Antigone sulle mura
Autor(es):
Martino, Francesco De
Publicado por:
Imprensa da Universidade de Coimbra; Annablume Editora
URL
persistente:
URI:http://hdl.handle.net/10316.2/38521
DOI:
DOI:http://dx.doi.org/10.14195/978-989-26-1111-2_1
Accessed :
27-May-2020 21:47:52
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Antigone sulle mura • Quatro funerais e um
MITO E (RE)ESCRITA
casamento. Mortos e vivos naSÉRIE
Antígona
de Sófocles
• Da velhice à justiça: Antígona e a crítica
platônica da tirania • Jean Cocteau e a filha
de Édipo • Las Antígonas de Espriu • Entre
Sófocles y Anouilh: la Antígona y su nodriza
en la refección de Memé Tabares • Antígona:
nome de código – A peça em um ato de Mário
Sacramento • Antígona e Medeia no conto “a
Benfazeja”, de João Guimarães Rosa • Creonte,
o tirano de Antígona. Sua recepção em Portugal
• Uma Antígona diferente, em la Serata a Colono
de Elsa Morante • Algunas Antígonas en España
(s. XX) • Antígona entre muros, contra os muros de
silêncio: Mito e História na recriação metateatral
de José Martín Elizondo • Antígona: Norma
antígona
a eterna sedução
da filha de édipo
Andrés Pociña, Aurora López, Carlos Morais
e Maria de Fátima Sousa e Silva
coordenação
IMPRENSA DA UNIVERSIDADE DE COIMBRA
COIMBRA UNIVERSITY PRESS
e Transgressão, em Sófocles e em Hélia Correia
• La Antígona en lengua asturiana • Antígona
Antigone sulle mura
(Antigone on the Walls)
Francesco De Martino (
[email protected])
Università degli Studi di Foggia
http://dx.doi.org/10.14195/978‑989‑26‑1111‑2_1
15
(Página deixada propositadamente em branco)
Antigone sulle mura
Resumen - Spazio importante e simbolico delle città, confine tra intra ed extra
moenia, le mura accolgono in più occasioni anche donne. Da lassù, come da
una grande finestra, Elena, Ecuba, Andromaca, Cassandra, Deidamia, Medea,
Scilla scrutano mariti, figli, fratelli e impossibili amanti, uomini in difficoltà
e in condizioni ostili, proprio perché stanno fuori delle mura. Le esempla‑
ri teichoscopie omeriche al femminile hanno lasciato tutte tracce significative
nella teichoscopia di Antigone nelle Fenicie di Euripide (e poi nella Tebaide di
Stazio) ma specialmente quella di Cassandra che alla fine dell’Iliade osserva
dalle mura il “fratello buono” ormai morto, modello polare per l’eroina tebana
che dalle mura smania di vedere il “fratello non più tanto cattivo” destinato a
morire.
Parole chiave: donne, mura, teichoscopia, Antigone.
A BSTR ACT - Important and symbolic space of the city, border between intra
and extra moenia, the walls also host women. Like from a big window, Helen,
Hecuba, Andromache, Cassandra, Deidamia, Medea, Scilla scrutinize hus‑
bands, sons, brothers and impossible lovers, men in distress and in position
of enemies, because they are outside the walls. Homer’s exemplary female
teichoscopiai all have left significant traces in the teichoscopia of Antigone in
Euripides’ Phoenicians (and then in the Thebaid of Statius) but especially that
of Cassandra who ‑ in the last book of the Iliad ‑ observed from the walls the
“good brother” now dead. In the same way, Antigone desires to see the “brother
not so bad” destined to die.
Keywords: women, walls, teichoscopia, Antigone.
Spazio protetto. La storia delle mura, da Babilonia a Troia, ad Atene,
a Nubicuculia, alle città murate medievali, al muro di Berlino e al muro
del pianto, è tutta un romanzo. In questo romanzo un posto merita
anche Antigone sulle mura di Tebe, un unicum nel teatro greco e latino,
che troverà un rifacimento ma solo epico nella Tebaide di Publio Papinio
Stazio.
Le mura presuppongono un ‘universo contro’ da cui non bastano a pro‑
teggere1, ma offrono uno spazio2 estremo, marginale e di emergenza al‑
1
Lentini 2013: 188, 193.
2
Bachelard 2006 ha parlato di “poetica dello spazio”. Altra bibliografia sullo spazio
in Lentini 2013: 187 n. 1. Lentini (ivi, 190‑191) intravede la metafora della teichoscopia e
della teichomachia in Lucr. 1. 66‑67 e 2. 5‑11.
17
Francesco De Martino
meno temporaneamente protettivo, dove possono incrociarsi sfere opposte,
non solo femminile e maschile, ma anche senile3 e infantile4.
Ma le mura sono anche luogo mediatico, di comunicazione e di «tra‑
smissione» della comunicazione, visiva, orale e persino scritta, perché erano
lo spazio specifico di affissione di notizie e di immagini, una sorta di “sito
web” ante tempus. Il posto ideale su cui Creonte avrebbe potuto far scrivere
il suo decreto sarebbero state le mura, magari vicino ad una porta. Platone
(Leggi 959a) dice che il tiranno «affigge per iscritto ordini e minacce sui
muri».
Fenicie. Le mura sono continuamente menzionate nelle Fenicie di
Euripide, come poi in quelle di Seneca5. Con le mura Antigone si deve
misurare, perché il suo atto cruciale, seppellire il fratello Polinice, sarà com‑
piuto extra moenia, fuori dalle mura di Tebe6. Le mura sono la frontiera che
deve attraversare. La sua battaglia personale deve andare a combatterla fuori
dalle mura.
Ma con le mura Antigone prende preliminarmente confidenza nelle
Fenicie, una tragedia rappresentata tra il 411 e il 406 a.C., verosimilmente
non prima del 409 a.C.7. Le Fenicie, a loro volta modello delle Fenicie del
comico Strattide (Fiorentini 2010) e presumibilmente anche di quelle di
Aristofane, fondono diversi modelli: Omero, Stesicoro (fr. 222b)8, Eschilo
(Sette a Tebe), ma anche Frinico.
3
Nel prologo delle Fenicie con Antigone c’è un Vecchio servitore, in Stazio il vecchio
Forbante e il vecchio Actore, che non ce la fa (Theb. 7. 246 senem, 11. 357 senior comes […]
/ Actor). La salita sulle mura «può essere interpretata nel quadro della categoria lotmaniana
del superamento dell’ostacolo: oltre all’ascesa fisica, infatti, l’eroina deve anche farsi largo
fra la folla che, come lei, si accalca sulle mura per assistere al duello: [...] tacitos obstante
tumultu / Antigone furata gradus (354‑355)» (Korneeva 2011: 186‑187).
4
In Il. 8. 517‑519 Ettore dice agli araldi di convocare bambini e vecchi sulle mura,
mentre le donne devono rinchiudersi in casa. Nelle Troiane 1074 di Seneca Priamo tiene
in braccio il nipote Astianatte e gli fa vedere paterna […] bella. In Stat. Theb. 7. 240‑242
le madri tebane mostrano ai figli le armi luccicanti dei padri.
5
E. Ph. 79, 116, 239, 366, 593, 744, 752, 796, 823, 1137, 1150, 1357, 1475. Cf. Sen.
Ph. 343, 444‑445, Troiane 634, 1075, 1091, 1119, e anche Stat. Theb. 5. 311, 351, 376, 410,
495, 7. 391, 433, 435, 12. 355, 362.
6
Cf. Philostr. 2. 29: «(sc. Antigone) uscita di notte dalle mura» (§1), perché i cadaveri
stanno ovviamente «sotto le mura» (§2).
7
Cf. Méridier in Grégoire‑Méridier‑Chapouthier 2002: 127.
8
Su Euripide nel suo ultimo decennio (Elena, Oreste, Ifigenia in Aulide, Fenicie)
stesicoreo cf. Ercoles‑Fiorentini 2011.
18
Antigone sulle mura
Il titolo stesso è un omaggio alle Fenicie di Frinico, tanto più ostentato
per la trama differente, allo stesso modo in cui Supplici è un omaggio di
Euripide al titolo delle Supplici di Eschilo, anche in questo caso con tra‑
ma differente9. Proprio perché riprende il titolo, Euripide riprende anche
la qualità esotica del Coro, le Fenicie10. Anzi ne riprende puntualmente
anche l’entrata, la parodo11. Il primo verso (202 Τύριον οἶδμα λιποῦσ᾽)
della parodo di Euripide imita infatti il fr. 9 Sn.‑Kn. delle Fenicie di Frinico
(Σιδώνιον ἄστυ λιποῦσα), verosimilmente anch’esso il primo della parodo.
Forse proprio alla parodo aveva già alluso anche Aristofane nel 422 a.C.
nelle Vespe 219‑220 «canticchiando canzoni archeomelisidonofrinicherata
(ajrchaiomelisidonophrynicherata)»12.
Il primo verso del prologo delle Fenicie (fr. 8 Sn.‑Kn.) fu a sua volta
imitato da Eschilo nel primo verso dei Persiani (Frinico T 5 Sn.‑Kn.), come
desumiamo dalla hypothesis:
Glauco, nel Sui miti di Eschilo, afferma che i Persiani sono stati ricre‑
ati a partire dalle Fenicie di Frinico. Cita anche l’inizio del dramma,
questo qui: Questa è la dimora dei Persiani partiti da tempo tranne che
là è l’eunuco che annunzia nell’inizio la sconfitta di Serse e dispone i
seggi per i consiglieri. Qui invece il Coro degli anziani recita il prologo
(prologizei).
In Frinico il verso era pronunciato da un Eunuco (con funzione di mes‑
saggero), un personaggio minore che sarebbe riaffiorato molto più tardi
come protagonista di una commedia di Terenzio, in Eschilo invece dal
Coro.
9
Taplin 1989: 193 n. 1. Ad una casualità pensa invece Medda 2006: 18 n. 21. Sulle
Fenicie di Strattide frr. 47 e 48 K.‑A. parodia di quelle di Euripide, cf. Fiorentini 2008‑
2009: 37, 216‑229 e 2010. Anche Aristofane scrisse Fenicie, cf. fr.*547 K.‑A., che riprende
il v. 182 del dramma euripideo.
10
L’estraneità del coro dalla trama, rilevata dallo scolio a Ar. Ach. 443 rende ancora
più evidente la natura di omaggio a Frinico.
Cf. anche fr. 10 Sn.‑Kn. καὶ Σιδῶνος προλιπόντα ναόν e Taplin 1989: 252. Nella
hypothesis dei Persiani il v. 202 delle Fenicie è ricordato come esempio di brani corali parodikan.
11
12
Mastromarco 1983: 467 n. 48.
19
Francesco De Martino
Se, come risulterebbe da tante riprese, le Fenicie erano state il dramma di
maggior successo di Frinico, potrebbe essere stato uno dei drammi della te‑
tralogia che vinse nel 476 a.C., con Temistocle corego (Plut., Them. 5. 5)13.
Polinice verrà. Le Fenicie di Euripide si aprono14 con un monologo di
Giocasta che fornisce gli elementi genealogici ed onomastici (Giocasta,
Edipo, Ismene, Antigone) utili per capire lo sviluppo del dramma, ma an‑
che alcune grosse novità. Giocasta è viva15 e vivi sono Antigone e soprattut‑
to Polinice, anzi come si vedrà nell’esodo persino Edipo. La vera notizia è
che Polinice «verrà (ἦξειν)» (v. 83)16, come informa Giocasta. La notizia è
sicura, perché gliel’ha confermata un vecchio Servo inviato per convocare
l’eroe a Tebe per una tregua e che entra in scena subito dopo al v. 88 e al v.
170 ripete la notizia per Antigone «(sc. Polinice) verrà (hexei)». Polinice verrà
al v. 261 e resterà in scena fino al v. 636, cacciato da Eteocle. Ma, come dice
la hypothesis III, verrà “per niente”: «Anche Polinice viene per la tregua per
nulla».
Giocasta riprende a parlare al v. 301, dopo la parodo. Secondo uno
scolio (al v. 93) l’attore protagonista che impersona Giocasta esce per in‑
terpretare Antigone17. Il vecchio Servo18 appare in alto sulle mura e aiu‑
13
In essa potrebbero esserci stati anche i Giusti o Persiani o Consessori (Lloyd‑Jones
1966, cf. Taplin 1989: 63 n. 2). Se nella stessa tetralogia c’era anche la problematica Presa
di Mileto, la questione si complicherebbe ma con conseguenze interessanti. Sulla Presa di
Ecalia, cf. Mastromarco 2012 e Caroli 2012.
14
Sull’inizio delle Fenicie, cf. Carrara 1994a e 1994b.
15
Rispetto ai Sette a Tebe di Eschilo e all’Edipo re di Sofocle è «un elemento di sor‑
presa» (Medda 2006: 8).
16
Il verbo è riusato da Giocasta al v. 463 (hekei) ed è un verbo speciale, con una storia
letteraria interessante, sulla quale tornerò in un’altra occasione. Significativamente si trova
anche nelle Fenicie di Strattide (fr. 46. 3 K.‑A., verosimilmente proprio nel prologo, cf.
Fiorentini 2009: 221‑222).
17
« Si ritiene che Euripide abbia fatto ricorso a questo espediente perché il protagonista
potesse cambiare personaggio abbandonando il ruolo di Giocasta», Pickard‑Cambridge
1996: 188 e 205 n. 87. Ai vv. 1270‑1282 Giocasta e Antigone sono entrambe in scena e
in questo caso dovevano essere a cura di attori diversi, per questo motivo Di Benedetto‑
Medda 1997: 228 distribuivano diversamente le parti. Taplin 1989: 368 paragona il break
dell’uscita di Giocasta a quello dell’Ifigenia in Tauride prima e dopo la scena con Oreste e
Pilade (867‑922) e con quelli del prologo delle Eumenidi di Eschilo.
18
Nell’elenco dei prosopa e nei mss è Pedagogo, in uno scolio un tropheus. Il modo
di comportarsi lo assimila ad un Pedagogo, Mastronarde 1994: 179. Su «the old men re‑
sembling messengers or paidagogoi» sui vasi, cf. Green 1999. La sua opera «sarà travolta e
rovesciata nel corso della tragedia» (Funaioli 2011: 81).
20
Antigone sulle mura
ta Antigone a salire, come ha concordato con Giocasta (89‑91)19. Questa
seconda scena fa ancora parte del prologo20, perché il Coro non è ancora
arrivato. Prima della parodo, che per Aristotele (Po. 1452b), segna la fine del
prologo, Euripide ha inserito una specie di para‑prologo, prologo in alto che
permette di dare precocemente21 risalto ad un personaggio centrale del mito
ma che in quella specifica tragedia sarebbe rimasto del tutto secondario,
perché Antigone tornerà in scena di nuovo molto tardi e in scene minori e
secondarie (1270ss., 1436ss., 1485ss.).
Prologo «a parte». Il Servo fa di tutto per far capire che la scena sulle
mura è «a parte»22. Nessuno vede Antigone, a parte il pubblico, come
dice il Servo: «no, non sbuca nessuno della città» (99). Quel “nessuno”
allude soprattutto ad Eteocle che nei Sette (182ss.) di Eschilo aveva
rimproverato le tebanine del Coro incapaci di sopportare lo stress
dell’assedio, a differenza di Antigone in grado invece di sopportarlo23.
Anche alla fine della scena il Servo controlla che Antigone rientri
subito in casa e non venga vista neppure dalle donne che stanno
arrivando, cioè dalle Fenicie. Anche in Stazio (Theb. 7. 243ss.) nella
prima delle due salite sulle mura 24 Antigone sta «appartata su una torre
isolata (turre procul sola)», perché «non le è ancora permesso mostrar‑
si in pubblico (concessa videri)» (7. 243). Con lei c’è solo il vecchio
Forbante, scudiero e auriga di Laio, che le fa una rassegna degli alleati
dei Tebani (7. 246‑373).
19
Anche in 1275 Antigone, preoccupata di lasciare la stanza delle vergini, è spinta da
Giocasta a non avere vergogna e a presenziare al duello tra Eteocle e Polinice, per sventarlo,
se ancora possibile.
20
Il prologo tragico è di solito in almeno due scene o in una scena in due parti,
cf. Mastronarde 1994: 171. Secondo la hypothesis di Aristofane di Bisanzio (p. 153. 9
Chapouthier) Προλογίζει δὲ Ἰοκάστα, ma nel senso che il primissimo personaggio
che entra in scena, come confermano analoghe notazioni in altre hypotheseis (Antigone
nell’Antigone, la nutrice nella Medea, Apollo nell’Alcesti, Andromaca nell’Andromaca, ecc.).
21
Esseri umani, non solo divinità, si trovano a volte in alto ma alla fine del dramma
(Medea nella Medea 1317ss., Oreste, Pilade, Elettra, Ermione in Oreste 1567ss.), cf.
Mastronarde 1990: 255‑257 e Di Benedetto‑Medda 1997: 77‑78.
22
Burgess 1987: 106‑107 segnala altre scene «isolated»: Oreste e Pilade in Ifigenia in
Tauride e Elettra, Elena in Oreste, Teucro in Elena.
23
Sulla parodo dei Sette come possibile teichoscopia, cf. Librán Moreno 2005: 237‑239.
24
Solo nella seconda salita sulle mura Antigone ormai senza il vecchio Actore rivolge
un discorso al fratello Polinice (Theb. 11. 363‑382).
21
Francesco De Martino
La scena di Antigone sulle mura è «a parte», una sorta di extra anche
perché una donna sulle mura è un “cammeo” epico, una specie di omaggio
ad Omero. Questo ne agevolava un riuso come «a virtuoso piece» nelle re‑
pliche parziali che erano molto diffuse25. Omerico è anche il format di un
meros che può stare in un componimento più ampio, ma in sé e per sé è un
pezzo indipendente. Sezioni extra sono attestate infatti proprio in Omero,
non solo la Dolonia 26 ma la scena con Glauco e Diomede in Il. 6. 119‑23627.
Casi analoghi di pezzi “a parte” sono testimoniati anche per Polibio (10. 21.
3‑6) e per Dione Cassio (73. 23)28.
Il format «a parte» della scena euripidea di Antigone sulle mura è colto
nell’Argumentum III (p. 151. 7‑13 Chapouthier)29:
Ἔστι δὲ τὀ δρᾶμα καὶ πολυπρόσωπον καὶ γνωμῶν μεστὸν πολλῶν
τε καὶ καλῶν. Τὸ δρᾶμα ἐστὶ μὲν ταῖς σκηνικαῖς ὄψεσι καλόν,
ἔστι δὲ παραπληρωματικόν. ἥ τε ἀπὸ τῶν τειχέων Ἀντιγόνη
θεωροῦσα μέρος οὐκ ἔστι δράματος. Καὶ ὑπόσπονδος Πολυνείκης
οὐδενὸς ἕνεκα παραγίνεται. ὅ τε ἐπὶ πᾶσι μετ᾽ὠδῆς ἀδολήσχου
φυγαδευόμεμος Οἰδίπους προσέρραπται διὰ κευνῆς.
Il dramma è sia multiprosopico sia pieno di molte e belle sentenze.
Il dramma è bello per le vedute sceniche. Ma è pieno di riempitivi.
Antigone che scruta dalle mura non è un meros del dramma. Anche
Polinice viene per la tregua per nulla. E soprattutto Edipo sulla via
dell’esilio con un canto è stato ricucito a vuoto.
Πολυπρόσωπον. Cf. Luc. Nigr. 8 «come sulla scena in un dramma mul‑
tiprosopico (πολυπροσώπῳ δράματι), uno che era schiavo ricompare come
padrone e un altro povero da ricco che era, un altro ancora satrapo o re da
povero, uno amico di costui, un altro nemico, uno ancora esule». In Ateneo
1. 20 è riferito alla danza: «la danza di Pilade era ampollosa, patetica e
25
Burgess 1987: 103.
26
Scolio ad Il. 10. 1: «dicono che la rapsodia sia stata sistemata a parte e non sia un
meros dell’Iliade. Fu collocata da Pisistrato nel poema»; Eust. ad Il. 785. 41‑42: «gli antichi
dicono che questa rapsodia fu disposta da Omero idiai, e non era annoverata fra gli ele‑
menti dell’Iliade, e che fu disposta nella composizione da Pisistrato».
27
Scolio a Il. 6. 119 «alcuni trasferiscono altrove questa systasis»; cf. Fornaro 1992: 25‑29.
28
Vox 1981; sulla terminologia aristotelica dello scolio omerico, cf. Gallavotti 1969.
29
Sulla hypth. cf. Burgess 1987: 104.
22
Antigone sulle mura
multiprosopica (prolyprosopos)». L’osservazione potrebbe andar bene anche
per le Fenicie, se l’attore che interpretava il Servo era lo stesso che interpre‑
tava Polinice e Creonte (Di Benedetto‑Medda 1997: 228). Γνωμῶν μεστὸν
πολλῶν τε καὶ καλῶν. Per la gnomica, cf. D.C. LI (Eschilo, Sofocle ed
Euripide ovvero l’arco di Filottete) 15 «Le liriche non hanno la sentenziosità
né l’esortazione alla virtù di quelle euripidee».
μεστόν. Cf. Gorg. fr. 24 D.‑K. (= Ar. Ra. 1021) δρᾶμα (sc. i Persiani)
ποήσας Ἄρεως μεστόν, Plu. Mor. 389a (E di Delfi) «ditirambi pieni
(μεστάv) di passioni e movimento», Max. Tyr. 18. 9 (= Anacr., fr. 402/57
Page) «i suoi canti sono pieni (μεστάv) della chioma di Smerdi, degli occhi
di Cleobulo e della grazia giovanile di Batillo», Cf. Ar. Nu. 1367 Eschilo «è
pieno di chiasso» (la definizione è del sofistico Fidippide), Hor. Carm. 3.
25.1‑2 «tui (sc. di Bacco)/ plenum». Cf. De Martino 2001: 156 n. 82.
Ἔστι δὲ τὀ δρᾶμα. Notazioni simili in varie hypotheseis: Τὸ δρᾶμα τῶν
πρώτων (Hipp.), τὸ δὲ δρᾶμά ἐστι σατυρικώτερον (Alc.), cf. Mastronarde
1994: 169 n. 2. Qualificazioni si trovano anche in Ar. Th. 166 κάλ […] τὰ
δράματα e Ra. 1254‑1255 «moltissimissimi (πολὺ πλεῖστα)» e «bellissimi
(κάλλιστα)», Frinico, fr. 32. 3 K.‑A. «molte e belle (πολλὰς … καλάς) tra‑
gedie»; Hyp. Cav. «il dramma è uno di quelli composti kalos».
μέρος οὐκ ἔστι δράματος. Cf. Arist. Po. 1453b ἔξω τοῦ δράματος,
1460a ἐν τῷ δράματι, scolio a Il. 10, in. μέρος τῆς Ἰλιάδος (sc. la
Dolonia). Non c’è bisogno di distinguere, come invece suggerisce
Mastronarde (1994: 169 e n. 1), tra presenza e assenza dell’articolo (Arist.
Po. 1453b ἐξω τοῦ δράματος, 1460a ἐν τῷ δράματι, scolio a Il. 10, in.
μέρος τῆς Ἰλιάδος).
ὑπόσπονδον. Cf. Ph. 81 Giocasta «ho convinto il figlio che al figlio ve‑
nisse protetto da una tregua (ὑπόσπονδον)» e 450 Eteocle «mi hai persua‑
so e hai potuto fare entrare entro le mura quest’uomo protetto dalla tregua
(ὑπόσπονδον μολεῖν/ τόνδε εἰσεδέξω τειχέων)». Frequente negli storici
(Hdt. 2. 144, 5. 72. 2, 5. 162. 2, 6. 103. 3, Th. 1. 103. 1), si usa spesso
per i morti (Th. 1. 63. 3 e 2. 79. 7 τοὺς νεκροὺς ὑποσπόνδους). Polinice
è virtualmente già morto. Cf. Ph. 172 ἔνσπονδος. In Ba. 924 è riferito a
Dioniso (dallo stesso Dioniso): «Prima (sc. il dio) non era propizio,/ ora è in
tregua (enspondos) con noi».
Chi ha scritto questa hypothesis conosceva bene le Fenicie. Il termine
hypospondos riprende hypospondon molein detto da Giocasta, ripetuto da
Eteocle (81 e 450) e variato in enspondos da Antigone (171). Polinice hypospondos «arriva per nulla» e Edipo se ne va in esilio «a vuoto».
23
Francesco De Martino
L’impressione di spreco drammaturgico affiora anche nel termine
polyprosopon «dai molti personaggi», in riferimento agli 11 personaggi, il
massimo nella tragedia30, anche se solo 2 femminili (Antigone e Giocasta),
usati entrambi subito nel prologo, a parte le 15 fenicie del Coro. Un dramma
multiprosopico e centrifugo, una rarità rispetto ai tanti drammi centripeti31.
Non sappiamo a chi risalgano le osservazioni32. Interessante è comunque
la definizione del dramma come “pleromatico”. Le Fenicie sono insom‑
ma costruite con scene riempitive (perché superflue, a parte) all’inizio
(Antigone), al centro (Polinice) e alla fine (Edipo). Anche il terzo stasimo
dava l’impressione di qualcosa «per nulla», superfluo e ripetitivo, non atti‑
nente al dramma.
scolio a Ph. 1019: Per nulla queste cose. Era necessario che il coro espri‑
messe pietà per la morte di Meneceo o approvasse l’ardimento del giovane.
Ma espone i fatti di Edipo e della sfinge detti già molte volte, cf. Burgess
1987: 104 n. 8, Mastronarde 1994: 434‑435.
Analoga sconnessione dei canti del coro nelle Fenicie affiora anche nello
scolio ad Aristofane, Acarnesi 443: «Euripide introduce cori che non dicono
cose connesse alla trama (τὰ ἀκόλουθα φθεγγόμενος τῇ ὑποθέσει), ma
raccontano delle storie mitiche (ἱστορίας τινάς), come nelle Fenicie».
Tanti pezzi scollegati tra di loro contribuivano a rafforzare l’effetto fina‑
le di dramma «pieno», troppo pieno, persino di sentenze, a partire da quella
sulle donne pettegole33. Una pienezza derivante dalla molteplicità di ingre‑
dienti non dall’eccesso di uno solo come i Sette a Tebe di Eschilo definiti da
30
De Martino 2002: 114‑115. 11 personaggi ha anche il Reso.
31
Sulla struttura centripeta, cf. Medda 2006: 9 e 18‑19 n. 22 dove ricorda lo scolio
ad Aristofane, Acarnesi 443.
32
Mastronarde (1994: 169) ricorda come nella sua edizione dei frammenti (Aristophanis Byzantii Fragmenta, Berlin 1986) W.J. Slater «omits the dramatic material entirely».
L’aggiunta di Scaligero ἐρεῖ καὶ καταπληροματικόν dipende dall’Argumentum. Ferrari
1996: 237 attribuisce ad Aristofane di Bisanzio l’Argumentum in questione.
33
Cf. 198‑201 «Le femmine sono una brutta razza: amano la maldicenza, se trovano
piccoli appigli per discorrere, li moltiplicano. È un piacere per loro sparlare l’una dell’altra»;
355‑356 «I dolori del parto sono tremendi e non c’è donna al mondo che non ami la propria
creatura»; 358‑360 «Ma la patria la amano tutti, inevitabilmente. Chi dice il contrario si
compiace di vuote parole; in realtà, dentro di sé, non fa che pensare alla patria»; 387‑399 in
forma di domanda e risposta su cosa sia essere privato della patria; 814 «ciò che bello non
è, non fu mai bello». Altre gnomai (442, 524ss., 584s. 1320s., 1478s.) sono segnalate da Er‑
colani 2000: 171‑173). Dione Crisostomo osserva invece che «i canti di Sofocle non hanno
molta gnomica (πολὺ τὸ γνωμικόν) né invitante alla virtù come invece quelli di Euripide».
24
Antigone sulle mura
Gorgia un «dramma pieno di Ares» (82 B 24 D.‑K. = Rane 1021), perché
troppo e solo militaresco.
Ekphrasis cinetica. Il Servo – come spesso nel teatro antico – dà istru‑
zioni come se fosse il regista. Non solo avverte che la scena è “a parte”, ma
sottolinea anche che il momento è quello giusto, perché l’esercito è in mo‑
vimento (106‑108):
ἰδοῦ ξύναψον, παρθέν’ ἐς καιρόν δ’ ἔβης/ κινούμενον γὰρ
Πελασγικὸν/ στράτευμα, χωρίζουσι δ’ ἀλλήλψν λόχους.
Ecco, tienti stretta a me. Sei arrivata al momento giusto. Le truppe dei
Pelasgi fanno manovra, i reparti si schiereranno ciascuno al suo posto.
(trad. U. Albini, qui e in seguito).
Il momento è giusto per vedere truppe “in movimento”, e per descri‑
verne i capi: un’ekphrasis militare “cinetica”. Militare perché la raccolta
dell’esercito è uno dei preliminari della guerra previsti nella teoria retorica
dell’ekphrasis34 , e riguarda il secondo dei cinque tipi di descrizione elencati
da Elio Teone (prosopa, pragmata, topoi, chronoi e tropoi), quello dei pragmata e del pragma per eccellenza, la guerra:
Cominceremo a descrivere i fatti (τὰ μὲν πράγματα ἐκφράζοντες) a
partire da quelli precedenti e poi quelli concomitanti e quelli conse‑
guenti per esempio nel caso di una guerra passeremo in rassegna prima
i precedenti della guerra, il reclutamento dell’esercito (stratologias),
le spese, le paure, il territorio saccheggiato, gli assedi, poi i traumi e
le morti e i lutti, e dopo tutte queste cose la conquista e la schiavitù
degli uni e la vittoria e i trofei degli altri. (Theon. Prog. X, p. 68. 16‑
24 Patillon‑Bolognesi).
Ciò che ora Antigone può vedere in diretta è la stratologia, cioè il con‑
vergere delle truppe coi loro comandanti. Ma anche altri dettagli, altre in‑
quadrature su manovre militari, come quella segnalata ai vv. 180‑181, dove
il Servo dice che Capaneo «sta misurando in alto e in basso le mura». La
misurazione è un tratto importante già nella erezione delle mura, nei teichismoi, come vediamo in Tucidide 3. 20. 3‑4 e ed Erodoto 2. 127. 1, che
34
De Martino 2013a‑c, 2014, 2015.
25
Francesco De Martino
dice di aver misurato personalmente l’altezza della piramide di Chefren, e
in Aristofane, Uccelli 1130 (I Messaggero)35.
Il Servo spiega ad Antigone anche l’importanza degli emblemi per per‑
sonalizzare gli scudi e identificare gli eroi (Fenicie 142ss.). Successivamente
il Messaggero II ai vv. 1093ss. descriverà lo scontro tra assedianti e tebani
a Giocasta e ai vv. 1335ss. e 1427ss. il duello tra Eteocle e Polinice36 e la
morte di Giocasta al coro femminile. Alla fine Antigone descriverà la morte
di Giocasta ad Edipo (1567‑1581). Giocasta si interessa persino di epigrafia,
quando immagina una brutta iscrizione del figlio se vincesse ma distrug‑
gendo Tebe (574‑576): «E cosa inciderai sulle armi quando le consacrerai
lungo le rive dell’Inaco:/ Polinice offre questi scudi agli dèi dopo aver incendiato Tebe?». Un non isolato caso di epigrafia immaginaria, testimoniato
anche per Ecuba nelle Troiane, che varia la novità delle iscrizioni‑fumetto
descritte dal Messaggero proprio ad Eteocle dei Sette.
I pragmata militari interessano sempre più le donne, come quelli sporti‑
vi. Nell’Elettra di Sofocle 680ss., il Pedagogo‑Messaggero fa una vistosa ed
eccezionale ekphrasis sportiva per donne (Clitennestra, Elettra, Crisotemi).
Guerra e sport diventano interessanti per le donne se guerrieri e sportivi
sono le persone amate e in pericolo di vita.
Emblematicamente nessuna delle descrizioni delle Fenicie è destinata
ad Eteocle. Destinatario delle stupende descrizioni militari degli scu‑
di dei condottieri nei Sette di Eschilo37, Eteocle in Euripide, rivolgendosi
a Creonte, contesta invece tali elencazioni: «è tempo sprecato (διατρίβη
πολλήv) dire il nome di ciascuno,/ mentre i nemici sono sotto le mura
(τείχεσιν καθημένων)» (751)38. Questo Eteocle euripideo parla come un
militare esperto. Tucidide 7. 44 osserva infatti che persino di giorno in
pieno combattimento è difficile identificare gli avversari: «Di giorno si co‑
noscono i fatti più chiaramente, e tuttavia coloro che hanno preso parte a
una battaglia, neppure questi li conoscono tutti, ma ciascuno sa solo e con
35
De Martino 2015.
36
Interessante il dettaglio del «sudore» del pubblico. Il duello, descritto minutamente
come in una sceneggiatura, è consapevolmente spettacolare, cf. le reazioni dei Danaidi
(1395) e dei Tebani (1398‑1399).
37
In S. OC 1308‑1325 Polinice fa una essenziale e fiacca rassegna dei 7 per Edipo
ed Antigone.
38
«Contrapporrò condottiero a condottiero. Menzionarli per nome uno per uno
significa perdere tempo e i nemici sono già sotto le mura». Cf. Mastronarde 1994: 360‑361
e Librán Moreno 2005: 248‑249.
26
Antigone sulle mura
difficoltà quel che è accaduto vicino a lui» (trad. G. Donini)39. Polibio 5.
21 a sua volta suggeriva di descrivere i luoghi «non tanto cosa sia accaduto».
Antigone dunque trasgredisce in anticipo la gnome di Eteocle. E la tra‑
sgredisce anche Giocasta. «E la cinta delle sette torri? Com’è la situazione?»
(1077) chiede al Messaggero che le descrive uno per uno eroi e scudi,
mostrando che per lei il tempo non è sprecato perché i motivi non sono
militari ma di cuore, l’amore per i figli.
Chi realmente descrive è Antigone che poi chiede l’identità del con‑
dottiero al Servo. Ma formalmente l’ekphrasis è preannunciata al v. 95 dal
Servo, che in quanto testimone oculare (95 «avendo visto», 142 «avendo
visto i segni») può dire: πάντα […] φράσω. L’espressione è molto simile a
quella del Pedagogo‑Messaggero in Sofocle, Elettra 680 τὸ πᾶν φράσω, o
di Prometeo in Uccelli 1507 φράσω σοι πάντα τἄνω πράγματα. Il verbo è
tecnico e prefigura il futuro ekphrazo, come in tanti altri passi come forse
già prophrazo in Esiodo (Opere 655 prophradmema), dove è riferito ai «molti
premi descritti con anticipo», cioè pubblicizzati.
Poiché riguarda i pragmata militari e i condottieri, l’ekphrasis è mista di
pragmta e di prosopa. È un peccato che non ci sia la descrizione del teichismos40 delle mura di Tebe, costruite dal musico Anfione e dal pastore Zeto,
ricordati da Antigone (115 e 145), i due costruttori ricordati già in Od. 11.
260‑26541. La città stessa prese il nome Tebe, la moglie di Zeto, e le porte
dal nome delle sette figlie di Anfione42.
Donne sulle mura. Antigone osserva la stratologia e i comandanti dalle
mura, in una teichoscopia, come si usa chiamarla con un termine che figura
una sola volta nello scolio a Ph. 88 e che «osservazione dalle mura», non
«delle mura» come suggerirebbero composti simili, per esempio oroscopia43.
39
Analoghe critiche formula Teseo nelle Supplici 846‑856 per criticare Eschilo che
nei Sette a Tebe si attardava a descrivere dettagliatamente i sette assedianti e i loro scudi
e nella scena che precede il riconoscimento nell’Elettra di Euripide, cf. Quijada Sagredo
2013: 35 e nn. 8‑9.
L’esempio che Elio Teone porta è banale, il περιτειχισμός di Platea (Th. 3. 21‑22).
Esempi più significativi stanno in Erodoto (Babilonia) e in Tucidide (Atene) e negli Uccelli
di Aristofane. Cf. De Martino 2015.
40
41
Cf. inoltre Paus. 9. 5. 6‑8, Pherecyd. FGrHist 3 F 41, e n. 38.
42
Apollod. 3. 5. 5‑6 / 44‑45, Hyg. Fab. 69. Per i nomi storici delle sette porte (Omo‑
loidi, Ogigie, Pretidi, Oncaidi, Ipsiste, Elettra, Crenidi), cf. A. Th. 375‑685. Le mura
furono distrutte dagli Argivi all’epoca degli Epigoni, i figli vendicatori dei sette morti dieci
anni prima, cf. Apollod. 3. 7. 4. 85.
43
Su questa teichoscopia cf. Curnis 2002 e 2004.
27
Francesco De Martino
Antigone non è né la prima né l’unica donna sulle mura. Donne sul‑
le mura o alle prese con le mura sono testimoniate da storici (Tucidide,
Diodoro Siculo, Cesare, Sallustio) e da Plutarco44, ma sono soprattutto un
topos dell’epica anche latina: Ennio45, Virgilio46, Stazio, Lucano, Valerio
Flacco, Silio Italico. In particolare Stazio nella Tebaide presenta due salite
sulle mura di Antigone, una con Forbante ed una da sola perché il vecchio
Actore che l’accompagnava non ha più fiato per completare la salita.
Stat.47 Theb. 4. 89‑92: «ma mentre (sc. Polinice) si allontana si volge a
guardare Argia che, stravolta (attonitam), dall’alto della torre (de turre suprema), si protende verso di lui con tutto il corpo (totoque extantem corpore);
ed essa riporta a sé tutta l’attenzione del marito, facendogli per il momento
dimenticare la sua dolce Tebe (trad. G. Farando Villa) 48.
5. 342‑356 e 376: «Che restava più del furibondo ardire? Salimmo
sulle mura che cingono il porto e abbracciamo i lidi (portus ampe‑
xaque litus/ moenia) e sulle torri più alte donde si può spingere lo
sguardo per largo tratto sul mare aperto; ciascuna portava con sé tutta
trepida, insieme a sassi e bastoni, le armi che ricordavano tristemente
i mariti, le spade ancora contaminate dalla strage; non si peritarono
nemmeno di indossare le corazze dalle ruvide maglie e di introdurre
sfrontatamente il capo negli elmi. […] Alla fatica di quei disgraziati
ci aggiungiamo noi, acquattate tra le rupi e dietro ogni riparo offerto
dalle mura (murorum aggere ab omni)». Le Lemnie guardano dalle
mura gli Argonauti e, scambiandoli per Traci, li attaccano49.
7. 240‑242: «Il nemico non è ancora giunto, tuttavia già le madri,
piene di trepidazione, salgono sulle mura (conscendunt muros) e
44
Th. 2. 4. 2 (donne di Platea mettono in fuga i tebani), D. S. 13. 89 e 108‑111 (don‑
ne di Gela riparano il muro che i nemici stanno demolendo). Plutarco, Moralia 245 b‑c (le
donne di Chio sulle mura lanciano pietre e dardi, facendo indietreggiare gli attaccanti),
Caes. Gal. 7. 47. 4‑5 (le madri a Gergovia gettano dalle mura vesti e argento e si affacciano
«a seno nudo»), cf. Cipriani 1986: 50, Brescia 1997: 134. Su teichoscopie negli storici (Liv.
5. 40. 4‑7, dal Campidoglio; Claud. Ruf. 2. 60‑70; Sid. Apoll. Carm. 7 (= Elogio di Avito).
255‑256) cf. Miniconi 1981: 76‑77.
45
Enn. fr. 9. 419 Vahlen (una teichoscopia femminile?, cf. Miniconi 1981: 74).
46
Virg. Aen. 8. 592‑593 (le madri guardano in muris gli eroi in partenza), cf. Kornee‑
va 2011: 185 n. 159; inoltre 11. 877 ss., 12. 131‑133 e 585‑587.
47
Cf. Korneeva 2011: 184‑185. Sulla teichoscopia in Stazio e Lucano, cf. Lovatt 2006.
48
Argia sulle mura è modellata su Medea sulle mura in Valerio Flacco (Arg. 6. 681).
49
Su questa teichoscopia parodica, cf. Korneeva 2011: 173‑174.
28
Antigone sulle mura
mostrano da lì ai figlioletti (natis) il luccichìo delle armi (arma ni‑
tentia), additando loro i volti dei padri che sotto gli elmi appaiono
tremendi».
7. 242‑373: «Lontano, su una torre isolata, si trova Antigone, cui
ancora non è permesso di mostrarsi in pubblico, e con un lembo
della veste nera si copre il tenero volto; le è vicino lo scudiero che
accompagnava Laio; la principessa prova venerazione per il vecchio
e in quest’occasione così gli si rivolge: «C’è speranza, padre mio, che
queste nostre schiere resistano ai Greci? C’è giunta voce che tutti i
popoli del Peloponneso si dirigono qui. Illustrami (dic), ti prego, gli
eserciti dei re stranieri! Da sola infatti posso riconoscere le insegne
(video […] signa) delle nostre schiere […] Qui si ferma l’esperienza di
Antigone e a lei il vecchio Forbante così risponde: «Ecco Driante alla
guida di mille arcieri […]». Dopo queste parole, la fanciulla si intro‑
mise nel suo discorso brevemente: «E quei due fratelli che vedo là da
che traggono origine? Hanno armi identiche, identico si leva nell’aria
il cimiero dell’elmo. Tale armonia regnasse anche tra i mie fratelli!».
A lei sorridendo il vecchio: «Non sei la prima, Antigone, che la vista
induce in errore […]. Ma ecco tutti si fermano e tuo fratello impone
silenzio alle schiere».
11. 354‑375: «In un’altra parte della città Antigone intanto, sci‑
volando in silenzio e di nascosto in mezzo al tumultuare della
folla, incurante della sua condizione di vergine, sta correndo come
una pazza (furata), ansiosa di salire sulla cima delle mura Ogigie;
l’accompagna, seguendola da vicino, il vecchio Actore, che tutta‑
via non avrà fiato per giungere fin sulla rocca. La giovane, dopo
aver esitato un po’ scorgendo da lontano le armi e riconoscendo il
fratello che (delitto atroce!) con i giavellotti e con voce tracotante
assedia la città, dapprima riempie l’aria di fortissimi lamenti, poi
gli si rivolge a gran voce, sporgendosi dall’alto delle mura (ex
muris) come se volesse buttarsi giù (ceu descensura): «Fratello,
trattieni la tua mano armata, indirizza un momento lo sguardo a
questa torre e volgi verso di me le piume irte del tuo cimiero! […]
Libera almeno dell’elmo il tuo volto corrucciato; mi sia concesso
di vedere (liceat vultus fortasse supremum/ noscere dilectos), forse
per l’ultima volta, i lineamenti amati e scoprire (videre) se piangi,
udendo di miei lamenti […]».
Achill. 2. 23‑26: «turre procul summa lacrimis comitata sororum/
confessumque tenens et habentem nomina Pyrrhum/ pendebat co‑
29
Francesco De Martino
niunx oculisque in carbasa fixis/ ibat et ipsa freto et puppim iam sola
videbat». Deidamia saluta per l’ultima volta Achille50.
Luc. Phars. 7. 369‑370: «Siate certi che le madri romane, sciolte le
chiome, protese dall’alto delle mura cittadine, vi esortano alla batta‑
glia» e 12. 436‑438.
Val. Fl.51 Arg. 6. 482‑491: Giunone nelle sembianze di Calciope chiama
Medea e la conduce sulle mura. Salita sulle mura di Eea in Colchide
Medea osserva innamorandosene Giasone52. 482‑491: “Dunque, so‑
rella – disse – tu sola non sai che, attraverso i/ flutti ignoti, i Minii
sono giunti qui e hanno unito le forze/ a nostro padre? Intanto gli altri
affollano/ le mura e si godono la vista delle armi divine degli eroi./
Tu invece siedi pigra nel talamo, tu sola attaccata alla/ casa paterna;
quando potrai rivedere duci così valorosi?”./ Quella non risponde; né
la dea le dà il tempo di farlo;/ l’afferra del male futuro e in mano a
una falsa sorella». 575‑586: Ed ecco, invece, Medea, assisa sulle mura
paterne (muris […] paternis),/ mentre contempla (lustrat) uno ad uno
gli scontri della grande battaglia/ e da sola riconosce (ipsa […] agnoscit)
lontano alcuni principi, in una fitta/ nube e di altri chiede contro (è
Giunone a farle da guida):/ scorge in lontananza la testa di Giasone
e subito qui/ rivolge avidamente gli occhi, sensi e il favore del cuore:/
ora dove si lanciasse, ora dove deviasse per ripiegare,/ lo vedeva in
anticipo, e quanti cavalli e armi riversasse a terra da solo,/ e con che
fitti lanci d’asta arrestasse la corsa di guerrieri sbandati./ E dove, di
nuovo, con tacito volto, sbrigliò gli occhi erranti/ in cerca delle armi
del fratello o dello sposo promesso/ là, feroce e solo, Giasone venne
incontro alla misera. (trad. M. Fucecchi)
Sil. Pun. 2. 251‑255.
50
Cf. anche Silv. 5. 2. 22‑124.
51
Sulla teichoscopia in Valerio Flacco, cf. Fucecchi 1997: 175 (ai vv. 575‑586).
52
Giunone, assunto l’aspetto della sorella Calciope, inganna Medea e la trascina
sulle mura per farle vedere Giasone, il nuovo straniero arrivato (6. 503‑506). Vedi anche
6. 575ss.: Medea e 6. 681‑682 inminet e celsis audentius improba muris/ virgo nec ablatam
sequitur quaeritve/ sororem.
30
Antigone sulle mura
Un’altra eccezionale teichoscopia amorosa è quella di Scilla che dalle
mura di Megara53 scruta Minosse, il bel nemico di cui si è innamorata. La
fonte è Ovidio (Met. 8. 17‑24)54:
Qui spesso era solita salire la figlia di Niso/ E percuotere i sassi sonori
con piccolo sasso – questo,/ almeno, in tempo di pace. Ma anche in
guerra soleva/ osservare di là gli scontri di Marte spietato./ Durando
la guerra tanto a lungo, aveva imparato anche i nomi/ dei capi, e le
armi, i cavalli, il portamento, le faretre cretesi.
L’archetipo di tutte queste donne sulle mura sono le donne omeriche
sulle mura di Troia. Donne insieme a bambini e vecchi stanno sulle mura
della città in guerra sullo scudo di Achille: «Le spose loro ed i piccoli figli
facevano guardia / Stando sul muro, come anche quelli gravati dagli anni»
(Il. 18. 514‑515). Era si situa sulle mura di Eracle e Troia per vedere il com‑
battimento (Il. 20. 137, 145‑146). Ma soprattutto memorabili e influenti
sono Elena, Ecuba, Andromaca, Cassandra (Il. 3. 139‑244, 6. 386‑389, 22.
460‑465 e 699‑719), sulle mura di Troia.
La teichoscopia di Elena: il duello dei mariti. Il primo modello di
Antigone sulle mura è Elena sulle mura (Il. 3. 121‑244), ma abilmente va‑
riato. In entrambi i casi una donna ed un vecchio dialogano. Ma i ruo‑
li sono non solo capovolti55 ma diversi. In Omero il vecchio è il re, nelle
53
Le sue mura erano “sonanti” (cf. Ov. Met. 8. 14 e 17 («vocalibus […] muris)», «reso‑
nantia saxa»), perché Apollo quando aiutò Alcatoo a costruirle poggiò su un masso la cetra
(kithara). Perciò colpendole con un ciottolo, come fa Scilla, suona come la corda di una cetra.
Sulle mura cf. Paus. 1. 41. 6 e 42. 1‑2: «egli (= Alcatoo) ricostruì le mura dalle fondamenta,
poiché la vecchia cinta era stata distrutta dai Cretesi. […] Si mostra anche un focolare degli
dei chiamati Prodomeis; dicono che il primo a sacrificar loro sia stato Alcatoo, quando stava
per iniziare la costruzione delle mura. […] Come raccontano i Megaresi, con Alcatoo che
costruiva il muro cooperò Apollo e poggiò la cetra sul masso; se questo masso uno lo colpisce
con un ciottolo, risuona come quando si tocca una cetra» (trad. D. Musti). Il masso dove
Apollo posò la cetra doveva essere vicino ad una porta. Lo stesso Pausania ricorda subito dopo
(1. 42. 3) il Colosso di Memnone che al sorgere del sole emetteva un suono «e il suono asso‑
miglia a quello di una cetra o di una lira, quando si è rotta una corda». Alle due mura – quelle
preistoriche e quelle tardo‑micenee di Alcatoo – si aggiunsero, nel 460/459, dopo l’invasione
persiana, le terze mura che collegavano la città al porto di Nisea, che furono poi smantellate
durante le guerre macedoni. Cf. Beschi‑Musti 1982: 429, Kenney 2011: 308‑309.
54
Cf. Korneeva 2011: 185.
55
Come nota Mastronarde 1994: 168 già nell’Iliade c’è «a conversation between
knowledgeable and unknowledgeable interlocutors», ma «the roles are reversed between
male and female».
31
Francesco De Martino
Fenicie non è Edipo, ma un Servo. E la donna non è più la moglie straniera
ma la sorella del principe. “Straniero” è diventato invece il fratello, Polinice.
Infatti sta nel posto sbagliato, fuori non dentro le mura, pur essendo un
principe di Tebe. Nell’Iliade stava Elena nel posto sbagliato, dentro non
fuori le mura. Essendo una regina greca, non dovrebbe stare affatto a Troia.
Fuori stanno gli eroi greci diventati ora suoi nemici. Un’altra differenza è
che Antigone e il Servo non sono visti da nessuno, mentre sulle mura di
Troia Elena era notata dagli altri vecchi troiani che ne evidenziavano la
bellezza e la pericolosità.
La torre in cui stanno Elena e Priamo con i vecchi troiani corrisponde
alle famose Porte Scee, ma che potrebbero essere le stesse chiamate in altre
occasioni dardanie56. Una zona adatta a duelli: quello famoso di Achille e
Ettore57 e quello di Menelao e Paride. Nonostante il doppio nome, è vero‑
simile che la porta del duello tra Achille e Ettore fosse la stessa di quello tra
Menelao e Paride e che da quella stessa porta uscissero i Troiani per affron‑
tare i Greci e fu demolita per far passare il cavallo di Troia.
Elena‑moglie è stata infatti chiamata da Iris per assistere al duello tra
due mariti58, nella speranza che l’eroina provi nostalgia del primo marito,
il “buon marito”, mentre Afrodite costringe Elena ad andare a letto col se‑
condo marito (Il. 3. 390ss.). Il duello dei due mariti è una versione maschile
e militare del “certame delle mogli” testimoniato dal giambo di Semonide
contro le mogli, da Saffo, fr. 16. 7‑11 Voigt («Elena abbandonando l’ottimo
56
La torre è probabilmente la stessa descritta dal Nuntius in Seneca, Troades 1070‑
1078: «Nuntius Di tutta Troia è rimasta ancora in piedi solo una grande torre, famigliare
a Priamo; dalla sua sommità e dai suoi più alti pinnacoli, sedendovi come arbitro delle
battaglie, egli guidava gli scontri. Su questa torre, custodendo affettuosamente in braccio il
nipote ( fovens nipotem), quando Ettore metteva in rotta con la spada e con il fuoco i Danai,
che fuggivano per il terrore, il vecchio mostrava al fanciullo le imprese del padre (paterna
puero bella monstrabat senex). Questa torre, che un tempo era celebre e l’ornamento delle
mura (muri decus), ed è ora un crudele scoglio, viene circondata da una folla di comandanti
e soldati riverberatasi da ogni parte; tutto il popolo dei Greci, abbandonando le navi, vi si
accalca» (trad. R. Cuccioli Melloni).
57
Nel corso del quale l’eroe troiano tenta invano di ripararsi lì «sotto le solide torri,/
se mai dall’altro coi dardi gli dessero aiuto» (Il. 22. 194‑196).
58
Elena va sulle mura col velo bianco: «copertasi con un velo di bianchezza splen‑
dente» (Il. 3. 141), forse proprio un velo da sposa, come quello col quale va sulle mura
Andromaca e che lascia cadere dalla testa quando vede Ettore morto (Il. 22. 466‑472). In
Stat. Theb. 7. 244‑245 è vestita di nero. Nelle Fenicie Giocasta veste in nero (322‑326).
32
Antigone sulle mura
marito andò a Troia e non provò nostalgia del primo marito, né della figlia
né dei cari genitori») e dall’episodio di Cornelia59.
Ad Elena però interessano di più i suoi fratelli Castore e Polluce, che
non vede, e che ipotizza che o non siano venuti o che si tengano fuori dal
combattimento (Il. 3. 236‑244), e che invece sono morti entrambi a Sparta.
«[…] ma i due ordinatori d’eserciti non riesco a vedere,/ Castore do‑
matore di cavalli e Polluce forte nel pugno,/ i miei fratelli carnali, che
la mia stessa madre dette alla luce./ O non sono venuti con gli altri
dall’amabile Sparta,/ oppure sono venuti fin qui sulle navi che solcano
il mare,/ ma non vogliono ora gettarsi nella mischia degli uomini,/ per
paura della vergogna ch’è su di me, della grande ignominia»./ Così di‑
ceva, già invece li teneva sepolti la terra datrice di vita/ proprio laggiù
a Sparta, nella loro terra nativa» (trad. G. Cerri).
Il “certame” dei fratelli. Euripide ha dunque colto e sfruttato questo
dettaglio della teichoscopia di Elena e lo ha rielaborato. Come Elena, anche
Antigone ha due fratelli, tutti e due destinati a morire insieme, anche se
non ancora morti. Antigone è interessata soprattutto a Polinice, il fratello
cattivo da riabilitare. In Euripide il duello sarà raccontato dal I Messaggero
a Giocasta (1219‑1263) e dal II Messaggero (1359‑1454) al Coro, che
l’aveva chiesto: Coro «Ma com’è (πῶς) avvenuta l’uccisione di entrambi
i figli, come si è svolto il duello maledetto? Raccontami (σήμαινέ μοι)»
(1354‑1355).
L’analogia è sottolineata anche letteralmente dall’espressione usata da
Elena e Antigone per i fratelli, nati da «unica madre»60. È tipico delle donne
ricordare la madre più che il padre61. Ma il topos diventa ironico in riferi‑
mento ai figli di Edipo e tanto più in bocca a Giocasta che al v. 11 preci‑
sa che Creonte, suo fratello, è nato «da un’unica madre» μητρὸς ἐκ μιᾶς,
«unius […] uteri» come dirà Stazio (Theb. 11. 407‑408).
59
Cf. De Martino 2014.
Il. 3. 238 μία […] μήτηρ, Ph. 156‑158 μία μήτηρ; cf. S. Ant. 513 in riferimento a
Eteocle, Stat. Theb. 11. 407‑408: «Nel campo sta per compiersi un delitto tra consangui‑
nei, una lotta tremenda tra i figli di un unico ventre (unius ingens/ bellum uteri) (trad. G.
Faranda Villa).
60
61
Il. 19. 293, E. IT 497 «Siete fratelli (sc. Oreste e Pilade)? Figli della stessa madre
(μητρὸς […] ἐκ μιᾶς)?», Xen. An. 3. 1.17.
33
Francesco De Martino
L’analogia tra Dioscuri e Polinice‑Eteocle, quali copie di fratelli specu‑
lari, è anche nell’alternanza del loro status. I Dioscuri erano vivi e morti a
giorni alterni: «Essi anche sotto terra, onorati da Zeus,/ a vicenda vivono un
giorno per uno, a vicenda/ muoiono; e onore uguale ai numi hanno in sor‑
te» (Od. 11. 302‑304)62. Anzi secondo Ps.‑Apollodoro (Bibl. 3. 11. 2. 137)
proprio Polluce aveva chiesto di dividere a metà la presenza in Olimpo.
Eteocle invece non rispetta l’alternanza nel regno ad anni alterni che aveva
concordato con Polinice (70‑74) e bandisce il fratello. Polinice ed Eteocle
sono dunque la versione deteriore dei Dioscuri: una coppia di fratelli legati
da un’alternanza annuale ma fallita.
Il tema dei due fratelli è ripreso e indebolito da Stazio nella teichoscopia
di Antigone e Forbante, che riguarda gli alleati di Eteocle non gli assedian‑
ti63. Antigone vede due fratelli e chiede informazioni al vecchio Forbante:
«E quei due fratelli che vedo là, da chi traggono origine? Hanno armi iden‑
tiche, identico si leva nell’aria il cimiero dell’elmo. Tale armonia regnasse
anche tra i miei fratelli».
Come spiega Forbante i due sono in realtà padre e figlio (Lapitaone e
Alatreo), ma così vicini di età da sembrare fratelli. I due fratelli di Antigone
sono invece non solo diversissimi, ma diversi anche dal padre che è in realtà
anche lui solo fratello più anziano, perché figli della stessa madre, Giocasta.
La teichoscopia di Ecuba. Anche Ecuba assiste ad un duello ma normale,
fra nemici, suo figlio Ettore e Achille. I guerrieri sono appena rientrati in
massa a Troia, tranne Ettore, che rimane definitivamente fuori. Dalle mura
Priamo e Ecuba lo incitano a rientrare «dentro le mura» (Il. 22. 56 e 85) ma
Ettore stesso, parlando al proprio thumos, scarta questa possibilità.
In questa seconda teichoscopia Priamo ed Ecuba64 fanno ciascuno un
discorso da padre e da madre ed entrambi stranamente con riferimenti a
parti intime. Priamo teme i cani che sbraneranno «il pube» di un «vecchio
ammazzato» (Il. 22. 74‑76), un’immagine sfruttata poi da Tirteo (fr. 10. 25
West2). Ecuba, terrorizzata dall’idea di non poter piangere il figlio (Il. 22.
62
Cf. Pi. N. 10. 87‑88, P. 11. 63‑64 «che un giorno abitate nelle sedi di Terapne/ e
l’altro nella dimora di Olimpo» (trad. B. Gentili).
63
Forbante descrive lo scudo di Driante (7. 255‑256 «un tridente e un fulmine sbal‑
zato in oro»), di Anfione, figlio o nipote del musico (7. 279 lira e toro sull’elmo, «insegne
degli avi»), di Ipseo (7. 310‑311 «scudo fatto di sette strati di pelle»).
64
Non è certo se stiano in postazioni diverse, come potrebbe suggerire l’avverbio
eterothen (Il. 22. 79). Cf. Il. 22. 430 e Castellaneta 2013: 16 n. 12, sulla base di Ameis
Hentze 1906: 9.
34
Antigone sulle mura
88‑89), solleva e scopre una mammella 65 (Il. 22. 80 «scoprendosi il seno
con l’altra mano alzava la mammella») per attirare il figlio col ricordo del
«seno lenitivo (λαθικηδέα μαζόν)», che rende latenti le sofferenze (Il. 22.
83, cf. epilethon in Od. 4. 221): un gesto simbolico e a distanza 66.
Ecuba denuda il seno a distanza67 per salvare il figlio, come fa Calliroe
in Stesicoro, Gerioneide, S13. 2‑5, non per salvare se stessa come fa invece
Clitennestra68. Per questo è di matrice omerica il motivo del seno denudato
di Giocasta nelle Fenicie, ricordato nel discorso di Antigone (1567‑1569)69.
Giocasta è accorsa direttamente fuori le mura e mostra da vicino i seni nudi
ai figli70, ma non riesce a salvarli, come non era riuscita Ecuba col suo de‑
nudamento dalle mura. Tra i tanti denudamenti71 di seno quelli di Ecuba
e di Giocasta corrispondono a quello «di una madre che esibisce i seni al
figlio morto»72.
1434‑1435 Messaggero Si gettò prima su un cadavere, poi sull’altro,
piangeva, si lamentava, ricordava con dolore il lungo sacrificio dell’al‑
lattamento (τὸν πολὺν μαστῶν πόνον/ στένων).
65
Per Castellaneta 2013: 16‑17, 22 anche il ventre, «facendo scivolare parte superiore
della veste fino alla vita, dov’era fermata dalla cintura». Ma sarebbe una scena anomala per
un poeta proude come Omero.
66
Il gesto è simbolico, perché verosimilmente Ettore sarà stato allattato da una nutrice,
come Oreste è stato allattato da Cilissa (A. Ch. 750), non da Clitennestra. A distanza è il de‑
nudamento anche delle matres familiae di Gergovia che si affacciano dalle mura pectore nudo.
L’espressione κολπὸν ἀνιεμένη (v. 80) è ripresa da Teocrito nelle Siracusane (15. 134‑135
«la veste allentata fino alle caviglie/ e il petto scoperto»), dove descrive il canto rituale nelle
Adonie. I vv. 82‑83 sono ripresi invece in Carito 3. 5. 6, dove sono in bocca alla madre di
Cherea per convincerlo a non partire da Siracusa a Mitilene; cf. Castellaneta 2013: 115‑116.
67
Come poi le matres familiae di Gergovia che si affacciano dalle mura pectore nudo.
68
A. Ch. 896‑897, E. El. 1207, Oreste 527, 841 (cf. Mastronarde 1994: 585). Sul seno
di Giocasta in Euripide, Seneca e Stazio, cf. Castellaneta 2013: 81‑87 e n. 11.
69
Il I Messagero (1434‑1435) descrive Giocasta che piange ricordando il «dolore
dei seni» (cioè dell’allattamento). In 1527 Antigone menziona il «seno privo di latte» della
madre.
70
Cf. Mastronarde 1994: 547, 575, 585; inoltre Sen. Ph. 404‑405, 469‑470, Stat.
Theb. 7. 481‑483, 522‑524, 11. 341‑342. In Stat. Ach. 1. 77‑78 è Teti a seni nudi. Cf.
Castellaneta 2013: 87‑88 n. 11.
71
Pol. 2. 56.7‑8 li criticava come tipici dello storico Filarco, ma lui stesso ne riferisce
uno della nutrice Agatoclea in 15. 31. 13, cf. Cipriani 1986: 71, Castellaneta 2013: 114.
72
De Martino 1958: 224‑225.
35
Francesco De Martino
1523‑1529 Antigone Su quale cadavere per primo/ getterò come of‑
ferta/ le ciocche che mi strappo?/ Su mia madre, sul seno privo di
latte (ἀγαλάκτοις παρὰ μαστοῖς),/ o sui cadaveri sconciati/ dei miei
fratelli?
1567‑1569 Antigone Tutti l’hanno vista piangere amare lacrime./ E
poi è corsa dai figli per supplicarli./ Con il seno scoperto, scoperto
(μαστὸν ἔφερεν)/ per supplicarli.
Nelle Fenicie di Seneca Antigone suggerisce a Giocasta di frapporre il
seno nudo tra le spade dei due figli e chiede a Polinice di deporre lo scudo
per permettere ai loro pectora di coire: 405 «Antigone tieni il seno nudo
fra le loro spade nemiche (nudun inter enses pectus infestos tene)», 469‑470
«lo scudo impedisce al tuo petto di unirsi al petto materno (maternum tuo/
coire pectus pectori)» (trad. R. Cuccioli Melloni).
Nella Tebaide 7. 481‑486 e 522‑524 di Stazio Giocasta si precipita
all’accampamento argivo e «a petto nudo» (cf. 523‑524 ista [...]/ ubera) for‑
za l’ingresso e di nuovo in 11. 341‑342 si precipita da Polinice e gli mostra
il seno, ma in più accampa uno ius dell’uterus.
Theb. 7. 481‑486: «La donna si spinge fino all’accampamento nemico e
col petto nudo (pectore nudo) cerca di forzarne l’ingresso mentre con voce
stridula e tremante supplica di esservi ammessa: «Apritemi le porte! È l’empia
madre, causa di questa guerra, che ve lo chiede! Il mio ventre ha un qualche
esecrabile diritto su questo accampamento (In his aliquod ius execrabile castris
huic utero est)!» I soldati sono presi da stupore e paura al solo vederla e ancor
più dopo averla udita». (trad. G. Faranda Villa)
Il diritto dell’uterus (7. 485) chiamato in causa da Giocasta riguarda
Polinice. Nel discorso che poco dopo rivolge al figlio fa riferimento di nuo‑
vo ai viscera (522) e agli ubera (524)73. Nelle Fenicie di Seneca Giocasta
incita nemici e cittadini ad assalire insieme il suo “ventre”74 e poi supplica
Polinice di ritirarsi da Tebe.
73
Ai vv. 490‑491 Giocasta chiede ai capi: «O capi Argivi, chi di voi mi indicherà il
nemico che io stessa ho partorito (hostem/ quem peperi)?».
74
Per Castellaneta (2013: 22ss.) il gesto di Ecuba si potrebbe riferire al seno e al
ventre.
36
Antigone sulle mura
443‑450 Giocasta Contro di me rivolgete le armi e le fiamme, contro
di me sola si scagli tutta la gioventù, quella gioventù coraggiosa che
viene dalle mura di Inaco o quella bellicosa che è scesa dalla rocca di
Tebe: concittadini e nemici, assalite insieme questo ventre (hanc petite
ventrem) che diede allo sposo i fratelli e le mie membra smembratele
e spargetele qua e là: io ho generato entrambi.
535‑536 Giocasta Per la pesante fatica che il mio utero (uteri) ha
sopportato i dieci mesi della luna…
Il discorso alla gioventù amica e nemica va inteso come discorso ai due figli,
uno nemico ed uno ancora in patria, e dunque rappresenta un caso particolare
del discorso‑rimprovero75 di una madre ai propri figli guerrieri, testimoniato da
Plutarco fra i detti delle madri spartane e in riferimento alle madri dei soldati di
Ciro in fuga nel corso del combattimento con i Medi di Astiage:
Detti delle donne spartane 5. 241b: volete ripararvi qui donde siete usciti?
Virtù delle donne 5. 246a (cf. 247ss.): «tirando su le tuniche dissero:
“dove (poi) correte, o peggiori fra tutti gli uomini? Fuggendo non
potete riparare qui da dove veniste fuori”»76;
Cf. Giustino 1. 6. 13‑15 sublata veste obscoena corporis ostendunt
rogante, num in uteros matrum vel uxorum vellent refugere.
La teichoscopia di Andromaca. Una terza teichoscopia omerica è quella di
Andromaca quando ormai Ettore torna morto sul carro di Priamo.
Nel libro 6 Andromaca «insieme a suo figlio e all’ancella dal bel peplo/
se ne stava sopra la torre a piangere e disperarsi» (372‑373). Era andata di
corsa, con la balia e il bambino, «alla torre alta di Ilio […] è corsa alle mura
con il fiato in gola,/ che sembrava una pazza (μαιομένη εἰκυῖα)» insieme
alla balia che porta il bambino «alla torre alta di Ilio» (Il. 6. 386, 388‑389).
Da lì scende e va incontro ad Ettore che la sta cercando alle Porte Scee (Il.
6. 392‑393), a nord‑ovest di Troia, per rispedirla a casa (Il. 6. 490, 495). Al
v. 434 del libro 6 Andromaca dice ad Ettore di schierare l’esercito «dove
75
Un singolare discorso di rimprovero di Antigone a Polinice è in Stat. Theb. 11.
363‑382, Korneeva 2011: 159.
76
L’episodio è testimoniato anche da Nic. Dam. fr. 66. 43‑44 Jacoby e da Polyaen. 7.
45. 2. Cf. Cipriani 1986, De Martino 2002: 135.
37
Francesco De Martino
massimamente/ la città è accessibile (ἀμβατός ἐστι πόλις) e il muro è car‑
rabile (ἐπίδρομον ἔπλετο τεῖχος)»77. Il termine epidromos è lo stesso usato
da Antipatro per le mura carrabili di Babilonia (AP 9. 58. 1 Βαυλῶνος
ἐπίδρομον ἅρμασι τεῖχος)78. C’era dunque già sulle enormi mura di Troia
un punto dove ‒ verosimilmente con una rampa ‒ era possibile rientrare
in città con un carro, ma dove «per tre volte» gli Aiaci, Idomeno e Tideo
tentarono invano di penetrare in Troia. Anche Patroclo tenterà tre volte di
salire su una rampa del muro di Troia (Il. 16. 702).
Di nuovo nel libro 22, appena capisce che Ettore è morto, «corse fuori
di casa come una menade79 (μαινάδι ἴση),/ sconvolta in cuor suo; venivano
con lei due ancelle./ Appena poi giunse alla torre, dove s’era assembrata la
gente,/ si mise a scrutare dal muro (παπτήνασ’ έπὶ τεῖχεi>), ed ecco lo vide/
trascinato di fronte alla città: veloci i cavalli/ lo trascinavano senza pietà alle
concave navi degli Achei» (Il. 22. 460‑465).
Un riflesso della follia di Andromaca si intravede nei giudizi duri di
Antigone in E., Ph. 151‑153 (Partenopeo) e 179‑180, 182‑191 (Capaneo):
ANTIGONE Vorrei vederlo morto quest’uomo venuto a distruggere
la mia città, vorrei vederlo abbattuto dalle frecce di Artemide, la dea
che percorre i monti con sua madre.
ANTIGONE O Nemesi, cupi tuoni di Zeus, ardente luce del ful‑
mine voi annientate prepotenza e superbia. Ecco laggiù l’uomo che
minaccia di legare in schiavitù le Tebane e di consegnarle a Micene e
a Lerna, dove Poseidone con il tridente fece sgorgare acqua in onore di
Amimone. O veneranda Artemide dai riccioli d’oro, virgulto di Zeus,
che mai mai io debba patire una simile prigionia!
Ma soprattutto nel riferimento alle Menadi nei vv. 1751‑1757:
Edipo Allora va all’inviolato recinto/ di Bromio, sul monte delle
Baccanti (mainadon)./ Antigone Bromio? In suo onore un giorno,
indossata/ la nebride cadmea, io celebrai Semele,/ danzando sui mon‑
ti, con una devozione/ che non è stata ripagata, mai.
77
Sulla strategia militare ipotizzata da Andromaca, cf. Lentini 2013: 187.
78
Sull’epigramma, cf. Argentieri 2003: 124‑126.
79
I due passi su Andromaca‑menade sono l’unica esplicita menzione del menadismo
in Omero, cf. Prauscello 2007: 212.
38
Antigone sulle mura
Antigone è furiosa80 anche in Stazio (Theb. 11. 354‑364).
In un’altra parte della città, Antigone intanto, scivolando in silenzio e di
nascosto al tumultuare della folla, incurante della sua condizione di vergine,
sta correndo come una pazza, ansiosa di salire sulla cima delle mura Ogigie
(volat Ogygii fastigia muri/ exuperare furens); l’accompagna, seguendola da
vicino, il vecchio Actore, che tuttavia non avrà fiato per giungere fin sulla
rocca. La giovane, dopo aver esitato un po’ scorgendo da lontano le armi
e riconoscendo il fratello che (delitto atroce!) con i giavellotti e con voce
tracotante assedia la città, dapprima riempie l’aria di fortissimi lamenti, poi
gli si rivolge a gran voce, sporgendosi dall’alto delle mura come se volesse
buttarsi giù (ex muris ceu descensura profatu): «Fratello, trattieni la tua
mano armata, indirizza un momento lo sguardo a questa torre e volgi verso
di me le piume irte del tuo cimiero!» […] (trad. G. Faranda Villa).
La teichoscopia funebre di Cassandra. Nel libro 24 anche Cassandra sale
sulle mura per vedere Priamo col carro funebre di Ettore (699‑719). Anzi è
la prima a vederlo e a dare inizio alle onoranze funebri per il fratello.
Il. 24. 697‑702: «[…] non li vide/ nessuno fra gli uomini, né fra le
donne dalla bella cintura,/ prima di lei; ma Cassandra, bella come
Afrodite d’oro/ salita alla rocca di Pergamo, vide suo padre/ ritto sul
carro, insieme all’araldo banditore;/ vide lui sopra i muli, composto
nella bara;/ ruppe allora in lamenti e lanciava il grido all’intera città:/
«Venite a vedere Ettore, Troiani e Troiane, se mai godevate/ di lui
quand’era vivo e tornava dalla battaglia,/ perché era una grande gioia
per la città e per il popolo tutto!»‑/ Disse così, e nessuno rimase dentro
la città,/ né uomo né donna: su tutti calò un lutto accorato;/ raggiun‑
sero avanti alla porta colui che tornava col morto./ Si strappavano i
capelli per prime la moglie e la nobile madre,/ salite d’un balzo sul
carro veloce,/ gli carezzavano il volto; s’accalcava la folla piangente
(trad. G. Cerri).
Ettore è il paradigma del “buon” fratello rispetto a Paride. Antigone
guarda invece dall’alto Polinice, il «cattivo fratello», ancora vivo, morituro.
Come Cassandra, Antigone è la sorella del fratello morto, l’unico che le
interessi veramente. Solo per lui usa espressioni non polemiche, anzi enco‑
miastiche, paragonandolo ad un astro nascente.
80
Korneeva 2011: 149‑150.
39
Francesco De Martino
Antigone E dov’è il figlio che ha in comune con me la madre e un
destino penoso? Dimmelo, vecchio carissimo, dov’è Polinice?
Servo Laggiù, vicino alla tomba di Niobe, insieme a Adrasto. Lo vedi?
Antigone Sì, lo vedo, ma vagamente. Scorgo una figura, forse un
busto d’uomo. Oh, se potessi fendere l’aria, come una nuvola veloce
al vento, raggiungerlo – è un fratello a me carissimo – e gettargli le
braccia al collo dopo tanto tempo: è un esule, un infelice. E splendido
nella sua armatura intarsiata d’oro, arde di luce come i raggi del sole
mattutino.
Servo Grazie alla tregua verrà alla reggia e sarà per te gioia piena (E.
Ph. 156‑170).
In Il. 6. 429‑430 Andromaca aveva definito il marito «madre, padre,
fratello e marito». In S. Ant. 912 Antigone invece sostiene l’insostituibilità
del fratello – una volta morti i genitori – rispetto al marito.
Desiderio di vedere. È stato notato che nella teichoscopia di Antigone ci
sono ben dieci verbi di vedere (Mastronarde 1994: 167 n. 1). Il Servo descri‑
ve i re e soddisfa il desiderio di vedere di Antigone (194‑195). L’espressione
somiglia a quella che usa il Pedagogo dell’Elettra di Sofocle per il desiderio
di vedere di Oreste, ma riguarda ora militari, come per le eroine omeri‑
che sulle mura, non località. Anche nelle Baccanti 913‑914 Dioniso dice
a Penteo: «tu, tu che desideri vedere cose vietate ed impegnarti in cose
proibite».
Il desiderio di vedere è però tipicamente femminile. Come Elena, Ecuba,
Andromaca, Cassandra e Antigone, anche le signore di Calcide nell’Ifigenia
in Aulide (406 a.C., lo stesso anno delle Baccanti) vengono a vedere di per‑
sona quello che hanno sentito dire dai loro mariti81. Queste calcidesi sono
interessate alle navi e ai naviganti come Antigone era interessata ai militari
di terra.
Questi desideri di vedere militari, gli eroi in Aulide o gli assedianti a
Tebe, mettono in discussione il desiderio di vedere formulato da Saffo82,
interessata solo all’amore (fr. 16. 1ss. e 17s Voigt). A modo suo Antigone
sulle mura conferma che ciò che si ama e si desidera vedere è spesso proprio
un militare persino nemico o almeno divenuto nemico.
81
De Martino 2013b: 212‑219.
82
Il fr. di Saffo è richiamato da Medda 2006: 14 e Lentini 2013: 191 n. 13. Med‑
da aggiunge Pi. I. 5. 1‑6 e E. fr. 752f. 29ss. Kannicht (dall’Issipile) dove il coro incita la
protagonista ad andare ad ammirare l’esercito di Adrasto pronto per la spedizione a Tebe.
40
Antigone sulle mura
Appendice
Donne sulle Mura
Tebe
1. Giocasta, Antigone, Adrasto. Ms. Français 1386, fol. 15v, XIII‑XIV sec. Paris, Bibliothèque
Nationale de France, Histoire ancienne jusqu'à César.
41
Francesco De Martino
2. Scontro tra armati (Eteocle e Polinice) davanti a Tebe turrita, morti in primo piano.
Miniatura delle Phoenissae di Seneca. Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 7319
[XV sec.], f. 43 [82]. Vedere i classici: 342, Fig. 310,
3. Edipo cieco e Antigone. Sullo sfondo duello tra Eteocle e Polinice. Biblioteca Apostolica
Vaticana, Urb. Lat. 356 [XIV sec.], f. 34 (64). Vedere i classici: 304, Fig. 256.
42
Antigone sulle mura
4. Thomas Armstrong, Antigone and
Ismene.
5. Giorgio De Chirico,
Antigone consolatrice,
1973.
43
Francesco De Martino
Troia
1. Gustave Moreau, Elena sulle mura di Troia,
1885, olio su tela
2. Frederic Leighton, Elena sulle mura di Troia,
1865, olio su tela.
44
Antigone sulle mura
3. Walter Crane, Elena passeggia sulle mura di
Troia, 1913, illustrazione.
4. Fortunino Matania, Elena e Priamo sulle mura di Troia, s.d., illustrazione.
45
Francesco De Martino
.
1
2
1. Assalto alle mura di Troia, cf. Virgilio, Eneide 2. 440‑452. Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat.
Lat. 2761 [XIV sec.], f. 18v [40]. Vedere i classici, Roma, Palombi, 1996: 246, Fig. 163.
46
Antigone sulle mura
2. Troia dopo la sua ricostruzione. Ditti Cretese, De bello Troiano, Darete Frigio, De excidio
Troiae (versione francese di Benoit de Sainte‑Maure, Roman de Troie). Biblioteca Apostolica
Vaticana, Reg. lat. 1505, f. 23v [54]. Vedere i classici: 279, Fig. 210,
47
Francesco De Martino
Megara
Scilla, innamorata, guarda dalle mura Minosse, Ovidio, Metamorfosi 8. 17‑24, Incisione del
XVII secolo.
48
Antigone sulle mura
Roma
Roma (ROMA) conquistata dai Galli (GALLI) Sènoni di Brenno (390 a.C.) e assedio di
Campidoglio (CAPITOLIU[M]). Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
Vat. Lat. 3340, f. 9 [24]. Vedere i classici: fig. 122.
49
Bibliografia
313
(Página deixada propositadamente em branco)
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