www.iulm.it
www.tristramshandyweb.it
Il romanzo nel Settecento inglese
by Patrizia Nerozzi Bellman
Quando le trasformazioni storiche danno luogo a rilevanti mutazioni culturali che si ripercuotono in letteratura nella nascita di
nuovi generi, quale appunto il romanzo realistico nel Settecento inglese, la prefazione, come strumento per avviare il lettore
alla fruizione adeguata dell'opera, rivela appieno la sua funzionalità. Nei romanzi inglesi del Settecento vi è infatti una
frequenza elevata di prefazioni e altri elementi paratestuali nei quali affiora il bisogno di giustificare la comparsa di qualcosa di
inedito rispetto alla tradizione e di pubblicizzare la novità. Ciò provoca ad esempio nel Tom Jones di Henry Fielding un tale
prolungamento dell'istanza prefativa da costituire un trattato di poetica parallelo alla narrazione che, a guisa di supporto
infrastrutturale ed edificatorio, accompagna il lettore fino al termine.
Come ricorda il titolo stesso del volume di Genette1, la prefazione costituisce una soglia che il lettore deve varcare
attraversando uno spazio lungo il quale si sottopone a un esercizio di preparazione. Questa attiene sia alla materia sia alle
convenzioni formali attraverso cui viene presentata. Tuttavia, nella storia del romanzo moderno, un mutamento fondamentale
in termini contestuali, che emerge ad esempio in prefazioni quali quella di Congreve a Incognita (1691) o quella di Fielding a
Tom Jones (1749), ha a che fare con il modo di produzione stesso della letteratura. La prefazione di Congreve infatti, ancor
prima di giustificare una scelta di poetica, come farà ad esempio la famosa prefazione di Walpole a The Castle of Otranto
(1765) che introduce l'invenzione del romanzo gotico, mette in evidenza le mutate condizioni del rapporto fra il ruolo di
scrittore e quello di lettore. Attraverso un paragone del modo di produzione e di distribuzione della letteratura con quello del
cibo (non più elargito in seguito a un invito a pranzo, bensì consumato dietro pagamento alla taverna), l'ironia di Fielding fa
emergere tutta la diversità di una produzione letteraria offerta sul mercato rispetto a quella dipendente dal mecenatismo.
In questo ambito la prefazione assume un'importanza tutt'affatto nuova: infatti lo scrittore deve tener conto della varietà di
interessi che possono contribuire a promuovere il suo libro presso i consumatori. In questo modo elementi morali e diversivi,
didattici ed estetici hanno tutti pari rilevanza nella presentazione dell'opera. La produzione viene infatti ora promossa non più
da un committente singolare e socialmente elevato, ma da una pluralità di acquirenti, il numero dei quali in certo modo
supplisce all'abbassamento sociale e qualitativo dell'interlocutore dell'opera. D'altra parte, proprio in corrispondenza della
diversificazione del pubblico, emerge più chiaramente l'aspetto soggettivo della fruizione artistica. Il riconoscimento del
concetto di gusto si presenta in una peculiare forma dinamica che frantuma e diversifica l'omogeneità della precedente
oligarchia culturale. A tale questione risponde ad esempio in Fielding la presenza di una perdurante necessità esplicativa,
testimoniata dalla quantità di introduzioni/prefazioni alle varie parti del suo romanzo, che egli paragona alla lista delle vivande.
In effetti in Fielding appaiono in evidenza due circostanze che accompagnano la riflessione sulla letteratura in questo periodo.
La prima è la consapevolezza della novità, cui segue la necessità di formalizzare una nomenclatura adeguata a esprimere tale
coscienza; la seconda è data dal rapporto oggettivamente percepibile con la tradizione, necessario a fornire un contesto di
riferimenti per orientare il "critico", laddove per critico, nel caso di Fielding, dobbiamo intendere la singolare sensibilità di un
personaggio capace di mediare e riunire in sé gli interessi dello scrittore e quelli del pubblico.
Il richiamo all'epica è ricorrente nel dibattito teorico sia letterario sia filosofico per spiegare la natura del romanzo (da
Cervantes a Goethe a Hegel) e si muove tra il rimpianto di tempi e generi di più vasta risonanza significativa e l'accettazione
pragmatica di condizioni, e quindi opere letterarie, adeguate a "un'età della prosa". Lo spirito, non privo di una connotazione
agonistica, con cui Fielding, ma anche Defoe, Richardson e altri sembrano affrontare questa condizione potrebbe definirsi un
positivo spirito di intrapresa, di volta in volta o insieme, esplorativo, didattico e satirico. L'abito categoriale della classicità
impone talora, persino agli autori più innovativi come Richardson, un richiamo a una terminologia e anche a concetti, come
ad esempio quello di natura, sotto i quali dobbiamo intendere l'idea di rappresentazione dell'esperienza concreta propria del
realismo. In questo sovrapporsi di parole vecchie per dire cose nuove si deve cogliere la difficoltà di razionalizzare
correttamente in termini di teoria ciò che nei procedimenti pratici della tecnica letteraria era di fatto la formalizzazione di una
ricerca autentica.
Dalle prefazioni e da ogni intervento specifico o generico sulla questione della narrativa in prosa appare infatti preminente un
interesse antagonistico volto a distinguere le nuove forme e i nuovi intenti da quelli del romance. Nel 1691 Congreve per
primo descrive con molta chiarezza e perspicuità la contrapposizione tra romance e novel in termini di personaggi alti e
personaggi ordinari, azione eroica e vita comune, impresa sovrumana e azione verosimile, meraviglioso e riconoscibile
all'esperienza, oltre a rilevare la differenza di intenti e di effetti. Nel romance il meraviglioso lascia stupefatto il lettore che si
immerge in un mondo straordinario rispetto alla sua esperienza, proietta sui personaggi dei sentimenti e un trasporto emotivo
che lo avvincono e dai quali riemerge come da un mondo di sogno. Nel novel invece l'effetto non è la meraviglia ma il
divertimento che si trae dal riconoscere fatti e caratteri riscontrabili nella propria realtà. Il perdurare dei termini di questo
confronto è testimoniato dalla ripresa degli stessi temi, quasi un secolo dopo, nelle osservazioni di Clara Reeve (1785) che
riafferma la distinzione tra novel e romance sulla base delle consuete categorie di verosimiglianza, contemporaneità, livello
basso mimetico dei personaggi, contrapposto al favoloso e all'eroico.
E' tuttavia anche interessante notare le osservazioni sul succedersi del novel al romance e in seguito sulla confusione tra i due
generi che esige ora il ricorso a definizioni chiare e distinte. Il valore del novel è riconosciuto nell'effetto di realismo che
conduce il lettore a un'identificazione con i personaggi. L'attribuzione di questa nuova facilità all'identificazione, che non tiene
conto di come il lettore tendesse comunque a identificarsi anche con i personaggi del romance, illustra più che le intrinseche
capacità mimetiche del realismo, il venir meno della possibilità dell'identificazione precedente, perché, soppiantato dal nuovo
genere letterario, il romance pare ora inverosimile e quindi inadatto a quel consumo utilitaristico. E' evidente qui la
razionalizzazione in termini di funzione mimetica di un mutamento di gusto e di un succedersi di poetiche che ricorre nella
storia dell'arte e della letteratura. Ad esempio Lord Moniboddo (1776) trova notevole che nel novel anche i personaggi minori
ricevano dall'autore adeguata attenzione e caratterizzazione. Questo fatto non è valutato in termini di emancipazione
democratica ma in termini di vivacità, vale a dire di effetto e resa per il lettore. D'altra parte è tradizione, ad esempio in
Shakespeare, dal subplot di Midsummer Night's Dream al comic relief della tragedia, che i personaggi bassi siano comici e
diano vivacità. Ciò ora diventa invece rilevante perché alla differenziazione dei ruoli non corrisponde un distacco di livello
sociale tra i personaggi principali e quelli secondari, bensì una continuità etica che rappresenta o rispecchia un'uniformità del
mondo.
Se il requisito richiesto dal lettore non è più infiammare l'immaginazione bensì informare il giudizio, è allora evidente che il
novel è apprezzato per un intento formativo e documentario. La letteratura è al servizio dell'educazione, mentre gli scopi
attribuiti al romance sono descritti in termini di evasione nell'immaginario. In effetti vi è più una denigrazione del romance
per far risaltare le qualità del novel che non un equilibrato riconoscimento del fatto che il romance, sebbene in termini eroici
ed edificanti, aveva comunque un intento di propagazione di valori e credenze, ma erano valori di un altro pubblico con altre
ideologie non più in sintonia con gli interessi delle nuove classi medie.
Così tutta la visione del mondo pre-illuministica è bollata da Smollett come prodotto della credulità e l'opera di demolizione
di tale credulità in termini letterari viene percepita a partire da Cervantes e collocata poi nel romanzo picaresco di cui Smollett
vuole essere un discepolo, ma più verosimile. E’ sottesa a questa teoria socio-letteraria l'idea di progresso che, pur riconoscendo
una perfezione tecnicoestetica agli antichi, implicitamente privilegia la letteratura moderna per la maggiore plausibilità
contenutistica e una più accurata rappresentazione della verità. Mentre oggi la critica tende a recuperare una continuità,
ritrovando nel romanzo realistico una sintesi di elementi e generi precedenti, i contemporanei ne vedevano la comparsa come
una rottura rispetto alla tradizione2. Non è dunque un caso che questo atteggiamento sia espresso nel modo più netto da
Pamela, la protagonista dell'omonimo romanzo, proprio perché Richardson è dichiaratamente impegnato nella rivoluzione
culturale borghese. In questa prospettiva emerge anche la rivendicazione di un nuovo ruolo per la donna nella letteratura.
Pamela critica la funzione della donna quale premio al cavaliere vittorioso, premio che passa semplicemente di mano dal padre,
rappresentato come drago o mago malefico che la tiene prigioniera nel castello incantato, al marito cavaliere dotato di sole
qualità eroiche e non di virtù domestiche, che la rinchiuderà in un castello altrettanto incantato, in uno stato di detenzione
forse peggiore3.
Se dal punto di vista sincronico il rapporto del novel con il romance è visto soprattutto come contrapposizione, dal punto di
vista diacronico esso è inteso come una successione che rappresenta la fase in atto di uno sviluppo delle forme letterarie, la
consapevolezza del quale testimonia come il Settecento sia l'epoca in cui comincia a delinearsi l'interesse per una collocazione
storica anche della letteratura4. Perciò possiamo trovare in Thomas Holcroft il disegno di una genealogia delle forme della
narrativa, dalle vite dei santi che "nelle epoche buie" del Medioevo avevano quasi completamente cancellato l'eredità della
letteratura più antica e fondato sulla fede la credibilità del meraviglioso, alle storie fantastiche di mostri, giganti, santi e
cavalieri in cui sacro e profano, leggenda e mitologia, si mescolavano acriticamente in racconti di miracoli e prodigi. A queste
storie meravigliose sono succeduti i romance che trattavano la passione in modo iperbolico e in opere voluminose e pervase da
personaggi e incidenti ripetitivi. Holcroft delinea brevemente con grande lucidità l'evoluzione della narrativa, mostrando come
dalle oleografie delle vite dei santi si passi al romanzo cavalleresco, il quale rispecchia una trasformazione della necessità della
chiesa che ha bisogno di difensori in armi per cui il santo, nella difesa della cristianità contro i mori, si identifica con il
guerriero. Alla novità della materia corrisponde un'innovazione delle tecniche di rappresentazione e Holcroft percepisce quelli
che sono i requisiti narratologici del novel, vale a dire l'unità drammatica e la consequenzialità logica, con un richiamo a un
paragone con il teatro.
Mary de la Rivière Manley affronta la stessa questione con un atteggiamento che oggi si potrebbe definire da sociologia della
ricezione o da ricerca di mercato. Il confronto è condotto su due piani, quello geografico tra Francia e Inghilterra5 e quello
storico tra passato e presente. Osservando che il successo del romance in Francia ha coinvolto e attraversato tutti gli strati
sociali, essa ritiene tuttavia che, sia per il mutare dei tempi sia per il carattere del lettore inglese, il genere romanzesco sia ormai
venuto a noia e prevalga ora il gusto per storie che, per dimensioni ridotte, minore quantità di personaggi, capacità di creare
attese più radicate nella verosimiglianza, sono più adatte e soddisfacenti per il consumatore inglese contemporaneo. Pur senza
esplicitare questo nesso, sembra che Mary de la Rivière riesca a cogliere l'adeguamento dei nuovi generi letterari al mutato e
più rapido ritmo di vita, intravedendo il legame tra la motivazione sociale del mutare del gusto e una diversa fruizione del
tempo nell'ambito delle classi medie che produce l'obsolescenza della trama episodica del romance e l'instaurarsi dello sviluppo
drammatico dell'azione finalizzata a una conclusività esplicativa di carattere logico e cronologico.
Accanto a questo orientamento verso un'analisi contrastiva delle forme narrative, si riscontra peraltro una tendenza ad
accomunare sia le forme fantastiche sia le forme realistiche, vuoi con un atteggiamento denigratorio vuoi con un atteggiamento
apprezzativo. Sebbene Hugh Blair riconosca alcuni meriti di Defoe, Richardson e Fielding, che distingue dalla produzione
anonima e priva di ogni interesse, nonostante la sua diffusione, di fatto li considera appartenenti a una categoria minore nella
gerarchia della letteratura, dichiarandosi invece sostenitore dei generi d'élite senza peraltro connotarli dal punto di vista della
classe sociale. Il suo discorso di carattere morale e culturale vuole prescindere dall'omaggio a un successo già popolare per
argomentare distinzioni di livello intellettuale. Non si tratta più di aristocrazia e comuni, ma di qualcosa che precorre i concetti
di cultura alta e cultura bassa.
Sono ormai i librai-editori a essere divenuti "the patrons of literature" (Johnson) e la voga del romanzo viene criticata, non
senza il richiamo alla necessità di un impegno civile. Sul "London Magazine" (1749) novel e romance sono accomunati come
momenti di evasione per distogliere l'attenzione dei lettori dagli eventi politici. Al romanzo vanno contrapposti il teatro, la
musica e la scienza, la pittura e la poesia; infine i "polite prose essays" 'dello "Spectator".
Si vanno delineando, come possiamo osservare per esempio in un saggio di "The Adventurer" (1752), due teorie contrapposte,
quella dei sostenitori del novel e quella dei paladini del romance, che si avvalgono degli stessi dati di partenza. Sia l'una sia
l'altra riconoscono le caratteristiche fondanti dei due generi ma ne traggono conclusioni e conseguenze divergenti. I sostenitori
del novel trovano appassionante la riproduzione della loro esperienza concreta, quotidiana e bassa con cui identificarsi e su cui
investire le proprie emozioni e considerano arduo e noioso appassionarsi a imprese eroiche di personaggi troppo diversi da sé.
Al contrario, i sostenitori del romance giudicano arido e soffocante un romanzo troppo calato nella realtà, privo degli slanci
verso l'elevatezza degli ideali e la varietà del meraviglioso. In ogni caso in questo tipo di critica si distinguono due fasi: quella
della descrizione e classificazione dei generi, terreno comune, si potrebbe dire esercizio razionale, di autentica critica letteraria e
una seconda fase apprezzativa in cui ciascuna delle parti attribuisce valore a scelte opposte. Essendo in corso una battaglia di
carattere culturale il fine ultimo di queste prese di posizione è orientato a influenzare il lettore e quindi a prendere in
considerazione gli elementi dei generi per l'effetto che hanno. In questo interesse per i gusti, sia deprecati sia da educare,
emerge la percezione dell'accesso alla letteratura di un pubblico nuovo i cui gusti non sono formati o sono già traviati o sono
comunque modificabili, cioè in preda a una continua mobilità proprio perché si tratta di classi che emergono ora alla ribalta
della cultura, la cui formazione quindi è in via di attuazione e compimento. Non vi è cioè quella stabilità di valori che poteva
permeare l'aristocrazia cortese, anche se probabilmente, come ad esempio dimostrano gli studi ormai classici di Goldmann su
Corneille e Racine, anche presso l'aristocrazia potevano esserci differenzi azioni.
All'estremo opposto Sarah Fielding supera la contingente contrapposizione, comprende ed enuncia la complementarità
sistematica di tutti i generi letterari. Senza soffermarsi a distinguere in modo pedante, ovvero senza voler affrontare delle
distinzioni tecniche tra precetto e diletto, tra realismo e fantasia, vuole invece sottolineare la necessità di trovare modelli di
confronto e motivi di riflessione e identificazione negli esempi di ogni tipo di narrativa alta o bassa, più o meno sofisticata, più
o meno idealizzante o ironica, accomunando Sidney, Cervantes, Henry Fielding, Richardson nella curiosità del lettore per la
varietà di comportamenti umani. Il piacere della lettura è tutt'uno con la curiosità conoscitiva: lo slancio immaginativo non
viene ritenuto fuorviante bensì creativo.
La volontà di imporre il realismo trapassa comunque inevitabilmente nel tentativo più o meno riuscito di presentare la finzione
come realtà, il racconto (story) come Storia (History). La riuscita di questa strategia comunicativa è testimoniata ad esempio
dal fatto che la pubblicazione di Robinson Crusoe, presentato come storia vera, ha un risvolto pratico documentato nella
preoccupazione di alcuni lettori che il libro costituisca una pubblicità negativa al mestiere di marinaio così essenziale per la
fortuna della nazione britannica. Al contrario di Defoe, Fielding intende esprimere la coscienza dell'autore come legislatore
narratologico, vale a dire che ha il diritto/dovere, il compito e il privilegio di scegliere e stabilire il ritmo e le misure del
racconto, coniugando quindi natura e arbitrio, mimesi e invenzione, tradotti ed esemplificati quantitativamente in tempi e
valori del vissuto e del narrato. L'orgoglio creativo di Fielding è pari alla consapevolezza e alla padronanza del suo ruolo di
artefice che si assume la responsabilità di fissare i criteri con cui l'artista si adegua alla realtà. Egli sa che il lettore sarà obbligato
a seguirlo, correndo o rallentando sul percorso alla velocità che egli impone.
Se dunque Defoe veste la sua finzione con la maschera della realtà, Fielding non teme di mostrare la sua realtà come artefatto,
fiducioso che chi legge sappia capire che il contenuto di realismo del nuovo genere non è il documento ma una "history" sui
generis. D'altra parte si richiede talvolta che la plausibilità della scrittura trovi riscontro nella materia stessa della narrazione.
Emerge l'idea del livello sociale adatto a porsi come oggetto della rappresentazione narrativa, tracciando quei confini entro i
quali l'ideologia dominante riempie di senso il concetto di realismo. Perciò gli scrittori sono sospettati di essere falsi sia quando
scrivono di personaggi umili sia quando scrivono di personaggi troppo altolocati. Nella prefazione a Roxana Defoe afferma che
la storia è tanto vera e ambientata in luoghi reali che ha dovuto cambiare i nomi alle persone e ai luoghi in modo che i
protagonisti non fossero riconoscibili. Similmente Moll Flanders, in apertura dell'omonimo romanzo, sostiene di non potersi
presentare con il suo vero nome, perché troppo conosciuto nella prigione di Newgate e presso il tribunale di Old Bailey6.
Affine all'accusa di falsità è l'accusa di ignoranza rispetto agli ambienti descritti perché uno dei compiti affidati al nuovo genere
realistico è anche di carattere divulgativo, in una pluralità di ambiti culturali, sociali, economici, di costume. Per la diffusione
di "useful information" (Johnson) il romanzo realistico può ricorrere anche all’inserimento di documentazione tratta dalle sedi
opportune. A metà strada tra lo sforzo documentario e il rovesciamento parodico di tale compito, Sterne elenca tutta una serie
di fonti necessarie a dare concretezza al racconto resoconti, aneddoti, iscrizioni, storie, tradizioni, personaggi, panegirici,
pasquinate, pergamene, registrazioni, documenti, infinite genealogie.
Gli attestati di veridicità, nei quali gli autori tendono a gettare le fondamenta del realismo, svelano talvolta l'implicita e più o
meno sottaciuta convinzione che la letteratura si costituisca attraverso un processo inventivo di necessità contaminato da
un'intrinseca dimensione iperbolica e sensazionalistica. Clara Reeve fa dire ad esempio ai suoi personaggi Hortensius ed
Euphrasia che la passione esaltata nella Héloïse di Rousseau è altamente nociva per la gioventù; tale censurabile argomento
dovrebbe essere controllato dalla ragione e dalla religione attraverso una riscrittura dell'opera da cui fosse eliminato l'atto
sessuale. Non stupisce quindi che lamentele analoghe sui perniciosi effetti delle descrizioni di trasporti amorosi trovino una
voce all'interno di Pamela, dove il controllo della passione è personificato nella protagonista. In Grandison si arriva a
colpevolizzare la letteratura a partire da Omero e si sostiene che l'epica come genere dimostra per i suoi intenti di
amplificazione della realtà la pericolosa attitudine letteraria a esaltare la violenza e a propagare falsi valori.
Al di là dell'istanza moralistica ciò evidenzia l'emergere di nuove prospettive nell'ambito del gusto. Accanto alla
preoccupazione etica infatti Richardson non manca di sottolineare nella presentazione delle sue opere la novità della
naturalezza del linguaggio che, messa a confronto con le inutili lusinghe dell'oratoria, degli abbellimenti, degli orpelli retorici,
privilegia i valori della semplicità e della solidità. Su questa via l'esigenza di presentare le parole di Pamela "così come lei le ha
scritte" apre già all'idea moderna di autenticità. Sebbene autenticità e semplicità si colleghino in Richardson all'intento morale
e l'immediatezza dei sentimenti anticipi gli sbocchi verso una compassione etica per un'umanità innocente e idealizzata tipica
del sentimentalismo, appare preminente tuttavia il rigoroso e combattivo impegno dell'autore per imporre la poetica del
realismo. Con lo stesso intento anche l'anonimo narratore di The Finished Rake rivendica, proprio dichiarando di non essere
un uomo di lettere, l'efficacia morale di una narrazione che provenga direttamente dal protagonista delle avventure. Ma
rimanere fedeli a un criterio di autenticità può essere non scevro dal pericolo che la materia stessa imponga un'espressione non
sufficientemente moderata dall'equilibrio, e allora "a true description of nature" rischia di divenire fonte di divertimento e non
di insegnamento. Secondo Johnson è proprio l'abbassamento dei personaggi, che il lettore vede collocati al suo stesso livello
sociale e morale, ad accrescere la pericolosità degli effetti. L'argomentazione si compone dunque di tre elementi: la materia e i
contenuti della storia, le tecniche espressive, sempre in pericolo d'essere piegate alla passione o di intensificare, attraverso la
suspense creata dall'intreccio, la partecipazione emotiva del lettore, e infine gli atteggiamenti e le intenzioni sempre morali e
istruttive immancabilmente proclamate dagli autori.
Se in quelle romanziere, come Mary de la Rivière Manley e Eliza Haywood, ancora legate alla dimensione sensazionalistica del
romance7, è evidente la necessità di giustificare le loro scelte sia con gli stessi argomenti dei sostenitori del novel sia con
l'adozione di finali moralistici, più sincero e funzionale appare l'intento didattico di Richardson che, identificando eroina e
virtù (le avventure di Pamela sono le avventure della virtù premiata), rende chiaro come nel romanzo del Settecento la
dimensione individuale è sempre allo stesso tempo il veicolo di una dimensione esemplare che trascende il personaggio.
Un ampio spiegamento di tutti gli aspetti di questa problematica è reperibile anche nelle molteplici prefazioni di Defoe dove i
consueti elementi sono presentati con una sapienza retorica senza pari. Nella prefazione a Roxana ad esempio si discute non
solo della veridicità della storia ma anche dei modi di dimostrarla e appurarla. Il vizio è controbilanciato dal sentimento, la
crudezza dei fatti è attenuata dalla cura dell'autore. Le buone intenzioni etico-didattiche non possono essere fraintese se il
lettore collabora con eguale senso di responsabilità. Il vizio è descritto per insegnare a difendersi da esso, cosicché è inevitabile
convenire sull'utilità della pubblicazione. Nella prefazione a Robinson Crusoe la giustificazione didattica si trasforma in diretto
appello reclamistico. "Wonders" e "variety" riuniti in "the life of one man" congiurano nell'esaltare la saggezza divina anche
nelle circostanze apparentemente sfavorevoli. Autenticità, serietà e divertimento dimostrano l'utilità della pubblicazione e le
benemerenze dell'editor per avere intrapreso un'operazione editoriale che si augura abbia successo.
Un eguale spiegamento di giustificazioni dell'autenticità della storia sostiene la prefazione di Moll Flanders, anche se con
malizia ci si sofferma a vantare la gravità dei vizi e dei crimini che sarebbe stata attenuata dalla versione del trascrittore.
Seppure negandolo, si ammette che la parte criminale è più brillante e attraente che non la parte moraleggiante e tuttavia,
anche in questo caso, si rinvia la responsabilità dell'effetto alla responsabilità del lettore. Si affaccia qui il problema sempre
attuale dell'uso di argomenti ritenuti pericolosi da parte di operatori culturali nel rapporto con un pubblico presso il quale le
conseguenze della comunicazione non sono controllabili. Fatte le debite proporzioni si discutono già situazioni paradigmatiche
tipiche della cultura di massa con riflessi conseguenti sulle questioni della censura e dell'autocensura8. La grande modernità e
consapevolezza di Defoe riguardo a questi argomenti emergono anche nella prefazione a Colonel Jacque, che si apre con una
riflessione, metacritica si potrebbe dire, sulla necessità e insieme sull'inutilità della prefazione, sulla presunzione di merito e il
merito stesso dell'opera. Di qui lo spunto per illustrare l'utilità dell'opera oltre l'orizzonte del lettore empirico per "so many
thousands of all ranks in this nation", coinvolgendo "publick schools and charities" e, attraverso queste istituzioni, aprendo un
discorso sulla "miserable condition of multitudes of youth". In questo modo l'intento didattico assume una colorazione sociale
che illustra la coscienza sociologica di Defoe che, come documentano peraltro le sue opere saggistiche, pur calata in una vena
di filosofia morale e dottrinale, fatta di virtù, di peccato, di redenzione, si fonda su una conoscenza pratica delle reali
condizioni dei personaggi, dei ceti sociali e della storia politica della nazione inglese.
Diversi interventi documentano come sin dalla prima epoca del romanzo il genere è accompagnato da accenti polemici che
nello sviluppo della sua storia sono divenuti, sotto diverse forme e in contesti successivi, accuse e preoccupazioni ricorrenti:
l'eccessiva produzione di libri inutili e la conseguente difficoltà di far leggere libri seri e non di puro intrattenimento; le
apparenze ingannevoli dei titoli; la frivolezza o la pericolosità morale delle storie; la corruzione del gusto; l'indulgenza degli
scrittori a compiacere le inclinazioni peggiori dei lettori; la tendenza al sensazionalismo; la selezione dei peggiori esempi nella
traduzione dalle letterature straniere (francese); la preoccupazione a non tradire completamente i buoni principi della
letteratura nazionale. Non ultimi appaiono accenti di un non velato femminismo, come in Pamela, dove si dice che una
lettrice dovrebbe evitare una lettura che esaltasse l'altro sesso e avvilisse il suo.
L'assillo moralistico trova gli accenti più esagitati e catastrofici in un personaggio di Oliver Goldsmith che documenta
l'inquietudine tipica di fronte all'emergere di nuove mode. Anche Knox si preoccupa, come Johnson, soprattutto dei lettori
giovani e inesperti, della loro naturale attenzione all'amore che li rende inclini a imitare nella vita le scene amorose di cui
leggono. Tutto ciò ben al di là delle intenzioni pur commendevoli sia di un Richardson sia di un Fielding sia di uno Smollett.
Si consiglia che la lettura di queste opere, pur di gran merito letterario, sia riservata a persone più mature.
La pericolosità del nuovo genere è attribuita soprattutto alla presenza del tema amoroso, che è materia tradizionale delle storie
romanzesche ma che ora, proprio perché definitivamente allontanato dai tornei cavallereschi e attualizzato nel mondo
contemporaneo, infiamma l'immaginazione dei giovani, distogliendoli da occupazioni virtuose e più proficue letture,
rendendoli inclini a imitare nella vita le vicende di cui leggono; il tutto aggravato dalla politica di un'editoria che sta già
diventando "popolare" attraverso la diffusione delle biblioteche circolanti e sfruttando la venalità degli autori.
Mentre si profila minaccioso lo scontro tra le ineludibili necessità del mercato editoriale e l'impegno di una nuova letteratura
che non può rinunciare alla sua funzione educativa, l'ironia della Austen chiama a raccolta il nuovo "sodalizio vilipeso" degli
autori di romanzi, dispensatori di istruzione e non solo di divertimento, ma sempre incompresi e denigrati. Se la saggistica un
tempo era educativa, ora a fine secolo9 espone situazioni improbabili ed eventi artificiosi in un linguaggio grossolano. Al
romanzo è riservata l'esattezza del linguaggio e affidata la funzione conoscitiva della comunicazione culturale. Questo è il
messaggio di un’autrice a lungo ritenuta priva di un giudizio avvertito e militante riguardo ai compiti della sua arte.
Più libero da preoccupazioni moralistiche, e volto invece alla funzionalità e all'efficacia degli effetti, è il dibattito sulla trama,
oggetto di un processo di individuazione che si basa sul paragone e la distinzione con l'intreccio degli altri generi e
significativamente testimonia come "non esistono invenzioni di generi ex nihilo, ma solo riadattamenti, mescolanze o
ampliamenti a partire da orizzonti generici già disponibili"10.
Congreve discute della trama avendo come punto di riferimento il teatro, consapevole peraltro della diversità delle componenti
all'origine dei due generi. Ciò lo porta inevitabilmente a considerare che il romanzo può avere una trama meno serrata e
dialettica, tenuto anche conto che esso acquisisce un intreccio a sviluppo drammatico quanto più si avvicina al modello
realistico e si allontana dall'articolazione episodica derivata dal romance. D'altro lato Congreve non sottovaluta l'importanza
della trama come stimolo all'interesse del lettore e i problemi della costruzione dell’intreccio e della sua soluzione, il che fa sì
che ciò che potrebbe essere apprezzato a teatro come unità d'azione possa risultare, nel romanzo, solo uniformità prodotta
dall’espediente dell’artifizio.
Intorno al problema della trama si dispongono tutti i discorsi sulle tecniche del nuovo genere come specifica incarnazione della
narratività. La discussione sull'unitarietà e la molteplicità dell’intreccio vede prevalere una tendenza unificante che valorizza la
coerenza e la concentrazione, sfrondando la tipica diegesi divagatoria ed erratica dell'avventura. Viene apprezzata la linearità e
la funzionalità di una trama che eviti gli eccessi dell’interpolazione e dell’accumulazione di storie che possano confondere il
lettore. Non a caso dunque tale linearità è rifiutata dal romanzo gotico che tende a prosperare nell'interpolazione e
nell'agglomerazione, fino alla celebrazione dell'artifizio dell'incastro a scatole cinesi di Melmoth the Wanderer (1820) di
Charles Robert Maturin. Questo orientamento è conforme all'ideologia regressiva che il genere gotico rappresenta, come
ritorno del rimosso sovrannaturale con intenti terrorizzanti nei confronti del razionalismo borghese. Il suo stesso nome indica
un allontanamento nel passato che cerca riparo dalla contemporaneità e dalla realtà. Da questa influenza sulla costruzione della
trama come congegno tecnico più o meno lineare, cui è sotteso un significato ideologico, non è immune il romanzo storico,
appunto perché pone di necessità la sua materia nel passato. Secondo la Manley anche il romanzo storico, se ha il merito di
costruirsi intorno a un evento principale soltanto, e non a tanti episodi, spesso ha però il difetto di avere delle trame secondarie
che deviano e ritardano il piacere dello scioglimento principale.
Si può osservare che mentre il realismo è alla ricerca di forme e formule atte a esprimere e a definire le nuove realtà sociali e
storiche, questa ricerca non opera in modo dispersivo, ma ha come matrice profonda la volontà di costituire la nuova
soggettività e quindi seleziona quasi naturalmente artifizi e meccanismi di coesione, individuazione e stabilità, per cui la forma
della trama, a guisa di struttura drammatica portante, diventa una caratteristica definitoria del nuovo genere.
Ma il nuovo genere non è solo oggetto di un procedimento compositivo diverso dalla letteratura antica; anche il metodo di
lettura deve cambiare. Se per Fielding il lettore è un compagno di viaggio e deve seguire i ritmi di un autore che, proprio
perché conosce l'itinerario della storia, può stabilire le tappe, le soste e il momento del congedo finale, Richardson sembra
voler rifuggire dalla responsabilità implicita nella creazione di un disegno generale dell'opera condotto secondo un'intenzione
programmatica. Egli dichiara che il suo metodo di lavoro non prevede una pianificazione della trama e degli incidenti sulla
quale poi tessere quello che oggi in termini narratologici si definisce discorso. La lunga similitudine in cui egli si paragona a
una vecchietta che tiene viva con piccoli espedienti la fiamma della sua ispirazione come un focolare sembra non solo escludere
una strategia compositiva razionalizzata, ma voler accentuare la contingenza e la precarietà umorale che indirizza il reperimento
della sua materia. Se questo minuzioso raggranellamento degli elementi compositivi sembra sostanziarsi di motivazioni
minuscole, che rispecchiano la minuziosità cronologica della finzione epistolare, certamente meno credibile appare la penuria
ideale della sua ispirazione che non corrisponde né alla plausibile intenzionalità pragmatica di Pamela e di Grandison né al
vasto disegno tragico di un'opera come Clarissa. E tuttavia la dichiarazione di Richardson mette in luce come il percorso
dell'autore del nuovo genere sia costituito dal reperimento e dall'elaborazione empirica di dettagli; la storia quindi non può
comporsi secondo un disegno preesistente, è costretta ad accettare il mutamento e la mobilità.
Come sempre Sterne offre un risvolto interpretativo alle tendenze dominanti. La sua ironia irride al "colpevole gusto" di chi,
inseguendo l'avventura, trascura "l’erudizione profonda" che può impartire un libro dove la narrazione si può allungare senza
tener conto né dell’importanza né del tempo reale dell'avvenimento. E proprio in quello che Calvino ed Eco chiameranno
l'indugio, come già mette in luce l'intelligenza teorica di Sterne, creato dallo scarto tra fabula, trama e discorso, che si deve
situare l'esplorazione del lettore, la congettura, la divagazione.
Come si è già intravisto nell'accenno di Richardson alla pianificazione del compito dello scrittore, un caso del tutto particolare
è dato dalla trama del romanzo epistolare. La lettera come mezzo di espressione implica un'apertura ai sentimenti simile a
quella della confessione e una piena partecipazione emotiva agli eventi che tende a prevalere sulla cronologia e sulla
consequenzialità. Ogni lettera ha una sua unità di tempo che Richardson definisce "instantaneous", All'interno di questi istanti
si può ricostruire un dialogo di tipo drammatico. La narrazione in un certo senso è esterna alle lettere, cioè costruita dal
succedersi di esse. L'intervento dichiarato dell'editor consiste appunto nell’articolare e selezionare questa successione per
supplire all’intrinseca frammentarietà che per altro verso, nella scansione casistica della vicenda, permette a Richardson di
soffermarsi sulla precettistica morale. Richardson fa parlare solo i personaggi con la tecnica del punto di vista molteplice. In
Clarissa il lettore riceve informazioni da quattro principali fonti e da altre minori. E’ compito dell'autore orchestrare queste
voci in una dimensione organica. Nell'esplicitazione da parte di Richardson di come un intento istruttivo, insegnare a scrivere
lettere, si trasformi in un intento educativo, come agire e pensare moralmente, si rivela che uno stile, una poetica, un genere
sovente nel suo stesso ordinamento tecnico trasmette un ordine di valori. Un modello letterario si offre sempre anche come un
modello di vita. Come dice Kermode la critica del romanzo è anche sempre filosofia della storia11.
Richardson è consapevole del rapporto corrispondente/lettore che la contemporaneità di avvenimento e narrazione istituiscono
e distingue tra una narrazione al tempo passato, che denota il racconto, gli eventi già avvenuti e quindi risolti, e una narrazione
al tempo presente e passato prossimo da un punto di vista interno all'azione, dove il passato è appena accaduto e lo scrivente è
ancora nell'orbita delle sue conseguenze, ma soprattutto è ancora in attesa di uno sviluppo non ancora verificatosi. Perciò
Richardson può parlare di un personaggio di fronte all'incertezza del suo fato, ed è questa incertezza che a suo parere ha
maggiore efficacia sul lettore. Si può qui notare come sin dalle origini emergono problematiche poi sempre riprese in vario
modo dalla critica alla narratologia, riaffioranti ad esempio nelle considerazioni di Roland Barthes sul grado zero della
scrittura12.
L'altra categoria centrale in un'azione narrativa la cui evoluzione caratterizza la storia del genere attraverso i tre secoli della sua
esistenza è il personaggio. Anche chi come Smollett ad esempio ha una visione dichiaratamente organica dell'opera,
considerando i suoi elementi in una configurazione come valori organizzati in un piano, ritiene che questo deve vedere in un
protagonista il vettore unificante che in qualche modo attraversa il labirinto eterogeneo della realtà. Il protagonista è quindi un
personaggio guida che trascende e attraversa le vicissitudini e raggiunge il suo scopo alla fine della storia.
Sono già espliciti i termini di quel dibattito che viene a maturazione nell'Ottocento nella distinzione tra "novel of plot" e
"novel of character", cioè romanzo fondato sull'intreccio e romanzo fondato sul personaggio. In Henry e Sarah Fielding la
contrapposizione è estremamente sintetica. Henry Fielding è incline a privilegiare l'azione che si esplica e ha un effetto nel
mondo. Sarah privilegia le motivazioni, e quindi preferisce avvalorare le interpretazioni soggettive delle azioni. Sebbene
entrambi sostengano che lo scopo del lettore è capire, Henry pone l'accento sulle conseguenze, trova che il mezzo di
comprensione è la conseguenza pratica di ciò che passa nell'animo umano. Sarah invece vuole capire l'animo umano stesso. La
questione è discussa da Scott in altri termini, attraverso una valutazione e una discussione dei giudizi di Johnson sui due autori,
Richardson e Fielding, che rappresentano i prototipi di questi modi di realizzare il romanzo. Scott interviene su una
similitudine usata da Johnson e ripresa ancor oggi nelle discussioni critiche aggiornate in termini di formalismo e semiotica da
un lato e di contenutismo ed effetto poetico dall'altro. Si tratta del paragone tra il testo, in questo caso il romanzo, e un
meccanismo, in particolare un orologio. Johnson paragona Richardson a un uomo che sa come è costruito un orologio e
Fielding a un uomo che sa soltanto dire l'ora guardando il quadrante. Scott corregge tale similitudine, ritenendo entrambi gli
autori eccellenti meccanici e sostenendo che l'orologio-romanzo di Richardson mostra gran parte del meccanismo interno che
fa girare le lancette, mentre l'orologio-romanzo di Fielding mostra solo le lancette, perché è tutto ciò che i lettori vogliono
sapere.
Un'altra metafora assimila la scrittura di Fielding alla rapidità di un disegno e quella di Richardson alla compiutezza di un
quadro. Quest'ultimo comporta una maggiore pesantezza rispetto alla leggerezza dell'altro, tanto che Johnson stesso ammette
una certa tediosità in Richardson. Di qui la famosa opinione che se leggete Richardson per la storia potete andare a impiccarvi,
dovete leggerlo per il sentimento.
Per Scott, Richardson è più istruttivo e Fielding più divertente. Tom Jones può essere aperto a caso mentre un'opera di
Richardson deve essere letta a lungo per ottenere il suo effetto patetico. Un più accurato disegno del personaggio richiede
maggior tempo. Tutto ciò nelle dovute proporzioni perché richiamando il detto di D'Alembert, "va bene imitare la natura ma
non fino alla noia".
Questa discussione si protrarrà fino ad oggi in un itinerario evolutivo che prevede una progressiva acquisizione di importanza
del personaggio e della sua coscienza a scapito dell'azione, fino a quella immersione subacquea nell'inconscio che prelude alla
morte del soggetto inteso come vita morale dell'io13.
Richardson è l'artefice del personaggio e della sua coscienza e Fielding è l'artefice della trama e dell'azione. Scott cita Johnson
che preferisce Richardson perché a suo parere penetra più a fondo nel cuore umano. In questo senso, con un criterio che
premia l'originalità e l'innovazione, Richardson è apprezzato in quanto scopritore di un nuovo stile di scrittura e con una lunga
similitudine paragonato ai grandi scopritori geografici come Cook che seguono, tracciano e sondano baie, insenature e coste,
profondità e bassi fondali, prendendo nota di ogni minuta sinuosità di un profilo costiero. In altri termini si contrappongono
"characters of nature" e "characters of manners". "Nature" si oppone a "manners" come qualcosa di intrinseco alla natura
umana rispetto ai costumi sociali. In questo senso un aspetto individualistico è contrapposto alle forme culturali dei rapporti
umani. Senza mai nominare la parola commedia, o al suo posto l'equivalente moderno della tragedia, il dramma serio, Johnson
sostiene che i "characters of manners" sono più divertenti ma più superficiali dei "characters of nature", la cui illustrazione
deve tuffarsi nella coscienza.
Nella discussione sul personaggio, come nel caso della trama, si impone quale argomentazione ricorrente la questione della
verosimiglianza, da intendersi come probabilità delle vicende e coerenza dell'agire di protagonisti non privi delle riconoscibili
imperfezioni fisiche e morali proprie della natura umana. Se l'abbassamento del personaggio al livello dell'uomo comune è
opinione condivisa dai sostenitori del romanzo realistico, e d'altra parte persino Walpole vuole che i suoi personaggi si
comportino in situazioni straordinarie come uomini e donne qualsiasi, questa scelta è presentata con motivazioni e
sottolineature diverse. Nella Manley, nei cui interventi pur farraginosi si fanno strada intuizioni che precorrono una visione già
consumistica e popolare della narrativa, il lettore deve essere indotto a credersi affine al personaggio, legato al suo destino,
libero di giudicarlo, senza inutili prescrizioni dell'autore che non deve intervenire ma ritenersi uno storico imparziale. E,
peraltro, un elogio ancora maggiore che alla storia dei grandi uomini deve essere fatto alla storia di uomini comuni che
presentano quella combinazione di bene e di male, di qualità e difetti, in grado di produrre l'alternarsi di buona e cattiva sorte
su cui costruire un'efficace lezione di costume e di morale. In questo senso Fielding si dichiara attento a presentare personaggi
che possano suscitare ammirazione, ma anche compassione, ci insegnino la virtù inducendoci a evitare i guai che i vizi
producono. Per Richardson è la particolare natura del personaggio femminile, legato alla finezza dei sentimenti e alla
delicatezza morale, a renderlo adatto a essere portato ad esempio. Ma anche nel caso di Clarissa è necessario che l'autore,
attratto dalla sua esemplarità, non dimentichi la coerenza, la sua verosimiglianza in rapporto alle condizioni ambientali, al
contesto della società, alle circostanze dell'azione. In questo senso egli può dire che le imperfezioni del personaggio sono
necessarie a rendere Clarissa perfetta nel sistema dell'opera, vale a dire tenendo conto sia delle sue capacità sia della sua fragilità
nei confronti del suo antagonista.
Per concludere, sebbene il romanzo realistico nasca senza una coscienza teorica della propria autonomia, tutti i suoi elementi
sembrano concorrere alla ricerca di un'identità tecnica e funzionale e vengono discussi per il contributo che forniscono alla
nuova impresa in corso. In tale discussione non si rifiuta la ripresa di concetti della retorica classica attualizzati e adeguati a una
materia inferiore e, attraverso analogie e paragoni, si cercano le radici nella storia, nella biografia e nell'epica. Lo sforzo teorico
più evidente e prolungato è peraltro dovuto alla necessità di distinguersi e separarsi dal romance in una sorta di cambiamento
di pelle della narratività.
La visione più ampia di questi mutamenti è quella offerta da Johnson che, oltre a occuparsi di problemi strettamente tecnici,
parla del romanzo collegandolo al concetto di letteratura e di letterato, consapevole del mutare della funzione dello scrittore in
rapporto ai nuovi tempi, giungendo alla conclusione che il letterato "deve uscire nel mondo". Sebbene in termini di cautela e
presa di distanza dall'efficacia che, nel bene e nel male, la concretezza del realismo può avere sul lettore, Johnson riconosce la
novità di questa intrapresa e l'intento pragmatico del nuovo genere che incarna la tendenza della letteratura a uscire dalla
finzione per influire sulla vita.
L'altra dimensione fondamentale del realismo è quella epistemologica correlata al razionalismo delle nuove classi medie e alla
nuova concezione della natura da imitare, che prescinde da una visione strettamente universalistica per avviarsi a un'idea
dell'uomo caratterizzato in termini di soggettività. Lo spostamento che inizia ora dall'oggettivo al soggettivo pone l'interesse
del personaggio non in ciò che ha di comune, ma in ciò che ha di personale. La posizione dell'uomo non è più immutabile,
ideale, bensì empirica e alla fine storica, scaturendo dal rapporto tra uomo, mondo e natura, tra natura e società, tra storia
sociale e storia individuale. Il romanzo si propone di esplorare proprio questo tipo di rapporto e la storia del romanzo sarà la
storia di questo processo.
Notes
1
G. Genette, Seuils, Seuil, Paris 1987; trad it. Soglie, Einaudi, Torino 1989.
2
Sebbene oggi si cerchi di reintegrare in una visione più equilibrata gli elementi di continuità tra romance e novel, proprio
perché osserviamo i due fenomeni da un punto di vista lontano in una prospettiva di grande periodo (Mackeon, Scholes,
Sertoli), i contemporanei, a diretto contatto con la trasformazione e il mutamento e direttamente coinvolti con gli interessi che
i due generi implicitamente e apertamente rappresentavano, non potevano che vedere questa evoluzione come un distacco e
una conflittualità. La ricerca della genealogia del novel è invece inizialmente inquadrata in una teoria del progresso che quindi
tende a svalutare l'origine.
3
Vedi su questi temi P. Nerozzi Bellman, Virtù e Malinconia, Marcos y Marcos, Milano 1990.
4
P. Nerozzi Bellman, La modernità come storia: primitivismo, medievalismo, neogotico, in Storia della civiltà letteraria
inglese, Utet, Torino 1996, vol. II, pp. 147-162.
5
Nella documentazione dei rapporti del mutamento dei gusti e dei generi letterari tra Francia e Inghilterra è interessante
notare che la prefazione alla traduzione inglese del trattato di Huet sull'origine del romanzo (R-D. Huet, Traité de l'origine
des romans, 1670, trad. it. Trattato sull'origine dei romanzi, a e. di R. Campagnoli e Y. Hersant, Einaudi, Torino 1971)
riconosce l'utilità e anche il prestigio di un testo di successo in ambito francese, il che testimonia una mancanza di pregiudizi e
di chiusura del contesto letterario inglese senza peraltro alcun sentimento di soggezione culturale vantando altresì la capacità
britannica non solo di accogliere e di assimilare, ma anche di sviluppare e migliorare gli elementi acquisiti.
6
Questo espediente permane in tutte quelle narrazioni che nascono sulla premessa di basarsi su storie reali, da William Wilson
di Poe fino ai titoli di coda dei film dei nostri giorni.
7
Shéhérazade in Inghilterra. Formule narrative nell'evoluzione del "romance inglese", a c. di P. Nerozzi Bellman, CisalpinoGoliardica, Milano 1983.
8
Un dato importante è quello relativo alla controllabilità del pubblico. Si evidenzia un carattere qualitativo della
comunicazione, radicalmente modificato dal fatto che l'autore non scrive più per un pubblico limitato ai suoi pari e ai suoi
committenti, presso i quali può riscontrare le conseguenze dei suoi scritti, discutere la validità delle proprie idee, intervenire
per riaffermare o smentire le interpretazioni o le distorsioni del suo messaggio. In questo senso il messaggio diventa
incontrollabile sia nel suo significato sia nei suoi effetti, con conseguenze imprevedibili del proprio agire culturale. La creazione
di intermediari diversi dall'autore, come ad esempio i curatori di Defoe, posti dall'autore a svolgere una funzione di
testimonianza veritativa sull'autenticità del testo, vengono ovviamente percepiti, una volta smascherata la loro natura inventiva,
come ulteriori interfacce della finzione e quindi spie dell'autoriflessività letteraria. In Defoe l'intenzione di fissare un'identità
testuale, che è quella del documento autobiografico, si combina sempre con l'intenzione di un'esemplificazione ideologica.
9
Nortbanger Abbey pubblicato postumo nel 1818, era stato scritto nel 1797.
10
J.-M. Schaeffer Qu'est-ce qu'un genre littéraire, Seuil, Paris 1989; trad. it. Che cos'è un genere letterario, Pratiche Editrice,
Parma 1992, p. 136.
11
F. Kermode An Approach through History, in Towards a Poetics of Fiction, a c. di M. Spilka, Indiana U. P., Bloomington
1977, pp. 23-40.
12
13
R. Barthes Le Degré zéro de l'écriture, Seuil, Paris 1953; trad. it. Il grado zero della scrittura, Lerici, Milano 1960.
L. Terzo Mrs Woolf, Mr Bradbury e Mr Derrida, in Una lettura per bene, Marcos y Marcos, Milano 1989, pp. 107-093.
This article was originally printed in Patrizia Nerozzi Bellman, Alle origini della letteratura moderna, Bruno Mondadori, Milano
1997, pp. 9-35.
It has here been published with the kind permission of the author, who detains the copyright.