei due vada effettivamente riferita la massima scandita da Dioneo come sigillo finale
della novella (Dec. , , : «Per che così vi vo’ dire, donne mie
care, che chi te la fa, fagliele, e se tu non puoi, tienloti a mente
fin che tu possa, acciò che quale asin dà in parete tal riceva»).
Nessuna ambiguità, invece, è dato riscontrare nella storia
di Peronella (Dec. , ), narrata da Filostrato e vero emblema
della settima giornata, in cui «sotto il reggimento di Dioneo si
ragiona delle beffe, le quali o per amore o per salvamento di
loro le donne hanno già fatte a’ suoi mariti, senza essersene av. Il passo del Decameron permette di chiarire come sia stata intesa la postilla
Digitos che abbiamo visto apposta a Met. , , ; Boccaccio non ha dubbi e scrive «le
dita dell’una mano». E’ questa la resa appropriata, di solito accolta da traduttori e
interpreti moderni. Va tuttavia segnalato che i commentatori apuleiani di Groningen
sembrano propendere non per «fingers» ma per «toes» (Groningen Commentary on
Apuleius’ Metamorphoses IX, cit., ).
. Cfr. Apul. Met. , , . talis sermonis blanditie cavillatum deducebat ad torum
nolentem puerum, sequentem tamen (eco ironica del detto di Cleante riportato da Sen.
Epist. , : ducunt volentem fata, nolentem trahunt).
. Cfr. sempre Apul. Met. , , , riportato in n. .
. Dec. , , -, da leggere alla luce di M. Pastore Stocchi, Un antecedente
latino-medievale di Pietro da Vinciolo, cit., sgg. (art. discusso a proposito dei rapporti
di cronologia reciproca tra Boccaccio e l’anomimo autore della Conquestio). Cfr.
anche S. Gaylard, The Crisis of Words and Deed in Decameron V, , in G. Allaire (a c.
di), The Italian Novella. A Book of Essays, Routledge, London-New York , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
veduti o sì» . Un po’ d’attenzione ai nomi non sembra ozioso
passatempo : Dioneo, come si è visto, è il narratore di Dec. ,
e porta un nome che compare come epiteto dell’autore giovane in preda a pene d’amore in Epist. II (me miserum rudem ...
a Dyona spurcissimum dyoneum) ; Filostrato è nome evocativo
di scritture partenopee; Peronella, che fa uscire dall’anonimato
la spregiudicata moglie del faber apuleiano, è nome non raro
nella Napoli angioina e ha come precedente la bella Peronella
d’Arco citata nella Caccia di Diana (, e , ), poemetto
in terza rima che apre la stagione poetica di Boccaccio . Gli
antroponimi convergono tutti verso il periodo giovanile dell’autore e portano con sé una non troppo implicita indicazione
topografica, Napoli , che puntualmente troviamo come spazio cittadino in cui è ambientata la novella moderna: «Egli non
è ancora guari che in Napoli un povero uomo prese per moglie
una bella e vaga giovinetta chiamata Peronella» (Dec. , , ).
Napoli e giovinezza: sono le coordinate spazio-temporali che
valgono a identificare il periodo più intenso della formazione
dell’autore, periodo che tra l’altro coincide – lo sappiamo – con
. Cfr. C. Segre, Funzioni, opposizioni e simmetrie nella giornata VII del “Decameron”, in Le strutture e il tempo, Einaudi, Torino , -. Per i giochi dell’intertestualità cfr. M. Picone, Dal romanzo antico alla novella medievale: Decameron II. ,
in M. Picone, B. Zimmermann (a c. di), Der antike Roman und seine mittelalterliche
Rezeption, Birkhäuser, Basel , -.
. Come insegna la tradizione classica (Cic. Tusc. , : nomina sunt consequentia
rerum) e come si ricava da L. Sasso, L’Interpretatio Nominis in Boccaccio, «Studi sul
Boccaccio» , , -.
. Cfr. A. Duranti, Le novelle di Dioneo, in AA.VV., Studi di filologia e critica offerti
dagli allievi a Lanfranco Caretti, Salerno Ed., Roma , -; E. Grimaldi, Il privilegio
di Dioneo. L’eccezione e la regola nel sistema “Decameron”, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli .
. Anche il nome dell’amante, Giannello Scrignario, rinvia all’ambiente napoletano e alla medesima opera: l’importanza della famiglia feudale degli Scrignari è
infatti ricordata più volte nella Caccia di Diana (, ; , ; , e ).
. Particolari partenopei sono la contrada «che Avorio è chiamata» in cui abitano
i protagonisti (Dec. , , ), la festa di San Galeone (titolare di culto locale) responsabile
del ritorno anzitempo del marito (Dec. , , ), infine i gigliati, ovvero la moneta
angioina coi gigli di Francia al centro del forzoso e liberatorio acquisto del doglio
(ibid.).
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
la personale riscoperta di Apuleio.
In questa sorta di rimpatriata della memoria l’autore antico
occupa posto di rilievo, già segnalato – manco a dirlo – dalle
postille marginali su f. rv di φ. La lepida fabula d’adulterio ai
danni di un povero fabbro, che torna a casa prima del previsto
ignarus rerum , è narrata dall’asino novelliere e ha inizio in
Met. , , ; a quell’altezza in margine si legge: Fabula de fabro
pauper«i»; più avanti le «mani in tasca» (insinuatis manibus) di
Met. , , rinfacciate dalla moglie al muratore come segno
di pigrizia, danno adito a una spiegazione marginale di tipo
etimologico (in sinum positis). Lo stesso si può dire per pernox
(chiosato idest vigilans in nocte) che compare poco dopo, nello
stesso passo, in coppia con perdia a indicare presunti meriti
domestici della donna, che vanta il proprio impegno di filatrice
a tempo pieno ut intra cellulam nostram saltem lucerna luceat
(ibid.) . In Met. , , - il battibecco tra marito e moglie che dà
vita all’insolita e improvvisata asta sul prezzo del doglio, in cui si
cela l’amante, si gioca sulla non facile vendita operata dal marito
(istud ego quinque denariis cuidam venditavi) e sul prezzo più
. Come vuole la tradizione dei mimi d’adulterio; cfr. P.H. Kehoe, The Adultery
Mime Reconsidered, in D.F. Bright, E.S. Ramage (a c. di), Classical Texts and their
Tradition. Studies in Honor of C.R. Trahman, Scholar Press, Chico (Cal.) , -.
. Il testo è riportato supra, in n. . Si noti come Boccaccio non solo trasformi
il faber in muratore, ma volga l’espressione latina parvis illis mercedibus vitam tenebat,
riferita al solo marito (ché la moglie, postrema lascivia famigerabilis, è in altre faccende
affaccendata), al plurale e coinvolga anche Peronella nel faticoso andamento domestico: «e esso con l’arte sua, e ella filando, guadagnando assai sottilmente, la lor vita
reggevano come potevano il meglio» (Dec. , , ). Confronto tra i due testi in M.G.
Bajoni, La novella del dolium in Apuleio, Metamorfosi IX - e in Boccaccio, Decameron
VII,, «Giornale Storico della Letteratura Italiana» , , -.
. Il passo apuleiano e le espressioni postillate trovano ospitalità in Boccaccio,
mediante indicazioni equivalenti ma in ordine inverso rispetto all’originale: «non
fo il dì e la notte altro che filare, tanto che la carne mi s’è spiccata dall’unghia, per
potere almeno aver tanto olio, che n’arda la nostra lucerna. ... e tu mi torni a casa
con le mani spenzolate quando tu dovresti essere a lavorare» (Dec. , , -).
. Cfr. Groningen Commentary on Apuleius’ Metamorphoses IX, cit., p. : quinque
denariis è lezione di φα, mentre F presenta rasura in cui una secunda manus ha scritto
septem, forse perché condizionata dalla presenza di una s (in base alla quale Robertson
congettura sex) e dalla cifra successiva su cui si assesta la compra-vendita. Anche L ,
Rileggendo Petronio e Apuleio
alto ottenuto dalla donna senza fatica nell’immaginaria vendita
all’amante-acquirente e motivo di compiacimento per l’ignaro
consorte (ego mulier ... septem denariis vendidi ... abditamento
praetii laetus maritus ...): sui margini di φ la scenetta viene
segnata da duplice postilla di natura lessicale (vendito all’altezza
della battuta del marito; abditamento al termine della battuta
della moglie) .
A differenza di quanto accadrà nella novella del Novelliere
di Giovanni Sercambi, ricalcata in maniera pedissequa sulla
novella di Peronella , il testo di Boccaccio si muove con vivace
libertà nei confronti del modello, con cui sembra impegnato in
garbata gara di emulazione in grado di conservare una fedeltà
sostanziale ai punti cruciali dell’impianto narrativo apuleiano,
senza tuttavia precludersi la via a sottrazioni e ad aggiunte che
conferiscono nuovo aspetto alla vicenda. Due dettagli possono
soccorrere in proposito. Il primo riguarda una variazione in
assenza: in Apuleio l’amante, quando riemerge dalla giara e
asseconda lo stratagemma della compra-vendita, contesta il
cattivo stato del contenitore e la sporcizia che si è accumulata
al suo interno: hoc tibi dolium nimis vetustum est et multifariam
rimis hiantibus quassum. ... lucernam .... mihi expedis, ut erasis
intrinsecus sordibus diligenter aptumne usui possim dinoscere; e il
marito, sua sponte, si sobbarca la pulizia nel chiuso della giara,
concedendo così libertà di manovra agli amanti (Met. , , -).
Boccaccio conosce il mondo mercantile e ritiene inverisimile,
anche in una trattativa fittizia inscenata come diversivo per
il codice Laurenziano . autografo di Boccaccio, reca quinque in accordo con φα;
e in Dec. , , - si legge che da cinque a sette «gigliati» sale il prezzo della giara
nell’immaginaria trattativa che segna il trionfo dell’astuzia di Peronella.
. Abditamento è lezione di F e di φ, confermata dalla postilla di Boccaccio; si
tratterebbe di hapax (da abdere, nascondere) che non dà senso, nonostante il tentativo
di spiegazione di Beroaldo come detractatio o deductio pretii; gli editori moderni
correggono in additamento, attestato dai recenziori.
. Cfr. M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., -.
. Cfr. per es. L. Rossi, Sercambi e Boccaccio, «Studi sul Boccaccio» , , -.
Per il testo si ricorre all’ed. curata da Luciano Rossi: G. Sercambi, Il Novelliere, I-III,
Salerno Ed., Roma .
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
ben altra impresa, che si possa offrire un prezzo più alto e
insieme constatare come l’oggetto dell’acquisto sia in pessime
condizioni. Scompaiono pertanto dalla giara le crepe e i segni
del tempo; Giannello sa dare alle sue parole congruenza con
l’offerta di prezzo maggiore: «Il doglio mi par ben saldo, ma
egli mi pare che voi ci abbiate tenuta entro feccia, ché egli è
tutto impastricciato di non so che cosa sì secca, che io non ne
posso levar con l’unghie, e però io nol torrei se io nol vedessi
prima netto» (Dec. , , ); il che permette a Peronella – in
linea con l’effettivo protagonismo femminile della novella – di
intervenire e assicurare che il marito eseguirà la ripulitura, per
non mandare all’aria l’affare.
Il secondo dettaglio consiste in una variazione con aggiunta.
Si è già avuto modo di citare, a proposito della novella di Frate
Puccio (Dec. , , -), l’audace scenetta finale della donna,
che sta china sull’orlo della giara, indicando al consorte dove
pulire e permettendo all’amante operazioni di retroguardia in
tutta tranquillità. Ne ricordiamo ora il passo centrale (at vero
adulter bellissimus ille pusio inclinatam dolio pronam uxorem fabri
superincurvatus secure dedolabat. Apul. Met. , , -), un po’ per
segnalare che la non ambigua metafora ha attirato l’attenzione
del chiosatore, che in margine di f. v di φ verga a guisa di
postilla l’infinito presente del verbo (dedolare) , soprattutto per
osservare come Boccaccio non si sottragga alla scena, ma vi aggiunga un particolare ricavato da altra fonte classica: Giannello
. Per il significato del verbo («to hew into shape», «tagliare, sgrossare, piallare») e le occorrenze in accezione oscena cfr. Groningen Commentary on Apuleius’
Metamorphoses IX, cit., ; S. Mattiacci, Apuleio. Le novelle dell’adulterio, cit., -.
Come osserva A. Scobie, The Influence of Apuleius’ Metamorphoses in Renaissance Italy
and Spain, cit., , il verbo piacerà a Girolamo Morlini, che lo impiegherà un paio
di volte nella sua raccolta di novelle in latino di stampo apuleianeggiante (Napoli
; G. Morlini, Novelle e favole, a cura di G. Villani, Salerno Ed., Roma ): in
nov. (illam dedolare cepit) e (de famulo pistoris qui pistricem dedolavit). A valutare
l’influenza congiunta di Apuleio e Boccaccio, è sufficiente ricordare gli argomenti
di nov. (de puero qui deprehensus in adulterio a viro paedicatus deverberatusque fuit)
e (de adultero qui uxorem in praesentia viri in dolio permanentis retromarte delibat),
nonché l’ordine in cui si susseguono le due novelle.
Rileggendo Petronio e Apuleio
«a lei accostatosi, che tutta chiusa teneva la bocca del doglio, e
in quella guisa che negli ampi campi gli sfrenati cavalli e d’amor
caldi le cavalle di Partia assaliscono, a effetto recò il giovanil
desiderio» (Dec. , , ). Passando da Apuleio a Boccaccio, la
metafora abbandona la sfera del lavoro artigianale e si istalla
nel mondo della riproduzione equina: il che avviene non in
forza di personali interessi per la dimensione naturale (more
ferarum) dell’operazione, ma grazie a intenzionale ripresa di
una figura Veneris ben attestata nella poesia augustea mediante
corto-circuito tra le tecniche militari dei Parti, che combattono aversis equis, e il non inerte comportamento amoroso delle
cavalle .
Come si vede, anche quando opera sotto l’influenza di un
modello forte e collaudato o segue una fonte saldamente individuata, Boccaccio non si mostra opaco tributario dei testi
eletti a propria guida: non si limita, insomma, a riprodurre scolasticamente le storie che hanno suscitato il suo interesse, ma
rielabora i materiali narrativi prescelti intarsiandoli di tessere
musive, proprie o altrui, che portano il segno inequivocabile
della sua presenza attiva sulla pagina. E’ interessante notare
come questo aspetto – vistoso nel caso di Apuleio ma visibile
sempre qualora siano individuate le fonti – tenga aperto, in sede
critica, un piccolo problema classificatorio, mirante a salvaguardare l’originalità dell’autore moderno anche nel momento in
cui nitido e riconoscibile si fa il profilo dei debiti contratti con i
precedenti. Si tratta, a ben vedere, di un’eredità della cosiddetta
. Per il furor equarum cfr. Verg. Georg. , -; per la posizione erotica evocata
attraverso l’immagine equestre dei Parti cfr. Ov. Ars am. , - e , -: i
riscontri in M. Pastore Stocchi, Note e chiose interpretative. I. Le cavalle di Partia, «Studi
sul Boccaccio» , , -; e in M. Guglielminetti, La tecnica dell’allusione, in
G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (a c. di), Lo spazio letterario di Roma antica. IV.
L’attualizzazione del testo, Salerno Ed., Roma , . Gli «ampi campi» e i «cavalli
d’amore caldi» che «le cavalle cuoprono» (senza bisogno di dislocazioni esotiche e
lontane) ritornano nella nov. di Sercambi che si chiude tuttavia con una truculenta
innovazione anti-boccaccesca, vale a dire con un colpo d’ascia sul naso della moglie
da parte del consorte beffato.
. Da Montecassino a Firenze [. . . ]
critica delle fonti , poco avvertibile da chi pratichi metodi
esegetici di derivazione crociana, ma non eludibile da quanti
continuano a essere interessati alla dinamica dei modelli letterari e alla ricezione moderna dei classici. Bene: in proposito si
possono ricordare formule che sembrano garantire l’indubbia
importanza dei modelli e il livello artistico dei rifacimenti e
delle riprese: ars combinatoria come capacità di accostamento
e ricomposizione creativa dei prelievi dalle proprie o dalle altrui opere ; arte dell’allusione, di pasqualiana memoria, che
permette a Boccaccio di «riaffermare la propria indipendenza
complessiva da Apuleio proprio nel momento medesimo in
cui ne sembra tributario» ; profondità stratigrafica che sfida
l’interprete a indagare la molteplicità di fonti combinate o sovrapposte in ogni segmento testuale . Sono formule che in
vario modo presuppongono il lavorìo critico nato in seno agli
studi classici per evitare il rischio – in cui è incorsa la filologia
germanica dell’Ottocento e del primo Novecento – di esaltare
la grandezza dei modelli, di solito identificati con gli autori greci, e deprimere a rango di copie le opere degli autori latini, di
frequente considerati alla stregua di semplici imitatori. In realtà,
l’intera produzione letteraria del mondo classico ruota attorno
al concetto di mimesis/imitatio e, almeno da Aristotele in poi,
non annette giudizio negativo alla prassi imitativa, in quanto
opera di valore viene considerata quella che sa riprodurre i
. Rassegna, a proposito del caso D’Annunzio, in G.F. Pasini, Dossier sulla critica
delle fonti, Pàtron, Bologna .
. La proposta è di G. Velli, Ancora sull’ “elegia di Costanza”. L’ ’ars combinatoria’
del Boccaccio, «Italia Medioevale e Umanistica» , , -; cfr. Id., Petrarca e
Boccaccio. Tradizione, memoria, scrittura, Antenore, Padova .
. M. Guglielminetti, La tecnica dell’allusione, cit., . La nozione di arte allusiva
è acquisizione critica che si deve a Giorgio Pasquali: individuata attraverso lo studio
dei modelli greci di Orazio (Orazio lirico, Sansoni, Firenze , rist. a cura di A. La
Penna, ibid., ), ha trovato formulazione compiuta nell’art. Arte allusiva (),
rist. in G. Pasquali, Pagine stravaganti di un filologo, II, a c. di C.F. Russo, Le Lettere,
Firenze , -. Vd. G.B. Conte, A. Barchiesi, Imitazione e arte allusiva. Modi
e funzioni dell’intertestualità, in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (a c. di), Lo spazio
letterario di Roma antica, I, Salerno Ed., Roma , -.
. S. Marchesi, Stratigrafie decameroniane, Olschki, Firenze .
Rileggendo Petronio e Apuleio
tratti della realtà naturale e sa fare buon uso di formule e motivi
desunti da modelli considerati canonici con i quali ogni autore
che si rispetti è tenuto a misurarsi in una sorta di continua gara
artistica . Ecco: si sarebbe tentati di dire che Boccaccio operi
secondo le stesse regole compositive degli autori dell’antichità,
dei suoi amati classici, sia di quelli noti per lunga tradizione
sia di quelli conosciuti in forza di fortunate riscoperte. Anche
per lui potrebbe valere la formula di Creative Imitation, nata per
cancellare il falso problema della mancata originalità della letteratura latina e successivamente estesa alla prassi compositiva
dell’Umanesimo e del Rinascimento : ovviamente, a patto di
ribadire l’accezione classica di imitatio, che in coppia con aemulatio è requisito primo per ogni aristìa artistica che faccia i conti
con la tradizione e ambisca salire agli stessi livelli raggiunti
dalle opere scelte a modello. L’operazione, in buona sostanza,
implica due giudizi di valore: rifacimenti o riprese predicano
l’esemplarità dei testi d’origine e ne prolungano l’eco nel tempo, dando e ricevendo gloria sul terreno della fortuna letteraria;
e si direbbe che appunto questa sia stata la sorte della coppia
Apuleio-Boccaccio, forieri di reciproca fortuna nella novellistica
e nella cultura figurativa europea .
. Cfr. per es. A. Reiff, Interpretatio, imitatio, aemulatio. Begriff und Vorstellung
literarischer Abhängigkeit bei den Römern, Habelt, Bonn ; S. Halliwell, The Aesthetics
of Mimesis, Princeton Univ. Press, Princeton ; G.F. Gianotti, Imitazione e cultura
letteraria nel mondo antico, in Id. (a c. di), Pensieri sull’imitazione, «Atti dell’Accademia
delle Scienze di Torino. Quaderni» , , -.
. Cfr. D. West, T. Woodman (a cura di), Creative Imitation and Latin Literature,
Cambridge Univ. Press, Cambridge ( ); D. Quint (a cura di), Creative
Imitation. New Essays on Renaissance Literature in Honor of Thomas M. Greene, MRTS,
Binghamton (NY) .
. Cfr. A. Chiari, La fortuna del Boccaccio, in Problemi e orientamenti critici di lingua
e letteratura italiana. III. Questioni e correnti di storia letteraria, Marzorati, Milano
, -; M. Acocella, L’Asino d’oro nel Rinascimento. Dai volgarizzamenti alle
raffigurazioni pittoriche, cit.
Capitolo III
In viaggio con l’asino∗
Anche «les animaux ont une histoire» . Da quando questa storia
si è incontrata con la storia dell’uomo, viaggiare in compagnia
di un quadrupede risulta pratica collaudata e diffusa, antica
quanto la domesticazione degli animali. Tale pratica assegna
al quadrupede ruoli semplici e ben definiti (cavalcatura, traino,
trasporto) che non prevedono possibilità di alternative. A patto,
s’intende, di non aver che fare con situazioni eccezionali – alterazioni dello stato di natura e processi metamorfici – cui per
altro il mito prima, il racconto folclorico e la storia umana poi
concedono non infrequente ospitalità, come sembrano testimoniare le imprese dei Centauri e le lacrime dei divini cavalli di
Achille, il destino astrale di Pegaso, l’aristía di Bucefalo o i fasti
curiali del cavallo di Caligola. Certo, se ci avventuriamo sul
terreno della narrazione paradossografica, sotto la pressione
dei mirabilia rischiamo di perdere contatto con le classificazioni
della zoologia (la scienza dell’animale morto) e con le procedure della zootecnía (le tecniche d’impiego dell’animale vivo),
e magari con le meno problematiche e più soddisfacenti pratiche alimentari nate dall’uso culinario dell’animale sacrificato.
Tuttavia, la perdita o l’attenuazione del crudele modello epistemologico che presiede alla nostra conoscenza degli animali e
La prima redazione è comparsa in F. Rosa, F. Zambon (a c. di), Pothos. Il
viaggio, la nostalgia, Univ. degli Studi, Trento , -.
. Così suona il titolo originale del lavoro di R. Delort, L’uomo e gli animali
dall’età della pietra a oggi, tr. it., Roma-Bari .
. Vd. p. es. l’ampio repertorio di P.M.C. Forbes Irving, Metamorphosis in Greek
Myths, Oxford .
∗
Rileggendo Petronio e Apuleio
all’insufficiente riconoscimento dei loro diritti è compensata a
usura dalle risorse del linguaggio, che a suon di metafore sostituisce i giochi dell’immaginazione alle rigide nomenclature del
reale e può pensare bipedi e quadrupedi entro un’unica categoria sfruttando i margini di libertà espressiva concessi da una
delle più antiche tra le nostre opposizioni semantiche, quella
tra esseri animati ed esseri inanimati .
Sappiamo bene che per il pensiero simbolico antropologia
e zoologia tendono a coincidere e che i processi di identificazione o sostituzione si attuano a due livelli distinti, al termine
di percorsi incrociati e inversi che predicano, con pari credibilità, umanizzazione delle bestie e imbestiamento umano. Nel
primo caso gli animali sono presentati come paradigmi di comportamento o specchio dell’ordine naturale. Nel secondo caso,
sulla filigrana del tradizionale schema gerarchico dei viventi, il
popolo degli animali esibisce la propria inferiorità come segno
di degradazione o fallimento, icastica imago di «matta bestialitate» che marchia un’umanità in preda a vizi ed errori. Di
tali percorsi esiste ricchissima documentazione: a prescindere
dalle infinite apostrofi zoologiche quotidianamente indirizzate ai nostri simili, basti pensare alla tenace tradizione degli
animali parlanti che dalla novellistica orientale, lungo il filone
Esòpo-Fedro-La Fontaine, approda alle moderne riedizioni dei
fumetti disneyani o delle Fattorie orwelliane. D’altra parte è
facile constatare come, dall’antico Fisiologo al recente Manuale
di Borges, le didascalie di Bestiari puntualmente e puntigliosamente rimoralizzati accompagnino la riflessione occidentale
sui comportamenti umani. Si aggiunga il mito della ’generazione umana’ degli animali che, da Pitagora in poi, ha prodotto
inesauste parabole morali miranti a ridisegnare le nuove forme
di vita che sembrano competere a quanti non sappiano mante. Vd. in proposito S. Rocca, Lo specchio oscuro. Il diritto degli animali nei testi
antichi, in AA. VV., Mosaico. Studi in onore di U. Albini, Genova , - (e la
bibliogr. ivi citata).
. Vd. R. Lazzeroni, Il genere indeuropeo. Una categoria naturale?, in M. Bettini (a
c. di), Maschile / Femminile. Genere e ruoli nelle culture antiche, Roma-Bari , -.
. In viaggio con l’asino
nersi indenni da colpe e passioni: si avrà allora sott’occhio una
variegata geografia dell’immaginario in cui materiali folclorici
e dottrine etiche si fanno concorrenza nel riproporre l’antico
incantesimo di Circe sotto forma di metafore zoologiche .
A questa geografia appartiene la letteratura di trasformazioni mirabolanti che la cultura classica ha prodotto con buona
frequenza e ha consegnato come modello narrativo alle culture
delle età successive. Il poema ovidiano ne è l’opera più nota,
ma prossima ad esso, per felicità di trovata e secolare fortuna,
è la storia dell’uomo-asino che, sullo sfondo della narrativa di
paradoxa praticata dalla Seconda Sofistica , conosciamo in duplice versione: greca, attraverso il compendio conservato, col
titolo Lucio o l’asino, nel corpus lucianeo; latina, grazie agli XI
libri di Metamorfosi di Apuleio di Madauro, retore itinerante e
filosofo platonico, nonché novellatore part time . Sulla effettiva
paternità lucianea dell’epitome, sui possibili rapporti reciproci
e la datazione relativa tra i due testi, infine sul fantasma di Lucio
di Patre che aleggia alle spalle di entrambi in virtù delle tarde
notizie del patriarca Fozio , non è qui il caso di riaprire annose
discussioni; va però detto che Apuleio al canovaccio della vicenda ha aggiunto parti sostanziali (le novelle di Socrate e di
. Ci si può orientare sul simbolismo zoologico ricorrendo, p. es., a U. Dierauer,
Tier und Mensch im Denken der Antike, Amsterdam ; J.L. Poirier, Éléments pour
une zoologie philosophique, «Critique» -, , -; F. Zambon, Teologia del
Bestiario, «Mus. Patav.» , , -; M. Alexandre, Bestiaire chrétien : mort, rénovation,
résurrection dans le Physiologus, in F. Jouan (a c. di), Mort et fécondité dans les mythologies,
Paris , -; S. Castiglione, G. Lanata (a c. di), Filosofi e animali nel mondo antico,
Pisa .
. Vd. G. Anderson, The Second Sophistic. A Cultural Phenomenon in the Roman
Empire, London-New York , -. Utile è altresì l’introd. di D.A. Russell al vol.
miscellaneo Antonine Literature, Oxford , -.
. Ed. sinottica: H. Van Thiel, Der Eselsroman. Synoptische Ausgabe, München
.
. Phot. Bibl. cod. . Per la vasta letteratura in merito si possono vedere G.M.
Browne, On the Metamorphoses of Lucius of Patrae, «American Journal of Philology»
, , -; N. Holzberg, Apuleius und der Verfasser der griechischen Eselsroman,
«Würzburger Jahrbücher für Alterumswiss.» N.F. , , -; R. Kussl, Die
Metamorphosen des ’Lukios von Patrai’: Untersuchungen zu Phot. Bibl. , «Rheinisches
Museum» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
Telifrone e la festa del dio Riso nei primi tre libri, la favola di
Cupido e Psyche, la soluzione isiaca dell’XI libro), orientando la
narrazione secondo la bussola della filosofia medioplatonica .
La trama, nelle linee essenziali, è nota. Stando alla redazione
apuleiana, che seguiremo da vicino, il protagonista è Lucio di
Corinto, giovane scholasticus di bell’aspetto e buona condizione
sociale , figlio di Teseo e Salvia, genitori dalle suggestioni culturali sorprendenti: congiunta di Plutarco, la madre dal nome
beneaugurante è garanzia di promettenti parentele filosofiche
aperte a prospettive di salvezza; erede del passato mitico e della
tradizione tragica, il padre dal nome regale è garante di illustri
parentele letterarie (euripidee, senecane e insieme plutarchee)
che affiorano a governare le svolte cruciali dell’intera vicenda .
Forte di dati anagrafici (e di dotti legami) di tutto rispetto, Lucio intraprende un viaggio di affari e istruzione in Tessaglia,
anzi un vero e proprio pellegrinaggio nella terra della magia,
spinto da ingenita curiositas verso le misteriose pratiche per
. Sul posto di Apuleio nella storia del platonismo, oltre a C. Moreschini, Apuleio
e il platonismo, Firenze , e alle indicazioni raccolte da C. Mazzarelli, Bibliografia
medioplatonica. II. Apuleio, «Riv. di Filosofia Neoscolastica» , , -, vd. P.L.
Donini, Le scuole, l’anima, l’impero: la filosofia antica da Antioco a Plotino, Torino
, ss.; S. Gersh, Middle Platonism and Neoplatonism. The Latin Tradition, Notre
Dame (Indiana) ; B.L. Hijmans Jr., Apuleius Philosophus Platonicus, in Aufstieg
und Niedergang der röm. Welt II, . , , -; C. Moreschini, Apuleius and the
Metamorphoses of Platonism, Turnhout .
. Sulla caratterizzazione del protagonista, prima, durante e dopo la metamorfosi, vd. gli interventi di S. Harrison (Lucius in Metamorphoses Books -) e di S. Tilg
(Lucius as Ass in Metamorphoses Books -), in S. Harrison (a c. di), Characterisation in
Apuleius’ Metamorphoses. Nine Studies, Cambridge , - e -.
. Sulle implicazioni insite nei nomi dei genitori vd. J.J. Winkler, Auctor & Actor.
A Narratological Reading of Apuleius’ The Golden Ass, Berkeley-Los Angeles , n.
; G. Fiorencis, G.F. Gianotti, Fedra e Ippolito in provincia, «Materiali e Discussioni
per l’analisi dei testi classici» , , s. (il fascicolo della Rivista, d’ora in poi
«MD», raccoglie Studi sul romanzo antico, a cura di D.P. Fowler e M. Labate).
. Categoria non soltanto negativa, come ha messo in luce la critica; vd. C.C.
Schlam, The Curiosity of the Golden Ass, «Classical Journal» , , -; P. Walsh,
The Rights and Wrongs of Curiosity (Plutarch to Augustine), «Greece & Rome» , ,
-; J. De Filippo, Curiositas and the Platonism of Apuleius’ Golden Ass, «American
Journal of Philology» , , -; M. Tasinato, La curiosità. Apuleio e Agostino,
Milano-Trento ; K. Freudenburg, Leering for the Plot: Visual Curiosity in Apuleius
. In viaggio con l’asino
cui va famosa la regione: meta è la cittadina tessalica di Hypata
(“eccelsa”) , il cui nome sembra evocare ascese a conoscenze
superiori, ma che si rivela invece trappola antifrastica in cui
l’incauto viaggiatore entra bipede ed esce quadrupede, precipitando nelle forme degradate dell’esistenza asinina. Sul valore
simbolico e gli aspetti ideologici della trasformazione ho avuto
modo di soffermarmi in altra occasione, cercando di precisare
come nel racconto l’autore sappia dar vita a una singolare sintesi del patrimonio culturale dotto alla portata di un pubblico non
di élite, compiendo dunque suggestiva opera di mediazione
culturale . Ora, entro la cornice là delineata, vorrei tornare
sulla parte asinina della vicenda, per seguire la straordinaria simbiosi (metensomatosis avrebbero preferito dire i neoplatonici) tra
uomo e animale che assicura nuova mobilità e nuovo mezzo di
locomozione al protagonista nel labirinto del mondo sensibile,
e per vedere altresì come, tra percorsi intricati e illusori, tra
crisi d’identità e inganno dei sensi, si dipani un filo di Arianna
che indichi anche all’asino umano «der Weg zur Wahrheit», il
cammino verso il suo vero essere.
Che il viaggio rappresenti elemento strutturale dei racconti
d’avventure in genere e delle Metamorfosi in particolare è osservazione più volte ribadita dalla critica , ma le peculiarità del
and Others, in M. Paschalis, St. Frangoulidis, S. Harrison, M. Zimmerman (a c. di),
The Greek and the Roman Novel. Parallel Readings, Groningen , -.
. Dati storici e Realien in D.E. Koutroubas, Hypata in Apuleius’ Metamorphoses,
«Parousia» , , -.
. Ho cercato di darne ragione in ’Romanzo’ e ideologia. Studi sulle Metamorfosi
di Apuleio, Napoli , cui rinvio per l’intreccio di motivi che legano metamorfosi
asinina, degradazione morale, perdita di status sociale e libertà.
. Vd. p. es. W. Nethercut, Apuleius’ Metamorphoses: the Journey, «Agon» , ,
-; A. Scobie, The Structure of Apuleius’ Metamorphoses, in B.L. Hijmans Jr., R.T.
van der Paardt (a c. di), Apects of Apuleius’ Golden Ass, Groningen , -; N.
Fick-Michel, Art et mystique dans les Métamorphoses d’Apulée, Paris , -; C.C.
Schlam, The Metamorphoses of Apuleius. On Making an Ass of One Self, London ,
ss.; M. Zimmerman, On the Road in Apuleius’ Metamorphoses, in M. Paschalis, S.
Frangoulidis, (a c. di), Space in the Ancient Novel, Groningen , -; S. Montiglio,
Lucius’ Journey in Apuleius’ Metamorphoses, «MD» , , -. Sul tema del viaggio
in generale vd. J. Chelini, H. Branthomme (a c. di), Histoire des pèlerinages non
Rileggendo Petronio e Apuleio
viaggio asinino, intenzionalmente parodico rispetto a quanto
è offerto dalle trame stereotipate dei romanzi greci, non sembrano aver suscitato interesse adeguato, se non talora come
esempio di viaggio dentro, di catabasi interiore verso l’inconscio
attraverso la via più lunga della conoscenza del mondo esteriore, da parte di sottili e intricate indagini che fanno ricorso
alla strumentazione della psicologia analitica . In proposito
conviene prendere le mosse dalle prime scene in cui Lucio
agisce (e patisce) nel nuovo ruolo, cioè da Met. III -, là dove
l’Io narrante, ormai mutato in asino per il fatale scambio di
pissidi operato dall’ancella Photis , inizia l’apologo della propria odissea, ricordando in rapida successione l’apostrofe della
fanciulla all’eccezionale quadrupede, il permanere delle facoltà
umane nel corpo della bestia («quamquam perfectus asinus et
pro Lucio iumentum sensum tamen retinebam humanum») ,
infine il trasferimento nella stalla, in attesa dell’antidoto, a sperimentare la scarsa solidarietà dei muta animalia e le bastonate
del proprio servo. Il richiamo all’epica, nella fattispecie alle
peripezie di Odisseo, è scontato, non solo per rapporti, diciamo così, istituzionali nell’alveo della dinamica dei generi , ma
per intenzionali rimandi disseminati nel corso dell’opera apuchrétiens, Paris (A. Motte, Pèlerinages de la Grèce antique, - e -); R.
Chevallier, Voyages et déplacements dans l’empire romain, Paris ; G. Camassa,
S. Fasce (a c. di), Idea e realtà del viaggio. Il viaggio nel mondo antico, Genova ;
P. Scarpi, La fuga e il ritorno. Storia e mitologia del viaggio, Venezia ; A. López
Fonseca, El viaje en la novela latina, «Rev. de Filología Románica» , , -.
. Vd. A. Carotenuto, Le rose nella mangiatoia. Metamorfosi e individuazione
nell’Asino d’oro di Apuleio, Milano , da cui si può risalire alla tradizione esegetica
del testo apuleiano in chiave psicanalitica.
. Vd. R. May, Photis (Metamorphoses Books -), in S. Harrison (a c. di),
Characterisation in Apuleius’ Metamorphoses, cit., -.
. Vd. A. Magnani, Sensum tamen retinebam humanum: Ovidio, Apuleio e la
metamorfosi, «Vichiana» s. IV, , , -.
. Cfr. B. Perry, The Ancient Romance, Berkeley-Los Angeles , -; P. Walsh,
The Roman Novel, Cambridge , -; T. Hägg, The Novel in Antiquity, BerkeleyLos Angeles , s.; H. Kuch, Gattungstheoretische Überlegungen zum antiken
Roman, «Philologus» , , -; C.C. Schlam, The Metamorphoses of Apuleius, cit.,
-.
. In viaggio con l’asino
leiana . In questo caso, è agevole ricordare come l’esempio
paradigmatico di persone celate nel corpo d’un quadrupede in
vista di trasporti d’eccezione sia quello del cavallo di Troia, corredato dalle apostrofi maliziose di Elena a chi si cela nel ventre
dell’abnorme animale ligneo (Od. IV ss.). Sempre l’Odissea
(X ss.) fornisce l’antecedente di personaggi (i compagni
di Odisseo imbestiati da Circe) che conservano sotto spoglie
animali caratteristiche umane. Dunque, l’historia animalium si
accresce di nuovi capitoli, ma abbandona le partizioni classificatorie della scienza aristotelica per inoltrarsi sul terreno indicato
dal Bruta ratione uti e dal De sollertia animalium di Plutarco . La
situazione dell’uomo-asino, partecipe di due nature, preclude
collocazioni certe nell’una o nell’altra specie: espulso dagli spazi
umani, respinto dall’insolentia dei nuovi colleghi di stalla, Lucio si appresta a un’esperienza marginalizzata e solitaria lungo
malsicure linee di confine che non sembrano più in grado di
tener distinte le diverse classi di esseri viventi.
Inoltre, la scena del servo che bastona quell’asino del suo
padrone (facendo fallire il primo tentativo di accostarsi all’antidoto, alle rose che ornano il sacello di Epona) chiarisce
subito come l’inversione dei ruoli operata dalla metamorfosi,
lungi dall’assumere toni di protesta sociale, comporti totale
straniamento del protagonista dal suo mondo, con la conseguenza di capovolgere l’ottica narrativa e assegnarle il compito
di esplorare la realtà quotidiana. In deroga ai racconti tradizionali di avventure, che immettono eroi viaggiatori in paesi
mal noti e ricchi di mirabilia, a differenza dei grandi viaggi
aerei e dello sguardo dall’alto cari al Luciano della Storia vera o
. Vd. S.J. Harrison, Some Odyssean Scenes in Apuleius’ Metamorphoses, «MD» ,
, -.
. Vd. G. Santese, Animali e razionalità in Plutarco, in S. Castiglione, G. Lanata (a
c. di), Filosofi e animali cit., -; Plutarco. Le virtù degli animali, a cura di A. Zinato,
Venezia .
. Vd. J.T. Winkle, Epona Salvatrix?: Isis and the Horse Goddess in Apuleius’
Metamorphoses, «Ancient Narrative» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
dell’Icaromenippo , qui succede che l’implosione dell’elemento
magico-meraviglioso nella figura del protagonista consenta di
acquisire una nuova ottica (dal basso) da cui guardare e descrivere la società di tutti i giorni, anche nei suoi strati inferiori: «al
posto dei viaggi in un mondo estraneo e pieno di rischi sono
riportati i pellegrinaggi dell’eroe nel proprio mondo, sotto pelle
estranea» . L’esotismo viene dunque sostituito dal realismo,
secondo tendenze che avvicinano le Metamorfosi più al Satyricon che ai romanzi greci: ’realismo magico’ fin che si vuole,
per usare la formula cara a Massimo Bontempelli che nello
stile apuleiano ha indicato l’antecedente dei moduli espressivi
perseguiti dalla propria prosa , ma pur sempre realismo, che
fa dell’opera, come è stato sottolineato , l’unico testo narrativo
latino in grado d’offrire rappresentazioni ravvicinate della vita
quotidiana di provincia nel II secolo dell’impero. Per narrare la
cronaca di tutti i giorni, fatta di storie private e ignoti personaggi, non occorrono storici di professione, teorie storiografiche
impegnative, opere a statuto letterario forte: è sufficiente la ’storiografia minore’ dell’asino, perché sotto la pelle di un animale
refrattario alla domesticazione completa l’Io narrante trova
comodo e defilato posto di osservazione per ’conoscere’ e registrare i fatti privati, riducendo il mestiere dello storico a sapide
procedure combinatorie di prassi voyeuristica e arte dell’origliare. In effetti, il nostro eroe può riferire anche gli aspetti
inconfessabili o i momenti segreti della vita altrui, perché nes. Cfr. Chr. Jacob, Dédale géographe: regard et voyage aériens en Grèce, «Lalies» ,
, -.
. E.M. Meletinskij, Introduzione alla poetica storica dell’epos e del romanzo, tr.
it., Bologna , . Sullo sdoppiamento del protagonista vd. il contributo di A.
Laird, Person, “Persona” and Representation in Apuleius’ Metamorphoses, «MD» , ,
-.
. Non sorprende che Bontempelli tenti, nel , delle Metamorfosi una versione non sempre fedele ma di lettura assai gradevole (accessibile nella collana “I
Millenni” di Einaudi): vd. per es. M.G. Bajoni, Apuleio e Bontempelli. Alcune note sul
reale e sul magico, «Aevum» , , -.
. Cfr. F. Millar, The World of the Golden Ass, «Journal of Roman Studies» ,
, -.
. In viaggio con l’asino
suno si cura della presenza del quadrupede o sospetta che vi
si celi «homo curiosus iumenti faciem sustinens» a caccia di
notizie, in vena di esercizio critico e descrizione polemica della
realtà di tutti i giorni.
Tale situazione comporta, sul piano compositivo, una implicazione che merita attenzione: il frequente ricorso, lungo
tutto il romanzo, a nozioni giuridiche e casi giudiziari. Non
si tratta soltanto di compiaciute intrusioni di cognizioni professionali d’autore, ma del modo più efficace per mediare tra
natura pubblica della forma letteraria e carattere privato dei
contenuti. Spetta infatti alla sfera del diritto, civile e penale, il
compito di fornire lessico e parametri (proprietà, obbligazioni,
compra-vendita, colpa e punizione ecc.) grazie ai quali il privato può uscire dalle pareti domestiche e dalla quotidianità per
acquistare rilievo e interesse pubblico . In particolare, siccome
sono i crimini i momenti in cui la vita privata diventa pubblica, è sul terreno dei delitti e delle pene che Apuleio (e non
la sua fonte) investe con maggiore intensità il proprio sapere
giuridico, per affermare un’idea generale di giustizia prossima,
nei suoi risvolti ideologici e storicizzabili, alle idee di giustizia
. Met. , , ; cfr. soprattutto , , : praesentiam meam parvi facientes libere,
quae volunt, omnes et agunt et loquuntur. La condizione asinina costituisce un punto
di vista privilegiato anche nella redazione greca, in quanto permette uno sguardo
che va oltre gli aspetti dell’apparenza e delle convenzioni per cogliere l’insoddisfacente dimensione della realtà quotidiana: vd. N. Holzberg, Der antike Roman. Eine
Einführung, München-Zürich , -.
. Cfr. M. Bachtin, Estetica e romanzo, tr. it., Torino , . Vd. in merito
F. Norden, Apuleius von Madaura und das römische Privatrecht, Leipzig ; R.G.
Summers, Roman Justice and Apuleius’ Metamorphoses, «Transactions of American
Philological Association» , , -; C. Blanquez Pérez, El mundo romano a través de la obra de Apuleyo: delito, delincuente y castigo en las Metamorfosis, Madrid ; M.
Elster, Römisches Strafrecht in den Metamorphosen des Apuleius, «Groningen Colloquia
on the Novel» , , -; W.H. Keulen, Some Legal Themes in Apuleian Context,
in M. Picone, B. Zimmermann (a c. di), Der antike Roman und seine mittelalterliche
Rezeption, Basel , -; G. Pintgen, Apuleius als Quelle für die Gesellschaft des
römischen Reiches, Düsseldorf ; J. Osgood, Nuptiae Iure Civili Congruae: Apuleius’
Story of Cupid and Psyche and the Roman Law of Marriage, «Transactions of American
Philological Association» , , -; B. Facchini, Giurisprudenza da favola. Note
sul lessico giuridico delle Metamorfosi di Apuleio, «Lexis» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
dominanti (dei gruppi dominanti) nella società imperiale.
Dunque, l’esilio di Lucio dal mondo degli uomini, pur nel
suo radicale mutamento di stato, presenta un primo aspetto
non troppo negativo. E che non sia improprio cercare forme
di attenuazione o addirittura dati positivi nella dolorosa trasformazione, a parziale correttivo del severo monito platonico
sulla vita bestiale che compete a chi «si sia arreso al piacere e si
comporti alla stregua di animale a quattro zampe» (Fedro e),
mostrano le valenze simboliche assegnate all’asino dall’immaginario antico e le discussioni moderne sul valore dell’espressione Asinus aureus che compare come titolo concorrenziale
in sant’Agostino (De civitate Dei, XVIII ) e che si è imposta
nella tradizione medievale . A tacere del priapismo e della pazienza universalmente riconosciuti all’animale e puntualmente
presenti nelle Metamorfosi, va ricordato che l’antica scienza dei
sogni, in forza di paronomasie e corto-circuiti analogici, ritiene
implicite nelle visioni asinine prospettive di buon augurio, anzi
di guadagno sicuro, «a causa del nome» (onos / onasthai), anche
se tarde a realizzarsi «a causa della lentezza del passo» (Artemidoro, II ). Questo sul piano simbolico; sul piano lessicale,
Asino d’oro starebbe a indicare, secondo l’interpretazione più
comune, le qualità letterarie della nostra storiografia asinina
e dunque suonerebbe riconoscimento di eccellenza artistica.
Non si può tuttavia escludere che il senso dell’espressione vada
cercato altrove, tra i valori cromatico-allegorici dei miti egizi
. Tra la copiosa letteratura in merito vd. almeno W. Deonna, Laus Asini, «Rev.
Belg. Philol.» , , -, -, -; I. Opelt, Esel, in RAC VI, , coll. ; A. Scobie, Apuleius and Folklore, London ; E. Wolff, Miserandae sortis asellus
(Ovide, Amores, II, , ), La symbolique de l’âne dans l’Antiquité, «Anthropozoologica»
-, , -; J. Gregory, Donkeys and Equine Hierarchy in Archaic Greek Literature,
«The Classical Journal» , , -.
. Cfr. R. Martin, Le sens de l’expression Asinus aureus et la signification du roman
apuléien, «Rev. Et. Lat.» , , -; J. Hani, L’âne d’or d’Apulée et l’Égypte, «Rev.
de Philologie» , , -; Winkler, Auctor & Actor, cit., s.; N. Shumate, The
Augustinian Pursuit of False Values as a Conversion Motif in Apuleius’ Metamorphoses,
«Phoenix» , , -; G. Mazzoli, L’oro dell’asino, «Aufidus» , , -. Non
persuade la proposta di Paula James (Fool’s Gold: Renaming the Ass, «Groningen
Colloquia on the Novel» IV, Groningen , -) di correggere aureus in auritus.
. In viaggio con l’asino
che fanno da sfondo al racconto e che Apuleio sapientemente
richiama lungo tutta l’opera, a partire dalle allusioni del prologo (Met. I , : «modo si papyrum Aegyptiam argutia Nilotici
calami inscriptam non spreveris inspicere») fino al grandioso (e
intrigante) epilogo isiaco del libro XI. Chi guardi all’Egitto non
fatica a scoprire che l’asino è l’animale di Seth, l’uccisore di Osiride: il colore fulvo del suo pelo, simile a quello della sabbia del
deserto, ben potrebbe suggerire o spiegare l’ambiguo aureus
del titolo alternativo (di onos pyrrhós parla Plutarco nel De Iside
et Osiride, b); ma più persuasive appaiono le argomentazioni
di chi in quel titolo scorge espressione ossimorica che callidamente accoppia la bestia di Seth all’oro di Iside, in una sorta
di miniatura contrastiva del percorso di redenzione. Visto che,
inevitabilmente, siamo approdati in Egitto, prima di riprendere
il filo del nostro discorso è opportuno accennare a un rituale
egizio integrato nel culto di Osiride: il fedele deve trascorrere
una notte nel tempio del dio avvolto in pelle d’asino, secondo
le procedure di un rito di passaggio che dallo stato ferino porta
alla rinascita come iniziato ai divini misteri. Bene: che tale rito
non sia ignoto all’autore sembra lecito immaginare, alla luce
delle molteplici esperienze religiose di cui Apuleio parla in Apologia : «sacrorum pleraque initia in Graecia participavi. [...]
multiiuga sacra et plurimos ritus et varias caerimonias studio
veri et officio erga deos didici» . E’ vero che resta aperto – né
può essere altrimenti in base a quanto sappiamo – il problema
della fonte del racconto dell’uomo-asino e dei suoi eventuali rapporti con suggestioni misteriche di derivazione egizia,
ma a giudicare dalla copertura isiaca data alla storia dalla versione apuleiana non sembra troppo azzardato sospettare nella
metamorfosi asinina una gigantesca metafora di un rito di passaggio che, prima d’ogni implicazione religiosa, si fa «principio
. Per questi e altri dati biografici apuleiani vd. T. Alimonti, La vita e la magia, in
AA. VV., Apuleio letterato, filosofo, mago, Bologna , -; N. Lévi, La chronologie
de la vie et des œuvres d’Apulée : essai de synthèse et nouvelles hypothèses, «Latomus» ,
, -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
organizzativo e tema privilegiato» della narrazione .
Ecco: non abbiamo ancora iniziato il nostro viaggio in compagnia dell’asino, ma già abbiamo al nostro attivo incursioni
nei territori degli antecedenti epici, tra le pieghe di materiali
folclorici e filosofici, nella geografia sacra dell’Egitto, a conferma che il nostro asino è animale “buono da pensare” per la
ricchezza di spunti che promuove e la svariata gamma di ricerche di cui è fatto oggetto. E’ dunque tempo di rimetterci sulle
sue tracce, per seguirlo come soggetto di spostamenti e mobile
punto d’osservazione lungo le strade di un labirinto all’aperto
dagli spigolosi contorni reali in cui la sequenza delle peripezie
si snoda come provvido filo d’Arianna, saldamente tenuto in
mano dal filosofo platonico in veste di novelliere, a disegnare
transiti di emancipazioni possibili dal caos del mondo sensibile. La celebrazione dei misteri dell’asino, iniziata nella feralis
officina di una maga e subito trasferita nella stalla, si sviluppa
secondo ritmi serrati (scanditi dal segnale narrativo nec mora
cum a dire l’incalzare delle azioni) e si rivela particolarmente
movimentata: mentre sono ancora in corso le busse del servo
ai danni dell’irriconoscibile dominus, l’irruzione di una banda
di ladroni (globus latronum), che saccheggia la casa dell’ospite e
si impadronisce degli animali veri e di recente imbestiamento
per trasportare il copioso bottino, immette l’uomo-asino nel
mondo esterno, a vivervi la morte civile (Met. III , : «nihil
a mortuo differebam») di chi ha perso identità sociale e figura
fisica.
A proposito dei briganti apuleiani, attivi dal III al VII libro,
esiste copiosa letteratura che ne vaglia funzioni narrative interne e riscontri esterni (misurati questi ultimi sulla tradizione del
romanzo greco e sui Realien della società imperiale) . Qui è
. T.N. Habinek, Lucius’ Rite of Passage, «MD» , , - (in part. ).
. Cfr. Met. III con III , alla luce delle notazioni e dei rinvii offerti da R.T.
van der Paardt, L. Apuleius Madaurensis, The Metamorphoses. A Commentary on Book
III, Amsterdam , .
. Alla bibliografia raccolta nei Groningen Commentaries on Apuleius M. IV e M. VI - and VII, a c. di B.L. Hijmans Jr. et alii, Groningen e , si
. In viaggio con l’asino
sufficiente segnalare che il grande intermezzo riservato ai latrones, mentre nel gioco di ’scatole cinesi’ del romanzo funge da
contenitore della storia di Charite (il cosiddetto Charite-Komplex
che si estende da Met. IV a VIII ) che a sua volta è castone
della favola di Cupido e Psyche dei centralissimi libri V e VI, è
molla narrativa che fa scattare la peripezia esterna del nostro
sfigurato eroe, lo allontana dall’antidoto e dilaziona il ritorno
alla condizione umana, aprendo davanti all’ex scholasticus di
buona educazione insoliti spazi e poco desiderabili frequentazioni. Centauro implicito e apprendista bestia da soma, Lucio
si incammina per avia montium sotto il peso d’un basto insopportabile e gragnole di colpi, che garantiscono continuità di
comportamento umano verso gli animali (è la stessa arte in
cui si è esibito il servo) e rieducazione del soggetto asinino al
nuovo ruolo con sbrigativa e crudele pedagogia. Che i motivi
conduttori della prima parte del viaggio, da Hypata alla montana
caverna dei briganti, siano in mutuo intreccio allontanamento
dalla civiltà e perdita d’umanità (meglio, perfezionamento curriculare delle prestazioni asinine), mostra una combinazione di
elementi: il variare del paesaggio, che progressivamente sostituisce ai centri abitati e alle colture luoghi deserti e orridi , e
aggiungano B.D. Shaw, Bandits in the Roman Empire, «Past and Present» , ,
-; V.A. Sirago, Trecentomila croci. Banditi e terroristi nell’Impero Romano, Como
, ss.; T. Alimonti, Letteratura e folclore: i latrones di Apuleio e i briganti di Propp,
«Civiltà Classica e Cristiana» , , -; Gianotti, ’Romanzo’ e ideologia, cit., ; P. Esposito, Riuso e stravolgimento in Apuleio, «Vichiana» , ), -; B.D.
Shaw, Il bandito, in A. Giardina (a c. di), L’uomo romano, Roma-Bari , -; S.A.
Frangoulidis, Vergil’s Tale of the Trojan Horse in Apuleius’ Robber-Tale of Thrasyleon,
«La Parola del Passato» , , -; M. Loporcaro, Eroi screditati al testo: strutture
della parodia nelle storie di briganti di Apuleio, «Maia» n.s. , , -; B. Pottier,
Les bandits d’Apulée : une réflexion sur les rapports entre plèbe et notables dans les cités
de l’Empire romain, in H. Ménard, C. Courrier (a c. di), Miroir des autres, reflet de soi :
stéréotypes, politique et société dans le monde romain, Paris , -.
. Su questi aspetti vd. A. Schiesaro, Il ’locus horridus’ nelle Metamorfosi di Apuleio,
«Maia» , , -; L. De Biasi, Le descrizioni del paesaggio naturale nelle opere
di Apuleio. Aspetti letterari, «Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino» ,
-. Vd. J. Trinquier, Le motif du repaire des brigands et le topos du locus horridus : Apulée,
Métamorphoses IV, , «Revue de Philologie» , , -; V. Merlier-Espenel, La
grotte des brigands dans les Métamorphoses d’Apulée, in M.-C. Charpentier (a c. di),
Rileggendo Petronio e Apuleio
gli esiti negativi di residui e impacciati esercizi civili o mentali
(auxilium civile, consilium, cogitationes) da parte dell’uomo-asino.
In proposito quattro episodi meritano attenzione, tre legati a
spazi civilizzati da presenza umana (Met. III e IV -), uno
ormai in piena natura selvaggia (Met. IV ). Nell’attraversare
un vicus in ora di mercato Lucio-asino decide di invocare aiuto
in nome dell’autorità imperiale, ma deve prender atto a proprie spese – ennesima scarica di legnate – dello scacco della
comunicazione imposto dalla metamorfosi in quanto, per chi è
humano gestu et voce privatus, l’articolazione di suoni significanti
si riduce a raglio sonoro ; subito dopo, passando accanto a
un ameno orticello, accosta le fauci a rose roride di rugiada
(antidoto salutare), ma decide d’astenersene (consilium longe
salubrius) per evitare i rischi di trasformarsi in uomo sotto gli
occhi altrui (stesso comportamento, a differenza del protagonista della versione greca, troveremo nel circo di Corinto, dettato
da preoccupazione di evitare lo scandalo di trasformazioni magiche in pubblico ed eventuali conseguenze nefaste). In questa
occasione il nostro eroe si rassegna, per la prima volta, ad assaggiare cibo non umano (fieno) in asini faciem (Met. III ,
). Ciclo alimentare (nella sua completezza) e problema delle rose sono al centro dell’episodio successivo che si dipana
Les espaces du sauvage dans le monde antique, Besançon , -. In generale cfr.
M.J. Edwards, Locus Horridus and Locus Amoenus, in M. Whitby, P. Hardie (a c. di),
Homo Viator. Classical Essays for J. Bramble, Bristol , -; D. Garrison, The
locus inamoenus: Another Part of the Forest, «Arion» n.s. , , -; E. Malaspina,
Tipologie dell’inameno nella letteratura latina, «Aufidus» , , -.
. Per questo e altri ragli, spie di paralleli e rapporti tra le versioni del racconto
dell’uomo-asino, vd. B. Snell, Das I-ah des goldenen Esel (), in Id., Gesammelte
Schriften, Göttingen , s.; G. Bianco, Il raglio dell’asino in Apul. met. , e la
paternità del brigante-indagatore, «Rendiconti dell’Istituto Lombardo» , , -;
P. Paolucci, Voces absonae di Lucio asino (Met. VII ), in AA.VV., Concentus ex dissonis.
Scritti in onore di A. Setaioli, II, Napoli , -.
. Vd. N. Fick, La symbolique végétale dans les Metamorphoses d’Apulée, «Latomus»
, , ss. (della stessa A. è da vedere il lavoro complessivo Art et mystique dans
les Métamorphoses d’Apulée, cit. a n. ). Per uno studio d’insieme sul valore simbolico
delle rose si veda non soltanto il datato ma tuttora utile libro di C. Joret, La rose dans
l’Antiquité et au Moyen Age. Histoire, légende et symbolisme, Paris (rist. anastatica,
. In viaggio con l’asino
tra orti veri e falsi boschetti sacri, tra scorpacciate e digiuni,
tra conoscenze botaniche e dirompenti effetti scatologici. La
fame umana dell’asino lo trasforma in divoratore di verdure
crude d’un ben coltivato campicello, mentre elementari nozioni, sempre umane, del mondo vegetale lo tengono lontano da
velenose rose laurine (oleandro) che, ai margini d’una macchia
boschiva, si offrono come fallaci mezzi di salvezza. Salvezza
provvisoria all’asino, da villici irati per lo scempio del campo,
assicurano invece maleodoranti ma provvidenziali deiezioni
intestinali che ammorbano gli assalitori: in questo caso, prima
del ricorso all’arma decisiva, Lucio impara a rispondere a suon
di calci (lumbis elevatis in altum, pedum posteriorum calcibus iactatis) alle legnate di un ennesimo bastonatore. Infine, la misera
fine dell’asino vero, che si rifiuta testardamente di proseguire
nel gravoso trasporto e viene precipitato in baratro rupestre,
convince Lucio ad accettare senza ulteriori resistenze la nuova
condizione, mostrandosi asinus bonae frugi dominis (Met. IV ,
).
Ecco: l’apprendistato di Lucio si può considerare ultimato
e la fase negativa (di morte) del rito di passaggio ha ottenuto
lo scopo di separare in maniera definitiva l’iniziando dall’originario gruppo di appartenenza. Scomparso dal mondo degli
uomini, creduto morto da parenti e amici (come s’impara da
Met. XI ), il nostro viator a quattro zampe accantona per un po’
i sussulti della propria umanità conculcata e presta attenzione a
quanto lo circonda, facendosi osservatore e insospettabile cronista. Certo, le impervie zone in cui si cela la banda non sono
sede di adunate popolose o di avvenimenti troppo interessanti,
ma i banchetti dei latrones, al sicuro nella loro caverna, sono pur
sempre buona occasione per racconti di imprese banditesche.
La libera affabulazione inerente a ogni simposio che si rispetti
imprime a queste storie di professionisti del crimine un involontario marchio di legalità che fa da contrappunto ironico e
Genève ), ma anche J.C. Fumo, Romancing the Rose: Apuleius, Guillaume de Lorris,
and Moral Horticulture, «Modern Philology» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
sorridente alle intenzioni dei narratori. L’asino è là, tutt’orecchi,
sollecito a riferire tutto, pronto inoltre a interrompere l’assunzione di sgradevoli crudités e approfittare del sonno dei banditi
per ingurgitare tre canestri di pane (Met. IV , -) . Giunti a
questo punto, i lettori vedono aprirsi il Charite-Komplex , cioè
la sezione delle Metamorfosi consacrata alle tribolazioni della
bella fanciulla dal nome parlante che, rapita dai briganti, compare in scena non solo a risvegliare la salacia dell’asino (et asino
concupiscenda: Met. IV , ), ma a imprimere duplice svolta al
racconto. E’ appunto a Charite, angosciata da funesto sogno
notturno, che la vecchia guardiana della caverna dei briganti
narra, a mo’ di consolazione, la bella fabella di Amore e Psyche
(Met. IV - VI ). Non conosciamo la reazione di Charite
a questo lungo racconto nel racconto, perché viene registrata, prima che il ritorno dei ladroni rimetta subito in moto la
narrazione principale, soltanto la reazione dell’asino, il quale si
rammarica di non aver sotto mano (!) tavolette e stilo per sottrarre la narrazione a tanto precaria fonte orale. In effetti, che
insieme al lettore sia Lucio il destinatario vero (e il beneficiario
primo) della favola, non vi possono esser dubbi, non tanto per
la pronta reattività della parte umana e colta che si cela nell’asino quanto per i numerosi paralleli tra la storia di Psyche-anima
e quella di Lucio-bestia esibiti dal testo e sottolineati a più voci
dalla critica . Insomma, si parla a Charite perché altri riceva il
. Per le Räubergeschichten si rinvia a quanto è citato in n. .
. In generale, tra i contributi più recenti, si vedano C. Wolff, L’enlèvement de
Charité (Apul. Met.) et les témoignages épigraphiques, «Rev. des Etudes Grecques» ,
, -; L. Nicolini, Apuleio. La novella di Carite e Tlepolemo, Napoli ; Ead.,
The Tale of Charite and Tlepolemus (Metamorphoses Books -), in S. Harrison (a c. di),
Characterisation in Apuleius’ Metamorphoses, cit., -.
. Vd. B.L. Hijmans Jr., Significant Names and their Function in Apuleius’ Met., in
AA. VV., Aspects of Apuleius’ Golden Ass, cit., - (in part. ). Mette forse conto
ricordare che nell’epitome greca la fanciulla rimane anonima; il fatto che in Apuleio
il nome non compaia prima del momento della liberazione suggerisce raffronti con
la mancata affermazione di identità di Odisseo nell’episodio di Polifemo: S. Frangoulidis, Charite dulcissima: a Note on the Nameless Charite at Apuleius’ Metamorphoses
, , «Mnemosyne» , , -.
. La favola di Amore e Psyche, spesso studiata come parte autonoma, costitui-
. In viaggio con l’asino
messaggio (il ricongiungimento dell’anima al divino è possibile
al termine di difficili prove), in attesa che i discorsi rivelatori
dell’XI libro, di Iside prima e del suo sacerdote poi, chiariscano
ogni cosa. La presenza di Charite-Grazia ha dunque, nella versione apuleiana e solo in essa, la funzione di introdurre il mito
dell’Anima che sale al cielo. Ma nel gioco di ’scatole cinesi’ a cui
si accennava in precedenza la fanciulla è a sua volta protagonista
di una storia che sembra riproporre su scala ridotta e in chiave
allusiva il mito egizio, ché nel tragico rapporto, narrato in Met.
VIII -, tra Charite, lo sposo Tlepolemo (che la libera insieme
a Lucio dai briganti) e il rivale Trasillo si è voluto vedere una
ritrascrizione della morte di Osiride per mano di Seth e della
passione di Iside . Se davvero Charite sia controfigura di Iside,
non saprei dire, né saprei definire il tasso di religiosità degli
episodi che la vedono agire o patire, a meno di spingere fino
alle estreme forme di laicizzazione la tesi kerenyiana della derivazione di tutti i romanzi di amanti separati dai racconti sacri
circolanti nei santuari isiaci . Fuori discussione è, però, che
la vicenda di Charite interagisca con quella dell’asino umano,
in quanto comporta l’eliminazione della banda dei ladroni e la
ripresa del viaggio iniziatico.
Su due scene, in particolare, è opportuno fermare la nostra
attenzione, la fuga fallita di Met. VI - e le conseguenze per
l’asino del trionfale ritorno della fanciulla a casa (Met. VII
ss.). In breve, ecco come stanno le cose. Minacciato di morte dai
sce un voluminoso capitolo a sé nell’ambito della critica apuleiana; qui ci limitiamo
a segnalare i contributi più recenti, da cui è agevole risalire all’intera letteratura
in merito: E.J. Kenney (ed.), Cupid & Psyche, Cambridge ; Id., Psyche and her
Mysterious Husband, in Antonine Literature, a cura di D.A. Russell, cit. in n. , -;
C. Moreschini, La novella di Amore e Psiche, Padova ; M.J. Edwards, The Tale of
Cupid and Psyche, « Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» , , -.
. Vd. R. Merkelbach, Roman und Mysterium in der Antike, München , ss.
Si tengano altresí presenti il Groningen Commentary on Apuleius M. VIII, a cura di B.L.
Hijmans Jr. et alii, Groningen , e P. James, Unity in Diversity. A Study of Apuleius’
Metamorphoses, Hildesheim-New York .
. K. Kerényi, Die griechischen-orientalischen Roman in religionsgeschichtlicher
Beleuchtung, Tübingen .
Rileggendo Petronio e Apuleio
briganti, Lucio elude la guardia della vecchia (tornata ad essere
figura ostile dopo l’intermezzo narrativo consacrato a Cupido
e Psyche) e fugge con Charite in groppa, sperimentando cosí
anche il ruolo di cavalcatura salvifica. Durante il non lungo
tragitto percorso in questo tentativo c’è tempo per registrare la
gratitudine della fanciulla verso il suo (temporaneo) salvatore,
a cui fa balenare il miraggio di felicità future – vita beata e gloriosa, a misura d’asino, s’intende – promettendo di consegnare
alla memoria dei posteri l’eccezionale evento:
«depictam in tabula fugae praesentis imaginem meae domus atrio dedicabo. Visetur et in fabulis audietur doctorumque
stilis rudis perpetuabitur historia “Asino vectore virgo regia
fugiens captivitatem”. Accedes antiquis et ipse miraculis et iam
credemus exemplo tuae veritatis et Phrixum arieti supernatasse
et Arionem delphinum gubernasse et Europam tauro supercubasse. Quodsi vere Iupiter mugivit in bovem, potest in asino
meo latere vel vultus hominis vel facies deorum» (Met. VI ).
Nella fantasticheria di Charite, quasi emblema centrale del
mosaico dell’opera , si riannodano fili sparsi che fanno capolino qua e là nel racconto: la rudis historia richiama il rudis locutor
del prologo ed entrambi alludono per paronomasia al lessico
del raglio d’asino (rudere, ruditus); la promessa di fama futura
affidata a iconico ex-voto rinvia alla soluzione del processo-farsa
della festa del dio Riso, con analoga promessa di onori e imago
bronzea da parte dei cittadini di Hypata (Met. III ). L’insieme,
non v’è dubbio, prefigura un atto liberatorio che per Charite e
l’asino si realizzerà grazie all’impresa di Tlepolemo (in veste
di brigante sanguinario, Haemus) e per Lucio grazie alle rose
di Iside dell’XI libro. Ora, l’inscriptio del quadro votivo (a tacere
di non impossibili intenti parodici nei confronti di iconografie
care ad altri credi che ben conoscono fughe di vergini a dorso
d’asino, magari in Egitto) e l’ipotesi che nell’asino si celi qual. Per la definizione e l’analisi del passo vd. il saggio di G. Mazzoli cit. in n.
(in part. ss.).
. Cfr. D. Schanzer, “Asino vectore virgo regia fugiens captivitatem”. Apuleius and
. In viaggio con l’asino
cosa di umano o addirittura di divino concentrano sull’intera
raffigurazione una ragnatela di valenze implicite: se accettiamo
l’ipostasi Charite/Iside, ci troviamo di fronte ad anticipazione
figurata del servizio cultuale a cui il protagonista sarà chiamato
come fedele isiaco nell’ultimo libro; se ci si accontenta della
possibile identificazione Charite/Psyche suggerita dalla fabella,
ci accorgiamo che l’imago è, sí, sdoppiata, ma si riferisce alla
duplice natura di Lucio e, in prospettiva platonica, di ogni uomo, che verso il basso proietta ombra di bestia e verso l’alto
solleva la bellezza della propria anima. E che i due possano
costituire un’unica, paradossale, figura apprendiamo dal supplizio minacciato dai briganti dopo la cattura dei fuggiaschi: si
propone, fortunatamente senza passare dalle parole ai fatti, di
sventrare l’asino e cucirvi dentro la fanciulla nuda, «in modo
che solo la testa emerga e il resto faccia tutt’uno con la bestia»,
per poi lasciarli morire ai raggi cocenti del sole (Met. VI ),
secondo un singolare capovolgimento diurno di rituali egizi,
questa volta con duplice quota di umanità ricoperta da pelle
d’asino.
Comunque si voglia valutare l’episodio, quel che importa
qui sottolineare è che ormai all’umanità dell’asino il racconto apuleiano concede nuova e divertita ospitalità: è umanità
imperfetta che fa capolino a fatica, sotto forma di giudizio temerario (anzi, di asini iudicium) per ignoranza del vero, nel
biasimo riservato alla gioia espressa da Charite alla comparsa del falso Haemus, in realtà Tlepolemo (Met. VII -) ; e
passando dai fatti alle parole, la ritroviamo nel malizioso uso
insolito di un’espressione convenzionale, allorché il trionfale
ritorno di Charite liberata in groppa all’asino – spettacolo davvero memorabile, virgo asino triumphans, nuova prefigurazione
di soluzioni di là da venire – è corredato dai ragli gioiosi (rudivi
the Tradition of the Protevangelium Jacobi, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik»
, , -.
. Vd. J.K. Krabbe, The Metamorphoses of Apuleius, New York-Bern-Frankfurt
a.M.-Paris , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
fortiter, immo tonanti clamore personui) dell’abnorme cavalcatura,
che intende partecipare cosí, hilarior pro virili parte, alla festa
comune (Met. VII ). Ma la gioia di Lucio-asino è di breve
durata, anche se Charite mantiene le promesse fatte e lo vorrebbe veder vivere libero tra mandrie di cavalli, con indubbia
promozione nella scala dei quadrupedi e buone prospettive di
generosi inscensus di puledre. In effetti, l’esperienza di un asino
libero e per giunta in vena di esternazioni sessuali non sembra compatibile con la logica del racconto, anche perché non
esistono tecniche d’allevamento specializzate in incroci tanto
complicati. Vanno pertanto a vuoto i tentativi del nostro eroe di
farsi capostipite d’una nuova stirpe, un po’ per la gelosia degli
stalloni, soprattutto per le regole impietose che governano lo
sfruttamento del lavoro animale: invece dei piaceri del sesso,
Lucio-asino conosce via via le fatiche della macina e del trasporto di legna dai monti. In quest’ultimo servizio egli deve pagare
il sovrapprezzo delle crudeli angherie che gli infligge il tristo
garzone (puer deterrimus) a cui è affidato, capace tra l’altro di accusare la poco volenterosa bestia di spiccate predilezioni verso
giovani donne e suscitare pericolosi programmi di castrazione
(Met. , -). A sbloccare la situazione interviene, al solito, un
caso imprevisto: mentre Lucio tenta invano la fuga, il garzone
finisce sbranato da un’orsa montana; ma il beneficio di questa
santa alleanza finalmente stipulata tra animali veri e presunti
non fa che procrastinare la dolorosa mutilazione e non mette
al riparo l’asino umano dall’ira ardente e funesta della madre
del garzone: sorte e paura assicurano, come in altra occasione,
momentaneo scampo mediante copiosa emissione di profluvi
intestinali (Met. VII -), mostrando che nel caleidoscopio delle Metamorfosi, più realisticamente che negli imbrattati Annales
Volusii di catulliana memoria , le esigenze della Ringkomposition possono venir onorate nel meno prevedibile e, si spera,
imitabile dei modi.
La tragica fine della casa dei padroni (uccisione di Tlepole. Cfr. Catull. XXXVI e .
. In viaggio con l’asino
mo, vendetta e suicidio di Charite: Met. VIII -) impedisce
drastici correttivi del priapismo asinino: per tema di padroni
peggiori schiavi e bestie si danno alla macchia, rimettendo cosí
in moto, in viaggio, il nostro eroe, di nuovo come bestia da
soma e questa volta entro la cornice di una delle tante avventure di servi fugitivi di cui parlano le cronache imperiali . Come
l’esperienza di Psyche in qualità di ancilla fugitiva di Venere e la
sua catabasi agli inferi , anche questo è passaggio in un mondo
infernale, tra asperità montane e pianure biancheggianti d’ossa,
insidie di lupi e assalti di contadini ostili, mostruose metamorfosi e tenebrosi fatti di gelosia e di morte (Met. VIII -) .
Ma per Lucio questo viaggio non significa ancora la fine delle
peripezie, piuttosto comporta la sua immissione sul mercato,
quasi a regolamentare i passaggi di proprietà che finora si sono susseguiti in modo poco ufficiale e francamente caotico
(rapina, riscatto, fuga). Giunti in una popolosa città (Berea di
Macedonia, secondo la versione greca) e ormai al sicuro da
ogni ricerca, i servi fuggiaschi mettono all’asta gli animali, veri
o apparenti, di cui si sono serviti nel faticoso trasferimento.
Per ultimo, e a prezzo svalutato, viene messo in vendita il nostro campione, la cui ambigua natura riemerge attraverso la
scherzosa presentazione del banditore: «un pecorone castrato,
non un asino, è quel che vedi, docile a tutti gli usi, [...] tanto da indurti a credere che sotto a questo cuoio di ciuco stia
di casa un brav’uomo (prorsus ut in asini corio modestum hominem inhabitare credas)» . Il gioco dell’ambiguità si allarga fino
. Vd. R.T. van der Paardt, The Story of Mr. ’Overbold’ as Specimen Historiae (on
Apul. Met. VIII -), in B.L. Hijmans Jr., V. Schmidt (a cura di), Symposium Apuleianum
Groninganum, Groningen , -.
. Vd. H. Bellen, Studien zur Sklavenflucht im römischen Kaiserreich, Wiesbaden
.
. Cfr. Met. V ss. e VI -.
. Vd. A. Scobie, An Ancient Greek Drakos-Tale in Apuleius’ Met. VIII -, «Journal of American Folklore» , , -; I. Cazzaniga, Il supplizio del miele e delle
formiche: un motivo novellistico nelle Met. di Apuleio, VIII , «Scripta Philologica» ,
, -.
. Met. VIII , - , .
Rileggendo Petronio e Apuleio
a coinvolgere l’incerta natura dell’effeminato compratore, un
equivoco sacerdote della dea Siria dal nome non equivocabile
(Filebo, “Rev. Love-boys”), il quale al chorus cinaedorum con cui
divide sacerdozio e predilezioni sessuali può annunciare l’avvenuto acquisto stravolgendo genere e specie di tutti gli esseri
coinvolti nell’operazione: «Puellae, servum vobis pulchellum
en ecce mercata perduxi» (Met. VIII , ) .
Insomma: la metamorfosi non sembra più appannaggio
esclusivo di Lucio, perché si scopre che travaglia anche la società esterna, crogiuolo di forme mutanti che faticano a trovare
identità certa e definitiva. Il che contribuisce a rendere meno
abnorme la situazione di Lucio (anche a rischio di prestazioni
extra sull’onda dei desideri dei nuovi compagni di setta) e fa
sentire con maggior frequenza l’uomo ’interiore’ che a partire
dalla rêverie di Charite si sospetta o immagina sotto la pelle
d’asino. Delle avventure in compagnia della smidollata confraternita due momenti vanno ricordati: il servizio cultuale in cui
l’asino è impegnato, vale a dire il trasporto della statua della dea
Siria (Atargatis) che ripropone una scena déjà vue in contesto
diverso durante il trionfo di Charite e anticipa, pur in mezzo a
valori sconvolti o capovolti, il servizio isiaco dell’ultimo libro ;
il “sonno umano” in un vero letto che l’asino può concedersi
(Met. IX , : «post multum equidem temporis somnum humanum quievi») al termine d’una burrascosa giornata, in cui il
protagonista corre il rischio di venir abbattuto come animale
. Per lo scambio maschile/femminile nel designare la medesima persona il
locus classicus è rappresentato da Catull. LXIII (Attis).
. Sulla dea Siria (oggetto dell’omonima operetta del corpus lucianeo) vd. P.-L.
Van Berg, Corpus Cultus Deae Syriae, Leiden ; M. Hörig, Dea Syria, Kevelaer
; H.J. Drijvers, Die orientalischen Religionen im Römerreich, Leiden , ss.;
M.-F. Baslez, Le culte de la Déesse Syrienne dans le monde hellénistique. Traditions et
interprétations, in C. Bonnet, A. Motte (a c. di), Les syncrétisme religieux dans le monde
méditerranéen antique, Bruxelles-Rome , -; J. Soler, La Déesse Syrienne, “dea
peregrina” : la mise en récit de l’alterité religieuse dans les Métamorphoses d’Apulée, in C.
Bonnet, A. Declercq, I. Slobodzianek (a c. di), Les représentations des dieux des autres,
Caltanisetta , -. Sul rapporto/contrasto tra questa dea e Iside vd. J. Gwyn
Griffiths, Isis in the Metamorphoses of Apuleius, in AA.VV., Apects of Apuleius’ Golden
Ass, cit., -.
. In viaggio con l’asino
rabbioso .
Per ora si tratta di breve intervallo, ma sufficiente a chiarire
in che senso stia ormai spingendo la strategia complessiva della
narrazione. A Lucio s’impone un ulteriore, e ultimo, tour de
force tra le diverse categorie sociali che popolano gli strati più
bassi della società del tempo; anzi, le forme di abbrutimento
possono addirittura farsi più pesanti, ma nulla sembra in grado
di arrestare il processo di liberazione che preme e pulsa sottopelle. Succede infatti che, venuto in possesso di un mugnaio e
legato alla macina di un mulino, lo scholasticus che si cela nel
ciuco abbia il sopravvento sulla misera situazione in cui si trova:
di fronte a sé fatica e degradazione che accomunano uomini e
animali in un unico spettacolo di sfruttamento e disperazione;
dentro di sé lo spirito di Ulisse, spettatore interessato ad arricchire il proprio bagaglio di conoscenze e a far valere i diritti
della cultura sull’alienazione del lavoro servile (Met. IX -) .
Parimenti desta rimane la vena ’storiografica’ dell’asino, che a
ogni passaggio di proprietà trova nuova materia di racconti per
. Sull’intera scena vd. S. Mattiacci, L’episodio della canis rabida e la prova dell’acqua: una innovazione apuleiana tra scienza e parodia (Met. , -), «Sileno» , ,
-.
. Vd. G.F. Gianotti, Schiavi e macchine, «Studi storici» , , ; C. Facchini
Tosi, Quales illic homunculi / quales illi muli (Apul. Met. , -), «Vichiana» ª s., ,
, -; K. Bradley, Animalizing the Slave: the Truth of Fiction, «Journal of Roman
Studies» , , -; E.J. Kenney, In the Mill with Slaves: Lucius Looks back in
Gratitude, «Transactions of American Philological Association» , , -; J.
Annequin, Esclaves-esclavage, peur individuelles et peurs sociales dans les Métamorphoses
d’Apulée, e M.J. Hidalgo de la Vega, The Flight of Slaves and band of latrones in Apuleius,
in A. Serghidou (a c. di), Fear of Slaves - Fear of Enslavement in the Ancient Mediterranean.
Peur de l’esclave - Peur de l’esclavage en Mediterranée ancienne, Franche-Comté ,
- e -; B. Avila Vasconcelos, Bilder der Sklaverei in den Metamorphosen des
Apuleius, Göttingen ; S. Sabnis, Towards an Epistemology of Slavery in Apuleius’
Metamorphoses, in E. Plantade, D. Vallat (a c. di), Les savoirs d’Apulée, HildesheimNew York , -. L’elogio asinino di Ulisse contenuto in questo passo si può
utilmente confrontare con la lode dell’eroe omerico che Apuleio celebra in chiusa
del De deo Socratis (), a mostrare che l’uomo non è prigioniero dell’inferno del
mondo terreno, ma può contare su forze demoniche che ne dirigono l’esistenza e
assicurano contatti col divino.
Rileggendo Petronio e Apuleio
allargare la scena della ’commedia umana’ delle Metamorfosi e
dar vita a un’ampia sezione de spectaculis sorvegliata da attenta
e dotta regia: i ’Mimi di adulterio’ del IX libro (-: novella della
giara; -: novella di Filesitero; -: novella del mugnaio);
nel X libro le storie tragiche della matrigna innamorata (-) e
della donna avvelenatrice ( ss.) che precedono la descrizione
della grande pantomima del circo di Corinto (-) .
Negli intervalli di queste storie, collante dell’intero mosaico
dell’opera, si dipana la vicenda principale, scandita da tappe
che segnano i progressi del nostro eroe verso il recupero della condizione umana. Seguirne le cadenze non risulta troppo
disagevole, in quanto il testo è prodigo di indizi e di spie linguistiche che ritmano con chiarezza la marcia di avvicinamento
dell’asino all’uomo. Per esempio, nell’episodio successivo all’esperienza del mulino, ritroviamo Lucio al servizio di un povero
ortolano (Met. IX ) e scopriamo che la sua giornata è organizzata in maniera paradossale, almeno per quanto concerne gli
standars riservati alle bestie da fatica: infatti, mentre il padrone lavora come uno schiavo e se sta a schiena curva come un
animale («incurvus labori deservit»), Lucio, impiegato solo al
mattino per il trasporto degli ortaggi al mercato, si riposa, sta in
otio, come si conviene agli uomini liberi («otiosus placida quiete
recreabar»). Il triangolo asino-servo-padrone come intelaiatura
per comici scambi di ruoli ha un illustre precedente nella scena
d’apertura delle Rane aristofanee (vv. -), là dove Dioniso, in
viaggio verso l’Ade, segue a piedi il servo Xantias, che procede
a cavallo di un asino. La scena delle Rane, è noto, permette
ad Aristofane di parodiare, teatro nel teatro e sul teatro, fun-
. L’espressione si deve a G. Galimberti Biffino, Le Metamorfosi di Apuleio,
“commedia umana”?, in AA.VV., Studi su Varrone, sulla retorica, storiografia e poesia
latina. Scritti in onore di B. Riposati, I, Rieti , -.
. Vd. N. Fick, Die Pantomime des Apuleius, in AA.VV.,Theater und Gesellschaft
im Imperium Romanum, a c. di J. Blänsdorf, Tübingen , -; R. May, The
Metamorphosis of Pantomime: Apuleius’ Judgment of Paris (Met. , -), in E. Hall, R.
Wyles (a c. di), New Directions in Ancient Pantomime, Oxford , -.
. In viaggio con l’asino
zioni e battute dei servi da commedia ; la scena apuleiana,
invece, dopo aver concentrato nel duplice protagonista le funzioni del servo e dell’animale, prefigura un sovvertimento di
ruoli che procede in senso inverso rispetto a quello causato
dalla relazione con la servetta Photis e fissato icasticamente
dalla metamorfosi. Il divario tra asino e dominus si riduce anche
sul piano alimentare: entrambi si nutrono dello stesso cibo,
anche se la natura di questo (amara e fangosa lattuga) evidenzia
la degradazione sociale del contadino povero piuttosto che la
promozione umana dell’animale .
A conferma che la via alimentare (anch’essa in direzione
inversa rispetto al passaggio dal ’cotto’ al ’crudo’ che abbiamo
registrato al seguito della banda dei briganti) rappresenti una
strada privilegiata per far compiere ulteriori e decisivi progressi
al nostro duplice eroe, il successivo episodio vede Lucio-asino
passare in proprietà di due esperti di arte culinaria, di due fratelli a loro volta al servizio, in qualità di cocus et pistor, di un
signore facoltoso e potente, Thiasus di Corinto, che sta girando la Tessaglia in cerca di bestie e gladiatori da far esibire nei
ludi della sua città (Met. X ss.). Introdotto finalmente in una
’festosa comitiva’, come suggerisce il nome parlante del nuovo
padrone , Lucio ripercorre in breve la storia dell’incivilimento umano all’insegna del passaggio dal ’crudo’ al ’cotto’. La
condizione di contubernalis di due professionisti della cucina
concentra sulla dimensione gastronomica la nuova tappa di
allontanamento dalla condizione ferina: l’assunzione di cibo
umano (Met. X , : «humanis cibis saginatus»), dapprima divorato con clandestina destrezza e poi gustato in occasioni sempre
. Se ne veda il comm. in Aristofane. Le Rane, a cura di D. Del Corno, MilanoVicenza , -.
. Riprendo qui e di seguito alcuni spunti già in parte sfruttati in ’Romanzo’ e
ideologia, cit., ss.
. Come è noto, il termine greco thiasos designa una comunità a sfondo
religioso-educativo; qui, attraverso il nome dell’ultimo dominus umano di Lucioasino, si adombra il futuro ingresso nel collegio sacerdotale di Osiride (di cui Thiasus,
almeno nel momento del ritorno a Corinto, sembra non pallida ipostasi).
Rileggendo Petronio e Apuleio
più ufficiali e programmate, rivela all’interno dell’ingombrante
corpo asinino lo stesso palato da buongustaio già messo alla
prova durante il banchetto nella sontuosa dimora di Byrrhena
o gli spuntini notturni in compagnia di Photis nel corso del
II libro. Così, da collega di schiavi Lucio diventa parasitus, poi
sodalis e conviva del dominus, guadagnandosi un posto fisso alla
sua mensa (Met. X -). Il recupero della commensalità umana
e la benevolenza del nuovo signore fanno dimenticare i tempi
bui e ormai lontani della stalla di Hypata, le rose nella mangiatoia negate a causa dell’ostilità degli animali veri, le bastonate
per mano del proprio servo.
E non basta: da buon filosofo platonico memore – si direbbe
– del detto socratico che «l’educazione è festa dell’anima» ,
Apuleio trasforma la permanenza presso la festiva brigata di
Thiasus in momento educativo, in paideia a cielo aperto: il cammino dell’emancipazione (coincidente col viaggio di ritorno a
Corinto) si sviluppa infatti sul terreno della pedagogia, ’umana’ questa volta, specularmente opposta a quella asinina subita
durante il viaggio di ’andata’ alla volta del covo dei briganti.
Lucio-asino, affidato alle cure di un liberto, che lo tratta satis
humane satisque comiter (Met. X , ), si sottopone a un rapido e
facile tirocinio che lo reimmette negli spazi frequentati dall’uomo, sia pure come protagonista dello show dell’asino sapiente
che sa stare a tavola, danzare e lottare, che capisce le parole
degli interlocutori e sa rispondere in maniera appropriata secondo le forme di comunicazione a lui concesse. E al solito, al
clou di questo percorso, troviamo un ingresso trionfale: l’asino
umano, ornato d’aurei e preziosi finimenti (ancora l’oro dell’asino!), entra in Corinto con in groppa il padrone, tra ali di folla
«non tantum Thiasi studentes honori quam mei conspectus
cupientes» (Met. X , -, ).
Dopo il ritorno a Corinto, la prova generale del ritorno all’umanità del nostro scomodo personaggio si compie sul piano
delle performances sessuali, troppe volte evitate nel corso della
. Socr. in Stob. II , .
. In viaggio con l’asino
carriera asinina; gli incontri con la matrona zoofila (X -),
oltre a riproporre in prospettiva ribaltata gli esercizi sessuali di
Lucio con Photis del II libro e far nascere il disegno dell’esibizione pubblica di tali unioni difformi, sono infatti il punto
d’arrivo della rieducazione di Lucio, almeno per quanto riguarda il pieno recupero delle funzioni fisiologiche. Punto d’arrivo
che non è ancora sufficiente a innescare la retro-metamorfosi,
ma che a noi permette comunque alcune considerazioni sulla pedagogia di ritorno (all’uomo, al luogo di partenza) che
Lucio vive nella comunità di Thiasus. L’insieme dei dati qui
concentrati mostra come Apuleio abbia concepito il curriculum
di Lucio in questa sorta di scuola totale en plein air, a contatto
col mondo esterno prima e poi nuovamente in prossimità della
dimensione umana, sulla ragnatela lessicale che designa ogni
forma di apprendimento e trasmissione del sapere mediante
metafore fredde che sottendono un viaggio attraverso il patrimonio culturale (seguire, guidare, progredire ecc.) . Lo spazio,
lo sappiamo, è circoscritto dal viaggio da Corinto a Corinto
attraverso la Tessaglia (forse con uno sconfinamento in Macedonia). Quanto al tempo non abbiamo indicazioni precise, ma
ricordando che il viaggio a Hypata avviene d’estate e che la festa
di Iside celebra il ritorno alla navigazione nella primavera successiva, si sarebbe tentati di dire che l’esperienza di Lucio nel
ventre della bestia dura il ciclo di tre stagioni: più o meno nove
mesi, ossia il tempo necessario per far nascere (o rinascere) un
uomo.
Che di rinascita si tratti, è fuor di dubbio; ma prima dell’intervento maieutico di Iside devono realizzarsi altre condizioni,
. C.C. Schlam, The Metamorphoses of Apuleius, cit., -: «The two accounts
are placed chiastically at about the same distance from the beginning and end of
the novel. Certain details of the first encounter are recalled in the second». Vd. S.
Haskins, Bestial or Human Lusts?. The Representation of the Matron and her Sexsuality
in Apuleius, Metamorphoses ..-., «Acta Classica» , , -.
. Cfr. P. Radici Colace, Per un lessico didattico-pedagogico nelle lingue classiche:
metafore spazio-temporali nei processi di apprendimento e di insegnamento, «Giornale
Italiano di Filologia» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
che finora non abbiamo visto rispettate. Ciò che manca a Lucio
al termine della sua educazione o iniziazione al mondo è l’esercizio delle valutazioni razionali e delle scelte morali, andato
smarrito nella trappola di Hypata e non ancora ripristinato, a ristabilire la linea di demarcazione che divide, secondo la scienza
aristotelica, l’uomo dallo schiavo e dall’animale. L’attesa non è
comunque lunga: nel bel mezzo dello spettacolo allestito nel
circo di Corinto Lucio recupera entrambi gli ambiti ancora
mancanti. Al termine della pantomima del Giudizio di Paride,
dopo esser sbottato nell’invettiva contro la giustizia ingiusta e
corrotta (del passato come del presente), interrompe la sdegnosa tirata e commenta ironicamente il proprio esercizio critico:
«sed nequis indignationis meae reprehendat impetum secum
sic reputans: “ecce nunc patiemur philosophantem nobis asinum”, rursus unde decessi revertar ad fabulam» (Met. X ) . Il
che equivale a dire che, in margine allo spettacolo del primo
giudizio della storia del mondo (rerum exordio), la denuncia
della corruzione dei tribunali e le metafore zoologiche indirizzate ad avvocati e giudici (forensia pecora, togati vulturii) fanno
riemergere una ratio che eccede la dimensione bestiale, come
lascia intendere la sorridente espressione ossimorica dell’asino
che si mette a far filosofia . Riabilitato all’uso della ragione,
immediatamente l’asino-filosofo prova ripugnanza e terrore
di fronte alla prospettiva dell’unione con la sciagurata partner
prevista dall’insolito copione; evita altresì d’accostarsi alle rose,
pur presenti nell’arena, per le ragioni che sappiamo, e decide
di fuggire, compiendo così una scelta (liberum arbitrium si leg. Vd. A. Kirichenko, Asinus Philosophans: Platonic Philosophy and the Prologue to
Apuleius’ Golden Ass, «Mnemosyne» , , -; F. Drews, Asinus Philosophans:
Allegory’s Fate and Isis’ Providence in the Metamorphoses, in W.H. Keulen, U. EgelhaafGaiser (a c. di), Aspects of Apuleius’ Golden Ass. III. The Isis Book, Brill, Leiden-Boston
, –
. Vd. in merito, e in prospettiva diversa, E. Finkelpearl, The Judgment of Lucius: Apul. Met. , -, «Class. Ant.» , , -; M. Zimmermann-de Graaf,
Narrative Judgement and Reader Response in Apul. Met. , -: the Pantomime of the
Judgement of Paris, in Groningen Colloque on the Novel, V, Groningen , -.
. In viaggio con l’asino
ge in X , ) che lo riconcilia con la sfera dell’etica. Solo a
questo punto, completato l’intero curriculum propedeutico che
dall’alimentazione sale alla morale attraverso la ritrovata messa
in atto delle prerogative fisiologico-sessuali e delle capacità razionali, l’intervento salfivico non è più dilazionabile: l’epifania
notturna di Iside detta le condizioni del ritorno all’umanità
e del nuovo status di fedele isiaco che attende il nostro eroe,
beatus e gloriosus, come promette la dea, come suggerisce la riflessione platonica sulle possibilità d’integrazione tra vita attiva
e vita contemplativa, e come vuole la logica dell’iniziazione,
la quale si mette in moto esclusivamente in funzione di un
cambiamento, di un miglioramento dello status di partenza.
Puntualmente, tutto quanto è stato annunciato dalla rivelazione
isiaca si compie sulla spiaggia di Cenchreae, nel corso della
festa del Navigium Isidis: le rose di Iside cancellano la dira facies
del quadrupede (che in estremo omaggio all’abito ferino le
divora in un sol boccone) e segnano l’inizio della nuova vita di
Lucio, reformatus e renatus .
Il cammino in compagnia dell’asino è davvero finito e al suo
termine ritroviamo un uomo nuovo, aperto a più larga comprensione del mondo e avviato a più sicuri rapporti col divino.
C’è però un interessante supplemento di viaggio, un po’ perché
tutte le strade portano a Roma, un po’ perché a Roma finiva –
secondo la tradizione – anche il mitico figlio di Teseo, morto
in Grecia come Ippolito e rinato nei culti di Diana Nemorensis
come Virbio, soprattutto perché è nella capitale dell’impero (la
vera città “eccelsa” dell’oikouméne, sede dell’hypatos tra tutti gli
uomini, dell’imperatore) che si misura l’effettiva promozione
dei singoli. L’ultimo spostamento, mentre sottrae la narrazione
alla circolarità restauratrice che sembra dominare la versione
. Unica attestazione dell’espressione in tutta l’opera superstite di Apuleio.
. Sull’ultimo libro dell’opera ci si orienta grazie a J. Gwyn Griffiths, Apuleius.
The Isis-Book, Leiden , e ai contributi raccolti in W.H. Keulen, U. Egelhaaf-Gaiser
(a c. di), Apuleius Madaurensis. Metamorphoses. Book XI, cit. in n. .
. In generale vd. A. Mehl, W.Chr. Schneider (a c. di), Reformatio et reformationes.
Festschrift für Lothar Graf zu Dohna zum . Geburtstag, Darmstadt .
Rileggendo Petronio e Apuleio
non apuleiana, riserva la sorpresa di assegnare all’antico Lucio
di Corinto tratti o identità dell’«uomo di Madauro» (Met. XI
) , senza cancellare tuttavia i segni delle esperienze e delle
promesse passate. Sorprendiamo così il nostro eroe beatus come seguace dei culti egizi e gloriosus come professionista del
diritto e patrocinatore di cause giudiziarie (Met. XI ); e se ci
ricordiamo che nel collegio sacerdotale di Osiride egli riveste il
rango di pastoforo, cioè di portatore della statua del dio, possiamo concludere che in fin dei conti anche l’allenamento fisico
di altri trasporti (refurtiva, Charite, la statua della dea Siria,
Thiasus) in guise diverse non è stato inutile.
. In merito vd. R.T. van der Paardt, The Unmasked I. Apuleius’ Met. XI ,
«Mnemosyne» n.s. , , -; H.J. Mason, The Distinctions of Lucius in Apuleius’
Met., «Phoenix» , , -. Per nuove proposte su base archeologica circa il
soggiorno romano di Apuleio stesso cfr. F. Coarelli, Apuleio a Ostia?, «Dialoghi di
Archeologia» s. III, , , -; M. D’Asdia, Nuove riflessioni sulla domus di Apuleio
a Ostia, «Archeologia Classica» , , -.
Capitolo IV
Spunti teatrali nella narrativa latina:
le Metamorfosi di Apuleio∗
.. Teatri senza testi, testi senza teatro
La storia del teatro romano dalla fine della repubblica e per
tutta l’età imperiale deve fare i conti con una situazione paradossale, avvertita da tutti gli studiosi e denunciata con nettezza
da William Beare: dal a.C., inaugurazione del teatro lapideo
di Pompeo, la documentazione archeologica e storica attesta
– per Roma e poi per tutto il mondo romanizzato – il moltiplicarsi di edifici stabili di spettacolo, mentre la produzione di
testi teatrali sembra subire drastico impoverimento. L’unica
vera eccezione, vale a dire il perduto Thyestes di Vario Rufo,
rappresentato nei ludi per la vittoria di Azio (/ a.C.), non
può modificare il quadro generale. Paradosso nel paradosso:
quando abbiamo notizia delle tragedie di Asinio Pollione, le
fonti dicono che sono testi non destinati alla rappresentazione,
ma alle recitationes di fronte a un pubblico ristretto e ostile al
principato; di più, anche quando possiamo leggere un buon
gruppo di testi tragici conservati per tradizione manoscritta,
come le tragedie di Seneca, è opinione diffusa che tali testi
non abbiano conosciuto rappresentazione scenica. In realtà,
il paradosso vale per i generi del teatro ufficiale della parola,
in particolare per la tragedia, tradizionalmente alimentata da
spiriti antitirannici e libertari. Rispetto a questi temi le scelte
∗
Prima stesura: Spettacoli e spettatori in Petronio e in Apuleio: spunti teatrali nella
narrativa latina, «I Mercoledì dell’Accademia - Quaderni» , , - e -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
del potere non sono – ovviamente – interessate a promuovere
produzioni potenzialmente contestatrici.
L’episodio che aiuta a comprendere gli orientamenti del
potere avviene nei Ludi del a. C., con l’inedita gara tra due
mimografi, Decimo Laberio e Publilio Siro, voluta da Cesare. La sfida evoca nuovi scenari, la realtà del mimo e il potere
del dittatore, alleati nel sancire il declino della drammaturgia
ufficiale e della vena antitirannica come espressione della libertas e delle tradizioni nobiliari. Involontari protagonisti sono
un eques Romanus asperae libertatis (Macrobio, Saturnalia , ,
) che compone mimi (a conferma che tali libretti non sono
ritenuti opera indegna di cittadini di rango) e un ex-schiavo
di Antiochia, autore e attore dei propri testi. Il vero protagonista è però Cesare, il quale, risentito per gli attacchi di Laberio,
ordina ut prodiret in scaenam et ipse ageret mimos quos scriptitabat, sfidando il liberto d’origine siriana. Laberio si esibisce in
vesti servili e pronuncia battute inequivocabili: Porro, Quirites,
libertatem perdimus! Necesse est multos timeat quem multi timent
(variazione quest’ultima del noto verso di Accio oderint dum
metuant). Cesare assegna la vittoria a Publilio Siro, ma risolleva
Laberio al rango di cavaliere da cui il suo invito l’aveva fatto
decadere: così gli spettatori assistono a duplice spettacolo, dei
mimi e del potere assoluto; e al fine di chiarire le regole del
gioco e i parametri della mobilità sociale più istruttivo risulta il
secondo.
L’avvento del principato determina condizioni destinate a
durare nel tempo. L’età augustea tenta invano soluzioni totali
e unitarie del problema del teatro, in analogia con la restaurazione ’formale’ dei mores realizzata sul piano istituzionale.
Augusto è interessato al rilancio della poesia scenica come fattore di coesione sociale: ne fa fede, tra l’altro, la garbata ma
ferma polemica oraziana (Epistola ad Augusto, Ars poetica) sulla possibilità di resuscitare il teatro nazionale romano senza
seguire la via maestra dei modelli greci. Tuttavia, più che l’insensibilità nei confronti di pretesi canoni artistici o il degrado
dei gusti del pubblico, è appunto la committenza del principe
. Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]
a ostacolare la ripresa del teatro dotto, in quanto comprime lo
sviluppo di temi libertari e antitirannici cari alla tragedia e, sul
versante della commedia, non è disposta a tollerare pratiche
di comicità antiregime. Così, tragedia e commedia si avviano
alla vita umbratile delle recitationes per pochi spettatori (oltre
Asinio Pollione va ricordato Gaio Melisso, autore di sfortunate
commedie trabeatae), mentre le scene sono occupate stabilmente da histriones, mimi et saltatores. Alla committenza augustea di
mimi fa cenno Ovidio, che dall’esilio tenta di giustificare così i
suoi carmi d’amore:
Che mi sarebbe successo se avessi scritto mimi, che scherzano su
argomenti osceni (obscena iocantes) e contengono sempre colpe di
illeciti amori, e nei quali l’adultero si presenta sempre azzimato e
l’astuta moglie inganna lo stolto marito? Li vede la fanciulla in età da
marito, la matrona, l’adulto e il fanciullo, e vi assiste una gran parte
di senatori. Non basta che le orecchie siano offese da parole oscene;
anche gli occhi si abituano a sopportare la vista di molte vergogne:
quando l’innamorato ha ingannato con qualche nuova trovata il
marito, si applaude e approva con grandi battimani; quanto meno il
teatro è morale, tanto più fa guadagnare il poeta, e il pretore compra
a non piccolo prezzo enormi oscenità. Considera, Augusto, le spese
per i tuoi giochi: vedrai che molte di tali oscenità tu hai acquistato a
caro prezzo. [...] Se è permesso scrivere mimi che presentano fatti
sconci (scribere si fas est imitantes turpia mimos), all’argomento da
me trattato era dovuta pena minore. O forse è il palcoscenico che
dà l’impunità a questo genere di componimenti, e la scena ha reso
lecita ai mimi la licenza? (Tristia , - e -; traduzione di
Francesco Della Corte).
La tirata ovidiana non è disinteressata, volta com’è alla difesa
dell’Ars amatoria; concentra però molti dei giudizi negativi che
accompagneranno mimi (e pantomime) lungo tutto il corso
dell’età imperiale, accomunando critiche di intellettuali, periodiche proibizioni su scala locale, infine atteggiamenti ostili di
parte cristiana. Chiarisce inoltre come ai tempi di Augusto lo
spettacolo sia ormai alternativo al teatro ufficiale e mostra come
iniziative del potere e gusti del pubblico procedano in piena
sintonia.
Rileggendo Petronio e Apuleio
Sempre in età augustea si assiste al decollo della pantomima,
lo spettacolo di maggior successo fino al V sec. d. C. e oltre,
che decreta l’eclisse del teatro dotto e trasmette a livello medio
e popolare la tradizione religiosa e mitologica, con funzione
unificante in ambito di cultura diffusa. Una breve premessa
riguarda la ricezione delle opere di Virgilio fin dal loro apparire.
La Vita Vergili di Donato informa che alle letture private si sono
subito aggiunte pubbliche rappresentazioni: Bucolica eo successu
edidit, ut in scaena quoque per cantores crebro pronuntiarentur (). Nel tacitiano Dialogus de oratoribus (, -) si dice che della
popolarità di Virgilio è «testimone il popolo stesso che a teatro,
sentendone recitare i versi, si alzò tutto in piedi e onorò quasi
alla stregua di Augusto il poeta che si trovava tra gli spettatori».
La struttura dialogica e il carattere mimetico delle Bucoliche sono infatti agevole supporto per esibizioni di professionisti della
scena, di attori mimici; appunto un nome di mima, VolumniaCiteride, è legato all’esecuzione della VI Bucolica. Il discorso
vale per tutta l’opera virgiliana: anche l’Eneide è stata giudicata
traducibile in termini scenici e gli episodi più noti sono stati
oggetto di rappresentazione. Secondo Svetonio (Vita di Nerone
) il principe «nell’ultimo periodo di vita aveva fatto pubblico
voto di esibirsi, se avesse conservato il potere, nei giochi indetti
per la vittoria come suonatore di organo idraulico, di flauto e
di zampogna, infine nell’ultimo giorno come histrio per rappresentare danzando il Turno di Virgilio»; secondo Macrobio
(Sat. , , ) la fabula di Didone compare sia come programma figurativo caro a pittori e scultori sia come tema celebrato
histrionum perpetuis et gestibus et cantibus. La fortuna di Virgilio, dunque, non dipende soltanto dalle scuole e dalla lettura;
passa anche attraverso il palcoscenico. Qualcosa di analogo può
essere accaduto a Ovidio. Ormai in esilio, il poeta afferma di
non aver scritto appositamente per il teatro, quando viene informato di pubbliche esecuzioni di suoi carmi (Trist. , , -:
carmina [...] pleno saltari nostra theatro), ma altrove ammette che
et mea sunt populo saltata poemata saepe (Trist. , ). Forse già
prima dell’esilio e al di là delle intenzioni i versi ovidiani hanno
. Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]
fornito materia per fabulae salticae: si pensi alle Heroides, il cui
carattere drammatico ha dato vita all’ipotesi che le epistole delle eroine siano in realtà destinate a rappresentazione con tanto
di musica e danza. Né si può escludere che l’accenno di Trist. ,
possa riguardare una trica ricavata dall’Ars amatoria e messa
in scena col concorso di personaggi di corte. Così, il mondo
dello spettacolo, mentre riduce gli spazi riservati a tragedie e
commedie ’impegnate’, apre le porte a testi non teatrali e punta
su esecuzioni fatte di musica, danza, espressività corporea. Il
lessico impiegato (cantores, cantus, histriones, saltare), pur avendo per ogni termine tratti specifici di storia teatrale, nel suo
insieme rinvia alla prassi della pantomima.
In base alle fonti antiche si segna nel a. C. il decollo
della pantomima a Roma, grazie all’attività di Batillo di Alessandria e Pilade di Cilicia, liberti rispettivamente di Mecenate e
di Augusto, entrambi esperti di esibizioni mimetiche su temi
mitologici, specializzato il primo in danze comico-parodiche
(saltatio hilara), il secondo in danze di contenuto tragico (saltatio tragica). La fortuna del teatro dei pantomimi, sebbene gli
attori siano esposti al capriccio dei principi, non viene meno
nel corso di tutto l’impero. Il successo origina ruoli fissi (e
iterazione di nomi d’arte) e forme di divismo. Seneca parla
di nobilissimi iuvenes mancipia pantomimorum (Epist. , ) e
in chiusa delle Naturales quaestiones (, , -) lamenta l’assenza d’interesse per gli studi di filosofia, mentre «la dinastia di
Pilade e Batillo continua stabilmente nei successori; di queste
arti molti sono i discepoli e altrettanti i maestri». Il successo è
confermato dalle fonti storico-epigrafiche che parlano sia della
fortuna degli attori sia di periodiche voci di condanna. Prima
ancora che si facciano sentire i cristiani, il coro di dissensi e polemiche registra interventi di poeti e intellettuali, di Giovenale
e Dione di Prusa, per esempio, di Plutarco e Tacito, di Galeno
ed Elio Aristide. Il giudizio più duro si legge nelle Historiae di
Ammiano Marcellino (IV sec. d.C.), il quale constata come tra
aristocrazia romana e popolino i gusti siano ormai convergenti:
«Le poche dimore un tempo famose per severa dedizione agli
Rileggendo Petronio e Apuleio
studi ora sono immerse nel ludibrio d’una torpida ignavia e
risuonano della voce dei cantori e del tintinnio delle cetre. Invece del filosofo si invita il cantante, al posto dell’oratore l’esperto
di spettacoli. Mentre le biblioteche sono chiuse per sempre a
guisa di sepolcri, si fanno costruire organi idraulici e lire enormi come carri e flauti e strumenti pesanti per accompagnare i
gesti degli histriones. [...] Dovunque tu volga lo sguardo, vedi
torme di donne dalle chiome inanellate [...] che spazzano fino
alla nausea i pavimenti coi piedi e si agitano in veloci giri di
danza eseguendo le innumerevoli figure inventate dalle fabulae
teatrali» (, , -). Se assai diffusi sono mimi e pantomime,
i testi relativi hanno importanza secondaria rispetto alle esibizioni degli attori: pochi resti di mimi greci sono conservati per
via papiracea; pochi frammenti di mimi latini sono noti per tradizione indiretta; quasi nulla rimane della fabulae salticae, anche
di quelle composte da poeti come Lucano o Stazio. Qualche
ammissione non manca, come mostra lo stesso Seneca (Epist. ,
: quantum disertissimorum uersuum inter mimos iacet! quam multa
Publilii non excalceatis sed coturnatis dicenda sunt); ma in generale, eccetto le sententiae attribuite a Publilio Siro, sono testi
esclusi dagli spazi riservati alle opere letterarie, dalle biblioteche
e dalla scuola. Bene: appurato che per lo più i teatri e le grandi
dimore del mondo romano sono occupati da spettacoli che non
prevedono testi letterariamente sostenuti, che possono usare
testi altrimenti destinati (per es. Virgilio) o non richiedono affatto testi, possiamo passare a un fenomeno inverso e speculare,
vale a dire ai riflessi che il mondo degli spettacoli, tradizionali
o meno, ha nella narrativa latina, segnatamente nelle opere di
Apuleio.
.. Scenari apuleiani
Con le Metamorfosi di Apuleio si rimane all’interno del genere
narrativo (II secolo d.C.) e ci si trova di fronte a una narrazione
continua e accurata, in grado di presentare, intercalate alla vi-
. Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]
cenda principale (la storia dell’uomo-asino), brillanti excursus
e sapide novelle secondo una calibrata e funzionale ars combinandi. Che il senso dello spettacolo sia vivo nelle Metamorfosi è
da tempo segnalato dalla critica. Tale aspetto appare in primo
piano nelle numerose scene di massa che si snodano via via
nel testo, dalla festa del dio Riso e dal processo-farsa di Lucio
otricida all’altalenante vicenda di Psiche tra terra e cielo, dal
trionfo di Charite liberata alle esibizioni more circensi dell’asino
sapiente, dallo spettacolo del circo di Corinto alla grande processione isiaca dell’XI libro. Ma non basta: è l’intero racconto,
scandito dai coups de théâtre di inesausti processi metamorfici,
a venir concepito come rappresentazione, in quanto sembra
proporre una ricezione di tipo ’visivo’, per immagini, dei fatti
narrati. Cunctis hominibus multa usu uenire mira et paene infecta,
dice il protagonista a commento della fabula di Aristomene e
Socrate (Met. , , ); e se per una storia di mirabilia non sorprende troppo la messa a punto di un’estetica dello sguardo,
neppure dovrebbe sorprendere che la reductio ad fabulam di
materiali e situazioni derivati da generi letterari illustri – epica e
storiografia, poesia teatrale e trattatistica filosofica – sia funzionale alla ricezione per via d’immagini da parte di un pubblico
non esclusivo, non a priori selezionato da formazione culturale
elitaria. Detto altrimenti, la destinazione appare aperta a tutti,
in quanto Apuleio esce dalle aule e dalle sale di conferenze per
farsi novelliere en plein air e sceglie una forma di comunicazione ‘minore’, a mezza via tra satira menippea e fabula Milesia
(Met. , , : ego tibi sermone isto Milesio uarias fabulas conseram).
Così operando, non rinuncia alle proprie dottrine di seguace di
Platone né ai territori cari ai filosofi (anima, mito, cosmo), ma
neppure evita l’affollato paesaggio della società umana come
scenario di vicende di degradazione e riscatto. Se diamo retta a
Cicerone (Academica , , ), la mistione tra hilaritas e serietà,
propria della tradizione menippea, punta a far sì che «anche i
meno dotti (minus docti) possano capire più facilmente, invogliati alla lettura da un certo tono d’allegria (iucunditate quadam
ad legendum inuitati)». In sostanza, l’autore delle Metamorfosi
Rileggendo Petronio e Apuleio
accetta la sfida della storia: dalla società storica ricava spunti e
tratti realistici e alla società rivolge un messaggio edificante,
perché il suo compito è quello di docere, come volevano gli intellettuali antichi in genere e i “nuovi sofisti” in particolare. Ma
per rendere meglio accessibile l’azione pedagogica, sa altresì
che è necessario delectare, al fine di coinvolgere nei processi di
comprensione anche i minus docti. I modi di questa lezione a
cielo aperto sembrano suggeriti dalla realtà stessa della società
imperiale che prevede luoghi deputati per l’incontro tra fasce
di pubblico diverse per censo e cultura. Accanto alla solitudine
dello studioso e al mondo appartato di scuole e biblioteche,
Apuleio conosce bene anche gli spazi popolosi del circo e del
tribunale, del mercato, della festa e degli intrattenimenti spettacolari, là dove lotte di uomini e animali, abilità di causidici e di
cantastorie e di acrobati, apparati scenici e rituali sono parti di
un unico grande spettacolo che accomuna tutti, dotti e umili,
indotti e potenti, in un’unica categoria di spettatori.
Accantonate le considerazioni sui possibili destinatari, possiamo procedere a un esame ravvicinato dei diversi scenari
evocati dalla narrazione, che fin dal prologo dichiara di voler
sottoporre all’attenzione (e all’ammirazione, ut mireris) del lettore cambiamenti mirabolanti e spettacolari (Met. , , : figuras
fortunasque hominum in alias imagines conuersas et in se rursus
mutuo nexu refectas). In effetti, ci troviamo di fronte a una storia
di metamorfosi costruita, è vero, secondo ingredienti tradizionali, ma messa in moto e inserita nella dimensione quotidiana
attraverso un singolare (e inusuale) groviglio di motivazioni e
di cause. Se si vuole procedere con ordine, lungo la traiettoria
narrativa dei primi libri, fino all’inizio del racconto di Amore e
Psiche (Met. , ), si assiste a una serie costante di fatti e azioni
spiegati in maniera contrastante, a metà strada tra finzione e
svelamento, tra pretesto apparente e causa segreta, tra inganno e verisimiglianza. Il gioco dell’ambiguità inizia subito, in
quanto riguarda le ragioni stesse del viaggio di Lucio di Corinto, scholasticus di bell’aspetto e mal controllata curiositas, in
Tessaglia: da Met. , , apprendiamo che Lucio muove alla
. Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]
volta della Tessaglia per affari (Thessaliam ex negotio petebam); in
Met. , , - gli affari sono dimenticati e viene in primo piano
il desiderio di conoscere quae rara miraque sunt. Dato che la
Tessaglia è terra di magia sovvertitrice del reale, il giovane
sospetta che in ogni cosa si possa celare, al di là dell’apparenza,
una verità nascosta, convinto com’era che nulla di quanto si
presenti alla vista «possa davvero essere ciò che in effetti era»
(id esse ... quod esset). Avviene così che l’autore spinga l’attore
principale (e con lui tutti i comprimari) in un territorio mal
certo, dove è possibile tutto e il contrario di tutto, un po’ come
il poeta di cui parla Orazio nell’Epistola ad Augusto, vv. -:
ille per extentum funem mihi posse uidetur / ire poeta meum qui
pectus inaniter angit, / inritat, mulcet, falsis terroribus implet, / ut
magus, et modo me Thebis, modo ponit Athenis. In Apuleio, che
ben conosce la tecnica di spaesamento usata dagli autori di teatro (come sappiamo da Florida ), la magia non è metaforica,
ma ritenuta effettivamente operante nel generare alternative
possibili per ogni immagine, per ogni spazio e per ogni spiegazione, col risultato di dilatare la nozione di metamorfosi e di
assegnarle il compito di tradurre in parole inesauste sorprese e
incessanti colpi di scena.
Il primo racconto di magia è un racconto di viaggio che fa
scordare le fatiche del cammino alla volta di Hypata, la cittadina
tessala mèta del protagonista-narratore: racconto di Aristomene
sulla morte – per magia, con tanto di spettacolare dilazione –
di uno sfortunato Socrate antifrastico (Met. , -). Come nel
Satyricon e nella narrativa in genere, si mettono in scena personaggi dai nomi parlanti: spetta infatti all’antroponimo riscattare
il portatore del nome dall’assenza d’una storia personale conosciuta e riconoscibile, pari cioè a quella di cui gode chi frequenta
i generi letterari illustri del teatro tragico e della storiografia. Il
teatro tragico, comunque, non è troppo lontano nell’immaginazione di Apuleio: quando Socrate alza i toni per descrivere i
poteri della maga, che lo tiene legato e che punirà il tentativo
di fuga con macabro rituale notturno, il compagno lo esorta a
parlare come la gente normale e a togliere di mezzo scena e
Rileggendo Petronio e Apuleio
sipario da tragedia (Met. , , : aulaeum tragicum dimoueto et siparium scaenicum complicato et cedo uerbis communibus). Comune
e normale, a dire il vero, non è la storia narrata da Aristomene,
ma si tratta di lepida fabula che allieta il cammino; poco importa
se uno degli ascoltatori – l’anonimo compagno del narratore –
rimane incredulo (Met. , , : nihil hac fabula fabulosius, nihil
isto mendacio absurdius), perché Lucio dichiara invece la propria
disposizione a credere che tutto sia possibile (nihil impossibile
arbitror), rivelandosi così pronto a prestar fede a qualsiasi racconto di mirabilia e pronto a vivere, in prima persona, qualsiasi
esperienza straordinaria e mirabolante.
Insomma, la promessa delle uariae fabulae avanzata dal prologo si sta realizzando: nel solo I libro il termine fabula presenta
ben occorrenze, apre e chiude la narrazione (Met. , , :
Euasi aliquando rancidi senis loquax et famelicum conuiuium somno
non cibo grauatus, cenatus solis fabulis, et in cubiculum reuersus
optatae me quieti reddidi), si impone all’attenzione del lettore e
non permette di dimenticare che tra i suoi significati possono
convergere quello di finzione e quello di aspetto teatrale, come
si impara dalla Rhetorica ad Herennium (, : Fabula est, quae neque ueras neque ueri similes continet res, ut eae sunt, quae tragoedis
traditae sunt). Lungo i crinali di questa anfibologia lessicale ci
si può imbattere nella predizione metanarrativa fatta a Lucio
da un indovino caldeo di scarso valore ma partecipe dell’onniscienza d’autore (Met. , , : Mihi denique proventum huius
peregrinationis inquirenti multa respondit et oppido mira et satis
uaria; nunc enim gloriam satis floridam, nunc historiam magnam et
incredundam fabulam et libros me futurum), oppure nella fabula
narrata durante la cena di Byrrhena dove anche l’impossibile
è di casa (Met. , , : quiquid fieri non potest ibi est). Narratore
è Telifrone, protagonista e vittima della sfortunata veglia di un
morto che porta lo stesso nome: fabulam illam tuam remetire,
lo invita la padrona di casa (Met. , , ), e il racconto si dilunga fino a Met. , , , quando Thelyphron hanc fabulam posuit.
Come è noto, di una veglia funebre insidiata dalle streghe si
prende atto durante la Cena di Trimalchione (Petron. , -);
. Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]
ora, anche le Metamorfosi apuleiane evocano, nella cornice di
un banchetto, il racconto della rovinosa custodela feralis che, in
forza dell’omonimia, concentra sul vivo addormentato (tanto
da parer morto) le operazioni magiche – taglio di naso e orecchie – programmate sul cadavere. Il racconto di Telifrone è
preceduto e seguito dalle risate dei convitati: la fabula, dunque,
serve da divertente intrattenimento da tavola e i cachinni dei
presenti valgono a introdurre la nuova avventura che attende
il protagonista, la festa del dio Riso e la burla giocata ai danni
dell’ignaro forestiero.
L’episodio è noto e conosce buona fortuna letteraria: rientrando alticcio a casa dell’ospite nel cuore della notte, Lucio
crede di scorgere tre ladroni intenti a scassinare la porta e li
trafigge con la spada; la mattina successiva viene trascinato in
tribunale con l’accusa di triplice omicidio. Dettaglio non trascurabile per decifrare le intenzioni dell’autore: data l’affluenza
dell’intera città, si decide di celebrare il processo in teatro; di
fronte alla cavea stracolma, l’accusato viene fatto avanzare per
proscenium e sistemato nel bel mezzo dell’orchestra, vicino al
corpo del reato, a tre ‘cadaveri’ opportunamente coperti da
un telo. Il processo-farsa (Met. , -) è scandito da requisitoria dell’accusa, difesa dell’imputato, testimonianze lacrimose
o indignate di presunte madri e vedove fittizie (con accompagnamento di improbabili orfanelli), minaccia di interrogatorio
sotto tortura. La folla segue la rappresentazione tra risa e sghignazzi (Met. , , : risu cachinnabili diffluebant); ovviamente,
la risata più forte esplode alla fine, quando Lucio, costretto a
sollevare il telo per scoprire i cadaveri, si trova di fronte a tre
otri sforacchiati in più punti (Met. , , : tres utres inflati uariisque secti foraminibus). Spetta ai magistrati di Hypata spiegare
come l’intera messinscena – destinata a rinascere nella vicenda
di Don Chisciotte – costituisca il cuore della festa del dio Risus, carnevale epicorico a mezza via tra rituale e divertimento
collettivo; tocca però alla servetta Fotide (“Piccola Luce” che
brilla di notte o, se si preferisce, “Lucignola”) rimettere tutto
in discussione e fornire una spiegazione alternativa che narra
Rileggendo Petronio e Apuleio
di otri trasformati per forza di magia in baldi garzoni, al fine
di soddisfare gli appetiti sessuali di Panfile, sposa dell’ospite e
maga costretta fin dal nome parlante a poco selettive fatiche
d’amore (Met. , , - , ).
Anche il racconto di Fotide, lepidus come vuole ogni narrazione di Metamorfosi, suscita il riso, questa volta il riso del
protagonista, che chiede di sperimentare in prima persona gli
effetti stranianti dei poteri magici, sorta di conferma a livello
popolare dell’incertezza che insidia il mondo sensibile secondo
il platonismo ufficialmente professato da Apuleio. Consacrato
per duplice via alla sfera divertita della risata, Lucio dal nome
solare subisce non voluta trasformazione: invece d’esser mutato
in uccello (e dunque recuperare le ali, un po’ come l’anima
platonica che vuole risalire al cielo), a causa dell’errore notturno di Fotide diventa asino (Met. , -), costretto a capo
chino (deiecto capite), dunque rivolto sempre verso le bassure di
non esaltanti realtà terrene. Di scholastici narratori e spettatori
dell’esistenza altrui abbiamo imparato a far conoscenza dalle
pagine del Satyricon di Petronio; qui, la prospettiva, per così
dire, si fa più intrigante, in quanto la forma asinina assunta dallo
scholasticus di Corinto, oltre a dar vita a un gioco antifrastico
che può trovare impiego in ogni fase della storia dell’educazione, sottrae il protagonista al suo mondo e gli assegna un ‘posto
privilegiato’ da cui osservare e descrivere, senza essere notato,
commedie e drammi altrui. Perdita delle libertà di cittadino,
morte civile, prigionia nel corpo di un animale da soma: questa
la realtà della nuova esistenza che l’uomo-asino impara a suon
di busse, in forza della brutale pedagogia messa in atto dalla
banda di ladroni che irrompe tempestivamente (nec mora) nella
casa dell’ospite, mette tutto a sacco, carica il bottino su animali
veri ed esseri di recente imbestiamento, per spingerli poi verso
impervii rifugi montani a furia di bastonate (crebra tundentes per
avia montium).
A voler essere precisi, le randellate dei briganti hanno già
avuto un precedente: appena entrato nella stalla, Lucio-Asino
tenta di accostarsi all’antidoto, le rose in bella mostra in un
. Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]
sacello, ma viene fermato da una scarica di legnate somministratagli dal proprio servo (Met. , ). Pur nell’assenza di
qualsiasi spunto di rivalsa sociale, indubbia è la valenza comica della scenetta del servo che bastona, fuor di metafora,
quell’asino del padrone, dopo essere sbottato in collaudati stacchi oratori di caratura ciceroniana (Quo usque tandem – inquit
– cantherium patiemur istum?). Così, tra citazioni distorte e legnate dirette, Lucio-Asino viene immesso nel mondo esterno,
degradato nell’aspetto e in compagnia dei ceti più bassi e marginali dell’umana società. La convivenza dell’asino umano con
la banda dei ladroni dura a lungo, da Met. , a , , e si fa a
sua volta cornice – secondo una tecnica sperimentata fin dagli
Apologhi odissiaci – di un’altra serie di racconti spettacolari. A
tacere di qualche piccola sventura di viaggio (vani tentativi di
assalto alle rose, nuove legnate di contadini infuriati, fetenti
emissioni intestinali a livello dei toni scurrili del mimo), merita
attenzione quanto avviene nella spelonca dei briganti che si
apre sui fianchi scoscesi di un monte: scenario dai tratti misti,
di locus horridus (rocce e rovi e fitta boscaglia) e insieme di
locus amoenus (sorgente dai fiotti argentati e copiosi ruscelli che
scorrono a valle: Met. , ). Mistioni d’altro genere si ravvisano
nei comportamenti dei latrones, via via impegnati in apostrofi
ingiuriose nei confronti della vecchia guardiana della caverna e
in abluzioni piuttosto accurate, in funzionali turni di servizio a
mensa o in smodate assunzioni di cibi e bevande. Umani e bestiali, un po’ come Lucio-Asino o, peggio, come i protagonisti
della zuffa tra Lapiti e Centauri nel più tumultuoso banchetto
narrato dal mito, i briganti apuleiani non sono tuttavia estranei
alla tradizione dei discorsi da tavola, grazie – è il caso di dire
– al platonismo dell’autore, che sa abbassare a situazioni poco
canoniche i modelli collaudati di conversari simposiali.
In un convito di banditi gli argomenti vertono, ovviamente,
su imprese banditesche, in grado di costituire motivo di intrattenimento, come abbiamo visto fare alla mensa di Byrrhena o
durante la Cena di Trimalchione, ma anche capaci di suggerire
qualche spunto di riflessione. Si assiste così alla successione di
Rileggendo Petronio e Apuleio
tre storie di azioni brigantesche, tre sequenze epiche fallimentari in cui i ladroni narratori celebrano, per paradosso, la rovina
di tre compari dal nome inutilmente parlante, il forte combattente Lamachus, Alcimus-Il Valoroso e Thrasyleon dall’audacia
leonina. In breve, questo è l’ordine delle scenette: l’assalto alla
casa di un avaro dal nome non meno esplicito (Ama-l’Oro, Cryseros, per intenderci) si conclude in modo disastroso per il capo
degli assalitori che perde prima il braccio, rimasto inchiodato
alla porta, e poi la vita, per eroica mors uoluntaria (Met. , -);
non meno rovinoso l’assalto ai danni dell’umile abitazione di
una vecchierella compiuto dal prode Alcimus, che finisce i suoi
giorni precipite da una finestra, spinto dalla povera vittima a
schiantarsi la cassa toracica, alla maniera di sfortunati guerrieri
di virgiliana memoria (Met. , ); infine, anche la più articolata
vicenda di Thrasyleon, che si cela nella pelle di un’orsa per
penetrare in una ricca dimora (un’Orsa di Troia, dunque, con
metamorfosi alla buona), e muore trafitto da lancia alla stregua
un’orsa vera (Met. , -). Involontari dettagli comici ed effettivi esiti tragici si mescolano nel racconto dei briganti narratori,
in quanto palese è il divario tra l’autore nascosto che governa
il senso complessivo della narrazione e i personaggi costretti
a subire scelte linguistiche e lessicali che vanno oltre le loro
intenzioni e depongono a favore dell’esistenza di una sorta di
giustizia immanente nel mondo che mette le cose a posto e che,
in prospettiva, non lascia dubbi sulla fine disastrosa dell’intera
banda di fuorilegge, rovina che si compirà puntualmente, al
termine del grande intermezzo della favola di Amore e Psiche.
.. Lo spettacolo del mondo, tra cielo e terra: la Bella, la
Bestia, gli amori, la morte e la rinascita
Come è noto, la favola di Amore e Psiche (Met. , - , )
viene proposta come episodio della vicenda di Charite-Grazia,
in quanto racconto consolatorio che la vecchia guardiana della
caverna rivolge alla giovane rapita dai briganti, al fine di dissi-
. Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]
pare paure dettate da sogni funesti e da futuro angoscioso: ego
te narrationibus lepidis anilibusque fabulis protinus avocabo (Met. ,
, ). In realtà, questa particolare fabula anilis ha la dimensione
di due libri, occupa lo spazio centrale delle Metamorfosi e ne
costituisce la chiave simbolica: inserto speculare in cui la storia
di Psiche-Anima chiarisce la storia di Lucio-Asino, dal momento che il racconto di Apuleio è uno solo, anche se sdoppiato
nei percorsi paralleli dei due personaggi, come una sola, ma
sdoppiabile, è la figura umana che, a mezza via tra cielo e terra,
verso il basso proietta ombra bestiale e verso l’alto lascia libero
di volare il demone dell’anima. In tal modo l’autore orienta in
direzione filosofica l’intera opera, in sintonia con il resto della
sua produzione, con il De deo Socratis, per esempio, e la ricerca
delle vie che indirizzano verso possibili assimilazioni al divino.
Se mai, è da dire che gli aspetti favolosi e folclorici tengono il
racconto ancorato alla sfera della società umana e delle divinità
tradizionali: l’assenza dei vertiginosi moti di ascesa al dio primo e ineffabile cui aspirano, nei trattati ufficiali, i professionisti
del pensiero medioplatonico, sembra confermare l’intenzione
di rivolgersi a un pubblico estraneo alle scuole filosofiche e la
necessità di far leva, invece, su nozioni e immagini presenti
nell’immaginario collettivo.
In effetti, la bella fabella di Amore e Psiche sembra un copione di spettacolo teatrale e sopporta non troppo arbitraria
suddivisione in atti. Il prologo, costituito da Met. , -, mette
in scena, in un paese surreale da fiaba, una vicenda tributaria
di un modello tragico: l’innocente ma eccezionale bellezza
della protagonista, l’ira di Venere (tema epico sapientemente
riciclato), le mancate nozze di Psiche, l’ambiguo oracolo di
Apollo che predica unioni mostruose, il cortocircuito narrativo
nozze-funerale, l’esposizione sulla rupe come rito sacrificale e
una prima salvezza che viene dall’aria, segnatamente da Zefiro
(sostituto di Perseo su cavallo alato), che trasporta la fanciulla
nel palazzo incantato di Cupido. Così vuole una longeva tradizione tragica che parla di vergini destinate al sacrificio per
il bene della comunità (Andromeda, Ifigenia, Polissena); così
Rileggendo Petronio e Apuleio
narra la vecchia che, pur vivendo ai margini della società e in
mezzo ai briganti, appare ben informata – come si conviene
ai narratori principali o secondari – delle cadenze altalenanti e
delle possibili varianti positive delle peripezie a cui vanno soggette le eroine teatrali. Sono peripezie che prevedono colpe e
punizioni, errori e sofferenze, senza tuttavia escludere soluzioni
finali positive. Non sorprende pertanto che nel seguito della
storia ci si trovi di fronte a sequenza che capovolge la polarità
tra positivo e negativo: il soggiorno nel castello incantato, dove
si trova tutto ciò che esiste al mondo (nec est quicquam quod
ibi non est), non impedisce che Psiche ignori il divieto divino e
perda il mistico sposo nel momento stesso in cui ne conosce
le sembianze (Met. , -, vero e proprio atto secondo della
vicenda). Sola e abbandonata, Psiche decade da ogni privilegio,
piange l’Amore perduto, erra lacera sulla terra, in vana ricerca
dello sposo (Met. , - , , atto terzo), per ritrovarsi ‘schiava’
di Venere a sperimentare la collera della dea, che impone alla
sventurata prove sempre più difficili e ardue (Met. , - , atto
quarto). Per superare tali prove può contare sulla solidarietà del
mondo mitico in cui agisce e patisce; rischia però il fallimento
nell’ultima prova, la catabasi infernale per riportare a Venere
una particola della bellezza della regina dei morti, in realtà un
sonno simile a morte. Si tratta della prova decisiva che Psiche
non riuscirebbe a superare senza l’intervento di Amore stesso
che, deus ex machina, torna in scena e ottiene da Giove il permesso di portare Psiche in cielo: qui, completo caelesti theatro,
Psiche diventa immortale e si celebrano nuptiae finalmente non
impares, sed legitimae et iuri ciuili congruae, in mezzo a tutti gli
dèi coinvolti nella festa nuziale (Met. , -, atto finale).
Lieto fine in cielo, dunque, per la vicenda di Psiche-Anima
che era iniziata sulla terra con cadenze da tragedia. Questa è la
prospettiva aperta dalla narrazione della vecchia guardiana dei
briganti (il ‘mito nella caverna’): la fabula, narrata a Charite perché altri intenda, si configura come racconto speculare in cui
si riflette l’opera intera e si anticipa la soluzione positiva della
storia dell’uomo-asino. Il quale è presente, ascolta e si lamenta
. Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]
di essere impossibilitato a registrare per iscritto il racconto e
sottrarlo a così poco diffusa fonte orale: astans ego non procul
dolebam mehercules quod pugillares et stilum non habebam qui tam
bellam fabellam praenotarem (Met. , , ). Di contro, l’happy end
non è riservato alla fanciulla prigioniera, destinataria ufficiale
della fabula consolatoria. È vero che una cospicua sezione della
vicenda di Charite si muove lungo direttrici che appartengono
alla tradizione comica: rapimento alla vigilia delle nozze, tentativi di fuga in groppa all’asino umano (con sorridenti spunti
iconografici e ammiccanti prossimità allo svelamento: Asino
uectore uirgo regia fugiens captiuitatem ... potest in asino meo latere
aliqui uel uultus hominis uel facies deorum), liberazione grazie
all’audacia del promesso sposo nei panni di falso bandito, festa
di nozze, estesa a Lucio-Asino, libero di mescolarsi a un branco
di puledre e promuovere progenie di mule (Met. , - , ).
Ma da questo momento in avanti, le fortune di Charite subiscono rovinosa inversione: lo sposo viene ucciso in una partita
di caccia dal rivale in amore; Charite si vendica dell’assassino
cavandogli gli occhi e si suicida sulla tomba dello sposo; in
quello stesso sepolcro si fa murare vivo il colpevole di tanta
tragedia (Met. , - ). Il finale tragico della vicenda è narrato da
un servo perché «persone di maggior cultura, dotate per buona
sorte dell’abilità di scrivere, possano metterlo su carta in forma
di storia» (Met. , , ). Fabula e historia, come già per la favola
di Psiche e come di nuovo nella fantasia di Charite in groppa all’asino (uisetur et in fabulis audietur doctorumque stilis rudis
perpetuabitur historia), si contendono le forme di circolazione
dei racconti, che Apuleio sa far fluttuare tra oralità e scrittura:
da buon platonico, egli accetta la sfida di “scrivere l’oralità” e
segue Platone nel tributo alle forme di comunicazione della
società in cui vive: come nei Dialoghi platonici si sono avvertite
‘vivacità drammatiche’ alla maniera dei mimi di Sofrone, così
nel ’romanzo’ apuleiano si assiste all’avventura della ragione
straniata secondo tricae che nulla sembrano invidiare a forme
efficaci di spettacolo.
La rovina della casa di Charite riconsegna Lucio-Asino al
Rileggendo Petronio e Apuleio
mondo esterno e segna l’inizio del faticoso ritorno alla condizione umana. Da Met. , in avanti l’abnorme protagonista
passa via via al servizio di sacerdoti ciarlatani, di un mugnaio,
di un ortolano, di un soldato e ancora di un cuoco e un pasticcere al seguito di un ricco signore, Thiasus, che infine lo
riporta a Corinto. Ogni passaggio, ricco di peripezie, mostra
come la legge della mutazione travagli anche la società esterna,
crogiuolo di forme in cerca di collocazione stabile, rendendo
meno assurda la situazione del nostro eroe e facendo sentire
con maggior frequenza l’uomo ’interiore’ che si cela nell’asino
e che ora muove al recupero della perduta identità. In effetti,
Lucio-Asino muove passi decisi lungo il cammino alimentare
che porta dal ‘crudo al cotto’ e perfeziona, per così dire, il percorso sul piano delle attività intellettuali e sessuali, mediante
l’esibizione dell’asino sapiente alla mensa di Thiasus e gli incontri ravvicinati con la matrona zoofila (Met. , -) . Tali
memorabili unioni nel chiuso di una stanza (non esenti però
da sguardi indiscreti) riproducono in privato spettacoli circensi
di zooerastia noti da altre fonti (Pasiphae e il toro, secondo
Svetonio e Marziale) e anticipano la programmazione di scena
pubblica non meno scabrosa. Ma prima di accompagnare a
conclusione la vicenda principale, non è inutile ricordare che
anche nei libri IX e X delle Metamorfosi l’Io narratore intercala
alla propria storie minori, allarga lo sguardo alla commedia
umana della società e dà vita un’ampia sezione narrativa, sorvegliata da divertita regia, che non a torto si può definire de
spectaculis. Si possono così leggere nel IX libro le storie di spose
intraprendenti e di mariti gabbati, vere e proprie tricae di mimi
di adulterio: l’episodio della giara (-), l’episodio dei sandali
di Filesitero (-) e quello dell’infedele moglie del mugnaio
(-), il primo e il terzo rielaborati da Boccaccio nelle novelle
di Peronella e di Pietro da Vinciolo (Decamerone , e , ).
Nel X libro si dipana subito la storia della matrigna innamorata
(-), aperta da un avvertimento al lettore che non lascia dubbi
. Vd. in proposito Hindermann .
. Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]
sull’origine tragica della vicenda: Iam ergo, lector optime, scito
te tragoediam, non fabulam legere et a socco ad coturnum ascendere
(Met. , , ). Il tema mitico dell’amore infelice di Fedra per
Ippolito sbarca in provincia, perde in corso di narrazione i toni
più drammatici e volge all’happy end grazie a provvidenziali
sostituzioni di pozioni letali e all’intervento benevolo di un
medicus amicus. Il lieto fine è invece negato alla vicenda tenebrosa della donna venefica (Met. , ss.) condannata ad bestias
e destinata a subire in pubblico, prima dell’esecuzione, l’assalto
amoroso dell’uomo-asino. Come è noto, preludio di tale unione – scongiurata dalla fuga del protagonista imbestiato – è la
grande pantomima eseguita nel circo di Corinto (Met. , -):
si tratta del Paridis iudicium, cioè della fabula saltica forse più
frequente sulle scene d’età imperiale, nota per ruoli specializzati
e nomi d’arte assunti dai saltatores.
Lo spettacolo, composto di musica e danza mimetica, esibisce imponente apparato scenico (mons ligneus a rappresentare
l’Ida, solcato da ruscelli e popolato di caprette brucanti) e gran
copia di personaggi: Paride, Mercurio, Giunone seguita dai Dioscuri, Minerva in compagnia di Terrore e Paura, Venere con le
Grazie, le Ore e un folto corteo di Amorini. La rappresentazione si avvale dell’alfabeto del corpo, fatto di gesti e passi di danza;
la musica corrisponde all’ethos di ogni personaggio, alla danza
del potere (Giunone), alla danza del valore guerriero (Minerva)
e infine alla danza della seduzione (Venere). Come vuole il
collaudato copione del mito, pubblico e giudice concordano nel
verdetto: il premio della gara di bellezza è assegnato a Venere,
la quale esprime la gioia della vittoria saltando toto cum choro,
mentre le rivali escono di scena esprimendo a loro volta con
figure a ballo l’indignazione per lo smacco subito (Met. , ,
). Medesima indignazione esprime mentalmente uno spettatore, ancora per poco muto: il Giudizio di Paride provoca infatti
nell’asino umano un rinnovato esercizio critico sotto forma di
invettiva contro la giustizia corrotta del passato e del presente,
per tornare al racconto con divertita formula di transizione: sed
nequis indignationis meae reprehendat impetum secum sic reputans:
Rileggendo Petronio e Apuleio
“ecce nunc patiemur philosophantem nobis asinum”, rursus unde
decessi revertar ad fabulam (Met. , , ). Così, in margine allo
spettacolo del primo giudizio della storia, la denuncia della
corruzione dei tribunali fa riemergere una ratio che eccede la
dimensione bestiale, come lascia intendere il sorridente ossimoro dell’asino che fa filosofia. Riabilitato all’uso della ragione,
Lucio-Asino prova ripugnanza per le nozze circensi con l’avvelenatrice e decide di fuggire, compiendo così una scelta –
non meno divertente e divertita – che finisce per riconciliarlo
con la sfera dell’etica (Met. , , : meis cogitationibus liberum
tribuebatur arbitrium) e mette in moto l’ultimo passo lungo la
via del ritorno all’umanità.
La meta è ormai vicina: sulla spiaggia di Corinto si consuma
l’atto finale della bestialità del protagonista, ormai incapace di
sopportare ulteriormente la dimensione alienata a cui l’hanno
condannato gli amori con Fotide e la mal riposta curiositas verso
il mondo della magia. Pronto a pregare e a morire, se è impossibile vivere da uomo, il Lucio presente sotto la pelle d’asino
riceve in sogno la visita di Iside, dea ex machina onirica che
promette salvezza immediata (Met. , -). Il giorno successivo,
consacrato alla festa del Navigium Isidis, vale a dire al ritorno
della navigazione dopo il periodo invernale, sfila sulla spiaggia
di Corinto una grande processione aperta da anteludia mascherati in forma mimetica (dal gladiatore al magistrato, dal soldato
al cacciatore e al pescatore, dalla donna al filosofo da strada) e
costituita dalla schiera degli iniziati ai culti egizi, a conferma
che nel quadro unificatore dell’isismo, sotto il patrocinio di una
divinità dai molti nomi e dai multiformi aspetti, possano trovare
ospitalità tipi umani e diverse categorie sociali d’ogni genere
(Met. , -). Ecco: nella cornice della processione isiaca, davanti al pubblico di una grande festa popolare, il protagonista
ritrova la propria umanità e ascolta il discorso rivelatore del
sacerdote, cui spetta il compito di spiegare la vicenda di Lucio come recupero provvidenziale di libertà perdute e come
conquista di sicura comprensione del mondo, resa ancora più
salda dall’iniziazione ai culti di Iside e Osiride. A dire il vero,
. Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]
l’epilogo parla di iniziazione ripetuta per ben tre volte, forse in
ragione dell’avidità dei sacerdoti egizi nei confronti dei beni
degli iniziandi, come talora ha sospettato qualche commentatore malizioso, oppure a causa delle maggiori difficoltà inerenti
ai processi di perfezionamento per chi è partito da condizioni
così lontane dal divino. In conclusione, anche un asino, speciale
fin che si vuole, può compiere tale itinerario, può passare dalle
peripezie giocose del viaggio in Tessaglia e dalla dimensione
carnevalesca della festa del dio Riso al gaudium della festa di
Iside e al successivo viaggio a Roma, per trovare nella capitale dell’impero – Olimpo terreno – duplice successo sociale,
come avvocato di grido e come pastoforo di Osiride (Met. ,
-). ‘Commedia biologica’ , dunque, o mimo della vita a
grande dimensione (quasi alla pari col mimus vitae evocato dall’Augusto di Svetonio), o ancora recita sulla scena del mondo
di una pièce platonica che l’autore sa presentare a misura della
cultura medio-bassa del suo tempo, catturando l’interesse di
un pubblico di non specialisti mediante spunti e concessioni di
spettacolare efficacia.
Nota bibliografica
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“commedia” indica la struttura della fabula mimica, e “biologico” il suo contenuto,
perché secondo la decisiva notizia fornita dall’epigramma funerario dedicato a
Bassilla imitava la vita (bios) e “mescolava al riso la vita degli umani molto piena di
pianto”» (così Cicu -, -).
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Capitolo V
Andromeda e Psiche:
vicende nuziali e assunzioni in cielo∗
.. Andromeda euripidea: nozze e destino astrale
Della straordinaria fortuna dell’Andromeda di Euripide permangono tracce consistenti che almeno in parte compensano della
quasi totale perdita del dramma , rappresentato nel a. C.,
insieme all’Elena, e considerato da antichi commentatori “uno
dei più belli” del poeta . E’ noto che Alessandro Magno ne
conosceva interi episodi a memoria ; altrettanto noto è che i
tragediografi romani hanno riscritto con buona lena il mito
della bella principessa salvata dall’eroe sterminatore di mostri ;
La prima redazione è comparsa in M. Guglielmo, E. Bona (a c. di), Forme di
comunicazione nel mondo antico e metamorfosi del mito: dal teatro al romanzo, Alessandria
, -.
. Si veda T. B. L. Webster, The Tragedies of Euripides, London , -. I
frammenti sono oggetto di recenti edizioni: F. Bubel, Euripides. Andromeda, Stuttgart
; R. Klimek-Winter, Andromedatragödien. Sophokles, Euripides, Livius Andronikos,
Ennius, Accius, Stuttgart (nell’introd. si passano in rassegna i precedenti); F.
Jouan, H. Van Looy, Euripide. Fragments, I, Paris , -; R. Kannicht (ed.), Tragicorum Graecorum Fragmenta. V. Euripides. I-II, Göttingen ; V. Pagano, Euripide.
Andromeda, Alessandria .
. Schol. ad Aristoph. Ran. . Cfr. R. Moorton, Euripides’ Andromeda in
Aristophanes’ Frogs, «American Journal of Philology» , , -.
. Athen. , D.
. R. Klimek-Winter, op. cit., -. Come si è osservato, il racconto appartiene
– meglio, sembra fungere da archetipo, in compagnia con il mito di Esione, la figlia
di Laomedonte salvata da Eracle (Ps. Apollod. bibl. , e , ; Hyg. fab. )
– a una tipologia ben presente nella narrativa popolare: “Dragon-Slayer; Rescue
of a Princess” (n. di A. Aarne-S. Thompson, The Types of Folktales, Helsinki
, -): cfr. per es. K. M. Philips, Perseus and Andromeda, «American Journal of
∗
Rileggendo Petronio e Apuleio
sappiamo che morbose infatuazioni collettive per le monodie
dell’eroina e le tirate di Perseo hanno messo a dura prova lo
stato di salute di intere città, di Abdera ai tempi di Lisimaco e
di una imprecisata località semibarbarica ai tempi di Nerone .
Non mancano, inoltre, redazioni in chiave evemeristica del mito né sopravvivenze di esemplari della tradizione iconografica
riservata ai due protagonisti , così come non mancano, nella
tradizione storico-geografica, localizzazioni piuttosto precise
della scena cruciale del mito e, nella tradizione letteraria, descrizioni insistite di opere pittoriche o immagini statuarie che
hanno fissato i momenti salienti della vicenda . A proposito
di quest’ultimo aspetto, siccome troppo misere sono le nostre
conoscenze della versione sofoclea , è da dire che a Euripide
spetta il merito di aver tradotto in forma scenica spunti deriArcheology» , , -; R. Aélion, Quelques grands mythes héroïques dans l’oeuvre
d’Euripide, Paris , -; V. Cristóbal López, Perseo y Andrómeda: versiones antigua
y modernas, «Cuadernos de Filología Clásica» , , -.
. Lucian. hist. conscr. , ; Eunap. fr. Dindorf ( Blockley).
. Si tratta della XL dieg. di Conone, conservata in Phot. cod. : si veda E.
Mignogna in A. Stramaglia (a c. di), Eros. Antiche trame greche d’amore, Bari ,
-.
. Dati e materiali sono raccolti da K. Schauenburg in Lexicon Iconographicum
Mythologiae Classicae, I. , Zürich-München , -; I. , -. Su apporti
e integrazioni di cui la pittura vascolare può essere generosa nei confronti delle
tragedie non conservate, già attirava l’attenzione L. Séchan, Études sur la tragédie
grecque dans ses rapports avec la céramiques, Paris (in part. - per l’Andromeda);
vd. anche K.M. Phillips, Perseus and Andromeda, cit. in n. .
. Di solito l’esposizione della fanciulla è dislocata sulla scogliera di Ioppe
(Giaffa): Strab. , , ; Plin. , e , ; Ioseph. bell. Iud. , ; Paus. , , .
Secondo Conone (dieg. XL cit. = FGrHist F ) il regno di Cefeo sarebbe da
collocare in Fenicia (in realtà nell’attuale Palestina), «che allora aveva nome Ioppa
dalla città costiera di Ioppe»: vd. M. Stern, Greek and Latin Authors on Jews and Judaism,
I, Jerusalem , -.
. Lucian. dom. ; Philostr. imag. , . Cfr. anche Achill. Tat. , , - , , ;
Heliod. , , -.
. Quel poco che resta dell’Andromeda di Sofocle è raccolto e commentato da
R. Klimek-Winter, op. cit., -; in merito si veda G. M. Rispoli, Per l’Andromeda di
Sofocle, «Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli»
, , -. Non si può escludere che la mal certa allusione a immagine di
pietra contenuta in P.Oxy. non si riferisca alla tragedia sofoclea.
. Andromeda e Psiche [. . . ]
vanti dall’iconografia vascolare e di aver preparato, a sua volta,
la ‘riduzione’ a statua di Andromeda esposta sulle rupe, grazie
a riuso accorto della tradizione tragica che discende dalla Niobe di Eschilo e – si potrebbe aggiungere, in ottica interna al
mito – grazie alla recente esperienza fatta dal vincitore di Medusa in tema di figure umane pietrificate . Infatti, allo sguardo
dall’alto di Perseo, che giunge a volo sorretto dalla macchina
teatrale , l’immagine della fanciulla sulla roccia appare come
agalma scolpito dalla mano sapiente della natura (Eur. fr.
N = Andromed. fr. Jouan - Van Looy, da Aristoph. Thesm.
e schol. ad loc.). Di più: la figura femminile legata alla rupe
si presta a ulteriori confronti, con la bellezza delle dee e con
una nave all’ormeggio, se si ammette che derivi da prelievo
euripideo anche il verso successivo del passaggio di Aristofane
da cui si ricava l’incipit del frammento: Θεαῖς ὁμοίαν, ναῦν
ὅπως ὡρισμένην (Aristoph. Thesm. ) . Secondo Cicerone
traduttore, alle spalle del paragone con la nave starebbe l’autorità visionaria di Eschilo, che nel perduto Prometeo liberato
avrebbe messo in bocca al protagonista, poenas pendens adfixus
ad Caucasum, la seguente apostrofe rivolta ai Titani del coro:
aspicite religatum asperis / vinctumque saxis, navem ut horrisono freto / noctem paventes timidi adnectunt navitae (Cic. Tusc. ,
= TrGF , , -) . Si tratta di paragone a cui Euripide
. Sul personaggio femminile pietrificato vd. per es. A. Garzya, Eschilo e il
tragico: il caso della Niobe, in S. Ferraro (a c. di), Cultura è libertà, Napoli , -.
. Dossier sul mito della più nota tra le figlie di Forco in S.R. Wilk, Medusa.
Solving the Mystery of the Gorgon, Oxford ; si aggiunga M. Hirschberger, Das Bild
des Gorgo Medusa in der griechischen Literatur und Ikonographie, «Lexis» , , -.
. Si tenga conto di Aristoph. Thesm. sgg., alla luce delle osservazioni di M.
Di Marco, La tragedia greca. Forma, gioco scenico, tecniche drammatiche, Roma ,
.
. Il verso è considerato come continuazione del fr. precedente in due delle tre
edizioni recenti: cfr. fr. , Bubel; fr. a Klimek-Winter (che accoglie numerazione
e soluzione adottate nel II vol. di Tragicorum Graecorum Fragmenta , TrGF, curato da
R. Kannicht e B. Snell, Göttingen ).
. TrGF = Aeschylus, a cura di St. Radt, Göttingen . Mette conto ricordare
che Andromeda e Prometeo fanno coppia nel quadro attribuito al pittore Evante
e descritto da Achille Tazio: «il quadro rappresentava Andromeda e Prometeo,
Rileggendo Petronio e Apuleio
ha già fatto ricorso nell’Eracle (v. sgg.: τί δεσμοῖς ναῦς
ὅπως ὡρισμένος . . . ἦμαι); ciò che importa qui osservare è
la congerie di immagini che si accumulano su Andromeda e
che conferiscono particolare rilievo appunto al paragone con
la statua, dal poeta sperimentato in forma stringata altra volta,
nella rhesis di Taltibio sulla bellezza statuaria di Polissena di
fronte alla morte (Hec. -: μαστοὺς τ΄ ἔδειξε στέρνα θ΄
ὡς ἀγάλματος κάλλιστα).
Insomma, pur se ci si trova in presenza di un numero purtroppo limitato di schegge superstiti, è possibile osservare come
la messa in scena della vicenda della figlia di Cassiopea permetta a Euripide di misurarsi, tra giochi ben calibrati di riprese
e innovazioni, con un vero e proprio repertorio di situazioni
canoniche riservate alle eroine tragiche: ineluttabilità del sacrificio a seguito di sconsiderate gare di bellezza nei confronti di
troppo suscettibili divinità ; lamento doloroso cui fa da controcanto la voce senza corpo di Eco (fr. Jouan - Van Looy) ;
entrambi legati: per questo, credo, il pittore li aveva rappresentati insieme; ma
c’erano anche altri particolari che collegavano tra loro le due immagini. Entrambi
avevano rocce come prigione e bestie come aguzzini, provenienti per l’uno dal cielo,
per l’altra dal mare. Loro salvatori erano due Argivi dello stesso sangue, Eracle
per l’uno, Perseo per l’altra; il primo lanciava un dardo contro l’uccello di Zeus, il
secondo lottava contro il mostro marino di Posidone. Ma Eracle vibrava la freccia da
terra, mentre Perseo stava sospeso nell’aria grazie ai sandali alati» (Achill. Tat. , ,
-; traduzione di F. Ciccolella, Achille Tazio. Leucippe e Clitofonte, Alessandria ,
).
. Ps. Apollod. bibl. , - informa sull’antefatto: vanto di Cassiopea a discapito delle Nereidi, ira delle divinità marine e sciagure pubbliche, oracolo di Ammone
ed espiazione della colpa di Cassiopea mediante esposizione al mostro di Andromeda. È assai probabile che tali eventi costituissero l’argomento del prologo, recitato
dalla principessa e aperto dalla famosa epiclesi ῀΄Ω νὺξ ἱεπά (fr. Jouan - Van Looy).
Secondo Hyg. fab. Cassiopea non avrebbe menato vanto della propria bellezza,
ma di quella della figlia: «filiae suae Andromedae formam Nereidibus anteposuit».
A salvataggio avvenuto e a lieto fine assicurato, il dialogo lucianeo tra Tritone e
due Nereidi, nel ripercorrere ancora una volta i tratti principali della vicenda, mette
in scena divinità marine non più risentite e in grado di rallegrarsi per il fatto che
Andromeda, invece che morte, abbia ottenuto un ottimo matrimonio (Lucian. dial.
mar. ).
. Cfr. P. Mureddu, Un caso singolare di teatro nel teatro. La scena di Eco nelle
Tesmoforiazuse, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia di Cagliari» , , -;
. Andromeda e Psiche [. . . ]
corto-circuito rituale tra matrimonio e funerale ( γαμελίωι μέν
οὐ ξύν / παιῶνι, δεσμίωι δέ / γοᾶσθέ με: fr. Jouan - Van
Looy), secondo una prospettiva tematica che è stata messa alla prova nel caso di Polissena e che troverà ampio sviluppo
nell’Ifigenia in Aulide ; arrivo insperato del salvatore (fr. e
sgg. Jouan - Van Looy) e trionfo di Eros, signore che esercita
il proprio potere tirannico su uomini e dèi ( σὺ δ΄ ὦ τύραννε
θεῶν τε κἀνθρώπων: fr. Jouan - Van Looy) ; disputa nuziale nell’agon logon e lieto fine, con banchetto matrimoniale e
probabile eliminazione del fratello di Cefeo, vale a dire Fineo,
opaco pretendente di Andromeda . Il finale positivo sulla terra
(o sulla scena) è preludio di futuro destino astrale, perché a tutti
i protagonisti della vicenda è riservato catasterismo sulla volta
celeste. Se vogliamo limitare la nostra attenzione alla sorte della
principessa e lasciare la parola a un testo specificatamente consacrato a storie di metamorfosi in stelle, possiamo prendere atto
di quanto si legge in Ps. Eratosth. cataster. , : «Andromeda: si
trova tra gli astri per volere di Atena, in ricordo delle imprese
A. Bonadeo, Il pianto di Eco. Riflessioni sulla presenza dell’eco in alcune trasposizioni
letterarie del planctus, «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» n.s. , , -; T.
Phillips, Echo in Euripides’ Andromeda, «Greek and Roman Musical Studies» , ,
-.
. Si tratta del tema studiato da R. Rhem, Marriage to Death: the Conflation of
Wedding and Funeral Ritual in Greek Tragedy, Princeton ; utile per raccolta di
materiali è altresì T. Szepessy, The Story of the Girl who Died on the Day of her Wedding,
«Acta Antiqua Academ. Sc. Hung.» , , -. La tragedia euripidea si può
leggere sotto la guida di F. Turato, Euripide. Ifigenia in Aulide, Venezia ; per la
fortuna si rinvia a J.-M. Gliksohn, Iphigénie: de la Grèce antique à l’Europe des Lumières,
Paris ; S. Aretz, Die Opferung der Iphigeneia in Aulis. Die Rezeption des Mythos in
antiken und modernen Dramen, Stuttgart-Leipzig .
. L’ossessione di questo verso è uno dei sintomi che, secondo Lucian. hist.
conscr. , , dimostra la profonda alterazione mentale degli Abderiti. Sul terreno
dei confronti poetici mette conto rinviare al celebre elogio corale di Eros presente
nell’Antigone di Sofocle (v. sgg.: ῎Ερως ἀνίκατε μάχαν κτλ.), nonché al primo
e al quarto stasimo dell’Ippolito euripideo (vv. - e -), dedicati entrambi
al potere inesorabile di Afrodite e di Eros. Dal verso dell’Andromeda sembra derivare
il titolo G. Sissa, Eros tiranno. Sessualità e sensualità nel mondo antico, Roma-Bari .
. Per questa parte della trama cfr. R. Falcetto, L’Andromeda di Euripide: proposta
di ricostruzione, «Quaderni del Dip. di Filologia, Linguistica e Tradizione Classica A.
Rostagni», Univ. di Torino, , - (in part. sgg.).
Rileggendo Petronio e Apuleio
di Perseo, a braccia tese in fuori, così come venne esposta al
mostro marino. Salvata dal pericolo per mano di Perseo, scelse
di non continuare a vivere col padre e la madre, ma seppe prendere nobili decisioni e di propria iniziativa partì in compagnia
del salvatore alla volta di Argo. Ne parla in maniera esplicita e
chiara anche Euripide nel dramma che il poeta ha scritto su di
lei» .
.. Ovidio e Manilio: figure immobili e moti stellari
Così, in sintesi, il mito di Andromeda nella versione euripidea.
Purtroppo, su altre stesure teatrali non possiamo far conto, in
quanto i frammenti di Livio Andronico, di Ennio e di Accio
sono talmente scarni da non consentire di valutare eventuali
varianti proposte dalle riprese sceniche romane. Possiamo tuttavia osservare agevolmente come Perseo e Andromeda siano
ben presenti nel patrimonio poetico della prima età imperiale,
segnatamente nei poemi di Ovidio e di Manilio. Vediamo insieme il primo esempio. Se si scorrono i versi del IV e del V libro
delle Metamorfosi ovidiane, non riesce difficile constatare come
la narrazione delle imprese di Perseo proponga, in rapida successione, l’incontro con Atlante, il gigantesco e inospite signore
delle terre estreme dell’Africa trasformato in altissimo monte
(met. , -), la liberazione di Andromeda e il racconto
retrospettivo dell’uccisione di Medusa (met. , -), infine
il banchetto nuziale e la disastrosa disfatta di Fineo e del suo
seguito (met. , -). Come mostrano i commenti moderni,
le derivazioni euripidee – dirette o mediate, poco importa –
. Le fonti antiche che parlano della trasformazione stellare dei personaggi
di questo mito sono raccolte in R. Klimek-Winter, op. cit., - (a proposito di
Sofocle) e - (a proposito di Euripide); ancora utili sono A. Rhem, Monographische
Untersuchungen über griechische Sternsagen, München ; W. Windish, De Perseo
eiusque familia inter astra collocatis, Diss. Leipzig .
. Andromeda e Psiche [. . . ]
sono più d’una , ma il motivo che sembra aver maggiormente
colpito il poeta augusteo è lo straordinario gioco sostitutivo
tra figura umana e immagine lapidea. Tale motivo è di fatto
già introdotto nella scena della pietrificazione di Atlante, che
assume aspetto finale in ragione delle abnormi sue dimensioni
(met. , : quantus erat, mons factus Atlas); nel caso della principessa etiope, esso combina sulla filigrana del modello euripideo
dettagli ovidiani a guisa di intenzionali sigilli personali (brezza
leggera tra i capelli, tiepida rugiada di lagrime), là dove si dice
del primo apparire di Andromeda agli sguardi aerei di Perseo
e il subito innamoramento dell’eroe, che corre a sua volta il
rischio di qualche stuporoso, e pericoloso per chi si muove a
volo, blocco dell’attività motoria: Quam simul ad duras religatam
bracchia cautes / vidit Abantiades (nisi quod levis aurea capillos /
moverat et tepido manabant lumina fletu,/ marmoreum ratus esset
opus), trahit inscius ignes / et stupet; eximiae correptus imagine formae / paene suas quatere est oblitus in aere pennas (met. , -).
Alla metamorfosi apparente in statua della figura femminile
immobile sulla rupe in attesa della morte corrisponde, in rapporto speculare e al culmine di una ossessiva sequenza scandita
dal mostruoso potere della testa mozza di Medusa , la morte
di pietra che immobilizza lo sfortunato Fineo, simulacro lapideo del terrore e dell’inutilità delle suppliche: Dixit et in partem
Phorcynida transtulit illam / ad quam se trepido Phineus obverterat
ore. / Tum quoque conanti sua vertere lumina cervix / deriguit sa. Si veda per tutti F. Bömer, P. Ovidius Naso. Metamorphosen IV-VI, Heidelberg
, -.
. La successione delle vittime della Gorgone è davvero impressionante: nell’atto di scagliare un giavellotto Thescelus in hoc haesit signum de marmore gestu (met.
, ); mentre Ampyx mena un fendente, dextera deriguit nec citra mota nec ultra est
(met. , ); a Nileus che proferisce minacce pars ultima vocis / in medio suppressa
sono est adapertaque velle / ora loqui credas, nec sunt ea pervia verbis (met. , -); di
Eryx che avanza di slancio tenuit vestigia tellus / immotusque silex armataque mansit
imago (met. , -); anche un amico di Perseo guarda il volto di Medusa, saxo
concrevit oborto (met. , ) e provoca di riflesso la morte di Astiage, che lo colpisce
marmoreoque manet vultus mirantis in ore (met. , ); di anonimi assalitori Gorgone
bis centum riguerunt corpora visa (met. , ).
Rileggendo Petronio e Apuleio
xoque oculorum induruit umor;/ sed tamen os timidum vultusque in
marmore supplex / summissaeque manus faciesque obnoxia mansit
(met. , -).
La concorrenza tra figure in movimento e immagini bloccate in posa icastica costituisce, senza ombra di dubbio, il programma poetico su cui Ovidio sperimenta la caratura dei propri
procedimenti metamorfici. Di altra concorrenza, di vera e propria aemulatio nei confronti di Ovidio, non può fare a meno di
parlare chi apra il testo di Manilio per osservare come l’ultimo
dei poeti augustei ridía vita, quasi al termine di quanto resta
del suo poema, alla fabula di Andromeda. Negli Astronomica,
come è noto, ci si muove lungo le strade della volta celeste:
si guardano dunque dall’alto le vicende del mondo umano, le
attività e i caratteri degli individui, le tradizioni e i miti che
danno origine e nome alle terre, alle acque e alle stelle. A processi metamorfici ormai definiti, vale a dire quando ha ormai
avuto termine la grande stagione dei catasterismi , il cielo di
Manilio appare tutt’altro che immobile e lontano, coinvolto
com’è in una catena di rapporti necessitanti che tengono insieme il cosmo, dall’alto verso il basso mediante causalità ascritta
a influenze astrali, dal basso verso l’alto mediante faticose e al
tempo stesso esaltanti eziologie delle realtà celesti. Ora, in astr.
, -, dopo che si è transitati attraverso i segni stellari di
Cefeo e di Cassiopea, è appunto l’Andromedae sidus a consentire
la digressione consacrata alla salvezza della principessa etiope
per mano di Perseo. L’intero racconto procede dunque secondo una prospettiva a ritroso e sembra generalizzare la tecnica
narrativa già messa in campo da Ovidio, ma allora utilizzata
solo per quanto riguarda l’uccisione di Medusa.
. Per la situazione letteraria si rinvia a E. Flores, Il poeta Manilio, ultimo degli
augustei, e Ovidio, in I. Gallo, L. Nicastri (a c. di), Aetates Ovidianae. Lettori di Ovidio
dall’Antichità al Rinascimento, Napoli , -.
. I quattro protagonisti del racconto mitico si trovano sistemati sulla volta
celeste, l’uno vicino all’altro, tra la costellazione del Cavallo e quella del Toro: Man.
, -.
. Andromeda e Psiche [. . . ]
Appunto Ovidio è ben presente al poeta degli astri , ma non
mancano altre auctoritates letterarie a impreziosire l’excursus
e a suggerire clausole, cadenze narrative, ammiccanti riprese
e divertite inversioni speculari . Intanto, che il soggetto sia di
natura tragica Manilio si preoccupa di dire per tempo, là dove
presenta i caratteri umani posti sotto la costellazione di Cefeo:
tra questi vanno annoverati tutti coloro che tragico praestabunt
verba coturno (astr. , ) e da cui è lecito, sì, attendere la trattazione dei miti di Tieste, di Edipo e di Medea, ma non solo,
perché mille alias rerum species in carmina ducent; / forsitan ipse
etiam Cepheus referetur in actus (astr. , -). Così, sotto forma di possibilità astrologica, si allude a un programma teatrale
che in realtà ha già conosciuto concreta stesura nell’ambito
della produzione euripidea e che sembra adesso evocato al fine
di guidare le linee generali della riscrittura maniliana. Entro tali
linee, tuttavia, irrompono dettagli di provenienza diversa che si
compongono in nuova e articolata unità. Primo fra tutti è il motivo del matrimonio-funerale di Andromeda in cui si avvertono
debiti contratti con il lessico virgiliano e, soprattutto, con la
scena del sacrificio di Ifigenia in Aulide, pur sempre euripidea
nella sostanza ma riproposta attraverso cadenze lucreziane e
ovidiane : Hic hymenaeus erat, solataque publica damna / privatis,
. Sui modelli, ovidiani e non, dell’episodio i dati essenziali sono indicati da
E. Flores, Contributi di filologia maniliana, Napoli , -, e commentati da R.
Scarcia, Manilio. Il poema degli astri (Astronomica), a cura di S. Feraboli, E. Flores e R.
S., II, Milano , -.
. Oltre che a F. Paschoud, Deux études sur Manilius, in G. Wirth (a c. di),
Romanitas, Christianitas. Untersuchungen zur Geschichte und Literatur der römischen
Kaiserzeit, J. Straub zum . Geburstag gewidmet, Berlin-New York , -, si
rinvia a due contributi di L. Landolfi: Andromeda: intreccio di modelli e punti di vista
narrativi in Manilio, «Giornale Italiano di Filologia» n.s. , , -; Concitat
aerios cursus (Man. Astr. , ), «Rivista di Cultura Classica e Medioevale» , ,
-.
. Cfr. Verg. Aen. , (hic hymenaeus erit).
. Cfr. Eur. Iph. Aul. -, - e Iph. Taur. -; Lucr. , -; Ov. met.
, - e , -. In merito si vedano J.-M. Croisille, Le sacrifice d’Iphigenie dans
l’art romain et la littérature latine, «Latomus» , , -; A. Perutelli, Ifigenia in
Lucrezio, «Studi Classici e Orientali» , , -; L. Landolfi, Il nefas mancato e i
Rileggendo Petronio e Apuleio
lacrimans ornatur victima poenae / induiturque sinus non haec ad
vota paratos, / virginis et vivae rapitur sine funere funus (astr. ,
-).
Segue l’immancabile presentazione della fanciulla legata alla scogliera, vale a dire il quadro fondamentale del mito che
costituisce banco di prova obbligato per chi voglia ridire il già
detto senza incorrere nella trappola di ripetizioni sesquipedali . Naturalmente, si chiede ancora soccorso a Ovidio, ma in
questo caso l’imperativo della variatio fa sì che con quella di
Andromeda si combini la figura di Polissena: At, simul infesti
ventum est ad litora ponti, / mollia per duras panduntur brachia
cautes; / astrinxere pedes scopulis, iniectaque vincla, / et cruce virginea moritura puella pependit. / Servatur tamen in poena vultusque
pudorque; / supplicia ipsa decent; nivea cervice reclinis / molliter
ipsa suae custos est fidae figurae (astr. , -). Come mostra, a
tacer d’altro, la clausola brachia cautes di astr. , (= Ov. met.
, ), la prima parte della scena – incatenamento alla rupe – è
tributaria del luogo ovidiano su cui si è attirata l’attenzione in
precedenza. Ma la nota successiva, dedicata all’atteggiamento
di pudore conservato dalla fanciulla sino all’ultimo, chiama in
causa la Polissena morente dello stesso Ovidio (met. , -:
tunc quoque cura fuit partes velare tegendas, / cum caderet, castique
decus servare pudoris), parente stretta della Lucrezia dei Fasti
(, -: tunc quoque iam moriens, ne non procumbat honeste, /
respicit: haec etiam cura cadentis erat): alle spalle dell’una e dell’altra sta la Polissena euripidea che «anche in punto di morte ebbe
gran cura di cadere con composto decoro, velando quanto si
conviene celare a occhi maschili» .
suoi retroscena. Dal sacrificio di Ifigenia alla facondia di Ulisse (Ov. met. XII -; XIII
-), «Vichiana» ª s., , , -.
. Che la scena fondamentale del mito sia quella della giovane esposta al mostro
marino è fuori discussione, come mostra una tradizione letteraria e teatrale che
sopravvive fino all’età moderna: vd. B. Bolduc, Andromède au rocher. Fortune théâtrale
d’une image en France et en Italie, Firenze .
. Eur. Hec. -. Si vedano in proposito P. Venini, L’Ecuba di Euripide e
Ovidio, «Rendiconti dell’Ist. Lombardo» , , sgg.; M. Dippel, Die Darstellung
des trojanischen Krieges in Ovids ‘Metamorphosen’ (XII - XIII ), Frankfurt a. M. ;
. Andromeda e Psiche [. . . ]
Come si vede, forte di sussidi ovidiani, anche Manilio sa
offrire un saggio di ars combinandi che fa convergere in un’unica figura femminile atteggiamenti e tratti comuni a Polissena,
Ifigenia e Andromeda, in questo facendo propria una lezione
compositiva già inaugurata da Euripide nel dare vita alla sua
galleria di eroine femminili a rischio di sacrificio. Di passaggio,
sempre in merito ai supporti mediati dal poeta di Sulmona, si
può osservare come nivea cervice reclinis di astr. , nasca da
intenzionale combinazione di due prelievi ovidiani, secondo
la tecnica centonaria che prevede la connessione di emistichi
sotto la guida di voces communes (in questo caso cervice) : met. ,
(conciderant ictae nivea cervice iuvencae) e met. , (Venere,
stesa accanto ad Adone inque sinu iuvenis posita cervice reclinis,
prende a narrare il mito di Atalanta). Combinazione arguta, è
il caso di ammettere, per duplice motivo: la clausola dice che
Andromeda, anche se incatenata, può assumere languide pose
‘erotiche’ che risalgono addirittura a Venere (nessuna meraviglia, dunque, se Perseo se ne innamori a prima vista!); “il
niveo collo”, sottratto a povere giovenche sacrificali per essere
assegnato ad Andromeda pronta al supplizio, non solo mette a
tacere ogni illazione sul candido incarnato dell’eroina , ma deR. Raffaelli, L’estremo pudore, in Id. (a c. di), Vicende e figure femminili in Grecia e a
Roma, Ancona , -; J. Mossman, Wild Justice. A Study of Euripides’ Hecuba,
Oxford , - (Appendix B, sulla fortuna di Polissena nella letteratura latina);
L. Landolfi, Lucrezia, animi matrona virilis. Trasmutazioni di un paradigma elegiaco, in
Id. (a c. di), Nunc teritur nostris area maior equis. Riflessioni sull’intertestualità ovidiana.
I Fasti, Palermo , -.
. Anche in Lycophr. Alex. - e - non mancano tratti che apparentano
le funeste vicende nuziali di Polissena e Ifigenia: vd. S. Chiampa, Le ’nozze crudeli’ di
Polissena in Licofrone, «Aevum Antiquum» n.s. , , -.
. Su tale tecnica si veda almeno R. Lamacchia, Dall’arte allusiva al centone,
«Atene e Roma» n.s. , , ; in generale si rinvia a G. Polara, I centoni, in G.
Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (a c. di), Lo spazio letterario di Roma antica, III, Roma
, -.
. Sull’aspetto cromatico dell’eroina, come è noto, esiste un costante gioco di
rimando tra tradizione pittorica e tradizione letteraria, ben sedimentato – ovviamente – tra le pieghe della prassi ecfrastica: come esempio si può ricordare il già
citato Heliod. , , -, dove è sufficiente la presenza di un quadro di Andromeda
Rileggendo Petronio e Apuleio
nuncia la propria derivazione da un episodio famoso, quello di
Pigmalione, che si configura come vero e proprio locus classicus
in tema di sostituzioni tra figure viventi e immagini scultoree
che paiono vive .
Ecco: l’evocazione della strana coppia formata da Pigmalione e dalla eburnea donna-simulacro consente di osservare
come l’Andromeda di Manilio sia priva di un tratto che pareva
connaturato con la situazione dell’eroina esposta al mostro, vale
a dire il paragone con una statua che da Euripide abbiamo visto
passare giù giù sino a Ovidio. A scanso di equivoci, va subito
precisato che non ci si trova di fronte a banale dimenticanza
o a deroga dai modelli dettata da aporie professionali; in realtà
Manilio sfrutta una suggestione presente in Ovidio (l’eroe trahit
inscius ignes / et stupet, quasi dimentico del volo) e capovolge la
situazione dei protagonisti, perché questa volta tocca a Perseo
restar di sasso alla vista della bella in catene: Isque, ubi pendetem vidit de rupe puellam, / deriguit, face quem non stupefecerat
hostis, / vixque manu spolium tenuit, victorque Medusae / victus in
Andromeda est (astr. , -). Si osservi infatti come deriguit,
che per due volte in Ovidio dice l’effetto mortale dello sguardo
della Gorgone (in met. , l’irrigidimento della mano di uno
sconsiderato assalitore di Perseo; in met. , , in identica posizione metrica, la fissità del capo di Fineo che si trasforma in
nella camera dei genitori dell’etiope Cariclea per assicurare alla fanciulla candida
carnagione: vd. A. Billault, Le mythe de Persée et les “Éthiopiques” d’Héliodore. Légendes,
représentations et fiction littéraire, «Revue des Études Grecques» , , -; M.D.
Reeve, Conceptions, «Papers of Class. Philol. Society» n.s. , , -; F. Letoublon,
À propos de Chariclée et de l’‘effet Andromeda’, «Revue des Études Grecques» , ,
-.
. Cfr. Ov. met. , - (in part. -: Interea niveum mira feliciter arte /
sculpsit ebur formamque dedit, qua femina nasci / nulla potest; operisque sui concepit
amorem. / Virginis est verae facies, quam vivere credas, / et, si non obstet reverentia, velle
moveri; / ars adeo latet arte sua. Miratur et haurit / pectore Pygmalion simulati corporis
igne); in merito si rinvia a G. Rosati, Narciso e Pigmalione. Illusione e spettacolo nelle
‘Metamorfosi’ di Ovidio, Firenze , e a J. Elsner, A. Sharrock, Re-viewing Pygmalion,
«Ramus» , , -. In generale si rinvia a D. Tarn Steiner, Images in Mind:
Statues in Archaic and Classical Greek Literature and Thought, Princeton, Princeton
Univ. Press, .
. Andromeda e Psiche [. . . ]
statua di pietra), si adatti qui al figlio di Danae e dica l’effetto
paralizzante di ben altra vista, di un’amorosa visione foriera
della soluzione nuziale verso cui muove l’intera vicenda.
Dunque, quello che pareva un tratto mancante viene recuperato per altra via: nello scambio di stupefatte immobilità tra
l’eroe e la principessa si vede all’opera una singolare forma di
fedeltà non inerte nei confronti del patrimonio culturale del passato. Si sarebbe allora tentati di dire che anche a Manilio, come
del resto e in misura maggiore a Ovidio, non facciano difetto la
capacità e il gusto di innovare nel rispetto dei dati tradizionali,
non facciano cioè difetto quella doti di cui appunto Euripide
è, per riconoscimento unanime, esponente primario. Sempre
da Euripide, infine, sembra derivare un ulteriore particolare,
l’allusione a Eco che è possibile cogliere in astr. , -: Ipsa
levi flatu refovens pendentia membra / aura per extremas resonavit
flebile rupes. Non è infatti illegittimo, come per tempo è stato
suggerito , scorgere qui un richiamo a Eur. fr. Nauck (=
Klimek-Winter; Jouan - Van Looy): Andromeda si rivolge a
Eco «che risuona negli antri» e le chiede di tacere, al fine di poter dare libero sfogo al proprio dolore insieme alle fanciulle del
coro, senza che l’invisibile ninfa alterni la sua voce ai lamenti
dell’ancora per poco infelice protagonista .
.. Psiche, dalla rupe all’Olimpo
Bene: archiviato quest’ultimo dettaglio, possiamo chiudere il
dossier che riguarda le operazioni compiute sul canovaccio della
vicenda da Manilio: il poeta degli astri narra ancora una volta
il mito tragico, ma lo depura da punte eccessive di pathos perché il racconto in forma retrospettiva presuppone l’happy-end
. Cfr. E. Flores, Contributi cit., .
. Sui problemi testuali del fr. si rinvia ad A. Tessier, Euripide, Andromeda, Fr.
N , «Bollettino dell’Ist. di Filologia Greca - Univ. di Padova» , , -, e a
R. Falcetto, Euripide, Andromeda, Fr. Klimek-Winter, «Lexis» , , - (che
seguo nelle proposte di restituzione).
Rileggendo Petronio e Apuleio
nuziale e la definitiva assunzione in cielo, là dove spetta alle
costellazioni, in concorrenza con gli esametri del poema, il
compito di conservare la memoria di fatti mirabolanti e prodigiosi. Ma sono proprio i versi maniliani su Andromeda a
costituire un piccolo repertorio di espressioni e immagini che
passa al servizio di un altro personaggio letterario, l’apuleiana
Psiche, coinvolta in una vicenda in cui si combinano bellezza
umana e suscettibilità divina, esposizione ad ambigue figure
mostruose e primo salvataggio, felicità perduta e nuove peripezie fino a un nuovo salvataggio e alla definitiva soluzione
nel grande teatro celeste dell’Olimpo. Non manca, va da sé, la
pressione delle storie ovidiane d’amore ; tuttavia, come informa un buon commento inglese del primo Novecento , editori
e interpreti del XIX secolo sono soliti citare i versi di Manilio
(in part. astr. , -) a proposito del passo apuleiano in cui
anche per Psiche si chiude il corto-circuito tra nozze e funerale
(Apul. met. , , : Perfectis igitur feralis thalami cum summo maerore sollemnibus toto prosequente populo vivum producitur funus, et
lacrimosa Psyche comitatur non nuptias sed exequias suas) . A ben
vedere, i nessi tra la storia di Psiche e i casi di Andromeda sono
stati segnalati da molto tempo, almeno da quando Johannes
Pricaeus ( John Price, -), nelle note di commento alla
sua edizione delle Metamorfosi , ha messo a confronto il secondo verso dell’oracolo di Apollo che impone il sacrificio della
bellissima fanciulla (Apul. met. , , : ornatam mundo funerei
. In generale si veda H. Müller, Liebesbeziehungen in Ovids Metamorphosen und
ihr Einfluss auf den Roman des Apuleius, Göttingen-Branschweig .
. L. C. Purser, The Story of Cupid and Psyche as Related by Apuleius, London
(ristampata New Rochelle, N.Y. ), .
. La fabula di Psyche e Cupido si cita secondo l’ed. di D.S. Robertson, P. Vallette,
Apulée. Les Métamorphoses, II, Paris , ora ristampato, con nuova introduzione,
revisione di testo e traduzione, a cura di L. Callebat, Paris .
. L. Apuleii Metamorphoseos libri XI, Paris , Goudae . Le note di Pricaeus
sono raccolte, insieme a quelle di altri viri docti, da Franz Oudendorp (-)
nel II vol. di Apuleii opera omnia, pubblicato postumo a cura di I. Bosscha, Lugduni
Batavorum . Il richiamo ad Andromeda resta una costante nei commentatori: cfr.
per es. C. Moreschini, Il mito di Amore e Psiche in Apuleio, Napoli , sg.
. Andromeda e Psiche [. . . ]
thalami) con un particolare del quadro che ritrae Perseo e la
principessa etiope descritto da Achille Tazio: «Così era legata,
in attesa della morte; stava in piedi, in abito nuziale, adornata
come una sposa per Ade» .
L’attenzione della critica si concentra soprattutto su met. ,
-, vale a dire sulla sezione iniziale della bella fabella, in quanto il tracciato di questi primi capitoli si mostra chiaramente
tributario di un modello ‘tragico’ che vede in rapida sequenza
snodarsi motivi che ben conosciamo: pulchritudo eccezionale
della protagonista , la collera di Venere e le mancate nozze della giovinetta troppo bella, l’oracolo di Apollo che predice unioni
mostruose , l’esposizione sulla rupe come rito sacrificale e
la salvezza che viene dall’aria, segnatamente da Zefiro , che
trasporta la fanciulla nel palazzo incantato di Cupido. Se questi
sono i motivi che si susseguono, non v’è dubbio che su questa
prima parte, definita in maniera non impropria “tragedia” di
Psiche , agisca il modello di Andromeda, dell’Andromeda eu. Achill. Tat. , , (traduzione di F. Ciccolella, Achille Tazio. Leucippe e Clitofonte
cit, ).
. Al vanto di Cassiopea si sostituisce l’eccesso di bellezza di Psiche, come se ci
si orientasse secondo la variante presente in Hyg. fab. (vd. n. ).
. Apul. met. , , -: Montis in excelsi scopulo, rex, siste, puellam / ornatam
mundo funerei thalami. / Nec speres generum mortali stirpe creatum, / sed saevum atque
ferum vipereumque malum, / quod pinnis volitans super aethera cuncta fatigat / flammaque
et ferro singula debilitat, / quod tremit ipse Iovis quo numina terrificantur, / fluminaque
horrescunt et Stygiae tenebrae.
. In generale si rinvia a T.D. McCreight, Sacrificial Ritual in Apuleius’
Metamorphoses, in Groningen Colloquia on the Novel, V, Groningen , -.
. Il che permette di non dimenticare che anche «the rescuer of Andromeda
was airborne»: così E. J. Kenney (ed.), Apuleius. Cupid & Psyche, Cambridge , .
Per altre suggestioni vd. M. Bettini, Antropologia e cultura romana. Parentela, tempo,
immagini dell’anima, Roma , sgg. (Psiche-anima-farfalla); L. Graverini, Sulle
ali del vento: evoluzione di una immagine, tra Ovidio ed Apuleio, «Prometheus» , ,
-.
. A. Schiesaro, La ’tragedia’ di Psiche: note ad Apuleio, Met. IV -, «Maia» ,
, -: sorprende un po’ che l’A., pur consapevole dell’importanza dei passi di
Manilio e del caleidoscopio di figure femminili che di volta in volta si concentrano in
Psiche (Didone e Medea, per esempio), propenda per assegnare il ruolo di archetipo
letterario a un’altra eroina dalla duplice caratura, a Ifigenia nata all’ombra conserta
Rileggendo Petronio e Apuleio
ripidea per quanto concerne il susseguirsi di ‘quadri scenici’,
dell’Andromeda maniliana per quanto riguarda l’intonazione
epico-lirica del racconto. Di colori maniliani si è parlato – di
recente e di nuovo – a proposito di espressioni allitteranti e
ossimoriche quali virgo vidua (Apul. met. , , ) e ovviamente
vivum funus (met. , , ), nonché del passo in cui si insiste
ancora una volta sul gioco implosivo e paradossale tra esequie
e sponsali: Iam feralium nuptiarum miserrimae virgini choragium
struitur, iam taedae lumen atrae fuligine marcescit, et sonus tibiae
zygiae mutatur in querulum Ludii modum cantusque laetus hymenaei lugubri finitur ululatu et puella nuptura deterget lacrimas ipso
suo flammeo (Apul. met. , , ) . Si potrebbe continuare e
sfruttare in dettaglio quanto la critica ha talora suggerito in
maniera generale o cursoria , perseverando nell’evocare situazioni ovidiane oppure risalendo, come al solito, a Euripide .
Per esempio il particolare del paragone tra fanciulla e statua
non è assente in Apuleio, ma compare dislocato rispetto alle
sequenze tradizionali e con funzione diversa, in quanto non
nasce da sguardi dall’alto di possibili salvatori non insensibili ad
accensioni amorose, ma nasce da sguardi dal basso di ‘devoti’
troppo reverenti e refrattari alla vampa del desiderio: Mirantur
divinam speciem, sed ut simulacrum fabre politum mirantur omnes
di Euripide e Lucrezio. Si può aggiungere, per altro, che anche K. Dowden, Psyche
on the Rock, «Latomus» , , -, ha taciuto su Andromeda come antecedente,
salvo poi ricredersi in un successivo intervento (citato qui di seguito, in n. ).
. R. Scarcia, Manilio cit., sg.
. Spigolando tra la bibliografia sulla novella si ha la ventura di raccogliere i
seguenti richiami al mito di Andromeda: R. Helm, Das Märchen von Amor und Psyche
(), in G. Binder, R. Merkelbach (a cura di), Amor und Psyche, Darmstadt , ;
R. Merkelbach, Roman und Mysterium in der Antike, München , ; F.E. Hoevels ,
Märchen und Magie in den Metamorphosen des Apuleius von Madaura, Amsterdam ,
; K. Dowden, Cupid & Psyche. A Question of Vision of Apuleius, e S. Mattiacci, Neoteric
and Elegiac Echoes in the Tale of Cupid and Psyche by Apuleius, entrambi raccolti in AA.
VV., Aspects of Apuleius’ Golden Ass. II. Cupid and Psyche, a cura di M. Zimmerman et
alii, Groningen , rispettivamente - e .
. Menzione a parte merita il tentativo di stabilire raffronti tra fabella apuleiana
e tradizione iconografica antica: C.C. Schlam, Cupid and Psyche. Apuleius and the
Monuments, University Park, Pennsylvania, .
. Andromeda e Psiche [. . . ]
(met. , , ) .
Qualche altro spunto, infine, non sembra aver attirato fino a
oggi l’interesse dei critici. Per esempio, a proposito del modo
con cui l’oracolo di Apollo descrive il potere assoluto, su ogni
essere vivente, del futuro sposo di Psiche , non v’è dubbio che,
tra tutti i riferimenti proposti via via dai commentatori , vada
inserito anche l’incipit del frammento euripideo (fr N =
Jouan - Van Looy: σὺ δ΄ ὦ τύραννε θεῶν τε κἀνθρώπων
῏Ερως) che celebra il trionfo di Amore (a futuro danno degli
Abderiti) e giustifica il traguardo nuziale verso cui muove il
mito di Perseo e Andromeda, fornendo in filigrana non esile
traccia alla vicenda in cui è coinvolto lo stesso Cupido. Inoltre,
se si bada alle cure di cui Psiche è fatta oggetto una volta approdata al meraviglioso palazzo di Cupido , non sarà troppo
difficile ravvisare nei giochi acustici generati dalle voci senza
corpo a disposizione della fanciulla una nuova edizione –miniaturizzata per quanto riguarda l’aspetto scenico e nello stesso
tempo sottoposta a effetto moltiplicatore – della figura di Eco,
la cui incorporea presenza nella scena iniziale dell’Andromeda
euripidea ha messo in moto l’attenzione parodistica di Aristofane e ha contribuito alla duratura fortuna dell’episodio nel
tempo. Infine, se si pone mente al motivo dell’innamoramento
a prima vista che nella tradizione del mito è tutt’uno con lo
sguardo dall’alto di Perseo, è possibile osservare come in Apu. «A. may well have Euripides’ Andromeda in mind»: E.J. Kenney, Apuleius cit.,
.
. Il testo è riportato in n. .
. Elenco significativo si ottiene combinando E.J. Kenney, Apuleius cit., -;
C. Moreschini, Il mito di Amore e Psiche in Apuleio cit., ; W.S. Smith, Cupid and
Psyche Tale: Mirror of the Novel, in AA. VV., Aspects of Apuleius’ Golden Ass. II. Cupid
and Psyche cit., .
. Si veda in merito P. Murgatroyd, Apuleian Ecphrasis: Cupid’s Palace at Met. , ,
- , , , «Hermes» , , -.
. Vox quaedam corporis sui nuda (met. , , ); monitusque vocis informis audiens
(met. , , ); et solas voces famulas habebat (met. , , ); Statim voces ... novam nuptam
interfectae virginitatis curant (met. , , ); et sonus vocis incertae solitudinis erat solacium
(met. , , ).
Rileggendo Petronio e Apuleio
leio si assista a una ripresa dilazionata e specularmente inversa,
là dove è Psiche, finalmente in grado di contemplare Cupido
per la prima volta e vittima dei dardi del dio, a conoscere la
ferita del cuore: sic ignara Psyche sponte in Amoris incidit amorem
(met. , , ) .
Ma non basta: fino a questo punto, per quanto concerne
il testo apuleiano, il nostro discorso si è limitato alla sezione
iniziale della favola di Cupido e Psiche, alla sezione cioè che
appare maggiormente tributaria del teatro tragico e sembra far
confluire nella silhouette della protagonista una vera e propria
antologia di eroine euripidee raccolte sotto il segno di Andromeda . Ma in realtà, come già qualche critico ha avuto modo
di suggerire , è l’intera fabula a evocare copioni di spettacoli
teatrali secondo non troppo arbitrarie suddivisioni in atti che si
potrebbero articolare così: Atto I, Psyche innocens (, -); Atto
II, Psyche nocens (, -); Atto III, Psyche errans (, - , ); Atto
IV, Psyche patiens (, -); Atto V, Psyche felix (, -) . All’interno dell’intero complesso la peripezia di Psiche-anima ruota,
e per ben due volte, attorno al motivo nuziale che sappiamo
aver caratterizzato l’agon logon e la parte finale dell’Andromeda
euripidea . Una prima volta, fino al colpevole disvelamento
. In realtà, subito dopo anche Cupido ammette d’esser stato colpito a prima
vista (dall’alto, è il caso di dire) dalla bellezza di Psiche: ipse potius amator advolavi
– appunto come Perseo! – tibi (met. , , ): per l’intreccio di temi e motivi si può
vedere S. Rocca, Il motivo dell’innamoramento a prima vista nell’apuleiana novella “Amore
e Psiche” e il romanzo greco, in AA. VV., Materiali e contributi per la storia della narrativa
greco-latina, I, Perugia , -.
. Che il nome proprio della figlia di Cassiopea possa ben adattarsi, in chiave
platonica, a Psyche-anima si potrebbe ricavare da Apul. de Plat. : quare idem (sc.
Plato) bene hominis pronuntiat esse animam corporis dominam.
. P.G. Walsh, The Roman Novel, Cambridge , -.
. Così E.J. Kenney, Apuleius cit., e passim; su tale aspetto rinvio a quanto
ho avuto occasione di dire altrove: Forme di consumo teatrale: mimo e spettacoli affini,
in AA. VV., La letteratura di consumo nel mondo greco-latino, a cura di O. Pecere e
A. Stramaglia, Bari , - (in part. -); si veda anche J. Annequin, Espaces,“Dramatis personae”, rapport sociaux dans le conte de Psyché, «Dialogues d’Histoire
Ancienne» -, , -.
. Di passaggio mette conto ricordare come anche il “ciclo di Carite” (met.
. Andromeda e Psiche [. . . ]
dello sposo sconosciuto , Psiche conosce nuptiae impares con
un ignobilis maritus (proprio come temevano i genitori di Andromeda nel corso della disputa sui natali del salvatore della
figlia). A questo parziale compimento del destino che compete
a ogni eroina salvata da morte, fanno seguito il divortium, la
rinnovata persecuzione di Venere e la seconda passione di Psiche, fino all’intercessione di Cupido e all’intervento salvifico
– questa volta in maniera definitiva – di Giove, a cui spetta il
compito di concludere la vicenda secondo i crismi di un iustum matrimonium che comporta l’assunzione finale in cielo
di Psiche-anima, assimilata agli immortali abitatori dell’Olimpo:
‘Iam faxo nuptias non impares sed legitimas et iure civili congruas’,
et ilico per Mercurium arripi Psychem et in caelum perduci iubet.
Porrecto ambrosiae poculo: ‘Sume’, inquit ‘Psyche, et immortalis
esto, nec umquam digredietur a tuo nexu Cupido sed istae vobis erunt
perpetuae nuptiae’ (met. , , -).
Dunque, ascesa al cielo di Psiche, parallela al catasterismo
finale di Perseo e Andromeda: soddisfatti di questo duplice
lieto-fine, potremmo porre termine qui al nostro intervento,
il quale ha cercato di fare i conti con riscritture di tradizioni
mitologiche, incroci di trame collaudate e di matrici comuni,
, - e , - , ), che fa da castone alla bella fabella di Cupido e Psiche, si
prospetti come tragedia nuziale: si vedano C. Barrett, The Marriage of Charite and
Psyche in the Context of Apuleius’ Metamorphoses, «Classical Bulletin» , , -; J.
L. Lopes Brandão, O romance de Cárite : uma tragédia em quatro actos, «Humanitas»
, , -; S. Papaioannou, Charite’s Rape, Psyche on the Rock and the Parallel
Function of Marriage in Apuleius’ Metamorphoses, «Mnemosyne» , , -;
L. Nicolini, Apuleio, La novella di Carite e Tlepolemo, Napoli ; S. Frangoulidis,
Roles and Performances in Apuleius’ Metamorphoses, Stuttgart-Weimar , -.
Si tenga altresì presente D. Lateiner, Marriage and the Return of Spouses in Apuleius’
Metamorphoses, «Classical Journal» , , -.
. In merito si rinvia a E.J. Kenney, Psyche and her Mysterious Husband, in
Antonine Literature, a cura di D.A. Russell, Oxford , -.
. Oltre a S. Treggiari, Roman Marriage: Iusti Coniuges from the Time of Cicero to
the Time of Ulpian, Oxford , su questo aspetto è da vedere W. Keulen, Some Legal
Themes in Apuleian Context, in AA. VV., Der antike Roman und seine mittelalterliche
Rezeption, Basel-Boston-Berlin , -; J. Osgood, Nuptiae Iure Civili Congruae:
Apuleius’ Story of Cupid and Psyche and the Roman Law of Marriage, «Transactions of
American Philological Association» , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
sovrapposizioni di schemi narrativi, scambio di ruoli e trasformazioni di personaggi. Ma a costo di abusare della pazienza
del lettore non si può rinunciare ad altro tipo di congedo, monumentale e insieme iconografico, che meglio di ogni analisi
letteraria sembra in grado di illustrare quanto si è venuti descrivendo in queste pagine. L’antologia di testi, temi e immagini
qui evocata ha avuto una realizzazione pittorica rinascimentale
che merita di figurare come eloquente epilogo – per figuras –
di un discorso dedicato a metamorfosi di temi classici. Ci si
riferisce alla Villa Farnesina di Agostino Chigi, in particolare
al programma decorativo di tre ambienti del pianterreno che
presenta in successione una stanza con fregio ovidiano di amori
infelici, la loggia di Amore e Psiche e la sala di Galatea con
soffitto affrescato da segni dello zodiaco che fanno corona al
quadro centrale in cui è raffigura la vittoria di Perseo su Medusa. La decorazione del fregio della prima stanza e del soffitto
del terzo ambiente si deve alla mano di Baldassare Peruzzi,
umanista, astrologo, amico del committente e architetto della Villa; quella del secondo ambiente alle mani di Raffaello e
della sua scuola; sempre a Raffaello si deve l’affresco parietale
di Galatea e Polifemo, derivato da suggestioni di Poliziano .
Non è questa la sede – né ho le competenze – per discutere
della qualità artistiche delle raffigurazioni; quello che interessa
è l’insieme delle figure che all’immaginazione del Cinquecento
ha suggerito la lettura dei testi di Ovidio, Manilio e Apuleio,
vale a dire degli autori che hanno guidato questa rincorsa di
modelli nel tempo.
. Per notizie sulla Villa e i suoi cicli pittorici si rinvia a F. Saxl, La fede astrologica
di Agostino Ghigi. Interpretazione dei dipinti di B. Peruzzi nella sala di Galatea della
Farnesina, Roma, R. Accademia d’Italia, (Coll. “La Farnesina” I); Id., La storia
delle immagini, tr. it., Roma-Bari , -; E. Gerlini, Villa Farnesina alla Lungara,
Roma ; J. L. de Jong, Il pittore a le volte è puro poeta. Cupid and Psyche in Italian
Renaissance Painting, in AA. VV., Aspects of Apuleius’ Golden Ass. II. Cupid and Psyche
cit., - (in part. -); AA. VV., Dal testo all’immagine. Amore e Psiche nell’arte del
Rinascimento, «Fontes» -, ; S. Cavicchioli, Le metamorfosi di Psiche. L’iconografia
della favola di Apuleio, Venezia (in part. -, con ulteriore bibliogr.).
Capitolo VI
Tra Platone e Iside:
per una rilettura dell’XI libro
delle Metamorfosi apuleiane∗
.. Ragni, asini, démoni
Per comodità conviene muovere i primi passi in compagnia del
De Iside et Osiride di Plutarco . In D-E, l’autore compendia,
ricorrendo a nomi greci, l’antica teogonia egiziana (nascita di
Osiride, di Arueris-Apollo-Horos il Vecchio, di Seth-Tifone, di
Iside e di Neftys-Afrodite), la lotta dei fratelli-rivali, la morte
di Osiride, la ‘ricerca’ di Iside e infine la nascita di Arpocrate,
per scartare conclusioni in chiave evemeristica (casi accaduti
ad antichi sovrani poi elevati a dignità divina) e prospettare
altra spiegazione: «Ritengo più esatta l’opinione di quanti considerano le narrazioni (tà historoùmena) su Tifone, Osiride e
Iside passioni non già di dèi oppure di uomini, ma di grandi
démoni» (D) . Operata una distinzione tra démoni buoni e
∗
Il testo deriva da una conferenza dal titolo Il libro isiaco di Apuleio tenuta
nell’aprile per ACME (Associazione Amici Collaboratori del Museo Egizio di Torino),
pubblicato in «Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino. Classe di Scienze Morali»
, , -. Mi è caro ringraziare il dott. Alessandro Bongioanni per l’invito e il
prof. Pierluigi Donini per i suggerimenti di cui è stato generoso nei miei confronti.
. Testo di riferimento: Griffiths . In generale vd. i saggi raccolti in Ries
.
. Vd. Baltrušaitis .
. Come narra, per es., Diodoro Siculo , -. Sulla fortuna dell’evemerismo
nel mondo antico e sul tema di homines pro diis culti vd. Winiarczyk , -.
. Vd. Alvar . Sugli aspetti filosofici implicati nelle vicende delle divinità
egiziane in Plutarco vd. Ferrari .
Rileggendo Petronio e Apuleio
démoni cattivi, si afferma che «Iside e Osiride erano all’inizio
solo démoni buoni, poi trasformati da démoni buoni in dèi
per la loro virtù» (E) . Dunque, anche Osiride e Iside, agli
occhi greci di Plutarco, sono oggetto di metamorfosi (in questo
caso di una prima metamorfosi), aspetto su cui si ritornerà a
proposito di Apuleio. Intanto, merita attenzione un’altra affermazione, intercalata tra questi due passi: Plutarco, rivolgendosi
direttamente a Clea, sacerdotessa destinataria dell’operetta ,
stabilisce una netta linea di demarcazione tra i racconti sacri
egiziani e le storie fantastiche introdotte da poeti e mitografi:
«Ritengo che tu comprenda da sola come tali concezioni non
assomiglino affatto alle invenzioni fantasiose, vuote e inconsistenti, che poeti e compositori di discorsi continuano a tessere
e a dilatare producendo per proprio conto – alla stregua dei
ragni – novità prive di sostanza, ma hanno invece il compito di
spiegare almeno in parte difficoltà e sofferenze» (F).
Poeti e scrittori come ragni, dunque, impegnati a tessere reti
di racconti senza fondamento e in piena autonomia. Il platonico
Plutarco non dimentica le critiche rivolte ai poeti dal fondatore
dell’Accademia; tuttavia Platone ha accolto altra immagine dal
lessico dell’insettario poetico e ha ammesso che «come le api»
sono i poeti invasati dal dio, in quanto attingono il canto da
fonti di miele fluente nei giardini delle Muse . Tant’è: Plutar. Sulla concezione demonologica di Plutarco vd. Soury ; Vernière ;
Brenk e ; Froidefond ; Richter ; Gasperini .
. Sulle fonti epigrafiche relative a Flavia Clea e sulla destinataria dell’Iside e
Osiride di Plutarco si vedano Bowersock ; Kapetanopoulos ; Froidefond ,
-.
. L’immagine si legge in Plat. Ion b. Cfr. Roscalla . Le immagini dell’ape
e del miele per rappresentare forme e contenuti del ’fare’ poetico, dalla dolcezza
del canto alla versatile operosità del cantore, sono care a Pindaro (cfr. per es. Pyth.
, -: “il fiore degli inni d’encomio come ape da motivo a motivo trasvola”) e
godono di fortuna duratura, che va da Aristofane (Aves -: «come ape Frinico
soleva nutrirsi del frutto di melodie divine versando canto dolce come miele») fino
all’apis Matina di Orazio (Carm. , , ) e oltre, come mostrano, esempio tra tanti,
questi versi di La Fontaine: «... semblable aux abeilles, / à qui le bon Platon compare
nos merveilles, / je suis chose légère et vole à tout sujet, / je vais de fleur en fleur
et d’objet en objet». Non a caso api e ragni continuano a vivere nella zoologia
. Tra Platone e Iside [. . . ]
co, che pure altrove giudica essenziale per l’efficacia poetica
il modello dalle api , qui opta per la similitudine degli aracnidi, per indicare la composizione di trame fantastiche lontane
dalla realtà, sottili e inconsistenti come la tela del ragno che
vive delle proprie geometrie e di istintivo intreccio di fili. Può
anche succedere, sempre nel De Iside et Osiride, che le immagini
zoologiche abbandonino i giochi retorici delle figure di parola
e di pensiero, vale a dire delle similitudini e delle metafore,
e finiscano per insediarsi nel pensiero religioso, in quanto gli
Egiziani «onorano gli animali come veri e propri dèi» (E).
Da buon greco, Plutarco condanna il culto degli animali come
ridicolo e superstizioso, così come nega credibilità alla spiegazione mitica che predica la possibilità degli dèi di trasformarsi
o nascondersi nei corpi di ibis, di cani, di sparvieri etc. per paura di Seth-Tifone (un’ulteriore metamorfosi, dunque) e che le
anime dei defunti possano tornare a nuova esistenza (palingenesìa) se incarnate in questi animali (F). Tuttavia, quando
vengono presentate le caratteristiche delle divinità e si elencano
gli animali loro pertinenti, a Seth-Tifone dal corpo rossiccio
di pelle (B) vengono attribuiti «tra gli animali domestici il
più refrattario, cioè l’asino, e tra gli animali selvatici i più feroci,
cioè il coccodrillo e l’ippopotamo» (C). Per esempio, come
Plutarco ha già avuto modo di asserire, gli abitanti di Copto
sacrificano un asino, facendolo precipitare dall’alto, in ragione
del fatto che Seth-Tifone «era rosso e aveva la pelle asinina»,
perché in generale gli Egiziani «considerano l’asino animale
non puro bensì demonico, a causa della sua somiglianza con
Tifone» (F) e ritengono tale somiglianza dovuta «non solo
alla stupidità e alla sfrenata incontinenza sessuale, ma anche al
colore della pelle» (C).
Bene: l’incursione nel mondo egiziano descritto dal greco
Plutarco di Cheronea può servire da efficace introduzione alle
simbolica moderna come binomio di contrapposizione culturale: vd. Swift e
(The Battle of the Books, ); Fumaroli ; Real .
. Plut. De audiendo E-F.
Rileggendo Petronio e Apuleio
opere dell’africano Apuleio di Madauro per più di un motivo.
La prima ragione, di ordine culturale, consiste nell’appartenenza di entrambi gli autori alla scuola di pensiero che la moderna
storiografia filosofica definisce del platonismo medio . Appunto in ambito filosofico conviene cercare convergenze di nozioni
e di formule largamente confrontabili. Se infatti si passano in
rassegna i contenuti del De deo Socratis apuleiano , si prende
atto che alla concezione di un universo scisso tra mondo materiale sempre più basso e caotico e sommo dio sempre più
alto e lontano pone rimedio la presenza di potenze intermedie (divinae mediae potestates): sono i démoni, che presiedono
ai rapporti tra mondo di quaggiù e sommo etere, in quanto
messaggeri, nei due sensi, dei doni divini e delle aspirazioni
umane . Con Apuleio, insomma, il démone di Socrate, la voce
interiore che al maestro di Platone trasmetteva i divieti divini
sul piano etico, perde lo statuto di esperienza eccezionale e si
moltiplica all’infinito, occupando lo spazio intermedio tra sfera
della materia e sedi celesti: si delinea un universo animato da
forze misteriose (ma mentalmente intelligibili da parte umana)
che operano incessantemente nel mondo, trasformandolo secondo disegni provvidenziali che soltanto il vero philosophus è
in grado di conoscere. Tre sono le classi in cui i démoni sono
distinti: la prima è costituita dalle anime incarnate, cioè dalle
anime individuali degli uomini («anche l’anima umana, quando
ancora dimora nel corpo, può essere definita démone») ; la
seconda è formata dalle anime disincarnate che al termine della
vita fisica assumono funzioni deterrenti o protettive, in qualità
di Larve o di Lari (a molti, per i meriti accumulati in vita e i
culti loro tributati in seguito, compete titolo onorifico di deus:
. Vd. Dillon ; Moreschini , e ; Donini e ; Zintzen
; Hijmans Jr. ; Bajoni ; Donini , sgg.; Nagel .
. Testo di riferimento: M. Baltes et alii .
. Sulla demonologia apuleiana, ben attestata anche nel De magia e in Florida ,
vd. almeno Portogalli ; Siniscalco ; Bernard ; Habermehl ; Hidalgo
de la Vega -; Carver .
. Apul. De deo Socratis. , .
. Tra Platone e Iside [. . . ]
«così Anfiarao in Beozia, Mopso in Africa, Osiride in Egitto,
altri altrove, Esculapio ovunque») ; la terza, da sempre libera da
legami corporei, di specie più elevata e nobile, ha poteri e ruoli
particolari: ne sono esempio Sonno e Amore, cui spettano compiti specifici nell’economia globale dell’esistenza. Per quanto
articolata in ordini diversi, la natura demonica dell’anima individuale, di Osiride (come suggeriva a Plutarco il mito egiziano)
e di Amore è motivo di interesse per i lettori delle Metamorfosi;
del pari interessante è che il démone assegnato a ciascuno come
custode e testimone «a tutto prenda parte con curiosità (curiose),
su tutto indaghi, tutto intenda e a guisa di coscienza penetri
nei più profondi recessi della mente» , in quanto proprio da
umani esercizi di curiositas (attività non indegna di potestates
demoniche) prende avvio, come si sa, la vicenda narrata da
Apuleio nel grande racconto di trasformazioni .
Ora, se finalmente prendiamo in mano le Metamorfosi apuleiane , ossia la storia dell’uomo-asino o, se si preferisce, dell’asino in cui si cela una presenza umana, non riesce difficile
osservare come Egitto e Plutarco facciano la loro comparsa fin
dall’inizio della narrazione. L’attacco del prologo (At ego tibi
sermone isto Milesio varias fabulas conseram) evoca, sì, la tradizione della fabula Milesia, ma è la geografia egiziana a fornire il
materiale scrittorio dell’intera vicenda, in quanto si promette
al lettore l’ascolto di storie mirabolanti di trasformazioni, «a
patto che ci si degni di dare un’occhiata a questo papiro d’Egitto
vergato con l’arguzia di un calamo del Nilo (modo si papyrum
Aegyptiam argutia Nilotici calami inscriptam non spreveris inspice. Ibid. , .
. E inversi, in quanto ad Amore compete vis vigilandi, al Sonno soporandi: ibid.
, .
. Ibid. , : quin omnia curiose ille participet; omnia visitet, omnia intellegat, in
ipsis penitissimis mentibus vice conscientiae deversetur.
. Vd. per es. Sandy ; Walsh ; De Filippo (rist. in Harrison ,
-); Tasinato ; Kirichenko a.
. Testi di riferimento: Robertson, Vallette, - (rist. -, nuova ed.
dei libri IV-VI a cura di L. Callebat, ); Zimmerman . Testo di Robertson e
versione italiana in Fo .
Rileggendo Petronio e Apuleio
re)». Nella sua arguzia, che condivide con lo scrittore, il calamo
nilotico appare gravido delle leggende che si narrano lungo
le rive del grande fiume africano . E Plutarco? Eccolo, subito
dopo! In Metamorfosi , viene presentato il protagonista, in
viaggio per affari alla volta della Tessaglia, terra di magia e di
portenti : Lucio di Corinto, scholasticus di bell’aspetto e buona condizione sociale, figlio di un Teseo di provincia e di una
signora di nome Salvia, erede di cospicua famiglia culturale:
congiunta di Plutarco attraverso il di lui nipote Sesto di Cheronea (maestro di Marco Aurelio e Lucio Vero) , la madre dal
nome beneaugurante assicura autorevoli parentele filosofiche
aperte a prospettive di salvezza (Thessaliam – nam et illic originis
maternae nostrae fundamenta a Plutarcho illo inclito ac mox Sexto
philosopho nepote eius prodita gloriam nobis faciunt – eam Thessaliam ex negotio petebam) ed è motivo di vanto per la persona
loquens; erede di repertori mitico-tragici, il padre dal nome regale è garante di presenze letterarie e filosofiche (euripidee,
senecane, plutarchee) che scandiscono i momenti cruciali della
vicenda . Ultima precisazione a proposito del titolo: mentre
tutti i manoscritti medioevali riportano come titolo dell’opera
Metamorphoseon libri (Libri di trasformazioni), nel De civitate Dei
Sant’Agostino cita il testo apuleiano come Asinus aureus . Per
lo più la critica ritiene che Asino d’oro alluda a qualità lettera. Vd. per es. Grimal ; Nicolai ; Sandy ; Tilg , sg. Sui problemi posti dal prologo e il ventaglio delle interpretazioni vd. i saggi raccolti in Kahane,
Laird .
. Vd. Bowersock ; Phillips .
. Altra menzione in Met. , , , là dove Byrrhena ricorda la parentela con la
madre di Lucio: familia Plutarchi ambae prognatae sumus. Sui rapporti tra i due autori
vd. Hunink ; Soler .
. La scheda anagrafica del protagonista si ottiene combinando Met. , , -
(patria e studi); , , (generosa stirps e buona educazione); , , e (nome proprio
e aspetto fisico); , , (scholasticus). Vd. Met. , , per il padre e Met. , , e , ,
per la madre. Sul nome dei genitori si rinvia a Fiorencis, Gianotti , in Magnaldi,
Gianotti , -; Drake ; Keulen , ad loc.; Harrison a.
. Augustin. De civ. Dei , , : ... sicut Apuleius in libris, quos Asini aurei titulo
inscripsit, sibi ipsi accidisse, ut accepto veneno humano animo permanente asinus fieret,
aut indicavit aut finxit. Vd. Bitel -.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
rie e dunque suoni riconoscimento d’eccellenza artistica. Non
manca però chi ritiene che il senso vada cercato tra i valori
cromatico-allegorici dei miti egizi che fanno da sfondo al racconto, a partire dalle allusioni del prologo fino all’epilogo isiaco
dell’undecimo libro. L’asino è l’animale di Seth, l’uccisore di
Osiride, e il colore fulvo del suo mantello, simile a quello del
deserto, ben potrebbe spiegare l’ambiguo aureus del titolo alternativo ; ma per altri non è impossibile scorgervi espressione
ossimorica che accoppia in callida iunctura la bestia di Seth all’oro di Iside, in una sorta di miniatura contrastiva di percorsi
narrativi elaborati in trame fantastiche e sottili come tela di
ragno.
.. Da Platone all’Egitto
Nella più antica Vita Platonis giunta fino a noi, vale a dire nei
capitoli iniziali del De Platone et eius dogmate di Apuleio, avviene
di leggere che dopo la morte di Socrate Platone si avvicinò alle
dottrine pitagoriche e, in cerca delle loro fonti, ad Theodorum
Cyrenas, ut geometriam disceret, est profectus et astrologiam adusque
Aegyptum ivit petitum, ut inde prophetarum etiam ritus addisceret .
Sul viaggio o sui viaggi di Platone in Egitto, menzionati tra gli
altri da una serie di autori di cui fanno parte – tra gli altri – Cicerone , Diodoro Siculo e Diogene Laerzio , è lecito nutrire
. Vd. Martin ; Heller ; Winkler , sgg.
. Vd. Mazzoli .
. Apul. De Platone , . Vd. per es. Barra -; Swift Riginos .
. Cic. De republ. , (tum Scipio: ’sunt ista ut dicis; sed audisse te credo Tubero,
Platonem Socrate mortuo primum in Aegyptum discendi causa, post in Italiam et in Siciliam
contendisse, ut Pythagorae inventa perdisceret) e De fin. , (Nisi enim id faceret, cur
Plato Aegyptum peragravit, ut a sacerdotibus barbaris numeros et caelestia acciperet?).
. Diod. , , : «i sacerdoti egiziani raccontano che sia giunto presso di loro
anche il filosofo Platone».
. Diog. Laert. , (a detta di Ermodoro, «Platone si è recato a Megara da
Euclide insieme ad alcuni altri discepoli di Socrate; in seguito si sia spostato a Cirene
presso il matematico Teodoro e di qui in Italia presso i pitagorici Filolao ed Eurito,
Rileggendo Petronio e Apuleio
più di un dubbio; non troppo incerta risulta invece la connessione tra le dottrine platoniche e i racconti tradizionali egiziani,
un po’ se ci ricordiamo del mito del Fedro sull’invenzione della
scrittura oppure se ritorna in mente la frase rivolta a Solone
dal vecchio sacerdote egiziano: «Solone, Solone, voi Greci siete
eterni fanciulli, un Greco vecchio non esiste!» . Connessione
certa hanno ravvisato – come si è detto – Plutarco e Apuleio,
onorato quest’ultimo del titolo di philosophus Platonicus che
amò riservarsi e che l’ha accompagnato nel tempo senza entrare in contraddizione o in conflitto con le svariate iniziazioni
religiose avvenute nel soggiorno ateniese di cui l’autore dà
notizia nell’Apologia: «in Grecia ho condiviso la maggior parte
dei misteri sacri [...]; diversi culti, molteplici riti e cerimonie di
varia natura ho appreso, per amore del vero e per dovere verso
gli dèi» . Insomma, Platone e l’Egitto per Apuleio possono
convivere abbastanza comodamente, e non solo perché nell’episodio dell’incontro di Pythias al mercato di Hypata la scena
dei pesci calpestati sembra modellata su di un antico rituale
egizio , oppure perché sono necessari i poteri di un sacerdote
egiziano (Zatchlas Aegyptius propheta primarius) per conoscere
l’antefatto della custotela feralis della vittima d’una moglie assassina e della mutilazione del viso di Thelyphron . Infatti, se
è vero che l’imbestiamento asinino del protagonista si iscrive
nella tradizione folclorica dei bestiari più o meno moralizzati
che dagli incantesimi di Circe attraversa la favola degli animali
parlanti e i racconti delle Metamorfosi ovidiane per riemergere
nelle perdute Metamorfosi di Lucio di Patre e nell’operetta Lucio
quindi in Egitto presso i sacerdoti»).
. Plat. Tim. b.
. Apul. Apol. , -: Sacrorum pleraque initia in Graecia participavi [...]; multiiuga
sacra et plurimos ritus et varias caerimonias studio veri et officio erga deos didici. Vd.
Pizzolato ; Münstermann , -.
. Apul. Met. , -. Vd. Derchain, Hubaux ; Fick .
. Apul. Met. , . Vd. Stramaglia .
. Vd. Müller-Reineke . Si vedano anche Hindermann ; Vial .
. Tra Platone e Iside [. . . ]
o l’asino del corpus lucianeo , non è men vero che nella storia
dell’asino umano coesistono spunti riconducibili alle dottrine
platoniche e ai racconti sacri egiziani. Nel primo caso, nella
cornice del mito platonico della ‘generazione umana degli animali’, ad Apuleio traduttore del Fedone non può essere sfuggito
il passo relativo al destino riservato alle anime degli stolti: «A
proposito di coloro, per esempio, che sono dediti a gozzoviglie, a violenze carnali e ai piaceri del vino e che da codeste
passioni non hanno saputo astenersi, è verisimile che prendano
corpo in forma di asini e di bestie consimili» . Nel secondo
caso, come ricorda il platonico Plutarco, gli Egiziani hanno una
speciale venerazione per gli animali, in quanto ipostasi divine o
addirittura temporanei ‘contenitori’ di divinità, e considerano
l’asino animale di Seth-Tifone, il nemico di Osiride e Iside.
A ben vedere, nella prospettiva delle Metamorfosi, chi abbia
dimestichezza con i racconti sacri egiziani, come ha appunto
Apuleio, non può fare a meno di mettere in relazione il processo folclorico (e platonico) dell’imbestiamento asinino con
soluzioni di matrice egiziana. In altre parole, il rovesciamento
positivo imposto alla degradazione esistenziale di Lucio-asino,
in ragione dell’aspetto stesso assegnato dalle fonti, suggerisce
comodo traguardo entro la cornice delle prerogative teurgiche
di Iside e di Osiride.
Non intendo passare in rassegna e confrontare gli aspetti
magici che compaiono, da un lato, come elementi religiosi
nei racconti sacri d’Egitto e, dall’altro, come ingredienti parabiografici (si pensi all’Apologia sive de magia) e narrativi in
. In generale vd. Scobie ; Mason e . Per Lucio di Patre vd. Lesky
, -; Kussl ; Frangoulidis , -. Ed. sinottica del testo attribuito a
Luciano e del testo di Apuleio si legge in van Thiel .
. Vd. Plat. Phaed. e-a: «Coloro, per esempio, che si sono abbandonati ai
piaceri del ventre, alla violenza e ai piaceri del bere senza misura alcuna, è verisimile
che entrino nei corpi d’asino o di animali del genere». Cfr. anche Plat. Phaedr. ae; Resp. , a-b; Tim. d-c. Vd. tra gli altri Thibau ; Schlam ; Gianotti
, - e passim; De Filippo ; Bajoni ; O’Brien ; Kirichenko .
. Sulle valenze simboliche dell’asino nell’antichità vd. almeno Deonna ;
Opelt ; Scobie .
Rileggendo Petronio e Apuleio
Apuleio . Non ho competenze in merito e rischierei di far
torto alle esigenze di chiarezza. Pare invece preferibile tenere
altra via, seguire cioè le tappe che portano il protagonista, lo
scholasticus Lucio di Corinto, dall’imbestiamento alla progressiva risalita verso la condizione umana. Intanto, piace ricordare
come ci si può trasformare in asino, perdendo fattezze umane,
libertà e identità personale . Ospite a Hypata nella dimora di
una maga (Pamphile, “Colei che ama tutti”) dall’intensa attività
amatoria, Lucio vuole provarne gli incantesimi e trasformarsi
in uccello, un po’ come l’anima platonica che vuole recuperare
le ali e tornare in cielo . L’ancella Photis (“Piccola luce”, Lucignola?) , tra notturni amplessi e iniziazioni ai misteri della
magia , apre a Lucio l’officina dei sortilegi, ma lo scambio
di pissidi trasforma il giovane in asino (Met. , ), che pur
conserva umano sentire . Le serviles voluptates delle notti di
Hypata sfigurano il giovane dal nome solare e lo privano di
identità fisica e statuto sociale: l’uomo-asino, partecipe di due
nature, non trova spazio nell’una o nell’altra specie e si avvia a
peripezie solitarie lungo malsicure demarcazioni tra le classi di
. In merito si possono vedere i saggi raccolti in Futre Pinheiro, Bierl, Beck
e la bibliogr. ivi citata.
. Vd. Schlam . Da qui in avanti traggo spunti da quanto ho scritto in altra
occasione: Magnaldi, Gianotti , sgg.
. Cfr. Plat. Phaedr. c sgg. Di «Phaedran influence on the whole of the
Metamorphoses» discute Winkle : più in generale vd. Moreschini .
. Come è noto, Le avventure di Pinocchio sono tributarie di più di uno spunto
alle Metamorfosi apuleiane (a tacer d’altro, cfr. Lucignolo e la trasformazione in asino;
la formazione umana di un burattino grazie alla Fata dai Capelli Turchini, piccola
Iside in sedicesimo dalla non meno efficace magia).
. Vd. Schmidt ; De Smet . Sull’opposizione polare Photis / Isis vd.
Carver .
. Met. , , : quamquam perfectus asinus et pro Lucio iumentum sensum tamen
retinebam humanum (vd. Magnani ).
. Nei racconti fictis casibus referti i personaggi non hanno nomi riconoscibili
per tradizione letteraria (epica, tragica, storica), se non in qualche caso per ironica
degradazione. Negli altri casi, come già nella commedia, essi sfuggono all’anonimato, in quanto portatori di ‘nomi parlanti’: spetta infatti all’antroponimo il compito
di rivelare identità e caratteri assegnati dall’autore. Vd. Brotherton ; Hijmans Jr.
.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
esseri viventi. Così in Met. , , -, nella stalla, il servo di Lucio
prende a bastonate quell’asino del padrone e annulla il primo
tentativo di assumere l’antidoto, le rose del sacello di Epona.
La presenza di rose accanto a una figura divina femminile (una
dea gallica, protettrice di cavalli e cavalieri, accolta nel pantheon
romano e assimilata alla Grande Dea) è, in miniatura, anticipazione, per ora fallimentare, della soluzione finale dell’XI
libro, quando l’asino umano potrà accostarsi alle rose di Iside,
divinità titolare principe del fiore . La scena chiarisce altresì
come l’inversione dei ruoli operata dalla metamorfosi comporti
non protesta sociale, ma esclusione del protagonista dal suo
mondo, con l’esito di assegnare all’asino umano il compito di
farsi storiografo dal basso della realtà di ogni giorno. Prima
che Lucio possa valersi dell’antidoto delle rose, irrompe una
banda di briganti (Met. , , : globus latronum) che saccheggia
la casa dell’ospite e fa razzia degli animali, veri e di recente
imbestiamento, immettendo l’uomo-asino nel mondo esterno,
a vivervi la propria morte civile.
Dal IV al VII libro si sviluppa l’intermezzo riservato ai latrones che – nel gioco di ’scatole cinesi’ e racconti speculari –
contiene l’infelice storia di Charite, a sua volta castone della
bella fabella di Cupido e Psyche (Met. , - , ) . L’irruzione
dei briganti dà inizio all’odissea dell’eroe sfigurato e dilaziona
il ritorno all’umanità: Lucio-asino conosce la rude pedagogia
del bastone, regredisce dal cotto al crudo sul piano alimentare
e da civiltà a barbarie sul piano della vita associata; è inoltre
cronista di banchetti bestiali e imprese criminose, di rapimenti
. Vd. Reinach ; Magnen, Thévenot ; Linduff . Per Epona
assimilabile a Iside in quanto Fortuna vd. Fry ; Winkle .
. Sulle valenze simboliche delle rose vd. Joret ; Heinz Mohr, Sommer
; Fick-Michel , -; de Medeiros ; Fumo . Rilettura in chiave
tributaria della psicanalisi offre Carotenuto .
. La favola di Amore e Psyche, spesso studiata come parte autonoma, costituisce un voluminoso capitolo a sé nell’ambito della critica apuleiana; qui ci si limita a
segnalare l’ed. commentata di Zimmerman et alii , da cui è agevole risalire alla
letteratura in merito. Da ricordare, per l’iconografia, Cavicchioli e la mostra
“Amore e Psiche, la favola dell’anima”, Torino, Palazzo Barolo, marzo-giugno .
Rileggendo Petronio e Apuleio
crudeli e affabulazioni consolatorie, di tentativi di fuga e minacce di punizioni definitive . Non mancano tuttavia residui
di comportamenti umani: il giudizio sul veleno dell’oleandro
(rosae laureae di Met. , , ); la mancata ‘ribellione’ ai briganti
(asinus bonae frugi dominis di Met. , , ); la descrizione di loci
horridi e l’ascolto di disastrosi assalti (Met. , -); l’attrazione
per la bellezza di Charite (puella et asino concupiscenda di Met. ,
, ); il rammarico di non poter fissare per iscritto la favola di
Psyche-Anima accolta in Olimpo a fianco del suo dio (Met. ,
, ) .
Dopo la rovina dei ladroni e la tragedia di Charite – morte
dello sposo per mano di un rivale, vendetta e suicidio della
donna (Met. , - , ) – si precisano le tappe del faticoso
ritorno del protagonista imbestiato verso la condizione degli
esseri umani. L’uomo-asino passa via via al servizio di un gruppo di sacerdoti ciarlatani di orientamento omosessuale, di un
mugnaio, di un ortolano povero, di un soldato e ancora di un
cuoco e un pasticcere al seguito di un ricco signore, che lo
riporta a Corinto. Ogni passaggio mostra come la legge della
mutazione travagli anche la società esterna, crogiuolo di forme
in cerca di soluzioni stabili; diventa così meno abnorme la situazione dell’eroe della storia e si fa sentire con maggior frequenza
l’uomo interiore che si cela nell’asino e che ora muove al recupero dell’identità perduta. Per esempio, il “sonno umano” in
. Sull’intermezzo dei briganti vd. Gianotti , sgg.; Esposito ;
Loporcaro ; Riess .
. Vd. Schlam , : «The tale, both in language and incident, prefigures the
account of Lucius’ initiation in Book XI». Di passaggio si può osservare come Psyche
venga aiutata nella ricerca dello sposo scomparso – tratto narrativo che l’assimila
a Iside - dal mondo naturale, mentre le grandi divinità femminili del pantheon
tradizionale o le sono apertamente ostili (ira di Venere come ripresa di tema epico)
o rifiutano ogni soccorso (Giunone e Cerere). Ma nel libro finale le tre dee saranno
menzionate come ipostasi della figura di Iside. Non è forse inutile ricordare che tutte
le storie romanzate di innamorati che cercano di ricongiungersi deriverebbero dalla
vicenda divina di Iside e Osiride secondo Kerényi .
. Su struttura e possibili fonti del cosiddetto ‘Charite-Complex’ vd. Nicolini
.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
un letto di cui l’asino gode alla fine d’una burrascosa giornata
chiarisce in che senso ormai proceda il racconto. Quando Lucio è acquistato da un ortolano di umili condizioni, il padrone
lavora curvo a terra come uno schiavo o come un animale,
mentre l’asino se ne sta in otio, come si addice a uomini liberi .
Anche il cibo riduce il divario: asino e padrone si nutrono allo
stesso modo , ma la povertà del pasto evidenzia piuttosto la
degradazione sociale del contadino che la promozione umana
dell’animale.
Conferma dell’importanza della via alimentare si ha quando
Lucio-asino viene in possesso di due esperti di arte culinaria
(cocus et pistor) al servizio di un signore facoltoso, Thiasus di
Corinto: Lucio ripercorre così la storia dell’incivilimento all’insegna del passaggio dal crudo al cotto. L’assunzione di cibo
umano promuove l’uomo-asino da contubernalis di schiavi a
parasitus, sodalis e conviva del dominus . Al recupero della commensalità s’intreccia un momento educativo che coincide col
ritorno a Corinto: trattato satis humane satisque comiter, Lucioasino affronta un rapido tirocinio che lo reimmette negli spazi
frequentati dall’uomo, come protagonista dello show dell’asino
sapiente e come partner di una matrona un po’ troppo zoofila. Negli intervalli della storia principale l’Io narrante allarga
la scena sulla ’commedia umana’ della società con un’ampia
sezione de spectaculis: le novelle di adulterio del IX libro simili a
tricae di mimi ; nel X libro i drammi della matrigna innamorata
e dell’avvelenatrice che precedono la descrizione della panto. Met. , , : post multum equidem temporis somnum humanum quievi.
. Met. , , : dum fodiens, dum irrigans ceteroque incurvus labori deservit, ego
tantisper otiosus placida quiete recreabar.
. Met. , , : et mihi et ipsi domino cena par ac similis oppido tamen tenuis aderat
...
. Met. , , : humanis cibis saginatus...
. Met. , -. Sugli aspetti alimentari vd. Heath ; Strub ; May .
. Met. , - (novella della giara); - (novella di Filesitero); - (novella del
mugnaio): vd. Hijmans, van der Paardt, Schmidt, Wesseling, Zimmerman , ad
loc.; Mattiacci ; Ruiz Sánchez .
Rileggendo Petronio e Apuleio
mima nel circo di Corinto . Appunto durante lo spettacolo
circense – le tre grandi dee in gara di bellezza sottoposte al
giudizio di Paride – Lucio-asino recupera l’esercizio morale,
attività che separa, secondo la scienza aristotelica, l’uomo libero
da schiavi e animali. Dapprima si impanca ironicamente in qualità di asino-filosofo per condannare la corruzione dei tribunali
a partire dal verdetto comprato di Paride ; poi, non de pudore
iam, sed de salute ipsa sollicitus, decide di sottrarsi all’unione con
l’avvelenatrice condannata ad bestias e compie un atto di libera
scelta che, caricaturale fin che si vuole, lo riconcilia con la
sfera dell’etica. Completate le fasi della rieducazione, il non più
dilazionabile ritorno all’umanità diventa oggetto del libro XI,
ultimo di una serie (+) poco canonica per tradizione, ma
forse modellata sul rituale dell’iniziazione isiaca che prevedeva
dieci giorni di digiuno e si concludeva nell’undecimo giorno .
.. L’epifania di Iside
Fino alla fine de X libro Apuleio ha onorato la promessa formulata nel corso del prologo di varias fabulas conserere e ha tessuto
la ragnatela del racconto mediante intarsi sottili che intrecciano
alla storia principale diramazioni secondarie in cui si rifletto. Met. , -; sgg.; - (Giudizio di Paride). Vd. Fick ; Gianotti ;
Zimmerman , ad loc.; May ; Robert . Sulle fortune storico-letterarie di
Corinto vd. i saggi raccolti da Angeli Bernardini .
. Met. , , e (Quid ergo miramini, vilissima capita, immo forensia pecora,
immo vero togati vulturii, si totis nunc iudices sententias suas pretio nundinantur, cum
rerum exordio inter deos et homines agitatum indicium corruperit gratia et originalem
sententiam magni Iovis consiliis electus iudex rusticanus et opilio lucro libidinis vendiderit
cum totis etiam suae stirpis exitio? ... Sed nequis indignationis meae reprehendat impetum
secum sic reputans: “Ecce nunc patiemur philosophantem nobis asinum?”, rursus, unde
decessi, revertar ad fabulam). Vd. Finkelpearl ; Kirichenko .
. Liberum arbitrium si legge in Met. , , : unica attestazione in tutta l’opera
superstite di Apuleio.
. La relazione tra durata dell’iniziazione e numero dei libri delle Metamorfosi
si deve a Lavagnini, Il significato e il valore del romanzo di Apuleio (), in Lavagnini
, -.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
no segmenti narrativi largamente confrontabili, parzialmente
compatibili oppure apertamente paralleli (come la favola di
Psyche e Cupido) con le vicende del protagonista. Dunque,
finora il lettore ha assistito a una sorta di praeparatio in grado
di disegnare piste progressive nel caos del mondo sensibile e
avviare le molteplici fila narrative verso una soluzione unitaria,
verso un solo filo che riassorbe e riassume, nel finale senza
precedenti della storia, la legge del cambiamento incessante
che affatica la società imperiale romana. Non a caso nell’XI
libro il concerto delle diverse voci narranti e la storiografia
asinina del quotidiano lasciano il posto a una narrazione unica e compatta, concentrata tutta sulla seconda metamorfosi di
Lucio da asino a uomo nella cornice isiaca. Il libro X si chiude
con la fuga di Lucio-asino dal circo di Corinto alla volta della
spiaggia di Cenchreae (sede di un famoso santuario di Iside) ,
dove al calar della sera il corpo dello spossato animale umano
trova il rimedio di un sonno ristoratore (Met. , , : Nam et
ultimam diei metam curriculum solis deflexerat et vespertinae me
quieti traditum dulcis somnus oppresserat).
Bene: l’ultimo libro inizia con una scena notturna in riva
al mare. Ormai solitario e lontano dall’affollato mondo degli
uomini, l’animale umano non può fare a meno di cercare la
soluzione della sua duplice e abnorme natura nel grande teatro
del cosmo. Nel cuore della notte, risvegliato da improvviso
timore (siamo alle soglie del mysterium tremendum del sacro?),
Lucio-asino vede emergere dai flutti il disco splendente della luna piena (Met. , , : Circa primam ferme noctis vigiliam
experrectus pavore subito, video praemicantis lunae candore nimio
completum orbem commodum marinis emergentem fluctibus) . Nel. Nella zona erano concentrati edifici di culto dedicati ad Afrodite, ad Asclepio
e a Iside, come informa un contemporaneo greco di Apuleio, Pausania il Periegeta,
Graeciae descriptio , , Vd. Scranton, Shaw, Ibrahim ; Marangoni ; Rife
; Moyer . Si veda altresì Veyne .
. Il libro finale è oggetto di studi specifici e di appositi commenti: utili sono De
Jong ; Médan ; Berreth ; Marsili ; Witt ; Harrauer ; Marín
Ceballos ; Fredouille ; Griffiths (sintesi in Griffiths ); Merkelbach
Rileggendo Petronio e Apuleio
l’antichità il plenilunio – come è noto – è il tempo del mese
riservato alle feste religiose di maggior rilievo; e tra poco il
lettore sarà informato che nel giorno successivo avrà luogo la
grande cerimonia festiva del ritorno alla navigazione dopo la
pausa invernale del mare clausum. Ma non basta: come ricorda
Apuleio nel De deo Socratis (, -), insieme al sole e agli
astri la luna appartiene alla schiera degli dèi visibili, alle spalle
dei quali stanno le divinità percepibili soltanto con l’intelletto
(gli dèi dell’Olimpo classico); su tutti e tutto, infine, sta il dio
sommo che eccede le possibilità cognitive ed espressive dell’umano intelletto, in quanto non posse penuria sermonis humani
quavis oratione vel modice conprehendi. Dunque, la luna piena,
per un asino che abbia familiarità col De deo Socratis, è icona
festiva e ipostasi di un potere divino superiore che si individua mediante tradizioni non solo sacre e folcloriche ma anche
filosofico-letterarie e preghiere opportunamente indirizzate.
Lucio conosce la maestà e le prerogative della dea visibile, così
come sa che le umane vicende sono rette dalla sua provvidenza
(Met. , , : res ... humanas ipsius regi providentia), che noi sappiamo – come Apuleio ben sapeva e come tra poco sapranno
i lettori d’ogni tempo – essere tutt’uno con la provvidenza di
Iside, in quanto gli Egiziani ritengono che Osiride sia il sole
(helios) e «affermano che Iside altro non è che la luna (seléne)»
(Plutarco, De Iside et Osiride ). Prima della preghiera alla
luna, tuttavia, l’asino umano compie un’abluzione purificatrice: alacer exsurgo meque protinus purificandi studio marino lavacro
trado septiesque summerso fluctibus capite, quod eum numerum praecipue religionibus aptissimum divinus ille Pythagoras prodidit (Met.
, , ). Ecco: si assiste, in via preliminare, a un bagno lustrale,
; Egelhaaf-Gaiser ; Keulen, Egelhaaf-Gaiser ; Keulen et alii .
. Vd. in generale Préaux ; Lunais .
. Se per un momento si lasciano da parte le evidenti implicazioni di natura
egiziana, nel rinviare alla realtà lunare e al correlativo potere di Venere anche altrove
(De deo Socratis, Florida, Apologia) Apuleio non risparmia riprese lucreziane (dall’Inno
a Venere dell’inizio del De rerum natura) ed echi platonici (in part. dal Simposio): vd.
per es. Marangoni -.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
ripetuto sette volte, numero canonico adatto, a giudizio del divino Pitagora (dotato a sua volta di curriculum vitae con parentesi
egiziane), a qualsiasi rito religioso . Si era già sperimentato
un asino filosofo fustigatore d’ogni corruzione giudiziaria; ora
si deve prendere atto che Lucio-asino sa farsi, all’occorrenza,
seguace delle dottrine pitagoriche, assai utili qualora sia necessario compiere azioni valide per ogni rituale o comunque prive
di specifico indirizzo religioso. Insomma: non si sa mai verso quale ipotesi soprannaturale ci si sta orientando e pertanto
non conviene lesinare le immersioni purificatrici di una testa –
ancora per poco – di ciuco .
Operazioni lustrali terminate, ha inizio la preghiera a SeleneLuna, salutata come regina caeli e assimilata, con cadenze lucreziane , a una serie di divinità femminili: Demetra-Cerere (alma
frugum parens originalis), Afrodite-Venere celeste (che ai primordi del mondo ha generato Amore per comporre in unità la
diversità dei sessi e propagare il genere umano attraverso la
prole), Artemide-Diana (protettrice delle nascite), PersefoneProserpina (signora degli Inferi). L’elenco dei nomi delle dee
rimane per ora nell’àmbito del pantheon greco-romano, ma già
fanno capolino elementi destinati a grande rilievo durante la
manifestazione della grande dea egiziana. Prima di formulare
la richiesta di liberazione dal corpo asinino Lucio afferma infatti: quoquo nomine, quoquo ritu, quaqua facie te fas est invocare
(Met. , , ). Nome, rito, aspetto: la formula sembra ribadire il
motivo dell’incertezza del destinatario divino della preghiera
(come si è visto nelle abluzioni polivalenti di stampo pitagorico), ma in realtà prefigura, in chiave di sincretismo religioso,
. Sui rituali legati al numero vd. Griffiths , -.
. Credo anch’io che il libro XI si configuri come riscrittura e ricapitolazione simbolica dei momenti essenziali della storia del protagonista, ma non appare
persuasiva la chiave di lettura che vuole l’ultimo libro come soluzione seria che si
oppone al ‘divertimento’ dei libri I-X. Spunti divertiti e divertenti non mancano
neanche qui. Vd. per es. Harrison a.
. Vd. Zimmerman .
Rileggendo Petronio e Apuleio
la polyonymia , i molteplici rituali e le diverse raffigurazioni
di cui titolare è, appunto, la dea Iside. La preghiera si chiude
con la richiesta di ritorno alla condizione umana, perché allo
stato bestiale è preferibile la morte: tu meis iam nunc extremis aerumnis subsiste, tu fortunam collapsam adfirma, tu saevis exanclatis
casibus pausam pacemque tribue; sit satis laborum, sit satis periculorum. Depelle quadripedis diram faciem , redde me conspectui
meorum, redde me meo Lucio, ac si quod offensum numen inexorabili
me saevitia premit , mori saltem liceat, si non licet vivere (Met. ,
, ).
Rivolta alla Luna, la preghiera viene accolta da Iside , che
ha nel disco lunare una delle sue ipostasi visibili e che possiede
il potere teurgico (la magia bianca) di rimediare alle fallimentari operazioni magiche della notte di Hypata. Lucio fa appena
in tempo a riprendere sonno che gli appare – in sogno, è da
credere – l’immagine della dea che sorge, come in precedenza
la luna, dalle acque (Met. , , : paulatim toto corpore perlucidum
simulacrum excusso pelago ante me constitisse visum est). Visione
davvero meravigliosa che il narratore in prima persona – in
questo caso a parlare è più l’auctor che l’actor – intende presentare ai lettori, a dispetto della povertà del lessico umano e a
patto che il nume stesso dispensi altezza d’eloquio (Met. , , :
eius mirandam speciem ad vos etiam referre conitar, si tamen mihi
disserendi tribuerit facultatem paupertas oris humani vel ipsum nu. Tema già presente nel De mundo apuleiano (dove si legge che il dio
supremo cum sit unus, plurimis nominibus cietur) e tra breve consegnato interamente
alla venerazione di Iside.
. Vd. in Met. , , le parole di Iside: pessimae mihique iam dudum detestabilis
belvae istius corio te protinus exue. L’asino è odioso a Iside in quanto animale di
Seth-Tifone.
. Nella favola di Psyche e Cupido il tema epico dell’ira divina ai danni del
protagonista si è manifestato nell’ostilità un po’ futile (inlicita formonsitas d’una
fanciulla mortale) di Venere verso Psyche; qui, nei casi di Lucio, il tema, finora
sottaciuto, merita tuttavia un’apposita menzione prima della soluzione finale, in
omaggio alla tradizione epica - in particolare odissiaca - che innerva il racconto di
avventure.
. Vd. Boscolo ; Domingues .
. Per dirla con le funzioni narrative suggerite da Winkler .
. Tra Platone e Iside [. . . ]
men eius dapsilem copiam elocutilis facundiae subministraverit). Si
noti: Apuleio adatta al suo testo il topos dell’aporía del narratore,
figlia dell’aporía del poeta epico (da Omero a Virgilio) che ha bisogno del soccorso dell’ispirazione divina (Apollo, le Muse) per
trattare un argomento di natura elevata e ardua. Ma la pressione
della tradizione letteraria non si limita alla ripresa e variazione
di un topos di sicura efficacia, in quanto tale premessa comporta
la sfida di eccellenze descrittive e di impegnativi pezzi di bravura a cui gli oratori si allenavano fin dalla formazione entro i
confini delle scuole di retorica. Ovviamente, il testo apuleiano
non è nuovo a imprese del genere: basti pensare a ekphraseis
famose, come la descrizione del gruppo scultoreo di Diana al
bagno e della metamorfosi di Atteone presente nell’atrio di Byrrhena (Met. , , con allusione alla sorte imminente di Lucio);
la descrizione del palazzo di Cupido e delle splendide fattezze
del dio svelate dalla lucerna di Psyche (Met. , - e ), la scena
e gli attori della pantomima nel circo di Corinto (Met. , -:
giudizio di Paride) . In questo caso è la figura di Iside a farsi
oggetto di descrizione dettagliata, dalla testa ai piedi, come è
il caso di dire: si inizia infatti dai crines uberrimi prolixique e dal
capo sormontato da una corona di fiori; si evidenzia il cerchio
rotondo, emblema della luna, posto sulla fronte con ornamento di vipere e spighe; si passa poi alla tunica di lino, nunc albo
candore lucida, nunc croceo flore lutea, nunc roseo rubore flammida;
poi è la volta dello spettacolo del mantello nero (palla nigerrima)
tramato di ricami di fiori e di stelle, tra riverberi sorprendenti,
falde fluttuanti, frange e fiocchi che incorniciano, sempre sul
manto, l’immagine luminosa della luna. Quanto agli oggetti
tenuti dalle mani divine, la destra porta il sistro (aureum crepitaculum) proprio del culto isiaco, mentre dalla sinistra pende
cymbium aureum, dunque un piccolo contenitore d’oro a forma
di navicella (allusione alla festa del navigium Isidis del giorno
seguente) con tanto di aspide in evidenza; infine i piedi celesti
. Vd. Schlam ; Laird ; van Mal Mader e ; Murgatroyd ;
Slater e ; Paschalis ; Barchiesi .
Rileggendo Petronio e Apuleio
calzano sandali di palma (Met. , ).
I dettagli isiaci, di Iside-Luna, che potrebbero derivare da
un’immagine cultuale in effetti nota e riprodotta , vengono
discussi dalla critica moderna e per lo più ritenuti prova di serio
interessamento da parte dell’autore per la religione egiziana,
anche se tra i contributi più recenti si fa strada un’interpretazione diversa che sottolinea, nell’XI libro, la presenza di spunti
a effetto, divertenti o addirittura satirici, e di calibrate soluzioni
retoriche nell’ekphrasis stessa della figura divina qui compendiata . A dire il vero, il problema della congruità espressiva
non dovrebbe riguardare tanto il rapporto tra l’autore e il credo
egizio (professione di fede personale, storia di una conversione), quanto la coerenza della narrazione e la ‘morale’ di cui si
fa eventualmente portatrice. Sul secondo punto si cercherà di
dire qualcosa più avanti; del primo non c’è modo di dubitare,
in quanto la scrittura apuleiana è sorvegliata e coerente nell’ultimo come nei dieci libri precedenti. Se torniamo al testo,
possiamo prendere atto che la visione si completa con l’intervento della dea. L’inizio è sorprendente e teologicamente poco
convenzionale (Met. , , : En adsum tuis commota, Luci, precibus), se ricordiamo come gli dèi dell’Olimpo classico o lo stesso
dio sommo del medioplatonico Apuleio sono lontani ed esenti
da ogni contatto col mondo di quaggiù e da ogni partecipazione
commossa alle umane (o, peggio ancora, asinine) sofferenze.
Se il De deo Socratis apuleiano insegna, sì, che il dio supremo è
libero da ogni forma di passionalità, insegna altresì che esistono
i démoni, divinae mediae potestates (e tra queste Osiride) che
assicurano mediazione tra i due poli, altrimenti incomunicabili,
dell’universo ; e si è visto come il medioplatonico Plutarco
. Le ekphraseis per lo più descrivono un’opera d’arte o un’effigie documentata;
e non è impossibile pensare a una statua di culto della dea, anche alla luce delle
immagini giunte fino a noi: vd. per es. l’iconografia raccolta in Arslan . Per
eventuali influenze ovidiane vd. Nicolini .
. Oltre a Harrison a, vd. per es. Libby .
. Apul. De deo Socratis -, : debet deus nullam perpeti vel odii vel amoris
temporalem perfunctionem et idcirco nec indignatione nec misericordia contingi, nullo
. Tra Platone e Iside [. . . ]
assegni a Iside e a Osiride la natura originaria di démoni buoni (
δαίμονες ἀγαθοί). Alla luce delle forze demoniche che agiscono tra cielo e terra, Iside può fare la propria comparsa quaggiù,
almeno in sogno, e intervenire nelle vicende umane; allora
l’inizio del discorso della dea suona meno sorprendente e lo
stesso si può dire della formula iterata in Met. , , : Adsum
tuos miserata casus, adsum favens et propitia . Tra le due formule
viene scandita l’aretalogia di Iside , mentre la successiva polyonymia sacra assomma e riassume nella figura della dea tutte le
divinità femminili del pantheon tradizionale e vale a celebrare
l’unità del divino che governa il cosmo . Apre per prima la serie delle prerogative divine scandite da cola a cadenza innodica
(e sempre un po’ lucreziana): Iside si presenta come rerum naturae parens, / elementorum omnium domina, / saeculorum progenies
initialis, / summa numinum, / regina manium, / prima caelitum, /
deorum dearumque facies uniformis, / quae caeli luminosa culmina,
/ maris salubria flamina, / inferum deplorata silentia / nutibus meis
dispenso (Met. , , ). Cerniera con quanto segue è l’affermazione che Iside è nume unico venerato ovunque in multiformi
aspetti, con riti di vario tipo, sotto nomi diversi (cuius numen
unicum multiformi specie, ritu vario, nomine multiiugo totus veneratur orbis): i Frigi la venerano come Madre degli dèi (Cibele), gli
angore contrahi, nulla alacritate gestire, sed ab omnibus animi passionibus liber nec dolere
umquam nec aliquando laetari nec aliquid repentinum velle vel nolle. Sed et haec cuncta
et id genus cetera daemonum mediocritati rite congruunt. Sunt enim inter nos ac deos ut
loco regionis ita ingenio mentis intersiti, habentes communem cum superis inmortalitatem,
cum inferis passionem. Nam proinde ut nos pati possunt omnia animorum placamenta vel
incitamenta, ut et ira incitentur et misericordia flectantur et donis invitentur et precibus
leniantur et contumeliis exasperentur et honoribus mulceantur aliisque omnibus ad similem
nobis modum varient.
. Vd. a proposito dell’intervento della dea Fick ; Méthy .
. Sulla nozione di aretalogia e i principali documenti isiaci vd. Reitzenstein
, sgg.; Kiefer ; Müller ; Bergman ; Longo ; Mora II, ,
-. Sui rapporti con la narrativa vd. Weinreich ; Merkelbach ; Beck .
. Vd. Griffiths , sgg., in particolare sulla compresenza di sincretismo
politeistico e di orientamento monoteistico. Vd. altresì Versnel . Per le divinità
egizie dai molti nomi vd. Bricault .
Rileggendo Petronio e Apuleio
abitanti dell’Attica come Minerva , quelli di Cipro come Venere, i Cretesi come Diana Dictinna, i Siculi come Proserpina, gli
abitanti di Eleusi come Cerere; altri come Giunone o Bellona o
Ecate oppure come Nemesi; ma sono gli Etiopi e gli Egiziani a
celebrare la dea con le cerimonie del suo culto e a chiamarla vero nomine Isidem reginam (Met. , , ; clausola in responsione al
regina caeli dell’inizio della preghiera alla Luna) . Di passaggio
si può osservare come, in modo speculare alla concentrazione
sulla figura di Iside dell’intera galleria delle divinità femminili
del mondo classico, più di un tratto dell’immaginario sacro
relativo a Iside possa confluire su divinità olimpiche. Stando a
Met. , , -, per esempio, nella preghiera di Psyche a Giunone
la dea è invocata con epiclèsi diverse (Zygia, Lucina, Sospita) in
base alle funzioni e ai santuari di pertinenza. Più marcato è il
sincretismo di derivazione isiaca nell’invocazione di Odisseo ad
Atena che si legge in un papiro greco d’Egitto (III sec. d.C.): «O
baluardo glorioso, grande tra gli dèi, / o nata dalla testa, Pallade,
germoglio del cielo, / dea portatrice d’armi, dea dallo sguardo
funesto, dea che ha ucciso la Gorgone, / dea dallo scudo di
luce, dal petto col segno del serpente, dalla destra armata di
lancia, / dea della bella armatura, dal maschio sguardo e dai
malleoli cinti di calzari, / dea senza sposo – ché hai dimora
in luogo senza nozze – / vergine nata da parto virginale, / tu
porti, onnipotente, i raggi di Titano / nello splendore del tuo
capo, il disco della luna / nelle tue gote divine e il mondo nelle
tue braccia! / Tu sei l’universo; grazie a te io vedo luce di vita.
/ Con te vicino saprei sfuggire anche all’ira degli dèi» . Qui la
molteplicità degli epiteti non solo compendia i miti, e i relativi
. I nomi delle divinità menzionati da Iside sono in funzione di un pubblico
romano.
. Vd. Merkelbach .
. Vd. Gianotti . Il testo del papiro (PKöln VI ) si può utilmente accostare
al mosaico proveniente da Tuscolo, ora nella Sala a Croce Greca dei Musei Vaticani,
datato al III-IV sec. d.C. e raffigurante Minerva e le fasi della luna (vd. Boitani ,
figura ; passi apuleiani che qui interessano compaiono a p. e in n. di p. ).
Situazione analoga in Lucian. De dea Syria , dove Atargatis è assimilata a Hera,
Atena, Afrodite, Selene, Rea, Artemide, Nemesi.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
spunti narrativi, della dea, ma anche ne amplia le prerogative e
offre di Atena l’immagine di una divinità universale con tratti
di teologia solare e di nume cosmocratore, alla stessa stregua –
si direbbe – di Iside della religione egiziana e della descrizione
apuleiana.
Si può anticipare a questo punto che le litanie di Iside troveranno contrappunto nella preghiera rivolta alla dea da Lucio
ormai iniziato ai sacri misteri (Met. , , -: Tu quidem , sancta
et humani generis sospitatrix perpetua etc.). Ma se restiamo al termine dell’autopresentazione, sentiamo Iside promettere tempestiva liberazione: annuncia infatti che iam tibi providentia mea
inlucescit dies salutaris. La rinascita di Lucio-uomo avverrà all’alba del nuovo giorno, in coincidenza con la festa del Navigium
Isidis . Vengono precisate le modalità della retro-metamorfosi
entro la cornice della cerimonia: meo monitu sacerdos in ipso
procinctu pompae roseam manu dextera sistro cohaerentem gestabit coronam. Incunctanter ergo dimotis turbulis alacer continuare
pompam mea volentia fretus et de proximo clementer velut manum
sacerdotis osculabundus rosis decerptis pessimae mihique iam dudum detestabilis belvae istius corio te protinus exue. Ma il ritorno
all’umanità non si limita al ripristino della situazione di partenza: si prospetta infatti la necessità dell’iniziazione religiosa
come ‘prezzo’ del riscatto e condizione di futura felicità. Il
recupero dell’umanità e il nuovo status di fedele isiaco permetteranno a Lucio di vivere beatus e gloriosus sotto la tutela di
Iside, col risultato di consegnare al contesto religioso egiziano
una prospettiva derivante dalla riflessione platonica sui possibili
margini d’integrazione tra vita attiva e vita contemplativa (Met.
, -).
Prima di continuare, non è forse inutile una breve parentesi sulla tradizione interpretativa di sogni e apparizioni delle
divinità dell’Egitto, considerato che lungo tutto l’XI libro i so. Informazioni, problemi di datazione e bibliogr. sulla festa in Merkelbach
, sgg.; Malaise , sgg.; Dunand , sgg.; Griffiths , sgg. In
generale vd. Bricault, Versluys e ; Bricault .
Rileggendo Petronio e Apuleio
gni si moltiplicano e Iside prima poi Osiride comunicano col
mondo degli uomini attraverso sogni e visioni notturne . Già
secondo i Pitagorici – a dar retta al grammatico Alessandro
Poliistore (I sec. a.C.) – «l’aria intera è piena di anime, venerate
come démoni ed eroi; sono loro a inviare sogni e presagi agli
uomini» . Come si è già avuta occasione di dire, la demonologia medioplatonica riprende e sviluppa il tema delle forze
mediatrici dell’universo. Ora si può aggiungere che anche sogni e visioni fanno parte del corredo di comunicazione di cui
sono responsabili le forze demoniche e di cui sono destinatari
gli esseri umani. Una scorsa agli Onirocritica di Artemidoro di
Daldi, sorta di cronaca notturna della società imperiale del II
secolo (l’altra metà della storia, dunque), permette di osservare
come anche per l’interprete laico il sogno di divinità egizie,
ormai integrate tra gli dèi del pantheon greco-romano (, ),
rivesta funzione liberatrice, in quanto «Serapide, Iside, Anubi
e Arpocrate, in persona o le loro statue, i loro misteri e ogni
mito che riguarda loro e gli dèi venerati negli stessi templi e
sugli stessi altari, annunciano sconvolgimenti, pericoli, minacce
e difficoltà, da cui traggono poi in salvo contro ogni attesa e
speranza. Infatti si è sempre ritenuto che queste divinità fossero
i salvatori di chi ha toccato il fondo e si trova in situazione di
estremo pericolo» (, ) . In buona sostanza, Apuleio conferma i dati dell’oniromantica alla luce dei poteri cosmici attribuiti
a Iside da inni e aretalogie: si conferisce così nuova dimensione
alla convenzione del deus ex machina che, rispetto alle rigide
applicazioni del romanzo greco, trova giustificazione in un
patrimonio di credenze diffuso nella società. In merito Apuleio
è ben documentato, così come si rivela attento esploratore della
. Vd. Annequin ; Gollnick ; Hunik ; Carlisle ; Frangoulidis
. Sui sogni dell’XI libro discussione e riferimenti bibliografici si leggono in
Griffiths , e .
. Alex. Polyhist fr. a DK. Vd. Guidorizzi .
. Sulla funzione terapeutica e liberatrice di Iside nell’attività onirica cfr. Diod.
, e la tradizione egiziana discussa da Sauneron , -. Vd. anche Barrígon
Fuentes .
. Tra Platone e Iside [. . . ]
realtà quotidiana della vita provinciale: tale atteggiamento non
implica necessariamente un’esperienza personale di fede, ma
segnala la preoccupazione di adeguare il racconto dell’uomoasino, col suo intreccio di mirabilia e paradigmi morali, ai livelli
delle esperienze religiose e agli orizzonti culturali dei possibili
destinatari .
.. Al servizio di Iside
Ora si può proseguire. Nello spazio intercalato tra la rivelazione notturna di Iside e la retro-metamorfosi di Lucio al fine di
accrescere l’attesa del beneficium divino (segno di abilità retorica
più che manifestazione di fede), il testo è occupato da triplice serie ecfrastica, la prima sul rinnovamento primaverile del
paesaggio nel giorno sacro, il marzo (Met. , ) , la seconda
sui preparativi (Met. , ) e infine la terza sullo svolgimento
della processione del Navigium Isidis (Met. , -). Nel primo caso, antifrastico a Met. , (all’alba del primo giorno in
Tessaglia, terra magica, a Lucio tutto appare in preda a metamorfosi: pietre, uccelli, alberi, fonti, costruzioni e animali
sembrano assumere nuova vita per incantesimo), si delinea
una topographia dal trasparente simbolismo: il sorgere del sole
nel giorno festivo trasfigura il paesaggio (Met. , , : tantaque
hilaritudine praeter peculiarem meam gestire mihi cuncta videbantur,
ut pecua cuiusce modi et totas domos et ipsum diem serena facie
. Turcan , discutendo Merkelbach , sostiene che i materiali religiosi
dei romanzi antichi riflettono gli interessi più del pubblico che degli autori. Il dio di
Apuleio è il dio ineffabile dei platonici di cui parla negli scritti filosofici; l’interesse
per l’isismo va inteso alla luce dei margini di conciliabilità con le dottrine platoniche,
ma non sembra vera conversio, come invece crede la maggioranza della critica. In
merito si condivide lo scetticismo di Fredouille , sgg., e di Solmsen , -.
Anche Gagliardi , -, esclude un fine mistico per le Metamorfosi.
. Sulla funzione del topos del locus amoenus, dalla formulazione di E. Curtius
in poi, vd. A. Pennacini, Amore e canto nel locus amoenus (), in Pennacini ;
Mattiacci ; De Biasi ; Paschalis, Frangoulidis ; Puccini Delbey ;
König . Ampio materiale in Schönbeck .
Rileggendo Petronio e Apuleio
gaudere sentirem) e anticipa la soluzione positiva della vicenda. Attingendo da una ricca tradizione poetica (in particolare,
bucolica), Apuleio accumula sulla spiaggia di Cenchreae una
serie di ingredienti topici (luce del sole che vince le tenebre e la
brina notturna, canto degli uccelli, dolci soffi di vento e delicato
stormire di fronde novelle, calma delle acque ...). Si assiste così
a una singolare variazione del locus amoenus, sottratto all’originaria dimensione pastorale e finalizzato alla nuova situazione,
in piena sintonia tra bellezza del paesaggio e cerimonia sacra,
tra serenità dell’atmosfera e rinascita del protagonista.
Problema a sé è costituito dalla seconda ekphrasis, dalla descrizione del gruppo mascherato che precede il corteo e funge
da preludio alla cerimonia. «Ecco avanzare lentamente il preludio della solenne processione: un gruppo mascherato in modo
bellissimo, secondo il gusto e l’intenzione di ciascuno dei suoi
membri. Il primo, con un balteo a tracolla rappresentava un
soldato; il successivo, quello con la corta clamide, aveva assunto l’aspetto di un cacciatore grazie ai calzari e agli spiedi che
portava; un altro con sandali dorati, vestito d’una veste di seta,
carico di ninnoli preziosi e coperto da una parrucca, avanzava
con languidi passi, facendo la parte di una donna. Poco lontano,
un altro ancora si distingueva per schinieri, scudo, elmo e spada
tanto da sembrare appena uscito da una scuola di gladiatori. Né
mancava quello che rappresentava un magistrato con i fasci e
la porpora, né chi si era travestito da filosofo col mantelluccio,
il bastone, i sandali di legno e una barba caprina; altri due poi,
muniti di canne di diversa misura, rappresentavano l’uno un
cacciatore con le sue panie, il secondo un pescatore con i suoi
ami. Io vidi anche un’orsa addomesticata che addobbata come
una matrona veniva portata in portantina, e una scimmia con un
berretto in capo e con addosso una veste gialla di foggia frigia
che a guisa del pastore Ganimede teneva in mano una coppa
d’oro; e vidi ancora un asino a cui avevano appiccicato delle ali
sulla groppa e che seguiva un vecchio spossato: avresti detto
l’uno Bellerofonte e l’altro Pegaso, ma avresti riso di entrambi»
(Met. , ).
. Tra Platone e Iside [. . . ]
La scena degli anteludia, spettacolo nello spettacolo, evidenzia in forma mimetica come nel quadro dell’isismo, sotto il
patrocinio di una divinità dai molti nomi, dai multiformi aspetti
e dalle molteplici funzioni, trovino ospitalità i diversi tipi umani
e le diverse categorie sociali, dal gladiatore al magistrato, dal
soldato al cacciatore e al pescatore, dalla donna al filosofo da
strada. Si tratta di figure di derivazione letteraria che sembrano
garantire l’universalità del culto isiaco: basti pensare alle diverse forme di vita che, stando a Properzio , , può assumere
Vertumnus, il dio del vertere e della metamorfosi, capace di
racchiudere in sé tutte le esistenze che compongono la società
(uomo, fanciulla, agricoltore, soldato, mietitore, Bacco, Febo,
cacciatore, Fauno come uccellatore, auriga, acrobata, pescatore,
mercante, pastore, ortolano) . Insomma: come il Vertumnus
di Properzio rappresenta l’intera comunità romana, così gli
anteludia apuleiani sintetizzano la variegata umanità della dimensione isiaca. In particolare, la donna (l’uomo mascherato
da donna di rango) ottiene cittadinanza nella rassegna di Lebensbilder, di solito maschili, in forza dei ruoli femminili presenti
nel culto di Iside ; il filosofo, per lo più contrapposto agli altri
generi di esistenza nelle meditazioni sulla forma migliore di
vita, qui si unisce ai seguaci della religione egiziana, espressioni
di tutte le categorie sociali, come confermano i gruppi degli
iniziati che fanno parte della processione vera e propria: tunc
influunt turbae sacris divinis initiatae, viri feminaeque omnis dignitatis et omnis aetatis (Met. , , ). Infine, i tre animali, icone di
miti astrali (Ganimede, Pegaso, Calisto), alludono in registro
comico ai processi metamorfici di ogni itinerario che muova
verso il divino .
. Vd. Boldrer ; Bettini .
. Sul tema dei Lebensbilder vd. almeno Grilli ; Joly ; Vickers . Sulla
presenza femminile nel culto isiaco vd. Heyob .
. Ripropongo in parte considerazioni prospettate in altra occasione (Gianotti
, -); in generale si rinvia ai saggi raccolti da Gasperini, Veymiers . Per
Harrison il gruppo mascherato costituirebbe una ricapitolazione simbolica
dei momenti cruciali dell’intera trama e confermerebbe «the narrative continuity
Rileggendo Petronio e Apuleio
Tra questi divertimenti popolari (inter has oblectationes ludicras popularium) prende finalmente il via la grande processione
isiaca, oggetto di descrizione dettagliata – la terza ekphrasis – che
si snoda per tre capitoli (Met. , -) e aumenta la sustentatio
ritardando il momento del ritorno all’umanità del protagonista. Sotto gli occhi del lettore, da sempre ‘spettatore’ avvezzo
alle scene di massa care ad Apuleio, sfilano schiere di donne
in candide vesti, portatori di lumi, flautisti e cori di giovanetti,
iniziati e sacerdoti, immagini divine di Anubi, Iside e Osiride
col corredo dei rispettivi oggetti sacri . Al termine della descrizione (poco importa se frutto di esperienza diretta o accumulo
di particolari combinati a tavolino), il racconto ritorna nell’alveo
della storia di Lucio e presenta il tanto atteso incontro tra il quadrupede e l’antidoto delle rose. Il lido di Cenchreae affollato di
devoti di Iside è sede non meno frequentata del circo di Corinto
(dove avviene la rinascita del protagonista della versione greca,
con qualche rischio per il personaggio tornato alla condizione
umana), ma è cornice certo più idonea per il beneficium della
provvidenza divina e il miraculum della fine dello stato bestiale,
nella prospettiva d’una nuova esistenza sotto la tutela salvifica e
beatificante della dea. Ecco: l’asino umano sembra abbandonare definitivamente moti d’animale e si accosta placido et prorsus
humano gradu a uno dei sacerdoti che, avvertito in sogno da
Iside, offre una corona di rose, simbolo di vittoria sulla Fortuna avversa (Met. , , -). Se i passi dell’asino sono ormai
umani, non può tuttavia mancare una divertita e divertente
concessione estrema ai trascorsi animaleschi, giocata un attimo
prima del ritorno nel mondo degli uomini. Davanti alle rose,
infatti, l’ansia di salvezza fa sì che per l’ultima volta sull’uomo
interiore abbia la meglio l’animale, che finisce per divorare con
avidità l’intera corona di fiori: Tunc ego trepidans, adsiduo cursu
micanti corde, coronam, quae rosis amoenis intexta fulgurabat, avido
between Books - and Book ». Per una lettura unitaria vd. Wlosok . Alla
schiera dei critici antiseparatisti appartiene, per es., Frangoulidis .
. Sulle singole componenti della processione è da vedere Griffiths , -.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
ore susceptam cupidus promissi devoravi (Met. , , ). Sarebbe
bastato molto meno per ottenere l’effetto desiderato, se si pensa
alla raccomandazione di Fotide in Met. , , (rosis tantum
demorsicatis exibis asinum statimque in meum Lucium postliminio
redibis) e alle parole di Iside in Met. , , (clementer velut manum sacerdotis osculabundus rosis decerptis ... belvae istius corio te
protinus exue).
Si noti: mentre Fotide, esperta di piccole magie fallimentari,
ha promesso soltanto il ripristino della condizione precedente,
vale a dire il ritorno al «mio Lucio di prima», il potere teurgico
di Iside reclama la consacrazione della nuova esistenza di Lucio: Plane memineris et penita mente conditum semper tenebis mihi
reliqua vitae tuae curricula adusque terminos ultimi spiritus vadata.
Nec iniurium, cuius beneficio redieris ad homines, ei totum debere,
quod vives (Met. , , ). Tale obbligo, connesso al cambiamento operato dalla retro-metamorfosi , è ribadito dal discorso
che il sacerdote isiaco rivolge a Lucio, dopo che il protagonista ha recuperato la figura umana coram populo e senza rischio
alcuno (come Iside ha annunciato in Met. , , ): da nomen
sanctae huic militiae, cuius non olim sacramento etiam rogaberis,
teque iam nunc obsequio religionis nostrae dedica et ministerii iugum
subi voluntarium. Nam cum coeperis deae servire, tunc magis senties
fructum tuae libertatis (Met. , , ). Sono queste le battute finali di un discorso rivelatore cui spetta il compito di spiegare
il senso dell’intera vicenda e di portarne alla luce il valore paradigmatico. Certo, non si tratta del discorso sacro di Pitagora
che occupa quasi tutto l’ultimo libro delle Metamorfosi ovidiane
e insegna che omnia mutantur e che l’anima, pur restando sempre la stessa, migra in varias figuras; certo, non si tratta di un
discorso profetico di dimensione cosmica che predica la legge
della trasformazione continua di esseri viventi e natura fino al
traguardo finale del regno di Augusto in cui si placa la vicenda
generale delle forme e si realizza l’ordine definitivo del mondo.
. Parallela e specularmente opposta alla prima metamorfosi nelle scansioni
narrative: cfr. Met. , , - con Met. , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
Tuttavia, nelle parole del sacerdote isiaco, la vicenda privata di
Lucio acquista valenza esemplare e i processi metamorfici si
risolvono in esito positivo a contatto con le forze divine che
governano il cosmo. Intanto – dice il sacerdote – la libertà riconquistata si fa tutt’uno con il servitium alla dea, garanzia
di beatitudo per chi si lasci alle spalle il disordine del mondo
sensibile, sottoposto – quello sì – a incessante mutazione. Un
mondo dalle apparenze ingannevoli, dove non valgono né natales né dignitas né doctrina di giovani e sconsiderati scholastici,
dove ci si abbassa a serviles voluptates (gli amori con la servetta
Fotide) e a dannose curiosità con risultati disastrosi ; dove si
vive schiavi, tra mille pericoli, in balía del caso (Met. , , e ):
un mondo, tuttavia, che ammette transiti alla sfera divina e che
non è irriducibile ai disegni provvidenziali. Infatti, in mezzo al
disordine del mondo di quaggiù, Iside agisce come portatrice di
quiete e salvezza: chi viene chiamato al suo servitium, non conosce casus infestus; dal dominio della Fortuna cieca passa sotto
la protezione della Fortuna veggente (Isis-Tyche) e al cospetto
degli inreligiosi dà testimonianza del potere provvidenziale della
dea (Met. , , -) . Le rose di Iside, dunque, cancellano la
dira facies del somaro, riconsegnano a Lucio le fattezze umane
e segnano l’inizio di una nuova vita. Tornato al mondo degli
uomini – nudo come nel momento della nascita, ma subito ricoperto con sollecitudine dalla tunica di un devoto perbenista –
. Sul tema della libertà perduta e riconquistata che attraversa tutti i libri dell’opera apuleiana si insiste nei due primi capitoli di Gianotti . Mette conto
segnalare che Wittmann , -, a proposito di dipendenza e del lessico servile
che designa il fedele isiaco, parla di stridente contraddizione tra i valori romani e
religione di Iside: analisi pesantemente inficiata dal clima ideologico della Germania
tra le due guerre e pronta a denunciare l’inquinamento dei valori occidentali da
parte delle religioni orientali (con la loro morale da schiavi).
. Cfr. Met. , , (nec tibi natales ac ne dignitas quidem, uel ipsa, qua flores,
usquam doctrina profuit, sed lubrico uirentis aetatulae ad serviles delapsus curiositatis
inprosperae sinistrum praemium reportasti) con Met. , , (in servilem modum addictum
atque mancipatum); vd. Sandy ; Penwill .
. Per questi aspetti e per la nozione di provvidenza si possono vedere
Domingues ; Graverini ; Montiglio , -.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
il protagonista prende parte alla processione, assiste compunto
al varo del Navigium Isidis e all’intera cerimonia, che viene descritta – manco a dirlo – con dovizia di dettagli e che si completa
con tanto di voti augurali nei confronti dell’imperatore e del
popolo romano a suggello del ritorno alla navigazione dopo
l’interruzione invernale (Met. , -). Ma prima delle formule
ufficiali rivolte alla divinità titolare dell’ordine cosmico e all’autorità politica titolare dell’ordine della società imperiale, Lucio
è oggetto di un vero e proprio makarismos da parte dei fedeli
presenti: Felix hercule et ter beatus , qui vitae scilicet praecedentis
innocentia fideque meruerit tam praeclarum de caelo patrocinium
ut renatus quodam modo statim sacrorum obsequio desponderetur
(Met. , , ) . Si tratta di una prima forma di accoglienza tra i
devoti di Iside, ma i lettori che conoscono la storia non possono
fare a meno di avvertire una punta di malizioso divertimento
d’autore sulla presunta innocenza e sui meriti presunti della
vita pregressa di un personaggio renatus – termine destinato a
fortuna nel mitraismo e nel cristianesimo – a nuova esistenza
al termine di esperienze asinine.
La rinascita di Lucio-uomo, a ben vedere, non rappresenta
netta cesura col passato, in quanto c’è tempo per un sommario
ricordo dei trascorsi (Met. , , : pristinos casus meos recordabar), per l’incontro con parenti e amici (Met. , , ), per il
recupero del servo e del candido cavallo abbandonati in quel di
Hypata (Met. , , -), infine per un rapidissimo ritorno alla
casa paterna di Corinto dopo la prima iniziazione alla vigilia del
. L’effetto moltiplicatore della presenza numerica è frequente nelle beatitidini
(per es. terque quaterque beati dice, in Aen. , , Enea dei Troiani morti a Troia), ma
qui non si può escludere un’allusione anticipatrice alle future tre iniziazioni di Lucio;
cfr. infatti le parole di Osiride in Met. , , -: Nihil est – inquit - quod numerosa
serie religionis, quasi quicquam sit prius omissum terreare. Quin adsidua ista numinum
dignatione laetus capesse gaudium et potius exsulta ter futurus, quod alii vel semel vix
conceditur, teque de isto numero merito praesume semper beatum. [...] Quid felix itaque ac
faustum salutareque sit, animo gaudiali rursum sacris initiare deis magnis auctoribus.
. Di qui in avanti può soccorrere Blanton IV .
. Cfr. anche Met. , , (cum numen deae soleat ... sua providentia quodam modo
renatos ad novae reponere rursus salutis curricula). Vd. per es. Chirassi Colombo .
Rileggendo Petronio e Apuleio
viaggio alla volta di Roma (Met. , , ). Ma è soprattutto sul
futuro del personaggio, sull’itinerario che porta a compimento quanto richiesto da Iside, che ora il racconto si concentra,
segnando tappe e progressi di Lucio nell’itinerario dell’iniziazione isiaca. La successione cronologica è giocata su costante
tensione tra impatientia del giovane e sapienti dilazioni da parte
del sommo sacerdote, che porta un nome non casuale, Mithras,
legato a quello di Lucio da comune sorte astrale (Met. , , ), a
stabilire – si sarebbe tentati di dire – rapporti e connessioni con
altri culti solari in forza di aspetti confrontabili in tema di ascese
raggianti di luce . Tale tensione viene regolata da una sorta di
regia onirica (Met. , , : nec fuit nox una vel quies aliqua visu
deae monituque ieiuna) che vede la teurgia demonica di Iside
operare direttamente nel mondo degli uomini, secondo tempi
certi e opportuni per la correttezza della procedura iniziatica.
Tra l’altro, la dilazione permette di risolvere un problema non
secondario che concerne il reperimento delle risorse finanziarie (oblationes familiari) indispensabili per superare la fase di
apprendistato e assicurare l’ammissione tra gli effettivi iniziati
al culto isiaco. Una visione notturna della dea – manco a dirlo
– annuncia che il gran giorno è finalmente giunto e indica,
con precisione contabile, la somma necessaria per la cerimonia (Met. , , -: noctis obscurae non obscuris imperiis evidenter
monuit advenisse diem mihi semper optabilem, quo me maximi voti
compotiret, quantoque sumptu deberem procurare supplicamentis).
Allora anche Mithras, a sua volta sull’avviso per via onirica,
può salutare Lucio con le parole della seconda, non maliziosa,
beatitudine: O – inquit – Luci, te felicem, te beatum, quem propitia
voluntate numen augustum tantopere dignatur ... Adest tibi dies
votis adsiduis exoptatus, quo deae multinominis divinis imperiis per
istas meas manus piissimis sacrorum arcanis insinueris (Met. , ,
-).
. Vd. Beck . Che si tratti d’intenzionale spunto sincretistico col mitraismo
suggerisce Griffiths , sg. Non a caso anche il mitraismo ha conosciuto, in
ambito greco, forme di assimilazione alle dottrine platoniche: vd. per es. Turcan
.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
L’iniziazione, connubio di voluntaria mors e precaria salus
(Met. , , ), può dunque aver luogo. Trascorsi i prescritti
dieci giorni di astinenza e digiuno, sorge l’undecimo giorno
divino destinatus vadimonio: il protagonista viene ammesso nei
penetrali del tempio di Cenchrae e iniziato ai misteri del culto isiaco. Il momento, ovviamente, è solenne e i lettori – di
ieri e di oggi – attendono legittimamente di conoscere i dettagli dell’operazione religiosa, avvezzi come sono a descrizioni
minuziose e particolareggiate. Responsabile primo di aspettative simili in quanto generate dalle scelte della comunicazione
adottate dal racconto, Apuleio gioca con il proprio pubblico,
sollecitando egli stesso una curiosità specifica cui finisce per
dare risposte generiche. In proposito il testo non lascia dubbi. Dapprima la persona loquens si rivolge al lector studiosus, ne
vellica il desiderio di conoscenza, ma contestualmente ribadisce l’impegno di segretezza e il carattere di indicibilità che
riguardano questioni di natura misterica (Met. , , : Quaeras
forsitan satis anxie, studiose lector, quid deinde dictum, quid factum;
dicerem, si dicere liceret, cognosceres, si liceret audire. Sed parem
noxam contraherent et aures et lingua, <ista impiae loquacitatis> ,
illae temerariae curiositatis). Tuttavia, si ammette che il lettore
possa meritare qualche concessione e si riassume l’esperienza
mistica mediante formule sommarie che accomunano i misteri
di Iside a qualsiasi altra cerimonia iniziatica menzionata dalle
fonti antiche (Met. , , : Nec te tamen desiderio forsitan religioso suspensum angore diutino cruciabo. Igitur audi, sed crede, quae
vera sunt. Accessi confinium mortis et calcato Proserpinae limine per
omnia vectus elementa remeavi, nocte media vidi solem candido coruscantem lumine, deos inferos et deos superos accessi coram et adoravi
de proximo) . Ecco: viaggio cosmico attraverso la totalità degli
. L’integrazione si deve all’olandese Johannes van der Vliet (-) ed è
accolta nell’ed. di D.S. Robertson; invece Maaike Zimmerman accoglie la proposta
di Lara Nicolini (in «Philologus» , , -) e stampa <illicitae intemperantiae
ista>.
. Vd. per es. Griffiths , sgg.; Bergman ; Merkelbach ; Takács
; Keulen . Anche chi è propenso a credere vere le affermazioni del testo,
Rileggendo Petronio e Apuleio
elementi, visione complessiva e simultanea di luce e tenebra
e di morte e vita, adorazione diretta di dèi inferi e superi: certo, è anche possibile sostenere che un’esperienza del genere
rappresenti una via alla perfezione , ma sarebbe difficile – a
ben vedere – accontentarsi di qualcosa di meno dopo una così
lunga preparazione dell’evento religioso; e sarebbe altrettanto
difficile sostenere che qui faccia capolino l’effettiva rivelazione
di indicibili segreti, la manifestazione pubblica e documentata
dei riti occulti dell’isismo. In effetti, la rivelazione è di altro tipo
e riguarda il paradossale gioco retorico tra praeteritio e reticentia, tra dire e non dire, almeno a giudicare dal modo in cui
si chiude l’apostrofe al lector invano studiosus: Ecce tibi rettuli,
quae, quamvis audita, ignores tamen necesse est. ergo quod solum
potest sine piaculo ad profanorum intellegentias enuntiari, referam
(Met. , , ) . Così, esercitato il debito controllo su quanto è
possibile divulgare senza commettere sacrilegio, si può riferire
quanto è di pubblico dominio nel triduo successivo alla notte
dei veri misteri (rimedio ai falsi misteri della notte di Hypata),
vale a dire la dettagliata ostensione del mystes circondato dai
sacri paramenti e dagli atti di culto richiesti dal nuovo statuto
religioso assunto dal personaggio (Met. , ).
.. Da Iside a Osiride, da Corinto (e da Madauro) a Roma
Dire, non dire, non poter dire: che gli snodi principali della
narrazione, più che nella documentazione religiosa, siano da
ravvisare nell’intreccio sapiente e iterato di figure di parole e di
riprese letterarie, mostra la preghiera rivolta da Lucio a Iside
non manca di sottolineare generiche affinità con altri riti misterici.
. Vd. per es. Bierl .
. Cautela di sapore virgiliano: cfr. Aen. , -, prima dell’accesso di Enea
agli Inferi (Di, quibus imperium est animarum, umbraeque silentes / et Chaos et Phlegethon,
loca nocte tacentia late, / sit mihi fas audita loqui, sit numine vestro / pandere res alta
terra et caligine mersas).
. Tra Platone e Iside [. . . ]
alla vigilia del breve e non definitivo ritorno a casa . Il testo
merita attenzione, organizzato com’è secondo lo schema della
Priamel-Formula scandita da anafora di pronomi e aggettivi
di seconda persona singolare in poliptoto (Tu sancta et humani generis sospitatrix perpetua / ne momentum quidem tenue tuis
transcurrit beneficiis otiosum / Te superi colunt ... / Tibi respondent sidera ... / Tuo nutu spirant flamina ... / Tuam maiestatem
perhorrescunt aves ... ferae ... serpentes ... belvae) e chiusa dalla
prima persona dell’orante (At ego ... / Ergo ... pauper alioquin
efficere curabo ...), che denuncia duplice difficoltà: la propria
incapacità di esaurire a parole le lodi della dea, il limite della
propria paupertas che impedisce di destinare maggiori risorse al servitium divino (Met. , ). Come si vedrà, il motivo
della povertà, riproposto subito dopo a proposito dei rapporti
col sacerdote dell’iniziazione (Met. , , : veniam postulabam,
quod eum condigne tantis beneficiis munerari nequirem), farà ritorno più avanti, quando Lucio arriverà a Roma. Altro preme
però segnalare a questo punto: come si è accennato, questa
preghiera fa da contrappunto speculare alla presentazione di
Iside di Met. , , senza perdere le movenze lucreziane che,
anzi, sono rafforzate dalla ripresa del Du-Stil innodico presente nel proemio del I e del III libro del De rerum natura (inno
a Venere, encomio di Epicuro). Si è altresì detto, a proposito
dell’apparizione notturna di Iside sulla spiaggia di Cenchrae,
che l’Io narratore, riecheggiando il topos dell’aporia del poeta,
ha lamentato la paupertas oris humani , inadeguata a descrivere,
senza aiuto divino, il meraviglioso spettacolo della figura della
dea. Ebbene, in chiusa di preghiera il motivo della paupertas
. Vd. Pasetti ; La Barbera .
. Con Priamel (o Priamelform, o Priamel-Formula), sostantivo tedesco coniato
sul lat. praeambulum, si designa un procedimento stilistico costituito da una serie
esemplificativa (Beispielreihung) impiegata come figura paratattica di pensiero per
mettere in luce elementi comuni a nozioni diverse poste a confronto secondo
gerarchie di valori ufficiali o personali; la chiusa può essere affidata a formule
contrastive del tipo alius (tu) / ego. Vd. Schmid ; Race .
. Eco di Lucr. , -: nec nostra dicere lingua / concedit nobis patrii sermonis
egestas. Vd. Fögen .
Rileggendo Petronio e Apuleio
riguarda sia il patrimonium sia l’ingenium di Lucio, che aggiunge
una divertita esagerazione letteraria sull’eloquio infinito e sul
numero di bocche e lingue indispensabili per celebrare degnamente la grandezza della dea: At ego referendis laudibus tuis exilis
ingenio et adhibendis sacrificiis tenuis patrimonio; nec mihi vocis
ubertas ad dicenda, quae de tua maiestate sentio, sufficit nec ora
mille linguaeque totidem vel indefessi sermonis aeterna series (Met.
, , ). Apuleio, che pure in altra occasione ha evocato – sulla
scorta di Platone – la penuria sermonis humani a dire l’ineffabile
maestà del sommo dio , sta giocando qui con la tradizione
epica e conferma anche in questo dettaglio come la narrativa
antica sia succedanea ed erede degradata del poema eroico. Il
modello illustre risale al II libro dell’Iliade, al passo omerico
dell’invocazione alle Muse e della dichiarazione d’impotenza
del cantore che precede il Catalogo delle Navi greche a Troia:
«Ora ditemi, Muse che avete dimora in Olimpo, – voi siete dee,
siete ovunque e tutto sapete, mentre noi ascoltiamo solo la
fama e nulla sappiamo – ditemi chi erano le guide e i capi dei
Danai; della moltitudine non parlerò né dirò i nomi, neppure
se avessi dieci lingue o dieci bocche, voce infaticabile e cuore
di bronzo nel petto ( οὐδ’ εἴ μοι δέκα μὲν γλῶσσαι, δέκα
δὲ στόματ᾿ εἶεν, / φωνὴ δ’ἄρρηκτος, χάλκεον δέ μοι ἦτορ
ἐνείη): solo le Muse d’Olimpo, figlie di Zeus egioco, potrebbero ricordare quanti vennero sotto le mura di Ilio; io dirò tutti
i condottieri e tutte le navi» (Iliade , -). Dieci lingue e
dieci bocche, dunque, non basterebbero al cantore omerico,
imitato a Roma – quanto a numero di lingue – da Ennio nel VI
libro degli Annales (- Skutsch: non si lingua loqui saperet
. Apul. De deo Socratis , (Quorum parentem, qui omnium rerum dominator
atque auctor est, solutum ab omnibus nexibus patiendi aliquid gerendive, nulla vice ad
alicuius rei munia obstrictum, cur ergo nunc dicere exordiar, cum Plato caelesti facundia
praeditus, aequiperabilia diis inmortalibus disserens, frequentissime praedicet hunc solum
maiestatis incredibili quadam nimietate et ineffabili non posse penuria sermonis humani
quavis oratione vel modice conprehendi, vix sapientibus viris, cum se vigore animi, quantum
licuit, a corpore removerunt, intellectum huius dei, id quoque interdum, velut in artissimis
tenebris rapidissimo coruscamine lumen candidum intermicare?). Il rinvio è a Plat. Tim.
c. Vd. Harrauer , .
. Tra Platone e Iside [. . . ]
quibus, ora decem sint / in me, tum ferro cor sit pectusque revinctum)
e nel teatro comico da Cecilio Stazio (Obolostates sive Faenerator,
Fr. IV Guardì: si linguas decem / habeam, vix habeam satis te qui
laudem) e da Plauto (Bacchides, v. : qui si decem habeas linguas,
mutum esse addecet), in funzione di adulazioni sfacciate o come
battuta di pedagogo. Però con la tradizione dell’epica romana
di II e I secc. a.C. incomincia a farsi sentire una forte inflazione:
il nuovo tasso di aporia poetica compare nel Bellum Istricum
di Ostio (Fr. Bl.: non mihi si linguae / centum sint, atque ora
sint totidem vocesque liquatae) e viene confermato due volte –
su non improbabile ipotesto lucreziano – da Virgilio, nella
dedica a Mecenate del II libro delle Georgiche (vv. -: non ego
cuncta meis amplecti versibus opto, / non, mihi si linguae centum
sint, oraque centum, / ferrea vox) e nelle parole della Sibilla a
proposito delle pene infernali nel VI libro dell’Eneide (vv. : non, mihi si linguae centum sint oraque centum, / ferrea vox,
omnis scelerum comprendere formas, / omnia poenarum percurrere nomina possim) . Con Ovidio e con Persio ci si attesta sul
medesimo valore inflattivo: nell’VIII libro delle Metamorfosi il
poeta di Sulmona dice la sua impossibilità a narrare la triste
sorte delle sorelle di Meleagro (vv. -: non mihi si centum
deus ora sonantia linguis / ingeniumque capax totumque Helicona
dedisset, / tristia persequerer miserarum fata sororum) ; l’attacco
della V Satira di Persio assicura che la moltiplicazione per dei
valori omerici si può considerare luogo comune consolidato
(vv. -: Vatibus hic mos est, centum sibi poscere voces, / centum ora
et linguas optare in carmina centum). Ma lo stesso Ovidio, Fasti
, -, sa procedere oltre, confrontandosi direttamente con
Omero: Nunc mihi mille sonos quoque est memoratus Achilles /
. Nel Commmentarius in Vergilii Georgicon libros , Servio informa: NON EGO
CUNCTA MEIS Lucretii versus; sed ille aerea vox ait, non ferrea (Lucr. Fr. ), ammesso
che il nome del poeta non vada corretto in Lucilii: vd. Scaffai .
. Cfr. la rispresa tassiana di Gerusalemme liberata, c. IX, str. , vv. -: «Non
io, se cento bocche e lingue cento / avessi, e ferrea lena e ferrea voce, / narrar potrei
quel numero che spento / ne’ primi assalti ha quel drappel feroce».
. Per il topos cfr. altresì Ov. Ars , - e Trist. , , -.
Rileggendo Petronio e Apuleio
vellem, Maeonide, pectus inesse tuum, / dum canimus sacras alterno
carmine Nonas. Insieme a Valerio Flacco, Arg. , - (verum ego
nec numero memorem nec nomine cunctos / mille vel ora movens),
il passo apuleiano conferma il culmine della svalutazione dei
concreti strumenti della persona loquens rispetto all’impresa di
dire le lodi di Iside: non dieci, non cento, neppure mille bocche e altrettante lingue sarebbero sufficienti a dire la maestà
della dea. Così va a finire che un motivo poetico, un topos di
collaudata efficacia, passi da testo a testo e subisca una serie
di trasformazioni (la vicenda delle forme, la metamorfosi, riguarda tutti e tutto) senza smarrire l’impronta d’origine, ma
nel contempo riveli una sorprendente vitalità di significati e
produca una catena di immagini riconoscibili lungo traiettorie
diacroniche e tuttavia pienamente funzionali o, se si preferisce,
in piena sintonia sincronica con i diversi contesti ospitanti. La
formula introdotta da Apuleio, pertanto, va intesa su duplice
registro: sul piano narrativo segnala la distanza tra divinità e
linguaggio umano (distanza in aumento, come suggerisce più
la dottrina medio-platonica che la religione egiziana); sul piano
intertestuale segnala la divertita e maliziosa abilità del retorefilosofo che si misura con la tradizione e ne ricava un effetto
moltiplicatore di difficoltà che deprime il protagonista della storia al di sotto d’ogni forma di esaltazione, proprio mentre si
completa il processo iniziatico (lezione di humilitas sul piano
delle figure retoriche più che sul piano dei paradigmi etici).
Come si vede, basta un dettaglio testuale per cogliere l’autore alle prese con modelli di lunga lena riutilizzati liberamente e
posti al servizio di nuove situazioni. Valga questo come esempio principe che esenta lettori e critici da altre analisi del genere
e permette di riprendere il filo della lunga tela di ragno che
ormai sta volgendo al termine. Iniziato ai misteri isiaci, Lucio
fa ritorno, come si è anticipato, alla propria dimora, patrium
larem revisurus; ma si tratta di soggiorno breve, perché deae
potentis instinctu (Met. , , ) si mette in viaggio alla volta
di Roma, dove frequenta il tempio di Iside al Campo Marzio
(Isis Campensis) e dove, a sorpresa, un ennesimo sogno divino
. Tra Platone e Iside [. . . ]
richiede una nuova iniziazione (Met. , , ). Ecco: finalmente
la meta ultima del viaggio, cominciato da Corinto in forma
umana, continuato dalla cittadina tessalica di Hypata in forma
asinina, interrotto tra Corinto e Cenchreae giusto il tempo
per recuperare stato umano e guadagnare statuto mistico, è
raggiunta . Lo spazio provinciale della Grecia, carico di miti e
riflessioni filosofiche, lascia il posto a Roma, capitale e vera città
«eccelsa» dell’impero, su impulso dei culti egiziani che aprono
e chiudono la tappa finale delineando una geografia religiosa
ad ambizione universalistica .
Dunque, a Roma viene prescritta una seconda iniziazione:
prescrizione trasmessa per via onirica, si diceva, come per via
onirica viene presentata la figura del sacerdote che dovrà procedere al nuovo rito iniziatico. La notte successiva, infatti, a
Lucio appare in sogno una figura umana vestita de sacratis linteis e segnata da un difetto fisico (zoppo il piede sinistro), ut
agnitionem ... subministraret (Met. , , -). Il principium individuationis funziona a dovere, perché all’alba è sufficiente una
rapida occhiata per individuare un sacerdote che corrisponde
esattamente all’immagine del sogno e che per giunta porta un
nome non estraneo alla metamorfosi del protagonista, Asinio
Marcello . Tra l’altro, per la prima metà del II secolo d.C., è
noto un personaggio di rango consolare con tale nome, patronus di Ostia e rappresentante di una famiglia che ha corposi
interessi commerciali con la provincia d’Africa : se si ammette
che l’attualità romana possa a tratti irrompere nella narrazione,
a prescindere dalla dimensione cronologica , potrebbe trattarsi di un parente o di un antenato del sacerdote isiaco che
accoglie Lucio a Roma. Vedremo, in chiusura del nostro discorso, che tale accoglienza riserva al lettore un’ulteriore sorpresa,
.
.
.
.
.
Vd. per es. Zimmerman ; Graverini , -.
Vd. per es. Griffiths ; Lévi a.
Vd. Marangoni -.
Vd. Coarelli , art. discusso da Beck .
Vd. Scivoletto , - (Antiquaria romana in Apuleio).
Rileggendo Petronio e Apuleio
ma intanto mette conto seguire le nuove fasi iniziatiche. La
prima iniziazione, come si ricorderà, avviene a Corinto ed è ai
misteri di Iside; ora, a Roma, Lucio viene iniziato ai sacra di Osiride (Met. , -); infine si sottopone a una tertia teleta (Met.
, -), secondo alcuni critici moderni ai culti di entrambi
gli dèi . Di questa triplice iniziazione non si hanno paralleli
nelle fonti: è vero che le iniziazioni potevano venir ripetute,
ma di tale possibilità è tramandata soprattutto un’immagine
caricaturale nei Caratteri di Teofrasto (, ), là dove si dice
che l’uomo superstizioso ( ὁ δεισιδαίμων) ha la pretesa di farsi
iniziare ai misteri orfici una volta al mese. Ci si è chiesti allora
«se la ripetizione di queste iniziazioni non celi un’intenzione
vagamente parodica o se, quanto meno, non sia una creazione
divertita del romanziere» . Siccome Lucio insiste sulle sue
deboli condizioni finanziare e ricorda le spese che crescono per
ogni nuova cerimonia, si sono citate le critiche rivolte già in antico, da Persio (, : in sancto quid facit aurum?) e da Giovenale
(, : corruptus Osiris) per esempio, alla venalità dei sacerdoti,
non solo della religione egiziana, e si è attribuita alla cupidigia
del clero l’iterazione del rituale. In effetti, «si è pensato che la
seconda e la terza iniziazione venissero escogitate dai sacerdoti
romani a scopo di lucro personale: i ministri del culto di Iside
vivevano della loro religione, e non sempre li si riteneva superiori alla considerazione del guadagno; ma è anche possibile
che queste cerimonie aggiuntive fossero autentiche e dovute
alla tendenza a moltiplicare i riti» . Non è tuttavia improbabile che, a causa dei costi, tali riti finissero per comportare una
selezione degli adepti e che venissero amministrati per andare
incontro «ai vari bisogni di quanti erano in cerca di salvezza e
. Almeno come suggerisce Griffiths , , senza escludere che il numero
delle iniziazioni potrebbe anche essere maggiore.
. Fredouille , .
. Parole di Nock , ; vd. anche Shumate , . Di «rapacità dei
sacerdoti» parla Graverini , -, con discussione dei passi e della principale
letteratura secondaria in merito.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
di successo» .
Di salvezza, appunto, dalla condizione bestiale si è detto. Di
successo, anche economico, bisogna ora parlare, perché tra la
seconda e la terza iniziazione la situazione finanziaria di Lucio
comincia a migliorare: il culto di Osiride è di grande conforto
all’esistenza di un forestiero (summum peregrinationis meae solacium) e contribuisce a far uscire dalle ristrettezze il suo tenor di
vita e a promuovere effettiva integrazione, in quanto in virtù
del soffio di Successo favorevole personificato (spiritu faventis
Eventus) Lucio può ora contare su discreti guadagni forensi assicurati dal patrocino di cause nella lingua di Roma (quaesticulo
forensi nutrito per patrocinia sermonis Romani: Met. , , ). Nel
passo si riprendono in chiave positiva indicazioni presenti nel
prologo delle Metamorfosi e agli inizi della carriera asinina di
Lucio. La condizione di straniero, gli studi a Roma e il problema della lingua latina sono condensati in Met. , , : Mox
in urbe Latia advena studiorum Quiritium indigenam sermonem
aerumnabili labore nullo magistro praeeunte aggressus excolui. En
ecce praefamur veniam, siquid exotici ac forensis sermonis rudis locutor offendero . Di una sfortunata e infruttuosa invocazione al
Successo propizio (invocato hilaro atque prospero Eventu) il lettore
è informato da Met. , , : Lucio-asino scorge un boschetto
frondoso (che pare ai suoi occhi il prototipo in miniatura del
locus amoenus, un apparente Veneris et Gratiarum lucus), in cui
fanno bella mostra fiori vermigli, da lontano scambiati per rose
della salvezza, ma rivelatisi da vicino come letali rose laurine.
Sono dettagli, si dirà, ma la loro presenza e il numero di
tutti i riscontri segnalati dalla critica confermano che l’XI libro
riprende le fila di quanto prospettato nei libri precedenti e con
coerenza porta a compimento la trama delle trasformazioni,
in grado di investire anche i segni di scrittura e riscrittura in
. Così Burkert , .
. Sui numerosi problemi posti dal prologo, oltre alla raccolta di saggi curata da
Kahane, Laird , vd. anche Gianotti , sgg.
Rileggendo Petronio e Apuleio
qualità di varianti . Manca ancora, come si è detto, la terza iniziazione, imposta da ordine divino trasmesso mediante visione
notturna (Met. , , ). È ingiunzione che suscita perplessità in
Lucio e addirittura diffidenza circa la buona fede dei sacerdoti
responsabili dei riti precedenti (giusta la critica nei confronti
della venalità del clero isiaco), ma dubbi ed esitazioni sono
cancellati dall’ennesimo sogno divino che chiarisce il privilegio e le ragioni della terza iniziazione, occasione di ulteriore
beatitudine (teque de isto numero merito praesume semper beatum)
e augurio certo di felicità, prosperità e salute spirituale (Met.
, , -). In effetti, l’ultima iniziazione, realizzata ex studio
pietatis magis quam mensura rerum (Met. , , : ultimo accenno
a condizioni economiche poco soddisfacenti), comporta definitiva soluzione di tutti i problemi, anche dell’invidia suscitata da
studiorum laboriosa doctrina: confortato dalle parole di Osiride
in persona (non in alienam quampiam personam reformatus), che
compare – manco a dirlo – ancora una volta, l’ultima, in sogno,
Lucio esercita con profitto l’avvocatura e viene ammesso tra i
pastofori del dio e i decurioni quinquennali del culto (Met. ,
, -) . Come Iside sulla spiaggia di Cenchreae, così Osiride
nell’eccelsa capitale dell’impero non sdegna il contatto diretto
con personaggi di quaggiù: la loro provvidenza libera il protagonista dall’imbestiamento dei sensi, lo guida verso traguardi
di felicità possibile e mostra, con buona dose di pragmatismo,
come l’iniziazione religiosa rappresenti anche un contratto
remunerativo, con utili che si realizzano in questa vita, senza
rinnegare tuttavia scadenze ultraterrene di liberazione dal caos
del mondo della materia. Insomma: le divinità egizie, per quanto indicate con epiteti altrove riservati al sommo dio (per es.
in Met. , , si legge: deus deum magnorum potior et potiorum
summus et summorum maximus et maximorum regnator Osiris) ,
. Parallelismi e riprese di temi maggiori e minori in Frangoulidis , -.
. Di quest’ultima gerarchia sacerdotale non si hanno altre notizie e sembra
lecito nutrire qualche dubbio sulla sua esistenza: vd. Griffiths , -.
. In effetti la formula fa uscire Osiride dalla schiera delle mediae potestates e lo
. Tra Platone e Iside [. . . ]
non sono lontane dagli esseri umani (anche quando questi appaiono in forme degradate), promettono e concedono salvezza
e terrena prosperità, comportandosi pertanto come i demoni
buoni di Plutarco e come le mediae potestates demoniche del De
deo Socratis apuleiano. Dal trattatello filosofico sappiamo che
anche per Apuleio l’uomo può farsi simile al dio per quanto è
possibile , perché nihil est deo similius et gratius quam vir animo
perfecte bonus, qui hominibus ceteris antecellit, quam ipse a diis immortalibus distat , grazie alla mediazione demonica che tiene
coesa la compagine del cosmo. Se le cose stanno così, riesce
difficile negare che le Metamorfosi sviluppino un programma
dall’orientamento platonico, il passaggio dal caos del mondo
sensibile a una gratificante vicinanza al divino, senza fare ricorso a «elitaria predicazione di un esplicito credo filosofico» :
un programma alla portata di molti, perché l’andamento di una
vicenda centrata sulle peripezie di un determinato individuo
e il simbolismo di una religione largamente diffusa non consentono alla fabula di allontanarsi dal terreno delle esperienze
concrete e permettono rappresentazione immediata, personapresenta come una sorta di sostituto del dio primo e ineffabile, dio ben presente nel
De deo Socratis e nel De Platone et eius dogmate, ma ‘non necessario’ nelle Metamorfosi,
dove è programmato l’intervento divino (deus ex machina preso a prestito dalla
tradizione teatrale) per rimettere le cose a posto, nella storia di Psyche come nella
vicenda di Lucio. Se dunque anche il sommo dio sembra far capolino oltre Iside e
Osiride, merita attenzione l’ipotesi formulata da Donini : si prendono le mosse
dalla definizione triadica del supremo principio divino che si legge in Apul. De
Platone , , (primae quidem substantiae vel essentiae primum deum esse et mentem
formasque rerum et animam) e si propone di intendere i diversi gradi di iniziazione
alle tre substantiae incorruttibili, in ordine ascendente, all’anima del mondo (Iside) la
prima iniziazione, all’intelletto e alle idee (Osiride) la seconda, al dio sommo la terza,
quest’ultima «lasciata da Apuleio nel buio più completo, quanto all’oggetto, alle
finalità e al contenuto della cerimonia, perché il silenzio era l’unico modo possibile
per alludere all’esperienza dell’incontro col dio supremo di una gerarchia divina
scandita in tre gradi o figure come poteva concepirla un platonico del II secolo»
(p. ). Insomma, il filosofo platonico non smarrisce mai la propria bussola: anche
quando ricorre alle fabulae non perde di vista la propria dottrina.
. Secondo la formula di Plat. Theaet. b (homoiosis theo(i) katà dynatòn).
. Apul. De deo Socratis , .
. Parole di Donini , ; vd. altresì Drews .
Rileggendo Petronio e Apuleio
lizzata e umorosa di quanto avrebbe invece richiesto impervie
scalate concettuali e ardui itinerari dialettici .
Alla luce di queste considerazioni, se si fa un passo indietro, non sarebbe forse impossibile spiegare la sorpresa di cui
si diceva a proposito dell’accoglienza riservata al protagonista
dal sacerdote, che risponde al nome di Asinio Marcello. Lucio,
come sappiamo, è in grado di riconoscerlo, perché la sua figura
corrisponde all’immagine vista in sogno. Ma anche il sacerdote non si mostra sorpreso del visitatore fino a quel momento
sconosciuto, perché a sua volta è stato destinatario di un sogno
rivelatore: narra infatti d’aver udito, nel cuore della notte precedente, la voce di Osiride che annunciava mitti sibi Madaurensem
sed admodum pauperem, cui statim sua sacra debere ministraret
(Met. , , ). Non sono convincenti i tentativi di quanti considerano guasto Madaurensem e cercano la via dell’emendatio ; il
testo va accettato così come è stato trasmesso, senza ricorrere a
comode spiegazioni di lapsus calami (da parte di qualche copista,
frastornato dal racconto in prima persona e comunque informato della patria dell’autore ), ma anche senza costruirvi sopra
castelli di identificazioni in chiave autobiografica . Si tratta –
è da credere – dell’estrema metamorfosi del racconto che fa
affiorare sotto le spoglie dell’Io narratore la figura dell’autore, sostituendo «l’uomo di Madauro» al giovanetto di Corinto,
incauto esploratore di controproducenti riti magici. Apuleio
impone in calce alla fabula il marchio di garanzia, la firma della
propria qualificata preparazione culturale; il tratto autobiografico, allora, sarà da ravvisare nel platonismo presente tanto nelle
Metamorfosi quanto nelle opere filosofiche. Per concludere, si
può dire che la comparsa di Madaurensis non appare dettata da
. A Narratology for Philosophy (a proposito delle Metamorfosi) titola Fletcher
il capitolo conclusivo del suo libro dedicato al platonismo presente nell’intera
produzione apuleiana.
. Per es. mandare se religiosum Robertson (che però non l’accoglie nell’edizione
parigina delle Belles Lettres); Corinthiensem Fredouille. Ma si veda Vannini .
. Tentazione che può comunque riaffiorare in forma cauta e misurata: vd. Tilg
, sgg. Aspetti cronologici e ipotesi biografiche su Apuleio in Lévi b.
. Tra Platone e Iside [. . . ]
tardive ragioni di identità personale, ma serve da sigillo dell’identità culturale apposto all’opera e vale a iscrivere la storia
di Lucio nel novero delle storie esemplari, a conferma della
battuta finale del prologo: Lector intende: laetaberis.
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MNEMATA
STUDI DI LETTERATURA, STORIA E CIVILTÀ
TRA RICERCA E DIDATTICA
. Stefano Casarino, Amedeo Alessandro Raschieri (a cura di)
Figure e autori della lirica
----, formato × cm, pagine, euro
. Gian Franco Gianotti
Maestri, colleghi, amici. Tra mondo classico e cultura moderna
----, formato × cm, pagine, euro
. Stefano Casarino, Amedeo Alessandro Raschieri (a cura di)
L’arte della parola tra antichità e mondo contemporaneo
----, formato × cm, pagine, euro
. Stefano Casarino, Amedeo Alessandro Raschieri (a cura di)
Ritorno ad Aristotele
----, formato × cm, pagine, euro
. Gabriele Masaro
Iscrizioni metriche e affettive della X regio augustea
----, formato × cm, pagine, euro
. Gian Franco Gianotti
Rileggendo Petronio e Apuleio
----, formato × cm, pagine, euro
Finito di stampare nel mese di novembre del
dalla tipografia «System Graphic S.r.l.»
Roma – via di Torre Sant’Anastasia,
per conto della «Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale»
di Canterano (RM)