Gli argomenti umani
Collana di studi linguistici e retorici
fondata da Bice Mortara Garavelli
e diretta da Bice Mortara Garavelli, Angela Ferrari,
Francesca Geymonat, Federica Venier
18
Volume pubblicato con il sostegno dell’Università di Basilea
I volumi pubblicati nella Collana sono sottoposti a un processo di peer review
che ne attesta la validità scientifica
CApItolI dI storIA
dellA punteGGIAturA
ItAlIAnA
a cura di
AnGelA FerrArI, letIzIA lAlA,
FIlIppo peCorArI, roskA stojMenoVA WeBer
edizioni dell’orso
Alessandria
© 2020
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via rattazzi, 47 15121 Alessandria
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Issn 2611-6022
IsBn 978-88-6274-992-3
Indice
IX
preMessA
pArte prIMA
storia della punteggiatura italiana tra ratio morfosintattica
e ratio comunicativa. ricerche basilesi
Angela Ferrari
le virgole dei Promessi sposi
3
Angela Ferrari
Considerazioni sull’uso della virgola
nella prosa giornalistica dell’ottocento
19
Angela Ferrari
I connettivi consecutivi tra sintassi e punteggiatura
nella Stampa del secondo ottocento
31
Angela Ferrari
la virgola ai margini della scrittura letteraria. l’ottocento
45
Angela Ferrari
norma e usi della virgola tra settecento e ottocento.
dalla descrizione alla spiegazione
61
Angela Ferrari/roska stojmenova Weber
punto e virgola e due punti.
storia della norma tra settecento e ottocento
73
Angela Ferrari/roska stojmenova Weber
l’uso del punto e virgola e dei due punti nell’ottocento,
tra lettere private e dediche pubbliche
89
Angela Ferrari
punto e virgola e due punti nella scrittura giornalistica
del secondo ottocento. osservazioni a partire da La Stampa
111
letizia lala
punto fermo, interrogativo e ammirativo:
note sulla trattatistica secentesca
129
letizia lala
punto fermo, interrogativo e ammirativo:
note sulla trattatistica settecentesca
149
VI
Indice
letizia lala
sintassi e punteggiatura tra ottocento e novecento:
un percorso all’interno di una selezione di estratti
da grandi testi letterari
165
Filippo pecorari
le funzioni testuali delle parentesi tonde
nella scrittura d’uso settecentesca: i testi giornalistici
193
Filippo pecorari
le parentesi tonde nella storia della scrittura giornalistica:
un confronto tra il secondo ottocento e la contemporaneità
209
Fiammetta longo
la lineetta nelle grammatiche dell’ottocento
231
Fiammetta longo
l’uso della lineetta nella stampa quotidiana del secondo ottocento
247
Filippo pecorari
Gli impieghi dei puntini di sospensione nel secondo ottocento:
un’analisi corpus-based
269
roska stojmenova Weber
le virgolette nell’ottocento tra norma e uso
295
Benedetta rosi
Il connettivo infatti e la punteggiatura nella prosa giornalistica
del secondo ottocento e del primo novecento
307
Alessandra Monastra
punteggiatura e oltre. riflessioni sulle grammatiche
scolastiche ticinesi del secondo ottocento
323
pArte seCondA
norme e usi interpuntivi nella storia della lingua italiana
rosario Coluccia
dai desultori tentativi d’interpunzione degli antichi manoscritti
alle finalità comunicative della punteggiatura moderna.
Alcune tappe esemplari di un tragitto controverso
343
paola Baratter
la funzione del punto e virgola attraverso i secoli
357
Indice
VII
elena pistolesi
le regole dell’appuntare tra latino e italiano.
un sondaggio attraverso alcune grammatiche didattiche
del sei-settecento
373
Carlo enrico roggia
segni interpuntivi e prosa argomentativa nel settecento:
il caso del Dei delitti e delle pene
387
luisa Amenta/Morena rosato
“spesse volte una sola virgola ben messa, dà luce a tutto un periodo”:
la punteggiatura in leopardi tra tradizione e innovazione
403
silvia demartini/simone Fornara
la grammatica “dallo spiraglio della punteggiatura”:
Marco Agosti e il superamento del paradigma tradizionale
tra ottocento e novecento
425
domenico proietti
Connettivi e punteggiature ‘estreme’ tra fine ottocento e novecento
441
roberta Cella
scrivere di punteggiatura a pisa nel primo novecento:
Francesco zambaldi e Giuseppe Malagoli
459
Gianluca Frenguelli
la punteggiatura del parlato nel teatro di pirandello
475
Francesca M. dovetto
usi della punteggiatura negli anni del regime,
tra fumetto patriottico e romanzo coloniale.
I puntini di sospensione
491
Rosario Coluccia*
Dai Desultori tentativi D’interpunzione
Degli antichi manoscritti alle finalità comunicative
Della punteggiatura moDerna.
alcune tappe esemplari Di un tragitto controverso
Questioni preliminari
Partiamo da una citazione che ricorre spesso nei nostri studi.
Tra le varie norme che regolano la lingua scritta, quelle relative alla punteggiatura sono le meno codificate, non solo in italiano. Inoltre, alle incertezze pratiche si aggiunge il disaccordo degli studiosi sull’interpretazione complessiva
del fenomeno, nonché sulla definizione e sulla classificazione delle singole
unità interpuntive […]. (Serianni 1988: 57)
Alla precedente affiancherei una seconda, meno ripetuta (e più recente),
per noi altrettanto utile, che introduce nuovi punti di vista sull’argomento di
cui ci occupiamo.
Negli ultimi anni si è assistito a una fioritura di scritti sulla punteggiatura, che è
stata osservata e descritta secondo prospettive differenti e tra loro complementari: sono stati scritti importantissimi studi diacronici, che hanno finalmente
fatto luce sull’evoluzione e sulla storia del sistema interpuntivo […]; sono stati
scritti saggi di taglio sincronico, che hanno indagato le funzioni linguistiche e
testuali dei segni di punteggiatura. (Fornara 2010: 9)
Tali affermazioni insistono su punti di vista differenti, spiegabili in primo
luogo con l’intervallo di oltre un ventennio che intercorre tra la prima e la
seconda; considerate nell’insieme e integrate con ulteriori elementi di fatto,
ci permettono di fissare alcuni punti fermi e di formulare, in maniera un po’
assiomatica, le seguenti enunciazioni. 1. Forme e usi della punteggiatura sono
caratterizzati da variabilità nel tempo, secondo una linea evolutiva non teleologica, i cui approdi contemporanei risentono delle fluttuazioni ereditate dal
passato, che giustificano l’intreccio di diverse funzioni nel medesimo segno
d’interpunzione e, più in generale, la polivalenza del sistema. 2. La tradizio-
* Accademia della Crusca.
344
Rosario Coluccia
nale penuria quantitativa e una certa approssimazione teorica degli studi sulla
punteggiatura, felicemente ribaltate da non molto tempo, comportano il persistere di incertezze nell’uso concreto dei segni interpuntivi da parte di ampi
settori della popolazione scrivente (anche di non disprezzabile livello d’istruzione) e hanno riflessi sul modo di considerare le questioni di punteggiatura ai
piani alti della cultura scritta e persino tra gli specialisti.
1. Le edizioni
In proposito, è emblematico l’atteggiamento con cui, anche in edizioni
recenti di testi medievali, vengono presentati i paragrafi riguardanti l’interpunzione e la paragrafematica1. Edizioni per molti aspetti ottime sono prive
di riferimenti adeguati all’assetto formale del manoscritto e le note editoriali al più sono corredate di una frasetta laconica che press’a poco recita: «Si
uniformano all’uso moderno apostrofi, accenti, maiuscole e minuscole, segni
di punteggiatura». Detto in altri termini, limitandoci a quello che ci riguarda, ancora troppo spesso l’editore di un testo medievale dà per scontato che
le particolarità interpuntive del manoscritto non meritino di essere analiticamente registrate, tanto meno di essere spiegate, commentate o inquadrate nel
loro contesto storico-culturale. Resta solo sullo sfondo il rapporto cruciale che
nella pratica editoriale dovrebbe stabilirsi tra l’interpunzione originaria (che
lascia trasparire qualcosa sulla competenza linguistica di chi scrive, sia autore
o semplice copista) e la sua resa nell’edizione. Di conseguenza molto raramente viene affrontata in maniera esplicita la questione: la punteggiatura del
testo che leggiamo si dovrà esclusivamente all’editore moderno o terrà conto
della punteggiatura dello scrivente medievale? Anche in quest’ambito, obiettivo dell’edizione critica dovrebbe essere il rispetto della volontà dell’autore
(/scrivente), del significato letterale del testo e di eventuali opzioni personali,
stilistiche e culturali.
1
A quanto io sappia, l’aggettivo «paragrafematico» è stato coniato da Castellani ([1985]
2009) («segni paragrafematici»: II, 964, «criteri pragrafematici»: II, 967, «abitudini paragrafematiche»: II, 968, «assetto pragrafematico»: ibid., «norme paragrafematiche» ibid., «differenze paragrafematiche»: II, 972, «ordine pragrafematico»: II, 973, «sistema paragrafematico»: II, 974, «indicazioni paragrafematiche» ibid.), più volte ripreso dallo stesso (ad esempio
in Castellani ([1995] 2009), fin dal titolo), ormai stabilmente entrato nella terminologia linguistica e filologica. Rientrano nella categoria della paragrafematica i segni interpuntivi comunemente riconosciuti come tali (punto, virgola, punto e virgola, due punti, punto interrogativo,
punto esclamativo, puntini di sospensione, parentesi, lineette), segni non alfabetici (barra obliqua, asterisco) e inoltre accorgimenti grafici come corsivo, spaziato, ecc. (Mortara Garavelli 2003: 10-11).
Parte seconda. Dai desultori tentativi d’interpunzione
345
2. Alcuni casi esemplari
Vale per la punteggiatura quel che vale per gli altri livelli della lingua, dalla
grafia fino alla sintassi: il sistema in uso nell’italiano contemporaneo non si è
costituito in un colpo solo ma è il risultato di un processo caratterizzato da variazioni interne e dalla compresenza di tratti concorrenti, differenziati nel tempo, nello spazio e nei diversi livelli culturali. Non potrebbe essere altrimenti.
Quello che potremmo definire il diasistema della punteggiatura (etichetta di
mero carattere empirico) è il risultato di una serie di operazioni (protrattesi a
lungo) di ideazione, concorrenza, sfoltimento e selezione tra molteplici esperimenti o consuetudini vigenti nelle diverse epoche, presso singoli scriventi,
in differenti ambienti e in diverse zone d’Italia.
2.1. Le attestazioni più antiche
Le più antiche attestazioni italoromanze della punteggiatura sono caratterizzate da grande desultorietà. I sondaggi effettuati sui più antichi testi documentari, giuridici, graffiti, scritture esposte di varie aree italiane conducono a
constatazioni convergenti (pur tenendo conto di ovvie diversità nelle realizzazioni concrete). Con prudenza potremo concludere che, quando (non sempre)
qualche forma di punteggiatura esiste nella più antica produzione italiana, il
repertorio dei segni disponibili è limitato e i fenomeni paiono difficilmente
inquadrabili in uno schema coerente. Ma non sono insignificanti. Al contrario,
le soluzioni di volta in volta adottate rispecchiano le modalità, sovente poco
organizzate ma culturalmente significative, attraverso le quali gli scriventi si
propongono di riprodurre nello scritto alcune pause del parlato. Quasi paradossalmente, le scelte sono rilevanti proprio poiché la punteggiatura non obbedisce a regole rigide e il peso della tradizione pare relativamente limitato.
Apponendo in un testo un segno d’interpunzione, lo scrivente compie un gesto
ai suoi occhi importante proprio perché non è indispensabile (cioè non è ancora soggetto a regole cogenti).
2.2. La poesia
Il lento procedere verso forme più articolate di punteggiatura può constatarsi limpidamente se esaminiamo una differente tipologia testuale, quella
poetica. I fenomeni di cui tratteremo vanno esaminati iuxta principia propria
(se così si può dire), cioè andranno messi in relazione con lo stato delle conoscenze del tempo e andranno valutati alla luce del rapporto tra riflessioni teori-
346
Rosario Coluccia
che e usi coevi della punteggiatura. I cambiamenti che hanno caratterizzato la
«rivoluzione funzionale» progressivamente avvenuta nel sistema interpuntivo
dell’italiano scritto e l’evoluzione da punteggiatura morfosintattica a punteggiatura comunicativa (su cui molto ci hanno insegnato Angela Ferrari e la sua
scuola2) non riguardano i testi di cui immediatamente ci occupiamo. Ogni
trasferimento interpretativo sarebbe fuorviante, oltre che cronologicamente
improprio (anche se, in qualche caso, le tendenze che poi si affermeranno
hanno un’origine remota).
I condizionamenti del verso, che influiscono pesantemente sulle strutture fono-morfologiche e lessicali della lingua poetica italiana, agiscono anche
al livello della punteggiatura. La prima poesia in volgare si presenta quasi
sempre in forma di aggiunte avventizie e occasionali consegnate a carte di
guardia o a fogli sparsi, effettuate con modalità che da sé stesse testimoniano
la condizione marginale del documento poetico rispetto al più ampio supporto
manoscritto nel quale si trova ad essere conservato; è invalsa la denominazione di “tracce” per testi siffatti e tracce possiamo considerare alcuni documenti
poetici antichi. La frammentarietà della tradizione, affidata a manufatti originariamente allestiti per scopi diversi, non è senza riflessi sulla veste testuale e
sulla punteggiatura.
Solo nell’ultimo quarto del secolo XIII si realizzerà una svolta significativa, che dispiegherà più compiutamente le conseguenze nel secolo seguente.
Per impulso di una nuova stagione culturale in Toscana vengono allestiti i tre
grandi canzonieri che assemblano e organizzano la poesia duecentesca, dalla
Scuola Poetica siciliana fino a Guinizelli e Cavalcanti inclusi: Palatino Banco
Rari 217 (P) e Laurenziano rediano 9 (L), redatti entro la fine del Duecento, e
Vaticano Latino 3793 (V), forse lievemente più tardo. L’analisi integrata delle
caratteristiche testuali (contenuto, ordinamento, lingua) e degli aspetti esterni
(codicologici, paleografici, illustrativi) mette in rilievo lo straordinario significato storiografico dei tre monumenti e illumina il retroterra testuale e culturale
del corpus lirico che essi tramandano. Ne risultano coinvolte l’organizzazione
testuale e la presentazione visiva dei testi nonché il sistema interpuntivo, che
tende a organizzarsi in forme più strutturate.
Naturalmente i dettagli delle realizzazioni concrete non sono omologabili e
vi sono oscillazioni anche relativamente vistose. Anche nel medesimo manoscritto la pratica interpuntiva può mostrare variazioni di una certa ampiezza,
a seconda che gli scribi utilizzino in tutto o in parte il repertorio dei segni
disponibili, magari combinandoli o giustapponendoli. Ma la ricerca di una
disposizione relativamente coerente dello scritto e di un sistema interpuntivo
2
Vedi Ferrari 2018, con l’ampia bibliografia lì contenuta.
Parte seconda. Dai desultori tentativi d’interpunzione
347
tendenzialmente organizzato è generale. In conclusione. Parallelamente alla
confezione di prodotti manoscritti sempre più complessi, si sviluppa la ricerca
di adeguati sistemi di punteggiatura e nello stesso tempo implicitamente cominciano le operazioni (che dureranno per secoli) di concorrenza e di selezione tra le diverse soluzioni.
2.3. Originale e copia
Compito fondamentale per un editore di antichi testi (per la verità raramente assolto) è l’accertamento della punteggiatura offerta dai codici. In presenza
di originali, la soluzione editoriale dovrebbe tener conto (non pedissequamente, ma con giudizio) dell’interpunzione fornita dalla fonte. È molto ragionevole il seguente invito:
However, modern editors must not ignore the earlier punctuation, but interpret
it. They must also be prepared to discuss their interpretations (with samples of
the original) in the introductions to their editions. (Parkes 1998: 347)
Anche nel caso di copie il comportamento del trascrittore non va ignorato,
se esistono le condizioni testuali, cioè se i manoscritti offrono indizi significativi (circostanza obiettivamente rara, ma non impossibile a verificarsi). Ecco
un utile avvertimento:
Naturalmente si dovrà decidere caso per caso; ma non è detto che in presenza
di oscillazioni sia sempre necessario rinunciare ai segni antichi [… In una soddisfacente edizione moderna, non è possibile] non intervenire su punteggiatura
e su segni diacritici molto carenti, ma è possibile completare e regolarizzare
sulla base di quello che i manoscritti offrono. (Castellani [1985] 2009: II, 974)
Nella maggioranza dei casi le copie non sono in condizione di fornire
suggerimenti riferibili alla punteggiatura dell’originale. Non per esiguità
della documentazione, ma per ragioni intrinseche alle modalità della trascrizione: è raro che il copista presti attenzione alla punteggiatura dell’originale
(posto che nell’antigrafo ci sia una qualche forma di punteggiatura) e sia
indotto a riprodurla. Ad esempio, è sterminata la tradizione della Divina
Commedia, circa 500 manoscritti integrali (che diventano circa 600, se aggiungiamo quelli incompleti che tramandano almeno una cantica), ognuno
latore di 14.233 endecasillabi non autografi, con un «vocabolario di circa 7.000 parole (unità lessicali o lessemi) occorrenti in un testo di circa
101.000 parole (occorrenze delle diverse unità lessicali nelle loro eventuali
forme flesse)» (De Mauro 2016: 51). Le varie ipotesi di stemma codicum a
348
Rosario Coluccia
confronto (Petrocchi, Sanguineti, Inglese, Trovato), diversamente orientate,
risultano tutte discutibili. Ma se pure si arrivasse ad allestire uno stemma
sicuro, su cui ci fosse l’assenso generale, l’esito non sarebbe diverso: l’albero non servirebbe, come non serve (se non in circostanze eccezionali) per
altri aspetti (mise en page, paragrafatura e anche grafia e fono-morfologia)
generalmente negletti dai copisti, che adattano alle proprie abitudini le caratteristiche formali del testo. La legge della maggioranza, ovviamente, non
può essere applicata alla punteggiatura. Su questo piano le scelte dipendono
dalle valutazioni di filologi e commentatori.
Quello che decenni fa dicevamo per la grafia vale oggi (in misura maggiore) per la punteggiatura. Al quesito base sullo statuto linguistico di
quest’ultima, se essa abbia un posto teoricamente giustificato all’interno
dello studio della lingua, si potrebbe rispondere che «lo scritto si può considerare, come il parlato, una manifestazione concreta di strutture linguistiche
astratte caratteristiche della nostra mente» (Lepschy/Lepschy 2008: 5) e di
conseguenza la punteggiatura va considerata come sistema autonomo. Ed è
incontrovertibile che, grosso modo a partire dalla situazione settecentesca
(quando il sistema acquista maggiore consapevolezza e relativa coerenza),
l’analisi della punteggiatura fa parte, a pieno titolo, dell’analisi linguistica
e semiotica. Ma anche in epoca precedente, quando il sistema è meno strutturato, la apposizione dei segni di punteggiatura non è operazione casuale o
insignificante.
Per le fasi antiche potremmo capirne di più se possedessimo un inventario, storicamente e geograficamente disposto, dei tratti interpuntivi effettivamente vergati nei documenti. Purtroppo allo stato attuale siamo ben lontani
financo dalle condizioni minime necessarie per poter organizzare una simile
raccolta dei dati. Entrano in causa le modalità delle edizioni, in molti casi
indifferenti a questi aspetti del testo (come abbiamo ricordato all’inizio). Per
carenza di documentazione adeguata, sappiamo ancora poco sulle differenti
esecuzioni della punteggiatura, sulla veste esterna e sulle funzioni della stessa, sulle variabili cronologiche e, eventualmente, sulla geolocalizzazione.
Né siamo in condizione di sapere se, prima dei tentativi di normalizzazione
che si intensificano a partire dal Cinquecento, abbiano avuto corso forme più
o meno estese di koinè interpuntive (se così possiamo dire). La coesistenza
di tradizioni diverse (alcune antiche e conservative, altre innovative) e di
opzioni personali del singolo scrivente, non la casualità effimera, potrebbe
aver generato l’antieconomicità strutturale, la polivalenza e la ridondanza
spesso evidenti.
Parte seconda. Dai desultori tentativi d’interpunzione
349
3. La stampa
Una fase storica decisiva si instaura a partire dalla fine del Quattrocento
e si dispiega con forza nel secolo successivo, in coincidenza con la crescente
diffusione della stampa a caratteri mobili e con la più intensa produzione di
scritti grammaticali. Tempi e modalità di sostituzione del manoscritto con il
libro stampato sono tutt’altro che istantanei e l’abitudine di ricopiare manualmente i testi persiste a lungo. Ma l’offerta di libri a costi nettamente inferiori
rispetto a quelli dei manoscritti fa aumentare la domanda del pubblico e nello
stesso tempo favorisce la confezione di prodotti adatti al nuovo mercato in
espansione, formato da lettori di varia estrazione culturale, che dovevano essere facilitati nella lettura e nella comprensione dei testi. La stampa comporta
una nuova coscienza della lingua scritta, che si regolarizza grazie all’introduzione meticolosa di interpunzione e di segni diacritici e all’uso razionale dello
spazio nella pagina, influendo in modo radicale nel rapporto tra lettore e libro.
Nel primo secolo della stampa (1470-1570) è fondamentale il ruolo svolto
dai tipografi nel processo di standardizzazione ortografica e, in generale, di
consolidamento della norma linguistica. La stessa formazione del sistema paragrafematico moderno è legata all’attività editoriale di Aldo Manuzio (nonché dei suoi collaterali e continuatori), pur se si possono rintracciare precedenti nei manoscritti dei secoli anteriori; lo stampatore si avvale della consulenza sistematica di Pietro Bembo, protagonista anche in quest’ambito. Poco
dopo il suo rientro a Venezia avvenuto nell’estate 1494, nel febbraio 1496
Bembo stampa per i tipi di Aldo il De Aetna latino, resoconto di un’ascensione
sull’Etna fatta durante il soggiorno messinese, nel luglio 1493: il libriccino,
importante a dispetto della mole ridotta (trenta carte in quarto piccolo),
contiene, tutti insieme, i principali elementi per i quali il nostro sistema paragrafematico si distingue da quello delle prime stampe di testi latini e volgari:
la virgola di forma moderna, il punto e virgola, l’apostrofo, gli accenti. (Castellani [1995] 2009: I, 42)
I primi tre elementi sono inediti (in quella forma); gli accenti invece sono
già attestati (con diverse funzioni) nella tradizione manoscritta precedente.
Le novità del De Aetna si confermano, con qualche aggiustamento, nelle successive edizioni di Petrarca (Le cose volgari, 1501), di Dante (Le terze rime,
1502) e degli Asolani (1505), che nascono pure dal laboratorio comune di
Bembo e di Manuzio. Esse influiscono in maniera decisiva (con accettazioni
e rifiuti, il processo è anche in questo caso discontinuo) sulla attività editoriale italiana dei decenni successivi e si proiettano anche fuori dalla penisola
(su tutto informa, in maniera capillare, la ricostruzione allestita da Castellani
350
Rosario Coluccia
[1995] 2009: I, 44-75). La data liminare del 1501, anno della prima edizione
cinquecentesca del Petrarca volgare, può arrivare ad assumere quasi un valore simbolico, sembra marchiare il nuovo clima culturale. Grazie all’opera di
Bembo e Manuzio, affiancati e concordi, prendono corpo forme e regole della
punteggiatura che si stabilizzeranno poi nei secoli successivi.
Agli elogi appassionati delle innovazioni aldine e al riconoscimento del
grande apporto chiarificatore del sistema introdotto da Manuzio e Bembo
(Maraschio 1993: 178) si affiancano, pur minoritarie, manifestazioni di dissenso e di polemica. Accade così che, nei primi decenni di espansione su larga
scala della stampa, non pochi copisti e stampatori delle diverse botteghe restano fedeli ai modelli tradizionali a loro disposizione e le procedure adottate
continuano ad essere difformi, variando da ambiente ad ambiente e da zona
a zona. Ma, poco alla volta, l’accettazione delle nuove proposte progredisce,
anche presso operatori non particolarmente scrupolosi o aggiornati, come mostra una puntuale rassegna di testi volgari a stampa apparsi nella prima metà
del Cinquecento, presso un numero assai esteso di stampatori, celebri e poco
conosciuti. A metà degli anni Sessanta di quel secolo
i correttori e gli uomini di cultura dispongono ormai di trattazioni specifiche
sull’“arte del puntar gli scritti” e di numerosissimi modelli concreti ad opera di
correttori pasticcioni, ma operosissimi, e attivi nelle stamperie più importanti,
quali il Dolce o il Ruscelli. L’ordine dei tipografi si sta imponendo in Europa.
L’epoca degli esperimenti e delle varianti regionali o locali si direbbe conclusa.
(Trovato [1992] (1998): 213)
Nella stampa della penisola si va instaurando una relativa uniformità, soprattutto nei tipi corsivi, basata sull’adozione delle innovazioni aldine, con
qualche regolarizzazione degli accenti diacritici (Richardson 2008: 121). Negli stessi decenni si moltiplicano i contributi grammaticali, di qualità ed estensione varie, che dedicano spazio alla punteggiatura.
4. Verso la modernità
A Orazio Lombardelli, teorico e codificatore, si deve l’Arte del puntar gli
scritti (1585), importante tentativo di rendere autonoma la materia interpuntiva dal corpo generale della grammatica e insieme testimonianza della crescente sensibilità per tale materia presso grammatici, letterati e tipografi. L’opera,
«articolata in regole prime e universalissime e in sottoregole, in appendici e
avvertenze (in tutto centotrenta regole […]) e […] fornita di un’esemplificazione assai ricca e variata» (Maraschio 1992: 208-209; 223-224 per alcune
considerazioni che seguono), ha un’evidente aspirazione manualistica, prova
Parte seconda. Dai desultori tentativi d’interpunzione
351
che i tempi sono ormai maturi per un simile programma. L’inventario dei segni (virgola, punto e virgola, due punti, punto mobile, punto fermo, parentesi,
punto interrogativo, punto esclamativo) corrisponde, negli elementi fondamentali, al patrimonio considerato dai trattatisti e adottato nella prassi editoriale dell’epoca. Ma siamo ancora lontani da regole generalmente condivise
e da applicazioni comuni, come mostra la diversa consistenza e la perdurante
oscillazione terminologica che si riscontra negli inventari di segni allestiti da
alcuni dei più importanti operatori dell’epoca (Lodovico Dolce, Pier Francesco Giambullari, Aldo Manuzio, Francesco Sansovino, Jacopo Vittori da
Spello e lo stesso Lombardelli). In un contesto generale che spinge verso l’uniformità, una sorte particolare arride al punto mobile (chiamato anche punto
minore), nel Cinquecento menzionato anche da Salviati e Vittori da Spello,
utilizzato nelle edizioni aldine (Mortara Garavelli 2003: 125), costituito dal
punto a cui segue una parola con la minuscola iniziale e finalizzato a segnalare
una pausa intermedia tra il punto e la virgola. Sottoposto a censure e a tentativi
di riabilitazione, in obiettiva concorrenza con il punto e virgola e con i due
punti, forse proprio a causa dell’incerta delimitazione dei propri confini di
applicabilità nell’Ottocento fuoriesce dal novero delle risorse effettivamente
utilizzate, salvo che per qualche riesumazione successiva di stampo letterario
(D’Annunzio; Giancarlo Pastore) e per il richiamo un po’ nostalgico di chi
(Ernesto Franco), ai nostri giorni, ritiene che «ripristinare il punto mobile vorrebbe dire riconoscere alla punteggiatura l’anima inquieta che da sempre la
caratterizza» (Antonelli 2008: 182-184 e 2103).
Il percorso verso l’omogeneità è progressivo ma lento, come testimoniano
le oscillazioni manualistiche e le incertezze dell’uso, riscontrabili ancora in
pieno Seicento.
Le trattazioni teoriche […] offrono un quadro tutto sommato omogeneo, pur
discostandosi a volte l’una dall’altra per particolari indicazioni, ma allo stesso
tempo tutte si cautelano invocando la legittimità di usi diversi e ricordando la
varietà dei comportamenti messi in atto dagli scriventi. (Marazzini 2008: 155)
In un panorama ancora a tinte diseguali, il Trattato dell’ortografia italiana
del gesuita Daniello Bartoli si lascia apprezzare perché affronta la questione
della punteggiatura in maniera organica, secondo un punto di vista straordinariamente attuale sia per l’uso interpuntivo che descrive e pratica sia per
la concezione teorica (Ferrari 2018: 200). È netta nell’autore la distinzione
3
Con le indicazioni bibliografiche riferibili rispettivamente a D’Annunzio e Giancarlo Pastore (per l’uso effettivo della maiuscola dopo il punto) e a Ernesto Franco (per l’auspicato ripristino della consuetudine).
352
Rosario Coluccia
tra la chiarezza del parlare finalizzata all’«essere inteso» e la chiarezza dello
scrivere, che si manifesta attraverso la concezione della punteggiatura solo
«per l’occhio» (Mortara Garavelli 2003: 129), senza riferimento all’esecuzione orale. Nel conclusivo «capo XVI § III», che cito rispettando pressoché
integralmente (con qualche ritocco minimo) la princeps del 1670, vengono
descritte le «particolarità intorno all’uso de’ quattro segni adoperati nell’appuntare», cioè punto fermo, due punti, puntocoma (equivalente al punto e
virgola) e virgola. Nonostante le aspirazioni normalizzanti è arduo definire
regole precise, l’interpunzione sfugge a principi normativi rigidi e, ancor più
di altre parti dell’ortografia, è legata al gusto individuale.
E se vi proverete di leggere un qualunque sia libro molto consideratamente
appuntato, per almen le dieci per cento delle volte, vi parrà essersi dovuto altrimenti da quello che n’è paruto all’autore: né ciò per altra cagione, che dell’essere ufficio dell’ingegno lo statuire il principio universale dell’appuntare, ma
l’applicarlo, esser lavoro non men che di lui, del giudicio. (Bartoli 1670: 318)
Entrando nello specifico, Bartoli constata:
De’ Due punti, e del Puntocoma, riesce assai malagevole lo specificare per regola, dove quegli o questo si adattino: cioè, dove sia quella mag-/giore o quella
minore distintione dell’un membro del periodo dall’altro, la qual distintione
richiegga più tosto i Due punti che il Puntocoma. (Bartoli 1670: 312-313)
I due punti sanciscono un grado di separazione all’interno del periodo ma
agli stessi non è ancora riconosciuta la funzione “presentativa” o elencativa,
incipiente in alcune stampe cinquecentesche, che si generalizzerà in seguito.
Nel complesso il sistema continua ad essere instabile, a volte ridondante e
soggetto a spinte diverse, originate dalla necessità di orientare con una segnaletica di tipo logico-sintattico un pubblico di lettori in aumento e di variabile
livello intellettuale, in parte ancora legato alle ragioni intonativo-pausative
della pratica di lettura ad alta voce, che persiste pur se progressivamente
decade.
Ma la linea è segnata. Il cammino verso la punteggiatura comunicativa,
pur se discontinuo, è inarrestabile. «Il punto di svolta funzionale dell’uso interpuntivo», rivolto non tanto alla «materialità della morfosintassi […] ma alla
costruzione del senso testuale» (Ferrari 2018: 170), si realizza nell’Ottocento, con il passaggio dalla concezione “ritmico-intonativa” della punteggiatura
(che pone in primo piano il rapporto con le pause e con le intonazioni del parlato) a quella “sintattico-semantica” (orientata soprattutto verso il rigore della
costruzione e la chiarezza del senso). Lo dimostrano le variazioni intervenute
nell’opera capitale della prosa italiana. L’edizione Ventisettana dei Promessi
Parte seconda. Dai desultori tentativi d’interpunzione
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Sposi ha ancora una punteggiatura poco sistematica, quella definitiva è molto
più coerente, a partire dall’impiego accurato «dei due punti in funzione presentativa e del punto e virgola come elemento di divisione graduata» (Mortara
Garavelli (a c. di) 2008: 132). La frequenza delle virgole nell’edizione definitiva, ritenuta eccessiva da alcuni contemporanei4, è finalizzata a rendere la
pausa che nel parlato (ma anche nello scritto, in particolare nella narrativa)
separa il tema dal rema. Le virgole tematizzanti collocate tra soggetto e verbo,
interpretabili come un procedimento stilistico che mira a isolare e a marcare
il tema della frase, rivelano una scrittura attenta al modello «caratterizzato da
una costitutiva e complessa interfaccia tra il livello prosodico dell’enunciato
e il corrispondente livello semantico-pragmatico» (Trifone 2019: 223-224)5.
Nella società contemporanea le questioni attinenti alla punteggiatura si
configurano nei diversi contesti con modalità varie, che richiederebbero caso
per caso considerazioni specifiche. Non discuteremo in quest’intervento di
come vada concretamente affrontata, con strategie adeguate e con adeguato
bagaglio di specializzazione, la didattica della punteggiatura, depressa nella
prassi scolastica attuale. Né verranno considerati i diversi tipi di comunicazione mediata dal computer (posta elettronica, messaggini, chat, gruppi social)
che presentano ognuno caratteristiche proprie, implicanti una gradazione del
livello di impiego dei segni interpuntivi nei diversi generi. Né tratteremo della
punteggiatura nell’italiano dei semicolti (o dei semiincolti, a seconda che si
veda il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto), un campione inventato del
quale potremmo anche considerare la famosa lettera dettata da Totò a Peppino
(Totò, Peppino e la… malafemmina, di Camillo Mastrocinque, anno 1956),
caratterizzata da un uso a volte inesistente a volte ipertrofico dei segni di punteggiatura6.
4
Imputa alle virgole eccessive lo «sminuzzamento» delle pagine dei Promessi Sposi Rigutini 1885: 43-44 (censura ricordata da Antonelli 2008: 187-188 e n. 61).
5
Sono significative, perché sicuramente intenzionali, le virgole tematizzanti aggiunte da
Manzoni nell’edizione del 1840 (qui evidenziate con il grassetto): «la prima regola del nostro
mestiere, è di non domandare i fatti degli altri»; «il guardiano, faceva, di tanto in tanto, atti di
sorpresa e d’indegnazione»; «di tante belle parole Renzo, non ne credette una»; «Renzo, s’incamminò con la sua pace» (elenco in Trifone 2019: 224). Fuori dalle condizioni descritte sopra,
l’inserimento della virgola tra soggetto e verbo è considerato evidente sintomo di imperizia e
stigmatizzato da molte grammatiche dell’italiano contemporaneo (e del passato).
6
È utilissima in proposito la riproduzione dell’originale in Dionisi/De Pascalis 2016: 73.
C’è un punto e virgola al rigo 4: «sette cento mila lire; noi ci fanno specie»; punto e punto e virgola in successione, seguiti da parola iniziante con la minuscola, al rigo 6: «come voi ben sapete.; questa moneta»; punto, punto e virgola, punto, punto e virgola in successione, seguiti da
parola iniziante con la minuscola su altro rigo, ai righi 14-15: «che deve tenere la testa al solito
posto cioè sul collo; .; salutandovi indistintamente». Nell’esecuzione orale i tratti interpuntivi
vengono così segnalati: «punto e virgola» (nel primo caso); «punto due punti» con il commen-
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Rosario Coluccia
In ambito letterario e nelle scuole di scrittura si registrano discussioni sulla
consistenza e sulla varietà del patrimonio di segni interpuntivi a disposizione
degli scriventi. Esistono divaricazioni nette tra chi, in particolare nella narrativa, si lancia in sperimentazioni che (anche senza richiami espliciti) sembrano
evocare la negazione futurista della punteggiatura7 e chi, al contrario, chiede
l’introduzione di nuovi segni in grado di rendere con maggiore evidenza le
sfumature legate all’organizzazione del periodo e ai connettivi logici e chi
infine ritiene che i segni che ci sono bastano e avanzano (Mortara Garavelli
2003: 133-134; Antonelli 2008: 209-2108).
L’interesse per la punteggiatura è in crescita, anche al di là del recinto
degli specialismi9. La nostra ricostruzione, infarcita di propositi di prudenza
e di inviti alla cautela, rispecchia la diacronia delle idee e delle manifestazioni concrete, entrambe caratterizzate da oscillazioni e da incertezze. Nulla di
singolare, a ben vedere: l’intera storia della lingua italiana è dominata dalla
variazione, all’interno di un paradigma alieno da rigidità eccessive. E la punteggiatura, ovviamente, non si sottrae alla regola generale10.
to «ma sì, meglio che abbondiamo, adbondandis in adbondandum» (nel secondo caso); «punto, punto e virgola, punto e un punto e virgola». La «parentesi» è stravolta in «parente». Nella
dettatura di «addirvi (una parola)» Totò precisa che «a dirvi» si scrive tutt’attaccato, con rafforzamento sintattico. Analogamente indica, con un gesto, che «quest’anno» richiede la scrittura continua, senza apostrofo. Un’analisi linguistica del celebre episodio cinematografico offre Trifone 2018.
7
Tra i numerosi contributi dell’autrice al tema scelgo Stefanelli 2001. All’analisi in diacronia dei «due poli della rarefazione e dell’ipertrofia interpuntiva» nella narrativa otto e novecentesca si dedica Tonani 2010 (citazione a p. 282).
8
È destinata a discutere «la punteggiatura che non c’è» la sezione finale del primo volume
di Baricco/Taricco/Vasta/Voltolini (a c. di) 2001: 189-212, con interventi di vari che a seconda
dei casi e con diversi argomenti reclamano o negano l’utilità di introdurre nuovi segni di interpunzione nella nostra lingua.
9
Si organizzano «festival della punteggiatura», con protagonisti che hanno interessi differenti e praticano professioni diverse: scrittori, editori, linguisti, ecc. Trattano questioni di punteggiatura numerosi siti, di varia caratura scientifica.
10
Quest’intervento riproduce, nell’impostazione complessiva, la relazione da me tenuta al
Convegno di Basilea 2019. Subisce tuttavia un drastico ridimensionamento dovuto alla (obbligatoria, del tutto naturale) restrizione dello spazio disponibile. Una versione molto più ampia,
corredata di un’estesa esemplificazione e di una bibliografia non selettiva è stata consegnata per
il vol. di Antonelli/Motolese/Tomasin (a c. di) in stampa.
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