Academia.eduAcademia.edu

La socializzazione fascista e il comunismo

2017

Alla fine della Prima Guerra Mondiale lo scenario sociale si apre sulla rivoluzione proletaria. Il percorso è conosciuto: l'Ottobre sovietico, il Biennio Rosso in Italia e Germania, la confusione creata dai partiti che a parole si proclamano rivoluzionari mentre nei fatti alimentano la reazione parlamentaristica, l'assoluta inadeguatezza dei partiti che pretendono di guidare la classe operaia, il rifluire dello slancio generoso ma male indirizzato di milioni di uomini in tutta Europa e in altre parti del mondo. Una sconfitta storica che sta lasciando il segno da un secolo. Comunemente si spiega tale sconfitta con la nascita del fascismo, quello in camicia nera, attribuendo a questa sovrastruttura una potenza in grado di eliminare la lotta di classe, o perlomeno di annichilirla, prima con il terrore, poi con la forza dello stato, rivalutato e attrezzato allo scopo. Lo schema soffre di troppe semplificazioni, la prima delle quali è una inversione fra causa ed effetto. Prima della sconfitta proletaria il fascismo non era che una delle tante correnti del sindacalismo rivoluzionaro interventista, non ne è stato la causa, semmai, appunto, ne è stato l'effetto; ed è un fenomeno ben più complesso di come lo presentano le sue interpretazioni. Non sono Mussolini, la camicia nera, lo squadrismo o la negata democrazia che lo caratterizzano. Anche. Ma esso è il prodotto di un'epoca rivoluzionaria cui è venuta a mancare la rivoluzione: una controrivoluzione costruita con i cascami della rivoluzione.

14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) La socializzazione fascista e il comunismo (1)  (#)  (socializzazione_fascista_comunismo2.htm) "Voi oscuri lavoratori del Dalmine, avete aperto l'orizzonte. È il lavoro che parla in voi, è il lavoro che ha consacrato nelle trincee il suo diritto a non essere più fatica, miseria o disperazione, perché deve diventare gioia, orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi nella patria libera e grande oltre i confini ." (Benito Mussolini, Discorso a Dalmine, 20 marzo 1919). "La legge del Duce sulla socializzazione incontrerà l'approvazione di tutti coloro che, al di sopra di interessi privatistici, vedono nel programma sociale del fascismo non solo la salvaguardia per una ordinata convivenza fra capitale e lavoro, ma anche la possibilità di affermare la personalità e l'iniziativa dell'individuo." (Vittorio Valletta, direttore generale della FIAT, 1944). "La Cgil è un sindacato di natura programmatica che considera la propria unità e la democrazia suoi caratteri fondanti. La stessa autonomia della Cgil, anch’essa valore primario, trova il suo fondamento nella capacità di elaborazione programmatica in primo luogo nei confronti dei datori di lavoro, delle istituzioni e dei partiti e nel carattere unitario e democratico delle sue regole di vita interna." (Statuto della CGIL). 1. Materialismo e spiritualismo Realizzare le istanze riformiste Alla fine della Prima Guerra Mondiale lo scenario sociale si apre sulla rivoluzione proletaria. Il percorso è conosciuto: l'Ottobre sovietico, il Biennio Rosso in Italia e Germania, la confusione creata dai partiti che a parole si proclamano rivoluzionari mentre nei fatti alimentano la reazione parlamentaristica, l'assoluta inadeguatezza dei partiti che pretendono di guidare la classe operaia, il rifluire dello slancio generoso ma male indirizzato di milioni di uomini in tutta Europa e in altre parti del mondo. Una sconfitta storica che sta lasciando il segno da un secolo. Comunemente si spiega tale sconfitta con la nascita del fascismo, quello in camicia nera, attribuendo a questa sovrastruttura una potenza in grado di eliminare la lotta di classe, o perlomeno di annichilirla, prima con il terrore, poi con la forza dello stato, rivalutato e attrezzato allo scopo. Lo schema soffre di troppe semplificazioni, la prima delle quali è una inversione fra causa ed effetto. Prima della sconfitta proletaria il fascismo non era che una delle tante correnti del sindacalismo rivoluzionaro interventista, non ne è stato la causa, https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm 1/11 14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) semmai, appunto, ne è stato l'effetto; ed è un fenomeno ben più complesso di come lo presentano le sue interpretazioni. Non sono Mussolini, la camicia nera, lo squadrismo o la negata democrazia che lo caratterizzano. Anche. Ma esso è il prodotto di un'epoca rivoluzionaria cui è venuta a mancare la rivoluzione: una controrivoluzione costruita con i cascami della rivoluzione. È in quest'ottica che studiamo lo scenario che precede la grande sconfitta. Nel migliore dei casi, come a nobilitare il proprio retroterra storico, protagonisti e osservatori citano Proudhon, Bernstein, Bergson, Comte, Sorel e altri. Non era però il "pensiero" dei grand'uomini a influenzare il movimento di milioni di persone. In realtà era il movimento di milioni di persone che cercava una teoria guida in grado di formare l'ossatura di un partito guida. Bergson aveva sviluppato una teoria della conoscenza basata sull'unione di istinto e intelligenza: l'intelligenza sola "sa" che cosa cercare ma è l'istinto che può trovare; separati non portano a niente perché l'istinto non è capace di cercare e l'intelligenza non è capace di trovare. L'uomo è diverso da qualsiasi altro essere della natura proprio perché fa valere la propria volontà, la quale non è un semplice derivato di determinazioni che la precedono ma un vero e proprio atto creativo. Egli è l'unione fra istinto e intelligenza. Le roboanti dichiarazioni del fascismo, questa specie di rivoluzione reazionaria, non sono comunque il prodotto dello spiritualismo bergsoniano, è piuttosto quest'ultimo che offre copertura ideologica, con linguaggio depurato, all'insieme degli eventi in corso. A riprova del fatto che non è la filosofia o il "pensiero" di qualcuno a influenzare gli avvenimenti, è facile constatare che la controrivoluzione non parla la lingua dei suoi teorici ma quella di una piccola borghesia decadente, quella dei D'Annunzio, dei Marinetti, dei Mussolini e degli arditi. Bergson scrive in una lingua essenziale (gli daranno il Nobel per la letteratura); i suoi pretesi discepoli infarciscono il linguaggio di orpelli indigeribili. Quando Mussolini cercherà di darsi degli ascendenti nobili, dirà di aver contrabbandato un po' di Bergson nel movimento socialista. Una ben differente teoria rivoluzionaria della conoscenza in realtà non mancava, e aveva, anzi, costituito per certi versi la base di un gigantesco impianto sociale che andava dalle cooperative della socialdemocrazia tedesca all'apparato statale soviettista russo. Un fenomeno vastissimo da cui si erano diramate correnti che rappresentavano canali di congiunzione fra il vecchio modo di produzione ferito a morte dalla rivoluzione in Russia e quello nuovo che spingeva per nascere. L'osmosi fra il vecchio e il nuovo era inevitabile, ma se si accetta questa lettura risulta anche chiaro che le sorti della rivoluzione erano legate alla prevalente direzione che avrebbero preso i flussi dell'osmosi. Negli anni '20 non fu il flusso che si rifaceva a Marx, Engels e al partito originario della rivoluzione a prevalere; o almeno prevalse all'inizio una sua versione riformistica, di fronte alla quale non s'impose neppure una chiara impostazione della borghesia, incapace di ritornare a una nuova epoca dell'illuminismo. Per sopravvivere a sé stesso, il modo di produzione capitalistico si strutturò teoreticamente in funzione di estrema autodifesa di https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm 2/11 14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) fronte alle forze che lo minacciavano. Storicamente disarmato in quanto a teoria, dunque, ne commissionò una alla classe intermedia la quale, servilmente, la scodellò senza troppa fatica: essendo una classe di mezzo, vaso di coccio fra vasi di ferro, raccattò frammenti di teorie non sue che si trovavano sparsi sulla scena e ne ricavò un mostruoso ibrido, a sua volta suddiviso in correnti: una teoria di mezzo. Milioni di uomini sentivano per istinto che il mondo stava andando verso il socialismo, ma non possedevano l'intelligenza di una teoria che indicasse loro come fare per distinguere, fra tutto quel socialismo, l'originale, quello "vero", dal surrogato. Lo storico partito cui apparteniamo ha risolto una volta per sempre i problemi legati all'analisi delle molteplici teorie piccolo-borghesi. Che, tutte, al di là dei nomi di persona, si basano su categorie invarianti: la comunità locale democraticamente produttiva, lo stato al servizio dei cittadini (o eliminato a seconda dei casi), l'industria intesa come unità organica che abolisce il dualismo padrone-operaio, la forma sociale esteriore rubata al comunismo e sterilizzata in modo da risultare compatibile con il capitalismo, ecc. E allo stesso partito dobbiamo un'altra potente definizione: il fascismo è il realizzatore dialettico delle istanze riformiste. Perfetto: per la realizzazione delle riforme occorre l'armamentario adatto, cioè uno stato che non sia rappresentato da un parlamento occupato a gingillarsi con chiacchiere su sé stesso e un esecutivo efficiente, in grado di programmare difficili scelte economiche. E programmare vuol dire avere il controllo della forza lavoro; obiettivo raggiungibile, più che con l'utilizzo degli apparati polizieschi utili soprattutto nella fase dell'affermazione fascista, per mezzo del sindacato, l'unico interlocutore naturale per soddisfare le rivendicazioni operaie. Mussolini, a Dalmine nel marzo del 1919, durante l'occupazione di una fabbrica metalmeccanica (la Franchi Gregorini) durante la quale non era stato interrotto il ciclo produttivo, inneggia al lavoro come un valore universale anticipando il socialismo torinese che, con Gramsci, esalterà proprio quella forma di occupazione "positiva" della fabbrica. Esaltazione interclassista del lavoro In realtà, come vedremo, la guerra risveglia tutte le classi mettendole di fronte ai loro compiti storici, e tutte le classi rispondono gettando sulla scena della storia quello che hanno e che possono avere. Non è un caso che, dovendo la propria esistenza al lavoro, cioè alla forza lavoro venduta a prezzo libero sul mercato, tutte le classi convergono verso l'esaltazione del lavoro, quasi un'idolatria. In Russia lo stakanovismo ne è la (tarda) manifestazione più evidente, ma dal 1918, in tutto il mondo, compare un'ideologia del lavoro coerente e compatta nelle sue ramificazioni che raggiungono il cuore della politica tradizionale. In Italia, prima ancora di essere partito, il movimento fascista acquista la consapevolezza che per vincere la battaglia che si sta giocando nel mondo occorre saldare i fattori della produzione: capitale e lavoro. Non è un caso che nell'immediato dopoguerra, mentre vengono colpite le sedi delle tradizionali organizzazioni operaie, si profili il futuro https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm 3/11 14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) sindacale corporativo del fascismo. E non è un caso che serpeggi nel movimento fascista un odio per quella borghesia che non partecipa direttamente alla produzione, odio cui si dà dignità teorica in quanto il capitalista assenteista si autoesclude dal matrimonio fra capitale e lavoro. Diventa in poche parole un parassita. Nel programma fascista questo tipo di borghese dev'essere eliminato dalla scena, espropriato. L'esaltazione del lavoro a classi unite non è tuttavia invenzione fascista. La piccola borghesia dannunziana aveva già fatto propria la medesima esigenza. In modo meno teatrale e più consono alla tragedia che si sarebbe abbattuta sull'Europa, in Germania industriali come Walther Rathenau teorizzavano l'avvento di una società integrata nella quale i capitalisti si sarebbero convinti che la società non era lì per dar loro la possibilità di intascare cospicui dividendi ma per riempire di merci i battelli che transitano sul Reno. Rathenau ispirò il film Metropolis di Fritz Lang (1926) dove gli operai in rivolta erano infine ricondotti alla cooperazione dal figlio del grande capitalista. Sembra che il film fosse uno dei preferiti di Hitler. Rathenau fu ucciso nel 1922 da due nazisti, ma il contenuto della sua dottrina fu uno dei pilastri su cui quella nazista poggiò. Quando nel secondo dopoguerra i vincitori imposero l'assetto politico democratico alla Germania, la collaborazione fra operai e padroni fu sancita, oltre che dalla persistente natura corporativa dei sindacati, da apposite commissioni che si dovevano dedicare alla Mitbestimmung, la co-determinazione dell'azienda. Questo cancro parasindacale aveva colpito anche il socialismo italiano, allorché al suo interno si era fatta strada l'idea che i proletari potessero conquistare posizioni utili alla presa del potere controllando essi stessi il ciclo produttivo delle fabbriche, idea che appariva bislacca ai capitalisti di allora, ma che Giolitti trovò in perfetta continuità rispetto a ciò che già succedeva con il "confronto" fra operai e capitalisti nella normale vita sindacale. Quando nel 1920 le fabbriche furono occupate, Giolitti se ne andò tranquillamente in vacanza, ben sapendo che gli operai erano rinchiusi impotenti dentro le officine mentre esercito, guardia regia, polizia e carabinieri dominavano la piazza. Nel secondo dopoguerra in Italia, come in Germania, l'assetto sindacale prevedeva, oltre alle Commissioni Interne, i Consigli di Gestione, dove non si elaboravano "rivendicazioni" ma si svolgeva opera congiunta operai-capitalisti per il buon funzionamento dell'organismo comune che era la fabbrica. La persistenza a tutt'oggi della prassi corporativista è chiaro segno dell'esistenza di una forza sociale tesa a salvaguardare il capitalismo attraverso questa formula consociativa. La concertazione del 1992-93 in Italia ne è una forte prova: gli accordi a livello governativo non prevedevano alcuna partecipazione sindacale di base, nemmeno formale e vennero sottoscritti senza che fosse in alcun modo consultata la massa dei lavoratori (la quale sfogò la sua rabbia nelle manifestazioni di piazza prendendo a sassate i propri rappresentanti). Altre formule, come ad esempio quella dell'azionariato operaio, non hanno invece mai avuto fortuna, non tanto per il timore che gli operai prendessero il controllo della fabbrica attraverso la maggioranza nei consigli di amministrazione (un takeover proletario!), https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm 4/11 14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) cosa che si può evitare con una regolamentazione, quanto perché riguarda i singoli individui che ricevono o acquistano azioni; mentre il corporativismo sancisce un patto di classe universale. Corporativismo tecnocratico Una forma più sofisticata di corporativismo fu tentata da Adriano Olivetti: la fabbrica non doveva essere concepita come unità separata dal resto della società, ma come parte integrante di un tutto che si espandeva su di un comprensorio urbano e agricolo. Il quale, inteso come una sintesi fra i progetti di Owen, Proudhon e Fourier, avrebbe potuto realizzare il superamento del dualismo città-campagna, industria-agricoltura e sarebbe stato auto-governato. Nell'ambito di questo programma, la fabbrica, quella reale, si era già data un assetto preliminare, fondando un sindacato (Autonomia aziendale) e un partito politico (Comunità). Nel suo libro Democrazia senza partiti, Olivetti osserva che il fondamento della democrazia consiste in una rappresentanza che non sia mistificazione, una delega quindi di molti a uno basata sulla fiducia e soprattutto sull'appartenenza a una comunità; mentre nel sistema dei partiti la responsabilità viene meno in quanto il partito diventa il contenitore della delega e della rappresentanza, diventa cioè poco per volta autonomo rispetto a coloro che dovrebbe rappresentare. La fabbrica, secondo Olivetti, è il serbatoio della conoscenza e dell'organizzazione, quindi è naturale che diventi anche l'elemento portante della comunità, la quale deve scegliere non tanto i propri rappresentanti quanto i propri dirigenti, coloro cioè che devono fisicamente dirigere ogni aspetto della vita comune. Il partito tradizionale mortifica la rappresentanza e la sostituisce, mentre il dirigente olivettiano svolge semplicemente i compiti che gli sono affidati dalla comunità, ha un ruolo tecnico, non politico. O almeno: il nuovo assetto politico della comunità è quello che poggia sulla competenza tecnica. La democrazia basata sulla rappresentanza di partiti che usano la popolazione per i propri fini invece di essere al suo servizio ha fatto il suo tempo. È ora di rompere il meccanismo perverso di un sistema che è unicamente in grado di conservare sé stesso. "La democrazia parlamentare non riconosce i grandi mutamenti che hanno radicalmente trasformato, durate gli ultimi cento anni, la struttura della società. Essa difende la libertà anche a favore delle forze che tendono a distruggerla. Essa quindi non può più dar vita a un ordine sociale giusto, ma tende ormai a diventare il ponte di passaggio verso i regimi che causerebbero nuove dittature… Nel nuovo Stato il potere poggerà saldamente non più su una forza sola, la democrazia, la quale è troppo facile preda della potenza del denaro. Il potere sarà ancorato alla cultura giuridicamente organizzata e, nel contempo, al lavoro sarà conferita una ben determinata potenza politica… Alla fine del fascismo la maggior parte degli intellettuali vedeva nei partiti uno strumento di libertà. Io no. Sono organismi che selezionano personale politico https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm 5/11 14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) inadeguato. Un governo espresso da un Parlamento così povero di conoscenze specifiche non precede le situazioni, ne è trascinato." (Adriano Olivetti, Democrazia senza partiti, Edizioni Fondazione Olivetti). Conferire potenza politica al lavoro. Nella concezione "sindacale" della rivoluzione non c'è più posto per la tradizionale rappresentanza di tipo elettorale: la rivendicazione viene superata dalla realtà produttiva perché operai e capitalisti sono ora legati ai compiti che devono svolgere; la comunità li lega a sé allo stesso titolo, gli uni e gli altri lavorano agli stessi risultati, e in fabbrica – è normale – per ottenere un certo risultato occorre che tutte le forze collaborino allo scopo. Mai definizione fu più appropriata di quella leniniana di sindacato come cinghia di trasmissione tra partito e masse. Che sia affermato in senso rivoluzionario o che lo sia in senso reazionario, la realtà materiale del rapporto sindacatimasse è data. Non esiste altra forma organizzativa che possa sostituire il sindacato in quanto cinghia di trasmissione. E la borghesia, volutamente o meno, ha rubato al partito rivoluzionario l'arma più potente che esso ha per avvicinarsi alla classe. Ma è attraverso il sindacato corporativo che avanza la religione del lavoro. Sembra ragionevole: se una struttura rivendicativa difende i lavoratori dalla voracità dei capitalisti, non si vede perché la stessa struttura non possa attaccare strappando ai capitalisti molto di più. Per esempio delle regole atte ad esprimere finalmente l'idoneità della classe operaia a gestire direttamente la fabbrica. E questa condizione fu realizzata, non troppo paradossalmente, proprio dal fascismo, quando decise di espropriare i capitalisti incapaci di produrre e vendere, sostituendoli con funzionari stipendiati, capaci di rimettere in sesto le fabbriche disastrate e di venderle sul mercato. Tra l'altro, se lo stato interviene direttamente nel salvataggio delle aziende, la banca e il credito in generale si dimostrano del tutto inutili. Lo sciopero-mito Il positivismo aveva liberato la scienza dal ghetto in cui l'aveva gettata la borghesia, e con la nuova visione del mondo, razionale e meccanica, sembrava che nulla potesse fermare il "progresso". Bergson aveva corretto il tiro introducendo qualche dose di spiritualismo e Sorel aveva contaminato il tutto con un po' di marxismo edulcorato attraverso Blanqui e Bernstein. Mussolini ammette di aver contrabbandato Bergson e Blanqui fra le file del Partito Socialista. Non ancora padrone del campo parlamentare, e quindi non ancora pronto per una chiara dichiarazione di intenti, in un discorso del 1921 a Montecitorio riconosce il debito nei confronti di tutti quanti i personaggi citati e tenta ancora di tingere di rosso la propria politica, giungendo a proporre alla Confederazione Generale del Lavoro una collaborazione attiva, cominciando dalle proposte riformiste, come quella delle otto ore. In un articolo sul Comunista, Bordiga risponde che proprio questa coloritura superficiale https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm 6/11 14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) caratterizza i grandi rinnegati: Mussolini si muoveva, come i Turati e i Noske, sul piano di un movimento operaio "politicamente incolore, indipendente, sogno di una borghesia decadente. " Bergson, chi era costui? Si chiede Bordiga. E aggiunge: "Ci pare che sia ora di finirla con questa storia di Bergson". Fra tutte le contaminazioni, quella bergsoniana era la più sfacciatamente idealistica ed aveva un notevole peso, per cui doveva essere rintuzzata. Ma tutte furono in varia misura sponsorizzate da Mussolini, non certo un'aquila per quanto riguarda finezze politicofilosofiche. Sta di fatto che la "fermentazione del suo bergsonismo" o i soldi arrivati dalla Francia, lo fecero diventare interventista e maestro dell'idealismo di allora. Ma non pescò il maggior numero di seguaci fra i socialisti bensì fra i destri e gli ultrasinistri sindacalisti rivoluzionari alla Sorel. Anzi, furono questi ultimi a rappresentare la struttura portante del futuro Partito Nazionale Fascista. Sorel si richiamava sia a Bergson che a Marx. Dal primo ricavava una superiorità della coscienza istintiva (sintetica) su quella razionale (analitica); dal secondo i riferimenti alla lotta di classe. Nel suo schema ha un posto rilevante la coscienza, nella quale sarebbe depositata una concezione fantastica del mondo, motore della volontà: quell'immagine del mondo che in ognuno di noi rappresenta uno stimolo per l'istinto (mito). Il mito si contrappone all'utopia, esso è forza direttamente e immediatamente disponibile per l'azione, mentre l'utopia può essere vagliata e discussa attraverso il raziocinio. Non importa se il mito, come l'utopia, sia realizzabile o meno: l'importante è che stia alla base dell'azione. Si può parlare in eterno di rivoluzione senza produrre un movimento rivoluzionario; mentre il mito, se è quel complesso di immagini capace di evocare istintivamente lo scontro sociale nelle masse, produce nuova realtà. Lo sciopero generale è la manifestazione pratica del mito soreliano. Uno dei movimenti più perfetti della manifestazione del mito sarebbe, per Sorel, il cristianesimo. Che il suo programma fosse realizzabile o meno, ha assunto forma sociale coinvolgendo milioni di persone, indipendentemente dalla razionalità delle premesse. Allo stesso modo, trasportato all'oggi, il mito prende la forma di lotta di classe, quindi la classe oppressa diventa il soggetto dello scontro per il cambiamento; e lo sciopero generale la sua arma, "il mito nel quale si racchiude tutto intero il socialismo". Soltanto lo sciopero generale avrebbe il potere di rappresentare la catastrofe necessaria al sorgere di una umanità nuova. Diventa del tutto comprensibile, quindi, il rifiuto preconcetto da parte dei riformisti che invece predicano un gradualismo pacifico, una trasformazione a tavolino. È su tale terreno che si saldano Bergson, Sorel, Proudhon e le correnti anarchiche: la violenza non è un fenomeno razionale che possa essere guidato secondo un programma, è piuttosto uno "slancio vitale e creatore", un'esplosione spirituale, unica premessa possibile a forme di organizzazione di più alto livello. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm 7/11 14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) Il carattere spontaneistico di questo distillato storico è evidenziato dal fatto che l'assunto di partenza è vero: le rivoluzioni non sono il risultato di un processo intellettuale; il loro programma non è stabilito da qualcuno che voglia instaurare una nuova società con caratteristiche predeterminate. Ma le spinte spontanee verso il cambiamento, in una situazione rivoluzionaria, si dispongono e orientano secondo una polarizzazione storica, fino a dar luogo alla potenza indirizzatrice del partito della rivoluzione. La violenza non è un aspetto "etico" della rivoluzione, è una forza materiale che va orientata: "i partiti e le rivoluzioni non si fanno, si dirigono", disse la nostra corrente. Senza partito rivoluzionario non c'è rivoluzione. Sorel raccoglie ciò che era nell'aria e, nonostante le roboanti frasi sulla violenza, non riesce a nascondere il vero aspetto riformista del suo programma. In L'avvenire socialista dei sindacati assegna alle cooperative, agli uffici di collocamento, agli ispettorati del lavoro e ad altre istituzioni "sociali" la facoltà di allenare la classe operaia alla gestione del potere. Attribuendo a questo aspetto un'importanza esagerata, lo eleva addirittura a "lotta definitiva per i poteri politici": "È una lotta per svuotare di ogni vita l'organismo politico borghese e trasferire quanto conteneva di utile in un organismo politico proletario, creato in modo da corrispondere allo sviluppo del proletariato". Se Mussolini anticipa Gramsci nel discorso di Dalmine, Sorel anticipa Mussolini. Solo che il fascismo fa propria la dinamica della rivoluzione: non serve conquistare funzioni particolari, bisogna conquistare lo stato. Nella nostra rivoluzione lo si conquista per distruggerlo e sostituirlo con un organo transitorio; nella controrivoluzione lo si conquista per rafforzarlo ed elevarlo a reale potere esecutivo, libero dalla mistificazione democratica. Rispetto allo schema di tutti i discendenti di Proudhon il fascismo si manifesta a un livello superiore. In Sorel è contemplata una graduale lotta del proletariato per il potere nelle pieghe della società così com'è, "per ottenere una legislazione sociale favorevole allo sviluppo dell'organizzazione politica… per strappare allo stato e al comune, una ad una, tutte le loro attribuzioni, per arricchire gli organismi proletari in via di formazione, ossia i sindacati". Nel fascismo la questione del potere si pone in modo sbrigativo: adoperando il meccanismo democratico e nello stesso tempo assorbendo dalla dottrina rivoluzionaria i caratteri che gli sono utili, il potere è oggetto di conquista subitanea e non di rivendicazione graduale. L'ambiguità creatrice https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm 8/11 14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) Non è lo scopo di questo lavoro fare una critica a Sorel o a Bergson, ma ci interessa descrivere l'ambiente bergsoniano in cui matura il carattere "sindacale" del fascismo. Possiamo anche chiederci perché mai Sorel fosse una delle letture preferite di Mussolini, ma soprattutto è importante capire perché a un certo punto la rivoluzione lasci il campo alla controrivoluzione e lo stato prenda la forma di istituto corporativo, inglobando i sindacati e attivando una politica del lavoro che sarà, da quel momento in poi, la religione laica dello stato borghese, diventando non per caso l'articolo numero uno della costituzione italiana, cioè quella del primo paese a diventare fascista. Sovente si è sostenuto che l'impianto teorico di Sorel ebbe un'influenza sproporzionata rispetto ai suoi contenuti elementari. Sarebbe più corretto dire che la grande confusione esistente durante la fallita transizione di fase dei primi anni '20 ebbe il suo sbocco nella necessità di semplificare i programmi politici di fronte a masse disorientate. Il comportamento di Sorel fu comunque ambiguo. Oscillando fra anarco-sindacalismo e fascismo, ebbe simpatie verso l'estrema destra antiparlamentare francese ma avversò il movimento dannunziano, considerò Lenin come il più grande teorico rivoluzionario dopo Marx ma si allontanò dal marxismo. Non stupisce che fosse più letto in Italia che in Francia: secondo lo storico Zeev Sternhell l'impostazione teorica di Sorel, abbinata al realismo opportunistico di Mussolini, fornì la base programmatica del fascismo oltre che, fenomeno massimamente indicativo, quasi tutto l'apparato dirigente del partito fascista, i cui quadri almeno per l'80% provenivano dalle file del sindacalismo rivoluzionario di matrice soreliana, mentre per il restante 20 per cento addirittura dalle file socialiste (Zeev Sternhell, Nascita dell'ideologia fascista, Akropolis). Questo percorso-tipo fu condiviso da molti, come dimostra ad esempio quello di un altro esponente del sindacalismo francese, Hubert Lagardelle, che Mussolini stesso, in La dottrina del fascismo, accomuna alla medesima corrente storica: "Nel grande fiume del fascismo troverete i filoni che si dipartirono dal Sorel, dal Lagardelle del Mouvement Socialiste, dal Péguy, e dalla coorte dei sindacalisti italiani, che tra il 1904 e il 1914 portarono una nota di novità nell'ambiente socialistico italiano, già svirilizzato e cloroformizzato dalla fornicazione giolittiana, con le Pagine libere di Olivetti, La Lupa di Orano, il Divenire sociale di Enrico Leone." Seguace di Proudhon e di Sorel e attratto da Marx, Lagardelle aveva fondato il periodico Le mouvement socialiste (1899-1914), manifestando simpatie, dopo la guerra, per la Rivoluzione d'Ottobre. Ma, constatata la degenerazione di Mosca, se ne allontanò avvicinandosi alla destra e finendo per aderire, nel 1926, al fascismo francese. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm 9/11 14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) Mussolini parlava di "grande fiume del fascismo", ma avrebbe dovuto più correttamente parlare di "grande fiume della controrivoluzione", la quale stava rastrellando tutte le posizioni e i movimenti che potevano essere utilizzabili per bloccare l'altro potente fiume, anzi il mare, della rivoluzione russa. Il movimento fascista era uno dei tanti finché le circostanze, e certo anche quell'animale politico che era Mussolini, non lo condussero a prendere il sopravvento. Tra i personaggi che egli rivendica può sembrare strano trovare Enrico Leone, che fu figura di spicco del sindacalismo "rivoluzionario" italiano di stampo marxista. Ne fu anzi il principale animatore e capo finché i sindacalisti rivoluzionari furono corrente all'interno del PSI; nel quale Leone era vicino ad Arturo Labriola, anch'egli sindacalista, e ad Enrico Ferri, capo della frazione intransigente. Nella rivista da lui fondata, Il divenire sociale, veniva pubblicato molto materiale di Sorel. La definizione di "sindacalismo puro" in uso in quegli anni deriva dal suo impegno a favore della lotta sindacale autonoma. Leone rimase nel PSI quando dal partito uscirono i sindacalisti rivoluzionari (1907), schierandosi poi con i massimalisti e appoggiando la rivoluzione bolscevica, dalla quale però prese le distanze dopo i primi segni di cedimento. Scrisse contro l'idealismo attivistico di Sorel e contro l'intuizionismo metafisico di Bergson. Era quindi un uomo politico di una certa coerenza a confronto di ciò che usava a quel tempo. Ma Mussolini non si sbagliava: anche Leone faceva parte della schiera che auspicava una autonomia della classe operaia dalla politica dei partiti. Lottare però per quella autonomia significava, come precisò la nostra corrente, rinchiudere il proletariato nel sistema chiuso della fabbrica e delle categorie di mestiere. Significava avere come interlocutore non tutta la società con il suo stato ma un rappresentante del capitale con la sua fabbrica. Il tutto sancito dalla legge e dal controllo dello stato. La nuova corporazione, immaginata dalla piccola borghesia prima che il fascismo la facesse propria, non era una riedizione di quella medioevale, ma un qualcosa di completamente diverso e pericoloso: non era più un organismo formato da elementi della stessa classe di artigiani (tessitori, fabbri, vasai, armaioli, ecc.), quindi con gli stessi interessi da difendere, ma un organismo formato da elementi di due classi dagli interessi inconciliabili. Il nuovo corporativismo si annunciava come la più tremenda sconfitta del proletariato da quando questa classe poté definirsi tale. È dunque vero che uno dei criteri, forse il più importante, per definire gli insiemi oggettivi in cui si dividevano le classi all'epoca della rivoluzione reazionaria è quello del riformismo accompagnato dal corporativismo dell'epoca imperialistica. C'è un filo logico che unisce Bergson a Mussolini, Bottai a Lama, Sorel a Gramsci, Leone a Buozzi, Rigola, d'Aragona. Non si scervelli il lettore sui nomi di persona: anche se non li conosce, il denominatore comune è, appunto, il "sindacalismo puro", il confronto fra operai e capitalisti rappresentati dall'insieme "lavoro come fattore della produzione", senza intermediari, vera transustanziazione di una realtà materiale (lavoro) in un effetto politico (tentata eliminazione della lotta di classe).  (#) https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm  (socializzazione_fascista_comunismo2.htm) 10/11 14/05/22, 22:35 La socializzazione fascista e il comunismo (1) https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm 11/11 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm La socializzazione fascista e il comunismo (2)  (socializzazione_fascista_comunismo1.htm)  (socializzazione_fascista_comunismo3.htm) 2. Socializzazione spinta D'Annunzio, paradigma delle mezze classi Il comportamento della piccola borghesia e delle non-classi non è mai autonomo, ma dipende dal rapporto che esse instaurano con le due grandi classi che si fronteggiano nella società capitalistica; e oscillano da una parte all'altra a seconda dei rapporti di forza che si stabiliscono tra borghesia e proletariato. Il comportamento di D'Annunzio e dei suoi seguaci sarà il prodotto di questa oscillazione. Abbiamo citato Bergson, Sorel, Mussolini, e compariranno altri personaggi, ma i nomi ci servono soltanto come riferimento mnemonico, dato che, specialmente studiando la genesi del fascismo "sindacalista", sarà agevole dimostrare che personaggi e termini ricavati dai loro nomi sono prodotti e non fattori della storia. La storia umana, da quando è nata la proprietà, è sempre stata storia di lotta di classe e questa la scrivono masse di uomini, non i loro capi che vengono spinti alla ribalta da questo o quell'avvenimento cruciale. Parleremo dunque del movimento "dannunziano" come espressione di forze operanti nella società dell'epoca; forze che non si limitarono a caratterizzare detto movimento, e neppure si disponevano semplicemente sullo sfondo degli avvenimenti, ma erano attive e numerose, quasi tutte mosse da principi che avevano molto in comune e in base ai quali trovarono il modo di aggregarsi. In tale quadro si può tratteggiare una biografia di D'Annunzio come sintesi di biografie di anonimi partecipanti agli eventi di quell'epoca. Certo, il poeta era famoso per le sue opere letterarie, era un eroe di guerra, aveva una particolare attrazione per il gesto eclatante, ma la sua vita fu come quella di tanti che furono trascinati negli stessi fatti. Nel 1897 D'Annunzio ebbe la prima esperienza politica. Eletto nelle file della destra, si fece portavoce di una necessità che avrebbe più tardi coinvolto masse di uomini: il superamento, finalizzato, dei vecchi schieramenti e la formazione di altri nuovi, suggeriti da sconvolgimenti sociali di vasta portata come la guerra e la rivoluzione. Da buon erede del trasformismo, passò subito alla sinistra spiegando il gesto con la famosa frase "Vado verso la vita" (Mussolini avrebbe poi percorso il cammino inverso, ed entrambi si incontrarono nello stesso schieramento interventista). Nei primi cinque o sei anni del '900 fu dunque molto vicino al Partito socialista e partecipò alle proteste contro l'eccidio di Bava Beccaris a Milano. Nel 1901 fondò una loggia massonica, e massoni furono alcuni suoi compagni di lotta. Nel 1910 aderì al movimento nazionalista di Corradini. Proposto per una posizione accademica, rifiutò consigliando ai suoi interlocutori di lottare per l'eliminazione della https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 1/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm scuola. Nel settembre del 1919 organizzò un reparto di soldati, ex combattenti e volontari civili per l'occupazione di Fiume, che le potenze vincitrici non avevano assegnato all'Italia (la "Vittoria mutilata"). Vedremo in seguito il significato di questi eventi, per il momento ci limitiamo a ricordare che all'impresa fiumana parteciparono forze miste, fra le quali termini come "destra" e "sinistra" non avevano più alcun senso. D'Annunzio fu comandante delle Forze Armate fiumane e, con Alceste de Ambris, dirigente della UIL, un sindacato patriottico d'ispirazione sindacalista rivoluzionaria, scrisse una costituzione (la Carta del Carnaro, 1920) sorprendente dal punto di vista "sociale". Nel 1920 la Reggenza del Carnaro fu l'unico stato al mondo a riconoscere la Repubblica Sovietica Russa. E nel 1922, in occasione della Conferenza di Genova sul commercio internazionale, fu D'Annunzio ad ospitare nella propria abitazione il Commissario sovietico agli Esteri Čičerin. La vecchia società non aveva alcuna intenzione di morire e quella nuova non ce la faceva a nascere. Nell'immane scontro fra modi di produzione, rivoluzione e reazione si travestivano a seconda dei rapporti di forza o dei rapporti fra le correnti politiche giunte a livelli di confusione irrecuperabili a un qualche ordine, a meno di non ri-formare il potere esecutivo della classe dominante. Scoppia il dopoguerra Al termine del primo conflitto mondiale in Italia "scoppia" il dopoguerra. Nei primi giorni di settembre del 1918 si svolge a Roma il XV congresso nazionale del Partito Socialista. I convenuti constatano che il partito ha retto bene alla prova della guerra e che nel frattempo sono maturate forti simpatie per la Rivoluzione d'Ottobre. L'aria che si respira al congresso è ben descritta dal discorso di Luigi Repossi a favore della lotta a fondo per il potere: "Più nessuna blandizie, classe contro classe, da una parte la borghesia tutta insieme contro di noi, dall'altra noi soli contro tutto il mondo, questo il compito dei socialisti." All'interno del partito è in corso uno scontro tra la parte super riformista (i "destri") e l'estrema sinistra (mozione Salvatori) che raccoglie la maggioranza congressuale sia sull'onda dei disastri umani e materiali dovuti alla guerra, sia sull'eco potente dei fatti di Russia. Nello stesso anno il VII congresso nazionale della FIOM (ramo metalmeccanici della CGL) approva come ordine del giorno la giornata lavorativa di otto ore, il minimo salariale garantito, il pagamento delle ferie, la parità per il lavoro femminile e la regolamentazione della vita di fabbrica, mentre la Confederazione Generale del Lavoro lancia la proposta della convocazione di una Costituente, raccogliendo l'adesione dei repubblicani e dei riformisti. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 2/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm La direzione socialista respinge invece la proposta della CGL sulla Costituente poiché la ritiene una rivendicazione borghese, per di più portata avanti da coloro che avevano voluto la guerra. Anche la frazione astensionista la attacca a fondo considerandola un diversivo per distogliere l'attenzione dalla questione del potere. La Costituente era concepita come un'assemblea nazionale eletta con largo suffragio, un organismo senza funzione legislativa, chiamato semplicemente a rinnovare la costituzione esistente entro i rapporti borghesi. Una mistificazione in più per dar fiato alla leggenda della sovranità popolare, argomento da sempre usato per illudere la classe operaia. Una mistificazione che oggettivamente tendeva a far passare fra i proletari la falsa esigenza di unità fra schieramenti politici differenti, in un'ottica interclassista. È chiaro che il Partito socialista tende con la sua opposizione a far saltare l'ipotesi di una partecipazione dei socialisti al governo, situazione che avrebbe legato le mani al partito, proprio come speravano i sostenitori (ad esempio, Nitti) di un coinvolgimento che allontanasse il pericolo di sommosse. Nel gennaio del 1919 nasce il Partito popolare di Don Sturzo, e nelle elezioni del novembre dello stesso anno i voti che raccoglie, sommati a quelli del Partito Socialista, raggiungono la maggioranza. Ma i presupposti politici per un governo formato dai due partiti mancano del tutto. Tutti gli equilibri politici che si erano determinati in tempo di guerra sono saltati e il nuovo panorama politico è caratterizzato da una situazione di difficile governabilità per la borghesia italiana. Instabilità politica, cresce la lotta Il succedersi di governi che sono "frutto di alchimie parlamentari" (De Felice, Mussolini il rivoluzionario) non assicura certo la stabilità di cui avrebbe bisogno l'economia del dopoguerra e soprattutto è un fattore di sfiducia nel sistema parlamentare. Con la fine della guerra cade la ragion d'essere della coalizione tra le forze politiche che avevano dato vita nel 1917 al Fascio parlamentare di difesa nazionale (oltre 150 deputati e 90 senatori), e che si era basata sull'intento comune di salvaguardare le condizioni per il proseguimento della guerra stessa fino alla vittoria. Difficile, nella confusione politica crescente, mantenere unite forze in realtà incompatibili. Ma molti (tra i quali Antonio Salandra, ex presidente del Consiglio), auspicano la sopravvivenza del Fascio parlamentare, aggregazione nata per rispondere alle medesime esigenze che avevano dato vita al Fascio d'azione rivoluzionaria interventista, e il cui manifesto politico era stato steso verso la fine del 1914 da interventisti di sinistra allo scopo di spingere i proletari a combattere per difendere la nazione. L'interventismo aveva presentato una gamma di posizioni che andavano dal liberismo conservatore dei nazionalisti ai progetti più radicali dei sindacalisti rivoluzionari e dei repubblicani. Alla fine del 1917, in seguito alla pubblicazione del Patto di Londra da parte dei bolscevichi giunti al potere, firmato il 26 aprile 1915 dall'Italia e dai rappresentanti della Triplice Intesa e rimasto sino ad allora segreto, scoppiano forti contrasti politici in seno alla https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 3/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm borghesia italiana. Secondo il Patto, l'Italia, scendendo in guerra contro gli Imperi Centrali, avrebbe dovuto ottenere una parte della Dalmazia, il Trentino, il Tirolo meridionale, la Venezia Giulia e altro ancora. Ma la politica del presidente Wilson non contemplava una soluzione del genere: gli Stati Uniti erano entrati in guerra in un secondo tempo, e non avevano firmato alcun accordo. All'interno del fronte nazionalista italiano emerge ora tutta una serie di posizioni legate all'accettazione o meno dei contenuti espressi nel Trattato. I più oltranzisti sostengono che non si può cedere in nulla rispetto alle promesse fatte ed è assolutamente necessario ottenere l'aggiunta di Fiume, che nel 1915 l'Intesa aveva invece aggiudicato alla Jugoslavia. Fiume A questo punto è utile una breve storia della città di Fiume per capire la posizione dei nazionalisti filo-italiani i quali sostenevano che la città dovesse necessariamente diventare italiana in ragione del voto espresso in tal senso dal Consiglio nazionale italiano di Fiume del 29-30 ottobre 1918. Tale organismo, il cui presidente era l’istriano Antonio Grossich, aveva appunto l’obiettivo di includere Fiume nel regno d’Italia. Durante i secoli XVIII e XIX Fiume, pur trovandosi all'interno del territorio croato, era stata sotto sovranità magiara, passando attraverso vicende alterne, finché nel 1867 fu unita al regno ungherese come Corpus separatum, conservando dunque un certo grado di indipendenza. Aveva una propria amministrazione e un proprio governatore, e poté così mantenere i propri statuti e i propri privilegi, come quello di utilizzare ufficialmente la lingua italiana. Gli ungheresi, esercitando il loro dominio a distanza, pur di contrastare le mire di annessione da parte della Croazia, avevano spinto la città a sviluppare rapporti commerciali con l'Italia, agevolando in tal modo la formazione di una borghesia italiana e, indirettamente, la nascita, nel 1905, di un movimento irredentistico, "La Giovine Fiume", che chiedeva l'annessione di Fiume all'Italia e che il governo ungherese scioglierà nel 1911. Con il crollo dell'impero austro-ungarico la situazione cambia completamente e Fiume, alla fine della Prima Guerra Mondiale, viene occupata da truppe multinazionali (inglesi, francesi, italiane, americane). In questa situazione, che si rivela subito carica di tensioni, si inserisce l'azione spettacolare di Gabriele D'Annunzio. Scontro tra riformisti Torniamo ai fatti italiani del dopoguerra. Un tenace difensore del Patto di Londra era il Ministro degli Affari Esteri Sidney Sonnino il quale non aveva mai nascosto la sua avversione alla politica delle nazionalità di Wilson. In nome del principio di nazionalità, https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 4/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm formula alquanto vaga, c'era chi chiedeva l'annessione di Fiume all'Italia e chi vi si opponeva. Il problema assume un peso internazionale e il clima si fa sempre più rovente. Pensiamo alle forze interventiste democratiche e al suo esponente, Leonida Bissolati, secondo il quale bisogna ormai mettere da parte gli interessi italiani in Dalmazia perché l'unico modo per contrastare il pericolo bolscevico è la politica delle nazionalità di Wilson, con cui si incontra il 4 gennaio del 1919. Il Presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, e Sonnino vedono invece nel nazionalismo l'unica difesa contro il comunismo. Due posizioni in antitesi che costringono Bissolati a dare le dimissioni dal governo e a pronunciare il discorso "rinunciatario" della Scala (11 gennaio 1919), in cui propone di rinunciare alla Dalmazia, al Tirolo ed al Dodecaneso. Arditi, futuristi e fascisti, che hanno organizzato una dimostrazione patriottica pro-Dalmazia davanti al teatro, lo attaccano duramente. Orlando e Sonnino incoraggiati dall'intransigenza del re Vittorio Emanuele III abbandonano la Conferenza di Pace, in corso a Parigi, organizzata dai paesi vincitori dalla Prima Guerra Mondiale (18 gennaio 1919) al fine di delineare nuovi equilibri geopolitici in Europa e stilare i trattati di pace con i paesi sconfitti. Manifestando in maniera chiara la loro contrarietà alla politica di Wilson, essi riassumevano la loro posizione nella formula "Trattato di Londra + Fiume". Dovranno però tornare al tavolo delle trattative, che erano comunque continuate anche in loro assenza. Il ritorno dell'Italia alla Conferenza è visto dai nazionalisti italiani come una capitolazione e contribuisce a rafforzare la componente più intransigente. Da notare che nei primi mesi del 1919 la situazione economica è pessima e vi sono scioperi contro il caro vita in tutta la penisola. Da una parte le critiche dei nazionalisti, dall'altra gli scioperi operai portano alla crisi del governo Orlando e alla costituzione di quello Nitti nel giugno del 1919. Riorganizzazione delle forze interventiste Il nuovo governo non riesce a produrre nessun effettivo miglioramento economico, e sul piano politico peggiora la situazione vista l'ostilità della destra per il nuovo presidente del Consiglio. In alcuni ambienti della destra nazionale si comincia a discutere della necessità di un colpo di stato o di un'azione armata per difendere l'italianità di Fiume. Come abbiamo anticipato, con la fine della guerra le forze interventiste si trovano spiazzate e cercano di sopravvivere riorganizzandosi. La classe dirigente italiana è completamente screditata e servono nuovi programmi, nuove parole d'ordine e nuovi leader per rivitalizzare il capitalismo. Mussolini ha molti punti in comune con il riformismo socialista e con le teorie produttivistiche: egli sostiene che il proletariato deve puntare all'incremento incessante della produzione, unica fonte di benessere e sviluppo sociale dei produttori. Gli articoli che vengono pubblicati su Il Popolo d'Italia tra la fine del '18 e i primi mesi del '19 esaltano da una parte la vittoria militare italiana e dall'altra puntano a darle un contenuto https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 5/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm sociale. In un articolo di questo periodo, intitolato "Andate incontro al lavoro che tornerà dalle trincee" (Il Popolo d'Italia, 9 novembre 1918), Mussolini lancia l'idea del "sindacalismo nazionale" e dell'unità d'azione di ex combattenti e lavoratori. I suoi interlocutori privilegiati sono ora i trinceristi, gli ex combattenti e i gruppi di reduci di ritorno dal fronte. Ricordiamo che se a guerra iniziata le forze armate avevano 142 generali, alla fine se ne contano 1.246, un numero enorme se si pensa all'intera scala gerarchica degli ufficiali. C'era inoltre chi aveva guadagnato denaro e garanzie durante la guerra e non intendeva rinunciarvi. L'esercito non era da meno: Gli ufficiali ovviamente si opponevano alla decisione del governo di riportare il loro numero ai livelli prebellici. Una parte di queste forze si organizza, nel marzo del 1919, nell'Associazione Nazionale Combattenti, esprimendo tutta una serie di rivendicazioni che ricalcano quelle del riformismo socialista: convocazione della Costituente, abolizione del Senato, distribuzione della terra non coltivata agli ex combattenti secondo la promessa fatta dal governo in tempo di guerra. Il tentativo di Mussolini di estendere la sua influenza sull'Associazione non ottiene i risultati sperati vista la moderazione politica che la caratterizza, ma l'operazione riuscirà con l'aggancio ai futuristi e agli arditi. Fascisti, futuristi e arditi La nascita del futurismo, come movimento artistico e culturale, va collocata all'inizio del '900, al confine fra la decadente Belle époque e la nuova era delle macchine e del capitale finanziario. In Italia il 5 febbraio del 1909 viene pubblicato il Manifesto futurista, scritto da Filippo Tommaso Marinetti, che ben interpreta questa fase di passaggio: "Noi vogliamo cantare l'amore del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità." Gran parte dei futuristi proveniva da esperienze anarchiche e non era influenzata dalle sbruffonate di Marinetti, ma dopo la guerra il loro movimento si avvicinò al fascismo. La sua natura sintetizza perfettamente il dualismo di un'epoca di transizione in cui si decide la vittoria o la sconfitta del movimento rivoluzionario. In quanto corrente artistica, quindi riflesso semplificato delle condizioni materiali in cui versano le classi, esso si adegua ai rapporti di forza reali: perciò al suo interno si formano correnti analoghe a quelle che si sono formate nella società, tutte "rivoluzionarie" anche se con modalità e posizioni diverse. La modalità fascista prevarrà sotto l'insegna del tronfio linguaggio di Marinetti, quello https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 6/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm socialista rimarrà in sordina per poi estinguersi. La prova di questo camaleontismo artistico si ha in Russia, dove il futurismo si schiera decisamente con la rivoluzione, almeno finché questa risulta vincente. In Italia i futuristi, soprattutto quelli che poi si allinearono con il fascismo, si trovano a loro agio nel mondo aggressivo dell'interventismo, glorificano la guerra ("sola igiene del mondo"), il militarismo, il patriottismo, il gesto di rottura dei libertari e le idee per cui vale la pena morire. Nel 1914 sono i primi a scendere in piazza contro l'Austria e nel 1915 partecipano alle "radiose giornate di maggio", un susseguirsi di manifestazioni interventiste svoltesi in molte città italiane. Anche D'Annunzio partecipa a questa ubriacatura patriottica e il 5 maggio, presso lo Scoglio di Quarto a Genova, con un discorso bellicoso invita l'Italia a scendere in guerra al fianco della Triplice Intesa al grido di "Viva Trento e Trieste! Viva la guerra!" Il movimento futurista, che fino ad allora aveva avuto un carattere perlopiù artisticoletterario, dopo la guerra si dà una struttura e degli obiettivi politici. Il 20 settembre del 1918, nella capitale, vede la luce Roma Futurista, "Giornale del partito politico futurista", diretto da Mario Carli, Tommaso Marinetti ed Emilio Settimelli. Il partito, che avrà vita breve (1918-1920), svilupperà un'azione di propaganda soprattutto presso gli arditi. Gli arditi, una specialità dell'arma di fanteria del Regio Esercito, erano gruppi d'assalto costituitisi durante la Prima Guerra Mondiale, nella primavera del 1917, per iniziativa del generale Luigi Capello, con il compito di compiere incursioni nelle linee nemiche e aprire la strada alla fanteria. L'esercito li presentava come combattenti che andavano incontro al pericolo cantando, spavaldi, alla ricerca della "bella morte". Questi reparti speciali acquistarono fama soprattutto in occasione delle battaglie del Piave e di Vittorio Veneto. Al fronte avevano dei pessimi rapporti con i carabinieri a causa della loro indisciplina, e a guerra finita il corpo degli arditi venne sciolto. Parecchi di loro, soprattutto quelli che prima del conflitto bellico erano stati vicini al futurismo, nel dopoguerra riprendono i contatti. Le adesioni al Partito politico futurista non sono comunque numerose: dal dicembre del '18 cominciano a costituirsi i primi fasci futuristi e nel febbraio del '19 sono una ventina. Mario Carli, il 20 settembre 1918 pubblica su Roma Futurista un "Primo appello alle Fiamme", in cui chiama a raccolta gli arditi: "A me Fiamme Nere! Con questo grido di guerra che non fu mai lanciato invano… chiamo a raccolta spirituale attorno a questo foglio tutti gli "Arditi" d'Italia… Li chiamo a raccolta agitando un tricolore nella mia mano di scrittore tuttora spezzata e li informo di questa nuova battaglia. C'è da fare moltissimo quaggiù. C'è da sventrare, spazzare, ripulire in ogni senso... Ormai noi abbiamo una missione. L'Italia ha creato gli arditi perché la salvino da tutti i suoi nemici. Bisogna sperare tutto e chiedere tutto agli arditi." https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 7/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm Il nemico, quindi, è anche interno: è composto dai profittatori di guerra, dai neutralisti e dalla borghesia parassitaria e arricchita. Nel gennaio del '19 Carli fonderà l'Associazione fra gli arditi d'Italia e nel maggio dello stesso anno questa comincerà a pubblicare il giornale L'Ardito, che Carli stesso dirige insieme a Ferruccio Vecchi. Il giornale farà campagna per l'annessione di Fiume all'Italia sotto la bandiera della "Vittoria mutilata". Tra il 1918 e il 1919 futuristi, arditi, ex combattenti e fascisti si incrociano in almeno quattro occasioni: nel dicembre del '18 molti futuristi aderiscono al progetto di Mussolini per una costituente dell'interventismo; nel gennaio del '19 Mussolini e Marinetti partecipano alla manifestazione della Scala contro Bissolati; nel marzo i futuristi partecipano a Milano alla fondazione dei Fasci di combattimento; e ad aprile con arditi e fascisti assaltano la sede dell'Avanti a Milano. L'azione contro la sede dell'Avanti è da inserirsi nel clima surriscaldato del Biennio Rosso, è il risultato di quel dinamismo che diventa esaltazione ideologica cui si dà lustro filosofico tirando in ballo il bergsoniano "slancio vitale" contro ogni passatismo. "Marciare non marcire", questo il motto di Marinetti, dei futuristi e degli arditi. Mussolini cerca di dare ordine e inquadrare questo ribollente magma sociale in funzione anti-socialista. Intervistato pochi giorni dopo i fatti di Milano dal Giornale d'Italia, dichiara: "Tutto quello che avvenne all'Avanti! fu spontaneo, movimento di folla, movimento di combattenti e di popolo stufi del ricatto leninista. Si era fatta un'atmosfera irrespirabile. Milano vuol lavorare. Vuole vivere. La ripresa formidabile dell'attività economica era aduggiata da questo stato d'animo di aspettazione e di paura specialmente visibile in quella parte di borghesia che passa i pomeriggi ai caffè invece che alle officine. Tutto ciò doveva finire. Doveva scoppiare. È stato uno scoppio climaterico, temporalesco. A furia di soffiare l'uragano si è scatenato. Il primo episodio della guerra civile ci è stato. Doveva esserci in questa città dalle fiere impetuosissime passioni. Noi dei fasci non abbiamo preparato l'attacco al giornale socialista, ma accettiamo tutta la responsabilità morale dell'episodio." Sansepolcrismo Il 23 marzo 1919 si tiene a Milano, in piazza San Sepolcro, nei locali dell'Associazione commercianti ed esercenti, una riunione programmatica, annunciata da Il Popolo d'Italia, alla quale partecipano varie componenti. Quella più numerosa è rappresentata dalla vecchia guardia interventista: sindacalisti rivoluzionari (con De Ambris, il loro principale esponente) e fascisti. Le altre forze sono ex combattenti, arditi e futuristi. Il programma è sintetico e inequivocabile. Lo riproduciamo integralmente perché riassume bene il clima sincretistico di quegli anni e si ricollegherà alla Carta del Carnaro dell'anno successivo: Per il problema politico noi vogliamo: https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 8/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm a) Suffragio universale a scrutinio di lista regionale, con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne. b) Il minimo di età per gli elettori abbassato ai 18 anni; quello per i deputati abbassato ai 25 anni. c) L’abolizione del Senato. d) La convocazione di una Assemblea Nazionale per la durata di tre anni, il cui primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato. e) La formazione di Consigli Nazionali tecnici del lavoro, dell’industria, dei trasporti, dell’igiene sociale, delle comunicazioni, ecc. eletti dalle collettività professionali o di mestiere, con poteri legislativi, e diritto di eleggere un Commissario Generale con poteri di Ministro. Per il problema sociale noi vogliamo: a) La sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavori la giornata legale di otto ore di lavoro. b) I minimi di paga. c) La partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell’industria. d) L’affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici. e) La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti. f) Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sulla invalidità e sulla vecchiaia abbassando il limite di età, proposto attualmente a 65 anni, a 55 anni. Per il problema militare noi vogliamo: a) L’istituzione di una milizia nazionale con brevi servizi di istruzione e compito esclusivamente difensivo. b) La nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e di esplosivi. c) Una politica estera nazionale intesa a valorizzare, nelle competizioni pacifiche della civiltà, la Nazione italiana nel mondo. Per il problema finanziario noi vogliamo: a) Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze. b) Il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense Vescovili che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi. c) La revisione di tutti i contratti di forniture di guerra ed il sequestro dell’85% dei profitti di guerra. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 9/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm Sono differenti ma convergenti le storie politiche che portano allo sviluppo del programma di San Sepolcro. Tra la metà di aprile e la fine di maggio del 1919, De Ambris scrive su Il Rinnovamento (31 maggio 1919) un significativo articolo intitolato "I limiti dell'espropriazione necessaria", in cui sostiene che da un lato si tratta di fare in modo che espropriando una parte del capitale, la produzione non diminuisca, ma invece aumenti. Dall’altro lato si tratta di fare in modo che l’aumento della produzione si converta in maggior vantaggio per i produttori." L'articolo è molto apprezzato da Mussolini (d’altronde alla stesura del "Manifesto dei Fasci Italiani di Combattimento" aveva collaborato lo stesso De Ambris), che lo pubblica sotto forma di opuscolo. Quello dell'espropriazione, da sempre un obiettivo di socialisti e comunisti, ora viene usato anche dai nazional-socialisti. Nell'articolo "Necessarie dissoluzioni" (n+1, n° 36), abbiamo osservato: I punti dello stringato programma fascista avrebbero potuto benissimo essere stilati da un Radek nel corso di una delle numerose riunioni frontiste con esponenti socialdemocratici o comunque del nemico opportunista. Anzi, in quanto a 'espropriazione degli espropriatori' superava tutti i programmi frontisti, mentre nelle dichiarazioni di Mussolini comparivano netti i caratteri riformisti della futura 'nazione proletaria', laboriosa e sindacalizzata." Mussolini, come abbiamo visto, prende posizione anche sull'agitazione alla Franchi Gregorini di Dalmine (marzo 1919), in cui è stato organizzato un grande sciopero. Nello stabilimento è presente la UIL, e l'occupazione della fabbrica è un primo esperimento di controllo operaio della produzione. Fin dai primi giorni dell'occupazione, sul tetto viene issata una bandiera tricolore. Mussolini intuisce immediatamente quanto sia importante inserirsi in questa lotta, si reca a Dalmine e lì, all'interno di un discorso in parte già citato, pronuncia la celebre frase demagogica: "la crisi la paghino i ricchi" (vedete com'è moderno e "di sinistra" il capo del fascismo), e anticipa temi che saranno sviluppati dall'Ordine Nuovo di Gramsci, come ad esempio, appunto, il controllo operaio della produzione. L'ex direttore dell'Avanti dichiara di beffarsi di etichette e definizioni ideologiche; i fascisti non sono né socialisti né antisocialisti, e a seconda delle necessità decidono di marciare sul terreno "della collaborazione di classe, della lotta di classe, e della espropriazione di classe" . Essi sono, come annuncia, dei "problemisti" e il loro è un antipartito che non ha principi fissi, che ha per norma solo l'azione del momento. Aggiungiamo all'insieme controrivoluzionario il socialdemocratico Bernstein. Quando diceva che "il fine è nulla, il movimento è tutto" ci dimostrava che Mussolini era allievo di troppi maestri; o erano i troppi maestri, compreso Mussolini, ad essere allievi di un unico, mostruoso insieme di forze reazionarie? https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 10/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm Vittoria mutilata Nel luglio del 1919 in diversi paesi europei migliaia di proletari e di socialisti scendono in piazza contro i dettati imposti dal trattato di pace firmato a Versailles dalle potenze vincitrici, contro il sostegno degli eserciti "bianchi" offerto dall'Intesa, e per la difesa delle rivoluzioni in Russia e Ungheria. Ma lo "scioperissimo" del 20 e 21 luglio non determina alcun movimento rivoluzionario e, anzi, rinvigorisce il fronte anti-proletario. Le trattative di pace ancora in corso a Parigi non soddisfano gli ambienti nazionalisti italiani. Si tengono vari comizi in cui si rivendica con forza l'annessione di Fiume all'Italia. Si rafforza il movimento per Fiume italiana e comincia a prendere forma l'organizzazione di un colpo di mano militare, con tanto di trattative ad alto livello. Molto probabilmente i vertici del governo sapevano che qualcosa stava bollendo in pentola… "Noi azzarderemo l'ipotesi che non è il fatto in sé ma certi dettagli della sua esecuzione avessero sorpreso il Nitti: egli doveva sapere, ma fu forse giocato su certe modalità concordate." ("Fiume e il proletariato", Rassegna Comunista del 15 settembre 1921) E qui entra in scena D'Annunzio. Il "poeta-soldato" si arruola nell'esercito già ultracinquantenne e subito si distingue con una serie di azioni spericolate, come la famosa beffa di Buccari, un'incursione militare effettuata, nel febbraio del '18, contro le navi austroungariche nella baia di Buccari, in Croazia, e il volo su Vienna, una trasvolata in cui vengono lanciati nel cielo della capitale austriaca migliaia di manifestini tricolori. D'Annunzio è carismatico, conosciuto nell'ambiente culturale e mondano italiano, ed apprezzato anche negli ambienti militari; è un vero personaggio di rappresentanza, un piazzista dell'ideologia di mezzo, una réclame che attira l'attenzione. Naturalmente la nostra dottrina ha demolito da tempo la credenza secondo la quale la storia è fatta dai grandi uomini, alla Carlyle, eroi o condottieri in grado di plasmare gli eventi. Come abbiamo scritto in un nostro testo, "Il culto parossistico dell'Io raggiunge l'apice a cavallo tra i due secoli, quando la grande borghesia, affaccendata nell'accumulazione strepitosa, lascia alle mezze classi il compito di esprimere le forme filosofiche, politiche, sociologiche e letterarie specifiche di questa vera e propria infezione. E l'individualismo poco a poco da eroico si fa negativo. Il poetico superuomo di un D'Annunzio precede la paura di una civiltà dell'uomo-massa negatrice della libertà individuale profetizzata daOrtega y Gasset" (Lettera ai compagni Militanti delle rivoluzioni, 1996). Alla fine della guerra a D'Annunzio viene concesso un titolo nobiliare. Oltre che Vate, poeta di un'epoca, medaglia d'oro al valore militare, ora è principe di Montenevoso. Con la sua condotta in guerra si è assicurato il privilegio di essere ascoltato ma, scherzi della storia, la https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm 11/12 14/05/22, 22:36 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm sua influenza finirà per creare non pochi problemi ai governi italiani. Problemi passeggeri comunque, dato che il fascismo sarà in grado di fagocitare e utilizzare per i propri fini anche l'ingombrante personaggio.  (socializzazione_fascista_comunismo1.htm) https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo2.htm  (socializzazione_fascista_comunismo3.htm) 12/12 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm La socializzazione fascista e il comunismo (3)  (socializzazione_fascista_comunismo2.htm)  (socializzazione_fascista_comunismo4.htm) 3. Zona temporaneamente autonoma? La spedizione legionaria L'organizzazione pratica dell'impresa di Fiume prende il via nell'estate del 1919 quando nasce un Comitato per le Rivendicazioni nazionali di cui fanno parte varie associazioni irredentiste tra le quali la Dante Alighieri, l'Associazione Trento-Trieste, l’Associazione combattenti e l’Associazione Mutilati di guerra, in contatto con i fascisti, i futuristi e gli arditi. Si forma una rete che raccoglie in breve tempo tutti gli elementi ultra-nazionalisti italiani, con collegamenti anche in settori dell'imprenditoria e nell'esercito, pronta alla "difesa" dell'Adriatico. E che interessa anche ambienti governativi, con cui tiene i contatti un industriale italiano sostenitore della causa dell'italianità di Fiume (e finanziatore dell’impresa), Oscar Sinigaglia. Altro attore sulla scena fiumana è Giovanni Giuriati, avvocato veneziano volontario nella prima guerra mondiale e presidente dell'Associazione Trento-Trieste, che in seguito diventerà il capo di gabinetto di D'Annunzio. Già da giugno si vociferava della preparazione di un'azione su Fiume con l'obiettivo di difenderne l'italianità contro le prevedibili decisioni della Conferenza di Pace. Si prendono contatti con Badoglio, con il comando dell'esercito italiano, ma il tentativo di coinvolgimento non va a buon fine e allarma le autorità: il 31 luglio Badoglio ordina di aumentare la sorveglianza sui confini italiani. Un fatto fa precipitare la situazione. Come abbiamo visto, a Fiume dopo la guerra si stabilisce una presenza militare multinazionale. Ci sono truppe francesi, inglesi, americane e italiane che si spartiscono il controllo della città. Nel mese di luglio si verificano scontri tra truppe italiane (i granatieri di Sardegna) e soldati francesi. Gli scontri lasciano sul terreno una decina di morti e si genera una situazione complicata, tanto che viene nominata una commissione d'inchiesta, e in agosto viene deciso lo spostamento dei granatieri da Fiume a Ronchi, una cittadina in territorio italiano, vicina a Monfalcone. Il malcontento per la partenza da Fiume, spinge sette ufficiali di stanza a Ronchi a contattare Peppino Garibaldi, Corradini, Federzoni e Mussolini, ma solo D'Annunzio accetta di dirigere un'impresa che miri ad ottenere l'annessione di Fiume all'Italia. In un articolo della nostra corrente si trova la descrizione in dettaglio dell'occupazione: "Nella notte del 12 settembre 1919 Gabriele D'Annunzio, partito da Venezia nel pomeriggio, muoveva dal cimitero di Ronchi presso Trieste, con forse 1000 uomini marcianti su autocarri, alla volta di Fiume. Fiume era occupata per conto degli alleati da https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 1/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm forze italiane. Forze italiane vigilavano attorno alla città, la linea di armistizio. Tutta la Venezia Giulia e contorno di Trieste erano tuttora tenuti da forze imponenti dell'esercito italiano, i "legionari" […] passarono senza difficoltà, e insieme al battaglione fiumano che loro era venuto incontro sulla linea di armistizio, entrarono in Fiume, prendendone possesso." ("Fiume e il proletariato", Rassegna Comunista del 15 settembre 1921). All'impresa prendono parte granatieri e bersaglieri ribelli, oltre a gruppi di arditi accorsi prontamente e personaggi di varia provenienza politica. Il loro arrivo determina una situazione estremamente tesa perché si configura come un atto di diserzione e di ammutinamento, sia da parte dei granatieri che erano di stanza a Ronchi sia da parte dell'esercito di frontiera che doveva impedire il passaggio dei ribelli. C'è chi in Fiume dannunziana vede l'avamposto del nazionalismo, chi vede la capitale futurista d'Italia, qualcuno parla addirittura di repubblica dei Soviet. Alcuni anarchici parlano di Fiume come di una comune, la nostra corrente nell'articolo appena citato scrive: "Abbiamo avuto recente occasione di visitare la città, e non intendiamo scrivere con intenti critici, ma solo per illuminare i lettori con i dati che abbiamo raccolti. Gli elementi fiumani a noi più vicini, i lavoratori e i compagni comunisti o simpatizzanti, si esprimono nel senso che il regime d'Annunziano era intollerabile e che le prepotenze e le vessazioni contro i lavoratori erano continue, ma attribuiscono questi fatti più all'ambiente che s'era formato intorno al 'comandante' che a lui stesso, di cui da pochi si sente parlare con avversione." A Fiume non c'era ovviamente nessuna comune, nessun soviet e nessuna repubblica socialista. Ma è interessante il fatto che molti protagonisti lo pensassero, indotti dalla sovrapposizione e ibridazione di programmi e aspettative. L'occupazione di Fiume Nel settembre del '19 la maggior parte dei legionari, tra loro soprattutto i graduati dell'esercito, pensano a un'azione simbolica che provochi effetti immediati a livello governativo con una sua conclusione in un tempo breve. Ma questo non succede perché "il fuoco acceso a Fiume" non provoca alcun incendio: il governo Nitti non cade, la popolazione italiana della Dalmazia non insorge e non ci sono nemmeno grossi movimenti di piazza in Italia. Si pone quindi ai legionari il problema di come gestire la loro presenza a Fiume, come impostare l'attività di ordinaria amministrazione e come stabilire rapporti con il governo italiano e le altre forze presenti in città. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 2/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm Facilita il lavoro dei legionari la partenza dei contingenti americano, francese e inglese, che lasciano la città per evitare conflitti, ma con la garanzia da parte del governo italiano che la situazione si risolverà a breve. Fiume resta nelle mani dei dannunziani e dei carabinieri. D'Annunzio lascia l'amministrazione della città al consiglio nazionale, che si è formato dopo la guerra, e si occupa dei rapporti con l'estero. Già da ottobre, a un mese dall'occupazione di Fiume, cominciano a verificarsi dei mutamenti politici che provocano malumori negli ambienti borghesi e militari presenti in città. Il discorso Italia e vita di D'Annunzio del 24 ottobre del 1919 ci dà l'idea del nuovo clima che vi si respira: "Tutti gli insorti di tutte le stirpi si raccoglieranno sotto il nostro segno. E gli inermi saranno armati. E la forza sarà opposta alla forza. E la nuova crociata di tutte le nazioni povere e impoverite, la nuova crociata di tutti gli uomini poveri e liberi, contro le nazioni usurpatrici e accumulatrici d'ogni ricchezza, contro le razze da preda e contro la casta degli usurai che sfruttarono ieri la guerra per sfruttare oggi la pace, [...]. Ogni insurrezione è uno sforzo d'espressione, uno sforzo di creazione. Non importa che sia interrotta nel sangue, purché i superstiti trasmettano all'avvenire [...]. Per tutti i combattenti, portatori di croce che hanno salito il loro calvario di quattr'anni, è tempo di precipitarsi sopra l'avvenire." L'appello ai popoli poveri contro le nazioni usurpatrici è tutto volto contro il trattato di Versailles e la politica delle nazionalità di Wilson. Ad ingarbugliare ulteriormente la situazione ci pensa Giuseppe Giulietti, il presidente della Federazione Italiana dei Lavoratori del Mare (FILM), un sindacalista interventista che ha contatti con gli anarchici e con i sindacalisti rivoluzionari. Giulietti il 10 ottobre organizza con la FILM la cattura della nave italiana Persia che trasporta 1.300 tonnellate di armi destinate alle armate bianche che in Russia stanno combattendo i bolscevichi. Quello del Persia è un fatto che desta scalpore in Italia sia per il quantitativo di armi sequestrate sia perché queste sono dirottate a Fiume. L'impresa di Fiume, che all'inizio si è connotata chiaramente come nazionalista, con l'entrata in scena di Giulietti e del sindacato della "gente di mare", va assumendo coloriture politiche differenti. Un altro fatto rilevante si verifica il mese successivo: la spedizione di D'Annunzio a Zara mentre si stanno organizzando in Italia le elezioni. Zara è controllata dall'ammiraglio Millo, a capo di un contingente militare italiano. D'Annunzio arriva in città, accolto benevolmente dall'ammiraglio, e tiene un appassionato discorso in cui dichiara legittimo il ventilato passaggio di Zara all'Italia, destando la preoccupazione del governo italiano il quale teme che la ribellione si estenda a tutta la Dalmazia. Alla ricerca di alleanze https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 3/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm Fin dal settembre del '19 D'Annunzio stabilisce dei contatti con il governo italiano, si avviano delle trattative e viene discusso un progetto che prevede il controllo italiano della città, lasciando però il porto e la ferrovia sotto quello della Società delle Nazioni. Si tratta di trovare un modus vivendi per la città di Fiume che accontenti tutti. Ma la parte più intransigente dei legionari non ammette mezze misure, e reclama l'annessione immediata; mentre all'interno si forma una fronda che ritiene necessario arrivare ad un compromesso con il governo italiano. Le trattative si interrompono. Viene indetto un referendum che coinvolge tutta la cittadinanza di Fiume e nella confusione risulta che la maggioranza è favorevole al compromesso. D'Annunzio decide allora di invalidare il referendum e di rompere definitivamente le trattative per il modus vivendi. Da questo momento si verifica una rottura all'interno del Comando, e Giuriati, il capo di gabinetto di D'Annunzio, si dimette. Si apre quella che possiamo definire la seconda fase dell'impresa, forse la più interessante perché il posto lasciato libero da Giuriati viene occupato da Alceste De Ambris, che arriva a Fiume nel gennaio del '20. L'impresa dannunziana, partita con intenti nazionalisti e irredentisti, si trasforma ora in qualcos'altro. Il duo Sinigaglia-Giuriati, che aveva puntato tutto sulla caduta di Nitti come premessa per l'annessione di Fiume, è ormai fuori gioco. Fin dai primi giorni del suo arrivo a Fiume, De Ambris comincia a elaborare quella che verrà chiamata la Carta del Carnaro, annunciata a luglio e resa pubblica nel settembre del 1920. Oltre ai rapporti con i sindacalisti rivoluzionari, D'Annunzio e i suoi mantengono contatti sia con i fascisti che con la "gente di mare" di Giulietti. Quest'ultimo, nei primi giorni di gennaio, anche in seguito all'arrivo di De Ambris, fa giungere a D'Annunzio un messaggio nel quale lo esorta a organizzare una marcia su Roma che coinvolga la FILM, i socialisti e gli anarchici al fine di instaurare un nuovo ordine sociale e risolvere così anche la questione fiumana. La risposta di D'Annunzio è rivelatrice dello spostamento "a sinistra" del Comando: "Il significato della mia impresa e della mia ostinatissima resistenza diventa ogni giorno più manifesto. Tutte le volontà di rivolta — nel vasto mondo — si orientano verso l'incendio di Fiume, che manda le sue faville molto lontano. Anche i Croati, desiderosi di scuotere il giogo serbo, si volgono a me. La rivoluzione dei 'separatisti' è pronta. Deve scoppiare prima del 15 marzo. Ho le armi, anche; ho le cartucce del Persia, a milioni." (cit. da Michael A. Ledeen, D'Annunzio a Fiume, passim). Ecco la testimonianza dell'anarchico Malatesta: "Si trattò, al principio del 1920, di un progetto insurrezionale, una specie di marcia su Roma se la si vuol chiamare così. Il primo ideatore della cosa [Giulietti], il quale avrebbe potuto avere da Fiume soccorso di uomini e specialmente di armi, metteva come condizione sine qua non il concorso o almeno l'approvazione dei socialisti, e ciò sia per una maggiore riuscita sia perché temeva che lo potessero qualificare di agente https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 4/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm dannunziano. Vi furono in proposito un paio di riunioni a Roma; i socialisti non ne vollero sapere, e così non se ne fece nulla." (E. Malatesta, Lettera a Luigi Fabbri 1930, "Pagine di lotta quotidiana", Umanità Nova, 1920-1922) I progetti insurrezionali infine non si concretizzano. L'idea di coinvolgere il Partito Socialista, evidentemente, non sta in piedi: l'avversione verso D'Annunzio e gli interventisti è ancora forte nell'ambiente socialista. C'è chi sostiene a tutt'oggi che il Partito Socialista perdette un'occasione rivoluzionaria rifiutando l'appoggio alle vicende fiumane (Basile e Leni, Amadeo Bordiga politico). Ma un atteggiamento del genere da parte del partito era impensabile: i massimalisti di Serrati, pur essendo avvezzi ai compromessi (non avevano mai negato il loro appoggio alla destra ultrariformista) non potevano rinnegare fino a quel punto la politica di Bissolati, contraria all'annessione di Fiume. D'altra parte la Sinistra Comunista "italiana" aveva già dimostrato una forte coerenza nell'individuare tutti gli ostacoli che si frapponevano tra il proletariato e la rivoluzione, primo fra tutti proprio l'interclassismo. Comunque la classe operaia si era mantenuta estranea ai fatti fiumani anche se (o proprio perché!) erano presenti molti dei suoi capi sindacali. È vero che l'intero movimento para-insurrezionale di quegli anni presentava aspetti valutabili in termini favorevoli al proletariato, ma l'occupazione di Fiume non poteva essere analizzata allo stesso modo. I fattori in gioco erano troppo legati alla oggettiva composizione interclassista dei protagonisti, alla inevitabile preminenza dei fattori nazionalisti. Se è plausibile che anche Lenin vedesse nell'avventura fiumana un'occasione rivoluzionaria perduta, occorre osservare che l'estrema lucidità tattica del grande rivoluzionario per la difficile situazione della Russia, non aveva il suo corrispettivo per la situazione dei paesi occidentali. In periodo rivoluzionario l'ossessione frontista e la tattica elettorale sono armi mortali del nemico contro la rivoluzione. Anche Gramsci, scrivendo nel gennaio del 1921 su L'Ordine Nuovo, tracciava un bilancio non negativo dell'impresa e criticava l'opera del PSI che aveva dimostrato, "per gli avvenimenti di Fiume, la stessa incapacità politica e la stessa inettitudine a organizzare il proletariato in classe dominante, che aveva dimostrato" in altre occasioni. Nicola Bombacci andava oltre, sostenendo che "il movimento dannunziano è perfettamente e profondamente rivoluzionario; perché D’Annunzio è rivoluzionario" (La tribuna, 30 dicembre 1920, cit. in C. Salaris, Alla festa della rivoluzione). È del tutto naturale che di fronte a questo tipo di infatuazione per la teoria delle occasioni perdute si finisca per cercare occasioni che dovrebbero essere coscientemente non solo "perdute" ma rifiutate. Fu ad esempio duramente criticata dalla nostra corrente la tattica nazional-bolscevica presentata da Radek all'Internazionale (cfr. "La questione nazionale", Prometeo n. 4 del 1924). Radek aveva manifestato simpatia nei confronti di un militare nazionalista tedesco, un certo Schlageter, fucilato dai francesi per aver messo in atto degli attentati contro il trattato di Versailles. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 5/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm Tra l'altro non era mancata l'attenzione della Sinistra rispetto ai fatti fiumani: Il Soviet, nell'articolo "Parva favilla" (28 settembre 1919), pur irridendo all'azione romantica di D'Annunzio, valuta le possibili conseguenze del suo gesto, scorgendo la possibilità per i comunisti di inserirsi autonomamente nel marasma sociale in corso per sferrare un colpo alla borghesia italiana: "La parva favilla minaccia di provocare l'incendio. L'occasione è propizia, il ministero può andare a gambe in aria e subito le speranze si affacciano e le ambizioni si esaltano. […] Il gesto di D'Annunzio è superbo dice l'aspirante ministeriale; è deplorevole dice il ministro in carica che non vuole mollare. La corona è tirata in ballo. La borghesia è tutta in subbuglio. La classe lavoratrice non può e non deve essere inerte, essa deve vigilare. Non si tratta di impedire nuove follie soltanto e di dare manforte ai così detti antimilitaristi della borghesia contro gli altri. [...] Si accapiglino bene tra di loro i borghesi, noi stiamo alla vedetta e prepariamo le nostre armi pronti a dare loro addosso nel momento propizio. Gli avvenimenti possono precipitare, sarebbe colpevole se non sapessimo trarne il nostro vantaggio." Niente indifferentismo dunque da parte del gruppo de Il Soviet, ma ferrea difesa dei confini di classe e, allo stesso tempo, necessità di prepararsi all'azione qualora si presenti l'occasione giusta. Nei primi mesi del 1920 nasce la Lega di Fiume, un tentativo di promuovere un'anti-Società delle Nazioni schierata contro il trattato di Versailles e a favore dei popoli colonizzati, con l'obiettivo di trasformare la città in "Patria delle patrie". Uno degli ideatori del progetto è il poeta belga Leon Kochnitzky, che vi è giunto affascinato dall'impresa dannunziana e che dalla città cercherà di tessere rapporti con i nazionalisti irlandesi ed egiziani, e i rivoluzionari russi. In aprile a Fiume si verifica un grande sciopero dei lavoratori, D'Annunzio svolge un ruolo di mediazione e si trova un accordo per mettere fine all'agitazione; ma a sciopero concluso gli imprenditori non rispettano i patti e si scatena una repressione a cui però sembra che il poeta non abbia partecipato. La costituzione della Lega inasprisce ulteriormente i rapporti con la componente militare più moderata di stanza nella città. Nel maggio del '20 la compagnia dei reali carabinieri, il cui comandante si era messo in luce per la repressione dello sciopero operaio di aprile, abbandona Fiume con alcune centinaia di uomini impegnando anche uno scontro a fuoco con gli arditi che vi si opponevano. Si tratta di un ammutinamento nell'ammutinamento. Per riuscire ad avere un quadro più chiaro della caotica situazione gli anarchici inviano a Fiume un redattore di Umanità Nova, Randolfo Velia, che riporta: https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 6/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm "Appena giunto a Fiume ho voluto sentire la voce delle caserme, e ho dovuto convincermi che qui la disciplina non è quella ferrea dominante nelle file di tutti gli eserciti, ho visto soldati scherzare con ufficiali, anzi costoro mi si affollavano d'intorno per convincermi che non erano loro a comandare, ma i soldati a ubbidire. Il giuramento delle reclute non è più quello usato in Italia, le bandiere non hanno più la corona del re e la "marcia reale" è stata abolita. Fra i soldati ed ufficiali riconobbi molti che furono con noi nei moti della Settimana Rossa, ma che poi furono trascinati da un malsano entusiasmo nella infame guerra. Tutti mi espressero un ardente desiderio di rinnovazione sociale; tutti si dichiararono rivoluzionari più di noi; tutti mi promisero di trovarsi con noi nell'imminente rivoluzione sociale. Un capitano, credendo ch'io ridessi incredulo mi disse: 'Non rida con ironia e dica a Malatesta che qui [sic] non c'è la feccia dell'esercito, com'egli ha scritto, ma c'è un piccolo esercito pronto a sacrificarsi per il trionfo delle più alte idealità sociali'." La Carta del Carnaro Da parte sua D'Annunzio dichiara all'inviato anarchico: "Io sono per il comunismo senza dittatura [...]. Nessuna meraviglia, poiché tutta la mia cultura è anarchica, e poiché in me è radicata la convinzione che, dopo quest'ultima guerra, la storia scioglierà un novello volo verso un audacissimo progresso. [...] È mia intenzione di fare di questa città un'isola spirituale dalla quale possa irradiare un'azione, eminentemente comunista, verso tutte le nazioni oppresse." (Randolfo Velia, "Lettera sulla situazione fiumana", Umanità nova del 9 giugno 1920). Il Poeta passa dunque dal nazionalismo al "comunismo" con una certa disinvoltura, in una sorta di schizofrenia politica tipica delle mezze classi in crisi. L'autonomizzazione del Comando dalla madrepatria è testimoniato dal contenuto della costituzione della Reggenza Italiana del Carnaro: "La vostra vittoria è in voi. Nessuno può salvarvi, nessuno vi salverà: non il Governo d'Italia che è insipiente ed è impotente come tutti gli antecessori; non la nazione italiana che, dopo la vendemmia della guerra, si lascia pigiare dai piedi sporchi dei disertori e dei traditori come un mucchio di vinacce da far l'acquerello... Domando alla Città di vita un atto di vita. Fondiamo in Fiume d'Italia, nella Marca Orientale d'Italia, lo Stato Libero del Carnaro." (Discorso di D'Annunzio del 12 agosto 1920 in cui proclamò la Reggenza Italiana del Carnaro). La "Reggenza" non fu riconosciuta giuridicamente che dalla Russia e fu trasformata nello Stato libero di Fiume nel dicembre dello stesso anno. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 7/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm Un articolo sul movimento dannunziano comparso su Prometeo del 1924 ne analizza in una prima parte la dottrina partendo dalla Carta del Carnaro, e in una seconda la politica. Al di là dei richiami aulici alla romanità imperiale, al Risorgimento, ai Comuni italiani, nella Carta sono presenti tutte quelle rivendicazioni "popolari" che possiamo ritrovare nel fascista Programma di San Sepolcro e nel programma del Partito politico futurista, il voto alle donne, il suffragio universale, la laicità della scuola, il referendum, la nazionalizzazione del porto. Non mancano quelle di carattere sociale, come il minimo salariale, unito alla garanzia statale contro la disoccupazione, l'assistenza agli infermi e agli invalidi, le pensioni di vecchiaia. Sono punti riguardanti la questione sociale che non sono in antitesi con uno statuto borghese classico. L'impianto della Carta è chiaramente corporativo: lo stato deve tutelare tutti i produttori; ma se nel Programma di San Sepolcro è contemplata la costituzione di uno stato corporativo dove vi sia una rappresentanza paritaria di ogni categoria, nella Carta del Carnaro è previsto che le corporazioni dei lavoratori nell'eleggere il Consiglio dei Provvisori, l'organo che governerà lo Stato, abbiano un maggior numero di voti rispetto alle corporazioni che rappresentano la borghesia e le mezze classi. È una differenza non da poco rispetto al programma dei fascisti: "[La Reggenza] amplia ed innalza e sostiene sopra ogni altro diritto i diritti dei produttori". L'espressione può giudicarsi piuttosto vaga ma certo essa ha un valore tendenziale: in quanto vi è, nel sottofondo, una "preferenza" per i cittadini produttori. Nella Carta compare un altro concetto particolare, ripreso direttamente dalla Costituzione francese del 1793 dettata da Robespierre, in cui si dice che la proprietà è il diritto di cui gode ogni cittadino di disporre della porzione di beni garantita dalla legge; il diritto di proprietà è limitato, come tutti gli altri diritti, dall'obbligo di rispettare quelli altrui; esso non può recare pregiudizio né alla sicurezza né alla libertà. Dunque si sancisce una limitazione al diritto di proprietà, che viene rispettato finché non danneggia altri cittadini. Ma vengono introdotte alcune aggiunte: lo Stato non riconosce la proprietà come il dominio assoluto della persona sopra la cosa ma la considera come la più utile delle funzioni sociali. L'unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro: lo Stato deve quindi intervenire espropriando industrie inutilizzate o terre incolte. Sono punti che spostano più a "sinistra" la Carta dannunziana rispetto al fascismo sansepolcrista. Nell'articolo di Prometeo citato, viene sfatata l'illusione di alcuni anarchici che avevano visto in uno stato come quello di Fiume, basato sulle corporazioni, una somiglianza con il sistema soviettista. Inutile dire che la differenza tra le due esperienze è abissale: mentre da una parte si esaltano le categorie professionali (interclassismo), dall'altra i soviet si basano https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 8/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm su una rete proletaria di tipo territoriale che esclude gli appartenenti alle altre classi. I comunisti basano la loro dottrina sulla lotta di classe, mettendo in primo piano, rispetto a quella sindacale, la forma partitica, che va oltre gli interessi immediati di questa o quella categoria e ha come fine l'abolizione di tutte le classi e della divisione sociale del lavoro. È giusto quindi cogliere un parallelo tra lo spiritualismo dannunziano e il sindacalismo: lo spirito di categoria è imparentato con l'individualismo e il sindacalismo è la morale soreliana del produttore: "Lo spiritualismo dannunziano sente come poco la società attuale sia moralizzabile ed 'eroicizzabile', se non nelle vergini forze che erompono dal proletariato: esso non sa andare più oltre del saluto che leva a questi fermenti del domani." ("Il movimento dannunziano"). Il futurismo a Fiume Almeno dal 1848, data di pubblicazione del Manifesto, abbiamo a disposizione tutti gli strumenti teorici per legarci saldamente al futuro e lottare efficacemente contro il vecchio ambiente. Nessun movimento interclassista può avere strumenti altrettanto efficaci. Per legarsi al futuro bisogna seppellire il passato, occorre non solo proclamare intenzioni per l'avvenire ma rifiutare il presente nei fatti. Non si può essere socialisti e nazionalisti mantenendo una coerenza. Questo ossimoro, questa impossibile unione fra contrari, obbliga i movimenti interclassisti a scegliere, ed essi scelgono sempre la controrivoluzione. Ciò vuol dire, banalmente, conservare il passato. Infatti, dannunziani e futuristi italiani, pur dichiarando di volere un radicale cambiamento della società, si limitano ad esprimere la loro simpatia, anche attraverso azioni eclatanti, per i "fermenti del domani", senza però essere in grado di dare l'assalto alle vecchie forme per distruggerle. Si può dire che la cartina di tornasole per valutare un movimento rivoluzionario non è il grado di costruzione che riesce a inserire nel proprio programma, bensì il grado di distruzione, di annientamento del passato. Marinetti e D'Annunzio si conoscono da prima della guerra nell'ambiente dell'interventismo e criticheranno entrambi la politica delle nazionalità di Wilson. Il 13 settembre 1919 Marinetti, venuto a conoscenza dell'impresa dannunziana si reca a Fiume, dove i futuristi organizzeranno delle performance artistiche. A ottobre egli torna in Italia e interviene al primo congresso fascista apertosi a Firenze al teatro Olimpia il 9 ottobre plaudendo all'avvento degli artisti al potere a Fiume. Al secondo congresso dei Fasci, che si tiene al teatro Lirico di Milano nel maggio del 1920, si verifica una spaccatura tra Marinetti, Carli (che abbiamo già ricordato) e Mussolini. I fondatori del partito futurista non sono d'accordo con la politica reazionaria del fascismo che si scaglia contro gli scioperi abbandonando le pregiudiziali antimonarchiche e anticlericali (Marinetti: "Noi veniamo verso il Carso. Ma non andremo verso la Reazione!"). https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 9/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm I risultati elettorali del 1919 sono pessimi per il fascismo e lo costringono a correre ai ripari. Con il secondo congresso esso abbandona tutto l'armamentario rivendicativo di "sinistra" e vira decisamente a destra. Nulla di nuovo, il trasformismo è una specialità inventata in Italia. Tra coloro che rompono con il fascismo Mario Carli, che a Fiume dirige il giornale La testa di ferro sul quale esprime una tendenza nazional-bolscevica, è uno di quelli che più incarnano l'ossimoro passato/futuro. Per Carli il bolscevismo ha quella carica mistica di cui l'Occidente è privo. La sua estetica di massa e le sue vittorie militari, al confronto, fanno apparire le manifestazioni operaie italiane non come eserciti in marcia ma come "processioni di innocenti agnellini". Il soviet, questo spauracchio della borghesia nostrana, è così funzionale al processo rivoluzionario che non si capisce come vi siano resistenze a introdurlo nella vita politica e militare. "Tra Fiume e Mosca c’è forse un oceano di tenebre. Ma indiscutibilmente Fiume e Mosca sono due rive luminose. Bisogna al più presto, gettare un ponte fra queste due rive." (Mario Carli, "Il nostro bolscevismo", in La Testa di Ferro, 15 febbraio 1920). Lenin è visto dal periodico diretto da Carli come un eroe carlyliano in grado di dare alla guerra di masse anonime, dedite alla furiosa distruzione dell'esistente, il carattere di costruzione gigantesca della volontà. Non è da Lenin che debbono difendersi le masse occidentali ma dalla coalizione dei plutocrati che le opprimono. Il "gigante di Mosca" ci avvicina alla lotta comune contro il comune nemico. Intanto Gabriele D'Annunzio è chiamato compagno dai proletari di Fiume. "Poi si vedrà". Fa un po' d'impressione sentir chiamare compagno un tipo come D'Annunzio, ma questa è la realtà percepita da troppi per essere accantonata come se non esistesse. "Prendendo la Russia come modello tipico di rivoluzione sociale, si vede anzitutto che il bolscevismo è stato un movimento, non tanto grettamente espropriatore, quanto rinnovatore, perché ha voluto ricostruire in base a ideali vasti e profondi l'edificio sociale, assurdamente sbilenco sotto il decrepito regime zarista" (Ibid.). A Fiume c'è quindi una componente che simpatizza per la Russia bolscevica e cerca collegamenti con essa. Una simpatia analoga la possiamo trovare anche in un testo di Marinetti intitolato "Al di là del comunismo", pubblicato il 15 agosto del 1920, sempre su La testa di ferro: "Sono lieto di apprendere che i futuristi russi sono tutti bolscevichi e che l'arte futurista fu per qualche tempo arte di Stato in Russia. Le città russe, per l'ultima festa di maggio, furono decorate da pittori futuristi. I treni di Lenin furono dipinti all'esterno con dinamiche forme colorate molto simili a quelle di Boccioni, di Balla e di Russolo. Questo onora Lenin e ci rallegra come una vittoria nostra. Tutti i Futurismi del mondo sono figli https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 10/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm del Futurismo italiano, creato da noi a Milano dodici anni fa. Tutti i movimenti futuristi sono però autonomi. Ogni popolo aveva o ha ancora un suo passatismo da rovesciare. Noi non siamo bolscevichi perché abbiamo la nostra rivoluzione da fare." L'adesione incondizionata a tesi semplificatrici, se va bene per Sorel e la sua teoria del mito stimolatore di azione, si presta a critiche razionali. L'avvicinamento del futurismo al fascismo può anche essere spiegato con pulsioni sociali e individuali. Ma nei fatti, se il futurismo ha un effettivo carattere di rottura inerente persino al suo nome, il fascismo non può vantare altrettanta coerenza. Il giornalista scrittore Giuseppe Prezzolini ad esempio scrive lucidamente: "Il Fascismo, vuole essere, se non erro, gerarchia, tradizione, ossequio all'autorità. Il Fascismo si compiace di rievocare Roma e la classicità… Vuol mantenersi nelle linee segnate dai grandi italiani e dalle grandi istituzioni italiane, compreso il Cattolicesimo. Ora il futurismo è tutto l'opposto di questo. Il Futurismo è protesta contro la tradizione; è lotta contro i Musei, contro il classicismo, contro le glorie scolastiche… Il Fascismo è uno sforzo politico essenzialmente italiano… Invece il Futurismo è un movimento di carattere internazionale. Lo stesso Marinetti ammette che vi sono ormai futuristi russi, americani, australiani, tedeschi, di tutte le parti del mondo… Quanto al Futurismo bisogna riconoscere che esso si è logicamente trovato al suo posto in un solo stato: in Russia. Colà Bolscevismo e Futurismo hanno fatto alleanza. L'arte ufficiale del Bolscevismo è stata il futurismo. I monumenti della rivoluzione, i cartelloni di propaganda, i libri hanno portato l'impronta dell'arte e delle idee futuriste. E ciò è perfettamente logico e coerente. Le due rivoluzioni, le due antistorie, si sono alleate. L'una come l'altra vogliono distrutto il passato e tutto rifare su basi nuove, di tipo industriale. La fabbrica è stata la sorgente delle idee politiche bolsceviche; ed è stata la inspiratrice dell'arte futurista. Ma come possa l'arte futurista andare d'accordo con il Fascismo italiano, non si vede." (Il secolo del 3 luglio del 1923). Per la nostra corrente il linguaggio è un mezzo di produzione, fa parte di ogni struttura sociale perché è il mezzo con cui l'uomo rovescia la prassi (progetta); ma non è da materialisti confondere il linguaggio con l'ideologia che esso può veicolare. Il futurismo, come rileva anche Prezzolini, è un movimento di rottura, un linguaggio internazionale, in Italia viene inglobato dal fascismo, mentre in Russia riesce ad esprimersi al meglio assumendo un profilo rivoluzionario e internazionalista (finché non sarà bandito e sostituito dal reazionario "realismo socialista"). Un ambiente "creativo" https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 11/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm Le rivoluzioni quando sono tali agiscono così profondamente sulla società da cambiarne, oltre che la struttura, ogni aspetto della vita. Prendono l'impronta dalla classe rivoluzionaria ma trascinano nella lotta tutte le classi e sottoclassi. Ciò non significa che sono interclassiste, ma che obbligano tutte le classi a ballare alla musica rivoluzionaria. In un tale contesto può succedere quindi che uomini di una certa classe siano portati a lottare per gli interessi di un'altra classe. In una rivoluzione l'appartenenza è data dal programma per cui si combatte, non dalla scheda anagrafica. Nel caso di Fiume e del fascismo la piccola-borghesia si mette al servizio della grande borghesia, ma poteva non essere un dato scontato. Durante la Rivoluzione francese si ebbe da questo punto di vista la massima confusione a proposito di appartenenza: i borghesi, coloro che avrebbero tratto reali vantaggi dai risultati della rivoluzione furono quelli che meno vi parteciparono. I sanculotti, che sarebbero diventati gli sfruttati del futuro, combatterono in prima linea. Molti dei borghesi, nobili e intellettuali piccolo-borghesi che avevano preparato la formidabile enciclopedia-programma erano ormai morti. Si mossero dunque i senza riserve con bottegai falliti, nobili decaduti, militari che saltarono il fosso dopo la battaglia di Valmy (cfr. "Fiorite primavere del Capitale"). Fu il tentativo estremo di difendere le conquiste e le garanzie ottenute nel passato a costringere gli uomini a mettere in discussione la vecchia società. Le posizioni ambigue dei D'Annunzio, De Ambris o Marinetti furono frutto di un periodo storico estremamente contraddittorio, soprattutto per la piccola borghesia, oscillante tra conservazione e cambiamento. E forse è per questo motivo che le opere letterarie possono contenere più informazione di quelle storiche. Racconti, diari o carteggi come quelli di Guido Keller, Giovanni Comisso, Mario Carli e persino D'Annunzio, ci offrono uno spaccato della società che ci mostra la struttura delle rivoluzioni non mediante ricostruzioni a tavolino ma attraverso dinamiche di vita, quelle che rivelano le ragioni per cui migliaia o milioni di uomini si muovono in massa verso l'obiettivo del cambiamento. E se i capi tradiscono o tralignano, la rivoluzione non si ferma, afferra gli strumenti che trova e se ne serve. Il fascismo è più "moderno" della democrazia: venute meno le possibilità di prendere il potere da parte del proletariato, la rivoluzione si focalizzò sulla forma sociale borghese più adatta a rappresentare il dominio del capitale. Il fascismo è la socializzazione del capitalismo, è quell'involucro che Lenin dichiara non corrispondere più al suo contenuto. Come ha ricordato la nostra corrente, le rivoluzioni (e le controrivoluzioni) hanno uno scenario storico, un motore sociale, attori e comparse, e anche un'estetica, un linguaggio, attraverso il quale si esprimono. Accanto alla documentazione originale e alla saggistica storica, è utile collocare il materiale che veicola questo linguaggio. Il romanzo Il porto dell'amore e la raccolta Le mie stagioni di Giovanni Comisso aiutano ad avere la percezione dell'ambiente scaturito dalla guerra e maturato nel terribile dopoguerra che vede sovrapporsi il Biennio Rosso con l'esperienza fiumana (dal settembre 1919 al dicembre 1920). A Fiume avveniva una sintesi, dove la componente "creativa" dei legionari portava https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 12/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm "il popolo a vivere fuori dalle città, da distruggere, verso la terra e il mare. Godere dello spirito, credere nella vastità della propria individualità, ridurre al minimo le esigenze materiali, disprezzare il denaro, il lusso, generatori di stupidità." (Le mie stagioni). In quelle pagine è ricordato Henry Furst, giornalista e regista teatrale, addetto della stampa straniera nella segreteria di D'Annunzio. Furst, e il poeta Leon Kochnitzky, "pensavano che il mondo dovesse andare verso il comunismo e si illudevano di influenzare le decisioni del Comandante, definito da Lenin ai comunisti italiani, andati a Mosca, il solo capace di fare una rivoluzione in Italia". Altre opere ci consentono di cogliere l'atmosfera legionaria: Con D'Annunzio a Fiume, Trillirì e Arabeschi fiumani di Carli e La quinta stagione di Kochnitsky. Interessante per lo stesso motivo il recente (2002) saggio di Claudia Salaris Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D'Annunzio a Fiume, che ricorda tra le figure che circondavano il Comandante quella di Guido Keller, descritto come un hippy ante litteram e vero contemporaneo del dadaismo. Salaris vede nelle più originali espressioni del fiumanesimo l'anticipazione di idee, stili e iniziative che caratterizzeranno l'esperienza dei movimenti giovanili di contestazione degli anni Sessanta: l'uso delle droghe, la libertà sessuale e la messa in discussione dell'autorità. Sembra che la "ribellione" che si respirava a Fiume avesse contagiato anche alcuni religiosi: un gruppo di frati cappuccini residenti in città tentarono una riforma radicale che avrebbe dovuto comprendere il controllo sui fondi dell'ordine e l'elezione dal basso dei loro superiori; e in segno di sfida verso Roma fecero sventolare sul monastero una bandiera con il motto latino ripreso da D'Annunzio: "Hic manebimus optime" (qui staremo benissimo). Hakim Bey, scrittore cyber-punk e libertario, parla di Fiume dannunziana come di una TAZ (Zona Temporaneamente Autonoma), un luogo liberato provvisoriamente dal potere: "La festa non finiva mai. Ogni mattina D'Annunzio leggeva poesia e proclami dal suo balcone; ogni sera un concerto, poi fuochi d'artificio. In questo consisteva l'intera attività del governo." Nel libro di Marco Rossi, Arditi, non gendarmi! si fa menzione della varia umanità che arrivò a Fiume durante i mesi dell'occupazione: i giornalisti giapponesi Harukichi Shimoi e Takeo Terasaki; il medico ungherese allievo di Freud e già ministro nel governo di Béla Kun, Miklos Sisa; il poeta ungherese Szandor Garvay e Luigi Bakunin, nipote napoletano di Michail; irredentisti irlandesi, comunisti ungheresi fuggiti al terrore bianco di Horthy, croati di Radic e persino nazionalisti indiani seguaci di Gandhi. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm 13/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm A Fiume viene fondata la rivista Yoga, diretta da Comisso e Mino Somenzi, da cui nascerà il gruppo "Unione Yoga", detta "l'Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione" con l'obiettivo – ricorda Comisso – di "organizzare un gruppo tra i legionari più intelligenti e di preparare con adunate e discussioni un movimento per scalzare dal Comandante tutta la gente pesante e arruffona." I temi che vi si affrontano spaziano dall'abolizione del denaro al libero amore, dall'abolizione delle carceri all'abbellimento delle città, prefigurando una sorta di rivoluzione culturale. Il manifesto del gruppo ricorda quello degli anarco-futuristi russi e dei dadaisti tedeschi. Guido Keller, aviatore, che del gruppo faceva parte, compie un gesto eclatante diventando famoso perché dopo la firma del Trattato di Rapallo (12 novembre 1920), quando il governo italiano minaccia di sgomberare Fiume con la forza, vola in Italia e lascia cadere un vaso da notte sopra il parlamento. La beffa di Keller è suggerita dal poema L'aeroplano del Papa di Marinetti, in cui il futurista immaginava di compiere un viaggio di propaganda in aereo sorvolando Roma e di rovesciare escrementi sopra i passatisti. Il suo gesto comunque non è solo una pensata individuale, ma va inserito in un movimento internazionale di rottura: si pensi al Manifesto L'antitradizione futurista di Guillaume Apollinaire, oppure alle azioni spettacolari dei futuristi e alle opere "irrazionali" del Club Dada di Berlino. Gli artisti del tempo vogliono tagliare i ponti con il passato, puntano a rompere tutti i canoni, hanno come obiettivo la critica della vita quotidiana. Nell'estate del 1920, caduto il governo Nitti, cui succede Giovanni Giolitti, De Ambris da Fiume cerca contatti con il nuovo presidente del Consiglio al fine di trovare un compromesso per la soluzione della questione fiumana. Ma questi tentativi non hanno successo in quanto Giolitti ha una posizione più rigida rispetto a Nitti ed è determinato a mettere fine all'anomala situazione. Mentre viene pubblicata la Carta del Carnaro, nel settembre del 1920 in Italia è in corso il vasto movimento di occupazione delle fabbriche e, in un contesto sociale rovente, l'arenarsi delle trattative con il governo porta D'Annunzio a proiettare la sua azione verso i Balcani tentando l'organizzazione di improbabili insurrezioni. I risultati dell'attivismo del Poeta non portano a niente, il tempo della Reggenza del Carnaro sta per scadere.  (socializzazione_fascista_comunismo2.htm) https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo3.htm  (socializzazione_fascista_comunismo4.htm) 14/14 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm La socializzazione fascista e il comunismo (4)  (socializzazione_fascista_comunismo3.htm)  (socializzazione_fascista_comunismo5.htm) 4. Gabriele Benito Proudhon Il tempo sta per scadere Nel novembre 1920, il ministero Giolitti firma con la Jugoslavia il Trattato di Rapallo. Con esso, l'Italia ottiene alcune isole dalmate, la sovranità su Zara e una frontiera strategica che corre lungo la linea di displuvio alpina, attraverso il Monte Nevoso; rinuncia, in cambio, alla Dalmazia ed accetta che Fiume sia eretta a stato libero. Secondo Mussolini si tratta di una soluzione accettabile della "questione adriatica". A un ultimatum del governo italiano D'Annunzio risponde con l'occupazione di alcune isole assegnate alla Jugoslavia, come Veglia e Arbe. Giolitti invia le navi della Regia Marina a cannoneggiare la residenza del poeta. Il 24 dicembre in città tra i volontari dannunziani e i soldati dell'esercito regolare italiano scoppiano scontri a fuoco che si protraggono per cinque giorni provocando decine di morti. Nell'articolo "Natale di Sangue "del dicembre 1920, con il suo caratteristico stile, D'Annunzio scrive: "Il delitto è consumato. Le truppe regie hanno dato a Fiume il Natale funebre. Nella notte trasportiamo sulle barelle i nostri feriti e i nostri morti. Resistiamo disperatamente, uno contro dieci, uno contro venti. Nessuno passerà, se non sopra i nostri corpi. Abbiamo fatto saltare tutti i ponti dell'Eneo. Combatteremo tutta la notte. E domani alla prima luce del giorno speriamo di guardare in faccia gli assassini della città martire" (Gabriele D'Annunzio, Natale di Sangue, Fiume, dicembre 1920). Nonostante i propositi battaglieri del Poeta, i legionari sono costretti ad arrendersi e D'Annunzio consegna infine la città al Consiglio nazionale fiumano perché tratti la resa. Si conclude così l'esperienza di Fiume legionaria. Prima del tentativo disperato di provocare una reazione all'ultimatum di Giolitti, De Ambris aveva stabilito contatti con Mussolini in vista dell'organizzazione di non meglio precisati tentativi insurrezionali in Italia, aventi come obiettivo la realizzazione dei princìpi contenuti nella Carta del Carnaro. Ma benché per tutto il 1920 Il Popolo d'Italia avesse appoggiato l'impresa di Fiume sostenendo una politica annessionistica, Mussolini non mette in atto nulla di pratico per sostenere i legionari dannunziani, se non una innocua colletta (evidentemente i tempi per una "marcia su Roma" non erano ancora maturi). https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm 1/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm I fascisti lasciano dunque che la repressione militare si compia senza intervenire in nessun modo, e questo comporta una rottura tra D'Annunzio e Mussolini. Comunque, se l'avventura fiumana è finita, con essa non muore la sua Costituzione, la Carta del Carnaro. D'Annunzio invita infatti i legionari a riunirsi in una loro specifica associazione, a pubblicare un giornale e a rompere ogni rapporto con "i traditori della causa". Il movimento dannunziano dopo Fiume Nasce dunque la Federazione Nazionale Legionari Fiumani, fondata a Milano nel gennaio del 1921. I legionari decidono di portare avanti il loro programma in Italia, coinvolgendo anche l'Associazione Arditi d'Italia che adotta la Carta del Carnaro come proprio manifesto politico e designa come presidente onorario D'Annunzio. Ciò nonostante, agli inizi del 1921, l'Associazione Arditi è quasi completamente in mano ai fascisti che potevano vantare una parentela fra la Carta del Carnaro e il programma di San Sepolcro. D'Annunzio si pronuncia però per l'autonomia dell'Associazione e riesce a ottenere una presa di posizione "a sinistra". La componente fascista dissidente si riunisce allora a Bologna il 22 e 23 ottobre del 1922 e fonda la Federazione Nazionale Arditi d'Italia di chiaro orientamento fascista. Dal 1921 al 1924 continuano le aggregazioni e le scissioni all'interno del movimento che vede legionari fiumani e arditi contendersi la scena. Nel 1921 l'aggregazione fra l'Associazione Arditi d'Italia e la Federazione Legionaria dà luogo a un movimento che conta su 11 federazioni regionali e una novantina di sezioni locali agli ordini di D'Annunzio. La struttura dispone di una decina di periodici, i più importanti dei quali sono La Vigilia di Milano e La Riscossa dei legionari fiumani di Bologna. Rinsalda inoltre i legami con la FILM, il sindacato dei portuali. La differenza sostanziale tra legionari e fascisti è lucidamente analizzata da Amadeo Bordiga nella seconda parte dell'articolo di Prometeo sul movimento dannunziano: "I dannunziani rappresentano quegli elementi delle classi medie, nutriti di una ideologia di guerra, che fecero proprio il primo programma del fascismo, che ostentava attitudini a tendenze di sinistra. Il fascismo è una mobilitazione delle classi medie "operata da parte ed a beneficio dell'alta borghesia industriale, bancaria ed agraria, mobilitazione che le classi medie medesime scambiano dapprincipio col problematico avvento di una loro funzione storica autonoma e decisiva, quasi di arbitre nel conflitto fra borghesia tradizionale e proletariato rivoluzionario. Così il fascismo, che appare il concentramento di tutte le forze antiproletarie a difesa del fortilizio antico del capitalismo trova i suoi effettivi e i suoi quadri in tutta una gamma di elementi sociali, messi in moto dal grande sconvolgimento bellico, che si illudono di compiere uno sforzo originale, e in certo senso rivoluzionario." Consolidatosi il fascismo e dimostratosi macchinario in mano alle cosiddette classi parassitarie https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm 2/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm "difficile riesce agli elementi piccolo-borghesi il distaccarsene per seguire una propria via, mancando ad essi i mezzi adeguati ad un compito indipendente, e restando la più parte dei loro capeggiatori soddisfatti o imprigionati nei posti di direzione del complesso movimento fascistico. Ma qualche nucleo di idealisti sinceri o di concorrenti delusi nella spartizione della torta, rimane e tende a differenziarsi: con questo si può dire di aver tratteggiato una certa spiegazione del formarsi del movimento dannunziano." L'idea che la guida dal paese debba andare a chi la guerra l'ha combattuta accomuna all'inizio fascisti e dannunziani, "ma mentre per i primi la formula non è che il passaporto della difensiva borghese contro il proletariato rosso, che la guerra non voleva, e che dalle conseguenze di essa è spinto alla lotta per la sua dittatura rivoluzionaria, per i secondi la formula è accettata come autentica, come affermazione volta anche contro le vecchie caste dirigenti borghesi e imbevuta di un certo spirito eroico di rinnovamento, come condanna non tanto del disfattismo estremista quanto di quello degli speculatori e dei parassiti del fronte interno, veri profanatori del sacrificio e della vittoria. Questa seconda ala, sia pure in modo molte volte equivoco, vorrebbe orientarsi verso le forze libere del proletariato: la prima organizza i pretoriani del capitale e gli schiavisti dell'Agraria." Il magma da cui esce il movimento dannunziano è lo stesso dal quale provengono i sansepolcristi, ma quando il fascismo mostra di essere diventato uno strumento in mano alle classi considerate "parassitarie", una parte di idealisti sinceri – come vengono definiti – si stacca e si volge con simpatia verso il proletariato. L'articolo di Bordiga si chiude così: si esprima D'Annunzio, si esprimano i legionari… dicano con chi vogliono schierarsi. Se per i fascisti lo sbocco obbligato è il nazionalismo e il corporativismo, per i dannunziani (gli ex combattenti, i trinceristi, i futuristi) bisogna estromettere dal potere coloro che dalla guerra hanno tratto profitti e dare il paese in mano alle forze vive del lavoro perché costruiscano uno stato federale dei produttori. Dirigenti della Federazione come De Ambris, Mecheri, Foscanelli, che provengono dalle file del sindacalismo rivoluzionario, vogliono, secondo quanto teorizzato nel Manifesto dei sindacalisti di Angelo Oliviero Olivetti, una repubblica sociale federativa. La rottura tra dannunziani e fascisti (apostrofati ora con l'epiteto di "schiavisti") diventa inevitabile e viene formalizzata ufficialmente dal giornale legionario La Vigilia con l'articolo "Ai Legionari!", del 29 gennaio 1921: "In guardia dunque! Sappiano i Legionari che chiunque li incita ad occupare il posto di uno scioperante, può forse essere amico dei pescecani, ma non è sicuramente amico della Causa nostra, che non si propone certo di Combattere chi lavora per tutelare quella borghesia che plaudiva ai reali carabinieri ed alle guardie regie quando compivano l'assassinio di Fiume." https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm 3/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm Si determina quindi una situazione di scontro tra legionari e fascisti che si protrae per tutto il 1921. I fascisti accusano i legionari di essere degli apolitici in quanto forza trasversale che non si schiera chiaramente fra quelle in campo. I legionari ricambiano accusando i fascisti di essersi schierati apertamente con il padronato. In questo contesto si inserisce l'analisi di Gramsci secondo cui la differenza tra fascisti e legionari non è solo politica, ma è una differenza di classe: "Vi è che mentre i fascisti, specialmente in Torino, sono giovani benestanti, studenti fannulloni, professionisti, ex ufficiali viventi di ripieghi, ecc. ecc., gente insomma che non sente gran che i bisogni materiali della vita perché vive alle spalle di qualcheduno (famiglia, clienti, erario pubblico), nei Legionari sono numerosi coloro che sentono invece le strettezze della crisi economica generale [...] È gente che [...] non vede altra via di uscita collettiva che in un movimento che abbia il carattere militare insieme e insurrezionale di quello di Fiume" (Antonio Gramsci, "Fascisti e Legionari", L'Ordine Nuovo, 19 febbraio 1921). Nel libro Nino Daniele: un legionario comunista con D'Annunzio a Fiume, di Vito Salierno, l'autore riferisce di un tentativo di incontro tra Gramsci e D'Annunzio a Gardone, nella primavera del '21, che però non si sarebbe verificato. A Gramsci interessava stabilire contatti con i legionari che in quel momento avevano assunto un profilo antifascista. A Torino nel corso del 1921 sono frequenti gli scontri tra dannunziani e fascisti: riunioni impedite con la forza, aggressioni squadriste, che vengono sminuite da Mussolini il quale non ha nessun interesse a contrapporsi all'ingombrante figura di D'Annunzio. E infatti Mussolini ne propone addirittura la candidatura a Zara nelle liste dei Blocchi Nazionali. Ma D'Annunzio rifiuta e risponde al futuro Duce con la candidatura di Alceste De Ambris a Parma in una lista autonoma, in funzione antifascista. Una situazione oscillante insomma, che fa pensare a una svolta a sinistra dei legionari. A Roma nell'estate del '21 la componente maggioritaria si distacca dall'Associazione Arditi d'Italia e dà vita agli Arditi del Popolo, un'associazione istituita per la difesa dei lavoratori contro le violenze fasciste, capeggiata da Argo Secondari, ex combattente, ardito e anarchico (coinvolto nel complotto del Forte di Pietralata a Roma, un tentativo insurrezionale organizzato da arditi e anarchici nell'estate del '19 e stroncato sul nascere dalla polizia). Al momento essa sembra svilupparsi rapidamente raccogliendo anarchici, mazziniani, radicali, dannunziani e anche qualche comunista, ma avrà vita breve. Gli Arditi del Popolo Nell'autunno del 1921 gli Arditi del Popolo si sciolgono, lasciando uno strascico politico nelle file del Partito Comunista d'Italia. La sezione romana del PCd'I vorrebbe infatti partecipare attivamente alle azioni antifasciste degli Arditi del Popolo, ma il C.E. del partito diffida i propri iscritti dall'aderire ad organizzazioni militari fuori dal suo controllo: https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm 4/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm "Ciò vuol dire che il lavoro per la costituzione e l'esercitazione delle squadre comuniste deve dunque continuare ad iniziarsi dove ancora non lo si è affrontato, ma attenendosi al rigoroso criterio che l'inquadramento militare rivoluzionario del proletariato deve essere a base di partito, strettamente collegato alla rete degli organi politici del Partito; e quindi i comunisti non possono né devono partecipare ad iniziative di tal natura provenienti da altri partiti e comunque sorte al di fuori del loro partito". ("Per l'inquadramento del Partito", Il Comunista del 14 luglio 1921). In agosto il C.E ritorna sull'argomento con un lungo comunicato che ribadisce l'ordine di non partecipare all'attività degli Arditi del Popolo, illustrandone chiaramente i motivi. "L'inquadramento proletario militare, essendo l'estrema e più delicata forma d'organizzazione della lotta di classe, deve realizzare il massimo della disciplina e deve essere a base di partito […] Il Partito Comunista è quello che per definizione si propone di inquadrare e dirigere l'azione rivoluzionaria delle masse; di qui un'evidente e stridente incompatibilità [con l'organizzazione degli Arditi del Popolo]." ("Inquadramento militare delle forze comuniste", Il Comunista del 7 agosto 1921). In effetti queste forze da una parte dichiarano di voler combattere il fascismo, dall'altra non hanno nessuna intenzione di abbattere gli istituti politici della borghesia, anche perché – come abbiamo visto – raccolgono i rappresentanti di varie fedi politiche. Sono insomma gli antesignani delle formazioni partigiane: non vogliono rivoluzionare la società, ma "ristabilire la dialettica democratica". D'Annunzio nipote di Proudhon? Al 1922 la situazione politica è ancora molto fluida. Tanto perché si abbia un’idea della confusione che regnava in quel periodo nel paese, basti ricordare che a Parma le forze che nell’agosto del 1922 si battono armi alla mano contro gli squadristi sono gruppi riconducibili agli Arditi del Popolo e la Legione Proletaria Filippo Corridoni (che con questo nome rendeva omaggio al sindacalista interventista morto in guerra, rivendicato poi, nel 1933, dai fascisti con un monumento sul Carso goriziano e un'epigrafe celebrativa che recita: "Qui eroico combattente cadde Filippo Corridoni fecondando col sacrificio della vita la gloria della patria e l’avvenire del lavoro" ). Altro episodio significativo: in occasione di una vertenza tra marittimi e armatori nel 1922, Giulietti, il presidente della FILM, sotto la pressione di fascisti e capitalisti che volevano stroncare il sindacato, chiede la protezione dei legionari, e settantamila marittimi passano sotto il controllo di D'Annunzio. Il quale in questa fase da una parte volge l'attenzione verso il proletariato e le sue organizzazioni, dall'altro mantiene un ruolo di pacificatore tra le classi. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm 5/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm Tutto questo marasma politico fa scrivere a Errico Malatesta su Umanità Nova (17 giugno 1922): "Oggi l'Italia è in crisi, crisi di regime politico ed economico. D'Annunzio è, o potrebbe essere, un fattore determinante nello svolgersi dei prossimi avvenimenti." Ma le scelte di D'Annunzio avrebbero potuto davvero spostare il baricentro politico a favore della rivoluzione proletaria, capovolgendo la storia politica italiana? Con il senno di poi, è facile dire che già allora questo si potesse escludere; ma al tempo poteva sembrare possibile, la situazione si presentava non così consolidata ma aperta a sviluppi, e quindi andava seguita con fermezza teorica in quanto passibile di effetti materiali differenti. Per meglio inquadrare il comportamento di D'Annunzio citiamo la lettera di Marx ad Annenkov del 28 dicembre 1846, nel passo in cui descrive il socialismo piccolo-borghese di Proudhon: "In una società progredita e costrettovi dalla propria situazione, il piccolo borghese diventa da un lato socialista, dall'altro economista, cioè egli è accecato dallo splendore della grande borghesia ed ha compassione per le sofferenze del popolo. Egli è borghese e popolo al tempo stesso. Nell'intimo della sua coscienza si lusinga di essere imparziale, di aver trovato l'equilibrio giusto, che avanza la pretesa di essere qualcosa di diverso dal giusto mezzo. Un piccolo borghese del genere divinizza la contraddizione, perché la contraddizione è il nucleo del suo essere. Egli non è altro che la contraddizione sociale messa in azione. Egli deve necessariamente giustificare mediante la teoria ciò che egli è nella pratica, e Proudhon ha il merito di essere l'interprete scientifico della piccola borghesia francese; e questo è un merito reale, perché la piccola borghesia sarà una parte integrante di tutte le rivoluzioni sociali che si stanno preparando." Il contesto di schizofrenia in cui vivono D'Annunzio e il suo movimento, la pretesa di essere qualcosa di diverso dal giusto mezzo, è confermato dal loro continuo oscillare tra le due classi in lotta, borghesia e proletariato… finché quest'ultimo non è sopraffatto dalla reazione capitalistica. Nel corso del 1922, ad esempio, nella sua residenza a Gardone (che poi diventerà il Vittoriale degli Italiani), D'Annunzio riceve la visita di alcuni esponenti del sindacalismo italiano, come Gino Baldesi e Ludovico D'Aragona della CGL. E si incontrerà, come già ricordato, con il commissario agli esteri sovietico venuto in Italia per la Conferenza di Genova. Nel frattempo nasce l'Alleanza del Lavoro, e al fronte unico operaio partecipano anche i legionari, tanto che La Riscossa dei legionari fiumani saluta la nascita dell'Alleanza come "primo sintomo dell'autonomia e dell'unificazione delle forze operaie" (cit. da D'Annunzio https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm 6/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm politico, Quaderni dannunziani). Ma il comportamento di D'Annunzio continua ad essere ambiguo e contraddittorio. Come dimostrerà ulteriormente a Milano, quando i fascisti, dopo aver stroncato con la violenza lo "sciopero legalitario" promosso dall'Alleanza del lavoro, invadono la sede del Comune. D'Annunzio, che si trovava in città, viene convinto a intervenire con un discorso a Palazzo Marino, discorso che sarà di pacificazione e di celebrazione di una conquista anti-proletaria: "Oggi non senza ebbrezza mi sembra di rinnovare i grandi colloqui notturni che io ebbi sulle sponde del Carnaro sotto le vigili stelle con un popolo che non anelava se non alla patria futura e non ebbe sul viso se non un pugno di fango. Stasera la città sembra ed è una festa che dà l'esempio all'Italia tutta, una festa di sicura disciplina, di serena allegrezza e di leali promesse. Oggi da qui noi segniamo un patto di fraternità e mai come oggi, mentre sembra che più infurii la passione di parte, mentre ancora sanguinano le ferite, mai come oggi una parola di bontà ebbe tanta potenza." (La riscossa dei legionarii fiumani del 5 agosto 1922). Non potrà comunque spingersi oltre in questo gioco oscillante ma in ultima analisi capitolardo di fronte al fascismo. Di lì a poco sarà organizzata la "marcia su Roma" e in alcuni ambienti corre voce che D'Annunzio terrà un discorso pubblico per richiamare le Forze Armate e gli arditi sotto la propria ala in modo da vanificare la marcia. Se c'era un'occasione per far valere la famosa autonomia era quella, ma il "compagno" poeta, di solito ciarliero oltre misura, questa volta tace. Tra i motivi per cui la nostra corrente seguì con attenzione l'evoluzione del movimento legionario vi è quello offerto dall'esperienza del Comitato Nazionale di Azione Sindacale Dannunziana. Dopo la marcia su Roma la reazione incalza e una serie di forze sindacali si avvicinano ai legionari, che cominciano ad avere un considerevole seguito. Il Comitato nasce su iniziativa di De Ambris, nel settembre del 1922 e si dichiara autonomo da qualsiasi partito e fedele ai principi espressi nella Carta del Carnaro. Vi aderiscono il Sindacato Ferrovieri Italiani, la Federazione Italiana fra i Lavoratori del Libro, i Postelegrafonici, la Camera Toscana dei Sindacati Economici, l'Unione Italiana del Lavoro. L'esperienza sindacale dannunziana tramonta nel corso del 1923 a causa di una serie di misure di polizia contro i legionari più attivi e anche per l'atteggiamento rinunciatario di D'Annunzio e il suo progressivo distacco dall'attività politica. Il Comitato si trasforma, in breve, in una specie di circolo ricreativo fino ad essere rinominato nel marzo del 1923 Unione Spirituale Dannunziana. In essa convergono ciò che resta del Comitato Nazionale di Azione Sindacale Dannunziana e l'Associazione Arditi d'Italia. Il regime scioglierà l'Unione nel 1926, e la parte del movimento legionario che non passerà armi e bagagli al fascismo, rimasta orfana del padre spirituale (ritiratosi a vita privata), confluirà nelle forze antifasciste, Italia Libera e opposizioni aventiniane. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm 7/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm Massimo di sincretismo Negli anni '20 in tutta Europa masse di uomini premevano per il cambiamento finendo per appoggiare chi, almeno apparentemente, questo cambiamento rappresentava. Essendosi rivelata impossibile una radicalizzazione e generalizzazione di un moto autenticamente anti-forma passò una ri-forma radicale del sistema capitalistico. Di fatto i fascismi non sono altro che coordinamenti statali al servizio del capitale, indipendentemente dal colore politico che assumono di volta in volta. Nella Fiume dannunziana fu raggiunto il massimo del sincretismo di classe: il legionariotipo rappresentava tutte le sfumature politiche prodotte dallo scontro fra il futuro modo di produzione e quello vecchio e decrepito del passato. Era socialista, anarchico, futurista, sindacalista, interventista e naturalmente fascista. Purché l'appartenenza a uno di questi insiemi significasse in qualsiasi modo, illusoriamente, cambiamento. Il nemico era il conservatore, anche se il legionario lo era egli stesso. Di fronte alla tragedia tedesca, in cui centinaia di migliaia di proletari armati furono sconfitti, si parlerà più tardi di "rivoluzione conservatrice". L'ossimoro non è banale. Come ha scritto Marx ad Annenkov "Gli uomini non rinunciano mai a ciò che essi hanno conquistato, ma ciò non significa che essi non rinuncino mai alla forma sociale in cui hanno acquisito determinate forze produttive." La rivoluzione come tentativo di conservare ciò che si è raggiunto. In Russia la rivoluzione fu spuria (democratico-proletaria) perché gli uomini non avevano ancora raggiunto il livello di chi ha qualcosa da perdere oltre alle proprie catene. In Occidente la rivoluzione fu spuria perché c'era troppo da perdere. In Russia come in Italia sull'onda dei disastri causati dalla Grande Guerra milioni di uomini erano stati "forzati a modificare tutte le loro forme sociali tradizionali", chi dalla parte della rivoluzione chi dalla parte della reazione. In Occidente aveva vinto la reazione, in Oriente era diventato problematico salvare la rivoluzione. È improbabile che rinasca un movimento sincretista alla maniera dannunziana. Nasceranno sicuramente dei movimenti piccolo-borghesi contro lo status quo e, come al solito, tenderanno a schierarsi dalla parte della classe vittoriosa. Il fascismo è stato in grado di operare una sintesi tra le classi e di blindare la società, di darle in qualche modo stabilità. Ma ciò non è più possibile: il ricordato leniniano "involucro che non corrisponde più al suo contenuto" si è generalizzato al mondo. Le mezze classi rovinate sono spinte verso il basso, verso la classe dei senza riserve e questo processo non potrà non avere conseguenze politiche. Si poteva auspicare che movimenti o partiti piccolo-borghesi si schierassero dalla parte del proletariato in lotta, ma ciò non voleva dire che il proletariato dovesse stabilire un'alleanza con essi, confondersi o, peggio ancora, rinunciare alla disciplina di partito in campo militare, come nel caso degli Arditi del Popolo. I rivoluzionari non sono mai indifferenti di https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm 8/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm fronte a ciò che succede nel campo dei grandi schieramenti di classe. La Sinistra Comunista "italiana" di fronte a movimenti come quello dannunziano ha valutato attentamente le forze in campo, la natura degli schieramenti, i programmi, per trarne delle previsioni. In determinati frangenti storici influenzare o quantomeno neutralizzare l'azione politica di certi strati sociali può fare la differenza. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il problema si era posto con le lotte anticoloniali di liberazione nazionale. In quel caso, benché borghesi, le forze anticoloniali erano direttamente rivoluzionarie e quindi la situazione si presentava semplificata: una sinergia di tutte le classi in quel caso era positiva, compresa la partecipazione contingente del proletariato, a patto di non sottomettere quest'ultimo a programmi di altre classi. La forza dei comunisti è innanzitutto nel contenuto originale del loro programma, nella dimostrazione che il problema del nostro tempo non consiste, ad esempio, nelle speculazioni finanziare o nell'ingordigia di imprenditori e/o banchieri, ma nella strutturale dissipazione insita nel modo di produzione capitalistico, superabile solo passando a un'altra organizzazione della società. Nessuna altra classe al di fuori del proletariato ha nel proprio programma l'abolizione di tutte le classi, abolizione possibile solo con il superamento del capitalismo. "Questa nuova organizzazione si differenzia per la abolizione della azienda privata e della economia individuale concorrentistica, e la istituzione di una amministrazione centrale e collettiva delle forze di produzione. La superiorità del rendimento di questa nuova organizzazione sta nella sua corrispondenza alla utilizzazione scientifica delle risorse di cui oggi la umanità dispone, vantaggio anche più alto di quello che conseguirebbe numericamente dalla abolizione dello sciupio di ricchezza causato dal parassitismo dei capitalisti viventi a spese del lavoro espropriato al proletariato." ("Il movimento dannunziano" cit.).  (socializzazione_fascista_comunismo3.htm) https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo4.htm  (socializzazione_fascista_comunismo5.htm) 9/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm La socializzazione fascista e il comunismo (5)  (socializzazione_fascista_comunismo4.htm)  (socializzazione_fascista_comunismo6.htm) 5. La cinghia di trasmissione Repressione, tolleranza, cooptazione Riprendiamo una conosciutissima osservazione di Marx sulla dinamica della produzione di tipo capitalistico: la classe borghese non può esistere senza rivoluzionare in continuazione il suo modo di produrre e quindi tutti i rapporti sociali (Manifesto). Se ne deduce che non è necessario attendere la caduta del capitalismo per vedere rivoluzionati, almeno in parte, i suddetti rapporti sociali. Ciò significa che un importante cambiamento nel modo di produrre (siamo necessariamente sul piano tecnico, altrimenti dovremmo parlare di processo rivoluzionario politico) deve comportare un cambiamento nei rapporti sociali. Se prendiamo in esame il rapporto di tipo sindacale (in senso lato) fra borghesia e proletariato, vediamo che in effetti, a ogni svolta nella crescita continua della forza produttiva sociale si è accompagnato un cambiamento di carattere discontinuo nei rapporti fra sindacato e "controparte" borghese. La nostra corrente ha individuato tre passaggi chiave nella storia di questi rapporti: una fase di repressione, una di tolleranza e una di cooptazione. Dovremmo riuscire a vedere una relazione fra atteggiamento giuridico e realtà di fatto man mano che il modo di produzione matura. Si ha la prima fase all'inizio della manifattura, quando gli opifici erano poco più che assembramenti di artigiani sotto il tetto di uno stesso proprietario, ed era ancora vivo il ricordo delle corporazioni. Forse anche per questo l'associazionismo operaio era proibito, come se fosse un ritorno al feudalesimo nonostante la Rivoluzione. Comunque gli operai non erano organizzati a sufficienza per negare, rendere nullo il divieto. Si ha la seconda fase quando, con l'introduzione delle vere e proprie lavorazioni industriali, l'operaio parziale sostituisce l'operaio completo e compaiono le prime macchine seriali. Lo stato incomincia a disciplinare la materia inerente al lavoro e il movimento sindacale non è più proibito ma tollerato in quanto contribuisce all'ordine industriale generale. Ciò non significa affatto che viene meno lo scontro di classe, anzi, è proprio in questo periodo che vengono fissate alcune "conquiste" attraverso grandi lotte. Si ha infine la fase nella quale la produzione si fa così complessa da richiedere necessariamente progettazione e controllo, per cui, se non si stabilisce un canale diretto fra capitalisti e lavoratori, il sistema rischia di andare in blocco. È anche la fase in cui non è più lo stato a controllare il capitale ma, al contrario, è il capitale che controlla lo stato. È la fase più delicata, perché nel frattempo le macchine sono diventate sistemi di macchine, si sono automatizzate fino a diventare robot in grado di sostituire molte delle capacità umane. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm 1/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm Ora lo stato ha bisogno di un interlocutore che sia in grado di far dialogare operai e capitalisti, così come le macchine dialogano con gli uomini (tramite appositi linguaggi e strumenti). La cooptazione è un modo per far parlare tra loro mondi diversi fornendoli di uno stesso linguaggio. Possiamo dire che in questa terza fase si impone l'adozione di un lessico comune che impedisca l'incomprensione fra le parti. Il linguaggio della produzione è semplice, non soffre di ideologismi, è uguale per il padrone e per l'operaio (la vite è una vite, il verbo tornire vuol dire una cosa sola, un processo produttivo è descrivibile con un vocabolario condiviso, ecc.), accomuna invece di dividere, è democratico perché tutti sono uguali davanti a una linea di montaggio che sforna merci tutte uguali, davanti al prezzo che non stabilisce Tizio, o Caio o Sempronio ma il mercato, anonimo e potente, globale e omologante. Il fascismo è moderno: il suo carattere saliente è l'adattamento darwiniano delle ideologie, non importa quali, alla difesa degli interessi materiali della classe dominante. ("Che cosa è il fascismo", Il Comunista del 3 febbraio 1921 ). Come diceva lo stesso Mussolini, il fascismo non è questo o quello, è tutto insieme, basta che sia utile agli scopi per cui è nato. È una macchina per risolvere problemi. E siccome i problemi del capitalismo sono gravi, il fascismo non scherza in quanto a provvedimenti per salvarlo. Al vertice della cooptazione sindacale, quando compare la corporazione sotto veste nuova, il fascismo-sindacato è il rappresentante perfetto degli interessi materiali della borghesia: è garante di fronte allo stato del welfare togliendo al salariato l'onere del risparmio per il medico, per la pensione, per crescere il figlio. Con l'IRI garantisce la distribuzione privata dei profitti e la socializzazione delle perdite; sposando la religione del lavoro garantisce uno stakanovismo medio permanente, utile a sostenere la patria. Il sindacato operaio, "che era nemico e il sabotatore dell'investimento bor ghese" diventa ora il garante di questo investimento, si fa carico dell'economia nazionale in quanto bene comune di tutte le classi ("Far investire gli ignudi", Filo del tempo del 1950). Abbiamo visto che il retroterra del fascismo è costituito in gran parte dal movimento sindacalista rivoluzionario che vede nel "mondo del lavoro" l'ossatura produttiva della società e quindi la struttura attorno alla quale si deve formare la "politica". Il capolavoro politico fascista non è la dittatura in orbace ma l'inedito dialogo instaurato fra le forze produttive, individuate non nelle classi ma nella nazione. Nel 1914-15 la corrente interventista dell'Unione Sindacale Italiana (USI), che raccoglieva gli esponenti del sindacalismo rivoluzionario patriottico, fu espulsa. La guerra aveva impedito la riorganizzazione dei dissidenti, ma nel 1918 questi si riunirono e fondarono la Unione Italiana del Lavoro (UIL), il cui congresso costitutivo fu convocato da Edmondo Rossoni, futuro esponente del corporativismo fascista. Dal 1919 la UIL fu diretta da Alceste De Ambris, l'autore della Carta del Carnaro, e più tardi antifascista. Come abbiamo sottolineato, non si trattava solo di ambiguità politica, ma di un movimento che riteneva conciliabili gli estremi di classe del rapporto di lavoro. Era una tendenza storica, che i casi https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm 2/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm individuali di defezione alla De Ambris non modificarono. Del resto furono pochi coloro che voltarono le spalle alla tendenza che contribuirono a determinare. La UIL, nonostante sostenesse la necessità di un potere legislativo basato sulle corporazioni, rimase un sindacato con un proprio programma rivendicativo, cosa che produsse l'uscita della componente fascista (Rossoni, Bianchi, Panunzio), la quale fece proprio il programma politico esposto nella carta del Lavoro (1927) e posto poi alla base del corporativismo come essenza del fascismo. Questo ritenere conciliabili gli estremi del rapporto di lavoro passò indenne attraverso la guerra e il ritorno del parlamentarismo democratico. In effetti dall'esperienza fascista non si tornò mai più indietro. Ciò non significa che quei dirigenti sindacali propensi a mantenere i Consigli di Gestione e a sottoscrivere il patto del lavoro per la ricostruzione fossero fascisti. Ma con il loro atteggiamento collaborativo a sostegno della crescita economica, preteso patrimonio di tutti, contribuivano a perpetuare i caratteri del sindacalismo ereditato dall'epoca precedente. Il fatto è che dato un sistema invariante ogni attività all'interno di esso senza lo scopo di demolirne le radici è svolta a favore del sistema stesso. Il sindacalismo rivoluzionario La costituzione della UIL nel 1918 è solo una tessera del mosaico sindacalista di tendenza fascista. Anzi, come già accennato, sarebbe meglio dire "scenario fascista di tendenza sindacalista", data la preminenza tra i quadri fascisti di uomini provenienti dal sindacalismo rivoluzionario. Quindi, per affrontare la storia del sindacalismo plasmato dall'epoca imperialista bisogna partire quantomeno da quella del "sindacalismo rivoluzionario", una corrente che nasce in ambiente internazionale, ha successo all'inizio in Francia, patria di Proudhon, Bergson e Sorel, mette radici in Italia e trova spazio all'interno del Partito Socialista. In Italia attecchisce non solo per una sorta di predisposizione storica dovuta a un ambiente anarchico particolare distante dal bakuninismo (Malatesta, Cafiero, Costa), ma anche dall'atteggiamento del Partito Socialista, partito che sostiene per principio l'indipendenza e l'autonomia del sindacato e si pone come obiettivo lo sciopero generale espropriatore. Sono diverse le riviste che accolgono le posizioni del sindacalismo rivoluzionario: Pagine libere, rivista teorica apparsa nel 1906 e diretta da Angelo Oliviero Olivetti, uno dei fondatori del PSI; Avanguardia socialista di Arturo Labriola e Il Divenire sociale di Enrico Leone. Ricordiamo che nella voce "Dottrina del fascismo" redatta per l' Enciclopedia Italiana, Mussolini nel 1932 rivendica non soltanto la corrente che si pone in continuità storica fra Sorel e il fascismo, ma anche quella che rimane ancorata al socialismo e che fa capo a Enrico Leone. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm 3/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm Quando la pubblicazione di Pagine Libere inizia, i sindacalisti rivoluzionari sono già in rotta di collisione con il Partito Socialista. Nel luglio del 1907 essi si riuniscono infine a congresso a Ferrara e decidono di uscire dal partito. La situazione rimane comunque contraddittoria, dato che alcuni gruppi erano contrari alla scissione nonostante ne avessero votato le motivazioni teoriche. Il caso più significativo fu quello della federazione di Roma, il cui animatore era il futuro segretario del partito Costantino Lazzari (1912-1919). Troviamo fra gli scissionisti Michele Bianchi (Bologna), poi diventato fascista, e Alceste De Ambris (Parma). Usciti dal PSI, i sindacalisti rivoluzionari continuano il loro lavoro all'interno della CGL per conquistarne la direzione, cosa che non riuscirà vista la prevalenza di elementi moderati alla sua guida. Molto combattivi, specie fra i braccianti, in seguito al rifiuto della CGL di organizzare uno sciopero generale, ne escono e si costituiscono in Comitato di resistenza, dando vita, nel 1912, all'Unione Sindacale Italiana, tra i cui fondatori ci sono Alceste De Ambris e Filippo Corridoni. I militanti dell'USI saranno molto attivi durante la Settimana Rossa (1914) e in molte delle lotte dei metallurgici e dei braccianti che si sviluppano nella Penisola. L'uccisione dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo produce uno scossone all'interno dell'organizzazione portando alcuni dirigenti sindacali a spostarsi su posizioni interventiste; verranno tutti espulsi, e con lo scoppio della guerra alcuni di loro abbandoneranno l'attività sindacale per mettersi "al servizio della Patria", armi alla mano. Il nuovo segretario dell'USI è Armando Borghi. Nel dicembre del 1914, i sindacalisti espulsi dall'USI (tra cui lo stesso De Ambris), e alcuni personaggi come Benito Mussolini, danno vita ai "Fasci d'azione rivoluzionaria internazionalista". Nello stesso periodo in cui si verifica la rottura tra neutralisti e interventisti nelle file dell'USI, incomincia le pubblicazioni Il Popolo d'Italia diretto da Mussolini, giornale socialista interventista che nella testata riporta due citazioni: "La rivoluzione è un'idea che ha trovato delle baionette" (Napoleone); "Chi ha del ferro, ha del pane" (Blanqui). Alla fine del conflitto alcuni sindacalisti interventisti che hanno partecipato attivamente alla guerra si riorganizzano e fondano L'Italia nostra (Sottotitolo: "La patria non si nega, si conquista"), settimanale diretto da Edmondo Rossoni, ex militante del PSI passato al nazionalismo. La definizione di patria come oggetto non di negazione ma di conquista è particolarmente adatta a rendere evidente il passaggio storico dall'internazionalismo socialista al nazionalismo prima interventista, poi sindacalista, infine fascista: secondo il sindacalismo rivoluzionario anche il proletario avrà il compito di superare il negazionismo nel suo rapporto con il capitalista conquistando l'accesso alle strutture produttive delle quali sarà corresponsabile curatore e difensore. L'allarme lanciato per tempo dalla Sinistra Comunista "italiana" non aveva sortito effetti: il sindacalismo rivoluzionario era un falso amico del proletariato in quanto non solo non contemplava la funzione rivoluzionaria del partito, ma affidava la rivoluzione alla mistica dell'unione fra "produttori". Fin da prima della guerra la https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm 4/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm nostra corrente dovette criticare e combattere sia il riformismo-revisionismo tipo Seconda Internazionale sia l'inevitabile reazione immediatista del proletariato. Dovette quindi dar battaglia per demolire la concezione evoluzionista gradualista che tendeva al "ragionevole" superamento della dottrina catastrofista (compresa la parte integrante sulla funzione del partito), ma anche per demolire l'altrettanto "ragionevole" concezione dell'azione diretta, dell'organizzazione autonoma che, sola, avrebbe permesso di evitare gli effetti del tradimento dei partiti. La nostra corrente ha sempre rifiutato le mistificazioni ideologiche sul "santo proletariato". Se quest'ultimo non si "erge a partito", la classe dei senza riserve non è in grado di muoversi come classe e resta un elemento interno alla società capitalista. È il partito che dirige la classe, che in esso si riconosce. Per il sindacalismo rivoluzionario, invece, la classe operaia ha tutto l'interesse a conquistare autonomamente, auto-organizzandosi, posizioni di forza entro questa società. Scrive ad esempio Angelo Oliviero Olivetti, ex socialista passato all'interventismo: "Di mano in mano che l'operaio, il contadino conquisteranno migliori condizioni di esistenza, diventeranno più italiani, più cittadini, più uomini. E viceversa, o meglio reciprocamente, l'aumento di capacità politica culturale e morale delle classi lavoratrici, le renderanno più degne e più atte ad assumere il posto che loro compete di classe dirigente della nazione". ("Ripresa", L'Italia Nostra, 1 maggio 1918). Questo diffuso senso di "socializzazione", bandiera della socialdemocrazia tedesca a cavallo tra il XIX e il XX secolo (cfr. E. Ströbel), era presente nel mondo socialistasindacalista rivoluzionario vent'anni prima che Gramsci compilasse la sua versione. La classe operaia deve vivere per la nazione e farsi essa stessa nazione. Dalla rivendicazione socialista si passa a quella nazional-socialista, in una sorta di patriottismo operaio, che assume e generalizza un lessico ibrido sfacciato. Enrico Corradini, uno degli esponenti del nazionalismo italiano, propugna ad esempio la liberazione delle nazioni proletarie dal controllo di quelle plutocratiche: "Il socialismo è nostro maestro ma nostro avversario", diceva. Maestro perché insegna a utilizzare la lotta di classe in una dimensione internazionale, avversario perché pacifista. Mussolini parla di Italia proletaria e fascista, e Pascoli declama "La Grande Proletaria si è mossa" in un incredibile discorso dannunziano pronunciato in occasione dell'attacco alla Libia; mentre più vicino a noi nel tempo, dedica un fremito alla nazione proletaria anche Pasolini. Produttivismo Si è già detto che, nel giugno 1918, un nucleo di militanti sindacali nazionalisti dà vita all'Unione Italiana del Lavoro. Durante il congresso di fondazione del nuovo sindacato si delineano due posizioni, quella di Edmondo Rossoni che propugna l'apoliticità dell'organizzazione, l'autonomia e l'unità proletaria per giungere alla costituzione di uno https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm 5/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm stato di tipo sindacale; e quella di Alceste De Ambris, repubblicana e federalista, che vede il sindacato convivere con gli altri istituti statali senza sostituirsi ad essi. La posizione di Rossoni, che possiamo definire operaista, è quella che prevale: il primo articolo dello Statuto della UIL prevede infatti la possibilità di "Avocare direttamente alla classe lavoratrice organizzata la gestione della produzione, della distribuzione e dello scambio della ricchezza" , e sostiene che il sindacato deve elevare il proletariato "alla dignità ed alla capacità di risolvere tutti i problemi della produzione, della cultura e della giustizia sociale." I punti cardine dello Statuto della UIL sono molto simili a quelli enunciati nel Manifesto dei fasci italiani di combattimento (1919) e discussi nella riunione fascista di San Sepolcro a Milano, anche se Mussolini è più vicino alla posizione di De Ambris che a quella del "sindacalista puro" Rossoni. È il periodo in cui Mussolini sviluppa le sue teorie produttiviste (il sottotitolo del Popolo d'Italia da "quotidiano socialista" diventa "quotidiano dei produttori") prese a prestito dalla CGT francese e dall'americana AFL, le quali da tempo lavorano per la realizzazione di una democrazia produttiva, un moderno corporativismo. Per queste forze sindacali, datori di lavoro e lavoratori devono collaborare per accrescere la ricchezza nazionale incrementando la produttività del lavoro. Il fatto che il produttivismo abbia attecchito in più paesi contemporaneamente dimostra che il processo di fascistizzazione della società era un'esigenza che emergeva dal profondo della struttura capitalistica, sempre più in crisi e sempre più bisognosa di interventi dall'alto. L'argomento della nazionalizzazione, cioè dell'intervento dello stato sulla proprietà in funzione di una utilità collettiva è sempre stato assai controverso. Nella maggior parte dei casi, la nazionalizzazione non intacca minimamente la struttura della proprietà, ma la trasferisce. Dal punto di vista del funzionamento capitalistico, che le fabbriche siano in mano ai privati o siano in mano allo stato non cambia assolutamente nulla. Non c'è alcun rapporto diretto fra la nazionalizzazione e il socialismo. Immaginiamo pure nazionalizzata tutta la struttura produttiva di un paese; ma se non è messa in discussione la struttura di un sistema basato sul mercato, sulle aziende e sulla produzione di merci il rapporto capitalistico non viene meno. Immettere denaro nel ciclo produttivo per ricavare più denaro è capitalismo a pieno titolo, anche se non ci sono capitalisti individuali. Il sindacalismo rivoluzionario afferma che l'espropriazione degli espropriatori è un atto politico più che una riforma economica. Diciamo che è una condizione necessaria ma non sufficiente. Chi si pone in posizione mediatrice fra il lavoro e il capitale può concepire la nazionalizzazione come un fattore decisivo, ma chi si pone in decisa antitesi vede invece benissimo che la chiave del problema economico non è la nazionalizzazione ma l'eliminazione del sistema di azienda. Vale a dire che i nuovi parametri per valutare la produzione sociale devono essere ricavati https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm 6/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm dal beneficio che ne deriva alla società nel suo insieme e non dal bilancio aziendale. Il controllo dello stato sull'economia può essere indipendente dalla proprietà fisica diretta. Detto controllo, che è "il portato naturale di tutto il suo sviluppo storico", "può spingersi fino all'eliminazione della forma giuridica della proprietà privata individuale dei mezzi di produzione non solo senza eliminare, ma al contrario potenziando, quello che è il dato fondamentale del sistema di produzione capitalistico: lo sfruttamento del lavoro umano attraverso l'appropriazione del plusvalore." ("Le nazionalizzazioni arma del capitalismo", Prometeo, 1946). Questo assunto è di importanza straordinaria: in tutto il mondo, fra le due guerre, si è imposta l'esigenza per gli stati di controllare il fatto economico: dal Portogallo all'Argentina, dall'Italia al Giappone, dalla Germania agli Stati Uniti, dalla Russia alla Spagna. Un effetto collaterale di queste politiche di controllo economico è il controllo sociale, che di solito, invece, è inteso come fattore determinante, come "attacco della borghesia alla classe operaia", come "offensiva padronale" ecc. La statizzazione dell'economia e delle strutture sindacali è una conseguenza della crisi storica del capitale giunto alla sua fase suprema, della combattiva risposta proletaria e della necessità di contrastare la caduta del saggio di profitto. Non c'è una relazione meccanica fra le tappe di questa sequenza, ma è chiaro che la caduta del saggio è dovuta al maturare della struttura capitalistica, e per contrastarla non c'è altra via che quella di controllare le cause materiali del fenomeno e favorire l'accumulazione. Il Popolo d'Italia dedica molte pagine alle questioni dibattute nei primi due congressi della UIL. Mussolini ha tutto l'interesse ad avere una sponda sindacale che faccia da cassa di risonanza alle sue posizioni politiche, in quel periodo orientate a "sinistra". Egli ritiene fondamentale l'unità sindacale, da ottenersi con la fusione dei vari sindacati: l'intenzione del fascismo, che per adesso è un fenomeno perlopiù milanese, è quella di contendere al PSI l'egemonia del movimento sindacale. Ed è in questa prospettiva che il giornale citato dà un enorme spazio ai temi sindacali, specie se significativi per il fascismo, come lo sciopero dei fonditori milanesi (gennaio 1919) durante il quale i sindacalisti di "destra" con le loro rivendicazioni superano a "sinistra" CGL e FIOM sul tema dei minimi di salario e delle paghe orarie. Gli scioperanti che occupano la fabbrica di Dalmine issando il tricolore sul pennone dello stabilimento non fanno che mettere in pratica alcuni punti delle teorie produttivistiche: essi vogliono dimostrare che anche riducendo l'orario di lavoro si può produrre di più e meglio. E infatti per tutta la durata dello "sciopero" la produzione continua sotto controllo operaio. Quando di lì a poco l'Ordine Nuovo di Gramsci darà forma teorica alla deleteria illusione di poter risolvere il problema sociale con una formula organizzativa dei produttori, si generalizzerà l'occupazione delle fabbriche (1920) in continuità con l'esperienza di Dalmine, al confine fra la socializzazione fascista e quella socialista. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm 7/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm I Sindacati Economici Per le giornate del 20 e 21 luglio del 1919 viene organizzato uno sciopero internazionale in solidarietà con la Russia bolscevica e contro la presenza di truppe dell'Intesa in Russia e in Ungheria. La mobilitazione non produce gli effetti voluti: i sindacati francesi all'ultimo momento si ritirano e in Inghilterra le adesioni allo sciopero sono modeste; lo stesso vale per l'Italia. Si tratta di una sconfitta che spinge la borghesia italiana a riprendere coraggio per lanciare una controffensiva contro il movimento operaio. "Sotto questo profilo — scrive De Felice — si può anzi dire che con lo 'scioperissimo' del luglio 1919 incominciò in Italia il declino dell'ondata rossa, quel declino che, attraverso il fallimento dello sciopero torinese dell'aprile del '20, sarà irrimediabilmente consacrato di lì a poco più di un anno dal fallimento dell'occupazione delle fabbriche". (Mussolini il rivoluzionario 1883-1920). Durante lo "scioperissimo" (come verrà chiamato) alcuni gruppi di lavoratori (in prima fila i postelegrafonici) boicottano la chiamata alla lotta e non interrompono il lavoro. Si tratta di un primo smottamento del "fronte del lavoro": questi gruppi daranno vita di lì a poco al fascio postelegrafonico e si organizzeranno nei Sindacati cosiddetti economici, che si dichiarano apolitici, autonomi anche dalla UIL, considerata troppo politicizzata. Durante lo sciopero di luglio la UIL assume una posizione ambigua: all'inizio si oppone all'agitazione in quanto contraria a manifestare solidarietà ai bolscevichi, ma, facendo parte del comitato internazionale dei sindacati interventisti che aderisce alla mobilitazione, decide infine la propria partecipazione pur mantenendo una posizione autonoma. Dopo il II Congresso dei Fasci svoltosi a Milano nel maggio 1920, il movimento fascista abbandona il programma del fronte di unità proletaria, non sostiene più la UIL, considerata troppo a sinistra, e simpatizza per i nuovi organismi. Nel novembre viene fondata la Confederazione italiana dei Sindacati Economici, che, nonostante la sua pretesa apoliticità, sarà presto improntata a un sindacalismo dichiaratamente anti-socialista. In parallelo allo "spostamento a destra" del fascismo, si fanno più frequenti gli scioperi in solidarietà alla Terza Internazionale, e i lavoratori aderenti al Sindacato Ferrovieri (SFI) appoggiano tutte le azioni organizzate contro l'invio di armi in Russia destinate alle forze controrivoluzionarie. Ma gli scioperi vengono puntualmente ostacolati dal Sindacato Economico Ferrovieri sostenuto dai fascisti che, dimentichi delle simpatie filo-bolsceviche della prima ora, non hanno più alcuna finalità "socializzante" e perciò alcuna motivazione politica per assecondare l'ondata storica che era passata da Mosca.  (socializzazione_fascista_comunismo4.htm) https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo5.htm  (socializzazione_fascista_comunismo6.htm) 8/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm La socializzazione fascista e il comunismo (6)  (socializzazione_fascista_comunismo5.htm)  (socializzazione_fascista_comunismo7.htm) 6. Patto firmato, lavoro ingabbiato I sindacati fascisti Nel novembre del 1921, al suo III congresso il movimento fascista si costituisce in Partito Nazionale Fascista (PNF) dandosi una struttura organizzativa più rigida. I Sindacati economici vengono via via inglobati in quelli fascisti in formazione: il PNF è per il ripudio della lotta di classe, la condanna degli scioperi degli impiegati pubblici e il riconoscimento giuridico dei sindacati da parte dello Stato. Afferma inoltre che l'apoliticità dell'organizzazione sindacale è pura finzione, in quanto la neutralità, in politica, non esiste; si tratta anzi di politicizzare sempre di più i sindacati portandoli sotto il controllo del partito. L'ambiguità manifesta è spiegabile: il fascismo non è il movimento dell'Italia arretrata, degli "agrari" reazionari ma il cambiamento di cui ha bisogno l'industria. La piccola borghesia e la proprietà agraria forniscono l'ideologia sincretista, che plaude al nazionalismo, alla patria, e anche alla Rivoluzione bolscevica e a Lenin, ma quando si arriva allo scontro i termini della "questione sindacale" si chiariscono velocemente. Le mezze classi, che hanno fornito teoremi politici ondivaghi e soprattutto molta manodopera squadrista, adesso devono mettersi in riga in difesa del capitalismo concentrandosi sul tema principale per cui hanno tanto lavorato: la collaborazione di classe. Per arrivare a questo risultato, esse sono state indispensabili portatrici dell'opportunismo. Hanno infiltrato nella classe operaia concezioni ideologiche loro proprie fino a quando, esaurito lo slancio per il raggiunto obiettivo, hanno rivelato la loro vera natura. Hanno fatto da supporto alle posizioni confuse su una indistinta "socializzazione", ma infine si sono fatte portatrici di idee "ispirate più o meno coscientemente alle idee-madri, ossia agli interessi sociali, della classe dominante." (Tesi di Milano, 1966)". Il primo convegno sindacale fascista si tiene a Bologna nel gennaio del 1922, e in quella sede Edmondo Rossoni, pur avendo aderito pienamente al fascismo, ripropone la sua teoria sull'autonomia sindacale in contrapposizione alla visione "politica" di un sindacato legato al partito nella sua attività operativa. La linea di Rossoni risulta sconfitta ma egli viene comunque designato segretario della Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali, e nel marzo del '22 assume la direzione de Il Lavoro d'Italia, giornale della Confederazione. Mano a mano che si procede nella formazione di una centrale unica delle organizzazioni sindacali fasciste si verificano importanti scioperi, uno dei quali si svolge a Ferrara nel maggio del 1922 e comporta una contraddizione di non poco conto all'interno del fascismo. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm 1/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm È Mussolini a ricordare che i sindacati fascisti non devono in alcun modo riprodurre l'azione del sindacalismo rosso e devono tendere alla collaborazione di classe. Ma tra i proclami e la realtà ci sono di mezzo interessi economici contrapposti: la Confederazione sindacale fascista per poter controllare i lavoratori deve assecondare almeno in parte le loro rivendicazioni organizzando alcuni scioperi e mettendosi di fatto contro gli imprenditori, gli stessi che appoggiano e sostengono il fascismo. Nascono così discussioni e fratture negli organismi dirigenti fascisti sulle azioni da intraprendere per non scontentare la borghesia industriale e agraria senza però inimicarsi operai e braccianti. Nel corso del 1922, da un accordo fra sindacati di sinistra, nasce l'Alleanza del Lavoro che proclama, come abbiamo visto, uno "sciopero legalitario" contro la cosiddetta offensiva fascista. Si tratta di un genuino movimento di classe, appoggiato dai comunisti, che dura pochi giorni e poi si spegne, anche a causa di una durissima repressione: "Il 31 luglio 1922 l'Alleanza del Lavoro riesce a provocare, in risposta ai terribili attacchi contro le organizzazioni proletarie della Romagna, lo sciopero generale nazionale. Ma i fascisti sentono che lo sciopero non si regge e organizzano una serie di violentissime rappresaglie che si scatenano sul finire dello sciopero durato tre giorni: famose quelle di Genova, Milano e Parma: in quest'ultima città il proletariato, organizzato militarmente, resiste però vittorioso a tutti gli attacchi. Ma ormai per il fascismo è indispensabile la presa del potere: la distruzione dei sindacati, la assunzione o la conquista di numerosi organismi e istituzioni gli ha fatto ereditare anche problemi e contrasti che non possono essere sanati che diventando esso stesso forza dominante di governo." ("Appunti per un'analisi del fascismo. Dalle origini alla marcia su Roma", 1946) La marcia su Roma del 28 ottobre 1922 decreta l'ascesa al potere del PNF e questo, consolidata la sua posizione, passa immediatamente a collegare più strettamente i sindacati fascisti attraverso la costituzione dei Gruppi di competenza, organismi che hanno l'obiettivo di unire i sindacati operai, i sindacati dei professionisti e quelli dei capitalisti. Essi sono poco attivi ma molto utili dal punto di vista del principio, tanto da sopravvivere fino ai nostri giorni come "Enti bilaterali": enti che raggruppano con criterio paritetico sia gli organismi sindacali dei lavoratori sia le associazioni dei capitalisti di una stessa categoria professionale e aventi la funzione di discutere i contenuti dei contratti collettivi e le modalità della loro applicazione, oltre ad altri compiti di regolamentazione. Come scrive efficacemente l'organo della Confindustria Il Sole-24 Ore: "Esprimono una concreta ed efficace forma di collaborazione tra capitale e lavoro, indicativa della tendenza al superamento del modello esasperatamente conflittuale. Hanno diversi scopi: mutualizzazione di obblighi retributivi (per esempio, mensilità aggiuntive, ferie) per lavoratori che cambiano spesso datore di lavoro (per esempio, nell'edilizia); formazione professionale; sicurezza del lavoro; prestazioni assistenziali. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm 2/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm Da qualche anno la legge ha iniziato a promuovere il ruolo degli enti bilaterali, riconoscendogli compiti relativamente al mercato del lavoro, alla formazione professionale, all'assistenza della volontà delle parti nella stipulazione dei contratti e nella disposizione dei diritti. Sarebbe opportuno, per fare certezza e ridurre il contenzioso, che il legislatore affidasse agli enti bilaterali: la certificazione della sicurezza del lavoro, con esclusione di qualsiasi responsabilità per il datore di lavoro onesto che si sottoponga al controllo e si conformi alle prescrizioni dell'ente; la gestione degli ammortizzatori sociali, per un effettivo reinserimento dei beneficiari; l'istruttoria e l'eventuale conciliazione in azienda delle doglianze dei lavoratori su demansionamenti, maltrattamenti, mobbing". Abbiamo citato per esteso queste interessanti osservazioni ufficiali della Confindustria perché nella loro sostanza propositiva sono praticamente identiche al programma di conquista della responsabilità sindacale in Georges Sorel, citata nella prima parte di questo articolo (L'avvenire socialista dei sindacati). La Costituente sindacale Mussolini, giunto al potere, non rinuncia comunque ai tentativi di coinvolgimento della CGL, tanto che propone a Gino Baldesi, dirigente riformista del "sindacato rosso", la guida del ministero del Lavoro. Il 3 ottobre del 1922 si verifica l'ennesima scissione in campo socialista: dopo quella del 1921 che ha portato alla costituzione del PCd'I, si produce una spaccatura tra massimalisti e riformisti, da cui nasce il Partito Socialista Unitario sotto la guida di Giacomo Matteotti. La divisione del fronte socialista in tre tronconi determina la rottura del legame storico che la CGL aveva stabilito con il PSI. All'interno della CGL convivono ormai diversi orientamenti politici e, per evitare scissioni, il sindacato lascia liberi gli iscritti da ogni vincolo politico e si pone "nella esplicazione della sua attività non contro né fuori della nazione", aprendo le porte a una possibile collaborazione con il fascismo. Nell'ottobre del 1922 Angelo Oliviero Olivetti fonda il giornale La Patria del Popolo, "settimanale sindacalista-dannunziano". La sua linea politica è sintetizzata nel Manifesto dei sindacalisti – adottato dalla UIL nel suo quarto congresso – in cui sostiene che "il vero organo della rivoluzione proletaria ed insieme della ricostruzione sociale è il sindacato, il quale non nega beotamente ed aprioristicamente il capitalismo ma lo supera, socializzandolo e distaccando il capitale e la sua funzione utile dalla persona del capitalista. Il sindacalismo non è anticapitalistico nel senso tecnico, ma è contrario alla detenzione illecita ed arbitraria dei mezzi di produzione in una casta privilegiata per ordinamenti giuridici e politici." https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm 3/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm In quest'ottica il sindacato non è più un organismo di lotta dei proletari ma diventa uno strumento utile all'accumulazione capitalistica e alla difesa degli interessi nazionali: "Il sindacalismo riconosce il fatto e l'esistenza della nazione come realtà storica immanente che non intende negare, ma integrare. La nazione stessa anzi è concepita come il più grande sindacato, come l'associazione libera di tutte le forze produttive di un paese in quei limiti e con quella unità che furono imposti dalla natura della storia, dalla lingua e dal genio profondo e invincibile della stirpe. Il fatto nazionale è immanente, fondamentale e supremo, è il massimo interesse per tutti i produttori. Estranei alla nazione sono solo i parassiti, gli elementi improduttivi." Puntualizzata la funzione del "sindacalismo" e ribadito il proprio concetto di nazione, Olivetti affronta il problema della separazione tra proprietà e capitale: il fine del sindacalismo, per Olivetti, non è negare il capitalismo ma socializzarlo sempre più, spostando la proprietà e la produzione dall'esclusivo controllo dei capitalisti a quello dello Stato. Essendo la tendenza del Capitale quella alla massima socializzazione del lavoro, serve una sovrastruttura politico-sindacal-governativa, adatta a gestire questo processo impedendo che abbia uno sbocco rivoluzionario. D'altronde, come dice Engels, "il carattere sociale delle forze produttive costringe gli stessi capitalisti ad abbandonare i grandi organismi di produzione e comunicazione a società per azioni prima, a trust poi, infine allo Stato. La borghesia diventa una classe superflua: tutte le sue funzioni sono ora espletate da funzionari stipendiati". (Antidühring) Una volta conclusasi l'esperienza fiumana alla fine del 1920, furono fatti dei tentativi di unificazione tra il sindacalismo nazionale di Olivetti e quello dannunziano. La Costituente sindacale dannunziana mirava a costruire un fronte unico indipendente dai partiti che coinvolgesse tutte le forze del lavoro, dai sindacalisti rivoluzionari, alla CGL, dai legionari agli anarchici, col fine dichiarato di arrivare a una pacificazione generale in Italia. Ma il tentativo frontista non va in porto perché i rapporti di forza sono ormai a vantaggio del fascismo e perché D'Annunzio si ritira dall'operazione. Rossoni chiude le porte a qualsiasi idea di collaborazione con i sindacalisti socialisti, e ormai il fascismo può muoversi autonomamente in ambito sindacale, anche se il sindacalismo "rosso" resiste. La CGL aveva visto nella proposta della Costituente sindacale la possibilità di uscire dall'isolamento cui era stata costretta dal fascismo e, tramite alcuni suoi dirigenti (fra questi Rinaldo Rigola), propone addirittura la costituzione di un Partito del lavoro. Da notare che anche in altri frangenti storici il "sindacato rosso", venuto meno il collegamento con il partito storico di riferimento, accarezzerà l'idea di costituirsi esso stesso in partito. Un esempio recente è la proposta avanzata il 5 dicembre 2002 da alcuni dirigenti della sinistra CGIL https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm 4/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm "Per una nuova rappresentanza politica del mondo del lavoro". È particolarmente significativo il fatto che l'appello sia finalizzato alla costituzione di un nuovo "partito del lavoro" e non "dei lavoratori". Anche Roberto Farinacci, che sarà segretario del partito Nazionale Fascista, si scaglia contro qualsiasi ipotesi di Costituente sindacale che dovrebbe legare insieme forze del tutto eterogenee; il fascismo preferisce spendere le proprie energie nel più realistico progetto di unificazione e consolidamento dei sindacati fascisti, rivendicando per le sue associazioni il monopolio dell'organizzazione sindacale. Lo statuto della Confederazione delle Corporazioni sindacali fa propri naturalmente i temi del produttivismo: il sindacalismo non deve riguardare solo le categorie, ma il popolo intero che, pertanto, si deve immedesimare nella nazione. L'elemento dinamico della storia non è più la lotta di classe ma una evoluzione competitiva tra le categorie, al cui interno emergono quelle élite abilitate a guidare non solo la propria corporazione ma, al limite, la patria. Corporativismo bipolare Per il fascismo l'azione sindacale deve dunque essere subordinata alle esigenze della produzione, al benessere della nazione, e qualsiasi contrasto tra lavoratori e imprenditori dev'essere mediato dai Gruppi di competenza, formati da tecnici ed esperti nei vari settori. La corporativizzazione della società blocca sul nascere qualsiasi iniziativa autonoma degli operai e rappresenta un freno agli scioperi. Il corporativismo capitalista non può più raccogliere entro i singoli raggruppamenti di mestiere gli elementi di un'unica categoria come nell'epoca feudale. Esso è moderno, nel senso che è l'espressione di una società divisa non tanto per mestieri quanto per proprietà dei mezzi di produzione. Invece della corporazione unipolare feudale, dice la nostra corrente, il fascismo realizza un modello di corporazione bipolare, entro cui, volenti o nolenti, vi sono i due poli opposti della società: chi non ha nulla oltre la propria forza lavoro e chi ha tutto ciò che serve a produrre, dai mezzi di produzione ai capitali. Nell'economia capitalistica, non ci sono più persone fisiche individuali a rappresentare la loro classe ma i due blocchi contrapposti sono il risultato di una socializzazione massima del lavoro; per cui la responsabilità verso la patria economica si traduce in un inevitabile impedimento dello sciopero, sostituito da una collaborazione il cui esito è la salvaguardia degli interessi di una sola parte. Questi temi sono sviluppati in un articolo pubblicato nel 1949 dal Partito Comunista Internazionalista (Corporativismo e socialismo), quando era vivo il dibattito intorno alla costituzione dei Consigli del lavoro e dell'economia, organismi che dovevano facilitare il coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte aziendali, rendendo corresponsabili i rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblico e privato: https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm 5/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm "È interessante che dopo caduto il fascismo quei gruppi stessi che nel succedergli si atteggiarono a seppellitori e distruttori di ogni sua vestigia, ritornino tuttavia con insistenza alla richiesta di continuare a ricostruire molti degli organi di quel sistema sociale come i Consigli del lavoro e della economia." Se vogliamo che tutto rimanga così com'è nella sostanza, bisogna che tutto cambi nell'apparenza, questa è la logica gattopardesca che guida l'azione della classe dominante italiana anche e soprattutto nel secondo dopoguerra. Non a caso, dopo la fine della guerra, nella delicata fase del passaggio fra il vecchio corporativismo fascista e quello nuovo, democratico, Togliatti aveva gridato che si doveva raccogliere il tricolore che la borghesia aveva lasciato cadere nel fango e combattere un nuovo risorgimento. Il sindacalismo integrale Ritornando alla nostra storia del sindacalismo fascista, vediamo che i Gruppi di competenza limitando l'iniziativa sindacale alimentano una controffensiva degli industriali e degli agrari, e di riflesso una reazione degli operai. Fortemente ridimensionato il sindacalismo di classe, i capitalisti ne approfittano abbassando i salari e peggiorando le condizioni di lavoro. Il riaccendersi della lotta di classe rappresenta un problema per il PNF, e Rossoni, a capo della Confederazione dei sindacati fascisti, pensa di risolverlo lanciando la formula del "sindacalismo integrale", che prevede l'esistenza di una formazione sociale "organicistica" la quale accolga tutti gli elementi del lavoro, dall'operaio, al tecnico, all'imprenditore. Per Rossoni il sindacato dev'essere nazionale, deve comprendere al suo interno sia le forze del capitale che quelle del lavoro. Ma questa forma di sindacalismo incontra l'opposizione degli industriali perché mette in discussione la loro autonomia e minaccia i loro interessi. Secondo gli imprenditori, che hanno appoggiato il fascismo in funzione anti-comunista, Rossoni vorrebbe una continuazione della lotta di classe in altra forma, cosa che insidierebbe l'armonia sociale corporativa. Non li tranquillizza certo il fatto che egli dichiari che "l'indisciplina e la rivolta bolscevica delle masse sono esiziali alla Nazione, ma lo sono altrettanto l'egoismo e la speculazione delle classi sordide ed opache". ("Comprendere o perire", Il Lavoro d'Italia, 22 febbraio 1923). Le polemiche arrivano al Gran Consiglio del Fascismo del 1923, al cui interno si fronteggiano due posizioni: una per il "sindacalismo integrale" (Farinacci e Rossoni) e l'altra per l'autonomia dei sindacati padronali (Corgini). Mussolini media: riconosce nelle corporazioni un aspetto della rivoluzione fascista ma si dichiara contrario al monopolio sindacale. Nello stesso anno si riunisce il Consiglio Nazionale delle Corporazioni sindacali in cui vengono discusse e approvate due risoluzioni: 1) le corporazioni fasciste sono https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm 6/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm incapaci di imporre ai datori di lavoro il rispetto dei contratti liberamente stipulati; 2) l'unico modo per uscire da questa situazione è riconoscere i sindacati come associazioni di fatto e come organi di diritto pubblico. Sarà questa la strada che percorrerà il fascismo di qui in avanti. Il Patto di Palazzo Chigi Le proposte di Rossoni non passano e sono superate con l'accordo siglato nel 1923, noto come Patto di Palazzo Chigi. Il governo, che non intende assorbire nelle corporazioni anche i sindacati dei datori di lavoro e mira a stroncare definitivamente la CGL, pretende però che la Confindustria riconosca i sindacati fascisti al fine di stabilire con essa rapporti contrattuali. Per i teorici del sindacalismo nazionale è interesse di tutti mediare i conflitti e cercare sempre un punto di conciliazione, facendo in modo che i rapporti tra governo, organizzazioni degli imprenditori e dei lavoratori siano continuativi e non saltuari. Nell'ordine del giorno approvato sotto la presidenza di Mussolini nella riunione del 21 dicembre 1923, la Confederazione generale dell'industria italiana e la Confederazione generale delle corporazioni fasciste, affermano "il principio che la organizzazione sindacale non deve basarsi sul criterio dell'irreducibile contrasto di interessi fra industriali e operai, ma ispirarsi alla necessità di stringere sempre più cordiali rapporti tra i singoli datori di lavoro e lavoratori e fra le loro organizzazioni sindacali, cercando di assicurare a ciascuno degli elementi produttivi le migliori condizioni per lo sviluppo delle rispettive funzioni ed i più equi compensi per l'opera loro, il che si rispecchia anche nelle stipulazioni di contratti di lavoro secondo lo spirito del Sindacalismo nazionale." Messa quindi da parte l'idea del "sindacalismo integrale", Mussolini si garantisce l'appoggio della Confindustria in vista delle elezioni politiche dell'aprile del 1924 che porteranno alla vittoria del Listone (il cui simbolo è il fascio littorio). Antonio Stefano Benni, rappresentate degli industriali, eletto deputato nella lista fascista, pronuncia al Teatro Lirico di Milano un discorso in cui valuta positivamente l'operato del governo fascista. Nonostante il Patto di Palazzo Chigi, il conflitto capitale-lavoro e la diffidenza tra le "parti" non si placano, e gli scioperi continuano, come è naturale che sia in una società divisa in classi, dove si fronteggiano interessi contrapposti. Il Patto di Palazzo Vidoni Un ulteriore tentativo di risolvere o quantomeno limitare l'insopprimibile lotta tra le classi è il Patto di Palazzo Vidoni nell'ottobre 1925. Questo accordo, in continuità con l'impostazione di quello di Palazzo Chigi, rappresenta un passo avanti dal punto di vista politico: non vi è un semplice riconoscimento delle due forze, corporazioni fasciste da una parte e https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm 7/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm Confindustria dall'altra, c'è il riconoscimento della rappresentanza esclusiva dei lavoratori da parte del fascismo con l'abolizione delle commissioni interne di fabbrica. Vengono così scavalcate le rappresentanze di base e tutto viene assunto dai sindacati fascisti locali controllati direttamente dal PNF: "La Confederazione generale dell'industria riconosce nella Confederazione delle corporazioni fasciste e nelle Organizzazioni sue dipendenti la rappresentanza esclusiva delle maestranze lavoratrici. La Confederazione delle corporazioni fasciste riconosce nella Confederazione generale dell'industria e nelle Organizzazioni sue dipendenti la rappresentanza esclusiva degli industriali. Tutti i rapporti contrattuali tra industriali e maestranze dovranno intercorrere tra le Organizzazioni dipendenti della Confederazione dell'industria e quelle dipendenti della confederazione delle corporazioni. In conseguenza le commissioni interne di fabbrica sono abolite e loro funzioni sono demandate al sindacato locale, che le eserciterà solo nei confronti della corrispondente Organizzazione industriale." Questo fatto porta al blocco di qualsiasi azione autonoma dei lavoratori poiché è negata anche la minima agibilità all'interno delle fabbriche. Durante la seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 6 ottobre 1925, si affrontano i temi del riconoscimento ufficiale dei sindacati e dell'esigenza di una Magistratura del Lavoro. La discussione porta alla formulazione della legge del 3 aprile 1926 che disciplina giuridicamente i rapporti collettivi di lavoro, istituisce la Magistratura del Lavoro e fissa il principio che il mondo sindacale debba essere controllato e inquadrato nello Stato. Nasce il Ministero delle Corporazioni, diretto da Giuseppe Bottai. Il "riconoscimento" è concesso a un unico sindacato per ogni tipo di impresa o di categoria di lavoratori. I sindacati che sono riconosciuti dalle istituzioni hanno il potere di stipulare contratti collettivi di lavoro con effetto obbligatorio per tutti, mentre i sindacati non legalmente riconosciuti possono continuare a sussistere ma solo come associazioni di fatto. Questo principio fondamentale del sindacalismo fascista sopravvive ai nostri giorni. Spiega ad esempio l'angosciosa corsa dei sindacati minori al riconoscimento da parte dei datori di lavoro. Significativo il Testo Unico sulla Rappresentanza Sindacale firmato dai tre maggiori sindacati italiani il 10 gennaio del 2014: esso sancisce la validità formale solo degli accordi tra le parti firmatarie del TURS, accordi ai quali tuttavia si deve attenere chiunque, anche se contrario al loro contenuto.  (socializzazione_fascista_comunismo5.htm) https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm  (socializzazione_fascista_comunismo7.htm) 8/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo6.htm 9/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm La socializzazione fascista e il comunismo (7)  (socializzazione_fascista_comunismo6.htm)  (socializzazione_fascista_comunismo8.htm) 7. L'integrazione totale I Problemi del Lavoro In seguito alla promulgazione delle cosiddette leggi fascistissime, che trasformano di fatto l'ordinamento giuridico del Regno d'Italia nel regime fascista, e alla dura repressione contro le Camere del Lavoro e le sedi sindacali (il 10 novembre 1926 i fascisti devastano la CdL di Milano e quella della FIOM a Torino), si apre una discussione all'interno dei gruppi dirigenti della CGL che porta, nel gennaio del 1927, alla decisione di sciogliere l'organizzazione. Dalla Francia Bruno Buozzi e altri esuli dichiarano di non condividere tale scelta. I capi sindacalisti rimasti in Italia non si limitano a sciogliere l'organizzazione e a ritirarsi a vita privata: dirigenti come Baldesi e Calda hanno colloqui con Mussolini e Rossoni (già nel '23 vi erano stati degli abboccamenti con Mussolini e si era delineata una tendenza frontista all'interno della CGL), durante i quali mettono al corrente i gerarchi fascisti della volontà di fondare una rivista che si chiamerà I Problemi del Lavoro (diretta da Rinaldo Rigola e Ludovico D'Aragona). L'obiettivo, al solito, sarebbe quello di operare contro il fascismo incalzandolo da sinistra. Tanto per farsi un'idea della linea politica della rivista, nel primo numero (25 marzo 1927) si dice esplicitamente che la sostituzione dei sindacati con le corporazioni, tutto sommato, non è da valutarsi negativamente: "Questo obiettivo dato di fatto sta a dimostrare che un principio ha vinto, sia pure col sacrificio di particolari concezioni e degli uomini che le incarnavano. Chi ha vissuto in tempi in cui il sindacalismo era avversato in principio, così dalla scienza economica come dalla politica, può fare dei raffronti. Più sindacalismo oggi di ieri, malgrado la guerra ai sindacati." Certo, più sindacalismo "oggi di ieri", ma che tipo di sindacalismo? La fondazione della rivista e dell'associazione Studi del Lavoro è accettata dai fascisti, che hanno tutto l'interesse a dimostrare di essere tolleranti e aperti verso le istanze che arrivano dal mondo del lavoro. I Problemi del Lavoro viene pubblicata dal 1927 al 1940. La rivista ha come scopo ufficiale quello di aiutare il sistema politico e istituzionale a concretizzare i postulati espressi dai vari patti e mira a dare un fondamento "socialista" allo stato fascista. Il gruppo dirigente dell'allora Confederazione del lavoro capitola dunque su tutta la linea inserendosi nel dibattito in corso nell'Italia fascista in merito alla realizzazione dei postulati contenuti nella https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm 1/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm Carta del Lavoro. Del resto il cedimento riguarda anche altri aspetti della politica fascista: ad esempio, si arriverà a giustificare le imprese coloniali e imperialiste del regime, sostenendo addirittura che l'Africa è un'appendice naturale dell'Italia. La Carta del Lavoro Arriviamo quindi, alla Carta del Lavoro (redatta da Carlo Costamagna, riveduta da Alfredo Rocco), varata il 21 aprile 1927. Il mondo industriale poteva dirsi soddisfatto della resa del gruppo dirigente della CGL e della progressiva istituzionalizzazione del sindacato. Non poteva dirsi soddisfatto il proletariato che in quegli anni doveva misurarsi con la famigerata rivalutazione della Lira a "quota 90", con l'aumento della disoccupazione e con l'abbassamento dei salari. In seguito all'impennata della disoccupazione c'era stata una migrazione, guidata dal governo, dal Veneto e dall'Emilia verso l'Agro Pontino dove erano in corso le famose bonifiche mussoliniane (una realistica descrizione romanzata è in Canale Mussolini di Antonio Pennacchi). Lo stato corporativo era intervenuto per attenuare i processi di impoverimento con grandi opere pubbliche che da un lato risanavano territori paludosi e dall'altro mettevano in moto nuovi cicli di accumulazione agraria locale. Mancavano ancora dieci anni alla pubblicazione del manifesto keynesiano e il capitalismo italiano sentiva già il bisogno di dare un assetto statale all'economia con notevoli investimenti in opere pubbliche. Il contenuto sindacale della Carta del Lavoro doveva, tra l'altro, porre rimedio con miglioramenti normativi e assistenziali al processo di immiserimento della popolazione dovuto al fatto, confessato, che le corporazioni non riuscivano a far rispettare le decisioni presso le industrie, le quali di conseguenza si sentivano libere di tenere bassissimi i salari. A ciò si aggiungeva la rivalutazione della Lira, poco funzionale, riguardante solo una questione formale di prestigio; mentre l'Italia avrebbe, al contrario, avuto bisogno di svalutare per aumentare la competitività delle proprie merci sul mercato estero. Risultato, comunque, che si cercò di ottenere abbassando i salari con una riduzione tra il 10 e il 20%. Insomma, la Carta del Lavoro avrebbe dovuto compensare con un welfare ante litteram sia i sacrifici chiesti per aumentare il valore della moneta, sia la naturale tendenza dei capitalisti ad abbassare il salario al minimo permesso dal mercato della forza lavoro. La Carta constava di 30 enunciazioni suddivise in 4 gruppi che riguardavano lo stato corporativo e la sua organizzazione, il contratto di lavoro e le garanzie del salario, gli uffici di collocamento e la previdenza, l'assistenza e l'educazione del popolo italiano. Le enunciazioni fondamentali contemplavano la collaborazione di classe e l'armonia tra i diversi fattori della produzione, la preminenza dell'iniziativa privata sull'intervento statale in campo economico, la contrattazione collettiva sotto la regia del sindacato unico, e la magistratura del lavoro. Il diritto-dovere al lavoro è messo in primo piano: https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm 2/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm "Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato. Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale; i suoi obiettivi sono unitari e si riassumono nel benessere dei singoli e nello sviluppo della potenza nazionale" Con la Carta del Lavoro l'Italia diventava un paese capitalista all'avanguardia per le "garanzie" concesse ai suoi cittadini. Il sindacalismo fascista e le politiche del welfare nascono quasi contemporaneamente e, se hanno come risvolto quello di impedire la lotta di classe, dimostrano come il rivoluzionamento continuo dei rapporti di produzione non sia un semplice paragrafo nel Manifesto di Marx ma un'esigenza materiale che ha riflessi sulla sovrastruttura politica. Insopprimibile lotta di classe Nonostante i ripetuti tentativi del PNF di raggiungere la pace sociale, la lotta di classe non è certo sopita; gli industriali se ne infischiano delle leggi e i lavoratori si muovono di conseguenza, scioperando. Per Rossoni, l'esponente di primo piano della sinistra fascista, l'eccessiva autonomia concessa agli industriali provoca un disequilibrio sociale che a lungo andare può diventare pericoloso. Si verificano infatti importanti agitazioni operaie nel corso del 1927, e ancora una volta i sindacati fascisti si trovano sotto la pressione dei capitalisti da una parte e dei lavoratori dall'altra. Rossoni arriva a minacciare gli industriali sostenendo che lo stato dovrebbe avocare a sé la proprietà delle grandi industrie per affidarne la gestione a funzionari stipendiati. A mali estremi, estremi rimedi: il capitalismo moderno ha dato troppo potere al capitale, con la conseguenza di permettergli la massima autonomizzazione rispetto ai suoi singoli possessori. Rossoni ha ragione. Dal punto di vista della salvezza del capitalismo sarebbe meglio che il capitalismo facesse a meno dei capitalisti. Ancora una volta l'Italietta sconquassata da scontri epocali, produce teoria di alto livello a disposizione del mondo: un capitalismo senza capitalisti si sta consolidando in Russia, e negli Stati Uniti appare una teoria sociale basata addirittura sulla nascita di una nuova classe "gestionale" formata esclusivamente da tecnici. La minaccia di Rossoni è estremamente significativa, ma è in realtà un segno di debolezza: in fondo il fascismo non ha il potere e neppure il coraggio di essere radicale rispetto alle proprie origini. In una dinamica storica da tragedia infinita come quella degli anni '20, il sincretismo politico fra sindacalismo rivoluzionario, dannunzianesimo e corporativismo è la montagna che partorisce il topolino. Le premesse storiche sono più potenti di quanto sappiano raccogliere le componenti politiche. Dover riconoscere che di fronte al capitale che si autonomizza (come del resto previsto da Marx) lo stato non è in grado di disciplinare i singoli capitalisti, anzi permette loro di immiserire la osannata classe del lavoro, è una https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm 3/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm resa umiliante per i fascisti rimasti fedeli alle origini. Ma quale sarebbe la struttura del capitalismo-fascismo se davvero i capitalisti fossero sostituiti da funzionari stipendiati? Da notare che, nel caso di industrie sull'orlo del fallimento lo stato fascista requisisce già le fabbriche sostituendo i proprietari con tecnici che hanno il compito di rimetterle in sesto e presentarle di nuovo sul mercato. Rossoni dunque non fa un discorso personale ma esprime un dato di fatto: l'ondata rivoluzionaria ha perso la sua forza e la socializzazione dell'economia assume l'aspetto statale, accentrato e burocratico. In Italia e nella Russia dei soviet ciò è particolarmente visibile, ma anche, con qualche anno di ritardo, in Germania e negli Stati Uniti. In quest'ultimo paese il riflesso della socializzazione si manifesta con il movimento tecnocratico, uno sviluppo tutto americano delle premesse fasciste. Tale movimento nasce dopo la Prima Guerra Mondiale negli Stati Uniti e si rafforza nei primi anni '30 sull'onda della grande crisi del '29 che, come ogni crisi, non fa che dimostrare come il capitalismo sia un modo di produzione transitorio: se vuole ritardare la sua fine, deve rivoluzionare sé stesso. La parola Technocracy è usata per la prima volta da un ingegnere californiano, William Henry Smyth, nel 1919, per descrivere una "democrazia industriale" da ottenere attraverso l'impiego di scienziati e tecnici al servizio della produzione. I lavoratori, sotto la guida dei tecnici, devono essere integrati nei processi decisionali. Ciò tramite scelte programmate o attraverso una rivoluzione. I tecnocratici, a differenza dei fascisti, non danno vita a un movimento politico, propongono "semplicemente" di opporre alla disastrosa politica tradizionale un governo di tecnici che agisca sulla base di programmi scientifici, fondati sul calcolo con dati oggettivi. Non è da escludere che anche all'interno del corporativismo italiano degli anni '30 ci siano state delle spinte in questa direzione, ma se pure si sono manifestate, sono state schiacciate dagli interessi prevalenti di una borghesia miope, incapace di realizzare il suo stesso programma storico. Il movimento tecnocratico sostiene che il tempo del capitalismo è finito e che bisogna passare da una misura basata sul valore-denaro a una basata su quantità fisiche. Nel 1936 Marion King Hubbert presenta sulla rivista Technocracy (serie A, n. 8) un articolo intitolato "Ore-uomo e distribuzione - Una quantità declinante", proprio per dimostrare l'efficienza di una contabilità senza rapporti di valore (proponeva il calcolo in base allo scambio di energia). Riprendendo, anche se non volutamente, il punto di vista marxista, secondo il quale la contabilità della società futura sarà basata su quantità fisiche, come ore di lavoro, numeri di oggetti e di persone, riguardanti il processo produttivo e distributivo, oppure, appunto, scambio di energia. Corporativismo e managerialismo tra le due guerre sono tentativi del capitalismo di salvare sé stesso negando i caratteri che ne decretano oggettivamente la fine. Infatti, introducendo l'ipotesi di nuovi elementi di governo del fatto economico, il capitalismo si spinge al confine con una società completamente diversa. Lo shock rappresentato dalla crisi del '29 esorta a una maggiore programmazione economica, cioè a un maggiore intervento dello stato in https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm 4/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm economia. Si scrivono saggi come La burocratizzazione del mondo di Bruno Rizzi e La rivoluzione manageriale di James Burnham, che analizzano la posizione sociale dei manager, la loro marcia verso il potere e la trasformazione in corso nei rapporti di proprietà, necessaria a dare respiro al capitale. Per sopravvivere, il capitalismo è costretto a mutuare strutture centrali e organismi politici di governo adatti ad assecondare il processo di autonomizzazione del Capitale: "Sulla traccia dello studio Proprietà e Capitale vediamo il fattore essenziale dell'attuale fase capitalista mondiale nell'impresa - quella edilizia ne fornisce un esempio suggestivo - che lavora senza sede e impianto proprio e stabile, con capitale minimo ma per un profitto massimo e può fare questo perché si è asservito lo Stato che distribuisce il capitale e incamera le perdite. Il funzionario non è figura centrale ma è semplice mediatore; di contro al corpo di funzionari di Stato vi è quello dei contro-uffici delle imprese dove pullulano consulenti di ogni specie e vegliano a piegare lo Stato agli interessi delle imprese." (Lezioni delle controrivoluzioni, PCInt. 1951) Oggi il capitalismo di stato non è più quello in cui lo stato controllava l'economia ma quello in cui l'economia controlla lo stato. Giunta a quest'ultimo livello la società è in transizione. Lo "sbloccamento" dei sindacati Le discussioni nel PNF in merito alla realizzazione dello stato corporativo portano allo "sbloccamento" dei sindacati, poiché la Confederazione dei sindacati fascisti è ritenuta da Augusto Durati (segretario del partito) e da Giuseppe Bottai, un veicolo per la riproposizione della lotta di classe. "Non è possibile contare su di una collaborazione corporativa delle classi e delle categorie, se tra le classi e le categorie si continua a mantenere il sistema del 'fronte unico' il quale, plausibile in un regime di lotta di classe, diventa illogico in un regime che vuole affermarsi nella restaurazione dell'unità dello Stato." (Giuseppe Bottai, Esperienza Corporativa. 1929 - 1934). Per Bottai, la Confederazione dei sindacati fascisti era stata necessaria per inquadrare i lavoratori e debellare il sindacalismo di classe: raggiunto l'obiettivo bisognava voltare pagina. Uno Stato (sindacale) nello Stato non poteva essere accettato dal fascismo, che ormai da tempo si era allontanato dalle sue origini sindacaliste rivoluzionarie. Lo Stato doveva inglobare la società civile e non era tollerabile la persistenza di un sindacalismo che, nonostante l'assetto corporativo e pacificatore, era ancora basato sul confronto fra le classi. In nome di un ulteriore perfezionamento dello stato corporativo viene quindi deciso lo smembramento del sindacato fascista, una forza che raccoglie almeno due milioni di iscritti. Il 21 novembre del 1928 è la data dello "sbloccamento": tutte le federazioni provinciali che compongono la Confederazione sindacale fascista vengono trasformate in https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm 5/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm confederazioni e unioni provinciali autonome le une dalle altre. Si formano 13 Confederazioni nazionali, sei dei lavoratori e sei dei datori di lavoro più una dei liberi professionisti. E siccome oltre al confronto fra classi tende a persistere anche l'unione fra proletari, pericolosa anticamera del movimento politico, il regime pensa bene di dividerli: "La borghesia sente che, finché si può tenere il proletariato sul terreno di esigenze immediate ed economiche che lo interessano categoria per categoria, si fa opera conservatrice evitando la formazione di quella pericolosa coscienza 'politica' che è la sola rivoluzionaria, perché mira al punto vulnerabile dell'avversario: il possesso del potere." ("Partito e classe", Rassegna Comunista del 15 aprile 1921). Frammentato e separato, il proletariato non ha nessuna forza, sembra sparire addirittura come classe. Lo "sbloccamento" annichilisce il dispiegarsi dell'azione sindacale e, annientato il sindacalismo "rosso", viene meno anche la necessità di quello "nero". Poiché gli operai sono rappresentati solo dalle corporazioni, non hanno ora alcuna possibilità di organizzarsi autonomamente e far valere le proprie rivendicazioni: le corporazioni sono gli unici organismi di collegamento tra il governo e i gruppi industriali, e dal 1939 la Camera dei deputati è sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Il periodo che va dal 1928 alla caduta del regime vede uscire di scena il sindacalismo, ma il fascismo si vanterà di aver costruito una serie di "garanzie" che ancora oggi alcuni settori della sinistra parlamentare e non, rimpiangono e vogliono preservare. Elenchiamole: - ferie pagate; - indennità di licenziamento; - conservazione del posto in caso di malattia; - divieto di licenziamento in caso di maternità; - assegni familiari; - diffusione delle casse mutue aziendali; - assistenza sociale dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Se dallo "sbloccamento" dei sindacati alla legislazione sull'ordinamento corporativo (1934), non accade nulla di rilevante dal punto di vista delle lotte operaie, abbiamo però la formulazione di curiose teorie politiche: durante il secondo Convegno di studi sindacali e corporativi che si tiene a Ferrara nel '32, il filosofo Ugo Spirito presenta la sua teoria per una "corporazione proprietaria": il controllo del capitale sarebbe dovuto passare dagli azionisti (soggetto passivo per quanto riguarda produttività e lavoro) ai lavoratori dell'azienda, mentre la proprietà dei mezzi di produzione, e quindi dell'azienda, sarebbe stata prerogativa della corporazione. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm 6/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm Questa teoria viene illustrata nel suo libro Capitalismo e corporativismo, pubblicato nel 1933, in cui si affronta anche il tema della separazione tra proprietà e controllo nelle grandi società per azioni. Guarda caso, negli stessi anni in Francia nasce il "planismo", una teoria economica secondo la quale attraverso la pianificazione si può cambiare la società, o per lo meno contrastare gli effetti perversi del capitalismo, e che influenzò socialisti, sindacalisti e fascisti. Al convegno ferrarese partecipò anche il sociologo ed economista tedesco Werner Sombart, che in quella sede disse: "Stato e Nazione sono due potenze e l'economia dovrà sottostare alla forza politica. Anche in Russia si manifesta la stessa tendenza; ma il primo paese a muovere i passi sulla strada nuova è l'Italia." (L'avvenire del capitalismo, Introduzione di Alberto Ghislanzoni). Un filo unico lega le teorie sindacaliste rivoluzionarie della UIL, il sansepolcrismo, il "sindacalismo integrale" di Rossoni, la Carta del Lavoro e il Manifesto di Verona (1943) redatto durante la Repubblica di Salò, in cui viene proposta la collaborazione all'interno di ogni azienda tra tecnici e operai per l'equa ripartizione degli utili: "In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai cooperano intimamente (attraverso una conoscenza diretta della gestione) all'equa fissazione dei salari, nonché all'equa ripartizione degli utili, tra il fondo di riserva, il frutto di capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi per parte dei lavoratori . In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali commissioni di fabbrica. In altre, sostituendo i consigli d'amministrazione con consigli di gestione, composti di tecnici e di operai, con un rappresentante dello Stato; in altre, ancora, in forma di cooperativa parasindacale." (Manifesto di Verona). En passant : non bisogna dimenticare che in regime borghese le nazionalizzazioni delle imprese, la cogestione e la partecipazione alle scelte aziendali, di cui ancora oggi cianciano tanti sinistri, s'inquadrano in un processo di esasperazione ed accelerazione del ritmo di accumulazione capitalistica, e perciò di sfruttamento della forza lavoro. Abbasso la repubblica borghese… Finita la guerra, sconfitto il fascismo in "camicia nera", il corporativismo non scompare ma si presenta in una nuova veste, quello della ricostruzione post-bellica. D'altronde, se il fascismo è una necessità che emerge dal profondo della società capitalistica per darsi un ordine a fronte dell'enorme complessità raggiunta, tale processo non può che continuare ed evolversi aggiornando strumenti e metodi di intervento. La breve esperienza della "CGL rossa" nel Sud Italia nel 1943-44, che si richiama al sindacalismo prefascista ed è in polemica con l'interclassismo, viene presto riassorbita dal ricostruito sindacato tricolore (cfr. L'altra Resistenza); e nemmeno le scissioni sindacali https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm 7/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm degli anni '40 e '50 che danno vita alla CISL e alla UIL rappresentano una rottura nel processo di sussunzione del sindacato nelle istituzioni borghesi, anzi, non fanno che rafforzare il processo stesso. Può essere utile la lettura del libro di Pietro Neglie, Fratelli in camicia nera. Comunisti e fascisti dal corporativismo alla Cgil 1928-1948, che, come dice il titolo, mette in luce la continuità anche fisica tra corporativismo fascista e corporativismo demo-fascista, ovvero le molteplici relazioni che esistettero, durante il Ventennio e oltre, fra stalinisti italiani e fascisti, soprattutto in campo sindacale. Niente di nuovo per chi si richiama alla Sinistra: la nostra corrente in Abbasso la repubblica borghese, abbasso la sua costituzione (1947), dichiarava senza mezzi termini che il processo di integrazione dei sindacati cominciato negli anni 20' lo stavano portando a termine i governi postfascisti: "Il sindacato economico proibito nella prassi iniziale della rivoluzione borghese viene prima ammesso, poi corrotto, poi inquadrato nello Stato. Il gioco delle iniziative economiche che all'inizio deve per sacro canone (versione diretta di quello sgonfione della inviolabilità della persona) essere incontrollato, vede interventi sempre più fitti e diretti del potere politico, in nome dell'interesse sociale!" Nell'articolo citato c'è una lucida descrizione del lascito del Ventennio: in quanto "realizzatore dialettico delle istanze riformiste" il fascismo sposta la forma sindacale dall'esterno delle istituzioni borghesi, all'interno di esse per una riforma. Con la Carta del Lavoro e con gli altri documenti fondamentali del regime i sindacati diventano una questione di stato. Non è strano che, con la vittoria degli Alleati e della resistenza antifascista, la nuova repubblica venga fondata sul lavoro, come recita l'articolo 1 della Costituzione, e che la forma corporativa sopravviva. Dal punto di vista del proletariato, inteso come classe "per sé", non è una conquista il fatto che le organizzazioni dei lavoratori vengano riconosciute dalla borghesia: la via proletaria non è "entro" lo Stato. A maggior ragione, gli organismi di battaglia del proletariato non hanno nessun interesse ad essere riconosciuti dai capitalisti: essendo il sabotatore dell'investimento borghese, il proletariato in lotta non dialoga con le istituzioni della classe nemica, non accetta contratti che prevedano riduzioni salariali e licenziamenti, non accetta nuove sconfitte in cambio di fantomatiche promesse come la difesa dell'occupazione, gli investimenti produttivi o politiche monetarie per stimolare l'economia. La tesi dell'integrazione del sindacato è una peculiarità della Sinistra Comunista "italiana", ma è interessante notare come alcuni storici arrivino a conclusioni simili, capitolando ideologicamente di fronte alla teoria rivoluzionaria. Ecco cosa scrive Alessio Gagliardi nel saggio Il corporativismo fascista: https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm 8/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm "La […] costruzione del nuovo sistema sindacale [dopo la Seconda Guerra Mondiale] fu influenzata da residue eredità corporative: l'impossibilità di riproporre un sistema come quello costruito nei primi due decenni del secolo, basato sulla reciproca autonomia di Stato e organizzazioni di rappresentanza sociale, e, nel contempo, il riconoscimento istituzionale delle nuove organizzazioni sindacali, garantito da una legislazione che ne regolamentava la funzione e dall'inserimento nei processi di formazione delle decisioni in materia economica e sociale, rendevano inevitabile il delicato confronto con l'esperienza fascista." Non si può far girare all'indietro la ruota della storia, impossibile riproporre l'esperienza dei primi del Novecento in cui, rispetto allo stato, le organizzazioni dei lavoratori avevano ancora una certa autonomia. Dall'inserimento dei sindacati nei processi di formazione delle decisioni in materia economica e politica non si torna al passato remoto. Non a caso, la Sinistra in Tendenze e socialismo (1947), afferma provocatoriamente che chi voglia essere progressista deve essere fascista: la successione infatti non è "fascismo, democrazia, socialismo – essa è invece: democrazia, fascismo, dittatura del proletariato ."  (socializzazione_fascista_comunismo6.htm) https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo7.htm  (socializzazione_fascista_comunismo8.htm) 9/9 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm La socializzazione fascista e il comunismo (8)  (socializzazione_fascista_comunismo7.htm)  (#) 8. Storicamente irreversibile Autodefinizione Nel 1933 viene pubblicato un breve opuscolo con una conferenza del sociologo economista Werner Sombart (già presente al convegno di Ferrara) su L'avvenire del capitalismo. L'introduzione, scritta da un fascista, è straordinariamente precisa in confronto alle leggende sociali sulla vittoria militare della democrazia contro il fascismo e quindi sulla natura di quest'ultimo: "Sovietismo e Fascismo rappresentano due colossali tipi di costruzioni nuove per l'assetto interno e per i rapporti esteri della vita dei popoli… Profondamente contrastanti nella dottrina, nelle finalità politiche e sociali, i due sistemi presentano non rare analogie di metodi, non rare analogie nella valutazione di taluni elementi, di taluni fattori della vita. L'uno e l'altro hanno seppellito definitivamente il mondo liberale con le sue teoriche politiche ed economiche e hanno potenziato al massimo l'autorità dello Stato, hanno fatto sentire la necessità dell'inquadramento dei produttori nella vita collettiva. Hanno dato al capitale una nuova funzione diversissima da quella del passato: l'uno, il comunismo, sopprimendo la proprietà, l'iniziativa privata e concentrando tutto nello Stato; l'altro, il fascismo, conservando proprietà e iniziativa privata, ma subordinando ambedue alle più alte finalità nazionali e sociali e facendo intervenire lo Stato solo per dirigere e controllare. Il Fascismo con la carta del Lavoro, come ha superato la lotta di classe proletaria, così ha anche superato il capitalismo nell'accezione corrente della parola. Non una volta soltanto Mussolini ha ripetuto che il capitale deve obbedire, né ha mezzi di opporsi al volere dello Stato; che il capitale non è una divinità, ma uno strumento." La citazione è lunga ma necessaria. Nell'opuscolo presentato a questo modo, Sombart analizza le possibilità di sviluppo futuro del capitalismo giungendo a considerarne tre: 1) il capitalismo "tira a campare" rattoppando volta per volta il tessuto sociale là dove fa acqua; situazione, questa, che nessuno auspica tranne i governanti attuali; 2) il film del capitalismo viene proiettato all'indietro fino al periodo dell'accumulazione matura, quando nella società è chiaro il predominio illimitato degli industriali e del mercato. Ma questo scenario non è realistico, primo, perché un ritorno al capitalismo liberale è impedito dalla complessità economica, sia dal punto di vista delle modalità tecniche della produzione e della distribuzione, sia dal punto di vista dell'assetto industrial-finanziario, con gigantesche banche e potenti monopoli, cui si affianca il sistema di controllo sia del processo https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm 1/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm economico sia dei rapporti fra le classi; 3) Essendo il passato definito come libertà e arbitrio senza programma, e il presente come insieme di vincoli e regolamentazioni stabilite ad hoc, senza programma, il futuro non potrà che essere una negazione delle due fasi precedenti, cioè una società caratterizzata da un ordinamento programmato dell'economia. "Si potrebbe parlare forse di economia ordinata, inquadrata, addomesticata, razionale, che si potrebbe anche indicare come economia organica, se si è convinti di esprimere con un'immagine la cosa, dicendo: si tratterebbe di ristabilire una connessione razionale come se questa fosse un organismo. In ambedue i casi abbiamo a che fare con un tutto le cui singole parti devono stare tra loro in rapporto razionale." (Sombart, op. cit.). E siccome una programmazione parziale, come una razionalizzazione parziale è un non senso, l'economia a programma dev'essere intesa come estesa a livello nazionale. Nel senso che un'economia nazionale dev'essere programmata e un'economia programmata non può che essere nazionale. Ogni programma ha bisogno di un centro programmatore che possa fare affidamento sul principio di non contraddizione fra le parti interagenti. Ne risulta che questo principio esclude la disarmonia sociale del rapporto contraddittorio fra le classi. Citando Marx, Sombart osserva che l'economia-programma sarà necessaria anche per affrontare il mercato mondiale: il saggio di plusvalore assoluto scenderà perché saliranno i salari e si accorcerà la giornata lavorativa, mentre il saggio di plusvalore relativo non salirà in proporzione all'aumento di produttività. La programmazione, quindi, si avvarrà di tutti gli strumenti che il capitalismo ha escogitato nella sua crescita caotica. Guai allo stolto capitalista che rinuncerà a qualcuno di essi nel timore che un più razionale assetto capitalistico gli tolga potere. Processo storico irreversibile Ora, se noi diciamo che la forma fascista del capitalismo è la più moderna e avanzata, che fase stiamo attraversando? Si tratta sicuramente di un periodo in continuità con quello fascista e in più di un'occasione abbiamo parlato del secondo dopoguerra come fase demo-fascista del capitalismo, che ha perfezionato il sistema pubblico integrando molte funzioni sociali: "Più volte è stato chiarito dal nostro movimento che l'attuale fase della dominazione capitalistica è, nel fondo, fascista, in quanto tende a realizzare pur con altri mezzi lo stesso inquadramento ferreo delle masse lavoratrici nello Stato, lo stesso svuotamento del carattere classista degli organismi sindacali, lo stesso controllo dell'opinione pubblica, che gli Stati totalitari erano riusciti precedentemente ad imporre. Questo inquadramento avviene non solo attraverso il rafforzamento rapido e efficacissimo degli organi tradizionali dello Stato capitalistico, ma anche (e con non minore efficacia) https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm 2/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm attraverso la rete a maglie fitte dei grandi partiti, il cui alternarsi alla direzione della 'cosa pubblica' serve solo a far apparire meno rigido e soffocante il metodo totalitario di governo." ("Le nazionalizzazioni arma del capitalismo", Prometeo 1946). Con le leggi fiscali (Vanoni), i lavori pubblici (Fanfani) e l'industria statale (IRI), l'intervento statale in economia continua e si allarga. Oggi, lasciate formalmente alle spalle la Prima e anche la Seconda Repubblica, le politiche di assistenza pubblica, le "garanzie" sociali di fascista memoria, si stanno dissolvendo come neve al sole. Noi non valutiamo come negativo questo processo; avendo fatto nostro il dettato del Manifesto del Partito Comunista siamo convinti che "I proletari non hanno nulla di proprio da salvaguardare; essi hanno soltanto da distruggere le sicurezze e le guarentigie private finora esistenti". Il capitalismo sta facilitando il lavoro ai comunisti: dissolvendo il welfare e mettendo ampie fasce di popolazione con le spalle al muro rende la società dualistica, classe contro classe. In caso di "scelta" le molecole sociali si indirizzerebbero intorno a due poli distinti. Gli stati sono sempre più in difficoltà e riescono sempre meno ad assolvere alle loro funzioni: l'italiana repubblica fondata sul lavoro vede una pericolosa crescita della disoccupazione, della disuguaglianza sociale e un'incapacità delle istituzioni (Triplice sindacale compresa) a porvi rimedio. Nel "Rapporto Giovani 2017", commissionato da banche e altri enti italiani, sono presentate cifre pesanti sulla condizione giovanile fra i 18 e i 32 anni. Oltre il 70% dei giovani che vivono in famiglia dichiara di non potersene allontanare per cause economiche. E, sempre a cause economiche, l'80% dei disoccupati che non cercano più lavoro attribuisce la propria condizione. Il 79% dei giovani occupati con contratti a termine sostiene che non ce la fa a campare senza l'aiuto della famiglia. E l'81% di coloro che hanno un lavoro dichiara di non poter avere figli, ancora per cause economiche. Il 92% dei giovani della fascia di età oggetto di indagine vede la propria posizione immutata o peggiorata rispetto al 2016. In conclusione, nella ricerca si afferma che alla gioventù non è consentito accedere ai mezzi che permettono la riproduzione della specie. Teoricamente, se questa situazione si protraesse fino alla scomparsa dei genitori dei giovani suddetti, nei paesi occidentali saremmo, per cause economiche, all'estinzione di una parte dell'umanità. La famigerata stanza dei bottoni Saltando qualche decennio, arriviamo ai primi anni '80 in Italia quando, in seguito al rifluire delle lotte dopo la conclusione del "Sessantotto lungo vent'anni" (cfr. articolo su questa rivista n. 14), si formano i sindacati di base, nei quali molti raggruppamenti di sinistra ripongono le ultime speranze sulla rinascita di un sindacato di classe. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm 3/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm Per chi si collega alla Sinistra Comunista "italiana", la distinzione fra i grossi sindacati tricolore e i piccoli sindacati minoritari (per cui i primi sarebbero corporativi e venduti in blocco, alcuni dei secondi miracolosamente indenni) poggia, nel migliore dei casi, su un'illusione. La natura di un sindacato non la decide il suo gruppo dirigente, o la buona volontà dei suoi iscritti, o qualcuno che offre appoggio esterno: è un risultato storico. Qualcuno può considerare quelli che abbiamo chiamato "i sindacatini fotocopia" come preludi al sindacato di classe, ma di fatto sono assolutamente inutili, creano confusione e false aspettative. Vanno alla trattativa come Nenni andava alle elezioni promettendo di portare il PSI "nella stanza dei bottoni", cioè dei comandi, fingendo di non sapere che bisogna cambiare l'impianto, non l'operatore. In quanto alla loro essenza "classista" non offrono novità rispetto al panorama degli ultimi settant'anni, sono solo più piccoli di quelli tricolore, relegati in aree di nicchia dove riempiono il vuoto lasciato dai grossi. Raccolgono ovviamente lo scontento di alcune fasce di lavoratori, possono avere una base combattiva e in buona fede, insomma, sono costretti ad essere radicali proprio per avere quel minimo di consenso perduto dai concorrenti. Ignorati dalla politica sindacale ufficiale, agognano al riconoscimento da parte dello stato e delle "controparti", cioè si candidano ad essere perfettamente omologati. Per cancellare l'effetto storico della cooptazione del sindacato entro lo stato borghese occorrerebbe uno stravolgimento sociale di potenza gigantesca. Se ciò non avviene, ogni sindacato non potrà fare altro che mediare fra capitalisti, stato e proletari secondo le regole della concertazione e contrattazione introdotta dal fascismo e non più reversibile. Quando sia utile, una radicalizzazione apparente è perfettamente gestita dai sindacati tricolore. Al loro interno esistono tutti i presupposti per il recupero o l'espulsione di quella parte di iscritti che tendesse a ribellarsi. Nel 1968-69 la CISL si pose come alternativa di "sinistra" alla CGIL, considerata dai giovani operai di allora troppo cedevole. Nel 1980, durante i 35 giorni di sciopero alla Fiat, la CGIL finse di essere al fianco dei lavoratori con grinta, salvo poi pugnalarli alla schiena. Quando all'inizio degli anni '90 ci fu una sollevazione interna contro le gerarchie sindacali per il famoso Protocollo, la CGIL inviò a Torino Claudio Sabattini e Giorgio Cremaschi, un duro della vecchia guardia e un sinistro della generazione successiva. Esistono forze interne alla CGIL più numerose e organizzate, passibili di radicalizzazione al pari o più di quelle dei piccoli sindacati; ha più senso lavorare con quelle che con nuove sigle. Di solito qui sorge inevitabile la domanda: ma se questo diventa impossibile (espulsioni, ecc.) cosa possono fare i lavoratori? Se il proliferare di sindacatini è l'effetto di condizioni oggettive, non ne consegue automaticamente che il fondare sindacatini possa modificare dette condizioni. E infatti non le modifica, proprio perché il rapporto di lavoro è basato storicamente sul presupposto contrattuale, e il contratto con firma diventa il fine di ogni sciopero anche quando sono in ballo licenziamenti o temi che non possono/devono essere oggetto di trattativa e compromessi. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm 4/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm L'esito degli scontri per motivi sindacali non dipende dalla forma con cui tali scontri si manifestano ma dalla forza che si riesce a mettere in campo. E non esiste una scala di valori in cui inserire le varie sigle sindacali, l'unico criterio è quello dell'efficacia rispetto agli obiettivi. Ma al di là dell'ovvio "uniti è meglio", neghiamo che oggi un sindacato qualsiasi possa essere definito "di classe". Neppure come tendenza, perché nessuno al momento può fare a meno di agire secondo regole che non ha la facoltà di cambiare. Se la natura del sindacato odierno è il prodotto di un processo storico irreversibile, finché non cambia radicalmente il rapporto fra le classi ogni sindacato è "opportunista" e ogni suo dirigente è un "bonzo" come si dice fin dagli anni '20 del secolo scorso. Letture consigliate AA.VV., Socialfascismo. Dal Programma di San Sepolcro alla socializzazione delle imprese, ed. Noctua, 1999. Antonioli Maurizio. Azione diretta e organizzazione operaia: sindacalismo rivoluzionario e anarchismo tra la fine dell'Ottocento e il fascismo, ed. Lacaita, 1990. Bey Hakim, T.A.Z. Zone Temporaneamente Autonome, ed. ShaKe, 2007. Bordiga Amadeo, Storia della Sinistra comunista, vol. I, ed. Programma comunista. Bordiga Amadeo, "Fiume e il proletariato", Rassegna Comunista, settembre 1921. Bordiga Amadeo, "Che cosa è il fascismo", Il Comunista, 3 febbraio 1921. "Per l'inquadramento del Partito", Il Comunista del 14 luglio 1921. "Inquadramento militare delle forze comuniste", Il Comunista del 7 agosto 1921. Bordiga Amadeo, "Il movimento dannunziano", Prometeo nn. 1 e 2 del gennaio e febbraio 1924. Basile Corrado - Leni Alessandro, Amadeo Bordiga politico, Edizioni Colibrì. Bergson Georges, L'evoluzione creatrice, Dall'Oglio. Burnham James, La rivoluzione manageriale, Bollati Boringhieri, 1992. Carli Mario, Con d'Annunzio a Fiume, Felice Miranda Editore. Carli Mario, Trillirì, AGA Editrice. Comisso Giovanni, Le mie stagioni, Longanesi. Comisso Giovanni, Il porto dell'amore, Longanesi. Cordova Ferdinando. Le origini dei sindacati fascisti 1918-1926, Laterza, 1974. Cordova Ferdinando. Verso lo stato totalitario. Sindacati, società e fascismo, Rubbettino, 2005. Cordova Ferdinando, Arditi e legionari dannunziani, Marsilio Editori. De Felice Renzo, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Einaudi, 1965. De Felice Renzo e Pietro Gibellini, D'Annunzio politico: atti del Convegno, Il Vittoriale, 9-10 ottobre 1985, Quaderni dannunziani. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm 5/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm De Felice Renzo, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Einaudi. De Felice Renzo, Sindacalismo rivoluzionario e fiumanesimo nel carteggio De Ambris D'Annunzio (1919-1922), Morcelliana. Gagliardi Alessio. Il corporativismo fascista, Laterza, 2010. Grisi Francesco, I futuristi, Newton Compton. Il Soviet: "La Costituente?", 22 dicembre 1918; "Parva favilla", 27 settembre 1919. Ledeen Michael A., D'Annunzio a Fiume, Laterza, 1975. Marx, Engels. Manifesto del Partito Comunista. Neglie Pietro. Fratelli in camicia nera. Comunisti e fascisti dal corporativismo alla CGIL (1928-1948), Il Mulino, 1996. n+1, Lettere ai compagni, "Militanti delle rivoluzioni", 1996. n+1, "Necessarie dissoluzioni", n. 36, 2014. n+1, "Il biennio rosso", n. 40, aprile 2016. Olivetti O. Angelo. Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Ediz. Bonacci, 1984. PCInt., Storia della Sinistra Comunista, vol. I, cap. "Inizio della lotta al riformismo: appare la falsa sinistra sindacalista", ed. Il programma comunista. PCInt., "Abbasso la repubblica borghese, abbasso la sua costituzione", Prometeo n. 6 del marzo 1947. PCInt., "Appunti per un'analisi del fascismo. Dalle origini alla marcia su Roma", Prometeo n. 3 del 1946. PCInt., "Corporativismo e socialismo", Battaglia Comunista n. 6 del 1949. PCInt., "Che cosa è il fascismo", Il Comunista del 3 febbraio 1921. PCInt., "Far investire gli ignudi", Sul filo del tempo del 1950. PCInt.,"Le scissioni sindacali in Italia", Battaglia Comunista n. 21 del 1949. PCInt., "Le nazionalizzazioni arma del capitalismo", Prometeo n. 4 del 1946. PCdI, "Partito e classe", Rassegna Comunista, anno I, n. 2 del 15 aprile 1921. PCInt., "Partito rivoluzionario e azione economica", Bollettino interno n. 1 del settembre 1951. PCInt., "Tendenze e socialismo", Prometeo n. 5 del gennaio 1947. PCInt., "Tesi sul compito storico, l'azione e la struttura del partito comunista mondiale (Tesi di Napoli)", Il Programma Comunista n. 14 del 28 luglio 1965. PCInt., "Tesi supplementari sul compito storico, l'azione e la struttura del partito comunista mondiale (Tesi di Milano)", Il Programma Comunista n.7 del 1966. Pennacchi Antonio, Canale Mussolini, ed. Mondadori, 2010. Peregalli Arturo, L'altra Resistenza: il PCI e le opposizioni di sinistra, 1943-1945, Graphos, 1991. https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm 6/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm Properzj Giacomo, Natale di sangue. D'Annunzio a Fiume, Mursia, 2010. Rizzi Bruno, La burocratizzazione del mondo, Colibrì, 2002. Rossi Marco, Arditi, non gendarmi! Dall'arditismo di guerra agli arditi del popolo 1917-1922, Edizioni BFS, 1997. Salaris Claudia, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D'Annunzio a Fiume, Il Mulino, 2008. Salierno Vito, Nino Daniele. Un legionario comunista con D'Annunzio a Fiume, Carabba, 2011. Schivelbusch Wolfgang, Tre New Deal. Parallelismi fra gli Stati Uniti di Roosevelt, l'Italia di Mussolini e la Germania di Hitler. 1933-1939, Marco Tropea, 2008. Sombart Werner, L'avvenire del capitalismo, La Tipografica, 1933. Sorel Georges, L'avvenire socialista dei sindacati, articolo del 1898, ora in Scritti politici e filosofici, a cura di G. Cavallari, Einaudi, 1975. Sternhell Zeev, Nascita dell'ideologia fascista, Akropolis, 2008. Ströbel E., La socializzazione, F.lli Bocca Editori, 1923. Al popolo italiano, ai soldati, alle camicie nere agli ex combattenti e volontari d'Africa "Noi abbiamo ragione di inorgoglirci della nostra patria. Questa Italia bella, queste ricchezze sono il frutto del lavoro dei nostri operai, dei nostri braccianti, dei nostri contadini, dei nostri ingegneri, dei nostri tecnici, del genio della nostra gente […]. Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori; camicie nere ed ex combattenti e volontari d'Africa, vi chiediamo di lottare uniti per la realizzazione di questo programma […]. Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi, fascisti della vecchia guardia e giovani fascisti, per la realizzazione del programma fascista del 1919, e per ogni rivendicazione che esprima un interesse immediato, particolare o generale dei lavoratori e del popolo italiano. Diamoci la mano e marciamo fianco a fianco per strappare il diritto di essere dei cittadini di un Paese civile qual è il nostro. Soffriamo le stesse pene, abbiamo la stessa ambizione: quella di fare l'Italia forte, libera e felice." "Manifesto per la salvezza dell'Italia e la riconciliazione del popolo italiano" apparso sul n. 8 di Stato Operaio, agosto 1936. Firmato Palmiro Togliatti.  (socializzazione_fascista_comunismo7.htm) https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm  (#) 7/8 14/05/22, 22:37 https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo8.htm 8/8