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Gian Franco Gianotti, Petronio e Apuleio

2020, Rileggendo Petronio e Apuleio

Riproposta di 12 saggi sui momenti della narrativa latina d'età imperiale rappresentati da Petronio e da Apuleio.

MNEMATA STUDI DI LETTERATURA, STORIA E CIVILTÀ TRA RICERCA E DIDATTICA  Direttori Stefano C Presidente Delegazione di Cuneo  Amedeo Alessandro R Università degli Studi di Milano Comitato scientifico Cinzia B Università Cattolica del Sacro Cuore Lia Raffaella C Università degli Studi di Genova Gian Franco G Accademia delle Scienze di Torino Ermanno M Università degli Studi di Torino Federica P Universidad Carlos III de Madrid Stefano S Università degli Studi di Torino Anna L Durham University MNEMATA STUDI DI LETTERATURA, STORIA E CIVILTÀ TRA RICERCA E DIDATTICA La collana raccoglie studi di letteratura, storia e civiltà, fondati su solide basi scientifiche ma al contempo attenti alla didattica liceale e all’alta divulgazione, con l’intento di creare un collegamento e un confronto tra mondo accademico e insegnamento scolastico. Il campo d’indagine è costituito dai prodotti culturali e dai fenomeni storici della tradizione greco–latina ed ebraico– cristiana con una particolare attenzione per il confronto con le epoche successive in una prospettiva interdisciplinare. Gian Franco Gianotti Rileggendo Petronio e Apuleio Aracne editrice www.aracneeditrice.it [email protected] Copyright © MMXX Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale www.gioacchinoonoratieditore.it [email protected] via Vittorio Veneto,   Canterano (RM) ()   ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: novembre  A Irene e Matias, perché non dimentichino Indice  Premessa Parte I Petronio  Capitolo I Petronio, autore e opera .. L’autore,  – .. Il Satyricon: ipotesi sulla trama e sezioni superstiti,  – .. Il Satyricon: generi letterari e parodia, .  Capitolo II Scrivere e riscrivere Petronio .. Tradizione manoscritta,  – .. Edizioni,  – .. Falsi ritrovamenti e contraffazioni, .  Capitolo III Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio .. Scene e racconto,  – .. Scene da una Cena: chi narra e chi guarda,  – .. Portate spettacolari,  – .. Chi parla e chi ascolta: lo spettacolo della lingua tra discorsi da tavola, dispute e proverbi,  – .. Altri aspetti spettacolari: risse, racconti, funerali, .  Capitolo IV A tavola da Trimalchione: eccessi gastronomici e debiti culturali .. Le vie della Grande Bouffe,  – .. Le prime scene,  – .. Gustatio,  – .. Primae mensae. I. Il cielo e la terra,   Indice  – .. Primae mensae. II. Le altre portate,  – .. La cena nella cena, le secundae mensae, la seconda cena, .  Capitolo V I due maestri di Primigenio  Capitolo VI Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini .. Una difficile fedeltà,  – .. Tagli, fusioni, trasposizioni,  – .. Interpolazioni d’autore, . Parte II Apuleio  Capitolo I Apuleio, autore e opere .. L’autore e le opere perdute,  – .. Apuleio filosofo e oratore,  – .. Apuleio narratore: il racconto dell’uomo-asino e la favola di Amore e Psiche, .  Capitolo II Da Montecassino a Firenze: la riscoperta di Apuleio .. Storie di Metamorfosi: i codici di Apuleio,  – .. La riscoperta di Apuleio,  – .. Il codice apuleiano di Boccaccio,  – .. Spunti apuleiani nelle novelle del Decameron,  – .. Metamorfosi di storie: due novelle d’adulterio, .  Capitolo III In viaggio con l’asino  Capitolo IV Spunti teatrali nella narrativa latina: le Metamorfosi di Apuleio .. Teatri senza testi, testi senza teatro,  – .. Scenari apuleiani,  – .. Lo spettacolo del mondo, tra cielo e terra: la Bella, la Bestia, gli amori, la morte e la rinascita, . Indice   Capitolo V Andromeda e Psiche: vicende nuziali e assunzioni in cielo .. Andromeda euripidea: nozze e destino astrale,  – .. Ovidio e Manilio: figure immobili e moti stellari,  – .. Psiche, dalla rupe all’Olimpo, .  Capitolo VI Tra Platone e Iside: per una rilettura dell’XI libro delle Metamorfosi apuleiane .. Ragni, asini, démoni,  – .. Da Platone all’Egitto,  – .. L’epifania di Iside,  – .. Al servizio di Iside,  – .. Da Iside a Osiride, da Corinto (e da Madauro) a Roma, . Premessa Speculare, e dunque inversa, rispetto a ricerche su nuovi argomenti è la rilettura di contributi che costellano i trascorsi personali di studio, utili se non altro come documentazione di itinerari conclusi o da tempo abbandonati. Di solito le due operazioni si intersecano o, meglio, si intrecciano nella vita di chi continua a fare per professione ricerca, perché il rinnovo d’attenzione ai testi del proprio passato è non secondario sussidio per confermare o ridiscutere risultati, delineare ambiti e confini, sfruttare connessioni e spunti euristici, correggere soluzioni precedenti, prospettare orientamenti in funzione di nuovi interessi di studio. Discorso diverso vale per chi, come il sottoscritto, da anni in pensione, non dispone più di tempo e risorse mentali sufficienti per promuovere nuovi progetti di ricerca. L’età avanzata tollera a mala pena l’attività che Arnaldo Momigliano definiva “passatempo della domenica pomeriggio”, vale a dire qualche piccola indagine come apporto individuale alla storia degli studi classici; deserti e silenzi si aprono, invece, di fronte ai tentativi di dare vita e sostanza a studi del tutto nuovi. Si dilata, in effetti, il tempo a disposizione per fare bilanci, per ripensare a quanto si è fatto o non si è fatto, per rimeditare e rileggere quanto si è scritto. Insomma, negli anni di quiescenza dal servizio attivo aumenta progressivamente lo spazio retrospettivo del ricordo e della rilettura, a scapito di ogni programmazione a venire: nella personale imago del Giano bifronte, sodale di noi tutti, il viso rivolto al futuro sbiadisce via via fino a scomparire, mentre diventa più acuta la vista degli occhi che guardano al passato. Inutile dire che il tempo a disposizione si è moltiplicato in maniera abnorme, da quando la pandemia Covid- ha   Premessa iniziato a diffondersi anche in Italia, soprattutto in Lombardia e in Piemonte, rinchiudendo gli anziani all’intero delle pareti domestiche. Succede allora che più e più volte, in occasioni diverse, si finisca per fare ritorno agli scritti di anni recenti o lontani e si ceda al desiderio di ristampare i testi meno avari di risultati, non per autocompiacimento, ma perché ci sono formulazioni da chiarire o da rendere meno implicite, margini di integrazione o di aggiornamento, rimedio a sviste o a fraintendimenti oppure a errori effettivi, sedi di non facile accesso per eventuali lettori tuttora interessati a ricerche di tal genere. Queste, in breve, le ragioni che presiedono alla riproposta di miei interventi su alcuni momenti della narrativa latina d’età imperiale, momenti rappresentati da Petronio e da Apuleio. Sono saggi che hanno accompagnato due stagioni dei miei studi, più antica la stagione segnata da Apuleio, più recente quella segnata da Petronio; saggi che mi hanno consentito di misurare la tenuta delle mie pagine rispetto ai progressi della critica più recente e, contemporaneamente, di prendere atto dei risultati più notevoli circolanti tra gli addetti ai lavori. Ciò detto, pare giusto e doveroso concludere riconoscendo il debito contratto con le Riviste e con i volumi collettanei che hanno concesso ospitalità alla prima resa pubblica di questi contributi e a cui vanno, oggi, i miei più sentiti ringraziamenti. Torino, giugno  P I PETRONIO Capitolo I Petronio, autore e opera∗ .. L’autore Sull’autore del Satyricon prevalgono negli ultimi anni le tesi presenti in un volume postumo di un giovane studioso inglese approdato all’University of Texas e scomparso prematuramente, Kenneth Frank Campbell Rose (-): il Petronius Arbiter presente nei manoscritti medioevali come autore del Satyricon è da identificare con il Petronio elegantiae arbiter alla corte di Nerone di cui parla Tacito: «Per Petronio il giorno trascorreva nel sonno, la notte tra doveri ufficiali e divertimenti; e come altri si erano acquistati fama grazie a operosa attività, così lui in ragione della sua indolenza. Tuttavia non era giudicato un dissoluto e uno scialacquatore, come chi dilapida le proprie sostanze, ma un personaggio di gusto ricercato. E le sue parole e le sue azioni, quanto più apparivano disinvolte ed esibivano noncuranza, tanto più venivano accolte con favore come espressioni di semplicità. In ogni caso, come proconsole in Bitinia e come console seppe mostrarsi energico e all’altezza dei compiti. In seguito, tornato ai vizi o piuttosto alla loro imitazione, fu ammesso da Nerone nella cerchia ristretta degli amici intimi come arbitro del gusto, per tutto il tempo in cui il principe non reputava piacevole e seducente per lusso nulla che non fosse raccomandato da lui. Di qui l’odio di Tigellino , rivolto contro un rivale superiore nella scienza del piacere. Stimola ∗ La prima redazione è comparsa col titolo La narrativa latina. Petronio e Apuleio, in S. Casarino, A.A. Raschieri (a cura di), Figure e autori del romanzo, Aracne, Roma , -. . Gaio Sofonio Tigellino, prefetto del pretorio di Nerone.   Rileggendo Petronio e Apuleio pertanto la crudeltà del principe, passione superiore a tutte le altre; contesta a Petronio l’amicizia con Scevino , dopo averne corrotto uno schiavo perché denunciasse il padrone e avergli tolto ogni mezzo di difesa e incarcerato la maggior parte dei suoi. In quei giorni Cesare si era diretto in Campania; e Petronio, spintosi a Cuma, veniva trattenuto sul posto: allora non tollerò oltre d’essere sospeso fra timore e speranza. Non ebbe però fretta di morire: tagliate le vene, per poi fasciarle o riaprirle a piacere, discorreva con gli amici, non di argomenti seri e tali da procurargli gloria di fermezza. Ascoltava non discorsi sull’immortalità dell’anima e massime filosofiche , ma carmi leggeri e versi giocosi. Quanto agli schiavi, ad alcuni distribuì doni, ad altri nerbate. Si accomodò a banchetto, si abbandonò al sonno, volendo che la morte, per quanto imposta, sembrasse accidentale. Neppure nel testamento volle adulare – come la maggior parte dei condannati – Nerone o Tigellino o altri, ma fece un resoconto dettagliato, coi nomi dei pervertiti e delle prostitute, delle depravazioni del principe e della singolarità d’ogni sua perversione e, dopo aver sigillato il testo, lo inviò a Nerone. Spezzò poi l’anello, perché non servisse a rovinare altre persone» (Annales , -) . Se nel personaggio tacitiano si riconosce Tito Petronio Nigro, non troppo insicura appare la carriera politica: consul suffectus nel  d.C., proconsole in Bitinia. La morte per suicidio, secondo Tacito, si colloca nell’anno  d.C.; la data di nascita dovrebbe cadere tra il  e il  d.C. Luogo di nascita potrebbe essere Marsiglia, città evocata in relazione a Petronio Arbitro da Servio e da Sidonio Apollinare. Con l’identificazione così riproposta si torna a una tradizione che accomuna le maggiori auctoritates petroniane nel tempo, da Giuseppe Giusto Scaligero a Franz Bücheler. Non sono tuttavia mancate proposte diverse, . Oppositore di Nerone. . Morte antifilosofica: a differenza di Seneca (suicida nel  a.C.) il Petronio di Tacito capovolge il modello della morte di Socrate, che discute dell’immortalità dell’anima in attesa degli effetti della cicuta, come narra Platone nel Fedone. . Traduzione di Alessandro Franzoi (con ritocchi). . Petronio, autore e opera  come fa fede l’elenco stilato da Albert Collignon (), il quale pensava ai primi decenni del II sec. d.C. Nel primo Settecento Pieter Burman ha collocato nell’età che intercorre tra la fine del regno di Augusto e il regno di Claudio (di cui Trimalchione sarebbe la caricatura) la vita dell’autore e l’ambientazione del racconto. Agli inizi dell’Ottocento Barthold Georg Niebuhr ha proposto il III secolo d. C. come data per l’autore e le vicende narrate, sulla scorta di un’iscrizione di tale periodo con i nomi di Encolpio e di Fortunata. La proposta non ha avuto fortuna, ma nel corso del Novecento il problema della datazione è stato risollevato da Enzo V. Marmorale, pronto dapprima ad accettare la soluzione d’età neroniana, ma poi convintosi che «il Satyricon fu scritto dopo il  d. C.» e che l’autore andrebbe ravvisato «in uno dei Petronii vissuti fra la seconda metà del II e la prima metà del III secolo d.C.», dunque tra Commodo ed Elagabalo. Dopo Marmorale il problema della datazione conosce ancora qualche impennata, per lo più in prospettiva non troppo tarda (età flavia, per esempio) , ma la ‘congruenza’ tra il ritratto del Petronio tacitiano e lo spirito che anima il Satyricon appare come elemento poziore: l’autore del testo va dunque ravvisato nel personaggio di età neroniana e gli si attribuisce un orientamento filosofico di matrice epicurea. .. Il Satyricon: ipotesi sulla trama e sezioni superstiti Secondo i calcoli moderni il Satyricon doveva constare di almeno  o addirittura di  libri, numero canonico, quet’ultimo, della narrazione epica a partire dai poemi omerici. Tuttavia, prima del IX secolo della nostra era, vale a dire prima dell’epoca a cui si possono far risalire i dati più antichi della tradizione manoscritta, il testo è vittima di perdite ingenti. Quanto è sopravvissuto, attraverso quattro rami diversi di trasmissione , . Vd. la sintesi di Martin . . In proposito si rinvia al saggio successivo.  Rileggendo Petronio e Apuleio corrisponde – con lacune – al finale del XIV libro, al XV libro e a parte del XVI. Nulla si può dire con sicurezza sulle vicende contenute nei libri perduti; non mancano però ipotesi di ricostruzione dell’intera opera che di cui si riassumono quelle meno aleatorie. Per i libri iniziali si pensa a un preludio ambientato a Marsiglia, probabile città natale dell’autore: qui avrebbero luogo la presentazione del protagonista-narratore, Encolpio, e forse il racconto dell’ira di Priàpo nei confronti del giovanotto (profanazione di misteri poco morigerati?). In occasione di un’epidemia il protagonista sarebbe stato cacciato come capro espiatorio dalla città, secondo un’usanza gallica ricordata da Servio, il commentatore di Virgilio: «Ogni qual volta gli abitanti di Marsiglia erano colpiti da una pestilenza, uno dei cittadini poveri si offriva di farsi mantenere per un anno con cibi di qualità a spese pubbliche. A fine anno, costui veniva condotto in giro per la città adorno di verbene e vesti sacre: bersaglio di maledizioni, perché ricadessero su di lui i mali di tutti, da ultimo veniva espulso. Questo si è letto in Petronio» . Con la condanna all’esilio si ritiene che abbia inizio il viaggio del personaggio narrante, Encolpio, verso sud, parte per terra e parte per mare. Durante il viaggio alla volta dell’Italia Meridionale, costellato da imprese tutt’altro che edificanti , avverrebbero l’incontro e il legame con lo schiavetto Gitone. Questi, all’incirca, sarebbero gli avvenimenti narrati nei primi  libri. Nei quattro libri successivi la narrazione, fattasi più serrata, dovrebbe comprendere un tratto del viaggio su nave e i primi rapporti con Trifena e con Lica, l’incontro con Ascilto e la formazione di un instabile triangolo erotico non alieno da furti e misfatti, infine l’arrivo in una Graeca urbs dell’Italia del Sud e l’approdo di Encolpio e Ascilto alla scuola del retore Agamennone. Dal XV libro in poi le sezioni superstiti del racconto com. Servio a commento di Eneide ,  (auri sacra fames). . Almeno a giudicare da allusioni presenti nella parte superstite: ,  (hospitem occidi); ,  (hominem occidi, templum violavi); ,  (Ascilto a Encolpio: non taces . . . gladiator obscene, quem de ruina harena dimisit? Non taces, nocturne percussor?). . Petronio, autore e opera  prendono le peripezie del terzetto in mezzo a una composita realtà sociale che conosce affermazione e ascesa di provinciali e liberti. Lo scenario muta in continuazione: i primi passi – per noi – si svolgono nell’ambito di una scuola di retorica, sede di una vivace discussone de causis corruptae eloquentiae (§§ -); si fa una rapida puntata in un postribolo (§§ -) per passare, non senza sconnessioni narrative, a contese erotiche tra i due rivali (§§ -) e a un’affollata scena di mercato (§§ -), tra vendite truffaldine e recuperi insperati. Seguono due o tre giorni di baldoria del terzetto con Quartilla, disinibita officiante di riti in onore di Priàpo , e le sue ancelle; celebrate le nozze precoci tra Gìtone e la giovanissima servetta Pannichide, con contorno erotico che coinvolge tutti i presenti (§§ -. ), i tre protagonisti, in compagnia del retore Agamennone, si recano in qualità d’invitati a cena nella ricca dimora del liberto Trimalchione. Il grande intermezzo della Cena Trimalchionis (§§ ,  - ) interrompe il racconto di schermaglie omoerotiche e di viaggi (mobilità nello spazio) e si presenta come tappa consacrata alle avventure dello sguardo e della parola, come vivace spaccato sociale in cui si intrecciano fortune personali e comportamenti di classe, conflitti culturali e antagonismi linguistici, il tutto nella cornice spettacolare d’impenitenti esibizioni di ricchezze eccessive e di non eccelse moralità. Terminato il caleidoscopio della cena nella dimora del liberto Trimalchione (trionfo della mobilità sociale), riprende il racconto di avventura e di combinazioni amorose. Gitone preferisce seguire Ascilto e abbandona Encolpio; rimasto solo, l’Io narratore recita il ruolo dell’amante abbandonato, per poi cercare conforto alla sua disperazione in una pinacoteca, dove incontra una sorprendente figura di anziano poetastro dal no. Jensson  ritiene che l’ira di Priàpo dipenda dal rituale officiato da Quartilla durante il quale Encolpio avrebbe impersonato il dio («nothing provokes divine anger like the impersonation of a god by a mortal»); l’ipotesi si fonda su interpretazione schematica di Sidonio Apollinare , - e -, in particolare di v.  (Hellespontiaco parem Priapo), inteso come ammissione di sacrilegio da parte di Encolpio.  Rileggendo Petronio e Apuleio me antifrastico: Eumolpo (“bravo cantore”). Il nuovo arrivato dà subito un saggio delle sue capacità affabulatorie, narrando dapprima la piccante vicenda del “Fanciullino di Pergamo” (esempio di fabula Milesia), poi recitando uno spezzone di poema sulla Presa di Troia; la recita ha come risultato le sassate dei presenti (§§ -). La narrazione prosegue col ritrovamento di Gitone alle terme: il vecchio Eumolpo sostituisce Ascilto, anche nelle attenzioni non disinteressate rivolte a Gitone; si forma così un nuovo terzetto, che intraprende un viaggio per mare, imbarcandosi sulla nave di Lica di Taranto e di Trifena, personaggi con i quali Eumolpo e Gitone hanno avuto burrascosi trascorsi a noi non noti, perché descritti nelle sezioni di testo non pervenute (§§ -). Sulla nave si susseguono pericolosi incontri e riconoscimenti, contese e pacificazioni, momenti distensivi occupati dalla narrazione – per bocca di Eumolpo della novella della “Matrona di Efeso” (altra fabula Milesia), fino alla fortunosa tempesta che manda a picco la nave (§§ -). Il naufragio provoca la morte di Lica e ispira a Encolpio un enfatico compianto sulla fragilità dell’umana esistenza (§ : ubique naufragium est). Scampato ai marosi, il terzetto si rimette in viaggio alla volta di Crotone. Durante il cammino si discute di poesia ed Eumolpo recita  esametri epici sul tema del Bellum civile tra Cesare e Pompeo (§§ -, cadenze virgiliane in polemica con la Farsaglia di Lucano?). Nella cittadina calabra la brigata vive nuove salaci avventure: fortunate per Eumolpo, sfortunate per Encolpio, che scopre la propria impotenza sessuale, attribuita all’ira di Priàpo (parodia di tema epico, l’ira di Posidone verso Odisseo o l’ira di Giunone nei confronti di Enea) e sanata in extremis per divino intervento (§§ -). Il testo per noi si interrompe col testamento di Eumolpo, il quale escogita un intrigante espediente per liberarsi dai cacciatori d’eredità; a coloro che sperano di diventare suoi eredi pone l’obbligo di cibarsi del suo cadavere (§ ). Con gli episodi ambientati a Crotone si giunge alla fine del XVI o, tutt’al più, al XVII libro. Ma il Satyricon originario continuava per altri tre o sette libri. Per via d’ipotesi, si può immaginare che dal XVIII . Petronio, autore e opera  libro Eumolpo esca di scena (testamento come premessa della scomparsa?), mentre Encolpio e Gitone si imbarcherebbero per l’Egitto, patria di dottrine religiose ed esoteriche. Durante il viaggio o in terra egiziana è pensabile che alla coppia si unisca un terzo personaggio, amico e rivale, col risultato di ricostituire così il terzetto omoerotico che sembra tema portante dell’opera, come parodia delle convenzionali storie d’amore. L’Egitto, però, non sarebbe l’ultima tappa, in quanto sono ipotizzabili un passaggio in Grecia e infine un ultimo tragitto verso l’imboccatura occidentale dell’Ellesponto, alla volta di Lampsaco, la città nota per il culto di Priàpo, dove Encolpio potrebbe espiare le colpe commesse ed essere iniziato ai rituali del dio: finale ricostruibile per via analogica con le conclusioni delle Metamorfosi di Apuleio. .. Il Satyricon: generi letterari e parodia L’accostamento tra l’opera di Petronio e le Metamorfosi di Apuleio non è trouvaille esegetica dei moderni, ma risale già a epoca tardo-antica. Macrobio, nel commento al Somnium Scipionis (, , ), dopo aver ricordato che di due tipi sono le narrazioni di vicende fittizie (fabulae), quelle che provocano il piacere degli ascoltatori o quelle che promuovono progressi morali , scrive: «accarezzano l’udito, per esempio, le commedie che Menandro o i suoi imitatori hanno composto per la scena, oppure i racconti pieni di casi inventati di innamorati su cui si è esercitato molto l’Arbitro o in cui si è talora divertito, con nostra sorpresa, Apuleio». In effetti, tratti comuni tra il Satyricon superstite e i libri apuleiani non mancano, dalla narrazione in prima persona e dagli spunti ‘picareschi’ che accompagnano il vagabondare dei protagonisti alle umorose riprese del motivo epico dell’i. Come si vede, il binomio tradizionale, risalente ad Aristotele e riformulato da Orazio (Ars poetica, v. : Aut prodesse volunt aut delectare poetae), può vantare presenza secolare in sede di giudizi letterari.  Rileggendo Petronio e Apuleio ra di qualche dio (di Priàpo o di Venere), dalla separazione degli amanti (Gitone troppo vicino o troppo lontano rispetto ad amici-rivali; Psiche lontana da Cupido e Lucio-asino da se stesso) alle mense ‘esemplari’ di Trimalchione e di Byrrhena, dalla satira menippea alle fabulae Milesiae e alle novelle di magia servite a tavola. Temi e motivi comuni, tuttavia, non dipendono solo da eventuali rapporti diretti tra le due opere, ma chiamano in causa un panorama letterario più ampio, i possibili rapporti tra narrativa latina e quella greca rappresentata dagli scriptores erotici. Come è noto, dai primi secoli dell’età imperiale, sono giunti integri cinque racconti in prosa d’argomento erotico e avventuroso, ambientati in scenari fantastici o tutt’al più verosimili, riuniti – per somiglianze e punti in comune – sotto la generica classificazione di ‘romanzo greco’. Sono le Avventure di Cherea e Calliroe di Caritone di Afrodisia (sec. I d.C.); le Storie efesiache di Anzia e Abrocome di Senofonte Efesio (sec. II d.C.); la Storia di Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio (sempre sec. II d.C.); Amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista (fine del sec. II d.C.); le Storie etiopiche di Eliodoro (metà del sec. III d.C.). A questi cinque racconti, giunti per tradizione diretta, si può aggiungere qualche operetta – autentica o sospetta – presente nel corpus degli scritti di Luciano di Samosata (Storia vera, Lucio o l’asino), la sintesi delle Meraviglie al di là di Thule di Antonio Diogene (I sec. d.C.); l’originale dell’anonima Historia Apollonii regis Tyrii (di cui resta la versione latina) e frammenti papiracei: le Storie fenicie di Lolliano (II sec. d.C.); il Romanzo di Metioco e Partenope (II sec. d.C.); le Storie babilonesi di Giamblico (fine II sec. d.C.) . Ora, alle spalle delle Metamorfosi apuleiane stanno due antecedenti greci, lo pseudo-lucianeo Lucio o l’asino e i libri di Metamorfosi di Lucio di Patre evocati dal cod.  della Biblioteca del patriarca bizantino Fozio, anche se non è chiara la dinamica dei rapporti reciproci. Ma alle spalle di Petronio, alle spalle cioè dell’autore di età neroniana che pure mostra di conoscere e . La narrativa greca in frammenti è raccolta in Stephens, Winkler . . Petronio, autore e opera  parodiare luoghi comuni e motivi convenzionali presenti nel ‘romanzo greco’ (a lui posteriore!), quali tradizioni letterarie è possibile riconoscere o immaginare? Di solito, per il ‘romanzo’ antico e per l’opera petroniana, il lavoro critico si è cimentato nella ricerca dei precedenti, al fine di stabilire derivazioni o parentele con altri generi narrativi noti, canonici o meno. Inevitabile punto d’inizio va ravvisato nella narrazione in versi, dunque negli stacchi narrativi dei poemi omerici e in quanto di omerico rivive in Virgilio. Che in Petronio si percepisca la volontà di parodiare Iliade e Odissea (magari intrecciandone episodi, cadenze e funzioni) e, più in generale, si dia spazio a un’epica degradata di eroi di bassa statura etico-sociale capaci di conflitti in sedicesimo, è constatazione acclarata. Ancor più evidenti sono le citazioni e le allusioni virgiliane oppure allusioni alla satira e alla tradizione teatrale, tragica, comica e mimica. Si colgono altresì echi della storiografia e della biografia: insomma, a proposito dei generi della poesia e della prosa, si potrebbe attribuire a Petronio l’espressione presente nella lezione sulla poesia impartita per strada da Eumolpo: solo una mens ingenti flumine litterarum inundata (Petron. , ) è in grado di gestire con tale maestría un numero così grande di riferimenti letterari. Dunque, come per le Metamorfosi apuleiane, anche per il Satyricon superstite si è di fronte a un autore che si muove con disinvoltura all’interno del sistema culturale globale, ne smonta e rimonta a piacere le articolazioni, riscrive il già scritto e gli assegna nuove funzioni, non rispetta motivi collaudati e dà vita, agendo alle spalle del narratore, a una sorta di enciclopedia dei generi tradizionali a disposizione di lettori di palato fine e di stomaco forte, capaci di apprezzare la divertita miscela di prosa e versi, di stile raffinato e contenuti ‘popolari’ o scabrosi. Alla pari delle Metamorfosi, il Satyricon superstite mostra come la . Si pensi in part. all’episodio di Encolpio-Polieno e Circe nonché alla rampogna parodica, quasi-omerica e centonaria virgiliana, rivolta da Encolpio alla parte del corpo che lo ha tradito: Petron. -. . Per es. l’episodio di Didone rivive, degradato e umoroso, nella novella della Matrona di Efeso (Petron. -).  Rileggendo Petronio e Apuleio letteratura antica d’intrattenimento non rappresenti tanto un genere autonomo, quanto si definisca come licenza di incursione – parodica o seriosa – entro i confini di tutti i generi, da cui può ricavare e riciclare in piena libertà ogni dettaglio per adattarlo a nuovi scenari. Priva di specifici antecedenti o di paralleli effettivi, l’opera petroniana appare come forma aperta a ogni possibilità espressiva. In effetti la casistica dei generi letterari del mondo classico non prevede statuto definito per la narrativa, indicata con molti nomi: in greco μῦθος, λόγος, ἀπαγγελία, ἀπόλογος, διήγησις, διήγημα, ἱστορίη; in latino fabula, fabella, enarratio, historia, res ficta, exemplum fictum, argumentum. Rispetto alle denominazioni antiche e alle soluzioni proposte nel tempo, un momento di consenso dei critici sta nel ricorso ai termini moderni di ‘romanzo’ e ‘novella’, in quanto l’anacronismo viene compensato dalla flessibilità delle definizioni, in grado di abbracciare tutte le possibilità di sviluppo narrativo. Rimane tuttavia aperto un problema: nel Satyricon troppi episodi e troppi ingredienti narrativi appaiono parodia di situazioni presenti nel romanzo d’amore e d’avventura, documentato – si sa – da opere posteriori all’età di Nerone. Il paradosso cronologico è innegabile e fornisce qualche motivazione a quanti intendano collocare l’autore del Satyricon in età flavia o dopo la fine del II sec. d.C. Ma l’elenco dei ‘luoghi comuni’ tra testo latino e testi greci più tardi è iniziato e s’è sviluppato tra gli studiosi che non dubitano della paternità del Petronio neroniano. Dall’elenco si ricava che il motivo delle serie vicissitudini della coppia eterosessuale di amanti, costante nel romanzo greco, si trasforma nelle poco serie peripezie di coppie o terzetti di amanti omosessuali; si prosegue con la parodia dell’ira divina, con contorno di dettagli inseriti in giochi di specchi deformanti: descrizioni di opere d’arte con scene amorose; baci come fusione di anime; amori sotto coperte o mantelli; elogio dell’incarnato dell’amante (femmina o maschio, poco importa); fedeltà e infedeltà degli amanti; amici veri e falsi; presenza ed eliminazione di rivali in amore; processi e monologhi; scene di folla e assemblee popolari; viaggio per mare, tempesta e naufragio; finti suicidi e morti . Petronio, autore e opera  apparenti; elogio del partner e della sua stirpe; scambi epistolari; sogni simili sognati da più sognatori. Bene: fino agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, alla luce dei dati allora in possesso, era convinzione che il Petronio neroniano avrebbe dovuto conoscere solo i cosiddetti romanzi di Esopo e di Alessandro Magno, le Milesiae di Aristide tradotte da Sisenna, le Menippee di Varrone, i frustuli del Romanzo di Nino e gli spunti raccolti negli Erotikà pathémata di Partenio di Nicea (I sec. a.C.). Pertanto si congetturava l’esistenza di altra letteratura d’intrattenimento, perduta per i moderni, ma da cui l’autore del Satyricon e gli autori del ‘romanzo greco’ avrebbero attinto situazioni topiche da sfruttare liberamente, in prospettiva seria oppure comica e parodistica. Tale congettura ha assunto contorni reali dopo che nel  è stato pubblicato un papiro proveniente dalle sabbie egiziane di Ossirinco che conserva frammenti prosimetrici sulle avventure omoerotiche di due personaggi del mito, Eracle e il proprio scudiero, il nipote-eromenos Iolao . Il papiro è del I sec. a.C.: la narrazione, nota come Romanzo di Iolao, per quanto parziale e mal conservata, descrive o evoca, per via di allusioni, storie di sesso (ambivalente) non troppo dissimili da quelle del Satyricon e presenta la medesima mistione di prosa e poesia. Sussistono dunque pochi dubbi sull’esistenza di una letteratura d’intrattenimento in lingua greca in grado di fornire confronti, almeno per qualche contenuto, con quanto rimane del Satyricon. Ultimo punto: nel Romanzo di Iolao i protagonisti sono personaggi noti, certificati dal mito, dall’epica e dal teatro: di Eracle, in particolare, si conoscono sia i meriti connessi con le Dodici Fatiche sia le innumerevoli avventure amorose, etero- e omosessuali, nonché la bulimía cara alla commedia. Di contro la narrativa in prosa declassa, sì, avventure e amori dalle sfere del mito e della storia alle cronache di tutti i giorni, ma si trova . POxy  (testo in The Oxyrinchus Papyri , , -; Stephens, Winkler , -). Vd. J. Henderson, The “Satyrica” and the Greek Novel: Revision of Some Open Questions, «International Journal of the Classic Tradition» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio a fare i conti con personaggi privi dell’identità e dello statuto sociale garantiti dai grandi generi letterari (storiografia, epica, tragedia). Ricorre perciò a un espediente già sperimentato dalla commedia, l’assegnazione ai personaggi di ‘nomi parlanti’, veri e propri documenti d’identità che riscattano dalla folla degli sconosciuti i protagonisti, non altrimenti ‘riconoscibili’, di vicende quotidiane di basso profilo. Come Evelpide e Diceopoli in Aristofane, come Pirgopolinice o Pseudolo nel teatro plautino, così i personaggi del Satyricon portano nel nome la propria identità e il proprio destino. Qualche esempio chiarisce ragioni ed effetti di tali denominazioni: per Agamemnon rhetor et Menelaus antescholanus i nomi greci si riferiscono alla saga degli Atridi e ai temi tragici delle declamationes delle scuole di retorica; Encolpius, trascrizione del greco ᾿Εγκόλπιος (dall’espressione ἐν κόλπωι, “in seno”, col valore di “favorito”) è nome di amasio; Ascyltus ( ἄσκυλτος, “instancabile”) è spiegato dall’esclamazione o iuvenem laboriosum! in Petron. , , là dove se ne esaltano le dimensioni inguinali (inguinum pondus tam grande ...); Giton ( γείτων, “vicino”), troppo vicino a chiunque; Trimalchio è nome composto dal prefisso intensivo tri- (“tre volte”) e μαλχίων, diminutivo di μάλχος, calco di radice semitica che significa “potente, signore” (cfr. Malchus, Melchior, Moloch), con allusione all’origine del personaggio (cfr. Petron. , : ex Asia veni) e probabile valenza caricaturale; Eumolpus ( Εὔμολπος, “bravo cantore”), nome del mitico cantore figlio del dio Posidone e iniziatore dei misteri di Eleusi, qui ha sicura valenza caricaturale e antifrastica, perché assegnato a un vecchio poetastro, che è mal sopportato da eventuali ascoltatori e si segnala soprattutto per battute salaci e non sopiti appetiti sessuali. Si può concludere osservando come temi e motivi che il testo del Satyricon superstite condivide con altre tradizioni siano sempre sottoposti a metamorfosi di intenzionali e intelligenti parodie. In particolare, la scelta di far agire un terzetto di innamorati omosessuali in continuo e caleidoscopico sommovimento secondo capricciose scomposizioni e ricomposizioni . Petronio, autore e opera  (rispetto, s’intende, alla coppia di amanti eterosessuali degli erotici scriptores o alla coppia omoerotica del Romanzo di Iolao) impone impreviste dinamiche d’amore e d’avventura in grado di scardinare l’intero sistema letterario e piegarlo a nuovi assetti divertiti e divertenti. Nota bibliografica Edizioni, traduzioni, commenti M. Hadrianides, T. Petronii Arbitri Satyricon, cum Fragmento nuper Tragurii reperto. Accedunt diversorum Poetarum Lusus in Priapum. Pervigilium Veneris, Ausonii cento nuptialis, Cupido crucifixus, Epistolae de Cleopatra, & alia nonnulla. Omnia Commentariis, & Notis Doctorum Virorum illustrata, Amstelodami (Amsterdam) . P. Burman (Burmannus, -), T. Petronii Arbitri Satyricon quae supersunt, I-II, Amstelaedami  (ed. anastatica, HildesheimNew York ). F. Bücheler (-), Petronii Arbitri Saturarum Reliquiae, Berlin . W.E. Waters, Cena Trimalchionis, with English Notes, Boston  (rist. Chicago ). 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Quanto è sopravvissuto, attraverso rami diversi di trasmissione e talora attraverso tessere scompaginate di qualche ripresa letteraria oppure di derivazioni effettive o presunte , corrisponde con lacune al finale del XIV La prima stesura è comparsa in «Sileno» , , -. . Sui calcoli della possibile estensione del Satyricon vd. S.J. Harrison, Introduction a Id. (a cura di), Oxford Readings in the Roman Novel, Oxford Univ. Press, Oxford , xvii-xviii. . Vd. per es. A. Collignon, Pétrone au Moyen Age et dans la littérature française, Berger-Levrault et Cie, Paris-Nancy ; Id., Pétrone en France, Fontemoing, Paris ; E.T. Sage, Petronius, Poggio, and John of Salisbury, «Classical Philology» , , ; Id., Giraldus Cambrensis and Petronius, «Speculum» , , -; W. McDermott, Isidore and Petronius, «Classica et Mediaevalia» , , -; V. Pioletti, Giovanni di Salisbury e la Cena Trimalchionis, «Giornale Italiano di Filologia» , , -; Janet M. Martin, Uses of Tradition: Gellius, Petronius and John of Salisbury, «Viator» , , -; G. Polara, La tradizione medievale della novella del vetro infrangibile, in AA.VV., Semiotica della novella latina, Herder, Roma , -; G. Huber, Das Motiv der Witwe von Ephesus in lateinischen Texten der Antike und des Mittelalters, Narr, Tübingen ; J. Rodríguez Morales, Petronio en la biblioteca de Isidoro de Sevilla?, «Helmantica» , , -; A. Aragosti, Il ‘primo’ Petronio italiano: la particula di Poggio Bracciolini e il cod. Paris. Lat. , «Studi Classici e Orientali» , , -; D. Gagliardi, Petronio e il romanzo moderno. La fortuna del Satyricon attraverso i secoli, Firenze ; Catherine Connors, Rereading the Arbiter: Arbitrium and Verse in the Satyrica and in ‘Petronius redivivus’, in H. Hofmann (a c. di), Latin Fiction: the Latin ∗   Rileggendo Petronio e Apuleio libro, al XV libro e a parte del XVI (con probabili aggiunte di qualche spezzone derivante dai libri successivi). È interessante notare che per tre delle quattro classi di manoscritti si è debitori all’attività culturale del monachesimo benedettino di area francese, negli scriptoria di Auxerre, Fleury e Orléans. Il caso non è unico: un altro grande testo della narrativa latina, le Metamorfosi di Apuleio, sì è salvato grazie ai Benedettini di Montecassino, a conferma che l’Ordine non ha conosciuto o assecondato – per lunghi periodi - le pulsioni censorie che hanno accompagnato la storia delle istituzioni religiose e che sono culminate nel Concilio di Trento. Intendiamoci: le ragioni della sopravvivenza possono essere diverse e non riconducibili ad anacronistiche difese di ogni libertà d’espressione. Per esempio, le Metamorfosi apuleiane devono la conservazione anche o soprattutto alla discreta fortuna dell’autore, filosofo d’orientamento platonico discusso seriamente da Sant’Agostino; e d’interpretazione ‘filosofica’ se non dell’intera opera almeno della bella fabella di Amore e Psiche si parla fin dai tempi di Fulgenzio (V-VI sec. d.C.), Novel in Context, Routledge, London , -; H. McElroy, The Reception and Use of Petronius: Petronian Pseudepigraphy and Imitation, «Ancient Narrative» , -, -; Christiane Veyrard-Cosme, Jean de Salisbury et le récit de Pétrone: du remploi à l’exemplum, «Cahiers des Études Anciennes» , , -; M.L. Colker (ed.), Petronius rediuiuus et Helias Tripolanensis: id est Petronius rediuiuus quod Heliae Tripolanensis videtur necnon fragmenta (alia) Heliae Tripolanensis, Brill, Leiden ; Giovanna Galimberti Biffino, Il tema della vedova consolata in Boccaccio, in L. Castagna, E. Lefèvre (a c. di), Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi su Petronio e sulla sua fortuna, de Gruyter, Berlin-New York , -; Tiziana Ragno, Il teatro nel racconto. Studi sulla “fabula” scenica della Matrona di Efeso, Palomar, Bari , - (sulla coloritura petroniana di sententiae conservate da Giovanni di Salisbury); A. Livini, La lettura Petronii nel Medioevo e nel Rinascimento: indagine sull’evoluzione del genere satirico dal tardo antico all’età moderna, «Collection de la Maison de l’Orient Méditerranéen Ancien. Série littéraire et philosophique» , , -; Corinna Onelli, Freedom and Censorship: Petronius’ Satyricon in Seventeenth-Century Italy, «Classical Receptions Journal» , , -; Ead., Tra fonti erudite e lettori ordinari: una traduzione seicentesca del Satyricon, «Ancient Narrative» , , , -; Ead., Tra letteratura e filosofia: la ricezione libertina di Petronio nel Seicento, «Comunicazione filosofica» , , -; Ead., Clandestinità e trasgressione nel Seicento: una traduzione manoscritta del Satyricon di Petronio e i suoi lettori, «Italian Studies» , . . . Scrivere e riscrivere Petronio  autore che altresì testimonia conoscenza – forse non diretta – del Satyricon . Nel caso di Petronio le dimensioni della perdita sono così ampie che non si può escludere, talora, la presenza di intenzioni censorie; sappiamo però che quasi due terzi della parte superstite si sono salvati essenzialmente per due ragioni, sia perché sono stati considerati testi di buona scrittura su cui fondare lo studio della lingua latina, sia perché sono stati letti in controluce come documento di crisi della retorica scolastica e satira della società imperiale di Roma da parte di un testimone dei vizi della corte neroniana, in quanto l’autore è stato ed è identificato, senza eccessivi problemi, col Petronio Arbiter elegantiarum di cui conosciamo vita e morte grazie a Tacito (Annales , -) . In effetti,  brani di Petronio (proverbi, sentenze, brevi stacchi poetici e l’episodio della Matrona di Efeso) compaiono – insieme a passi scelti di Cicerone, Tibullo, Ovidio e altri – nelle raccolte antologiche (Florilegia, sigla φ negli apparati) che a partire dal XII sec. circolano in Gallia come repertori fraseologici in chiave di apprendimento linguistico . Quanto al resto, si registrano due classi di Excerpta manoscritti: i Brevia sive Vulgaria (classe O) che conservano Satyricon -, ; ; , -, ; i Longiora sive Maiora (classe L) che conservano le seguenti porzioni di testo: -, ; -,  (parte iniziale della Cena Trimalchionis); ; -; infine sette sentenze variamente ‘edificanti’ (per es. Nemo nostrum non peccat. Homines sumus, non . Vd. B. Baldwin, Fulgentius and his Sources, «Traditio» , , -; É. Wolff, Fulgentiana, in F. Chausson, É. Wolff (a c. di), Consuetudinis amor. Fragments d’histoire romaine offerts à Jean-Pierre Callu, “L’Erma” di Bretschneider, Roma , -. . Vd. tra gli altri G. Garbugino, Studi sul romanzo latino, Alessandria, Edizioni dell’Orso, , - (La poetica di Encolpio e il ritratto tacitiano di Petronio) con bibliogr. . B. L. Ullman, Petronius in the Mediaeval ‘Florilegia’, «Classical Philology» , , -; T. Brandis, W. Ehlers, Zu den Petronexzerpten des Florilegium Gallicum, «Philologus» , , -; J. Hamacher, Florilegium Gallicum: Prolegomena und Edition der Exzerpte von Petron bis Cicero, De oratore, Lang, Bern-Frankfurt am Main ; A.A. Goddu, R.H. Rouse, Gerald of Wales and the Florilegium Angelicum, «Speculum» , , -; R.H. Rouse, Florilegia and Latin Classical Authors in Twelfthand Thirteenth-Century Orléans, «Viator» , , -; R. Burton, Classical Poets in Florilegium Gallicum, Lang, Bern-Frankfurt am Main .  Rileggendo Petronio e Apuleio dei) trascritte di seguito a , , subito dopo due distici dedicati al supplizio di Tantalo presentato come simbolo del ricco avaro che non sa godere delle proprie ricchezze . Chi ha operato la scelta dei Brevia mostra preferenza per le sezioni in poesia, quasi totale disinteresse verso le parti a contenuto omoerotico, attenzione ai brani di argomento retorico e letterario; i Longiora presentano  versi in più, più del doppio delle sezioni in prosa, non percepibili intenzioni censorie. .. Edizioni Da queste due classi derivano le prime edizioni a stampa: dei Brevia compare l’editio princeps a Milano attorno al  per i tipi di Antonio Zarotto e per le cure di Franciscus Puteolanus Parmensis (Francesco Dal Pozzo, † ) . Editio princeps dei . Possibile restauro testuale in S. Poletti, Nemo . . . non nostrum peccat (Petron. Sat. .). Habinnas’ Maxim Restored, «Classical Quarterly» , , -. . Vd. Chr. Beck, The Manuscripts of the Satyricon of Petronius Arbiter Described and Collated, Riverside Press, Cambridge Mass. ; E.T. Sage, The Text Tradition of Petronius, «American Journal of Philology» , , -; B.L. Ullman, The Text of Petronius in the Sixteenth Century, «Classical Philology» , , -; M.C. Díaz y Díaz, La tradición textual de Petronio. Observaciones en torno a algunos manuscritos, «Euphrosyne» n.s. , , -; H. van Thiel, Petron. Ueberlieferung und Rekonstruktion, Brill, Leiden ; Id., Sulla Tradizione di Petronio: Appendice, «Maia» , , -; Albinia C. De la Mare, The Return of Petronius in Italy, in J.J.G. Alexander, M.T. Gibson (a c. di), Medieval Learning and Literature. Essays Presented to Richard William Hunt, Clarendon Press, Oxford , -; A.F. Sochatoff, Petronius Arbiter, in F.E. Cranz, P.O. Kristeller (a c. di), Catalogus translationum et commentariorum. Mediaeval and Renaissance Latin Translations and Commentaries, III, The Catholic Univ. of America Press, Washington , -; M.D. Reeve, Petronius, in L.D. Reynolds (a c. di), Texts and Transmission: A Survey of the Latin Classics, Oxford Univ. Press, Oxford , -; M.L. Colker, New Light on the Use and Transmission of Petronius, «Manuscripta» , , -; T. Wade Richardson, Reading and Variant in Petronius: Studies in French Humanist and Their Manuscript Sources, Univ. of Toronto Press, Toronto-Buffalo-London ; M. Di Simone, Le didascalie nel testo del Satyricon e la costituzione degli excerpta longa: percorsi di lettura, «SCO» , , -; R.H.F. Carver, The Rediscovery of the Latin Novels, in H. Hofmann (a cura di), Latin Fiction: the Latin Novel in Context, Routledge, London , -. . Vd. V. Scholderer, Printing at Milan in the Fiftheen Century, «The Library» . Scrivere e riscrivere Petronio  Longiora, posteriore di quasi un secolo, è l’editio Tornaesiana, che compare a Lione nel  per i tipi di Johannes Tornesius ( Jean de Tournes, -), con la collaborazione di Denis Lebey de Batilly (-) ; è seguita, nel giro di un decennio, dalle due edizioni parigine curate nel  e nel , con indubbi progressi ecdotici, da Petrus Pithoeus (Pierre Pithou, -) e comparse per i tipi di Mamert Patisson . Nei decenni successivi si susseguono le edizioni di Johann Wouwer nel  , di Melchior Goldast nel  , di Jean Bourdelot nel  , di Johann Peter Lotich nel  e nel medesimo anno di Theodore de Juges : tutte più volte ristampate, a s. IV, , , ; A. Rini, Petronius in Italy from the th Century to the Present Time, Cappabianca Press, New York , -; R. Contarino, Dal Pozzo, Francesco, detto il Puteolano, «Dizionario Biografico degli Italiani» (d’ora in poi «D.B.I.») ,  (on-line). . Vd. E. Stagni, Ricerche sulla tradizione manoscritta di Petronio: l’editio princeps del ’Longa’ e i codici di Tornesio, «Materiali e Discussioni» , , -; Id., Medioevo francese e classici latini: un nome ritrovato, ibid. , , - (a proposito del Magister transalpino Guido de Grana, ca -, fruitore degli Excerpta Longa petroniani). . Vd. M. McClure, A Comparative Study of the Pithoeus Editions of Petronius, Diss. Pittsburgh, ; T. Wade Richardson, Reading and Variant in Petronius, cit.,  sgg.; P. Leroy, M.-M. Fragonard (a c. di), Les Pithou, les Lettres et le Royaume, Paris . . Johannes Wowerius ( Johann Wower o Wouwer, -): Petronii Arbitri Satyricon, ed. Johannes a Wouweren, Leiden, ex officina Plantiniana Raphelengii,  (testo riedito nel , nel , più volte nel , nel , nel , nel , nel , nel ). Vd. L. Deitz, Ioannes Wower of Hamburg, Philologist and Polymath. A Preliminary Sketch of his Life and Works, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes» , , -. . G. Erhardus (Melchior Goldast, -): T. Petronii Arbitri Equitis Romani Satiricon, cum Petroniorum Fragmentis, edidit G. Ehrardus, Helenopoli (Frankfurt), pro bibliopoleo Ioan. Theobaldi Schönwetteri excudit Ioannes Bringerus,  (rist. , , ). . Joannes Bourdelotius ( Jean Bourdelot, † ): T. Petronii Arbitri Satyricon. Io. Bordelotius Emendavit, supplevit, Commentarium perpetuum adiecit, Parisii, per i tipi di Isaac Mesnier,  (Parisii, apud Ludovicum Boullanger, ; Leiden, apud Iustum Livium, ). . Johannes Petrus Lotichius ( Johann Peter Lotich, -): T. Petroni Arbitri Satyricon, noviter recensente J.P. Lotichio, Helenopoli (Frankfurt), excudebat Wolfgangus Hofmannus, . . Theodore de Juges (-): T. Petronij Arbitri Equitis Romani Satyricon, ed.  Rileggendo Petronio e Apuleio riprova dell’interesse che Petronio suscita nella Res publica litterarum europea, soprattutto in aree geografiche non sottoposte al controllo tridentino. Come si vede, dopo la princeps milanese dei Brevia l’Italia non dedica più nessuna cura editoriale al Satyricon. In realtà, la situazione sta per cambiare, in forza di un nuovo ritrovamento; ma prima che ciò avvenga, va registrata la comparsa di un fenomeno iniziato con brevi inserzioni interpolate nell’edizione parigina di Petronio () a cura di Jean Richard , vale a dire la ricerca o l’inserimento di presunte aggiunte testuali , e destinato a proporsi periodicamente lungo tutta la storia della ricezione moderna del Satyricon. Sempre nel corso del , infatti, l’umanista iberico José Antonio González de Salas incrementa tale atteggiamento e pubblica a Francoforte l’Extrema editio del Satyricon, con l’aggiunta di un piccolo numero di supplementi latini ritrovati, a detta dell’editore, in una imprecisata antica edizione parigina . Nulla di tutto questo è dato trovare nelle edizioni parigine conosciute; ma la tentazione di incrementare le pagine superstiti di Petronio sembra nascere dalla convergenza di duplice suggestione: l’aspirazione a colmare le lacune di un testo largamente frammentario; il precedente di Cidi Hamete Benengeli, il presunto autore araTh. de Juges, Genevae, apud Ioannem Mercerium,  (il testo è suddiviso in  capitoli). . Johannes Richardus: Satyricon Petronij Arbitri Viri Consularis. Longe quam antea tersius & emendatius. Cumulatae magnam partem lacunae praefixa hac nota “. Adiecta varia eiusdem auctoris epigrammata hactenus literariae lucis experta. Accesserunt Iani Douzae praecidanea & Ioan. Richardi notae, Apud Guilielmum Linocerium, Lutetiae Parisiorum MDXXCV. I praecidanea qui citati compaiono in Janus Dousa ( Jan van der Does, -), Petronii Arbitri Viri Consularis Satyricon, ex officina Ioannis Paetsii, Lugduni Batavorum MDXXCV. . T. Tschögele, Petronsupplemente von  bis , «Ancient Narrative» , , -. . José Antonio González de Salas (-): T. Petroni Arbitri Equitis Romani Satiricon. Extrema editio ex Musaeo D. Iosephi Antoni Gonsali De Salas, Helenopoli (Frankfurt), cura Wolfgangi Hofmanni,  (rist. ). Praeludia et commenta in Petronii Satyricon si leggono nel II vol. della II ed. di T. Petronii Arbitri Satyricon quae supersunt, curante Petro Burmanno, Amstelaedami, Jansson-Waesberg,  , . Vd. J. López Rueda, González de Salas, humanista barroco y editor de Quevedo, Fundación Universitaria Española, Madrid . . Scrivere e riscrivere Petronio  bo da cui deriverebbe, attraverso traduzioni, l’essenziale della storia di Don Chisciotte, come Miguel de Cervantes dichiara a partire dal capitolo IX della I Parte della sua opera . Cervantes riprende, in buona sostanza, un espediente diffuso nel poema cavalleresco di casa nostra, vale a dire la cronaca di Turpino, leggendario vescovo di Reims, indicata come fonte fittizia delle vicende di Orlando da Pulci, Boiardo e Ariosto; manco a dirlo il libro di Cervantes sarà a sua volta oggetto di ripresa e continuazione, come sappiamo dalla Continuation de l’ histoire de l’ admirable don Quichotte de la Manche di Robert Challe () . La finzione di manoscritti o di testi comunque ritrovati è ingrediente letterario destinato a lunga fortuna, come mostrano, a tacer d’altro, i casi del Manuscrit trouvé à Saragosse del conte polacco Jan Nepomucen Potocki (-), del dilavato e graffiato manoscritto dell’Anonimo citato da Alessandro Manzoni, oppure dello pseudobiblium Necronomicon di Abdul Alhazred inventato dalle fantasticherie non sempre irreprensibili dello statunitense Howard Phillips Lovecraft (-) . L’edizione di González de Salas è ristampata nel , alla vigilia di una scoperta – questa volta – reale che cambia in maniera definitiva la ricezione e l’esegesi del testo petroniano. . Vd. tra i contributi più recenti H. Mancing, Cide Hamete Benengeli vs. Miguel de Cervantes. The Metafictional Dialectic of Don Quijote, «Cervantes» , , -; D.J. Stewart, Cide Hamete Benengeli, Narrator of Don Quijote, «Medieval Encounters» , , -; J.G. Maestro, Cide Hamete Benengeli y los narradores del Quijote, in J.P. Sánchez (a c. di), Lectures d’une oeuvre. Don Quichotte de Cervantes, Editions du Temps, Paris , -; Carrol B. Johnson, Phantom Pre-texts and Fictional Authors: Sidi Hamid Benengeli, Don Quijote and the Metafictional Conventions of Chivalric Romances, «Cervantes» , , -. . R. Challe, Continuation de l’histoire de l’admirable Don Quichotte de la Manche, a cura di J. Cormier e M. Weil, Droz, Genève . . In generale vd. M. Farnetti, Il manoscritto ritrovato. Storia letteraria di una finzione, Società Editrice Fiorentina, Firenze . Per Cervantes e Manzoni è da vedere Marta Chini, Naturalmente un manoscritto: Cide Hamete e l’anonimo manzoniano, in Clizia Gurreri, Angela M. Jacopino, A. Quondam (a c. di), Moderno e modernità: la letteratura italiana (XII Congresso Nazionale dell’ADI, Roma - settembre ), redazione elettronica di Emilio Bartoli, Roma, Dipartimento di Italianistica e Spettacolo, .  Rileggendo Petronio e Apuleio Infatti, pochissimi anni dopo, verisimilmente nel corso del , viene recuperato a Traù, l’antica Tragurium, in Dalmazia un codice miscellaneo quattrocentesco di provenienza fiorentina: dopo testi di Tibullo, Properzio e Catullo, il codice riporta di Petronio gli Excerpta Brevia (ff. -), seguiti dal grande frammento noto come Cena Trimalchionis (ff. - = Satyricon ,  - , , sigla H). La scoperta del codex Traguriensis nella biblioteca del nobile Niccolò Cippico (Nikola Cipiko, -) è attribuita al dalmata Marin Statilić (Marinus Statileus o Statilius), doctor iuris nell’Università di Padova; e appunto a Padova esce, nel , l’editio princeps della Cena Trimalchionis , preceduta e seguita da annose discussioni sull’autenticità del Fragmentum Tragurii repertum (riedito più volte nel triennio successivo) , in quanto l’impasto linguistico delle conversazioni dei liberti alla mensa di Trimalchione sembrava (e in effetti è) assai lontano dal bel latino esibito dalle sentenze ospitate nei Florilegia e dai frammenti fino ad allora noti . . Editio Patavina: Petronii Arbitri Fragmentum Nuper Tragurij Repertum, Patavii, Typis Pauli Frambotti, . Storia del ritrovamento in Giovanni Lucio (Ivan Lučić, -), Memorie storiche di Tragurio, ora detto Traù, Venezia, Stefano Curti, ,  sgg. . Jacobus Mentelius (anagrammato in J.C. Tilebomenus; Jacques Mentel, ): Anekdoton ex Petronii Arbitri Satirico Fragmentum, Parisii, Typis Edmundi Martini, dec. . Johannes Schefferus ( Johann Scheffer, -): T. Petronii Arbitri Fragmentum Nuper Tragurii Dalmatiae Repertum, cum Adnotationibus Ioh. Schefferi, Upssala, excudit Henricus Curio, . Thomas Reines (Thomas Reinesius, -): T. Petronii Arbitri in Dalmatia Nuper Repertum Fragmentum, edidit Th. Reinesius, Leipzig, sumptibus Laur. Sigism. Cörneri, literis Christiani Michaelis, . Christoph Arnold (Chr. Arnoldus, -): T. Petronii Arbitri Fragmentum Traguriense, Veneti, ad Rom. Pontificem Oratoris benefico redintegratum. Una cum Jo. Caij Tilebomeni conjecturis, Hadriani Valesii et Jo. Christophori Wagenseilii dissertationibus epistolicis; aliorumque clarissimorum virorum judiciis, ad Christophorum Arnoldum super hac re perscriptis. Accedit V. C. Joh. Schefferi dissertatio, de fragmenti huius vero auctore; et Index necessarius, Noribergae, sumtibus Michaelis & Joh. Friderici Endterorum, . . In merito all’ampia polemica sull’autenticità ci si orienta grazie ai saggi di Nicola Pace: Nuovi documenti sulla controversia secentesca relativa al Fragmentum Traguriense della Cena Trimalchionis di Petronio, in R. Pretagostini, E. Dettori (a c. di), La cultura letteraria ellenistica. Persistenza, innovazione, trasmissione, Quasar, Roma , -; Ombre e silenzi nella scoperta del frammento traurino di Petronio . Scrivere e riscrivere Petronio  A dispetto di tenaci resistenze, sappiamo che la disputa si è risolta a favore dell’autenticità: decisiva in proposito è stata la presenza della sezione iniziale della Cena (Satyricon -, ) negli Excerpta Longiora; a partire da tale constatazione si sono progressivamente riconosciute a Petronio raffinate capacità mimetiche nel rappresentare il contrasto linguistico (e sociale) tra sermo vulgaris e lingua dei dotti. Succede così che a  anni dalla scoperta della Cena compaia finalmente, in compagnia dei Carmina Priapea e altri testi, la prima edizione del testo petroniano risultante da tutte le quattro classi, L O φ H, di testimoni riconosciuti: il volume esce ad Amsterdam nel  per i tipi di Joan Blaeu (-), editore noto, ma a firma di un curatore sconosciuto, Michael Hadrianides, personaggio del tutto ignoto oppure pseudonimo mai spiegato . Insomma: il Petronio riconosciuto viene messo a disposizione dei lettori europei da parte di un illustre sconosciuto; bisogna attendere altri  anni e passare attraverso numerose edizioni – anche e nella controversia sulla sua autenticità, in P.F. Moretti, C. Torre, G. Zanetto (a c. di), Debita dona. Miscellanea di studi in onore di Isabella Gualandri, D’Auria, Napoli , -; Documenti inediti dalla “Bibliothèque Nationale de France” del dibattito secentesco sul frammento traurino di Petronio, «Acme» , , -; L’epilogo ignoto della controversia seicentesca sul frammento traurino di Petronio, «Studi Umanistici Piceni» , , -; B. Lučin, Petronije na istočnoj obali Jadrana: Codex traguriensis (Paris. Lat. ) i Hrvatski Humanisti, «Colloquia Maruliana» , , - (con ampio riassunto in lingua inglese); S. Gibertini, Per una bibliografia critica del Codex Traguriensis (Paris, B. N. F., Lat. ), «Paideia» , , -; Id., Integrazioni alla bibliografia critica del Codex Traguriensis (Paris, B. N. F., Lat. ): -, ibid. , , -. I saggi di N. Pace sono raccolti ora, con l’aggiunta di un capitolo nuovo sulla Dissertatio di J. Scheffer, in Tragurii fetus mirabilis. Studi sulla controversia secentesca relativa al frammento di Petronio ritrovato in Dalmazia, LED, Milano ; sintesi parziale dello stesso A., New Evidence for Dating the Discovery at Traù of the Petronian Cena Trimalchionis, in M.P. Futre Pinheiro, D. Constan, B.D. MacQueen (a c. di), Cultural Crossroads in the Ancien Novel, de Gruyter, Berlin-Boston , -). . T. Petronii Arbitri Satyricon, cum Fragmento nuper Tragurii reperto. Accedunt diversorum Poetarum Lusus in Priapum. Pervigilium Veneris, Ausonii cento nuptialis, Cupido crucifixus, Epistolae de Cleopatra, & alia nonnulla. Omnia Commentariis, & Notis Doctorum Virorum illustrata. Concinnante Michaele Hadrianide, Amstelodami, apud J. Blaeuium,  (rist. Kessinger Publishing, LLC, Whitefish, MT ).  Rileggendo Petronio e Apuleio purgate – e rappresentazioni sceniche di corte , per giungere alla grande edizione dell’olandese Pieter Burman, filologo di vaglia che accompagna il testo con le proprie note e una ricca antologia di studiosi e commentatori di Cinque e Seicento . .. Falsi ritrovamenti e contraffazioni Nell’intervallo tra l’edizione di Hadrianides e quella di Burman accadono due eventi, di portata diversa, tuttavia in grado di dare la misura della fortuna di Petronio. Il più ampio è la “Querelle des Anciens et des Modernes” che – sappiamo bene – non ha davvero né vincitori né vinti, ma finisce per collocare il Satyricon in un territorio di confine, dove il testo si affranca dall’origine antica e viene accostato alle opere dei Modernes per vivacità di stile e varietà anticlassica degli episodi. Il secondo riguarda direttamente il testo e sembra riproporre, mettendo in scena nuovi protagonisti e nuove località (pur sempre di area balcanica) di presunti ritrovamenti, la vicenda della scoperta della Cena Trimalchionis: nel  François Nodot (-), ufficiale di ventura e poligrafo, annuncia all’Accademia di Francia d’essere in possesso di un manoscritto petroniano trovato . Johannes Andreas Bosius ( Johann Andreas Bose, -), Titi Petronii Arbitri Satyricon Puritate Donatum, ejectis obscoenis, commentisque Gonsalii, Lotichii, Aliorumque cum Fragmentis Trajur. et Albae Graecae recuperatis, usibus juventutis restitutum. Accesserunt annotationes e MSC. Jo. A. Bosii, Jena, Johannes Bielke, . . Come fa fede, per esempio, il manoscritto di Gottfried Leibniz, Trimalcion moderne, composé l’an  pour le Carneval d’Hanovre: vd. M.L. Babin, Leibniz und der Trimalcion Moderne. Edition der Berichte von der Aufführung im Februar , ed E. Schäfer, Das Festmahl des modernen Trimalcion, in L. Castagna, E. Lefèvre (a c. di), Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi su Petronio e sulla sua fortuna, de Gruyter, Berlin-New York , - e -. Anche Leibniz, insomma, va menzionato tra i ‘riscrittori’ di Petronio. . Petrus Burmannus (Pieter Burman, -): T. Petronii Arbitri Satyricon quae supersunt, curante Petro Burmanno, Trajecti ad Rhenum (Utrecht), apud Guilielmum Van de Water, , con le note tra gli altri di Nicolaus Heinsius (-) e di Jacobus Gronovius (-). La II ed., curata dal figlio Gaspard, è menzionata supra a n.  (rist. anastatica, Olms, Hildesheim-New York ). Il testo di Petronio è suddiviso in  capitoli, suddivisione divenuta canonica. . Scrivere e riscrivere Petronio  nel  durante l’assedio di Belgrado (Alba Graeca). Il manoscritto conterrebbe porzioni di testo latino sino ad allora ignote: l’anno successivo Nodot pubblica a Parigi – anche se il frontespizio reca l’indicazione di Rotterdam – l’edizione del presunto Petronius auctior col titolo Titi Petronii Arbitri Satyricon, cum fragmentis Albae Graecae recuperatis nunc demum integrum . L’attacco dell’apostrofe iniziale al lettore è piuttosto impegnativo in merito alle dimensioni del ritrovamento: En tibi, Lector erudite, Titum Petronium Romani quondam leporis Arbitrum, at eum non ut antehac mancum, aut mutilum: sed sanum, sed incolumem, sed suis omnibus membris restitutum. Non meno netta suona la chiusa: Hoc quoque te monitum velim, ne quid esset, quod desiderares, Epistolas subiecimus duas, quarum quae prior totam novarum (sic) Fragmentorum historiam, quibus scilicet artibus recuperata ea sint, breviter simul exponit ac dilucide. Nova vero Fragmenta, ut facilius distinguantur, Italico caractere excusa sunt. Vale . Modernità dell’autore e incremento del testo provocano una serie di ristampe, corredate dalla Traduction entière e aperte da una Vie de Pétrone che rielabora e amplifica le notizie ricavate da Tacito; le parti esegetiche, inoltre, puntano su motivazioni edificanti, in quanto l’opera è considerata satira non troppo coperta della corruzione della corte di Nerone, identificato con Trimalchione, mentre il retore Agamennone sarebbe controfigura di Seneca . Non sorprende che dalla pretesa trouvaille nasca una fitta discussione sull’autenticità dei nuovi frammenti, ma questa volta il verdetto dei dotti è negativo: come fu se. Roterodami, Typis R. Leers,  (in realtà Parisii). . Op. cit., -. A seguire compaiono in latino la lettera dell’ottobre  di Nodot a François Charpentier (-) dell’Académie Française, con l’annuncio che «Petroniana mihi apud me esse Fragmenta, quotquot era desiderabantur», e la risposta del novembre successivo in cui Charpentier si congratula per il ritrovamento ed esclama: «Tu thesaurum, cuius vel minima pars omni aestimatione superior, totum nobis, integrumque restituis». . Vd. per es. Traduction entière de Pétrone, suivant le nouveau manuscrit trouvé à Bellegrade en , I-II, Cologne, chez P. Groth,; La Satyre de Petrone, traduite, avec le texte latin suivant le nouveau manuscrit trouvé à Bellegrade en , I-II, Cologne, chez Pierre Marteau, .  Rileggendo Petronio e Apuleio gnalato tempestivamente , le ‘parti ritrovate’ appaiono frutto dell’immaginazione di Nodot, che iscrive il proprio nome a pieno titolo, come falsario petroniano, nella storia della Literary Forgery ; falsario di tutto rispetto – è il caso di dire – dato che la sua edizione è periodicamente ristampata e oggi fa mostra di sé anche nella rete dei libri on-line. Dell’episodio, della fortuna delle interpolazioni nonché delle reazioni provocate danno utilmente notizia i volumi di Walter Stolz e di Silvia Stucchi: il primo documenta la falsificazione e passa in rassegna le edizioni di Nodot; il secondo ricostruisce un capitolo della storia letteraria europea e mette a disposizione del lettore di casa nostra la traduzione francese e la resa italiana dei passi interpolati, segnalando nel commento come le aggiunte di solito servano da buon raccordo tra sezioni sconnesse per la frammentarietà del testo e diano prova della sintonia del falsario con l’originale . Non a caso si è scritto di recente che le ragioni per cui meritano ancor oggi di essere ristampate le aggiunte di Nodot, apprezzabili dal punto di vista narrativo, consistono nel fatto che «they offer good links between the fragments and therefore make it easier to understand the whole story» . . Vd. George Pellisier (pseud. di Claude-Ignace Breugière de Barante, ), Observations sur le Pétrone trouvé à Belgrade, Paris, Veuve Daniel Hortemels, . . In generale vd. J. Anson Farrer, Literary Forgery, Longman and Green, London , - (sul codex Traguriensis), - (su Simonidis); G. Bagnani, On Fakes and Forgeries, «Phoenix» , , -; A. Grafton, Forgers and Critics. Creativity and Duplicity in Western Scholarship, Princeton Univ. Press, Princeton ; K.K. Ruthven, Faking Literature, Cambridge Univ. Press, Cambridge . Ulteriori dati bibliografici in Anne H. Stevens, Forging Literary History: Historical Fiction and Literary Forgery in Eighteenth-Century Britain, «Studies in Eighteenth Century Culture» , , -, e in J. Martínez (a c. di), Fakes and Forgers of Classical Literature. Ergo decipiatur!, Brill, Leiden-Boston . . W. Stolz, Petrons Satyricon und François Nodot: Ein Beitrag zur Geschichte literarischer Falschung, Steiner, Stuttgart ; Silvia Stucchi, Osservazioni sulla ricezione di Petronio nella Francia del XVII secolo. Il caso Nodot, Aracne, Roma . Vd. inoltre M.E. Steinberg, Interpolaciones en el testo de Petronio: F. Nodot y las traducciones del Satyricon, «Anales de Filología Clásica» -, -, -. . Così C. Laes, Forging Petronius: François Nodot and Fake Petronian Fragments, «Humanistica Lovaniensia» , , - (la citazione è tratta da p. ). . Scrivere e riscrivere Petronio  Va subito aggiunto che il caso Nodot non pone termine alla tentazione di produrre nuovi manoscritti con ulteriori frammenti, di inventare nuove porzioni di testo, di scrivere e riscrivere Petronio. Oltre un secolo dopo il manoscritto di Belgrado fa la sua comparsa un presunto manoscritto rinvenuto nella Biblioteca elvetica di San Gallo: a proclamarne il ritrovamento e a renderlo di pubblico dominio è l’iberico José Marchena Ruiz y Cueto (-?), ex religioso riparato in Francia per sfuggire all’Inquisizione, vicino a Marat, poi ai Girondini, infine a Bonaparte. Presente a Basilea al seguito del generale Moreau, Marchena studia la sessualità antica; mette pertanto a punto un nuovo frammento petroniano (da inserire all’altezza di Satyricon , , a integrazione dell’orgia con Quartilla) atto a corroborare il tenore delle proprie ricerche, ne dedica la pubblicazione all’Armata napoleonica del Reno e attribuisce versione francese e note a un fantomatico teologo di nome Lallemand (L’Allemanno?) . Anche il Petronio di Marchena (che nel  cerca inutilmente di far pubblicare  ‘nuovi’ versi di Catullo) continua a far parte della biblioteca non solo virtuale del presente, come mostra una riedizione uscita in Spagna di recente . A questo punto mette conto ricordare un caso, per così dire opposto, da far risalire agli anni in cui Marchena oscillava tra rivoluzionari e armata napoleonica, per poi rendere di pubblico dominio il ‘suo’ Petronio di San Gallo. Protagonista è Jean-Gabriel La Porte du Theil (-), valente studioso del mondo classico, membro dal  de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, successivamente socio de l’Académie de . Fragmentum Petronii ex Bibliothecae Sti Galli Antiquissimo MSS. Excerptum, nunc Primum in Lucem Editum. Gallice vertit ac notis perpetuis illustravit Lallemandus, S. Theologiae Doctor, Schoell, Basel  («in every line it has exactly the Petronian turn of phrase», a giudizio di Stephen Gaselee). Vd. A. Smarius, Pseudo-Petronius. Het ‘Fragmentum Petroni’ van José Marchena, Diss. Amsterdam ; J. Álvarez Barrientos, Libertine erudition: José Marchenaìs Fragmentum Petronii and the Power of the False, in J. Martínez (a c. di), Fakes and Forgers of Classical Literature, cit., -. . José Marchena, Fragmentum Petronii. Edición de J. Álvarez Barrientos, Espuela de Plata, Sevilla .  Rileggendo Petronio e Apuleio France ricostituita e infine conservatore della Bibliothèque Nationale. Appunto nella Bibliothèque sono conservati tre volumi petroniani, con testo latino – inclusi i falsi di Nodot –, traduzione francese e note, opera di La Porte du Theil . Della mancata diffusione non si conoscono le ragioni effettive: si può pensare a un episodio di censura, in contraddizione con lo spirito del tempo che predicava la libertà di stampa e vedeva una riedizione del Pétrone latin et français di Nodot ( voll., Paris, chez Gide, ), ma non si può escludere un caso d’insoddisfazione o di autocensura da parte di un intellettuale che metteva al primo posto la serietà del lavoro critico . Manoscritti ritrovati, editori sconosciuti o troppo riservati, falsari e traduttori-fantasma: la storia di Petronio continua a essere ricca di colpi di scena. Ed è storia che non finisce, perché la frammentarietà del testo costringe anche i filologi di professione a fare i conti con situazioni problematiche che facilitano il ricorso a soluzioni congetturali, dunque a riscritture editoriali. La prova più chiara è data dall’ottima edizione berlinese curata nel  da Franz Bücheler (-), uno dei maestri della filologia tedesca del secondo Ottocento . Edizione fondamentale – va detto – che è servita e serve da base di tutte le edizioni critiche che si sono susseguite fino ai nostri giorni, tut. Titi Petronii Arbitri Satyricôn, Quotquot Hodie Supersunt Fragmenta, Baudouin, Paris -; BnF, rés. P.Z. -. Sempre nella Bibliothèque nationale è conservato un dossier di  fogli in cui sono recensiti manoscritti, edizioni e traduzioni francesi del Satyricon (BnF, dept. des manuscripts, papiers La Porte du Theil, vol. n° ). . Vd. H. Omont, L’Edition du Satyricon de Pétrone par la Porte du Theil, «Journal des Savants» , , - e , , -; D. Lanni, Pétrone au bûcher. L’édition avortée du Satyricon de Jean-Gabriel La Porte du Theil : un exemple des enjeux, mécanismes et paradoxes de la censure des éditions savantes au tournant des Lumières (-), in J. Domenech, Censure, autocensure et art d’écrire, Ed. Complexe, Bruxelles , -. . Petronii Arbitri Saturarum Reliquiae ex recensione Francisci Buecheleri, Weidmann, Berlin  (editio maior,  ;  ); nello stesso anno esce l’editio minor: Petronii Arbitri Saturarum Reliquiae. Adiectus est Liber Priapeorum, recensuit F. Bücheler, ibid.). La VI edizione è stata aggiornata da Wilhelm Heraeus (-): F. Bücheler, W. Heraeus (edd.), Petronii Saturae et Liber Priapeorum, rec. F. Bücheler, ed. sextam suppl. auctam cur. G. Heraeus, Berlin  ( ;  ). . Scrivere e riscrivere Petronio  tavia non esente da tentazioni interventiste piuttosto vivaci. In presenza di sconnessioni sintattiche o di senso Franz Bücheler interviene, direttamente nel testo o in apparato, con congetture personali o altrui; di contro, là dove il testo corre ma presenta iterazioni enfatiche o endiadi di natura retorica, si tende a proporre l’espunzione di porzioni testuali condannate come glosse esplicative via via insinuate nel testo per mano di copisti poco attenti. L’elenco dei passi di volta in volta denunciati come interpolazioni inizia presto e continua fino a noi . Il Novecento non fa eccezione, se pensiamo che Konrad Müller, il benemerito curatore dell’edizione teubneriana, cioè dell’edizione di riferimento oggi per tutti i classicisti, ha pubblicato nel corso di oltre un quarantennio  edizioni e una ristampa riveduta e corretta (-), proponendo un testo costantemente sottoposto a revisione e notevolmente ritoccato nel tempo . Come esempio di casa nostra si può menzionare l’edizione paraviana curata da Gian Carlo Giardina e Rita Cuccioli Melloni: in più di un caso la doverosa attenzione riservata alla fase dell’emendatio sconfina in sostituzioni lessicali e parziali riscritture . . Un primo elenco è già nell’inedito Integer Commentarius in Petronium di Christian Friedrick W. Jacobs (-) che si legge in copia manoscritta conservata nella Cambridge University Library e datata ; altre indicazioni in W. Wehle, Observationes criticae in Petronium, Formis C. Georgi, Bonn . Vd. inoltre M. Coccia, Le interpolazioni in Petronio, Edizioni dell’Ateneo, Roma ; J.P. Sullivan, Interpolations in Petronius, «Proceedings of the Cambridge Philological Society» , , - (che evoca l’ipotesi di Eduard Fraenkel a proposito di un precoce Carolingian Interpolator), . Petronii Arbitri Satyriconcum Apparatu Critico, ed. K. Müller, München, E. Heimeran,  (Müller ); Petronius. Satyrica, lat.-deutsch von K. Müller und W. Ehlers, Heimeran, München  (Müller ); Petronius. Satyrica, lat.-deutsch von K. Müller und W. Ehlers, ibid., (Müller ); Petronii Arbitri Satyricon reliquiae, ed. K. Müller, Teubner, Stutgardiae et Lipsiae  (Müller ); Petronii Arbitri Satyricon reliquiae. Editio iterata correctior editionis quartae (MCMXCV), Saur, MünchenLeipzig  (Müller ; rist. Monachii et Novi Eboraci, W. De Gruyter, ). Vd. M. Coccia, Konrad Müller e le interpolazioni in Petronio, «Riv. di Cultura Classica e Medioevale» , , -. . Petronii Arbitri Satyricom recognoverunt et emendaverunt Ioannes Carolus Giardina et Rita Cuccioli Melloni, Corpus Paravianum, Augustae Taurinorum ; gli interventi sul testo petroniano sono raccolti in G. Giardina, Contributi di critica  Rileggendo Petronio e Apuleio Se dunque anche il Petronio dei filologi non è sempre eguale a se stesso e sfida lettori ed interpreti con la sua frammentarietà e la sua incompiutezza , nessuna meraviglia che il Satyricon possa far sentire suggestioni e influenze su autori che rappresentano, generazione dopo generazione, le voci della modernità; basti pensare a scrittori come Anatole France, Joris Karl (meglio, Charles-Marie-Georges) Huysmans, Oscar Wilde (a cui è stata attribuita la traduzione uscita a Parigi nel  e firmata “Sebastian Melmoth”) , Francis Scott Fitzgerald, Thomas Stearns Eliot, Henry Miller, Pier Paolo Pasolini, Alberto Arbasino, Gore Vidal, oppure a musicisti come Giorgio Gaslini e Bruno Maderna . Discorso a parte meriterebbe la riscrittura testuale. Da Catullo alla Historia Augusta, Herder, Roma , -. Il testo dell’edizione paraviana è reso in italiano in Petronio. Satyricon, a cura di Monica Longobardi, presentazione di Cesare Segre, Barbera, Siena . . G. Vannini, Petronio per il nuovo millennio: i traguardi raggiunti e le tendenze della ricerca, in AA. VV., Lector, intende, laetaberis. Il romanzo dei Greci e dei Latini, Edizioni dell’Orso, Alessandria , -. . “Sebastian Melmoth”: Petronius. Satyricon, Charles Carrington, Paris  (reprinted as “attributed to Oscar Wilde, -”, P. Covici, Chicago ). L’attribuzione è contestata da R. Boroughs, Oscar Wilde’s Translation of Petronius: the Story of a Literary Hoax, «English Literature in Transition» , , -. Sugli interessi e le traduzioni inglesi per il testo petroniano vd. S. Gillespie, Petronius on Dreams:  Years of English Translations, «Translation and Literature» , , -. . Qualche citazione alla rinfusa: G.L Schmeling, D.R. Rebman, T. S. Eliot and Petronius, «Comparative Literature Studies» , , -; H.K. Riikonen, Petronius and Modern Fiction: Some Comparative Notes, «Arctos» , , -; D. Gagliardi, Petronio e il romanzo moderno. La fortuna del Satyricon attraverso i secoli, La Nuova Italia, Firenze ; Maria Grazia Bajoni, Variazioni su Petronio: qualche nota sulla fortuna del Satyricon nel Novecento, «Maia» , , -; M. Fusillo, Il Satyricon di Bruno Maderna: un’opera ‘poliglotta’, «Kleos» , , -; R. Chevallier, La bibliothèque de Des Esseintes ou le latin ‘décadent’: une question toujours d’actualité, «Latomus» , , -; N. Endres, A Bibliography of Petronius’ Nachleben in Modern Literature, «Petronian Society Newsletter» , ; P. Lago, Petronio e Petrolio: una rilettura contemporanea del Satyricon, «Maia» , , -; N. Endres, Roman Fever: Petronius’ Satyricon and Gore Vidal’s The City and the Pillar, «Ancient Narrative» , , -; Id., Petronius in West Egg: The Satyricon and the Great Gatsby, «The F. Scott Fitzgerald Review» , , -; S. Pasticci, La presenza del Satyricon sulla scena culturale degli anni Settanta, da Maderna a Pasolini, «Musica e Realtà» , , -, M. Fusillo, Petronius and Contemporary Novel. Between New Picaresque and Queer Aesthetics, in M.P. Futre Pinheiro, S.J. Harrison (a c. di), Fictional Traces. Receptions of . Scrivere e riscrivere Petronio  filmica operata da Federico Fellini, che  anni or sono metteva in scena il canovaccio di Petronio contaminato con spunti derivati da altri autori antichi (Svetonio, per esempio, e Tacito e soprattutto Apuleio) e interpretato, fellinianamente, come una triste dolce vita di una Roma imperiale ormai in fase di avanzata decomposizione (Fellini-Satyricon, distribuito nel ) . La fortuna del vero Satyricon, il testo antico più tradotto nelle lingue moderne, non esclude – ovviamente – curiosità e interesse per il Satyricon che non c’è, che è stato inventato o che non è ancora stato ritrovato. Nel , per esempio, si stampa a New York, per i tipo di Horace Liveright, la traduzione curata da W. C. Firebaugh, corredata dai supplementi che si devono a González de Salas, Nodot e Marchena: The Satyricon of Petronius Arbiter. Complete and unexpurgated translation by W. C. Firebaugh, in which are incorporated the forgeries of Nodot and Marchena, and the readings introduced into the text by De Salas. Sopravvissuto a un precoce processo per oscenità scaturito dalla vena puritana della società statunitense , scomparso a quanto risulta dopo il  dai canali tradizionali di vendita, il volume è ora accessibile come e-book (eBooks@Adelaide, ) che si scarica a pagamento da Internet o si stampa su richiesta. Che il comune senso del pudore d’oltre Atlantico non conosca unicamente severe pulsioni repressive sembra the Ancient Novel, Barkuis, Groningen , -; R. Maclean, A Petronian Brothel in the Great Gatsby, «Ancient Narrative» , , -; A. Musio, Petronio in moviola: riscritture della Cena Trimalchionis a confronto, «Calíope» , , -. . Vd. A. Sütterlin, Petronius Arbiter und Federico Fellini. Ein strukturanalytischer Vergleich, Lang, Frankfurt am Main ; J. P. Sullivan, The Social Ambience in Petronius’ Satyricon and Fellini Satyricon (), in M.M. Winkler (a c. di), Classical Myth and Culture in the Cinema, Oxford Univ. Press, Oxford , -; Joanna Paul, FelliniSatyricon: Petronius and Film, in J. Prag, I. Repath (a c. di), Petronius. A Handbook, Blackwell, London , -: R. De Berti, E. Gagetti, F. Slavazzi (a c. di), FelliniSatyricon. L’immaginario dell’antico, Cisalpino-Monduzzi, Milano . Si veda in questo volume Petronio e gli altri nel “Satyricon” di Federico Fellini. . Le illustrazioni del testo, a cura di Norman Lindsay, e le interpolazioni di Marchena comportano alla casa editrice un’accusa di pubblicazione oscena. Per questo e per casi analoghi vd. H. McErroy, The Reception and Use of Petronius: Petronian Pseudepigraphy and Imitation, «Ancient Narrative» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio confermare il fatto che sotto lo pseudonimo di Petronius venga pubblicato New York Unexpurgated: An Amoral Guide for the Jaded, Tired, Evil, Non-conforming, Corrupt, Condemned, and the Curious, Humans and Otherwise, to Under Underground Manhattan, Matrix House, New York . Succede così che una casa editrice specializzata in pubblicazioni hard di non eccelso profilo (come mostrano titoli analoghi messi in circolazione nello stesso anno) e un compilatore di non raffinata cultura finiscano per affidarsi al nome dell’antico autore latino per diffondere una guida ai piaceri e alle perversioni del presente . Intanto il ‘giuoco del Satyricon’ (per dirla alla maniera del compianto Edoardo Sanguineti) non conosce sosta, per buona sorte su altro piano. «Quod autem nec Nodotius nec Marchena est ausus, id unus Arrius est aggressus, ut Encolpi Petroniani casus ab ipsis exordiis suppositiciis denarraret»: nel  Harry C. Schnur, anzi Gaius Arrius Nurus (-), traduttore e poeta, nel pubblicare un’ulteriore versione tedesca dell’opera (Petron. Satyricon: Ein römischer Schelmenroman, Reclam, Stuttgart , rist. ), non resiste alla tentazione di dare vita a un suo supplemento. Tuttavia, a differenza dei falsari d’antan, la paternità non viene celata: Gai Arri Nuri, Encolpi casus, biografia e vicende di Encolpio, dalla nascita all’ingresso nella scuola di retorica di Agamennone, narrate ovviamente in prima persona, allo scopo di rendere meno sconnessa o più perspicua la storia . . Vd. H. McElroy, The Reception and Use of Petronius cit., -. . E. Sanguineti (-), Il giuoco del Satyricon. Un’imitazione da Petronio, Einaudi, Torino . La traduzione di Sanguineti, insieme a quella di Piero Chiara (testo latino a cura di Federico Roncoroni) è ristampata in Petronio. Satiricon, Mondadori, Milano . . Vd. D. Sacré, Gai Arri Nuri Supplementum Petronianum, in G. Tournoy, D. Sacré (a c. di), Pegasus devocatus. Studia in honorem C. Arri Nuri sive Harry C. Schnur. Accessere selecta eiusdem opuscula inedita, Peteers, Leuven , - (Praefatio et Encolpi casus); Chr. Laes, Imitating Petronius: H.C. Schnur’s Petronian Supplement, in D. Sacré, G. Tournoy (a c. di), Myricae. Essays in Memory of Jozef Ijsewijn, ibid., , -; T. Tschögele, Petronische Prosa von John Barclay bis Harry Schnur: ein Beitrag zur Rezeptionsgeschichte der Satyrica, «Göttinger Forum für Altertumswissenschaft» , , -. . Scrivere e riscrivere Petronio  Trent’anni dopo Luca Canali (Roma, -), traduttore collaudato di Petronio e già consulente di Fellini per la pellicola del , propone una nuova versione inserita in un romanzo ambientato nel nostro presente: Satyricon. Se Petronio l’avesse scritto oggi, Piemme, Casale Monferrato  . Nel  Ellery David Nest – probabile nomen fictum alla stregua dell’Ellery Queen della letteratura poliziesca, come finti suonano i titoli accademici maturati nelle improbabili Università di Osnanich of Heidelberg e di Carlboro State in East Manchester (Massachussetts) – pubblica a proprie spese la traduzione inglese di episodi che gettano uno sguardo indiscreto sulle perversioni dell’antica Roma e che immediatamente precederebbero l’inizio del Satyricon superstite, affermando che derivano da un manoscritto ritrovato nel  a Morazla (Bosnia) da tal Reinhardt Strüch (fortunatamente «a German scholar familiar with the works of ancient Rome») e già edito da un non meglio conosciuto dr. David S. Johnson (The New Satyricon: The Recovered Books, Monticello Park Press, NY). Il volume del troppo Emeritus Professor Nest s’intitola The Satyricon: The Morazla Scrolls, Tamarac, Florida, Llumina Press, e ha la pretesa di far conoscere quanto precede il vero incipit del Satyricon, vale a dire il viaggio sulla nave di Lica da Marsilia a Ostia, il tenore dell’offesa a Priapo e ulteriori scene che fanno rimpiangere la misurata inventiva di François Nodot. Se a Nest si è debitori di un dettagliato e falso prologo, non manca chi si è premurato di consegnare al lettore di oggi un nuovo epilogo dell’opera, un finalino commemorativo che riassume alcuni temi cari al narratore antico. Questa volta l’autore è un personaggio reale, Andrew Dalby, linguista, storico e studioso di gastronomia, redattore di Wikipedia nato a Liverpool nel  e titolare di un sito on-line con tanto di Curriculum vitae et studiorum, noto soprattutto per il volume dal titolo Redisco. Vd. L. Canfora, Canali, un finale per il Satyricon di Petronio, «Il Corriere della Sera» del .., . Merita qui un cenno anche Ugo Dèttore (-), che durante la Seconda Guerra Mondiale pubblica una traduzione italiana del Satyricon con alcune aggiunte: Satyricon, Bianchi-Giovini, Milano .  Rileggendo Petronio e Apuleio vering Homer: Inside the Origins of the Epic (New York ), in cui ripropone, approfondita, la tesi di Samuel Butler (The Authoress of the Odyssey, ) che Omero era una donna, a parere di Dalby moglie di un nobile greco, forse «vissuta nel VII sec. a.C. e contemporanea di Archiloco». Ebbene, poco prima di ‘documentare’ la metamorfosi femminile del cantore di Achille e di Odisseo, Mister Dalby ha affidato a una Rivista internazionale, pubblicata dall’University California Press e specializzata in cibi d’ogni epoca e d’ogni dove, poco più di una decina di pagine in cui si narra di un banchetto immaginato a Marsiglia (patria probabile dell’autore) una ventina di anni dopo l’episodio finale di Crotone: The Satyrica Concluded, in «Gastronomica. The Journal of Food and Culture» /, , - (il banchetto, offerto questa volta da Encolpio, viene raccontato dal ritrovato retore Agamennone). Insomma: tradotto e riscritto, commentato e imitato, incrementato o impoverito da editori più o meno interventisti, crocevia tra inventive antiche e recenti, Petronio si rivela davvero come il più moderno degli scrittori antichi. Capitolo III Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio∗ .. Scene e racconto Dalle Quaestiones convivales di Plutarco sappiamo che era tradizione dei simposi del mondo greco concedere spazio ad attori che recitavano scene di mimi o versi di Menandro; anzi, sempre a detta di Plutarco, sarebbe stato più facile immaginare un simposio senza vino piuttosto che un simposio senza Menandro . Il paradosso plutarcheo, a ben vedere, è solo apparente, se si tiene conto di testimonianze antiche: per tempo infatti – molto prima dell’età di Menandro e della sua fortuna parateatrale – si deve prendere atto non soltanto della stretta connessione tra simposio e attività poetica, ma più in generale della presenza di aspetti spettacolari entro la cornice della commensalità. Per esempio, il Simposio di Senofonte ( a.C.), nel descrivere il banchetto immaginato nella dimora del ricco Callia in occasione della vittoria nel pancrazio ottenuta nelle Panatenee del  a.C. dal favorito del padrone di casa, presenta una situazione interessante per la storia degli spettacoli privati. Nell’intervallo tra banchetto e simposio un ‘impresario’ di Siracusa introduce ∗ La prima stesura è comparsa in M. Blancato, G. Nuzzo (a cura di), La commedia latina: modelli, forme, ideologia, fortuna, Istituto Nazionale del Dramma Antico, Siracusa , -. . Plut. Quaest. conv. b e b. Vd. C. Corbato, Symposium e teatro: dati e problemi, e G. Brugnoli, Mimi edaces, in F. Doglio (a c. di), Spettacoli conviviali dall’antichità classica alle corti italiane del ‘, Viterbo , - e - (il contributo di C. Corbato è ristampato in ΟΙΝΗΡΑ ΤΕΥΧΗ. Studi triestini di poesia conviviale, a c. di K. Fabian, E. Pellizer, G. Tedeschi, Alessandria , -).   Rileggendo Petronio e Apuleio nella sala una flautista, una ballerina e un suonatore di cetra che allietano i commensali (tra cui siede Socrate), intercalando ai discorsi dei presenti esibizioni di particolare destrezza (danza dei cerchi e delle spade); infine, al termine dei conversari, l’uomo di Siracusa presenta due ballerini – femmina e maschio – che interpretano, con danza apertamente mimetica, l’incontro tra Arianna abbandonata e Dioniso sulla spiaggia di Nasso. Sul contenuto erotico dello spettacolo non ci dovrebbero essere dubbi, se diamo retta al commento finale d’autore: «Quando i simposiasti li videro strettamente allacciati tra loro e far le viste di andare a letto insieme, i celibi giuravano di volersi sposare, mentre gli ammogliati in tutta fretta partivano a cavallo alla volta delle proprie spose, per godere della loro compagnia. [. . . ] Questa fu allora la conclusione del simposio». Bene: il binomio tra convito e spettacolo sembra godere di tradizione di lunga durata, tanto più se si ammette che le pratiche di commensalità in vigore nelle ricche dimore greche possono riprodurre, in forma minore e privata, prassi conviviali attestate nelle regge dell’epica omerica, come fa fede tra l’altro l’iporchema narrato in Odissea , -, vale a dire gli amori di Ares e Afrodite cantati da Demodoco nella reggia dei Feaci durante il banchetto in onore dell’ospite (ancora per poco) ignoto, mentre un coro di giovanetti mima l’episodio mitico, destinato a grande fortuna come motivo filosofico-letterario e come prototipo celeste dei mimi d’adulterio . Ma se il simpo. Xen. Symp. , -, - e ; , -. Vd. B. Huss, The Dancing Socrates and the Laughing Xenophon, or the Other Symposium, «American Journal of Philology» , , -; A. Andrisano, Lo spettacolo privato del Simposio senofonteo: riflessioni a proposito dell’esegesi di IX -, «Annali dell’Università di Ferrara» , , -; V. Wohl, Dirty Dancing: Xenophon’s Symposium, in P. Murray, P. Wilson (a c. di), Music and the Muses. The Culture of ‘Mousiké’ in Classical Athens, Oxford , -. Sulla mimesi che compete all’arte degli orchestai si discute a partire da Aristot. Poet. a -: «Di solo ritmo, senza unione di musica e canto, consiste l’arte dei danzatori: anche costoro mediante ritmi e figure imitano caratteri, passioni e azioni». . Vd. W. Burkert, Das Lied von Ares und Aphrodites. Zur Verhältnis von Odyssee und Ilias, «Rheinisches Museum» n. F. , , - (= The Song of Ares and Aphrodite, in Homer, in W. Burkert, Classical Scholarship in Translation, a c. di P.V. Jones e . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  sio greco offre spazi e opportunità per sezioni spettacolari in grado di assicurare divertimento e buona digestione, bisogna attendere l’avvento dell’impero romano per trovare, con buona frequenza, situazioni speculari e inverse in cui sono le forme dello spettacolo a dettare le leggi del convito. Naturalmente, l’operazione appare facilitata se il regista del convito coincide con l’imperatore o, comunque, con personaggi di grandi mezzi e grande potere. In merito non è necessario prendere le mosse dai costosi pranzi quotidiani di Lucullo o dalla grandiosa cena pontificale allestita nel  a.C. da Quinto Cecilio Metello Pio, per poi scomodare tardi allestimenti sfarzosi alla maniera di Elagabalo, lungo itinerari precipiti di immaginate e deplorate decadenze ; sono infatti sufficienti notizie coeve all’avvento del principato. A tacere delle esibizioni conviviali di Lucio Munazio Planco alla corte di Antonio e Cleopatra (note da Velleio Patercolo , , : cum caeruleatus et nudus caputque redimitus arundine et caudam trahens, genibus innixus Glaucum saltasset in convivio) , G.M. Wright, Oxford , -); B.K. Braswell, The Song of Ares and Aphrodite: Theme and Relevance to Odyssey , «Hermes» , , -; C.G. Brown, Ares, Aphrodite, and the Laughter of the Gods, «Phoenix» , , -; S. Grandolini, Gli Amori di Ares e Afrodite nel Canto di Demodoco (Od. , -): un esempio antichissimo di ΣΠΟΥΔΟΓΕΛΟΙΟΝ, in C. Santini, L. Zurli (a c. di), Ars Narrandi. Scritti di Narrativa Antica in Memoria di Luigi Pepe, Perugia , -; M.J. Alden, The Resonances of the Song of Ares and Aphrodite, «Mnemosyne» , , -; L. Edmunds, Mars as Hellenistic Lover: Lucretius, De rerum natura , - and its Subtexts, «International Journal of the Classical Tradition» , , -; J. Burgess, Neoanalysis, Orality and Intertextuality. An Examination of Homeric Motif Transference, «Oral Tradition» , , -; R. Palmisciano, Gli amori di Ares e Afrodite (Od. , -). Statuto del discorso e genere poetico, «Seminari Romani» , , -; T. Braccini, Divino scandalo. Gli amori di Ares e Afrodite tra folktales e storie sacre, in AA.VV., Il trono variopinto. Figure e forme della Dea dell’Amore, Alessandria , -. . Per Lucullo vd. Plut. Luc. -; elenco dei prestigiosi convitati e ricco menu della cena del  a.C. si leggono in Macr. , , - (vd. N. Marinone, Il banchetto dei pontefici in Macrobio, in Id., Analecta graecolatina, Bologna , -); per le dispendiose e controverse abitudini di Elagabalo si rinvia a Hist. Aug., Heliog. - (vd. M. Sommer, Elagabal, Wege zur Konstruktion eines ‘schlechten’ Kaisers, «Scripta Classica Israelica» , , -; G. Mader, History as Carnival, or Method and Madness in the Vita Heliogabali, «Classical Antiquity» , , -). . La presenza del verbo saltare sembra evocare un’esibizione di pantomima. Vd. S. Swain, Novel and Pantomime in Plutarch’s ‘Antony’, «Hermes» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio da Svetonio veniamo a sapere che ad Augusto (almeno in gioventù) non dispiacesse intervenire come attore in spettacoli audaci a uso privato. Così in Aug.  viene ricordata una poco morigerata esibizione teatral-gastronomica anteriore ad Azio: «Fu molto famosa una sua cena segreta che dalla voce popolare veniva chiamata dei ‘Dodici Dèi’, durante la quale i convitati avevano preso posto in veste di dèi e di dee e il principe stesso si era travestito da Apollo. Non gliela rinfacciano solo le lettere di Antonio, il quale enumera con critica molto pungente i nomi di tutti i partecipanti, ma anche questi notissimi versi circolanti sotto anonimato: «Quando per questa mensa fu ingaggiato il corego / e la casa di Manlio vide sei dèi e sei dee, / con Cesare empiamente travestito da Apollo / a imbandire adulterii di numi finora sconosciuti, / distolsero gli occhi dal mondo tutti i celesti / e lo stesso Giove fuggì dall’aureo suo trono. Ad aumentare lo scandalo della cena furono la carestia e la fame di cui soffriva allora la città». Appunto sotto Augusto, nel  a. C. secondo il Chronicon di S. Gerolamo, decolla a Roma la pantomima, grazie agli attoridanzatori Batillo di Alessandria e Pilade di Cilicia, esperti (o iniziatori) di esibizioni mimetiche su temi mitologici, specializzato il primo in danze comico-parodiche (saltatio hilara), il secondo in danze drammatiche (saltatio tragica). La rappresentazione – vero e proprio teatro di gestualità, musica e danza, a svantaggio della parola – ha come protagonisti un coro, un’orchestra, istrioni e danzatori . Si noti: il fatto che Pilade sia liberto di . Sul repertorio dei pantomimi (orchestai, saltatores, histriones) informa Lucian. De saltatione. Vd. per es. V. Rotolo, Il pantomimo: studi e testi, Palermo ; M. Kokolakis, Pantomimos and the Treatise perì orchéseos, «Platon» , , -; J.-P. Morel, Pantomimus allectus inter iuvenes, in J. Bibauw (a c. di), Hommages à M. Renard, Bruxelles , –; M.L. Angrisani Sanfilippo, Testimonianze sulla fortuna del pantomimo a Roma, «Studi Romani» , , -; H. Leppin, Histrionen. Untersuchungen zur sozialen Stellung von Bühnenkünstlern im Westen des röm. Reiches zur Zeit der Republik und des Principats, Bonn ; G.F. Gianotti, Forme di consumo teatrale: mimo e spettacoli affini, in O. Pecere, A. Stramaglia (a c. di), La letteratura di consumo nel mondo greco-latino, Bari , -; E.J. Jory, The Drama of the Dance. Prolegomena to an Iconography of Imperial Pantomime, in W.J. Slater (a c. di), Roman Theater and Society, Ann Arbor , -; M.E. Molloy, Libanius and the Dancers, . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  Augusto e Batillo di Mecenate aiuta a comprendere quali siano gli orientamenti della corte in tema di spettacoli (popolari), con buona pace della polemica oraziana contro il cattivo gusto della plebecula e a difesa del teatro dotto modellato sugli exemplaria greca. Sempre ai tempi di Augusto è attivo a Roma il mimografo greco Filistione: autore di komodìai biologikài, sembra il primo a insistere su temi decisamente erotici, potenziando gli aspetti audaci e scollacciati che accompagnano la vicenda del mimo nella società imperiale . È comunque probabile che i suoi testi fossero letterariamente sostenuti e facessero rivivere accenti di buona tradizione poetica, a giudicare dalla messa a punto di una synkrisis tra Menandro e Filistione destinata a discreta circolazione scolastica e, chissà, a recite alternate durante i Hildesheim-Zürich-New York ; M.-H. Garelli-François, La pantomime antique ou les mythes revisités: le repertoire de Lucien (Danse, -), «Dioniso» n.s. , , -; E.J. Jory, Roman Pantomime, London ; I. Lada-Richards, Silent Eloquence. Lucian and Pantomime Dancing, London ; E. Hall, R. Wyles (a c. di), New Directions in Ancient Pantomime, Oxford ; M. Cadario, L’immagine di una vedette del pantomimo: l’altare funebre di Teocritus Pylades (CIL ) tra Lodi e Milano, «Stratagemmi. Prospettive Teatrali» , , -; A. Zanobi, Seneca’s Tragedies and the Aesthetics of Pantomime, London-New York ; G. Tedeschi, Spettacoli e trattenimenti dal IV sec. a.C. all’età tardo-antica secondo i documenti epigrafici e letterari, Trieste ; Id., Raccontar danzando. Excursus sulla pantomima imperiale, «Camenae» , , -. . Un’idea sulla natura dei mimi obscena iocantes d’età augustea si ricava da Ovidio (Tristia , -). Vd. R.W. Reynolds, The Adultery Mime, «The Classical Quarterly» , , -; P.E. Kehoe, The Adultery Mime Reconsidered, in D.F. Bright, E.S. Ramage (a c. di), Classical Texts and their Tradition. Studies in Honor of C.R. Trahman, Chico (California) , -; E. Rawson, The Vulgarity of the Roman Mime, «Liverpool Classical Papers» , , -; S. Perea Yébenes, Extranjeras en Roma y en cualquier lugar: mujeres mimas y pantomimas, el teatro en la calle y la fiesta de Flora, in G. Bravo, R. Gonzáles Salinero (a c. di), Extranjeras en el Mundo Romano, Madrid , -; C. Panayotakis, Comedy, Atellane Farce and Mime, in S. Harrison (a c. di), A Companion to Latin Literature, Oxford , -; Id., Women in the GraecoRoman Mime of the Roman Republic and the Early Empire, «Ordia Prima» , , -; L. Cicu, Il mimo teatrale greco-romano. Lo spettacolo ritrovato, Roma ; M. Andreassi, «Adultery Mime»: da pratica scenica a modello ermeneutico, «Rheinisches Museum» , , -; V. Gonzáles Galera, Histrionicus miles: mimos en las cohortes vigilum y en ejército romano, «Conventus Classicorum» , , -. . S. Jäkel (ed.), Menandri sententiae. Comparatio Menandri et Philistionis, Lipsiae ; vd. C. Pernigotti, La “Comparatio Menandri et Philistionis”: tradizione del testo e morfologie testuali, in M.S. Funghi (a c. di), Aspetti di letteratura gnomica nel mondo  Rileggendo Petronio e Apuleio banchetti; sappiamo però bene che nella storia del mimo e della pantomima il testo non rappresenta certo l’ingrediente più importante e decisivo. Tuttavia, se risulta secondaria ai fini dell’esecuzione di spettacoli del genere (e in prospettiva delle nostre conoscenze in proposito), la presenza di un testo ritrova tutta la centralità e l’importanza, quando altri generi letterari trasmettano notizie, ricostruiscano ed evochino situazioni, subiscano e accolgano nel proprio tessuto connettivo il riverbero di immagini e cadenze proprie di tali rappresentazioni. Possiamo quindi riprendere il discorso là dove si era interrotto, in vista cioè di descrizioni di conviti in cui si avvertano espliciti richiami ai modi della teatralità popolare, di quella teatralità, dunque, che a Roma risulta largamente egemone, anche perché – come si è detto – voluta o incoraggiata dal potere imperiale. Quanto sin qui premesso muove, ovviamente, nella direzione della narrativa antica e suggerisce un’inevitabile incursione nel Satyricon di Petronio, con particolare attenzione al grande intermezzo noto come Cena Trimalchionis (Petron. ,  - , ) . Non è questa la sede per ridiscutere l’identità dell’autore o l’eventualità che in Trimalchione vada ravvisata la caricatura di qualche imperatore; mi limito a dire che, in compagnia della grande maggioranza degli studiosi più recenti , ritengo antico, II, Firenze , - (a C. Pernigotti si deve l’ed. delle Menandri sententiae, Firenze ). La notizia del lessico Suda (F  Adler) che Filistione possa essere l’autore del Philogelos è accettata o contestata periodicamente dagli studiosi, a far data da H. Reich, Der Mimus. Ein litterar-entwickelungsgeschichtlicher Versuch, Berlin  (rist. Hildesheim ), -, convinto che molti spunti della raccolta risalgano a mimi di Filistione: rassegna in M. Andreassi, Le facezie del Philogelos, Lecce , -. . Per edizioni, traduzioni e commenti si rinvia alla Nota bibliografica del primo saggio qui ristampato. Per le realtà conviviali romane vd. per es. N.W. Slater (a c. di), Dining in a Classical Context, Ann Arbor ; E. Gowers, The Loaded Table: Representations of Food in Roman Literature, Oxford ; K. Dunbabin, The Roman Banquet: Images of Conviviality. Cambridge ; M.B. Roller, Diner Posture in Ancient Rome: Bodies, Values and Status, Princeton . . Come si ricava dal lavoro di K.F.C. Rose, The Date and Author of the Satyricon, Leiden . Vd. W. Keulen, Il romanzo latino, in L. Graverini, W. Keulen, A. Barchiesi, . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  che l’autore del Satyricon sia da identificare col personaggio descritto da Tacito in Annales , - e che nella figura di Trimalchione non sia delineato un profilo specifico e riconoscibile, ma che ai connotati di più d’un principe dei Giulio-Claudi si sommino i tratti marcatamente grotteschi di qualche personaggio comico . Piuttosto, ci si limiterà a ribadire come gli aspetti comici e umorosi della prosa petroniana siano in buona misura tributari e, insieme, concorrenti degli spettacoli di età imperiale. Insomma, ammesso che si possa parlare di ‘romanzo comico’ per il Satyricon , si deve altresì ammettere che il ridiculum non sia unicamente di natura verbale (giochi di parole, motti di spirito, cambio repentino di registri espressivi, malintesi voluti o involontari, sermo cotidianus e accensioni letterarie, lessico scabroso e sintassi perturbata, riuso di espressioni proverbiali), ma si realizzi anche mediante descrizione di colpi di scena, drammaticità di dialoghi, caratterizzazione farsesca di personaggi, scenari pacchiani e trovate a sorpresa . In effetti, in tale Il romanzo antico. Forme, testi, problemi, Roma , -. . Da condividere le considerazioni di E. Courtney, A Companion to Petronius, Oxford-New York  , -. . In proposito si possono vedere B.E. Perry, Petronius and the Comic Romance, «Classical Philology» , , -; Chr. Stöcker, Humor bei Petron, Diss. ErlangenNürnberg ; D. Gagliardi, Il comico in Petronio, Palermo ; N.W. Slater, Reading Petronius, Baltimore-London ; S. Ruden, Toward a Typology of Humour in the Satyricon of Petronius, Cambridge (Mass.) ; M. Plaza, Laughter and Derision in Petronius’ Satyrica: a Literary Study, Stockholm ; Ead., The Culture of Folk Humour in Petronius’ Cena Trimalchionis, «Literary Imagination» , , -; V. Rimell, The Satiric Maze: Petronius, Satire and the Novel, in K. Freudenburg (a c. di), The Cambridge Companion to Roman Satire, Cambridge , -. . Già B.E. Perry, The Ancient Romances. A Literary-Historical Account of their Origins, Berkeley-Los Angeles , , ha osservato come il ‘romanzo’ antico costituisca una forma letteraria fluida quanto a fonti e definizioni, ma capace di far rivivere a parole passione per il mondo degli spettacoli e aspetti della vita teatrale. Sui rapporti tra teatro e narrativa vd. per es. J.W.H. Walden, The Stage-terms in Heliodorus’s Aethiopica, «Harvard Studies in Classical Philology» , , -; E. Marino, Il teatro nel romanzo: Eliodoro e il codice spettacolare, «Materiali e Discussioni» , , -; Th. Paulsen, Inszenierung des Schicksals: Tragödie und Komödie im Roman des Heliodorus, Trier ; E. Mignogna, Leucippe in Tauride (Ach. Tat. , -): mimo e ‘pantomimo’ tra tragedia e romanzo, «Materiali e Discussioni» , , -; D. Crismani, Il teatro nel romanzo ellenistico d’amore e d’avventura, Alessandria ; S.  Rileggendo Petronio e Apuleio ottica, la Cena Trimalchionis offre un campionario spettacolare di prim’ordine ; proviamo a scorrerne insieme il catalogo. .. Scene da una Cena: chi narra e chi guarda A voler iniziare dai commensali della Cena, si può dire che la miscela non inerte di personaggi di scuola, come il praeceptor eloquentiae Agamennone e i presunti scholastici Encolpio e Ascilto , a contatto con Trimalchione e gli altri liberti presenti a Couraud Lalanne, Théâtralité et dramatisation rituelle dans le roman grec, «Groningen Colloquia on the Novel» , , -; L. Graverini, La scena raccontata: teatro e narrativa antica, in F. Mosetti Casaretto (a c. di), La scena assente? Realtà e leggenda sul teatro nel medioevo, Alessandria , - (sintesi in L. Graverini, W. Keulen, A. Barchiesi, Il romanzo antico, cit.,  sgg.). . Vd. P.G. Walsh, The Roman Novel. The Satyricon of Petronius and the Metamorphoses of Apuleius, Cambridge , -; G.N. Sandy, Scaenica Petroniana, «Transactions and Proceedings of the American Philological Association» , , -; G. Rosati, Trimalchione in scena, «Maia» , , - (= Trimalchio on Stage, in Oxford Readings in the Roman Novel, ed. by S.J. Harrison, Oxford , -); N.W. Slater, Reading Petronius, cit., -; C.P. Jones, Dinner Theater, in N.W. Slater (a c. di), Dining in a Classical Context, cit., -; S. Bartsch, Actors in the Audience: Theatricality and Doublespeak from Nero to Hadrian, Cambridge Mass.  (Appendix : The Cena Trimalchionis as Theater, -); M. Faltenbacher, Anmerkungen zur Cena Trimalchionis des Petron, «Anregung» , , -; L.A. Callari, La Cena come spettacolo e lo spettacolo come cena nel Satyricon di Petronio, Palermo ; C. Panayotakis, Theatrum Arbitri. Theatrical Elements in the Satyrica of Petronius, Leiden , in part. - (vd. S. Morton Braund, Petronius on Stage, «Classical Review» , , -); V. Rimell, Petronius and the Anatomy of Fiction, Cambridge , - (Behind the Scenes); M.E. Steinberg, El escenario teatral en la Cena de Trimalción: ex machina y parodia, in S. López Moreda, J. Gómez Santa Cruz (a c. di), Ideas. Las varias caras del conflicto: guerra y culturas enfrentadas, Madrid , -; J. Augier-Grimaud, La théâtralité dans la Cena Trimalchionis: esthétique du vulgaire et fracture sociale, «Bulletin de l’Association G. Budé» , -; S.D. Steven, From Drama to Narrative. The Reception of Comedy in the Ancien Novel, in S.D. Olson (a c. di), Ancient Comedy and Reception, Berlin , -. Non manca chi sostiene che il testo petroniano vada preso in considerazione non solo in funzione della lettura ma anche della recitazione: V. Rudich, Petronius: the Immoral Immoralist, in Id., Dissidence and Literature under Nero: the Price of Rhetoricization, London , . . Così in ,  Encolpio dice ad Ascilto: et tu litteras scis et ego; e Ascilto replica: hodie . . . tamquam scholastici ad cenam promisimus. Sulla figura dello scholasticus nel mondo antico e sulla tradizione che lo vuole oggetto di battute e storielle . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  tavola contiene un elemento d’immediata portata drammatica, vale a dire la differenza sociale e culturale tra i due gruppi. Tale dislivello è destinato a sfociare in triplice esito: l’ammirazione stuporosa e costante dei primi di fronte alle lautitiae della dimora (, : casula erat, nunc templum est) e della mensa (dum omnia stupeo di , ; repleti voluptatibus di , ; in his eramus lautitiis di , ; potantibus ergo nobis et accuratissime lautitias mirantibus di , ; damus omnes plausum di , ; ‘sophos’ universi clamamus di , ; damnavi ego stuporem meum di , ; mirari nos celeritatem coepimus di , ; plausum post hoc automatum familia dedit di , ; comprobamus nos factum di , ; nec diu mirari licuit tam elegantes strophas di , ; attonitis admiratione universis di , ; miramur nos et pariter credimus di , ); i conversari dei convitati (Filerote, Ermerote, Echione, Seleuco, Ganimede, Nicerote, Abinna, ovvero una sorta di “Convito dei Sette / Otto diversamente Sapienti”) ; la tensione tra gli ex-schiavi e gli comiche vd. M. Andreassi, Le facezie del Philogelos, cit., -. Sui nomi parlanti – esito che accomuna il Satyricon e la tradizione della commedia – vd. S. Priuli, Ascyltus. Note di onomastica petroniana, Bruxelles ; G. Petrone, Nomen/omen: poetica e funzione dei nomi (Plauto, Seneca, Petronio), «Materiali e Discussioni» -, , -; J. Perkins, Trimalchio: Naming Power, in S.J. Harrison, M. Paschalis, S. Frangoulidis (a c. di), Metaphor and the Ancient Novel, Groningen , -; H. Solin, Onomastica petroniana. Il senso nascosto dei nomi nel Satyricon, «Il Nome nel Testo» , , -. . Il tema delle lautitiae, vere o caricaturali (comunque sempre esibite), corre lungo l’intero testo superstite del Satyricon. Vd. ,  (episodio di Quartilla: in proximam cellam ducti sumus, in qua tres lecti strati erant et reliquus lautitiarum apparatus splendidissime expositus); ,  (Trimalchio lautissimus homo); ,  (cum has ... miraremur lautitias); ,  (in his eramus lautitiis, cum Trimalchio ad symphoniam allatus est); ,  (potantibus ergo nobis et accuratissime lautitias mirantibus); ,  (nec adhuc sciebamus nos in medio lautitiarum, quod aiunt, clivo laborare); ,  (an tibi non placent lautitiae domini mei?); ,  (Scissa lautum novendialem servo suo misello faciebat); ,  (has lautitias aequavit ingeniosus cocus); ,  (in aliud triclinium deducti sumus ubi Fortunata disposuerat lautitias); ,  (Eumolpo: utinam quidem, «inquit», sufficeret largior scena, id est vestis humanior, instrumentum lautius, quod praeberet mendacio fidem); ,  (Enothea, ne quod vestigium sceleris superesset, totum anserem laceratum verubus confixit, epulasque etiam lautas paulo ante, ut ipsa dicebat, perituro paravit). . Con tracce di parodia filosofica, come ricorda F. Bessone, Discorsi dei liberti e parodia del “Simposio” platonico nella “Cena Trimalchionis”, «Materiali e Discussioni» , , -; vd. anche F. Dupont, Le plaisir et la lois. Du “Banquet” de Platon au “Satiricon”, Paris ; J. Bodel, The Cena Trimalchionis, in H. Hofmann (a c. di), Latin  Rileggendo Petronio e Apuleio uomini di lettere che porta, come vedremo, a forme di scontro verbale, blando quello di Trimalchione in persona che fa la lezione al retore Agamennone (,  e , -), acceso e risentito sul piano sociale quello di Ermerote nei confronti di Ascilto e Gitone (-). Succede così che gli scholastici siano ammessi alla Cena non solo come invitati, ma anche (o soprattutto) come narratori e spettatori interni al racconto. Lo spettacolo inizia subito, ancor prima dell’ingresso nella casa dell’ospite, in quanto già la scena preliminare del bagno attira lo sguardo, genera sorpresa e suscita ammirazione e promuove il racconto: «Noi nel frattempo, vestiti di tutto punto, cominciamo a gironzolare o, piuttosto, a scherzare e ad avvicinarci ai crocchi di giocatori, quando all’improvviso vediamo un vecchio calvo, vestito d’una tunica rosso-vivo (videmus senem calvum, tunica vestitum russea) che gioca a palla in mezzo a una schiera di schiavi giovanetti dalle lunghe chiome. E non erano tanto i ragazzotti, sebbene ne valesse la pena, a costituire lo spettacolo che aveva attirato i nostri sguardi (ad spectaculum duxerant), quanto il padrone di quella schiera che in ciabatte (soleatus) si esercitava con una palla verde-pisello. Né mai si curava di raccogliere quella che cadeva a terra, ma c’era uno schiavo che ne aveva un sacco pieno e riforniva a sufficienza i giocatori. Notammo altresì delle novità (notavimus etiam res novas): due eunuchi, infatti, stavano in piedi a due estremità opposte del cerchio; di questi l’uno reggeva in mano un pitale d’argento, l’altro contava le palle, non quelle – però - che rimbalzavano da una mano all’altra nel gioco dei rilanci, ma quelle che cadevano a terra. Mentre restiamo ammirati di fronte a queste raffinatezze (cum has ergo Fiction. The Latin Novel in Context, London-New York , -. Atteggiamenti del genere non sono assenti dai mimi di Decimo Laberio: vd. per es. T. De Filippi, Laberio e i filosofi, «Quaderni del Dip. di Filologia, Linguistica e Tradizione Classica. Univ. di Torino» , -. . È troppo vedere in questo termine un’allusione al mimo, cioè al genere di spettacolo che rinuncia all’impiego di maschere sceniche e all’uso di calzari (fabula planipedaria, mimi excalceati), per puntare sulla gestualità e la mimica del volto o, più in generale, sull’espressività del corpo senza eccessivi impacci? . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  miraremur lautitias), giunge di corsa Menelao e dice: “È questo l’uomo presso il quale state per mettervi a tavola; anzi, state già vedendo l’inizio della cena (iam principium cenae videtis)” . Menelao aveva appena terminato di parlare che Trimalchione fece schioccare le dita; a quel segnale l’eunuco gli pose sotto il pitale mentre quello continuava a giocare. Liberata la vescica, egli chiese dell’acqua per le mani; bagnata appena la punta delle dita, se le asciugò tra i capelli di un servitorello. Sarebbe troppo lungo elencare ogni dettaglio. Entrammo dunque nella stanza da bagno: riscaldati dalla sudata, nel giro di un attimo passammo alla doccia fredda. Già Trimalchione, cosparso da capo a piedi d’unguento, veniva asciugato non con semplici teli di lino, ma con accappatoi di lana morbidissima. Intanto, sotto i suoi occhi, tre massaggiatori bevevano del Falerno e poiché, tra risse e litigi, ne versavano a terra la maggior parte, Trimalchione affermava che questo era un brindisi alla sua salute. Quindi, avvolto in una coperta di colore scarlatto (involutus coccina gausapa), fu fatto accomodare sulla lettiga, preceduta da quattro battistrada ornati di insegne e da una carrozzina a mano in cui veniva trasportato il suo favorito, un ragazzino piuttosto vizzo, cisposo, ancora più brutto del suo padrone. Mentre dunque veniva portato via, gli si avvicinò all’altezza del capo un musicante con un flauto di piccolissime dimensioni e come se avesse da dire qualche segreto all’orecchio, continuò a suonare per tutto il tragitto. Noi lo seguiamo, ormai pieni di ammirazione (sequimur nos admiratione iam saturi), e in compagnia di Agamennone giungiamo alla porta di casa sul cui stipite era affissa una targa con questa iscrizione: “qualunque schiavo uscirà di casa senza ordine del padrone riceverà cento nerbate”. Del resto proprio all’ingresso c’era il portiere vestito di verde con tanto di cintura color ciliegia (ostiarius prasinatus, cerasino succinctus cingulo) ed era intento a pulire piselli in un piatto . Vera e propria «didascalia da teatro», secondo M. Barchiesi, L’orologio di Trimalchione: struttura e tempo narrativo in Petronio (), in Id., I moderni alla ricerca di Enea, Roma , .  Rileggendo Petronio e Apuleio d’argento (in lance argentea). Sulla soglia, poi, stava appesa una gabbia dorata (cavea pendebat aurea) nella quale una gazza dalle penne screziate (pica varia) salutava coloro che entravano» (,  - , ). In effetti, lo spettacolo – vivacissimo – è assicurato fin dai preliminari e non lascia dubbi sull’intenzionale imitatio vitae di quotidiane realtà. Lo sguardo del narratore e dei suoi compagni (videmus, notavimus, videtis, singula excipere, admiratione saturi) è catturato da un personaggio vistoso, un vecchio calvo (figura propria del teatro popolare, della farsa atellana e del mimo) avvolto in colori sgargianti, rappresentato in atteggiamenti ludici e triviali, accompagnato da un corteo multiforme (giovani schiavi dotati di lunghi capelli, eunuchi, massaggiatori, musicisti) che gronda opulenta ostentazione e prefigura meno lieta comitiva , seguito infine dagli stessi spettatori fin sulla soglia di casa, dove i colori dell’ostiarius (a tacere dalla variegata livrea di gazze loquaci) raddoppiano il colpo d’occhio prodotto dai colori padronali e l’oro e l’argento di gabbie e supellettili confermano ostentate opulenze. La situazione non cambia con l’ingresso nella sontuosa dimora dell’anfitrione, in quanto di sorpresa e ammirazione non minori sono oggetto le pareti dipinte dell’atrio (, -) e le decorazioni in postibus triclinii (, -) . Entro i confini di questo impressionante scenario gli . Vd. L. Cicu, Moechus calvus, «Sandalion» -, , -. . Secondo D. Gagliardi, Il corteo di Trimalcione. Nota a Petron. , -, «Riv. di Filologia e di Istruzione Classica» , , - (cfr. Id., Il tema della morte nella Cena petroniana, «Orpheus» , , -), il piccolo corteo evocherebbe un corteo funebre, in linea con la costante preoccupazione della morte che aleggia nel contesto della Cena. Vd. W. Arrowsmith, Luxury and Death in the Satyricon, «Arion» , , -; A.D. Leeman, Morte e scambio nel romanzo picaresco di Petronio, «Giornale Italiano di Filologia» , , -; C. Chandler, First Impressions: Eschatological Allusion in Petronius, Satyrica -, in C. Deroux (a c. di), Studies in Latin Literature and Roman History, XII, Bruxelles , –. . Vd. G. Bagnani, The House of Trimalchio, «American Journal of Philology» , , -; L. Bocciolini Palagi, L’apoteosi di Trimalchione e l’arte plebea del curiosus pictor (Petr. Sat. , -), «Quaderni di Cultura e Tradizione Classica» , , -; B. Wesenberg, Zur Wanddekoration im Hause des Trimalchio, in L. Castagna, E. Lefèvre (a c. di), Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi su Petronio e sulla sua fortuna, . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  scholastici rivelano la propria caratura di ‘intellettuali di rango minore’ e finiranno per abbandonare il ruolo effettivo di protagonisti a Trimalchione e ai liberti suoi pari, per comportarsi da spettatori stupiti e ammirati del mimus vitae che si svolge di fronte e accanto a loro, costretti – dall’autore nascosto che usa la parodia ai danni dei suoi personaggi – a registrare la supremazia dei gesti e delle parole degli indocti e a prendere atto dell’inadeguatezza e dell’inefficacia dei propri studi e della propria eloquenza. Insomma, insieme ai suoi compari, risulta più attendibile dei presunti specialisti del discorso pubblico un parvenu, astuto ed esibizionista, che si vanta di lasciare agli eredi una smisurata fortuna e di «non aver mai ascoltato un filosofo» . Sembra allora pienamente confermata la discussione de causis corruptae eloquentiae con cui si apre, segnata dalle parole di Encolpio, quello che per noi è l’incipit del Satyricon: le tirate dei declamatori sarebbero da tollerare, «se aprissero la strada a chi aspira all’eloquenza. Ora invece dall’enfasi degli argomenti e dal vuoto baccano delle espressioni i giovani ricavano un unico vantaggio: una volta giunti nel foro pensano di esser stati sbalestrati in un altro pianeta (putent se in alium orbem terrarum delatos). Ritengo perciò che gli adolescenti a scuola finiscano per rimbecillire del tutto, perché non ascoltano e non vedono nulla di quanto abbiamo a portata di mano (quia nihil ex his, quae in usu habemus, aut audiunt aut vident)» . Perché Berlin-New York , -. . Vd. A. La Penna, L’intellettuale emarginato da Orazio a Petronio, in AA.VV, Il comportamento dell’intellettuale nella società antica, Genova , -. . Per dirla alla maniera di G.B. Conte, L’autore nascosto. Un’interpretazione del Satyricon, Bologna  (Pisa  ). . Come suona la parte finale dell’epitafio funebre dettato in , : sestertium reliquit trecenties nec unquam philosophum audivit. . Petron. , -. Vd. per es. P. Cosci, Per una ricostruzione della scena iniziale del Satyricon, «Materiali e Discussioni» , , -; G. Kennedy, Encolpius and Agamemnon in Petronius, «American Journal of Philology» , , -; W. Kissel, Petrons Kritik der Rhetorik (Sat. -), «Rheinisches Museum» , , -; P. Soverini, Il problema delle teorie retoriche e poetiche di Petronio, in Aufstieg und Niedergang der röm. Welt II . , , -; C. Pellegrino, T. Petronio Arbitro, Satyricon. I  Rileggendo Petronio e Apuleio la società delineata da Petronio assuma l’aspetto di un mondo capovolto non è dunque necessario attendere l’episodio finale ambientato a Crotone e la sovversione dei valori ivi praticata . Già la Cena, infatti, muove nella medesima direzione e si presenta come mundus inversus, in cui tutti sono implicati nelle dinamiche di inevitabili processi metamorfici e si vengono a trovare in posizioni estranee alle loro condizioni o alle loro origini. In particolare, gli intellettuali, di solito abituati a respirare alta letteratura e a deridere i pauperorum verba , si riducono al ruolo di spettatori, abilitati unicamente a emettere segnali di ammirazione e far sentire suono di applausi . Di contro gli indocti, che appaiono in evidente ascesa sociale in quanto detentori di ricchezza ma non (ancora) del potere del linguaggio, occupano saldamente il centro della scena e si improvvisano capitoli della retorica, Introduzione, testo critico, commento, Roma ; M. Gonoji, The Criticism of Rhetorical Education in “Satyricon”, «Classical Studies» , , -; C. Salles, Le professeur de rhétorique et son élève: les positions de Pétrone et de Quintilien, «Euphrosyne» , , -; P. Fedeli, L’eloquenza come metafora: Petron. , ; G. Petrone, La regola di Agamennone, e Th. Baier, Encolps Phantasiae, in L. Castagna, E. Lefèvre (a c. di), Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi su Petronio e sulla sua fortuna, cit., -, - e -; J.C. Mirales Maldonado, La critica della retorica contemporanea nel Satyricon di Petronio, «Maia» , , -; A. Iacoviello, La retorica sovversiva. Commento a Petr. Satyricon §§ -, Bari -. . Vd. P. Fedeli, Petronio: Crotone o il mondo alla rovescia, «Aufidus» , , -; Suk-Young Kim, The Shade of Saturnalia in the Satyricon of Petronius, in J. Augustyn, E. Matheis (a c. di), Carnival. A History of Subversive Representations, New York , -; G. Vogt-Spira, Ars pervertendi. I Satyrica di Petronio e i limiti del rovesciamento, in L. Castagna, G. Vogt-Spira (a c. di), Pervertere. Aesthetik der Verkehrung. Literatur und Kultur neronischer Zeit und ihre Rezeption, München-Leipzig , -. . Così si legge in Petron. , , su cui si avrà modo di tornare più avanti. . Non è un caso se l’esecuzione di un poema classicheggiante centrato sulla Troiae halosis da parte di un rappresentante (squalificato) della categoria dei litterati (quos odisse dives solent) sortisce effetto disastroso: Ex is, qui in porticibus spatiabantur, lapides in Eumolpum recitantem miserunt. At ille, qui plausum ingenii sui noverat, operuit caput extraque templum profugit (, -). Encolpio, pronto a passare dall’altra parte, malignamente commenta: Rogo, inquam, quid tibi vis cum isto morbo? Minus quam duabus horis mecum moraris, et saepius poetice quam humane locutus es. Itaque non miror, si te populus lapidibus persequitur. Ego quoque sinum meum saxis onerabo ut, quotiescunque coeperis a te exire, sanguinem tibi a capite mittam (, -). Si aggiunga che anche la recita del Bellum civile (-) si muove entro la cornice di giudizi centrati sulla decadenza delle lettere e della poesia. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  protagonisti dello spettacolo del proprio modo di vivere, della propria esistenza. Bene: come è noto, il genere teatrale che concede qualche ospitalità ai ceti più umili dei servi e al démi-monde di lenoni, cortigiane e parassiti è il genere della commedia, in particolare della commedia plautina; ma la struttura della palliata (in cui servi e cortigiane agiscono sempre in funzione dei giovani domini, ancorché vestiti alla greca) e il suo declino nel tempo non la rendono modello apprezzabile, se si escludono le scelte lessicali del sermo cotidianus et vulgaris. Tra fine della repubblica e avvento del principato commedia e tragedia conoscono la vita stentata e umbratile delle recitationes di fronte a un pubblico elitario e selezionato (si pensi ai casi di Gaio Melisso e di Asinio Pollione), mentre le scene vengono lasciate stabilmente a histriones, mimi et saltatores. Ora, se è vero che l’imitatio vitae è predicato di ogni rappresentazione, è altrettanto vero che al mimo è stato riconosciuto titolo di massimo rappresentante dell’arte mimetica. Mimi sunt dicti Graeca appellatione quod rerum humanarum sint imitatores, dirà Isidoro di Siviglia (Origines , ); dal canto suo, la tradizione grammaticale pone l’accento sia sul carattere imitativo (mîmós estin mímesis toû bíou) sia sul livello non precisamente elevato dell’oggetto dell’imitazione: per il grammatico Diomede il mimo è sermonis cuiuslibet et motus sine reverentia vel factorum et dictorum turpium cum lascivia imitatio; secondo il De fabula attribuito a Evanzio la mimica levitas è risultato che deriva ab diuturna imitatione vilium rerum ac levium personarum. In buona sostanza, sembra lecito dire che tutta la Cena è una rappresentazione mimica recitata da Trimalchione e comprimari (il grex mimorum è numeroso, perché può riprodurre quotidianità tumultuose) a beneficio di scholastici dal ruolo depotenziato: per dirla altrimenti, «è difficile che l’influenza del mimo su Petronio possa essere frutto di esagerazione» , il tut. K. Preston, Some Sources of Comic Effect in Petronius, «Classical Philology» , , .  Rileggendo Petronio e Apuleio to grazie alla verve narrativa e alle soluzioni a effetto (proverbi compresi) che fanno parte del repertorio di un autore da tempo definito dalla critica “imitatore dei mimi”, imitatore dunque della imitatio vitae per eccellenza . Vista in dettaglio, la rappresentazione petroniana sa mescolare particolari che evocano gli ingredienti delle scene di massa e che appartengono a tutte le forme di spettacolo della società imperiale. Per esempio, se si presta attenzione allo spazio in cui si svolge la Cena, non riesce troppo difficile constatare come la sala da pranzo sia di volta in volta prossima allo scenario della pantomima o all’arena di un anfiteatro: «l’avresti creduto un coro da pantomima (pantomimi chorum), non il triclinio di un buon padrone di casa» (, ) , in quanto ogni servizio di cibo e bevande è accompagnato da musica e canti (ad symphonian). A proposito dello spazio tricliniare si ricordi che in ,  «entrarono due Etiopi dai lunghi capelli con in mano piccolissimi otri, come quelli coi quali di solito s’innaffia la sabbia nell’anfiteatro (harenam in amphitheatro), e sulle mani ci versarono del vino»; una scena di spettacolo circense, precisamente una venatio, viene allestita in , - per catturare i tordi usciti a volo dal ventre squarciato dell’enorme aper pilleatus; in , -,  è la volta di acrobati e giocolieri (petauristarii) . Come è noto, Petronio è uno degli autori latini più citati nelle raccolte di proverbi antichi: vd. A. Otto, Die Sprichwörter und sprichwörtlichen Redensarten der Römer, Leipzig  (rist. anast. Hildesheim ); R. Häussler, Nachträge zu A. Otto, Sprichwörter und sprichwörtliche Redensarten der Römer, Hildesheim ; R. Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Milano  . Vd. G. Vannini, La funzione stilistica e caratterizzante delle espressioni proverbiali nel Satyricon, «Philologia Antiqua» , , -. . Vd. H. Reich, Der Mimus, cit.,  sgg.; M. Rosenblüth, Beiträge zur Quellenkunde von Petrons Satiren, Diss. Berlin , -; F. Moering, De Petronio mimorum imitatore, Diss. Münster ; F. Giancotti, Mimo e gnome. Studi su Decimo Laberio e Publilio Siro, Messina-Firenze , -; L. Cicu, Donne petroniane. Personaggi femminili e tecniche di racconto nel Satyricon di Petronio, Sassari , - e passim; C. Panayotakis, Theatrum Arbitri, cit., passim. . Vd. E. Hall, The Singing Actors of Antiquity, in P. Easterling, E. Hall (a c. di), Greek and Roman Actors. Aspects of an Ancient Profession, Cambridge , -; C. Caruso, La professione di cantante nel mondo romano, in M.L. Caldelli, G.L. Gregori, S. Orlandi (a c. di), Epigrafia . Atti della XIV e Rencontre sur l’épigraphie in onore di S. Panciera, Roma , -. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  di scarsa destrezza; in , , quando il padrone di casa dà ordine di approntare le secundae mensae, i servi spargono segatura colorata e polvere di mica tritata, vale a dire gli ingredienti che di solito servono a ripulire l’arena del circo dopo ogni scontro . Si aggiunga un dettaglio che caratterizza la tecnica espressiva del narratore e non sembra privo di rilievo ai fini del nostro discorso: le forme del verbo sequor o dei suoi composti e, più in generale, i verbi di movimento compaiono di frequente in posizione iniziale di periodo, per rendere evidente lo svolgersi degli avvenimenti e l’incalzare delle situazioni, vere e proprie entrate in scena in rapida successione: vd. Petron. ,  (occurrit nobis ille idem servus); ,  (sequebatur puer) e  (accessere continuo duo servi); ,  (insecutus est lecticarius) e  (statim allatae sunt amphorae); ,  (circumferebat Aegyptius puer); ,  (processit statim scissor); ,  (secutum est hoc repositorium); ,  (insecuta sunt Cydonia etiam mala) . .. Portate spettacolari A ben vedere, tuttavia, il vero spettacolo si concentra innanzi tutto sulle portate, la cui composizione suscita stupore ammirato e dettagliato resoconto da parte del narratore. La successione è, in effetti, grandiosa e procede secondo calibrate regie a effetto. Cominciamo dall’antipasto: allata est gustatio valde lauta che consiste in «un asinello di bronzo corinzio carico d’una bisaccia, che portava in una tasca olive chiare, nell’altra olive nere. L’asinello era coperto ai lati da due piatti sui cui orli erano incisi il nome di Trimalchione e il peso in carati d’argento. Dei piccoli ponti, poi, saldati al piano del vassoio sostenevano dei . Cfr. anche Petron. , - con la nota di N.W. Slater, From Harena to Cena: Trimalchio’s Capis, «Classical Quarterly» , , -. Vd. Plin. ,  e , ; Suet. Calig. , . . In proposito è ancora utile P. Perrochat, Quelques procédés du style d’Encolpe dans la Cena Trimalchionis, in AA. VV., Mélanges de philologie offerts à A. Ernout, Paris , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio ghiri aspersi di miele e polvere di papavero. Erano state sistemate altresì delle salsicce bollenti sopra una griglia di argento, e sotto la griglia prugne di Siria con chicchi di melograno» (, -). Suppellettili di pregio, metalli preziosi e carati esibiti, cibi non comuni e accostamenti cromatici ricercati: la narrazione segnala gli aspetti della ricchezza e dell’ostentazione che attirano gli sguardi e fanno spettacolo. È il medesimo procedimento visto all’opera nella scena del bagno; non minore attenzione suscita il secondo vassoio: una gallina di legno ad ali aperte intenta a covare finte uova di pavone fatte di pingue impasto di farina e gravide ciascuna di un grasso beccafico immerso nel tuorlo pepato (, -) . Tra l’asinello di metallo e la gallina di legno – soggetti gastronomici giocati sulla imitatio naturae – fa il suo ingresso Trimalchione in persona, portato in sala da pranzo e sistemato a mensa, alla stessa stregua dei piatti che si susseguono lungo la cena; ma a differenza della reazione ammirata che di solito suscitano le spettacolose portate, questo ingresso suscita il riso (, : in his eramus lautitiis, cum Trimalchio ad symphoniam allatus est , positusque inter cervicalia minutissima expressit imprudentibus risum). Intendiamoci: l’ingresso ritardato è non meno . I servi che a suon di musica assordante frugano tra la paglia in cerca di uova di nuovo conio costituiscono spettacolo anche agli occhi del padrone di casa, che convertit ad hanc scenam vultum (, ): l’osservazione conferma come il racconto proceda su registri lessicali che rimandano a situazioni teatrali. Per maggiori dettagli ed eventuali maggiori implicazioni vd. R. Schievenin, La gallina di Petronio e le altre, «Exemplaria Classica» , , -. . L’ingresso di Trimalchione è reso con lo stesso lessico riservato ai piatti di portata: ,  (allata esta gustatio valde lauta); ,  (repositorium allatum est cum corbe); ,  (allatae sunt amphorae vitrae diligenter gypsatae); ,  (larvam argenteam attulit servus);  (nisi epidipnia esset allata); ,  (vitulus in lance . . . allatus est). In ,  le operazioni si moltiplicano: cum secundas mensas Trimalchio iussiset afferri, sustulerunt servi omnes mensas et alias attulerunt. L’operazione speculare e contraria è già stata sperimentata in ,  (superiorem partem repositorii abstulerunt) e in ,  (iam sublatum erat ferculum). Alla fine della Cena sarà Trimalchione stesso a immaginare il proprio funerale facendo ricorso a una voce verbale che permette di sostituire asporto di feretri ad asporto di vivande e vassoi: Ego gloriosus volo efferri, ut totus mihi populus bene imprecetur (, ). . Un ingresso del genere è di sicuro effetto e ha illustri precedenti: Augusto . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  spettacolare e ricorda la prima apparizione di Trimalchione al bagno, corredato com’è di accumulo di dettagli vistosi e colorati , dal pallium scarlatto e dalla mappa laticlavia (come si addice a un autorevole ma fittizio ’senatore’ da convito) agli anelli, agli amuleti e ai bracciali d’oro o d’avorio. Ma i particolari di pregio non nascondono, anzi evidenziano, il tratto che contradditingue Trimalchione (adrasum caput) e lo assimila ai personaggi del teatro comico, come per altro già anticipato dalla notazione di ,  (videmus senem calvum). Pertanto, l’entrata in scena del personaggio principale dell’intera rappresentazione (comica) non può non provocare la risata degli spettatori interni, ma – si badi – soltanto degli spettatori imprudentes: la precisazione serve a isolare dai convitati abituali (a loro volta comprimari della Cena) coloro che vengono colti di sorpresa , dunque i giovani scholastici non abilitati a far parte dello spettacolo e incapaci di occultare genuina reazione all’apparire dell’abnorme ’portata’ di Trimalchione, per giunta impegnato in operazioni non troppo riguardose degli ospiti (esplorazione dentaria con stecchini d’argento, continuazione di partita ai dadi ricca di oggetti pregiati e di espressioni volgari) . convivia nonnumquam et serius inibat et maturius relinquebat, cum convivae et cenare inciperent, prius quam ille discumberet, et permanerent digresso eo (Suet. Aug. ). . Su tale aspetto ci si orienta grazie ad A. Casartelli, La funzione distintiva del colore nell’abbigliamento romano della prima età imperiale, «Aevum» , , -. . In ,  le risate indotte dalla graziosa concessione trimalchionesca di libere emissioni viscerali sono coperte da opportune sorsate (Gratias agimus liberalitati indulgentiaeque eius, et subinde castigamus crebris potiunculis risum). In , - e in , -  le intemperanti risate di Ascilto (Quid rides, inquit, berbex? ... Bellum pomum, qui rideatur alios ... Ridet! Quid habet quod rideat?) e di Gitone (etiam tu rides, caepa cirrata?) suscitano l’indignata reazione di Ermerote. In ,  spetta a Nicerote segnalare il problematico rapporto tra docti e indocti, tra liberti e scholastici: vd. più avanti. Le funzioni del riso nell’opera sono classificate da M. Plaza, Laughter and Derision in Petronius’ Satyrica. A Literary Study, Stockholm  (vol. utile, anche se da maneggiare con qualche cautela). . Ut deinde pinna argentea dentes perfodit: “Amici, inquit, nondum mihi suave erat in triclinium venire, sed ne diutius absentivos morae vobis essem, omnem voluptatem mihi negavi. Permittetis tamen finiri lusum.” Sequebatur puer cum tabula terebinthina et crystallinis tesseris, notavique rem omnium delicatissimam. Pro calculis enim albis ac nigris aureos argenteosque habebat denarios. Interim dum ille omnium textorum dicta inter lusum  Rileggendo Petronio e Apuleio La comparsa delle anfore e l’etichetta di un vino d’annata (annata ultracentenaria, secondo la ’poetica dell’eccesso’ che segna cose e persone nella dimora del ricchissimo parvenu) servono a introdurre una scena da simposio greco-orientale, con tanto di scheletro d’argento fatto circolare tra i commensali e brindisi-lamento di Trimalchione sulla brevità della vita, il cui unico aspetto positivo sembra comunque consistere nella coincidenza tra benessere e mangiar bene, a giudicare dal corto-circuito giocato sulla polisemia di esse (da sum e da edo: , ) . Sic erimus cuncti: al brindisi del padrone di casa sulla comune condizione umana fa immediatamente seguito – se il testo non è qui frutto di continuità rabberciate alla meglio – una portata d’eccezione che omnium convertit oculos. Si tratta di un vassoio a due piani che sul piatto superiore (o sul coperchio) reca i segni dello Zodiaco connessi a cibi modesti (ad tam viles accessimus cibos) per via vagamente analogica (, -) e nel piatto inferiore (infra, scilicet in altero ferculo) espone tra gli applausi vivande prelibate (res electissimae) ricavate da animali di terra, d’aria e di acqua (altilia, sumina, pisces) e alternate, dall’esterno verso il centro, da presenze simbolicamente allusive di limiti esistenziali: agli angoli del vassoio quattro figurine di consumit . . . (, -). . Ergo vivamus, dum licet esse bene (vd. A. Setaioli, I due ‘epigrammi’ di Trimalchione: Sat. , ; , , «Prometheus» , , -). Paralleli e antecedenti sono rintracciabili nelle usanze egiziane evocate da Erodoto (, ), nei numerosi inviti a bere della lirica greca e nelle riprese latine di Lucrezio e di Orazio. Vd. K. Dunbabin, Sic erimus cuncti. The Skeleton in Graeco-Roman Art, «Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts» , , -. . Vd. J.G.W. De Vreese, Petron  und die Astrologie, Amsterdam ; J. Colin, Encolpio e il piatto d’argento con lo zodiaco (Petronio ), «Riv. di Filologia e di Istruzione Classica» , , -; W. Deonna, M. Renard, Croyances et superstitions de table dans la Rome antique, Bruxelles  (tr. it.: A tavola con i Romani, Riti e superstizioni dell’antichità, Venezia ); E. Salza Prina Ricotti, Il ferculum dello Zodiaco, «Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia» -, -, -; A. Borghini, A proposito dello zodiaco petroniano, «Aufidus» , , -; D. Keyer, Trimalchio’s Astrology. Naïve Superstitions or Intentional Jokes? (Petr. Sat. . –; . –), «Hyperboreus» , , –; O.C. Schwazer, ‘Between amateur astrology and erudite gimmick’. A Re-examination of Trimalchio’s Horoscope (Petr. Sat. ), «Acta Antiqua Hungarica» , , -. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  Marsia, da sfidante di Apollo declassato a erogatore di garum al pepe , e al centro una lepre fornita di ali, ipostasi gastronomica di Pegaso, l’alato destriero che disarcionò Bellerofonte intenzionato a dare la scalata al cielo (, -). Il piatto dello Zodiaco è simbolo del destino cui sono sottoposti tutti gli uomini, come s’impara dalla rassegna degli influssi astrali sul mondo umano di , -; ma intanto tra piatto superiore e vassoio inferiore si apre un breve intermezzo occupato dall’esecuzione stonata di una melodia di mimo e chiuso dal celebre invito anfibologico di Trimalchione: cenemus; hoc est ius cenae (, ) . I motti di spirito centrati su omofoni e doppi sensi non sono estranei al mondo delle persone colte, ma sembrano godere di buona fortuna tra gli ingredienti verbali del mimo, almeno per quanto è dato sapere da Cicerone: «Sulla parola si basa anche un tipo di motto non insulso, in forza del quale si dà a vedere di intendere un termine alla lettera e non secondo lo spirito del contesto. Su quest’unico tipo di battute si regge per intero il Tutor, un vecchio mimo davvero in grado di suscitare risate. Lascio però da parte i mimi, perché intendo illustrare questo genere di umorismo con qualche esempio ben noto» . Appunto . La salsa piccante – nella variante più liquida, si sarebbe tentati di dire – scorre dalle statuette di Marsia, evocando così la genesi del fiume omonimo (affluente del Meandro), nato dal supplizio dell’infelice sileno: vd. Ov. met. , -. . , : atque ipse (un Aegyptius puer o lo stesso Trimalchione) etiam taeterrima voce de Laerpiciario mimo canticum extorsit. Di un mimo intitolato Il venditore di silfio non si hanno altre notizie, ma vien fatto di pensare a titoli simili del mimografo Decimo Laberio, centrati su tenui argomenti o su mestieri quotidiani, come Augur, Catularius, Piscator, Centonarius: vd. D. Romano, Laserpiciarius Mimus (Petr. Sat. , ), «Dioniso» , , -. Inoltre, considerato che il canto chiude la scena del piatto dello Zodiaco, non è forse inutile ricordare che tra i titoli tramessi dei mimi di Laberio i temi astrologici sono ben attestati: Aries, Cancer, Gemelli, Taurus, Virgo. . Sul passo dati, bibliogr. e interpretazione in G. Mazzoli, Ius cenae (Petron. , ), in L. Castagna, E. Lefèvre (a c. di), Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi su Petronio e sulla sua fortuna, cit., -. Vd. altresì G. Piccaluga, Ius: la prospettiva giuridico-alimentare dell’ordine delle cose, «Ilu. Revista de Ciencias de las Religiones» , , -. . Cic. de orat. , : Est etiam in verbo positum non insulsum genus ex eo, cum ad verbum, non ad sententiam rem accipere videare; ex quo uno genere totus est Tutor, mimus vetus, oppido ridiculus. Sed abeo a mimis; tantum genus huius ridiculi insigni aliqua et  Rileggendo Petronio e Apuleio di giochi di parole – lo sappiamo – si diletta il ricco parvenu: qui nell’omografo e omofono ius si concentra la duplice valenza di “legge” e “sugo” della Cena. Esempi ulteriori non mancano: poco più avanti nel doppio senso di Carpe coesistono vocativo dell’antroponimo Carpus e imperativo del verbo carpere (, -) ; in , - la procedura di manumissio per mensam del puer speciosus in acconciatura dionisiaca gioca su triplice valore di Liber (antroponimo, teonimo, presunta nascita libera di Trimalchione) ; in , - la distribuzione di apophoreta accompagnata da biglietti allusivi moltiplica a sazietà tutti i bisticci possibili tra parole che designano e cose designate . Appena Ermerote, vero e proprio iniziatore ai misteri della domus , finisce di presentare i dati essenziali della biografia socio-economica della coppia dei padroni di casa e le alterne fortune di colliberti a loro volta sucosi – vale a dire pieni di sugo – (-), allora il sugo della cena si trasforma in legge della vita e del mondo. Il che avviene, quando Trimalchione decide di adattare i panni dell’Ulisse virgiliano alla propria misura antropologica e impartire agli scholastici una lezione di philologia da tavola, precisando a modo suo i rapporti tra caratteri umani e segni zodiacali, per nota re notari volo. . Vd. R.M. Newton, Petronian Urbanity in the ’Carpe, Carpe’ Joke (Petr., Sat. . -. ), «Syllecta Classica» , , -. Osserva P. Fedeli, Il romanzo, in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina, (a c. di), Lo spazio letterario di Roma antica, I, Roma  , , che alla polisemia di carpe/Carpe contribuisce anche l’atteggiamento di Trimalchione, che sembra impersonare in chiave minore la filosofia del carpe diem di oraziana memoria. . Vd. Vd. J.P K. Kritzinger, ‘Non negabitis me – inquit – habere Liberum patrem’: Petronius, Sat, .  Revisited, «Acta Classica» , , -. . Il risultato di siffatte spiritosaggini è scontato (diu risimus) e si avrà modo di ritornarvi sopra. Intanto vd. B.L. Ullman, Apophoreta in Petronius and Martial, «Classical Philology» , , -; H.D. Rankin, Saturnalian Wordplay and Apophoreta in Satyricon , «Classica et Mediaevalia» , , -. . Vd. C. Salles, Hermeros, le “mystagogue” de la Cena Trimalchionis, in P. Defosse (a c. di), Hommages à Carl Deroux, II, Bruxelles , -. . In Petron. , - si legge il celebre ritratto di Fortunata. Sulle implicazioni della presenza femminile nella Cena vd. L. Cicu, Fortunata, «Sandalion» , , -; Id., Donne petroniane. Personaggi femminili e tecniche di racconto nel Satyricon di Petronio, Sassari , -. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  formulare infine l’amara legge del mondo e rendere evidente, con compiaciuta affermazione della propria razionalità (nihil sine ratione facio), l’importanza della terrena realtà alimentare: «Così l’orbita celeste gira come una macina, e produce sempre qualche male , sia che gli uomini nascano o muoiano. Se poi vedete nel mezzo una zolla di terra e sopra la zolla un favo, non faccio nulla senza ragione. La madre Terra sta al centro, di forma arrotondata come un uovo, e contiene in sé ogni sorta di beni come un favo» (, -). In effetti, si può convenire che «la cucina e il mimo aggrediscono la cultura tradizionale, rappresentata dal gruppetto degli scholastici» . La convergenza di tale duplice azione governa anche le successive portate: il repositorium dell’ambiguo cinghiale col beretto da liberto (aper pilleatus / scrofa con lattonzoli) e la venatio dei volatili vivi che ne costituiscono il farcimen (, -); la distribuzione di uva corredata da versi trimalchioneschi e assicurata dallo schiavetto in costume di Bacco destinato a diventare Libero in forza di repentino affrancamento (, -); il gigantesco porcus Troianus ripieno di salcicce, palam exinteratus (, -) ; la già menzionata distribuzione di apophoreta (. -); il vitello lessato con elmo in testa (vitulus elixus allatus et quidem galeatus) fatto a pezzi da uno scalco che impersona Aiace in preda a follia (, -); il piatto di focacce allo zafferano che fanno contorno a un Priapo di pasta capace comunque di . G. Mazzoli, art. cit., . . Sic orbis vertitur tamquam mola et semper aliquid mali facit. La nota di pessimismo che caratterizza la legge (ius) della vita è parsa inaccettabile a D.R. Shackleton Bailey, On Petronius, «American Journal of Philology» , , -, che è intervenuto sul testo, con una inutile proposta di supplemento, comunque rivelatrice d’una concezione meno drammatica del mondo: et semper aliquid «boni aut» mali facit (supplemento accolto nel testo dell’edizione paraviana di G. Giardina e R. Cuccioli Melloni). . Così A. Cucchiarelli, Trimalchione e la Cena di Marte (partendo da Satyr. , ), «Studi Classici e Orientali» , , ; vd. anche Id., Mimo e mimesi culinaria nella Cena di Trimalchione (con un’esegesi di Satyr. ), «Rheinisches Museum» , , -. . Vd. L. Pepe, Petronio e il ’Porcus Troianus’ (), in Id., Sermo Milesius, Napoli , -  Rileggendo Petronio e Apuleio sorreggere more vulgato frutta e grappoli (, -); manicaretti stuzzica-appetito (matteae) coincidenti con l’ingresso ritardato di Abinna, reduce da un altro banchetto e a sua volta narratore di una cena nella Cena (, - e , -); le secundae mensae, il dessert e la carne di porco come materia universale dell’arte culinaria (, - e ,  - , ). Si badi: elementi di cultura tradizionale (poetico-mitologica) sono ben presenti e spaziano dal cielo alla terra, da Marsia a Pegaso, da Dioniso a Priapo, dalla pazzia di Aiace ai succedanei del Cavallo di Troia dal ventre ripieno; il tutto sotto la regia dell’ulisside Trimalchione e grazie all’abilità di uno specialista, materiae structor, quasi certamente da identificare col cocus prezioso cui sta a pennello il nome di Dedalo imposto dal padrone di casa in veste di legislatorenomenclatore (, : Non potest esse pretiosior homo. Volueris, de vulva faciet piscem, de lardo palumbam, de perna turturem, de colaepio gallinam. Et ideo ingenio meo impositum est illi nomen bellissimum; nam Daedalus vocatur) . Sempre alla tradizione culturale, evocata nei suoi aspetti di divulgazione popolare, fanno riferimento gli accenni alla danza del cordace e l’imitazione dell’histrio Siro con accompagnamento corale da parte dei servi (, -) , l’impari discussione letteraria di , il poco perspicuo spettacolo greco degli Omeristi accompagnato dal confuso commento latino di Trimalchione (, -) , la mesta evocazione . Vd. A. Cameron, Myth and Meaning in Petronius: Some Modern Comparisons, «Latomus» , , -; A. Perutelli, La parodia del mito in Petronio, «Latina Didaxis» , , -; J. Fabre-Serris, Le Satiricon: un nouveau regard sur la Mythologie, in Ead., Mythologie et Littérature à Rome. La réécriture des mythes aux Iers siècles avant et après J.-Chr., Lausanne ; G. Schmeling, (Mis)uses of Mythology in Petronius, in J. Miller, C. Damon, K. Myres (a c. di), Vertis in usum. Studies in Honor of Edward Courtney, Leipzig , -. Troppo drastico e generico C.R. Gonçalves, Ignorância dos libertos e mitologia na Cena Trimalchionis (Satyricon -), «Gallaecia» , , -. . Vd. B. Baldwin, The Slaves’ Chorus in Petronius, «Emerita» , , -. . Vd. A. Cucchiarelli, In difesa degli ‘Omeristi.’ Nota testuale a Petronio, Satyr. , , «Materiali e Discussioni» , , –. Sulle esecuzioni degli Homeristai cfr. Athen. , b-d; in POxy  (II sec. d.C.) si legge il testo frammentario d’un contratto per un mimo, omerista e danzatore, chiamato a esibirsi durante una festività locale; da POxy  (III sec. d.C.) apprendiamo che un mimo e un omerista . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  delle esperienze teatrali di Plocamo (, -), le imitazioni varie e la miscela di versi di atellane e versi virgiliani storpiati da Massa, ex-attore di mimi servo di Abinna (,  - , ) , infine le arie del citaredo Menecrate straziate da Trimalchione al bagno (, -) . Per quanto isolati dal loro abituale contesto – il mondo dei libri e dei docti, ma anche i mimi e le pantomine d’argomento mitologico – e ridotti a gustose decorazioni gastronomiche o a scipiti intermezzi dell’abnorme esibizione della Cena, tali elementi rappresentano comunque punto di raccordo tra spettacolo e spettatori, tra cibarie esibite e fruitori ammessi alla consumazione. Ma si deve altresì ammettere che nel Satyricon la cultura tradizionale – concentrata nel gruppetto degli scholastici – conserva una delle sue funzioni peculiari, quella cioè di narrare il narrabile secondo i precetti della topica della narrazione e i rapporti – ora stretti ora allentati a piacere – tra forme espressive e specifiche situazioni. Detto altrimenti, al narratore esplicito e all’autore che sta alle sue spalle non fanno difetto tropi e figure indispensabili al fine di esprimere le diverse componenti del quadro d’insieme e lo statuto socio-culturale di protagonisti e comprimari . sono ingaggiati per le feste di Crono (altre notizie in G. Tedeschi, Lo spettacolo in età ellenistica e tardo-antica nella documentazione epigrafica e papiracea, «Papyrologica Lupiensia» , , -; T. Gammacurta, Papyrologica scaenica, Alessandria ). . Miscela sgradevole all’orecchio di Encolpio, che sentenzia: nullus sonus unquam acidior percussit aures meas, ... ut tunc primum me etiam Vergilius offenderit (, ). Vd. R. Degl’Innocenti Pierini, Abinna, lo schiavo Massa e la ‘cultura’ di strada: a proposito di Petronio , «Paideia» , , -; S. Gorman, Petronius as Massa? Reading Virgil in Petronius’ Satyricon, London  (AbleMedia). . In generale per i riferimenti letterari si rinvia a N.M. Horsfall, The Uses of Literacy and the Cena Trimalchionis, «Greece & Rome» , , - e -. . Vd. per es. R. Beck, Some Observations on the Narrative Tecniques of Petronius, «Phoenix» , , -; L. Callebat, Structures narratives et modes de représentation dans le Satyricon de Pétrone, «Revue des Etudes Latines» , , - (= Id., Langages du roman latin, Hildesheim , -); C.W. Wooten, Petronius, the Mime and Rhetorical Education, «Helios» , , -; A. Laird, Ideology and Taste: Narrative and Discourse in Petronius’ Satyricon, in Id., Powers of Expression, Expressions of Power: Speech Presentation and Latin Literature, Oxford , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio .. Chi parla e chi ascolta: lo spettacolo della lingua tra discorsi da tavola, dispute e proverbi Dunque, l’estetica dello sguardo assicura fruizione visiva agli spettatori interni e ai lettori mediante descrizione ammirata o perplessa delle sorprendenti portate e degli spettacoli ad esse intercalati. Il che comporta – ovviamente – il ricorso costante a un ingrediente retorico, l’ekphrasis, forma di comunicazione deputata a mettere le parole al servizio della vista allo scopo di annullare la distanza tra spettatore e lettore . Questo per quanto concerne il ‘campo visivo’ a cui fa altresì riferimento il gusto, presente lungo tutto il racconto superstite, per gesticolazioni vitalistiche e teatrali in grado di integrare i codici verbali via via adottati. È comunque scontato che spetta al virtuosismo di Petronio il compito di variare le strategie espressive in funzione delle esigenze della narrazione e delle diversità culturali dei personaggi di volta in volta chiamati a prendere la parola e a esibire il proprio ethos. Sull’altalenante rete di registri retorici che fa da tramite tra l’autore e il narratore (scholasticus sospeso tra esaltazione e afasia) non occorre indugiare ulteriormente, . In generale vd. G. Ravenna, L’ekphrasis poetica di opere d’arte in latino. Temi e problemi, «Quaderni dell’Istituto di Filologia Latina di Padova» , , -; D. Rosand, Ekphrasis and Generation of Images, «Arion» s. III, , , -; G. Boehm, H. Pfotenhauer (a c. di), Beschreibungskunst - Kunstbeschreibung: Ekphrasis von der Antike bis zur Gegenwart, München ; A. Zumbo, L’ekphrasis d’opera d’arte: esercitazione letteraria o strumento di comunicazione?, in AA.VV., La ‘parola’ delle immagini e delle forme di scrittura, Messina , -; B. Duffalo, Ecphrasis and Cultural Identification in Petronius’ Art Gallery, «Word & Image» , , -. Si aggiungano i saggi raccolti in J. Elsner (a c. di), The Verbal and the Visual: Culture of Ekphrasis in Antiquity, «Ramus» , , e in S. Bartsch, J. Elsner (a c. di), Special Issues on Ekphrasis, «Classical Philology» , . Utili dettagli sono offerti da S. Stucchi, Su alcuni esempi di ekphrasis relativi alla caratterizzazione dei personaggi petroniani in L. Castagna, E. Lefèvre (a c. di), Studien zu Petron und seine Rezeption. Studi su Petronio e sulla sua fortuna, cit., -. . Vd. per es. S. Ricci, La gestualità nel Satyricon, in L. Castagna, G. Vogt-Spira (a c. di), Pervertere. Aesthetik der Verkehrung. Literatur und Kultur neronischer Zeit und ihre Rezeption, cit., -. Qualche spunto in R. Newbold, Nonverbal Communication in the Satyricon and in Apuleius’ Metamorphoses, «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» , , -. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  in quanto si dispone di ottima letteratura secondaria . Piuttosto mette conto ribadire come il caleidoscopio linguistico, sempre all’opera nel Satyricon, raggiunga il livello più alto e movimentato appunto nel corso della Cena, in quanto strumento principe per dare voce e carattere individuale alle personae loquentes impegnate a interpretare e confrontare tratti peculiari delle rispettive esistenze . Come è stato più volte osservato , il conflitto di lingua e cultura è manifestazione di differenze sociali. Dal tardo retore Coricio veniamo a sapere che la contrapposizione tra registri linguistici diversi, tra parlare forbito ed espressioni sgrammaticate, è ingrediente comico del mimo, in genere finalizzato a traguardi edificanti: nel corso di tali spettacoli, in effetti, «è possibile vedere soldati e ascoltare oratori, e talora due mimi, di cui uno imita un tipo incapace di parole corrette e l’altro un personaggio ben educato nel parlare, col risultato che, quando il primo viene deriso e il secondo applaudito, negli spettatori si fa strada la considerazione che l’educazione sia da perseguire, allo scopo di essere elogiati, e invece sia da rifuggire l’ignoranza, per evitare di essere motivo di scherno» (Apol. mim. ). Di intenzioni edificanti – a dire il vero – in Petronio non si avverte traccia ; in quanto possiamo leggere prevale invece il gusto per . Per tutti si rinvia al già citato vol. di G.B. Conte, L’autore nascosto, e alla bibliografia ivi raccolta. Utilissimi aggiornamenti fornisce G. Vannini, Petronio : bilancio critico e nuove proposte, «Lustrum» , . . Vd. tra l’altro M. Möller, Petron, in Ead., Talis oratio qualis vita. Zu Theorie und Praxis mimetischer Verfahren in der griechisch-römischen Literaturkritik, Heidelberg , -. . Tra gli altri, da V. Ciaffi, Struttura del Satyricon, Torino . . Anche se non è mancato, nella storia della difficile e limitata trasmissione testuale, qualche momento di ricezione in chiave edificante: vd. B.L. Ullman, Petronius in the Mediaeval ‘Florilegia’, «Classical Philology» , , -; T. Brandis, W, Ehlers, Zu den Petronexzerpten des Florilegium Gallicum, «Philologus» , , -; J. Hamacher, Florilegium Gallicum: Prolegomena und Edition der Exzerpte von Petron bis Cic, De oratore, Bern-Frankfurt am Main ; R. Hobohm, Petron - ein Autor schon für jüngere Schüler? Der Roman als Lektüregegenstand der . Jahrgangsstufe, in AA.VV., Bildung ohne Verfallsdatum. Auxilia Unterrichtshilfen für den Lateinlehrer, Bamberg , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio la libera (e divertita) giustapposizione tra espressività diversamente calibrate e orientate, col risultato di dare vita a un mondo di parole umorosamente mescolate e capaci di riprodurre sulla pagina le scansioni sociali di una stra-ordinaria quotidianità. Sulle variazioni linguistiche petroniane esiste una letteratura così copiosa e articolata da sconsigliare ulteriori incursioni in proposito. Ci si limiterà pertanto a menzionare i principali momenti in cui i dislivelli di lingua e stile conferiscono al racconto dimensione scenica e si configurano come “spettacolo delle voci” . Qualche cenno, in merito, si è già anticipato, ma ora è possibile essere più espliciti. Gli interventi dei liberti, per esempio, sembrano aprire più di un passaggio in direzione della dimensione drammatica del testo. Così in - i ragguagli di Ermerote sui dati biografici e sulle ricchezze dei padroni di casa non solo anticipano la biografia che Trimalchione stesso fornirà di sé in ,  - , , ma funzionano come una sorta di didascalia interna e offrono una campionatura di hapax legomena, di grecismi e ibridi greco-latini, di espressioni triviali e proverbiali, di colloquialismi e diminutivi a sorpresa, di aspetti popolari e folclorici, così densa da non lasciar dubbi sull’intenzionale volontà di riprodurre forme affabulatorie e toni del sermo cotidianus et vulgaris . Tale dimensione diventa ancora più evidente quan. Della formula si è debitori al titolo della raccolta di saggi a cura di F. De Martino e A. H. Sommerstein, Lo spettacolo delle voci, Bari . Di “romanzo pieno di voci” parla G. Peri, Discorso diretto e discorso indiretto nel Satyricon. Due regimi a contrasto, Pisa ,  (il iv cap., Fenomenologia del discorso nella Cena, dedica adeguato spazio ai discorsi degli scholastici). . Termini e modi di dire si citano nell’ordine in cui si presentano, senza pretesa di esaustività: nummos modio metitur (, ); noluisses de manu illius panem accipere (, ); Trimalchionis topanta est (, ); saplutus e lupatria (, ); pica pulvinaris (, ); fundos habet qua milvi volant, nummorum nummos (, ); babae babae (, ), quemvis ex istis babaecalis in rutae folium coniciet (, ); lacte gallinaceum (, ); arietes . . . culavit in gregem (, ); ex India semen boletorum (, ); cum Incuboni pilleum rapuisset, et thesaurum invenit (, ); est tamen sub alapa (, ); sociorum olla male fervet, et ubi semel res inclinata est, amici de medio (, ); phantasia, non homo (, ). In generale vd. G. Tarditi, I diminutivi nel Satyricon di Petronio, Genova ; V. Ciaffi, Intermezzo nella Cena Petroniana (.  - . ), «Riv. di Filologia e Istruzione Classica» . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  do, assente Trimalchione in trasferta ad lasanum, si intrecciano liberamente i convivarum sermones (,  - , ). Apre i conversari il breve intervento del liberto Dama, segnato da un nome problematico e da una forte attrazione verso il vino, che in poche battute confessa il proprio stato di ebrezza a suon di hapax (pataracina, staminatas, matus) e metaplasmi (balneus, vinus), dopo aver formulato un’indimenticabile sententia simposiale sulla brevità della vita: dies . . . nihil est. Dum versas te, nox fit (, -) . Il cenno di Dama ai bagni (vix me balneus calfecit) consente all’interlocutore successivo, il liberto d’origine orientale Seleuco, di intervenire, rivelando scarsa propensione all’igiene personale perseguita per via idrica (, : ego . . . non cotidie lavor . . . aqua dentes habet), ma identica simpatia per abbondanti assunzioni di vino, unico e vero rimedio al freddo (, : sed cum mulsi pultarium obduxi, frigori laecasin dico). In realtà – prosegue n.s. , , -; C. Roncaioli, Il diminutivo e l’età di Petronio, «Giornale Italiano di Filologia» , , -; G. Alessio, Hapax legomena e altre cruces in Petronio, Napoli  («Quaderni Linguistici» VI-VII); A. Stefenelli, Die Volkssprache im Werk des Petron, Wien- Stuttgart ; A. Dell’Era, Problemi di lingua e stile in Petronio, Roma ; D. Altamura, Proverbia locutionesque populares apud Petronium, «Latinitas» , , -; P. Soverini, Osservazioni sul lessico come mezzo di caratterizzazione stilistica in Petronio, «Rendiconti Accademia delle Scienze di Bologna» , -, -; H. Petersmann, Petrons Urbane Prosa. Untersuchungen zu Sprache und Text, Wien ; A. Perutelli, Le chiacchiere dei liberti. Dialogo e commedia in Petronio -, «Maia» , , -; M.A. Cervellera, Petronio il multiforme, Lecce ; M. Salanitro, Conuiuarum sermones (Petron. ,  - ), «Invigilata Lucernis» , , -; B. Boyce, The Language of the Freedmen in Petronius’ Cena Trimalchionis, Leiden ; R. Gerschner, Sprachlich-stilistische Studien zum Gebrauch des Griechischen in Petrons Satyrica, Wien ; G. Highet, Petronius’s Dinner Speakers, in R. Ball (a c. di), The Unpublished Lectures of Gilbert Highet, Bern , -; M.G. Cavalca, I grecismi nel Satyricon di Petronio, Bologna ; J.F. Gaertner, Sprachbau und Sprachfreiheit in Petrons Satyrica, in D. Brodka, J. Janik, S. Sprawski (a c. di), Freedom and its Limits in the Ancient World, Kraków , -; D.H. Roberts, Petronius and the Vulgar Tongue: Colloquialism, Obscenity, Translation, «Classical and Modern Literature» , , –. . L’antroponimo non è attestato dal cod. Traguriensis che in questo punto ha clamat. Il nome Dama è stato recuperato da N. Heinsius (apud Burman), che ha spiegato la lezione manoscritta come errore dovuto alla confusione tra d e cl. Vd. C. Pellegrino, I convivarum sermones e il liberto Dama. Satyr. , -, «Latomus» , , -; M.G. Cavalca Schiroli, Dama: Petron. Satyr. , -, in AA.VV., Mnemosynum. Studi in onore di A. Ghiselli, Bologna , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio Seleuco – le mancate abluzioni dipendono da un impegno più pressante e non iterabile, vale a dire la partecipazione al funerale di un pari grado, il buon Crisanto (, -: nec sane lavare potui; fui enim hodie in funus. Homo bellus, tam bonus Chrysanthus animam ebullit) . Si noti: Dama ha ripreso inter pocula il motivo della brevità dell’esistenza umana, già proposto come brindisi da Trimalchione; ora Seleuco introduce scene di funerale e forme di elogio funebre, con punte consolatorie di malcerto effetto (, : medici illum perdiderunt, immo magis malus fatus; medicus enim nihil aliud est quam animi consolatio). A modo loro, i liberti di Petronio adattano alla propria dimensione una considerazione di portata generale: la vita umana si può davvero giudicare soltanto dopo la morte, perché – per dirla con le parole di Solone a Creso – prima di formulare un giudizio «di ogni cosa bisogna considerare la fine» . E naturalmente il giudizio ultimo di Seleuco predica la brevità e l’inconsistenza della vita mediante formule di saperi proverbiali in cui l’eco di tradizioni illustri si coniuga con l’efficace brevitas dell’espressività popolare: utres inflati ambulamus. Minoris quam muscae sumus . . . nos non pluris sumus quam bullae (, ) . L’elogio del defunto ha . Vd. D. Gagliardi, La morte a tavola (sul monologo di Seleuco al c.  del Satyricon), «Atene e Roma» n.s. , , -; M.G. Cavalca, Tra proverbi e immagini: Seleuco (Petron. Sat. ), «Paideia» , , -. . Hrd. , , ; cfr. Simon. Fr.  Page (cit. nella nota successiva) e Ov. Met. , -: sed scilicet ultima semper / exspectanda dies hominis, dicique beatus / ante obitum nemo supremaque funera debet. . Utres inflati: un chiaro precedente si legge nel fr.  Kaibel di Epicarmo: «la natura degli uomini? Otri enfiati». Indubbia ripresa in Apul. Met. ,  (cadavera illa iugulatorum hominum erant tres utres inflati variisque secti foraminibus). Il paragone con le mosche deriva dal fr.  Page in cui Simonide di Ceo canta un mondo soggetto a «mutazione piú rapida di scarto di mosca dalle ali tese» Cfr. Eronda Mimiambi ,  («io valgo quanto una mosca») e Suet. Dom. ,  (Inter initia principatus cotidie secretum sibi horarum sumere solebat, nec quicquam amplius quam muscas captare ac stilo praeacuto configere; ut cuidam interroganti, essetne quis intus cum Caesare, non absurde responsum sit a Vibio Crispo, ne muscam quidem). Tra le opere di Luciano compare un Elogio della mosca, che appartiene alla tradizione retorica degli elogi antifrastici rivolti a soggetti di poco conto o di solito considerati negativi: vd. A. Peri, Teoria e prassi degli enkomia adoxa, «Incontri Triestini di Filologia Classica» , -, -. Homo bulla est si legge in Varr. agr. , ,  (in greco pamphòlux ho ànthropos). . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  come primo contraltare la denuncia del comportamento della moglie; e si tratta di denuncia che si fa attacco dell’intero genere femminile in forza – manco a dirlo – di altre espressioni di taglio proverbiale: mulier quae mulier milvinum genus. Nemini nihil boni facere oportet; aeque est enim ac si in puteum conicias. Sed antiquus amor cancer est (, ). Seleuco cessa di parlare, ma la morte di Crisanto non scompare dai discorsi da tavola, perché l’intervento successivo, per bocca del liberto Filerote, dopo aver seccamente esortato a interessarsi dei vivi (, : vivorum meminerimus) , continua a parlare del defunto, di cui tesse una sorta di elogio funebre antifrastico. Si può dire meglio: dopo l’elogio, il biasimo. Come si vede, le due forme del discorso epidittico escono dall’atmosfera rarefatta delle scuole di retorica e si misurano con corpose situazioni concrete: lontani dai livelli linguistici praticati dai signori della parola, elogio e biasimo restano impigliati nelle maglie espressive del demi-monde dei personaggi della Cena. Così anche l’anti-elogio dello scomparso – carattere litigioso, ricchezze ammassate in maniera non ineccepibile, inclinazione verso piaceri poco normalizzati – gioca su auctoritates proverbiali ora troppo ora poco perspicue (, -: paratus fuit quadrantem de stercore mordicus tollere; linguam caninam comedi; inter initia malam parram pilavit; longe fugit quisquis suos fugit; numquam autem recte faciet, qui cito credit), su icastici modi di dire conditi di accenni mitologici e venati di non troppo impliciti doppi sensi (, -: durae buccae fuit, linguosus, discordia, non homo; plane Cfr. Pers. ,  e schol. ad loc. (proverbialiter dicimus, homo bulla est); Lucian. Charon ; Erasmus, Adagia  (Homo bulla). Ulteriori occorrenze in H.D. Saffrey, Homo bulla. Une image épicurienne chez Grégoire de Nysse, in J. Fontaine, C. Kannengiesser (a c. di), Epektasis, Mélanges patristiques offerts au cardinal J. Daniélou, Paris , -, e in J. Nassichuk, “Homo bulla est”. La métaphore de la bulle dans la littérature humaniste latine et française, in X. Bonnier (a c. di), Les parcours du comparant. Pour une histoire littéraire des métaphores, Paris , -. Sulla fortuna iconografica vd. L. De Girolami Cheney, The Symbolism of the Skull in Vanitas: Homo Bulla Est, «Cultural and Religious Studies» , , -. . Espressione proverbiale già presente in Cic. De fin. , : sed veteris proverbii admonitu vivorum memini.  Rileggendo Petronio e Apuleio Fortunae filius. In manu illius plumbum aurum fiebat . Facile est autem, ubi omnia quadrata currunt; niger tamquam corvus. Noveram olim oliorum et adhuc salax erat. Immo etiam puellarius erat, omnis Minervae homo). La presenza finale di Minerva sembra puntare in direzione di capacità intellettuali non comuni e, comunque, non estranee a chi – postremo ulisside in sedicesimo – ha conosciuto in vita successi economici. Ma si tratta di riconoscimento parziale e ironico, in quanto l’altalenante ’biasimo funebre’ culmina con una battuta: donne, cani e ragazzi restano in questo mondo, mentre il defunto si porta nell’aldilà unicamente le sue troppo versatili inclinazioni. Terminato il duplice ritratto dell’estinto, interviene un altro liberto, Ganimede, che nel nome ricorda il principe troiano rapito da Zeus e noto come coppiere degli dèi. A differenza del mitico omonimo, il nuovo Ganimede non vola alto, ma resta saldamente ancorato a situazioni terrene, perché l’autore gli assegna il ruolo di contestatore socio-politico. La sua tirata suona anomala rispetto ai conversari degli altri convitati: non di storie di successi personali o di pettegolezzi privati o di piccole infamie parla il nuovo interlocutore, ma denuncia il costo della vita, la corruzione di amministratori e profittatori, paradossalmente polemico nei confronti di chi si è arricchito in fretta e in maniera esorbitante (come il padrone di casa, come gran parte dei presenti e come molti dei personaggi evocati nel corso delle conversazioni). Lontano da argomenti «che non stanno né in cielo né in terra» (quod nec ad caelum nec ad terram pertinet), Ganimede parla invece di siccità e carestia, di caro-vita, di malgoverno locale e magistrati d’altri tempi, della cattiva condizione personale e del declino della religiosità collettiva. Anche il suo intervento, tuttavia, è scandito da frasi proverbiali (, -: serva me servabo te. . . . cum quo audacter posses in tenebris micare; quotidie peius! Haec colonia retroversus crescit tamquam coda vituli; populus est domi leones, foras vulpes. Nemo enim cae. Si osservi: Edipo (Fortunae filius) e il tocco di Mida sono qui evocati in rapida successione. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  lum caelum putat) e da espressioni forti e colorite (aediles male eveniat, qui cum pistoribus colludunt; isti maiores maxillae semper Saturnalia agunt; habemus aedilem trium cauniarum; si nos coleos haberemus, non tantum sibi placeret; nemo Iovem pili facit; statim urceatim plovebat; dii pedes lanatos habent) . A dispetto della koiné linguistica e culturale che ne innerva le forme espressive, il mondo dei liberti petroniani è attraversato da tensioni e contrasti che valgono a stabilire confini riconoscibili alle diverse esistenze personali. Così succede che il passaggio di parola da Ganimede all’interlocutore successivo avvenga per interruzione: in effetti, l’ultimo spunto della denuncia di Ganimede, agri iacent, resta sospeso non a causa di lacuna testuale, ma a causa di perentorio invito altrui a non parlare di disgrazie, espresso con formula eufemistica: oro te – inquit Echion centonarius – melius loquere (, ) . L’intervento di Echione , articolato in due parti a seconda del personaggio al quale si rivolge, occupa lo spazio maggiore dei conversari dei liberti e svolge almeno due funzioni, per così dire, sceniche, confermando l’accorta regia che presiede allo spettacolo della Cena. Innanzi tutto, rispetto alla vena di contestazione che anima l’intervento di Ganimede, Echione rivela un atteggiamento piuttosto conformistico e non si nega battute da spensierato buontempone: ammette – è vero – l’esistenza della crisi (, : Non mehercules patria melior dici potest, si homines haberet. Sed laborat hoc tempore, nec haec sola), ma ne attenua la portata e aggiunge subito che le cose in città non vanno poi così male (, : si aliubi fueris, dices hic porcos coctos ambulare). A suo giudizio l’aspetto di maggior interesse è rappresentato dai ludi pubblici che . Vd. A. Cotrozzi, Quotidie peius: un liberto rimpiange il passato (Petronio ), «Studi Classici e Orienttali» , , -. . Vd. Vd. E.E. Burris, Breaks in Conversation and the Text of Petronius, «Classical Philology» , , -. . L’antroponimo è ben presente nel mito greco: lo porta uno degli Argonauti (gemello di Eurito e figlio di Hermes); è inoltre il nome di uno dei cinque superstiti nati dai denti di drago seminati da Cadmo alla fondazione di Tebe, sposo di Agàve e padre di Pénteo, il re tebano oppositore del culto di Dionìso fatto a pezzi dalle Baccanti (madre compresa) invasate dal dio.  Rileggendo Petronio e Apuleio si annunciano particolarmente fastosi, compreso un sapido e crudele dettaglio di cronaca locale: la condanna ad bestias di uno schiavo sfortunato, colto sul fatto cum dominam suam delectaretur (, ). Ecco: nel palesare la propria predilezione per i giorni di festa e per gli spettacoli gladiatorii – di cui è ottimo giudice –, Echione si contrappone, sì, all’intervento di Ganimede, ma anche ne integra la dimensione pubblica di vita municipale . Se infatti si pone mente al fatto che Ganimede affronta il tema della carestia attraverso riferimenti al pane e ai fornai (, - e -: Non mehercules hodie buccam panis invenire potui. Aediles ... cum pistoribus colludunt - Itaque illo tempore annona pro luto erat. Asse panem quem emisses, non potuisses cum altero devorare), mentre Echione concentra tutta l’attenzione sui giochi pubblici, non si fa fatica a ravvisare come nell’insieme dei due interventi si delinei, sia pure in forma antitetica, il ’binomio sociologico’ destinato a diventare tradizionale, panem et circenses (Iuv. , ), per designare l’organizzzazione del consenso in età imperiale . Del resto, Echione non è da meno nell’inanellare hapax e grecismi (lanisticia, caldicerebrius, mixcix, zelotypos, burdubasta), metaplasmi (caelus, excellente, amphitheater, delectaretur, stigmam) e frasi proverbiali (quod hodie non est, cras erit: sic vita truditur; - qui asinum non potest, stratum caedit; - ille milvo volanti poterat ungues resecare: colubra restem non parit; - manus manum lavat). Insomma, interessi popolari e impasto linguistico colorito collaborano nel dare rappresentazione, sulla pagina, di uno spaccato di vita quotidiana. Ma il vero ’capolavoro’ imperniato su Echione si ha quando il centonarius, riportando il discorso sul mondo delle lettere e della scuola, si rivolge ad Agamennone con formulazioni fortemente venate di metaplasmi popolareschi: Videris mihi, Agamemnon, dicere: ’Quid iste argutat molestus?’ . Vd. J.P. Lynch, The Language and Character of Echion the Ragpicker: Petronius, Satyricon -, «Helios» , , -; J.M. Serrano Delgado, Ganimedes y Equión: un pasaje municipal en la Cena Trimalchionis (Sat. -), «Revue de Philologie» , , -. . Vd. almeno P. Veyne, Il pane e il circo, tr. it., Bologna ; K.-W. Weeber, Panem et circenses. Massenunterhaltung als Politik im antiken Rom, Mainz . . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  Quia tu, qui potes loquere, non loquis. Non es nostrae fasciae, et ideo pauperorum verba derides. Scimus te prae litteras fatuum esse (, ). Come si è osservato da parte di un editore inglese, «when Echion turns to adress the rhetorician Agamemnon, his Latin becomes strikingly incorrect» . Dunque, la crisi della lingua si accentua nel momento in cui la persona loquens interpella il maestro di retorica e si avventura sul terreno della cultura: elogio di Primigenio, puer ingeniosus alle prese con qualche libro di malcerta declinazione (, : aliquot libra rubricata) e due figure di indimenticabili precettori, il primo che non vult laborare, il secondo qui plus docet quam scit (, -) . In buona sostanza, Echione vede peggiorare il proprio ruolo, diventa personaggio ancor meno capace di lingua corretta (per dirla alla maniera di Coricio) e conclude con due perle scolastiche di natura proverbiale e di problematica dizione: quicquid discis, tibi discis ... litterae thesaurum est, et artificium numquam moritur (, ) . Disciplina, litterae, artificium: in forza di tali nozioni, comunque evocate, non dovrebbe essere difficile il passaggio di parola a chi professa l’arte del discorso pubblico e ha a disposizione il lessico appropriato a tutti i generi di esternazione verbale. Ma la contrapposizione diretta tra lingua e cultura viene dilazionata: il compito di segnare la fine dei liberi conversari dei liberti non può spettare al retore, ma al padrone di casa, che rientra dopo essersi sgravato del peso superfluo del ventre . Riapparso in . Così M.S. Smith, Petronii Arbitri Cena Trimalchionis, cit., . . Appunto loquor sembra il punto dolente dell’apostrofe, se si accettano il tradito loquere e loquis (correzione di Peter Burman per loqui del cod. Traguriensis). Eppure, in ,  (melius loquere) Echíone si mostra meno sprovveduto, come del resto Seleuco e Ganimede, che sanno cavarsela quando sono alle prese col verbo: Seleuco in ,  (videor mihi cum illo loqui), Ganimede in ,  (nec schemas loquebatur, dove però a far scalpore è il grecismo schemas con tanto di metaplasmo alla latina). . Discussione del testo nel contributo successivo in questo volume. . Vd. E.E. Best Jr., Attitudes toward Literacy Reflected in Petronius, «Classical Journal», , , -; A.V. Soady, Primigeni crede mihi, quicquid discis, tibi discis, «Classical Bulletin» , , -. . Vd. P. Toohey, Trimalchio’s Constipation: Periodizing Madness, Eros, and Time,  Rileggendo Petronio e Apuleio scena, Trimalchione compie pubbliche abluzioni, intrattiene gli ospiti sui propri disturbi intestinali e incrementa il galateo delle buone maniere a tavola concedendo il diritto a ogni sorta di emissioni: Nemo nostrum solide natus est . Ego nullum puto tam magnum tormentum esse quam continere ... Nec tamen in triclinio ullum vetui facere quod se iuvet, et medici vetant continere (, -). Di reazioni a questo tipo di continentia si hanno notizie sia sul piano filosofico sia sul piano storico: secondo Cicerone (Fam. , , ) gli Stoici etiam crepitus aiunt aeque liberos ac ructus esse oportere; secondo Svetonio (Claud. ), l’imperatore Claudio dicitur etiam meditatus edictum, quo veniam daret flatum crepitumque ventris in convivio emittendi, cum periclitatum quendam prae pudore ex continentia repperisset. Ebbene, la liberalitas di Trimalchione realizza in àmbito privato quanto avrebbe predicato una delle più seriose scuole antiche di pensiero e quanto aveva in mente un imperatore, per altro destinato a morire a teatro tra tormenti viscerali . Nel momento in cui manifesta le proprie competenze scatologiche, Trimalchione ha un antenato nella figura dell’uomo disgustoso (ho aedés) che compare nei Caratteri di Teofrasto: «a desinare narra che, avendo preso l’elleboro, è andato di sopra e di sotto e che la bile nelle sue scariche è più nera del sugo che ha davanti» . Si tratta di figura dagli indubbi effetti comici, come comica suona ogni concessione al lessico delle deiezioni fisiologiche . In particolare, non è inutile ricordare in M. Golden, P. Toohey (a c. di), Inventing Ancient Culture, London , -. Vd. altresì S. Maso, Obscenitatem suam spectaculum facere. Esibizione ed elogio dell’incultura: tra Seneca e Petronio, in A. Camerotto, S. Maso (a c. di), La satira del successo. La spettacolarizzazione della cultura nel mondo antico, Milano-Udine , -. . Vd. Petron. , : ita vero, inquam ego, tanquam solidos alligaturus, quibus non soleat venter iniuriam facere? (Encolpio a Eumolpo: «insomma – dico – tu hai intenzione di legarci come se fossimo tutti d’un pezzo e non soggetti al mal di pancia?»). . Cf. Sen. Apoc. , : Exspiravit autem dum comoedos audit, ut scias me non sine causa illos timere. Ultima vox eius haec inter homines audita est, cum maiorem sonitum emisisset illa parte, qua facilius loquebatur: “vae me, puto, concacavi me”. . Theophr. Charact. , : (la trad. è di G. Pasquali). Vd. D.F. Leão, Trimalquião: à luz dos Caracteres de Teofrasto, «Humanitas» , , -. . Riscontri relativi alla commedia attica in J. Henderson, The Maculate Muse. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  che situazioni del genere trovano ospitalità tra gli ingredienti dei cosiddetti spettacoli popolari d’età imperiale, come testimonia il mimo greco Charition, testo riportato da P.Oxy , in cui bordate di pordaì emesse da un servus pedens dalle staordinarie capacità mettono in fuga schiere di sprovveduti Indiani che tengono prigioniera una fanciulla greca . Che a Petronio la situazione non paia disdicevole conferma un dettaglio che si legge all’inizio dell’episodio ambientato a Crotone, quando Encolpio e il poetastro Eumolpo decidono di inscenare – guarda caso! – il mimo (componere mimum) del vecchio ricco privo di eredi; lungo il cammino verso la città i bagagli sono caricati sulle spalle di Gitone e del servo di Eumolpo, Corace, i quali danno vita a una clamorosa protesta: il primo, non contento degli improperi, tollebat subinde altius pedem, et strepitu obsceno simul atque odore viam implebat. Ridebat contumaciam Giton et singulos crepitus eius pari clamore prosequebatur (, -). Ora, tornando al reduce da impegnativi secessus, non riesce difficile osservare come Trimalchione, recuperate le funzioni di regista della cena (ordini ai cuochi, , -) e indicate su scala abnorme le coordinate geografiche dei propri possedimenti (Italia meridionale, Sicilia, Africa: , -), riprenda la discussione introdotta da Echione da posizioni mutate e, per così dire, di forza. Nei confronti di Agamennone, infatti, Echione sembra comunque riconoscere la supremazia della formazione culturale, anche se misurata col metro di elementari conoscenze; Trimalchione, invece, dall’alto della sua posizione economica e del ruolo di padrone di casa – l’uno e l’altra non a caso puntualizzati come premessa –, si sente alla pari col maestro di Obscene Language in Attic Comedy, Cambridge  ,  e passim. Cfr. hymn. Hom. Herm. -; Cratet. fr.  Kassel-Austin; Hor. Serm. , , -; Anth. Pal. ,  (Nicarco); Strab. , , ; Athen. , b. . Vd. S. Santelìa, Charition liberata, Bari ; M. Andreassi, Mimi greci in Egitto. Charition e Moicheutria, Bari , -; E. Hall, Iphigenia in Oxyrhynchus and India: Greek Tragedy for Everyone, in S. Tsitsirides (a c. di), Parachoregema, Heraklion , -; S. Tsitsirides, Greek Mime in the Roman Empire (P.Oxy. ), «Logeion» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio retorica: sed narra tu mihi, Agamemnon, quam controversiam hodie declamasti? Ego autem si causas non ago, in domusionem tamen litteras didici. Et ne me putes studia fastiditum, tres bybliothecas habeo, unam Graecam, alteram Latinam. Dic ergo, si me amas, peristasim declamationis tuae (, ). Studi personali alla buona in chiave giuridica, due o tre biblioteche di cultura greco-latina , un bel grecismo tecnico (peristasis) a designare la struttura della declamazione: tutto questo sciorina con compiaciuta ostentazione l’umorosa domanda rivolta ad Agamennone. E il retore ricorre ai repertori di scuola per esibirsi in una declamazione di scontata tradizione: Pauper et dives inimici erant. Argomento trito e ritrito, quello dell’inimicizia tra il ricco e il povero, nelle aule dei declamatori ; ora, nella dimora di un parvenu straricco, va incontro a un’inevitabile interruzione, quid est pauper?, formu. Due o tre biblioteche? Piuttosto che correggere il testo, sembra opportuno pensare o a una incongruenza di chi parla dovuta al vino, oppure a una reticenza dietro cui andrebbe ravvisata la mancata menzione d’una biblioteca in lingua ebraica, la terza lingua antica legata a forte tradizione scritta. Comunque, l’incongruenza tra numerali e oggetti numerati è un altro ingrediente comico; ma vd. B. Adamik, Tres bybliothecas habeo, unam Graecam, alteram Latinam. Textkritische, philologische und soziolinguistische Interpretation von Petrons Satyricon . , «Acta Antiqua Hung.» , , -. . Al gr. perìstasis corrisponde nel lessico retorico latino appunto il termine circumstantia (non a caso segnalato in margine dal cod. Traguriensis). Gli elementi della peristasis / circumstantia sono di solito sei: persona (quis?), azione (quid?), luogo (ubi?), tempo (quando?), modo (quemadmodum?), causa (cur?); da Quintiliano , , - sappiamo che alcune scuole potevano aggiungere altri tre elementi: materia, strumento, occasione. . Cf. Sen. Contr. ,  (pauper, cum haberet filium et divitem inimicum filiam habentem, peregre profectus est. rumor fuit de morte eius. filius cum divite in gratiam rediit et eius filiam duxit. reversus pater cogit illum uxorem repudiare; nolentem abdicat) e  (dives pauperem vicinum rogavit, ut sibi arborem venderet, quam sibi dicebat obstare; pauper negavit. dives incendit platanum, cum qua et domus arsit. pro arbore pollicetur quadruplum, pro domo simplum); ,  (dives pauperem de nuptiis filiae interpellavit tertio; ter pauper negavit); ,  (Quidam, cum haberet filium et divitem inimicum, occisus ... inventus est). Due delle Declamationes maiores di Ps.Quintiliano iniziano con le parole pauper et dives inimici (Decl. maiores VII e XI; la IX propone una variazione: pauperis et divitis inimicorum filii iuvenes amici erant; la XIII ripropone in chiave diversa lo stesso binomio: Pauper et dives in agro vicini erant iunctis hortulis). Anche negli estratti delle Declamationes di Calpurnio Flacco (II sec. d.C.) è dato trovare cinque o sei occorrenze del tema, introdotto sempre dalle stesse parole (pauper et dives inimici). . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  lata con le parole di una massima attribuita a Seneca filosofo . Da navigato commensale che conosce l’arte di farsi invitare , Agamennone sa che la domanda non attende risposta, ma solo un commento, che non tarda a venire, sulla finezza della battuta: “Urbane”, inquit Agamemnon et nescio quam controversiam exposuit (, ). Come si nota subito, la controversia non è degna di memoria e di menzione da parte del narratore, che pure è studente di retorica, ma studente contestatore, se ci ricordiamo della sua tirata contro la ventosa et enormis loquacitas venuta dall’Asia (, ). In sintonia con la contestazione di allora e, soprattutto, con gli interessi dell’autore, questa volta tocca a un liberto venuto dal vicino Oriente prendersi gioco della prassi declamatoria su argomenti scontati e contestare la definizione stessa di controversia: Hoc, inquit, si factum est, controversia non est; si factum non est, nihil est (, ). Questa battuta e altre del genere sono accolte da elogi a non finire; e il consenso nasce da tutti i presenti, scholastici compresi, come mostra la I persona plurale del verbo incaricato di segnalare le reazioni del ’pubblico’ (, : haec aliaque cum effusissimis prosequeremur laudationibus). L’elogio incrementa la compiaciuta pretesa di Trimalchione di essere insieme signore del convito ed effettivo maestro di cultura; il che gli permette, lì per lì, di evocare improbabili letture omeriche e autopsie personali di decrepite ed estenuate Sibille in vena di annullamento, più avanti di farsi giudice letterario di una syncrisis sbilenca tra Cicerone e Publilio Siro (, : rogo, inquit, magister, quid putas inter Ciceronem et Publilium interesse? Ego alterum puto disertiorem fuisse, alterum honestiorem) e am. Quis est pauper? Qui sibi videtur. Vd. G. Puglisi, Quid est pauper? (Petron. , -). Povertà e strategie amministrative nell’Italia romana, «Siculorum Gymnasium» , , -. . Cfr. Petron. , - e , . Si potrebbe aggiungere , : secondo Ermerote, Agamennone sa apprezzare il mondo dei liberti (ecce magister tuus, homo maior natus: placemus illi). In ,  Ascilto così rimprovera Eumolpo, sottolineamdo a che prezzo si ottengono inviti: multo me turpior es tu hercule, qui ut foris cenares, poetam laudasti. . Vd. in generale H. Mac L. Currie, The Satyricon’s Serious Side: Petronius and Publilius, «Latomus» , , -. Va ricordato che Seneca (Ep. , -) mette alla berlina il ricchissimo e ignorante liberto Calvisio Sabino, che ha la pretesa di dare  Rileggendo Petronio e Apuleio mettere che il mestiere del letterato è difficillimum artificium (, ). In tal modo si propone – non v’è dubbio – il contrasto tra personaggi di livello linguistico e culturale diverso, come vuole la storia del mimo secondo Coricio; ma nel Satyricon, e in particolare nella Cena, il gioco delle parti appare ribaltato, perché gli applausi (interessati) vanno ai protagonisti extrascolastici, mentre la derisione è riservata ai professionisti della cultura. .. Altri aspetti spettacolari: risse, racconti, funerali Altro ancora riserva lo spettacolo di parole su cui è costruita la Cena. Conferma che risate e derisioni sembrano programmate a senso unico viene dall’episodio successivo alla già ricordata distribuzione degli apophoreta, corredati da cartellini allusivi che esperiscono tutta una serie di giochi di parole per ‘definire’ gli oggetti distribuiti (, -). L’effetto è scontato (diu risimus), ma uno degli scholastici, Ascilto, ha il torto di ridere troppo (usque ad lacrimas) e di farsi beffe di tutto (cum omnia . . . eluderet), suscitando la reazione violenta di uno dei commensali (unus ex collibertis excanduit). Così in ,  si apre una nuova dimostrazione dei rapporti ineguali tra ex-schiavi in ascesa sociale e studenti in formazione, tra uomini del fare e uomini del dire. Trimalchione ha affermato che «Marte ama l’eguaglianza» (, ) e che a tavola non c’è discriminazione; si dovrebbe dire, piuttosto, che alla tavola del ricco di umili origini si reagisce a discriminazioni tradizionali e si pareggia il conto, recuperando sul piano sociale debiti di cultura. Ancora una volta, pertanto, il potere della parola non sta dalla parte degli scholastici o dei loro giovani amichetti, che si limitano a ridere eccessivamente, come spettatori di scarso autocontrollo. Negata agli uomini del dire, nella Cena la parola resta privilegio dei liberti, in questo giudizi sui poeti greci col sussidio di schiavi addottrinati. . Vd. J. D’Arms, The Roman Convivium and Equality, in O. Murray (a c. di), Sympotica: A Symposium on the Symposion, Oxford , -; A. Cucchiarelli, Trimalchione e la Cena di Marte (partendo da Satyr. , ), cit., -. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  caso di Ermerote, che reagisce in maniera risentita a risate per lui fuori posto di Ascilto (, -: quid rides, berbex? – Bellum pomum, qui rideatur alios – Ridet! Quid habet quod rideat? - Tibi soli ridiclei videmus) e, subito dopo, di Gitone, il quale imita Ascilto e si esibisce a sua volta in una risata indecorosa (, : risum . . . indecenter effudit), andando incontro a invettiva di non minore intensità (, : Tu autem . . . etiam tu rides, cepa cirrata?) . La duplice rampogna non smentisce, per così dire, il programma egualitario del convito, in quanto riserva al giovane ingenuus e all’ancor più giovane servus la stessa sequela aggressiva di insulti, di espressioni proverbiali, di hapax e metaplasmi coloriti. Così Ascilto viene apostrofato come larifuga e nocturnus qui non valet lotium suum, lacticulosus, vasus fictilis, lorus in aqua, hircus in ervilia; e il giovane Gitone viene bersagliato come crucis offla, corvorum cibaria, terrae tuber, mus in matella, vulpis uda . Anche le frasi sentenziose indirizzate ai due malcapitati si possono considerare equivalenti. In molle carne vermes nascuntur (, ); in alio pedunclum vides, in te ricinum non vides (, ): è quanto spetta ad Ascilto. Dal canto suo Gitone sente massime adeguate alla propria condizione: qualis dominus, talis et servus (, ); at nunc mera mapalia: nemo dupondii evadit (, ). Ma l’aspetto più interessante dello scontro sta nella piena rivendicazione individuale e sociale da parte della persona loquens. Il sussulto di Ermerote è davvero degno di nota: riassume la sua storia personale, celebra l’emancipazione raggiunta e i livelli di vita autonoma conseguiti, soprattutto afferma la propria dignità (, -: ipse me dedi in servitutem et malui civis Romanus esse quam tributarius. Nunc spero me sic vivere, ut nemini iocus sim. Homo inter homines sum, capite aperto ambulo; assem aerarium nemini debeo . . . mille denarios pro capite solvi; sevir gratis factus sum; . Vd. A. Borghini, Cepa cirrata (Petron. LVIII ): una segnalazione, «Aufidus» , , -. . Sulla funzione degli insulti zoologici vd. F. Biville, Et tu cum esses capo, cocococo (Pétr. .). Métaphores et onomatopées animalières dans Sat. -, «Latomus» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio spero, sic moriar, ut mortuus non erubescam) . E quando la tirata investe Gitone, ecco riaffiorare il contrasto tra docti e indocti a graduatoria inversa. Si segnala, infatti, il dislivello educativo e culturale tra liberti e mondo della scuola, ma lo spunto serve a stabilire la superiorità d’una buona educazione all’antica, anche se limitata a nozioni elementari, rispetto ai costi (inutili) dell’educazione retorica (, -: Non didici geometrias, critica et alogas naenias, sed lapidarias litteras scio, partes centum dico ad aes, ad pondus, ad nummum. . . . Iam scies patrem tuum mercedes perdidisse, quamvis et rhetoricam scis) . Si è parlato di rissa e diverbio, ma si deve ammettere che ognuno di questi termini è eccessivo, perché Ascilto e Gitone non proferiscono una sola parola, tenuti lontano come sono dalle forme del discorso diretto e della replica. Sorte leggermente migliore, all’interno di una rissa sucessiva meno diseguale, sembra toccare a Fortunata, quando vorrà reagire alle effusioni troppo marcate che Trimalchione riserva a un puer di bell’aspetto . Le parole della donna, riportate dapprima in discorso indiretto, si concludono con un sonoro e diretto insulto zoomorfico: Fortunata, ut ex aequo ius firmum approbaret, male dicere Trimalchionem coepit et purgamentum dedecusque praedicare, qui non contineret libidinem suam. Ultimo etiam adiecit: “canis!” (, ) . Certo, Fortunata appartiene allo stesso mondo del padro. Si noti come la duplice speranza di Ermerote sia introdotta con le stesse espressioni (spero me sic vivere, ut . . . / spero, sic moriar, ut . . . ) e come, in vita e in morte, compaia l’identica preoccupazione di non essere oggetto di derisione e di smacco della memoria. Si direbbe che il tutto è formulato in maniera risentita e seriosa, anche se il rossore post mortem anticipa la battuta di Trimalchione a proposito dell’ampolla di nardo con cui unge i presenti durante la prova generale delle proprie esequie (, : spero futurum ut aeque me mortuum iuvet tamquam vivum). . Sulla scena vd. le considerazioni di G.B. Conte, L’autore nascosto, cit., -, e di G. Jensson, The Recollections of Encolpius. The Satyrica of Petronius as Milesian Fiction, Groningen , -. Utili considerazioni in A.D. Booth, La valeur de la bonne naissance selon Herméros (Satyr. ), «Echos du Monde Classique» , , -. . Vd. R. Schievenin, Trimalchione e il puer non inspeciosus, «Boll. di Studi Latini» , , -. . Sui rapporti tra epiteti zoomorfici e tradizione della favola degli animali si possono vedere D. Goguey, Des animaux et des hommes dans le Satiricon, in P. Defosse . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  ne di casa e dei suoi compari; oltre al protagonismo in qualche scenetta femminile (esibizione di gioielli e oggetti di lusso, propensione a danze non castigatissime) , le spettano dunque diritto di parola e iniziativa di diverbio, tanto da consentire alla critica di evocare, in filigrana plebea, i litigi delle massime divinità dell’Olimpo omerico . Il prezzo è però piuttosto alto, visto che la parte più consistente dello scontro è appannaggio del consorte, il quale replica con gesti violenti (calicem in faciem Fortunatae immisit) e con punizione piuttosto severa, anche se poco seria: Habinna, nolo statuam eius in monumento meo ponas, ne mortuus quidem lites habeam. Immo, ut sciat me posse malum dare, nolo me mortuum basiet (, ). Insomma, parole poco alate, oggetti volanti e contundenti, espunzioni da monumenti funebri e interdizione di baci postumi: tutto serve a movimentare la situazione in chiave teatrale, come teatrale è la falsa lite degli schiavi, che ignorano il verdetto di Trimalchione e prendono a randellate le rispettive anfore, col risultato a sorpresa di scodellare sul pavimento ostriche e frutti di mare, serviti poi ai commensali in compagnia di lumache su graticole d’argento: duplici lautitiae – rozze e insieme preziose – programmate dall’ingeniosus cocus e dal regista del convito (, -). Ricapitolando, nell’universo del banchetto trimalchionesco, il diritto di parola non viene esteso a quanti, nel mondo reale, ne sono gli effettivi detentori. Di questa censoria ritorsione sociale è ulteriore conferma la serie di narrazioni che, dopo l’in(a c. di), Hommages à Carl Deroux, II, Bruxelles , -; I. Marchesi, Traces of a Freed Language: Horace, Petronius, and the Rhetoric of Fable, «Classical Antiquity» , , -. Per completare il quadro delle risse simpotiche, si deve ricordare che anche gli animali non ne sono esenti, come fa fede lo scontro tra la catella nigra atque indecenter pinguis di Creso e l’ingens formae canis Scilace, praesidium domi familiaeque (, -). . Vd. Petron. ,  - ; ,  e , . I movimenti e i gesti di Fortunata, dal rientro in scena su preciso segnale (signo dato) al siparietto con Scintilla e alla scenata di gelosia, permettono di ricordare che solo il mimo e la pantomima potevano contare su effettive presenze femminili. . Vd. M. Ypsilanti, Trimalchio and Fortunata as Zeus and Hera: Quarrel in the Cena and Ilias, «Harvard Studies in Classical Philology» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio termezzo dei conversari, scandisce la seconda parte della Cena: tutti i narratori appartengono alla schiera dei liberti, mentre gli scholastici restano prigionieri del loro ruolo di pubblico, in particolare di pubblico di ascoltatori. Se si fa un passo indietro, al termine dell’improbabile disquisizione sull’origine dei vasi corinzii (, : fusione di ori e bronzi nell’incendio di Troia voluta da . . . Annibale!), ci si imbatte nel padrone di casa in veste di narratore. La preferenza accordata ai vitrea, agli oggetti di vetro che hanno un pregio assoluto (non olent) e un non meno assoluto difetto (la fragilità), fornisce l’occasione per il racconto del vetro infrangibile (, -). La breve storiella, destinata a buona fortuna letteraria , riassume in poche battute una peripezia artigianale a fine tragico: l’incauto inventore della phiala vitrea quae non frangebatur, ammesso alla presenza dell’imperatore, crede di toccare il cielo con un dito (ma l’immagine di ,  è più colorita: putabat se coleum Iovis tenere) ; il principe, invece, pensoso del crollo della produzione del vetro frangibile, ordina di decapitare l’ingenuo artigiano . Il narratore approva la ragione economica che provoca l’esito funesto, quia enim, si scitum esset, aurum pro luto haberemus (, ), anche perché non vuole e non può nascondere le sue predilezioni per i metalli preziosi (, : in argento plane studiosus sum). Andamento analogo, con situazioni che precipitano verso un finale rovinoso, presentano gli altri due racconti della Cena, l’episodio di licantropia narrato da Nicerote (,  - , ) e la veglia funebre del morticino raccontata dallo stesso Trimal. Cfr. Plin. , ; Isid. Or. , , ; Joh. Saresb. Pol. , . Vd. per es. G. Polara, La tradizione medievale della novella del vetro infrangibile, in AA.VV., Semiotica della novella latina, Roma , -. . Testo da difendere, contro ogni attacco di perbenismo congetturale: vd. R. Glei, Coleum Iovis tenere? Zu Petron. , , «Gymnasium» , , -. . Vd. A. Borghini, La paura di Cesare e il vetro infrangibile: un contributo, «Aufidus» , , -; G. Sommariva, La novella del vetro infrangibile e un preteso incidente nella cena Trimalchionis (Petr. Satyr. , -; , -), «Filologia Antica e Moderna» , , -. Su questo e gli altri racconti petroniani vd. P. Fedeli, Di Mundo, Petronio Arbitro. I racconti del ‘Satyricon’, Roma  ; G. Anderson, The Novella in Petronius, in H. Hofmann (a c. di), Latin Fiction. The Latin Novel in Context, cit., -. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  chione (, -) . In questi due casi la piega degli avvenimenti non è più determinata dalla mano occulta dell’economia, ma da non meno occulte forze misteriose che producono paurosi effetti metamorfici (mutazione di un soldato fortis tamquam Orcus in lupo mannaro, morti e sottrazione di cadaveri) e che colorano l’atmosfera del convito di motivi folclorici a mezza via tra religiosità e superstizione . Lessico, immagini ed espressioni proverbiali conferiscono anche a questi due racconti la stessa carica mimetica esibita nel corso dei liberi conversari da tavola: non viene meno, infatti, il tasso di hapax legomena e metaplasmi, di volgarismi e di frasi fatte che caratterizza i livelli linguistici esterni al mondo delle scuole . Né mancano altri spunti e motivi già visti all’opera: per esempio, nell’esitazione di Nicerote a iniziare il racconto si avverte la medesima preoccupazione di Ermerote per il giudizio e l’eventuale derisione . Sulle novelle del lupo mannaro e della notte delle streghe si rinvia a E. Lefèvre, Petrons Spuknovellen ,  - , , in J. Herman, H. Rosén (a c. di), Petroniana. Gedenksschrift für Hubert Petersmann, Heidelberg , -, e alla bibliogr. ivi raccolta. Si aggiungano A. Borghini, Lupo mannaro: il tempo della metamorfosi (Petr., Satyr. LXII ), «Aufidus» , , -; M.I. D’Autilia, Il licantropo. Un topos del ‘racconto meraviglioso’ tra Petronio e oralità folklorica, «Primum Legere» , , -. . Per questi e simili aspetti si rinvia a T. Pinna, Magia e religione nella Cena Trimalchionis, Sassari ; M. Grondona, La religione e la superstizione nella Cena Trimalchionis, Bruxelles ; C. Codoñer, Lexique du ‘sacré’ et réalités religieuses chez Pétrone, «Revue de Philologie» , , -; H. Petersmann, Religion, Superstition and Parody in Petronius’ Cena Trimalchionis (), in Id., Lingua et Religio, Göttingen , -. Per analisi di taglio antropologico si rinvia a due articoli di G.B. Bronzini: Analisi antropologica di un racconto letterario classico, in G. Ferroni (a c. di), Modi del raccontare, Palermo , -; Il lupo mannaro e le streghe in Petronio, «Lares» , , -. . Termini e modi di dire si citano nell’ordine in cui compaiono: bacciballum, corporaliter, benemoria (, -); fefellitus sum, egi aginavi, in angustiis amici apparent (, -); scruta scita, persuadeo hospitem, apoculamus (, -); ad stelas facere, animam in naso esse, circumminxit (, -); matauitatau, in larvam intravi, paene animam ebullivi, per bifurcum (, -); nobis adiutasses, tamquam copo compilatus, exopinissent (, -). Fin qui la narrazione di Nicerote; ecco ora le particolarità del racconto di Trimalchione: asinus in tegulis, vitam Chiam gessi, ipsimi nostri delicatus decessit . . . margaritum, caccitus et omnium numerum (, -); in tristimonio, valde audaculum, salvum sit quod tango, baro noster, illum tetigerat mala manus (, -); manuciolum de stramentis factum, stramenticium vavatonem, plussciae, quod sursum est deorsum faciunt, phreneticus periit (, -).  Rileggendo Petronio e Apuleio da parte degli scholastici (, : Itaque hilaria mera sint, etsi timeo istos scholasticos ne me rideant. Viderint: narrabo tamen, quid enim mihi aufert, qui ridet? satius est rideri quam derideri) . Un po’ di divertimento si ravvisa nello stacco epico di cui il primo narratore (Encolpio e, alle sue spalle, Petronio) fa ironico dono al narratore extrascolastico (, : Haec ubi dicta dedit talem fabulam exorsus est) . Il racconto parla di esperienza diretta; tuttavia, non troppo sorprendente suona la dichiarazione finale, da storico di mirabilia che sembra ammettere reazioni incredule, ma enfatizza la veridicità di quanto ha narrato (, : Viderint quid de hoc alii exopinissent; ego si mentior, genios vestros iratos habeam). In effetti, si tratta di preoccupazione subito cancellata, in quanto il racconto ricompatta tutti i presenti in un’unica reazione di ammirato stupore (attonitis admiratione universis), ancor prima che l’auctoritas di Trimalchione avalli l’attendibilità di Nicerote e confermi, con un nuovo racconto, l’esistenza di orripilanti forze oscure (, -: scio Niceronem nihil nugarum narrare: immo certus est et minime linguosus. Nam et ipse vobis rem horribilem narrabo). Scatta così la novella della veglia funebre insidiata dall’azione magica di streghe in caccia di cadaveri: anche questa narrazione presenta uno spunto autobiografico come suggello di autenticità, in quanto il morto è un giovinetto che aveva preceduto Trimalchione stesso nel ruolo di amasio del padrone (, : cum adhuc capillatus essem, nam a puero vitam Chiam gessi, ipsimi nostri delicatus decessit). Un bel ragazzino, dunque, dall’alterna fortuna: in vita oggetto di attrazione agli occhi del dominus , in morte oggetto di attenzione da parte delle streghe, . Vd. M. Plaza, Conflict and Derision in Niceros’ Story (Petr. Sat. .-.), «Latomus» , , -. . Cfr. Verg. Aen. , -: haec ubi dicta dedit, lacrimantem et multa uolentem / dicere deseruit, tenuisque recessit in auras (così svanisce l’ombra di Creusa apparsa in sogno a Enea). . Situazione tutt’altro che riprovevole, anche perché può essere la strada dell’emancipazione, come dirà lo stesso Trimalchione: ad delicias ipsimi annos quattuordecim fui. Nec turpe est, quod dominus iubet. Ego tamen et ipsimae satis faciebam. Scitis quid dicam: taceo, quia non sum de gloriosis (, ). La morale è compendiata in , , a proposito del servo condannato perché sorpreso a sollazzare la padrona: quid . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  che ne sottraggono il corpo – per macabri scopi di necromanzia – e lo sostituiscono con un manichino di paglia, provocando per giunta la morte del corpulento uomo di Cappadocia che ha tentato di opporsi al sortilegio notturno. Diversi sono gli aspetti che la critica recente ha cercato di mettere in luce a proposito di questi racconti: di volta in volta si è avuto modo di sottolineare l’irruzione del fantastico o dell’irrazionale nel quotidiano, i livelli espressivi e la distanza dal linguaggio degli scholastici, il realismo delle classi subalterne, l’impianto retorico o lo stile dei resoconti militari, l’appartenenza al genere del racconto meraviglioso o folclorico; di contro non manca chi intende parlare di narrazione di personali esperienze vissute . Va però anche detto o ribadito che le storie di fantasmi e orrori notturni, pur senza costituire un genere specifico , rientrano nei racconti di intrattenimento, come dimostrano anche le novelle di Socrate e Aristomenne (narrata durante il viaggio del protagonista verso Hypata) e della fallimentare veglia funebre di Telifrone (narrata durante la cena in casa di Byrrhena) che si leggono nelle Metamorfosi di Apuleio (rispettivamente in , - e , -). I racconti apuleiani hanno non pochi punti di contatto con le due novelle petroniane. In particolare, se si tiene presente che il racconto di Telifrone, come si è di recente ricordato , ha indubbia ambientazione conviviale ed evoca situazioni simposiache, non si può escludere che anche i racconti petroniani abbiano analoga funzione di intrattenimento a banchetto. Vero è che la novella di Telifrone si apre e si chiude tra le risate dei convitati e serve da preludio alla festa del dio Riso (Met. , , : Inter haec convivium servus peccavit, qui coactus est facere? . La bibliografia pertinente è elencata e discussa da G. Vannini, Petronio : bilancio critico e nuove proposte, cit., -. . Ma vd. M. García Teijeiro, El cuento de miedo en la antigüedad clásica, «Mene» , , -. . Vd. M. Zimmerman, Cenatus solis fabulis? A Symposiastic Reading of Apuleius’ Novel, in W. Riess (a c. di), Paideia at Play: Learning and Wit in Apuleius, Groningen , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio totum in licentiosos cachinnos effunditur omniumque ora et optutus in unum quempiam angulo secubantem conferuntur. Met. , , : Cum primum Thelyphron hanc fabulam posuit, conpotores vino madidi rursum cachinnum integrant, Met. , , : Sollemnis . . . dies a primis cunabulis huius urbis conditus crastinus advenit, quo die soli mortalium sanctissimum deum Risum hilaro atque gaudiali ritu propitiamus. Hunc tua praesentia nobis efficies gratiorem) . Qui, invece, il racconto di Trimalchione impone – si direbbe unicamente o soprattutto – agli scholastici un atto di omologazione credula alla cultura del narratore, atto non disgiunto dai soliti atteggiamenti di stuporosa condiscendenza (, : miramur nos et pariter credimus, osculatique mensam rogamus Nocturnas, ut suis se teneant, dum redimus a cena). A porre fine alla cena e a far ritorno a casa i due giovani scholastici e Gitone tentano per ben due volte: la prima volta, senza successo, quando la compagnia dei commensali segue Trimalchione nella catabasi del bagno e i giovani, novi generis labyrintho inclusi, non riescono a trovare la via d’uscita ; la seconda volta, con successo, quando approfittano dell’intervento dei vigiles, richiamati da strepiti fuor di misura, fuggono a gambe levate dalla dimora di Trimalchione e ritrovano la via di casa grazie alla previdente sagacia di Gitone, che trionfa delle tenebrose signore della notte, facendo rivivere a modo suo il mito del filo di Arianna e prefigurando l’astuzia folclorica di Pollicino (, : tandem expliciti acumine Gitonis sumus. Prudens enim pridie, cum luce etiam clara timeret errorem, omnes pilas columnasque notaverat creta, quae lineamenta evicerunt spississimam . Vd. V. Ciaffi, Petronio in Apuleio, Torino , -; M.G. Bajoni, La scena comica dell’irrazionale (Petr. - e Apul. Met. I - e II -), «Latomus» , , -; D. Van Mal-Mader, Groningen Commentaries on Apuleius. Apuleius Madaurensis, Metamorphoses. Livre II, Groningen , -. . Cfr. Petron. ,  - , . Vd. M.-C. Minazio, La maison-piège de Trimalchion, in Mélanges Esther Bréguet, Lausanne , -; P. Fedeli, Petronio: il viaggio, il labirinto, «Materiali e Discussioni» , , -; R.M. Newton, Trimalchio’s Hellish Bath, «Classical Journal» , , -; T.J. Leary, Getting out of Hell: Petronius ,  ff., «Classical Quarterly» , , -; P. Lago, Il viaggio e la dimensione ‘infernale’ nel Satyricon, «Aufidus» , , -. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  noctem, et notabili candore ostenderunt errantibus viam) . Bene: i remoti nipotini di Teseo riescono a fuggire dal labirinto di nuovo genere, ma non prima di aver assistito a un piccolo spettacolo funebre articolato in più movimenti, un po’ perché tale spettacolo sembra costituire il culmine antifrastico della Cena , soprattutto perché tradizione vuole che al labirinto siano associate scene di morte . L’attacco è dato dall’ingresso tardivo e rumoroso di Abinna, sevir Augustalis in carica e lapidarius incaricato del monumento funebre di Trimalchione: noto a quasi tutti i presenti – ma non al narratore Encolpio, che reagisce sorpreso e guadagna un rimbrotto da parte del navigato Agamennone (, : contine te, homo stultissime) –, Abinna giunge tardi a banchetto, palesemente alticcio, col capo incoronato e umido d’unguento, un po’ come l’Alcibiade del Simposio platonico che arriva tardi e già ubriaco in casa di Agatone . Come si è già avuto modo di accennare, la presenza di Abinna, scortato dalla moglie Scintilla, dà luogo a due brevi intermezzi: il racconto del menu del banchetto funebre da cui è reduce, il tutto condito da espressioni popolari via via degradanti fino a un poco appetitoso catillus concacatus (, -); la scenetta di Fortunata e della sua controfigura Scintilla intente ad ammirare gioielli e a cicalare su argomenti femminili, chiusa dal gesto improvviso di Abinna, che solleva i piedi di Fortunata super lectum, facendole risalire la tunica super genua (, ) . La rea. L’accortezza di Gitone sembra decisiva nei tentativi di lasciare la dimora di Trimalchione: ducente . . . Gitone ad ianuam venimus (, ); iam dudum se ratione acutissima redemerat a cane (, ). . In merito la bibliografia più recente è elencata e discussa da G. Vannini, Petronio -: bilancio critico e nuove proposte, cit., -. . Per dirla alla maniera di R.J. Clark, Catabasis: Vergil and the Wisdom-Tradition, Amsterdam , -. . Vd A. Cameron, Petronius and Plato, «Classical Quarterly» n. s. , , ; A. Cucchiarelli, L’entrata di Abinna nella Cena Trimalchionis (Petron. Satyr. ), «Annali della Scuola Normale Sup. di Pisa. Classe di Lettere, Storia e Filosofia» s. IV , , -. . Sulla figura di Scintilla e il ritorno di Fortunata «sul palcoscenico del triclinio e nel campo della mimesi» vd. L. Cicu, Donne petroniane, cit., -; secondo H.D.  Rileggendo Petronio e Apuleio zione della donna è di vergognoso rossore (, : incensissimam rubore faciem sudario abscondit): nel corso dell’intera Cena l’intesa complice tra le due donne e il gesto di Abinna a spese di Fortunata (con cui sembra vantare buona familiarità) sono gli unici dettagli che possono vagamente evocare situazioni erotiche di tricae teatrali a partecipazione femminile . Ma altra è la funzione del nuovo arrivato: marmista funerario accreditato, il personaggio ha ricevuto l’incarico di allestire il mausoleo del padrone di casa; pertanto la sua presenza vale a riportare in primo piano il tema della morte. È Trimalchione stesso a indirizzare il discorso in tale direzione, lungo un crescendo di commozione a cui non sono estranee le copiose libagioni: dapprima promette l’affrancamento degli schiavi post mortem e dà lettura del proprio testamento tra i singhiozzi dei servi (, : ingemescente familia) ; poi dà disposizioni circa l’impianto figurativo del proprio monumento funebre, elencando con precisione statue e immagini a compendio della propria vicenda personale e socio-economica (, -) . Non mancano dettagli Rankin, Some Comments on Petronius’ Portrayal of Character, «Eranos» , ,  «Scintilla is more or less a duplicate of Fortunata». . Discorso diverso – ovviamente – vale per le altre parti del Satyricon in cui l’attivismo erotico delle donne non manca di presenze intriganti, in aperta concorrenza con gli episodi omoerotici: dalla vecchia erbivendola che conosce la via del postribolo (, -) al triduo orgiastico con Quartilla, Psiche e Pannichide (,  – , ), dagli appetiti di Trifena, che non totam voluptatem perdiderat (, ) alla matrona di Efeso (-), dagli amori di Circe e Polieno-Encolpio (,  - , ; ,  - , ) ai riti priapici di Proseleno ed Enotea (,  - , ), dall’ambigua moralità della matrona Philomela ai pygesiaca sacra ai quali Eumolpo sottopone la figlia (, -). . Cfr. Petron. , : Amici, inquit, et servi homines sunt et aeque unum lactem biberunt, etiam si illos malus fatus oppresserit. Tamen me salvo cito aquam liberam gustabunt. Ad summam, omnes illos in testamento meo manu mitto. Sul problema degli schiavi sono da vedere M.A. Cervellera, Petronio e gli schiavi (a proposito di Petr. ), «Annali Fac. di Lettere e Filosofia, Univ. di Lecce» -, -, -; G. Puglisi, Il microcosmo di C. Pompeius Trimalchio Maecenatianus. Schiavi e liberti nella casa di un mercante romano (Petr. -), «Index» , , -. . Tutti gli elementi citati trovano riscontro in quanto è dato vedere nelle necropoli d’età imperiale: vd. in part. J. Whitehead, The ‘Cena Trimalchionis’ and Biographical Narration in Roman Middle-Class Art, in P.J. Holliday (a c. di), Narrative . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  per custodie future, allo scopo di evitare che in monumentum meum populus cacatum currat (, ); non manca un orologio che continui a segnare il tempo per Trimalchione, ut quisquis horas inspiciet, velit nolit, nomen meum legat (, ). Ma non bastano immagini e misura del tempo; ad assicurare la durata della memoria deve provvedere un epitafio finale (, ), giocato non senza ironia su formule ben presenti nelle testimonianze epigrafiche . La descrizione del monumento e la recita dell’epitafio sortiscono ancor più vistoso effetto di commozione: Haec ut dixit Trimalchio, flere coepit ubertim. Flebat et Fortunata, flebat et Habinnas, tota denique familia, tamquam in funus rogata, lamentatione triclinium implevit. Immo iam coeperam etiam ego plorare, cum Trimalchio: Ergo, inquit, cum sciamus nos morituros esse, quare non vivamus? (, -). Ecco: ancora in vita Trimalchione si piange e viene pianto (anche dal narratore) come morto; ma la mortalità evocata a banchetto – lo sappiamo – è pretesto per nuovi brindisi o, comunque, per nuove schegge di vita felice (, : sic vos felices videas, coniciamus nos in balneum, meo periculo, non paenitebit) . Con la scena del bagno ha avuto inizio il grande episodio della Cena; ora con una nuova scena al bagno ci si avvia a conclusione, non prima però della lite con Fortunata e la conseguente damnatio memoriae già ricordata. Anche del primo, fallimentare, and Event in Ancient Art, Cambridge , -; A. Mehl, Wirtschaft, Gesellschaft, Totenglauben: die ‘Igeler Säule’ bei Trier und ihre Grabherren. Mit einemAnhang: das Grab des Trimalchio, «Laverna» , , - (in part. -); L.H. Petersen, The Baker, his Tomb, his Wife, and her Bread-Basket: the Monument of Eurysaces in Rome, «The Art Bulletin» , , - (in part. -); F. Guidetti, La tomba di Trimalchione. Saggio di commento archeologico al Satyricon, in AA.VV., Lo sguardo archeologico. I normalisti per Paul Zanker, Pisa , -. . Vd. P. Tremoli, Le iscrizioni di Trimalchione, Trieste , -; J.H. D’Arms, The ’Typicality’ of Trimalchio, in Id., Commerce and Social Standing in Ancient Rome, Cambridge Mass., , - (in part. -); M. Beard, Vita Inscripta, in W.W. Ehelers (a c. di), La biographie antique, Vandoeuvres-Genève , - (in part. -); J.F. Donahue, Euergetic Self-Representation and the Inscriptions at Satyricon ., «Classical Philology» , , -; J. Nelis-Clément, D. Nelis, Petronius’ Epigraphic Habit, «Dictynna» , , - (p. ). . Vd. anche Petron. , : Itaque tangomenas faciamus et usque in lucem cenemus.  Rileggendo Petronio e Apuleio tentativo di fuga di Encolpio, Ascilto e Gitone si è già detto; resta da dire delle condizioni in cui matura la fuga effettiva, vale a dire del finto funerale del padrone di casa. In fondo c’era da aspettarselo: a contraltare e a coronamento dell’imitatio vitae, filone lungo cui si venuta svolgendo la regia della Cena, non può non trovare spazio l’imitatio mortis, preannunciata e prefigurata da spie variamente allusive fino alla descrizione del mausoleo , poi sigillo finale all’autobiografia di Trimalchione e, in scorcio, di Abinna (,  – , ) . La scena finale ha una sua grandezza e persino non improbabili risvolti storico-realistici, se ricordiamo che Seneca raccomandava a Lucilio come esercizio spirituale quotidiano quanto altri faceva per esibizionismo di cattivo gusto: Itaque sic ordinandus est dies omnis tamquam cogat agmen et consummet atque expleat vitam. Pacuvius, qui Syriam usu suam fecit, cum vino et illis funebribus epulis sibi parentaverat, sic in cubiculum ferebatur a cena ut inter plausus exoletorum hoc ad symphoniam caneretur: βεβίvωται, βεβίvωται. Nullo non se die extulit. Hoc quod ille ex mala conscientia faciebat nos ex bona faciamus (Sen. Ep. , -). Lontano dalle preoccupazioni del filosofo e prossimo al cattivo gusto del governatore della Siria ai tempi di Tiberio, il ricchissimo Trimalchione detta le sue massime capitali e celebra, in preda ai fumi del vino, il proprio funerale . Sulla trama di riferimenti interni, espliciti o impliciti, attira l’attenzione S. Frangoulidis, Trimalchio as Narrator and Stage Director in the Cena: An Unobserved Parallelism in Petronius’ Satyricon , «Classical Philology» , , -, che sottolinea gli aspetti di contatto tra il finto funerale e la veglia funebre di , -. Vd. altresì Ch. Saylor, Funeral Games: The Significance of Games in the Cena Trimalchionis, «Latomus» , , -. Documentazione sui funerali pubblici in G. Wesch-Klein, Funus publicum, Heidelberg ; C. Edwards, Death in Ancien Rome, New Haven  (pp. -: Playing dead: Trimalchio); vd. anche J. Bodel, Death and Display: Looking at Roman Funerals, in B. Bergmann, C. Kondoleon (a c. di), The Art of Ancient Spectacle, New Haven , -. Come narra Suet. Vesp. , durante le solenni esequie di Vespasiano è l’archimimo Favor a sfilare con la maschera del defunto imperatore, imitandone gesti, portamento e battute da spilorcio. . Vd. S. Döpp, Leben und Tod in Petrons ‘Satyrica’, in G. Binder, B. Effe (a c. di), Tod und Jenseits im Altertum, Trier , -; R. Martin, Le ’grand air’ de Trimalchion (Satyricon -), «Vita Latina» , , -; R. Rieks, Die Autobiographie des Trimalchio, in D. Waltz (a c. di) Scripturus vitam. Lateinische Biographie von der Antike bis in Gegenwart. Festgabe für W. Berschin, Heidelberg , -. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  al termine dello spettacolo della propria esistenza: «“Credetemi: hai un soldo, vali un soldo; hai qualcosa, sarai qualcuno (assem habeas, assem valeas; habes, habeberis). Così l’amico vostro: un tempo era rana, ora è re. Intanto tu, Stico, tira fuori i paramenti coi quali voglio essere portato alla tomba. Porta anche l’unguento e un assaggio di vino di quell’anfora con cui do disposizione che siano lavate le mie ossa. . . . Io voglio esser portato via in gran pompa, in modo che tutta la gente possa indirizzarmi parole d’augurio”. Subito aprì l’ampolla del nardo e ci fece ungere tutti dicendo: “Spero che da morto mi piaccia quanto da vivo”. Fece poi versare il vino in apposito recipiente e disse: “Immaginate di essere stati invitati al mio banchetto funebre” (Putate vos [. . . ] ad parentalia mea invitatos esse). La situazione stava diventando davvero nauseante, quando Trimalchione, abbrutito da una sbornia spaventosa, ordinò di far entrare in sala elementi di un nuovo concerto, cioè dei suonatori di corno; appoggiato a un cumulo di cuscini, si distese sul fondo del letto e disse: “Fate finta che io sia morto. Fate sentire qualcosa di bello!” (Fingite me, inquit, mortuum esse. Dicite aliquid belli). Tutti insieme, i suonatori di corno attaccarono una rumorosa marcia funebre» (,  - , ) . Ibat res ad summam nauseam: finalmente una reazione non servile da parte dei giovani scholastici, stanchi ormai del ruolo di spettatori condiscendenti. Finalmente un’azione da protagonisti: occasionem opportunissimam nacti (il tumultuoso intervento dei vigiles) Agamemnoni verba dedimus, raptimque tam plane quam ex incendio fugimus (, ). Fuga finale a gambe levate: nel verbo fugimus (promettente I persona plurale) si è talora creduto di avvertire un’eco oraziana derivante dalla chiusa della Cena di Nasidieno, il ricco personaggio che ha qualche tratto in comune con Trimalchione (Hor. Sat. , , -: a detta degli ospiti le ultime portate sarebbero suavis res, si non causas narraret earum et / naturas dominus; quem . Vd. J. Bodel, Trimalchio’s Underworld, in J. Tatum, G. Vernazza (a c. di), The Search of the Ancient Novel, Baltimore-London , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio nos sic fugimus ulti, / ut nihil omnino gustaremus) . L’eco oraziana, s’intende, non è da escludere, ma nello specifico è probabile che l’una e l’altra fuga (entrambe in chiusa, entrambe movimentate) siano tributarie delle soluzioni con cui erano soliti terminare i mimi, almeno stando all’orazione ciceroniana in difesa di Marco Celio, accusato di violenza, sacrilegio e veneficio. Secondo Cicerone l’accusa è inconsistente e sconclusionata, alla stregua dei finali dei mimi: Mimi ergo iam exitus, non fabulae; in quo cum clausula non invenitur, fugit aliquis e manibus, deinde scabilla concrepant, aulaeum tollitur (Cic. Cael. ) . Non è dunque troppo azzardato dire che con l’espediente mimico della fuga ha termine la funzione di spettatori che lo spettacolo della Cena Trimalchionis ha imposto al narratore esplicito e ai suoi compagni. In realtà, sarebbe più appropriato dire che in tal modo viene ripristinato il ruolo di protagonisti che Encolpio e Gitone, in compagnia di Ascilto dapprima e di Eumolpo poi, svolgono nelle altre parti superstiti del Satyricon, ruolo di protagonisti comici o parodici, a seconda dei modelli o delle tradizioni che la critica ha indicato come antecedenti dell’opera petroniana . Come si è voluto distinguere, nella narrazione in prima persona, tra un Encolpio transparent narrator che descrive la Cena e un Encolpio agent narrator che racconta episodi di cui è anche attore , così non sembra inutile distinguere, tra scholastici spettatori durante la Cena e intellettuali attori negli . Vd. J. Revay, Horaz und Petron, «Classical Philology» , , -. . Vd. M. S. Smith, Petronii Arbitri Cena Trimalchionis, cit., : «If Petronius required to turn to literary sources for inspiration here, he is more likely to have found it in the endings of mimes: cf. Cic. Cael. ». . Rassegna in G. Jensson, The Recollections of Encolpius. The Satyrica of Petronius as Milesian Fiction, Groningen , -; vd. anche A. Barchiesi, Tracce di narrativa greca e romanzo latino, in AA.VV., Semiotica della novella latina, Roma , -, rielaborato in L. Graverini, W. Keulen, A. Barchiesi, Il romanzo antico, cit., -. . In merito si rinvia allo studio di A. Laird, Ideology and Taste: Narrative and Discourse in Petronius ’ Satyricon, in Id., Powers of Expression, Expressions of Power, cit., - e -. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  altri episodi, vale a dire in Petron. -,  e -. Va tuttavia notato come in tutte le situazioni, evocate per sommi capi o descritte in dettaglio, gli uomini di cultura, veri o presunti, siano accomunati da incomprensioni e sorprese, da fallimenti e dall’incapacità di governare sentimenti e reazioni emotive. Insomma, quando non sono spettatori di esibizioni altrui, sono protagonisti delle loro incerte esistenze. Avventure ricche di esiti non programmati o imprevedibili, sofferenze poco serie inflitte o patite senza alcuna ragione, farse e travestimenti di scadente progettazione e di peggior effetto, piccole infamie e improbabili tenerezze, centoni virgiliani degradati ad apostrofi inguinali, naufragi reali e metaforici, morti per acqua e impettite riscritture letterarie: di questo tenore sono i casi umani che si rincorrono nel Satyricon, intercalati a intermezzi poetici che sembrano allontanare l’attenzione dalle singole peripezie, ma sempre compendiati da massime d’ordine generale e generalmente sviluppati secondo maliziose cadenze serio-comiche, come mostra – esempio per tutti – la provvidenziale tempesta che pone fine a troppo affollati giochi d’amore su nave e permette a Encolpio di innalzare sulla fragilità dell’umana esistenza un lamento funebre ben intarsiato di prelievi tradizionali ( - ) . Non sempre avventure ed episodi si risolvono in risata, ma nei momenti cruciali, in momenti di transizione o in clausole, si avverte l’ombra del mimo, cui fanno esplicito rimando specifiche occorrenze lessicali. Così, all’inizio del triduo orgiastico che precede la Cena, l’improvvisa risata di Quartilla risuona per tutta la casa, ma sembra artefatta all’orecchio di chi non si spiega il subitaneo sbalzo d’umore (, : Omnia mimico risu exsonuerant, cum interim nos quae tam repentina esset mutatio animorum facta ignoraremus, ac modo nosmetipsos, modo mulieres . Vd. tra l’altro J. Nagore, Reescritura de un topos retorico: la fragilidad de la vida humana (cap. ), in Ead. (a c. di), Estrategias intertextuales en la narrativa latina: el Satyricon de Petronio, Buenos Aires , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio intueremur) . Così la preferenza di Gitone accordata ad Ascilto pone fine all’amicizia tra i giovani scholastici e rivela il triste destino di un amante abbandonato, come la fine del mimo dissolve la finzione scenica: Nomen amicitiae, sic, quatenus expedit, haeret; / calculus in tabula mobile ducit opus. / Dum fortuna manet, vultum servatis, amici; / cum cecidit, turpi vertitis ora fuga. / Grex agit in scaena mimum: pater ille vocatur, / filius hic, nomen divitis ille tenet. / Mox ubi ridendas inclusit pagina partes, / vera redit facies, adsimulata perit (Petron. , ) . Più avanti, in , , con Eumolpo fa la comparsa un personaggio male in arnese a mezza via tra i vecchioni del mimo e gli intellettuali invisi ai ricchi: senex canus, exercitati vultus et qui videretur nescio quid magnum promittere, sed cultu non proinde speciosus, ut facile appareret eum <ex> hac nota litteratorum esse, quos odisse divites solent. In ,  il duplice tentativo di suicidio di Gitone e di Encolpio con un rasoio smussato è una mimica mors agli occhi di impassibili testimoni . In ,  è Lica a definire, rivolto a Trifena, trucchi da mimo il travestimento di Encolpio e Gitone per apparire schiavi: Nunc mimicis artibus petiti sumus et adumbrata inscriptione derisi . Infine, prima di entrare in Crotone Eumolpo, Encolpio e Gitone diventano protagonisti di una finzione scenica – ovviamente di un mimo – ai danni dei cacciatori d’eredità: Prudentior Eumolpus convertit ad novitatem rei mentem genusque divitationis sibi non displicere confessus est. Iocari ego senem poetica levitate credebam, cum ille: “Utinam quidem, «inquit», sufficeret . Sulle valenze mimiche sottese all’episodio di Quartilla vd. C. Panayotakis, Theatrum Arbitri, cit., - (già Id., Quartilla’s Histrionics in Petronius, Satyrica ,  , , «Mnemosyne» , , -). . Vd. P. Habermehl, Petronius, Satyrica -. Ein philologisch - literarischer Kommentar, I, Berlin-New York , - (con bibliogr.). . Petron,  ,  - ,  presenta struttura analoga a un “mimo d’adulterio”: C. Panayotakis, Theatrum Arbitri, cit. -. Commento a Petron.  in P. Habermehl, Petronius, Satyrica -, cit., -. . Per il problema di ordine testuale vd. P. Habermehl, Petronius, Satyrica -, cit., . L’episodio della nave di Lica è già indicato come «der Mimus auf dem Schiffe» da M. Rosenblüth, Beiträge zur Quellenkunde von Petronius Satiren, cit., -. Vd. C. Panayotakis, Theatrum Arbitri, cit., -. . Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio  largior scena, id est vestis humanior, instrumentum lautius, quod praeberet mendacio fidem: non mehercules operam istam differrem, sed continuo vos ad magnas opes ducerem”. Atquin promitto, quicquid exigeret, dummodo placeret vestis, rapinae comes, et quicquid Lycurgi villa grassantibus praebuisset: “nam nummos in praesentem usum deum matrem pro fide sua reddituram. Quid ergo, inquit Eumolpus, cessamus mimum componere? Facite ergo me dominum, si negotiatio placet (, -)” . È tempo di concludere, ma prima è opportuno ricordare che personaggi di rango ben maggiore hanno assimilato la propria esistenza, giocata sul palcoscenico della storia e non tra le pagine di un romanzo, a un lungo spettacolo fondato sulla trama di una straordinaria quotidianità. Come narra il biografo dei Cesari, in punto di morte Augusto, exquirens an iam de se tumultus foris esset, petito speculo, capillum sibi comi ac malas labantes corrigi praecepit, et admissos amicos percontatus, ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse (Suet. Aug. , ). Bene: se anche Augusto – responsabile tra l’altro della fortuna del mimo e della pantomima a spese del teatro regolare caro a Orazio – se anche Augusto, dicevo, non ha dimenticato giovanili travestimenti apollinei per “Cene dei Dodici Dèi” e non ha disdegnato di misurare la propria vita sul metro del mimo, non c’è da meravigliarsi che Petronio abbia voluto costruire le esistenze fittizie dei suoi personaggi senza lesinare riferimenti a situazioni spettacolari note e diffuse sulla scena d’età imperiale. E non è un caso che, nel mondo in cui spetta al marmista Abinna in preda al vino precisare i limiti umani (, : Nemo, inquit, nostrum non peccat. Homines sumus, non dei), sia Trimalchione stesso a enunciare – con un epigramma da . Da intendere come apparato scenico: vd. P. Fedeli, Encolpio - Polieno, «Materiali e Discussioni» -, , . . Vd. L. Cicu, Componere mimum (Petron. Sat. , ), «Sandalion» , , -. . Vd. per es. G.F. Gianotti, Histriones, mimi et saltatores: per una storia degli spettacoli ’leggeri’ d’età imperiale, in AA.VV., Vitae Mimus. Forme e funzioni del teatro comico greco e latino, Como , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio brindisi – la legge della repentina mutatio che è anche la legge della narrazione mimetica, dunque la legge del mimo o del romanzo della vita quotidiana: Quod non expectes, ex transverso fit / et supra nos Fortuna negotia curat: / quare da nobis vina Falerna puer (, ) . . Vd. E. Sanguineti, Satyricon, Petronio, in F. Moretti (a c. di), Il romanzo. II. Le forme, Torino , : «Qui parla, per la prima volta davvero, ma una volta per sempre, il romanzo». Capitolo IV A tavola da Trimalchione: eccessi gastronomici e debiti culturali∗ .. Le vie della Grande Bouffe L’Expo  (Nutrire il pianeta, energia per la vita) è definitamente alle spalle: come Pollenzo insegna e come da tempo predica Slow Food, il dibattito sull’alimentazione e sul cibo, già imperniato periodicamente su Terra Madre / Salone del Gusto e saldamente insediato negli studi televisivi come ricettario visibile, arte culinaria in diretta e agonismo gastronomico tra carnosi protagonisti e giudici austeri, si sta moltiplicando in questi ultimi anni. È facile profezia che iniziative in merito acquistino ulteriore intensità e coinvolgano sempre di più il mondo degli studi e gli specialisti dell’alimentazione; gli esempi non mancano, come ha confermato, per esempio, il convegno Cibo, filosofia e arte organizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo nel  o come ha mostrato la giornata di studi promossa dall’Istituto Lombardo (Accademia di Scienze e Lettere) il  ottobre  dal titolo L’alimentazione tra storia, letteratura e cultura nell’antichità e nel Medioevo. In tale occasione, per quanto riguarda il mondo antico, si è preso atto dell’importanza dei cereali nell’alimentazione della Grecia classica (Ugo Fantasia), della poesia gastronomica testimoniata nel IV sec. a.C. dalla Vita di delizie, poemetto sui viaggi in cerca dei cibi più ∗ La prima stesura è comparsa in «Giornale dell’Accademia di Medicina di Torino» , , -. . I saggi allora presentati sono raccolti da N. Perullo, Cibo, estetica e arte. Convergenze tra filosofia, semiotica e storia, ETS, Pisa .   Rileggendo Petronio e Apuleio raffinati e dei vini migliori composto da Archestrato di Gela (Ornella Montanari) e di tre componimenti del II libro delle Satire oraziane (; ; ) da cui emergono stili di vita diversi e divergenti rapporti con la sfera del cibo in tema di ars cenandi (Paolo Fedeli). In sintesi, si tratta di momenti esemplari, a riprova di come la storia dell’alimentazione sia fattore costitutivo della storia dell’umanità, ieri come oggi, in quanto determina identità etnico-culturali e miti, pratiche religiose e sociali, comportamenti pubblici o private opzioni di vita. In generale, si può ricordare come i pasti narrati nei poemi omerici, al campo nell’Iliade o nelle regge dell’Odissea, presentino tutti aspetti e funzioni di natura rituale che vanno ben oltre la necessità di soddisfare «il desiderio di cibo e bevanda» (Il. ,  e passim). Possono variare le occasioni e le scadenze possono essere troppo ravvicinate, ma di volta in volta non si oscurano le ragioni religiose e sacrificali, i momenti deliberativi che prolungano a mensa i consigli dei guerrieri, la prassi dell’ospitalità che accomuna i palazzi regali di Menelao o di Alcinoo e le umili dimore di non immemori guardiani di porci. Non c’è però spazio, nei poemi, per dettagli gastronomici insistiti o per il tema della fame, perché materiale poetico giudicato sconveniente – come informa Ateneo, Deipnosofisti , D – rispetto al prestigio del genere eroico e alla statura dei suoi protagonisti. Se si eccettua il racconto dei pasti selvaggi di Polifemo (Od. ,  ss.), l’unica vera eccezione è rappresentata da Iro , il vorace mendico di Itaca che inaugura la serie degli schiavi del ventre nella letteratura antica, capostipite dei personaggi da commedia che sognano paesi di cuccagna, dei parassiti condannati a calcare le scene in qualità di vittime di fame mai davvero saziata . . Od. ,  ss. Sui giochi dell’allusione poetica in tema di ventre vd. E. Bakker, Remembering the gastêr, in Ph. Mitsis, Chr. Tsagalis (a c. di), Allusion, Authority, and Truth. Critical Perspectives on Greek Poetic and Rhetorical Praxis, Berlin-New York , -. . In merito vd. quanto ho scritto altrove: Mets pour tous: la f ête grecque entre austérité et cocagne, in L. Bertelli, G.F. Gianotti, Tra storia e utopia. Studi sulla storiografia . A tavola da Trimalchione [. . . ]  Come la figura del parassita – che il poeta comico Epicarmo (V sec. a.C.) ha sottratto a originarie mansioni sacre (relative, pare, a partizione delle carni dei sacrifici) e consegnato al genere comico come personaggio caricaturale – passa dal teatro greco a quello romano, così finisce per coinvolgere anche l’attività letteraria di Roma, in concorrenza con frugalità antiche e popolari, la ghiotta tradizione delle prelibatezze del palato (Hedyphagetica), l’epica dei piaceri del gusto formalizzata da Matrone di Pitane e, appunto, da Archestrato di Gela : poesia catalogica delle delizie da tavola intese come traguardo di ascese sociali e segno di raffinata civiltà. Tale tradizione è presente a Roma a far data da un perduto poemetto in esametri di Ennio (gli Hedyphagetica appunto; II sec. a.C.); compare a chiare lettere in Orazio nella Cena di Nasidieno, precursore del liberto Trimalchione nell’ostentazione grossolana e nella ricerca di assurde originalità (Satire , ) ; governa l’intero spazio dell’opulenza gastronomica della Cena petroniana (Satyricon . . ) e trova ospitalità nelle gourmandises del tardo ricettario di Apicio (per rinascere in compagnia delle Muse Maccaroniche di Teofilo Folengo o delle pantagrueliche tavolate di François Rabelais). Insomma, il rapido percorso qui evocato degli eccessi gastronomici presenti nelle letterature classiche poco o nulla ha che vedere con la storia dell’alimentazione e con forme corrette di nutrizione in funzione auxologica o preventiva. Piuttosto, e sul pensiero politico antico, Alessandria . . Vd. S.D. Olson, A. Sens, Matro of Pitane and the Tradition of Epic Parody in the Fourth Century BCE, Atlanta, Scholars Press, . O. Montanari, Archestrato di Gela. Testimonianze e frammenti, Bologna ; S.D. Olson, A. Sens, Archestratos of Gela. Greek Culture and Cuisine in the Fourth Century BCE. Text, Translation and Commentary, Oxford . . Vd. per es. M. Coccia, Cena di Nasidieno e cena di Trimalchione, in Atti del convegno nazionale di studi su Orazio, Torino , -; J. Augier-Grimaud, Nourriture et culture dans la Cena Triamchionis: deux enjeux de puissance, «Camenulae» ,  (http://lettres.sorbonne-universite.fr/article/camenulae-no--janvier-). In generale è da vedere W. Tietz, Dilectus ciborum. Essen im Diskurs der römischen Antike, Göttingen .  Rileggendo Petronio e Apuleio dato che la nostra attenzione si concentra adesso sulla scena del grande banchetto nella sontuosa dimora di Trimalchione, si deve prendere atto di una commensalità smisurata e abnorme in cui si mescolano, in una sorta di caleidoscopio ingigantito, estetica paraletteraria e maliziosa allusività, imitatio vitae e imitatio naturae, teatralità plebee e imbarazzanti licenze fisiologiche, carenze di bon ton e pietanze eccessive, sapide narrazioni e vitalismo verbale. Il tutto condito da parte dell’autore, come impone il piccante ius Cenae, da ingredienti di alta cucina culturale: divertite babeli di espressività allotrie, trivialità impudenti e doppi sensi in libertà, indovinelli dalla soluzione scontata e formule proverbiali non sempre pertinenti o perspicue, miscela di registri tra serio e faceto, intriganti commistioni di prosa e poesia. .. Le prime scene Il grande affresco della Cena di Trimalchione (che per autonomia narrativa rappresenta un unicum nella letteratura antica) racchiude un campionario spettacolare di prim’ordine scandito dalle differenze socio-culturali dei commensali: da un lato il padrone di casa e i colliberti, fieri delle proprie ascese sociali e detentori di ricchezze ostentate con cattivo gusto; dall’altro gli scholastici – un maestro di retorica e due scolari, veri o presunti –, detentori della scienza del linguaggio pubblico, narratori e, soprattutto, spettatori interni della Cena. Sapientemente intercalati e calibrati, i dislivelli di comportamento e di lingua tra i due gruppi danno vita a esiti molteplici: sorpresa e ammirazione degli ‘intellettuali’ di fronte all’esagerato spettacolo della grande abbuffata; liberi conversari dei liberti e afasia degli scholastici, incapaci di reagire ai toni umorali e sanguigni di linguaggi popolari; tensione tra i nuovi ricchi e i signori della parola, a tutto svantaggio di questi ultimi . . Vd. G.F. Gianotti, Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio, in M. Blancato . A tavola da Trimalchione [. . . ]  Lo spettacolo ha un preludio nelle terme, dove i giovani invitati hanno modo di osservare Trimalchione dapprima intento al gioco della palla (, : videmus senem calvum ... inter pueros capillatos ludentem pila), poi impegnato in operazione fisiologica en plein air (, -: Trimalchio digitos concrepuit, ad quod signum matellam spado ludenti subiecit. Exonerata ille vesica aquam poposcit ad manus, digitosque paululum adspersos in capite pueri tersit), infine avviato verso casa in portantina, preceduto da battistrada in alta uniforme e dalla carrozzina del poco attraente amasio (, : praecedentibus phaleratis cursoribus quattuor et chiramaxio, in quo deliciae eius vehebantur, puer vetulus, lippus, domino Trimalchione deformior) , accompagnato da un suonatore di flauto che non la smette per tutto il tragitto (, : symphoniacus cum minimis tibiis accessit et ... toto itinere cantavit). La prima scena in cui fa la sua comparsa Trimalchione contiene una serie di spunti che sembrano anticipare il tenore espressivo dell’intera sezione. Prima notazione: il vecchio calvo (senis calvus) è figura che pare uscire dal teatro popolare, dalla farsa atellana e dal mimo; di solito rappresenta un anziano marito, stupido e gabbato, ma qui, in qualità di giocatore tra giovanetti dalla lunga chioma (contrapposta alla calvizie del dominus), ricorda personaggi da commedia e si fa caricatura dell’anziano dai pruriti erotici, anzi omoerotici, come confermano la presenza del mignon, ancor più brutto del padrone, e le esperienze fatte in gioventù da Trimalchione . Il lessico del corpo e delle esigenze fisiologiche fa parte a pieno titolo del realismo del Satyricon, contrappunto demistificante di temi e motivi alti riciclati dale G. Nuzzo (a c. di), La commedia latina: modelli, forme, ideologia, fortuna, Siracusa , - (ora in questo volume); si aggiunga S. Maso, Obscenitatem suam spectaculum facere. Esibizione ed elogio dell’incultura tra Seneca e Petronio, in A. Camerotto, S. Maso (a c. di), La satira del successo. La spettacolarizzazione della cultura nel mondo antico, Milano-Udine , -. Per testo e traduzione si fa ricorso a quanto ho pubblicato altrove: La Cena di Trimalchione. Dal Satyricon di Petronio, Acireale-Roma . . Ritratto ribadito in , : puer lippus, sordidissimis dentibus ... . Come racconta egli stesso in , : ad delicias ipsimi domini annos quattordecim fui.  Rileggendo Petronio e Apuleio l’autore; il gesto di tergere le dita nei capelli d’un servitorello è segno icastico di possesso da parte di un ex-schiavo liberato che a sua volta riproduce a spese altrui comportamenti padronali. Il gruppo in cammino verso casa sembra evocare un corteo funebre, una sorta di exsequiae al contrario, preambolo della costante preoccupazione della morte che aleggia lungo tutto il testo della Cena, dall’orologio che segna perdite di vita (, ) ai brindisi sul vino d’annata e sullo scheletro argenteo (, -), alla descrizione della tomba, del testamento e del finto funerale di Trimalchione (, - e , -). Inoltre, il lessico dello sguardo ammirato riservato ai tre giovanotti (videmus, ad spectaculum ducere, notavimus, cum miraremus e così di seguito per tutta la serata) non lascia dubbi sul ruolo di spettatori interni da parte di Encolpio e compari, spettatori pieni di ammirazione che fanno ricorso alla propria cultura soltanto in funzione di elogi equamente ripartiti tra l’apparato sontuoso della cena e le discutibili battute dell’anfitrione. La scena seconda non è meno spettacolare: cambia l’ambientazione, alle terme si sostituisce la dimora di Trimalchione che attira la vista degli invitati e suscita ammirazione ancora più intensa: omnia stupeo e admiratione iam saturi, dirà il narratore di sé e dei propri compari . Per le dimensioni della casa bisogna attendere la descrizione che ne fa Trimalchione stesso in , : «Intanto, sotto lo sguardo vigile di Mercurio [divinità impegnata unicamente a garantire il successo al ricco liberto], ho costruito questa dimora. Come ben sapete, era una casupola e adesso è un tempio. Ha quattro sale da pranzo, venti camere da letto, due portici di marmo; al piano superiore una serie di stanze, la camera in cui dormo io, il soggiorno di questa vipera [la consorte Fortunata], la cameretta molto confortevole del portiere; e la foresteria che accoglie gli ospiti» . Per ora ci si . Vd. M. Mayer-Olivé, Admiratione iam saturi. Nota a Sat. , , in A. Martínez Fernández, H. Velasco López, A. Zamora Salamanca (a cura di), Agalma. Homenaje a Manuel García Teijeiro, Valladolid , -. . , : Interim dum Mercurius vigilat, aedificavi hanc domum. Ut scitis, casula erat; nunc templum est. Habet quattuor cenationes, cubicula viginti, porticus marmoratos duos, . A tavola da Trimalchione [. . . ]  deve accontentare di primi scorci settoriali, a partire dalla porta d’ingresso, presidiata dal portiere in divisa dagli stessi colori del padrone (verde e rosso) intento a pulire piselli in vassoio d’argento; sulla soglia una scritta a lettere capitali limita gli spostamenti degli schiavi e una gazza dalle penne screziate dentro una gabbia d’oro saluta gli ospiti. Colori di casato, scritte padronali e oggetti quotidiani di metallo prezioso: tutto in funzione di potere e ricchezza ostentati senza ritegno. Le pareti dell’atrio sono interamente affrescate e via via esibiscono un ingens canis da guardia (così verisimile da provocare lo spavento di Encolpio e le risate dei compagni), scene dall’Iliade e dall’Odissea, spettacoli di gladiatori e, soprattutto, la carriera di un Trimalchione ancora capillatus dalle origini servili all’emancipazione e ai vertici della ricchezza, con tanto di apoteosi finale . Sempre nell’atrio un’edicola ospita i Lares argentei del padrone di casa (duplice millanteria, per il materiale prezioso impiegato e per la presenza non canonica di divinità tutelari di famiglia nella vicenda di un ex-schiavo), una statua marmorea di Venere segnala la devozione di chi ha iniziato le proprie fortune grazie ai rapporti erotici coi padroni, infine una pisside d’oro custodisce, reliquia veneranda, la prima barba di Trimalchione (, -) . Ma non basta: dopo che nell’anticamera della sala da pranzo gli ospiti osservano l’amministratore (procurator) impegnato coi rendiconti delle spese, il narratore ha modo di ammirare (miratus sum), fissati sugli stipiti del triclinio, un cumulo di oggetti che celebrano, senza sobrietà, la carica e il rango del padrone di casa: scuri e fasci littori sovrapposti a una sorta di rostro navale, una lucerna a due becchi, due iscrizioni di chi ha susum cellationem, cubiculum in quo ipse dormio, viperae huius sessorium, ostiarii cellam perbonam; hospitium hospites capit. . Vd. P. Veyne, Vie de Trimalchion, «Annales ESC» , , - (tr. it. in AA.VV., La società romana, Roma-Bari , -). . A proposito di Nerone giovane Svetonio scrive: barbam primam posuit conditamque in auream pyxidem et pretiosissimis margaritis adornatam Capitolio consecravit (Vita di Nerone , ), passo spesso citato per sostenere che in Trimalchione compaiono tratti caricaturali neroniani.  Rileggendo Petronio e Apuleio fatto tali donativi a Trimalchione in qualità di sevir Augustalis (massimo traguardo istituzionale per i liberti), una tavola con l’agenda dei pranzi fuori-casa del dominus e una tavola con i moti astrali e il calendario dei giorni fasti e nefasti (, ). Ancora millantato credito: al collegio dei seviri spettano come insegne solo i fasces, mentre le scuri competono alle magistrature di rango superiore, ma tant’è: il donatore conosce il debole del padrone di casa, eccede nel simbolismo del dono e non sbaglia, visto che l’emblema sta in bella vista all’ingresso del triclinio, in compagnia dell’agenda del padrone (acta domini, d’interesse locale) e del calendario modellato su quelli delle istituzioni pubbliche. L’insieme, manco a dirlo, è di gradimento degli ospiti, che procedono his repleti voluptatibus. Come preludio sarebbe più che sufficiente, ma prima dell’ingresso nel triclinio c’è ancora spazio per un’ulteriore scenetta: l’invito a badare al passo della soglia (dextro pede), la querelle col tesoriere intento a contare pezzi d’oro, servo pronto a condannare un altro servo per la perdita d’un capo di vestiario, ma altresì pronto a condonare la pena su intercessione dei tre giovanotti (, -). A ben vedere, la figurina del tesoriere Cinnamo è una sorta di Trimalchione in sedicesimo: schiavo, parla in modo sprezzante dei subordinati; veste abiti vivaci e costosi; mostra risentita preoccupazione per eventuali perdite economiche, ma perdona, come farà poi Trimalchione, gli errori degli schiavi dietro le insistenze degli ospiti . .. Gustatio Ricapitolando, si può dire che gli episodi fin qui registrati, dall’incontro alle terme all’ingresso nella domus padronale e all’attraversamento dell’atrio, hanno la funzione sì, di dilatare i termini della narrazione e ritardare l’incipit effettivo della cena, . Vd. R. Bedon, Pétrone, Satiricon, XXX: le dispensator Cinnamus, «Bulletin de l’ Association G. Budé» , -. . A tavola da Trimalchione [. . . ]  ma servono soprattutto come praeparatio: si anticipano con effetti enfatici l’atmosfera e la poetica dell’eccesso che in seguito si manifestano a chiare lettere nell’intera sequenza occupata dal trimalchionesco banchetto. Bene: si entra finalmente nel triclinio, ci si accomoda nei posti assegnati, i servi provvedono alle abluzioni delle mani e ... a una minuziosa pedicure, accompagnando i gesti rituali con canti continui, tanto che il narratore commenta: «avresti potuto credere che si trattava d’un coro da pantomima, non del triclinio d’un buon padrone di casa» (, : pantomimi chorum, non patris familiae triclinium crederes). In effetti, col coro dei servi lo spettacolo ha davvero inizio e proseguirà per l’intera durata del convito: il lessico delle rappresentazioni ne darà conto, alternando portate sontuose ed esibizioni di professionisti, conversari improvvisati e intrattenimenti folclorici, litigi senza misura e distribuzione di doni, divagazioni paramitologiche e discussioni culturali non sempre o non del tutto assurde, battute in libera uscita e chiose proverbiali di presunto buon senso popolare. È tempo, dunque, di seguire lo sviluppo della cena, che si articola, come vuole la tradizione romana, in tre fasi: la gustatio o promulsis, cioè l’antipasto accompagnato da vino dolce preparato con miele (mulsum); le primae mensae, la parte più sostanziosa del pasto, annaffiata dal vino migliore e affidata a portate di carni e di pesce con contorni di varia natura; le secundae mensae, vale a dire dessert di dolci e frutta, che di solito segnano la fine del banchetto; in occasioni importanti si poteva finire con la comissatio (analoga al simposio greco), serie di bevute a turno tra i commensali . Se la successione tradizionale è qui rispettata (a differenza della cena di Nasidieno in cui s’inizia a bere fin dal mezzogiorno, de medio potare die, secondo Hor. Sat. , , ), l’apparato e il numero delle portate sono raddoppiati o moltiplicati tre o quattro volte, come conviene alla dimensione iperbolica di tutto quanto riguarda Trimalchione. Dettaglio non secondario: . Vd. K.M.D. Dunbabin, The Roman Banquet. Images of Conviviality, Cambridge ; F. Dupont, Les mots grecs du banquet romain, «Métis» n.s. , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio quando arriva l’antipasto, il padrone di casa è assente; vuoto risulta il posto a lui destinato, il primo del primo letto tricliniare, di solito riservato all’ospite più importante del convito, mentre al padrone di casa spetta per tradizione il primo posto del terzo letto. Segnalato come deroga esplicita della tradizione (novo more), il particolare non lascia dubbi: nei banchetti in casa di Trimalchione il personaggio di maggior riguardo è Trimalchione stesso, che ritarda il suo ingresso imitando precedenti imperiali, addirittura il comportamento di Augusto così descritto da Svetonio: «Talvolta interveniva ai banchetti in ritardo e se ne andava via in anticipo, sicché i convitati cominciavano a cenare prima che il principe prendesse posto e rimanevano a tavola dopo che si era allontanato» . Assente Trimalchione, arriva la prima portata dell’antipasto: allata est gustatio valde lauta (, ). Due precisazioni sembrano necessarie per quanto riguarda il lessico. Il tema delle lautitiae, delle raffinatezze (vere o caricaturali), è presente nell’intero testo superstite del Satyricon, dal lautitiarum apparatus predisposto da Quartilla (, ) all’instrumentum lautius del programma di Eumolpo (, ) e alle epulae lautae di Oenothea (, ), sempre in riferimento diretto ai livelli alti degli alimenti o al prestigio di chi non lesina sull’ospitalità conviviale. Non a caso, fin dall’episodio delle terme, Trimalchione è indicato come lautissimus homo (, ) e le lautitiae, oggetto di ammirazione e di gustose assunzioni di cibo, compaiono come termine-chiave per illustrare eccellenze di apparato e magistrali prodotti di cucina. Non meno interessante la presenza in posizione, per così dire, strategica dei composti di fero (adfero, ausfero) e dei deverbativi ferculum / fericulum per indicare l’inesausto via vai di portate che arrivano o di piatti e vassoi che vengono portati via, non sempre vuoti. Si può riprendere ora il discorso nel momento in cui è portato a mensa il primo antipasto molto raffinato: «sul vassoio dell’antipasto stava ritto un asinello di . Vita di Augusto : Convivia nonnumquam et serius inibat et maturius relinquebat, cum convivae et cenare inciperent, prius quam ille discumberet, et permanerent digresso eo. . A tavola da Trimalchione [. . . ]  bronzo corinzio carico d’una bisaccia, che portava in una tasca olive chiare, nell’altra olive nere. L’asinello era coperto ai lati da due piatti sui cui orli erano incisi il nome di Trimalchione e il peso in carati d’argento. Piccoli ponti, saldati al piano del vassoio, sostenevano ghiri aspersi di miele e polvere di papavero. Erano state sistemate altresì delle salsicce bollenti sopra una griglia di argento, e sotto la griglia prugne di Siria con chicchi di melograno» (, -). Trimalchione è assente, ma il suo nome è presente, a testimoniare la proprietà di oggetti di pregio in cui i materiali preziosi e i cibi, ricercati gli uni e disposti ad arte gli altri, danno vita a due quadretti dettati da intenzionale imitatio naturae (natura mutata in melius, s’intende): l’esito della raccolta differenziata delle olive e la cottura delle salcicce, con prugne di Siria e chicchi di melograno a raffigurare le braci sotto la graticola. Nel bel mezzo di tali lautitiae fa la sua comparsa Trimalchione, anzi ad symphoniam allatus est, viene portato a mensa a suon di musica: alla stregua d’un piatto raffinato il lautissimus padrone di casa viene, per così dire, servito a tavola come cibo per gli occhi, come spettacolo che suscita il riso del terzetto, che pure ha già assistito all’anteprima di Trimalchione alle terme. Come il primo, anche il secondo ritratto è memorabile: «Da un mantello scarlatto sbucava la sua testa pelata e intorno al collo, già appesantito dal vestito, aveva infilato un tovagliolo con ampio bordo purpureo da cui pendevano frange. Al dito mignolo della mano sinistra portava un grande anello, placcato d’oro, mentre all’ultima falange del dito successivo un anello più piccolo, d’oro massiccio, saldato con pezzetti di ferro a guisa di stelline. E per non limitarsi a ostentare solo queste ricchezze, mise a nudo il braccio destro, ornato da un bracciale d’oro e un cerchio d’avorio intrecciato con una lamina luccicante» (, -). Colore scarlatto e bordo purpureo sono segni distintivi dell’ordine senatorio; l’anello placcato in oro imita l’anello d’oro dei cavalieri, il secondo anello è un amuleto astrale: il ricchissimo liberto tende a innalzare il proprio rango, evocando tratti distintivi delle classi alte della società. Come segno eviden-  Rileggendo Petronio e Apuleio te dell’ascesa ai fastigi della ricchezza e rivalsa dell’inferiorità sociale, il parvenu Trimalchione qui esibisce bracciali d’oro e d’avorio di foggia orientale, più avanti ordinerà che la statua del monumento funebre lo rappresenti in toga pretesta con  anelli d’oro alle dita (, ). Le ragioni del ritardo sono dette con l’eleganza di chi si è appena tolto di bocca uno stuzzicadenti d’argento: era impegnato in una partita, che ora intende continuare; per questo lo segue un giovane schiavo che porta una scacchiera di terebinto, dadi di cristallo e monete d’oro e d’argento come pedine (, -). Oro, argento, materiali preziosi per oggetti quotidiani: l’ostentazione continua, come continua la gustatio con la seconda portata. Infatti, mentre Trimalchione gioca e i convitati sono ancora alle prese col primo piatto, viene portato un vassoio (repositorium allatum est) che merita l’attenzione dei presenti e dei lettori d’ogni tempo: «il vassoio reggeva una cesta, in cui c’era una gallina di legno con le ali aperte a cerchio, come di solito si mettono quando covano le uova. Si avvicinarono subito due schiavi e al suono d’una musica assordante si misero a frugare tra la paglia; dopo averne tirato fuori uova di pavone, le distribuirono ai commensali» (, -). La sorpresa non consiste nell’espediente di porre uova di pavone a covare sotto una gallina in funzione vicaria, considerato che per Varrone (Rerum rusticarum , , ), Columella (, , ) e Plinio (Nat. hist. , ) si tratta di prassi diffusa, nota – si direbbe – a Trimalchione stesso che assume la regia della scena, dicendo pavonis ova gallinae iussi supponi e invitando i convitati a provare se sia già avvenuto il concepimento dei pulcini. La sorpresa sta altrove: anche il secondo antipasto è frutto accurato di imitatio naturae, riprodotta come fictio manifesta (la gallina è di legno) e manifestamente intesa a superare il dato naturale, in quanto le uova di pavone son fatte d’impasto di farina e al loro interno, una volta rotte con cucchiai piuttosto massicci (come si addice al mondo di Trimalchione) su consiglio d’un commensale di vecchia data esperto di trovate del genere, rivelano la presenza di un grasso beccafico immerso in tuorlo pepato (, -). Da Platone si sa che l’arte è imitazione della natura e comporta . A tavola da Trimalchione [. . . ]  aspetti negativi; dalla Poetica di Aristotele si sa, di contro, che la mimesi artistica porta progressi cognitivi e incrementi di razionalità; in tutta la Cena, invece, l’arte culinaria non solo ha lo scopo di esaltare il padrone di casa come regista, ma ha soprattutto la pretesa di migliorare la natura (modificandola) e celebrare se stessa, quasi attività demiurgica in grado di dare forma e sostanza a un mondo nuovo . .. Primae mensae. I. Il cielo e la terra Dopo che anche Trimalchione ha assaggiato salcicce e beccafico, dopo che a tutti è concessa un’ultima bevuta di mulsum, a suon di musica spariscono i vassoi degli antipasti (gustatoria) e come segnale d’inizio delle primae mensae vengono portate in sala anfore con vino d’annata, d’incredibile annata: allatae sunt amphorae vitreae diligenter gypsatae [...] cum hoc titulo: Falernum Opimianum annorum centum (, ). Neppure il vino sfugge alla poetica dell’eccesso che segna cibi, cose e persone nella casa del ricchissimo parvenu. La data del Falerno Opimiano corrisponderebbe al  a.C., anno del consolato di Lucio Opimio. Se si accetta l’indicazione dei cento anni, si ottengono solo paradossi: al tempo di Opimio la designazione dei vini non era ancora in vigore, un vino di tale età sarebbe imbevibile, la Cena andrebbe collocata nel  a.C. I dati paradossali negano qui ogni realismo, ma sono in funzione di precisa volontà d’autore: il presunto secolo accumulato sul vino di pregio supera la durata media della vita dell’uomo e attiva la vena poetica di Trimalchione, che si abbandona a un lamento, testualmente non ineccepibile, sulla brevità dell’umana esistenza. «Trimalchione batté le mani e disse: “Ahimè! il vino vive dunque più a lungo del povero omiciattolo. Brindiamo allora e inzuppiamoci come spugne! La vita, è il vino!”» (, ). Si noti: dalla comparsa del vino, . Vd. per es. A. Cucchiarelli, Mimo e mimesi culinaria nella Cena di Trimalchione (con un’esegesi di Satyr. ), «Rheinisches Museum» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio impiegato insolitamente per lavare le mani (vinum dederunt in manus; aquam enim nemo porrexit), scompare dalla vista l’acqua, che sarà evocata soltanto in ,  da un invito poco urbano di Trimalchione alla bevuta e alla minzione: Aquam foras, vinum intro. Tra il tono divertito dell’autore e l’ammirazione dei convitati, lo spunto ‘lirico’ si muove sulla falsariga e come caricatura della poesia greca del simposio, nella fattispecie degli inviti a bere di tradizione alcaica. E non basta: la circolazione a mensa d’un piccolo scheletro d’argento, secondo usanze orientali, eccita ancora di più la vena poetica del padrone di casa che si misura con una quasi-malinconica strofetta di non impeccabile struttura metrica: «Ahimè, poveri noi, come il misero omuncolo nella sua totalità è cosa da nulla! / Così saremo tutti, dopo che l’Orco ci avrà portato via. / Dunque viviamo, finché è lecito mangiare e star bene! (ergo vivamus, dum licet esse bene)» (, ). La nullità dell’uomo ha ispirato spesso la poesia del simposio e quella sepolcrale, come mostra, esempio scelto tra tanti, un epigramma anonimo dell’Antologia Palatina (, ): «Nulla e poi nulla è la stirpe dei mortali ( οὐδὲν καὶ μηδὲν τῶν μερόπων τὸ γένος). / Un’altra coppa versami dunque, compagno, / e dammi da bere il vino, oblio del dolore!». Per il contenuto può essere utile il confronto con Lucrezio , - (Hoc etiam faciunt ubi discubuere tenentque / pocula saepe homines et inumbrant ora coronis, / ex animo ut dicant: ’brevis hic est fructus homullis; / iam fuerit neque post umquam revocare licebit) e con Orazio, Sat. , , - (terrestria quando / mortalis animas vivunt sortita, neque ulla est / aut magno aut parvo leti fuga: quo, bone, circa / dum licet, in rebus iucundis vive beatus; / vive memor, quam sis aevi brevis). Ma la serietà del lamento, anche se misurata con i due antecedenti, è soltanto apparente, come rivela il terzo verso. Esse è, a prima vista e intenzione, l’infinito di sum; ma la valenza verbale è ambigua (in quanto esse è anche forma sincopata di edere), ha il duplice significato di “essere” e “mangiare” e si iscrive tra i giochi di parole cari al padrone di casa. Il risultato, va da sé, tende all’eccesso: il traduttore si vede . A tavola da Trimalchione [. . . ]  costretto a rendere esse due volte, come verbo dell’esistenza e come verbo dell’alimentazione, confortato dal fatto che nella filosofia non eccelsa della Cena l’uomo è quel che mangia. Conviene dunque tornare a ciò che si mangia, per prendere atto di una portata doppia. A guisa di coperchio, il piatto superiore attira l’attenzione degli astanti, sia per la rappresentazione dei dodici segni dello Zodiaco sia per la modestia dei cibi che il maestro di mensa ha posto in corrispondenza di ciascun segno in base a principi analogici non sempre perspicui; in mezzo al piatto una zolla di terra sostiene un favo (, -). Insomma, dal brindisi un po’ malandrino sulla nullità umana si passa a una rappresentazione del mondo e si sale dalla terra al cielo, un cielo a portata di triclinio, come talora s’incontra nella tradizione letteraria , ma ‘povero’ rispetto alle altre portate: nulla, però, è lasciato al caso dal materiae structor (da identificare, credo, con il cocus sapiente menzionato più avanti), demiurgo in seconda, perché a rivendicare la paternità intera della struttura sarà lo stesso Trimalchione. Nihil sine ratione facio, dirà infatti in , , dopo aver spiegato i caratteri dei nati sotto ogni segno zodiacale e aver fatto porre sul Cancro, suo segno natale, non un cibo ma una corona, prima di concludere il momento cosmico della Cena con una sententia degna d’un filosofo presocratico fuori tempo: «La madre Terra sta al centro, di forma arrotondata come un uovo, e contiene in sé ogni sorta di cose buone come un favo». Il piatto dello Zodiaco, con i modesti cibi analogici, non è destinato al consumo: è vero che Trimalchione pronuncia il famoso invito (Suadeo, cenemus; hoc est ius cenae) che giustifica forma e sostanza del pasto , ma a suon di musica i servi porta. Vd. per es. un fr. di Alessi Comico (IV sec. a.C.) riportato da Ateneo, Deipnosofisti ,  a-b: «fu servito / un vassoio splendidamente fragrante dell’aroma delle Stagioni, / l’emisfero dell’intera volta del cielo. / Tutte le cose belle di lassù c’erano nel vassoio: / pesci, capretti e in mezzo correva uno scorpione, / uova divise a metà rappresentavano le stelle». . Anche in questo caso Trimalchione gioca sul doppio senso di ius (diritto e sugo); così la traduzione si sdoppia: «Prego, ceniamo! questo è il succo legittimo della  Rileggendo Petronio e Apuleio no via il ‘coperchio del cielo’ e al di sotto, cioè in un altro piatto di portata, i convitati scoprono cibi scelti (res electissimas) che promuovono ammirazione e pronti assaggi: volatili e mammelle di scrofa, una lepre con ali posticce (Pegaso in corpo minore), agli angoli del vassoio quattro figure di Marsia, dai cui otri una salsa pepata (garum) cola su pesci, che sembrano nuotare nell’Euripo (, -). Animali celesti (gli uccelli), terrestri (scrofe, lepre) e marini (i pesci nel garum); inoltre l’allusione a Pegaso, che nel mito disarcionò Bellerofonte mentre questi intendeva dare la scalata al cielo; la presenza, moltiplicata per quattro, del povero Marsia, il sileno frigio che osò sfidare Apollo, fu scorticato e col sangue generò il fiume omonimo, qui supplito da colate di salamoia pepata. Come si vede, il piatto inferiore contiene un’antologia sommaria degli esseri che vivono al di sotto della volta celeste, sotto il cielo dello Zodiaco, e aggiunge due esempi di folli sfide al divino da non imitare. Nel mondo di Trimalchione, mentre la sfera del sacro non supera i confini di concezioni superstiziose e opportunistiche, si sta in generale con i piedi ben saldi per terra, matrice d’ogni bene di consumo tamquam favus, sia sul piano cosmico sia sul piano della geografia privata, come adesso si vedrà. Spetta infatti al vicino di mensa di Encolpio, il liberto Ermerote, dare notizia sui presenti alla cena, a cominciare da Fortunata, nome sin troppo parlante della consorte di Trimalchione, per passare alle carriere di alcuni commensali non privi di buone sostanze sucosi, pieni di sugo, come vuole il lessico della Cena –, dopo aver menzionato il cumulo dei prodotti che le terre di proprietà fruttano al padrone di casa. «Non pensare che sia tenuto a comcena». Stesso gioco di parole compare in , , dove l’epiclesi trimalchionesca Carpe è vocativo di Carpus (nome dello scalco) e imperativo del verbo carpere (“squarciare, dividere in parti”). La soluzione è fornita dall’interlocutore per ora anonimo di . : «ogni volta che dice ’Squarcia!’, con la stessa parola lo chiama per nome e gli dà un ordine». . Nome dello stretto di mare che separa la Beozia dall’Eubea. A Roma il nome designa, per iperbole metonimica, ogni canale artificiale, a teatro, nell’arena, nei giardini e nelle dimore di lusso. . A tavola da Trimalchione [. . . ]  prare qualcosa (quicquam emere). Ogni cosa gli nasce da quanto possiede», dice Ermerote, che elenca alla rinfusa limoni, pepe, lana geneticamente modificata col contributo dei montoni di Taranto, miele pari a quello dell’Imetto grazie all’innesto di api dell’Attica, porpora, mule di pura razza e al vertice delle prelibatezze, tanto per esagerare, semi di funghi importati dall’India e l’impossibile latte di gallina (, -). L’ampiezza delle proprietà e delle rendite di Trimalchione non è tema che si riduca alle pur entusiastiche battute del colliberto e nel corso della Cena al lettore non sono invidiate ulteriori notizie. La prima volta è Trimalchione a disegnare, con mano non precisa ed eccessiva, la geografia dei suoi possedimenti: «Grazie al favore divino non compro nulla (non emo), ma tutto ciò che fa venire l’acquolina in bocca, è frutto del podere di campagna che ancora non ho visitato. Si dice che confini tra gli abitati di Terracina e quelli di Taranto. Ora voglio collegarmi alla Sicilia con l’acquisto di qualche campicello, in modo che, se mi prende lo sfizio di andare in Africa, io possa navigare sulle mie proprietà» (, -) . Poi sarà il resoconto d’un contabile a spiegare, tamquam Urbis acta, come nell’ultimo semestre terreni, animali e schiavi abbiano incrementato le fortune di Trimalchione, anche a sua insaputa (, -). Come è stato notato, il triclinio diventa la mappa del mondo: i piatti si riferiscono a luoghi, che spesso coincidono con una proprietà di Trimalchione. Così l’egemonia del padrone di casa si fa tutt’uno con l’opulenza del cibo, anche se non mancano altre pretese, con qualche rischio, a dire il vero, perché intendono muoversi addirittura sul terreno dell’alta cultura. Per esempio, prima dei rapporti tra carattere delle persone e segno zodiacale, sentiamo Trimalchione cimentarsi in una citazione dotta e in una sententia serio-comica: «Pensate che io sia soddisfatto delle . In .  Trimalchione predice un’altra estensione dei propri latifondi, in direzione della Puglia: si contigerit fundos Apuliae iungere, satis vivus pervenero. . Vd. G.B. Conte, L’autore nascosto. Un’interpretazione del Satyricon, Bologna  (Pisa  ), .  Rileggendo Petronio e Apuleio pietanze che avete visto sul coperchio del vassoio? Così poco è noto Ulisse? Anche a tavola bisogna conoscere la filologia!» (, - ). Sic notus Ulixes? è citazione testuale da Virgilio, Eneide , : sono parole di Laocoonte, che cerca invano di impedire ai Troiani di portare entro le mura il Cavallo di Legno. Nel passo virgiliano Ulisse è evocato come figura negativa, signore d’ogni astuzia ingannatrice; invece Trimalchione si identifica con l’antico re di Itaca allo scopo di esaltare la propria arguta intelligenza! Come corollario si impara che non c’è tregua allo studio delle lettere, neppure a cena. La philologia che l’autore attribuisce al ricco parvenu è scherzosa e caricaturale, ma la battuta di Trimalchione sembra avere due scopi: provare la superiorità lessicale del padrone di casa rispetto agli altri liberti; affrontare alla pari gli scholastici presenti a mensa. Per ora i conti con la cultura non sono troppo disastrosi, come avverrà invece più avanti, durante spericolate incursioni nella storia e nel mito. .. Primae mensae. II. Le altre portate Terminata l’escursione tra cielo e terra grazie alle Case dello Zodiaco e a quanto avviene quaggiù sotto il patrocinio dei segni celesti, il triclinio cambia aspetto: il nuovo apparato è quello delle scene di caccia, delle venationes, con simulacri di reti, spiedi, panie e mute di cani che scorrazzano in libertà (, -). E la selvaggina? arriva, sì, in tavola, ma nascosta nella seconda portata. Entra un grande vassoio, su cui è adagiato un cinghiale di prima grandezza, con tanto di pileo in testa: dalle zanne pendono due piccoli canestri, pieni di datteri freschi e secchi. Intorno, la presenza di maialini di pasta, appesi alle mammelle, indica che sul vassoio è adagiata una scrofa (, -). Tutto è in continua mutazione: l’animale che appare come maschio aper pilleatus si rivela scrofa attorniata da minores porcelli, che sono consegnati come doni d’asporto (apophoreta) ai commensali. . Usanza conviviale, gli apophoreta sono i doni offerti dall’ospite ai convitati . A tavola da Trimalchione [. . . ]  Né i lattonzoli, tuttavia, né l’ambiguo cinghiale sono la vera cacciagione per cui s’è trasformato lo scenario. Avanza infatti un servo, in veste di cacciatore, che sventra il cinghiale (tornato a essere aper nell’estrema rovina): dagli squarci esce a volo uno stormo di tordi; catturati da servi-uccellatori, sono distribuiti insieme ai datteri a ciascuno dei convitati (, -). Dal ventre aperto del cinghiale farcito escono tordi vivi, come dal ventre del Cavallo di Legno uscì, nell’ultima notte di Troia, la schiera di Greci guidati da Ulisse, non a caso appena nominato da Trimalchione. Si vedrà più avanti, in , , un altro piatto allusivo della Presa di Troia, piatto che contende a questo la definizione di Porcus Troianus (antenato della porchetta); intanto una postilla, affidata a Ermerote, svela il piccolo mistero del berretto della libertà sulla testa del cinghiale: «Questo cinghiale, riservato come piatto forte della cena di ieri, fu rimandato indietro (dimissus est) dai convitati; così oggi torna in tavola alla stregua di liberto» (, ). Il gioco di parole su dimissio vale come lezione offerta da un liberto a uno scholasticus; ma il berretto della libertà non esaurisce la propria funzione e resta al centro della scena successiva, sempre sul registro dei giochi verbali. Un giovane servo di bell’aspetto, coronato d’edera e tralci, si presenta in sala come dio del vino, distribuisce grappoli d’uva e recita poesie del padrone, il che non stupisce troppo, considerate le pulsioni liriche di cui s’è già fatta esperienza. Subito riaccesa, la vena poetica di Trimalchione gioca sul teonimo greco e gli epiteti cultuali latini del dio e opera una manumissio per mensam, indirizzando al giovinetto una battuta (Dionyse, liber esto), che provoca immediata reazione: il servitorello toglie il berretto al cinghiale e se lo mette in capo. La seconda battuta è rivolta ai presenti: Non negabitis me habere Liberum patrem (, -). Qui il gioco un po’ puerile ruota su liber, attributo che connota il giovane schiavo nel momento dell’affrancamento, e come viatico alla fine del pasto. Nella Cena ci sono altre due distribuzioni di apophoreta, in , - (preceduta da estrazione a sorte di biglietti enigmatici, prassi cara ad Augusto; vd. Svetonio, Vita di Augusto : munera dividebat ... titulis obscuris et ambiguis) e in ,  (con discesa dei doni dal soffitto).  Rileggendo Petronio e Apuleio Liber, epiteto di Dioniso nella formula religiosa Liber Pater: così dicendo Trimalchione gioca altresì sulla propria nascita, che da servile diventa quella d’un uomo libero, pari ai natali di tutti coloro che hanno un ‘padre libero’ . Terminata la venatio e concluso l’intermezzo di DionisoLibero, il motivo della libertas ha ancora un sussulto. Provato dal cibo ingurgitato e dal ruolo stimolante di primo attore, Trimalchione abbandona la sala da pranzo e si apparta per soddisfare altri stimoli meno nobili (comportamento tuttavia più civile della minzione pubblica alle terme). Il corpo, anche il corpo del padrone, ha le sue necessità e l’apparato della Cena è in grado di soddisfarle tutte, in entrata e in uscita. L’assenza di Trimalchione diventa occasione di forte cambiamento, messo in moto dal piccolo gruppo di cui fa parte l’Io-narratore: «noi, conquistata la libertà in assenza del tiranno (libertatem sine tyranno nacti), iniziammo a dare il via ai discorsi dei commensali» (, ). Si noti: qui il senso di libertas e tyrannus, binomio d’ossimoro politico, va commisurato con l’atmosfera della cena. Tyrannus può essere, sì, inteso come sostituto di rex bibendi, di re delle bevute nel simposio, ma il termine ‘denuncia’ l’assoluta preminenza di Trimalchione. La libertas, eco dei giochi verbali che hanno reso libero il giovane schiavo ornato di tralci di vite, è libertà di parola che per iniziativa degli scholastici viene estesa ai commensali. Prospettata così la nuova situazione (i liberi conversari dei colliberti), è agevole segnalare, come da più parti si è fatto , che il cambiamento è frutto di sapida miscela tra intenzioni d’autore e cambio di modello: non più gli Hedypha. Vd. J.P.K. Kritzinger, ‘Non negabitis me habere Liberum patrem’: Petronius, Sat. .  Revisited, «Acta Classica» , , -; T.R. Ramsby, ‘Reading’ the Freed Slave in the Cena Trimalchionis, in S. Bell, T.R. Ramsby (a c. di), Free at Last! The Impact of Freed Slaves on the Roman Empire, London , -. . Vd. per es. A. Cameron, Petronius and Plato, «Classical Quarterly» , , -; F. Dupont, Le plaisir et la loi. Du Banquet de Platon au Satiricon, Paris  ( ); F. Bessone, Discorsi dei liberti e parodia del “Simposio” platonico nella “Cena Trimalchionis”, «Materiali e Discussioni» , , -; Ou. Molyviati, The Cena Trimalchionis and Plato’s Aesthetics of Mimesis, in M. Futre Pinheiro, S. Montiglio (a cura di), Philosophy and the Ancient Novel, Groningen , -. . A tavola da Trimalchione [. . . ]  getica, ma la tradizione del banchetto filosofico, del Simposio di Platone, per intenderci. Certo, non vanno cercati spunti di alta filosofia nei discorsi dei compari di Trimalchione, perché la ripresa del modello si attua sul piano della parodia, ma l’autore non perde di vista il testo platonico, come conferma più avanti , -, dove l’ingresso tardivo d’un invitato già alticcio (Habinnas iam ebrius) ricalca l’entrata in ritardo di Alcibiade ebbro nella dimora di Agatone. Come già le parole di Ermerote e dello stesso Trimalchione, la lingua dei liberti offre una campionatura di hapax legomena, di grecismi e ibridi greco-latini, di trivialità e proverbi, di colloquialismi e metaplasmi, di aspetti popolari e folclorici così densa da non lasciar dubbi sull’intenzione mimetica di riprodurre affabulazioni e toni del sermo cotidianus et vulgaris. Quanto ai contenuti, se non s’innalzano a filosofici pensieri sull’essere, si attestano tuttavia a spunti sull’esistere, a questioncelle sulle difficoltà e sui piccoli piaceri quotidiani. Apre la serie il liberto Dama, che confessa la propria ebbrezza e formula una memorabile sententia sulla brevità della vita: dies . . . nihil est. Dum versas te, nox fit (--). Segue Seleuco, ostile all’acqua e favorevole al vino, con l’elogio funebre d’un morto recente: predica a sua volta l’inconsistenza della vita mediante formule proverbiali tra eco di tradizioni illustri e brevitas popolare: utres inflati ambulamus. Minoris quam muscae sumus. Non pluris sumus quam bullae (, ). Il tema funebre persiste nel discorso di Filerote, che esorta a parlare dei vivi (, : vivorum meminerimus), ma continua a parlare del defunto, criticandone vita e costumi. Dopo l’elogio, il biasimo: le due forme del discorso epidittico lasciano l’atmosfera rarefatta delle scuole di retorica e si misurano con situazioni concrete, impigliate nell’immaginario e nel lessico dei personaggi della Cena. Ancorato a situazioni terrene è Ganimede, che in ,  sgg. denuncia la crisi economica e la corruzione generale, in polemica con quanti si sono arricchiti troppo e in fretta (come l’anfitrione, come gran parte dei presenti e dei tipi citati nei conversari). L’intervento finale, del centonarius Echíone, è duplice: a Ganimede ribatte con tono di  Rileggendo Petronio e Apuleio benpensante, negando la gravità della crisi e descrivendo feste e spettacoli della vita municipale (, -); si rivolge poi ad Agamennone e con crescente impaccio linguistico indica come futuro discepolo del retore un fanciullo di casa dagli interessi culturali alla buona (, : litteris satis inquinatus est). Gli scholastici hanno provocato i discorsi altrui, ma sono rimasti silenti in ascolto delle parole degli indocti; il compito di porre fine ai conversari non spetta perciò al retore, vale a dire a colui che professa l’arte del discorso pubblico, ma al padrone di casa che rientra nel triclinio alleggerito del peso superfluo del ventre, compie pubbliche abluzioni, discetta sui propri disturbi intestinali e incrementa il galateo delle buone maniere a tavola concedendo graziosamente ai convitati il diritto a ogni sorta di emissioni corporee (, -). Recuperate così le funzioni di regista della cena, Trimalchione si preoccupa della preparazione, per così dire, à la carte della pietanza successiva. Con l’ingresso a suon di musica di tre bianchi maiali si consuma un’altra scenetta, giocata sull’inopinatum: i fornelli della casa sanno cucinare in casseruola anche animali grossi come vitelli; il cuoco incaricato di cucinare il maiale anziano dichiara di essere della quarantesima decuria, rivelando la dimensione della famiglia servile di Trimalchione, proprietario di almeno  schiavi (, -). Dati gli ordini per la preparazione del porco, Trimalchione si rivolge a sua volta ad Agamennone e chiede il tema della controversia del giorno, sciorinando studi personali paragiuridici, il possesso di due o tre biblioteche, un bel grecismo tecnico (peristasis) a designare le circumstantiae della declamazione. Agamennone cita un tema trito e ritrito di scuola: Pauper et dives inimici erant; ma subito il liberto venuto dall’Asia liquida con una battuta basata sullo scheletro del sillogismo aristotelico la tradizione scolastica delle controversie fittizie: «Se è un fatto avvenuto, non c’è controversia che tenga; se il fatto non c’è, . Timore reverenziale nei confronti del maestro di retorica o malizioso divertimento dell’autore alle spalle della persona loquens? . A tavola da Trimalchione [. . . ]  allora non c’è proprio un bel niente» . Le lodi dei presenti incrementano il compiacimento di Trimalchione di sentirsi insieme signore del convito e maestro di cultura; si permette, lì per lì, di evocare improbabili letture omeriche e autopsie impossibili di decrepite Sibille desiderose di morire (, -), più avanti di narrare la storia del vetro infrangibile (), di farsi giudice in una syncrisis sbilenca tra Cicerone e Publilio Siro, di recitare versi contro il lusso (, -) e di ammettere che il mestiere del letterato è difficillimum artificium (, ) . In mezzo a tali sproloqui occupa la tavola un vassoio con un porco smisurato, ben più grosso del maiale avviato a cottura sollecita di poco prima: l’imponente animale è sventrato davanti a tutti da un servo costretto a recitare il mimo del cuoco inetto; dai tagli che si moltiplicano sotto la spinta del ripieno escono fuori fiotti di salcicce e sanguinacci (, -). Ancora una volta la scena mitica del Cavallo di Troia ispira all’artista di cucina, meglio a Trimalchione e al suo capo-cuoco, la traduzione gastronomica d’un racconto epico a tutti noto. Non si tratta, però, di novità, perché dell’esistenza d’un piatto lussuoso di questo tipo parlava già un’orazione del II sec. a.C. a sostegno di leggi suntuarie contro l’usanza di portare in tavola il cosiddetto Porcus Troianus ripieno di altri animali, come l’antico Cavallo di Troia era gravido di armati (Macrobio, Saturnali , , ). Se si ricorda l’ambiguo cinghiale farcito di tordi di , -, si deve ammettere che la novità trimalchionesca sta nel raddoppio dei piatti che evocano l’Equus Troianus. Ecco: la moltiplicazione delle portate è un tratto della dismisura di Trimalchione, confrontabile con comportamenti imperiali. Soccorre ancora una volta Svetonio: di solito Augusto offriva cene di tre portate (ternis ferculis), al massimo, se le voleva più copiose ma senza spese di troppo, offriva cene di sei portate (Vita di Augusto ). Le spese non sono certo pensiero . , : Hoc, inquit, si factum est, controversia non est; si factum non est, nihil est. . Vd. R. Daniel, Liberal Education and Semiliteracy in Petronius, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio prioritario del padrone di casa le cui rendite, come si viene a sapere dagli spunti autobiografici promossi da bevute fuori controllo, sono in continuo aumento, tanto che potrà dire: quicquid tangebam, crescebat tamquam favus (, ). Più importante, si direbbe senza tema di smentita, è l’allestimento dei piatti e delle portate, nonché la cura riservata agli intermezzi spettacolari – danze e recite improvvisate (, -; , -; , -); acrobati con esiti scadenti (, -, ); recita degli Omeristi e strampalate didascalie antiomeriche di Trimalchione (, -) ; racconti di paura per buona digestione (, -); risse di cani e ‘cavalluccio padronale’ (, -) – che nuovamente sembrano richiamare abitudini di altissimo rango, inaugurate da Augusto, che tra una portata e l’altra faceva esibire lettori e narratori, ballerini, istrioni e saltimbanchi (Svetonio, loc. cit.). Talora l’intermezzo prepara la portata immediatamente seguente, come succede quando Trimalchione pone fine alla sgangherata ricostruzione della Guerra di Troia: «Naturalmente vinse Agamennone e diede in sposa Ifigenia, sua figlia, ad Achille. Per questa ragione Aiace diventa matto, e subito se ne darà dimostrazione» (, ) . La follia di Aiace – è noto – non è causata da impossibili gelosie, ma dall’assegnazione delle armi di Achille a Odisseo su non imparziale giudizio degli Atridi, ma la tirata paramitologica rivela subito la propria funzione anticipatoria. Tra gli strepiti degli Omeristi, infatti, vitulus elixus allatus est: trasportato su d’un vassoio di duecento libbre (suppellettile degna d’una dimora in cui tutto è eccesso e ostentazione), fa la sua comparsa un vitello lessato; simbolo degli armenti vittime della spada di Aiace, l’animale è fatto a pezzi dal gladio di uno scalco, che gesticola come un pazzo e distribuisce le carni in punta di spada tra i commensali ammirati (, -). Il mito entra in cucina e si trasforma in vivanda . , -: Scitis, inquit, quam fabulam agant? Diomedes et Ganymedes duo fratres fuerunt. Horum soror erat Helena. Agamemnon illam rapuit et Dianae cervam subiecit ... . Vd. P. Grossardt, Der Trojanische Krieg in der Darstellung des Trimalchio (Petron, Sat. ,-), «Rheinisches Museum» , , -. . A tavola da Trimalchione [. . . ]  spettacolare: messa in scena della “pazzia di Aiace” in chiave gastronomica, vera e propria pantomima, con un finto Aiace che fa la parodia della strage di animali imbelli (qui addirittura già cucinati), eseguendo la danza della spada che appartiene al repertorio dei ballerini-interpreti, come informa Luciano di Samosata, Sulla danza -. Il racconto non conosce sosta, anche se progressivamente il narratore, e alle sue spalle l’autore, accompagna al gusto per l’abnorme offerta di cibarie l’interesse per comportamenti sociali, conversari mimetici, ritualità conviviali d’alto bordo. Nel punto in cui siamo giunti, alla pantomima di Aiace tiene subito dietro la seconda distribuzione di apophoreta, che questa volta spiovono dai lacunaria del soffitto mediante un marchingegno meccanico: non più legati al cibo, come in precedenza, i ricordini sono ora corone d’oro e ampolle d’alabastro piene di profumo, segni inequivoci, tangibili e asportabili, della ricchezza dell’anfitrione. Mentre c’è chi raccoglie gli apophoreta (diversivo per preparare una portata a sorpresa), c’è chi dà un’occhiata alla mensa e vi trova, già deposto, «un vassoio colmo di focacce: il centro è occupato da un Priàpo cotto al forno che, secondo l’immagine ben nota, regge col basso ventre piuttosto esteso e prominente frutta d’ogni genere e grappoli d’uva». Finalmente! Il dio della fertilità, il guardiano dei raccolti con la sua gioiosa o minacciosa protrusione itifallica compare in tavola e riassume, in maniera icastica, la forza produttrice di ricchezza che vivifica le proprietà di Trimalchione (per altro senza figli, ma forse non privo di residue speranze in forza della rappresentazione vulgata del dio). La scena che segue, però, è lontana da pensieri di fondazioni familiari: «Con avidità allunghiamo le mani verso quel fastoso apparato (ad pompam), e qui, d’improvviso, un nuovo svago giocoso riportò l’allegria. Infatti, tutte le focacce e tutti i frutti, anche al tocco più lieve, iniziarono a spargere zafferano, facendone arrivare l’odore acuto fino a noi. Pensando che fosse una portata sacra (sacrum fericulum), aspersa com’era d’ingrediente di natura così religiosa, ci alzammo in piedi tutti  Rileggendo Petronio e Apuleio insieme e dicemmo: “Salute ad Augusto padre della patria!”» (, -). Bene: la tumescenza assoluta di Priàpo e la nuvola pungente di zafferano provocano un saluto poco regolamentare all’imperatore di turno. Nell’universo privato dell’anarchico liberto, che scimmiotta prerogative elitarie e ostenta Lari fittizi (, -), non pare aspetto prioritario la devozione politica: è vero che con le bevute ci si è già spinti molto avanti, ma la cura impiegata nella preparazione impedisce di disconoscere l’intenzionale ironia e di spiegare la scena come frutto di spensierata ubriacatura. Dopo il provocatorio atto d’ossequio, l’Io narratore perde di vista il cibo e concentra la propria attenzione e quella dei lettori d’ogni tempo sull’episodio di licantropia narrato da Nicerote (,  - , ) e sull’assalto delle streghe alle spoglie d’un morticino nella veglia funebre narrata da Trimalchione stesso (, -). In dettaglio, il racconto di Trimalchione impone agli scholastici un atto di credula omologazione alla cultura di chi parla, accompagnato dai soliti atteggiamenti di condiscendenza stuporosa (, : miramur nos et pariter credimus). La capacità di giudizio di Encolpio non è però scomparsa del tutto, se il giovanotto cita con disgusto l’ultima portata, la sesta, delle primae mensae, definite in senso ironico matteae, ghiottonerie: galline d’allevamento e uova d’oca incappucciate, ribattezzate dal padrone di casa come gallinae exossatae; per giunta una gallina a testa, cioè un’esagerazione quanto al numero e una caduta di stile quanto alla scelta del volatile pro turdis (, -). Altra critica, a metà tra tradizione scolastica e sensibilità estetica, sarà indirizzata alla recita di versi virgiliani per bocca del servo del nuovo arrivato, vale a dire del servo di Abinna: «Mai suono più stridulo colpì le mie orecchie; oltre alla pronuncia delle sillabe lunghe e brevi alla maniera errata del barbari, quello vi mescolava versi di Atellana, tanto che allora per la prima volta mi risultò insopportabile anche Virgilio» (, ). Il risveglio dello spirito critico prelude alla fine dell’ammirata condiscendenza nei confronti dello stile di vita del ricco parvenu e prepara i tentativi di fuga, fallito il primo e riuscito il secondo, del terzetto . A tavola da Trimalchione [. . . ]  dal labirinto d’una dimora dalle troppe porte. .. La cena nella cena, le secundae mensae, la seconda cena Ci si è mossi troppo in fretta, però, per inseguire i segni (non sempre confermati) di rinnovata autonomia di giudizio da parte di Encolpio; è bene ricordare che tra i due episodi succedono eventi degni d’attenzione. Intanto fa il suo ingresso il nuovo arrivato, il marmista Abinna, con tanto di consorte e corteo al seguito: impresario di monumenti funebri ingaggiato da Trimalchione per la costruzione dell’ultima dimora, è reduce da un’altra cena – cena funebre, tanto per essere in tema - e non cela il proprio stato d’ebbrezza, calato, come s’è già detto, nello stesso ruolo che fu di Alcibiade nel Simposio di Platone . Abinna è della stessa stoffa del padrone di casa con cui si misura in colloquio a suon di calici. Come c’è chi sa l’arte di farsi invitare a cena , così Abinna conosce l’arte della lusinga e alla domanda sul trattamento ricevuto dall’ospite precedente risponde: «Abbiamo avuto proprio tutto, all’infuori della tua presenza; la luce dei miei occhi, in effetti, era qui» . Come Trimalchione, è interessato alla quantità e alla qualità del cibo, senza il bon ton di tacere eventuali conseguenze su viscere e stomaco. La prova è l’elenco di quanto ha già ingurgitato altrove: maiale con salcicce, sanguinacci e interiora di pollo (optime facta), bietole e pane integrale (preferito al pane bianco perché et vires facit, et cum mea re causa facio, non ploro), focaccia al cacio e miele irrorata da ottimo vino di Spagna, ceci, lupini, noci a piacere e una mela a testa. Il piatto forte è la carne d’orso: Abinna ne mangia . Vd. A. Cucchiarelli, L’entrata di Abinna nella Cena Trimalchionis (Petron. Satyr. ), «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa» s. , , , -. . , : Excipimus urbanitatem iocantis, et ante omnes Agamemnon, qui sciebat quibus meritis revocaretur ad cenam. Il bello è che Agamennone, in , -, con la pretesa di dare precetti, afferma che chi vuole intraprendere la carriera letteraria deve evitare atteggiamenti servili e non cercare inviti alle cene dei potenti. . , : Omnia, inquit, habuimus praeter te; oculi enim mei hic erant.  Rileggendo Petronio e Apuleio più di una libbra, mentre la consorte al primo assaggio paene intestina sua vomuit; seguono formaggio molle e vino cotto, lumache, fegatini in tegame, rape, uova incappucciate, senape e olive farcite, mentre pernae missionem dedimus, il prosciutto è congedato come un veterano a fine servizio (, -). Anche alla tavola dell’ospite di Abinna ci sono piatti in abbondanza, alcuni simili a quelli presenti sulla mensa di Trimalchione; simile è altresì il caso del prosciutto, che ha sorte simile a quella dell’aper pilleatus rispedito in cucina durante il convito del giorno prima. Manca tuttavia, nel racconto della cena nella cena, il senso spettacolare dell’apparato, la costruzione dei piatti a sorpresa; non si avverte, insomma, la mano di un regista in vena di stupire i presenti, soprattutto la notizia di ‘dotti conversari’ tra commensali, né s’intravede l’abilità d’un capo-cuoco in grado di realizzare quanto prevede l’inesausta e greve creatività del padrone. Per conoscere l’artefice o, almeno, uno degli artefici di tanta dovizia si deve attendere ancora un po’. Prima le donne al convito, Fortunata e Scintilla (consorte di Abinna), esibiscono abbigliamento e gioielli, provocando le lamentele dei mariti a proposito dei costi femminili (, -). Poi, su ordine di Trimalchione, i servi tolgono di mezzo le primae mensae e preparano le secundae, ripulendo la sala con ingredienti che suscitano la sorpresa di Encolpio, a causa della presenza sul pavimento della polvere di mica, di solito usata al circo: il dettaglio rende esplicita la corrispondenza tra l’anfiteatro e il triclinio di Trimalchione, collaudata dalla venatio e da una serie di esibizioni che talora hanno come protagonista lo stesso padrone di casa. Finalmente, ecco le secundae mensae, in compagnia di una freddura di Trimalchione: «Certo, avrei potuto accontentarmi di questa portata (hoc fericulo), perché le seconde mense voi le avete ormai davanti. Ma se c’è qualcosa di buono, servilo pure in tavola!» (, ). Il gioco di parole è di disperante banalità: con hoc fericulo si può indicare tutto ciò che è stato portato in sala, dunque anche le nuove mensae o tavole, che hanno sostituito le precedenti e che si possono definire secundae mensae, concrete e fuor di me- . A tavola da Trimalchione [. . . ]  tafora in luogo del grecismo tecnico che assegna alle secundae mensae il compito di designare il post-pasto. Il termine tecnico fa la sua comparsa in ,  e interrompe sbracate esibizioni di servi e compiaciuti commenti dei rispettivi padroni: «strazi così numerosi non avrebbero avuto termine, se non fosse stato portato in tavola il post-pasto (nisi epidipnis esset allata), cioè tordi di farina di segala farciti d’uva passa e noci», seguito da mele cotogne ricoperte di spine (per sembrare ricci di mare, come vuole l’imitatio naturae più volte vista all’opera) e da una portata tanto mostruosa da rendere preferibile – sostiene Encolpio – la morte per inedia: un’oca d’allevamento, in apparenza, con contorno di pesci e d’ogni tipo di volatili (, ). Come il resto della cena, il dessert risulta piuttosto pesante e non finisce qui, ma prima di ennesime aggiunte Trimalchione sentenzia che uno solo è l’ingrediente di tutto ciò che si vede in tavola. Encolpio smarrisce di nuovo il ben dell’intelletto e formula ipotesi errate: cibi di sterco o di fango; si conferma così la scarsa propensione dello scholasticus a comprendere la realtà che lo circonda. Trimalchione invece sa, demiurgo dell’universo estiatorio in cui regna; conosce infatti il materiale, carne di porco per tutti i cibi in tavola e per molti altri a volontà, e conosce l’autore di tali metamorfosi culinarie, insignito dal padrone del nome di Dedalo, del più grande architetto del mito greco che s’insedia a mensa e in cucina come segno di un’eccellenza radicata nella vita quotidiana . Anche senza il bene di una prova, con Dedalo piace identificare l’abile materiae structor del piatto dello Zodiaco e il responsabile delle trovate culinarie che trasformano la cena di Trimalchione nella corposa resa spettacolare di quanto altri generi letterari – satira, commedia, epica gastronomica, per esempio – hanno raccontato come ricettario catalogico o . S. Döpp, Mythen im Alltag. Beispiele aus Petrons Satyrica, in Chr. Schmitz (a c. di), Mythos im Alltag. Alltag im Mythos. Die Banalität des Alltags in unterschiedlichen literarischen Verwendungskontexten, München, Fink, , -, mostra come i personaggi petroniani abbiano confidenza con la mitologia, soprattutto per quanto concerne i poemi epici, e se ne servano per caratterizzare le situazioni da loro vissute.  Rileggendo Petronio e Apuleio come rassegna lessicale di manicaretti. Manicaretti che ancora si aggiungono a manicaretti, come le ostriche e i pettini di mare che cadono da ‘anfore della cuccagna’ infrante a bastonate da due finti contendenti e che un puer raccoglie e distribuisce, come le chiocciole servite su graticola d’argento da parte di Dedalo in persona, con canto impari all’ingegno, perché intonato tremula taeterrimaque voce (, -) . Dedalo ha confidenza col padrone e si siede a mensa, gratificando i vicini del proprio odore di salamoia e untumi, per imitare un attore tragico di grido e fare scommesse sui giochi del circo. Anzi, si deve precisare che è l’ex-schiavo Trimalchione a trattare con benevolenza l’intera famiglia servile: fa accomodare i servi a mensa, ne riconosce l’umanità e promette di affrancarli tutti per testamento (, : et servi homines sunt ... omnes illos in testamento meo manu mitto). Letto il testamento dalla prima all’ultima riga tra i gemiti dei servi, Trimalchione dà disposizioni relative all’iscrizione sepolcrale e al proprio monumento funebre, indicando in dettaglio l’iconografia desiderata – scene di banchetto comprese - ut contingat post mortem vivere (, -). È vero che nel frattempo le bevute sono continuate, ma la descrizione del monumento funerario ottiene il risultato del pianto generale: piangono Trimalchione e Fortunata, piange Abinna, piange tutta la servitù, comincia a piangere persino Encolpio (, -). Ci si dovrebbe trovare oltre le secundae mensae, nel bel mezzo della comissatio riservata alle bevute, alla libera assunzione di vino; invece si assiste a un simposio di lacrime che tuttavia non pone termine alla cena. Trimalchione formula, infatti, un nuovo invito, innestato comunque sul tema . La voce di Dedalo è pari a quella del padrone, che all’apparire del piatto dello Zodiaco taeterrima voce de Laserpiciario mimo canticum extorsit (,). Persino il grosso cane di casa, Scylax (“Cucciolo”!), possiede medesima intonazione sgradevole: taeterrimo latratu triclinium implevit (, ). . Cfr. Seneca, Epist. a Lucilio , : ’Servi sunt.’ Immo homines. ’Servi sunt’. Immo contubernales. ’Servi sunt.’ Immo humiles amici. ’Servi sunt.’ Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae. Vd. M. Armisen-Marchetti, Conservi: à propos encore une fois de Pétrone, Sat. , -,  et Sénèque, epist. , in F. Gasti (a c. di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia , -. . A tavola da Trimalchione [. . . ]  lirico dell’inevitabilità della morte: cum sciamus nos morituros esse, quare non vivamus? Sic vos felices videam, coniciamus nos in balneum (, ). Un bel bagno alla fine della cena? Certo, ci può stare, ma Abinna, alter-ego bulimico del padrone di casa reduce da una cena consumata in toto e da un’altra solo parzialmente assaggiata, comprende subito le intenzioni del compare di bisboccia ed esclama: «d’un sol giorno farne due, non c’è niente di meglio per me!» Insomma, il bagno previsto da Trimalchione significa per Abinna che tutto si raddoppia, che una sola giornata si può vivere due volte: si riparte dal bagno, come prima dell’ingresso nella dimora del ricco parvenu da parte del nostro terzetto (questa volta costretto a duplice immersione, nella vasca d’impluvio durante il primo tentativo di fuga e poi nella tinozza del padrone) e si ricomincia a cenare. Infatti, smaltita la sbornia, i commensali – evidentemente non affetti da anoressia – sono condotti in un altro triclinio: in merito non ci sono problemi, perché la casa ha quattro cenationes, e la voce di Trimalchione può dare l’inizio alla seconda cena, quasi con le stesse parole della prima volta: «Amici, inzuppiamoci come spugne e ceniamo fino al far dell’alba!» . Il nuovo banchetto ha inizio con un improvvisato rito scaramantico: il canto fuori tempo d’un gallo, considerato di cattivo augurio come nunzio d’incendio o di morte immatura, ha duplice soluzione apotropaica: vino versato sotto tavola per scongiurare incendi; morte del gallo, fatto a pezzi e messo in pentola, per scongiurare decessi altrui (, -) . L’operazione prelude al cambio di servitù: congedati i servi della prima cena, fa il proprio ingresso una nuova squadra di schiavi di cui fa parte un puer non inspeciosus. Come si ricorderà, nel corso della prima cena è comparso un puer speciosus, che recita la parte di Bacco e . , : Amici ... tangomenas faciamus et usque in lucem cenemus. Cfr.   (tangomenas faciamus) e ,  (cenemus; hoc est ius cenae). . Vd. W. Deonna, M. Renard, Croyances et superstitions de table dans la Rome antique, Bruxelles ,  sgg. Secondo Plinio il Vecchio, Nat. hist. , , incendia inter epulas nominata aquis sub mensam perfusis abominantur. Ma alla mensa di Trimalchione, come s’è visto, l’acqua non compare neppure per le abluzioni.  Rileggendo Petronio e Apuleio ottiene l’affrancamento per mensam in forza di battuta (Dionyse, liber esto!), suscitando l’applauso dei convitati, che coprono di baci il ragazzino intento a fare il giro della sala (, : laudavimus dictum et puerum sane perbasiamus). Questa volta la presenza del servitorello di bell’aspetto mette in moto le voglie dello stesso Trimalchione: costretto di solito ad accontentarsi delle grazie del poco attraente amasio, salta addosso al nuovo arrivato e osculari diutius coepit (, ). Scatta a questo punto la replica, ancor più animata, di quanto è descritto in -, la reazione cioè di Ermerote alle risate scomposte di Ascilto e Gitone. Infatti, la scena delle eccessive attenzioni rivolte al bel ragazzo provoca l’immediata e furibonda reazione di Fortunata, che pure non ha mostrato gelosia nei confronti del rapporto tra il marito e il brutto mignon; ora, invece, rivendica a suon di insulti la propria condizione giuridica di consorte, ottenendo per tutta risposta il lancio di un calice in testa, una sorta di damnatio memoriae con cancellazione d’immagine dal monumento funebre e la lunga requisitoria del marito, suddivisa tra accuse alla donna e autobiografia celebrativa, con tanto di clausola proverbiale (, : Credite, mihi: assem habeas, assem valeas; habes, habeberis. Sic amicus vester, qui fuit rana, nunc est rex). Ancora una volta, la retorica del biasimo e della lode è calata in un momento privato, sì, ma non troppo, se davvero nella lite tra Trimalchione e Fortunata si ravvisano, in registro comico, tracce d’un famoso modello epico, il litigio nel I libro dell’Iliade tra Zeus ed Era, perché il re degli dèi promette a Teti di restituire ad Achille l’onore negato da Agamennone . Le parole del diverbio fanno dimenticare o sostituiscono il cibo, che scompare dalla vista della seconda cena; non così il vino, ma si tratta di nulla più d’una degustazione, perché è vino speciale, destinato a officio funebre, a lavare le ossa del padrone di casa. Come la prima cena è terminata con la descrizione del monumento funebre di Trimalchione e la lettura del testamento, così il finale della . Vd. M. Glock, Ehestreit und Sprachmoral. Zu Homer, Ilias A - und Petron, Satyrica ,-,, «Forum Classicum» , , -. . A tavola da Trimalchione [. . . ]  seconda – il finale per noi, perché viene meno il narratore, che riesce a fuggire con Ascilto e Gitone grazie all’irruzione dei vigiles – si conclude col finto funerale di Trimalchione, steso sul letto tricliniare in qualità di apprendista-cadavere (, : Fingite me – inquit – mortuum esse. Dicite aliquid belli) . Come si vede, cibo e vino, che nelle storie riservate all’alimentazione sono di solito garanti di vita , lasciano il posto a formulazioni d’indirizzo diverso, dettate – ora lo possiamo dire – dalle molteplici suggestioni che l’autore nascosto è in grado di far emergere nelle parole e nelle azioni di protagonisti e comprimari: solo una mens ingenti flumine litterarum inundata (Petron. , ) può rivelare tale maestría nel fare buon uso di così grande numero di riferimenti culturali . Citazioni e allusioni trovano calibrata ospitalità nel racconto, in parte come patrimonio fittizio attribuito alle varie personae loquentes, sempre come patrimonio reale di chi controlla scrittura e riscrittura, di chi sa far procedere senza tensioni conflittuali testo e ipotesti, strettamente imbricati e corretti in modo da generare opera d’intrattenimento e, chissà?, anche di denuncia umorosa mai scontata o banale. Nessun debito culturale, dunque? Ovviamente no, se si pensa all’autore; più d’uno, invece, se ci si riferisce ai personaggi. Degli scholastici abbiamo visto i limiti: maestri del linguaggio, non vanno oltre la capacità di narrare, ma non sanno comprendere la realtà in cui si trovano e per cui provano solo ammirata afasia. Discorso diverso vale per Trimalchione . Vd. tra gli altri M. Erasmo, Reading Death in Ancient Rome, Columbus , -. . Garanti altresì di coraggio guerriero, se si dà retta a Odisseo, che invita Achille e gli Achei a banchettare prima della ripresa dei combattimenti, perché «l’uomo che è sazio di cibo e di vino / per l’intera giornata affronta i nemici: / saldo nel petto è il suo cuore e le sue membra / non cedono prima che tutti abbiano cessato di combattere» (Iliade , -). . Così E. Courtney, A Companion to Petronius, Oxford-New York  , -, utile per la rassegna degli autori greci e latini che secondo la critica fanno capolino nel Satyricon. Vd. anche J. Morgan, Petronius and Greek Literature, e C. Panayotakis, Petronius and the Roman Literature, in J.R.W. Prag, I. Repath (a c. di), Petronius: A Handbook, Chichester/Malden (MA) , - e -.  Rileggendo Petronio e Apuleio e i colliberti che gli fanno corona, perché nei loro confronti l’autore, oltre a dare un saggio notevolissimo di mimesi linguistica, compensa ogni deficit culturale con pregi d’altro genere. I conversari dei liberti sanno essere critici della vita municipale e non si tirano indietro di fronte a problemi di morale spicciola o di educazione giovanile. Le invettive di Ermerote contro Ascilto e Gitone mostrano, come del resto le battute di Nicerote in ,  (timeo istos scholasticos ne me rideant), timore di derisione da parte delle persone colte, ma tutte e due le tirate professano onestà di vita e si augurano una fine onorevole, degna di comportamenti senza macchia . Più complessa – va da sé – è la figura di Trimalchione in cui non mancano atteggiamenti non negativi (la benevola comprensione riservata agli schiavi) o tracce di saperi in qualche modo acquisiti (l’astrologia zodiacale; i grecismi anathymiasis di ,  per indicare esalazioni fisiologiche, e peristasis di ,  per designare l’insieme degli elementi dell’orazione; i conati poetici di , , dove si ammette la continua mutazione dei casi della vita sotto la regìa della sorte, per farci sopra una buona bevuta, e di , , dove sedici senari giambici contro il lusso e il degrado morale sono paradossalmente recitati da chi ostenta lusso sfrenato e dubbia moralità), ma in cui prevalgono, senza dubbio, formulazioni assurde e false competenze. Di un clamoroso esempio si è già preso atto: la scombiccherata ricostruzione della Guerra di Troia che precede la pantomima di Aiace alle prese col vitello lessato in , -; ora possiamo fare un passo indietro e ricordare come Trimalchione si avventuri in una strampalata, ma non troppo, ricognizione sulla nascita dei vasi corinzi e descriva l’iconografia presente su suppellettili di pregio. La comparsa a tavola di una lanx Corinthia offre il destro al padrone di casa per affermare che il proprio vasellame è vero corinzio, non perché derivi dalla città greca, ma perché Corinto è il nome del bronzista da cui è acquistato. Il padrone di casa fa poi sfoggio di poco credibili . , : spero, sic moriar, ut mortuus non erubescam. , : Ita lucrum faciam et ita bene moriar ut populus per exitum meum iuret, nisi te toga ubique perversa fuero persecutus. . A tavola da Trimalchione [. . . ]  conoscenze pseudo-storiche sull’origine dei Corinthea e allo scopo di dimostrare di non essere ignorante (nesapius) continua palesando insipienza: «Quando Ilio fu conquistato, Annibale ... fece ammassare tutte le statue di bronzo, d’oro, d’argento in un unico rogo, e appiccò il fuoco: e quelle tutte insieme si fusero in un’unica lega mista. Così gli artigiani prelevarono parti da questa massa informe e ne forgiarono scodelle, piatti e statuine. In tal modo sono nati gli oggetti in lega corinzia, da tutti uno solo, non più questo né quello» (, -). Annibale conquistatore di Troia e promotore d’una grandiosa fusione di metalli: la storia si perde nella risata dei lettori, e dell’autore – è ovvio – che tuttavia non nega un’indicazione compositiva, perché là dove si legge ex omnibus in unum, nec hoc nec illud, non è troppo difficile scorgere, oltre il dato di concrete mescolanze di metalli, la formula della miscela dei generi letterari operata nel Satyricon . Nulla resta com’era all’inizio, tutto si trasforma e assume nuovo aspetto, come accade anche per le raffigurazioni incise su vasellame d’argento. Quando finisce di narrare la triste fine dell’inventore del vetro infrangibile, Trimalchione denuncia la propria passione per l’argenteria (in argento plane studiosus sum), ma non mostra eguale passione per informazioni corrette sulle vicende mitologiche. Afferma infatti di possedere un gran numero di coppe su cui è rappresentato «in che modo Cassandra uccide i suoi figli e i ragazzi giacciono a terra morti, così bene che li diresti vivi» e aggiunge d’aver ereditato un vaso ad ansa su cui è incisa altra scena incredibile: «Dedalo racchiude Niobe nel cavallo di Troia» . Certo, si può tacere che il sottile giudizio estetico su ragazzini morti così perfetti da sembrare vivi nasce dal capovolgimento della perfezione attribuita da Ovidio alla statua realizzata da Pigmalione (Metamorfosi , -: virginis . Vd. P. Christensen, Z. Torlone, Ex omnibus in unum, nec hoc nec illum. Genre and Generic Juxtaposition in Petronius’ Satyricon, «Materiali e Discussioni» , , -. . , : quemadmodum Cassandra occidit filios suos, et pueri mortui iacent sic uti vivere putes. , : Daedalus Niobam in equum Troianum includit.  Rileggendo Petronio e Apuleio est verae facies, quam vivere credas / et, si non obstet reverentia, velle moveri), ma non si può tacere delle confusioni di leggende e personaggi. Sulle coppe Trimalchione scambia la figura di Medea con quella di Cassandra, già sventurata a sufficienza per conto suo; nell’icona del vaso si assiste a una bella mescolanza di miti: la presenza di Dedalo, che rinchiude una figura femminile all’interno d’un animale di legno, rinvia al mito di Pasiphae e della vacca lignea indispensabile per concepire il Minotauro, ma alla “falsa vacca” è sostituito l’animale di legno più famoso delle antiche saghe, il Cavallo di Troia, mentre a Pasiphae viene sostituita Niobe (prima d’essere pietrificata per la strage dei figli), che finisce rinchiusa, da sola o con la prole?, un po’ come Danae imprigionata col piccolo Perseo nella cassa fatta costruire da Acrisio. Nec hoc nec illud, dunque: la formula funziona anche nel mito, cucinato a puntino e trasformato, come succede al cibo della cena, sottoposto alla sfida di migliorare la natura e alle metamorfosi culinarie operate dal Dedalo di casa-Trimalchione. Ma è ormai tempo di concludere, e lo si può fare con l’aiuto di Platone, presenza non secondaria, anche se ripensata al ribasso, lungo l’intero percorso della Cena. In un passo abbastanza noto del Timeo ( d-e) Platone si sofferma sulle funzioni della bocca umana e scrive: «Per quanto riguarda l’attività della nostra bocca, è a ragione della necessità e del bene più grande che gli ordinatori l’hanno provvista (diekósmesan hoi diakosmoûntes) di denti, di labbra e di lingua secondo la disposizione in cui è ora ordinata, provvedendo all’ingresso in funzione della necessità, all’uscita in funzione del bene più grande: in effetti, mentre necessario è tutto ciò che entra per dare nutrimento al corpo, la corrente di parole che scorre all’esterno e obbedisce al pensiero è il più bello e il migliore di tutti i flussi ». Ecco: anche nella Cena non mancano gli ordinatori – uno o due su tutti – del kosmos sociale e gastronomico che provvede in abbondanza a quanto deve finire sotto i denti e dà libera uscita a flussi di parole. Si può obiettare che nel testo petroniano il cibo in ingresso è eccessivo e supera di molto la misura necessaria per la . A tavola da Trimalchione [. . . ]  sopravvivenza, così come i fiotti di parole che escono dalla bocca di quanti parlano non si possono dire al servizio di pensieri filosofici. Nondimeno l’ordine complessivo risulta in equilibrio, per così dire, da compensazione reciproca, in quanto il cibo eccessivo (e raddoppiato) comporta un incremento della descrizione che arricchisce il lessico di chi narra; le conversazioni che si susseguono a ruota libera non sono – è vero – al servizio di alte escogitazioni mentali, ma sono, se non il migliore, pur sempre un bel flusso di parole che parla di vita e di morte, capace di raffigurare ethos e tic dei personaggi che affollano, subito oppure in ritardo, l’affollata scena trimalchionesca. Non ha forse detto l’ordinatore principe del banchetto che oportet etiam inter cenandum philologiam nosse? A maggior ragione se le cenae sono due e il convito viene raddoppiato! Capitolo V I due maestri di Primigenio∗ Come è noto, l’assenza forzata del padrone di casa, appartatosi per ragioni intestinali, concede spazio ai liberi conversari dei liberti e trasforma il triclinio di Trimalchione in succursale parodica della dimora di Agatone, sede di un poco filosofico simposio di parvenus di varia fortuna . La conversazione non affronta un tema comune; tuttavia, gli interventi non sono privi di connessioni e finiscono per comporsi in una sorta di filosofia spicciola della vita all’altezza delle esperienze e dei tic delle personae loquentes . Inizia Dama con una memorabile sentenza – di collaudate ascendenze liriche – sulla brevità del giorno (dies . . . nihil est. dum versas te, nox fit), cui fa da correttivo, altrettanto ben collaudato, l’assunzione di copiose coppe di vino che danno alla testa e coprono con l’oblio gli affanni quotidiani . Sappiamo bene che la brevità del giorno è immagine della brevità della vita, motivo già proposto da Trimalchione come brindisi a commento dello scheletro argenteo fatto circolare tra i commensali: eheu nos miseros, quam totus homuncio nil est! / sic erimus cuncti, postquam non auferet Orcus. / ergo vivamus, dum licet esse bene (Petron. , ) . Bene: ora il successivo interIn prima stesura il testo è comparso in «Serclus» , , -. . Petron. , : Ab hoc ferculo Trimalchio ad lasanum surrexit. Nos libertatem sine tyranno nacti coepimus invitare convivarum sermones (testo secondo Ernout  , ). Per i richiami platonici vd. Bessone . . Sulla caratterizzazione dei liberti e i loro discorsi da tavola vd. Maiuri , -; Ciaffi ; Perutelli ; Salanitro ; Boyce ; Gaide ; Gaertner . . Vd. Pellegrino ; Cavalca Schiroli . . Vd. Grondona ; Dunbabin ; Wöhrle ; Grammatico ; Setaioli . ∗   Rileggendo Petronio e Apuleio locutore Seleuco introduce scene di funerale e di compianto funebre. A modo loro, i liberti di Petronio adattano alla propria dimensione una massima di portata generale: la vita umana può essere davvero giudicata soltanto dopo la morte, perché – per dirla con le parole di Solone a Creso – prima di formulare un giudizio «di ogni cosa bisogna considerare la fine, come si concluderà» (Erodoto , , ). Il motivo, assai diffuso nella letteratura antica , trova riformulazione in Ovidio (Met. , -: sed scilicet ultima semper / exspectanda dies hominis, dicique beatus / ante obitum nemo supremaque funera debet) e percorre l’intero tracciato della Cena, a partire dal piccolo corteo che accompagna dal bagno a casa Trimalchione fino alle finte esequie del ricco liberto . Non sorprende allora che Filerote, il personaggio che interviene subito dopo, esorti, sì, a interessarsi dei vivi (Vivorum meminerimus), ma poi continui a parlare del morto in questione. Prende così corpo un secondo elogio funebre in larga misura antifrastico rispetto al precedente, insieme al quale finisce per formare una sorta di riduzione sperimentale del genere epidittico della lode e del biasimo, farciti di espressioni tradizionali, collaudate e proverbiali (utres inflati ambulamus; minoris quam muscae sumus; non pluris sumus quam bullae; plane Fortunae filius: in manu illius plumbum aurum fiebat; omnis Minervae homo) a misura di personaggi estranei alla grande storia. Le espressioni popolari e proverbiali – si sa – sono di casa nel Satyricon e scandiscono con frequenza i discorsi dei liberti . Terminato il duplice ritratto dell’estinto, un’altra espressione proverbiale (Petron. , : narratis quod nec ad caelum nec ad terram pertinet) segna il passaggio ad argomenti d’ordine politico e sociale: a pronunciarla è il liberto Ganimede, che a differenza del mitico omonimo non vola alto, ma resta coi piedi per terra . Vd. per es. la chiusa dell’Edipo re di Sofocle, vv. -, «nessun mortale sia detto felice prima che abbia varcato, / senza patire dolore, il termine della vita». . Vd. Tosi  , . In part. si rinvia a Gagliardi  e Salanitro . . Vd. Gagliardi  e ; Petrone ; Magnani  ; Chandler . . Vd. da ultimo Vannini . . I due maestri di Primigenio  e si esibisce in una tirata anomala in confronto a quanto detto dagli altri commensali. Non parla, infatti, di successi personali o di squallidi pettegolezzi, di piccole infamie o di dubbie virtù; denuncia invece il costo della vita, la corruzione e la collusione di amministratori e profittatori, l’inerzia dei cittadini, le rapide ascese dei disonesti e il declino dei valori tradizionali . Il passaggio di parola da Ganimede all’interlocutore successivo avviene per interruzione: l’ultimo atto della polemica di Ganimede, agri iacent («i campi giacciono desolati . . . »), resta sospeso non a causa di lacuna testuale, ma a causa di perentorio invito altrui a non parlare di disgrazie: oro te – inquit Echion centonarius – melius loquere (Petron. , ). L’intervento di Echione , articolato in due parti a seconda del personaggio a cui si rivolge, occupa lo spazio maggiore dei conversari e conferma l’accorta regia che presiede allo spettacolo della Cena, in quanto svolge due funzioni, per così dire, sceniche. Rispetto alla vena di contestazione che anima Ganimede, Echione rivela un atteggiamento conformistico: ammette – è vero – l’esistenza della crisi (, : Non mehercules patria melior dici potest, si homines haberet. Sed laborat hoc tempore, nec haec sola), ma ne attenua la portata e aggiunge che le cose non vanno poi così male (, : si aliubi fueris, dices hic porcos coctos ambulare). Per lui maggior interesse rivestono i ludi pubblici che si annunciano di buon livello, compreso un sapido e crudele dettaglio di cronaca locale: la condanna ad bestias di uno schiavo sorpreso «a far divertire la padrona» (, ). Ecco: nel palesare predilezione per i giorni di festa e per gli spettacoli dell’arena, Echione si contrappone, sì, all’intervento di Ganimede, ma anche ne integra la dimensione pubblica . Vd. Petron. , -. Il tutto, manco a dirlo, condito da frasi proverbiali (serva me servabo te. . . . cum quo audacter posses in tenebris micare; quotidie peius! Haec colonia retroversus crescit tamquam coda vituli; populus est domi leones, foras vulpes. Nemo enim caelum caelum putat) e da espressioni colorite (Aediles male eveniat, qui cum pistoribus colludunt. Isti maiores maxillae semper Saturnalia agunt. Habemus aedilem trium cauniarum. Si nos coleos haberemus, non tantum sibi placeret. Nemo Iovem pili facit. Statim urceatim plovebat. Dii pedes lanatos habent). Sull’intervento di Ganimede si rinvia a Cotrozzi . . Vd. Baldwin ; Lynch ; Borghini .  Rileggendo Petronio e Apuleio di vita municipale e non arretra d’un passo nell’impiego di luoghi comuni e massime popolari . Di altro tentativo d’integrazione – goffo nell’espressione e sbilanciato a favore della cultura dei liberti – sembra lecito parlare a proposito della seconda parte dell’intervento di Echione, che chiama in causa direttamente il retore Agamennone e apre la strada alle tirate anti-scholastici che avranno per protagonisti Trimalchione, reduce da appartati recessi igienici, ed Ermerote, indignato dalle risate scomposte di Ascilto e Gitone. Rivolto ad Agamennone, Echione intende attirare l’attenzione su problemi di ordine culturale e su questioni relative all’educazione dei giovani. A sorpresa, ci si trova dunque di fronte a una Institutio grammatica et oratoria in miniatura, aperta da umorose indulgenze linguistiche. Succede infatti che la persona loquens, in grado di controllare le forme di loquor e dei verba dicendi quando interrompe Ganimede e si esibisce nel primo intervento, smarrisca ora livelli accettabili di correttezza espressiva e affastelli nelle battute iniziali una serie di metaplasmi (Quid iste argutat? Tu, qui potest loquere, non loquis. Pauperorum verba derides) e di costrutti discutibili (Scimus te prae litteras fatuum esse. Aliqua die te persuadeam ...). Come è stato osservato, «when Echion turns to adress the rhetorician Agamemnon, his Latin becomes strikingly incorrect» . Insomma: un biglietto da visita piuttosto scorretto, si sarebbe tentati di dire, come se l’autore nascosto avesse deciso di concedersi un’ulteriore particola di divertimento alle spalle di un suo personaggio, proprio nel momento in cui questi si accosta al mondo della cultura e affronta problemi di formazione scolastica. Perché di questo si tratta: . Vd. J. M. Serrano Delgado . . Petron. , -: Quod hodie non est, cras erit: sic vita truditur. Non debemus delicati esse; ubique medius caelus est. Aut hoc aut illud erit, quid utique. Qui asinum non potest, stratum caedit. Ille miluo volanti poterat ungues resecare; colubra restem non parit. Sed sibi quisque peccat. Occidit de lucerna equites; putares eos gallos gallinaceos. Manus manum lavat. . Così Smith , . . Per la formula si rinvia a Conte . . I due maestri di Primigenio  l’invito ad Agamennone in villa non è finalizzato unicamente a ‘modeste’ prospettive gastronomiche (Petron. , : inveniemus quod manducemus, pullum, ova), ma riguarda in realtà un possibile allievo futuro del retore: iam tibi discipulus crescit cicaro meus (Petron. , ). Del cicaro sapremo il nome più avanti, in Petron. ,  (Primigenio), ma non sappiamo dire con sicurezza se si tratti del figlio o di uno schiavetto beniamino di Echione. Intanto, se sul significato di cicaro le rese moderne convergono verso designazioni di tipo affettivo («mein Bürsche, my little boy, mon enfant, mi cariñito, il mio cecino, il mio ciccino, il mio cocco»), sull’etimologia non c’è consenso: c’è chi definisce cicaro meus deformazione parodica di Cicero meus, espressione abituale nell’epistolario ciceroniano per indicare il figlioletto dell’oratore (“il mio piccolo Cicerone”); c’è invece che pensa a un sostantivo formato su carus con raddoppiamento oppure a un’onomatopea popolare per designare un pollo, un passerotto, un fanciullino . Il termine ricompare in Petron. , , là dove Trimalchione dà disposizioni sul proprio monumento funebre ad Abinna: ad dexteram meam pones statuam Fortunatae meae columbam tenentem, et catellam cingulo alligatam ducat, et cicaronem meum, et amphoras copiosas gypsatas, ne effluant vinum. L’uso di cicaro da parte di Trimalchione, personaggio senza figli, per designare il proprio mignon ha indotto molti commentatori a considerare anche Primigenio come schiavetto del liberto Echione. A tale eventualità non fa ostacolo, se si bada alla verisimiglianza storica, il fatto che un dominus si preoccupi dell’educazione d’un proprio schiavo, in quanto non mancano notizie di apposite scuole riservate a soggetti di condizione servile . Nessuna sorpresa, allora, se si finisce per prescindere dall’effettivo significato di cicaro (termine del lessico popolare degli affetti applicabile tanto a un figlio legittimo quanto a uno schiavo nato in casa cui il padrone è affezionato come a un . Le ipotesi etimologiche sono raccolte in Gaide . . Vd. per es. Mohler ; Forbes ; Vogt ; Booth ; Daniel ; Bradley ; Finley , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio figlio) e si concentra l’attenzione sulla carriera scolastica del giovanetto. Si viene così a sapere che, al di là di passioncelle coltivate in concomitanza con gli studi e di drastiche misure di disincentivazione, il ragazzo «ha già dato un calcio al greco elementare e ha iniziato ad accostarsi al latino con buoni risultati» (Petron. , : iam Graeculis calcem impingit et Latinas coepit non male appetere). Come è facile osservare, in miniatura, a livello privato e dalle parti della casula di Echione, si applica il modello di educazione linguistica che è dato riscontrare in Quintiliano, , , -: A sermone Graeco puerum incipere malo, quia Latinum, qui pluribus in usu est, vel nobis nolentibus perbibet, simul quia disciplinis quoque Graecis prius instituendus est, unde et nostrae fluxerunt . E come in Quintiliano si parlerà di culpa docentium tra le cause della decadenza scolastica , anche in Petronio Echione sostiene che il problema è rappresentato dai maestri, due per la precisione, a cui è affidata la formazione di Primigenio. La constatazione che nel rapporto docente-discente c’è qualcosa che non va segue immediatamente, in forma di concessiva, quanto detto a proposito dell’apprendimento bilingue: etiam si magister eius sibi placens sit . A dire il vero, i progressi del discente non sembrano patire effettivi ritardi, anche se il docente, il primo dei due maestri, si compiace troppo di se stesso, è vittima cioè di eccessiva autostima – come si direbbe oggi con sociologismi d’accatto – e va a infoltire, al livello più basso, la schiera di quanti liberalium artium consectatio molestos, verbosos, intempestivos, sibi placentes facit. (Sen. Epist. , ). Fin qui il testo procede senza intoppi; nella frase successiva, però, un problema di natura testuale e insieme esegetica ha messo e mette a dura prova la buona volontà di editori e . La pittura, per es., e prima ancora la mania dei cardellini: vd. Gaide . . Sul bilinguismo greco-latino Dubuisson ; Gantar ; AA.VV. ; Rochette  e ; Adams ; Oniga . . Quint. , , . . Per l’espressione vd. Petron. ,  (non tantum sibi placeret) e ,  (nolo, inquit, tibi tam valde placeas, detto da Criside, ancella di Circe, a Polieno-Encolpio). . I due maestri di Primigenio  commentatori. Per comodità si trascrive il passo così come viene dato dal codex Traguriensis (H), testimone unico della Cena Trimalchionis a partire da Petron. , : Nec uno loco consistit sed venit dem litteras sed non vult laborare. La questione riguarda il cambio di soggetto e di modo verbale (venit / dem), nonché il significato da assegnare a litteras. Nella grande edizione del  Franz Bücheler (-) stampa il testo di H e prospetta in apparato un’interpretazione di questo genere: «venit petens ut tradam quod litteris consignet, grammatista simul et librarius, ad manum» . Chi ha cercato di difendere il testo tràdito intende dem litteras come «mandato di pagamento per lo stipendio» (= perscriptio) sulla scorta di Ov. Ars am. ,  , oppure traduce: «gli darei dei libri da leggere» (con la chiosa “per accrescere la sua cultura”) . Altri immagina che dem litteras, sed non vult laborare siano due frasi del magister riportate da Echione in discorso diretto, per sottolineare la cattiva disposizione dell’insegnante nei confronti dell’ingeniosus puer  . C’è chi riferisce nec uno loco consistit al maestro di strada e intende: «He doesn’t stay in one place either, but he has come all the same to get contract, although he won’t fulfil its terms» . Di recente si è pensato a una . Bücheler , . . Lamer , . . Così Marmorale  , . Salvano il testo tràdito ma traducono liberamente Ciaffi  (rist. ),  («Non mai che stia fermo in un posto, ma viene, si fa dare delle lettere da scrivere, ma non vuol lavorare»), Canali  ,  («Non sta mai fermo in un posto, arriva, si fa dare da scrivere, ma voglia di lavorare saltami addosso») e Aragosti ,  («... anche se il suo maestro ha la puzza sotto il naso e non rimane al suo posto, ma arriva, mi chiede roba da scrivere, ma faticare non vuole»). . Whittick . Vd. anche Pellegrino ,  che si limita a supplire «it», a suo giudizio caduto dopo venit per aplografia, e assegna al maestro la sequenza successiva “dem litteras sed non vult laborare”. Pellegrino - modifica di poco la scelta precedente: venit «et» dem litteras sed non vult laborare («ma arriva e: gli darei un’istruzione letteraria, ma non ha voglia di fare niente»). . Per questo tipo d’insegnante vd. per es. Bonner . . Così Booth . Tale soluzione viene citata da Codoñer Merino ,   Rileggendo Petronio e Apuleio battuta in discorso diretto del docente intercalata alla narrazione di Echione: «arriva: “Carta e penna!” Ma, faticare: zero» . Nettamente più numerosi sono i critici che hanno considerato guasto il testo e l’hanno stampato tra cruces, o hanno segnalato lacuna congetturale tra venit e dem , oppure hanno praticato la via dell’emendatio. Già Pieter Burman (-) avvertiva che «mutilus hic locus est, nec divinando facile restituetur», ma poi stampava sed novit quidem litteras, sed non vult laborare. Sul finire del ‘ Christian Friedrich Wilhelm Jacobs (-), nel suo commento inedito al Satyricon, ha proposto di leggere sed it, redit, scit quidem litteras etc. . Via via difesa, meglio precisata e infine ridotta unicamente all’ultima parte, la congettura viene accolta nell’edizione teubneriana di Konrad Müller dove è dato leggere: nec uno loco consistit. scit quidem litteras etc. . Meno n.  come esempio delle difficoltà poste dal testo, dopo aver dichiarato che la sua traduzione castigliana («aunque su maestro no se mata que digamos») omette sed venit dem litteras in quanto passo corrotto. . Così Longobardi , . In seguito Longobardi , ad loc., stampa il testo secondo l’edizione paraviana di Giardina, Cuccioli Melloni ,  (= congettura di Jacobs : vd. infra) e traduce: «... anche se il maestro è uno pieno di sé ed è un’anima in pena. Preparato, è preparato, ma, faticare: zero». . Così per es. Díaz y Díaz  , rist. , I, , che stampa sed †venit «...» dem† litteras, ma poi trae ispirazione da Whittick  e traduce in piena libertà: «su profesor está muy pagado de sí mismo y no se detiene en una materia, sino que pasa de una a otra ... El hombre tiene facilidad para enseñar las letras, pero no quiere trabajar». Anche Smith ,  segna lacuna congetturale dopo venit, poi accoglie la seconda parte della congettura «scit qui»dem litteras di Jacobs  (vd. infra). . Così per es. Ernout  , , , che tuttavia in apparato segnala il supplemento di Thomas  (sed venit «raro; scit qui»dem litteras) e traduce: ««On le voit rarement; il a» bien des lettres mais il ne veut rien faire». Vd. anche Sers  (sed venit «domum. Scit qui»dem litteras etc.). . Burman  , . . Chr. Fr.W. Jacobs, Integer Commentarius in Petronii Arbitri Satiricon Ineditus, , manoscritto della Cambridge Univ. Library (Add. ), già in possesso di Otto Jahn (-), amico e collaboratore di Franz Bücheler (nella cui ed. è ben presente tale commento). Wehle , ad loc., si muove in direzione analoga: sed venit abit, scit quidem litteras. . Müller  ,  (in apparato: scit quidem Jacobsio praeeunte Blümmer). La soluzione, ritenuta preferibile da Vannini ,  n. , è stata difesa e precisata da Blümmer . . I due maestri di Primigenio  convincenti appaiono altre proposte: c’è chi riferisce tutto al maestro e integra il testo sed venit (sc. domum) idem «hic» littera«tu»s (sc. est), sed non vult laborare ; c’è chi corregge litteras in lamnas (“monete”), allo scopo di difendere dem del codice, intendendo che Echione in prima persona si direbbe disposto a pagare, ma denuncia la scarsa propensione del docente a fare il proprio lavoro . Questa, a grandi linee, la situazione testuale ed esegetica che si è venuta a determinare intorno al nostro passo. Se le cose stanno così, non sembra illegittimo tentare altra via e proporre, con tutte le cautele del caso, una soluzione alternativa. Come si è visto, la sequenza veramente problematica è dem litteras, considerata sempre e comunque come unità semantica. Se invece proviamo a scindere il nesso, dem potrebbe essere spiegato come il residuo di un avverbio da unire a sed venit (in opposizione a nec uno loco consistit); secondo tale ipotesi la soluzione più probabile sarebbe «tan»dem, avverbio ben presente nel Satyricon : la perdita di tan- potrebbe dipendere da una lettura frettolosa d’una grafia abbreviata nel modello (pur sempre in una fase di trascrizione in minuscola). Liberata dalla dipendenza dall’improbabile dem, la lezione litteras desidera comunque un verbo reggente; in tal caso si potrebbe pensare che il verbo sia nascosto (meglio, compresso) nel sed immediatamente successivo, unico sopravvissuto della sequenza «scit» sed, in cui la caduta di scit si potrebbe spiegare come fenomeno di aplografia, per somiglianza delle lettere con sed, sempre in scrittura minuscola. Insomma, proporrei di leggere il passo così: Nec uno loco consistit sed venit «tan»dem, litteras «scit» sed non vult laborare (“Non sa star fermo in un unico posto, ma viene alla . Capponi , . . Öberg , ad loc., coll. Petron. , , dove Ermerote polemizza con Ascilto: quid habet quod rideat? numquid pater fetum emit lamna?). . Vd. Petron. , ; , ; , ; , ; , ; , ; , ; , ; , . . Per litteras scire vd. Petron. , : et tu litteras scis et ego.  Rileggendo Petronio e Apuleio buon’ora; conosce, sì, la letteratura, ma non ha voglia di far fatica”). Per completezza si segnala che più di recente Alberto Borghini ha proposto altra soluzione, intendendo litteras come “mandato di pagamento per lo stipendio”: Nec uno loco consistit, sed venit dem«um ad» litteras, sed non vult laborare. Ulteriori osservazioni riguardano altresì la figurina del secondo maestro. Questi, a differenza e in contrasto rispetto alla conoscenza delle litterae e alla presenza non puntualissima esibite dal primo magister, possiede minor dottrina, ma è premuroso, viene anche nei giorni di festa e si accontenta di quanto gli viene dato (Petron. , : Est et alter non quidem doctus, sed curiosus, qui plus docet quam scit. Itaque feriatis diebus solet domum venire, et quicquid dederis, contentus est). Plus docet quam scit: l’indicazione più intrigante concerne – va da sé – il dislivello tra conoscenza e insegnamento, impartito a prescindere o a dispetto di patrimoni di cultura effettivamente acquisiti. Anche se rapidamente delineato, il secondo maestro sembra avere precedenti illustri: si pensi in generale ai sofisti impegnati a dimostrare la loro inconsistente dottrina nei Dialoghi di Platone. In particolare viene in mente la descrizione caricaturale, nell’Eutidemo, dell’assurdo sapere di Eutidemo e Dionisodoro, iscritti d’ufficio nella schiera di chi ha la pretesa di educare gli uomini, ma che a un esame accurato si rivela depositario di sorprendenti stranezze . Non si può allora escludere che l’attenzione concentrata sull’educazione di un giovinetto da parte di non esemplari o . Borghini -. . Se si tiene conto che il calendario romano della prima età imperiale contemplava oltre  giorni di festa all’anno (all’incirca, dunque, un giorno su tre), non ci si deve stupire se l’insegnamento viene impartito anche durante i giorni festivi; a meno che solet domum venire non alluda umorosamente all’abitudine del secondo magister di presentarsi a casa di Echíone solo per riscuotere quel poco che gli viene dato. . Plat. Euthyd. e: «Quando volgo lo sguardo verso qualcuno di coloro che sostengono di saper educare gli uomini, resto colpito: se li esamino a uno a uno, a dirti il vero, mi pare che ognuno sia molto strano (allókotos)» (parola di Critone). . I due maestri di Primigenio  comunque suspect Schoolmasters costituisca un’eco, depotenziata ma umorosa, di situazioni platoniche: appunto il caso del giovane Clinia, sottoposto a pedagogia intensiva e alternativa alla presenza dei suoi erastaí nell’Eutidemo, oppure la mancata conoscenza dell’areté e la pretesa di insegnarla da parte dei sofisti di cui si discute nel Menone. Eventuali echi platonici a parte, i due magistri che si avvicendano nella dimora di Echione, mentre si aggiungono alla schiera di insegnanti non ineccepibili più volte evocata dalla tradizione letteraria , animano un piccolo capitolo della storia dei tormentati rapporti tra i professionisti dell’insegnamento e i genitori o, comunque, i committenti dell’attività scolastica. Di solito erano gli insegnanti a lamentarsi dell’avarizia o delle pretese insensate dei genitori, come evidenzia il caso di Lucio Orbilio Pupillo (ca - a. C.), il plagosus maestro di Orazio: Librum etiam, cui est titulus Peri alogias, edidit continentem querelas de iniuriis, quas professores neglegentia aut ambitione parentum acciperent . Qui, invece, i maestri non hanno voce, non ha voce neppure Agamennone, anche se è il destinatario delle divagazioni del liberto in tema di educazione . Echione continua infatti il suo monologo, tra metaplasmi (libra rubricata, litterae thesaurum est) e giochi di parole (volo illum ad domusionem aliquid de iure gustare) , tra proverbiali esortazioni allo studio . Vd in generale Booth . . Vd. in merito Nocchi  e Nocchi . . Suet. De gramm. et rhet. , : «Pubblicò altresì un libro dal titolo Assenza di logica, pieno di lamentele per i torti che potevano ricevere gli insegnanti a causa della negligenza o delle pretese dei genitori». Vd. Gianotti , - . Sull’afasia degli scholastici e la libertà di parola dei liberti durante la Cena vd. Gianotti ,  sgg. . Nel primo caso (libra rubricata per libros rubricatos, cioè libri di diritto) il metaplasmo, intenzionalmente calibrato, suggerisce la presenza di un deficit di cultura nel personaggio piuttosto che uno spunto di vivacità stilistica, come vorrebbe Lynch . Nel secondo caso Witke  propone di riferire est al verbo edo, eliminando così il metaplasmo: «the pursuit of literature eats away your money». . Koenjak .  Rileggendo Petronio e Apuleio (quicquid discis, tibi discis) in funzione di prospettive dissimili (barbiere, banditore, avvocato), in grado però di assicurare – almeno nell’ottica della persona loquens – sufficienti guadagni , per concludere infine che artificium numquam moritur  . La clausola dovrebbe valere per tutti, per i due maestri (ormai dimenticati) e soprattutto per il retore Agamennone, chiamato in causa ma senza diritto di replica. Meglio così, verrebbe da dire, perché quando Agamennone dovrà esibirsi, a richiesta del padrone di casa, nel riproporre una sua declamazione di scuola su tema trito e scontato (Pauper et dives inimici erant), verrà ridotto al silenzio da Trimalchione, che sbotterà: Hoc ... si factum est, controversia non est; si factum non est, nihil est (Petron. , ). Così la cultura dei liberti liquida con una battuta, giocata sullo scheletro del sillogismo, la prassi delle scuole di retorica, in linea con quanto si legge in quello che per noi è l’incipit del Satyricon: non solo gli allievi ma anche i maestri, non appena escano dal chiuso mondo scolastico, putent se in alium orbem terrarum delatos (Petron. , ). Nota bibliografica AA.VV.  = AA.VV., Il bilinguismo degli antichi, D.AR.FI.CL.ET., Genova . Adams  = J.N. Adams, Bilingualism and Latin Language, Cambridge Univ. Press, Cambridge . Baldwin  = B. 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Pellegrino, I convivarum sermones e il liberto Dama. Satyr. , -, «Latomus» , , -. Perutelli  = A. Perutelli, Le chiacchiere dei liberti. Dialogo e commedia in Petronio -, «Maia» , , -. Petrone  = G. Petrone, Petronio e la demistificazione della cultura del dolore e della morte, «Pan» , , -. Rochette  = B. Rochette, Remarques sur le bilinguisme gréco-latin, «Les Études Classiques» , , -. Rochette  = B. Rochette, Le bilinguisme gréco-latin et la question des langues dans le monde gréco-romain. Chronique bibliographique, «Revue Belge de Philologie et d’Histoire. Antiquité» , , . Salanitro  = M. Salanitro, Conuiuarum sermones (Petron. ,  ), «Invigilata Lucernis» , , -. Salanitro  = M. Salanitro, Una manifestazione di lutto nella Cena Trimalchionis (Petron. Satyr. , ), «Atene e Roma» n.s. , , -. Serrano Delgado  = J.M. Serrano Delgado, Ganimedes y Equión: un pasaje municipal en la Cena Trimalchionis (Sat. -), «Revue de Philologie» , , -. Sers  = O. Sers, Pétrone. Le Satiricon, texte établi par Alfred Ernout, amendé, traduit et commenté par O. Sers, Les Belles Lettres, Paris  ( ). Setaioli  = A. Setaioli, I due ‘epigrammi’ di Trimalchione (Sat. , ; , ), «Prometheus» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio Smith  = M.S. Smith, Petronii Arbitri Cena Trimalchionis, with Commentary and Notes, Oxford Univ. Press, Oxford . Soady  = A.V. Soady, Primigeni crede mihi, quicquid discis, tibi discis, «Classical Bulletin» , , -. Thomas  = P. Thomas, Observationes ad scriptores Latinos. Ad Petronium, «Mnemosyne» , , -. Tosi  = R. Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli, Milano  . Vannini  = G. Vannini, Petronius –: bilancio critico e nuove proposte, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen  [= “Lustrum” , ]. Vannini  = G. Vannini, La funzione stilistica e caratterizzante delle espressioni proverbiali nel Satyricon, «Philologia Antiqua» , . Vogt  = J. Vogt, Alphabet für Freie und Sklaven. Zum Sozialen Aspekt des antiken Elementarunterrichts, «Rheinisches Museum» , , -. Wehle  = W. Wehle, Observationes criticae in Petronium, Formis C. Georgi, Bonn . Whittick  = G. Whittick, Echion’s Son and his Tutors: Petronius , -, «Rheinisches Museum» , , -. Witke  = C. Witke, Petronius Satyricon .: litterae thesaurum est, «Illinois Classical Studies» , , -. Wöhrle  = G. Wöhrle, ‘Eine sehr hübsche Mahn-Mumie ...’. Zur Rezeption eines herodoteischen Motivs, «Hermes» , , -. Capitolo VI Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini∗ .. Una difficile fedeltà Per comodità si ricorda che il Satyricon di Petronio è opera largamente frammentaria: si calcola che il testo superstite corrisponda a meno di un ventesimo dell’originale; per giunta, il testo che leggiamo nasce dalla combinazione di tre classi di testimoni (più un florilegio medioevale di sentenze e proverbi) variamente dislocate negli spazi e nei tempi delle scoperte moderne. Basti pensare che per l’effettiva editio princeps dell’intero Satyricon superstite bisogna attendere il  e le fatiche di Michael Hadrianides (personaggio ignoto o pseudonimo mai spiegato) , un paio di decenni dopo il ritrovamento della Cena Trimalchionis (Petron. ,  - , ) nel Codex Traguriensis (da Traù, in Dalmazia) per mano di Marinus Statileus. Un po’ misterioso l’autore antico (ma per lo più identificato col Petronio elegantiae arbiter della corte di Nerone), del tutto misterioso l’editore moderno, ricucito a fatica il testo superstite non senza smagliature, strappi e lacune che rendono desultorio o mal connesso il filo della narrazione. Lo stato frammentario del testo costringe anche i filologi di professione a fare ricorso a soluzioni congetturali, dunque a riscritture editoriali. La prova Prima stesura in «Lexis» , , -. . T. Petronii Arbitri Satyricon, cun Fragmento nuper Tragurii reperto. Accedunt diversorum Poetarum Lusus in Priapum. Pervigilium Veneris, Ausonii cento nuptialis, Cupido crucifixus, Epistolae de Cleopatra, & alia nonnulla. Omnia Commentariis, & Notis Doctorum Virorum illustrata. Concinnante Michaele Hadrianide, apud Johannem Blaeuium ( Joan Blaeu), Amstelodami (Amsterdam) . ∗   Rileggendo Petronio e Apuleio più chiara è data dall’edizione berlinese curata nel  da Franz Bücheler (-), uno dei maestri della filologia tedesca del secondo Ottocento. Tale edizione è servita e serve da base di tutte le edizioni critiche che si susseguono fino ai nostri giorni; tuttavia non è esente da tentazioni interventiste piuttosto vivaci. In presenza di sconnessioni sintattiche o di senso Franz Bücheler interviene, direttamente nel testo o in apparato, con congetture personali o altrui; di contro, là dove il testo corre ma presenta iterazioni enfatiche o endiadi di natura retorica, si tende a proporre l’espunzione di porzioni testuali, condannate come glosse esplicative insinuate nel testo per mano di copisti poco attenti . Il Novecento non fa eccezione, se pensiamo che Konrad Müller, il benemerito curatore dell’edizione teubneriana, cioè dell’edizione oggi di riferimento, ha pubblicato nel corso di oltre un quarantennio  edizioni e una ristampa riveduta e corretta (-), proponendo un testo costantemente sottoposto a revisione e notevolmente ritoccato nel tempo . A dispetto dell’incompletezza e dei varchi lasciati aperti nella trama, il Satyricon guadagna presto il palcoscenico internazionale degli studiosi e del lettori (e dei plagiari), diventa col tempo una delle opere più tradotte nelle lingue moderne (bulgaro ed ebraico compreso) e non manca di far sentire, soprattutto tra Otto e Novecento, suggestioni e influenze su scrittori, come per esempio Joris Karl (meglio, Charles-Marie-Georges) Huysmans, Oscar Wilde, Francis Scott Fitzgerald, Henry Miller, Edoardo Sanguineti, Pier Paolo Pasolini (Petrolio), Gore Vidal, Alberto Arbasino o su musicisti come Giorgio Gaslini e Bruno Maderna . . F. Bücheler, Petronii Arbitri Saturarum Reliquiae ex recensione Francisci Buecheleri, Weidmann, Berlin  ( ;  ); F. Bücheler, W. Heraeus, Petronii Saturae et Liber Priapeorum, rec. F. Bücheler, ed. sextam suppl. auctam cur. G. Heraeus, Berlin  ( ;  ). . K. Müller, Petronii Arbitri Satyricon reliquiae. Editio iterata correctior editionis quartae (MCMXCV), Saur, Monachii et Lipsiae  (rist. de Gruyter, Monachii et Novi Eboraci ). . Vd. H. K. Riikonen, Petronius and Modern Fiction: Some Comparative Notes, «Arctos» , , -; D. Gagliardi, Petronio e il romanzo moderno. La fortuna del . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  Struttura aperta e aleatoria, più per le sventure della trasmissione testuale che per le intenzioni d’autore, il Satyricon circola nella cultura contemporanea con le stigmate della modernità (o addirittura della post-modernità) e si vede assegnata una ricca serie di primati: incrocio tra fabula Milesia e satura Menippea, parodia del romanzo greco idealistico (addirittura anteriore all’invenzione del ‘romanzo’ stesso), narrazione di viaggi e avventure, mancato Bildungsroman, racconto erotico e galleria di opzioni sessuali poco normalizzate, denuncia della corruzione della società imperiale e dunque ‘romanzo storico’ ante litteram, tipologie psicanalitiche proiettate a ritroso, enciclopedia antropologica di romanità atemporali. Smontato e rimontato da editori e filologi, non esente da intrusioni allotrie per mano di non abilissimi falsari - François Nodot alla fine del Seicento, José Marchena Ruiz y Cueto all’inizio dell’Ottocento, per limitarci ai più noti –, pazientemente esposto a interpretazioni divergenti o contrastanti , il Satyricon suscita per tempo, fin dalle aule del Liceo, la curiosità di Federico Fellini Satyricon attraverso i secoli, Firenze, La Nuova Italia, ; Maria Grazia Bajoni, Variazioni su Petronio: qualche nota sulla fortuna del Satyricon nel Novecento, «Maia» , , -; N. Endres, A Bibliography of Petronius’ Nachleben in Modern Literature, «The Petronian Society Newsletter» , ; P. Lago, L’ombra corsara di Menippo. La linea culturale menippea fra letteratura e cinema, da Pasolini a Arbasino e Fellini, Le Monnier, Firenze ; S. Pasticci, La presenza del Satyricon sulla scena culturale degli anni Settanta, da Maderna a Pasolini, «Musica/Realtà» , , -; A. Musio, Petronio in moviola: riscritture della Cena Trimalchionis a confronto, «Calíope» , , -. Talora basta un dettaglio per suscitare l’emulazione moderna: come è noto, il passo petroniano sulla Sibilla che desidera morire (, ) è citato in esergo da Thomas Stearns Eliot (-) all’inizio del poema The Waste Land (). A proposito di citazioni, piace ricordare come Fernando Bandini (Vicenza, -), negli Studi classici della raccolta poetica La mantide e la città (), abbia saputo far tesoro di Petron. , -: «Questi monti fabbricati dal cielo / (sue torri e battifredi) gemono / per la morte del dio. / E abbiamo visto navi / dolcemente sfasciarsi e / ‘Pan o megas tethneke’ / piangere una gran folla / nel porto di Paxo. / E l’industria sfruttare ossa e capelli / degli uccisi. E il Ciclope / con una pinzetta stroppiare / il pollice di Ulisse. / Et eludendo la guardia bambini / armati di bastoni per la lippa / circondare l’ampolla dov’è chiusa / la Sibilla. E gridavano: ‘Cosa / vorresti fare da grande?’. Lei / rispondeva: ‘Morire’». . Vd. G.F. Gianotti, Riscrivere Petronio, in questo volume.  Rileggendo Petronio e Apuleio (-). Come sottolinea la critica , Fellini si riaccosta periodicamente a Petronio, dapprima con un progetto iconografico per la copertina della traduzione curata da Gian Antonio Cibotto () su commissione dell’editore Canesi non giunta a buon fine, poi con un progetto cinematografico elaborato già all’epoca de I vitelloni (). «L’ultima rilettura di Petronio, durante la convalescenza dopo la grande malattia, gli fa scattare una sorta d’urgenza per la realizzazione» : la sceneggiatura a quattro mani con Bernardino Zapponi (-) , la scelta del cast, i disegni preparatori e i sette mesi di riprese portano a compimento il film, intitolato Fellini Satyricon, un po’ per differenziarlo dal coevo Satyricon girato da Gian Luigi Polidoro (-) , soprattutto – si può aggiungere – al fine di rende. Vd. l’intervento di Joanna Paul, Fellini-Satyricon: Petronius and Film, in J. Prag, I. Repath (a c. di), Petronius. A Handbook, London, Blackwell, , -; G.L. Grassigli, J. Reinhardt, Fellini-Satyricon. Tra memoria, racconti e rovine: un sottosuolo dell’anima, Liguori, Napoli . Sugli approdi cinematografici della figura di Trimalchione vd. per es. P. Lago, Trimalchione al cinema, «Aufidus» , , -. . Così F. Borin, Federico Fellini. Viaggio sentimentale nell’illusione e nella realtà di un genio, Gremese, Roma , . La malattia è la pleurite, la rilettura si avvale della ristampa einaudiana del  a cura di V. Ciaffi (vd. infra). . B. Zapponi, già sperimentato come partner nell’episodio di Tre passi nel delirio e in Block-notes di un regista, poi ancora co-sceneggiatore di Fellini per I clowns, Roma, La città delle donne. Vd. B. Zapponi, Il mio Fellini. Massiccio e sparuto, furente e dolcissimo, vecchio e infantile: l’uomo e il regista nel racconto del suo sceneggiatore, Marsilio, Venezia  ( ). Per la sceneggiatura il rinvio d’obbligo è a D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, Cappelli, Bologna , -:  scene e  inquadrature, non tutte girate o inserite nel montaggio definitivo (scene e inquadrature si citano secondo l’ordine di questo volume). Si veda altresì F. Fellini, Satyricon. Drehbuch von F. Fellini in Zusammenarbeit mit B. Zapponi, Diogenes, Zürich ; da tenere presenti anche gli scarni Appunti di regia riportati da Fellini in Fare un film, Einaudi, Torino  (rist. ), -. . Raccolti da Liliana Betti, Federico A.C.: disegni per il “Satyricon” di Federico Fellini. Libri Edizioni, Milano . Una mostra dei disegni felliniani si è tenuta dal  gennaio al  aprile , su iniziativa degli Academy Awards di Los Angeles, al n.  del Wilshire Boulevard, Beverly Hills, California. . Opera sfortunata per realizzazione (nonostante la sceneggiatura di Rodolfo Sonego, -, e un discreto cast di attori capeggiati da Ugo TognazziTrimalchione) e per sequestri della magistratura come spettacolo osceno. Vd. T. Sanguineti, Il cinema secondo Sonego, Transeuropa, Bologna ; A. Rotondi, Polidoro Satyricon: per una rivalutazione del Satyricon di Polidoro-Bini, «Studi Urbinati» (B) -, . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  re evidente la profonda presenza del regista-sceneggiatore nel maneggiare e rimaneggiare l’opera antica . Gli storici insegnano l’importanza della cronologia. In ossequio a tale precetto bisogna fare ulteriori precisazioni, prima di tentare un esame ravvicinato della sceneggiatura e del risultato complessivo del film. La prima precisazione riguarda la cronologia dell’opera antica: di solito Petronio era ed è identificato col Petronius di cui parla Tacito; ma nel secondo dopoguerra ha avuto discreta fortuna la tesi di Enzo V. Marmorale (-), La questione petroniana, Bari, Laterza, , tesa a spostare in avanti di almeno due secoli la datazione del Satyricon in forza di considerazioni di storia della lingua. Ora, sappiamo che sul tavolo di lavoro di Fellini La questione petroniana è presente : il che può spiegare come la vicenda narrata nel film possa farsi carico di piccoli o grandi anacronismi e comprendere scene o atteggiamenti databili in età più tarde (penso soprattutto al tema della decadenza dei costumi romani). La seconda precisazione riguarda il tempo di lavorazione del film (cronologia esterna) e impone di ricordare che cosa abbia rappresentato il ’ nella storia recente del mondo occidentale e della società italiana. La terza è di cronologia interna ed è di gran lunga più incisiva, in quanto tra l’anno de I vitelloni e i lavori preparatori del Satyricon , -. . Vd. le considerazioni di G. Highet, Whose Satyricon? Petronius’ or Fellini’s?, «Horizon» , , -, e di J.-P. De Giorgio, De Fellini à Pétrone. Théàtre, mètalepse et subjectivitè, in R. Poignault (a c. di), Prèsence du roman grec et latin, Centre de Recherches A. Piganiol-Prèsence de l’Antiquitè, Clermont-Ferrand , -. In generale si rinvia a C. Ladjali, ‘Varius Multiplex Multiformis’: Impressions of Federico Fellini’s Satyricon, «Diogenes» , , -, e a J. C. Stubbs, Federico Fellini as Auteur. Seven Aspects of his Films, Southern Illinois Univ. Press, Carbondale . . D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit. in n. , : «Do un’occhiata ai libri sparsi sulla sua scrivania [...]. Vedo opere celebri e no, studi ponderosi e volumetti di allegra, diciamo così, divulgazione: La vita quotidiana a Roma di Jérôme Carcopino, e I detectives dell’archeologia di C. W. Ceram, The Decline of Rome di Joseph Vogt e i venti volumi di Les peuples de l’antiquité di René Ménard e Claude Sauvageot; La questione petroniana di Enzo V. Marmorale e volumetti come Storia dell’amore libero, Erotismo sui Sette Colli e simili; Roma Amor, un volume riccamente illustrato sulla pittura e scultura erotica romana, ed altri libri d’arte».  Rileggendo Petronio e Apuleio sono usciti, a tacer d’altro, La strada (), Le notti di Cabiria (), La dolce vita (), Otto e mezzo (), Giulietta degli spiriti (). Sarebbe facile, e non improprio, affermare che nel nuovo prodotto si condensano ombre e umori e atmosfere delle pellicole precedenti, con l’esito di trasporre a ritroso, sull’antica società petroniana, qualche scheggia della Dolce vita, le trasfigurazioni oniriche di Otto e mezzo e Giulietta degli spiriti, la dimensione on the Road di giovani sbalestrati in un mondo popolato di figure indecifrabili e insieme allusive di attualità senza tempo . Sarebbe facile, ripeto, perché a tutto questo ha provveduto e provvede la copiosa bibliografia internazionale che si accumula sulla produzione felliniana; quanto a me, ignaro delle categorie esegetiche proprie della critica cinematografica, conviene tenere altra via e muovere dal testo di Petronio, per vedere quanto e come, nella “libera riduzione” operata dal film, le parole antiche siano state tradotte in spettacolo di immagini in movimento. Ecco: possiamo partire dalle parole, dalle parole latine di Petronio. Sappiamo che l’italiano ascoltato allora nelle sale e riascoltato oggi nelle riproduzioni di cassette e DVD è frutto di una terza scelta, dopo che per i dialoghi si sono scartate una prima ipotesi di un latino gergale da costruire con forti dosi di creatività linguistica e una seconda ipotesi di romanesco sapido e baroccheggiante. Dunque, prima della traduzione in immagini, si affronta il problema della resa italiana. Allora il lettore di casa nostra aveva a disposizione almeno quattro o cinque versioni abbastanza recenti dell’opera petroniana: il Satyricon tradotto da Ugo Dèttore (-) per Rizzoli (); la traduzione pubblicata a Firenze nel  da Giovanni Alfredo Cesareo (-) e ristampata con testo latino a fronte da Nicola Terzaghi (-) per la casa editrice Sansoni di Firenze (); quella curata da Vincenzo Ciaffi (-) per l’UTET torinese del  (ristampata da Einaudi nel ), quella a cura . Vd. per es. M. Cancogni, Buon viaggio, Eumolpo, «La Fiera Letteraria» ,  agosto , -. . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  di Antonio Marzullo (-) e Mario Bonaria (-) per i tipi di Zanichelli (,  , rist. ), quella già ricordata a cura di Gian Antonio Cibotto (-), coi disegni di Fabrizio Clerici, per l’editore Canesi () . Ma come è facile immaginare, la riscrittura in funzione scenica non risulta esclusivamente tributaria di una data versione, in quanto si fonda su esigenze extratestuali, tanto più che la sceneggiatura viviseziona drasticamente il testo, operando liberamente trasposizioni, tagli e interpolazioni, il tutto da amalgamare linguisticamente, a prescindere dalla presenza o meno dei singoli episodi nell’originale. Tuttavia, per quanto concerne la fase linguistica e le eventuali incursioni nei confini di altri documenti dell’attività letteraria di Roma antica, la coppia Fellini-Zapponi può contare sulla collaborazione di un valente studioso, il romano Luca Canali (-), allievo alla “Sapienza” di Natalino Sapegno (-) e di Ettore Paratore (-) , all’epoca docente di Letteratura latina all’Università di Pisa. Nei titoli di coda Luca Canali compare come consulente per la lingua latina, ma i suoi contributi non si limitano a questioni di correttezza lessicale, in quanto fornisce i materiali letterari antichi di cui la sceneggiatura ha via via bisogno, è responsabile della prima stesura dei dialoghi in latino , partecipa attivamente a gran parte della resa italiana definitiva: intanto si può dire che da quell’esperienza il Satyricon non ha più abbandonato lo scrittoio di Luca Cana. Le versioni di Cibotto e di Ciaffi sono di sicuro passate, in quest’ordine, tra le mani Fellini: la prima riguarda il progetto di copertina non accolto dall’editore, la seconda è il testo-base sui cui è condotta la sceneggiatura e fa capolino, inalterata, in numerosi punti dei dialoghi o del racconto fuori campo. Non è forse inutile ricordare che nel corso del  escono altre due versioni: Il Satyricon di Petronio Arbitro, trad. di A. Abadra, Ortles, Milano; Petronio. Satiricon, introduzione e testo di F. Roncoroni, traduzione di P. Chiara, Mondadori, Milano. . Anche con Ettore Paratore titolare di Letteratura latina alla Sapienza e autore di  voll. di introduzione e commento all’opera antica (Il Satyricon di Petronio, Le Monnier, Firenze ), ci sono stati contatti (senza successo) in vista della sceneggiatura, come sappiamo da Bernardino Zapponi, presso D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit., . . I dialoghi latini curati da Luca Canali fino al racconto della Matrona di Efeso sono raccolti in calce al cit. vol. di D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, -.  Rileggendo Petronio e Apuleio li, il quale a più riprese è tornato su Petronio come saggista, traduttore e persino come ‘continuatore’ della narrazione . In buona sostanza, tutti gli aspetti sin qui evocati, dalla pressione di volontà attualizzanti alla propensione visionaria e onirica del regista, dalla frammentarietà del testo all’estetica del frammento della macchina da presa felliniana e ai problemi della riproducibilità della storia per via di parole e immagini: tutto questo, dico, cospira verso un esito scontato, la difficile e impervia fedeltà all’originale da parte di Fellini, del tutto libero – ben inteso – di immettere il mondo di Roma antica nello straordinario corto-circuito cronologico di una Eternal Rome , in cui primitivismo e decadenza tendono a coincidere, trasformando il testo di Petronio in canovaccio, palinsesto, ipotesto e pretesto del film, serbatoio di episodi da riprendere o spostare, da integrare o da omettere . Prima di proseguire, per comodità si riporta il giudizio di Morando Morandini (-) sul film: «Nella sua struttura di ricognizione onirica di un passato inconoscibile e di rapporto fantastorico sulla Roma imperiale . Di L. Canali ricordo Neutralità e vittoria di Petronio, in Petronio. Satyricon, a c. di U. Dèttore, Rizzoli, Milano  (nuova ed. del vol. del ), -; L’erotico e il grottesco nel Satyricon, Laterza, Roma-Bari ; Vita, sesso, morte nella letteratura latina, Il Saggiatore, Milano , -; Petronio. Satyricon, a c. di L. Canali, FabbriBompiani-Sonzogno-ETAS, Milano  (Bompiani,  ); Satyricon. Se Petronio l’avesse scritto oggi, Piemme, Casale Monferrato  (nuova traduzione inserita in un romanzo ambientato nel nostro presente); Erotismo e violenza nell’antica Roma, ibid. ; Il tridente latino: Lucrezio, Virgilio, Petronio, Gaffi, Roma . . Sottraggo l’espressione al titolo del volume di A. Carrera, Fellini’s Eternal Rome. Paganism and Christianity in the Films of Federico Fellini, Bloomsbury Academic, Oxford-New York . . Giudizio positivo sulla ‘libertà’ felliniana di supplire, manipolare, integrare il testo antico in J.P. Sullivan, The Social Ambience in Petronius’ Satyricon and Fellini Satyricon (), ora in M.M. Winkler (a c. di), Classical Myth and Culture in the Cinema, Oxford Univ. Press, Oxford , -. Vd. altresì A.J. Prats, The Individual, the World and the Life of Myth in Fellini Satyricon, «South Atlantic Bulletin» , , -; P. Bondanella, The Cinema of Federico Fellini, Princeton Univ. Press, Princeton , - (tr. it.: Il cinema di Federico Fellini, Guaraldi, Rimini ); C. Eades, Le Satyricon: Fellini commentateur de Pétrone?, «Recherches et Travaux» , , -; A. Carrera, Fellini’s Eternal Rome. Paganism and Christianity in the Films of Federico Fellini, cit., -. . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  al tramonto, come guardata attraverso l’oblò di un’astronave, il Satyricon non nasconde le sue ambizioni di essere un film sull’oggi. L’itinerario picaresco e becero dei due vitelloni antichi (purtroppo né personaggi veri né simboli) lascia il posto a un’ansia esistenziale e religiosa, all’interrogazione sul significato del nostro passaggio terreno. Su questo versante – al di là della straordinaria ricchezza figurativa, funerea e notturna dell’insieme – i momenti più felici sono l’episodio della villa dei suicidi e l’addio alla vita del poeta Eumolpo» . .. Tagli, fusioni, trasposizioni Se dunque proviamo a confrontare le sequenze del testo petroniano con le scene del film, operazione resa agevole grazie a un minuzioso esame comparativo , ci accorgiamo subito di come la sceneggiatura abbia agito in profondità, conservando tuttavia un aspetto essenziale dell’opera superstite, vale a dire la sua frammentarietà, tradotta in scacco dell’immagine mediante il sapiente ricorso allo ‘schermo nero’, icastica sospensione del continuum narrativo e segnale inequivoco di connessioni mancanti già nell’originale . Il primo taglio, vistoso, riguarda quello che per noi è l’incipit del racconto superstite. Come è noto, la scena d’apertura di Petronio si svolge in una scuola di retorica, dove l’esercitazione di Encolpio, lo studente dal nome . M. Morandini in Luisa, Laura e Morando Morandini, Il Morandini  – Dizionario dei film, Bologna, Zanichelli, , s. v. Fellini. Vd. anche W. de Medeiros, Do desencanto à alegria: o Satyricon de Petrónio e o Satyricon de Fellini, «Humanitas» , , -; Roberta Strati, Tra Petronio Satyricon e Fellini Satyricon (riflessioni intersemiotiche sull’attualizzazione dell’antico), «Annali dell’Università di Ferrara – Sez. Lettere» , , -. . A. Sütterlin, Petronius Arbiter und Federico Fellini. Ein strukturanalytischer Vergleich, Lang, Frankfurt a.M. . . Vd. Joanna Paul, Rome Ruined and Fragmented: The Cinematic City in FelliniSatyricon and Roma, in R. Wrigley (a c. di), Cinematic Rome, Troubadour, Leicester , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio parlante, e la risposta del retore Agamennone affrontano un problema cruciale per la cultura romana del I secolo d.C., le cause della crisi dell’eloquenza e della scuola , e sottolineano distanze abissali tra sistema educativo e società, perché – come dice lo scholasticus Encolpio - «dall’enfasi degli argomenti e dal vuoto baccano delle espressioni i giovani ricavano un unico vantaggio: una volta giunti nel foro pensano di esser stati sbalestrati in un altro mondo (putent se in alium orbem terrarum delatos). Ritengo perciò che gli adolescenti a scuola finiscano per rimbecillire del tutto, perché non ascoltano e non vedono nulla di quanto è in rapporto con la realtà che ci è familiare» . L’episodio dà l’avvio ai frenetici movimenti dei giovani protagonisti e li immette, appunto, nel labirintico caos della vita esterna alla scuola: intento alla disputa, Encolpio non s’accorge che il compare di studi e rivale erotico, l’infaticabile Ascilto , si è allontanato alla chetichella; resosi conto della scomparsa, muove alla ricerca di Ascilto, sospettando le mire dell’amico sulla fruizione esclusiva delle grazie del servitorello-amasio . Trascritto dal greco, l’antroponimo indica “celui qui désire être tenu au sein” (Stefana Goga, Encolpe et l’enfermement, «Latomus» , , -) col probabile valore di “favorito”, “beniamino”. . Il problema, trattato anche da Seneca e dall’autore del Sublime, da Quintiliano e da Tacito nel Dialogus de oratoribus, inserisce a pieno titolo Petronio nella cultura del I sec. d. C. . Petron. , -. Vd. P. Cosci, Per una ricostruzione della scena iniziale del Satyricon, «Materiali e Discussioni» , , -; G. Kennedy, Encolpius and Agamemnon in Petronius, «American Journal of Philology» , , -; W. Kissel, Petrons Kritik der Rhetorik (Sat. -), «Rheinisches Museum» , , -; P. Soverini, Il problema delle teorie retoriche e poetiche di Petronio, in Aufstieg und Niedergang der röm. Welt II . , , -; C. Pellegrino, Petronio Arbitro, Satyricon. I capitoli della retorica, Introduzione, testo critico, commento, Roma, Edizioni dell’Ateneo, ; C. Salles, Le professeur de rhétorique et son élève: les positions de Pétrone et de Quintilien, «Euphrosyne» , , -. . Ascyltus, dal greco “instancabile”; in Petron. ,  si esaltano le dimensioni inguinali del personaggio (inguinum pondus tam grande ...) e il poetastro Eumolpo esclama: o iuvenem laboriosum! (resa latina dell’antroponimo). Vd. S. Priuli, Ascyltus. Note di onomastica petroniana, Latomus, Bruxelles , che prende in esame tutti i nomi parlanti, convenzione che Petronio eredita dalla commedia al fine di assicurare ai suoi personaggi un implicito indicatore di identità.. . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  Gitone, “colui che sta vicino” (troppo vicino, è il caso di dire, all’uno o all’altro dei pretendenti) . La sceneggiatura taglia l’intero episodio ‘iniziale’ del testo antico e si apre in medias res: la prima inquadratura presenta Encolpio davanti a un muro spoglio intento a denunciare, in sofferta forma enfatica , il tradimento dell’amico-rivale Ascilto, reo di avergli sottratto il giovane amasio e di averlo ceduto al capocomico di una compagnia di guitti (scene nn.  e ). Alla scuola di retorica si sostituisce così il teatro del mimo e al maestro del discorso pubblico si sostituisce l’archimimo Vernacchio, interpretato da Fanfulla (Luigi Visconti, -), prelevato direttamente dalle scene reali dell’avanspettacolo romano e inserito tra le mura immaginarie di Roma antica per animare il primo grande episodio interpolato di Fellini-Satyricon (scena n. ). Sul nome del personaggio e il modo dell’interpolazione si cercherà di aggiungere qualcosa più avanti; per ora ci si limita a segnalare le conseguenze dell’espunzione dell’episodio ambientato nella scuola di retorica. Intanto si perdono i toni di critica all’istituzione scolastica che si sarebbero certamente prestati a forte attualizzazione (siamo nel -), ma avrebbero attenuato la connotazione onirica che si intendeva dare alla pellicola. L’interesse per le idee dei giovani di allora non implica condivisioni di polemiche radicali, ma attenzione ai comportamenti esemplari, ai sintomi del disagio giovanile e alle terapie di superamento, alla voglia di libertà, alla lunga e travagliata iniziazione al mondo degli adulti. In effetti, in quello che appare un lungo e inconcluso viaggio iniziatico, la coppia Encolpio-Ascilto, ora con ora senza il loro non restio mignon, perde subito la compagnia del maestro di retorica Agamenno. Vd. A. Borghini, Gitone, il nome, «Il Nome nel Testo» , , -. . La tirata iniziale di Encolpio deriva, con qualche taglio, da Petron. , - (da Ergo me non ruina terra potuit haurire? a Iacent nunc amatores obligati noctibus totis, et forsitan mutuis libidinibus attriti derident solitudinem meam). Dunque l’inizio del film prende lo spunto da quello che per noi è l’episodio (scomparsa di Ascilto e sua sostituzione col vecchio poetastro Eumolpo) che mette in moto l’ultima parte del Satyricon superstite.  Rileggendo Petronio e Apuleio ne, che in Petronio sta invece insieme a loro per tutto il grande intermezzo della Cena di Trimalchione. La cancellazione di Agamennone permette, però, di dilatare la parte assegnata a Eumolpo, al vecchio poetastro dal nome antifrastico (“Bravo cantore”), interpretato da un grande Salvo Randone, che accetta volentieri di mettere in gioco la sua consumata bravura d’attore in mezzo al variegato coro di protagonisti, comprimari e comparse, coro tutto doppiato (attori italiani compresi) e composto non sempre da professionisti e talora da figure forti unicamente di marcate peculiarità fisiche. Di tali figure e figurine una prima galleria ‘felliniana’ – ghetto emblematico ma anche trasognato e surreale – è offerta dalle scene notturne della suburra e del lupanare (scene nn. -), decisamente ampliate (gigantesse comprese) rispetto all’originale e in grado di assorbire l’episodio del triduo orgiastico con Quartilla (Satyricon -), questo invece ridotto a poche immagini fugaci . Il lupanare, senza soluzione di continuità, è integrato nella ciclopica e verticale Insula Felicula o Felicles del Campo Marzio (scene nn. -): “grattacielo proletario” premoderno, che sappiamo costruito ai tempi dell’imperatore Settimio Severo (- d. C.), ma qui anticipato sulla base della descrizione operata dallo storico Jérôme Carcopino, guida sicura nella ricostruzione della società imperiale. L’Insula è non meno ricca di personaggi inquietanti o stralunati, esposta, sì, a sguardi rapidi e curiosi, ma quasi subito spazzata via da un impietoso terremoto cui spetta il compito di far rivivere i crolli cittadini di cui parla Giovenale (Satira ,  sgg.), cancellare quella folla di personaggi minori (difficile provvedere altrimenti) e ricordare la precarietà dell’umana . L’episodio di Quartilla e l’unione di Gitone con la piccola Pannichis sono in parte recuperati, per trasposizione, nella prima stesura della sequenza relativa alla nave di Lica; ma poi sono espunti nella stesura definitiva o nel corso della lavorazione del film. Per l’episodio petroniano vd. A. Aragosti, P. Cosci, A. Cotrozzi, Petronio: l’episodio di Quartilla (Satyricon -, ), Pitagora, Bologna ; L. Cicu, Donne petroniane. Personaggi femminili e tecniche di racconto nel Satyricon di Petronio, Delfino Editore, Sassari , -; C. Panayotakis, Quartilla’s Histrionics in Petronius, Satyrica , -, , «Mnemosyne» , , -; M. Habash, Priapic Punishments in Petronius’ Satyrica -, «Syllecta Classica» , , -. . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  esistenza . Fin da subito, dunque, le scelte della sceneggiatura si muovono lungo un tracciato fatto di esclusioni, ampliamenti e riduzioni, fusioni di episodi e libere trasposizioni (o new locations, come si direbbe altrove). Appunto di trasposizione si deve parlare nel caso di Eumolpo. In Petronio (Satyricon ) l’incontro tra Encolpio ed Eumolpo avviene dopo la Cena di Trimalchione e prelude al definitivo distacco tra Encolpio e Ascilto, il quale scompare dalla narrazione a partire dal cap.  e lascia spazio a un nuovo terzetto (Encolpio, Gitone, Eumolpo) destinato a essere protagonista di nuove avventure (la nave di Lica, i cacciatori di eredità di Crotone) fino al termine del racconto superstite (Satyricon , : Cum esset Numantia a Scipione capta, inventae sunt matres, quae liberorum suorum tenerent semesa in sinu corpora, esempio storico a conferma della possibilità di cibarsi di cadaveri, come impone il testamento di Eumolpo) . Fellini e Zapponi anticipano invece la scena della pinacoteca, luogo dell’incontro tra il giovane scholasticus e il vecchio poeta (scena n. ). In tal modo Eumolpo può essere presente alla Cena di Trimalchione (in sostituzione di Agamennone), annunciare strada facendo (scena n. ) la scheda biografica del ricco anfitrione (compito che nella Cena spetta a uno dei liberti, Ermerote), sostituire . J. Carcopino (-), La vita quotidiana a Roma all’apogeo dell’impero (Paris ), tr. it., Laterza, Roma-Bari , rist. , - (Le case e le vie). Per la presenza degli spunti derivati dall’opera di Carcopino nella sceneggiatura del film si rinvia a Ester Brunet, “Tramandare-tradire”: storiografia e senso dell’antico nel Fellini Satyricon, «Engramma. La tradizione classica nella memoria occidentale» , . Sulle scene nn. - del film vd. il capitolo intitolato El lupanar de la Suburra y la Insula Felicles en el “Fellini-Satyricon”: contrapuntos eróticos en un cine de fantascienza di F.J. Salvador Ventura, Temperatura crítica. El cine español de los  y la rupturas de la modernidad, Castellón ; qualche anticipazione già in Id., El mundo clásico en “El Satiricón” de Fellini, in Consuelo AIvarez Morán y Rosa Maria Iglesias Montiel (a c. di), En Contemporaneidad de los clásicos en el umbral del tercer milenio, Ed. Universidad de Murcia, Murcia, , -. . La frase, nella traduzione di Vincenzo Ciaffi, è pronunciata da uno degli ‘eredi’ che si accinge a cibarsi del corpo di Eumolpo: «Quando Numanzia fu espugnata da Scipione, si trovarono delle madri che stringevano tra le braccia mezzo rosicchiati i corpi dei loro figli».  Rileggendo Petronio e Apuleio l’assente Agamennone in un paio di battute, declamare ubriaco i senari d’attacco del suo poema sulla Presa di Troia (inquadratura ) che in Petronio sono invece recitati nella pinacoteca (Satyricon ) e infine venir coinvolto in una disputa poetica con il padrone di casa. Tale disputa merita un supplemento d’attenzione. In effetti, il Trimalchione di Petronio coltiva una non impeccabile vena poetica e ne dà dimostrazione in due occasioni, in Satyricon ,  e ,  e , suscitando il plauso interessato dei commensali . Anche nella Cena sullo schermo – la parte in cui la sceneggiatura si discosta meno dall’originale (scene nn. -) – Trimalchione si esibisce come poeta: una prima volta recitando una mini-antologia di suoi epigrammi, la seconda volta appropriandosi di alcuni distici elegiaci esterni alla Cena, introdotti in Satyricon ,  in tema di amicizia che non dura più d’una finzione scenica, a commento della scelta a favore di Ascilto operata da Gitone. Ecco i versi: Nomen amicitiae, sic, quatenus expedit, haeret; calculus in tabula mobile ducit opus. Dum fortuna manet, vultum servatis, amici; cum cecidit, turpi vertitis ora fuga. Grex agit in scaena mimum: pater ille vocatur, filius hic, nomen divitis ille tenet. Mox ubi ridendas inclusit pagina partes, vera redit facies, adsimulata perit. Il nome d’amicizia dura fino a quando c’è tornaconto: / sulla scacchiera la pedina compie i propri movimenti. / Finché la fortuna regge, avete il volto di sempre, amici! / quando crolla, voltate il viso in fuga vergognosa. / La compagnia mette in scena un mimo: uno ha il ruolo del padre, / quell’altro del figlio, un terzo recita la parte del ricco. / Ma appena il copione si chiude sui ruoli che fanno ridere, / ritorna il volto vero, quello simulato sparisce. . Vd. Catherine Connors, Petronius the Poet: Verse and Literary Tradition in the Satyricon. Cambridge Univ. Press, Cambridge , - (Trimalchio’s Poetic Performances). . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  A dire il vero, Trimalchione recita soltanto gli ultimi due distici; comunque, anche questa è una trasposizione rispetto all’originale. Quello che in realtà conta è il verso finale che sembra evocare un verso lucreziano (De rerum natura , : eripitur persona, manet res); di qui la denuncia di plagio da parte di Eumolpo, la reazione irata del padrone di casa, la cacciata del critico contestatore dopo una rissa con gli schiavi (scena n. , inquadrature -). Si è ipotizzato che l’intrusione della polemica letteraria possa risalire, direttamente o indirettamente, a un suggerimento di Luca Canali, reduce allora da studi approfonditi sul poema lucreziano . Luca Canali ha però negato la paternità dell’episodio, che va invece «ricondotto alla fantasia e alla cultura di Fellini e Zapponi», come si impara dalla lettura di un ottimo contributo comparso nel  . Altra trasposizione, sempre dall’esterno verso l’interno dell’intermezzo dedicato a Trimalchione, subisce il racconto milesio della Matrona di Efeso, forse la sezione più nota e fortunata nel tempo di tutto il Satyricon . In Petronio la novella è narrata sulla nave di Lica da Eumolpo: la narrazione (Satyricon -) nasce come prova della muliebris levitas, della leggerezza e volubilità femminile, e sigilla tra le risate la fine delle ostilità di Lica e Trifena ai danni . Vd. L. Canali, Lucrezio poeta della ragione, Editori Riuniti, Roma  ( ). L’ipotesi è formulata da R. Strati, Tra Petronio Satyricon e Fellini Satyricon cit. in n. , -. . N. Pace, La doppia lente. Petronio attraverso Fellini, ovvero Fellini attraverso Petronio, in R. De Berti, E. Gagetti, F. Slavazzi (a c. di), Fellini-Satyricon. L’immaginario dell’antico, Cisalpino-Monduzzi, Milano , -, seguito da un Colloquio con Luca Canali (pp. -; la precisazione si legge a n.  di p. ); F. Pesando, Suggestioni per un archeologo: in margine a Fellini-Satyricon. L’immaginario dell’antico, «Lanx» , , -; L. Spina, Riflessioni per il secondo numero di DeM, quasi un Fellynicon, «Dionysus ex machina» , , -. . Vd. P. Senay (a c. di), La Matrone d’Éphèse. Histoire d’un conte mythique, «Cahiers des Études Anciennes»  e , . Dedicato alla novella e alla sua fortuna teatrale è il lavoro di Tiziana Ragno, Il teatro nel racconto. Studi sulla “fabula” scenica della matrona di Efeso, Palomar, Bari . Per le fonti vd. G. Vannini, La Matrona di Efeso di Petronio e le altre versioni antiche dell’aneddoto, in M. Carmignani, L. Graverini, B.T. Lee (a c. di), Collected Studies on the Roman Novel, Editorial Brujas, Córdoba , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio di Encolpio e Gitone. Nel film la novella è anticipata: a narrarla si fa avanti uno dei liberti presenti alla Cena (Ermerote, dalla cadenza pugliese), quando la brigata dei commensali si è ormai trasferita davanti al monumento funebre di Trimalchione e il titolare della tomba si è esibito in una prova generale del proprio funerale (scena n. ). Notturna la scena della tomba, notturna l’atmosfera delle scene (nn. -) in cui si articola il racconto, accolto anche questo «da un coro di risate, come se ci fosse un pubblico invisibile» . Di un’ultima trasposizione, con cambio di destinatario, mette conto parlare. In Petronio la sequenza sulla nave di Lica termina con una tempesta e il naufragio (Satyricon -): scampano alla morte Encolpio, Gitone ed Eumolpo (Ascilto è ormai scomparso dalla trama) e quando le onde portano a riva il cadavere di Lica, Encolpio si abbandona a un lamento funebre sulla precaria condizione umana, intessuto da collaudate formule della letteratura consolatoria (, -) . Bene: nel film il lamento funebre, in forma compendiaria e stilizzata, viene riservato ad Ascilto, che invece di perdersi tra i frammenti di Petronio accompagna Encolpio fino al penultimo episodio. Ascilto viene ucciso dal nocchiero ‘infernale’ che ha traghettato i due amici oltre una non meno ‘infera palude’ verso le prode della maga Enothea (scena n. , inquadratura ). Davanti al corpo del compagno ucciso Encolpio esclama: «Dov’è adesso la tua gioia, la tua prepotenza? Sei in balia dei pesci e delle belve: tu che poco . D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit., . . Sui temi funerei dell’episodio petroniano (per altro sviluppati visivamente da Fellini) vd. V.M. Patimo, L’eroe in vinculis: catabasi e detenzione nell’horridus carcer Lichae, «Aufidus» -, , -. Di passaggio si può osservare come le immagini della testa di Lica (decapitato anziché annegato) che affonda nel mare (scena n. , inquadrature -) derivino da un preciso passo di Satyricon , , in cui Encolpio riconosce il cadavere sospinto a terra dalle onde: Adhuc tanquam ignotum deflebam, cum inviolatum os fluctus convertit in terram, agnovique terribilem paulo ante et implacabilem Licham pedibus meis paene subiectum («Al momento era solo per uno sconosciuto che mi lamentavo, quando il flutto rivolse verso terra il viso ancora intatto, e io riconobbi come gettato ai miei piedi Lica, lui sino a poco prima terribile e spietato»; traduzione di V. Ciaffi). . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  fa ostentavi la tua innocenza guerriera. Avanti adesso, mortali: riempitevi di sogni ... Dèi grandi, come giace lontano dalla sua mèta!». La traduzione è quella einaudiana di Vincenzo Ciaffi, ritoccata per adattare il compianto, nato in Petronio in occasione della morte per mare del terribile Lica, alla misura dell’amicorivale: Ubi nunc est, inquam, iracundia tua, ubi impotentia tua? Nempe piscibus beluisque expositus es, et qui paulo ante iactabas vires imperii tui [...]. Ite nunc mortales, et magnis cogitationibus pectora implete. [...] Dii deaeque quam longe a destinatione sua iacet! (Satyricon , -). Le sottolineature valgono a individuare i termini ritoccati o sottaciuti. Si noti che non c’è stato bisogno di snaturare la resa italiana di magnis cogitationibus pectora implete, se non al prezzo di una piccola riduzione, perché il traduttore ha inteso «riempitevi i cuori di grandi sogni», ha proposto cioè una versione straordinariamente in linea – si sarebbe tentati di dire – con la dimensione onirica peculiare della vena più profonda di Fellini narratore per immagini, di Fellini che intende fare «un favolone suggestivo e misterioso, [...] un film tutto da contemplare, a simiglianza dei sogni» . .. Interpolazioni d’autore Negli interstizi lasciati aperti dall’andamento frammentario del Satyricon la sceneggiatura di Federico Fellini e Bernardino Zapponi introduce liberamente, come si è detto, libere interpolazioni tese a dilatare su scala generale la percezione di un’umanità incerta e decadente in un mondo segnato da una babele di lingue e di suoni che non sembra conoscere confini. Alla prima di tali interpolazioni si è già fatto cenno: il teatro ligneo del mimo Vernacchio (scena n. , inquadrature -) sostituisce l’episodio ambientato nella scuola del retore Agamennone. Ora . D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit.,  (= F. Fellini, Fare un film, cit., ). Vd. anche A. Moravia, Velato di cenere, popolato di mostri, il Satyricon sarà il documentario di un sogno, «Vogue» , giugno , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio possiamo dire che la sostituzione è felice, e per due ragioni: l’inserimento di Fanfulla-Vernacchio e delle sue gags (mani mozze di poveri Muzii Scevola in sedicesimo e miracoli di ridicoli imperatori) nasce dalla lunga frequentazione felliniana del mondo dell’avanspettacolo (non a caso ritroviamo Fanfulla ne I clowns dell’anno successivo), ma anche dalla non errata considerazione, intuitiva del regista o suggerita dal latinista, che Petronio è un autore da tempo definito “imitatore dei mimi” e comunque non chiuso al riverbero teatrale di scene narrate . Persino in un dettaglio scurrile è possibile confermare l’incontro tra il mondo di Fellini, il mondo di Petronio e il mondo del mimo. Tutti gli spettatori di Fellini-Satyricon sanno che le frasi di Vernacchio sono intercalate non solo da risate e risatine, ma soprattutto da ben assestati crepiti ventrali. Un eroe di simili emissioni circola liberamente nella Rimini di Fellini bambino: si tratta di Fafinon de foss, professionista talentuoso di «peti in numero pressoché illimitato ... e di ogni tonalità» . Ora, in Petronio Trimalchione, dopo essersi sgravato del superfluo peso del ventre, intrattiene gli ospiti sui propri disturbi intestinali e incrementa il galateo delle buone maniere a tavola concedendo il diritto a ogni sorta di emissioni: Nemo nostrum solide natus est. Ego nullum puto tam magnum tormentum esse quam continere ... Nec tamen in triclinio ullum vetui facere quod se iuvet, et medici vetant continere (Satyricon , -). Più avanti, lungo la strada per Crotone, i bagagli vengono caricati sulle spalle di Gitone e . Nella forma Vernacchio (Vernacchius si legge nei dialoghi latini) l’antroponimo non è attestato in latino; potrebbe essere tuttavia l’esito romanzo di Vernaculus (da verna, schiavo domestico), termine che rinvia a origini servili e contemporaneamente sottende rapporti epicorici, localistici (cfr. per es. in Cicerone, Brutus , sapor vernaculus , «sapore di casa nostra»). La cadenza di Vernacchio è partenopea: non si dimentichi che la geografia del Satyricon spazia da città della Campania fino a Crotone. . Vd. per es. F. Moering, De Petronio mimorum imitatore, J. und A. Temming, Diss. Münster . Dati e bibliografia in C. Panayotakis, Theatrum Arbitri. Theatrical Elements in the Satyrica of Petronius, Brill, Leiden ; G. F. Gianotti, Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio, in questo volume. . F. Fellini, Fare un film, cit., . . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  del servo di Eumolpo, Corace, i quali danno vita a una clamorosa protesta: il secondo, alla maniera del Barbariccia dantesco, tollebat subinde altius pedem, et strepitu obsceno simul atque odore viam implebat. Ridebat contumaciam Giton et singulos crepitus eius pari clamore prosequebatur (Satyricon , -). Nella tradizione del mimo il suono del corpo liberato è di casa: l’esempio più rilevante è dato dal mimo anonimo tràdito da P.Oxy r (papiro di Ossirinco, databile alla metà del II sec. d.C.) che si suole intitolare dal nome della protagonista, Charition . Esso mette in scena la liberazione di una fanciulla greca prigioniera di un popolo barbaro dell’India misteriosa da parte del fratello e di alcuni compari spintisi, via mare, fino a quelle prode lontane. Arma decisiva per avere la meglio sui malcapitati Indiani sono esplosivi crepiti viscerali di un servus pedens, il quale si segnala anche per una singolare preghiera a una divinità dalle poco esaltanti prerogative, santa Scorreggia, di cui resta leggibile sul papiro smozzicato un’apostrofe solenne (v. : kuría Pordé). Tutte le interpolazioni – va detto – hanno la piena approvazione di Luca Canali, che ritiene legittimi, a fini euristici e narrativi, ogni tentativo d’interpretazione surreale e ogni esercizio di ricerca fantastica . Così succede che la dilatazione della sequenza centrata sulla nave di Lica si intersechi con la vicenda interpolata dell’imperatore assassinato e dia origine a un insieme non petroniano (tra l’altro riscritto e poi ridotto, come dicono le note di sceneggiatura), in cui si fondono dati extratestuali storici (per esempio la cerimonia, ben documentata, delle nozze tra Lica ed Encolpio, scena n. ) e interessanti confla. Edizione: I.C. Cunningham (ed.), Herodae Mimiambi. Cum Appendice Fragmentorum Mimorum Papyraceorum, Saur, Monachii et Lipsiae  , -. Testo e comm.: H. Wiemken, Der griechische Mimus, cit., -; S. Santelia, Charition liberata, Levante Editore, Bari ; Mimi greci in Egitto. Charition e Moicheutria, a c. di M. Andreassi, Palomar, Bari , -; Id., Il mimo tra ‘consumo’ e ‘letteratura’: Charition e Moicheutria, «Ancient Narrative» , , -; M. Yevadian, Le papyrus Oxyrhynchos  et le mime de Charition, Séminaire de Recherches de la Chaire de recherche sur l’Eurasie, Lyon . . D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit., . . La cerimonia nuziale è documentata sulla scorta di J. Carcopino, come ri-  Rileggendo Petronio e Apuleio zioni metastoriche e plurilinguistiche. Infatti, nella figura del giovane imperatore che vive su di un’isola e muore di morte violenta all’arrivo di truppe ribelli si sovrappongono le immagini di Tiberio di stanza a Capri, di Nerone suicida all’arrivo delle truppe di Galba, di Elagabalo ucciso non ancora ventenne dai pretoriani in rivolta (scena n. ). La somma del “tre per uno” conferma la dimensione atemporale in cui si sviluppa la narrazione. Anche i dettagli possono confermare provenienze da tempi diversi: per esempio, il grande pesce issato sulla nave di Lica, che va a caccia di loisirs per l’imperatore , sembra avere duplice matrice, una felliniana, figlia dell’abnorme bestia marina arenata sulla spiaggia nel finale de La dolce vita (); l’altra classica, figlia del gigantesco rombo offerto a Domiziano nella Satira IV di Giovenale. Dettagli che impreziosiscono e incorniciano altre vicende interpolate, come nel caso della villa e delle scene riservate ai nobili suicidi (scene nn. -) . Certo, l’insieme è un omaggio corda Ester Brunet, “Tramandare-tradire”: storiografia e senso dell’antico nel Fellini Satyricon, cit. Lo spunto antico deriva da Svetonio, Vita di Nerone : Suam quidem pudicitiam usque adeo prostituit, ut contaminatis paene omnibus membris novissime quasi genus lusus excogitaret, quo ferae pelle contectus emitteretur e cavea virorumque ac feminarum ad stipitem deligatorum inguina invaderet et, cum affatim desaevisset, conficeretur a Doryphoro liberto; cui etiam [...] ita ipse denupsit, voces quoque et heiulatus vim patientium virginum imitatus. Vd. anche Tacito, Ann. , , - (ipse per licita atque inlicita foedatus nihil flagitii reliquerat, quo corruptior ageret, nisi paucos post dies uni ex illo contaminatorum grege (nomen Pythagorae fuit) in modum solemnium coniugiorum denupsisset. inditum imperatori flammeum, missi auspices; dos et genialis torus et faces nuptiales, cuncta denique spectata, quae etiam in femina nox operit); ulteriori dettagli in Cassio Dione , , e , ; ; ; ; . . Vita e morte di Sesto Vario Avito Bassiano (Elagabalo, - d.C., proclamato imperatore a  anni): Historia Augusta, Antoninus Heliogabalus (biografia attribuita a Elio Lampridio). Qualche spunto poteva venire da Antonin Artaud, Héliogabale ou l’anarchiste couronné, Denoël & Steele, Paris  (trad. it. di Albino Galvano: Eliogabalo o l’anarchico incoronato, Adelphi, Milano ). . Sugli abnormi piaceri erotici di Tiberio vd. M. Lentano, Sbatti il mostro in fondo al mare: Caligola e le spintriae di Tiberio, «Quaderni del Ramo d’Oro» , , -. . Vd. F. Salvador Ventura, La villa de los suicidas: una lección felliniana de cultura clásica, in Id. (a cura di), Cine y representacion. Re-producciones de mundos e re-constructiones filmicas, Université Paris-Sud, Paris , -. . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  al suicidio di Petronio narrato da Tacito in Annales , -; ma sappiamo che la morte del Petronio tacitiano è priva di compagnia, mentre nel film la presenza della moglie (interpretata da Lucia Bosè) evoca altri suicidi illustri narrati da Tacito, quello di Seneca e della moglie Paolina (Annales , ) e quello di Trasea Peto che prega la moglie Arria di restare in vita (Annales , -): sullo sfondo sta l’ombra della morte di Cecina Peto e di Arria Maggiore narrata da Plinio il Giovane (Epist. , ). A proposito di ombre, da ricordare è la scritta della meridiana che campeggia, secondo le note di sceneggiatura, sulla facciata della villa, SICUT UMBRA DIES NOSTRI, presente sugli orologi solari tardo-antichi e medioevali: è scheggia testuale estrapolata dal Libro di Giobbe (, ) nella versione ieronimiana: hesterni quippe sumus et ignoramus quoniam sicut umbra dies nostri sunt super terram . E ancora: nell’imminenza della morte, la nobile sposa recita i primi due versi di un famoso stacco poetico dell’imperatore Adriano riportato dalla biografia della Historia Augusta: animula vagula blandula, / hospes comesque corporis, / quae nunc abibis in loca / pallidula rigida nudula / nec, ut soles, dabis iocos! E non basta: entrati nella villa dopo la morte dei nobili suicidi, Encolpio e Ascilto sostano davanti alle immagini degli antenati dei padroni di casa; Ascilto si copre il volto con una delle maschere e brandendo un bastone declama ad alta voce versi di Archiloco: Ou philéo megan strategòn oudè diapepligménon etc. «Non mi piace un generale gigantesco, gambelarghe, / tutto fiero dei suoi ricci, glabro a forza di rasoi. / Io lo voglio piccoletto; gli si notino le gambe / storte, ma si regga in piedi saldamente, tutto cuore» (fr.  West, traduzione di Filippo . Sulla metafora dell’ombra, cara alla tradizione classica e alla tradizione biblica (e non solo), si rinvia a G.F. Gianotti, Uomo, sogno di un’ombra, in Letteratura e sport. Per una storia delle Olimpiadi, a c. di G. Ioli, Interlinea Edizioni, Novara , -, e ad A. Quincoces Lorén, «Come ombra che passa», di versione in versione: nota al Salmo  (), , «Quaderni del Dip. di Filologia, Linguistica e Tradizione Classica A. Rostagni», Univ. di Torino, n. s. , , -. . Historia Augusta, De vita Hadriani (biografia attribuita a Elio Sparziano) ,  (= Hadrian. Fr.  Blänsdorf ).  Rileggendo Petronio e Apuleio Maria Pontani). Il frammento è abbastanza noto e un tempo faceva parte delle letture scolastiche, in quanto Archiloco rientrava a pieno titolo tra i lirici greci che si studiavano in II Liceo classico. In questo caso l’intrusione declamatoria dovrebbe costituire un piccolo amarcord personale del regista, se è vero che Fellini ha confessato: «Il professore era comicissimo quando pretendeva che dei mascalzoni di sedici anni fossero presi da entusiasmo perché lui declamava con la sua vocina l’unico verso rimasto di un poeta: «Bevo appoggiato sulla lancia»; e io allora mi facevo promotore di ilarità sgangherate inventando tutta una serie di frammenti che andavamo sfacciatamente a riproporgli» . Fin qui le fonti esterne (lo stesso Fellini e gli altri) si lasciano individuare senza eccessiva difficoltà. Nel caso dell’episodio dell’ermafrodito (scene nn. -), invece, la questione della fonte resta aperta, anche se il tono funereo, giocato sul ratto e la morte del giovane e ancipite oracolo, contrasta col paesaggio boschereccio da presepe e appare ben più cupo del tema della morte che pure percorre il Satyricon di Petronio . Possiamo però valerci di una testimonianza recente di Gore Vidal (-) in un articolo relativo agli anni romani dello scrittore americano e all’amicizia col regista, dal titolo Così Fellini rubò il mio . Così F. Fellini, Intervista sul cinema, Laterza, Roma-Bari , . Anche il verso citato dall’infelice professore è di Archiloco (fr. ,  West).. . Vd. per es. D. Gagliardi, Il tema della morte nella Cena petroniana, «Orpheus» , , -; R. Herzog, Fest, Terror und Tod in Petrons Satyrica, in W. Haug, R. Warning (a c. di), Das Fest, Fink, München , -; S. Döpp, Leben und Tod in Petrons ‘Satyrica’, in G. Binder, B. Effe (a c. di), Tod und Jenseits im Altertum, Wissenschaftlicher Verlag, Trier , -; P. Lago, Il viaggio e la dimensione ‘infernale’ nel Satyricon, «Aufidus» , , -. Nel film il tema sembra più cupo e insistito, come ha osservato Gian Luigi Rondi sulle colonne de «Il Tempo» il  settembre : «La morte, la fine, l’annientamento sono la cifra del film, il suo messaggio estetico e drammatico: una nota sola, quella funebre, un colore solo, quello spettrale, un solo stato d’animo, quello del disfacimento. La Roma pagana e solare, quel popolo di marmo pario che la tradizione classica ci aveva tramandato, Fellini li ha avvolti nei fumi, nelle nebbie, nelle brume di un plumbeo e disperatissimo Nord, dove tutto ormai volge al suo termine, come un immenso, stravolto funerale». . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  personaggio. Quell’ermafrodito fini col portarlo nel Satyricon: «una volta gli feci blande rimostranze perché aveva preso dal mio romanzo Il giudizio di Paride il personaggio dell’ermafrodito venerato da una setta religiosa. Naturalmente, non aveva letto il libro. Però l’aveva letto Eugene Walter, uno scrittore americano che viveva a Roma, e nel Satyricon – cui Walter aveva collaborato – compariva effettivamente una versione del mio personaggio. Fred negò risolutamente di aver avuto bisogno di rubarmi il personaggio: “Perché dovrei, visto che l’ermafrodito ... sono io?! Lo sanno tutti» (Corriere della sera, . . , ). Insomma: Gore Vidal, a ben intendere, non dice una parola risolutiva; traccia tuttavia la strada di un possibile transito intertestuale che passerebbe attraverso mediazioni suggestive piuttosto che dipendere da derivazione diretta. In fin dei conti, la paternità felliniana dell’episodio non sorprende troppo, se si tiene conto di quante visioni ambigue e bifronti costellano le sue pellicole. Comunque, anche in questa sequenza è forse possibile ravvisare la firma d’autore: penso al plurimutilato eroe di guerra, privo di gambe e braccia, che viene trasportato in carriola davanti all’ermafrodito (scena n. , inquadratura , arricchita durante la lavorazione): si tratta dell’antenato ‘inventato’ del grande mutilato della I Guerra Mondiale che i camerati di Rimini presentano a Starace «dopo averlo tolto dalla carrozzina a rotelle» , preludio dunque a una scena di Amarcord (). Discorso meno incerto si deve tenere per la duplice aggiunta . Gore Vidal, Il giudizio di Paride (The Judgment of Paris, ), tr. it., Fazi, Modena . Il romanzo narra la storia di un giovane americano che, terminati gli studi, si concede un anno sabbatico in viaggio per l’Europa. La vicenda si dipana tra Roma e Parigi, con intricati rapporti erotici con tre signore. Attraverso le vicende del giovane protagonista, l’autore reinterpreta il mito greco di Paride, chiamato a scegliere tra Era, Atena e Afrodite, tra il potere, la saggezza e la bellezza. «Quando scrivevo Il giudizio di Paride ero molto influenzato da Petronio e Apuleio e da opere come Satyricon e L’ Asino d’ Oro». - Satyricon fa ripensare a Fellini, che lei ha conosciuto bene. - «Lo chiamavo Fred, lui mi chiamava Gorino. L’ho aiutato spesso» («La Repubblica», Almanacco dei Libri, .., ). . F. Fellini, Fare un film, cit., .  Rileggendo Petronio e Apuleio successiva: la festa del dio Riso come cornice della lotta di Encolpio col Minotauro in un circo di provincia con tanto di labirinto ambientato nella Città magica (sic nella sceneggiatura! Scena n. ). La festa del dio Riso è estrapolata direttamente dalle Metamorfosi di Apuleio (, -) , dove la festività, celebrata nella cittadina tessalica di Hypata, ha come momento centrale il processo-farsa ai danni del protagonista Lucio, accusato di omicidio per aver passato, rincasando alticcio, tre otri a fil di spada (episodio noto soprattutto in virtù della ripresa operata da Cervantes nel suo don Quijote). Qui, nel film, l’intrusione della festa si spiega sfruttando un dettaglio non particolarmente visibile, ma comunque presente in Petronio: in Satyricon ,  la maga Enothea rimprovera Encolpio piangente e la vecchia Proselenos che ha tentato di rianimarne la virilità a suon di nerbate: Quid vos, inquit, in cellam meam tanquam ante recens bustum venistis? Utique die feriarum, quo etiam lugentes rident. «Ehi voi – disse – avete preso la mia cella per una tomba di fresca data? E proprio in un giorno festivo, in cui anche chi è in lutto ride!» (traduzione di Vincenzo Ciaffi). Lo spunto è esile, ma sufficiente: sta di fatto che la festa del Riso, scandita da suoni e ritmi poco latini, abbraccia e comprende la grande scena della lotta col Minotauro, per chiudersi, tra le risate di un pubblico multicolore, con l’intervento del proconsole (a conferma che non siamo più ... in Italia): «Non devi offenderti delle nostre risate: sappi che oggi hanno inizio le feste in onore del Dio Riso, le quali non possono cominciare bene senza una burla a uno straniero» (scena n. , inquadratura ), eco variata o distorta delle parole dei magistrati al protagonista delle Metamorfosi apuleiane (, ): Luci domine [...]ne istud quod vehementer ingemescis contumeliae causa perpessus es. Omnem . Dati e bibliografia in Regine May, Apuleius and Drama. The Ass on Stage, Oxford Univ. Press, Oxford , -; F. Salvador Ventura, Dos fuentes para recrear la Roma altoimperial: la matrona de Efeso y la fiesta de la risa en el Fellini-Satyricon, «Habis» , , -.. . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  itaque de tuo pectore praesentem tristitudinem mitte et angorem animi depelle. Nam lusus iste, quem publice gratissimo deo Risui per annua reverticula sollemniter celebramus, semper commenti novitate florescit. Maggior interesse suscita, tuttavia, lo scontro circense col Minotauro in uno scenario fittizio che è un po’ Creta (il labirinto in sedicesimo) e un po’ Malta (la statua rotondeggiante e acefala della Grande Madre Mediterranea alle spalle di Arianna), isole-ponte verso l’Africa. È vero che la domus stessa di Trimalchione apparirà agli scholastici in cerca di via di fuga come un labirinto di nuovo genere (Satyricon , : Quid faciamus homines miserrimi et novi generis labyrintho inclusi), ma in questo caso non mette conto preoccuparsi di fonti dirette, in quanto si tratta di mito arcinoto, per documentazione letteraria e iconografica, qui riadattato per fini spettacolari e per spiegare, col fallimento dell’amplesso con Arianna, la sopraggiunta impotenza di Encolpio . Questo per l’intera sequenza, che compie una bella e ampia incursione nel mito antico per giustificare un aspetto di parodia epica ben presente nel testo petroniano (l’ira di Priapo e lo smacco erotico del protagonista) . Resta sospesa a mezza voce una domanda: perché, contrapposto all’eroe della storia destinato a decadenza virile, compare il Minotauro? Certo, nell’ibrido figlio di Pasifae e del toro di Minosse coesistono forza primitiva, vitalità ferina e strumentazione erotica umana. . Vd. altresì l’annuncio di Byrrhena a Lucio in Apul. Met. , , : Sollemnis dies a primis cunabulis huius urbis conditus crastinus advenit, quo die soli mortalium sanctissimum deum Risum hilaro atque gaudiali ritu propitiamus. Hunc tua praesentia nobis efficies gratiorem. . Per questi e altri motivi di cambiamento vd. per es. A.J. Prats, The Individual, the World, and the Life of Myth in Fellini Satyricon, «South Atlantic Bulletin» , , -; B.F. Dick, Adaptation as Archaeology: Fellini-Satyricon , from the ’Novel’ by Petronius, in A.S. Horton, J. Magretta (a c. di), Modern European Filmmakers and the Art of Adaptation, Ungar, New York , -; F. Burke, Fellini: Changing the Subject, «Film Quarterly» , , -. . Vd. J. McMahon, Paralysin Cave: Impotence, Perception, and Text in the Satyrica of Petronius, Brill, Leiden ; E. Canzaniello, «Che mi dici, vergogna di tutti gli uomini e gli dèi?». Il monologo al proprio membro dal Satyricon al Fellini Satyricon, «Between» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio Queste potrebbero essere ragioni sufficienti per la contrapposizione, ma c’è forse qualcosa di più. Come si ricorderà, la figura sgraziata dell’inserviente del circo porge a Encolpio fiaccola e strumenti di difesa pronunciando parole in spagnolo («Arianna espera te, amor, amor!»: scena , inquadratura ). Ecco: se pensiamo a un Minotauro, vitalistico e non pernicioso, da identificare attraverso la lingua iberica, non possiamo avere dubbi. Il Minotauro spagnolo, per autodefinizione, è Pablo Picasso (-) , il pittore preferito dal regista: Fellini ha già dato il nome di Picasso a uno del protagonisti, Richard Basehart, de Il bidone (), a Picasso ha dedicato un famoso ritratto caricaturale e lo ha menzionato come protagonista di sogni inquieti, ma sempre capaci di riscattare il sognatore da stati di inerzia e di confusione . Insomma, nel film Fellini rende omaggio a Pablo Picasso: il personaggio dal fisico atletico e dalla maschera a testa di toro – modellata secondo espressività iconografiche non lontane da soluzioni ‘alla Picasso’ – perde alla fine i tratti ferini e da mostruoso nemico di Encolpio si trasforma in rassicurante figura amichevole, pronto a rimettere in moto il protagonista nei meandri della sua storia. Bene: dopo il fallimento dell’unione con Arianna (ovviamente “grassa e un po’ sfatta”), scena che implica congedo dalla sfera del mito, si riprende il cammino in compagnia di Ascilto e del ritrovato Eumolpo. Cammino rapido, si direbbe, perché, invece di arrivare a Crotone (meta ultima del testo petroniano), ci si muove lungo le strade d’una città africana (scena ) e si arriva al Giardino delle delizie, gran lupanare all’aperto abitato da leggiadre fanciulle e fanciulline che a gruppi tentano invano di risvegliare la parte dormiente di Encolpio oppure . Vd. Paloma Esteban, Sylvia Vautier, Picasso Minotauro, Museo d’Arte Reina Sofia, Madrid ; Th. Ziolkowski, Minos and the Moderns. Cretan Myth in TwentiethCentury Literature and Art, Oxford Univ. Press, Oxford ; Ph. Dagen, Picasso, tr. it., Bardi-Electa, Roma . Il rapporto Fellini-Picasso è stato al centro dell’esposizione Quand Fellini révait de Picasso presso la Cinémathèque Française (Paris, dal  aprile al  luglio ). . F. Fellini, Fare un film, cit., . . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  intrattengono con successo il vigoroso Ascilto e il non rammollito Eumolpo. Un giovane elefante si muove in un angolo del Giardino, indubbio indicatore geografico vivente: a farci capire però che non si tratta di fauna africana, bensì indiana, sulle pareti compaiono affreschi orientaleggianti che riproducono scene erotiche e avvertono che negli spazi del piacere ha fatto irruzione l’India del Kamasutra, con un ricco corredo di immagini e immaginazioni: le molteplici ‘posizioni’ evocate da Eumolpo, i ritmi di flauti dell’Asia e l’ondeggiare dell’altalena d’amore, le giovinette velate che agitano inutili verghe, incapaci di resuscitare perdute energie fisiologiche. Ancora una volta, dunque, la fantasia felliniana, ben coadiuvata da Bernardino Zapponi, ha lasciato il suo segno, così come lo lascia nella scena soppressa dei Lupercali (scena n. ) e nelle scene che riguardano Enothea, la maga africana che riesce finalmente a curare l’impotenza di Encolpio (scene nn. -). E qui, tra le molte soluzioni escogitate dal punto di vista figurativo, meritano attenzione l’inquadratura del mago innamorato sospeso in una cesta - probabile suggerimento derivato dall’antico ’mimo della cesta’, cavallo di battaglia in età flavia dell’archimimo Latinus (scena n. , inquadrature -) – e lo sdoppiamento nelle due età e nella duplice figura della maga Enothea : manco a dirlo, massiccia e monumentale, come vuole l’archetipo della Grande Madre, è la figura con cui Encolpio finisce per accoppiarsi (scena n. , inquadrature -). Della morte di Ascilto fuori tempo, fuori posto e fuori contesto, rispetto al Satyricon petroniano, si è già detto; resta da dire che Fellini – contro Petronio – fa morire anche Eumolpo (scena n. , inquadrature  sgg.) e trasforma la burlesca clausola testamentaria del vecchio poeta (Satyricon , : Omnes, qui in testamento meo legata habent, praeter libertos meos hac condicione percipient quae dedi, si corpus meum in partes conciderint . Chi voglia orientarsi nell’intrico di spunti combinati nell’episodio petroniano della maga può vedere A. Perutelli, Enotea, la capanna e il rito magico, L’intreccio dei modelli in Petron. -, «Materiali e Discussioni» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio et astante populo comederint) in scena reale: così, mentre i pretesi eredi si esibiscono in inappetente cannibalismo , Encolpio si dirige verso la nave in partenza per l’Africa seguendo invitanti movimenti di danza di un marinaio di colore . Proviamo a rileggere le note finali della sceneggiatura: «A poco a poco, l’allucinato viaggio in una dimensione storica così favolosa si ferma e si allontana dal nostro occhio. Tutto si screpola, si copre della polvere dei secoli. Si trasforma in un antico affresco; un affresco stinto, coi colori pompeiani, dove Encolpio è soltanto uno dei tanti volti di persone, dal sorriso ambiguo, che adornano l’affresco» . Bloccata dal fermo-immagine, la figura di Encolpio diventa fotografia immobile, poi segno grafico di una pittura parietale, infine frammento cromatico di un muro in rovina. Il muro in rovina dell’ultima scena corrisponde, in una sorta di composizione ad anello o, se si preferisce, di composizione a recinto, al «muro rossastro, un muro di cinta o forse la parete esterna di una casa, tutto fittamente graffito dai passanti», davanti al quale, nelle inquadrature d’inizio, Encolpio declama il suo amore per l’inafferrabile Gitone. Davanti a un muro si apre la storia, sui resti di un muro in rovina la storia finisce, dopo essere sfilata lungo interni domestici e pareti rocciose, caverne pastorali e ostacoli visivi che trasformano la narrazione per immagini in continuo bassorilievo animato. La scelta stilistica non è casuale, come impariamo dalle parole, per . Vd. R. Armstrong, Eating Eumolpus: Fellini Satyricon and Dreaming Tradition, in J. Parker, T. Matthews (a c. di), Tradition, Translation, Trauma. The Classic and the Modern, Oxford Univ. Press, Oxford , -. . In particolare, il tema dell’Africa (già annunciato per es. nella danza in casa di Trimalchione al suono di madeia perimadeia, scena n. , inquadratura ) diventa prevalente nella parte finale, come se il paesaggio africano, contrapposto a quello della culla della civiltà europea, potesse rappresentare un’alternativa primitiva ma vitale o una via di fuga positiva per la sgangherata umanità rappresentata dalla pellicola. A ben vedere, intuizioni del genere presuppongono le attese generate dal grande fenomeno storico della decolonizzazione, affondano le radici nelle ricerche antropologiche del secondo Dopoguerra e sono condivise da Pier Paolo Pasolini: si pensi all’ambientazione africana dell’Edipo re () o agli Appunti per un’Orestiade africana (-). . D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit., . . Petronio e gli altri nel Satyricon di Federico Fellini  così dire, programmatiche di Bernardino Zapponi: «Il libro di Petronio è screpolato, rotto come un muro, fatto di pezzi che sono reperti archeologici. Alterna [. . . ] la buffoneria allo strazio, la tragedia alla farsa sconcia, con improvvise effusioni liriche da far venire i brividi. Poi, silenzi improvvisi, frasi pronunciate da non si sa chi, persone che emergono dal nulla e dicono il loro motto, come dannati dalla pece infernale. Una precisa indicazione di stile: dovevamo ampliare le fratture; non colmarle» . Così succede che di qua e di là dal muro, attraverso le brecce del tempo, risuonino favelle d’intonazione diversa , come diversi dalla musica colta europea sono i toni musicali e i ritmi, i cori e le nenie primitive che vengono dall’Asia e dall’Africa, suoni lontani che esprimono la medesima lontananza che separa il nostro incerto presente dalla non meno incerta e anticlassica umanità che popola le pagine del libro di Petronio e le scene del film di Federico Fellini. . D. Zanelli (a c. di), Fellini-Satyricon, cit., . . Vd. A. Scala, Diverse lingue, orribili favelle? In margine al multilinguismo del Fellini-Satyricon, in R. De Berti, E. Gagetti, F. Slavazzi (a c. di), Fellini-Satyricon. L’immaginario dell’antico, cit. in n. , -. P II APULEIO Capitolo I Apuleio, autore e opere∗ .. L’autore e le opere perdute Filosofo e conferenziere itinerante, secondo i modelli di vita intellettuale della Seconda Sofistica, Apuleio è originario di Madauros (oggi M’Daourouch in Algeria) nella provincia d’Africa. L’unica data certa della sua vita riguarda il processo per magia subíto a Sabratha davanti al proconsole Claudio Massimo, in carica da luglio del  a giugno del  d.C. Se il processo è celebrato nell’inverno compreso tra questi due anni, la data di nascita di Apuleio potrebbe oscillare tra il  e il , mentre la data di morte andrebbe collocata – per via congetturale – nel decennio - o poco dopo. Buona la condizione sociale della famiglia e buono il curriculum degli studi: apprendistato a Cartagine per grammatica e retorica e successivo perfezionamento ad Atene; formazione non comune in campo filosofico e giuridico. La curiositas del retore africano si rivolge altresì ai problemi religiosi e alla sfera mistico-magica, facendo emergere aspetti e tradizioni relegati ai margini della cultura ufficiale. La ricerca di concezioni capaci di spiegare i rapporti che legano l’uomo al mondo naturale e al mondo divino avvicina Apuleio alla filosofia platonica, al platonismo che si suole definire ‘medio’ e che corrisponde alla fase di transizione, dal I sec. a.C. agli inizi del III d.C., che le scuole platoniche attraversano, accogliendo spunti aristotelici (per quanto concerne le scienze ∗ La prima redazione è comparsa col titolo La narrativa latina. Petronio e Apuleio, in S. Casarino, A.A. Raschieri (a cura di), Figure e autori del romanzo, Aracne, Ariccia (Roma) , -.   Rileggendo Petronio e Apuleio naturali), prima di giungere a Plotino e al neoplatonismo. Si spiega così la qualifica di philosophus Platonicus che Apuleio accredita di sé e che lo accompagna nel tempo. Tra gli onori ricevuti da Apuleio a Cartagine, dove si stabilisce dopo aver molto viaggiato – ad Atene, a Roma e altrove, viae cupidus qual era – ed esser scampato ai pericoli del processo per magia, si segnala la carica di sacerdos provinciae: carica dai risvolti religiosi, relativi al culto dell’imperatore e di Roma, e civili, riguardanti presidenza della curia locale e allestimento di giochi pubblici. Apuleio sacerdos chiude la scheda biografica: i dati essenziali derivano dall’orazione di difesa nel processo per magia (Apologia) e dagli estratti di orazioni intitolata Florida; si rinuncia invece a letture in chiave autobiografica di sezioni delle Metamorfosi quali di frequente si incontrano tra gli studiosi moderni. Il manifesto della produzione apuleiana si legge in un estratto dei Florida, sulla filigrana di un confronto con Ippia di Elide, l’antico sofista contemporaneo di Socrate e Platone, famoso per versatilità e dottrina. Afferma il nuovo sofista africano: «le mie opere nel campo delle Muse sono più numerose di quelle di Ippia . . . » , perché in grado di riportare a nuova vita (reficere) le composizioni dell’intero sistema letterario: «poesie d’ogni genere, adatte alla verga epica come alla lira, al socco come al coturno; e del pari satire e logogrifi, e poi storie varie e orazioni elogiate dagli esperti di eloquenza nonché dialoghi apprezzati dagli esperti di filosofia: queste e altre composizioni ancora, in greco e in latino, con duplice ambizione, pari studio, analogo impegno stilistico» (Flor. ). Carattere enciclopedico, bilinguismo e capacità di controllo su tutte le tradizioni della cultura antica, consapevole aemulatio dei modelli del passato sotto il segno della continuità e di possibili rifacimenti: sono tratti che apparentano il retore africano ai rappresentanti della Seconda Sofistica, depositari di conoscenze intese come strumento di comprensione del reale, motivo di prestigio sociale e ricco repertorio di possibilità espressive. Dell’enciclopedismo è testimonianza l’elenco delle opere perdute: carmina ludicra e versus amatorii, inni agli dèi, orazioni . Apuleio, autore e opere  e conferenze, Erotikòs lógos (storie d’amore?), Epitoma historiarum (storie abbreviate), Quaestiones convivales, frammenti dell’Hermagoras, forse racconto centrato su vicende di salvezza in chiave ermetica. Si aggiungono versioni di testi filosofici, in particolare di Platone; libri di Astronomica, De proverbiis, De re rustica, De arboribus, De medicinalibus, De musica. Anche da cataloghi così scarni emergono due costanti: attenzione al mondo naturale secondo le scienze di stampo aristotelico (in linea col platonismo medio); pratica di rifacimenti e traduzione (il reficere) come continuità col passato e volontà divulgativa per sanare il divario tra opere greche e un pubblico alfabetizzato solo in latino. Tenace nel tempo è stata la fama di Apuleio come filosofo naturalista ed esperto di medicina (e di magia), tanto da facilitare la diffusione, a suo nome, di scritti non autentici, come il De herbarum medicaminibus liber e la chiusa del De remediis salutaribus, raccolte a mezza via tra medicina empirica e ricette popolari. Tale elenco mostra Apuleio prossimo agli scrittori che nel giro di un secolo – da Plinio il Vecchio a Svetonio dei Prata, da Favorino di Arles a Gellio e a Eliano – si sono misurati con le discipline settoriali e con l’esigenza d’una generale ricomposizione del sapere da consegnare alla società imperiale in via d’espansione. .. Apuleio filosofo e oratore Il compito di fornire quadro d’unione e scala di valori alla personale enciclopedia delle scienze è affidato da Apuleio alla filosofia platonica, già ben consolidata al momento del processo per magia in forza degli scritti trasmessi sotto il suo nome: De deo Socratis, Asclepius, De Platone et eius dogmate, De mundo. Una tradizione separata attribuisce ad Apuleio un opuscolo De interpretatione che porterebbe a cinque gli scritti filosofici. Ci sono questioni di autenticità, negata unanimemente per l’Asclepius e a maggioranza per il De interpretatione: solo il De deo Socratis è da tutti ritenuto apuleiano, mentre sul De mundo e, in misura  Rileggendo Petronio e Apuleio minore, sul De Platone et eius dogmate si sono avanzati sospetti per ragioni di stile. La critica recente riassegna gli ultimi due testi ad Apuleio e spiega le divergenze con la diversa destinazione delle opere sicuramente apuleiane (Apologia, Florida, Metamorfosi, De deo Socratis), destinate a fruizione pubblica e più esuberanti sul piano stilistico. In breve, il De mundo è rifacimento di un trattato pseudoaristotelico conservato, il Περὶ κόσμου (I sec. a.C. o inizi del I d.C.). Più che traduttore (solo una decina di passi sono versioni alla lettera), Apuleio è interprete, che rielabora il testo per un pubblico romano. La prima sezione, sulla cosmologia, passa dalla descrizione dell’etere alla variegata morfologia della terra; nella seconda sezione, sulla teologia, si mostra come il dio supremo e unico, invocato plurimis nominibus , animi il cosmo intero. Legato alle dottrine platoniche è il De Platone et eius dogmate: sintesi della fisica (I libro) e dell’etica (II libro) sulla scorta dei Dialoghi di Platone e del lavoro esegetico dell’Accademia. Manca la trattazione della logica, anche se Apuleio promette un compendio tripartito secondo partizioni invalse nelle scuole. Però il I libro, nella tradizione manoscritta, si chiude con una lacuna, di cui si ignorano estensione e contenuti. Non è da escludere che la sezione logica sia caduta col finale del libro o che abbia avuto vita separata, per ragioni meccaniche o per scelte editoriali antiche; di qui l’ipotesi che il De interpretatione rappresenti la terza parte del trattato. Due aspetti meritano attenzione. Il primo riguarda la biografia di Platone con cui si apre il I libro : è per noi la più antica delle Vitae Platonis; un alone agiografico fa del filosofo una figura in via di avanzata santificazione. Interessante è il cenno ai viaggi di Platone in Egitto per conoscere gli arcani del sapere sacerdotale: dettaglio in sintonia col tema della salvazione isiaca del finale delle Meta. De mund. . Cfr. la polyonymia di Iside in Met. , , . Gli scritti filosofici di Apuleio sono oggetto di nuova edizione: I. Magnaldi, Apulei opera philosophica, Oxford Univ. Press, Oxford . . De Platone , -. . Apuleio, autore e opere  morfosi. Il secondo aspetto, comune al De mundo, è dato dal forte dualismo tra un mondo materiale sempre più basso e il sommo dio sempre più alto e lontano; non si nega tuttavia all’uomo la possibilità di salire dal caos di quaggiù alla conoscenza del sommo bene e farsi simile al dio nei limiti del possibile, secondo il precetto platonico sulla ὁμοίωσις θεῶι κατὰ δυνατόν (Plat. Theaet.  b ). Anche il De deo Socratis presenta un universo diviso, ma popolato da potenze intermedie (mediae potestates), i demoni, che riempiono gli spazi tra terra e cielo e presiedono ai rapporti tra gli uomini e la divinità, mediatori tra poli altrimenti incomunicabili. Così, il demone di Socrate, la voce interiore che trasmetteva i divieti divini, si moltiplica all’infinito e occupa lo spazio intermedio tra la materia e le sedi celesti: forze misteriose (ma intelligibili) che operano nel mondo secondo un disegno provvidenziale che solo il vero philosophus sa conoscere. Intermedia è la natura dei demoni: immortali alla pari della divinità superiore, partecipano tuttavia del mondo inferiore in quanto dotati di corpo (aereo e sottile) e soggetti a passioni, in questo lontani dal dio primo e ineffabile, per natura imperturbabile. Tre, infine, sono le classi dei demoni: la prima è data dalle anime incarnate, cioè dalle anime individuali degli uomini («anche l’anima umana, quando ancora dimora nel corpo, può essere definita demone»); la seconda è formata dalle anime disincarnate che alla fine della vita assumono funzioni deterrenti o protettive, in qualità di Larve o di Lari (a molti compete titolo di deus, come per esempio a Osiride in Egitto); la terza, da sempre libera da legami corporei, di specie più elevata e nobile, ha poteri e ruoli particolari, come per esempio Sonno e Amore. Pur se diversificata, la natura demonica dell’anima individuale, di Osiride e di Amore (Eros, Cupido) è motivo di interesse per i lettori delle Metamorfosi; inoltre, se vero è che il demone di ciascuno «a tutto prenda parte con curiosità (curiose), su tutto indaghi, tutto intenda e a guisa di coscienza penetri nei più  Rileggendo Petronio e Apuleio profondi recessi della mente» , non è meno vero che da umana curiositas prende avvio l’opera principale. Per Apuleio ognuno deve dedicarsi al proprio demone, cioè al culto della propria anima, «culto che altro non è se non l’iniziazione ai misteri della filosofia». Dunque, il demone è interno all’uomo, in quanto anima razionale, ma è anche forza divina: ne consegue che all’uomo si apra la possibilità di contatti diretti col divino, grazie alla mediazione della propria anima, e che l’intera operazione sia posta sotto il segno della filosofia, di cui costituisce l’impegno più sacro. E di energia demonica risulta dotata l’attività filosofica, chiamata a mostrare e a far sì che non vi sia «nulla di più simile e caro al dio di un uomo d’animo perfetto» . Resta da dire qualcosa dell’Asclepius, unico testo del corpus filosofico trasmesso senza attribuzione. Esso appartiene al cosiddetto ermetismo, insieme di testi d’età ellenistico-romana circolanti sotto il nome di Ermete Trismegisto («il tre volte grandissimo»), fusione tra il dio greco Hermes e Thoth, l’omologo dio egizio depositario di saperi segreti. Ermetici sono i testi greci che presentano le rivelazioni di Thoth, primo Ermete, a discepoli e successori ; un discorso rivelatore di Ermete ad Asclepio offre appunto il testo latino, versione d’originale greco. La vicinanza a motivi apuleiani non è però prova sufficiente di autenticità. Veniamo ora all’episodio meglio noto della vita dell’autore, il processo per magia del / d.C., grazie a una fonte di prima mano: l’orazione di difesa (Apologia sive De magia), unico discorso giudiziario latino di età imperiale giunto sino a noi, capolavoro dell’oratoria della Seconda Sofistica . L’accusa . De deo Socratis -. . De deo Socratis . Sulla fortuna del demone di Socrate nella tradizione medioplatonica vd. S. Mecci, Il demone di Socrate nel medioplatonismo, «Giornale Critico della Filosofia Italiana» s. VII, , , - . Testi in A.J. Festugière, La Révélation d’Hermès Trismégiste, I-IV, Paris  (per l’Asclepius II, , -); vd. ora M. Stefani, Ps. Apulei Asclepius, Brepols, Turnhout . . Vd. V. Hunink, Apuleius of Madauros. Pro se de magia (Apologia), I-II, Gieben, Amsterdam . . Apuleio, autore e opere  è d’aver fatto ricorso alla magia per sposare una ricca vedova, fino ad allora contraria a nuove nozze, e assicurarsi l’eredità. Difendendosi dal crimen magiae (che ricadeva sotto le sanzioni della Lex Cornelia de sicariis et veneficis promulgata nell’ a.C. su proposta di Cornelio Silla), in realtà Apuleio difende la filosofia e a sua volta, forte della propria superiorità culturale, accusa d’ignoranza gli accusatori. Non mancano tuttavia spunti da cui sembra emergere il tono sinistro di un potere misterioso, come mostra l’invettiva rivolta al principale accusatore: «Ma su di te, Emiliano, a compenso di tale menzogna il dio messaggero dei signori del cielo e degli inferi attiri la maledizione degli dèi di entrambi i mondi e faccia sempre affluire davanti a te le immagini dei morti, tutta la folla delle ombre e dei lemuri, tutte le schiere dei mani e delle larve, tutti gli spettri della notte, i terrori dei roghi e gli orrori dei sepolcri dai quali, comunque, tu per età e per merito non sei molto lontano» (Apol. ). Ignoto è il verdetto, ma deve esser stato di assoluzione, se Apuleio continua la carriera di conferenziere fino alla carica di sacerdos provinciae. Decisiva è l’esibizione finale del testamento della vedova che nomina erede il figlio: si dimostra così l’inesistenza del movente e si elimina «la radice stessa del processo, cioè l’odioso sospetto d’aver dato la caccia all’eredità» (Apol. ). Nell’orazione ritorna inoltre l’immagine di un universo animato come nel De deo Socratis: «tra dèi e uomini esistono potestà divine, intermedie per natura e spazio occupato, che presiedono a tutte le forme di divinazione e ai prodigi dei maghi» (Apol. ). Per quanto ritoccata con intenti letterari, l’Apologia è un’orazione giudiziaria: si mantiene aderente al dibattito processuale e resiste alle tentazioni di eccessiva elaborazione formale documentata, per esempio, dalla raccolta di passi di orazioni nota col titolo di Florida . In tale raccolta i temi sono di varia natura: aneddoti, elogi di persone autorevoli, spunti mitologi o di vita . Vd. B.T. Lee, Apuleius’ Florida: A Commentary, de Gruyter, Berlin-New York  ( ); F. Piccioni, Apuleio. Florida, cuec editrice, Cagliari .  Rileggendo Petronio e Apuleio politica, exempla illustri e virtuosismi espressivi, infine motivi di ordine filosofico, tra cui non manca un cenno a «potenze divine intermedie che è possibile sentire ma non scorgere, come Amore e altre di tal genere, la cui forma sfugge alla vista, ma la cui forza è ben nota» (Flor. ). Sono brani che contribuiscono a illustrare la figura di un declamatore disinvolto e vivace, orgoglioso dei propri saperi e della propria abilità, virtuoso dell’improvvisazione e della divagazione, compiaciuto del favore che gli riservano autorità e pubblico. .. Apuleio narratore: il racconto dell’uomo-asino e la favola di Amore e Psiche Le opere sin qui ricordate sarebbero sufficienti ad assicurare ad Apuleio posto di rilievo nella storia della cultura latina del II sec. d.C. Ma insieme al filosofo platonico e al retore itinerante coesiste il novellatore part time a cui si deve uno dei pochi testi completi della narrativa latina. Fabula è il termine a cui ricorre Apuleio quando, nel prologo, avverte il lettore che intende intrecciare fabulae di tipo milesio, vale a dire una serie di racconti a sfondo erotico e meraviglioso tenuti insieme da un racconto cornice, in cui la vicenda del protagonista, narrata in prima persona, si fa garante dell’unità dell’insieme . Accanto a Me. La novella milesia prende nome da Aristide di Mileto (fine del II o inizi del I sec. a.C.), autore di Racconti Milesii fatti conoscere a Roma in versione latina da Cornelio Sisenna (storico del I sec. a. C.). Purtroppo dell’originale non rimane che una glossa lessicale e della traduzione latina si contano dieci scarni frammenti; sappiamo tuttavia da celebri passi di Ovidio e di Plutarco che l’argomento di tali racconti era di natura scollacciata e apertamente immorale agli occhi dei benpensanti (Vd. Ov. Tristia ,  sgg. e  sgg.; Plut. Vita Crassi ). In mancanza di termini effettivi di confronto, non è possibile dire se e quanto Apuleio - che rivela straordinaria misura anche nei passaggi più scabrosi - abbia innovato rispetto a eventuali paradigmi della novella milesia, ma se fosse necessario adottare una formula per definire le Metamorfosi, si potrebbe adottare quella di Milesiae Punicae che si legge nella tarda biografia dell’imperatore Clodio Albino (Hist. Aug., Vita Clodii Albini ), e pensare a una specie di variante africana che talvolta è stata evocata dalla critica moderna per designare la forma alta di elaborazione, per stile e contenuto, a cui il . Apuleio, autore e opere  tamorphoseon libri dei manoscritti , Sant’Agostino cita il testo apuleiano come Asinus aureus . In genere si ritiene che Asino d’oro alluda a qualità letterarie e indichi eccellenza artistica. Per altri il senso va cercato tra i valori cromatico-allegorici dei miti egizi che incorniciano il racconto, dalle allusioni del prologo fino all’epilogo isiaco del libro XI. Nelle tradizioni egiziane l’asino è l’animale di Seth, l’uccisore di Osiride: il colore fulvo del suo mantello, simile a quello del deserto, ben potrebbe spiegare l’ambiguo aureus del titolo alternativo ; ma non è da escludere una espressione ossimorica che accoppia la bestia di Seth all’oro di Iside, miniatura a contrasto di percorsi di redenzione. Una spettacolare ed esemplare parabola costituisce la trama del racconto principale. Protagonista è Lucio di Corinto, scholasticus di bell’aspetto e buona condizione sociale, figlio di Teseo e Salvia: congiunta di Plutarco, la madre dal nome beneaugurante assicura parentele filosofiche aperte a prospettive di salvezza; erede di repertori mitico-tragici, il padre dal nome regale è garante di parentele letterarie (euripidee, senecane, plutarchee) che innervano le svolte cruciali della vicenda . Forte di dati anagrafici e culturali di tutto rispetto, Lucio intraprende un viaggio in Tessaglia, terra di magia, spinto da ingenita curiositas verso il mondo dell’occulto: meta è la città di Hypata (“eccelsa”), il cui nome pare suggerire ascese cognitive, racconto di tipo milesio perviene tra le mani del retore-filosofo di Madauro. Come esempi di narrazioni milesie si è soliti citare il fanciullino di Pergamo (Petr. -), la matrona di Efeso (Phaedr.  Havet; Petr. -); Alcifrone (II sec. d.C.), Lettere di parassiti e cortigiane; Epistole erotiche di Aristéneto (V sec. d.C.). . Dopo quelle di Helm e di Robertson, per il testo apuleiano è oggi disponibile l’edizione curata da M. Zimmerman, Apulei Metamorphoseon libri XI, Oxford Univ. Press, Oxford . Da noi è comparso il primo volume dell’edizione nella “Fondazione Lorenzo Valla”: L. Graverini, L. Nicolini (a cura di), Apuleio. Metamorfosi. I. Libri I-III, Mondadori, Milano . . Augustin. De civ. Dei , , . . Di asino pyrrhós (rossiccio, fulvo) parla Plut. De Iside et Osiride B. . La scheda anagrafica del protagonista si ottiene combinando Met. , , - (patria e studi); , ,  (generosa stirps e buona educazione); , ,  e  (nome proprio e aspetto fisico); , ,  (scholasticus).  Rileggendo Petronio e Apuleio ma che è invece trappola in cui si entra bipedi e si esce quadrupedi, degradati a vita asinina. Dunque, la molla che mette il moto la vicenda è la stessa che nel De deo Socratis appare come spinta verso conoscenze superiori, cioè la curiositas. L’oggetto di tanta curiosità non è elevato, ma il lessico impiegato non perde di vista le implicazioni filosofiche del termine, sia pure in contesto depotenziato. Ospite presso una maga dall’intensa attività amatoria (Pamphile, “Colei che ama tutti”), Lucio vuole provarne gli incantesimi e trasformarsi in uccello, un po’ come l’anima platonica, ansiosa di recuperare le ali e risalire in cielo. L’aiuto dell’ancella Photis (“Piccola luce”), tra notturni incontri d’amore e iniziazioni precarie ai misteri della magia, apre a Lucio l’officina feralis della padrona , ma per lo scambio di unguenti magici il giovane si muta in asino, pur conservando facoltà umane (Met. , , ). Le notti di Hypata sfigurano il protagonista dal nome solare e lo privano di identità fisica e statuto sociale. Prima che Lucio possa valersi dell’antidoto delle rose, irrompe una banda di briganti che saccheggia la casa dell’ospite e fa razzia degli animali, veri e di recente imbestiamento, immettendo l’uomoasino nel mondo esterno, a vivervi la propria morte civile. Fin qui il racconto dei primi tre libri, intercalato da novelle ed episodi funzionali al tema principale. Dal IV al VII libro si sviluppa il grande intermezzo riservato ai latrones che – nel gioco di ’scatole cinesi’ e racconti speculari del testo – si fa contenitore della triste storia di Charite, a sua volta castone della favola di Cupido e Psyche. L’irruzione dei briganti fa scattare l’odissea dell’irriconoscibile eroe, allontana l’antidoto, apre davanti all’ex scholasticus insoliti spazi e infelici frequentazioni. Al seguito della banda Lucio-asino conosce la rude pedagogia del bastone, regredisce dal cotto al crudo sul piano alimentare e da civiltà a selvatica barbarie sul piano della vita associata; è inoltre cronista di banchetti bestiali e imprese criminose, di rapimenti crudeli . Vd. L. Costantini, The Real Tools of Magic: Pamphile’s Macabre Paraphernalia (Apuleius, Met. , , -), «Ancient Narrative» , , -. . Apuleio, autore e opere  e affabulazioni consolatorie, di tentativi di fuga e minacce di drastiche punizioni. La rovina dei latrones e la tragedia della casa di Charite segnano per Lucio l’inizio di un non meno faticoso ritorno verso l’habitat e la condizione degli uomini. A partire dal libro VIII l’uomo-asino passa al servizio di un gruppo di sacerdoti ciarlatani, di un mugnaio, di un ortolano, di un soldato e ancora di un cuoco e un pasticcere al seguito di un ricco signore, che lo riporta a Corinto e lo reimmette negli spazi frequentati dall’uomo. Negli intervalli della storia principale l’Io narratore allarga la scena sulla ’commedia umana’ della società con un’ampia sezione de spectaculis: le novelle di adulterio del IX libro simili a tricae di mimi ; nel X libro i drammi della matrigna innamorata e dell’avvelenatrice che precedono la descrizione della grande pantomima nel circo di Corinto . Il non più dilazionabile ritorno all’umanità diventa oggetto del libro XI, ultimo di una serie (+) poco canonica per tradizione letteraria ma forse modellata sul rito della iniziazione isiaca che si concludeva nell’undicesimo giorno . L’uomo-asino fugge dal circo verso il porto di Corinto (sede d’un celebre santuario isiaco) e s’addormenta sulla spiaggia, dopo aver invocato la fine del penoso stato bestiale. L’epifania notturna della dea Iside annuncia il recupero dell’umanità e il nuovo status di fedele isiaco. La retro-metamorfosi si compie nel corso della festa primaverile della dea: le rose di Iside cancellano la dira facies del quadrupede e segnano l’inizio di una nuova vita. Recuperate le fattezze umane e iniziato una prima volta ai misteri di Iside, Lucio si trasferisce a Roma (la vera città “eccelsa”), dove è sottoposto ad altre iniziazioni. Nella capitale dell’impero al giovanetto di Corinto, esploratore curioso del mondo magico, si sostituisce infine un brillante avvocato devoto dei culti egizi. . Met. , - (novella della giara); - (novella di Filesitero); - (novella del mugnaio). . Met. , -;  sgg.; - (Giudizio di Paride). . Met. , , -; , . La relazione tra durata dell’iniziazione e numero dei libri delle Metamorfosi è osservazione che si deve a Bruno Lavagnini.  Rileggendo Petronio e Apuleio Nel racconto-cornice Apuleio sfrutta materiali narrativi collaudati, sia dalla coeva fioritura del romanzo greco sia da narrazioni centrate su metamorfosi asinine, in particolare – come si è già anticipato – da due antecedenti greci, Lucio o l’asino, conservato nel corpus delle operette di Luciano di Samosata (II sec. d.C.) e i libri di Metamorfosi dell’altrimenti ignoto Lucio di Patre citati nella Biblioteca del patriarca bizantino Fozio (cod. ). L’imbestiamento di Lucio è uno dei capitoli della vasta letteratura di metamorfosi che nell’antichità inizia con la trasformazione dei compagni di Ulisse per mano di Circe (Odissea ,  sgg.), attraversa la novellistica degli animali parlanti del filone Esopo-Fedro e i ’bestiari’ filosofici pitagorico-platonici, per giungere alle Metamorfosi di Ovidio o al racconto del licantropo nel Satyricon (-). Sono variazioni di temi narrativi di grande fortuna: se ne avverte la presenza anche nelle novelle inserite nel racconto-cornice: dalle tre novelle di magia dei primi libri, che introducono l’atmosfera magica della Tessaglia e le future esperienze di Lucio, alle tre storie centrali di briganti, che intensificano i toni avventurosi e racchiudono la favola di Cupido e Psyche, e alla narrazione di fatti luttuosi e criminali che preludono alla redenzione dell’ultimo libro. L’assenza di tali inserzioni e del finale isiaco nei precedenti rende lecita l’ipotesi che si tratti di parti apuleiane aggiunte alla trama d’origine: se non si perde di vista la bussola platonica che orienta l’intera vicenda, non v’è dubbio che il romanzo sia la prova più alta di quell’arte del rifacimento (il reficere di Flor. ) in cui Apuleio stesso ha posto l’apice della propria maestría. Le Metamorfosi segnano l’emergere a livello letterario di tradizioni narrative folcloriche; in particolare non mancano raffigurazioni di Psyche su documenti papiracei e glittici anteriori all’età di Apuleio . Tuttavia, in assenza di fonti letterarie precedenti, se non è possibile valutare il tasso di originalità o almeno di autonomia delle Metamorfosi, a contare davvero sono le ra. Vd. N. Icard-Gianolio, Psyche, in Lexikon Iconographicum Mythologiae Classicae, VII, , -. . Apuleio, autore e opere  gioni che sembrano guidare l’autore nel connettere la favola di Cupido e Psyche e il racconto dell’uomo-asino. Come Platone ricorreva al mito come mezzo di approssimazione a verità ardue per interlocutori non esperti, Apuleio ricorre a una bella fabella per rendere intelligibile il difficile itinerario che l’anima deve compiere per risalire al divino dal mondo materiale. Si sviluppa così la favola di Cupido e Psyche che occupa lo spazio centrale del testo (Met. ,  - , ) e ne costituisce la chiave simbolica, inserto di natura speculare in cui l’intera opera si riflette e riorienta in senso filosofico. È il brano più letto e studiato del romanzo, con trama giocata su sapienti toni fiabeschi e allusivi. Gelosa della bellezza di Psyche (il termine greco che designa l’anima), Venere ordina al figlio Cupido (Eros, Amore) di far nascere nella fanciulla, che è figlia di re, una passione per il più ignobile degli uomini. Ma il dio si innamora di Psyche e la fa portare nel suo aureo palazzo, dove la visita nottetempo a patto di rimanere ignoto. Vinta dalla propria curiositas – motivo che apparenta Psyche a Lucio e su cui si gioca il parallelismo tra le due vicende –, Psyche infrange il divieto, a lume di lucerna osserva lo sposo dormiente e se ne innamora (Met. , , : in Amoris incidit amorem); una goccia d’olio sveglia Cupido, che fugge sulla vetta dell’Olimpo. Abbandonata e perseguitata da Venere, Psyche affronta difficili prove per ricongiungersi allo sposo perduto. Rischia il fallimento nell’ultima prova – riportare dagli inferi una misteriosa pisside – a causa, manco a dirlo, di temeraria curiosità. Solo un intervento divino, a questo punto, può assicurare salvezza: Cupido intercede presso Giove e Giove placa l’ira di Venere; così Psyche è assunta in Olimpo, sposa immortale del dio dell’amore. Narrata da una vecchia malvissuta a una fanciulla dal nome parlante (Charite-Grazia) prigioniera dei briganti, la bella fabella è una riedizione del mito di Eros in cui valenze mistiche ed echi platonici si saldano sotto la spinta del piacere di raccontare. Il racconto suscita la reazione dell’uomo-asino, che si duole di non aver a disposizione tavolette e stilo per sottrarre la storia a tanto precaria fonte orale. In effetti, che insieme al lettore sia  Rileggendo Petronio e Apuleio Lucio il destinatario vero (e il beneficiario primo) della favola, non c’è dubbio, stanti i paralleli tra i suoi e i casi di Psyche. Entrambi, vittime della curiositas (per le arti magiche il primo, la seconda per le sembianze dello sposo ignoto), decadono dal loro stato e devono affrontare, imbestiato l’uno e schiava di Venere l’altra, indicibili tormenti prima di ottenere, grazie a itinerari iniziatici e a interventi divini, la redenzione finale: Psyche in Olimpo come legittima sposa di Cupido, Lucio a Roma (Olimpo terreno) come avvocato di grido e seguace dei culti egizi. In entrambi i casi si attua una positiva integrazione dell’umana curiositas, la quale tuttavia costituisce la molla prima che fa scattare ogni processo di ricerca; in entrambi i casi, le vicende capricciose della fortuna si compongono finalmente in un disegno provvidenziale sotto la guida delle forze demoniche che permettono l’ascesa dal caos del mondo sensibile al contatto beatificante (e gratificante sul piano sociale) con la sfera divina. Il dittico delle Metamorfosi si ricompone così in quadro unitario, perché la storia che Apuleio racconta è una sola, sebbene sdoppiata nelle vicende dei due personaggi, come una sola – e sdoppiabile – è la figura umana che, a metà strada tra cielo e terra, verso il basso proietta ombra di bestia, mentre verso l’alto libera la bellezza dell’anima. Il che equivale ad ammettere che nel romanzo il retore-filosofo resti fedele alla concezione del mondo descritta nelle opere filosofiche e ribadita nell’orazione di autodifesa. Che il viaggio sia elemento strutturale dei racconti d’avventure in genere e delle Metamorfosi in particolare è osservazione ricorrente tra gli studiosi, ma bisogna aggiungere che il viaggio dell’asino umano, parodico rispetto alle trame dei romanzi greci, assicura notevoli novità. In deroga ai racconti tradizionali di avventure, che immettono eroi viaggiatori in paesi mal noti e ricchi di mirabilia, qui succede che l’implosione dell’elemento magico-meraviglioso nella figura del protagonista consenta di acquisire una nuova ottica (dal basso) da cui guardare e descrivere la società di tutti i giorni, anche nei suoi strati inferiori. L’esotismo viene dunque sostituito dal realismo, secondo ten- . Apuleio, autore e opere  denze che avvicinano le Metamorfosi più al Satyricon che ai romanzi greci: l’opera apuleiana è per noi l’unico testo narrativo latino in grado di offrire rappresentazioni ravvicinate della vita quotidiana di provincia nel II secolo dell’impero. Per narrare la cronaca di tutti i giorni, fatta di vicende private e personaggi sconosciuti, non occorrono storici di professione: è sufficiente la ’storiografia minore’ dell’asino, in quanto sotto la pelle d’un animale refrattario a completa domesticazione l’Io narrante trova defilato posto di osservazione per ’conoscere’ e registrare i fatti privati, riducendo così il mestiere dello storico, per tradizione fondato su autopsia e ascolto di testimoni, a divertite combinazioni dell’arte di sbirciare e origliare. Tale situazione comporta implicazioni sul piano compositivo. La prima riguarda il frequente ricorso a nozioni giuridiche e casi giudiziari: non si tratta solo di compiaciute intrusioni di cognizioni professionali d’autore, ma del modo più efficace per mediare tra natura pubblica della forma letteraria e carattere privato dei contenuti. Spetta infatti alla sfera del diritto, civile e penale, il compito di fornire lessico e parametri grazie ai quali il privato acquista rilievo e interesse pubblico. E siccome sono i crimini i momenti in cui la vita privata diventa pubblica, è sul terreno dei delitti e delle pene che Apuleio investe con intensità il proprio sapere giuridico, per affermare un’idea di giustizia prossima, ideologicamente, alle idee di giustizia dominanti (dei gruppi dominanti) nella società imperiale. Una seconda implicazione, di natura letteraria, concerne la matrice epica sottesa al viaggio straniato di un eroe irriconoscibile nel proprio mondo. Il rinvio d’obbligo agli incantesimi di Circe ha già indicato la direzione: il richiamo all’Odissea è scontato, non solo perché è il prototipo occidentale dei racconti di viaggio e avventura, ma soprattutto perché le Metamorfosi sono disseminate di rimandi alle peripezie di Ulisse. Sempre dall’epica, come si è detto, derivano l’ira divina nei confronti dei personaggi (l’ira di Venere verso Psyche non si può liquidare come motivo parodico) e la loro catabasi infernale, Lucio agli inferi dell’imbestiamento, Psyche in cerca della pisside di Persefone.  Rileggendo Petronio e Apuleio Intendiamoci: la derivazione non fa velo alla maniera originale in cui l’autore ripropone temi e motivi diffusi. Infine, come si è già accennato, anche Apuleio si misura col tema romanzesco della separazione dei personaggi che aspirano a vita di coppia: alla separazione degli amanti degli erotici scriptores greci, al terzetto omoerotico che nel Satyricon si scompone e ricompone di continuo, le Metamorfosi oppongono duplice dolorosa scissione, tra Psyche-Anima e la sfera del divino, tra Lucio e se stesso, tra il Lucio solare e la parte bestiale che si cela in ogni uomo. Anche in questo caso la ricomposizione finale assicura l’happy end della storia, anzi delle due storie parallele: Psyche ritrova lo sposo divino e viene assunta in Olimpo, Lucio recupera la postura umana e soggiorna nella capitale dell’impero. Possiamo a questo punto osservare come la soluzione adottata da Apuleio, filosofo e narratore, non sia semplice variante di comodo, ma serio adattamento di un ingrediente di natura narrativa agli scenari filosofici (l’uomo, l’anima, il cosmo) che gli sono cari. Succede così che divertimento e meditazione (presenti – credo – fin dall’invito al lettore che chiude il prologo) non si escludano a vicenda, ma appaiano livelli di lettura connessi in virtù di una scrittura che sa farsi insieme realistica e allusiva, che sa evocare, tra le maglie del mondo fisico, il misterioso e l’immaginario, che sa far sentire, anche tra le scene più basse, i segni di presenze partecipi della vita segreta del cosmo. Come scrittore Apuleio consuma fino in fondo l’esperienza stilistica della “nuova sofistica” cui sa aggiungere vertiginosa abilità personale. Saldo impianto retorico e sapiente dosaggio di arcaismi e volgarismi, rapidi passaggi e costante capacità di controllare aggiunte e disgressioni, funambolica tensione espressiva, calibrata miscela di preziosismi formali e sermocinazione quo. Met. , : lector intende: laetaberis. Promessa di divertimento («lettore, fa’ attenzione: ti divertirai»), ma anche invito più alto, se si bada alle potenzialità espressive dei singoli termini: «lettore, tendi l’animo tuo: troverai la tua letizia», che va oltre il semplice divertimento (primo e immediato livello di fruizione) e si attesta ai livelli della meditazione, con l’intenzione di impegnare anche i destinatari meno scaltriti a cogliere le occasioni di riflessione offerte dal testo. . Apuleio, autore e opere  tidiana, accorgimenti lessicali di elocutio poetica accanto a toni risentiti o paludati o parodici: tutti questi aspetti, integrati da sorridente umorismo e raffinati pezzi di bravura, fanno delle Metamorfosi un unicum nella storia della prosa latina. Nota bibliografica Edizioni, commenti e traduzioni Editio princeps (a cura di Giovanni Andrea de’ Bussi, -, vescovo di Aleria e segretario di papa Sisto IV), Romae . F. Beroaldus (-), Commentarii conditi in Asinum Aureum L. Apulei, Bononiae . J. Fleury (Floridus, ca. -), L. Apuleii opera in usum Delphini, Parisiis . F. Oudendorp (-), Apuleii opera omnia, Lugduni Batavorum I,  (a cura di D. Ruhnken) - II,  (a cura di I. Bosscha). G.F. Hildebrand (-), L. Apuleii opera omnia,  voll., Lipsiae  (= Hildesheim ), R. Helm, Apulei Platonici Madaurensis Metamorphoseon libri XI, Lipsiae  (rist. ). R. 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La formulazione suona anche un po’ sorprendente, perché, se è vero che l’autore di Boccaccio medievale ha ragioni da vendere nel considerare il capolavoro trecentesco come summa della cultura dell’età di mezzo, dunque della tradizione letteraria romanza, non è men vero che in oltre mezzo secolo di ricerche ∗ Prima stesura in C. Allasia (a c. di), Il Decamerone nella letteratura europea, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma , -. . La citazione è tratta da Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Le Monnier, Firenze  , xv. . Per essere poi sostituite da pratiche intra- e intertestuali ritenute più duttili: cfr. per es. C. Cazalé Bérard, Intratestualità e intertestualità: proposte metodologiche per un’analisi del racconto, in R. Morabito (a c. di), La storia di Griselda in Europa, Japadre, L’Aquila-Roma , -. . Sansoni, Firenze ; cfr. ora V. Branca, Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Sansoni, Firenze  .   Rileggendo Petronio e Apuleio e di scoperte benemerite Vittore Branca abbia saputo ricostruire il travaglio redazionale delle novelle – per restare all’opera maggiore di cui qui si discorre – e abbia contribuito a mostrare come il loro tessuto compositivo ospiti con buona frequenza temi e motivi che salgono dal passato classico e che trovano nel novelliere un lettore tutt’altro che occasionale o distratto . In effetti, si può dire che l’intera carriera di Giovanni Boccaccio, dalla formazione giovanile e dagli studi di latino sotto la guida di Giovanni di Domenico Mazzuoli da Strada (il padre di Zanobi) fino alle opere tarde, si compie all’insegna di mai sopiti interessi nei confronti delle lettere antiche; e non solo delle lettere di Roma, se ci ricordiamo degli studi della lingua greca iniziati a Napoli sotto la guida del monaco calabrese Barlaam e continuati a Firenze con l’aiuto di Leonzio Pilato, lettore nello Studio Fiorentino e traduttore in latino dei poemi omerici . La critica moderna ha segnalato la presenza di autori classici . Penso in particolare alle note apposte all’edizione del Decameron, Einaudi, Torino  (rist. ). Si vedano i due volumi dedicati a Il capolavoro del Boccaccio e due diverse redazioni, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia , il primo di M. Vitale (La riscrittura del Decamerone. I mutamenti linguistici) e il secondo appunto di V. Branca (Variazioni stilistiche e narrative). Tra gli infiniti meriti dello studioso va ricordato quello di aver diffuso l’iconografia del Certaldese e reso ’visibili’ i manoscritti delle sue opere: V. Branca (a cura di), Boccaccio visualizzato. Narrare per parole e per immagini fra Medioevo e Rinascimento, I-III, Einaudi, Torino . . Cfr. tra l’altro H. Hauvette, Boccace. Étude biographique et littéraire, Colin, Paris ; A. Pertusi, Leonzio Pilato fra Petrarca e Boccaccio, Fondazione Cini, VeneziaRoma ; V. Branca, Giovanni Boccaccio. Profilo biografico, Le Lettere, Firenze  ; P.G. Ricci, Studi sulla vita e le opere del Boccaccio, Ricciardi, Milano-Napoli ; A. Carlini, Leonzio Pilato e la grecità ai tempi del Petrarca, in V. Fera (a c. di), Vigilia greca normanna. Il Platone di Enrico Aristippo, Provincia di Reggio Calabria, Reggio Calabria , -; S. Gioffrè, Leonzio Pilato, Rubettino, Soveria Mannelli ; V. Mangraviti, L’Odissea marciana di Leonzio tra Boccaccio e Petrarca, Brepols, Turnhout . Su casi particolari attirano l’attenzione D. Anderson, Before the “Knight’s Tale”: Imitation of Classical Epic in Boccaccio’s “Teseida”, Univ. of Pennsylvania Press, Philadelphia , e I. Candido, ‘Venus duplex’: Apuleio nel ‘Teseida’ e nella ‘Comedia delle ninfe fiorentine’, in E. Filosa, M. Papio (a c. di), Boccaccio in America, Longo, Ravenna , -; prospettiva più ampia in J.H. McGregor, The Image of Antiquity in Boccaccio’s Filostrato, Filocolo and Teseida, Lang, New York . Come è noto, la ’competenza’ della lingua greca, sussidio di interessi mitologici, viene esibita nella formazione di antroponimi di andamento ellenizzante e nella scelta di alcuni titoli (Filocolo, Filostrato). . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  nelle opere di Boccaccio e ha ricordato i testi latini che si sono via via alternati sul suo scrittoio o sono rimasti fino alla fine nella sua biblioteca, per iniziare successivamente il viaggio alla volta della Laurenziana . L’inventario comprende, come si è visto, tutti gli autori che hanno conosciuto continuità di trascrizione e di studio lungo il Medio Evo e che hanno segnato in vario modo l’universo culturale di personaggi della statura di Brunetto Latini, di Dante e di Petrarca; si tratta di inventario davvero ricco, che va da Cicerone ai poemi di Virgilio e di Ovidio, da Livio a Quintiliano e a Plinio, da Orazio a Tacito e a S. Gerolamo, da Seneca e Stazio ad Ausonio e a S. Agostino. Ma accanto agli autori latini che innervano la koiné intellettuale dell’Europa medievale, assicurano tratti comuni a latitudini diverse e lasciano «il segno della ragione» classica anche sulle opere di ispirazione fantastica, la curiositas di Giovanni Boccaccio ha il merito indubbio di aver promosso la ricezione del più grande novelliere-filosofo della latinità argentea, vale a dire dell’africano Apuleio di Madauro . L’operazione merita di essere ricordata, in quanto agisce su duplice registro: il primo riguarda . Vd. in part. G. Velli (-), Memoria, in R. Bragantini, P.M. Forni (a cura di), Lessico Critico Decameroniano, Bollati Boringhieri, Torino , -. . Cfr. A. Mazza, L’inventario della ’parva libraria’ di Santo Spirito e la biblioteca di Boccaccio, «Italia Medioevale e Umanistica» , , -; B.L. Ulman, Ph.A. Stadter, The Public Library of Renaissance Florence. Niccolò Niccoli, Cosimo de’ Medici and the Library of San Marco, Cedam, Padova ; L. Regnicoli, M. Boschi, Integrazioni alla biblioteca del Salutati, «Medioevo e Rinascimento» , , -. . Senza differenza tra scritti autentici o meno: cfr. per es. J. Usher, A Quotation from the Culex in Boccaccio’s De Casibus, «The Modern Language Review» , , -. . Espressione mutuata dal discorso iniziale di Pampinea (I, Introd. ): cfr. V. Kirkham, The Sign of Reason in Boccaccio’s Fiction, Olschki, Firenze . . Pesantemente datate e ormai superate sono da considerare le pagine riservate a Boccaccio da J.E. Sandys, A History of Classical Scholarship, II, Cambridge Univ. Press, Cambridge  (= Thoemmes Press, Bristol ), -. Anche se si tratta di opera benemerita della storia degli studi classici e se il giudizio sull’autore del Decameron è segnato da non celata ammirazione, il lettore cercherà invano il nome di Apuleio in rapporto a Boccaccio, introdotto, un po’ a sorpresa, da queste parole: «his education had unfortunately been left unfinished, and his knowledge of Latin remained imperfect to the last».  Rileggendo Petronio e Apuleio la storia del testo apuleiano e getta le premesse della tradizione linguistica umanistica e rinascimentale che va sotto il nome di apuleianesimo; il secondo riguarda l’opera stessa di Boccaccio e costituisce l’inizio della fortuna di Apuleio in età moderna. Vediamo dunque come stanno le cose, prendendo le mosse dal luogo in cui gli scritti di Apuleio oratore e novelliere sono stati conservati, cioè dall’Abbazia di Montecassino . Per tre opere apuleiane, Apologia sive De magia, Metamorphoses (o Asinus aureus) , Florida, dei circa quaranta testimoni superstiti il più autorevole è un manoscritto copiato a Montecassino nella seconda metà del sec. XI e successivamente portato a Firenze, dove è conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana (cod. Laurentianus . , sigla F, cod. Florentinus): vergato in scrittura beneventana, è ormai illeggibile in molti passi . Il codice è rilegato insieme al codice contenente la . Sull’importanza dell’Abbazia cfr. almeno H. Bloch, Montecassino in the Middle Ages, I-III, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma ; M. Dell’Omo, Montecassino, Un’abbazia nella storia, Biblioteca Miscellanea Cassinese, Montecassino . . E’ il titolo trasmesso da Augustin. De civ. Dei , , : ... sicut Apuleius in libris, quos Asini aurei titulo inscripsit, sibi ipsi accidisse, ut accepto veneno humano animo permanente asinus fieret, aut indicavit aut finxit. L’importanza di un altro scritto di Apuleio, il De deo Socratis, nella cultura tardo-antica si misura dall’impegno profuso da Sant’Agostino nell’VIII e nel IX libro del De civitate Dei per commentarlo e confutarlo passo passo: tra i contributi più recenti cfr. L. Karfiková, Augustinus’ Polemik gegen Apuleius, in AA. VV., Apuleius. Über den Gott des Sokrates, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt , -. . Sul manoscritto e la sua copia cfr. E.A. Lowe, The Unique Manuscript of Apuleius’ Metamorphoses (Laurentian. . ) and its Oldest Transcript (Laurentian. . ), «Classical Quarterly» , , - (= Id., Palaeographical Papers -, a c. di L. Bieler, I, Clarendon, Oxford , -); E. Casamassima, in VI Centenario della morte di Giovanni Boccaccio. Mostra di manoscritti, documenti ed edizioni, I, a cura del Comitato Promotore, Certaldo , -; O. Pecere, Esemplari con subscriptiones e tradizione dei testi latini. L’Apuleio Laur. ,  () e Qualche riflessione sulla tradizione di Apuleio a Montecassino (), ora in O. Pecere, A. Stramaglia. Studi apuleiani, Edizioni dell’Università degli Studi di Cassino, Cassino , - e -; M. Baglio, M. Ferrari, M. Petoletti, Montecassino e gli umanisti, in G. Avarucci, R. M. Borraccini Verducci, G. Borri (a c. di), Libro, scrittura, documento della civiltà monastica e conventuale nel basso medioevo (secoli XIII-XIV), CISAM, Spoleto ,  sgg.; G. Magnaldi, G.F. Gianotti (a c. di), Apuleio. Storia del testo e interpretazioni, Ed. dell’Orso, Alessandria  ,  sgg.; G. Ammannati, Lectio falsa et emendatio. Congetture alle Metamorfosi . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  seconda metà degli Annales (libri XI-XVI) e le Historiae (libri I-V) di Tacito, anch’esso scritto nel sec. XI a Montecassino : testimone della fioritura artistica e culturale del convento benedettino, al tempo dell’abate Richerio di Niederaltaich (-) e, soprattutto, per iniziativa di un successore, il dotto abate Desiderio (-), poi papa come Vittore III . L’attività di quel centro scrittorio ha conservato, oltre ad Apuleio e Tacito, il De lingua latina di Varrone, i Dialogi di Seneca e il De aquae ductibus di Frontino e altro ancora. Il Laurenziano conserva tracce di un antico modello riveduto e corretto alla fine del IV sec. tra Roma e Costantinopoli (subscriptiones di Sallustius, scolaro del retore Endelechio) . Sempre a Montecassino, intorno al , viene redatta una copia diretta del codice principale (F) dopo che questi ha subito la mutilazione del foglio  (corrispondente a Met. , -) ma prima che ingiurie del tempo e interventi di correttori ne rendessero indecifrabili molte scritture: tale apografo, prezioso perché consente – a dispetto delle negligenze e delle interpolazioni che lo deturpano – di ricostruire le lezioni originali di F nei passi di difficile lettura, è a sua volta conservato nella Biblioteca Laurenziana di Firenze (cod. Laurentianus . , sigla φ). Da una copia di F anteriore al guasto del f.  di Apuleio e considerazioni sulla fisionomia filologica del Laur. . (F), «Materiali e Discussioni» , , -. . Il testo di Tacito occupa i ff. -v (sigla M, cod. Mediceus), quello di Apuleio i ff. v-v (è questa la parte che si indica con F). Cfr. H. Rostagno (a c. di), Tacitus. Codex Laurentianus  II phototypice editus, Brill, Lugduni Batavorum . . Cfr. G. Cavallo, Libri e continuità della cultura antica in età barbarica, in Magistra barbaritas. I barbari in Italia, Garzanti-Scheiwiller, Milano  ,  sgg.; H.E.J. Cowdrey, L’abate Desiderio e lo splendore di Montecassino, tr, it., Jaca Book, Milano ; S. Adacher, G. Orofino (a c. di), L’età dell’abate Desiderio. I. I manoscritti cassinesi del secolo XI, Biblioteca Miscellanea Cassinese, Montecassino ; F. Avagliano, O. Pecere (a c. di), L’età dell’abate Desiderio, ibid., Montecassino ; F. Newton, The Scriptorium and Library at Monte Cassino, -, Cambridge Univ. Press, Cambridge , in part.  sgg. . Cfr. O. Pecere, Esemplari con subscriptiones cit.; Id., La tradizione dei testi latini tra IV e V secolo attraverso i libri sottoscritti, in A. Giardina (a c. di), Società romana e impero tardoantico. IV. Tradizione dei classici, Trasformazioni della cultura, Laterza, Roma-Bari , -; A. Stramaglia, Apuleio come auctor: premesse tardoantiche di un uso umanistico (), in O. Pecere, A. Stramaglia. Studi apuleiani, cit., -.  Rileggendo Petronio e Apuleio (e perciò anche alla trascrizione di φ) – oppure dall’antigrafo dello stesso F forse di ambiente salernitano – deriverebbe un gruppo di codici recenziori, pre-umanistici e umanistici, tra i quali spicca l’Ambrosianus N.  sup. (sigla A), vergato da due mani diverse prima della fine del sec. XIII: questi manoscritti, tra cui va segnalato un altro codice Laurenziano (. , sigla L ), autografo di Boccaccio, permettono di colmare la lacuna di Met. , - (il f.  di F) e non di rado restituiscono lezioni genuine o buone congetture là dove F e φ presentano guasti o errori . A parte vanno menzionati dieci fogli frammentari con parti dell’Apologia trovati negli anni Quaranta del secolo scorso nella Biblioteca Comunale di Assisi e ivi registrati col n°  (sigla C): sono i resti di un codice in beneventana coevo di F e considerato testimone della stessa tradizione . Questo per quanto concerne la fase più importante, anzi decisiva, della storia medievale degli scritti di Apuleio oratore e novelliere; si deve però subito aggiungere che anche per la tradizione delle opere filosofiche di Apuleio, philosophus Platonicus , . Cfr. F. Newton, The Scriptorium and Library at Monte Cassino, cit.,  e n. . Sugli ambienti culturali di Salerno cfr. B. Lawn, The Salernitan Questions: An Introduction to the History of Medieval and Renaissance Problem Literature, Clarendon, Oxford . . Cfr. D.S. Robertson, The Manuscripts of the Metamorphoses of Apuleius, «Classical Quarterly» , , - e -. Quadro d’insieme della tradizione manoscritta di Apuleio oratore e novelliere nelle pagine introduttive alle edizioni Teubner (R. Helm, Lipsiae -), “Corpus Paravianum” (C. Giarratano, Torino ; C. Giarratano, P. Frassinettii, ibid. ), “Belles Lettres” (D.S. Robertson, P. Vallette, Paris -). Si aggiunga J.H. Gaisser, The Fortune of Apuleius and the Golden Ass. A Study in Transmission and Reception, Princeton Univ. Press, Princeton . . D.S. Robertson, The Assisi Fragments of the Apologia of Apuleius, «Classical Quarterly» n.s. , , -; F. Piccioni, Sull’Assisiate  del De magia di Apuleio, «Segno e Testo» , , -. . Oltre al De interpretatione le opere che costituiscono il corpus filosofico dello scrittore africano sono il De deo Socratis, il De Platone et eius dogmate, il De mundo e l’Asclepius: non sono mancati dubbi sull’autenticità degli ultimi due scritti (in parte superati solo sul De mundo). Cfr. B.L. Hijmans Jr., Apuleius Philosophus Platonicus, in Aufstieg und Niedergang der röm. Welt, II, ., de Gruyter, Berlin-New York , ; R. Klibansky, F. Regen, Die Handschriften der philosophischen Werke des Apuleius, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen . . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  sebbene separata rispetto a quella di Apologia e Metamorfosi, si deve pensare all’Italia Meridionale, e in particolare ad ambienti dotti di Salerno e di Napoli, come centro di interesse e di irradiazione, così come non si deve escludere un passaggio dallo scriptorium di Montecassino, come mostra per esempio la lettura del De deo Socratis apuleiano da parte di Alfano vescovo di Salerno († ), vissuto a lungo nell’Abbazia insieme al coetaneo e concittadino Guaiferio, poeta e agiografo che a sua volta rivela buona familiarità coi Florida . Sulle conseguenze della compresenza delle due tradizioni testuali apuleiane (dell’oratore-novelliere e del filosofo) si avrà occasione di aggiungere qualche considerazione in seguito; per il momento piace osservare come Montecassino non sia unicamente tappa cruciale degli itinerari dei testi lungo la curva del tempo, ma rappresenti una tappa importante per gli itinerari degli uomini, lungo la direttrice nord-sud di un iter Italicum che unisce Firenze e Napoli (con eventuali andate e ritorni). .. La riscoperta di Apuleio Bene: di viaggi concreti possiamo ora parlare, a cominciare dal , cioè dall’anno in cui Boccaccio adolescente si trasferisce da Firenze a Napoli, dove può portare a compimento la propria formazione sostituendo progressivamente l’interesse per il mondo delle lettere agli indirizzi voluti dal padre per il . Cfr. Alphanus, Vita et passio S. Christinae, PL Migne , b: ... in illo libello Apulei, qui de deo Socratis titulatur, in quo propter incredibilem copiam suavitatemque dicendi saepe et multum studere solebamus. Cfr. Waifarius, Vita S. Secundini et Vita S. Lucii papae et martyris, PL Migne , c (Flor. , -) e c-d (Flor. , ). Cfr. M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, II, Beck, München , ,  e ; S. Costanza, La fortuna di L. Apuleio nell’età di mezzo, Scuola Salesiana del Libro, Palermo , ; E.H. Haight, Apuleius and his Influence, Cooper Square Publishers, Inc., New York  ,  sg.; C. Moreschini, Sulla fama di Apuleio nel Medioevo e nel Rinascimento, in Studi filologici, letterari e storici in memoria di G. Favati, II, Antenore, Padova ,  sgg.; M. Dell’Omo, Alfano I, Montecassino e Salerno, «Latium» , , -; F. Piovesan, Per il testo e le fonti di Guaiferio, «Civiltà Classica e Cristiana» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio mondo della mercatura e del diritto canonico. Come è noto, il soggiorno napoletano (fino al ), la frequentazione degli ambienti colti della capitale angioina e la presenza di maestri e amici consentanei – da Cino di Pistoia a Paolo da Perugia, da Andalò del Negro a Barbato da Sulmona, da Dionigi di San Sepolcro a Nicola Acciaiuoli – sono decisivi per rivelare le vere inclinazioni del giovane, metterlo a contatto con tradizioni letterarie a tutto campo – dai classici a Dante, dai fabliaux a Petrarca –, tenere inoltre a battesimo le prime prove d’autore . Per quanto concerne il discorso che qui interessa, si può dire che la strada che porta ad Apuleio, aperta dai volgarizzamenti di classici latini , viene chiaramente indirizzata o, comunque, corroborata attraverso due autori africani tardoantichi che testimoniano della fortuna dello scrittore africano all’indomani dell’edizione o della revisione testuale operata da Sallustius e che sono saldamente insediati nella tradizione scolastica medievale: Marziano Capella e Fulgenzio . I nove libri del De nuptiis Mercurii et Philologiae del primo incorniciano una vera e propria enciclopedia delle sette arti liberali entro un racconto nuziale che risente della favola di Amore e Psiche e del gusto platonizzante per forme di mediazione tra cielo e terra: il tutto teso a celebrare perennità ed eterna giovinezza della . Quadro d’insieme offrono F. Torraca, Giovanni Boccaccio a Napoli, s. e., Roma ; É.G. Léonard, Boccace à Naples, Colin, Paris ; A. Altamura, La letteratura dell’età angioina. Tradizione medievale e premesse umanistiche, Silvio Viti, Napoli ; R. M. Ruggieri, L’umanesimo cavalleresco italiano da Dante a Pulci, s. e., Roma ; F. Sabatini, Napoli angioina. Cultura e società, ESI, Napoli, ; É.G. Léonard, Gli Angioini di Napoli, tr. it., Dall’Oglio, Varese-Milano . Sulle prime prove cfr. G. Velli, Cultura e “imitatio” nel primo Boccaccio, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa» s. ª, , , -. . Cfr. G. Billanovich, Il Boccaccio, il Petrarca e le più antiche traduzioni in italiano delle Decadi di Tito Livio, «Giornale Storico della Letteratura Italiana» , , ; M.T. Casella, Tra Boccaccio e Petrarca. I volgarizzamenti di Tito Livio e di Valerio Massimo, Antenore, Padova . . Cfr. J.A. Willis, Martianus Capella und die mittelalterliche Schulbildung, «Das Altertum» , , -; F. Bertini, Interpreti medievali di Virgilio: Fulgenzio e Bernardo Silvestre, «Sandalion» -, -, -; K. Vossing, Schule und Bildung im Nordafrika der römischen Kaiserzeit, Latomus, Bruxelles . . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  cultura classica secondo modelli in grado di durare nel tempo . Quanto a Fulgenzio, l’Expositio sermonum antiquorum si presenta come repertorio lessicale che recupera con buona frequenza e col valore di tradizione indiretta espressioni e vocaboli dalle Metamorfosi apuleiane; nei Mythologiarum libri infine si legge una interpretazione della favola di Amore e Psiche in chiave allegorica destinata a trovare eco tra gli umanisti . E’ noto che l’interesse lessicografico e retorico, destinato a non venire mai meno, matura in quel di Napoli, come mostrano le postille di mano di Boccaccio all’Expositio fulgenziana presenti nel codice Laurenziano ., documento delle letture giovanili databile negli ultimi anni del soggiorno partenopoeo . D’altro canto le Mythologiae non mancano di interessare chi si è accostato . Dati e bibliogr. in S. Greber, Martianus Capella, ’De nuptiis Philologiae et Mercurii. Darstellung der Sieben Freien Künste und ihrer Beziehungen zueinander, Teubner, Stuttgart-Leipzig  (p.  sgg. per gli influssi apuleiani); A. Cizek, Les allégories de Martianus Capella à l’aube du Moyen Âge latin, «Revue des Études latines» , , -; I. Ramelli, Marziano Capella. Le nozze di Filologia e Mercurio, Bompani, Milano . Vecchia è la cultura del mondo antico, ma sempre pronta a ringiovanire, come la Filologia di Marziano Capella, dottissima giovinetta in grado di rinascere insieme alle ancelle (le arti liberali), tanto che le loro immagini giovani e le figure simboliche che ne adornano le vesti saranno fonte d’ispirazione per la Primavera di Botticelli: cfr. C. Villa, Per una lettura della “Primavera”. Mercurio ‘retrogrado’ e la Retorica nella bottega di Botticelli, «Strumenti Critici» n.s. , , -; C. La Malfa, Firenze e l’allegoria dell’eloquenza: una nuova interpretazione della “Primavera” di Botticelli, «Storia dell’arte» , , -; G. Reale, Botticelli. La “Primavera” o le “Nozze di Filologia e Mercurio”? Rilettura di carattere filosofico ed ermeneutico del capolavoro di Botticelli con la prima rappresentazione analitica dei personaggi e dei particolari simbolici, Longo, Rimini . . Cfr. B. Baldwin, Fulgentius and its Sources, «Traditio» , , -; A. Di Piro, Le Metamorfosi di Apuleio nella tradizione indiretta (), in O. Pecere, A. Stramaglia. Studi apuleiani, cit., -; B.G. Hays, Fulgentius the Mythographer, Diss. Ithaca (N. Y.) ; S. Mattiacci, Apuleio in Fulgenzio, «Studi Italiani di Filologia Classica» n.s. , , -; R.H.F. Carver, The Protean Ass. The Metamorphoses of Apuleius from Antiquity to the English Renaissance, Oxford Univ. Press, Oxford , -. . Cfr. B.M. Da Rif, La miscellanea laurenziana XXXIII, , «Studi sul Boccaccio» , , -; S. Zamponi, M. Pantarotto, A. Tomiello, Stratigrafia dello Zibaldone e della Miscellanea Laurenziani, in M. Picone, C. Cazalé Bérard (a c. di), Gli Zibaldoni di Boccaccio. Memoria, scrittura e riscrittura, Cesati, Firenze , -. Si tengano presenti le considerazioni esposte da S. Gentile e S. Rizzo, Per una tipologia delle miscellanee umanistiche, in E. Crisci, O. Pecere (a c. di), Il codice miscellaneo. Tipologie e funzioni, «Segno e Testo» , , - (in part.  sgg.).  Rileggendo Petronio e Apuleio – attraverso Ovidio – alla mitologia classica sotto la guida di Paolo da Perugia, personaggio che sarà ricordato con riconoscenza all’inizio del De genealogiis deorum gentilium, opera che nella prima stesura menziona Fulgenzio a proposito del mito di Prometeo (, -) e che nel V libro (-) registra il compendio della favola apuleiana di Amore e Psiche secondo complesse allegoresi intertestuali tributarie di Marziano Capella (De Nuptiis , ) e di Fulgenzio (Myth. , ) . Per quanto concerne altri spunti dal De nuptiis, basti ricordare la singolare miscela stilistica sottesa alla scrittura latina dell’epistola II, Mavortis miles exstrenue (), probabilmente indirizzata a Petrarca: accanto a echi di Dante e di Arrigo da Settimello si avvertono le voci di Marziano Capella e di Apuleio. Appunto le Epistole latine del , conservate dal Laurenziano . , mostrano che l’elocutio apuleiana (ricavata da Apologia, Metamorfosi, Florida) si è installata per tempo nel latino di Boccaccio e provano che i tre testi di Apuleio sono passati tra le mani del giovane autore toscano durante il periodo napoleta. Cfr. H. Liebeschütz, Fulgentius metaforalis. Ein Beitrag zur Geschichte der antiken Mythologie im Mittelalter, Studien der Bibliothek Warburg, Leipzig-Berlin ; M. Pastore Stocchi, La così detta “Allegoria mitologica”, «Studi sul Boccaccio» , , -. Sulla presenza di Ovidio cfr. F. Favaro, Nel segno di Ovidio: Giovanni Boccaccio. Luca Pulci e Lorenzo il Magnifico autori di metamorfosi, Ladisa, Bari . . Cfr. per es. J.H. Gaisser, Allegorizing Apuleius: Fulgentius, Boccaccio, Beroaldo, and the Chain of Receptions, «Acta Conventus Neo-Latini Cantabrigiensis», Tempe (Arizona) , -; A. Bettinzoli, Boccaccio, Apuleio e le Genealogiae deorum gentilium, in M. Marchiaro, S. Zamponi (a c. di), Boccaccio letterato, Firenze , -. . G. Traversari, Le lettere autografe di Giovanni Boccaccio del codice Laurenziano ., Società Storica della Valdelsa, Castelfiorentino ; Lo Zibaldone boccaccesco Mediceo Laurenziano Plut. XXIX. . Riprodotto in facsimile a cura della Biblioteca Medicea Laurenziana, con prefazione di G. Biagi, Olschki, Firenze ; A.M. Cesari, Presentazione del codice Laurenziano Plut. XXIX , «Archivio Storico Lombardo» , , -; I. Bonincontro, Verso l’edizione critica ipertestuale dello Zibaldone Laurenziano (PL XXIX. ) autografo del Boccaccio. Stato di avanzamento del Progetto, «Testo e senso» , , -: molte carte sono vergate tra la fine degli anni ’ e ’. Vd G. Auzzas, Studi sulle Epistole, I-II, «Studi sul Boccaccio», , , - e , , -; Ead., Epistole, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, V. , Mondadori, Milano . Punto di partenza della critica moderna sugli scritti in lingua latina è A. Hortis, Studi sulle opere latine del Boccaccio, Julius Dase, Trieste . . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  no. Tale constatazione comporta uno spostamento geografico e ci riconduce alla biblioteca di Montecassino, sede – come si è detto – dei codici che hanno trasmesso le opere di Apuleio oratore e novelliere, allo scopo di individuare il manoscritto utilizzato da Boccaccio. Che si tratti di un codice dell’Abbazia, di solito identificato con F, è opinione radicata nella letteratura critica, così come a lungo si è creduto che sia stata la mano di Boccaccio a trafugare i codici cassinesi e a trasportarli a Firenze, magari durante il ritorno in patria dopo il secondo, infruttuoso, viaggio a Napoli () . Di tale responsabilità Boccaccio è esente e va assolto, anche se la notizia fa ancora capolino in libri recenti . Come si è infatti dimostrato, responsabile del trasferimento è Zanobi da Strada, il figlio di Giovanni Mazzuoli, primo maestro di latino del Certaldese: corrispondente di Petrarca e Boccaccio, poeta – non esaltante – in proprio e insegnante di grammatica, presente a Napoli con l’incarico di segretario reale dal , dal  al  soggiorna nell’Abbazia di Montecassino come vicario del vescovo Angelo Acciaiuoli; nominato segretario apostolico, nel  si trasferisce ad Avignone, dove muore di peste nel  . Il merito della dimostrazione spetta a Giuseppe Billanovich (-), il quale ha altresì identificato la mano di Zanobi nelle postille aggiunte sui margini dei manoscritti apuleiani presenti a Montecassino, segnatamente – è il caso di dire – di F, φ e C, cioè sui due futuri codici Lau. Cfr. per es. O. Hecker, Boccaccio-Funde, Westermann, Braunschweig ; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV, Sansoni, Firenze ,  ,  sgg.; C. Marchesi, Giovanni Boccaccio e i codici di Apuleio, «Rassegna Bibliografica della Letteratura Italiana» n.s. , , - ( = Id., Scritti minori di filologia e di letteratura, III, Olschki, Firenze , -); C. Coulter, Boccaccio and the Cassinese Manuscripts of the Laurentian Library, «Classical Philology» , , -. . Cfr. per es. M. Acocella, L’Asino d’oro nel Rinascimento. Dai volgarizzamenti alle raffigurazioni pittoriche, Longo, Ravenna , . Cfr. anche infra, n. . . Cfr. P. Guidotti, Un amico del Petrarca e del Boccaccio: Zanobi da Strada, poeta laureato, «Archivio Storico Italiano» , , -; M. Baglio, “Avidulus glorie”: Zanobi da Strada tra Boccaccio e Petrarca, «Italia Medioevale e Umanistica» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio renziani e sui fogli assisiati . Se dunque Zanobi, dopo il , è l’artefice dell’uscita dei codici (o almeno del codice F) dalle mura protettive dell’Abbazia benedettina e della conseguente moltiplicazione delle copie del testo apuleiano, il merito della ricezione linguistica e letteraria spetta, sempre e comunque, a Giovanni Boccaccio, che nel corso degli anni napoletani, dunque ben prima del soggiorno cassinese di Zanobi, ha avuto modo di leggere e di chiosare a sua volta l’Apologia, le Metamorfosi e i Florida. L’operazione non può essere avvenuta che su di un esemplare dell’Abbazia di Montecassino, meta di uno o più viaggi da o per Napoli, a seconda di chi si possa considerare protagonista del viaggio, Boccaccio o un codice apuleiano ; sappiamo infatti che l’esemplare su cui Boccaccio ha lavorato è il codice φ, cioè la copia di F, in quanto per alcuni marginalia e segni di attenzione si è riconosciuta, in concorrenza con quella di Zanobi, la mano del Certaldese in base al confronto con gli Zibaldoni autografi . . Cfr. G. Billanovich, I primi umanisti e la tradizione dei classici latini, Edizioni Universitarie, Friburgo (CH) , - e - (= Id., Petrarca e il primo umanesimo, Antenore, Padova , -); Id., Zanobi da Strada tra i tesori di Montecassino, «Rendiconti Accademia Naz. dei Lincei. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche» s. ª, , , -; M. Baglio, G. Billanovich, S. Brambilla, A. Manfredi, Zanobi da Strada esploratore di biblioteche e rinnovatore di studi, «Studi Petrarcheschi» n.s. , , -. . Qualche dato in T. Leccisotti, Ancora a proposito del viaggio del Boccaccio a Montecassino, «Benedectina» , , -. Di uscita precoce di Apuleio da Montecassino () parla M. Petoletti, Montecassino e gli umanisti. III. I Florida di Apuleio in Benzo d’Alessandria, in G. Avarucci, R.M. Borraccini Verducci, G. Borri (a c. di), Libro, scrittura, documento della civiltà monastica e conventuale nel basso medioevo, cit., -. . Cfr. H. Hauvette, Notes sur des manuscrits autographes de Boccace à la Bibliotheque Laurentienne, «Mélanges d’Archéologie et d’Histoire de l’École Française de Rome» , , - (= Id., Etudes sur Boccace (-), con prefazione di C. Pellegrini, Bottega di Erasmo, Torino , -); E. Casamassima, in VI Centenario della morte di Giovanni Boccaccio, cit., -; Id., Dentro lo scrittoio del Boccaccio. I codici della tradizione (), in A. Rossi (a c. di), Il «Decameron». Pratiche testuali e interpretative, Cappelli, Bologna , -; G. Vio, Chiose e riscritture apuleiane di Giovanni Boccaccio, «Studi sul Boccaccio» , -, pp. -; M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio e le note ai manoscritti laurenziani ,  e , , «Aevum» , , - (cfr. dello stesso Autore Marginalia figurati nei codici di Petrarca, . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  .. Il codice apuleiano di Boccaccio Cerchiamo di ricapitolare: la lettura giovanile delle opere di Apuleio, provata dall’interesse per l’Expositio sermonum antiquorum di Fulgenzio e dalle riprese lessicali presenti nelle Epistole del , avviene in base a un codice cassinese che va identificato con φ, il futuro Laurenziano . . Il codice – lo sappiamo – è ancora (o di nuovo?) a Montecassino fino agli anni di Zanobi; ma è da credere che Boccaccio abbia agio di disporne a lungo oppure disponga di una copia personale in cui sono riportati anche i notabilia e i marginalia che ha avuto modo di segnare su φ. Insomma, che il sussidio della memoria o la derivazione da un florilegio apuleiano non siano spiegazioni sufficienti, ma che le riprese apuleiane derivino da copia scritta mostra abbastanza bene un passo dell’epistola Mavortis (ff. v-r del cod. Laur. .): commodum semel antelucio, marcidus et semisopitus surgerem ... gurgustiolum exivi, carpens iter super litora uda. Sed cum iam nox iret in diem, subito suda mulier ... Le riprese sono numerose e chiamano in causa luoghi non sempre contigui di Apologia e Metamorfosi, tutti segnati su φ da note marginali o interlineari: commodum e nox ibat in diem sono espressioni che si leggono in Apul. Met. ,  ( φ in marg. commodum e nox); antelucio ( φ in marg. antelucio) ; marcidus et sempisopitus si leggono in Met. ,  ( φ in marg. semisopitus); brevitatem gurgustioli nostri è espressione di Met. ,  ( φ interl. scilicet nostre parve et anguste domus; φ in marg. Gurgustiulum: est cella modica vel domus pauperum angusta); vel uda vel suda in Apul. Apol.  ( φ interl. humida / splendida) . Olschki, Firenze ). . Come ipotizzato da V. Branca, Boccaccio medievale cit.,  sgg. . L’espressione ritorna in Apul. Met. , ; φ in marg. antelucio, idest ante lucem seu diem. . Questo e altri riscontri in M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., -. Cfr. almeno i seguenti: epystolium (epistolium in Apul. Apol. ; φ in marg. epistolium); crebris flagitationibus (= Apul. Apol. ; φ interl. multis spissis, rogationibus flagitationibus); vestra crocota colloquia (histrionis crocota in Apul. Apol. ; φ interl. me-  Rileggendo Petronio e Apuleio L’ipotesi della copia personale, che segue Boccaccio da Napoli a Firenze, trova conforto dall’esame della prima opera redatta dopo il ritorno in Toscana, cioè la Comedia delle Ninfe Fiorentine (Ameto) del -. In questo prosimetro allegorico, composto da sette narrazioni (di sette Ninfe-Virtù) ordinate in un racconto-cornice alla maniera del De nuptiis di Marziano Capella, si sviluppano motivi già presenti nel Filocolo (in particolare nel libro IV) e si fanno le prove dell’opera principale; la tradizione classica non è assente e da tempo si è osservato come si faccia ricorso al modello delle Metamorfosi in più di un’occasione . La favola di Amore e Psiche, per esempio, viene miniaturizzata grazie a una famosa esclamazione nel corso del capitolo XXXII: «Oh quante volte ricordandomi di Psice, la reputai felice e infelice; felice di tale marito e infelice d’averlo perduto, felicissima poi d’averlo ricevuto da Giove». Ma ai fini del nostro discorso è sufficiente citare un solo passo, l’elogio a contrasto della capigliatura femminile che si legge in XII : «Adunque tanta estima la degnità de’ capelli alle femmine quanta se, qualunque si sia, di preziosa veste, di ricche pietre, di rilucenti gemme e di caro oro circundata proceda, sanza quelli in dovuto ordine posti, non possa ornata parere; ma in costei essi, disordinati, più graziosa la rendono negli occhi di Ameto». In Apul. Met. ,  il protagonista, lo scholasticus Lucio in trasferta a Hypata di Tessaglia, così celebra l’attrattiva della chioma della servetta Photis: Tanta denique est capillamenti dignitas, ut quanvis auro veste gemmis omnique cetero mundo exornata mulier incedat, tamen, nisi capillum distinxerit, ornata non possit audire. Sed in mea Photide non operosus, sed inordinatus ornatus addebat gratiam. lodiosa, resonantia, φ in marg. crocota. Il termine va restituito nelle edizioni moderne dell’Epistola che stampano invece l’inutile congettura crocata di A.F. Massera). . Cfr. G. Petronio, Da Apuleio a Boccaccio (V  e VII ), «Italica», , , - (in part.  e ); A. Schiaffini, Tradizione e poesia nella prosa d’arte italiana dalla latinità medievale al Boccaccio, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma , - e -; G. Vio, Chiose e riscritture apuleiane, cit., -. Si tengano presenti anche le note di A.E. Quaglio nell’edizione critica della Comedia, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, II, Mondadori, Milano , -. . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  Qui, non c’è dubbio, Boccaccio sta traducendo, piuttosto che parafrasare, il passo apuleiano che, in φ, è accompagnato da due postille interlineari (ordinaverit su distinxerit, artificialis su operosus) e da un’indicazione a margine: Nota de laude capillorum (f. r). In realtà non sarebbe neppure necessario scomodare le note apposte sul codice φ (quella marginale, per giunta, di non sicura attribuzione) , note che comunque testimoniano come il passo abbia suscitato qualche interesse; basti invece ribadire che non si traduce in questo modo, quasi verbatim, da un testo memorizzato, ma che il nuovo testo volgare presuppone un testo latino scritto; inoltre, non riesce difficile osservare che la scrittura di Boccaccio risente apertamente dell’andamento sintattico e stilistico dell’antico scrittore africano. Pertanto, la spiegazione che ravvisa, nella storia dei rapporti tra Boccaccio e il testo di Apuleio, due fasi, una prima di lettura e solo una seconda e più tarda di trascrizione , va integrata con la precisazione che la prima fase, sicuramente iniziata a Napoli ma a Napoli non circoscritta, è legata alla presenza di φ o, comunque, di una copia scritta. Se dall’Ameto si passa alla prima stesura – la redazione A manoscritta – dell’Amorosa visione, poema dottrinale in terzine composto tra il  e , si ha la ventura di trovare all’interno del canto V, nel corso di una galleria di scrittori che culmina con l’incoronazione di Dante da parte della Sapienza, una rapidissima sintesi delle Metamorfosi siglata dal nomen auctoris, pienamente integrato tra le auctoritates del poeta moderno: Bell’uom tornato d’asino, soletto Si sedeva Apolegio, cui seguiva Varro e Cicilio lieti nell’aspetto (Amorosa visione , -) . . Cfr. M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit.,  n. . . Cfr. C. Coulter, Boccaccio and the Cassinese Manuscripts, cit., : tempo di lettura -; tempo di trascrizione - (dunque a ridosso della stesura del Decameron). . Così il testo nella prima redazione, giustamente ripristinata dagli editori  Rileggendo Petronio e Apuleio Insomma, a Firenze il viaggio di Apuleio entro i confini degli scritti di Boccaccio continua, non più o non soltanto attraverso la trascrizione dell’originale o la scrittura latina, ma attraverso la resa in volgare, la citazione e il rifacimento. E’ itinerario che passa attraverso l’Elegia di Madonna Fiammetta, testo che unifica l’esperienza letteraria e amorosa delle Heroides ovidiane entro lo schema della narrazione in prima persona peculiare delle Metamorfosi , e che giunge a compimento nella stesura del Decameron (-) , dove l’impianto narrativo di stampo apuleiano, giocato sui rapporti tra racconto-cornice e novelle, raggiunge punto alto e felice di equilibrio. Non è dunque possibile sostenere ancora che Boccaccio scopra il racmoderni, a partire da quella curata da V. Branca per i tipi di Sansoni nel  (cfr. Amorosa visione. Testo A, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, III, Mondadori, Milano , lxxxviii e  sgg. per il problema apuleiano). L’editio princeps comparsa a Milano nel  a cura di Girolamo Chiaruzzi (Claricius, su cui cfr. C. Dionisotti, Girolamo Claricio, «Studi sul Boccaccio» , , -) riporta questi stessi versi con una interessante variatio: «Bel huom tornato d’asino, soletto / Sedevasi il buon Lucio, cui seguiva / Quel greco da cui tolle il bel subgietto». Il riferimento, in questo caso, è a Luciano, riscoperto in Italia per merito di Manuele Crisolora negli anni d’insegnamento a Firenze, un paio di decenni dopo la scomparsa di Boccaccio: Apuleio diventa Lucio (in forza dell’identificazione tra auctor e actor delle Metamorfosi già operante nella redazione A), ma l’aggiunta di «Quel greco da cui tolle il bel subgietto» (con espunzione di Varrone e Cecilio) presuppone la presenza culturale dell’operetta lucianea individuata come modello dell’opera apuleiana e va attribuita a interpolazione di Claricio; cfr. G. Guastella, Apuleio e il suo modello nell’editio princeps dell’Amorosa Visione, «Filologia e Critica» , , -; F. Petrucci Nardelli, Manipolazione di testi ed Errata corrige: l’Amorosa Visione del Claricio, «Filologia e Critica» , ,  sgg. . Cfr. E. Mass, Tradition und Innovation im Romanschaffen Boccaccios. Die Bedeutung des ’Golden Esel’ für die Erneuerung des Prosaromans durch die ’Elegia di Madonna Fiammetta’, «Groningen Colloquia on the Novel» II, , -. Che la Fiammetta sperimenti più di un elemento compositivo destinato a trovare ospitalità nell’opera maggiore è constatazione ricorrente nella critica. In proposito piace ricordare un’osservazione che Foscolo ha fissato nel Discorso storico sul testo del Decamerone: «Diresti ch’ei scrivesse il Proemio leggendo le Eroidi di Ovidio» (U. Foscolo, Saggi e discorsi critici, a cura di C. Foligno, Le Monnier, Firenze , ). . Cfr. V. Branca, Su una redazione autografa del Decameron anteriore a quella conservata nell’autografo hamiltoniano, «Studi sul Boccaccio» , , -; Id., Prime proposte sulla diffusione del testo del “Decameron” redatto nel - (testimoniato nel Cod. Parigino Italiano ), in «Studi sul Boccaccio» , , -. . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  conto apuleiano solo nel  e che questa sia la data in cui il più antico manoscritto cassinese, il codice F, sarebbe giunto a Firenze in compagnia dell’autore del Decameron . Ora, prima di concentrare la nostra attenzione sulle novelle, sembra opportuno chiudere il discorso sulla copia apuleiana di Boccaccio e, in prospettiva, sulla tradizione di studi e scrittura latina inaugurata dalla riscoperta di Apuleio. Al di là degli indizi sin qui raccolti, si è già avuto modo di accennare all’esistenza del codice Laurenziano (. , sigla L ), autografo di Boccaccio, pergamenaceo, di  folia su due colonne ciascuno, comprendente nell’ordine Apologia, Metamorfosi e Florida, seguiti dal testo del De deo Socratis (ff. r - v). Il codice non dà contributi alla constitutio textus di Apuleio perché – dicono gli editori – prossimo all’Ambrosianus N.  sup. (A) e sfigurato da mende e da interventi congetturali. Se cediamo la parola a Cesare Giarratano (-), editore apuleiano del “Corpus Paravianum”, lo sentiamo dire nel suo buon latino da filologo: «Boccaccius, quod salua tanti nomini reuerentia dico, librario paene indocto et oscitanti similis codicem descripsit. itaque mendis omnis generis L scatet, sed etiam ... complures lectiones bonas aut malas ex ingenio ortas continet, quas uiri docti postea coniectando inuenerunt. ... quae cum ita sint, post codicem A eo facile carere possumus»; più drastico, l’editore delle “Belles Lettres”, Donald Struan Robertson (-), sentenzia: «il est pratiquement sans valeur» . A prescindere . La prima affermazione si legge in P.G. Walsh, The Roman Novel, Cambridge Univ. Press, Cambridge , ; la seconda in R. Weiss, The Spread of Italian Humanism, Hutchinson, London , , e in E.J. Kenney, Apuleius. Cupid and Psyche, Cambridge Univ. Press, Cambridge , . Corretta prospettiva offre invece R.H.F. Carver, The Rediscovery of the Latin Novel, in H. Hofmann (a c. di), Latin Fiction, Routledge, London-New York , -. . C. Giarratano, Apulei Metamorphoseon libri XI, Paravia, Torino , xxi sg.; D.S. Robertson, P. Vallette, Apulée. Les Metamorphoses, I, Les Belles Lettres, Paris , xlvii sg. (cfr. H.E. Butler, A.S. Owen, Apulei Apologia sive Pro se de magia liber, Clarendon, Oxford , repr. Olms, Hildesheim , xxxiv sg.: «This MS. contains little or nothing of value. ... This MS. is very corrupt and unscholarly»). Descrizione recente di L in R. Klibansky, F. Regen, Die Handschriften der philosophischen Werke  Rileggendo Petronio e Apuleio dello scarso valore stemmatico del codice, due considerazioni s’impongono: la presenza del De deo Socratis pone Boccaccio, insieme a Benvenuto da Imola e a Francesco Petrarca , tra coloro che per primi hanno ricomposto le due tradizioni apuleiane, quella del novelliere-oratore e quella del filosofo; è da valutare la possibilità o meno di riconoscere in L la copia di lavoro che accompagna Boccaccio nel recupero apuleiano fin dai tempi di Napoli. La prima considerazione permette di ricordare come agli ambienti dotti di Salerno e di Napoli si debba risalire come ai centri di interesse e irradiazione dei trattatelli filosofici di Apuleio, entro i confini di mai sopita attenzione nei confronti delle opere di Sant’Agostino (il che spiega assai bene l’interesse di Petrarca): come è noto, il vescovo di Ippona discute a lungo, nel De civitate Dei, la dottrina demonologica del philosophus Platonicus Madaurensis . Le conoscenze di Boccaccio, in realtà, non si limitano al De deo Socratis, come mostrano i riferimenti al De mundo nel De genealogiis deorum gentilium (, ) e nelle Esposizioni sopra la Comedia (, exp. ), o il rinvio al De Platone et eius dogmate ancora in De genealogiis (, ): a suo dire Apuleio è non mediocris auctoritatis philosophus. Questi dati significano che Boccaccio, non meno di Petrarca, ha contribuito a munire la via per una lettura unitaria di Apuleio, programma esegetico des Apuleius, cit., -. . Il codice di Benvenuto da Imola, Vaticanus Latinus  (seconda metà del XIV sec.), contiene Apologia, Metamorfosi, Florida, cui fanno seguito i trattati filosofici: cfr. R. Klibansky, F. Regen, Die Handschriften der philosophischen Werke des Apuleius, cit., -. Sul codice di Petrarca, Vaticanus Latinus  (anteriore al ; oltre a tutti gli scritti di Apuleio contiene Frontino, Vegezio e Palladio), cfr. almeno A. Petrucci, La scrittura di Francesco Petrarca, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano , - e tavv. IX-X; A.C. de la Mare, The Handwriting of Italian Humanists, I, , Oxford Univ. Press, Oxford , -; C. Tristano, Le postille del Petrarca nel Vat. Lat. , «Italia Medioevale e Umanistica» , , -; R. Klibansky, F. Regen, Die Handschriften der philosophischen Werke des Apuleius, cit., -. Di una lettura cursoria (raptim et propere) delle Metamorfosi Petrarca parla in Fam. XXII , ; altre citazioni in A. Scobie, The Influence of Apuleius’ Metamorphoses in Renaissance Italy and Spain, in B.L. Hijmans Jr., R.Th. van der Paardt (a c. di), Aspects of Apuleius’ Golden Ass, Bouma’s Boekhuis, Groningen , -. . Cfr. supra, n. . . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  che non sempre la storia della moderna critica apuleiana ha saputo o voluto onorare. Proprio i folia finali (r - v) dell’autografo boccacciano (L ) riservati al De deo Socratis consentono di passare alla seconda considerazione, in quanto coinvolgono il problema della datazione del codice nel suo complesso. La convinzione che Apologia, Metamorfosi e Florida fossero copiati a Firenze, dopo l’arrivo dei codici di Montecassino o comunque negli anni di composizione del Decameron, ha suggerito il seguente quadro cronologico: i ff. r-v, con gli scritti dell’oratore-novelliere andrebbero datati «probably in later », mentre il De deo Socratis sarebbe stato trascritto «a little earlier». Questa proposta, formulata da Albinia de la Mare sulla scorta di un’indicazione di Cornelia Coulter, è stata successivamente ritoccata da Evi Ianni, che data i ff. r - v poco dopo il  e anticipa i ff. r - v agli anni giovanili di Boccaccio, verisimilmente al - . In realtà il lavoro giovanile di Boccaccio su φ, come si è visto, e lo stretto rapporto col testo apuleiano nel decennio fiorentino - suggeriscono un’altra ipotesi, che cioè non solo i ff. r -v del De deo Socratis, ma anche i ff. r - v con la “terna cassinese” risalgano agli ultimi anni del soggiorno napoletano e che quindi sia possibile ravvisare appunto nel Laurenziano .  (L ) la copia di lavoro realizzata a proprio uso e consumo dall’autore moderno, allo scopo di avere a portata di mano gli interessanti materiali narrativi posti in essere dallo scrittore antico. Questa ipotesi, in verità, ha già avuto un aperto, ma inascoltato, sostenitore in Concetto Marchesi, secondo cui L . Cfr. C. Coulter, Boccaccio and the Cassinese Manuscripts, cit.,  (ma cfr. già O. Hecker, Boccaccio-Funde, cit., ); A.C. de la Mare, The Handwriting of Italian Humanists, cit., -; E. Ianni, Elenco dei manoscritti autografi di Giovanni Boccaccio, «Modern Language Notes» , , ; G. Auzzas, I codici autografi. Elenco e bibliografia, «Studi sul Boccaccio» , ,  («dopo il , ma - le cc. r -v»). Cfr. anche P.G. Ricci, Evoluzione nella scrittura del Boccaccio e datazione degli autografi, in Studi sulla vita e le opere del Boccaccio, cit., -; altri dati e indicazioni in AA. VV., Bibliografia degli Zibaldoni di Boccaccio, Viella, Roma , e in E. Lippi, Giovanni Boccaccio, in C. Ciociola (a c. di), Storia della letteratura italiana. X. La tradizione dei testi, Salerno Edizioni, Roma , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio è «una copia fatta in età giovanile, non molto prima del » e mostra all’opera «quelle mirabili qualità di trascrittore fedele che dopo di lui ebbero, tra gli umanisti più grandi, il Niccoli e il Poliziano» . A dire il vero, l’immagine di Marchesi stride con quella del copista indotto e sonnacchioso evocata da Giarratano; quest’ultima, tuttavia, non sembra fare giustizia alla mano che sta vergando una copia personalissima destinata a un unico lettore, anche perché la presenza di numerose congetture – poco importa se non sempre convincenti, ma talora riproposte indipendentemente da filologi moderni – fa pensare a un copista intelligente – anche troppo intelligente e interessato al senso di quanto sta scrivendo – che non esita a praticare la divinatio ope ingenii là dove il testo appaia problematico o guasto. Alla soluzione qui ipotizzata sembra però fare ostacolo un ultimo problema. Come si è già accennato, per il testo di Apologia, Metamorfosi e Florida l’autografo di Boccaccio viene ascritto alla classe di codici – la cosiddetta classe I, il cui capostipite virtuale viene di solito indicato con la sigla a – rappresentata autorevolmente dall’Ambrosianus N.  sup. (A, prima della fine del sec. XIII), codice in cui di recente si è proposto di ravvisare il testimone di una tradizione apuleiana indipendente rispetto a quella conservata a Montecassino . Ma una ricollazione recente di A per la porzione relativa all’Apologia permette di concludere che non è necessario parlare di tradizione indipendente: «La dipendenza da F del capostipite della classe I di recenziori (a) sembra dimostrata da particolari di A a fronte di grafie inconsuete, correzioni e segnali di prima mano in F; la presenza nell’Ambrosiano di sigle e segni di interpunzione . C. Marchesi, Giovanni Boccaccio e i codici di Apuleio (), ora in C. Marchesi, Scritti minori di filologia e di letteratura, III, cit., -. . Così O. Pecere, Qualche riflessione sulla tradizione di Apuleio a Montecassino (), ora in O. Pecere, A. Stramaglia. Studi apuleiani, cit., in part.  sgg. La proposta di rami di tradizione indipendenti è accolta, per es., da M.D. Reeve, Conclusion, in O. Pecere, M.D. Reeve (a c. di), Formative Stages of Classical Tradition: Latin Texts from Antiquity to the Renaissance, CISAM, Spoleto , ; M. Baglio, M. Ferrari, M. Petoletti, Montecassino e gli umanisti, cit.,  sgg. . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  analoghi a quelli di F mette in risalto la scrupolosa fedeltà della copia eseguita a monte dall’amanuense di a» . Certo, «una nuova collazione completa di A appare senz’altro auspicabile» ; aggiungiamo che essa dovrà coinvolgere anche φ, che abbiamo visto segnato da notabilia di mano di Boccaccio, e lo stesso autografo L , su cui compaiono alcuni dei segni di attenzione presenti in φ . L’ipotesi qui prospettata non va dunque scartata senza appello: in buona sostanza, se è vero che la classe I non è estranea alla tradizione cassinese di Apuleio e che nell’autografo di Boccaccio ci sono segni di contaminazione con φ , non sembra troppo azzardato ribadire che Montecassino è la sede in cui sono compresenti tutti i materiali manoscritti che confluiscono nell’autografo di Boccaccio, a cui si dovrebbe riconoscere non solo la funzione di copista ma anche il iudicium di filologo in grado di vagliare varianti e tradizioni parallele. A dispetto della giovane età, questo secondo aspetto non gli va negato, se ci ricordiamo che di varianti apuleiane Boccaccio prende atto proprio nel periodo napoletano, allorché . G. Magnaldi, Apologia: per una nuova collazione del Laur. .  e dell’Ambros. N.  Sup., in G. Magnaldi, G.F. Gianotti (a c. di), Apuleio. Storia del testo e interpretazioni, cit., ; F. Piccioni, Sulla tradizione manoscritta dei Florida di Apuleio: il ruolo dell’Ambrosiano N.  sup., «Revue d’Histoire des Textes» n.s. , , -. . Sono parole di L. Graverini, Note di aggiornamento, in O. Pecere, A. Stramaglia. Studi apuleiani, cit., . . Sui margini di entrambi i codici, inoltre, all’altezza di Met. , , compare il cosiddetto spurcum additamentum, sulla cui origine (antica, medievale, preumanistica) tanto si è discusso e discute, come si ricava dalle indicazioni bibliografiche segnalate nei seguenti contributi: G. Pennisi, Apuleio e l’Additamentum a Met. X, , Peloritana, Messina ; S. Mariotti, Lo spurcum additamentum ad Apul. Met. , , «Studi Italiani di Filologia Classica» s. ª, , - (= S. Mariotti, Scritti medievali e umanistici, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma  , -); M. Zimmerman (a cura di), Groningen Commentary on Apuleius’ Met. X, Egbert Forsten, Groningen , -; E. Lytle, Apuleius’ Metamorphoses and the Spurcum Additamentum (.), «Classical Philology» , , – (l’additamentum sarebbe da attribuire a Zanobi); V. Hunink, The ‘spurcum additamentum’ (Apul. Met. , ) once again, in W.H. Keulen, R.R. Nauta, S. Panayotakis (a c. di), Lectiones Scrupulosae. Essays on the Text and Interpretation of Apuleius’ Metamorphoses in Honour of Maaike Zimmerman, Barkhuis, Groningen , -. . «There is evidence of contamination from φ»: R.H.F. Carver, The Rediscovery of the Latin Novel, in H. Hofmann (a c. di), Latin Fiction, cit., .  Rileggendo Petronio e Apuleio postilla, nel codice Laurenziano ., l’Expositio sermonum antiquorum di Fulgenzio, testimone di lezioni non attestate dai codici pervenuti. Che Fulgenzio e Apuleio continuino a fare coppia nella scrittura latina di Boccaccio mostra, come già si è detto, la ripresa in chiave allegorica della bella fabella di Amore e Psiche nel V libro del De genealogiis . Ma, più in generale, va soprattutto detto che Boccaccio assicura la presenza di Apuleio come modello di scrittura latina nel mondo delle scuole e dei dotti: ne fa fede un codice fiorentino della seconda metà del XIV secolo (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II VI.) che contiene un accessus all’antico scrittore africano . Si tratta del primo passo di un percorso che comprende le citazioni e i rinvii ad Apuleio presenti sui margini del cod. Laur. Plut. . (Mn, del ), manoscritto di Decameron e Corbaccio vergato e postillato da Francesco d’Amaretto Mannelli , e che porterà all’apuleianesimo linguistico e letterario del Rinascimento e avrà in Filippo Beroaldo, editore e commentatore di Apuleio, il più noto dei rappresentanti . . Cfr. B.L. Hijmans Jr., Boccaccio’s Amor und Psyche, in B.L. Hijmans Jr., V. Schmidt (a c. di), Symposium Apuleianum Groninganum, Bouma’s Boekhuis, Groningen , -; J.L. de Jong, Renaissance Representations of Cupid and Psyche, «Groningen Colloquia on the Novel» II, , -. Edizione del testo: V. Zaccaria, Genealogie deorum gentilium, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, VII-VIII, Mondadori, Milano . Vd. A. Bettinzoli, Boccaccio, Apuleio e le Genealogie deorum gentilium, in M. Marchiaro, S. Zamponi (a c. di), Boccaccio letterato, Pubblicazioni dell’Accademia della Crusca, Firenze , -. . Cfr. G.C. Garfagnini, Un ’accessus’ ad Apuleio e un nuovo codice del Terzo Mitografo Vaticano, «Studi Medievali» s. ª, , , - (alle pp. - edizione del codice). . Cfr. Il DECAMERON di M. Gio. Boccaccio. Tratto dall’ottimo testo scritto da Francesco Amaretto Mannelli sull’originale dell’Autore. Giusti, Lucca . Le postille di maggiore vivacità e interesse sono riportate in nota nell’ed. di V. Branca (sigla M). A Iacopo Corbinelli gli studiosi assegnano postille, integrazioni e correzioni vergate su Mn da una seconda mano: cfr. S. Carrai, Di chi sono le postille recenziori nel codice Mannelli?, «Studi sul Boccaccio» , , -. . Cfr. K. Krautter, Philologische Methode und humanistische Existenz. Filippo Beroaldo und sein Kommentar zum Goldenen Esel des Apuleius, Fink, München ; J.F. D’Amico, The Progress of Renaissance Latin Prose: The Case of Apuleianism, «Renaissance Quarterly» , , -; S. Prete, La questione della lingua latina nel . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  .. Spunti apuleiani nelle novelle del Decameron Veniamo finalmente alla presenza delle Metamorfosi apuleiane lungo il tracciato dell’opera maggiore di Boccaccio. Ci liberiamo subito di una questione preliminare che riguarda l’assetto compositivo del Decameron. Da tempo – grazie anche all’insegnamento di un maestro torinese come Giovanni Getto (-) – la critica fa i conti con il duplice registro delle componenti espressive, novelle e cornice , del Decameron in quanto “racconto di racconti” . In merito la tradizione offre a Boccaccio paradigmi di sicura autorevolezza ed efficacia: a tacere di quanto della novellistica orientale è filtrato o sta filtrando nella cultura del Trecento, nel modo classico non mancano esempi di narrazioni incastonate in un racconto-cornice, a partire dagli Apologhi narrati in prima persona dal protagonista dell’Odissea (canti IX-XIII) ai Dialoghi maggiori di Platone; tra questi esempi – si intende – le Metamorfosi apuleiane occupano posto di rilievo compositivo, non tanto per l’alternanza tra racconto in prima persona e narrazione non soggettiva, quanto piuttosto per le combinazioni tematiche che organizzano e tengono insieme Quattrocento e l’importanza dell’opera di Apuleio, «Groningen Colloquia on the Novel» I, , -; J.H. Gaisser, Reading Apuleius with Filippo Beroaldo, in P. Thibodeau, H. Haskell (a c. di), Being There Together: Essays in Honor of Michael C.J. Putnam, Afton Historical Society Press, Afton , -; F. Küenzlen, Verwandlungen eines Esels Apuleius’ “Metamorphoses” im frühen . Jahrhundert. Der Kommentar Filippo Beroaldos des Apuleius. Die Uebersetzungen von Johann Sieder, Guillaume Michel, Diego Lopez de Cortegana und Agnolo Firenzuola. Der Schelmenroman “Lazarillo de Tormes”, Winter, Heidelberg ; G. Sandy, Two Renaissance Readers of Apuleius: Filippo Beroaldo and Henri de Mesmes, in S.N. Byrne, E.P. Cueva (a c. di), Authors, Authority, and Interpreters in the Ancient Novel, Groningen , -; J.H. Gaisser, Filippo Beroaldo on Apuleius: Bringing Antiquity to Life, in M. Pade (a c. di), On Renaissance Commentaries, Olms, Hildesheim–Zürich–New York , -; Ead., The Fortunes of Apuleius and the Golden Ass. A Study in Transmission and Reception, Univ. of Princeton Press, Princeton . . Penso a G. Getto, Vita di forme e forme di vita nel Decameron, Petrini, Torino ,  . Cfr. anche L. Marino, The Decameron Cornice: Allusion, Allegory and Iconology, Longo, Ravenna . . Espressione mutuata da T. Todorov, Poetica della prosa, tr. it., Theoria, RomaNapoli , .  Rileggendo Petronio e Apuleio plessi di novelle (storie di magia, storie di briganti, racconti di adulterii e di avvelenamenti, peripezie di Carite e di Psiche) . Ecco: la presenza apuleiana non si avverte unicamente a livello di generale – e generico – impianto narrativo; con l’antico novelliere Boccaccio sembra intrecciare un dialogo privilegiato, in quanto dispone di un archivio personale su cui riporta alcuni dei segni di attenzione già presenti in φ e aggiunge ulteriori notabilia in funzione di spunti ripresi nel Decameron. Di tali riprese si fornisce qui una piccola antologia che, da sola, sarebbe sufficiente a collocare le Metamorfosi apuleiane tra le fonti o, se si preferisce, fra gli ipotesti sottesi all’opera di Boccaccio . Ma a scanso di dubbi residui, all’elenco seguirà qualche osservazione sulle due novelle, Decameron ,  e , , che discendono recta via da narrazioni apuleiane. Come primo esempio piace citare la novella V della seconda giornata , cioè la Novella di Andreuccio da Perugia: il protagonista, . Cfr. R.Th. van der Paardt, Various Aspects of Narrative Technique in Apuleius’ Metamorphoses, in B.L. Hijmans Jr., R.Th. van der Paardt (a c. di), Aspects of Apuleius’ Golden Ass, cit., -; J.J. Winkler, Auctor & Actor. A Narratological Reading of Apuleius’ The Golden Ass, Univ. of California Press, Berkeley-Los Angeles-London ; G. von Graevenitz, Das Ich am Ende: Strukture der Ich-Erzählung in Apuleius’ Goldenem Esel und Grimmelshausens Simplicissimus, in K. Stierle, R. Warning (a c. di), Das Ende. Figuren und Denkformen, «Poetik und Hermeneutik» , , -; L. Callebat, Langages du roman latin, Olms, Hildesheim , -; W.S. Smith, The Narrative Voice in Apuleius’ Metamorphoses, in S.J. Harrison (a c. di), Oxford Readings in the Roman Novel, Oxford Univ. Press, Oxford , -. . Ovviamente, si tratta di elenco confortato da indicazioni largamente presenti in sede critica: utilissime le note di V. Branca all’edizione einaudiana del Decameron (Torino  , rist. ), nonché le precisazioni aggiunte dallo studioso in due contributi successivi: Su una redazione autografa del Decameron anteriore a quella conservata nell’autografo hamiltoniano, «Studi sul Boccaccio» , , -; Ancora su una redazione del “Decameron” anteriore a quella autografa e su possibili interventi “singolari” sul testo, ibid. , , -. . In cui «sotto il reggimento di Filomena si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia oltre la sua speranza riuscito a lieto fine». A ben vedere è, in chiave laica, il tema stesso delle Metamorfosi, così compendiato dal sacerdote isiaco che assiste al ritorno di Lucio dagli inferi della bestialità: multis et variis exanclatis laboribus magnisque fortunae tempestatis et maximis actus procellis ad portum quietis et aram misericordiae tandem Luci, venisti ... sed utcumque fortunae caecitas, dum te pessimis periculis discruciat, ad religiosam istam beatitudinem improvida produxit malitia. ... Lucius . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  al termine di una graveolente discesa agli inferi iniziata in vicolo Malpertugio , finisce nella tomba fresca di giornata di Filippo Minutolo, Arcivescovo di Napoli, e qui «venendo meno, cadde sopra il morto corpo dell’Arcivescovo; e chi allora veduti gli avesse, malagevolmente avrebbe conosciuto chi più si fosse morto, o l’Arcivescovo o egli» (Dec. , , ); il confronto diretto è con l’episodio della custodela feralis di Telifrone, il narratore in prima persona che racconta come si sia addormentato accanto all’omonimo cadavere a cui avrebbe dovuto fare la guardia, permettendo così l’azione magica delle streghe a suo danno: nec mora, cum me somnus profundus in imum barathrum repente demergit, ut ne deus quidem Delphicus ipse facile discerneret duobus nobis iacentibus quis esset magis mortuus (Apul. Met. , , ) . A tacere delle tumultuose vicende di Alatiel, in cui non è impossibile scorgere un rovesciamento ironico della favola di de sua fortuna triumphat (Apul. Met. , , - ). Più in generale si può confrontare come il tema apuleiano della fortuna abbia non pochi riflessi in Boccaccio: cfr. V. Cioffari, The Function of Fortune in Dante, Boccaccio and Machiavelli, «Italica» , , -, e G. Fry, Philosophie et mystique de la destinée. Étude du thème de la Fortune dans les Métamorphoses d’Apulée, «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» , , -. . «la quale quanto sia onesta contrada il nome medesimo il dimostra» (Dec. , , ). Cfr. per es. G. Herczeg, I cosiddetti ’nomi parlanti’ nel Decameron, in VII Congresso internazionale di scienze onomastiche, III, Istituto di Glottologia dell’Univ. degli Studi, Firenze , -; G. Cavallini, Toponomastica napoletana e antroponomastica nella novella boccacciana di Andreuccio e nella lettura di B. Croce, «il Nome nel Testo» , , -. Panoramica sul Medioevo in L. Sasso, Il nome nella letteratura. L’interpretazione dei nomi negli scrittori italiani del Medioevo, Marietti, Genova . E’ vero che la tradizione comica dei nomi parlanti vanta antecedenti remoti fin dal mondo greco, ma di tale tradizione Apuleio è certo uno dei più divertenti maestri: cfr. B. Brotherton, The Introduction of Characters by Name in the Metamorphoses of Apuleius, «Classical Philology» , , -; B.L. Hijmans Jr., Significant Names and their Function in Apuleius’ Metamorphoses, in B.L. Hijmans Jr., R.Th. van der Paardt (a c. di), Aspects of Apuleius’ Golden Ass, cit., -. . Cfr. L. Rossi, I tre gravi accidenti della novella di Andreuccio di Perugia (Decameron II ), «Strumenti Critici» n.s. , , -. Magis mortuus di Apuleio e «chi più si fosse morto» di Boccaccio sembrano rivivere – si fa per dire – nella sofferta avventura di Lapaccio di Geri da Montelupo che passa la notte in compagnia di un cadavere e all’alba «parea più morto che ’l morto» (Sacchetti, Trecentonovelle, ).  Rileggendo Petronio e Apuleio Amore e Psiche (Dec. , ) , sempre la seconda giornata fornisce un altro esempio con la novella IX che ha per protagonisti Bernabò da Genova, Ambrogiuolo da Piagenza e madonna Zinevra, novella nata per mostrare che «quale asin dà in parete tal riceve» (Dec. , , ) ma soprattutto nota per la ripresa operata da Shakespeare nel Cimbelino . In Dec. , ,  Ambrogiuolo dà inizio alla serie di personaggi – mariti gabbati , amanti e aspiranti tali – nascosti in una cassa , in quanto «in una cassa artificiata a suo modo si fece portare non solamente nella casa ma nella camera della gentil donna», cioè di madonna Zinevra, sposa di Bernabò. Più avanti il soldano, quando Sicurano da Finale rivela di essere in realtà madonna Zinevra travestita, «venne in tanta maraviglia, che più volte quello che egli vedeva . Cfr. L. Vaghetti, La filosofia della natura e la nuova concezione dell’amore e della vita terrena in Boccaccio, «Nuova Antologia» , ,  sg. . Cfr. M.-M. DeCoste, Filomena, Dioneo, and an Ass, «Helitropia» , , -. Il proverbio piace a Boccaccio, che lo ripropone altre due volte nel Decameron: in Dec. , ,  («... acciò che quale asin dà in parete tal riceva»); cfr. Dec. , .  («quale asino dà in parete tal riceve»). Si direbbe un umoroso segnale di derivazione dall’Asino d’oro apuleiano. Cfr. altresì Corbaccio : «Quale asino dà in parete, cotale riceve». In generale vd. A. D’Andrea, Avventure letterarie di un asino. Rubriche del Decameron, «Yearbook of Italian Studies» -, -. . Cfr. R. Ohle, Shakespeare’s Cymbeline und seine romanischen Vorläufer, Mayer und Müller, Berlin ; G. Almansi, Lettura della novella di Bernabò e Zinevra (II ), «Studi sul Boccaccio» , , -. . Come per es. Ferondo (Dec. , ), che sperimenta le pene del Purgatorio rinchiuso dapprima in un avello, poi in una piccola cella senza luce, mentre un santo abate consola la falsa vedova. . Topos già presente nella tradizione del mimo anteriore ad Apuleio; tra l’altro famoso è stato il ’mimo della cesta’, cavallo di battaglia in età flavia dell’archimimo Latinus. Fonti: Hor. Sat. , , ; Mart. , , . , ,  sg. , . , ,  sg. , . , , ; Svet. Dom. , ; Iuv. ,  sg. (e Schol. ad loc.); ,  (e Schol. ad loc.); Schol. ad Iuv. , . Tra le riprese moderne più note si può menzionare Le cuvier di J. La Fontaine (Contes et Nouvelles IV ). Cfr. H.G. Dick, The Lover in a Cask: a Tale of a Tub, «Italica» , , -. A proposito dello stratagemma di Ambrogiuolo per penetrare nella camera di Zinevra, una sorta di contrappasso vuole che l’episodio boccaccesco abbia suggerito al pittore Giovanni di Francesco Toscani (cofanaio) il programma figurativo che decora le pareti esterne di un prezioso cassone conservato a Edimburgo (National Gallery of Scotland, n. ): l’amante, insomma, può essere visibile anche all’esterno della cassa! . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  e udiva credette più tosto esser sogno che vero» (Dec. , , ) . A confronto si cita Apul. Met. , , : alla vista della trasformazione di Panfile in gufo Lucio exterminatus animi attonitus in amentiam vigilans somniabar; defrictis adeo diu pupulis an vigilarem scire quaerebam. Alla fine, in Dec. , , : Ambrogiuolo, sottoposto al supplizio del miele, viene infino all’ossa divorato da mosche, vespe e tafani, un po’ come in Apul. Met. , ,  il servo infedele, responsabile del suicidio della propria moglie, viene sottoposto al supplizio del miele, fino a che le formiche homine consumpto membra nudarunt ut ossa tantum viduata pulpis nitore nimio candentia cohaererent arbori. Se passiamo alla terza giornata, «nella quale si ragiona, sotto il reggimento di Neifile, di chi alcuna cosa molto da lui desiderata con industria acquistasse o la perduta ricoverasse» , la novella IV, giocata sull’ardito triangolo tra il troppo penitente frate Puccio di Rinieri, la fresca e bella sposa, monna Isabetta, e l’ardente don Felice, presenta un particolare che sembra richiamare una scenetta hard di apuleiana memoria e anticipa la più scoperta ripresa che si incontra nella novella di Peronella. In Dec. , , - monna Isabetta si fa beffe del devoto consorte, che avverte al di là della parete una straordinaria agitazione: «Gnaffe, marito mio, io mi dimeno quanto io posso», perché «chi la sera non cena, tutta notte si dimena». Come Peronella, che in Dec. , , -, mentre insegna al marito come e dove . Cfr. Amorosa visione , -: («fra me dicendo ch’io pur non sognava, / posto che mi pareva grande tanto / la cosa, ch’io pur di sognar dubbiava»); cfr. anche Dec. , , : il gelosissimo Arriguccio Berlinghieri, ingannato dalla sposa con accorta sostituzione di persona e oltraggiato dai parenti di lei, rimane «come uno smemorato, seco stesso non sappiendo se quello che fatto avea era stato vero o s’egli aveva sognato». . Variazione del tema della II giornata, con uno spunto – apuleiano – in più, a proposito di chi recupera cose perdute, come Lucio-asino proteso al recupero della perduta condizione umana. . Parente a sua volta di ascendenze classiche (per es. Plaut. Miles gloriosus ; Piramo e Tisbe in Ov. Met. , -) e presente anche nella novella del ricco e geloso mercante di Rimini (Dec. , ,  sgg.). Sulla fortuna letteraria di pareti (non sempre o non del tutto) divisorie si rinvia a P. Fornaro, Metamorfosi con Ovidio. Il classico da riscrivere sempre, Olschki, Firenze , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio nettare il doglio, si dimena a ritmo e permette al gagliardo Giannello di divertirsi alle sue spalle, anche madonna Isabetta sembra partecipe dell’astuzia apuleiana della moglie del fabbro: at vero adulter bellissimus ille pusio inclinatam dolio pronam uxorem fabri superincurvatus secure dedolabat. Ast illa capite in dolium demisso maritum suum astu meretricio tractabat ludicre ... (Apul. Met. , , -) . Nella quarta giornata, aperta dall’autodifesa d’autore e dalla novellina delle papere da imbeccare (Dec. , Introd.), «sotto il reggimento di Filostrato – nome evocatore di precedenti scritture –, si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fine», come ha insegnato l’antico catalogo epico delle eroine dyserotes e come insegna la triste storia di Carite e Tlepolemo che nelle Metamorfosi apuleiane ospita al proprio interno, a guisa di castone narrativo, la fabella di Amore e Psiche . Appunto alla vicenda di Carite sembra guardare Boccaccio nella novella di Lisabetta da Messina: in Dec. , ,  l’amato Lorenzo morto appare in sogno alla sfortunata fanciulla «pallido e tutto rabbuffato e co’ panni tutti stracciati», come il morto Tlepolemo appare in sogno a Carite sanie cruentam et pallore deformem attolens faciem (Apul. Met. , , ) . Un altro esempio si ricava dalla quarta giornata. Nella novella VI si narra della bella Andreuola da Brescia che ama Gabriotto e gli espone un sogno pauroso (e funesto): udito il racconto della donna, Gabriotto «se ne rise, e disse che grande sciocchezza era porre ne’ sogni alcuna fede, per ciò che o per soperchio di cibo o per mancamento di quello avvieneno, ed esser tutti vani . Cfr. R. Ferreri, La novella di Frate Puccio, «Studi sul Boccaccio» , -, -. . Cfr. Od. ,  sgg.; Verg. Aen. , - (e Serv. ad loc.); Ov. Heroides. . Sul cosiddetto Charite-Complex (Apul. Met. , -; ,  - , ; , -) cfr. S. Frangoulidis, Charite’s Literary Models: Vergil’s Dido and Homer’s Odysseus, «Latomus» , , -; E. D. Finkelpearl, Metamorphosis of Language in Apuleius. A Study of Allusion in the Novel, Univ. of Michigan Press, Ann Arbor , -; L. Nicolini, Apuleio. La novella di Carite e Tlepolemo, D’Auria, Napoli . . Cfr. anche Apul. Met. , , : l’ombra dolente del mugnaio appare in sogno alla figlia e denuncia il delitto della matrigna. . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  si vedeano ogni giorno» (Dec. , , ) . Frase purtroppo fallimentare, come quella che, nel primo racconto di magia delle Metamorfosi, l’incauto Aristomene indirizza al morituro Socrate al risveglio dalla notte delle streghe: non immerito medici fidi cibo et crapula distentos saeva et gravia somniare autumant (Apul. Met. , , ) . Mette conto segnalare che nel Laurenziano L (f. vb), all’altezza di questa frase, compare un segno d’attenzione, una manicula, che si ritiene di pugno di Boccaccio . Anche l’ultima novella della quarta giornata, quella del medico salernitano, della bella e gentil consorte e dell’amante Ruggieri, sviluppa motivi che hanno corso narrativo nelle Metamorfosi. In Dec. , , - si compendia quanto segue: la pozione soporifera preparata per un infermo viene bevuta dal giovane amante, creduto morto dalla donna (perché «egli aveva a buona caviglia legato l’asino») e deposto in un’arca, resuscitato e imprigionato viene salvato dalla deposizione della serva di madonna. Il motivo dell’amante nella cassa rimanda alle novelle di adulterio di cui si parlerà tra poco, mentre gli altri ingredienti sono tutti presenti, anche se in diverso quadro d’insieme, nella vicenda della matrigna innamorata e del fanciullo creduto morto per aver bevuto una falsa pozione avvelenata che si legge in Apul. Met. , - . . Cfr. S. Marchesi, Dire la verità dei sogni: la teoria di Panfilo in Decameron IV., «Italica» , , -. . Cfr. G. Vio, Chiose e riscritture apuleiane, cit., . . Cfr. M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., . Cfr. M. Fiorilla, P. Rafti, Marginalia figurati e postille di incerta attribuzione in due autografi del Boccaccio (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. .; Toledo, Biblioteca Capitular, ms. .), «Studi sul Boccaccio» , , -. . Anche in questo caso il detto asinino si può considerare un sorridente segnale. . Sulla tradizione letteraria dell’episodio cfr. G. Fiorencis, G.F. Gianotti, Fedra e Ippolito in provincia (), in G. Magnaldi, G.F. Gianotti (a c. di), Apuleio. Storia del testo e interpretazioni, cit., -; H. Münstermann, Apuleius. Metamorphosen literarischer Vorlagen, Teubner, Stuttgart-Leipzig .  Rileggendo Petronio e Apuleio Lasciando per ora da parte la quinta giornata , passiamo alla sesta e alla breve novella di Madonna Oretta (Dec. , ): qui i motivi del viaggio a cavallo, del piacere del racconto che rende meno aspra la via, delle noiose incongruità del cavaliere narrante e, soprattutto, la battuta di Madonna (Dec. , , : «Messer, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto, per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè») richiamano alla mente la parte del viaggio di Lucio verso Hypata in compagnia di due viandanti narratori, nonché la battuta del prologo sulla scientia desultoria, vale a dire dell’abilità di acrobata equestre, praticata dall’auctor del racconto antico (Apul. Met. , -) . La novella successiva ha per protagonista Chichibio ed è giocata sulla scomparsa di una coscia di gru – donata dal cuoco a donna Brunetta – che scatena le ire di Currado Gianfigliazzi e la «presta parola» di risposta del cuoco (Dec. , ). Di questo caso un antecedente diretto non è dato riscontrare in Apuleio, ma mette conto ricordare l’episodio narrato in Met. , : un cuoco, responsabile della galante sparizione della coscia di un cervo, medita una sostituzione ferale per Lucio-asino. Un dato degno di menzione riguarda una postilla del codice φ; in margine al f. v una mano interessata all’episodio e riconosciuta come quel. Anche se non si può fare a meno di osservare come i briganti della III novella, di Pietro di Boccamazza e l’Agnolella, appaiano un po’ come gli eredi depotenziati ed evanescenti dei latrones apuleiani attivi dal III al VII libro delle Metamorfosi (cfr. W. Riess, Apuleius und die Räuber. Ein Beitrag zur historischen Kriminalitätsforschung, Teubner, Stuttgart ; B. Pottier, Les bandits d’Apulée: une réflexion sur les rapports entre plèbe et notables dans les cités de l’Empire romain, in Miroir des autres, reflet de soi : stéréotypes, politique et société dans le monde romain, a c. di H. Ménard, C. Courrier, Houdiard, Paris , -). . Cfr. Varro Men. fr.  Astbury (Desultorius, perì toû gráphein), alla luce di quanto scrive F. Leo, Coniectanea (), rist. in Ausgewählte Kleine Schriften, II, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma , -. Cfr. J. Usher, ’Desultorietà’ nella novella portante di Madonna Orietta (Decameron VI ) e altre citazioni apuleiane nel Boccaccio, «Studi sul Boccaccio» , , -. Non è un caso che in φ, all’altezza del prologo, si legga la postilla Desultor dicitur qui currendo de uno equo ad alium salit; sic trasumptive qui de una lingua ad aliam transit; e non è casuale che in Epistola II Boccaccio scriva: Scio me stilo desultorio nimia inepte ac exotica blaterando narrasse (M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., ). . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  la di Boccaccio ha scritto: Colonus quidam femur cervi domino mittit, hic coquo assignat, hoc canis rapit. Coquus laqueo strangulare se parat, uxor impedit, et femur asini loco cervi parare disponunt. Asinus abrupto capistro aufugit. Nella settima giornata, come è noto, si ragiona delle beffe fatte dalle donne ai danni dei rispettivi consorti, consapevoli o meno. E’ fuor di dubbio che l’autore provi simpatia o, meglio, non abbia remore di ordine morale nei confronti delle protagoniste di queste novelle, compresa Peronella, vera eroina apuleiana della giornata e forse dell’intera opera, come mostra il tono di ammirazione di Filostrato, il narratore di Dec. , , anche se lascia trasparire qualche venatura pedagogica di disincantato stampo ovidiano (la narrazione di beffe femminili dovrebbe scoraggiare gli uomini a farsi beffe delle donne). Bisogna però aggiungere che più tardi, nella stesura del Corbaccio, la condanna delle donne è totale, perché sono tutte ingannatrici e streghe; tuttavia, per dire la totale nequizia del sesso femminile, soccorrono immagini che risentono della descrizione – manco a dirlo – di Panfile e delle altre streghe apuleiane: «Quante già su per le sommità delle case, de’ palagi o delle torri andate sono, e vanno, da’ loro amanti chiamate o aspettate? Quante già presummettero, e presummono tutto ’l giorno, o davanti agli occhi de’ mariti, sotto le ceste o nelle arche gli amanti nascondere? Quante nel letto medesimo co’ mariti farli tacitamente intrare? Quante, sole e di notte, e per mezzo gli armati e ancora per mare e per li cimiteri delle chiese se ne truovano continuo dietro andare a chi me’ lavora? E, che maggior vituperio è, veggenti i mariti, ne sono infinite che presummono fare i lor piaceri?» . . Cfr. E. Casamassima, Dentro lo scrittoio del Boccaccio, cit., ; M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., -. . Corbaccio  sgg.: l’edizione d’uso è curata da G. Padoan e raccolta in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, VI. , Mondadori, Milano , insieme a Elegia di madonna Fiammetta (a cura di C. Delcorno), Consolatoria a Pino de’ Rossi (a cura di G. Chiecchi). Buccolicum Carmen (a cura di G. Bernardi Perini) e Allegoria mitologica (a cura di M. Pastore Stocchi). Vd. Simonetta Mazzoni Peruzzi,  Rileggendo Petronio e Apuleio Ora, in attesa di riportare il discorso su Peronella, si può osservare come, nella novella di Lodovico/ Anichino e madonna Beatrice, sposa di Egano di Bologna, il motivo del trio in un letto (Dec. , ,  sgg.) abbia precedenti classici piuttosto diffusi, e tra questi vada annoverato proprio un passo del finale della novella del mugnaio, fonte della vicenda di Pietro di Vinciolo: ... ut sine ulla controversia tribus nobis in uno conveniat lectulo (Apul. Met. , ,  ) . Sempre di beffe si ragiona nell’ottava giornata, sotto il reggimento di Lauretta: questa volta tutti, uomini e donne, possono essere artefici e vittime, destinatori e destinatari, in una sorta di effettiva democrazia paritaria della burla e del divertimento; e anche in questa giornata gli spunti apuleiani non mancano. Per esempio, nella novella dello scolare innamorato della bella vedova, il giovane protagonista, alla vista della signora ignuda, conosce la stessa inequivoca reazione fisiologica provata da un lontano antenato, dallo scholasticus Lucio di fronte allo spettacolo provocante della servetta Fotide china sui fornelli. In Apul. Met. , ,  il racconto è in prima persona: isto aspectu defixus obstupui et mirabundus steti, steterunt et membra quae iacebant ante; in Dec. , ,  è la voce di Pampinea a registrare, come dato di cronaca imparziale, che «lo stimolo della carne l’assalì subitamente e fece tale in piè levare che si giaceva» . Il dettaglio non è isolato, come si impara anche dalla novella di Donno Gianni da Barletta, là dove si narra del modo di trasformare in utile giumenta la docile e prona moglie di compar Pietro da Tresanti (povero asinaio). Nel momento cruciale della metamorfosi attaccare da tergo la coda alla futura cavalla - l’officiante del rito, «risvegliandosi tale che non era chiamato e su levandose, ... Medioevo Francese nel «Corbaccio», Firenze, Le Lettere,  (in part. nella sezione  presenza di Petronio e Apuleio). . Cfr. V. Schmidt, Ein Trio im Bett: Tema con variazioni bei Catull, Martial, Babrius und Apuleius, «Groningen Colloquia on the Novel» , , -. . Il riscontro apuleiano è già indicato dalla nota vergata da Mannelli in margine al passo del cod. Laur. Plut. . (Mn). In generale cfr. G. Almansi, Alcune osservazioni sulla novella dello scolaro e della vedova, «Studi sul Boccaccio» , , -. . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  preso il pivuolo col quale egli piantava gli uomini e prestamente nel solco per ciò fatto messolo, disse “e questo sia bel petto di cavalla”» (Dec. , , ). Restando all’ottava giornata e passando alla novella successiva a quella dello scolare, non riesce difficile scorgere, nella costruzione del ménage incrociato che coinvolge due amici senesi, Spinelloccio Tavena e il Zeppa di Mino, e le rispettive consorti, una divertita combinazione di motivi tradizionali e apuleiani, anche perché non manca il segnale asinino a mettere in allarme il lettore (Dec. , . : «quale asino dà in parete tal riceve»). Spinelloccio, uso a giacere con la moglie dell’amico, viene serrato in una cassa, sulla quale il Zeppa pareggia i conti. Uscito dalla cassa, il marito gabbato propone una soluzione innovativa al problema delle coppie di fatto: «Zeppa, noi siamo pari pari ... è buono che noi stiamo amici come solevamo; e non essendo tra noi dua niun’altra cosa che le mogli divisa, che noi quelle ancora comunichiamo» (Dec. , , ). Insomma, ciascuna delle donne ebbe due mariti, e ciascun di loro ebbe due mogli, «senza alcuna quistione o zuffa mai per quello insieme averne». Si rende così stabile, con l’aggiunta di un elemento equilibratore, la soluzione precaria e temporanea adottata – come sappiamo - al termine della vicenda apuleiana della moglie del mugnaio (e riproposta nella chiusa della novella di Pietro da Vinciolo): plane cum uxore mea partiario tractabo. nec herciscundae familiae sed communi dividundo formula dimicabo, ut sine ulla controversia tribus nobis in uno conveniat lectulo (Apul. Met. , , ). Si aggiunga che anche Dec. , , cioè la novella del medico maestro Simone alle prese con Bruno e Buffalmacco, non sembra esente da echi apuleiani: quando si racconta dei presunti sortilegi che permetterebbero all’allegra brigata dei seguaci di Michele Scotto di convocare disponibilissime amanti da tutte le parti del mondo (Dec. , ,  sgg.), sembra agire per via antifrastica il ricordo degli incantesimi praticati dalle maghe apuleiane, Panfile in testa, per congiungersi ovunque con ogni tipo di amanti.  Rileggendo Petronio e Apuleio .. Metamorfosi di storie: due novelle d’adulterio Qualche considerazione infine sulle due novelle (Dec. ,  e , ) in cui la presenza apuleiana non si limita a spunti isolati, ma orienta l’intero intreccio: per dirla con le parole di Vittore Branca, sono «le uniche due novelle per cui si possa richiamare una fonte classica» in quanto discendono «proprio dallo scrittore latino, Apuleio, che la cultura medievale – per testimonianza del Boccaccio stesso – sentì quasi come un precursore» . Alle spalle dei due testi di Boccaccio stanno due sezioni del libro IX delle Metamorfosi dello scrittore africano (rispettivamente Met. , - per Dec. ,  e Met. , - per Dec. , ) : libro . V. Branca, Boccaccio medievale cit., -. Oltre che dalle postille di Mannelli, i rapporti con il testo apuleiano sono segnalati da una tradizione che muove da Lodovico Castelvetro, La Poetica d’Aristotile volgarizzata ed esposta, P. de Sedabonis, Basilea  ,  (per Dec. , ) e  (per Dec. , ). Cfr. U. De Maria, Dell’Asino d’oro di Apuleio e di varie imitazioni, Roma ,  sgg.; L. Di Francia, Alcune novelle del Decameron illustrate nelle fonti, «Giornale Storico della Letteratura Italiana» , , -; L. Cappelletti, Osservazioni storiche e letterarie e notizie sulle fonti del Decamerone, Cappelli, Rocca di San Casciano ,  sgg.; G. Petronio, Da Apuleio a Boccaccio cit.; E.H. Haight, Apuleius and Boccaccio, in Ead., More Essays on Greek Romances, Longmans, Green, and Co., New York ,  sgg.; D. Radcliff-Umstead, Boccaccio’s Adaptation of Some Latin Sources for the Decameron, «Italica» , , -; L. Sanguineti White, Boccaccio e Apuleio: caratteri differenziali nella struttura narrativa del Decameron, ED.I.M., Bologna , -; R. Klesczewski, Erzählen als Kriegskunst: zum Begriff ‘Erzählstrategie’ (mit Anwendung auf Texte von Apuleius und Boccaccio), in E. Lämmert (a c. di), Erzählforschung, Metzler, Stuttgart , -; A. Rossi, Il ’Decameron’. Pratiche testuali e interpretative, Cappelli, Bologna ,  sgg.; R. Scrivano, Il modello e l’esecuzione, Liguori, Napoli , - (Avventure dell’Asino d’oro nel Rinascimento); J. Walters, ’No More than a Boy’: The Shifting Construction of Masculinity from Ancient Greece to the Middle Ages, «Gender & History» , , -; I. Candido, Boccaccio umanista. Studi su Boccaccio e Apuleio, Longo, Ravenna ; Id., Boccaccio sulla via del romanzo. Metamorfosi di un genere tra antico e moderno, «arnovit. Archivio Novellistico Italiano» , , -. . Commento in B.L. Hijmans Jr. et alii (a c. di), Groningen Commentary on Apuleius’ Metamorphoses IX, Forsten, Groningen . Cfr. G. Bechtle, The Adultery Tales in the Ninth Book of Apuleius’ Metamorphoses, «Hermes» , , -; S. Mattiacci, Apuleio. Le novelle dell’adulterio (Metamorfosi IX), Le Lettere, Firenze ; M. Ruiz Sánchez, Los cuentos de adulterio del libro IX de las ’Metamorfosis’ de Apuleyo, «Faventia» , , -; S. Harrison, Literary Texture in the Adultery-Tales of Apuleius, Metamorphoses Book , in R.R. Nauta (a c. di), Desultoria scientia. Genre in Apuleius’ Metmorphoses and Relates Texts, Peeters, Leuven-Paris , -; G. Garbugino, Les . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  che si presenta come vero e proprio dossier antico sulle forme di adulterio di solito riservate allo spettacolo scollacciato del mimo e qui riproposte come esito divertito della storiografia dell’asino umano, insospettato e insospettabile testimone oculare e narratore delle piccole infamie e nequizie della vita di tutti i giorni. In entrambi i casi il tracciato narrativo delle ’novelle’ apuleiane viene seguito con fedeltà non inerte, nel senso che l’ordo rerum interno è rispettato in maniera abbastanza scrupolosa – a conferma, si sarebbe tentati di ribadire, che l’autore moderno si stia avvalendo di mediazione più concreta di quella offerta da scarni florilegi oppure da saltuarie suggestioni di memoria –, ma secondo intenzioni e caratterizzazioni che non appartengono all’autore antico. Tanto per cominciare, Boccaccio non tiene conto della successione delle due novelle entro la scansione narrativa del libro IX, costruito secondo un evidente ’crescendo’ della malvagità femminile che culminerà con le figure delle avvelenatrici del X libro delle Metamorfosi. Nelle riprese del Decameron non c’è traccia della vena apertamente misogina che anima i due racconti di Apuleio e che altrove Boccaccio, comunque, mostra di condividere . Qui la prospettiva è capovolta e dichiaratamente filo-femminile: mentre i mariti apuleiani, un faber e un pistor, sono dei poveracci che si affaticano senza tregua per mantenere mogli della peggior specie , i personaggi positivi in Boccaccio sono le donne: contes d’adultère chez Apulée et leur réception à la Renaissance italienne, in AA.VV., La réception de l’ancien roman de la fin du Moyen Age au début de l’époque classique, Maison de l’Orient et de la Méditerranée, Lyon , -. . In merito si rinvia a C. Cazalé Bérard, Filoginia/misoginia, in R. Brigantini, P.M. Forni (a c. di), Lessico Critico Decameroniano, Bollati Boringhieri, Torino , -. Ma si veda R. Martinez, Apuleian Example and Misogynist Allegory in the Tale of Peronella (Decameron VII.), in T.C. Stillinger, F.R. Psaki (a c. di), Boccaccio and Feminist Criticism, «Annali d’Italianistica», , -; M.G. Eisner, M.D. Schachter, “Libido Sciendi”: Apuleius and the Study of the History of Sexuality, «Modern Language Association» , , -. . Si tratta, rispettivamente, di un povero fabbro salariato e di un mugnaio. Apul. Met. , , -: is gracili pauperie laborans fabriles operas praebendo parvis illis mercedibus vitam tenebat. erat ei tamen uxorcula ... postrema lascivia famigerabilis. ... dum matutino ille ad opus susceptum profiscitur, statim latenter inrepit eius hospitium temerarius  Rileggendo Petronio e Apuleio la «bella e vaga» Peronella, trascurata dal marito muratore tenuto dal bisogno troppo tempo fuor di casa (Dec. , , ); la giovane di pel rosso, «bella e fresca, gagliarda e poderosa», presa in isposa dal ricco Pietro da Vinciolo «per ingannare altrui e diminuire la generale oppinion» di sodomia (Dec. , , -). In entrambi i casi l’adulterio femminile sembra scaturire naturaliter dall’andamento problematico del matrimonio e non implica – a differenza del modello latino – condanna morale nei confronti delle protagoniste . Dunque, come si è detto, la prospettiva è positiva: lo è senza dubbio in Dec. , , novella ambientata a Perugia e posta in chiusa della quinta giornata, «nella quale, sotto il reggimento di Fiammetta si ragiona di ciò che a alcuno amante, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse» . Il tema generale della giornata trova qui una conclusione, per così dire, moltiplicata: «non solo tutti e tre i protagonisti, dopo le varie peripezie, sono felici e appagati, ma il giovinetto, invece di un amante, ne trova due» . A proposito delle predilezioni omoeadulter. Apul. Met. , , : pistor ille, qui me pretium suum fecerat – racconta l’asino umano – bonus alioquin vir et adprime modestus, pessimam et ante cunctas mulieres longe deterrimam sortitus coniugam poenas extremas tori larisque sustinebat. ... nec enim uel unum vitium nequissimae illi feminae deerat, sed omnia prorsus ut in quandam caenosam latrinam in eius animum flagitia confluxerant. . Cfr. A. Bonadeo, Marriage and Adultery in the Decameron, «Philological Quarterly» , , -. . Oltre ai saggi di AA. VV., Sulla giornata V del Decameron, «Studi sul Boccaccio» , , cfr. R. Fleming, Happy Endings? Resisting Women and the Economy of Love in Day Five of Boccaccio’s Decameron, «Italica» , , -. . Così V. Branca nella nota conclusiva alla novella, nell’ed. einaudiana del Decameron, Torino  (rist. ), . Sempre V. Branca, Su una redazione autografa del Decameron anteriore a quella conservata nell’autografo hamiltoniano, «Studi sul Boccaccio» , , , dopo aver ricordato che il Parigino It. , rivisto e illustrato dall’autore stesso, è anteriore al cod. Hamilton , segnala una variante significativa nel finale della novella di Pietro da Vinciolo: nella prima redazione, in Dec. , , , si legge «in su la Piazza fu il giovane da Pietro accompagnato», mentre nella seconda il testo suona «in fino in su la Piazza fu il giovane, non assai certo qual più stato si fosse la notte o moglie o marito, accompagnato». Sorridente conclusione non indegna di stare alla pari con quella apuleiana, comunque venata di punte misogine: pudicissima illa uxore alterorsus disclusa solus ipse cum puero cubans gratissima corruptarum . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  rotiche di Pietro da Vinciolo, la critica ha opportunamente segnalato i contenuti di una commedia, elegiaca del XII-XIII secolo oppure umanistica del Quattrocento, vale a dire la Conquestio uxoris Cavichioli – in cui uxor quedam conqueritur de marito sodomita –, come elementi di confronto letterario con la novella di Boccaccio, per quanto concerne il modo di delineare il comportamento del marito e, di conseguenza, nel sottrarre il comportamento della moglie ad aperta condanna . Il riferimento, più che probabile, nulla toglie tuttavia all’influenza del modello apuleiano, non solo perché anche sulla Conquestio si avverte il riflesso di Apul. Met. , -, ma soprattutto perché Boccaccio non occulta il proprio effettivo interesse nei confronti delle storie apuleiane d’adulterio. Come primo segnale si possono ricordare le postille vergate sui margini di φ, ff. v – r. All’altezza dell’inizio della favola (Met. , , -) si annota: Fabula de pistore et uxore sua nequissima; più avanti, quando il pistor giustifica il proprio ritorno anzitempo col “racconto nuptiarum vindicta perfruebatur (Apul. Met. , , ). . Editio princeps a cura di E. Franceschini, Due testi latini inediti del Basso Medioevo, «Atti dell’Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Padova» n.s. , -, - (poi in Id., Scritti di filologia latina medievale, I, Antenore, Padova , -). Cfr. M. Pastore Stocchi, Un antecedente latino-medievale di Pietro da Vinciolo, «Studi sul Boccaccio» , , - (secondo cui la Conquestio è tenuta presente da Boccaccio); D. Radcliff-Umstead, The Birth of Modern Comedy in Renaissance Italy, Univ. of Chicago Press, Chicago-London ,  sg.; I. Gualandri, G. Orlandi, Commedia elegiaca o commedia umanistica? Il problema ‘De Cavichiolo’, in S. Boldrini (a cura di), Filologia e forme letterarie. Studi offerti a Francesco della Corte, V, QuattroVenti, Urbino , ; N. Carlidge, Homosexuality and Marriage in a Fifteenth-Century Humanist Comedy: The Debate between Cavichiolus and his Wife, «The Journal of Medieval Latin» , , -; A. Bisanti, Appunti sul testo e sulle fonti del ‘De Cavichiolo’, commedia umanistica del XV secolo, «Interpres» , , -; Id., Anonimo. De Cavichiolo (ed. critica, trad. e comm.), SISMEL. Edizioni del Galluzzo, Firenze ; Id., Il ‘De Cavichiolo’: una commedia umanistica al crocevia di generi diversi, in S. Pittaluga, P. Viti (a cura di), Comico e tragico nel teatro umanistico, Ledizioni, Milano , -. La Conquestio è antologizzata in J.J. Wilhelm, Gay and Lesbian Poetry: An Anthology from Sappho to Michaelangelo, Garland Publishing, New York-London ,  sgg. Le predilezioni sessuali di Pietro da Vinciolo e, di contro, l’umorosa imparzialità esibita dal mugnaio apuleiano sono esaminate, senza nulla concedere alla verve narrativa e alle intenzioni dei due autori, nel saggio Forgetting Foucault presente nel vol. di D.M. Halperin, How to Do the History of Homosexuality, Univ. of Chicago Press, Chicago , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio speculare” dell’adulterio della moglie del tintore e dell’amante nascosto nel ripostiglio sulfureo della lavanderia , le chiose di Boccaccio seguono gli sviluppi del racconto, dapprima con il segnale puntato sull’incipit (Fabula de uxore fullonis), poi con le indicazioni sugli effetti dello zolfo, che fa sternutire il ’secondo adultero’ (Sternutatio), e sulle automatiche reazioni dei presenti (Nota solitum sternutanti salutem imprecari); infine con i due marginalia che segnano la scoperta dell’amante celato in alveo ligneo , a causa dell’asino che ne calpesta le dita incautamente sporgenti dal cassone (Digitos), e la soluzione adottata dal mugnaio, che esige gli stessi diritti della consorte sulle grazie del giovane amante (Partiario) . Nella redazione di Boccaccio la novella si chiude con un distaccato accenno a exploits notturni «a soddisfacimento di tutti e tre» e con il successivo congedo del giovane amante in preda a qualche dubbio sulla propria identità sessuale (Dec. , , -); manca pertanto il finale cupo della storia apuleiana che culmina con il ripudio della non irreprensibile sposa e con la di lei vendetta mortale a suon di magia nera (Apul. Met. , ). Ma la nuova redazione del racconto non si ferma a questa innovazione, per altro congruente con le diverse connotazioni imposte ai personaggi da Boccaccio. Ne vanno segnalate, infatti, almeno altre due o tre. La prima, a ben vedere, consiste nella trasposizione di un passo lontano nell’ordo rerum apuleiano, . Come spesso avviene nel tessuto delle Metamorfosi, la fabula de uxore fullonis (Apul. Met. . -) è incastonata nella fabula della moglie del mugnaio, il quale si fa promotore del racconto per dar ragione del proprio prematuro ritorno: Boccaccio ne sfrutta pienamente l’efficacia metanarrativa in Dec. , , -. Per la funzione letteraria del racconto che riflette se stesso si rinvia a L. Dällenbach, Il racconto speculare. Saggio sulla mise en abyme, tr. it., Pratiche Editrice, Parma . . Cfr. Verg. Aen. , -. Ultimo miserabile discendente di eroici marchingegni capaci di epiche conquiste di città nemiche, il cassone delle granaglie si presenta come malsicuro strumento di difesa di facili amori e squallido armamentario di scena da mimo (V. Schmidt, Ein Trio im Bett cit., ). . M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., -. Sul ’diritto’ alla fruizione condivisa tra coniugi di opportunità extraconiugali si rinvia a quanto detto supra, a proposito di Dec. , , . . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  ma funzionale alla storia e quindi irrinunciabile: la scena della vecchia mezzana (Apul. Met. , , : anus quaedam stuprorum sequestra et adulterorum internuntia), che propone alla donna un nuovo e più intraprendente amante , viene a trovarsi a ridosso della notte cruciale, a guisa di presentazione dell’audace e prestante giovanotto, in quanto la novella del Decameron non può farsi carico del racconto intercalato, nelle Metamorfosi, alla vicenda principale (Apul. Met. , -) . Si tratta di spostamento inevitabile, ma comunque significativo: insieme all’incipit, tributario e contrario – come si è visto – di Met. , , , mostra come Boccaccio abbia saputo cogliere l’unità della storia apuleiana al di là delle strategie narrative messe in atto dal modello antico. La seconda innovazione è più sostanziosa e viene imposta dalla pratica di excerptor imposta all’autore dalla struttura stessa di una raccolta di novelle rispetto a un continuum narrativo. Come è noto, nelle Metamorfosi spetta a Lucio-asino, nella duplice veste di narratore e attore della vicenda, il compito di svelare la tresca al marito, intervenendo volutamente sulla mano dell’amante nascosto. In particolare, l’abnorme personaggio, indignato per gli spudorati commenti della sposa sul comportamento della moglie del tintore e per l’offesa perpetrata ai danni del mugnaio, si sente vicario di caelestis providentia e opera come vendicatore ufficiale del misfatto, approfittando dell’abbeverata serale come occasione di vendetta. Così l’asino umano narra in prima persona la . Cfr. D. Tripp, The Baker’s Wife and her Confidante in Apuleius, Met. IX  ff., «Emerita» , , -. . Si tratta della novella di Barbarus, Philesitherus e Myrmex narrata dalla mezzana alla moglie del mugnaio: sui rapporti con le altre storie d’adulterio cfr. P. James, Unity in Diversity. A Study of Apuleius’ Metamorphoses with Particular Reference to the Narrator’s Art of Transformation and the Metamorphosis Motif in the Tale of Cupid and Psyche, Olms, Hildesheim-Zürich-New York-Bern-Frankfurt a. M.-Paris , -. Di passaggio, mette forse conto ricordare che la vicenda verrà ripresa nel testo che viene considerato il primo esempio di commedia “regolare” in prosa italiana, vale a dire Il Formicone, azione scenica di Publio Filippo Mantovano rappresentata alla corte di Francesco Gonzaga, Mantova nel  (ed. critica a cura di L. Stefani, Ferrara ).  Rileggendo Petronio e Apuleio propria funzione di strumento provvidenziale: praetergrediens observatos extremos adulteri digitos, qui per angustias cavi tegminis prominebant, obliquata atque infesta ungula compressos usque ad summam minutiem contero, donec intolerabili dolore commotus, sublato flebili clamore repulsoque et abiecto alveo, conspectui profano redditus scaenam propudiosae mulieris patefecit (Apul. Met. , , ). A Boccaccio è ovviamente preclusa la possibilità di far agire un asino dagli intendimenti umani in qualità di vindice consapevole di vergognose prassi d’adulterio in nome di più alti disegni. Pertanto si rimane a livello degli accadimenti fortuiti e si compie un’ulteriore metamorfosi in declino ontologico (dall’uomo imbestiato alla bestia tout court), col risultato di affidare a un asino qualunque – anonima e depotenziata ipostasi letteraria – il compito di compiere in maniera fortunosa quanto nel modello antico rappresenta una scelta deliberata (mihi ... cogitanti mecumque sedulo deliberabam) che riavvicina il protagonista imbestiato al recupero della dimensione umana: «Avvenne che, essendo la sera certi lavoratori di Pietro venuti con certe cose dalla villa e avendo messi gli asini loro, senza dar lor bere, in una stalletta la quale allato alla loggetta era, l’un degli asini, che grandissima sete avea, tratto il capo del capestro era uscito della stalla e ogni cosa andava fiutando se forse trovasse dell’acqua; e così andando s’avvenne per mei la cesta sotto la quale era il giovinetto. Il quale avendo, per ciò che carpone gli convenia stare, alquanto le dita dell’una mano stese in terra fuori della cesta, tanta fu la sua ventura, o sciagura che vogliam dire, che questo asino ve gli pose sù piede, laonde egli, grandissimo dolor sentendo, mise un grande strido» (Dec. , . La metafora non è casuale: in termini di spettacolo questa è la scena-madre del mimo della cesta (cfr. supra, n. ). In generale sugli aspetti ‘teatrali’ della narrativa apuleiana interviene S. Frangoulidis, Roles and Performances in Apuleius’ Metamorphoses, Metzler, Stuttgart-Weimar ; si veda altresì W. Keulen, The Wet Ritual of the Excluded Mistress: Meroe and the Mime, in R.R. Nauta (a c. di), Desultoria scientia, cit., , -. . Cfr. per es. A. D’Antonio, Avventure letterarie di un asino (Decameron V), «Quaderni d’Italianistica» , , -. . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  , -) . La terza innovazione riguarda i discorsi successivi alla scoperta dell’adultero. In Apuleio (Met. , , - e , ) la parola compete unicamente al mugnaio, che si rivolge due volte all’incauto giovine per farsene beffe, una volta prima di trascinarlo a letto e poi dopo la notte segnata dalla vendetta delle nuptiae corruptae, mentre la casta sposa viene rinchiusa in altra stanza senza che le sia concesso di proferire motto . In Boccaccio, di contro, Pietro da Vinciolo si limita a scarne battute – per lo più concilianti, ma sempre mirate a fruizioni alternative –, mentre la donna si esibisce in una vivace tirata – confrontabile col lamento dell’uxor Cavichioli – sulla confusione dei ruoli causata dalle opzioni erotiche del marito . Dell’esito, favorevole a Pietro ma non troppo punitivo per la consorte, si è detto, anche se resta in sospeso a chi dei due vada effettivamente riferita la massima scandita da Dioneo come sigillo finale della novella (Dec. , , : «Per che così vi vo’ dire, donne mie care, che chi te la fa, fagliele, e se tu non puoi, tienloti a mente fin che tu possa, acciò che quale asin dà in parete tal riceva»). Nessuna ambiguità, invece, è dato riscontrare nella storia di Peronella (Dec. , ), narrata da Filostrato e vero emblema della settima giornata, in cui «sotto il reggimento di Dioneo si ragiona delle beffe, le quali o per amore o per salvamento di loro le donne hanno già fatte a’ suoi mariti, senza essersene av. Il passo del Decameron permette di chiarire come sia stata intesa la postilla Digitos che abbiamo visto apposta a Met. , , ; Boccaccio non ha dubbi e scrive «le dita dell’una mano». E’ questa la resa appropriata, di solito accolta da traduttori e interpreti moderni. Va tuttavia segnalato che i commentatori apuleiani di Groningen sembrano propendere non per «fingers» ma per «toes» (Groningen Commentary on Apuleius’ Metamorphoses IX, cit., ). . Cfr. Apul. Met. , , . talis sermonis blanditie cavillatum deducebat ad torum nolentem puerum, sequentem tamen (eco ironica del detto di Cleante riportato da Sen. Epist. , : ducunt volentem fata, nolentem trahunt). . Cfr. sempre Apul. Met. , , , riportato in n. . . Dec. , , -, da leggere alla luce di M. Pastore Stocchi, Un antecedente latino-medievale di Pietro da Vinciolo, cit.,  sgg. (art. discusso a proposito dei rapporti di cronologia reciproca tra Boccaccio e l’anomimo autore della Conquestio). Cfr. anche S. Gaylard, The Crisis of Words and Deed in Decameron V, , in G. Allaire (a c. di), The Italian Novella. A Book of Essays, Routledge, London-New York , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio veduti o sì» . Un po’ d’attenzione ai nomi non sembra ozioso passatempo : Dioneo, come si è visto, è il narratore di Dec. ,  e porta un nome che compare come epiteto dell’autore giovane in preda a pene d’amore in Epist. II (me miserum rudem ... a Dyona spurcissimum dyoneum) ; Filostrato è nome evocativo di scritture partenopee; Peronella, che fa uscire dall’anonimato la spregiudicata moglie del faber apuleiano, è nome non raro nella Napoli angioina e ha come precedente la bella Peronella d’Arco citata nella Caccia di Diana (,  e , ), poemetto in terza rima che apre la stagione poetica di Boccaccio . Gli antroponimi convergono tutti verso il periodo giovanile dell’autore e portano con sé una non troppo implicita indicazione topografica, Napoli , che puntualmente troviamo come spazio cittadino in cui è ambientata la novella moderna: «Egli non è ancora guari che in Napoli un povero uomo prese per moglie una bella e vaga giovinetta chiamata Peronella» (Dec. , , ). Napoli e giovinezza: sono le coordinate spazio-temporali che valgono a identificare il periodo più intenso della formazione dell’autore, periodo che tra l’altro coincide – lo sappiamo – con . Cfr. C. Segre, Funzioni, opposizioni e simmetrie nella giornata VII del “Decameron”, in Le strutture e il tempo, Einaudi, Torino , -. Per i giochi dell’intertestualità cfr. M. Picone, Dal romanzo antico alla novella medievale: Decameron II. , in M. Picone, B. Zimmermann (a c. di), Der antike Roman und seine mittelalterliche Rezeption, Birkhäuser, Basel , -. . Come insegna la tradizione classica (Cic. Tusc. , : nomina sunt consequentia rerum) e come si ricava da L. Sasso, L’Interpretatio Nominis in Boccaccio, «Studi sul Boccaccio» , , -. . Cfr. A. Duranti, Le novelle di Dioneo, in AA.VV., Studi di filologia e critica offerti dagli allievi a Lanfranco Caretti, Salerno Ed., Roma , -; E. Grimaldi, Il privilegio di Dioneo. L’eccezione e la regola nel sistema “Decameron”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli . . Anche il nome dell’amante, Giannello Scrignario, rinvia all’ambiente napoletano e alla medesima opera: l’importanza della famiglia feudale degli Scrignari è infatti ricordata più volte nella Caccia di Diana (, ; , ; ,  e ). . Particolari partenopei sono la contrada «che Avorio è chiamata» in cui abitano i protagonisti (Dec. , , ), la festa di San Galeone (titolare di culto locale) responsabile del ritorno anzitempo del marito (Dec. , , ), infine i gigliati, ovvero la moneta angioina coi gigli di Francia al centro del forzoso e liberatorio acquisto del doglio (ibid.). . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  la personale riscoperta di Apuleio. In questa sorta di rimpatriata della memoria l’autore antico occupa posto di rilievo, già segnalato – manco a dirlo – dalle postille marginali su f. rv di φ. La lepida fabula d’adulterio ai danni di un povero fabbro, che torna a casa prima del previsto ignarus rerum , è narrata dall’asino novelliere e ha inizio in Met. , ,  ; a quell’altezza in margine si legge: Fabula de fabro pauper«i»; più avanti le «mani in tasca» (insinuatis manibus) di Met. , ,  rinfacciate dalla moglie al muratore come segno di pigrizia, danno adito a una spiegazione marginale di tipo etimologico (in sinum positis). Lo stesso si può dire per pernox (chiosato idest vigilans in nocte) che compare poco dopo, nello stesso passo, in coppia con perdia a indicare presunti meriti domestici della donna, che vanta il proprio impegno di filatrice a tempo pieno ut intra cellulam nostram saltem lucerna luceat (ibid.) . In Met. , , - il battibecco tra marito e moglie che dà vita all’insolita e improvvisata asta sul prezzo del doglio, in cui si cela l’amante, si gioca sulla non facile vendita operata dal marito (istud ego quinque denariis cuidam venditavi) e sul prezzo più . Come vuole la tradizione dei mimi d’adulterio; cfr. P.H. Kehoe, The Adultery Mime Reconsidered, in D.F. Bright, E.S. Ramage (a c. di), Classical Texts and their Tradition. Studies in Honor of C.R. Trahman, Scholar Press, Chico (Cal.) , -. . Il testo è riportato supra, in n. . Si noti come Boccaccio non solo trasformi il faber in muratore, ma volga l’espressione latina parvis illis mercedibus vitam tenebat, riferita al solo marito (ché la moglie, postrema lascivia famigerabilis, è in altre faccende affaccendata), al plurale e coinvolga anche Peronella nel faticoso andamento domestico: «e esso con l’arte sua, e ella filando, guadagnando assai sottilmente, la lor vita reggevano come potevano il meglio» (Dec. , , ). Confronto tra i due testi in M.G. Bajoni, La novella del dolium in Apuleio, Metamorfosi IX - e in Boccaccio, Decameron VII,, «Giornale Storico della Letteratura Italiana» , , -. . Il passo apuleiano e le espressioni postillate trovano ospitalità in Boccaccio, mediante indicazioni equivalenti ma in ordine inverso rispetto all’originale: «non fo il dì e la notte altro che filare, tanto che la carne mi s’è spiccata dall’unghia, per potere almeno aver tanto olio, che n’arda la nostra lucerna. ... e tu mi torni a casa con le mani spenzolate quando tu dovresti essere a lavorare» (Dec. , , -). . Cfr. Groningen Commentary on Apuleius’ Metamorphoses IX, cit., p. : quinque denariis è lezione di φα, mentre F presenta rasura in cui una secunda manus ha scritto septem, forse perché condizionata dalla presenza di una s (in base alla quale Robertson congettura sex) e dalla cifra successiva su cui si assesta la compra-vendita. Anche L ,  Rileggendo Petronio e Apuleio alto ottenuto dalla donna senza fatica nell’immaginaria vendita all’amante-acquirente e motivo di compiacimento per l’ignaro consorte (ego mulier ... septem denariis vendidi ... abditamento praetii laetus maritus ...): sui margini di φ la scenetta viene segnata da duplice postilla di natura lessicale (vendito all’altezza della battuta del marito; abditamento al termine della battuta della moglie) . A differenza di quanto accadrà nella novella  del Novelliere di Giovanni Sercambi, ricalcata in maniera pedissequa sulla novella di Peronella , il testo di Boccaccio si muove con vivace libertà nei confronti del modello, con cui sembra impegnato in garbata gara di emulazione in grado di conservare una fedeltà sostanziale ai punti cruciali dell’impianto narrativo apuleiano, senza tuttavia precludersi la via a sottrazioni e ad aggiunte che conferiscono nuovo aspetto alla vicenda. Due dettagli possono soccorrere in proposito. Il primo riguarda una variazione in assenza: in Apuleio l’amante, quando riemerge dalla giara e asseconda lo stratagemma della compra-vendita, contesta il cattivo stato del contenitore e la sporcizia che si è accumulata al suo interno: hoc tibi dolium nimis vetustum est et multifariam rimis hiantibus quassum. ... lucernam .... mihi expedis, ut erasis intrinsecus sordibus diligenter aptumne usui possim dinoscere; e il marito, sua sponte, si sobbarca la pulizia nel chiuso della giara, concedendo così libertà di manovra agli amanti (Met. , , -). Boccaccio conosce il mondo mercantile e ritiene inverisimile, anche in una trattativa fittizia inscenata come diversivo per il codice Laurenziano .  autografo di Boccaccio, reca quinque in accordo con φα; e in Dec. , , - si legge che da cinque a sette «gigliati» sale il prezzo della giara nell’immaginaria trattativa che segna il trionfo dell’astuzia di Peronella. . Abditamento è lezione di F e di φ, confermata dalla postilla di Boccaccio; si tratterebbe di hapax (da abdere, nascondere) che non dà senso, nonostante il tentativo di spiegazione di Beroaldo come detractatio o deductio pretii; gli editori moderni correggono in additamento, attestato dai recenziori. . Cfr. M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., -. . Cfr. per es. L. Rossi, Sercambi e Boccaccio, «Studi sul Boccaccio» , , -. Per il testo si ricorre all’ed. curata da Luciano Rossi: G. Sercambi, Il Novelliere, I-III, Salerno Ed., Roma . . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  ben altra impresa, che si possa offrire un prezzo più alto e insieme constatare come l’oggetto dell’acquisto sia in pessime condizioni. Scompaiono pertanto dalla giara le crepe e i segni del tempo; Giannello sa dare alle sue parole congruenza con l’offerta di prezzo maggiore: «Il doglio mi par ben saldo, ma egli mi pare che voi ci abbiate tenuta entro feccia, ché egli è tutto impastricciato di non so che cosa sì secca, che io non ne posso levar con l’unghie, e però io nol torrei se io nol vedessi prima netto» (Dec. , , ); il che permette a Peronella – in linea con l’effettivo protagonismo femminile della novella – di intervenire e assicurare che il marito eseguirà la ripulitura, per non mandare all’aria l’affare. Il secondo dettaglio consiste in una variazione con aggiunta. Si è già avuto modo di citare, a proposito della novella di Frate Puccio (Dec. , , -), l’audace scenetta finale della donna, che sta china sull’orlo della giara, indicando al consorte dove pulire e permettendo all’amante operazioni di retroguardia in tutta tranquillità. Ne ricordiamo ora il passo centrale (at vero adulter bellissimus ille pusio inclinatam dolio pronam uxorem fabri superincurvatus secure dedolabat. Apul. Met. , , -), un po’ per segnalare che la non ambigua metafora ha attirato l’attenzione del chiosatore, che in margine di f. v di φ verga a guisa di postilla l’infinito presente del verbo (dedolare) , soprattutto per osservare come Boccaccio non si sottragga alla scena, ma vi aggiunga un particolare ricavato da altra fonte classica: Giannello . Per il significato del verbo («to hew into shape», «tagliare, sgrossare, piallare») e le occorrenze in accezione oscena cfr. Groningen Commentary on Apuleius’ Metamorphoses IX, cit., ; S. Mattiacci, Apuleio. Le novelle dell’adulterio, cit., -. Come osserva A. Scobie, The Influence of Apuleius’ Metamorphoses in Renaissance Italy and Spain, cit., , il verbo piacerà a Girolamo Morlini, che lo impiegherà un paio di volte nella sua raccolta di novelle in latino di stampo apuleianeggiante (Napoli ; G. Morlini, Novelle e favole, a cura di G. Villani, Salerno Ed., Roma ): in nov.  (illam dedolare cepit) e  (de famulo pistoris qui pistricem dedolavit). A valutare l’influenza congiunta di Apuleio e Boccaccio, è sufficiente ricordare gli argomenti di nov.  (de puero qui deprehensus in adulterio a viro paedicatus deverberatusque fuit) e  (de adultero qui uxorem in praesentia viri in dolio permanentis retromarte delibat), nonché l’ordine in cui si susseguono le due novelle.  Rileggendo Petronio e Apuleio «a lei accostatosi, che tutta chiusa teneva la bocca del doglio, e in quella guisa che negli ampi campi gli sfrenati cavalli e d’amor caldi le cavalle di Partia assaliscono, a effetto recò il giovanil desiderio» (Dec. , , ). Passando da Apuleio a Boccaccio, la metafora abbandona la sfera del lavoro artigianale e si istalla nel mondo della riproduzione equina: il che avviene non in forza di personali interessi per la dimensione naturale (more ferarum) dell’operazione, ma grazie a intenzionale ripresa di una figura Veneris ben attestata nella poesia augustea mediante corto-circuito tra le tecniche militari dei Parti, che combattono aversis equis, e il non inerte comportamento amoroso delle cavalle . Come si vede, anche quando opera sotto l’influenza di un modello forte e collaudato o segue una fonte saldamente individuata, Boccaccio non si mostra opaco tributario dei testi eletti a propria guida: non si limita, insomma, a riprodurre scolasticamente le storie che hanno suscitato il suo interesse, ma rielabora i materiali narrativi prescelti intarsiandoli di tessere musive, proprie o altrui, che portano il segno inequivocabile della sua presenza attiva sulla pagina. E’ interessante notare come questo aspetto – vistoso nel caso di Apuleio ma visibile sempre qualora siano individuate le fonti – tenga aperto, in sede critica, un piccolo problema classificatorio, mirante a salvaguardare l’originalità dell’autore moderno anche nel momento in cui nitido e riconoscibile si fa il profilo dei debiti contratti con i precedenti. Si tratta, a ben vedere, di un’eredità della cosiddetta . Per il furor equarum cfr. Verg. Georg. , -; per la posizione erotica evocata attraverso l’immagine equestre dei Parti cfr. Ov. Ars am. , - e , -: i riscontri in M. Pastore Stocchi, Note e chiose interpretative. I. Le cavalle di Partia, «Studi sul Boccaccio» , , -; e in M. Guglielminetti, La tecnica dell’allusione, in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (a c. di), Lo spazio letterario di Roma antica. IV. L’attualizzazione del testo, Salerno Ed., Roma , . Gli «ampi campi» e i «cavalli d’amore caldi» che «le cavalle cuoprono» (senza bisogno di dislocazioni esotiche e lontane) ritornano nella nov.  di Sercambi che si chiude tuttavia con una truculenta innovazione anti-boccaccesca, vale a dire con un colpo d’ascia sul naso della moglie da parte del consorte beffato. . Da Montecassino a Firenze [. . . ]  critica delle fonti , poco avvertibile da chi pratichi metodi esegetici di derivazione crociana, ma non eludibile da quanti continuano a essere interessati alla dinamica dei modelli letterari e alla ricezione moderna dei classici. Bene: in proposito si possono ricordare formule che sembrano garantire l’indubbia importanza dei modelli e il livello artistico dei rifacimenti e delle riprese: ars combinatoria come capacità di accostamento e ricomposizione creativa dei prelievi dalle proprie o dalle altrui opere ; arte dell’allusione, di pasqualiana memoria, che permette a Boccaccio di «riaffermare la propria indipendenza complessiva da Apuleio proprio nel momento medesimo in cui ne sembra tributario» ; profondità stratigrafica che sfida l’interprete a indagare la molteplicità di fonti combinate o sovrapposte in ogni segmento testuale . Sono formule che in vario modo presuppongono il lavorìo critico nato in seno agli studi classici per evitare il rischio – in cui è incorsa la filologia germanica dell’Ottocento e del primo Novecento – di esaltare la grandezza dei modelli, di solito identificati con gli autori greci, e deprimere a rango di copie le opere degli autori latini, di frequente considerati alla stregua di semplici imitatori. In realtà, l’intera produzione letteraria del mondo classico ruota attorno al concetto di mimesis/imitatio e, almeno da Aristotele in poi, non annette giudizio negativo alla prassi imitativa, in quanto opera di valore viene considerata quella che sa riprodurre i . Rassegna, a proposito del caso D’Annunzio, in G.F. Pasini, Dossier sulla critica delle fonti, Pàtron, Bologna . . La proposta è di G. Velli, Ancora sull’ “elegia di Costanza”. L’ ’ars combinatoria’ del Boccaccio, «Italia Medioevale e Umanistica» , , -; cfr. Id., Petrarca e Boccaccio. Tradizione, memoria, scrittura, Antenore, Padova . . M. Guglielminetti, La tecnica dell’allusione, cit., . La nozione di arte allusiva è acquisizione critica che si deve a Giorgio Pasquali: individuata attraverso lo studio dei modelli greci di Orazio (Orazio lirico, Sansoni, Firenze , rist. a cura di A. La Penna, ibid., ), ha trovato formulazione compiuta nell’art. Arte allusiva (), rist. in G. Pasquali, Pagine stravaganti di un filologo, II, a c. di C.F. Russo, Le Lettere, Firenze , -. Vd. G.B. Conte, A. Barchiesi, Imitazione e arte allusiva. Modi e funzioni dell’intertestualità, in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (a c. di), Lo spazio letterario di Roma antica, I, Salerno Ed., Roma , -. . S. Marchesi, Stratigrafie decameroniane, Olschki, Firenze .  Rileggendo Petronio e Apuleio tratti della realtà naturale e sa fare buon uso di formule e motivi desunti da modelli considerati canonici con i quali ogni autore che si rispetti è tenuto a misurarsi in una sorta di continua gara artistica . Ecco: si sarebbe tentati di dire che Boccaccio operi secondo le stesse regole compositive degli autori dell’antichità, dei suoi amati classici, sia di quelli noti per lunga tradizione sia di quelli conosciuti in forza di fortunate riscoperte. Anche per lui potrebbe valere la formula di Creative Imitation, nata per cancellare il falso problema della mancata originalità della letteratura latina e successivamente estesa alla prassi compositiva dell’Umanesimo e del Rinascimento : ovviamente, a patto di ribadire l’accezione classica di imitatio, che in coppia con aemulatio è requisito primo per ogni aristìa artistica che faccia i conti con la tradizione e ambisca salire agli stessi livelli raggiunti dalle opere scelte a modello. L’operazione, in buona sostanza, implica due giudizi di valore: rifacimenti o riprese predicano l’esemplarità dei testi d’origine e ne prolungano l’eco nel tempo, dando e ricevendo gloria sul terreno della fortuna letteraria; e si direbbe che appunto questa sia stata la sorte della coppia Apuleio-Boccaccio, forieri di reciproca fortuna nella novellistica e nella cultura figurativa europea . . Cfr. per es. A. Reiff, Interpretatio, imitatio, aemulatio. Begriff und Vorstellung literarischer Abhängigkeit bei den Römern, Habelt, Bonn ; S. Halliwell, The Aesthetics of Mimesis, Princeton Univ. Press, Princeton ; G.F. Gianotti, Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico, in Id. (a c. di), Pensieri sull’imitazione, «Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino. Quaderni» , , -. . Cfr. D. West, T. Woodman (a cura di), Creative Imitation and Latin Literature, Cambridge Univ. Press, Cambridge  ( ); D. Quint (a cura di), Creative Imitation. New Essays on Renaissance Literature in Honor of Thomas M. Greene, MRTS, Binghamton (NY) . . Cfr. A. Chiari, La fortuna del Boccaccio, in Problemi e orientamenti critici di lingua e letteratura italiana. III. Questioni e correnti di storia letteraria, Marzorati, Milano , -; M. Acocella, L’Asino d’oro nel Rinascimento. Dai volgarizzamenti alle raffigurazioni pittoriche, cit. Capitolo III In viaggio con l’asino∗ Anche «les animaux ont une histoire» . Da quando questa storia si è incontrata con la storia dell’uomo, viaggiare in compagnia di un quadrupede risulta pratica collaudata e diffusa, antica quanto la domesticazione degli animali. Tale pratica assegna al quadrupede ruoli semplici e ben definiti (cavalcatura, traino, trasporto) che non prevedono possibilità di alternative. A patto, s’intende, di non aver che fare con situazioni eccezionali – alterazioni dello stato di natura e processi metamorfici – cui per altro il mito prima, il racconto folclorico e la storia umana poi concedono non infrequente ospitalità, come sembrano testimoniare le imprese dei Centauri e le lacrime dei divini cavalli di Achille, il destino astrale di Pegaso, l’aristía di Bucefalo o i fasti curiali del cavallo di Caligola. Certo, se ci avventuriamo sul terreno della narrazione paradossografica, sotto la pressione dei mirabilia rischiamo di perdere contatto con le classificazioni della zoologia (la scienza dell’animale morto) e con le procedure della zootecnía (le tecniche d’impiego dell’animale vivo), e magari con le meno problematiche e più soddisfacenti pratiche alimentari nate dall’uso culinario dell’animale sacrificato. Tuttavia, la perdita o l’attenuazione del crudele modello epistemologico che presiede alla nostra conoscenza degli animali e La prima redazione è comparsa in F. Rosa, F. Zambon (a c. di), Pothos. Il viaggio, la nostalgia, Univ. degli Studi, Trento , -. . Così suona il titolo originale del lavoro di R. Delort, L’uomo e gli animali dall’età della pietra a oggi, tr. it., Roma-Bari . . Vd. p. es. l’ampio repertorio di P.M.C. Forbes Irving, Metamorphosis in Greek Myths, Oxford . ∗   Rileggendo Petronio e Apuleio all’insufficiente riconoscimento dei loro diritti è compensata a usura dalle risorse del linguaggio, che a suon di metafore sostituisce i giochi dell’immaginazione alle rigide nomenclature del reale e può pensare bipedi e quadrupedi entro un’unica categoria sfruttando i margini di libertà espressiva concessi da una delle più antiche tra le nostre opposizioni semantiche, quella tra esseri animati ed esseri inanimati . Sappiamo bene che per il pensiero simbolico antropologia e zoologia tendono a coincidere e che i processi di identificazione o sostituzione si attuano a due livelli distinti, al termine di percorsi incrociati e inversi che predicano, con pari credibilità, umanizzazione delle bestie e imbestiamento umano. Nel primo caso gli animali sono presentati come paradigmi di comportamento o specchio dell’ordine naturale. Nel secondo caso, sulla filigrana del tradizionale schema gerarchico dei viventi, il popolo degli animali esibisce la propria inferiorità come segno di degradazione o fallimento, icastica imago di «matta bestialitate» che marchia un’umanità in preda a vizi ed errori. Di tali percorsi esiste ricchissima documentazione: a prescindere dalle infinite apostrofi zoologiche quotidianamente indirizzate ai nostri simili, basti pensare alla tenace tradizione degli animali parlanti che dalla novellistica orientale, lungo il filone Esòpo-Fedro-La Fontaine, approda alle moderne riedizioni dei fumetti disneyani o delle Fattorie orwelliane. D’altra parte è facile constatare come, dall’antico Fisiologo al recente Manuale di Borges, le didascalie di Bestiari puntualmente e puntigliosamente rimoralizzati accompagnino la riflessione occidentale sui comportamenti umani. Si aggiunga il mito della ’generazione umana’ degli animali che, da Pitagora in poi, ha prodotto inesauste parabole morali miranti a ridisegnare le nuove forme di vita che sembrano competere a quanti non sappiano mante. Vd. in proposito S. Rocca, Lo specchio oscuro. Il diritto degli animali nei testi antichi, in AA. VV., Mosaico. Studi in onore di U. Albini, Genova , - (e la bibliogr. ivi citata). . Vd. R. Lazzeroni, Il genere indeuropeo. Una categoria naturale?, in M. Bettini (a c. di), Maschile / Femminile. Genere e ruoli nelle culture antiche, Roma-Bari , -. . In viaggio con l’asino  nersi indenni da colpe e passioni: si avrà allora sott’occhio una variegata geografia dell’immaginario in cui materiali folclorici e dottrine etiche si fanno concorrenza nel riproporre l’antico incantesimo di Circe sotto forma di metafore zoologiche . A questa geografia appartiene la letteratura di trasformazioni mirabolanti che la cultura classica ha prodotto con buona frequenza e ha consegnato come modello narrativo alle culture delle età successive. Il poema ovidiano ne è l’opera più nota, ma prossima ad esso, per felicità di trovata e secolare fortuna, è la storia dell’uomo-asino che, sullo sfondo della narrativa di paradoxa praticata dalla Seconda Sofistica , conosciamo in duplice versione: greca, attraverso il compendio conservato, col titolo Lucio o l’asino, nel corpus lucianeo; latina, grazie agli XI libri di Metamorfosi di Apuleio di Madauro, retore itinerante e filosofo platonico, nonché novellatore part time . Sulla effettiva paternità lucianea dell’epitome, sui possibili rapporti reciproci e la datazione relativa tra i due testi, infine sul fantasma di Lucio di Patre che aleggia alle spalle di entrambi in virtù delle tarde notizie del patriarca Fozio , non è qui il caso di riaprire annose discussioni; va però detto che Apuleio al canovaccio della vicenda ha aggiunto parti sostanziali (le novelle di Socrate e di . Ci si può orientare sul simbolismo zoologico ricorrendo, p. es., a U. Dierauer, Tier und Mensch im Denken der Antike, Amsterdam ; J.L. Poirier, Éléments pour une zoologie philosophique, «Critique» -, , -; F. Zambon, Teologia del Bestiario, «Mus. Patav.» , , -; M. Alexandre, Bestiaire chrétien : mort, rénovation, résurrection dans le Physiologus, in F. Jouan (a c. di), Mort et fécondité dans les mythologies, Paris , -; S. Castiglione, G. Lanata (a c. di), Filosofi e animali nel mondo antico, Pisa . . Vd. G. Anderson, The Second Sophistic. A Cultural Phenomenon in the Roman Empire, London-New York , -. Utile è altresì l’introd. di D.A. Russell al vol. miscellaneo Antonine Literature, Oxford , -. . Ed. sinottica: H. Van Thiel, Der Eselsroman. Synoptische Ausgabe, München . . Phot. Bibl. cod. . Per la vasta letteratura in merito si possono vedere G.M. Browne, On the Metamorphoses of Lucius of Patrae, «American Journal of Philology» , , -; N. Holzberg, Apuleius und der Verfasser der griechischen Eselsroman, «Würzburger Jahrbücher für Alterumswiss.» N.F. , , -; R. Kussl, Die Metamorphosen des ’Lukios von Patrai’: Untersuchungen zu Phot. Bibl. , «Rheinisches Museum» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio Telifrone e la festa del dio Riso nei primi tre libri, la favola di Cupido e Psyche, la soluzione isiaca dell’XI libro), orientando la narrazione secondo la bussola della filosofia medioplatonica . La trama, nelle linee essenziali, è nota. Stando alla redazione apuleiana, che seguiremo da vicino, il protagonista è Lucio di Corinto, giovane scholasticus di bell’aspetto e buona condizione sociale , figlio di Teseo e Salvia, genitori dalle suggestioni culturali sorprendenti: congiunta di Plutarco, la madre dal nome beneaugurante è garanzia di promettenti parentele filosofiche aperte a prospettive di salvezza; erede del passato mitico e della tradizione tragica, il padre dal nome regale è garante di illustri parentele letterarie (euripidee, senecane e insieme plutarchee) che affiorano a governare le svolte cruciali dell’intera vicenda . Forte di dati anagrafici (e di dotti legami) di tutto rispetto, Lucio intraprende un viaggio di affari e istruzione in Tessaglia, anzi un vero e proprio pellegrinaggio nella terra della magia, spinto da ingenita curiositas verso le misteriose pratiche per . Sul posto di Apuleio nella storia del platonismo, oltre a C. Moreschini, Apuleio e il platonismo, Firenze , e alle indicazioni raccolte da C. Mazzarelli, Bibliografia medioplatonica. II. Apuleio, «Riv. di Filosofia Neoscolastica» , , -, vd. P.L. Donini, Le scuole, l’anima, l’impero: la filosofia antica da Antioco a Plotino, Torino ,  ss.; S. Gersh, Middle Platonism and Neoplatonism. The Latin Tradition, Notre Dame (Indiana) ; B.L. Hijmans Jr., Apuleius Philosophus Platonicus, in Aufstieg und Niedergang der röm. Welt II, . , , -; C. Moreschini, Apuleius and the Metamorphoses of Platonism, Turnhout . . Sulla caratterizzazione del protagonista, prima, durante e dopo la metamorfosi, vd. gli interventi di S. Harrison (Lucius in Metamorphoses Books -) e di S. Tilg (Lucius as Ass in Metamorphoses Books -), in S. Harrison (a c. di), Characterisation in Apuleius’ Metamorphoses. Nine Studies, Cambridge , - e -. . Sulle implicazioni insite nei nomi dei genitori vd. J.J. Winkler, Auctor & Actor. A Narratological Reading of Apuleius’ The Golden Ass, Berkeley-Los Angeles ,  n. ; G. Fiorencis, G.F. Gianotti, Fedra e Ippolito in provincia, «Materiali e Discussioni per l’analisi dei testi classici» , ,  s. (il fascicolo della Rivista, d’ora in poi «MD», raccoglie Studi sul romanzo antico, a cura di D.P. Fowler e M. Labate). . Categoria non soltanto negativa, come ha messo in luce la critica; vd. C.C. Schlam, The Curiosity of the Golden Ass, «Classical Journal» , , -; P. Walsh, The Rights and Wrongs of Curiosity (Plutarch to Augustine), «Greece & Rome» , , -; J. De Filippo, Curiositas and the Platonism of Apuleius’ Golden Ass, «American Journal of Philology» , , -; M. Tasinato, La curiosità. Apuleio e Agostino, Milano-Trento ; K. Freudenburg, Leering for the Plot: Visual Curiosity in Apuleius . In viaggio con l’asino  cui va famosa la regione: meta è la cittadina tessalica di Hypata (“eccelsa”) , il cui nome sembra evocare ascese a conoscenze superiori, ma che si rivela invece trappola antifrastica in cui l’incauto viaggiatore entra bipede ed esce quadrupede, precipitando nelle forme degradate dell’esistenza asinina. Sul valore simbolico e gli aspetti ideologici della trasformazione ho avuto modo di soffermarmi in altra occasione, cercando di precisare come nel racconto l’autore sappia dar vita a una singolare sintesi del patrimonio culturale dotto alla portata di un pubblico non di élite, compiendo dunque suggestiva opera di mediazione culturale . Ora, entro la cornice là delineata, vorrei tornare sulla parte asinina della vicenda, per seguire la straordinaria simbiosi (metensomatosis avrebbero preferito dire i neoplatonici) tra uomo e animale che assicura nuova mobilità e nuovo mezzo di locomozione al protagonista nel labirinto del mondo sensibile, e per vedere altresì come, tra percorsi intricati e illusori, tra crisi d’identità e inganno dei sensi, si dipani un filo di Arianna che indichi anche all’asino umano «der Weg zur Wahrheit», il cammino verso il suo vero essere. Che il viaggio rappresenti elemento strutturale dei racconti d’avventure in genere e delle Metamorfosi in particolare è osservazione più volte ribadita dalla critica , ma le peculiarità del and Others, in M. Paschalis, St. Frangoulidis, S. Harrison, M. Zimmerman (a c. di), The Greek and the Roman Novel. Parallel Readings, Groningen , -. . Dati storici e Realien in D.E. Koutroubas, Hypata in Apuleius’ Metamorphoses, «Parousia» , , -. . Ho cercato di darne ragione in ’Romanzo’ e ideologia. Studi sulle Metamorfosi di Apuleio, Napoli , cui rinvio per l’intreccio di motivi che legano metamorfosi asinina, degradazione morale, perdita di status sociale e libertà. . Vd. p. es. W. Nethercut, Apuleius’ Metamorphoses: the Journey, «Agon» , , -; A. Scobie, The Structure of Apuleius’ Metamorphoses, in B.L. Hijmans Jr., R.T. van der Paardt (a c. di), Apects of Apuleius’ Golden Ass, Groningen , -; N. Fick-Michel, Art et mystique dans les Métamorphoses d’Apulée, Paris , -; C.C. Schlam, The Metamorphoses of Apuleius. On Making an Ass of One Self, London ,  ss.; M. Zimmerman, On the Road in Apuleius’ Metamorphoses, in M. Paschalis, S. Frangoulidis, (a c. di), Space in the Ancient Novel, Groningen , -; S. Montiglio, Lucius’ Journey in Apuleius’ Metamorphoses, «MD» , , -. Sul tema del viaggio in generale vd. J. Chelini, H. Branthomme (a c. di), Histoire des pèlerinages non  Rileggendo Petronio e Apuleio viaggio asinino, intenzionalmente parodico rispetto a quanto è offerto dalle trame stereotipate dei romanzi greci, non sembrano aver suscitato interesse adeguato, se non talora come esempio di viaggio dentro, di catabasi interiore verso l’inconscio attraverso la via più lunga della conoscenza del mondo esteriore, da parte di sottili e intricate indagini che fanno ricorso alla strumentazione della psicologia analitica . In proposito conviene prendere le mosse dalle prime scene in cui Lucio agisce (e patisce) nel nuovo ruolo, cioè da Met. III -, là dove l’Io narrante, ormai mutato in asino per il fatale scambio di pissidi operato dall’ancella Photis , inizia l’apologo della propria odissea, ricordando in rapida successione l’apostrofe della fanciulla all’eccezionale quadrupede, il permanere delle facoltà umane nel corpo della bestia («quamquam perfectus asinus et pro Lucio iumentum sensum tamen retinebam humanum») , infine il trasferimento nella stalla, in attesa dell’antidoto, a sperimentare la scarsa solidarietà dei muta animalia e le bastonate del proprio servo. Il richiamo all’epica, nella fattispecie alle peripezie di Odisseo, è scontato, non solo per rapporti, diciamo così, istituzionali nell’alveo della dinamica dei generi , ma per intenzionali rimandi disseminati nel corso dell’opera apuchrétiens, Paris  (A. Motte, Pèlerinages de la Grèce antique, - e -); R. Chevallier, Voyages et déplacements dans l’empire romain, Paris ; G. Camassa, S. Fasce (a c. di), Idea e realtà del viaggio. Il viaggio nel mondo antico, Genova ; P. Scarpi, La fuga e il ritorno. Storia e mitologia del viaggio, Venezia ; A. López Fonseca, El viaje en la novela latina, «Rev. de Filología Románica» , , -. . Vd. A. Carotenuto, Le rose nella mangiatoia. Metamorfosi e individuazione nell’Asino d’oro di Apuleio, Milano , da cui si può risalire alla tradizione esegetica del testo apuleiano in chiave psicanalitica. . Vd. R. May, Photis (Metamorphoses Books -), in S. Harrison (a c. di), Characterisation in Apuleius’ Metamorphoses, cit., -. . Vd. A. Magnani, Sensum tamen retinebam humanum: Ovidio, Apuleio e la metamorfosi, «Vichiana» s. IV, , , -. . Cfr. B. Perry, The Ancient Romance, Berkeley-Los Angeles , -; P. Walsh, The Roman Novel, Cambridge , -; T. Hägg, The Novel in Antiquity, BerkeleyLos Angeles ,  s.; H. Kuch, Gattungstheoretische Überlegungen zum antiken Roman, «Philologus» , , -; C.C. Schlam, The Metamorphoses of Apuleius, cit., -. . In viaggio con l’asino  leiana . In questo caso, è agevole ricordare come l’esempio paradigmatico di persone celate nel corpo d’un quadrupede in vista di trasporti d’eccezione sia quello del cavallo di Troia, corredato dalle apostrofi maliziose di Elena a chi si cela nel ventre dell’abnorme animale ligneo (Od. IV  ss.). Sempre l’Odissea (X  ss.) fornisce l’antecedente di personaggi (i compagni di Odisseo imbestiati da Circe) che conservano sotto spoglie animali caratteristiche umane. Dunque, l’historia animalium si accresce di nuovi capitoli, ma abbandona le partizioni classificatorie della scienza aristotelica per inoltrarsi sul terreno indicato dal Bruta ratione uti e dal De sollertia animalium di Plutarco . La situazione dell’uomo-asino, partecipe di due nature, preclude collocazioni certe nell’una o nell’altra specie: espulso dagli spazi umani, respinto dall’insolentia dei nuovi colleghi di stalla, Lucio si appresta a un’esperienza marginalizzata e solitaria lungo malsicure linee di confine che non sembrano più in grado di tener distinte le diverse classi di esseri viventi. Inoltre, la scena del servo che bastona quell’asino del suo padrone (facendo fallire il primo tentativo di accostarsi all’antidoto, alle rose che ornano il sacello di Epona) chiarisce subito come l’inversione dei ruoli operata dalla metamorfosi, lungi dall’assumere toni di protesta sociale, comporti totale straniamento del protagonista dal suo mondo, con la conseguenza di capovolgere l’ottica narrativa e assegnarle il compito di esplorare la realtà quotidiana. In deroga ai racconti tradizionali di avventure, che immettono eroi viaggiatori in paesi mal noti e ricchi di mirabilia, a differenza dei grandi viaggi aerei e dello sguardo dall’alto cari al Luciano della Storia vera o . Vd. S.J. Harrison, Some Odyssean Scenes in Apuleius’ Metamorphoses, «MD» , , -. . Vd. G. Santese, Animali e razionalità in Plutarco, in S. Castiglione, G. Lanata (a c. di), Filosofi e animali cit., -; Plutarco. Le virtù degli animali, a cura di A. Zinato, Venezia . . Vd. J.T. Winkle, Epona Salvatrix?: Isis and the Horse Goddess in Apuleius’ Metamorphoses, «Ancient Narrative» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio dell’Icaromenippo , qui succede che l’implosione dell’elemento magico-meraviglioso nella figura del protagonista consenta di acquisire una nuova ottica (dal basso) da cui guardare e descrivere la società di tutti i giorni, anche nei suoi strati inferiori: «al posto dei viaggi in un mondo estraneo e pieno di rischi sono riportati i pellegrinaggi dell’eroe nel proprio mondo, sotto pelle estranea» . L’esotismo viene dunque sostituito dal realismo, secondo tendenze che avvicinano le Metamorfosi più al Satyricon che ai romanzi greci: ’realismo magico’ fin che si vuole, per usare la formula cara a Massimo Bontempelli che nello stile apuleiano ha indicato l’antecedente dei moduli espressivi perseguiti dalla propria prosa , ma pur sempre realismo, che fa dell’opera, come è stato sottolineato , l’unico testo narrativo latino in grado d’offrire rappresentazioni ravvicinate della vita quotidiana di provincia nel II secolo dell’impero. Per narrare la cronaca di tutti i giorni, fatta di storie private e ignoti personaggi, non occorrono storici di professione, teorie storiografiche impegnative, opere a statuto letterario forte: è sufficiente la ’storiografia minore’ dell’asino, perché sotto la pelle di un animale refrattario alla domesticazione completa l’Io narrante trova comodo e defilato posto di osservazione per ’conoscere’ e registrare i fatti privati, riducendo il mestiere dello storico a sapide procedure combinatorie di prassi voyeuristica e arte dell’origliare. In effetti, il nostro eroe può riferire anche gli aspetti inconfessabili o i momenti segreti della vita altrui, perché nes. Cfr. Chr. Jacob, Dédale géographe: regard et voyage aériens en Grèce, «Lalies» , , -. . E.M. Meletinskij, Introduzione alla poetica storica dell’epos e del romanzo, tr. it., Bologna , . Sullo sdoppiamento del protagonista vd. il contributo di A. Laird, Person, “Persona” and Representation in Apuleius’ Metamorphoses, «MD» , , -. . Non sorprende che Bontempelli tenti, nel , delle Metamorfosi una versione non sempre fedele ma di lettura assai gradevole (accessibile nella collana “I Millenni” di Einaudi): vd. per es. M.G. Bajoni, Apuleio e Bontempelli. Alcune note sul reale e sul magico, «Aevum» , , -. . Cfr. F. Millar, The World of the Golden Ass, «Journal of Roman Studies» , , -. . In viaggio con l’asino  suno si cura della presenza del quadrupede o sospetta che vi si celi «homo curiosus iumenti faciem sustinens» a caccia di notizie, in vena di esercizio critico e descrizione polemica della realtà di tutti i giorni. Tale situazione comporta, sul piano compositivo, una implicazione che merita attenzione: il frequente ricorso, lungo tutto il romanzo, a nozioni giuridiche e casi giudiziari. Non si tratta soltanto di compiaciute intrusioni di cognizioni professionali d’autore, ma del modo più efficace per mediare tra natura pubblica della forma letteraria e carattere privato dei contenuti. Spetta infatti alla sfera del diritto, civile e penale, il compito di fornire lessico e parametri (proprietà, obbligazioni, compra-vendita, colpa e punizione ecc.) grazie ai quali il privato può uscire dalle pareti domestiche e dalla quotidianità per acquistare rilievo e interesse pubblico . In particolare, siccome sono i crimini i momenti in cui la vita privata diventa pubblica, è sul terreno dei delitti e delle pene che Apuleio (e non la sua fonte) investe con maggiore intensità il proprio sapere giuridico, per affermare un’idea generale di giustizia prossima, nei suoi risvolti ideologici e storicizzabili, alle idee di giustizia . Met. , , ; cfr. soprattutto , , : praesentiam meam parvi facientes libere, quae volunt, omnes et agunt et loquuntur. La condizione asinina costituisce un punto di vista privilegiato anche nella redazione greca, in quanto permette uno sguardo che va oltre gli aspetti dell’apparenza e delle convenzioni per cogliere l’insoddisfacente dimensione della realtà quotidiana: vd. N. Holzberg, Der antike Roman. Eine Einführung, München-Zürich , -. . Cfr. M. Bachtin, Estetica e romanzo, tr. it., Torino , . Vd. in merito F. Norden, Apuleius von Madaura und das römische Privatrecht, Leipzig ; R.G. Summers, Roman Justice and Apuleius’ Metamorphoses, «Transactions of American Philological Association» , , -; C. Blanquez Pérez, El mundo romano a través de la obra de Apuleyo: delito, delincuente y castigo en las Metamorfosis, Madrid ; M. Elster, Römisches Strafrecht in den Metamorphosen des Apuleius, «Groningen Colloquia on the Novel» , , -; W.H. Keulen, Some Legal Themes in Apuleian Context, in M. Picone, B. Zimmermann (a c. di), Der antike Roman und seine mittelalterliche Rezeption, Basel , -; G. Pintgen, Apuleius als Quelle für die Gesellschaft des römischen Reiches, Düsseldorf ; J. Osgood, Nuptiae Iure Civili Congruae: Apuleius’ Story of Cupid and Psyche and the Roman Law of Marriage, «Transactions of American Philological Association» , , -; B. Facchini, Giurisprudenza da favola. Note sul lessico giuridico delle Metamorfosi di Apuleio, «Lexis» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio dominanti (dei gruppi dominanti) nella società imperiale. Dunque, l’esilio di Lucio dal mondo degli uomini, pur nel suo radicale mutamento di stato, presenta un primo aspetto non troppo negativo. E che non sia improprio cercare forme di attenuazione o addirittura dati positivi nella dolorosa trasformazione, a parziale correttivo del severo monito platonico sulla vita bestiale che compete a chi «si sia arreso al piacere e si comporti alla stregua di animale a quattro zampe» (Fedro e), mostrano le valenze simboliche assegnate all’asino dall’immaginario antico e le discussioni moderne sul valore dell’espressione Asinus aureus che compare come titolo concorrenziale in sant’Agostino (De civitate Dei, XVIII ) e che si è imposta nella tradizione medievale . A tacere del priapismo e della pazienza universalmente riconosciuti all’animale e puntualmente presenti nelle Metamorfosi, va ricordato che l’antica scienza dei sogni, in forza di paronomasie e corto-circuiti analogici, ritiene implicite nelle visioni asinine prospettive di buon augurio, anzi di guadagno sicuro, «a causa del nome» (onos / onasthai), anche se tarde a realizzarsi «a causa della lentezza del passo» (Artemidoro, II ). Questo sul piano simbolico; sul piano lessicale, Asino d’oro starebbe a indicare, secondo l’interpretazione più comune, le qualità letterarie della nostra storiografia asinina e dunque suonerebbe riconoscimento di eccellenza artistica. Non si può tuttavia escludere che il senso dell’espressione vada cercato altrove, tra i valori cromatico-allegorici dei miti egizi . Tra la copiosa letteratura in merito vd. almeno W. Deonna, Laus Asini, «Rev. Belg. Philol.» , , -, -, -; I. Opelt, Esel, in RAC VI, , coll. ; A. Scobie, Apuleius and Folklore, London ; E. Wolff, Miserandae sortis asellus (Ovide, Amores, II, , ), La symbolique de l’âne dans l’Antiquité, «Anthropozoologica» -, , -; J. Gregory, Donkeys and Equine Hierarchy in Archaic Greek Literature, «The Classical Journal» , , -. . Cfr. R. Martin, Le sens de l’expression Asinus aureus et la signification du roman apuléien, «Rev. Et. Lat.» , , -; J. Hani, L’âne d’or d’Apulée et l’Égypte, «Rev. de Philologie» , , -; Winkler, Auctor & Actor, cit.,  s.; N. Shumate, The Augustinian Pursuit of False Values as a Conversion Motif in Apuleius’ Metamorphoses, «Phoenix» , , -; G. Mazzoli, L’oro dell’asino, «Aufidus» , , -. Non persuade la proposta di Paula James (Fool’s Gold: Renaming the Ass, «Groningen Colloquia on the Novel» IV, Groningen , -) di correggere aureus in auritus. . In viaggio con l’asino  che fanno da sfondo al racconto e che Apuleio sapientemente richiama lungo tutta l’opera, a partire dalle allusioni del prologo (Met. I , : «modo si papyrum Aegyptiam argutia Nilotici calami inscriptam non spreveris inspicere») fino al grandioso (e intrigante) epilogo isiaco del libro XI. Chi guardi all’Egitto non fatica a scoprire che l’asino è l’animale di Seth, l’uccisore di Osiride: il colore fulvo del suo pelo, simile a quello della sabbia del deserto, ben potrebbe suggerire o spiegare l’ambiguo aureus del titolo alternativo (di onos pyrrhós parla Plutarco nel De Iside et Osiride, b); ma più persuasive appaiono le argomentazioni di chi in quel titolo scorge espressione ossimorica che callidamente accoppia la bestia di Seth all’oro di Iside, in una sorta di miniatura contrastiva del percorso di redenzione. Visto che, inevitabilmente, siamo approdati in Egitto, prima di riprendere il filo del nostro discorso è opportuno accennare a un rituale egizio integrato nel culto di Osiride: il fedele deve trascorrere una notte nel tempio del dio avvolto in pelle d’asino, secondo le procedure di un rito di passaggio che dallo stato ferino porta alla rinascita come iniziato ai divini misteri. Bene: che tale rito non sia ignoto all’autore sembra lecito immaginare, alla luce delle molteplici esperienze religiose di cui Apuleio parla in Apologia : «sacrorum pleraque initia in Graecia participavi. [...] multiiuga sacra et plurimos ritus et varias caerimonias studio veri et officio erga deos didici» . E’ vero che resta aperto – né può essere altrimenti in base a quanto sappiamo – il problema della fonte del racconto dell’uomo-asino e dei suoi eventuali rapporti con suggestioni misteriche di derivazione egizia, ma a giudicare dalla copertura isiaca data alla storia dalla versione apuleiana non sembra troppo azzardato sospettare nella metamorfosi asinina una gigantesca metafora di un rito di passaggio che, prima d’ogni implicazione religiosa, si fa «principio . Per questi e altri dati biografici apuleiani vd. T. Alimonti, La vita e la magia, in AA. VV., Apuleio letterato, filosofo, mago, Bologna , -; N. Lévi, La chronologie de la vie et des œuvres d’Apulée : essai de synthèse et nouvelles hypothèses, «Latomus» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio organizzativo e tema privilegiato» della narrazione . Ecco: non abbiamo ancora iniziato il nostro viaggio in compagnia dell’asino, ma già abbiamo al nostro attivo incursioni nei territori degli antecedenti epici, tra le pieghe di materiali folclorici e filosofici, nella geografia sacra dell’Egitto, a conferma che il nostro asino è animale “buono da pensare” per la ricchezza di spunti che promuove e la svariata gamma di ricerche di cui è fatto oggetto. E’ dunque tempo di rimetterci sulle sue tracce, per seguirlo come soggetto di spostamenti e mobile punto d’osservazione lungo le strade di un labirinto all’aperto dagli spigolosi contorni reali in cui la sequenza delle peripezie si snoda come provvido filo d’Arianna, saldamente tenuto in mano dal filosofo platonico in veste di novelliere, a disegnare transiti di emancipazioni possibili dal caos del mondo sensibile. La celebrazione dei misteri dell’asino, iniziata nella feralis officina di una maga e subito trasferita nella stalla, si sviluppa secondo ritmi serrati (scanditi dal segnale narrativo nec mora cum a dire l’incalzare delle azioni) e si rivela particolarmente movimentata: mentre sono ancora in corso le busse del servo ai danni dell’irriconoscibile dominus, l’irruzione di una banda di ladroni (globus latronum), che saccheggia la casa dell’ospite e si impadronisce degli animali veri e di recente imbestiamento per trasportare il copioso bottino, immette l’uomo-asino nel mondo esterno, a vivervi la morte civile (Met. III , : «nihil a mortuo differebam») di chi ha perso identità sociale e figura fisica. A proposito dei briganti apuleiani, attivi dal III al VII libro, esiste copiosa letteratura che ne vaglia funzioni narrative interne e riscontri esterni (misurati questi ultimi sulla tradizione del romanzo greco e sui Realien della società imperiale) . Qui è . T.N. Habinek, Lucius’ Rite of Passage, «MD» , , - (in part. ). . Cfr. Met. III   con III ,  alla luce delle notazioni e dei rinvii offerti da R.T. van der Paardt, L. Apuleius Madaurensis, The Metamorphoses. A Commentary on Book III, Amsterdam , . . Alla bibliografia raccolta nei Groningen Commentaries on Apuleius M. IV  e M. VI - and VII, a c. di B.L. Hijmans Jr. et alii, Groningen  e , si . In viaggio con l’asino  sufficiente segnalare che il grande intermezzo riservato ai latrones, mentre nel gioco di ’scatole cinesi’ del romanzo funge da contenitore della storia di Charite (il cosiddetto Charite-Komplex che si estende da Met. IV  a VIII ) che a sua volta è castone della favola di Cupido e Psyche dei centralissimi libri V e VI, è molla narrativa che fa scattare la peripezia esterna del nostro sfigurato eroe, lo allontana dall’antidoto e dilaziona il ritorno alla condizione umana, aprendo davanti all’ex scholasticus di buona educazione insoliti spazi e poco desiderabili frequentazioni. Centauro implicito e apprendista bestia da soma, Lucio si incammina per avia montium sotto il peso d’un basto insopportabile e gragnole di colpi, che garantiscono continuità di comportamento umano verso gli animali (è la stessa arte in cui si è esibito il servo) e rieducazione del soggetto asinino al nuovo ruolo con sbrigativa e crudele pedagogia. Che i motivi conduttori della prima parte del viaggio, da Hypata alla montana caverna dei briganti, siano in mutuo intreccio allontanamento dalla civiltà e perdita d’umanità (meglio, perfezionamento curriculare delle prestazioni asinine), mostra una combinazione di elementi: il variare del paesaggio, che progressivamente sostituisce ai centri abitati e alle colture luoghi deserti e orridi , e aggiungano B.D. Shaw, Bandits in the Roman Empire, «Past and Present» , , -; V.A. Sirago, Trecentomila croci. Banditi e terroristi nell’Impero Romano, Como ,  ss.; T. Alimonti, Letteratura e folclore: i latrones di Apuleio e i briganti di Propp, «Civiltà Classica e Cristiana» , , -; Gianotti, ’Romanzo’ e ideologia, cit., ; P. Esposito, Riuso e stravolgimento in Apuleio, «Vichiana» , ), -; B.D. Shaw, Il bandito, in A. Giardina (a c. di), L’uomo romano, Roma-Bari , -; S.A. Frangoulidis, Vergil’s Tale of the Trojan Horse in Apuleius’ Robber-Tale of Thrasyleon, «La Parola del Passato» , , -; M. Loporcaro, Eroi screditati al testo: strutture della parodia nelle storie di briganti di Apuleio, «Maia» n.s. , , -; B. Pottier, Les bandits d’Apulée : une réflexion sur les rapports entre plèbe et notables dans les cités de l’Empire romain, in H. Ménard, C. Courrier (a c. di), Miroir des autres, reflet de soi : stéréotypes, politique et société dans le monde romain, Paris , -. . Su questi aspetti vd. A. Schiesaro, Il ’locus horridus’ nelle Metamorfosi di Apuleio, «Maia» , , -; L. De Biasi, Le descrizioni del paesaggio naturale nelle opere di Apuleio. Aspetti letterari, «Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino» , -. Vd. J. Trinquier, Le motif du repaire des brigands et le topos du locus horridus : Apulée, Métamorphoses IV, , «Revue de Philologie» , , -; V. Merlier-Espenel, La grotte des brigands dans les Métamorphoses d’Apulée, in M.-C. Charpentier (a c. di),  Rileggendo Petronio e Apuleio gli esiti negativi di residui e impacciati esercizi civili o mentali (auxilium civile, consilium, cogitationes) da parte dell’uomo-asino. In proposito quattro episodi meritano attenzione, tre legati a spazi civilizzati da presenza umana (Met. III  e IV -), uno ormai in piena natura selvaggia (Met. IV ). Nell’attraversare un vicus in ora di mercato Lucio-asino decide di invocare aiuto in nome dell’autorità imperiale, ma deve prender atto a proprie spese – ennesima scarica di legnate – dello scacco della comunicazione imposto dalla metamorfosi in quanto, per chi è humano gestu et voce privatus, l’articolazione di suoni significanti si riduce a raglio sonoro ; subito dopo, passando accanto a un ameno orticello, accosta le fauci a rose roride di rugiada (antidoto salutare), ma decide d’astenersene (consilium longe salubrius) per evitare i rischi di trasformarsi in uomo sotto gli occhi altrui (stesso comportamento, a differenza del protagonista della versione greca, troveremo nel circo di Corinto, dettato da preoccupazione di evitare lo scandalo di trasformazioni magiche in pubblico ed eventuali conseguenze nefaste). In questa occasione il nostro eroe si rassegna, per la prima volta, ad assaggiare cibo non umano (fieno) in asini faciem (Met. III , ). Ciclo alimentare (nella sua completezza) e problema delle rose sono al centro dell’episodio successivo che si dipana Les espaces du sauvage dans le monde antique, Besançon , -. In generale cfr. M.J. Edwards, Locus Horridus and Locus Amoenus, in M. Whitby, P. Hardie (a c. di), Homo Viator. Classical Essays for J. Bramble, Bristol , -; D. Garrison, The locus inamoenus: Another Part of the Forest, «Arion» n.s. , , -; E. Malaspina, Tipologie dell’inameno nella letteratura latina, «Aufidus» , , -. . Per questo e altri ragli, spie di paralleli e rapporti tra le versioni del racconto dell’uomo-asino, vd. B. Snell, Das I-ah des goldenen Esel (), in Id., Gesammelte Schriften, Göttingen ,  s.; G. Bianco, Il raglio dell’asino in Apul. met. ,  e la paternità del brigante-indagatore, «Rendiconti dell’Istituto Lombardo» , , -; P. Paolucci, Voces absonae di Lucio asino (Met. VII ), in AA.VV., Concentus ex dissonis. Scritti in onore di A. Setaioli, II, Napoli , -. . Vd. N. Fick, La symbolique végétale dans les Metamorphoses d’Apulée, «Latomus» , ,  ss. (della stessa A. è da vedere il lavoro complessivo Art et mystique dans les Métamorphoses d’Apulée, cit. a n. ). Per uno studio d’insieme sul valore simbolico delle rose si veda non soltanto il datato ma tuttora utile libro di C. Joret, La rose dans l’Antiquité et au Moyen Age. Histoire, légende et symbolisme, Paris  (rist. anastatica, . In viaggio con l’asino  tra orti veri e falsi boschetti sacri, tra scorpacciate e digiuni, tra conoscenze botaniche e dirompenti effetti scatologici. La fame umana dell’asino lo trasforma in divoratore di verdure crude d’un ben coltivato campicello, mentre elementari nozioni, sempre umane, del mondo vegetale lo tengono lontano da velenose rose laurine (oleandro) che, ai margini d’una macchia boschiva, si offrono come fallaci mezzi di salvezza. Salvezza provvisoria all’asino, da villici irati per lo scempio del campo, assicurano invece maleodoranti ma provvidenziali deiezioni intestinali che ammorbano gli assalitori: in questo caso, prima del ricorso all’arma decisiva, Lucio impara a rispondere a suon di calci (lumbis elevatis in altum, pedum posteriorum calcibus iactatis) alle legnate di un ennesimo bastonatore. Infine, la misera fine dell’asino vero, che si rifiuta testardamente di proseguire nel gravoso trasporto e viene precipitato in baratro rupestre, convince Lucio ad accettare senza ulteriori resistenze la nuova condizione, mostrandosi asinus bonae frugi dominis (Met. IV , ). Ecco: l’apprendistato di Lucio si può considerare ultimato e la fase negativa (di morte) del rito di passaggio ha ottenuto lo scopo di separare in maniera definitiva l’iniziando dall’originario gruppo di appartenenza. Scomparso dal mondo degli uomini, creduto morto da parenti e amici (come s’impara da Met. XI ), il nostro viator a quattro zampe accantona per un po’ i sussulti della propria umanità conculcata e presta attenzione a quanto lo circonda, facendosi osservatore e insospettabile cronista. Certo, le impervie zone in cui si cela la banda non sono sede di adunate popolose o di avvenimenti troppo interessanti, ma i banchetti dei latrones, al sicuro nella loro caverna, sono pur sempre buona occasione per racconti di imprese banditesche. La libera affabulazione inerente a ogni simposio che si rispetti imprime a queste storie di professionisti del crimine un involontario marchio di legalità che fa da contrappunto ironico e Genève ), ma anche J.C. Fumo, Romancing the Rose: Apuleius, Guillaume de Lorris, and Moral Horticulture, «Modern Philology» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio sorridente alle intenzioni dei narratori. L’asino è là, tutt’orecchi, sollecito a riferire tutto, pronto inoltre a interrompere l’assunzione di sgradevoli crudités e approfittare del sonno dei banditi per ingurgitare tre canestri di pane (Met. IV , -) . Giunti a questo punto, i lettori vedono aprirsi il Charite-Komplex , cioè la sezione delle Metamorfosi consacrata alle tribolazioni della bella fanciulla dal nome parlante che, rapita dai briganti, compare in scena non solo a risvegliare la salacia dell’asino (et asino concupiscenda: Met. IV , ), ma a imprimere duplice svolta al racconto. E’ appunto a Charite, angosciata da funesto sogno notturno, che la vecchia guardiana della caverna dei briganti narra, a mo’ di consolazione, la bella fabella di Amore e Psyche (Met. IV  - VI ). Non conosciamo la reazione di Charite a questo lungo racconto nel racconto, perché viene registrata, prima che il ritorno dei ladroni rimetta subito in moto la narrazione principale, soltanto la reazione dell’asino, il quale si rammarica di non aver sotto mano (!) tavolette e stilo per sottrarre la narrazione a tanto precaria fonte orale. In effetti, che insieme al lettore sia Lucio il destinatario vero (e il beneficiario primo) della favola, non vi possono esser dubbi, non tanto per la pronta reattività della parte umana e colta che si cela nell’asino quanto per i numerosi paralleli tra la storia di Psyche-anima e quella di Lucio-bestia esibiti dal testo e sottolineati a più voci dalla critica . Insomma, si parla a Charite perché altri riceva il . Per le Räubergeschichten si rinvia a quanto è citato in n. . . In generale, tra i contributi più recenti, si vedano C. Wolff, L’enlèvement de Charité (Apul. Met.) et les témoignages épigraphiques, «Rev. des Etudes Grecques» , , -; L. Nicolini, Apuleio. La novella di Carite e Tlepolemo, Napoli ; Ead., The Tale of Charite and Tlepolemus (Metamorphoses Books -), in S. Harrison (a c. di), Characterisation in Apuleius’ Metamorphoses, cit., -. . Vd. B.L. Hijmans Jr., Significant Names and their Function in Apuleius’ Met., in AA. VV., Aspects of Apuleius’ Golden Ass, cit., - (in part. ). Mette forse conto ricordare che nell’epitome greca la fanciulla rimane anonima; il fatto che in Apuleio il nome non compaia prima del momento della liberazione suggerisce raffronti con la mancata affermazione di identità di Odisseo nell’episodio di Polifemo: S. Frangoulidis, Charite dulcissima: a Note on the Nameless Charite at Apuleius’ Metamorphoses , , «Mnemosyne» , , -. . La favola di Amore e Psyche, spesso studiata come parte autonoma, costitui- . In viaggio con l’asino  messaggio (il ricongiungimento dell’anima al divino è possibile al termine di difficili prove), in attesa che i discorsi rivelatori dell’XI libro, di Iside prima e del suo sacerdote poi, chiariscano ogni cosa. La presenza di Charite-Grazia ha dunque, nella versione apuleiana e solo in essa, la funzione di introdurre il mito dell’Anima che sale al cielo. Ma nel gioco di ’scatole cinesi’ a cui si accennava in precedenza la fanciulla è a sua volta protagonista di una storia che sembra riproporre su scala ridotta e in chiave allusiva il mito egizio, ché nel tragico rapporto, narrato in Met. VIII -, tra Charite, lo sposo Tlepolemo (che la libera insieme a Lucio dai briganti) e il rivale Trasillo si è voluto vedere una ritrascrizione della morte di Osiride per mano di Seth e della passione di Iside . Se davvero Charite sia controfigura di Iside, non saprei dire, né saprei definire il tasso di religiosità degli episodi che la vedono agire o patire, a meno di spingere fino alle estreme forme di laicizzazione la tesi kerenyiana della derivazione di tutti i romanzi di amanti separati dai racconti sacri circolanti nei santuari isiaci . Fuori discussione è, però, che la vicenda di Charite interagisca con quella dell’asino umano, in quanto comporta l’eliminazione della banda dei ladroni e la ripresa del viaggio iniziatico. Su due scene, in particolare, è opportuno fermare la nostra attenzione, la fuga fallita di Met. VI - e le conseguenze per l’asino del trionfale ritorno della fanciulla a casa (Met. VII  ss.). In breve, ecco come stanno le cose. Minacciato di morte dai sce un voluminoso capitolo a sé nell’ambito della critica apuleiana; qui ci limitiamo a segnalare i contributi più recenti, da cui è agevole risalire all’intera letteratura in merito: E.J. Kenney (ed.), Cupid & Psyche, Cambridge ; Id., Psyche and her Mysterious Husband, in Antonine Literature, a cura di D.A. Russell, cit. in n. , -; C. Moreschini, La novella di Amore e Psiche, Padova ; M.J. Edwards, The Tale of Cupid and Psyche, « Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» , , -. . Vd. R. Merkelbach, Roman und Mysterium in der Antike, München ,  ss. Si tengano altresí presenti il Groningen Commentary on Apuleius M. VIII, a cura di B.L. Hijmans Jr. et alii, Groningen , e P. James, Unity in Diversity. A Study of Apuleius’ Metamorphoses, Hildesheim-New York . . K. Kerényi, Die griechischen-orientalischen Roman in religionsgeschichtlicher Beleuchtung, Tübingen .  Rileggendo Petronio e Apuleio briganti, Lucio elude la guardia della vecchia (tornata ad essere figura ostile dopo l’intermezzo narrativo consacrato a Cupido e Psyche) e fugge con Charite in groppa, sperimentando cosí anche il ruolo di cavalcatura salvifica. Durante il non lungo tragitto percorso in questo tentativo c’è tempo per registrare la gratitudine della fanciulla verso il suo (temporaneo) salvatore, a cui fa balenare il miraggio di felicità future – vita beata e gloriosa, a misura d’asino, s’intende – promettendo di consegnare alla memoria dei posteri l’eccezionale evento: «depictam in tabula fugae praesentis imaginem meae domus atrio dedicabo. Visetur et in fabulis audietur doctorumque stilis rudis perpetuabitur historia “Asino vectore virgo regia fugiens captivitatem”. Accedes antiquis et ipse miraculis et iam credemus exemplo tuae veritatis et Phrixum arieti supernatasse et Arionem delphinum gubernasse et Europam tauro supercubasse. Quodsi vere Iupiter mugivit in bovem, potest in asino meo latere vel vultus hominis vel facies deorum» (Met. VI ). Nella fantasticheria di Charite, quasi emblema centrale del mosaico dell’opera , si riannodano fili sparsi che fanno capolino qua e là nel racconto: la rudis historia richiama il rudis locutor del prologo ed entrambi alludono per paronomasia al lessico del raglio d’asino (rudere, ruditus); la promessa di fama futura affidata a iconico ex-voto rinvia alla soluzione del processo-farsa della festa del dio Riso, con analoga promessa di onori e imago bronzea da parte dei cittadini di Hypata (Met. III ). L’insieme, non v’è dubbio, prefigura un atto liberatorio che per Charite e l’asino si realizzerà grazie all’impresa di Tlepolemo (in veste di brigante sanguinario, Haemus) e per Lucio grazie alle rose di Iside dell’XI libro. Ora, l’inscriptio del quadro votivo (a tacere di non impossibili intenti parodici nei confronti di iconografie care ad altri credi che ben conoscono fughe di vergini a dorso d’asino, magari in Egitto) e l’ipotesi che nell’asino si celi qual. Per la definizione e l’analisi del passo vd. il saggio di G. Mazzoli cit. in n.  (in part.  ss.). . Cfr. D. Schanzer, “Asino vectore virgo regia fugiens captivitatem”. Apuleius and . In viaggio con l’asino  cosa di umano o addirittura di divino concentrano sull’intera raffigurazione una ragnatela di valenze implicite: se accettiamo l’ipostasi Charite/Iside, ci troviamo di fronte ad anticipazione figurata del servizio cultuale a cui il protagonista sarà chiamato come fedele isiaco nell’ultimo libro; se ci si accontenta della possibile identificazione Charite/Psyche suggerita dalla fabella, ci accorgiamo che l’imago è, sí, sdoppiata, ma si riferisce alla duplice natura di Lucio e, in prospettiva platonica, di ogni uomo, che verso il basso proietta ombra di bestia e verso l’alto solleva la bellezza della propria anima. E che i due possano costituire un’unica, paradossale, figura apprendiamo dal supplizio minacciato dai briganti dopo la cattura dei fuggiaschi: si propone, fortunatamente senza passare dalle parole ai fatti, di sventrare l’asino e cucirvi dentro la fanciulla nuda, «in modo che solo la testa emerga e il resto faccia tutt’uno con la bestia», per poi lasciarli morire ai raggi cocenti del sole (Met. VI ), secondo un singolare capovolgimento diurno di rituali egizi, questa volta con duplice quota di umanità ricoperta da pelle d’asino. Comunque si voglia valutare l’episodio, quel che importa qui sottolineare è che ormai all’umanità dell’asino il racconto apuleiano concede nuova e divertita ospitalità: è umanità imperfetta che fa capolino a fatica, sotto forma di giudizio temerario (anzi, di asini iudicium) per ignoranza del vero, nel biasimo riservato alla gioia espressa da Charite alla comparsa del falso Haemus, in realtà Tlepolemo (Met. VII -) ; e passando dai fatti alle parole, la ritroviamo nel malizioso uso insolito di un’espressione convenzionale, allorché il trionfale ritorno di Charite liberata in groppa all’asino – spettacolo davvero memorabile, virgo asino triumphans, nuova prefigurazione di soluzioni di là da venire – è corredato dai ragli gioiosi (rudivi the Tradition of the Protevangelium Jacobi, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» , , -. . Vd. J.K. Krabbe, The Metamorphoses of Apuleius, New York-Bern-Frankfurt a.M.-Paris , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio fortiter, immo tonanti clamore personui) dell’abnorme cavalcatura, che intende partecipare cosí, hilarior pro virili parte, alla festa comune (Met. VII ). Ma la gioia di Lucio-asino è di breve durata, anche se Charite mantiene le promesse fatte e lo vorrebbe veder vivere libero tra mandrie di cavalli, con indubbia promozione nella scala dei quadrupedi e buone prospettive di generosi inscensus di puledre. In effetti, l’esperienza di un asino libero e per giunta in vena di esternazioni sessuali non sembra compatibile con la logica del racconto, anche perché non esistono tecniche d’allevamento specializzate in incroci tanto complicati. Vanno pertanto a vuoto i tentativi del nostro eroe di farsi capostipite d’una nuova stirpe, un po’ per la gelosia degli stalloni, soprattutto per le regole impietose che governano lo sfruttamento del lavoro animale: invece dei piaceri del sesso, Lucio-asino conosce via via le fatiche della macina e del trasporto di legna dai monti. In quest’ultimo servizio egli deve pagare il sovrapprezzo delle crudeli angherie che gli infligge il tristo garzone (puer deterrimus) a cui è affidato, capace tra l’altro di accusare la poco volenterosa bestia di spiccate predilezioni verso giovani donne e suscitare pericolosi programmi di castrazione (Met. , -). A sbloccare la situazione interviene, al solito, un caso imprevisto: mentre Lucio tenta invano la fuga, il garzone finisce sbranato da un’orsa montana; ma il beneficio di questa santa alleanza finalmente stipulata tra animali veri e presunti non fa che procrastinare la dolorosa mutilazione e non mette al riparo l’asino umano dall’ira ardente e funesta della madre del garzone: sorte e paura assicurano, come in altra occasione, momentaneo scampo mediante copiosa emissione di profluvi intestinali (Met. VII -), mostrando che nel caleidoscopio delle Metamorfosi, più realisticamente che negli imbrattati Annales Volusii di catulliana memoria , le esigenze della Ringkomposition possono venir onorate nel meno prevedibile e, si spera, imitabile dei modi. La tragica fine della casa dei padroni (uccisione di Tlepole. Cfr. Catull. XXXVI  e . . In viaggio con l’asino  mo, vendetta e suicidio di Charite: Met. VIII -) impedisce drastici correttivi del priapismo asinino: per tema di padroni peggiori schiavi e bestie si danno alla macchia, rimettendo cosí in moto, in viaggio, il nostro eroe, di nuovo come bestia da soma e questa volta entro la cornice di una delle tante avventure di servi fugitivi di cui parlano le cronache imperiali . Come l’esperienza di Psyche in qualità di ancilla fugitiva di Venere e la sua catabasi agli inferi , anche questo è passaggio in un mondo infernale, tra asperità montane e pianure biancheggianti d’ossa, insidie di lupi e assalti di contadini ostili, mostruose metamorfosi e tenebrosi fatti di gelosia e di morte (Met. VIII -) . Ma per Lucio questo viaggio non significa ancora la fine delle peripezie, piuttosto comporta la sua immissione sul mercato, quasi a regolamentare i passaggi di proprietà che finora si sono susseguiti in modo poco ufficiale e francamente caotico (rapina, riscatto, fuga). Giunti in una popolosa città (Berea di Macedonia, secondo la versione greca) e ormai al sicuro da ogni ricerca, i servi fuggiaschi mettono all’asta gli animali, veri o apparenti, di cui si sono serviti nel faticoso trasferimento. Per ultimo, e a prezzo svalutato, viene messo in vendita il nostro campione, la cui ambigua natura riemerge attraverso la scherzosa presentazione del banditore: «un pecorone castrato, non un asino, è quel che vedi, docile a tutti gli usi, [...] tanto da indurti a credere che sotto a questo cuoio di ciuco stia di casa un brav’uomo (prorsus ut in asini corio modestum hominem inhabitare credas)» . Il gioco dell’ambiguità si allarga fino . Vd. R.T. van der Paardt, The Story of Mr. ’Overbold’ as Specimen Historiae (on Apul. Met. VIII -), in B.L. Hijmans Jr., V. Schmidt (a cura di), Symposium Apuleianum Groninganum, Groningen , -. . Vd. H. Bellen, Studien zur Sklavenflucht im römischen Kaiserreich, Wiesbaden . . Cfr. Met. V  ss. e VI -. . Vd. A. Scobie, An Ancient Greek Drakos-Tale in Apuleius’ Met. VIII -, «Journal of American Folklore» , , -; I. Cazzaniga, Il supplizio del miele e delle formiche: un motivo novellistico nelle Met. di Apuleio, VIII , «Scripta Philologica» , , -. . Met. VIII ,  - , .  Rileggendo Petronio e Apuleio a coinvolgere l’incerta natura dell’effeminato compratore, un equivoco sacerdote della dea Siria dal nome non equivocabile (Filebo, “Rev. Love-boys”), il quale al chorus cinaedorum con cui divide sacerdozio e predilezioni sessuali può annunciare l’avvenuto acquisto stravolgendo genere e specie di tutti gli esseri coinvolti nell’operazione: «Puellae, servum vobis pulchellum en ecce mercata perduxi» (Met. VIII , ) . Insomma: la metamorfosi non sembra più appannaggio esclusivo di Lucio, perché si scopre che travaglia anche la società esterna, crogiuolo di forme mutanti che faticano a trovare identità certa e definitiva. Il che contribuisce a rendere meno abnorme la situazione di Lucio (anche a rischio di prestazioni extra sull’onda dei desideri dei nuovi compagni di setta) e fa sentire con maggior frequenza l’uomo ’interiore’ che a partire dalla rêverie di Charite si sospetta o immagina sotto la pelle d’asino. Delle avventure in compagnia della smidollata confraternita due momenti vanno ricordati: il servizio cultuale in cui l’asino è impegnato, vale a dire il trasporto della statua della dea Siria (Atargatis) che ripropone una scena déjà vue in contesto diverso durante il trionfo di Charite e anticipa, pur in mezzo a valori sconvolti o capovolti, il servizio isiaco dell’ultimo libro ; il “sonno umano” in un vero letto che l’asino può concedersi (Met. IX , : «post multum equidem temporis somnum humanum quievi») al termine d’una burrascosa giornata, in cui il protagonista corre il rischio di venir abbattuto come animale . Per lo scambio maschile/femminile nel designare la medesima persona il locus classicus è rappresentato da Catull. LXIII (Attis). . Sulla dea Siria (oggetto dell’omonima operetta del corpus lucianeo) vd. P.-L. Van Berg, Corpus Cultus Deae Syriae, Leiden ; M. Hörig, Dea Syria, Kevelaer ; H.J. Drijvers, Die orientalischen Religionen im Römerreich, Leiden ,  ss.; M.-F. Baslez, Le culte de la Déesse Syrienne dans le monde hellénistique. Traditions et interprétations, in C. Bonnet, A. Motte (a c. di), Les syncrétisme religieux dans le monde méditerranéen antique, Bruxelles-Rome , -; J. Soler, La Déesse Syrienne, “dea peregrina” : la mise en récit de l’alterité religieuse dans les Métamorphoses d’Apulée, in C. Bonnet, A. Declercq, I. Slobodzianek (a c. di), Les représentations des dieux des autres, Caltanisetta , -. Sul rapporto/contrasto tra questa dea e Iside vd. J. Gwyn Griffiths, Isis in the Metamorphoses of Apuleius, in AA.VV., Apects of Apuleius’ Golden Ass, cit., -. . In viaggio con l’asino  rabbioso . Per ora si tratta di breve intervallo, ma sufficiente a chiarire in che senso stia ormai spingendo la strategia complessiva della narrazione. A Lucio s’impone un ulteriore, e ultimo, tour de force tra le diverse categorie sociali che popolano gli strati più bassi della società del tempo; anzi, le forme di abbrutimento possono addirittura farsi più pesanti, ma nulla sembra in grado di arrestare il processo di liberazione che preme e pulsa sottopelle. Succede infatti che, venuto in possesso di un mugnaio e legato alla macina di un mulino, lo scholasticus che si cela nel ciuco abbia il sopravvento sulla misera situazione in cui si trova: di fronte a sé fatica e degradazione che accomunano uomini e animali in un unico spettacolo di sfruttamento e disperazione; dentro di sé lo spirito di Ulisse, spettatore interessato ad arricchire il proprio bagaglio di conoscenze e a far valere i diritti della cultura sull’alienazione del lavoro servile (Met. IX -) . Parimenti desta rimane la vena ’storiografica’ dell’asino, che a ogni passaggio di proprietà trova nuova materia di racconti per . Sull’intera scena vd. S. Mattiacci, L’episodio della canis rabida e la prova dell’acqua: una innovazione apuleiana tra scienza e parodia (Met. , -), «Sileno» , , -. . Vd. G.F. Gianotti, Schiavi e macchine, «Studi storici» , , ; C. Facchini Tosi, Quales illic homunculi / quales illi muli (Apul. Met. , -), «Vichiana» ª s., , , -; K. Bradley, Animalizing the Slave: the Truth of Fiction, «Journal of Roman Studies» , , -; E.J. Kenney, In the Mill with Slaves: Lucius Looks back in Gratitude, «Transactions of American Philological Association» , , -; J. Annequin, Esclaves-esclavage, peur individuelles et peurs sociales dans les Métamorphoses d’Apulée, e M.J. Hidalgo de la Vega, The Flight of Slaves and band of latrones in Apuleius, in A. Serghidou (a c. di), Fear of Slaves - Fear of Enslavement in the Ancient Mediterranean. Peur de l’esclave - Peur de l’esclavage en Mediterranée ancienne, Franche-Comté , - e -; B. Avila Vasconcelos, Bilder der Sklaverei in den Metamorphosen des Apuleius, Göttingen ; S. Sabnis, Towards an Epistemology of Slavery in Apuleius’ Metamorphoses, in E. Plantade, D. Vallat (a c. di), Les savoirs d’Apulée, HildesheimNew York , -. L’elogio asinino di Ulisse contenuto in questo passo si può utilmente confrontare con la lode dell’eroe omerico che Apuleio celebra in chiusa del De deo Socratis (), a mostrare che l’uomo non è prigioniero dell’inferno del mondo terreno, ma può contare su forze demoniche che ne dirigono l’esistenza e assicurano contatti col divino.  Rileggendo Petronio e Apuleio allargare la scena della ’commedia umana’ delle Metamorfosi e dar vita a un’ampia sezione de spectaculis sorvegliata da attenta e dotta regia: i ’Mimi di adulterio’ del IX libro (-: novella della giara; -: novella di Filesitero; -: novella del mugnaio); nel X libro le storie tragiche della matrigna innamorata (-) e della donna avvelenatrice ( ss.) che precedono la descrizione della grande pantomima del circo di Corinto (-) . Negli intervalli di queste storie, collante dell’intero mosaico dell’opera, si dipana la vicenda principale, scandita da tappe che segnano i progressi del nostro eroe verso il recupero della condizione umana. Seguirne le cadenze non risulta troppo disagevole, in quanto il testo è prodigo di indizi e di spie linguistiche che ritmano con chiarezza la marcia di avvicinamento dell’asino all’uomo. Per esempio, nell’episodio successivo all’esperienza del mulino, ritroviamo Lucio al servizio di un povero ortolano (Met. IX ) e scopriamo che la sua giornata è organizzata in maniera paradossale, almeno per quanto concerne gli standars riservati alle bestie da fatica: infatti, mentre il padrone lavora come uno schiavo e se sta a schiena curva come un animale («incurvus labori deservit»), Lucio, impiegato solo al mattino per il trasporto degli ortaggi al mercato, si riposa, sta in otio, come si conviene agli uomini liberi («otiosus placida quiete recreabar»). Il triangolo asino-servo-padrone come intelaiatura per comici scambi di ruoli ha un illustre precedente nella scena d’apertura delle Rane aristofanee (vv. -), là dove Dioniso, in viaggio verso l’Ade, segue a piedi il servo Xantias, che procede a cavallo di un asino. La scena delle Rane, è noto, permette ad Aristofane di parodiare, teatro nel teatro e sul teatro, fun- . L’espressione si deve a G. Galimberti Biffino, Le Metamorfosi di Apuleio, “commedia umana”?, in AA.VV., Studi su Varrone, sulla retorica, storiografia e poesia latina. Scritti in onore di B. Riposati, I, Rieti , -. . Vd. N. Fick, Die Pantomime des Apuleius, in AA.VV.,Theater und Gesellschaft im Imperium Romanum, a c. di J. Blänsdorf, Tübingen , -; R. May, The Metamorphosis of Pantomime: Apuleius’ Judgment of Paris (Met. , -), in E. Hall, R. Wyles (a c. di), New Directions in Ancient Pantomime, Oxford , -. . In viaggio con l’asino  zioni e battute dei servi da commedia ; la scena apuleiana, invece, dopo aver concentrato nel duplice protagonista le funzioni del servo e dell’animale, prefigura un sovvertimento di ruoli che procede in senso inverso rispetto a quello causato dalla relazione con la servetta Photis e fissato icasticamente dalla metamorfosi. Il divario tra asino e dominus si riduce anche sul piano alimentare: entrambi si nutrono dello stesso cibo, anche se la natura di questo (amara e fangosa lattuga) evidenzia la degradazione sociale del contadino povero piuttosto che la promozione umana dell’animale . A conferma che la via alimentare (anch’essa in direzione inversa rispetto al passaggio dal ’cotto’ al ’crudo’ che abbiamo registrato al seguito della banda dei briganti) rappresenti una strada privilegiata per far compiere ulteriori e decisivi progressi al nostro duplice eroe, il successivo episodio vede Lucio-asino passare in proprietà di due esperti di arte culinaria, di due fratelli a loro volta al servizio, in qualità di cocus et pistor, di un signore facoltoso e potente, Thiasus di Corinto, che sta girando la Tessaglia in cerca di bestie e gladiatori da far esibire nei ludi della sua città (Met. X  ss.). Introdotto finalmente in una ’festosa comitiva’, come suggerisce il nome parlante del nuovo padrone , Lucio ripercorre in breve la storia dell’incivilimento umano all’insegna del passaggio dal ’crudo’ al ’cotto’. La condizione di contubernalis di due professionisti della cucina concentra sulla dimensione gastronomica la nuova tappa di allontanamento dalla condizione ferina: l’assunzione di cibo umano (Met. X , : «humanis cibis saginatus»), dapprima divorato con clandestina destrezza e poi gustato in occasioni sempre . Se ne veda il comm. in Aristofane. Le Rane, a cura di D. Del Corno, MilanoVicenza , -. . Riprendo qui e di seguito alcuni spunti già in parte sfruttati in ’Romanzo’ e ideologia, cit.,  ss. . Come è noto, il termine greco thiasos designa una comunità a sfondo religioso-educativo; qui, attraverso il nome dell’ultimo dominus umano di Lucioasino, si adombra il futuro ingresso nel collegio sacerdotale di Osiride (di cui Thiasus, almeno nel momento del ritorno a Corinto, sembra non pallida ipostasi).  Rileggendo Petronio e Apuleio più ufficiali e programmate, rivela all’interno dell’ingombrante corpo asinino lo stesso palato da buongustaio già messo alla prova durante il banchetto nella sontuosa dimora di Byrrhena o gli spuntini notturni in compagnia di Photis nel corso del II libro. Così, da collega di schiavi Lucio diventa parasitus, poi sodalis e conviva del dominus, guadagnandosi un posto fisso alla sua mensa (Met. X -). Il recupero della commensalità umana e la benevolenza del nuovo signore fanno dimenticare i tempi bui e ormai lontani della stalla di Hypata, le rose nella mangiatoia negate a causa dell’ostilità degli animali veri, le bastonate per mano del proprio servo. E non basta: da buon filosofo platonico memore – si direbbe – del detto socratico che «l’educazione è festa dell’anima» , Apuleio trasforma la permanenza presso la festiva brigata di Thiasus in momento educativo, in paideia a cielo aperto: il cammino dell’emancipazione (coincidente col viaggio di ritorno a Corinto) si sviluppa infatti sul terreno della pedagogia, ’umana’ questa volta, specularmente opposta a quella asinina subita durante il viaggio di ’andata’ alla volta del covo dei briganti. Lucio-asino, affidato alle cure di un liberto, che lo tratta satis humane satisque comiter (Met. X , ), si sottopone a un rapido e facile tirocinio che lo reimmette negli spazi frequentati dall’uomo, sia pure come protagonista dello show dell’asino sapiente che sa stare a tavola, danzare e lottare, che capisce le parole degli interlocutori e sa rispondere in maniera appropriata secondo le forme di comunicazione a lui concesse. E al solito, al clou di questo percorso, troviamo un ingresso trionfale: l’asino umano, ornato d’aurei e preziosi finimenti (ancora l’oro dell’asino!), entra in Corinto con in groppa il padrone, tra ali di folla «non tantum Thiasi studentes honori quam mei conspectus cupientes» (Met. X , -, ). Dopo il ritorno a Corinto, la prova generale del ritorno all’umanità del nostro scomodo personaggio si compie sul piano delle performances sessuali, troppe volte evitate nel corso della . Socr. in Stob. II , . . In viaggio con l’asino  carriera asinina; gli incontri con la matrona zoofila (X -), oltre a riproporre in prospettiva ribaltata gli esercizi sessuali di Lucio con Photis del II libro e far nascere il disegno dell’esibizione pubblica di tali unioni difformi, sono infatti il punto d’arrivo della rieducazione di Lucio, almeno per quanto riguarda il pieno recupero delle funzioni fisiologiche. Punto d’arrivo che non è ancora sufficiente a innescare la retro-metamorfosi, ma che a noi permette comunque alcune considerazioni sulla pedagogia di ritorno (all’uomo, al luogo di partenza) che Lucio vive nella comunità di Thiasus. L’insieme dei dati qui concentrati mostra come Apuleio abbia concepito il curriculum di Lucio in questa sorta di scuola totale en plein air, a contatto col mondo esterno prima e poi nuovamente in prossimità della dimensione umana, sulla ragnatela lessicale che designa ogni forma di apprendimento e trasmissione del sapere mediante metafore fredde che sottendono un viaggio attraverso il patrimonio culturale (seguire, guidare, progredire ecc.) . Lo spazio, lo sappiamo, è circoscritto dal viaggio da Corinto a Corinto attraverso la Tessaglia (forse con uno sconfinamento in Macedonia). Quanto al tempo non abbiamo indicazioni precise, ma ricordando che il viaggio a Hypata avviene d’estate e che la festa di Iside celebra il ritorno alla navigazione nella primavera successiva, si sarebbe tentati di dire che l’esperienza di Lucio nel ventre della bestia dura il ciclo di tre stagioni: più o meno nove mesi, ossia il tempo necessario per far nascere (o rinascere) un uomo. Che di rinascita si tratti, è fuor di dubbio; ma prima dell’intervento maieutico di Iside devono realizzarsi altre condizioni, . C.C. Schlam, The Metamorphoses of Apuleius, cit., -: «The two accounts are placed chiastically at about the same distance from the beginning and end of the novel. Certain details of the first encounter are recalled in the second». Vd. S. Haskins, Bestial or Human Lusts?. The Representation of the Matron and her Sexsuality in Apuleius, Metamorphoses ..-., «Acta Classica» , , -. . Cfr. P. Radici Colace, Per un lessico didattico-pedagogico nelle lingue classiche: metafore spazio-temporali nei processi di apprendimento e di insegnamento, «Giornale Italiano di Filologia» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio che finora non abbiamo visto rispettate. Ciò che manca a Lucio al termine della sua educazione o iniziazione al mondo è l’esercizio delle valutazioni razionali e delle scelte morali, andato smarrito nella trappola di Hypata e non ancora ripristinato, a ristabilire la linea di demarcazione che divide, secondo la scienza aristotelica, l’uomo dallo schiavo e dall’animale. L’attesa non è comunque lunga: nel bel mezzo dello spettacolo allestito nel circo di Corinto Lucio recupera entrambi gli ambiti ancora mancanti. Al termine della pantomima del Giudizio di Paride, dopo esser sbottato nell’invettiva contro la giustizia ingiusta e corrotta (del passato come del presente), interrompe la sdegnosa tirata e commenta ironicamente il proprio esercizio critico: «sed nequis indignationis meae reprehendat impetum secum sic reputans: “ecce nunc patiemur philosophantem nobis asinum”, rursus unde decessi revertar ad fabulam» (Met. X ) . Il che equivale a dire che, in margine allo spettacolo del primo giudizio della storia del mondo (rerum exordio), la denuncia della corruzione dei tribunali e le metafore zoologiche indirizzate ad avvocati e giudici (forensia pecora, togati vulturii) fanno riemergere una ratio che eccede la dimensione bestiale, come lascia intendere la sorridente espressione ossimorica dell’asino che si mette a far filosofia . Riabilitato all’uso della ragione, immediatamente l’asino-filosofo prova ripugnanza e terrore di fronte alla prospettiva dell’unione con la sciagurata partner prevista dall’insolito copione; evita altresì d’accostarsi alle rose, pur presenti nell’arena, per le ragioni che sappiamo, e decide di fuggire, compiendo così una scelta (liberum arbitrium si leg. Vd. A. Kirichenko, Asinus Philosophans: Platonic Philosophy and the Prologue to Apuleius’ Golden Ass, «Mnemosyne» , , -; F. Drews, Asinus Philosophans: Allegory’s Fate and Isis’ Providence in the Metamorphoses, in W.H. Keulen, U. EgelhaafGaiser (a c. di), Aspects of Apuleius’ Golden Ass. III. The Isis Book, Brill, Leiden-Boston , – . Vd. in merito, e in prospettiva diversa, E. Finkelpearl, The Judgment of Lucius: Apul. Met. , -, «Class. Ant.» , , -; M. Zimmermann-de Graaf, Narrative Judgement and Reader Response in Apul. Met. , -: the Pantomime of the Judgement of Paris, in Groningen Colloque on the Novel, V, Groningen , -. . In viaggio con l’asino  ge in X , ) che lo riconcilia con la sfera dell’etica. Solo a questo punto, completato l’intero curriculum propedeutico che dall’alimentazione sale alla morale attraverso la ritrovata messa in atto delle prerogative fisiologico-sessuali e delle capacità razionali, l’intervento salfivico non è più dilazionabile: l’epifania notturna di Iside detta le condizioni del ritorno all’umanità e del nuovo status di fedele isiaco che attende il nostro eroe, beatus e gloriosus, come promette la dea, come suggerisce la riflessione platonica sulle possibilità d’integrazione tra vita attiva e vita contemplativa, e come vuole la logica dell’iniziazione, la quale si mette in moto esclusivamente in funzione di un cambiamento, di un miglioramento dello status di partenza. Puntualmente, tutto quanto è stato annunciato dalla rivelazione isiaca si compie sulla spiaggia di Cenchreae, nel corso della festa del Navigium Isidis: le rose di Iside cancellano la dira facies del quadrupede (che in estremo omaggio all’abito ferino le divora in un sol boccone) e segnano l’inizio della nuova vita di Lucio, reformatus e renatus . Il cammino in compagnia dell’asino è davvero finito e al suo termine ritroviamo un uomo nuovo, aperto a più larga comprensione del mondo e avviato a più sicuri rapporti col divino. C’è però un interessante supplemento di viaggio, un po’ perché tutte le strade portano a Roma, un po’ perché a Roma finiva – secondo la tradizione – anche il mitico figlio di Teseo, morto in Grecia come Ippolito e rinato nei culti di Diana Nemorensis come Virbio, soprattutto perché è nella capitale dell’impero (la vera città “eccelsa” dell’oikouméne, sede dell’hypatos tra tutti gli uomini, dell’imperatore) che si misura l’effettiva promozione dei singoli. L’ultimo spostamento, mentre sottrae la narrazione alla circolarità restauratrice che sembra dominare la versione . Unica attestazione dell’espressione in tutta l’opera superstite di Apuleio. . Sull’ultimo libro dell’opera ci si orienta grazie a J. Gwyn Griffiths, Apuleius. The Isis-Book, Leiden , e ai contributi raccolti in W.H. Keulen, U. Egelhaaf-Gaiser (a c. di), Apuleius Madaurensis. Metamorphoses. Book XI, cit. in n. . . In generale vd. A. Mehl, W.Chr. Schneider (a c. di), Reformatio et reformationes. Festschrift für Lothar Graf zu Dohna zum . Geburtstag, Darmstadt .  Rileggendo Petronio e Apuleio non apuleiana, riserva la sorpresa di assegnare all’antico Lucio di Corinto tratti o identità dell’«uomo di Madauro» (Met. XI ) , senza cancellare tuttavia i segni delle esperienze e delle promesse passate. Sorprendiamo così il nostro eroe beatus come seguace dei culti egizi e gloriosus come professionista del diritto e patrocinatore di cause giudiziarie (Met. XI ); e se ci ricordiamo che nel collegio sacerdotale di Osiride egli riveste il rango di pastoforo, cioè di portatore della statua del dio, possiamo concludere che in fin dei conti anche l’allenamento fisico di altri trasporti (refurtiva, Charite, la statua della dea Siria, Thiasus) in guise diverse non è stato inutile. . In merito vd. R.T. van der Paardt, The Unmasked I. Apuleius’ Met. XI , «Mnemosyne» n.s. , , -; H.J. Mason, The Distinctions of Lucius in Apuleius’ Met., «Phoenix» , , -. Per nuove proposte su base archeologica circa il soggiorno romano di Apuleio stesso cfr. F. Coarelli, Apuleio a Ostia?, «Dialoghi di Archeologia» s. III, , , -; M. D’Asdia, Nuove riflessioni sulla domus di Apuleio a Ostia, «Archeologia Classica» , , -. Capitolo IV Spunti teatrali nella narrativa latina: le Metamorfosi di Apuleio∗ .. Teatri senza testi, testi senza teatro La storia del teatro romano dalla fine della repubblica e per tutta l’età imperiale deve fare i conti con una situazione paradossale, avvertita da tutti gli studiosi e denunciata con nettezza da William Beare: dal  a.C., inaugurazione del teatro lapideo di Pompeo, la documentazione archeologica e storica attesta – per Roma e poi per tutto il mondo romanizzato – il moltiplicarsi di edifici stabili di spettacolo, mentre la produzione di testi teatrali sembra subire drastico impoverimento. L’unica vera eccezione, vale a dire il perduto Thyestes di Vario Rufo, rappresentato nei ludi per la vittoria di Azio (/ a.C.), non può modificare il quadro generale. Paradosso nel paradosso: quando abbiamo notizia delle tragedie di Asinio Pollione, le fonti dicono che sono testi non destinati alla rappresentazione, ma alle recitationes di fronte a un pubblico ristretto e ostile al principato; di più, anche quando possiamo leggere un buon gruppo di testi tragici conservati per tradizione manoscritta, come le tragedie di Seneca, è opinione diffusa che tali testi non abbiano conosciuto rappresentazione scenica. In realtà, il paradosso vale per i generi del teatro ufficiale della parola, in particolare per la tragedia, tradizionalmente alimentata da spiriti antitirannici e libertari. Rispetto a questi temi le scelte ∗ Prima stesura: Spettacoli e spettatori in Petronio e in Apuleio: spunti teatrali nella narrativa latina, «I Mercoledì dell’Accademia - Quaderni» , , - e -.   Rileggendo Petronio e Apuleio del potere non sono – ovviamente – interessate a promuovere produzioni potenzialmente contestatrici. L’episodio che aiuta a comprendere gli orientamenti del potere avviene nei Ludi del  a. C., con l’inedita gara tra due mimografi, Decimo Laberio e Publilio Siro, voluta da Cesare. La sfida evoca nuovi scenari, la realtà del mimo e il potere del dittatore, alleati nel sancire il declino della drammaturgia ufficiale e della vena antitirannica come espressione della libertas e delle tradizioni nobiliari. Involontari protagonisti sono un eques Romanus asperae libertatis (Macrobio, Saturnalia , , ) che compone mimi (a conferma che tali libretti non sono ritenuti opera indegna di cittadini di rango) e un ex-schiavo di Antiochia, autore e attore dei propri testi. Il vero protagonista è però Cesare, il quale, risentito per gli attacchi di Laberio, ordina ut prodiret in scaenam et ipse ageret mimos quos scriptitabat, sfidando il liberto d’origine siriana. Laberio si esibisce in vesti servili e pronuncia battute inequivocabili: Porro, Quirites, libertatem perdimus! Necesse est multos timeat quem multi timent (variazione quest’ultima del noto verso di Accio oderint dum metuant). Cesare assegna la vittoria a Publilio Siro, ma risolleva Laberio al rango di cavaliere da cui il suo invito l’aveva fatto decadere: così gli spettatori assistono a duplice spettacolo, dei mimi e del potere assoluto; e al fine di chiarire le regole del gioco e i parametri della mobilità sociale più istruttivo risulta il secondo. L’avvento del principato determina condizioni destinate a durare nel tempo. L’età augustea tenta invano soluzioni totali e unitarie del problema del teatro, in analogia con la restaurazione ’formale’ dei mores realizzata sul piano istituzionale. Augusto è interessato al rilancio della poesia scenica come fattore di coesione sociale: ne fa fede, tra l’altro, la garbata ma ferma polemica oraziana (Epistola ad Augusto, Ars poetica) sulla possibilità di resuscitare il teatro nazionale romano senza seguire la via maestra dei modelli greci. Tuttavia, più che l’insensibilità nei confronti di pretesi canoni artistici o il degrado dei gusti del pubblico, è appunto la committenza del principe . Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]  a ostacolare la ripresa del teatro dotto, in quanto comprime lo sviluppo di temi libertari e antitirannici cari alla tragedia e, sul versante della commedia, non è disposta a tollerare pratiche di comicità antiregime. Così, tragedia e commedia si avviano alla vita umbratile delle recitationes per pochi spettatori (oltre Asinio Pollione va ricordato Gaio Melisso, autore di sfortunate commedie trabeatae), mentre le scene sono occupate stabilmente da histriones, mimi et saltatores. Alla committenza augustea di mimi fa cenno Ovidio, che dall’esilio tenta di giustificare così i suoi carmi d’amore: Che mi sarebbe successo se avessi scritto mimi, che scherzano su argomenti osceni (obscena iocantes) e contengono sempre colpe di illeciti amori, e nei quali l’adultero si presenta sempre azzimato e l’astuta moglie inganna lo stolto marito? Li vede la fanciulla in età da marito, la matrona, l’adulto e il fanciullo, e vi assiste una gran parte di senatori. Non basta che le orecchie siano offese da parole oscene; anche gli occhi si abituano a sopportare la vista di molte vergogne: quando l’innamorato ha ingannato con qualche nuova trovata il marito, si applaude e approva con grandi battimani; quanto meno il teatro è morale, tanto più fa guadagnare il poeta, e il pretore compra a non piccolo prezzo enormi oscenità. Considera, Augusto, le spese per i tuoi giochi: vedrai che molte di tali oscenità tu hai acquistato a caro prezzo. [...] Se è permesso scrivere mimi che presentano fatti sconci (scribere si fas est imitantes turpia mimos), all’argomento da me trattato era dovuta pena minore. O forse è il palcoscenico che dà l’impunità a questo genere di componimenti, e la scena ha reso lecita ai mimi la licenza? (Tristia , - e -; traduzione di Francesco Della Corte). La tirata ovidiana non è disinteressata, volta com’è alla difesa dell’Ars amatoria; concentra però molti dei giudizi negativi che accompagneranno mimi (e pantomime) lungo tutto il corso dell’età imperiale, accomunando critiche di intellettuali, periodiche proibizioni su scala locale, infine atteggiamenti ostili di parte cristiana. Chiarisce inoltre come ai tempi di Augusto lo spettacolo sia ormai alternativo al teatro ufficiale e mostra come iniziative del potere e gusti del pubblico procedano in piena sintonia.  Rileggendo Petronio e Apuleio Sempre in età augustea si assiste al decollo della pantomima, lo spettacolo di maggior successo fino al V sec. d. C. e oltre, che decreta l’eclisse del teatro dotto e trasmette a livello medio e popolare la tradizione religiosa e mitologica, con funzione unificante in ambito di cultura diffusa. Una breve premessa riguarda la ricezione delle opere di Virgilio fin dal loro apparire. La Vita Vergili di Donato informa che alle letture private si sono subito aggiunte pubbliche rappresentazioni: Bucolica eo successu edidit, ut in scaena quoque per cantores crebro pronuntiarentur (). Nel tacitiano Dialogus de oratoribus (, -) si dice che della popolarità di Virgilio è «testimone il popolo stesso che a teatro, sentendone recitare i versi, si alzò tutto in piedi e onorò quasi alla stregua di Augusto il poeta che si trovava tra gli spettatori». La struttura dialogica e il carattere mimetico delle Bucoliche sono infatti agevole supporto per esibizioni di professionisti della scena, di attori mimici; appunto un nome di mima, VolumniaCiteride, è legato all’esecuzione della VI Bucolica. Il discorso vale per tutta l’opera virgiliana: anche l’Eneide è stata giudicata traducibile in termini scenici e gli episodi più noti sono stati oggetto di rappresentazione. Secondo Svetonio (Vita di Nerone ) il principe «nell’ultimo periodo di vita aveva fatto pubblico voto di esibirsi, se avesse conservato il potere, nei giochi indetti per la vittoria come suonatore di organo idraulico, di flauto e di zampogna, infine nell’ultimo giorno come histrio per rappresentare danzando il Turno di Virgilio»; secondo Macrobio (Sat. , , ) la fabula di Didone compare sia come programma figurativo caro a pittori e scultori sia come tema celebrato histrionum perpetuis et gestibus et cantibus. La fortuna di Virgilio, dunque, non dipende soltanto dalle scuole e dalla lettura; passa anche attraverso il palcoscenico. Qualcosa di analogo può essere accaduto a Ovidio. Ormai in esilio, il poeta afferma di non aver scritto appositamente per il teatro, quando viene informato di pubbliche esecuzioni di suoi carmi (Trist. , , -: carmina [...] pleno saltari nostra theatro), ma altrove ammette che et mea sunt populo saltata poemata saepe (Trist. , ). Forse già prima dell’esilio e al di là delle intenzioni i versi ovidiani hanno . Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]  fornito materia per fabulae salticae: si pensi alle Heroides, il cui carattere drammatico ha dato vita all’ipotesi che le epistole delle eroine siano in realtà destinate a rappresentazione con tanto di musica e danza. Né si può escludere che l’accenno di Trist. ,  possa riguardare una trica ricavata dall’Ars amatoria e messa in scena col concorso di personaggi di corte. Così, il mondo dello spettacolo, mentre riduce gli spazi riservati a tragedie e commedie ’impegnate’, apre le porte a testi non teatrali e punta su esecuzioni fatte di musica, danza, espressività corporea. Il lessico impiegato (cantores, cantus, histriones, saltare), pur avendo per ogni termine tratti specifici di storia teatrale, nel suo insieme rinvia alla prassi della pantomima. In base alle fonti antiche si segna nel  a. C. il decollo della pantomima a Roma, grazie all’attività di Batillo di Alessandria e Pilade di Cilicia, liberti rispettivamente di Mecenate e di Augusto, entrambi esperti di esibizioni mimetiche su temi mitologici, specializzato il primo in danze comico-parodiche (saltatio hilara), il secondo in danze di contenuto tragico (saltatio tragica). La fortuna del teatro dei pantomimi, sebbene gli attori siano esposti al capriccio dei principi, non viene meno nel corso di tutto l’impero. Il successo origina ruoli fissi (e iterazione di nomi d’arte) e forme di divismo. Seneca parla di nobilissimi iuvenes mancipia pantomimorum (Epist. , ) e in chiusa delle Naturales quaestiones (, , -) lamenta l’assenza d’interesse per gli studi di filosofia, mentre «la dinastia di Pilade e Batillo continua stabilmente nei successori; di queste arti molti sono i discepoli e altrettanti i maestri». Il successo è confermato dalle fonti storico-epigrafiche che parlano sia della fortuna degli attori sia di periodiche voci di condanna. Prima ancora che si facciano sentire i cristiani, il coro di dissensi e polemiche registra interventi di poeti e intellettuali, di Giovenale e Dione di Prusa, per esempio, di Plutarco e Tacito, di Galeno ed Elio Aristide. Il giudizio più duro si legge nelle Historiae di Ammiano Marcellino (IV sec. d.C.), il quale constata come tra aristocrazia romana e popolino i gusti siano ormai convergenti: «Le poche dimore un tempo famose per severa dedizione agli  Rileggendo Petronio e Apuleio studi ora sono immerse nel ludibrio d’una torpida ignavia e risuonano della voce dei cantori e del tintinnio delle cetre. Invece del filosofo si invita il cantante, al posto dell’oratore l’esperto di spettacoli. Mentre le biblioteche sono chiuse per sempre a guisa di sepolcri, si fanno costruire organi idraulici e lire enormi come carri e flauti e strumenti pesanti per accompagnare i gesti degli histriones. [...] Dovunque tu volga lo sguardo, vedi torme di donne dalle chiome inanellate [...] che spazzano fino alla nausea i pavimenti coi piedi e si agitano in veloci giri di danza eseguendo le innumerevoli figure inventate dalle fabulae teatrali» (, , -). Se assai diffusi sono mimi e pantomime, i testi relativi hanno importanza secondaria rispetto alle esibizioni degli attori: pochi resti di mimi greci sono conservati per via papiracea; pochi frammenti di mimi latini sono noti per tradizione indiretta; quasi nulla rimane della fabulae salticae, anche di quelle composte da poeti come Lucano o Stazio. Qualche ammissione non manca, come mostra lo stesso Seneca (Epist. , : quantum disertissimorum uersuum inter mimos iacet! quam multa Publilii non excalceatis sed coturnatis dicenda sunt); ma in generale, eccetto le sententiae attribuite a Publilio Siro, sono testi esclusi dagli spazi riservati alle opere letterarie, dalle biblioteche e dalla scuola. Bene: appurato che per lo più i teatri e le grandi dimore del mondo romano sono occupati da spettacoli che non prevedono testi letterariamente sostenuti, che possono usare testi altrimenti destinati (per es. Virgilio) o non richiedono affatto testi, possiamo passare a un fenomeno inverso e speculare, vale a dire ai riflessi che il mondo degli spettacoli, tradizionali o meno, ha nella narrativa latina, segnatamente nelle opere di Apuleio. .. Scenari apuleiani Con le Metamorfosi di Apuleio si rimane all’interno del genere narrativo (II secolo d.C.) e ci si trova di fronte a una narrazione continua e accurata, in grado di presentare, intercalate alla vi- . Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]  cenda principale (la storia dell’uomo-asino), brillanti excursus e sapide novelle secondo una calibrata e funzionale ars combinandi. Che il senso dello spettacolo sia vivo nelle Metamorfosi è da tempo segnalato dalla critica. Tale aspetto appare in primo piano nelle numerose scene di massa che si snodano via via nel testo, dalla festa del dio Riso e dal processo-farsa di Lucio otricida all’altalenante vicenda di Psiche tra terra e cielo, dal trionfo di Charite liberata alle esibizioni more circensi dell’asino sapiente, dallo spettacolo del circo di Corinto alla grande processione isiaca dell’XI libro. Ma non basta: è l’intero racconto, scandito dai coups de théâtre di inesausti processi metamorfici, a venir concepito come rappresentazione, in quanto sembra proporre una ricezione di tipo ’visivo’, per immagini, dei fatti narrati. Cunctis hominibus multa usu uenire mira et paene infecta, dice il protagonista a commento della fabula di Aristomene e Socrate (Met. , , ); e se per una storia di mirabilia non sorprende troppo la messa a punto di un’estetica dello sguardo, neppure dovrebbe sorprendere che la reductio ad fabulam di materiali e situazioni derivati da generi letterari illustri – epica e storiografia, poesia teatrale e trattatistica filosofica – sia funzionale alla ricezione per via d’immagini da parte di un pubblico non esclusivo, non a priori selezionato da formazione culturale elitaria. Detto altrimenti, la destinazione appare aperta a tutti, in quanto Apuleio esce dalle aule e dalle sale di conferenze per farsi novelliere en plein air e sceglie una forma di comunicazione ‘minore’, a mezza via tra satira menippea e fabula Milesia (Met. , , : ego tibi sermone isto Milesio uarias fabulas conseram). Così operando, non rinuncia alle proprie dottrine di seguace di Platone né ai territori cari ai filosofi (anima, mito, cosmo), ma neppure evita l’affollato paesaggio della società umana come scenario di vicende di degradazione e riscatto. Se diamo retta a Cicerone (Academica , , ), la mistione tra hilaritas e serietà, propria della tradizione menippea, punta a far sì che «anche i meno dotti (minus docti) possano capire più facilmente, invogliati alla lettura da un certo tono d’allegria (iucunditate quadam ad legendum inuitati)». In sostanza, l’autore delle Metamorfosi  Rileggendo Petronio e Apuleio accetta la sfida della storia: dalla società storica ricava spunti e tratti realistici e alla società rivolge un messaggio edificante, perché il suo compito è quello di docere, come volevano gli intellettuali antichi in genere e i “nuovi sofisti” in particolare. Ma per rendere meglio accessibile l’azione pedagogica, sa altresì che è necessario delectare, al fine di coinvolgere nei processi di comprensione anche i minus docti. I modi di questa lezione a cielo aperto sembrano suggeriti dalla realtà stessa della società imperiale che prevede luoghi deputati per l’incontro tra fasce di pubblico diverse per censo e cultura. Accanto alla solitudine dello studioso e al mondo appartato di scuole e biblioteche, Apuleio conosce bene anche gli spazi popolosi del circo e del tribunale, del mercato, della festa e degli intrattenimenti spettacolari, là dove lotte di uomini e animali, abilità di causidici e di cantastorie e di acrobati, apparati scenici e rituali sono parti di un unico grande spettacolo che accomuna tutti, dotti e umili, indotti e potenti, in un’unica categoria di spettatori. Accantonate le considerazioni sui possibili destinatari, possiamo procedere a un esame ravvicinato dei diversi scenari evocati dalla narrazione, che fin dal prologo dichiara di voler sottoporre all’attenzione (e all’ammirazione, ut mireris) del lettore cambiamenti mirabolanti e spettacolari (Met. , , : figuras fortunasque hominum in alias imagines conuersas et in se rursus mutuo nexu refectas). In effetti, ci troviamo di fronte a una storia di metamorfosi costruita, è vero, secondo ingredienti tradizionali, ma messa in moto e inserita nella dimensione quotidiana attraverso un singolare (e inusuale) groviglio di motivazioni e di cause. Se si vuole procedere con ordine, lungo la traiettoria narrativa dei primi libri, fino all’inizio del racconto di Amore e Psiche (Met. , ), si assiste a una serie costante di fatti e azioni spiegati in maniera contrastante, a metà strada tra finzione e svelamento, tra pretesto apparente e causa segreta, tra inganno e verisimiglianza. Il gioco dell’ambiguità inizia subito, in quanto riguarda le ragioni stesse del viaggio di Lucio di Corinto, scholasticus di bell’aspetto e mal controllata curiositas, in Tessaglia: da Met. , ,  apprendiamo che Lucio muove alla . Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]  volta della Tessaglia per affari (Thessaliam ex negotio petebam); in Met. , , - gli affari sono dimenticati e viene in primo piano il desiderio di conoscere quae rara miraque sunt. Dato che la Tessaglia è terra di magia sovvertitrice del reale, il giovane sospetta che in ogni cosa si possa celare, al di là dell’apparenza, una verità nascosta, convinto com’era che nulla di quanto si presenti alla vista «possa davvero essere ciò che in effetti era» (id esse ... quod esset). Avviene così che l’autore spinga l’attore principale (e con lui tutti i comprimari) in un territorio mal certo, dove è possibile tutto e il contrario di tutto, un po’ come il poeta di cui parla Orazio nell’Epistola ad Augusto, vv. -: ille per extentum funem mihi posse uidetur / ire poeta meum qui pectus inaniter angit, / inritat, mulcet, falsis terroribus implet, / ut magus, et modo me Thebis, modo ponit Athenis. In Apuleio, che ben conosce la tecnica di spaesamento usata dagli autori di teatro (come sappiamo da Florida ), la magia non è metaforica, ma ritenuta effettivamente operante nel generare alternative possibili per ogni immagine, per ogni spazio e per ogni spiegazione, col risultato di dilatare la nozione di metamorfosi e di assegnarle il compito di tradurre in parole inesauste sorprese e incessanti colpi di scena. Il primo racconto di magia è un racconto di viaggio che fa scordare le fatiche del cammino alla volta di Hypata, la cittadina tessala mèta del protagonista-narratore: racconto di Aristomene sulla morte – per magia, con tanto di spettacolare dilazione – di uno sfortunato Socrate antifrastico (Met. , -). Come nel Satyricon e nella narrativa in genere, si mettono in scena personaggi dai nomi parlanti: spetta infatti all’antroponimo riscattare il portatore del nome dall’assenza d’una storia personale conosciuta e riconoscibile, pari cioè a quella di cui gode chi frequenta i generi letterari illustri del teatro tragico e della storiografia. Il teatro tragico, comunque, non è troppo lontano nell’immaginazione di Apuleio: quando Socrate alza i toni per descrivere i poteri della maga, che lo tiene legato e che punirà il tentativo di fuga con macabro rituale notturno, il compagno lo esorta a parlare come la gente normale e a togliere di mezzo scena e  Rileggendo Petronio e Apuleio sipario da tragedia (Met. , , : aulaeum tragicum dimoueto et siparium scaenicum complicato et cedo uerbis communibus). Comune e normale, a dire il vero, non è la storia narrata da Aristomene, ma si tratta di lepida fabula che allieta il cammino; poco importa se uno degli ascoltatori – l’anonimo compagno del narratore – rimane incredulo (Met. , , : nihil hac fabula fabulosius, nihil isto mendacio absurdius), perché Lucio dichiara invece la propria disposizione a credere che tutto sia possibile (nihil impossibile arbitror), rivelandosi così pronto a prestar fede a qualsiasi racconto di mirabilia e pronto a vivere, in prima persona, qualsiasi esperienza straordinaria e mirabolante. Insomma, la promessa delle uariae fabulae avanzata dal prologo si sta realizzando: nel solo I libro il termine fabula presenta ben  occorrenze, apre e chiude la narrazione (Met. , , : Euasi aliquando rancidi senis loquax et famelicum conuiuium somno non cibo grauatus, cenatus solis fabulis, et in cubiculum reuersus optatae me quieti reddidi), si impone all’attenzione del lettore e non permette di dimenticare che tra i suoi significati possono convergere quello di finzione e quello di aspetto teatrale, come si impara dalla Rhetorica ad Herennium (, : Fabula est, quae neque ueras neque ueri similes continet res, ut eae sunt, quae tragoedis traditae sunt). Lungo i crinali di questa anfibologia lessicale ci si può imbattere nella predizione metanarrativa fatta a Lucio da un indovino caldeo di scarso valore ma partecipe dell’onniscienza d’autore (Met. , , : Mihi denique proventum huius peregrinationis inquirenti multa respondit et oppido mira et satis uaria; nunc enim gloriam satis floridam, nunc historiam magnam et incredundam fabulam et libros me futurum), oppure nella fabula narrata durante la cena di Byrrhena dove anche l’impossibile è di casa (Met. , , : quiquid fieri non potest ibi est). Narratore è Telifrone, protagonista e vittima della sfortunata veglia di un morto che porta lo stesso nome: fabulam illam tuam remetire, lo invita la padrona di casa (Met. , , ), e il racconto si dilunga fino a Met. , , , quando Thelyphron hanc fabulam posuit. Come è noto, di una veglia funebre insidiata dalle streghe si prende atto durante la Cena di Trimalchione (Petron. , -); . Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]  ora, anche le Metamorfosi apuleiane evocano, nella cornice di un banchetto, il racconto della rovinosa custodela feralis che, in forza dell’omonimia, concentra sul vivo addormentato (tanto da parer morto) le operazioni magiche – taglio di naso e orecchie – programmate sul cadavere. Il racconto di Telifrone è preceduto e seguito dalle risate dei convitati: la fabula, dunque, serve da divertente intrattenimento da tavola e i cachinni dei presenti valgono a introdurre la nuova avventura che attende il protagonista, la festa del dio Riso e la burla giocata ai danni dell’ignaro forestiero. L’episodio è noto e conosce buona fortuna letteraria: rientrando alticcio a casa dell’ospite nel cuore della notte, Lucio crede di scorgere tre ladroni intenti a scassinare la porta e li trafigge con la spada; la mattina successiva viene trascinato in tribunale con l’accusa di triplice omicidio. Dettaglio non trascurabile per decifrare le intenzioni dell’autore: data l’affluenza dell’intera città, si decide di celebrare il processo in teatro; di fronte alla cavea stracolma, l’accusato viene fatto avanzare per proscenium e sistemato nel bel mezzo dell’orchestra, vicino al corpo del reato, a tre ‘cadaveri’ opportunamente coperti da un telo. Il processo-farsa (Met. , -) è scandito da requisitoria dell’accusa, difesa dell’imputato, testimonianze lacrimose o indignate di presunte madri e vedove fittizie (con accompagnamento di improbabili orfanelli), minaccia di interrogatorio sotto tortura. La folla segue la rappresentazione tra risa e sghignazzi (Met. , , : risu cachinnabili diffluebant); ovviamente, la risata più forte esplode alla fine, quando Lucio, costretto a sollevare il telo per scoprire i cadaveri, si trova di fronte a tre otri sforacchiati in più punti (Met. , , : tres utres inflati uariisque secti foraminibus). Spetta ai magistrati di Hypata spiegare come l’intera messinscena – destinata a rinascere nella vicenda di Don Chisciotte – costituisca il cuore della festa del dio Risus, carnevale epicorico a mezza via tra rituale e divertimento collettivo; tocca però alla servetta Fotide (“Piccola Luce” che brilla di notte o, se si preferisce, “Lucignola”) rimettere tutto in discussione e fornire una spiegazione alternativa che narra  Rileggendo Petronio e Apuleio di otri trasformati per forza di magia in baldi garzoni, al fine di soddisfare gli appetiti sessuali di Panfile, sposa dell’ospite e maga costretta fin dal nome parlante a poco selettive fatiche d’amore (Met. , ,  - , ). Anche il racconto di Fotide, lepidus come vuole ogni narrazione di Metamorfosi, suscita il riso, questa volta il riso del protagonista, che chiede di sperimentare in prima persona gli effetti stranianti dei poteri magici, sorta di conferma a livello popolare dell’incertezza che insidia il mondo sensibile secondo il platonismo ufficialmente professato da Apuleio. Consacrato per duplice via alla sfera divertita della risata, Lucio dal nome solare subisce non voluta trasformazione: invece d’esser mutato in uccello (e dunque recuperare le ali, un po’ come l’anima platonica che vuole risalire al cielo), a causa dell’errore notturno di Fotide diventa asino (Met. , -), costretto a capo chino (deiecto capite), dunque rivolto sempre verso le bassure di non esaltanti realtà terrene. Di scholastici narratori e spettatori dell’esistenza altrui abbiamo imparato a far conoscenza dalle pagine del Satyricon di Petronio; qui, la prospettiva, per così dire, si fa più intrigante, in quanto la forma asinina assunta dallo scholasticus di Corinto, oltre a dar vita a un gioco antifrastico che può trovare impiego in ogni fase della storia dell’educazione, sottrae il protagonista al suo mondo e gli assegna un ‘posto privilegiato’ da cui osservare e descrivere, senza essere notato, commedie e drammi altrui. Perdita delle libertà di cittadino, morte civile, prigionia nel corpo di un animale da soma: questa la realtà della nuova esistenza che l’uomo-asino impara a suon di busse, in forza della brutale pedagogia messa in atto dalla banda di ladroni che irrompe tempestivamente (nec mora) nella casa dell’ospite, mette tutto a sacco, carica il bottino su animali veri ed esseri di recente imbestiamento, per spingerli poi verso impervii rifugi montani a furia di bastonate (crebra tundentes per avia montium). A voler essere precisi, le randellate dei briganti hanno già avuto un precedente: appena entrato nella stalla, Lucio-Asino tenta di accostarsi all’antidoto, le rose in bella mostra in un . Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]  sacello, ma viene fermato da una scarica di legnate somministratagli dal proprio servo (Met. , ). Pur nell’assenza di qualsiasi spunto di rivalsa sociale, indubbia è la valenza comica della scenetta del servo che bastona, fuor di metafora, quell’asino del padrone, dopo essere sbottato in collaudati stacchi oratori di caratura ciceroniana (Quo usque tandem – inquit – cantherium patiemur istum?). Così, tra citazioni distorte e legnate dirette, Lucio-Asino viene immesso nel mondo esterno, degradato nell’aspetto e in compagnia dei ceti più bassi e marginali dell’umana società. La convivenza dell’asino umano con la banda dei ladroni dura a lungo, da Met. ,  a , , e si fa a sua volta cornice – secondo una tecnica sperimentata fin dagli Apologhi odissiaci – di un’altra serie di racconti spettacolari. A tacere di qualche piccola sventura di viaggio (vani tentativi di assalto alle rose, nuove legnate di contadini infuriati, fetenti emissioni intestinali a livello dei toni scurrili del mimo), merita attenzione quanto avviene nella spelonca dei briganti che si apre sui fianchi scoscesi di un monte: scenario dai tratti misti, di locus horridus (rocce e rovi e fitta boscaglia) e insieme di locus amoenus (sorgente dai fiotti argentati e copiosi ruscelli che scorrono a valle: Met. , ). Mistioni d’altro genere si ravvisano nei comportamenti dei latrones, via via impegnati in apostrofi ingiuriose nei confronti della vecchia guardiana della caverna e in abluzioni piuttosto accurate, in funzionali turni di servizio a mensa o in smodate assunzioni di cibi e bevande. Umani e bestiali, un po’ come Lucio-Asino o, peggio, come i protagonisti della zuffa tra Lapiti e Centauri nel più tumultuoso banchetto narrato dal mito, i briganti apuleiani non sono tuttavia estranei alla tradizione dei discorsi da tavola, grazie – è il caso di dire – al platonismo dell’autore, che sa abbassare a situazioni poco canoniche i modelli collaudati di conversari simposiali. In un convito di banditi gli argomenti vertono, ovviamente, su imprese banditesche, in grado di costituire motivo di intrattenimento, come abbiamo visto fare alla mensa di Byrrhena o durante la Cena di Trimalchione, ma anche capaci di suggerire qualche spunto di riflessione. Si assiste così alla successione di  Rileggendo Petronio e Apuleio tre storie di azioni brigantesche, tre sequenze epiche fallimentari in cui i ladroni narratori celebrano, per paradosso, la rovina di tre compari dal nome inutilmente parlante, il forte combattente Lamachus, Alcimus-Il Valoroso e Thrasyleon dall’audacia leonina. In breve, questo è l’ordine delle scenette: l’assalto alla casa di un avaro dal nome non meno esplicito (Ama-l’Oro, Cryseros, per intenderci) si conclude in modo disastroso per il capo degli assalitori che perde prima il braccio, rimasto inchiodato alla porta, e poi la vita, per eroica mors uoluntaria (Met. , -); non meno rovinoso l’assalto ai danni dell’umile abitazione di una vecchierella compiuto dal prode Alcimus, che finisce i suoi giorni precipite da una finestra, spinto dalla povera vittima a schiantarsi la cassa toracica, alla maniera di sfortunati guerrieri di virgiliana memoria (Met. , ); infine, anche la più articolata vicenda di Thrasyleon, che si cela nella pelle di un’orsa per penetrare in una ricca dimora (un’Orsa di Troia, dunque, con metamorfosi alla buona), e muore trafitto da lancia alla stregua un’orsa vera (Met. , -). Involontari dettagli comici ed effettivi esiti tragici si mescolano nel racconto dei briganti narratori, in quanto palese è il divario tra l’autore nascosto che governa il senso complessivo della narrazione e i personaggi costretti a subire scelte linguistiche e lessicali che vanno oltre le loro intenzioni e depongono a favore dell’esistenza di una sorta di giustizia immanente nel mondo che mette le cose a posto e che, in prospettiva, non lascia dubbi sulla fine disastrosa dell’intera banda di fuorilegge, rovina che si compirà puntualmente, al termine del grande intermezzo della favola di Amore e Psiche. .. Lo spettacolo del mondo, tra cielo e terra: la Bella, la Bestia, gli amori, la morte e la rinascita Come è noto, la favola di Amore e Psiche (Met. ,  - , ) viene proposta come episodio della vicenda di Charite-Grazia, in quanto racconto consolatorio che la vecchia guardiana della caverna rivolge alla giovane rapita dai briganti, al fine di dissi- . Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]  pare paure dettate da sogni funesti e da futuro angoscioso: ego te narrationibus lepidis anilibusque fabulis protinus avocabo (Met. , , ). In realtà, questa particolare fabula anilis ha la dimensione di due libri, occupa lo spazio centrale delle Metamorfosi e ne costituisce la chiave simbolica: inserto speculare in cui la storia di Psiche-Anima chiarisce la storia di Lucio-Asino, dal momento che il racconto di Apuleio è uno solo, anche se sdoppiato nei percorsi paralleli dei due personaggi, come una sola, ma sdoppiabile, è la figura umana che, a mezza via tra cielo e terra, verso il basso proietta ombra bestiale e verso l’alto lascia libero di volare il demone dell’anima. In tal modo l’autore orienta in direzione filosofica l’intera opera, in sintonia con il resto della sua produzione, con il De deo Socratis, per esempio, e la ricerca delle vie che indirizzano verso possibili assimilazioni al divino. Se mai, è da dire che gli aspetti favolosi e folclorici tengono il racconto ancorato alla sfera della società umana e delle divinità tradizionali: l’assenza dei vertiginosi moti di ascesa al dio primo e ineffabile cui aspirano, nei trattati ufficiali, i professionisti del pensiero medioplatonico, sembra confermare l’intenzione di rivolgersi a un pubblico estraneo alle scuole filosofiche e la necessità di far leva, invece, su nozioni e immagini presenti nell’immaginario collettivo. In effetti, la bella fabella di Amore e Psiche sembra un copione di spettacolo teatrale e sopporta non troppo arbitraria suddivisione in atti. Il prologo, costituito da Met. , -, mette in scena, in un paese surreale da fiaba, una vicenda tributaria di un modello tragico: l’innocente ma eccezionale bellezza della protagonista, l’ira di Venere (tema epico sapientemente riciclato), le mancate nozze di Psiche, l’ambiguo oracolo di Apollo che predica unioni mostruose, il cortocircuito narrativo nozze-funerale, l’esposizione sulla rupe come rito sacrificale e una prima salvezza che viene dall’aria, segnatamente da Zefiro (sostituto di Perseo su cavallo alato), che trasporta la fanciulla nel palazzo incantato di Cupido. Così vuole una longeva tradizione tragica che parla di vergini destinate al sacrificio per il bene della comunità (Andromeda, Ifigenia, Polissena); così  Rileggendo Petronio e Apuleio narra la vecchia che, pur vivendo ai margini della società e in mezzo ai briganti, appare ben informata – come si conviene ai narratori principali o secondari – delle cadenze altalenanti e delle possibili varianti positive delle peripezie a cui vanno soggette le eroine teatrali. Sono peripezie che prevedono colpe e punizioni, errori e sofferenze, senza tuttavia escludere soluzioni finali positive. Non sorprende pertanto che nel seguito della storia ci si trovi di fronte a sequenza che capovolge la polarità tra positivo e negativo: il soggiorno nel castello incantato, dove si trova tutto ciò che esiste al mondo (nec est quicquam quod ibi non est), non impedisce che Psiche ignori il divieto divino e perda il mistico sposo nel momento stesso in cui ne conosce le sembianze (Met. , -, vero e proprio atto secondo della vicenda). Sola e abbandonata, Psiche decade da ogni privilegio, piange l’Amore perduto, erra lacera sulla terra, in vana ricerca dello sposo (Met. ,  - , , atto terzo), per ritrovarsi ‘schiava’ di Venere a sperimentare la collera della dea, che impone alla sventurata prove sempre più difficili e ardue (Met. ,  - , atto quarto). Per superare tali prove può contare sulla solidarietà del mondo mitico in cui agisce e patisce; rischia però il fallimento nell’ultima prova, la catabasi infernale per riportare a Venere una particola della bellezza della regina dei morti, in realtà un sonno simile a morte. Si tratta della prova decisiva che Psiche non riuscirebbe a superare senza l’intervento di Amore stesso che, deus ex machina, torna in scena e ottiene da Giove il permesso di portare Psiche in cielo: qui, completo caelesti theatro, Psiche diventa immortale e si celebrano nuptiae finalmente non impares, sed legitimae et iuri ciuili congruae, in mezzo a tutti gli dèi coinvolti nella festa nuziale (Met. , -, atto finale). Lieto fine in cielo, dunque, per la vicenda di Psiche-Anima che era iniziata sulla terra con cadenze da tragedia. Questa è la prospettiva aperta dalla narrazione della vecchia guardiana dei briganti (il ‘mito nella caverna’): la fabula, narrata a Charite perché altri intenda, si configura come racconto speculare in cui si riflette l’opera intera e si anticipa la soluzione positiva della storia dell’uomo-asino. Il quale è presente, ascolta e si lamenta . Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]  di essere impossibilitato a registrare per iscritto il racconto e sottrarlo a così poco diffusa fonte orale: astans ego non procul dolebam mehercules quod pugillares et stilum non habebam qui tam bellam fabellam praenotarem (Met. , , ). Di contro, l’happy end non è riservato alla fanciulla prigioniera, destinataria ufficiale della fabula consolatoria. È vero che una cospicua sezione della vicenda di Charite si muove lungo direttrici che appartengono alla tradizione comica: rapimento alla vigilia delle nozze, tentativi di fuga in groppa all’asino umano (con sorridenti spunti iconografici e ammiccanti prossimità allo svelamento: Asino uectore uirgo regia fugiens captiuitatem ... potest in asino meo latere aliqui uel uultus hominis uel facies deorum), liberazione grazie all’audacia del promesso sposo nei panni di falso bandito, festa di nozze, estesa a Lucio-Asino, libero di mescolarsi a un branco di puledre e promuovere progenie di mule (Met. ,  - , ). Ma da questo momento in avanti, le fortune di Charite subiscono rovinosa inversione: lo sposo viene ucciso in una partita di caccia dal rivale in amore; Charite si vendica dell’assassino cavandogli gli occhi e si suicida sulla tomba dello sposo; in quello stesso sepolcro si fa murare vivo il colpevole di tanta tragedia (Met. , - ). Il finale tragico della vicenda è narrato da un servo perché «persone di maggior cultura, dotate per buona sorte dell’abilità di scrivere, possano metterlo su carta in forma di storia» (Met. , , ). Fabula e historia, come già per la favola di Psiche e come di nuovo nella fantasia di Charite in groppa all’asino (uisetur et in fabulis audietur doctorumque stilis rudis perpetuabitur historia), si contendono le forme di circolazione dei racconti, che Apuleio sa far fluttuare tra oralità e scrittura: da buon platonico, egli accetta la sfida di “scrivere l’oralità” e segue Platone nel tributo alle forme di comunicazione della società in cui vive: come nei Dialoghi platonici si sono avvertite ‘vivacità drammatiche’ alla maniera dei mimi di Sofrone, così nel ’romanzo’ apuleiano si assiste all’avventura della ragione straniata secondo tricae che nulla sembrano invidiare a forme efficaci di spettacolo. La rovina della casa di Charite riconsegna Lucio-Asino al  Rileggendo Petronio e Apuleio mondo esterno e segna l’inizio del faticoso ritorno alla condizione umana. Da Met. ,  in avanti l’abnorme protagonista passa via via al servizio di sacerdoti ciarlatani, di un mugnaio, di un ortolano, di un soldato e ancora di un cuoco e un pasticcere al seguito di un ricco signore, Thiasus, che infine lo riporta a Corinto. Ogni passaggio, ricco di peripezie, mostra come la legge della mutazione travagli anche la società esterna, crogiuolo di forme in cerca di collocazione stabile, rendendo meno assurda la situazione del nostro eroe e facendo sentire con maggior frequenza l’uomo ’interiore’ che si cela nell’asino e che ora muove al recupero della perduta identità. In effetti, Lucio-Asino muove passi decisi lungo il cammino alimentare che porta dal ‘crudo al cotto’ e perfeziona, per così dire, il percorso sul piano delle attività intellettuali e sessuali, mediante l’esibizione dell’asino sapiente alla mensa di Thiasus e gli incontri ravvicinati con la matrona zoofila (Met. , -) . Tali memorabili unioni nel chiuso di una stanza (non esenti però da sguardi indiscreti) riproducono in privato spettacoli circensi di zooerastia noti da altre fonti (Pasiphae e il toro, secondo Svetonio e Marziale) e anticipano la programmazione di scena pubblica non meno scabrosa. Ma prima di accompagnare a conclusione la vicenda principale, non è inutile ricordare che anche nei libri IX e X delle Metamorfosi l’Io narratore intercala alla propria storie minori, allarga lo sguardo alla commedia umana della società e dà vita un’ampia sezione narrativa, sorvegliata da divertita regia, che non a torto si può definire de spectaculis. Si possono così leggere nel IX libro le storie di spose intraprendenti e di mariti gabbati, vere e proprie tricae di mimi di adulterio: l’episodio della giara (-), l’episodio dei sandali di Filesitero (-) e quello dell’infedele moglie del mugnaio (-), il primo e il terzo rielaborati da Boccaccio nelle novelle di Peronella e di Pietro da Vinciolo (Decamerone ,  e , ). Nel X libro si dipana subito la storia della matrigna innamorata (-), aperta da un avvertimento al lettore che non lascia dubbi . Vd. in proposito Hindermann . . Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]  sull’origine tragica della vicenda: Iam ergo, lector optime, scito te tragoediam, non fabulam legere et a socco ad coturnum ascendere (Met. , , ). Il tema mitico dell’amore infelice di Fedra per Ippolito sbarca in provincia, perde in corso di narrazione i toni più drammatici e volge all’happy end grazie a provvidenziali sostituzioni di pozioni letali e all’intervento benevolo di un medicus amicus. Il lieto fine è invece negato alla vicenda tenebrosa della donna venefica (Met. ,  ss.) condannata ad bestias e destinata a subire in pubblico, prima dell’esecuzione, l’assalto amoroso dell’uomo-asino. Come è noto, preludio di tale unione – scongiurata dalla fuga del protagonista imbestiato – è la grande pantomima eseguita nel circo di Corinto (Met. , -): si tratta del Paridis iudicium, cioè della fabula saltica forse più frequente sulle scene d’età imperiale, nota per ruoli specializzati e nomi d’arte assunti dai saltatores. Lo spettacolo, composto di musica e danza mimetica, esibisce imponente apparato scenico (mons ligneus a rappresentare l’Ida, solcato da ruscelli e popolato di caprette brucanti) e gran copia di personaggi: Paride, Mercurio, Giunone seguita dai Dioscuri, Minerva in compagnia di Terrore e Paura, Venere con le Grazie, le Ore e un folto corteo di Amorini. La rappresentazione si avvale dell’alfabeto del corpo, fatto di gesti e passi di danza; la musica corrisponde all’ethos di ogni personaggio, alla danza del potere (Giunone), alla danza del valore guerriero (Minerva) e infine alla danza della seduzione (Venere). Come vuole il collaudato copione del mito, pubblico e giudice concordano nel verdetto: il premio della gara di bellezza è assegnato a Venere, la quale esprime la gioia della vittoria saltando toto cum choro, mentre le rivali escono di scena esprimendo a loro volta con figure a ballo l’indignazione per lo smacco subito (Met. , , ). Medesima indignazione esprime mentalmente uno spettatore, ancora per poco muto: il Giudizio di Paride provoca infatti nell’asino umano un rinnovato esercizio critico sotto forma di invettiva contro la giustizia corrotta del passato e del presente, per tornare al racconto con divertita formula di transizione: sed nequis indignationis meae reprehendat impetum secum sic reputans:  Rileggendo Petronio e Apuleio “ecce nunc patiemur philosophantem nobis asinum”, rursus unde decessi revertar ad fabulam (Met. , , ). Così, in margine allo spettacolo del primo giudizio della storia, la denuncia della corruzione dei tribunali fa riemergere una ratio che eccede la dimensione bestiale, come lascia intendere il sorridente ossimoro dell’asino che fa filosofia. Riabilitato all’uso della ragione, Lucio-Asino prova ripugnanza per le nozze circensi con l’avvelenatrice e decide di fuggire, compiendo così una scelta – non meno divertente e divertita – che finisce per riconciliarlo con la sfera dell’etica (Met. , , : meis cogitationibus liberum tribuebatur arbitrium) e mette in moto l’ultimo passo lungo la via del ritorno all’umanità. La meta è ormai vicina: sulla spiaggia di Corinto si consuma l’atto finale della bestialità del protagonista, ormai incapace di sopportare ulteriormente la dimensione alienata a cui l’hanno condannato gli amori con Fotide e la mal riposta curiositas verso il mondo della magia. Pronto a pregare e a morire, se è impossibile vivere da uomo, il Lucio presente sotto la pelle d’asino riceve in sogno la visita di Iside, dea ex machina onirica che promette salvezza immediata (Met. , -). Il giorno successivo, consacrato alla festa del Navigium Isidis, vale a dire al ritorno della navigazione dopo il periodo invernale, sfila sulla spiaggia di Corinto una grande processione aperta da anteludia mascherati in forma mimetica (dal gladiatore al magistrato, dal soldato al cacciatore e al pescatore, dalla donna al filosofo da strada) e costituita dalla schiera degli iniziati ai culti egizi, a conferma che nel quadro unificatore dell’isismo, sotto il patrocinio di una divinità dai molti nomi e dai multiformi aspetti, possano trovare ospitalità tipi umani e diverse categorie sociali d’ogni genere (Met. , -). Ecco: nella cornice della processione isiaca, davanti al pubblico di una grande festa popolare, il protagonista ritrova la propria umanità e ascolta il discorso rivelatore del sacerdote, cui spetta il compito di spiegare la vicenda di Lucio come recupero provvidenziale di libertà perdute e come conquista di sicura comprensione del mondo, resa ancora più salda dall’iniziazione ai culti di Iside e Osiride. A dire il vero, . Spunti teatrali nella narrativa latina [. . . ]  l’epilogo parla di iniziazione ripetuta per ben tre volte, forse in ragione dell’avidità dei sacerdoti egizi nei confronti dei beni degli iniziandi, come talora ha sospettato qualche commentatore malizioso, oppure a causa delle maggiori difficoltà inerenti ai processi di perfezionamento per chi è partito da condizioni così lontane dal divino. In conclusione, anche un asino, speciale fin che si vuole, può compiere tale itinerario, può passare dalle peripezie giocose del viaggio in Tessaglia e dalla dimensione carnevalesca della festa del dio Riso al gaudium della festa di Iside e al successivo viaggio a Roma, per trovare nella capitale dell’impero – Olimpo terreno – duplice successo sociale, come avvocato di grido e come pastoforo di Osiride (Met. , -). ‘Commedia biologica’ , dunque, o mimo della vita a grande dimensione (quasi alla pari col mimus vitae evocato dall’Augusto di Svetonio), o ancora recita sulla scena del mondo di una pièce platonica che l’autore sa presentare a misura della cultura medio-bassa del suo tempo, catturando l’interesse di un pubblico di non specialisti mediante spunti e concessioni di spettacolare efficacia. Nota bibliografica Teatro e forme spettacolari H. Reich, Der Mimus. Ein litterar-entwickelungsgeschichtlicher Versuch, Berlin  (rist. Hildesheim ). E. 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E’ noto che Alessandro Magno ne conosceva interi episodi a memoria ; altrettanto noto è che i tragediografi romani hanno riscritto con buona lena il mito della bella principessa salvata dall’eroe sterminatore di mostri ; La prima redazione è comparsa in M. Guglielmo, E. Bona (a c. di), Forme di comunicazione nel mondo antico e metamorfosi del mito: dal teatro al romanzo, Alessandria , -. . Si veda T. B. L. Webster, The Tragedies of Euripides, London , -. I frammenti sono oggetto di recenti edizioni: F. Bubel, Euripides. Andromeda, Stuttgart ; R. Klimek-Winter, Andromedatragödien. Sophokles, Euripides, Livius Andronikos, Ennius, Accius, Stuttgart  (nell’introd. si passano in rassegna i precedenti); F. Jouan, H. Van Looy, Euripide. Fragments, I, Paris , -; R. Kannicht (ed.), Tragicorum Graecorum Fragmenta. V. Euripides. I-II, Göttingen ; V. Pagano, Euripide. Andromeda, Alessandria . . Schol. ad Aristoph. Ran. . Cfr. R. Moorton, Euripides’ Andromeda in Aristophanes’ Frogs, «American Journal of Philology» , , -. . Athen. ,  D. . R. Klimek-Winter, op. cit., -. Come si è osservato, il racconto appartiene – meglio, sembra fungere da archetipo, in compagnia con il mito di Esione, la figlia di Laomedonte salvata da Eracle (Ps. Apollod. bibl. ,  e , ; Hyg. fab. ) – a una tipologia ben presente nella narrativa popolare: “Dragon-Slayer; Rescue of a Princess” (n.  di A. Aarne-S. Thompson, The Types of Folktales, Helsinki , -): cfr. per es. K. M. Philips, Perseus and Andromeda, «American Journal of ∗   Rileggendo Petronio e Apuleio sappiamo che morbose infatuazioni collettive per le monodie dell’eroina e le tirate di Perseo hanno messo a dura prova lo stato di salute di intere città, di Abdera ai tempi di Lisimaco e di una imprecisata località semibarbarica ai tempi di Nerone . Non mancano, inoltre, redazioni in chiave evemeristica del mito né sopravvivenze di esemplari della tradizione iconografica riservata ai due protagonisti , così come non mancano, nella tradizione storico-geografica, localizzazioni piuttosto precise della scena cruciale del mito e, nella tradizione letteraria, descrizioni insistite di opere pittoriche o immagini statuarie che hanno fissato i momenti salienti della vicenda . A proposito di quest’ultimo aspetto, siccome troppo misere sono le nostre conoscenze della versione sofoclea , è da dire che a Euripide spetta il merito di aver tradotto in forma scenica spunti deriArcheology» , , -; R. Aélion, Quelques grands mythes héroïques dans l’oeuvre d’Euripide, Paris , -; V. Cristóbal López, Perseo y Andrómeda: versiones antigua y modernas, «Cuadernos de Filología Clásica» , , -. . Lucian. hist. conscr. , ; Eunap. fr.  Dindorf ( Blockley). . Si tratta della XL dieg. di Conone, conservata in Phot. cod. : si veda E. Mignogna in A. Stramaglia (a c. di), Eros. Antiche trame greche d’amore, Bari , -. . Dati e materiali sono raccolti da K. Schauenburg in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, I. , Zürich-München , -; I. , -. Su apporti e integrazioni di cui la pittura vascolare può essere generosa nei confronti delle tragedie non conservate, già attirava l’attenzione L. Séchan, Études sur la tragédie grecque dans ses rapports avec la céramiques, Paris  (in part. - per l’Andromeda); vd. anche K.M. Phillips, Perseus and Andromeda, cit. in n. . . Di solito l’esposizione della fanciulla è dislocata sulla scogliera di Ioppe (Giaffa): Strab. , , ; Plin. ,  e , ; Ioseph. bell. Iud. , ; Paus. , , . Secondo Conone (dieg. XL cit. = FGrHist  F ) il regno di Cefeo sarebbe da collocare in Fenicia (in realtà nell’attuale Palestina), «che allora aveva nome Ioppa dalla città costiera di Ioppe»: vd. M. Stern, Greek and Latin Authors on Jews and Judaism, I, Jerusalem  , -. . Lucian. dom. ; Philostr. imag. , . Cfr. anche Achill. Tat. , ,  - , , ; Heliod. , , -. . Quel poco che resta dell’Andromeda di Sofocle è raccolto e commentato da R. Klimek-Winter, op. cit., -; in merito si veda G. M. Rispoli, Per l’Andromeda di Sofocle, «Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli» , , -. Non si può escludere che la mal certa allusione a immagine di pietra contenuta in P.Oxy.  non si riferisca alla tragedia sofoclea. . Andromeda e Psiche [. . . ]  vanti dall’iconografia vascolare e di aver preparato, a sua volta, la ‘riduzione’ a statua di Andromeda esposta sulle rupe, grazie a riuso accorto della tradizione tragica che discende dalla Niobe di Eschilo e – si potrebbe aggiungere, in ottica interna al mito – grazie alla recente esperienza fatta dal vincitore di Medusa in tema di figure umane pietrificate . Infatti, allo sguardo dall’alto di Perseo, che giunge a volo sorretto dalla macchina teatrale , l’immagine della fanciulla sulla roccia appare come agalma scolpito dalla mano sapiente della natura (Eur. fr.  N = Andromed. fr.  Jouan - Van Looy, da Aristoph. Thesm.  e schol. ad loc.). Di più: la figura femminile legata alla rupe si presta a ulteriori confronti, con la bellezza delle dee e con una nave all’ormeggio, se si ammette che derivi da prelievo euripideo anche il verso successivo del passaggio di Aristofane da cui si ricava l’incipit del frammento: Θεαῖς ὁμοίαν, ναῦν ὅπως ὡρισμένην (Aristoph. Thesm. ) . Secondo Cicerone traduttore, alle spalle del paragone con la nave starebbe l’autorità visionaria di Eschilo, che nel perduto Prometeo liberato avrebbe messo in bocca al protagonista, poenas pendens adfixus ad Caucasum, la seguente apostrofe rivolta ai Titani del coro: aspicite religatum asperis / vinctumque saxis, navem ut horrisono freto / noctem paventes timidi adnectunt navitae (Cic. Tusc. ,  = TrGF , , -) . Si tratta di paragone a cui Euripide . Sul personaggio femminile pietrificato vd. per es. A. Garzya, Eschilo e il tragico: il caso della Niobe, in S. Ferraro (a c. di), Cultura è libertà, Napoli , -. . Dossier sul mito della più nota tra le figlie di Forco in S.R. Wilk, Medusa. Solving the Mystery of the Gorgon, Oxford ; si aggiunga M. Hirschberger, Das Bild des Gorgo Medusa in der griechischen Literatur und Ikonographie, «Lexis» , , -. . Si tenga conto di Aristoph. Thesm.  sgg., alla luce delle osservazioni di M. Di Marco, La tragedia greca. Forma, gioco scenico, tecniche drammatiche, Roma , . . Il verso è considerato come continuazione del fr. precedente in due delle tre edizioni recenti: cfr. fr. ,  Bubel; fr.  a Klimek-Winter (che accoglie numerazione e soluzione adottate nel II vol. di Tragicorum Graecorum Fragmenta , TrGF, curato da R. Kannicht e B. Snell, Göttingen ). . TrGF  = Aeschylus, a cura di St. Radt, Göttingen . Mette conto ricordare che Andromeda e Prometeo fanno coppia nel quadro attribuito al pittore Evante e descritto da Achille Tazio: «il quadro rappresentava Andromeda e Prometeo,  Rileggendo Petronio e Apuleio ha già fatto ricorso nell’Eracle (v.  sgg.: τί δεσμοῖς ναῦς ὅπως ὡρισμένος . . . ἦμαι); ciò che importa qui osservare è la congerie di immagini che si accumulano su Andromeda e che conferiscono particolare rilievo appunto al paragone con la statua, dal poeta sperimentato in forma stringata altra volta, nella rhesis di Taltibio sulla bellezza statuaria di Polissena di fronte alla morte (Hec. -: μαστοὺς τ΄ ἔδειξε στέρνα θ΄ ὡς ἀγάλματος κάλλιστα). Insomma, pur se ci si trova in presenza di un numero purtroppo limitato di schegge superstiti, è possibile osservare come la messa in scena della vicenda della figlia di Cassiopea permetta a Euripide di misurarsi, tra giochi ben calibrati di riprese e innovazioni, con un vero e proprio repertorio di situazioni canoniche riservate alle eroine tragiche: ineluttabilità del sacrificio a seguito di sconsiderate gare di bellezza nei confronti di troppo suscettibili divinità ; lamento doloroso cui fa da controcanto la voce senza corpo di Eco (fr.  Jouan - Van Looy) ; entrambi legati: per questo, credo, il pittore li aveva rappresentati insieme; ma c’erano anche altri particolari che collegavano tra loro le due immagini. Entrambi avevano rocce come prigione e bestie come aguzzini, provenienti per l’uno dal cielo, per l’altra dal mare. Loro salvatori erano due Argivi dello stesso sangue, Eracle per l’uno, Perseo per l’altra; il primo lanciava un dardo contro l’uccello di Zeus, il secondo lottava contro il mostro marino di Posidone. Ma Eracle vibrava la freccia da terra, mentre Perseo stava sospeso nell’aria grazie ai sandali alati» (Achill. Tat. , , -; traduzione di F. Ciccolella, Achille Tazio. Leucippe e Clitofonte, Alessandria , ). . Ps. Apollod. bibl. , - informa sull’antefatto: vanto di Cassiopea a discapito delle Nereidi, ira delle divinità marine e sciagure pubbliche, oracolo di Ammone ed espiazione della colpa di Cassiopea mediante esposizione al mostro di Andromeda. È assai probabile che tali eventi costituissero l’argomento del prologo, recitato dalla principessa e aperto dalla famosa epiclesi ῀΄Ω νὺξ ἱεπά (fr.  Jouan - Van Looy). Secondo Hyg. fab.  Cassiopea non avrebbe menato vanto della propria bellezza, ma di quella della figlia: «filiae suae Andromedae formam Nereidibus anteposuit». A salvataggio avvenuto e a lieto fine assicurato, il dialogo lucianeo tra Tritone e due Nereidi, nel ripercorrere ancora una volta i tratti principali della vicenda, mette in scena divinità marine non più risentite e in grado di rallegrarsi per il fatto che Andromeda, invece che morte, abbia ottenuto un ottimo matrimonio (Lucian. dial. mar. ). . Cfr. P. Mureddu, Un caso singolare di teatro nel teatro. La scena di Eco nelle Tesmoforiazuse, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia di Cagliari» , , -; . Andromeda e Psiche [. . . ]  corto-circuito rituale tra matrimonio e funerale ( γαμελίωι μέν οὐ ξύν / παιῶνι, δεσμίωι δέ / γοᾶσθέ με: fr.  Jouan - Van Looy), secondo una prospettiva tematica che è stata messa alla prova nel caso di Polissena e che troverà ampio sviluppo nell’Ifigenia in Aulide ; arrivo insperato del salvatore (fr.  e sgg. Jouan - Van Looy) e trionfo di Eros, signore che esercita il proprio potere tirannico su uomini e dèi ( σὺ δ΄ ὦ τύραννε θεῶν τε κἀνθρώπων: fr.  Jouan - Van Looy) ; disputa nuziale nell’agon logon e lieto fine, con banchetto matrimoniale e probabile eliminazione del fratello di Cefeo, vale a dire Fineo, opaco pretendente di Andromeda . Il finale positivo sulla terra (o sulla scena) è preludio di futuro destino astrale, perché a tutti i protagonisti della vicenda è riservato catasterismo sulla volta celeste. Se vogliamo limitare la nostra attenzione alla sorte della principessa e lasciare la parola a un testo specificatamente consacrato a storie di metamorfosi in stelle, possiamo prendere atto di quanto si legge in Ps. Eratosth. cataster. , : «Andromeda: si trova tra gli astri per volere di Atena, in ricordo delle imprese A. Bonadeo, Il pianto di Eco. Riflessioni sulla presenza dell’eco in alcune trasposizioni letterarie del planctus, «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» n.s. , , -; T. Phillips, Echo in Euripides’ Andromeda, «Greek and Roman Musical Studies» , , -. . Si tratta del tema studiato da R. Rhem, Marriage to Death: the Conflation of Wedding and Funeral Ritual in Greek Tragedy, Princeton ; utile per raccolta di materiali è altresì T. Szepessy, The Story of the Girl who Died on the Day of her Wedding, «Acta Antiqua Academ. Sc. Hung.» , , -. La tragedia euripidea si può leggere sotto la guida di F. Turato, Euripide. Ifigenia in Aulide, Venezia ; per la fortuna si rinvia a J.-M. Gliksohn, Iphigénie: de la Grèce antique à l’Europe des Lumières, Paris ; S. Aretz, Die Opferung der Iphigeneia in Aulis. Die Rezeption des Mythos in antiken und modernen Dramen, Stuttgart-Leipzig . . L’ossessione di questo verso è uno dei sintomi che, secondo Lucian. hist. conscr. , , dimostra la profonda alterazione mentale degli Abderiti. Sul terreno dei confronti poetici mette conto rinviare al celebre elogio corale di Eros presente nell’Antigone di Sofocle (v.  sgg.: ῎Ερως ἀνίκατε μάχαν κτλ.), nonché al primo e al quarto stasimo dell’Ippolito euripideo (vv. - e -), dedicati entrambi al potere inesorabile di Afrodite e di Eros. Dal verso dell’Andromeda sembra derivare il titolo G. Sissa, Eros tiranno. Sessualità e sensualità nel mondo antico, Roma-Bari . . Per questa parte della trama cfr. R. Falcetto, L’Andromeda di Euripide: proposta di ricostruzione, «Quaderni del Dip. di Filologia, Linguistica e Tradizione Classica A. Rostagni», Univ. di Torino, , - (in part.  sgg.).  Rileggendo Petronio e Apuleio di Perseo, a braccia tese in fuori, così come venne esposta al mostro marino. Salvata dal pericolo per mano di Perseo, scelse di non continuare a vivere col padre e la madre, ma seppe prendere nobili decisioni e di propria iniziativa partì in compagnia del salvatore alla volta di Argo. Ne parla in maniera esplicita e chiara anche Euripide nel dramma che il poeta ha scritto su di lei» . .. Ovidio e Manilio: figure immobili e moti stellari Così, in sintesi, il mito di Andromeda nella versione euripidea. Purtroppo, su altre stesure teatrali non possiamo far conto, in quanto i frammenti di Livio Andronico, di Ennio e di Accio sono talmente scarni da non consentire di valutare eventuali varianti proposte dalle riprese sceniche romane. Possiamo tuttavia osservare agevolmente come Perseo e Andromeda siano ben presenti nel patrimonio poetico della prima età imperiale, segnatamente nei poemi di Ovidio e di Manilio. Vediamo insieme il primo esempio. Se si scorrono i versi del IV e del V libro delle Metamorfosi ovidiane, non riesce difficile constatare come la narrazione delle imprese di Perseo proponga, in rapida successione, l’incontro con Atlante, il gigantesco e inospite signore delle terre estreme dell’Africa trasformato in altissimo monte (met. , -), la liberazione di Andromeda e il racconto retrospettivo dell’uccisione di Medusa (met. , -), infine il banchetto nuziale e la disastrosa disfatta di Fineo e del suo seguito (met. , -). Come mostrano i commenti moderni, le derivazioni euripidee – dirette o mediate, poco importa – . Le fonti antiche che parlano della trasformazione stellare dei personaggi di questo mito sono raccolte in R. Klimek-Winter, op. cit., - (a proposito di Sofocle) e - (a proposito di Euripide); ancora utili sono A. Rhem, Monographische Untersuchungen über griechische Sternsagen, München ; W. Windish, De Perseo eiusque familia inter astra collocatis, Diss. Leipzig . . Andromeda e Psiche [. . . ]  sono più d’una , ma il motivo che sembra aver maggiormente colpito il poeta augusteo è lo straordinario gioco sostitutivo tra figura umana e immagine lapidea. Tale motivo è di fatto già introdotto nella scena della pietrificazione di Atlante, che assume aspetto finale in ragione delle abnormi sue dimensioni (met. , : quantus erat, mons factus Atlas); nel caso della principessa etiope, esso combina sulla filigrana del modello euripideo dettagli ovidiani a guisa di intenzionali sigilli personali (brezza leggera tra i capelli, tiepida rugiada di lagrime), là dove si dice del primo apparire di Andromeda agli sguardi aerei di Perseo e il subito innamoramento dell’eroe, che corre a sua volta il rischio di qualche stuporoso, e pericoloso per chi si muove a volo, blocco dell’attività motoria: Quam simul ad duras religatam bracchia cautes / vidit Abantiades (nisi quod levis aurea capillos / moverat et tepido manabant lumina fletu,/ marmoreum ratus esset opus), trahit inscius ignes / et stupet; eximiae correptus imagine formae / paene suas quatere est oblitus in aere pennas (met. , -). Alla metamorfosi apparente in statua della figura femminile immobile sulla rupe in attesa della morte corrisponde, in rapporto speculare e al culmine di una ossessiva sequenza scandita dal mostruoso potere della testa mozza di Medusa , la morte di pietra che immobilizza lo sfortunato Fineo, simulacro lapideo del terrore e dell’inutilità delle suppliche: Dixit et in partem Phorcynida transtulit illam / ad quam se trepido Phineus obverterat ore. / Tum quoque conanti sua vertere lumina cervix / deriguit sa. Si veda per tutti F. Bömer, P. Ovidius Naso. Metamorphosen IV-VI, Heidelberg , -. . La successione delle vittime della Gorgone è davvero impressionante: nell’atto di scagliare un giavellotto Thescelus in hoc haesit signum de marmore gestu (met. , ); mentre Ampyx mena un fendente, dextera deriguit nec citra mota nec ultra est (met. , ); a Nileus che proferisce minacce pars ultima vocis / in medio suppressa sono est adapertaque velle / ora loqui credas, nec sunt ea pervia verbis (met. , -); di Eryx che avanza di slancio tenuit vestigia tellus / immotusque silex armataque mansit imago (met. , -); anche un amico di Perseo guarda il volto di Medusa, saxo concrevit oborto (met. , ) e provoca di riflesso la morte di Astiage, che lo colpisce marmoreoque manet vultus mirantis in ore (met. , ); di anonimi assalitori Gorgone bis centum riguerunt corpora visa (met. , ).  Rileggendo Petronio e Apuleio xoque oculorum induruit umor;/ sed tamen os timidum vultusque in marmore supplex / summissaeque manus faciesque obnoxia mansit (met. , -). La concorrenza tra figure in movimento e immagini bloccate in posa icastica costituisce, senza ombra di dubbio, il programma poetico su cui Ovidio sperimenta la caratura dei propri procedimenti metamorfici. Di altra concorrenza, di vera e propria aemulatio nei confronti di Ovidio, non può fare a meno di parlare chi apra il testo di Manilio per osservare come l’ultimo dei poeti augustei ridía vita, quasi al termine di quanto resta del suo poema, alla fabula di Andromeda. Negli Astronomica, come è noto, ci si muove lungo le strade della volta celeste: si guardano dunque dall’alto le vicende del mondo umano, le attività e i caratteri degli individui, le tradizioni e i miti che danno origine e nome alle terre, alle acque e alle stelle. A processi metamorfici ormai definiti, vale a dire quando ha ormai avuto termine la grande stagione dei catasterismi , il cielo di Manilio appare tutt’altro che immobile e lontano, coinvolto com’è in una catena di rapporti necessitanti che tengono insieme il cosmo, dall’alto verso il basso mediante causalità ascritta a influenze astrali, dal basso verso l’alto mediante faticose e al tempo stesso esaltanti eziologie delle realtà celesti. Ora, in astr. , -, dopo che si è transitati attraverso i segni stellari di Cefeo e di Cassiopea, è appunto l’Andromedae sidus a consentire la digressione consacrata alla salvezza della principessa etiope per mano di Perseo. L’intero racconto procede dunque secondo una prospettiva a ritroso e sembra generalizzare la tecnica narrativa già messa in campo da Ovidio, ma allora utilizzata solo per quanto riguarda l’uccisione di Medusa. . Per la situazione letteraria si rinvia a E. Flores, Il poeta Manilio, ultimo degli augustei, e Ovidio, in I. Gallo, L. Nicastri (a c. di), Aetates Ovidianae. Lettori di Ovidio dall’Antichità al Rinascimento, Napoli , -. . I quattro protagonisti del racconto mitico si trovano sistemati sulla volta celeste, l’uno vicino all’altro, tra la costellazione del Cavallo e quella del Toro: Man. , -. . Andromeda e Psiche [. . . ]  Appunto Ovidio è ben presente al poeta degli astri , ma non mancano altre auctoritates letterarie a impreziosire l’excursus e a suggerire clausole, cadenze narrative, ammiccanti riprese e divertite inversioni speculari . Intanto, che il soggetto sia di natura tragica Manilio si preoccupa di dire per tempo, là dove presenta i caratteri umani posti sotto la costellazione di Cefeo: tra questi vanno annoverati tutti coloro che tragico praestabunt verba coturno (astr. , ) e da cui è lecito, sì, attendere la trattazione dei miti di Tieste, di Edipo e di Medea, ma non solo, perché mille alias rerum species in carmina ducent; / forsitan ipse etiam Cepheus referetur in actus (astr. , -). Così, sotto forma di possibilità astrologica, si allude a un programma teatrale che in realtà ha già conosciuto concreta stesura nell’ambito della produzione euripidea e che sembra adesso evocato al fine di guidare le linee generali della riscrittura maniliana. Entro tali linee, tuttavia, irrompono dettagli di provenienza diversa che si compongono in nuova e articolata unità. Primo fra tutti è il motivo del matrimonio-funerale di Andromeda in cui si avvertono debiti contratti con il lessico virgiliano e, soprattutto, con la scena del sacrificio di Ifigenia in Aulide, pur sempre euripidea nella sostanza ma riproposta attraverso cadenze lucreziane e ovidiane : Hic hymenaeus erat, solataque publica damna / privatis, . Sui modelli, ovidiani e non, dell’episodio i dati essenziali sono indicati da E. Flores, Contributi di filologia maniliana, Napoli , -, e commentati da R. Scarcia, Manilio. Il poema degli astri (Astronomica), a cura di S. Feraboli, E. Flores e R. S., II, Milano , -. . Oltre che a F. Paschoud, Deux études sur Manilius, in G. Wirth (a c. di), Romanitas, Christianitas. Untersuchungen zur Geschichte und Literatur der römischen Kaiserzeit, J. Straub zum . Geburstag gewidmet, Berlin-New York , -, si rinvia a due contributi di L. Landolfi: Andromeda: intreccio di modelli e punti di vista narrativi in Manilio, «Giornale Italiano di Filologia» n.s. , , -; Concitat aerios cursus (Man. Astr. , ), «Rivista di Cultura Classica e Medioevale» , , -. . Cfr. Verg. Aen. ,  (hic hymenaeus erit). . Cfr. Eur. Iph. Aul. -, - e Iph. Taur. -; Lucr. , -; Ov. met. , - e , -. In merito si vedano J.-M. Croisille, Le sacrifice d’Iphigenie dans l’art romain et la littérature latine, «Latomus» , , -; A. Perutelli, Ifigenia in Lucrezio, «Studi Classici e Orientali» , , -; L. Landolfi, Il nefas mancato e i  Rileggendo Petronio e Apuleio lacrimans ornatur victima poenae / induiturque sinus non haec ad vota paratos, / virginis et vivae rapitur sine funere funus (astr. , -). Segue l’immancabile presentazione della fanciulla legata alla scogliera, vale a dire il quadro fondamentale del mito che costituisce banco di prova obbligato per chi voglia ridire il già detto senza incorrere nella trappola di ripetizioni sesquipedali . Naturalmente, si chiede ancora soccorso a Ovidio, ma in questo caso l’imperativo della variatio fa sì che con quella di Andromeda si combini la figura di Polissena: At, simul infesti ventum est ad litora ponti, / mollia per duras panduntur brachia cautes; / astrinxere pedes scopulis, iniectaque vincla, / et cruce virginea moritura puella pependit. / Servatur tamen in poena vultusque pudorque; / supplicia ipsa decent; nivea cervice reclinis / molliter ipsa suae custos est fidae figurae (astr. , -). Come mostra, a tacer d’altro, la clausola brachia cautes di astr. ,  (= Ov. met. , ), la prima parte della scena – incatenamento alla rupe – è tributaria del luogo ovidiano su cui si è attirata l’attenzione in precedenza. Ma la nota successiva, dedicata all’atteggiamento di pudore conservato dalla fanciulla sino all’ultimo, chiama in causa la Polissena morente dello stesso Ovidio (met. , -: tunc quoque cura fuit partes velare tegendas, / cum caderet, castique decus servare pudoris), parente stretta della Lucrezia dei Fasti (, -: tunc quoque iam moriens, ne non procumbat honeste, / respicit: haec etiam cura cadentis erat): alle spalle dell’una e dell’altra sta la Polissena euripidea che «anche in punto di morte ebbe gran cura di cadere con composto decoro, velando quanto si conviene celare a occhi maschili» . suoi retroscena. Dal sacrificio di Ifigenia alla facondia di Ulisse (Ov. met. XII -; XIII -), «Vichiana» ª s., , , -. . Che la scena fondamentale del mito sia quella della giovane esposta al mostro marino è fuori discussione, come mostra una tradizione letteraria e teatrale che sopravvive fino all’età moderna: vd. B. Bolduc, Andromède au rocher. Fortune théâtrale d’une image en France et en Italie, Firenze . . Eur. Hec. -. Si vedano in proposito P. Venini, L’Ecuba di Euripide e Ovidio, «Rendiconti dell’Ist. Lombardo» , ,  sgg.; M. Dippel, Die Darstellung des trojanischen Krieges in Ovids ‘Metamorphosen’ (XII  - XIII ), Frankfurt a. M. ; . Andromeda e Psiche [. . . ]  Come si vede, forte di sussidi ovidiani, anche Manilio sa offrire un saggio di ars combinandi che fa convergere in un’unica figura femminile atteggiamenti e tratti comuni a Polissena, Ifigenia e Andromeda, in questo facendo propria una lezione compositiva già inaugurata da Euripide nel dare vita alla sua galleria di eroine femminili a rischio di sacrificio. Di passaggio, sempre in merito ai supporti mediati dal poeta di Sulmona, si può osservare come nivea cervice reclinis di astr. ,  nasca da intenzionale combinazione di due prelievi ovidiani, secondo la tecnica centonaria che prevede la connessione di emistichi sotto la guida di voces communes (in questo caso cervice) : met. ,  (conciderant ictae nivea cervice iuvencae) e met. ,  (Venere, stesa accanto ad Adone inque sinu iuvenis posita cervice reclinis, prende a narrare il mito di Atalanta). Combinazione arguta, è il caso di ammettere, per duplice motivo: la clausola dice che Andromeda, anche se incatenata, può assumere languide pose ‘erotiche’ che risalgono addirittura a Venere (nessuna meraviglia, dunque, se Perseo se ne innamori a prima vista!); “il niveo collo”, sottratto a povere giovenche sacrificali per essere assegnato ad Andromeda pronta al supplizio, non solo mette a tacere ogni illazione sul candido incarnato dell’eroina , ma deR. Raffaelli, L’estremo pudore, in Id. (a c. di), Vicende e figure femminili in Grecia e a Roma, Ancona , -; J. Mossman, Wild Justice. A Study of Euripides’ Hecuba, Oxford , - (Appendix B, sulla fortuna di Polissena nella letteratura latina); L. Landolfi, Lucrezia, animi matrona virilis. Trasmutazioni di un paradigma elegiaco, in Id. (a c. di), Nunc teritur nostris area maior equis. Riflessioni sull’intertestualità ovidiana. I Fasti, Palermo , -. . Anche in Lycophr. Alex. - e - non mancano tratti che apparentano le funeste vicende nuziali di Polissena e Ifigenia: vd. S. Chiampa, Le ’nozze crudeli’ di Polissena in Licofrone, «Aevum Antiquum» n.s. , , -. . Su tale tecnica si veda almeno R. Lamacchia, Dall’arte allusiva al centone, «Atene e Roma» n.s. , , ; in generale si rinvia a G. Polara, I centoni, in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (a c. di), Lo spazio letterario di Roma antica, III, Roma , -. . Sull’aspetto cromatico dell’eroina, come è noto, esiste un costante gioco di rimando tra tradizione pittorica e tradizione letteraria, ben sedimentato – ovviamente – tra le pieghe della prassi ecfrastica: come esempio si può ricordare il già citato Heliod. , , -, dove è sufficiente la presenza di un quadro di Andromeda  Rileggendo Petronio e Apuleio nuncia la propria derivazione da un episodio famoso, quello di Pigmalione, che si configura come vero e proprio locus classicus in tema di sostituzioni tra figure viventi e immagini scultoree che paiono vive . Ecco: l’evocazione della strana coppia formata da Pigmalione e dalla eburnea donna-simulacro consente di osservare come l’Andromeda di Manilio sia priva di un tratto che pareva connaturato con la situazione dell’eroina esposta al mostro, vale a dire il paragone con una statua che da Euripide abbiamo visto passare giù giù sino a Ovidio. A scanso di equivoci, va subito precisato che non ci si trova di fronte a banale dimenticanza o a deroga dai modelli dettata da aporie professionali; in realtà Manilio sfrutta una suggestione presente in Ovidio (l’eroe trahit inscius ignes / et stupet, quasi dimentico del volo) e capovolge la situazione dei protagonisti, perché questa volta tocca a Perseo restar di sasso alla vista della bella in catene: Isque, ubi pendetem vidit de rupe puellam, / deriguit, face quem non stupefecerat hostis, / vixque manu spolium tenuit, victorque Medusae / victus in Andromeda est (astr. , -). Si osservi infatti come deriguit, che per due volte in Ovidio dice l’effetto mortale dello sguardo della Gorgone (in met. ,  l’irrigidimento della mano di uno sconsiderato assalitore di Perseo; in met. , , in identica posizione metrica, la fissità del capo di Fineo che si trasforma in nella camera dei genitori dell’etiope Cariclea per assicurare alla fanciulla candida carnagione: vd. A. Billault, Le mythe de Persée et les “Éthiopiques” d’Héliodore. Légendes, représentations et fiction littéraire, «Revue des Études Grecques» , , -; M.D. Reeve, Conceptions, «Papers of Class. Philol. Society» n.s. , , -; F. Letoublon, À propos de Chariclée et de l’‘effet Andromeda’, «Revue des Études Grecques» , , -. . Cfr. Ov. met. , - (in part. -: Interea niveum mira feliciter arte / sculpsit ebur formamque dedit, qua femina nasci / nulla potest; operisque sui concepit amorem. / Virginis est verae facies, quam vivere credas, / et, si non obstet reverentia, velle moveri; / ars adeo latet arte sua. Miratur et haurit / pectore Pygmalion simulati corporis igne); in merito si rinvia a G. Rosati, Narciso e Pigmalione. Illusione e spettacolo nelle ‘Metamorfosi’ di Ovidio, Firenze , e a J. Elsner, A. Sharrock, Re-viewing Pygmalion, «Ramus» , , -. In generale si rinvia a D. Tarn Steiner, Images in Mind: Statues in Archaic and Classical Greek Literature and Thought, Princeton, Princeton Univ. Press, . . Andromeda e Psiche [. . . ]  statua di pietra), si adatti qui al figlio di Danae e dica l’effetto paralizzante di ben altra vista, di un’amorosa visione foriera della soluzione nuziale verso cui muove l’intera vicenda. Dunque, quello che pareva un tratto mancante viene recuperato per altra via: nello scambio di stupefatte immobilità tra l’eroe e la principessa si vede all’opera una singolare forma di fedeltà non inerte nei confronti del patrimonio culturale del passato. Si sarebbe allora tentati di dire che anche a Manilio, come del resto e in misura maggiore a Ovidio, non facciano difetto la capacità e il gusto di innovare nel rispetto dei dati tradizionali, non facciano cioè difetto quella doti di cui appunto Euripide è, per riconoscimento unanime, esponente primario. Sempre da Euripide, infine, sembra derivare un ulteriore particolare, l’allusione a Eco che è possibile cogliere in astr. , -: Ipsa levi flatu refovens pendentia membra / aura per extremas resonavit flebile rupes. Non è infatti illegittimo, come per tempo è stato suggerito , scorgere qui un richiamo a Eur. fr.  Nauck (= Klimek-Winter;  Jouan - Van Looy): Andromeda si rivolge a Eco «che risuona negli antri» e le chiede di tacere, al fine di poter dare libero sfogo al proprio dolore insieme alle fanciulle del coro, senza che l’invisibile ninfa alterni la sua voce ai lamenti dell’ancora per poco infelice protagonista . .. Psiche, dalla rupe all’Olimpo Bene: archiviato quest’ultimo dettaglio, possiamo chiudere il dossier che riguarda le operazioni compiute sul canovaccio della vicenda da Manilio: il poeta degli astri narra ancora una volta il mito tragico, ma lo depura da punte eccessive di pathos perché il racconto in forma retrospettiva presuppone l’happy-end . Cfr. E. Flores, Contributi cit., . . Sui problemi testuali del fr. si rinvia ad A. Tessier, Euripide, Andromeda, Fr.  N  , «Bollettino dell’Ist. di Filologia Greca - Univ. di Padova» , , -, e a R. Falcetto, Euripide, Andromeda, Fr.  Klimek-Winter, «Lexis» , , - (che seguo nelle proposte di restituzione).  Rileggendo Petronio e Apuleio nuziale e la definitiva assunzione in cielo, là dove spetta alle costellazioni, in concorrenza con gli esametri del poema, il compito di conservare la memoria di fatti mirabolanti e prodigiosi. Ma sono proprio i versi maniliani su Andromeda a costituire un piccolo repertorio di espressioni e immagini che passa al servizio di un altro personaggio letterario, l’apuleiana Psiche, coinvolta in una vicenda in cui si combinano bellezza umana e suscettibilità divina, esposizione ad ambigue figure mostruose e primo salvataggio, felicità perduta e nuove peripezie fino a un nuovo salvataggio e alla definitiva soluzione nel grande teatro celeste dell’Olimpo. Non manca, va da sé, la pressione delle storie ovidiane d’amore ; tuttavia, come informa un buon commento inglese del primo Novecento , editori e interpreti del XIX secolo sono soliti citare i versi di Manilio (in part. astr. , -) a proposito del passo apuleiano in cui anche per Psiche si chiude il corto-circuito tra nozze e funerale (Apul. met. , , : Perfectis igitur feralis thalami cum summo maerore sollemnibus toto prosequente populo vivum producitur funus, et lacrimosa Psyche comitatur non nuptias sed exequias suas) . A ben vedere, i nessi tra la storia di Psiche e i casi di Andromeda sono stati segnalati da molto tempo, almeno da quando Johannes Pricaeus ( John Price, -), nelle note di commento alla sua edizione delle Metamorfosi , ha messo a confronto il secondo verso dell’oracolo di Apollo che impone il sacrificio della bellissima fanciulla (Apul. met. , , : ornatam mundo funerei . In generale si veda H. Müller, Liebesbeziehungen in Ovids Metamorphosen und ihr Einfluss auf den Roman des Apuleius, Göttingen-Branschweig . . L. C. Purser, The Story of Cupid and Psyche as Related by Apuleius, London  (ristampata New Rochelle, N.Y. ), . . La fabula di Psyche e Cupido si cita secondo l’ed. di D.S. Robertson, P. Vallette, Apulée. Les Métamorphoses, II, Paris , ora ristampato, con nuova introduzione, revisione di testo e traduzione, a cura di L. Callebat, Paris . . L. Apuleii Metamorphoseos libri XI, Paris , Goudae . Le note di Pricaeus sono raccolte, insieme a quelle di altri viri docti, da Franz Oudendorp (-) nel II vol. di Apuleii opera omnia, pubblicato postumo a cura di I. Bosscha, Lugduni Batavorum . Il richiamo ad Andromeda resta una costante nei commentatori: cfr. per es. C. Moreschini, Il mito di Amore e Psiche in Apuleio, Napoli ,  sg. . Andromeda e Psiche [. . . ]  thalami) con un particolare del quadro che ritrae Perseo e la principessa etiope descritto da Achille Tazio: «Così era legata, in attesa della morte; stava in piedi, in abito nuziale, adornata come una sposa per Ade» . L’attenzione della critica si concentra soprattutto su met. , -, vale a dire sulla sezione iniziale della bella fabella, in quanto il tracciato di questi primi capitoli si mostra chiaramente tributario di un modello ‘tragico’ che vede in rapida sequenza snodarsi motivi che ben conosciamo: pulchritudo eccezionale della protagonista , la collera di Venere e le mancate nozze della giovinetta troppo bella, l’oracolo di Apollo che predice unioni mostruose , l’esposizione sulla rupe come rito sacrificale e la salvezza che viene dall’aria, segnatamente da Zefiro , che trasporta la fanciulla nel palazzo incantato di Cupido. Se questi sono i motivi che si susseguono, non v’è dubbio che su questa prima parte, definita in maniera non impropria “tragedia” di Psiche , agisca il modello di Andromeda, dell’Andromeda eu. Achill. Tat. , ,  (traduzione di F. Ciccolella, Achille Tazio. Leucippe e Clitofonte cit, ). . Al vanto di Cassiopea si sostituisce l’eccesso di bellezza di Psiche, come se ci si orientasse secondo la variante presente in Hyg. fab.  (vd. n. ). . Apul. met. , , -: Montis in excelsi scopulo, rex, siste, puellam / ornatam mundo funerei thalami. / Nec speres generum mortali stirpe creatum, / sed saevum atque ferum vipereumque malum, / quod pinnis volitans super aethera cuncta fatigat / flammaque et ferro singula debilitat, / quod tremit ipse Iovis quo numina terrificantur, / fluminaque horrescunt et Stygiae tenebrae. . In generale si rinvia a T.D. McCreight, Sacrificial Ritual in Apuleius’ Metamorphoses, in Groningen Colloquia on the Novel, V, Groningen , -. . Il che permette di non dimenticare che anche «the rescuer of Andromeda was airborne»: così E. J. Kenney (ed.), Apuleius. Cupid & Psyche, Cambridge , . Per altre suggestioni vd. M. Bettini, Antropologia e cultura romana. Parentela, tempo, immagini dell’anima, Roma ,  sgg. (Psiche-anima-farfalla); L. Graverini, Sulle ali del vento: evoluzione di una immagine, tra Ovidio ed Apuleio, «Prometheus» , , -. . A. Schiesaro, La ’tragedia’ di Psiche: note ad Apuleio, Met. IV -, «Maia» , , -: sorprende un po’ che l’A., pur consapevole dell’importanza dei passi di Manilio e del caleidoscopio di figure femminili che di volta in volta si concentrano in Psiche (Didone e Medea, per esempio), propenda per assegnare il ruolo di archetipo letterario a un’altra eroina dalla duplice caratura, a Ifigenia nata all’ombra conserta  Rileggendo Petronio e Apuleio ripidea per quanto concerne il susseguirsi di ‘quadri scenici’, dell’Andromeda maniliana per quanto riguarda l’intonazione epico-lirica del racconto. Di colori maniliani si è parlato – di recente e di nuovo – a proposito di espressioni allitteranti e ossimoriche quali virgo vidua (Apul. met. , , ) e ovviamente vivum funus (met. , , ), nonché del passo in cui si insiste ancora una volta sul gioco implosivo e paradossale tra esequie e sponsali: Iam feralium nuptiarum miserrimae virgini choragium struitur, iam taedae lumen atrae fuligine marcescit, et sonus tibiae zygiae mutatur in querulum Ludii modum cantusque laetus hymenaei lugubri finitur ululatu et puella nuptura deterget lacrimas ipso suo flammeo (Apul. met. , , ) . Si potrebbe continuare e sfruttare in dettaglio quanto la critica ha talora suggerito in maniera generale o cursoria , perseverando nell’evocare situazioni ovidiane oppure risalendo, come al solito, a Euripide . Per esempio il particolare del paragone tra fanciulla e statua non è assente in Apuleio, ma compare dislocato rispetto alle sequenze tradizionali e con funzione diversa, in quanto non nasce da sguardi dall’alto di possibili salvatori non insensibili ad accensioni amorose, ma nasce da sguardi dal basso di ‘devoti’ troppo reverenti e refrattari alla vampa del desiderio: Mirantur divinam speciem, sed ut simulacrum fabre politum mirantur omnes di Euripide e Lucrezio. Si può aggiungere, per altro, che anche K. Dowden, Psyche on the Rock, «Latomus» , , -, ha taciuto su Andromeda come antecedente, salvo poi ricredersi in un successivo intervento (citato qui di seguito, in n. ). . R. Scarcia, Manilio cit.,  sg. . Spigolando tra la bibliografia sulla novella si ha la ventura di raccogliere i seguenti richiami al mito di Andromeda: R. Helm, Das Märchen von Amor und Psyche (), in G. Binder, R. Merkelbach (a cura di), Amor und Psyche, Darmstadt , ; R. Merkelbach, Roman und Mysterium in der Antike, München , ; F.E. Hoevels , Märchen und Magie in den Metamorphosen des Apuleius von Madaura, Amsterdam , ; K. Dowden, Cupid & Psyche. A Question of Vision of Apuleius, e S. Mattiacci, Neoteric and Elegiac Echoes in the Tale of Cupid and Psyche by Apuleius, entrambi raccolti in AA. VV., Aspects of Apuleius’ Golden Ass. II. Cupid and Psyche, a cura di M. Zimmerman et alii, Groningen , rispettivamente - e . . Menzione a parte merita il tentativo di stabilire raffronti tra fabella apuleiana e tradizione iconografica antica: C.C. Schlam, Cupid and Psyche. Apuleius and the Monuments, University Park, Pennsylvania, . . Andromeda e Psiche [. . . ]  (met. , , ) . Qualche altro spunto, infine, non sembra aver attirato fino a oggi l’interesse dei critici. Per esempio, a proposito del modo con cui l’oracolo di Apollo descrive il potere assoluto, su ogni essere vivente, del futuro sposo di Psiche , non v’è dubbio che, tra tutti i riferimenti proposti via via dai commentatori , vada inserito anche l’incipit del frammento euripideo (fr  N =  Jouan - Van Looy: σὺ δ΄ ὦ τύραννε θεῶν τε κἀνθρώπων ῏Ερως) che celebra il trionfo di Amore (a futuro danno degli Abderiti) e giustifica il traguardo nuziale verso cui muove il mito di Perseo e Andromeda, fornendo in filigrana non esile traccia alla vicenda in cui è coinvolto lo stesso Cupido. Inoltre, se si bada alle cure di cui Psiche è fatta oggetto una volta approdata al meraviglioso palazzo di Cupido , non sarà troppo difficile ravvisare nei giochi acustici generati dalle voci senza corpo a disposizione della fanciulla una nuova edizione –miniaturizzata per quanto riguarda l’aspetto scenico e nello stesso tempo sottoposta a effetto moltiplicatore – della figura di Eco, la cui incorporea presenza nella scena iniziale dell’Andromeda euripidea ha messo in moto l’attenzione parodistica di Aristofane e ha contribuito alla duratura fortuna dell’episodio nel tempo. Infine, se si pone mente al motivo dell’innamoramento a prima vista che nella tradizione del mito è tutt’uno con lo sguardo dall’alto di Perseo, è possibile osservare come in Apu. «A. may well have Euripides’ Andromeda in mind»: E.J. Kenney, Apuleius cit., . . Il testo è riportato in n. . . Elenco significativo si ottiene combinando E.J. Kenney, Apuleius cit., -; C. Moreschini, Il mito di Amore e Psiche in Apuleio cit., ; W.S. Smith, Cupid and Psyche Tale: Mirror of the Novel, in AA. VV., Aspects of Apuleius’ Golden Ass. II. Cupid and Psyche cit., . . Si veda in merito P. Murgatroyd, Apuleian Ecphrasis: Cupid’s Palace at Met. , ,  - , , , «Hermes» , , -. . Vox quaedam corporis sui nuda (met. , , ); monitusque vocis informis audiens (met. , , ); et solas voces famulas habebat (met. , , ); Statim voces ... novam nuptam interfectae virginitatis curant (met. , , ); et sonus vocis incertae solitudinis erat solacium (met. , , ).  Rileggendo Petronio e Apuleio leio si assista a una ripresa dilazionata e specularmente inversa, là dove è Psiche, finalmente in grado di contemplare Cupido per la prima volta e vittima dei dardi del dio, a conoscere la ferita del cuore: sic ignara Psyche sponte in Amoris incidit amorem (met. , , ) . Ma non basta: fino a questo punto, per quanto concerne il testo apuleiano, il nostro discorso si è limitato alla sezione iniziale della favola di Cupido e Psiche, alla sezione cioè che appare maggiormente tributaria del teatro tragico e sembra far confluire nella silhouette della protagonista una vera e propria antologia di eroine euripidee raccolte sotto il segno di Andromeda . Ma in realtà, come già qualche critico ha avuto modo di suggerire , è l’intera fabula a evocare copioni di spettacoli teatrali secondo non troppo arbitrarie suddivisioni in atti che si potrebbero articolare così: Atto I, Psyche innocens (, -); Atto II, Psyche nocens (, -); Atto III, Psyche errans (,  - , ); Atto IV, Psyche patiens (, -); Atto V, Psyche felix (, -) . All’interno dell’intero complesso la peripezia di Psiche-anima ruota, e per ben due volte, attorno al motivo nuziale che sappiamo aver caratterizzato l’agon logon e la parte finale dell’Andromeda euripidea . Una prima volta, fino al colpevole disvelamento . In realtà, subito dopo anche Cupido ammette d’esser stato colpito a prima vista (dall’alto, è il caso di dire) dalla bellezza di Psiche: ipse potius amator advolavi – appunto come Perseo! – tibi (met. , , ): per l’intreccio di temi e motivi si può vedere S. Rocca, Il motivo dell’innamoramento a prima vista nell’apuleiana novella “Amore e Psiche” e il romanzo greco, in AA. VV., Materiali e contributi per la storia della narrativa greco-latina, I, Perugia , -. . Che il nome proprio della figlia di Cassiopea possa ben adattarsi, in chiave platonica, a Psyche-anima si potrebbe ricavare da Apul. de Plat. : quare idem (sc. Plato) bene hominis pronuntiat esse animam corporis dominam. . P.G. Walsh, The Roman Novel, Cambridge , -. . Così E.J. Kenney, Apuleius cit.,  e passim; su tale aspetto rinvio a quanto ho avuto occasione di dire altrove: Forme di consumo teatrale: mimo e spettacoli affini, in AA. VV., La letteratura di consumo nel mondo greco-latino, a cura di O. Pecere e A. Stramaglia, Bari , - (in part. -); si veda anche J. Annequin, Espaces,“Dramatis personae”, rapport sociaux dans le conte de Psyché, «Dialogues d’Histoire Ancienne» -, , -. . Di passaggio mette conto ricordare come anche il “ciclo di Carite” (met. . Andromeda e Psiche [. . . ]  dello sposo sconosciuto , Psiche conosce nuptiae impares con un ignobilis maritus (proprio come temevano i genitori di Andromeda nel corso della disputa sui natali del salvatore della figlia). A questo parziale compimento del destino che compete a ogni eroina salvata da morte, fanno seguito il divortium, la rinnovata persecuzione di Venere e la seconda passione di Psiche, fino all’intercessione di Cupido e all’intervento salvifico – questa volta in maniera definitiva – di Giove, a cui spetta il compito di concludere la vicenda secondo i crismi di un iustum matrimonium che comporta l’assunzione finale in cielo di Psiche-anima, assimilata agli immortali abitatori dell’Olimpo: ‘Iam faxo nuptias non impares sed legitimas et iure civili congruas’, et ilico per Mercurium arripi Psychem et in caelum perduci iubet. Porrecto ambrosiae poculo: ‘Sume’, inquit ‘Psyche, et immortalis esto, nec umquam digredietur a tuo nexu Cupido sed istae vobis erunt perpetuae nuptiae’ (met. , , -). Dunque, ascesa al cielo di Psiche, parallela al catasterismo finale di Perseo e Andromeda: soddisfatti di questo duplice lieto-fine, potremmo porre termine qui al nostro intervento, il quale ha cercato di fare i conti con riscritture di tradizioni mitologiche, incroci di trame collaudate e di matrici comuni, , - e ,  - , ), che fa da castone alla bella fabella di Cupido e Psiche, si prospetti come tragedia nuziale: si vedano C. Barrett, The Marriage of Charite and Psyche in the Context of Apuleius’ Metamorphoses, «Classical Bulletin» , , -; J. L. Lopes Brandão, O romance de Cárite : uma tragédia em quatro actos, «Humanitas» , , -; S. Papaioannou, Charite’s Rape, Psyche on the Rock and the Parallel Function of Marriage in Apuleius’ Metamorphoses, «Mnemosyne» , , -; L. Nicolini, Apuleio, La novella di Carite e Tlepolemo, Napoli ; S. Frangoulidis, Roles and Performances in Apuleius’ Metamorphoses, Stuttgart-Weimar , -. Si tenga altresì presente D. Lateiner, Marriage and the Return of Spouses in Apuleius’ Metamorphoses, «Classical Journal» , , -. . In merito si rinvia a E.J. Kenney, Psyche and her Mysterious Husband, in Antonine Literature, a cura di D.A. Russell, Oxford , -. . Oltre a S. Treggiari, Roman Marriage: Iusti Coniuges from the Time of Cicero to the Time of Ulpian, Oxford , su questo aspetto è da vedere W. Keulen, Some Legal Themes in Apuleian Context, in AA. VV., Der antike Roman und seine mittelalterliche Rezeption, Basel-Boston-Berlin , -; J. Osgood, Nuptiae Iure Civili Congruae: Apuleius’ Story of Cupid and Psyche and the Roman Law of Marriage, «Transactions of American Philological Association» , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio sovrapposizioni di schemi narrativi, scambio di ruoli e trasformazioni di personaggi. Ma a costo di abusare della pazienza del lettore non si può rinunciare ad altro tipo di congedo, monumentale e insieme iconografico, che meglio di ogni analisi letteraria sembra in grado di illustrare quanto si è venuti descrivendo in queste pagine. L’antologia di testi, temi e immagini qui evocata ha avuto una realizzazione pittorica rinascimentale che merita di figurare come eloquente epilogo – per figuras – di un discorso dedicato a metamorfosi di temi classici. Ci si riferisce alla Villa Farnesina di Agostino Chigi, in particolare al programma decorativo di tre ambienti del pianterreno che presenta in successione una stanza con fregio ovidiano di amori infelici, la loggia di Amore e Psiche e la sala di Galatea con soffitto affrescato da segni dello zodiaco che fanno corona al quadro centrale in cui è raffigura la vittoria di Perseo su Medusa. La decorazione del fregio della prima stanza e del soffitto del terzo ambiente si deve alla mano di Baldassare Peruzzi, umanista, astrologo, amico del committente e architetto della Villa; quella del secondo ambiente alle mani di Raffaello e della sua scuola; sempre a Raffaello si deve l’affresco parietale di Galatea e Polifemo, derivato da suggestioni di Poliziano . Non è questa la sede – né ho le competenze – per discutere della qualità artistiche delle raffigurazioni; quello che interessa è l’insieme delle figure che all’immaginazione del Cinquecento ha suggerito la lettura dei testi di Ovidio, Manilio e Apuleio, vale a dire degli autori che hanno guidato questa rincorsa di modelli nel tempo. . Per notizie sulla Villa e i suoi cicli pittorici si rinvia a F. Saxl, La fede astrologica di Agostino Ghigi. Interpretazione dei dipinti di B. Peruzzi nella sala di Galatea della Farnesina, Roma, R. Accademia d’Italia,  (Coll. “La Farnesina” I); Id., La storia delle immagini, tr. it., Roma-Bari  , -; E. Gerlini, Villa Farnesina alla Lungara, Roma ; J. L. de Jong, Il pittore a le volte è puro poeta. Cupid and Psyche in Italian Renaissance Painting, in AA. VV., Aspects of Apuleius’ Golden Ass. II. Cupid and Psyche cit., - (in part. -); AA. VV., Dal testo all’immagine. Amore e Psiche nell’arte del Rinascimento, «Fontes» -, ; S. Cavicchioli, Le metamorfosi di Psiche. L’iconografia della favola di Apuleio, Venezia  (in part. -, con ulteriore bibliogr.). Capitolo VI Tra Platone e Iside: per una rilettura dell’XI libro delle Metamorfosi apuleiane∗ .. Ragni, asini, démoni Per comodità conviene muovere i primi passi in compagnia del De Iside et Osiride di Plutarco . In D-E, l’autore compendia, ricorrendo a nomi greci, l’antica teogonia egiziana (nascita di Osiride, di Arueris-Apollo-Horos il Vecchio, di Seth-Tifone, di Iside e di Neftys-Afrodite), la lotta dei fratelli-rivali, la morte di Osiride, la ‘ricerca’ di Iside e infine la nascita di Arpocrate, per scartare conclusioni in chiave evemeristica (casi accaduti ad antichi sovrani poi elevati a dignità divina) e prospettare altra spiegazione: «Ritengo più esatta l’opinione di quanti considerano le narrazioni (tà historoùmena) su Tifone, Osiride e Iside passioni non già di dèi oppure di uomini, ma di grandi démoni» (D) . Operata una distinzione tra démoni buoni e ∗ Il testo deriva da una conferenza dal titolo Il libro isiaco di Apuleio tenuta nell’aprile  per ACME (Associazione Amici Collaboratori del Museo Egizio di Torino), pubblicato in «Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino. Classe di Scienze Morali» , , -. Mi è caro ringraziare il dott. Alessandro Bongioanni per l’invito e il prof. Pierluigi Donini per i suggerimenti di cui è stato generoso nei miei confronti. . Testo di riferimento: Griffiths . In generale vd. i saggi raccolti in Ries  . . Vd. Baltrušaitis . . Come narra, per es., Diodoro Siculo , -. Sulla fortuna dell’evemerismo nel mondo antico e sul tema di homines pro diis culti vd. Winiarczyk , -. . Vd. Alvar . Sugli aspetti filosofici implicati nelle vicende delle divinità egiziane in Plutarco vd. Ferrari .   Rileggendo Petronio e Apuleio démoni cattivi, si afferma che «Iside e Osiride erano all’inizio solo démoni buoni, poi trasformati da démoni buoni in dèi per la loro virtù» (E) . Dunque, anche Osiride e Iside, agli occhi greci di Plutarco, sono oggetto di metamorfosi (in questo caso di una prima metamorfosi), aspetto su cui si ritornerà a proposito di Apuleio. Intanto, merita attenzione un’altra affermazione, intercalata tra questi due passi: Plutarco, rivolgendosi direttamente a Clea, sacerdotessa destinataria dell’operetta , stabilisce una netta linea di demarcazione tra i racconti sacri egiziani e le storie fantastiche introdotte da poeti e mitografi: «Ritengo che tu comprenda da sola come tali concezioni non assomiglino affatto alle invenzioni fantasiose, vuote e inconsistenti, che poeti e compositori di discorsi continuano a tessere e a dilatare producendo per proprio conto – alla stregua dei ragni – novità prive di sostanza, ma hanno invece il compito di spiegare almeno in parte difficoltà e sofferenze» (F). Poeti e scrittori come ragni, dunque, impegnati a tessere reti di racconti senza fondamento e in piena autonomia. Il platonico Plutarco non dimentica le critiche rivolte ai poeti dal fondatore dell’Accademia; tuttavia Platone ha accolto altra immagine dal lessico dell’insettario poetico e ha ammesso che «come le api» sono i poeti invasati dal dio, in quanto attingono il canto da fonti di miele fluente nei giardini delle Muse . Tant’è: Plutar. Sulla concezione demonologica di Plutarco vd. Soury ; Vernière ; Brenk  e ; Froidefond ; Richter ; Gasperini . . Sulle fonti epigrafiche relative a Flavia Clea e sulla destinataria dell’Iside e Osiride di Plutarco si vedano Bowersock ; Kapetanopoulos ; Froidefond , -. . L’immagine si legge in Plat. Ion b. Cfr. Roscalla . Le immagini dell’ape e del miele per rappresentare forme e contenuti del ’fare’ poetico, dalla dolcezza del canto alla versatile operosità del cantore, sono care a Pindaro (cfr. per es. Pyth. , -: “il fiore degli inni d’encomio come ape da motivo a motivo trasvola”) e godono di fortuna duratura, che va da Aristofane (Aves -: «come ape Frinico soleva nutrirsi del frutto di melodie divine versando canto dolce come miele») fino all’apis Matina di Orazio (Carm. , , ) e oltre, come mostrano, esempio tra tanti, questi versi di La Fontaine: «... semblable aux abeilles, / à qui le bon Platon compare nos merveilles, / je suis chose légère et vole à tout sujet, / je vais de fleur en fleur et d’objet en objet». Non a caso api e ragni continuano a vivere nella zoologia . Tra Platone e Iside [. . . ]  co, che pure altrove giudica essenziale per l’efficacia poetica il modello dalle api , qui opta per la similitudine degli aracnidi, per indicare la composizione di trame fantastiche lontane dalla realtà, sottili e inconsistenti come la tela del ragno che vive delle proprie geometrie e di istintivo intreccio di fili. Può anche succedere, sempre nel De Iside et Osiride, che le immagini zoologiche abbandonino i giochi retorici delle figure di parola e di pensiero, vale a dire delle similitudini e delle metafore, e finiscano per insediarsi nel pensiero religioso, in quanto gli Egiziani «onorano gli animali come veri e propri dèi» (E). Da buon greco, Plutarco condanna il culto degli animali come ridicolo e superstizioso, così come nega credibilità alla spiegazione mitica che predica la possibilità degli dèi di trasformarsi o nascondersi nei corpi di ibis, di cani, di sparvieri etc. per paura di Seth-Tifone (un’ulteriore metamorfosi, dunque) e che le anime dei defunti possano tornare a nuova esistenza (palingenesìa) se incarnate in questi animali (F). Tuttavia, quando vengono presentate le caratteristiche delle divinità e si elencano gli animali loro pertinenti, a Seth-Tifone dal corpo rossiccio di pelle (B) vengono attribuiti «tra gli animali domestici il più refrattario, cioè l’asino, e tra gli animali selvatici i più feroci, cioè il coccodrillo e l’ippopotamo» (C). Per esempio, come Plutarco ha già avuto modo di asserire, gli abitanti di Copto sacrificano un asino, facendolo precipitare dall’alto, in ragione del fatto che Seth-Tifone «era rosso e aveva la pelle asinina», perché in generale gli Egiziani «considerano l’asino animale non puro bensì demonico, a causa della sua somiglianza con Tifone» (F) e ritengono tale somiglianza dovuta «non solo alla stupidità e alla sfrenata incontinenza sessuale, ma anche al colore della pelle» (C). Bene: l’incursione nel mondo egiziano descritto dal greco Plutarco di Cheronea può servire da efficace introduzione alle simbolica moderna come binomio di contrapposizione culturale: vd. Swift  e  (The Battle of the Books, ); Fumaroli ; Real . . Plut. De audiendo E-F.  Rileggendo Petronio e Apuleio opere dell’africano Apuleio di Madauro per più di un motivo. La prima ragione, di ordine culturale, consiste nell’appartenenza di entrambi gli autori alla scuola di pensiero che la moderna storiografia filosofica definisce del platonismo medio . Appunto in ambito filosofico conviene cercare convergenze di nozioni e di formule largamente confrontabili. Se infatti si passano in rassegna i contenuti del De deo Socratis apuleiano , si prende atto che alla concezione di un universo scisso tra mondo materiale sempre più basso e caotico e sommo dio sempre più alto e lontano pone rimedio la presenza di potenze intermedie (divinae mediae potestates): sono i démoni, che presiedono ai rapporti tra mondo di quaggiù e sommo etere, in quanto messaggeri, nei due sensi, dei doni divini e delle aspirazioni umane . Con Apuleio, insomma, il démone di Socrate, la voce interiore che al maestro di Platone trasmetteva i divieti divini sul piano etico, perde lo statuto di esperienza eccezionale e si moltiplica all’infinito, occupando lo spazio intermedio tra sfera della materia e sedi celesti: si delinea un universo animato da forze misteriose (ma mentalmente intelligibili da parte umana) che operano incessantemente nel mondo, trasformandolo secondo disegni provvidenziali che soltanto il vero philosophus è in grado di conoscere. Tre sono le classi in cui i démoni sono distinti: la prima è costituita dalle anime incarnate, cioè dalle anime individuali degli uomini («anche l’anima umana, quando ancora dimora nel corpo, può essere definita démone») ; la seconda è formata dalle anime disincarnate che al termine della vita fisica assumono funzioni deterrenti o protettive, in qualità di Larve o di Lari (a molti, per i meriti accumulati in vita e i culti loro tributati in seguito, compete titolo onorifico di deus: . Vd. Dillon ; Moreschini ,  e ; Donini  e  ; Zintzen ; Hijmans Jr. ; Bajoni ; Donini ,  sgg.; Nagel . . Testo di riferimento: M. Baltes et alii . . Sulla demonologia apuleiana, ben attestata anche nel De magia e in Florida , vd. almeno Portogalli ; Siniscalco ; Bernard ; Habermehl ; Hidalgo de la Vega -; Carver . . Apul. De deo Socratis. , . . Tra Platone e Iside [. . . ]  «così Anfiarao in Beozia, Mopso in Africa, Osiride in Egitto, altri altrove, Esculapio ovunque») ; la terza, da sempre libera da legami corporei, di specie più elevata e nobile, ha poteri e ruoli particolari: ne sono esempio Sonno e Amore, cui spettano compiti specifici nell’economia globale dell’esistenza. Per quanto articolata in ordini diversi, la natura demonica dell’anima individuale, di Osiride (come suggeriva a Plutarco il mito egiziano) e di Amore è motivo di interesse per i lettori delle Metamorfosi; del pari interessante è che il démone assegnato a ciascuno come custode e testimone «a tutto prenda parte con curiosità (curiose), su tutto indaghi, tutto intenda e a guisa di coscienza penetri nei più profondi recessi della mente» , in quanto proprio da umani esercizi di curiositas (attività non indegna di potestates demoniche) prende avvio, come si sa, la vicenda narrata da Apuleio nel grande racconto di trasformazioni . Ora, se finalmente prendiamo in mano le Metamorfosi apuleiane , ossia la storia dell’uomo-asino o, se si preferisce, dell’asino in cui si cela una presenza umana, non riesce difficile osservare come Egitto e Plutarco facciano la loro comparsa fin dall’inizio della narrazione. L’attacco del prologo (At ego tibi sermone isto Milesio varias fabulas conseram) evoca, sì, la tradizione della fabula Milesia, ma è la geografia egiziana a fornire il materiale scrittorio dell’intera vicenda, in quanto si promette al lettore l’ascolto di storie mirabolanti di trasformazioni, «a patto che ci si degni di dare un’occhiata a questo papiro d’Egitto vergato con l’arguzia di un calamo del Nilo (modo si papyrum Aegyptiam argutia Nilotici calami inscriptam non spreveris inspice. Ibid. , . . E inversi, in quanto ad Amore compete vis vigilandi, al Sonno soporandi: ibid. , . . Ibid. , : quin omnia curiose ille participet; omnia visitet, omnia intellegat, in ipsis penitissimis mentibus vice conscientiae deversetur. . Vd. per es. Sandy ; Walsh ; De Filippo  (rist. in Harrison , -); Tasinato ; Kirichenko a. . Testi di riferimento: Robertson, Vallette, - (rist. -, nuova ed. dei libri IV-VI a cura di L. Callebat, ); Zimmerman . Testo di Robertson e versione italiana in Fo .  Rileggendo Petronio e Apuleio re)». Nella sua arguzia, che condivide con lo scrittore, il calamo nilotico appare gravido delle leggende che si narrano lungo le rive del grande fiume africano . E Plutarco? Eccolo, subito dopo! In Metamorfosi ,  viene presentato il protagonista, in viaggio per affari alla volta della Tessaglia, terra di magia e di portenti : Lucio di Corinto, scholasticus di bell’aspetto e buona condizione sociale, figlio di un Teseo di provincia e di una signora di nome Salvia, erede di cospicua famiglia culturale: congiunta di Plutarco attraverso il di lui nipote Sesto di Cheronea (maestro di Marco Aurelio e Lucio Vero) , la madre dal nome beneaugurante assicura autorevoli parentele filosofiche aperte a prospettive di salvezza (Thessaliam – nam et illic originis maternae nostrae fundamenta a Plutarcho illo inclito ac mox Sexto philosopho nepote eius prodita gloriam nobis faciunt – eam Thessaliam ex negotio petebam) ed è motivo di vanto per la persona loquens; erede di repertori mitico-tragici, il padre dal nome regale è garante di presenze letterarie e filosofiche (euripidee, senecane, plutarchee) che scandiscono i momenti cruciali della vicenda . Ultima precisazione a proposito del titolo: mentre tutti i manoscritti medioevali riportano come titolo dell’opera Metamorphoseon libri (Libri di trasformazioni), nel De civitate Dei Sant’Agostino cita il testo apuleiano come Asinus aureus . Per lo più la critica ritiene che Asino d’oro alluda a qualità lettera. Vd. per es. Grimal ; Nicolai ; Sandy ; Tilg ,  sg. Sui problemi posti dal prologo e il ventaglio delle interpretazioni vd. i saggi raccolti in Kahane, Laird . . Vd. Bowersock ; Phillips . . Altra menzione in Met. , , , là dove Byrrhena ricorda la parentela con la madre di Lucio: familia Plutarchi ambae prognatae sumus. Sui rapporti tra i due autori vd. Hunink ; Soler . . La scheda anagrafica del protagonista si ottiene combinando Met. , , - (patria e studi); , ,  (generosa stirps e buona educazione); , ,  e  (nome proprio e aspetto fisico); , ,  (scholasticus). Vd. Met. , ,  per il padre e Met. , ,  e , ,  per la madre. Sul nome dei genitori si rinvia a Fiorencis, Gianotti , in Magnaldi, Gianotti  , -; Drake ; Keulen , ad loc.; Harrison a. . Augustin. De civ. Dei , , : ... sicut Apuleius in libris, quos Asini aurei titulo inscripsit, sibi ipsi accidisse, ut accepto veneno humano animo permanente asinus fieret, aut indicavit aut finxit. Vd. Bitel -. . Tra Platone e Iside [. . . ]  rie e dunque suoni riconoscimento d’eccellenza artistica. Non manca però chi ritiene che il senso vada cercato tra i valori cromatico-allegorici dei miti egizi che fanno da sfondo al racconto, a partire dalle allusioni del prologo fino all’epilogo isiaco dell’undecimo libro. L’asino è l’animale di Seth, l’uccisore di Osiride, e il colore fulvo del suo mantello, simile a quello del deserto, ben potrebbe spiegare l’ambiguo aureus del titolo alternativo ; ma per altri non è impossibile scorgervi espressione ossimorica che accoppia in callida iunctura la bestia di Seth all’oro di Iside, in una sorta di miniatura contrastiva di percorsi narrativi elaborati in trame fantastiche e sottili come tela di ragno. .. Da Platone all’Egitto Nella più antica Vita Platonis giunta fino a noi, vale a dire nei capitoli iniziali del De Platone et eius dogmate di Apuleio, avviene di leggere che dopo la morte di Socrate Platone si avvicinò alle dottrine pitagoriche e, in cerca delle loro fonti, ad Theodorum Cyrenas, ut geometriam disceret, est profectus et astrologiam adusque Aegyptum ivit petitum, ut inde prophetarum etiam ritus addisceret . Sul viaggio o sui viaggi di Platone in Egitto, menzionati tra gli altri da una serie di autori di cui fanno parte – tra gli altri – Cicerone , Diodoro Siculo e Diogene Laerzio , è lecito nutrire . Vd. Martin ; Heller ; Winkler ,  sgg. . Vd. Mazzoli . . Apul. De Platone , . Vd. per es. Barra -; Swift Riginos . . Cic. De republ. ,  (tum Scipio: ’sunt ista ut dicis; sed audisse te credo Tubero, Platonem Socrate mortuo primum in Aegyptum discendi causa, post in Italiam et in Siciliam contendisse, ut Pythagorae inventa perdisceret) e De fin. ,  (Nisi enim id faceret, cur Plato Aegyptum peragravit, ut a sacerdotibus barbaris numeros et caelestia acciperet?). . Diod. , , : «i sacerdoti egiziani raccontano che sia giunto presso di loro anche il filosofo Platone». . Diog. Laert. ,  (a detta di Ermodoro, «Platone si è recato a Megara da Euclide insieme ad alcuni altri discepoli di Socrate; in seguito si sia spostato a Cirene presso il matematico Teodoro e di qui in Italia presso i pitagorici Filolao ed Eurito,  Rileggendo Petronio e Apuleio più di un dubbio; non troppo incerta risulta invece la connessione tra le dottrine platoniche e i racconti tradizionali egiziani, un po’ se ci ricordiamo del mito del Fedro sull’invenzione della scrittura oppure se ritorna in mente la frase rivolta a Solone dal vecchio sacerdote egiziano: «Solone, Solone, voi Greci siete eterni fanciulli, un Greco vecchio non esiste!» . Connessione certa hanno ravvisato – come si è detto – Plutarco e Apuleio, onorato quest’ultimo del titolo di philosophus Platonicus che amò riservarsi e che l’ha accompagnato nel tempo senza entrare in contraddizione o in conflitto con le svariate iniziazioni religiose avvenute nel soggiorno ateniese di cui l’autore dà notizia nell’Apologia: «in Grecia ho condiviso la maggior parte dei misteri sacri [...]; diversi culti, molteplici riti e cerimonie di varia natura ho appreso, per amore del vero e per dovere verso gli dèi» . Insomma, Platone e l’Egitto per Apuleio possono convivere abbastanza comodamente, e non solo perché nell’episodio dell’incontro di Pythias al mercato di Hypata la scena dei pesci calpestati sembra modellata su di un antico rituale egizio , oppure perché sono necessari i poteri di un sacerdote egiziano (Zatchlas Aegyptius propheta primarius) per conoscere l’antefatto della custotela feralis della vittima d’una moglie assassina e della mutilazione del viso di Thelyphron . Infatti, se è vero che l’imbestiamento asinino del protagonista si iscrive nella tradizione folclorica dei bestiari più o meno moralizzati che dagli incantesimi di Circe attraversa la favola degli animali parlanti e i racconti delle Metamorfosi ovidiane per riemergere nelle perdute Metamorfosi di Lucio di Patre e nell’operetta Lucio quindi in Egitto presso i sacerdoti»). . Plat. Tim. b. . Apul. Apol. , -: Sacrorum pleraque initia in Graecia participavi [...]; multiiuga sacra et plurimos ritus et varias caerimonias studio veri et officio erga deos didici. Vd. Pizzolato ; Münstermann , -. . Apul. Met. , -. Vd. Derchain, Hubaux ; Fick . . Apul. Met. , . Vd. Stramaglia . . Vd. Müller-Reineke . Si vedano anche Hindermann ; Vial . . Tra Platone e Iside [. . . ]  o l’asino del corpus lucianeo , non è men vero che nella storia dell’asino umano coesistono spunti riconducibili alle dottrine platoniche e ai racconti sacri egiziani. Nel primo caso, nella cornice del mito platonico della ‘generazione umana degli animali’, ad Apuleio traduttore del Fedone non può essere sfuggito il passo relativo al destino riservato alle anime degli stolti: «A proposito di coloro, per esempio, che sono dediti a gozzoviglie, a violenze carnali e ai piaceri del vino e che da codeste passioni non hanno saputo astenersi, è verisimile che prendano corpo in forma di asini e di bestie consimili» . Nel secondo caso, come ricorda il platonico Plutarco, gli Egiziani hanno una speciale venerazione per gli animali, in quanto ipostasi divine o addirittura temporanei ‘contenitori’ di divinità, e considerano l’asino animale di Seth-Tifone, il nemico di Osiride e Iside. A ben vedere, nella prospettiva delle Metamorfosi, chi abbia dimestichezza con i racconti sacri egiziani, come ha appunto Apuleio, non può fare a meno di mettere in relazione il processo folclorico (e platonico) dell’imbestiamento asinino con soluzioni di matrice egiziana. In altre parole, il rovesciamento positivo imposto alla degradazione esistenziale di Lucio-asino, in ragione dell’aspetto stesso assegnato dalle fonti, suggerisce comodo traguardo entro la cornice delle prerogative teurgiche di Iside e di Osiride. Non intendo passare in rassegna e confrontare gli aspetti magici che compaiono, da un lato, come elementi religiosi nei racconti sacri d’Egitto e, dall’altro, come ingredienti parabiografici (si pensi all’Apologia sive de magia) e narrativi in . In generale vd. Scobie ; Mason  e . Per Lucio di Patre vd. Lesky , -; Kussl ; Frangoulidis , -. Ed. sinottica del testo attribuito a Luciano e del testo di Apuleio si legge in van Thiel . . Vd. Plat. Phaed. e-a: «Coloro, per esempio, che si sono abbandonati ai piaceri del ventre, alla violenza e ai piaceri del bere senza misura alcuna, è verisimile che entrino nei corpi d’asino o di animali del genere». Cfr. anche Plat. Phaedr. ae; Resp. , a-b; Tim. d-c. Vd. tra gli altri Thibau ; Schlam ; Gianotti , - e passim; De Filippo ; Bajoni ; O’Brien ; Kirichenko . . Sulle valenze simboliche dell’asino nell’antichità vd. almeno Deonna ; Opelt ; Scobie .  Rileggendo Petronio e Apuleio Apuleio . Non ho competenze in merito e rischierei di far torto alle esigenze di chiarezza. Pare invece preferibile tenere altra via, seguire cioè le tappe che portano il protagonista, lo scholasticus Lucio di Corinto, dall’imbestiamento alla progressiva risalita verso la condizione umana. Intanto, piace ricordare come ci si può trasformare in asino, perdendo fattezze umane, libertà e identità personale . Ospite a Hypata nella dimora di una maga (Pamphile, “Colei che ama tutti”) dall’intensa attività amatoria, Lucio vuole provarne gli incantesimi e trasformarsi in uccello, un po’ come l’anima platonica che vuole recuperare le ali e tornare in cielo . L’ancella Photis (“Piccola luce”, Lucignola?) , tra notturni amplessi e iniziazioni ai misteri della magia , apre a Lucio l’officina dei sortilegi, ma lo scambio di pissidi trasforma il giovane in asino (Met. , ), che pur conserva umano sentire . Le serviles voluptates delle notti di Hypata sfigurano il giovane dal nome solare e lo privano di identità fisica e statuto sociale: l’uomo-asino, partecipe di due nature, non trova spazio nell’una o nell’altra specie e si avvia a peripezie solitarie lungo malsicure demarcazioni tra le classi di . In merito si possono vedere i saggi raccolti in Futre Pinheiro, Bierl, Beck  e la bibliogr. ivi citata. . Vd. Schlam . Da qui in avanti traggo spunti da quanto ho scritto in altra occasione: Magnaldi, Gianotti  ,  sgg. . Cfr. Plat. Phaedr. c sgg. Di «Phaedran influence on the whole of the Metamorphoses» discute Winkle : più in generale vd. Moreschini . . Come è noto, Le avventure di Pinocchio sono tributarie di più di uno spunto alle Metamorfosi apuleiane (a tacer d’altro, cfr. Lucignolo e la trasformazione in asino; la formazione umana di un burattino grazie alla Fata dai Capelli Turchini, piccola Iside in sedicesimo dalla non meno efficace magia). . Vd. Schmidt ; De Smet . Sull’opposizione polare Photis / Isis vd. Carver . . Met. , , : quamquam perfectus asinus et pro Lucio iumentum sensum tamen retinebam humanum (vd. Magnani ). . Nei racconti fictis casibus referti i personaggi non hanno nomi riconoscibili per tradizione letteraria (epica, tragica, storica), se non in qualche caso per ironica degradazione. Negli altri casi, come già nella commedia, essi sfuggono all’anonimato, in quanto portatori di ‘nomi parlanti’: spetta infatti all’antroponimo il compito di rivelare identità e caratteri assegnati dall’autore. Vd. Brotherton ; Hijmans Jr. . . Tra Platone e Iside [. . . ]  esseri viventi. Così in Met. , , -, nella stalla, il servo di Lucio prende a bastonate quell’asino del padrone e annulla il primo tentativo di assumere l’antidoto, le rose del sacello di Epona. La presenza di rose accanto a una figura divina femminile (una dea gallica, protettrice di cavalli e cavalieri, accolta nel pantheon romano e assimilata alla Grande Dea) è, in miniatura, anticipazione, per ora fallimentare, della soluzione finale dell’XI libro, quando l’asino umano potrà accostarsi alle rose di Iside, divinità titolare principe del fiore . La scena chiarisce altresì come l’inversione dei ruoli operata dalla metamorfosi comporti non protesta sociale, ma esclusione del protagonista dal suo mondo, con l’esito di assegnare all’asino umano il compito di farsi storiografo dal basso della realtà di ogni giorno. Prima che Lucio possa valersi dell’antidoto delle rose, irrompe una banda di briganti (Met. , , : globus latronum) che saccheggia la casa dell’ospite e fa razzia degli animali, veri e di recente imbestiamento, immettendo l’uomo-asino nel mondo esterno, a vivervi la propria morte civile. Dal IV al VII libro si sviluppa l’intermezzo riservato ai latrones che – nel gioco di ’scatole cinesi’ e racconti speculari – contiene l’infelice storia di Charite, a sua volta castone della bella fabella di Cupido e Psyche (Met. ,  - , ) . L’irruzione dei briganti dà inizio all’odissea dell’eroe sfigurato e dilaziona il ritorno all’umanità: Lucio-asino conosce la rude pedagogia del bastone, regredisce dal cotto al crudo sul piano alimentare e da civiltà a barbarie sul piano della vita associata; è inoltre cronista di banchetti bestiali e imprese criminose, di rapimenti . Vd. Reinach ; Magnen, Thévenot ; Linduff . Per Epona assimilabile a Iside in quanto Fortuna vd. Fry ; Winkle . . Sulle valenze simboliche delle rose vd. Joret ; Heinz Mohr, Sommer ; Fick-Michel , -; de Medeiros ; Fumo . Rilettura in chiave tributaria della psicanalisi offre Carotenuto . . La favola di Amore e Psyche, spesso studiata come parte autonoma, costituisce un voluminoso capitolo a sé nell’ambito della critica apuleiana; qui ci si limita a segnalare l’ed. commentata di Zimmerman et alii , da cui è agevole risalire alla letteratura in merito. Da ricordare, per l’iconografia, Cavicchioli  e la mostra “Amore e Psiche, la favola dell’anima”, Torino, Palazzo Barolo, marzo-giugno .  Rileggendo Petronio e Apuleio crudeli e affabulazioni consolatorie, di tentativi di fuga e minacce di punizioni definitive . Non mancano tuttavia residui di comportamenti umani: il giudizio sul veleno dell’oleandro (rosae laureae di Met. , , ); la mancata ‘ribellione’ ai briganti (asinus bonae frugi dominis di Met. , , ); la descrizione di loci horridi e l’ascolto di disastrosi assalti (Met. , -); l’attrazione per la bellezza di Charite (puella et asino concupiscenda di Met. , , ); il rammarico di non poter fissare per iscritto la favola di Psyche-Anima accolta in Olimpo a fianco del suo dio (Met. , , ) . Dopo la rovina dei ladroni e la tragedia di Charite – morte dello sposo per mano di un rivale, vendetta e suicidio della donna (Met. ,  - , ) – si precisano le tappe del faticoso ritorno del protagonista imbestiato verso la condizione degli esseri umani. L’uomo-asino passa via via al servizio di un gruppo di sacerdoti ciarlatani di orientamento omosessuale, di un mugnaio, di un ortolano povero, di un soldato e ancora di un cuoco e un pasticcere al seguito di un ricco signore, che lo riporta a Corinto. Ogni passaggio mostra come la legge della mutazione travagli anche la società esterna, crogiuolo di forme in cerca di soluzioni stabili; diventa così meno abnorme la situazione dell’eroe della storia e si fa sentire con maggior frequenza l’uomo interiore che si cela nell’asino e che ora muove al recupero dell’identità perduta. Per esempio, il “sonno umano” in . Sull’intermezzo dei briganti vd. Gianotti ,  sgg.; Esposito ; Loporcaro ; Riess . . Vd. Schlam , : «The tale, both in language and incident, prefigures the account of Lucius’ initiation in Book XI». Di passaggio si può osservare come Psyche venga aiutata nella ricerca dello sposo scomparso – tratto narrativo che l’assimila a Iside - dal mondo naturale, mentre le grandi divinità femminili del pantheon tradizionale o le sono apertamente ostili (ira di Venere come ripresa di tema epico) o rifiutano ogni soccorso (Giunone e Cerere). Ma nel libro finale le tre dee saranno menzionate come ipostasi della figura di Iside. Non è forse inutile ricordare che tutte le storie romanzate di innamorati che cercano di ricongiungersi deriverebbero dalla vicenda divina di Iside e Osiride secondo Kerényi . . Su struttura e possibili fonti del cosiddetto ‘Charite-Complex’ vd. Nicolini . . Tra Platone e Iside [. . . ]  un letto di cui l’asino gode alla fine d’una burrascosa giornata chiarisce in che senso ormai proceda il racconto. Quando Lucio è acquistato da un ortolano di umili condizioni, il padrone lavora curvo a terra come uno schiavo o come un animale, mentre l’asino se ne sta in otio, come si addice a uomini liberi . Anche il cibo riduce il divario: asino e padrone si nutrono allo stesso modo , ma la povertà del pasto evidenzia piuttosto la degradazione sociale del contadino che la promozione umana dell’animale. Conferma dell’importanza della via alimentare si ha quando Lucio-asino viene in possesso di due esperti di arte culinaria (cocus et pistor) al servizio di un signore facoltoso, Thiasus di Corinto: Lucio ripercorre così la storia dell’incivilimento all’insegna del passaggio dal crudo al cotto. L’assunzione di cibo umano promuove l’uomo-asino da contubernalis di schiavi a parasitus, sodalis e conviva del dominus . Al recupero della commensalità s’intreccia un momento educativo che coincide col ritorno a Corinto: trattato satis humane satisque comiter, Lucioasino affronta un rapido tirocinio che lo reimmette negli spazi frequentati dall’uomo, come protagonista dello show dell’asino sapiente e come partner di una matrona un po’ troppo zoofila. Negli intervalli della storia principale l’Io narrante allarga la scena sulla ’commedia umana’ della società con un’ampia sezione de spectaculis: le novelle di adulterio del IX libro simili a tricae di mimi ; nel X libro i drammi della matrigna innamorata e dell’avvelenatrice che precedono la descrizione della panto. Met. , , : post multum equidem temporis somnum humanum quievi. . Met. , , : dum fodiens, dum irrigans ceteroque incurvus labori deservit, ego tantisper otiosus placida quiete recreabar. . Met. , , : et mihi et ipsi domino cena par ac similis oppido tamen tenuis aderat ... . Met. , , : humanis cibis saginatus... . Met. , -. Sugli aspetti alimentari vd. Heath ; Strub ; May . . Met. , - (novella della giara); - (novella di Filesitero); - (novella del mugnaio): vd. Hijmans, van der Paardt, Schmidt, Wesseling, Zimmerman , ad loc.; Mattiacci ; Ruiz Sánchez .  Rileggendo Petronio e Apuleio mima nel circo di Corinto . Appunto durante lo spettacolo circense – le tre grandi dee in gara di bellezza sottoposte al giudizio di Paride – Lucio-asino recupera l’esercizio morale, attività che separa, secondo la scienza aristotelica, l’uomo libero da schiavi e animali. Dapprima si impanca ironicamente in qualità di asino-filosofo per condannare la corruzione dei tribunali a partire dal verdetto comprato di Paride ; poi, non de pudore iam, sed de salute ipsa sollicitus, decide di sottrarsi all’unione con l’avvelenatrice condannata ad bestias e compie un atto di libera scelta che, caricaturale fin che si vuole, lo riconcilia con la sfera dell’etica. Completate le fasi della rieducazione, il non più dilazionabile ritorno all’umanità diventa oggetto del libro XI, ultimo di una serie (+) poco canonica per tradizione, ma forse modellata sul rituale dell’iniziazione isiaca che prevedeva dieci giorni di digiuno e si concludeva nell’undecimo giorno . .. L’epifania di Iside Fino alla fine de X libro Apuleio ha onorato la promessa formulata nel corso del prologo di varias fabulas conserere e ha tessuto la ragnatela del racconto mediante intarsi sottili che intrecciano alla storia principale diramazioni secondarie in cui si rifletto. Met. , -;  sgg.; - (Giudizio di Paride). Vd. Fick ; Gianotti ; Zimmerman , ad loc.; May ; Robert . Sulle fortune storico-letterarie di Corinto vd. i saggi raccolti da Angeli Bernardini . . Met. , ,  e  (Quid ergo miramini, vilissima capita, immo forensia pecora, immo vero togati vulturii, si totis nunc iudices sententias suas pretio nundinantur, cum rerum exordio inter deos et homines agitatum indicium corruperit gratia et originalem sententiam magni Iovis consiliis electus iudex rusticanus et opilio lucro libidinis vendiderit cum totis etiam suae stirpis exitio? ... Sed nequis indignationis meae reprehendat impetum secum sic reputans: “Ecce nunc patiemur philosophantem nobis asinum?”, rursus, unde decessi, revertar ad fabulam). Vd. Finkelpearl ; Kirichenko . . Liberum arbitrium si legge in Met. , , : unica attestazione in tutta l’opera superstite di Apuleio. . La relazione tra durata dell’iniziazione e numero dei libri delle Metamorfosi si deve a Lavagnini, Il significato e il valore del romanzo di Apuleio (), in Lavagnini , -. . Tra Platone e Iside [. . . ]  no segmenti narrativi largamente confrontabili, parzialmente compatibili oppure apertamente paralleli (come la favola di Psyche e Cupido) con le vicende del protagonista. Dunque, finora il lettore ha assistito a una sorta di praeparatio in grado di disegnare piste progressive nel caos del mondo sensibile e avviare le molteplici fila narrative verso una soluzione unitaria, verso un solo filo che riassorbe e riassume, nel finale senza precedenti della storia, la legge del cambiamento incessante che affatica la società imperiale romana. Non a caso nell’XI libro il concerto delle diverse voci narranti e la storiografia asinina del quotidiano lasciano il posto a una narrazione unica e compatta, concentrata tutta sulla seconda metamorfosi di Lucio da asino a uomo nella cornice isiaca. Il libro X si chiude con la fuga di Lucio-asino dal circo di Corinto alla volta della spiaggia di Cenchreae (sede di un famoso santuario di Iside) , dove al calar della sera il corpo dello spossato animale umano trova il rimedio di un sonno ristoratore (Met. , , : Nam et ultimam diei metam curriculum solis deflexerat et vespertinae me quieti traditum dulcis somnus oppresserat). Bene: l’ultimo libro inizia con una scena notturna in riva al mare. Ormai solitario e lontano dall’affollato mondo degli uomini, l’animale umano non può fare a meno di cercare la soluzione della sua duplice e abnorme natura nel grande teatro del cosmo. Nel cuore della notte, risvegliato da improvviso timore (siamo alle soglie del mysterium tremendum del sacro?), Lucio-asino vede emergere dai flutti il disco splendente della luna piena (Met. , , : Circa primam ferme noctis vigiliam experrectus pavore subito, video praemicantis lunae candore nimio completum orbem commodum marinis emergentem fluctibus) . Nel. Nella zona erano concentrati edifici di culto dedicati ad Afrodite, ad Asclepio e a Iside, come informa un contemporaneo greco di Apuleio, Pausania il Periegeta, Graeciae descriptio , ,  Vd. Scranton, Shaw, Ibrahim ; Marangoni ; Rife ; Moyer . Si veda altresì Veyne . . Il libro finale è oggetto di studi specifici e di appositi commenti: utili sono De Jong ; Médan ; Berreth ; Marsili ; Witt ; Harrauer ; Marín Ceballos ; Fredouille ; Griffiths  (sintesi in Griffiths ); Merkelbach  Rileggendo Petronio e Apuleio l’antichità il plenilunio – come è noto – è il tempo del mese riservato alle feste religiose di maggior rilievo; e tra poco il lettore sarà informato che nel giorno successivo avrà luogo la grande cerimonia festiva del ritorno alla navigazione dopo la pausa invernale del mare clausum. Ma non basta: come ricorda Apuleio nel De deo Socratis (, -), insieme al sole e agli astri la luna appartiene alla schiera degli dèi visibili, alle spalle dei quali stanno le divinità percepibili soltanto con l’intelletto (gli dèi dell’Olimpo classico); su tutti e tutto, infine, sta il dio sommo che eccede le possibilità cognitive ed espressive dell’umano intelletto, in quanto non posse penuria sermonis humani quavis oratione vel modice conprehendi. Dunque, la luna piena, per un asino che abbia familiarità col De deo Socratis, è icona festiva e ipostasi di un potere divino superiore che si individua mediante tradizioni non solo sacre e folcloriche ma anche filosofico-letterarie e preghiere opportunamente indirizzate. Lucio conosce la maestà e le prerogative della dea visibile, così come sa che le umane vicende sono rette dalla sua provvidenza (Met. , , : res ... humanas ipsius regi providentia), che noi sappiamo – come Apuleio ben sapeva e come tra poco sapranno i lettori d’ogni tempo – essere tutt’uno con la provvidenza di Iside, in quanto gli Egiziani ritengono che Osiride sia il sole (helios) e «affermano che Iside altro non è che la luna (seléne)» (Plutarco, De Iside et Osiride ). Prima della preghiera alla luna, tuttavia, l’asino umano compie un’abluzione purificatrice: alacer exsurgo meque protinus purificandi studio marino lavacro trado septiesque summerso fluctibus capite, quod eum numerum praecipue religionibus aptissimum divinus ille Pythagoras prodidit (Met. , , ). Ecco: si assiste, in via preliminare, a un bagno lustrale, ; Egelhaaf-Gaiser ; Keulen, Egelhaaf-Gaiser ; Keulen et alii . . Vd. in generale Préaux ; Lunais . . Se per un momento si lasciano da parte le evidenti implicazioni di natura egiziana, nel rinviare alla realtà lunare e al correlativo potere di Venere anche altrove (De deo Socratis, Florida, Apologia) Apuleio non risparmia riprese lucreziane (dall’Inno a Venere dell’inizio del De rerum natura) ed echi platonici (in part. dal Simposio): vd. per es. Marangoni -. . Tra Platone e Iside [. . . ]  ripetuto sette volte, numero canonico adatto, a giudizio del divino Pitagora (dotato a sua volta di curriculum vitae con parentesi egiziane), a qualsiasi rito religioso . Si era già sperimentato un asino filosofo fustigatore d’ogni corruzione giudiziaria; ora si deve prendere atto che Lucio-asino sa farsi, all’occorrenza, seguace delle dottrine pitagoriche, assai utili qualora sia necessario compiere azioni valide per ogni rituale o comunque prive di specifico indirizzo religioso. Insomma: non si sa mai verso quale ipotesi soprannaturale ci si sta orientando e pertanto non conviene lesinare le immersioni purificatrici di una testa – ancora per poco – di ciuco . Operazioni lustrali terminate, ha inizio la preghiera a SeleneLuna, salutata come regina caeli e assimilata, con cadenze lucreziane , a una serie di divinità femminili: Demetra-Cerere (alma frugum parens originalis), Afrodite-Venere celeste (che ai primordi del mondo ha generato Amore per comporre in unità la diversità dei sessi e propagare il genere umano attraverso la prole), Artemide-Diana (protettrice delle nascite), PersefoneProserpina (signora degli Inferi). L’elenco dei nomi delle dee rimane per ora nell’àmbito del pantheon greco-romano, ma già fanno capolino elementi destinati a grande rilievo durante la manifestazione della grande dea egiziana. Prima di formulare la richiesta di liberazione dal corpo asinino Lucio afferma infatti: quoquo nomine, quoquo ritu, quaqua facie te fas est invocare (Met. , , ). Nome, rito, aspetto: la formula sembra ribadire il motivo dell’incertezza del destinatario divino della preghiera (come si è visto nelle abluzioni polivalenti di stampo pitagorico), ma in realtà prefigura, in chiave di sincretismo religioso, . Sui rituali legati al numero  vd. Griffiths , -. . Credo anch’io che il libro XI si configuri come riscrittura e ricapitolazione simbolica dei momenti essenziali della storia del protagonista, ma non appare persuasiva la chiave di lettura che vuole l’ultimo libro come soluzione seria che si oppone al ‘divertimento’ dei libri I-X. Spunti divertiti e divertenti non mancano neanche qui. Vd. per es. Harrison a. . Vd. Zimmerman .  Rileggendo Petronio e Apuleio la polyonymia , i molteplici rituali e le diverse raffigurazioni di cui titolare è, appunto, la dea Iside. La preghiera si chiude con la richiesta di ritorno alla condizione umana, perché allo stato bestiale è preferibile la morte: tu meis iam nunc extremis aerumnis subsiste, tu fortunam collapsam adfirma, tu saevis exanclatis casibus pausam pacemque tribue; sit satis laborum, sit satis periculorum. Depelle quadripedis diram faciem , redde me conspectui meorum, redde me meo Lucio, ac si quod offensum numen inexorabili me saevitia premit , mori saltem liceat, si non licet vivere (Met. , , ). Rivolta alla Luna, la preghiera viene accolta da Iside , che ha nel disco lunare una delle sue ipostasi visibili e che possiede il potere teurgico (la magia bianca) di rimediare alle fallimentari operazioni magiche della notte di Hypata. Lucio fa appena in tempo a riprendere sonno che gli appare – in sogno, è da credere – l’immagine della dea che sorge, come in precedenza la luna, dalle acque (Met. , , : paulatim toto corpore perlucidum simulacrum excusso pelago ante me constitisse visum est). Visione davvero meravigliosa che il narratore in prima persona – in questo caso a parlare è più l’auctor che l’actor  – intende presentare ai lettori, a dispetto della povertà del lessico umano e a patto che il nume stesso dispensi altezza d’eloquio (Met. , , : eius mirandam speciem ad vos etiam referre conitar, si tamen mihi disserendi tribuerit facultatem paupertas oris humani vel ipsum nu. Tema già presente nel De mundo apuleiano  (dove si legge che il dio supremo cum sit unus, plurimis nominibus cietur) e tra breve consegnato interamente alla venerazione di Iside. . Vd. in Met. , ,  le parole di Iside: pessimae mihique iam dudum detestabilis belvae istius corio te protinus exue. L’asino è odioso a Iside in quanto animale di Seth-Tifone. . Nella favola di Psyche e Cupido il tema epico dell’ira divina ai danni del protagonista si è manifestato nell’ostilità un po’ futile (inlicita formonsitas d’una fanciulla mortale) di Venere verso Psyche; qui, nei casi di Lucio, il tema, finora sottaciuto, merita tuttavia un’apposita menzione prima della soluzione finale, in omaggio alla tradizione epica - in particolare odissiaca - che innerva il racconto di avventure. . Vd. Boscolo ; Domingues . . Per dirla con le funzioni narrative suggerite da Winkler . . Tra Platone e Iside [. . . ]  men eius dapsilem copiam elocutilis facundiae subministraverit). Si noti: Apuleio adatta al suo testo il topos dell’aporía del narratore, figlia dell’aporía del poeta epico (da Omero a Virgilio) che ha bisogno del soccorso dell’ispirazione divina (Apollo, le Muse) per trattare un argomento di natura elevata e ardua. Ma la pressione della tradizione letteraria non si limita alla ripresa e variazione di un topos di sicura efficacia, in quanto tale premessa comporta la sfida di eccellenze descrittive e di impegnativi pezzi di bravura a cui gli oratori si allenavano fin dalla formazione entro i confini delle scuole di retorica. Ovviamente, il testo apuleiano non è nuovo a imprese del genere: basti pensare a ekphraseis famose, come la descrizione del gruppo scultoreo di Diana al bagno e della metamorfosi di Atteone presente nell’atrio di Byrrhena (Met. , , con allusione alla sorte imminente di Lucio); la descrizione del palazzo di Cupido e delle splendide fattezze del dio svelate dalla lucerna di Psyche (Met. , - e ), la scena e gli attori della pantomima nel circo di Corinto (Met. , -: giudizio di Paride) . In questo caso è la figura di Iside a farsi oggetto di descrizione dettagliata, dalla testa ai piedi, come è il caso di dire: si inizia infatti dai crines uberrimi prolixique e dal capo sormontato da una corona di fiori; si evidenzia il cerchio rotondo, emblema della luna, posto sulla fronte con ornamento di vipere e spighe; si passa poi alla tunica di lino, nunc albo candore lucida, nunc croceo flore lutea, nunc roseo rubore flammida; poi è la volta dello spettacolo del mantello nero (palla nigerrima) tramato di ricami di fiori e di stelle, tra riverberi sorprendenti, falde fluttuanti, frange e fiocchi che incorniciano, sempre sul manto, l’immagine luminosa della luna. Quanto agli oggetti tenuti dalle mani divine, la destra porta il sistro (aureum crepitaculum) proprio del culto isiaco, mentre dalla sinistra pende cymbium aureum, dunque un piccolo contenitore d’oro a forma di navicella (allusione alla festa del navigium Isidis del giorno seguente) con tanto di aspide in evidenza; infine i piedi celesti . Vd. Schlam ; Laird ; van Mal Mader  e ; Murgatroyd ; Slater  e ; Paschalis ; Barchiesi .  Rileggendo Petronio e Apuleio calzano sandali di palma (Met. , ). I dettagli isiaci, di Iside-Luna, che potrebbero derivare da un’immagine cultuale in effetti nota e riprodotta , vengono discussi dalla critica moderna e per lo più ritenuti prova di serio interessamento da parte dell’autore per la religione egiziana, anche se tra i contributi più recenti si fa strada un’interpretazione diversa che sottolinea, nell’XI libro, la presenza di spunti a effetto, divertenti o addirittura satirici, e di calibrate soluzioni retoriche nell’ekphrasis stessa della figura divina qui compendiata . A dire il vero, il problema della congruità espressiva non dovrebbe riguardare tanto il rapporto tra l’autore e il credo egizio (professione di fede personale, storia di una conversione), quanto la coerenza della narrazione e la ‘morale’ di cui si fa eventualmente portatrice. Sul secondo punto si cercherà di dire qualcosa più avanti; del primo non c’è modo di dubitare, in quanto la scrittura apuleiana è sorvegliata e coerente nell’ultimo come nei dieci libri precedenti. Se torniamo al testo, possiamo prendere atto che la visione si completa con l’intervento della dea. L’inizio è sorprendente e teologicamente poco convenzionale (Met. , , : En adsum tuis commota, Luci, precibus), se ricordiamo come gli dèi dell’Olimpo classico o lo stesso dio sommo del medioplatonico Apuleio sono lontani ed esenti da ogni contatto col mondo di quaggiù e da ogni partecipazione commossa alle umane (o, peggio ancora, asinine) sofferenze. Se il De deo Socratis apuleiano insegna, sì, che il dio supremo è libero da ogni forma di passionalità, insegna altresì che esistono i démoni, divinae mediae potestates (e tra queste Osiride) che assicurano mediazione tra i due poli, altrimenti incomunicabili, dell’universo ; e si è visto come il medioplatonico Plutarco . Le ekphraseis per lo più descrivono un’opera d’arte o un’effigie documentata; e non è impossibile pensare a una statua di culto della dea, anche alla luce delle immagini giunte fino a noi: vd. per es. l’iconografia raccolta in Arslan . Per eventuali influenze ovidiane vd. Nicolini . . Oltre a Harrison a, vd. per es. Libby . . Apul. De deo Socratis -, : debet deus nullam perpeti vel odii vel amoris temporalem perfunctionem et idcirco nec indignatione nec misericordia contingi, nullo . Tra Platone e Iside [. . . ]  assegni a Iside e a Osiride la natura originaria di démoni buoni ( δαίμονες ἀγαθοί). Alla luce delle forze demoniche che agiscono tra cielo e terra, Iside può fare la propria comparsa quaggiù, almeno in sogno, e intervenire nelle vicende umane; allora l’inizio del discorso della dea suona meno sorprendente e lo stesso si può dire della formula iterata in Met. , , : Adsum tuos miserata casus, adsum favens et propitia . Tra le due formule viene scandita l’aretalogia di Iside , mentre la successiva polyonymia sacra assomma e riassume nella figura della dea tutte le divinità femminili del pantheon tradizionale e vale a celebrare l’unità del divino che governa il cosmo . Apre per prima la serie delle prerogative divine scandite da cola a cadenza innodica (e sempre un po’ lucreziana): Iside si presenta come rerum naturae parens, / elementorum omnium domina, / saeculorum progenies initialis, / summa numinum, / regina manium, / prima caelitum, / deorum dearumque facies uniformis, / quae caeli luminosa culmina, / maris salubria flamina, / inferum deplorata silentia / nutibus meis dispenso (Met. , , ). Cerniera con quanto segue è l’affermazione che Iside è nume unico venerato ovunque in multiformi aspetti, con riti di vario tipo, sotto nomi diversi (cuius numen unicum multiformi specie, ritu vario, nomine multiiugo totus veneratur orbis): i Frigi la venerano come Madre degli dèi (Cibele), gli angore contrahi, nulla alacritate gestire, sed ab omnibus animi passionibus liber nec dolere umquam nec aliquando laetari nec aliquid repentinum velle vel nolle. Sed et haec cuncta et id genus cetera daemonum mediocritati rite congruunt. Sunt enim inter nos ac deos ut loco regionis ita ingenio mentis intersiti, habentes communem cum superis inmortalitatem, cum inferis passionem. Nam proinde ut nos pati possunt omnia animorum placamenta vel incitamenta, ut et ira incitentur et misericordia flectantur et donis invitentur et precibus leniantur et contumeliis exasperentur et honoribus mulceantur aliisque omnibus ad similem nobis modum varient. . Vd. a proposito dell’intervento della dea Fick ; Méthy . . Sulla nozione di aretalogia e i principali documenti isiaci vd. Reitzenstein ,  sgg.; Kiefer ; Müller ; Bergman ; Longo ; Mora II, , -. Sui rapporti con la narrativa vd. Weinreich ; Merkelbach ; Beck . . Vd. Griffiths ,  sgg., in particolare sulla compresenza di sincretismo politeistico e di orientamento monoteistico. Vd. altresì Versnel . Per le divinità egizie dai molti nomi vd. Bricault .  Rileggendo Petronio e Apuleio abitanti dell’Attica come Minerva , quelli di Cipro come Venere, i Cretesi come Diana Dictinna, i Siculi come Proserpina, gli abitanti di Eleusi come Cerere; altri come Giunone o Bellona o Ecate oppure come Nemesi; ma sono gli Etiopi e gli Egiziani a celebrare la dea con le cerimonie del suo culto e a chiamarla vero nomine Isidem reginam (Met. , , ; clausola in responsione al regina caeli dell’inizio della preghiera alla Luna) . Di passaggio si può osservare come, in modo speculare alla concentrazione sulla figura di Iside dell’intera galleria delle divinità femminili del mondo classico, più di un tratto dell’immaginario sacro relativo a Iside possa confluire su divinità olimpiche. Stando a Met. , , -, per esempio, nella preghiera di Psyche a Giunone la dea è invocata con epiclèsi diverse (Zygia, Lucina, Sospita) in base alle funzioni e ai santuari di pertinenza. Più marcato è il sincretismo di derivazione isiaca nell’invocazione di Odisseo ad Atena che si legge in un papiro greco d’Egitto (III sec. d.C.): «O baluardo glorioso, grande tra gli dèi, / o nata dalla testa, Pallade, germoglio del cielo, / dea portatrice d’armi, dea dallo sguardo funesto, dea che ha ucciso la Gorgone, / dea dallo scudo di luce, dal petto col segno del serpente, dalla destra armata di lancia, / dea della bella armatura, dal maschio sguardo e dai malleoli cinti di calzari, / dea senza sposo – ché hai dimora in luogo senza nozze – / vergine nata da parto virginale, / tu porti, onnipotente, i raggi di Titano / nello splendore del tuo capo, il disco della luna / nelle tue gote divine e il mondo nelle tue braccia! / Tu sei l’universo; grazie a te io vedo luce di vita. / Con te vicino saprei sfuggire anche all’ira degli dèi» . Qui la molteplicità degli epiteti non solo compendia i miti, e i relativi . I nomi delle divinità menzionati da Iside sono in funzione di un pubblico romano. . Vd. Merkelbach . . Vd. Gianotti . Il testo del papiro (PKöln VI ) si può utilmente accostare al mosaico proveniente da Tuscolo, ora nella Sala a Croce Greca dei Musei Vaticani, datato al III-IV sec. d.C. e raffigurante Minerva e le fasi della luna (vd. Boitani , figura ; passi apuleiani che qui interessano compaiono a p.  e in n.  di p. ). Situazione analoga in Lucian. De dea Syria , dove Atargatis è assimilata a Hera, Atena, Afrodite, Selene, Rea, Artemide, Nemesi. . Tra Platone e Iside [. . . ]  spunti narrativi, della dea, ma anche ne amplia le prerogative e offre di Atena l’immagine di una divinità universale con tratti di teologia solare e di nume cosmocratore, alla stessa stregua – si direbbe – di Iside della religione egiziana e della descrizione apuleiana. Si può anticipare a questo punto che le litanie di Iside troveranno contrappunto nella preghiera rivolta alla dea da Lucio ormai iniziato ai sacri misteri (Met. , , -: Tu quidem , sancta et humani generis sospitatrix perpetua etc.). Ma se restiamo al termine dell’autopresentazione, sentiamo Iside promettere tempestiva liberazione: annuncia infatti che iam tibi providentia mea inlucescit dies salutaris. La rinascita di Lucio-uomo avverrà all’alba del nuovo giorno, in coincidenza con la festa del Navigium Isidis . Vengono precisate le modalità della retro-metamorfosi entro la cornice della cerimonia: meo monitu sacerdos in ipso procinctu pompae roseam manu dextera sistro cohaerentem gestabit coronam. Incunctanter ergo dimotis turbulis alacer continuare pompam mea volentia fretus et de proximo clementer velut manum sacerdotis osculabundus rosis decerptis pessimae mihique iam dudum detestabilis belvae istius corio te protinus exue. Ma il ritorno all’umanità non si limita al ripristino della situazione di partenza: si prospetta infatti la necessità dell’iniziazione religiosa come ‘prezzo’ del riscatto e condizione di futura felicità. Il recupero dell’umanità e il nuovo status di fedele isiaco permetteranno a Lucio di vivere beatus e gloriosus sotto la tutela di Iside, col risultato di consegnare al contesto religioso egiziano una prospettiva derivante dalla riflessione platonica sui possibili margini d’integrazione tra vita attiva e vita contemplativa (Met. , -). Prima di continuare, non è forse inutile una breve parentesi sulla tradizione interpretativa di sogni e apparizioni delle divinità dell’Egitto, considerato che lungo tutto l’XI libro i so. Informazioni, problemi di datazione e bibliogr. sulla festa in Merkelbach ,  sgg.; Malaise ,  sgg.; Dunand ,  sgg.; Griffiths ,  sgg. In generale vd. Bricault, Versluys  e ; Bricault .  Rileggendo Petronio e Apuleio gni si moltiplicano e Iside prima poi Osiride comunicano col mondo degli uomini attraverso sogni e visioni notturne . Già secondo i Pitagorici – a dar retta al grammatico Alessandro Poliistore (I sec. a.C.) – «l’aria intera è piena di anime, venerate come démoni ed eroi; sono loro a inviare sogni e presagi agli uomini» . Come si è già avuta occasione di dire, la demonologia medioplatonica riprende e sviluppa il tema delle forze mediatrici dell’universo. Ora si può aggiungere che anche sogni e visioni fanno parte del corredo di comunicazione di cui sono responsabili le forze demoniche e di cui sono destinatari gli esseri umani. Una scorsa agli Onirocritica di Artemidoro di Daldi, sorta di cronaca notturna della società imperiale del II secolo (l’altra metà della storia, dunque), permette di osservare come anche per l’interprete laico il sogno di divinità egizie, ormai integrate tra gli dèi del pantheon greco-romano (, ), rivesta funzione liberatrice, in quanto «Serapide, Iside, Anubi e Arpocrate, in persona o le loro statue, i loro misteri e ogni mito che riguarda loro e gli dèi venerati negli stessi templi e sugli stessi altari, annunciano sconvolgimenti, pericoli, minacce e difficoltà, da cui traggono poi in salvo contro ogni attesa e speranza. Infatti si è sempre ritenuto che queste divinità fossero i salvatori di chi ha toccato il fondo e si trova in situazione di estremo pericolo» (, ) . In buona sostanza, Apuleio conferma i dati dell’oniromantica alla luce dei poteri cosmici attribuiti a Iside da inni e aretalogie: si conferisce così nuova dimensione alla convenzione del deus ex machina che, rispetto alle rigide applicazioni del romanzo greco, trova giustificazione in un patrimonio di credenze diffuso nella società. In merito Apuleio è ben documentato, così come si rivela attento esploratore della . Vd. Annequin ; Gollnick ; Hunik ; Carlisle ; Frangoulidis . Sui sogni dell’XI libro discussione e riferimenti bibliografici si leggono in Griffiths ,  e . . Alex. Polyhist fr. a DK. Vd. Guidorizzi . . Sulla funzione terapeutica e liberatrice di Iside nell’attività onirica cfr. Diod. ,  e la tradizione egiziana discussa da Sauneron , -. Vd. anche Barrígon Fuentes . . Tra Platone e Iside [. . . ]  realtà quotidiana della vita provinciale: tale atteggiamento non implica necessariamente un’esperienza personale di fede, ma segnala la preoccupazione di adeguare il racconto dell’uomoasino, col suo intreccio di mirabilia e paradigmi morali, ai livelli delle esperienze religiose e agli orizzonti culturali dei possibili destinatari . .. Al servizio di Iside Ora si può proseguire. Nello spazio intercalato tra la rivelazione notturna di Iside e la retro-metamorfosi di Lucio al fine di accrescere l’attesa del beneficium divino (segno di abilità retorica più che manifestazione di fede), il testo è occupato da triplice serie ecfrastica, la prima sul rinnovamento primaverile del paesaggio nel giorno sacro, il  marzo (Met. , ) , la seconda sui preparativi (Met. , ) e infine la terza sullo svolgimento della processione del Navigium Isidis (Met. , -). Nel primo caso, antifrastico a Met. ,  (all’alba del primo giorno in Tessaglia, terra magica, a Lucio tutto appare in preda a metamorfosi: pietre, uccelli, alberi, fonti, costruzioni e animali sembrano assumere nuova vita per incantesimo), si delinea una topographia dal trasparente simbolismo: il sorgere del sole nel giorno festivo trasfigura il paesaggio (Met. , , : tantaque hilaritudine praeter peculiarem meam gestire mihi cuncta videbantur, ut pecua cuiusce modi et totas domos et ipsum diem serena facie . Turcan , discutendo Merkelbach , sostiene che i materiali religiosi dei romanzi antichi riflettono gli interessi più del pubblico che degli autori. Il dio di Apuleio è il dio ineffabile dei platonici di cui parla negli scritti filosofici; l’interesse per l’isismo va inteso alla luce dei margini di conciliabilità con le dottrine platoniche, ma non sembra vera conversio, come invece crede la maggioranza della critica. In merito si condivide lo scetticismo di Fredouille ,  sgg., e di Solmsen , -. Anche Gagliardi , -, esclude un fine mistico per le Metamorfosi. . Sulla funzione del topos del locus amoenus, dalla formulazione di E. Curtius in poi, vd. A. Pennacini, Amore e canto nel locus amoenus (), in Pennacini ; Mattiacci ; De Biasi  ; Paschalis, Frangoulidis ; Puccini Delbey ; König . Ampio materiale in Schönbeck .  Rileggendo Petronio e Apuleio gaudere sentirem) e anticipa la soluzione positiva della vicenda. Attingendo da una ricca tradizione poetica (in particolare, bucolica), Apuleio accumula sulla spiaggia di Cenchreae una serie di ingredienti topici (luce del sole che vince le tenebre e la brina notturna, canto degli uccelli, dolci soffi di vento e delicato stormire di fronde novelle, calma delle acque ...). Si assiste così a una singolare variazione del locus amoenus, sottratto all’originaria dimensione pastorale e finalizzato alla nuova situazione, in piena sintonia tra bellezza del paesaggio e cerimonia sacra, tra serenità dell’atmosfera e rinascita del protagonista. Problema a sé è costituito dalla seconda ekphrasis, dalla descrizione del gruppo mascherato che precede il corteo e funge da preludio alla cerimonia. «Ecco avanzare lentamente il preludio della solenne processione: un gruppo mascherato in modo bellissimo, secondo il gusto e l’intenzione di ciascuno dei suoi membri. Il primo, con un balteo a tracolla rappresentava un soldato; il successivo, quello con la corta clamide, aveva assunto l’aspetto di un cacciatore grazie ai calzari e agli spiedi che portava; un altro con sandali dorati, vestito d’una veste di seta, carico di ninnoli preziosi e coperto da una parrucca, avanzava con languidi passi, facendo la parte di una donna. Poco lontano, un altro ancora si distingueva per schinieri, scudo, elmo e spada tanto da sembrare appena uscito da una scuola di gladiatori. Né mancava quello che rappresentava un magistrato con i fasci e la porpora, né chi si era travestito da filosofo col mantelluccio, il bastone, i sandali di legno e una barba caprina; altri due poi, muniti di canne di diversa misura, rappresentavano l’uno un cacciatore con le sue panie, il secondo un pescatore con i suoi ami. Io vidi anche un’orsa addomesticata che addobbata come una matrona veniva portata in portantina, e una scimmia con un berretto in capo e con addosso una veste gialla di foggia frigia che a guisa del pastore Ganimede teneva in mano una coppa d’oro; e vidi ancora un asino a cui avevano appiccicato delle ali sulla groppa e che seguiva un vecchio spossato: avresti detto l’uno Bellerofonte e l’altro Pegaso, ma avresti riso di entrambi» (Met. , ). . Tra Platone e Iside [. . . ]  La scena degli anteludia, spettacolo nello spettacolo, evidenzia in forma mimetica come nel quadro dell’isismo, sotto il patrocinio di una divinità dai molti nomi, dai multiformi aspetti e dalle molteplici funzioni, trovino ospitalità i diversi tipi umani e le diverse categorie sociali, dal gladiatore al magistrato, dal soldato al cacciatore e al pescatore, dalla donna al filosofo da strada. Si tratta di figure di derivazione letteraria che sembrano garantire l’universalità del culto isiaco: basti pensare alle diverse forme di vita che, stando a Properzio , , può assumere Vertumnus, il dio del vertere e della metamorfosi, capace di racchiudere in sé tutte le esistenze che compongono la società (uomo, fanciulla, agricoltore, soldato, mietitore, Bacco, Febo, cacciatore, Fauno come uccellatore, auriga, acrobata, pescatore, mercante, pastore, ortolano) . Insomma: come il Vertumnus di Properzio rappresenta l’intera comunità romana, così gli anteludia apuleiani sintetizzano la variegata umanità della dimensione isiaca. In particolare, la donna (l’uomo mascherato da donna di rango) ottiene cittadinanza nella rassegna di Lebensbilder, di solito maschili, in forza dei ruoli femminili presenti nel culto di Iside ; il filosofo, per lo più contrapposto agli altri generi di esistenza nelle meditazioni sulla forma migliore di vita, qui si unisce ai seguaci della religione egiziana, espressioni di tutte le categorie sociali, come confermano i gruppi degli iniziati che fanno parte della processione vera e propria: tunc influunt turbae sacris divinis initiatae, viri feminaeque omnis dignitatis et omnis aetatis (Met. , , ). Infine, i tre animali, icone di miti astrali (Ganimede, Pegaso, Calisto), alludono in registro comico ai processi metamorfici di ogni itinerario che muova verso il divino . . Vd. Boldrer ; Bettini . . Sul tema dei Lebensbilder vd. almeno Grilli ; Joly ; Vickers  . Sulla presenza femminile nel culto isiaco vd. Heyob . . Ripropongo in parte considerazioni prospettate in altra occasione (Gianotti , -); in generale si rinvia ai saggi raccolti da Gasperini, Veymiers . Per Harrison  il gruppo mascherato costituirebbe una ricapitolazione simbolica dei momenti cruciali dell’intera trama e confermerebbe «the narrative continuity  Rileggendo Petronio e Apuleio Tra questi divertimenti popolari (inter has oblectationes ludicras popularium) prende finalmente il via la grande processione isiaca, oggetto di descrizione dettagliata – la terza ekphrasis – che si snoda per tre capitoli (Met. , -) e aumenta la sustentatio ritardando il momento del ritorno all’umanità del protagonista. Sotto gli occhi del lettore, da sempre ‘spettatore’ avvezzo alle scene di massa care ad Apuleio, sfilano schiere di donne in candide vesti, portatori di lumi, flautisti e cori di giovanetti, iniziati e sacerdoti, immagini divine di Anubi, Iside e Osiride col corredo dei rispettivi oggetti sacri . Al termine della descrizione (poco importa se frutto di esperienza diretta o accumulo di particolari combinati a tavolino), il racconto ritorna nell’alveo della storia di Lucio e presenta il tanto atteso incontro tra il quadrupede e l’antidoto delle rose. Il lido di Cenchreae affollato di devoti di Iside è sede non meno frequentata del circo di Corinto (dove avviene la rinascita del protagonista della versione greca, con qualche rischio per il personaggio tornato alla condizione umana), ma è cornice certo più idonea per il beneficium della provvidenza divina e il miraculum della fine dello stato bestiale, nella prospettiva d’una nuova esistenza sotto la tutela salvifica e beatificante della dea. Ecco: l’asino umano sembra abbandonare definitivamente moti d’animale e si accosta placido et prorsus humano gradu a uno dei sacerdoti che, avvertito in sogno da Iside, offre una corona di rose, simbolo di vittoria sulla Fortuna avversa (Met. , , -). Se i passi dell’asino sono ormai umani, non può tuttavia mancare una divertita e divertente concessione estrema ai trascorsi animaleschi, giocata un attimo prima del ritorno nel mondo degli uomini. Davanti alle rose, infatti, l’ansia di salvezza fa sì che per l’ultima volta sull’uomo interiore abbia la meglio l’animale, che finisce per divorare con avidità l’intera corona di fiori: Tunc ego trepidans, adsiduo cursu micanti corde, coronam, quae rosis amoenis intexta fulgurabat, avido between Books - and Book ». Per una lettura unitaria vd. Wlosok . Alla schiera dei critici antiseparatisti appartiene, per es., Frangoulidis . . Sulle singole componenti della processione è da vedere Griffiths , -. . Tra Platone e Iside [. . . ]  ore susceptam cupidus promissi devoravi (Met. , , ). Sarebbe bastato molto meno per ottenere l’effetto desiderato, se si pensa alla raccomandazione di Fotide in Met. , ,  (rosis tantum demorsicatis exibis asinum statimque in meum Lucium postliminio redibis) e alle parole di Iside in Met. , ,  (clementer velut manum sacerdotis osculabundus rosis decerptis ... belvae istius corio te protinus exue). Si noti: mentre Fotide, esperta di piccole magie fallimentari, ha promesso soltanto il ripristino della condizione precedente, vale a dire il ritorno al «mio Lucio di prima», il potere teurgico di Iside reclama la consacrazione della nuova esistenza di Lucio: Plane memineris et penita mente conditum semper tenebis mihi reliqua vitae tuae curricula adusque terminos ultimi spiritus vadata. Nec iniurium, cuius beneficio redieris ad homines, ei totum debere, quod vives (Met. , , ). Tale obbligo, connesso al cambiamento operato dalla retro-metamorfosi , è ribadito dal discorso che il sacerdote isiaco rivolge a Lucio, dopo che il protagonista ha recuperato la figura umana coram populo e senza rischio alcuno (come Iside ha annunciato in Met. , , ): da nomen sanctae huic militiae, cuius non olim sacramento etiam rogaberis, teque iam nunc obsequio religionis nostrae dedica et ministerii iugum subi voluntarium. Nam cum coeperis deae servire, tunc magis senties fructum tuae libertatis (Met. , , ). Sono queste le battute finali di un discorso rivelatore cui spetta il compito di spiegare il senso dell’intera vicenda e di portarne alla luce il valore paradigmatico. Certo, non si tratta del discorso sacro di Pitagora che occupa quasi tutto l’ultimo libro delle Metamorfosi ovidiane e insegna che omnia mutantur e che l’anima, pur restando sempre la stessa, migra in varias figuras; certo, non si tratta di un discorso profetico di dimensione cosmica che predica la legge della trasformazione continua di esseri viventi e natura fino al traguardo finale del regno di Augusto in cui si placa la vicenda generale delle forme e si realizza l’ordine definitivo del mondo. . Parallela e specularmente opposta alla prima metamorfosi nelle scansioni narrative: cfr. Met. , , - con Met. , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio Tuttavia, nelle parole del sacerdote isiaco, la vicenda privata di Lucio acquista valenza esemplare e i processi metamorfici si risolvono in esito positivo a contatto con le forze divine che governano il cosmo. Intanto – dice il sacerdote – la libertà riconquistata si fa tutt’uno con il servitium alla dea, garanzia di beatitudo per chi si lasci alle spalle il disordine del mondo sensibile, sottoposto – quello sì – a incessante mutazione. Un mondo dalle apparenze ingannevoli, dove non valgono né natales né dignitas né doctrina di giovani e sconsiderati scholastici, dove ci si abbassa a serviles voluptates (gli amori con la servetta Fotide) e a dannose curiosità con risultati disastrosi ; dove si vive schiavi, tra mille pericoli, in balía del caso (Met. , ,  e ): un mondo, tuttavia, che ammette transiti alla sfera divina e che non è irriducibile ai disegni provvidenziali. Infatti, in mezzo al disordine del mondo di quaggiù, Iside agisce come portatrice di quiete e salvezza: chi viene chiamato al suo servitium, non conosce casus infestus; dal dominio della Fortuna cieca passa sotto la protezione della Fortuna veggente (Isis-Tyche) e al cospetto degli inreligiosi dà testimonianza del potere provvidenziale della dea (Met. , , -) . Le rose di Iside, dunque, cancellano la dira facies del somaro, riconsegnano a Lucio le fattezze umane e segnano l’inizio di una nuova vita. Tornato al mondo degli uomini – nudo come nel momento della nascita, ma subito ricoperto con sollecitudine dalla tunica di un devoto perbenista – . Sul tema della libertà perduta e riconquistata che attraversa tutti i libri dell’opera apuleiana si insiste nei due primi capitoli di Gianotti . Mette conto segnalare che Wittmann , -, a proposito di dipendenza e del lessico servile che designa il fedele isiaco, parla di stridente contraddizione tra i valori romani e religione di Iside: analisi pesantemente inficiata dal clima ideologico della Germania tra le due guerre e pronta a denunciare l’inquinamento dei valori occidentali da parte delle religioni orientali (con la loro morale da schiavi). . Cfr. Met. , ,  (nec tibi natales ac ne dignitas quidem, uel ipsa, qua flores, usquam doctrina profuit, sed lubrico uirentis aetatulae ad serviles delapsus curiositatis inprosperae sinistrum praemium reportasti) con Met. , ,  (in servilem modum addictum atque mancipatum); vd. Sandy ; Penwill . . Per questi aspetti e per la nozione di provvidenza si possono vedere Domingues ; Graverini ; Montiglio , -. . Tra Platone e Iside [. . . ]  il protagonista prende parte alla processione, assiste compunto al varo del Navigium Isidis e all’intera cerimonia, che viene descritta – manco a dirlo – con dovizia di dettagli e che si completa con tanto di voti augurali nei confronti dell’imperatore e del popolo romano a suggello del ritorno alla navigazione dopo l’interruzione invernale (Met. , -). Ma prima delle formule ufficiali rivolte alla divinità titolare dell’ordine cosmico e all’autorità politica titolare dell’ordine della società imperiale, Lucio è oggetto di un vero e proprio makarismos da parte dei fedeli presenti: Felix hercule et ter beatus , qui vitae scilicet praecedentis innocentia fideque meruerit tam praeclarum de caelo patrocinium ut renatus quodam modo statim sacrorum obsequio desponderetur (Met. , , ) . Si tratta di una prima forma di accoglienza tra i devoti di Iside, ma i lettori che conoscono la storia non possono fare a meno di avvertire una punta di malizioso divertimento d’autore sulla presunta innocenza e sui meriti presunti della vita pregressa di un personaggio renatus – termine destinato a fortuna nel mitraismo e nel cristianesimo – a nuova esistenza al termine di esperienze asinine. La rinascita di Lucio-uomo, a ben vedere, non rappresenta netta cesura col passato, in quanto c’è tempo per un sommario ricordo dei trascorsi (Met. , , : pristinos casus meos recordabar), per l’incontro con parenti e amici (Met. , , ), per il recupero del servo e del candido cavallo abbandonati in quel di Hypata (Met. , , -), infine per un rapidissimo ritorno alla casa paterna di Corinto dopo la prima iniziazione alla vigilia del . L’effetto moltiplicatore della presenza numerica è frequente nelle beatitidini (per es. terque quaterque beati dice, in Aen. , , Enea dei Troiani morti a Troia), ma qui non si può escludere un’allusione anticipatrice alle future tre iniziazioni di Lucio; cfr. infatti le parole di Osiride in Met. , , -: Nihil est – inquit - quod numerosa serie religionis, quasi quicquam sit prius omissum terreare. Quin adsidua ista numinum dignatione laetus capesse gaudium et potius exsulta ter futurus, quod alii vel semel vix conceditur, teque de isto numero merito praesume semper beatum. [...] Quid felix itaque ac faustum salutareque sit, animo gaudiali rursum sacris initiare deis magnis auctoribus. . Di qui in avanti può soccorrere Blanton IV . . Cfr. anche Met. , ,  (cum numen deae soleat ... sua providentia quodam modo renatos ad novae reponere rursus salutis curricula). Vd. per es. Chirassi Colombo .  Rileggendo Petronio e Apuleio viaggio alla volta di Roma (Met. , , ). Ma è soprattutto sul futuro del personaggio, sull’itinerario che porta a compimento quanto richiesto da Iside, che ora il racconto si concentra, segnando tappe e progressi di Lucio nell’itinerario dell’iniziazione isiaca. La successione cronologica è giocata su costante tensione tra impatientia del giovane e sapienti dilazioni da parte del sommo sacerdote, che porta un nome non casuale, Mithras, legato a quello di Lucio da comune sorte astrale (Met. , , ), a stabilire – si sarebbe tentati di dire – rapporti e connessioni con altri culti solari in forza di aspetti confrontabili in tema di ascese raggianti di luce . Tale tensione viene regolata da una sorta di regia onirica (Met. , , : nec fuit nox una vel quies aliqua visu deae monituque ieiuna) che vede la teurgia demonica di Iside operare direttamente nel mondo degli uomini, secondo tempi certi e opportuni per la correttezza della procedura iniziatica. Tra l’altro, la dilazione permette di risolvere un problema non secondario che concerne il reperimento delle risorse finanziarie (oblationes familiari) indispensabili per superare la fase di apprendistato e assicurare l’ammissione tra gli effettivi iniziati al culto isiaco. Una visione notturna della dea – manco a dirlo – annuncia che il gran giorno è finalmente giunto e indica, con precisione contabile, la somma necessaria per la cerimonia (Met. , , -: noctis obscurae non obscuris imperiis evidenter monuit advenisse diem mihi semper optabilem, quo me maximi voti compotiret, quantoque sumptu deberem procurare supplicamentis). Allora anche Mithras, a sua volta sull’avviso per via onirica, può salutare Lucio con le parole della seconda, non maliziosa, beatitudine: O – inquit – Luci, te felicem, te beatum, quem propitia voluntate numen augustum tantopere dignatur ... Adest tibi dies votis adsiduis exoptatus, quo deae multinominis divinis imperiis per istas meas manus piissimis sacrorum arcanis insinueris (Met. , , -). . Vd. Beck . Che si tratti d’intenzionale spunto sincretistico col mitraismo suggerisce Griffiths ,  sg. Non a caso anche il mitraismo ha conosciuto, in ambito greco, forme di assimilazione alle dottrine platoniche: vd. per es. Turcan . . Tra Platone e Iside [. . . ]  L’iniziazione, connubio di voluntaria mors e precaria salus (Met. , , ), può dunque aver luogo. Trascorsi i prescritti dieci giorni di astinenza e digiuno, sorge l’undecimo giorno divino destinatus vadimonio: il protagonista viene ammesso nei penetrali del tempio di Cenchrae e iniziato ai misteri del culto isiaco. Il momento, ovviamente, è solenne e i lettori – di ieri e di oggi – attendono legittimamente di conoscere i dettagli dell’operazione religiosa, avvezzi come sono a descrizioni minuziose e particolareggiate. Responsabile primo di aspettative simili in quanto generate dalle scelte della comunicazione adottate dal racconto, Apuleio gioca con il proprio pubblico, sollecitando egli stesso una curiosità specifica cui finisce per dare risposte generiche. In proposito il testo non lascia dubbi. Dapprima la persona loquens si rivolge al lector studiosus, ne vellica il desiderio di conoscenza, ma contestualmente ribadisce l’impegno di segretezza e il carattere di indicibilità che riguardano questioni di natura misterica (Met. , , : Quaeras forsitan satis anxie, studiose lector, quid deinde dictum, quid factum; dicerem, si dicere liceret, cognosceres, si liceret audire. Sed parem noxam contraherent et aures et lingua, <ista impiae loquacitatis> , illae temerariae curiositatis). Tuttavia, si ammette che il lettore possa meritare qualche concessione e si riassume l’esperienza mistica mediante formule sommarie che accomunano i misteri di Iside a qualsiasi altra cerimonia iniziatica menzionata dalle fonti antiche (Met. , , : Nec te tamen desiderio forsitan religioso suspensum angore diutino cruciabo. Igitur audi, sed crede, quae vera sunt. Accessi confinium mortis et calcato Proserpinae limine per omnia vectus elementa remeavi, nocte media vidi solem candido coruscantem lumine, deos inferos et deos superos accessi coram et adoravi de proximo) . Ecco: viaggio cosmico attraverso la totalità degli . L’integrazione si deve all’olandese Johannes van der Vliet (-) ed è accolta nell’ed. di D.S. Robertson; invece Maaike Zimmerman accoglie la proposta di Lara Nicolini (in «Philologus» , , -) e stampa <illicitae intemperantiae ista>. . Vd. per es. Griffiths ,  sgg.; Bergman ; Merkelbach ; Takács ; Keulen . Anche chi è propenso a credere vere le affermazioni del testo,  Rileggendo Petronio e Apuleio elementi, visione complessiva e simultanea di luce e tenebra e di morte e vita, adorazione diretta di dèi inferi e superi: certo, è anche possibile sostenere che un’esperienza del genere rappresenti una via alla perfezione , ma sarebbe difficile – a ben vedere – accontentarsi di qualcosa di meno dopo una così lunga preparazione dell’evento religioso; e sarebbe altrettanto difficile sostenere che qui faccia capolino l’effettiva rivelazione di indicibili segreti, la manifestazione pubblica e documentata dei riti occulti dell’isismo. In effetti, la rivelazione è di altro tipo e riguarda il paradossale gioco retorico tra praeteritio e reticentia, tra dire e non dire, almeno a giudicare dal modo in cui si chiude l’apostrofe al lector invano studiosus: Ecce tibi rettuli, quae, quamvis audita, ignores tamen necesse est. ergo quod solum potest sine piaculo ad profanorum intellegentias enuntiari, referam (Met. , , ) . Così, esercitato il debito controllo su quanto è possibile divulgare senza commettere sacrilegio, si può riferire quanto è di pubblico dominio nel triduo successivo alla notte dei veri misteri (rimedio ai falsi misteri della notte di Hypata), vale a dire la dettagliata ostensione del mystes circondato dai sacri paramenti e dagli atti di culto richiesti dal nuovo statuto religioso assunto dal personaggio (Met. , ). .. Da Iside a Osiride, da Corinto (e da Madauro) a Roma Dire, non dire, non poter dire: che gli snodi principali della narrazione, più che nella documentazione religiosa, siano da ravvisare nell’intreccio sapiente e iterato di figure di parole e di riprese letterarie, mostra la preghiera rivolta da Lucio a Iside non manca di sottolineare generiche affinità con altri riti misterici. . Vd. per es. Bierl . . Cautela di sapore virgiliano: cfr. Aen. , -, prima dell’accesso di Enea agli Inferi (Di, quibus imperium est animarum, umbraeque silentes / et Chaos et Phlegethon, loca nocte tacentia late, / sit mihi fas audita loqui, sit numine vestro / pandere res alta terra et caligine mersas). . Tra Platone e Iside [. . . ]  alla vigilia del breve e non definitivo ritorno a casa . Il testo merita attenzione, organizzato com’è secondo lo schema della Priamel-Formula scandita da anafora di pronomi e aggettivi di seconda persona singolare in poliptoto (Tu sancta et humani generis sospitatrix perpetua / ne momentum quidem tenue tuis transcurrit beneficiis otiosum / Te superi colunt ... / Tibi respondent sidera ... / Tuo nutu spirant flamina ... / Tuam maiestatem perhorrescunt aves ... ferae ... serpentes ... belvae) e chiusa dalla prima persona dell’orante (At ego ... / Ergo ... pauper alioquin efficere curabo ...), che denuncia duplice difficoltà: la propria incapacità di esaurire a parole le lodi della dea, il limite della propria paupertas che impedisce di destinare maggiori risorse al servitium divino (Met. , ). Come si vedrà, il motivo della povertà, riproposto subito dopo a proposito dei rapporti col sacerdote dell’iniziazione (Met. , , : veniam postulabam, quod eum condigne tantis beneficiis munerari nequirem), farà ritorno più avanti, quando Lucio arriverà a Roma. Altro preme però segnalare a questo punto: come si è accennato, questa preghiera fa da contrappunto speculare alla presentazione di Iside di Met. , , senza perdere le movenze lucreziane che, anzi, sono rafforzate dalla ripresa del Du-Stil innodico presente nel proemio del I e del III libro del De rerum natura (inno a Venere, encomio di Epicuro). Si è altresì detto, a proposito dell’apparizione notturna di Iside sulla spiaggia di Cenchrae, che l’Io narratore, riecheggiando il topos dell’aporia del poeta, ha lamentato la paupertas oris humani , inadeguata a descrivere, senza aiuto divino, il meraviglioso spettacolo della figura della dea. Ebbene, in chiusa di preghiera il motivo della paupertas . Vd. Pasetti ; La Barbera . . Con Priamel (o Priamelform, o Priamel-Formula), sostantivo tedesco coniato sul lat. praeambulum, si designa un procedimento stilistico costituito da una serie esemplificativa (Beispielreihung) impiegata come figura paratattica di pensiero per mettere in luce elementi comuni a nozioni diverse poste a confronto secondo gerarchie di valori ufficiali o personali; la chiusa può essere affidata a formule contrastive del tipo alius (tu) / ego. Vd. Schmid ; Race . . Eco di Lucr. , -: nec nostra dicere lingua / concedit nobis patrii sermonis egestas. Vd. Fögen .  Rileggendo Petronio e Apuleio riguarda sia il patrimonium sia l’ingenium di Lucio, che aggiunge una divertita esagerazione letteraria sull’eloquio infinito e sul numero di bocche e lingue indispensabili per celebrare degnamente la grandezza della dea: At ego referendis laudibus tuis exilis ingenio et adhibendis sacrificiis tenuis patrimonio; nec mihi vocis ubertas ad dicenda, quae de tua maiestate sentio, sufficit nec ora mille linguaeque totidem vel indefessi sermonis aeterna series (Met. , , ). Apuleio, che pure in altra occasione ha evocato – sulla scorta di Platone – la penuria sermonis humani a dire l’ineffabile maestà del sommo dio , sta giocando qui con la tradizione epica e conferma anche in questo dettaglio come la narrativa antica sia succedanea ed erede degradata del poema eroico. Il modello illustre risale al II libro dell’Iliade, al passo omerico dell’invocazione alle Muse e della dichiarazione d’impotenza del cantore che precede il Catalogo delle Navi greche a Troia: «Ora ditemi, Muse che avete dimora in Olimpo, – voi siete dee, siete ovunque e tutto sapete, mentre noi ascoltiamo solo la fama e nulla sappiamo – ditemi chi erano le guide e i capi dei Danai; della moltitudine non parlerò né dirò i nomi, neppure se avessi dieci lingue o dieci bocche, voce infaticabile e cuore di bronzo nel petto ( οὐδ’ εἴ μοι δέκα μὲν γλῶσσαι, δέκα δὲ στόματ᾿ εἶεν, / φωνὴ δ’ἄρρηκτος, χάλκεον δέ μοι ἦτορ ἐνείη): solo le Muse d’Olimpo, figlie di Zeus egioco, potrebbero ricordare quanti vennero sotto le mura di Ilio; io dirò tutti i condottieri e tutte le navi» (Iliade , -). Dieci lingue e dieci bocche, dunque, non basterebbero al cantore omerico, imitato a Roma – quanto a numero di lingue – da Ennio nel VI libro degli Annales (- Skutsch: non si lingua loqui saperet . Apul. De deo Socratis ,  (Quorum parentem, qui omnium rerum dominator atque auctor est, solutum ab omnibus nexibus patiendi aliquid gerendive, nulla vice ad alicuius rei munia obstrictum, cur ergo nunc dicere exordiar, cum Plato caelesti facundia praeditus, aequiperabilia diis inmortalibus disserens, frequentissime praedicet hunc solum maiestatis incredibili quadam nimietate et ineffabili non posse penuria sermonis humani quavis oratione vel modice conprehendi, vix sapientibus viris, cum se vigore animi, quantum licuit, a corpore removerunt, intellectum huius dei, id quoque interdum, velut in artissimis tenebris rapidissimo coruscamine lumen candidum intermicare?). Il rinvio è a Plat. Tim. c. Vd. Harrauer , . . Tra Platone e Iside [. . . ]  quibus, ora decem sint / in me, tum ferro cor sit pectusque revinctum) e nel teatro comico da Cecilio Stazio (Obolostates sive Faenerator, Fr. IV Guardì: si linguas decem / habeam, vix habeam satis te qui laudem) e da Plauto (Bacchides, v. : qui si decem habeas linguas, mutum esse addecet), in funzione di adulazioni sfacciate o come battuta di pedagogo. Però con la tradizione dell’epica romana di II e I secc. a.C. incomincia a farsi sentire una forte inflazione: il nuovo tasso di aporia poetica compare nel Bellum Istricum di Ostio (Fr.  Bl.: non mihi si linguae / centum sint, atque ora sint totidem vocesque liquatae) e viene confermato due volte – su non improbabile ipotesto lucreziano – da Virgilio, nella dedica a Mecenate del II libro delle Georgiche (vv. -: non ego cuncta meis amplecti versibus opto, / non, mihi si linguae centum sint, oraque centum, / ferrea vox) e nelle parole della Sibilla a proposito delle pene infernali nel VI libro dell’Eneide (vv. : non, mihi si linguae centum sint oraque centum, / ferrea vox, omnis scelerum comprendere formas, / omnia poenarum percurrere nomina possim) . Con Ovidio e con Persio ci si attesta sul medesimo valore inflattivo: nell’VIII libro delle Metamorfosi il poeta di Sulmona dice la sua impossibilità a narrare la triste sorte delle sorelle di Meleagro (vv. -: non mihi si centum deus ora sonantia linguis / ingeniumque capax totumque Helicona dedisset, / tristia persequerer miserarum fata sororum) ; l’attacco della V Satira di Persio assicura che la moltiplicazione per  dei valori omerici si può considerare luogo comune consolidato (vv. -: Vatibus hic mos est, centum sibi poscere voces, / centum ora et linguas optare in carmina centum). Ma lo stesso Ovidio, Fasti , -, sa procedere oltre, confrontandosi direttamente con Omero: Nunc mihi mille sonos quoque est memoratus Achilles / . Nel Commmentarius in Vergilii Georgicon libros ,  Servio informa: NON EGO CUNCTA MEIS Lucretii versus; sed ille aerea vox ait, non ferrea (Lucr. Fr. ), ammesso che il nome del poeta non vada corretto in Lucilii: vd. Scaffai . . Cfr. la rispresa tassiana di Gerusalemme liberata, c. IX, str. , vv. -: «Non io, se cento bocche e lingue cento / avessi, e ferrea lena e ferrea voce, / narrar potrei quel numero che spento / ne’ primi assalti ha quel drappel feroce». . Per il topos cfr. altresì Ov. Ars , - e Trist. , , -.  Rileggendo Petronio e Apuleio vellem, Maeonide, pectus inesse tuum, / dum canimus sacras alterno carmine Nonas. Insieme a Valerio Flacco, Arg. , - (verum ego nec numero memorem nec nomine cunctos / mille vel ora movens), il passo apuleiano conferma il culmine della svalutazione dei concreti strumenti della persona loquens rispetto all’impresa di dire le lodi di Iside: non dieci, non cento, neppure mille bocche e altrettante lingue sarebbero sufficienti a dire la maestà della dea. Così va a finire che un motivo poetico, un topos di collaudata efficacia, passi da testo a testo e subisca una serie di trasformazioni (la vicenda delle forme, la metamorfosi, riguarda tutti e tutto) senza smarrire l’impronta d’origine, ma nel contempo riveli una sorprendente vitalità di significati e produca una catena di immagini riconoscibili lungo traiettorie diacroniche e tuttavia pienamente funzionali o, se si preferisce, in piena sintonia sincronica con i diversi contesti ospitanti. La formula introdotta da Apuleio, pertanto, va intesa su duplice registro: sul piano narrativo segnala la distanza tra divinità e linguaggio umano (distanza in aumento, come suggerisce più la dottrina medio-platonica che la religione egiziana); sul piano intertestuale segnala la divertita e maliziosa abilità del retorefilosofo che si misura con la tradizione e ne ricava un effetto moltiplicatore di difficoltà che deprime il protagonista della storia al di sotto d’ogni forma di esaltazione, proprio mentre si completa il processo iniziatico (lezione di humilitas sul piano delle figure retoriche più che sul piano dei paradigmi etici). Come si vede, basta un dettaglio testuale per cogliere l’autore alle prese con modelli di lunga lena riutilizzati liberamente e posti al servizio di nuove situazioni. Valga questo come esempio principe che esenta lettori e critici da altre analisi del genere e permette di riprendere il filo della lunga tela di ragno che ormai sta volgendo al termine. Iniziato ai misteri isiaci, Lucio fa ritorno, come si è anticipato, alla propria dimora, patrium larem revisurus; ma si tratta di soggiorno breve, perché deae potentis instinctu (Met. , , ) si mette in viaggio alla volta di Roma, dove frequenta il tempio di Iside al Campo Marzio (Isis Campensis) e dove, a sorpresa, un ennesimo sogno divino . Tra Platone e Iside [. . . ]  richiede una nuova iniziazione (Met. , , ). Ecco: finalmente la meta ultima del viaggio, cominciato da Corinto in forma umana, continuato dalla cittadina tessalica di Hypata in forma asinina, interrotto tra Corinto e Cenchreae giusto il tempo per recuperare stato umano e guadagnare statuto mistico, è raggiunta . Lo spazio provinciale della Grecia, carico di miti e riflessioni filosofiche, lascia il posto a Roma, capitale e vera città «eccelsa» dell’impero, su impulso dei culti egiziani che aprono e chiudono la tappa finale delineando una geografia religiosa ad ambizione universalistica . Dunque, a Roma viene prescritta una seconda iniziazione: prescrizione trasmessa per via onirica, si diceva, come per via onirica viene presentata la figura del sacerdote che dovrà procedere al nuovo rito iniziatico. La notte successiva, infatti, a Lucio appare in sogno una figura umana vestita de sacratis linteis e segnata da un difetto fisico (zoppo il piede sinistro), ut agnitionem ... subministraret (Met. , , -). Il principium individuationis funziona a dovere, perché all’alba è sufficiente una rapida occhiata per individuare un sacerdote che corrisponde esattamente all’immagine del sogno e che per giunta porta un nome non estraneo alla metamorfosi del protagonista, Asinio Marcello . Tra l’altro, per la prima metà del II secolo d.C., è noto un personaggio di rango consolare con tale nome, patronus di Ostia e rappresentante di una famiglia che ha corposi interessi commerciali con la provincia d’Africa : se si ammette che l’attualità romana possa a tratti irrompere nella narrazione, a prescindere dalla dimensione cronologica , potrebbe trattarsi di un parente o di un antenato del sacerdote isiaco che accoglie Lucio a Roma. Vedremo, in chiusura del nostro discorso, che tale accoglienza riserva al lettore un’ulteriore sorpresa, . . . . . Vd. per es. Zimmerman ; Graverini , -. Vd. per es. Griffiths ; Lévi a. Vd. Marangoni -. Vd. Coarelli , art. discusso da Beck . Vd. Scivoletto , - (Antiquaria romana in Apuleio).  Rileggendo Petronio e Apuleio ma intanto mette conto seguire le nuove fasi iniziatiche. La prima iniziazione, come si ricorderà, avviene a Corinto ed è ai misteri di Iside; ora, a Roma, Lucio viene iniziato ai sacra di Osiride (Met. , -); infine si sottopone a una tertia teleta (Met. , -), secondo alcuni critici moderni ai culti di entrambi gli dèi . Di questa triplice iniziazione non si hanno paralleli nelle fonti: è vero che le iniziazioni potevano venir ripetute, ma di tale possibilità è tramandata soprattutto un’immagine caricaturale nei Caratteri di Teofrasto (, ), là dove si dice che l’uomo superstizioso ( ὁ δεισιδαίμων) ha la pretesa di farsi iniziare ai misteri orfici una volta al mese. Ci si è chiesti allora «se la ripetizione di queste iniziazioni non celi un’intenzione vagamente parodica o se, quanto meno, non sia una creazione divertita del romanziere» . Siccome Lucio insiste sulle sue deboli condizioni finanziare e ricorda le spese che crescono per ogni nuova cerimonia, si sono citate le critiche rivolte già in antico, da Persio (, : in sancto quid facit aurum?) e da Giovenale (, : corruptus Osiris) per esempio, alla venalità dei sacerdoti, non solo della religione egiziana, e si è attribuita alla cupidigia del clero l’iterazione del rituale. In effetti, «si è pensato che la seconda e la terza iniziazione venissero escogitate dai sacerdoti romani a scopo di lucro personale: i ministri del culto di Iside vivevano della loro religione, e non sempre li si riteneva superiori alla considerazione del guadagno; ma è anche possibile che queste cerimonie aggiuntive fossero autentiche e dovute alla tendenza a moltiplicare i riti» . Non è tuttavia improbabile che, a causa dei costi, tali riti finissero per comportare una selezione degli adepti e che venissero amministrati per andare incontro «ai vari bisogni di quanti erano in cerca di salvezza e . Almeno come suggerisce Griffiths , , senza escludere che il numero delle iniziazioni potrebbe anche essere maggiore. . Fredouille , . . Parole di Nock , ; vd. anche Shumate , . Di «rapacità dei sacerdoti» parla Graverini , -, con discussione dei passi e della principale letteratura secondaria in merito. . Tra Platone e Iside [. . . ]  di successo» . Di salvezza, appunto, dalla condizione bestiale si è detto. Di successo, anche economico, bisogna ora parlare, perché tra la seconda e la terza iniziazione la situazione finanziaria di Lucio comincia a migliorare: il culto di Osiride è di grande conforto all’esistenza di un forestiero (summum peregrinationis meae solacium) e contribuisce a far uscire dalle ristrettezze il suo tenor di vita e a promuovere effettiva integrazione, in quanto in virtù del soffio di Successo favorevole personificato (spiritu faventis Eventus) Lucio può ora contare su discreti guadagni forensi assicurati dal patrocino di cause nella lingua di Roma (quaesticulo forensi nutrito per patrocinia sermonis Romani: Met. , , ). Nel passo si riprendono in chiave positiva indicazioni presenti nel prologo delle Metamorfosi e agli inizi della carriera asinina di Lucio. La condizione di straniero, gli studi a Roma e il problema della lingua latina sono condensati in Met. , , : Mox in urbe Latia advena studiorum Quiritium indigenam sermonem aerumnabili labore nullo magistro praeeunte aggressus excolui. En ecce praefamur veniam, siquid exotici ac forensis sermonis rudis locutor offendero . Di una sfortunata e infruttuosa invocazione al Successo propizio (invocato hilaro atque prospero Eventu) il lettore è informato da Met. , , : Lucio-asino scorge un boschetto frondoso (che pare ai suoi occhi il prototipo in miniatura del locus amoenus, un apparente Veneris et Gratiarum lucus), in cui fanno bella mostra fiori vermigli, da lontano scambiati per rose della salvezza, ma rivelatisi da vicino come letali rose laurine. Sono dettagli, si dirà, ma la loro presenza e il numero di tutti i riscontri segnalati dalla critica confermano che l’XI libro riprende le fila di quanto prospettato nei libri precedenti e con coerenza porta a compimento la trama delle trasformazioni, in grado di investire anche i segni di scrittura e riscrittura in . Così Burkert , . . Sui numerosi problemi posti dal prologo, oltre alla raccolta di saggi curata da Kahane, Laird , vd. anche Gianotti ,  sgg.  Rileggendo Petronio e Apuleio qualità di varianti . Manca ancora, come si è detto, la terza iniziazione, imposta da ordine divino trasmesso mediante visione notturna (Met. , , ). È ingiunzione che suscita perplessità in Lucio e addirittura diffidenza circa la buona fede dei sacerdoti responsabili dei riti precedenti (giusta la critica nei confronti della venalità del clero isiaco), ma dubbi ed esitazioni sono cancellati dall’ennesimo sogno divino che chiarisce il privilegio e le ragioni della terza iniziazione, occasione di ulteriore beatitudine (teque de isto numero merito praesume semper beatum) e augurio certo di felicità, prosperità e salute spirituale (Met. , , -). In effetti, l’ultima iniziazione, realizzata ex studio pietatis magis quam mensura rerum (Met. , , : ultimo accenno a condizioni economiche poco soddisfacenti), comporta definitiva soluzione di tutti i problemi, anche dell’invidia suscitata da studiorum laboriosa doctrina: confortato dalle parole di Osiride in persona (non in alienam quampiam personam reformatus), che compare – manco a dirlo – ancora una volta, l’ultima, in sogno, Lucio esercita con profitto l’avvocatura e viene ammesso tra i pastofori del dio e i decurioni quinquennali del culto (Met. , , -) . Come Iside sulla spiaggia di Cenchreae, così Osiride nell’eccelsa capitale dell’impero non sdegna il contatto diretto con personaggi di quaggiù: la loro provvidenza libera il protagonista dall’imbestiamento dei sensi, lo guida verso traguardi di felicità possibile e mostra, con buona dose di pragmatismo, come l’iniziazione religiosa rappresenti anche un contratto remunerativo, con utili che si realizzano in questa vita, senza rinnegare tuttavia scadenze ultraterrene di liberazione dal caos del mondo della materia. Insomma: le divinità egizie, per quanto indicate con epiteti altrove riservati al sommo dio (per es. in Met. , ,  si legge: deus deum magnorum potior et potiorum summus et summorum maximus et maximorum regnator Osiris) , . Parallelismi e riprese di temi maggiori e minori in Frangoulidis , -. . Di quest’ultima gerarchia sacerdotale non si hanno altre notizie e sembra lecito nutrire qualche dubbio sulla sua esistenza: vd. Griffiths , -. . In effetti la formula fa uscire Osiride dalla schiera delle mediae potestates e lo . Tra Platone e Iside [. . . ]  non sono lontane dagli esseri umani (anche quando questi appaiono in forme degradate), promettono e concedono salvezza e terrena prosperità, comportandosi pertanto come i demoni buoni di Plutarco e come le mediae potestates demoniche del De deo Socratis apuleiano. Dal trattatello filosofico sappiamo che anche per Apuleio l’uomo può farsi simile al dio per quanto è possibile , perché nihil est deo similius et gratius quam vir animo perfecte bonus, qui hominibus ceteris antecellit, quam ipse a diis immortalibus distat , grazie alla mediazione demonica che tiene coesa la compagine del cosmo. Se le cose stanno così, riesce difficile negare che le Metamorfosi sviluppino un programma dall’orientamento platonico, il passaggio dal caos del mondo sensibile a una gratificante vicinanza al divino, senza fare ricorso a «elitaria predicazione di un esplicito credo filosofico» : un programma alla portata di molti, perché l’andamento di una vicenda centrata sulle peripezie di un determinato individuo e il simbolismo di una religione largamente diffusa non consentono alla fabula di allontanarsi dal terreno delle esperienze concrete e permettono rappresentazione immediata, personapresenta come una sorta di sostituto del dio primo e ineffabile, dio ben presente nel De deo Socratis e nel De Platone et eius dogmate, ma ‘non necessario’ nelle Metamorfosi, dove è programmato l’intervento divino (deus ex machina preso a prestito dalla tradizione teatrale) per rimettere le cose a posto, nella storia di Psyche come nella vicenda di Lucio. Se dunque anche il sommo dio sembra far capolino oltre Iside e Osiride, merita attenzione l’ipotesi formulata da Donini : si prendono le mosse dalla definizione triadica del supremo principio divino che si legge in Apul. De Platone , ,  (primae quidem substantiae vel essentiae primum deum esse et mentem formasque rerum et animam) e si propone di intendere i diversi gradi di iniziazione alle tre substantiae incorruttibili, in ordine ascendente, all’anima del mondo (Iside) la prima iniziazione, all’intelletto e alle idee (Osiride) la seconda, al dio sommo la terza, quest’ultima «lasciata da Apuleio nel buio più completo, quanto all’oggetto, alle finalità e al contenuto della cerimonia, perché il silenzio era l’unico modo possibile per alludere all’esperienza dell’incontro col dio supremo di una gerarchia divina scandita in tre gradi o figure come poteva concepirla un platonico del II secolo» (p. ). Insomma, il filosofo platonico non smarrisce mai la propria bussola: anche quando ricorre alle fabulae non perde di vista la propria dottrina. . Secondo la formula di Plat. Theaet.  b  (homoiosis theo(i) katà dynatòn). . Apul. De deo Socratis , . . Parole di Donini  , ; vd. altresì Drews .  Rileggendo Petronio e Apuleio lizzata e umorosa di quanto avrebbe invece richiesto impervie scalate concettuali e ardui itinerari dialettici . Alla luce di queste considerazioni, se si fa un passo indietro, non sarebbe forse impossibile spiegare la sorpresa di cui si diceva a proposito dell’accoglienza riservata al protagonista dal sacerdote, che risponde al nome di Asinio Marcello. Lucio, come sappiamo, è in grado di riconoscerlo, perché la sua figura corrisponde all’immagine vista in sogno. Ma anche il sacerdote non si mostra sorpreso del visitatore fino a quel momento sconosciuto, perché a sua volta è stato destinatario di un sogno rivelatore: narra infatti d’aver udito, nel cuore della notte precedente, la voce di Osiride che annunciava mitti sibi Madaurensem sed admodum pauperem, cui statim sua sacra debere ministraret (Met. , , ). Non sono convincenti i tentativi di quanti considerano guasto Madaurensem e cercano la via dell’emendatio ; il testo va accettato così come è stato trasmesso, senza ricorrere a comode spiegazioni di lapsus calami (da parte di qualche copista, frastornato dal racconto in prima persona e comunque informato della patria dell’autore ), ma anche senza costruirvi sopra castelli di identificazioni in chiave autobiografica . Si tratta – è da credere – dell’estrema metamorfosi del racconto che fa affiorare sotto le spoglie dell’Io narratore la figura dell’autore, sostituendo «l’uomo di Madauro» al giovanetto di Corinto, incauto esploratore di controproducenti riti magici. Apuleio impone in calce alla fabula il marchio di garanzia, la firma della propria qualificata preparazione culturale; il tratto autobiografico, allora, sarà da ravvisare nel platonismo presente tanto nelle Metamorfosi quanto nelle opere filosofiche. Per concludere, si può dire che la comparsa di Madaurensis non appare dettata da . A Narratology for Philosophy (a proposito delle Metamorfosi) titola Fletcher  il capitolo conclusivo del suo libro dedicato al platonismo presente nell’intera produzione apuleiana. . Per es. mandare se religiosum Robertson (che però non l’accoglie nell’edizione parigina delle Belles Lettres); Corinthiensem Fredouille. Ma si veda Vannini . . Tentazione che può comunque riaffiorare in forma cauta e misurata: vd. Tilg ,  sgg. Aspetti cronologici e ipotesi biografiche su Apuleio in Lévi b. . Tra Platone e Iside [. . . ]  tardive ragioni di identità personale, ma serve da sigillo dell’identità culturale apposto all’opera e vale a iscrivere la storia di Lucio nel novero delle storie esemplari, a conferma della battuta finale del prologo: Lector intende: laetaberis. Nota bibliografica Edizioni, traduzioni, commenti Fo  = A. Fo, Apuleio. Le Metamorfosi o l’Asino d’oro, Einaudi, Torino . Fredouille  = J.C. Fredouille, Apulei Metamorphoseon Liber XI. Apulée, Métamorphoses, Livre XI, PUF, Paris . Griffiths  = J.G. Griffiths, Plutarch’s De Iside et Osiride, Introduction, Translation, Commentary, Univ. of Wales Press, Cardiff . Griffiths  = J.G. Griffths, Apuleius of Madauros. The Isis-Book (Metamorphoses, Book XI), Brill, Leiden . Harrauer  = Chr. Harrauer, Kommentar zum Isisbuch des Apuleius, Diss. Wien . Hijmans, van der Paardt, Schmidt, Wesseling, Zimmerman  = B.L. Hijmans, R.Th. van der Paardt, V. Schmidt, B. Wesseling, M. Zimmerman, Apuleius Madaurensis. Metamorphoses Book IX: Text, Introduction, and Commentary, Forsten, Groningen . Keulen  = W.H. Keulen, Apuleius Madaurensis Metamorphoses Book I. Text, Introduction and Commentary, Forsten, Groningen . Marsili  = A. Marsili, Apuleio. Metamorfosi, libro XI, Colombo Cursi, Pisa . Médan  = P. Médan, Apulée. Métamorphoses, livre XI, diss. Paris . Robertson, Vallette - = D.S. Robertson (ed.), Apulée. Les Métamorphoses (trad. di P. Vallette), I-III, Les Belles Lettres, Paris - (rist. -, nuova ed. dei libri IV-VI a cura di L. Callebat, ibid., ).  Rileggendo Petronio e Apuleio Zimmerman et alii  = M. Zimmerman et alii, Apuleius. Metamorphoses IV -, V and VI -, Forsten, Groningen . Zimmerman  = M. 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Gabriele Masaro Iscrizioni metriche e affettive della X regio augustea  ----, formato  ×  cm,  pagine,  euro . Gian Franco Gianotti Rileggendo Petronio e Apuleio  ----, formato  ×  cm,  pagine,  euro Finito di stampare nel mese di novembre del  dalla tipografia «System Graphic S.r.l.»  Roma – via di Torre Sant’Anastasia,  per conto della «Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale» di Canterano (RM)