Academia.eduAcademia.edu

PARTE SECONDA -OSSERVATORIO -VARIETÀ

BRIZZI, Il dibattito sui doveri degli amministratori in rapporto alla crisi di impresa (a proposito di un libro recente

ANNO CXVll, 2019 N.3 RIVISTA DEL DIRITTO COMMERCIALE E DEL DIRITTO GENERALE DEllE OBBLIGAZIONI Foudatori ANGELO SRAFFA e CESARE VIVANTE Direttori C. ANGELICI G. GUIZZI G. B. FERRI G.B. PORTALE A. GAMBINO P. RESCIGNO Già diretta da ALBERTO AsQUINI - GIUSEPPE VALERI - L oRENzo MossA ALFREDO D E GREGORIO- P AOLO GRECO- M ARIO R OTONDIANGELO D E MARTIN! - L UIGI MENGONI - SALVATORE SAlTA G IUSEPPE FERRI - RosARio N icoLò - BERARDINO LmoNATI Pi\OLO FERRO-LUZZI ~ PICCIN SOMMARIO del fascicolo 3, 2019 PARTE PRIMA A. IGRO, Le ristrutturazioni societarie nel diritto italiano delle crisi: notazioni generali............ ............................................... F. CAGGIA, Il consenso al tt·attamento dei dati personali nel diritto europeo .................................................................................... A. BARENGHI, Consideraziom· sulla tutela dell'opera d'arte nel mercato.................................................................................... S. MASTURZT, I finanziamenti cd. partecipativi.............................. M. PARRINELLO, A/fitto di azienda e codice della crisi: gli interessi protetti ed il procedimento di/ormazione del contratto......... 379 405 433 477 503 PARTE SECONDA - OSSERVATORIO - VARIETÀ C. Sulla impugnativa delle deliberazioni del collegz·o sindacale .................................................................................. F. CACCIAFESTA, Una proposta per superare il dialogo tra sordi in corso sull'ammortamento francese, con alcune osservazioni sul Taeg e sul Tan .. ... ..... ... .. .. ... ... ..... ... ... ..... .. .. ... .. .. ... .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. F. BRIZZI, Il dibattito sui doveri degli amministratori in rapporto alla crisi di impresa (a proposito di un libro recente).. ........... M. MALTONT, Da associazione non riconosàuta ad assoàazione n'conosciuta e la tra!/ormazione degli enti del libro primo del codù:e civile ............................................................................. M. POMPILl, Sull'applicabilità dell'art. 162, l 0 comma, l. /alt., agli accordi di ristrutturazione dei debiti.......... ............................. ANGELICI, 359 3 73 387 41 9 437 Giurisprudenza commentata Soàetà in house, azioni di responsabilità in sede fallimentare e giurisdizione (nota a Cassazione 13 agosto 2018, C. I BBA, A. P ONTERCORVl, n. 22406 ..... ......... .... ..... .... ..... .... ... .... ... ......... .... .... ... .... ... .... ... .. 459 Sul potere della minoranza assembleare in conseguenza dell'acquisto di azioni proprie (nota a Cassazione Civile, 2 ottobre 2018, n. 23950 e Corte d'Appello di Milano, 22 agosto 2018, n. 3918) ........................................................ ISSN 0035-5887 489 - 359 - SULLA IMPUGNATIVA DELLE DELIBERAZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE • l. L'area tematica cui è dedicato questo intervento, che prometto breve, immediatamente evoca prospettive che a Paolo Ferro-Luzzi sono state care e che non possono non essere ricordate da chi, come me, ne ha lungamente seguito e in parte condiviso il percorso intellettuale. Non vi è certamente bisogno di sottolineare il contributo decisivo che egli ha dato al tema delle delibere: e delle delibere in quanto tali, allora considerate soprattutto per i profili strutturali, in certo modo indipendentemen te rispetto a quelli funzionali. Segnalerei soprattutto, per quanto direttamente può interessare in questa sede, che il tema specifico dell'invalidità rivela al vertice, quando predicato per le delibere societarie, quelle cioè che si pongono come un momento dell'attività sociale, alcune peculiarità che non possono non essere sottolineate. Esse immediatamente emergono quando si considera che il sistema «generale>> delle invalidità, sia quello del code àvt'l sia l'altro elaborato dalla pandettistica sia infine il nostro dove i due precedenti sono in certo modo confluiti, si caratterizza come una disciplina destinata in principio a risolvere i problemi dello scambio e delle situazioni giuridiche che ne risultano per i soggetti che vi hanno partecipato. Di ciò mi sembra un indice evidente che la «inefficacia», nella quale in vario modo si risolvono le diverse forme di invalidità, si traduca poi operativamente in una «restituzione» ovvero nel legittimo rifiuto di una prestazione. Sicché la soluzione tende a dimostrarsi inadeguata quando la prospettiva deve essere, come penso necessario nella nostra materia, dell' attt'vz'tà: in tal caso, sia che la si debba considerare nella sua globalità (come per esempio ritengo avvenga in norme come quelle degli artt. 2332, 2500 bt's e 2504 quater cod.civ) sia che si tratti di uno dei singoli momenti di cui si compone (e si pensi, per fare solo un esempio, all'art. 2379 ter cod. civ.), proprio di una «restituzione» (l) Intervento svolto al Convegno su L:organo di controllo nelle società quotate, organizzato in Roma il21 maggio 2019 dalla Consob e da Grandangolo, Centro di ricerca Paolo Ferro-Luzzi sul Diritto della Banca e della Fi11anza in Europa. 360 C. ,\NGELICI diviene spesso difficile discorrere; e difficile, aggiungerei, da un punto di vista sia teorico sia concretamente applicativo. Emerge in sostanza, quando si vuole discorrere delle delibere societarie e poi della loro impugnabilità, proprio quella dialettica fra sistema a soggetto e sistema ad attività con cui, evocando prospettive aperte da Riccardo Orestano, Paolo Ferro-Luzzi amava presentare il proprio contributo scientifico. E potrebbe pure essere interessante considerare che questa dialettica viene in certo modo ulteriormente sottolineata quando il tema è posto con riferimento a deliberazioni in cui si realizza una funzione di controllo. Per convincersi di ciò potrebbe essere sufficiente riflettere che di un «controllo» in quanto tale ha in effetti senso discorrere, a ben guardare, con riferimento a un'attività, non a un singolo atto (nel qual caso il «controllo>> non rileva di per sé, ma eventualmente quale ragione politica dell'esigenza di un'autorizzazione o approvazione o altro). Mentre, osserverei incidentalmente, può essere significativo che analogamente debba dirsi per il «controllo» di cui all'art. 2359 cod. civ. (evidentemente pensabile in termini giuridici se riferito a un'attività, non certo a un soggetto). 2. Ma non è certo il caso di proseguire nell'illustrazione di questo che chiamerei lo sfondo culturale nel quale credo debba porsi il tema assegnatomi. E devo invece volgermi a profili la cui rilevanza applicativa può risultare più immediata. Può essere utile, penso, muovere dalla constatazione che, come noto, il diritto scritto si esaurisce in argomento nell'isolata previsione del primo comma dell'art. 2409 quaterdecie.r cod. civ. 2 : il quale, disciplinando il consiglio di sorveglianza, rinvia fra l'altro alla disciplina dettata dall'art. 2388 cod. civ. per il consiglio di amministrazione e così, sembrerebbe, anche a quella per la invalidità delle sue deliberazioni (la quale, a sua volta, rinvia, per gli aspetti procedimentali e per le ipotesi in cui l'impugnazione è consentita anche ai soci, alla disciplina delle deliberazioni assembleari). Mentre nessuna disposizione è rinvenibile con riferimento agli altri due sistemi, quello tradizionale e quello monistico. (2) Anche tale disposizione, con la quale concorre quella del primo comma dell'art. 2409 terdecies cod. civ., per l'ipotesi di delibera di approvazione del bilancio, non ha per la verità amatto soverchia attenzione (a causa, fra l'alrro, della limitata utilizzazione del sistema dualistico): v. in particolare in argomento P.D. BELTRA,vu, L'invalidità delle delibete del consiglio di soroegliam.a, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber Amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, p. 769 ss. SULLA IMPUGNATIVA DELLE DELIDERJ\ZJOt-<1 DEL COLLEGIO Sll\'DACALE 361 Del tutto naturale è perciò che, in tal modo pure proseguendo il modo in cui prima della riforma del 2003 la questione era impostata con riferimento alle deliberazioni del collegio sindacale 3, l'attenzione sia stata soprattutto attratta da questo silenzio del legislatore. Consueto è in definitiva interrogarsi sulle sue ragioni e, in ultima analisi, ricercare i modi in cui a esso l'interprete potrebbe «rimediare». Ma anche credo possibile immediatamente osservare che per il giurista di diritro positivo la questione dovrebbe essere impostata chiedendosi in primo luogo quale sia il senso di ciò che il legislatore positivamente dispone, non di quanto negatz.vamente non prevede: chiedendosi cioè, e penso si avverta subito l'importanza di questo diverso modo di impostare l'indagine interpretativa, se la presenza di una disciplina di diritto scritto per le deliberazioni del consiglio di sorveglianza possa spiegarsi oppure no per una qualche sua Jpecificùà, per esempio per la circostanza che esso sembra fornito di poteri «decisionali» ben più incisivi di quelli spettanti al collegio sindacale o al comitato per il controllo della gestione. Penso cioè che la strada metodologicamente più corretta dovrebbe essere quella di muovere da una ricostruzione del senso di quanto presente nel diritto scritto e poi, anche e soprattutto sulla base dei risultati cui in tal modo si ritenga di pervenire, ricercare soluzioni applicative per questioni che il testo legislativo non considera direttamente. 3. Per la verità è soprattutto da questo «silenzio» che i pochi interventi in materia prendono le mosse. Ci si chiede infatti, per lo più rispondendo positivamente, se esso debba intendersi come una «lacuna», da integrare perciò con lo strumento dell'analogia. Non credo però sia necessario soffermarsi a sottOlineare che non vi è identità fra siLenzio e lacuna della legge. Perché il primo possa assumere il significato della seconda è inoltre necessario, come ci ha insegnato Canaris, che sia planwidriges, che sia cioè contradditorio con regole e/o principi dell'ordinamento. Non basta che all'interprete appaia necessaria una norma ove il legislatore non l'ha posta, ma è anche indispensabile che tale necessità possa essere imputata allo stesso ordinamento e in definitiva risultare dal postulato, di cui non possiamo fare a meno, della sua coerenza interna, che quel «silenzio» appunto contraddirebbe 4• (3) Cfr. per esempio G.U. T E:OI1.SCIIT, Il collegio sindacale, in Il codice civile. Commentario, diretto da P. ScJ-ILESINGER, Milano, 1992, p. 268 ss. (4)) Mi riferisco, owiamente al classico saggio di C.-\YJ. CANARIS, Die Feststellung 362 C. A'-IGELICI Ed è in questo senso che penso debba intendersi l'affermazione che in certo modo costituisce la premessa della decisione del Tribunale di Milano che, anche per il rilievo mediatico della vicenda processuale, ha rappresentato una recente occasione per la ripresa del dibattito cui si riferisce il mio intervento: che nel sistema si dovrebbe riconoscere un «principio generale di sindacabilità delle deliberazioni di tutti gli organi sociali per contrarietà alla legge o all'atto costitutivo» '; una affermazione ripresa e sviluppata anche in dottrina 6 . I1 punto potrebbe essere decisivo. Potrebbe essere cioè la vigenza di quesro principio a consentire che nel «silenzio» del legislatore in punto di impugnabilità delle deliberazioni del collegio sindacale si possa riconoscere il significato di una vera e propria «lacuna» e si possa così affermare l'esigenza di una sua integrazione con gli strumenti dell'analogia. Debbo peraltro confessare che non trovo questa affermazione del tutto appagante. Se la questione è quella della impugnabilità della deliberazione dei sindaci, mi pare infatti un salto logico giustificarla sulla sola base dell'esigenza di una sua sindacabilità. Penso cioè che, anche se si condividesse l'assunto per cui non possono mancare strumenti di reazione (se si vuoi dire: di tutela) nei confronti delle deliberazioni contrarie alla legge o allo statuto, e se si ritenesse di trarne la conseguenza che, qualora mancanti nel diritto scritto, sia compito dell'interprete elaborarne in via interpretativa; se anche si condividesse tutto ciò, non sarebbe necessariamente consequenziale che tali strumenti debbano essere (e eventualmente esaurirsi in) una impugnativa volta a escludere l'efficacia della delibera. Si potrebbe aprire in tal modo un discorso di notevole ampiezza e che, anche perciò, non mi sembra possibile affrontare adeguatamente nella presente sede. Mi limito a osservare che la tutela dei diritti richiesta dall'art. 24 cost. non necessariamente significa inefficacia dei comportamenti di essi lesivi; e che proprio il sistema attuale delle società di capitali potrebbe essere di ciò una significativa riprova: spevon Lucken im Gesetz, Berlin, 1983, spec. p. 31 ss.; v. pure, per qualche esempio applicativo riferito al nostro diritto socierario, il mio Sulle lacune nel diritto delle società, in Società, 2015, p. 1251. (5 ) Si tratta dell'ordinanza del 23 aprile 2018, pubblicata fra l'altro in RDS, 2018, p. 587, con nota di G . BuA, L'impugnabilità delle delibere del Collegio sindacale incidenti sull'organizzazione societaria o lesive dei soci. (6) Mi riferisco all'intervento, che trae spunto da tale ordinanza e ne sviluppa le implicazioni, di M. STELLA-RICIITER JR., Prime luci sul mistero de/la invalidità delle deliberazioni del collegio sindacale, in Riv. società, 2018, p. 1090. SULLA1vU,UGNATIVA DELLF.DELIDERAZIONI DEL COLLEGIO $11\fOACALE 363 cie qualora si condividesse l'opinione, che in altra sede mi è parso di poter esprimere, che rimedio generale nei confronti delle deliberazioni illegittime è quello risarcitorio, essendo invece riservata la possibilità di impugnare solo ai soci che raggiungono un'adeguata dimensione quantitativa di partecipazione (fornita del diritto di voto) 7 • È questo un aspetto sicuramente importante e a mio avviso decisivo, per il problema qui accennato e per tanti altri. E su di esso, se non m'inganno, influiscono abitudini mentali, da cui è difficile staccarsi, e conseguenti difficoltà a intendere le novità legislative per il loro significato oggettivo e non solo per quello di modificare discipline previgenti. Influisce anche in proposito, mi sentirei di dire ancora con Paolo Ferro-Luzzi, la tradizionale centralità della teoria del contratto e del negozio giuridico, e la conseguente costruzione dei loro «effetti» come vicende del diritto soggettivo e, più ampiamente, di situazioni giuridiche soggettive; con la conseguenza che nell'ipotesi di illegittimità il rimedio della «inefficacia», ripristinando i diritti, assume logicamente una posizione centrale. Anche se, potrebbe aggiungersi, pare questo un percorso logico-sistematico che soprattutto considera vicende concernenti la «titolarità» dei diritti, ponendosi l'esigenza in caso di loro illegittimità di ripristinare quella originaria; ma che risulta ben meno adeguato nelle ipotesi in cui la illegittimità incide sul loro concreto «godimento» 8 . 4. Ma, come anticipato, non posso qui soffermarmi su questi aspetti. Da essi penso però si possa trarre un'indicazione di carattere empirico: che, se il problema è quello di un 'impugnativa volta a provocare la inefficacia di una deliberazione del collegio sindacale (o del comitato per il controllo della gestione) , non si può in ogni caso prescindere dalla valutazione se gli effetti che la concreta delibera è volta a produrre sono in grado di essere successivamente eliminati; non si può prescindere, in definitiva, da una verifica in concreto di quali siano tali «effetti>>e se essi siano compatibili con un rimedio come quello di un'impugnativa volta a impedirli e eliminarli. Potrebbe essere per esempio chiaro che, quando la portata della (7) Rinvio sul punto al mio La società per azioni. I. Principi e problemi, Milano, 2012, p. 57 ss.; e per un'autorevole adesione P. SPADA, in Riv. dir. civ., 2014, p. 667 (a p. 672); in senso contrario, fra gli altri, V. PINTO, Il danno cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto, in Società, banche e crisi d'impresa. Liber Amicorum Pietro Abbadessa, I, Torino, 2014, p. 847 ss. (p. 871 ss.). (8) Rinvio anche a questo proposito alle considerazioni nel mio lavoro appena ricordato. 364 C. ANGELICI delibera si esaurisce sul piano del fatto e del suo ruolo nell'attività sociale, il rimedio qui in discussione potrebbe non risultare adeguato: come penso sia dimostrato dall'art. 2497 cod. civ. il quale, a differenza appunto dell'art. 2391 cod. civ., esaurisce la prospettiva in quella risarcitoria. Ed è perciò che il tema si concentra in realtà non tanto sulla pensabilità in astratto di una impugnabilità delle delibere in discorso, quanto sulle aree in cui la loro sindacabilità consente di essere tradotta in una impugnabilità, nel senso di rimedio volto a eliminarne la «efficacia». Mentre credo che, se si volesse intraprendere una ricerca a tal fine, non si potrebbe trascurare, e dovrebbe anzi in un'indagine di diritto positivo porsi come punto di partenza, la previsione esplicita in tema di consiglio di sorveglianza. Già a un primo approccio potrebbe apparire plausibile la sensazione che essa debba spiegarsi anche, se non soprattutto, per le sue competenze ben più ampie di quelle del collegio sindacale: competenze che possiedono un carattere propriamente decisorio. Si parla del resto in proposito, al fine di individuare le aree di impugnabilità e con formule inevitabilmente generiche e p erciò non sempre idonee a risolvere immediatamente la concreta questione applicativa, di delibere con portata «provvedimentale» 9 o in grado di produrre «effetti diretti» rispetto all'organizzazione societaria 10; mentre non manca chi sembra propendere per soluzioni ancora più ampie, in certo modo proponendo, se b en intendo, una sorta di onere della prova a carico di chi intende nel caso concreto negare la impugnabilità della delibera 11 • E se dovessi scegliere fra queste formule (ma evidentemente il problema non può esaurirsi con esse) potrei manifestare una qualche preferenza per quella che discorre di «effetti diretti» rispetto all' organizzazione societaria; ma a patto di precisare doversi trattare di «effetti» che non si sono ormai esauriti sul piano del «fatto» e per il quale abbia allora un senso una pronuncia del giudice voha alla loro eliminazione. 5. Mi sembra in ogni caso indubbio che per problemi come quello cui si accenna possa risultare soprattutto istruttiva l'esperienza (9) Così in particolare M. L IBERTINI, in Commentario romano al nuovo diritto delle società, U, 2, P adova, 2011 , p. 253. (lO) Questa è la formula adottata dal Trib. Milano, 23 marzo 2018 cir. (1 1) Tale sembra essere la prospettiva di M. STELLA-fuCHTf.R JR., op. cit., spec. p. 1094 ss. SULL;\ IMPUGNATIVA DELLE DELIBERAZIONI DEL COLLEGIO Sll\UACALE 365 giurisprudenziale: se non al tro perché il presupposto di una «lacuna», e della necessità perciò di un'integrazione in via interpretativa, implica il riconoscimento di esigenze di tutela già presenti nel sistema, ma che il diritto scritto non soddisfa; sicché una ricognizione dei casi in cui la tutela è stata domandata non può non essere rilevante. Tale ricognizione è stata del resto recentemente compiuta in uno dei più attenti studi in argomento 12 • E da essa è immediatamente possibile trarre una prima, non trascurabile, indicazione: che in effetti sono rarissimi i casi in cui la giurisprudenza ha dovuto affrontare il tema e ancora più rari quelli nei quali lo si può considerare positivamente risolto. Si evidenzia così un dato il quale, poiché di carattere solo empirico, non va necessariamente sopravvalutato. Ma che potrebbe essere significativo, almeno nel senso di indurre a non postulare indiscriminatamente l'esigenze di tutela che, come prima rilevato, rappresentano la base necessaria per il porsi stesso del problema. Ma ancora più interessante è considerare il tipo di problemi per i quali la questione si è posta: che in effetti si riducono a due. Il primo è quello deciso dalla Corte di cassazione nel1973, quando si voleva contestare una revisione della stima ex art. 2343 cod. civ. e a tal fine si censurava l'operato del collegio sindacale sia per aver compiuto la propria valutazione in una riunione congiunta con gli amministratori sia adducendo una sua irregolare composizione 13 . Una vicenda giudiziaria che si è conclusa con il rigetto dell'impugnativa, non avendo i giudici ravvisato elementi di illegittimità in nessuno dei due p rofili denunciati. Soprattutto significativo è però, per quanto qui interessa, che in effetti tale vicenda non riguardava realmente il tema qui in esame, quello concernente la possibilità di un'autonoma impugnativa della decisione dei sindaci 14 • Ciò che si impugnava era in realtà la revisione della stima del conferimento in natura e in definitiva il complessivo procedimento (con partecipazione e degli amministratori e dei sindaci) di cui era stata il risultato; l'addotta illegittimità del comportamento dei sindaci era utilizzata per eliminare appunto tale risultato. (12) Mi riferisco ancora al saggio già ricordato di M. STELLA R!CHTER ]R., quello più completo e approfondiro di cui si può al momento disporre. (13) Cass. 5 ottobre 1973, n. 2489, in Foro it , 1974, I, p. 118. (l-l} Perciò mi sembra del tutto corretto il rilievo di M. STELLA·RIC!ITERJR., op. cit.. p. 1090, trattarsi con riferimento al punto che qui specificamente interessa di un obiter dictum. 366 C. A.J~GELCI Ben più importante è il secondo tipo di problemi: quello che si è presentato già nel1978 al Pretore di Roma 15 ed è stato poi esaminato, con molta maggiore risonanza, nel ricordato provvedimento del Tribunale di Milano del 2018. In entrambe le vicende si trattava di una decisione del collegio sindacale di integrare l'ordine del giorno di un'assemblea già convocata dagli amministratori (e in entrambi i casi il punto che si voleva così inserire fra gli argomenti da trattare riguardava la revoca degli amministratori) . E in entrambe la questione veniva posta con la richiesta cautelare, che si voleva motivare assumendo la illegittimità della decisione sindacale, di sospenderne l'efficacia e così impedire la trattazione in assemblea dell'argomento. Richiesta cautelare che nel primo caso è stata respinta (escludendo il periculum in mora e rilevando a tal fine che, trattandosi nel caso specifico di una società unipersonale in cui la richiesta di integrare l'ordine del giorno proveniva dall'unico socio, la questione poteva essere riso!ra dando «efficacia assorbente all'assemblea dei soci») e nel seconèo è stata invece accolta (in una situazione nella quale era peraltro e,;den:e e notorio come il conflitto fra gli organi sociali fosse anche, e pri:na ancora, un conflitto fra gruppi di soci). Meritano allora di essere segnalati due aspetti a mio av,i.so decisivi: -che si tratta di un tipo di deliberazione di cui è certo il conrenuro decisorio, anzi schiettamente provvedimentale e fondamentalmente di tipo gestorio; - e che il rimedio della impugnativa veniva in effetti invocato al fine in concreto di ottenere un provvedimento cautelare che impedisse la trattazione dell'argomento contestato in assemblea, al fine in ultima analisi di prevenire conseguenze che potrebbero derivare, se si vuoi dire «effetti», da comportamenti di altro organo sociale. n primo aspetto è evidentemente coerente con prospettive generali cui prima si è fatto cenno, mentre il secondo si spiega anzitutto per evidenti ragioni di carattere empirico: in quanto non è pensabile, e direi non solo nel nostro sistema giudiziario, una pronuncia definitiva sulla decisione del collegio sindacale di convocare l'assemblea prima che essa si sia svolta. E d'altra parte, dopo lo svolgimento dell'assemblea, il problema diviene quello della impugnabilità oppure no della sua deliberazione, eventualmente individuando fra le ragioni di invalidità quelle che condurrebbero ad affermare l'illegittimità della decisione con cui si è proceduto alla sua convocazione. (15) Sì tratta dell'ordinanza Pret. Roma, 2 febbraìo 1978, in Foro it., 1978, I, p. 761. Sl..iLLA IMPUGNATIVA DE.LLEDELffiERAZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE 367 Penserei anzi che, svoltasi l'assemblea, il problema sia, come affermava il Pretore di Roma, per così dire «assorbito» dalle sue decisioni; che in tal caso non solo sarebbe priva di senso pratico un'impugnativa autonoma della delibera del collegio sindacale, ma sia anche coerente con l'esigenze di tutela che nel caso possono porsi concentrare il tema su quello dell'eventuale invalidità della deliberazione assembleare: se non altro in quanto è da essa che alla luce di tali esigenze sembrerebbe preferibile far decorrere i termini per l'impugnativa 16 • Ma forse vi è di più. A ben guardare, infatti, la supposta illegittimità della deliberazione del collegio sindacale veniva addotta, per così dire, con lo sguardo rivolto all'eventuale successiva decisione assembleare, al fine di impedire che il punto controverso fosse considerato all'ordine del giorno dell'assemblea e questa potesse su di esso deliberare. Sicché, in definitiva, la impugnabilità e poi in concreto l'impugnazione della prima (della delibera cioè del collegio sindacale) serviva essenzialmente da medium logico per giustificare un'inibitoria in grado di incidere sul procedimento assembleare. Verrebbe da dire, in termini che un processualcivilista considererebbe certamente rozzi, ma forse espressivi ai fini che qui mi propongo, che in tale incidenza si definisce il petitum, mentre l'impugnazione della delibera sindacale assume il mero significato di causa petendi. Era in una inibitoria all'assemblea, per impedire che deliberasse sul punto controverso, che si concentrava, e in definitiva esauriva, la richiesta di tutela. Non credo peraltro privo di rilievo che in queste ipotesi, quelle in cui concretamente la questione è stata posta ai giudici, il problema applicativo non riguardasse in realtà la impugnabilità della deliberazione del collegio sindacale, bensì il quesito se e quando una sua supposta illegittimità può essere in grado di giustificare tale (certamente atipica) inibitoria: si chiede di inibire lo svolgimento dell'assemblea, non di sospendere l'efficacia della deliberazt'one dei sindaà 17 • (16) Con il va ntaggio, aggiungerci, di evirare i delicati problemi che potrebbero presentarsi in una situazione di «inoppugnabilità>> della deliberazione del collegio sindacale (e v., sul tema generale, l'imporrante intervento di M. STELLA-RICHTER ]R., L'inoppugnabilità delle deliberazioni degli organi sociali, in Riv. società, 2017, p. 283: poiché sono questi problemi suscettibili di porsi, dirci per definizione, solo con riferimento a vicende per le quali possa ritenersi in principio opcrame una regola di autonoma impugnabilità). (17) li che mi sembra anche empiricamente confermato dalla circostanza che non risulta in questi singoli casi che il giudizio sia poi proseguiw fino a una pronuncia sulla invaliclità deLla deliberazione del collegio (per la quale, sia che il provvedimento 368 C. A_"!GELICl E la risposta positiva da ultimo data a questa domanda si inserisce evidentemente nella tendenza giurisprudenziale che in termini sempre più estesi riconosce questa possibilità di inibitoria. Osserverei anche, a ulteriore giustificazione di questa prospettazione, che essa pare in grado di rendere più agevolmente risolvibili i problemi applicativi che potrebbero presentarsi in punto di legittimazione. Se gli interessi coinvolri nella vicenda sono destinati a realizzarsi nell'assemblea, chiedendosi perciò al giudice di incidere sul suo svolgimento, (mi) pare ragionevole utilizzare la disciplina per l'impugnazione delle sue deliberazioni: la tutela inibitoria invocata in via preventiva è al servizio di interessi i quali, adottata la deliberazione assembleare, potranno poi essere tutelati ai sensi degli artt. 2377 sgg. cod. civ.; può essere pertanto logico trarre da queste disposizioni la disciplina anche della legittimazione a chiedere la tutela cautelare. 6. D'altra parte, se penso ragionevole aver concentrato l'attenzione sulla casistica che i nostri giudici hanno dovuto affrontare, un definitiva un solo caso, e se ciò può essere per il giurista teorico uno strumento di cautela per evitare di discorrere di problemi immaginari, sarebbe evidentemente arbitrario ritenere in tal modo esaurito il tema, trascurando suoi ulteriori possibili risvolti, sia di teoria generale sia applicativi. Ci si potrebbe così chiedere, limitandosi a un cenno allusivo a un tema generaJissimo, se e in che senso l'argomento specifico, quello cioè della impugnabilità delle deliberazioni dell'organo di controllo, possa rappresentare un capitolo della discussione sul Organstreit nelle società di capitali: l'ipotesi in cui un «conflitto fra organi» emerga in occasione di una deliberazione di quello di controllo e ci si debba allora chiedere se e come la sua impugnazione possa costituire strumento idoneo per risolverlo. Si tratta in realtà d i una discussione che per i suoi asperri generali può considerarsi nel nostro ç)fdinamento soltanto avviata 1s; e che trova i suoi snodi centrali nella ricerca di adeguati rimedi processuali e dei modi in cui il conflitto fra organi può rilevare in punto di legittimazione. Mi limito perciò a segnalare che queste questioni riconducono direttamente a quella ben più generale se al contesto delle società è cautelare sia stato concesso oppure negato, non sembra più in effetti rcsiduare un reale interesse). (18) lvii riferisco in particolare al saggio pioneristico di V CARJELLO, I conflitti "interorganici" e "intraorganici" nelle società per azioni (prime consrderaziom), in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, II, Torino, 2007, p. 767 ss. SULLA ThWUG>IATIVA DEllE DELffiERAZIONI DEL COLLEGIO SI:-IDACALE 369 ancora pienamente adeguata la tradizionale prospettiva che ricerca e in definitiva esaurisce il ruolo della giurisdizione nella tutela di situazioni giuridiche soggettive o non si debba invece riconoscere spazio anche a forme di tutela di tipo oggettivo 19• Con la conseguenza, se ci si orientasse nel secondo senso, che per un verso si troverebbe ulteriore conferma della generale prospettiva di Paolo Ferro-Luzzi (nel senso della estraneità del dirirro soggettivo alla fenomenologia societaria), e per un altro verso la soluzione al tema della legittimazione dovrebbe essere ricercata nella prospettiva delle funzioni assegnate nell'organizzazione sociale a ciascun organo: nel senso che la sua legittimazione a contestare il comportamento di altri organi deve poter essere funzionale all'assolvimento dei suoi compiti, non agli interessi personali del titolare dell'organo, eventualmente fra essi facendo rientrare quelli che oggi modernamente si chiamano, ma in realtà riferendosi a problemi ben risalenti, della legai compliance 20. 7. Ancora in termini generali, ma tornando allo specifico tema della impugnabilità delle deliberazioni, osserverei che forse la questione neppure può porsi quando l'organo di controllo esercita in via vicaria le funzioni degli amministratori: come avviene nell'applicazione dell'ultimo comma deiJ'art. 2386 cod. civ. Mi sembra cioè che non avrebbe senso escludere in questo caso l'eventualità di un'impugnativa delle deliberazioni adottate nell'esercizio di tali funzioni. Non vi è motivo, a tacer d'altro, per ritenere che in vicende come quella considerata dall'art. 2386 cod. civ. siano modificate non solo (e necessariamente) le competenze, ma anche le modalità di sindacato delle decisioni. Intendo dire che mi pare fuori dubbio la impugnabilità ai sensi dell'art. 2388 cod. civ. delle deliberazioni assunte dal collegio sindacale in attuazione dell'art. 2386 cod. civ.: ma che ciò si spiega in quanto i sindaci agiscono come amministratori. Sicché il tema risulta veramente estraneo a quello se e quando le decisioni assunte dai sin( 19) Cfr. infatti, ponendo questa prospettiva al centro del commento all'ordinanza del Trib. Milano del 23 aprile 2018, l. PAGi-11-G. GUIZZI, in Società, 2018, p. 913, spec. p. 915 ss. (20) E si potrebbe in proposito ricordare, fra l'altro, la prospettiva che appunto ricercava la ragione della legittimazione degli amministratori a impugnare le deliberazioni assembleari non in un loro personale interesse, fosse pur quello a non incorrere in responsabilità, bensì nei loro doveri funzionali nei confronti della società: così G. 0PPO, Amministratori e sindaci di fronte alle deliberazioni assembleari invalide, (1957), ora in Scritti giuridici. II. Diritto delle società, Padova, 1992, p. 382 ss. 370 C. ANGEUCI daci in quanto taN, e cioè nell'esercizio delle funzioni a loro tipiche, siano impugnabili 21• 8. Tornando infine a queste ultime, vorrei ancora segnalare che vi sono questioni in cui l'eventuale illegittimità di deliberazioni del collegio sindacale, se certamente può richiedere una reazione da parte dell'ordinamento, pare richiederla in termini diversi da quelli di un'i.tnpugnativa e conseguente inefficacia: poiché, a differenza di quanto avviene con la maggior parte delle competenze previste per il consiglio di sorveglianza dal pri.tno comma dell'art. 2409 terdecìes cod. civ., la rilevanza delle relative vicende parrebbe esaurirsi sul piano del/atto; il che, aggiungerei, potrebbe anche spiegare l'assenza nella disciplina del collegio sindacale di una disposizione come quella ricordata dell'art. 2409 quaterdecies cod. civ. Per illustrare il punto mi limito a proporre sommariamente alcuni (che a me paiono) semplici esempi: Si pensi, per far riferimento al luogo in cui ci troviamo, alla denuncia alla Consob ex art. 149, terzo comma, tuf. Certamente è possibile che la deliberazione dei sindaci con cui viene decisa sia affetta da vizi di legitti.tnità; ragionevole mi sembra però pensare che tale eventualità possa se del caso (e in termini che non mi sembrano comprensibili secondo l'alte rn ativa validità-invalidità) incidere sulla sua plausibilità, non potendo invece riflettersi sulla validità dei provvedimenti che la Consob ritenga di adottare (per esempio, incidendo negativamente sulla decisione di aprire un'istruttoria). Ma si pensi anche, per un profilo sicuramente di maggior rilievo, alla relazione del collegio sindacale al bilancio di esercizio e all'eventualità di ragioni di illegittimità della deliberazione con cui il collegio l'approva. In tal caso non credo in effetti sia possibile, a differenza di quando l'intervento del collegio sindacale riguarda la formazione dell'ordine del giorno assembleare, un provvedi.tnento del giudice tale da incidere sul procedimento assembleare, in particolare inibendone lo svolgimento; e credo soprattutto, per convincersi di ciò, che si debba far riferimento per un verso alla funzione di questa relazione e per un altro al tipo di vizi di cui può essere affetta. Dal primo punto di vista osserverei che tale funzione è quella di ampliare il panorama informativo dei soci e che la questione non è perciò tanto di efficacia o non efficacia della delibera del collegio, quanto se e in che termini tale funzione può risultare pregiudicata (21) Per un rilievo analogo cfr. fra gli altri G.U. TI::DESCHr, op. cit., p. 270. SULLA IMPuCNA'llVA DELLE DELIBEAAZIONJ DEL COLLEGIO SINDACALE 3 71 dal vizio di cui essa è eventualmente affetta. E anche qui, osserverei incidentalmente, mi sembra che la prospettiva debba essere quella del rilievo di tale vizio per l'acquisizione delle conoscenze necessarie a un azionista medio e ragionevole 22 • n problema non è cioè di validità-invalidità di una deliberazione, sua idoneità oppure no a produrre determinati «effetti», bensì sull'accertamento, in definitiva fattuale, se il vizio deliberativo in questione ha impedito e/o alterato l'acquisizione di tali conoscenze. Dal secondo punto di vista osserverei che anche qui, per esprimermi in termini assolutamente rozzi e approssimativi, il vizio può essere di «contenuto», nel caso specifico del contenuto informativo della relazione per i soci che voteranno in assemblea , ovvero di «formazione». E che nel primo caso l'eventuale altro organo sociale che ritenga illegittimo tale contenuto informativo molto più semplicemente può fornire all'assemblea le informazioni (che ritiene) più adeguate: con la conseguenza che in tal caso, come osservava il pretore di Roma nel 1978, saranno assorbenti le decisioni dell'assemblea stessa (salvo poi, naturalmente, l'eventualità che alle anomalie della relazione non possa assegnarsi un rilievo causale nel determinare l'invalidità della sua delibera). Mentre, per l'ipotesi di vizi del procedimento di «formazione», credo che le regole ad esso relative rilevino fondamentalmente per la tutela dei soggetti (ma nel senso, riterrei, delle funzioni a essi assegnate) che partecipano all'organo; e che, se la questione è allora per così d ire di <<tutela>> del sindaco dissenziente, anche a questi ovviamente non può essere impedito d i fornire all'assemblea le informazioni che ritiene dovute, una sorta di relazione di minoranza. Verrebbe da dire che, come la questione sorge sul piano del «fatto», ugualmente sul piano del «fatto» possono essere ricercati i rimedi per l'eventuali anomalie; salvo poi, naturalmente, i riflessi di tale «fatto», la deliberazione cioè del collegio sindacale, sulla validità del procedimento assembleare cui ha partecipato. Un ultimo esempio che mi pare significativo e forse in grado di individuare un ulteriore tipo di problemi potrebbe essere q uello concernente la proposizione della denuncia ex art. 2409, ultimo comma, cod. civ. L'ipotesi si d istingue, a mio parere, da quello della denuncia alla Consob poiché per essa non vi è un potere di procedere di ufficio e si pone quindi l'esigenza di verificare la legittimazione di chi propone (22) Alludo in ral modo al criterio formalizzato nel diritto serino dal legislatore tedesco in materia di rilevanza dei difetti informativi per le deliberazioni assembleari: cfr., naturalmente, il § 243 , Abs. 4, Aktiengesetz. .. 372 C. A:-JGELTCI il ricorso. Sicché, riterrei, un'eventuale illegittimità della decisione del collegio sindacale in tal senso (che in questo caso mi sembra potrebbe riguardare solo il procedimento deliberativo; mentre il «contenuto» della decisione, essendo assolutamente tipizzato, riguarda solo il merito di quella che poi adotterà l'autorità giudiziaria), certamente rilevante per tale verifica, in essa si esaurisce e ne rappresenta un momento non isolabile dagli altri. Non si tratta cioè, a mio modo di vedere, di una impugnativa della deliberazione del collegio, bensì di accertare se il ricorso è stato proposto da chi era legittimato ed essendo la legittimità di tale deliberazione uno dei requisiti per tale legittimazione. Perciò la questione non mi sembra suscettibile di porsi, al di là di evidenti considerazioni empiriche, mediante l'autonoma proposizione di un'azione di impugnativa, ma all'interno del procedimento ex art. 2409 cod. civ. e contestando che tale legittimazione sussista. 9. Ma credo di aver veramente ecceduto nei tempi e penso di dovermi limitare a questi rilievi sommari e approssimativi. Vi ringrazio quindi e ringrazio soprattutto le amiche Brescia-Morra e Genovese per avermi invitato e per avermi dato un'altra occasione per verificare l'importanza dei contributi scientifici alla nostra materia, e non solo, di Paolo Ferro-Luzzi. CARLO ANGELICI