ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VERONA
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DIPLOMA ACCADEMICO DI PRIMO LIVELLO IN
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PITTURA
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TESI SCRITTOGRAFICA
ARTE E ALCHIMIA
Dalle origini agli artisti del primo ‘900
Relatore tesi: Prof. Francesco Ronzon
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Correlatore tesi: Prof. Daniele Nalin
Diplomanda: Monica Moserle
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ANNO ACCADEMICO 2013/2014
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ARTE e ALCHIMIA
Dalle origini agli artisti del primo ‘900
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“Fà di uomo e di donna un cerchio rotondo, ed estrai da questo il quadrangolo e
dal quadrangolo il triangolo. Fà un cerchio rotondo e otterrai la pietra dei
ilosoi.”
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Arnaldo da Villanova, Rosarium Philosophorum, 1550 d.C.
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INDICE
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INTRODUZIONE: Cos’è l’alchimia
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Storia dell’alchimia: dalle origini a Jung
3
Alchimia cinese
3
Alchimia indiana
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Alchimia nell’Antico Egitto
5
Alchimia greco alessandrina
5
Alchimia nel mondo islamico
7
Alchimia nell’Europa medioevale
8
Alchimia nel Rinascimento e nell’età Moderna
9
Il declino dell’Alchimia Occidentale
10
L’opera di Jung
11
Le fasi alchemiche
16
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Arte Alchemica
21
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Analisi interpretativa di tre artisti del ‘900
32
Marcel Duchamp
32
Yves Klein
44
Piero Manzoni
55
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Conclusioni
63
Bibliograia
64
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INTRODUZIONE: Cos’è l’alchimia?
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Dell'arte è molto difficile dare una deinizione , ma è pur vero che tutti ne
abbiamo una chiara nozione, o almeno sappiamo a quali forme della creatività si
riferisce questa parola.
Meno ricche e più confuse possono essere le conoscenze relative all'altro termine
che compone il titolo di questa tesi.
E’ pertanto necessario delineare i tratti della seconda, tenendo conto che
un'adeguata comprensione critica di questo fenomeno risale a tempi molto
recenti, precisamente alla pubblicazione del libro Psicologia e Alchimia, del
1944, di Karl Gustav Jung, al quale verrà fatto riferimento più volte in questa tesi.
Jung non metteva in relazione l’alchimia con l'arte, si limitava a riscontrare le
analogie dell'immaginario alchemico con quello che egli chiamava “inconscio
collettivo” e che distingueva nettamente dall'inconscio individuale, esplorato in
tutt'altra chiave da Sigmund Freud.
Ma è innegabile che i cosiddetti “archetipi” dell'inconscio collettivo
corrispondono a momenti e simboli ricorrenti dell'immaginazione, dal mito
all'arte.
Veri e propri studi sui rapporti anche storici tra arte e alchimia sono
relativamente recenti; risalgono agli anni sessanta e sono prevalentemente
italiani.
Partiamo dunque col delineare questa scienza occulta.
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Il termine Alchimia , secondo la deinizione dell'Enciclopedia Treccani è il
complesso di teorie e tecniche che assumevano la loro ispirazione dalle pratiche
tendenti a ottenere la trasmutazione dei metalli vili in oro, la pietra ilosofale,
l’elisir di lunga vita. Il termine che è stato usato prettamente in occidente ed è
resistito ino ai giorni nostri, deriva dall’arabo kīmiyā, uno dei nomi del reagente
per la trasformazione dei metalli, detto in Occidente lapis philosophorum o
pietra ilosofale. In seguito ha assunto anche il signiicato di arte di trasformare
utilmente le sostanze naturali.
Andando più in profondità, come Michela Pereira nel volume Arcana Sapienza
(2001, Carocci editore) il termine arabo deriva dalla radice Kem, che stava ad
indicare il territorio geograico in cui appunto, affondano le radici dell’alchimia
stessa: la terra di Kem, l’Egitto. In questa terra furono rinvenute tracce della
pratica della metallurgia e della produzione della terracotta già dal V millennio
a.C. , oltre che all’uso di pigmenti artiiciali ottenuti dall’ossidazione dei metalli e
dall’uso di sali come il natron. (Pereira 2001, p. 16, p. 33).
E’ noto che duplice è stata in dall'origine la produzione degli alchimisti: il
risultato materiale delle operazioni di laboratorio su cui fondavano il proprio
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sapere e i iumi di parole legati alle immagini che hanno prodotto per insegnare
ad ottenerlo.
Non possediamo alcun prodotto che sia effettiva e non solo leggendaria
testimonianza dei tentativi perseguiti per secoli dai ''igli di Ermete'' di fare l'oro
o l'elixir; ma di loro ci rimane una letteratura sterminata e in gran parte ancora
semi sconosciuta, redatta in forme diversissime, dalla ricetta al trattato ilosoico
all'allegoria in parole e immagini. Questi ultimi sono il vero ed unico lascito di
una tradizione che per molti aspetti è ancora viva, e che è stata anche
prepotentemente presente nella storia dell'arte del secolo scorso, in forma
metaforica e con simbologie che analizzeremo in seguito. (Pereira 2001, pp.13 ).
In questa sede si analizzeranno inizialmente le origini, la storia e le simbologie
del passato, per poi fare un confronto con tre artisti dell’inizio del ‘900 che
hanno seguito questo linguaggio, anche implicitamente, con la loro produzione
artistica.
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Storia dell’alchimia: dalle origini a C. G. Jung
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L'alchimia abbraccia alcune tradizioni ilosoiche che si sono propagate per
quattro millenni e tre continenti, e la loro generale inclinazione per un
linguaggio criptico e simbolico rende difficile tracciare le loro mutue inluenze e
relazioni. Si ritiene fondamentale precisarle al ine di comprendere come
l’alchimia affondi le proprie radici nel sapere più antico che ha in seguito
pervaso intere culture e ilosoie, coinvolgendo di conseguenza anche l’arte,
rilesso della società e termometro dei tempi ai quali gli artisti appartenevano.
Esistono essenzialmente due grandi iloni che sono rimasti indipendenti l'uno
dall'altro per quanto riguardano le origini e le prime tappe: quella orientale
(Cina e India) e quella occidentale, (partito dall’Egitto, passato dalla Grecia, da
Roma, nel mondo Islamico ed inine in Europa)
Mentre l'alchimia cinese fu strettamente connessa al Taoismo, quella occidentale
sviluppò un proprio sistema ilosoico, connesso solo supericialmente con le
maggiori religioni occidentali. Ad oggi non sono ancora chiare le possibili
contaminazioni avvenute tra le due correnti, ma sicuramente esistono svariati
punti in comune, seguendo il percorso storico messo in atto da Pereira in Arcana
Sapienza.
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Alchimia cinese
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Strettamente legata alla medicina tradizionale, il ine della ricerca era la
creazione dell'elisir dell'immortalità, che da un punto di vista ermetico è
paragonabile alla pietra ilosofale tipica dell'alchimia occidentale. Secondo
quanto afferma J.C. Cooper in Chinese Alchemy: the Daoist Quest for
Immortality, anche se probabilmente risale al IV secolo a.C. i primi documenti
che attestano le ricerche alchemiche risalgono al 142 a.C. Nel Ts'an T'ung Ch'i di
Wei Po-Yang, sotto forma di commentario dell'I Ching, il Libro delle Mutazioni,
(un classico del Canone Taoista) in cui afferma che i procedimenti alchemici
sono variazioni di un'unica materia sotto nomi diversi, ma che subisce cinque
stati di mutamento (erroneamente deiniti elementi, poiché non sono a sé stanti)
ovvero acqua, fuoco, legno, metallo, terra, e due contrari, yin e yang (il primo
associato alla luna ed il secondo al sole) dalla cui dinamica scaturiscono gli
elementi stessi. Ogni elemento combinato con yang sarà diverso rispetto a quello
combinato con yin, poiché il primo è attivo e maschile, mentre il secondo è
passivo e femminile. Il testo presenta una concezione evolutiva dei metalli e il
trasferimento di queste concezioni sia su piani sperimentali, sia psichici, con
molte inluenze di dottrine cosmologiche e magiche. Sarà il Maestro Ko-Hung
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ad aggiungere, nel IV secolo, particolari metodi taoisti per la conquista
dell'immortalità, legandosi sempre più alla medicina tradizionale cinese e
portando ad una grande divulgazione di opere ino al XIII secolo.
Si possono comunque isolare due metodi di ricerca che, pur avendo lo stesso
ine, operavano in modi nettamente distinti:
• Gli Alchimisti della Scuola esterna, che si occupavano della ricerca dell'elisir di
lunga vita attraverso la produzione di rimedi, elisir e pillole dell'immortalità, le
cui componenti erano in gran parte sostanze vegetali ,animali e minerali. Da
qui derivano le basi per la farmacologia tradizionale.
• Gli Alchimisti della scuola interna che ricercavano l'immortalità attraverso
pratiche isiche e mentali che provocassero una trasmutazione del corpo,
consentendo al praticante di raggiungere una longevità e una vitalità fuori dal
normale. Il corpo veniva concepito come una officina alchemica e l'elisir di
lunga vita scaturiva teoricamente dalla distillazione di sostanze corporee,
prodotte attraverso l'utilizzo delle funzioni vitali (respirazione, circolazione,
funzionamento endocrino, etc..) che venivano guidate dall'alchimista. Da qui
derivano il Qi Gong e le ginnastiche mediche. I nomi delle tecniche spesso
infatti richiamano termini tipici dell’alchimia. (Cooper 1990, pp 55-70)
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Alchimia indiana
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Secondo Arturo Schwarz, in Introduzione all'alchimia indiana (Laterza, 1984) il
padre dell'alchimia indiana è considerato Śrīman Nāgārjuna Siddha (XIII
secolo), il quale fu una igura semi leggendaria, ritenuto l'autore di alcuni testi
alchemici quali il trattato di magia Kaksaputa Tantra, quello sul mercurio
Rasendramangalam e il Susruta Samhita. Il migliore esempio di un testo basato
su questa scienza è il Vaishashik Darshana di Kaṇāda, che si ritiene abbia
introdotto in oriente la teoria atomica.
L’alchimia giocò un ruolo di spicco in dalle origini del pensiero indiano.
Secondo alcuni studi è dimostrato che era presente già in età vedica, ed era
simile alla visione delle scuole interne cinesi, per il concetto di usare il corpo
come laboratorio alchemico , per sperimentare un altro piano della realtà e
divenire ''pietre ilosofali’'. Anche se con tutta probabilità gli studi alchemici
portarono a utili scoperte anche in altri campi , come isica e chimica, furono
ritenute secondarie rispetto a quella che era la possibile trasmutazione interiore
dell'uomo, la sua rinascita e la sua liberazione. Persino la trasformazione del
mercurio in oro era di secondaria importanza rispetto alla possibile condizione
di vita senza morte (quella che veniva chiamata amrtattva).
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Rappresentazione della tavola Smaragdina attribuita ad Ermete, di Heinrich Khunrath del 1606
Alchimia nell'antico Egitto
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Come già anticipato, gli alchimisti occidentali fanno risalire le loro origini
all'antico Egitto, anche se non esistono documenti ufficiali a riguardo, poiché il
centro nevralgico fu la città di Alessandria, la quale biblioteca , che
probabilmente conteneva gran parte dei manoscritti che ne documentavano
l’esistenza, andò a fuoco nel 391 a. C.. Ciò che si sa dell'alchimia egizia proviene
indirettamente dagli scritti dei ilosoi greci, ed era divenuta parte, in seguito,
anche della tradizione islamica. Si parla in particolare di colui che fu il fondatore
dell'alchimia egiziana, il dio hot, chiamato Ermes-hoth o Ermes il Tre volte
Grande dai greci (Ermete Trismegisto), nonché autore dei Quarantadue libri
della Conoscenza, che avrebbero coperto tutti i campi dello scibile, fra cui anche
l'alchimia. Il simbolo di Ermes era il caduceo, che divenne uno dei principali
simboli alchemici, oltre che ad essere associato alla medicina. La Tavola di
smeraldo di Ermes Trismegistus, che è nota solamente attraverso traduzioni
greche ed arabe, è generalmente considerata la base per la pratica e la ilosoia
alchemica occidentale. (Pereira 2001, p.13 , p.37 e p.82)
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Alchimia greco-alessandrina
L'alchimia nell'antica Grecia passò per
tre fasi evolutive. La prima fu la prechimica, usata in particolar modo dagli
artigiani egizi. In un secondo momento
si arrivò all'alchimia come ilosoia ed
inine vi fu la fase religiosa. I Greci
inizialmente mescolarono le dottrine
ermetiche egizie con il Pitagorismo,
per il quale i numeri governano
l'universo e sono l'essenza di ogni cosa.
In un secondo momento, si fuse
Trismegisto in un mosaico nella Cattedrale di
ulteriormente con la scuola ionica, Ermete
Siena
basata sulla ricerca di un principio
unico e originario per tutti i fenomeni naturali. Gli esponenti principali furono
inizialmente Talete ed Anassimandro, ma fu poi sviluppata anche da Platone ed
Aristotele; le opere di quest’ultimo inirono per divenire parte integrante
dell'alchimia. Si parla dunque del concetto di materia prima che forma l'universo
e che può essere spiegata solamente attraverso attente esplorazioni ilosoiche.
Concetto altrettanto importante introdotto in quel tempo da Empedocle, fu che
tutte le cose nell'universo sono formate solamente da quattro elementi: terra,
aria, acqua e fuoco. A questi elementi Aristotele aggiunge la quintessenza, l'etere,
di cui sono formati i cieli. (Pereira 2001, p. 85 )
Aristotele ha ulteriormente elaborato questa idea pensando che, la materia
primordiale esistesse all'inizio come pura potenzialità che poi acquisiva una
forma attualizzandosi nella realtà, esattamente come gli archetipi.
Gli alchimisti adattarono queste idee pensando che, se dovevano trasformare
una materia vile nella pietra ilosofale allora occorreva riportarla nel suo stato
originario, indifferenziato.
A questo pensiero aggiunsero una visione animistica della natura, in quanto
credevano che ogni oggetto possedesse un suo spirito che, come lo spirito
umano, era perfettibile, perché capace di trasformarsi da forme inferiori a forme
più elevate.
Poiché tutte le sostanze sono composte dagli stessi quattro elementi, deve essere
possibile trasformare una sostanza nell'altra (per esempio il piombo in oro),
compiendo una solutio, una separatio o una sublimatio per ridurre la sostanza
agli elementi originali, modiicando le loro rispettive proporzioni e poi
compiendo una coagulatio o una coniunctio per dare vita alla nuova sostanza.
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Inoltre, poiché lo spirito di tutte le entità è perfettibile, non ci dovrebbero essere
ostacoli insormontabili alla trasformazione della sostanza vile in oro. Il segreto
sta nello stabilire gli stadi necessari attraverso cui devono passare le operazioni
chimiche e nella scoperta di un agente miracoloso, che oggi potremmo deinire
un catalizzatore, in grado di rendere possibile la trasformazione. Molti alchimisti
concordavano sugli stadi appropriati ritenuti necessari, ma l'agente miracoloso si
rivelò più elusivo.
La terza fase si fonde nello gnosticismo: come anticipato infatti, diventa una
sorta di religione esoterica, per la presenza di rituali e linguaggi misteriosi.
In età ellenica, si sviluppò una letteratura di carattere ilosoico-soteriologicoreligiosa, che verrà poi chiamata ermetica, poiché rivelata da parte del dio hotErmete, supportata da una forma di metaisica che si rifà al Neoplatonismo ed al
Neopitagorismo.
Al II secolo risalirebbero inine gli Oracoli caldaici, dei quali sono pervenuti solo
frammenti, che presentano analogie con gli scritti ermetici. In quel momento
storico, quindi, si sarebbe operata una fusione tra il patrimonio ilosoico greco e
la gnosi ermetica, nella quale l'alchimia assume i connotati di una tecnica tesa
alla realizzazione in senso interiore e cosmico. (Pereira 2001, p. 32)
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Alchimia nel mondo islamico
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Dopo la distruzione del Serapeo e della Biblioteca di Alessandria , che segnò la
ine del centro culturale greco, il processo di sviluppo si spostò verso il Vicino
Oriente, da cui provengono molti più documenti rispetto alle altre culture,
documenti che vennero di conseguenza poi tradotti in varie lingue. Questo è il
motivo per cui l’alchimia islamica è tra le più conosciute (Pereira 2001,p 132).
Alchimisti come al-Razî (conosciuto poi in latino come “Rasis” o “Rhazes”)
diedero un contributo fondamentale alle scoperte chimiche, tra le quali
ricordiamo la distillazione, la scoperta dell'acido muriatico (che è l'antico nome
dell'acido cloridrico), dell'acido solforico e nitrico, della soda e del potassio. Fu
così importante che ne derivò tutta la nomenclatura alchemica pervenuta ino ad
oggi: ad esempio, come illustrato inizialmente, il termine stesso alchimia,
l'athanor (fornace), l'azoth (forma corrotta da al-zawq, 'mercurio'), alcool (da alkohl, indicante una polvere per il trucco ricavata dall' ‘anti-monio'), elisir (da aliksīr, "pietra" ilosofale) e alambicco. All'alchimia islamica si deve inoltre una
scoperta che fomentò per secoli l'immaginazione dei praticanti: l'aqua regia, un
composto di acido nitrico e muriatico, che si diceva potesse dissolvere il metallo
nobile, l'oro.
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Degno di nota tra gli alchimisti islamici del VIII secolo è pure Jabir Ibn Hayyan,
(conosciuto poi con la traduzione latina con il nome di “Geber“ o “Geberus“) i
cui scritti esercitarono una grandissima inluenza nelle correnti europee
successive. Fu il primo ad aver analizzato gli elementi secondo le quattro qualità
di caldo, freddo, secco e umido e ad ipotizzare che, siccome in ogni metallo due
di queste qualità erano interne e due esterne, mescolando le qualità di un
metallo, se ne sarebbe ottenuto un altro. (Pereira, pp.95-96)
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Alchimia nell'Europa medievale
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Superato l'Alto Medioevo, l'Occidente riprende timidamente in mano la
tradizione alchemica greca attraverso l'opera islamica, con un incontro tra i due
mondi che avviene in Spagna , grazie al futuro Papa Silvestro II, Gerberto di
Aurillac. Nel XII secolo invece fu Gerardo da Cremona a portare avanti l'opera
di traduzione dall'arabo al latino di testi fondamentali come quelli di Rasis e
Geber.
Sarà solo il 1144 l'anno del vero e proprio rientro dell'europa nell'alchima,
quando Roberto di Chester tradusse il Liber de compositione alchimiae, in cui il
saggio Morieno insegnava al Re Calid il sapere direttamente trasmessogli da
Ermete Trismegisto. La materia verrà poi
rielaborata nel XIII secolo da Alberto Magno e
Tommaso D'Aquino. Sarà il Francescano Ruggero
Bacone (1241-1294) il primo vero alchimista
riconosciuto nella tradizione europea medievale.
Oltre ad occuparsi di ottica e di linguistica, scrisse
libri come il Breve Breviarium, il Tractatus trium
verborum e lo Speculum Alchimiae, opere di
enorme importanza per gli alchimisti dal XV al
XIX secolo. (Pereira 2001, p. 133 e p.139)Verso la
ine del secolo XIII l'alchimia entrò in un'altra
fase, grazie ad Arnaldo da Villanova (1240-1312)
(che scrisse il Rosarium philosophorum) e
Raimondo Lullo (1235-1315), che la portarono ad
essere un mero sistema di credenze. Il tutto
Nicolas Flamel, ritratto del XIX secolo
declinò nel XIV secolo con l'editto di Papa
Giovanni XXII che vietava la pratica alchemica.
Nonostante questa ci furono uomini che ebbero il coraggio di tenerla in vita e far
sopravvivere la ricerca della pietra ilosofale, nonostante i tempi poco propizi,
come Nicolas Flamel (1330-1419) il quale riuscì, dopo anni di lavoro, a tradurre
il mitico Libro di Abramo l’Ebreo, che secondo la leggenda, gli avrebbe rivelato i
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segreti per la costruzione della pietra. Leggenda vuole che abbia raggiunto
l'immortalità insieme alla moglie Perenelle. (Pereira 2001, p 232)
Nell'alto Medioevo gli alchimisti venivano spesso accomunati a maghi ed
incantatori e spesso furono perseguitati, anche durante l’Inquisizione. All’epoca,
la loro attenzione era concentrata sopratutto sulla creazione dell'elisir della
giovinezza e della pietra ilosofale, che venivano intese come due entità separate,
e interpretavano l’elevazione dell'anima come la trasmutazione in oro del
piombo. (Pereira 2001, p 183).
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Alchimia nel Rinascimento e nell'età moderna
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Durante il XVI secolo alchimia,
chimica, medicina, scienze naturali,
magia, astronomia operavano in
simbiosi, senza conini netti tra loro.
Agli inizi del secolo, uno dei maggiori
interpreti che si muoveva senza
difficoltà tra queste discipline, era
Heinrich Cornelius Agrippa von
Nettesheim (1486-1535). La sua
i n l u e n z a f u p r e v a l e nt e m e nt e
postuma, come accadde per Flamel,
soprattutto per l'opera De occulta
philosophia. Il suo merito fu quello di
trasmutare l'alchimia stessa da
ilosoia mistica a magia occultista.
Mantenne vive, dunque, le ilosoie
antiche in cui erano presenti
numerologia e scienza sperimentale,
introducendovi al contempo anche la
teoria magica.
La copertina del IV libro del De Occulta Philosophia, edizione
del 1533
E’ necessario ricordare in questo
frangente l'etimologia del termine
“magia”, risalente di fatto alla dottrina dei magi, antichi sacerdoti persiani , che
raggruppava sotto di se la pratica di evocare spiriti e morti, la taumaturgia, la
divinazione del futuro e la pratica di prodigi, con l'aiuto di spiriti malevoli o
benevoli. Lo stesso Cornelius si riteneva in grado di compiere queste operazioni
e riuscì comunque a scappare dall’inquisizione (Pereira 2001, p. 108 e p.203).
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Colui che spazzò via l'occultismo accumulato negli ultimi tempi, riportando la
scienza al suo antico empirismo, fu senza dubbio Paracelso (heophrastus
Bombastus von Hohenheim, 1493-1541): eliminò tradizioni gnostiche e magia,
riprese in mano le ilosoie ermetiche dell'antica Grecia (Neoplatonismo e
pitagorismo) e si concentrò sullo sviluppo medicinale dell’alchimia, indagando
solo marginalmente la trasmutazione dei metalli preziosi. (Pereira 2001, pp
209-212)
L'alchimia era la scienza della trasformazione dei metalli reperibili in natura per
produrre composti utili per l’umanità: la iatrochimica di Paracelso era basata
sulla teoria che il corpo umano fosse un sistema chimico nel quale giocano un
ruolo fondamentale i due tradizionali principi degli alchimisti, e cioè lo zolfo ed
il mercurio, ai quali lo scienziato ne aggiunse un terzo, il sale. Paracelso era
convinto che l'origine delle malattie fosse da ricercare nello squilibrio di questi
principi chimici e non nella disarmonia degli umori. Quindi la salute poteva
essere ristabilita utilizzando rimedi di natura minerale e non di natura organica.
È in questo periodo che viene pubblicata la prima storia dell'alchimia, nel 1561 a
Parigi. L'autore è Robert Duval.
In Inghilterra, l'alchimia nel XVI secolo è spesso associata al dottor John Dee
(1527-1608), meglio conosciuto per il suo ruolo di astrologo, crittografo ed in
generale come "consulente scientiico" della regina Elisabetta I d'Inghilterra. Dee
si interessò anche di alchimia tanto da scrivere un libro sull'argomento (Monas
Hieroglyphica, 1564) inluenzato dalla tradizione ebraica della Cabala (Pereira
2001, pp. 217-220).
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Il declino dell'alchimia occidentale
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Il declino in Occidente fu causato dalla nascita della scienza moderna con i suoi
richiami a rigorose sperimentazioni scientiiche ed al concetto di materialismo.
Nel XVII secolo Robert Boyle (1627-1691) diede l'avvio al metodo scientiico
nelle investigazioni chimiche, alla base di un nuovo approccio alla comprensione
della trasformazione della materia, che di fatto rivelò la futilità delle ricerche
alchemiche della pietra ilosofale.
Anche gli enormi passi avanti compiuti dalla medicina nel periodo seguente la
iatrochimica di Paracelso, supportati dagli sviluppi paralleli della chimica
organica, diedero un duro colpo alle speranze dell'alchimia di reperire elisir
miracolosi, mostrando l'inefficacia se non la tossicità dei suoi rimedi.
Ridotta ad astruso sistema ilosoico, distante dalle pressanti faccende del mondo
moderno, subì il fato comune ad altre discipline esoteriche quali l'astrologia e la
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cabala; esclusa dagli studi universitari, l'alchimia venne banalizzata, ridotta ai
suoi procedimenti materiali, e messa al bando dagli scienziati quale epitome
della superstizione.
A livello popolare, tuttavia, l'alchimista era ancora considerato come il
depositario di grandi saperi arcani. Facendo leva sulla credulità popolare, molti
imbroglioni si attribuirono titoli di guaritore e per dimostrare effettive capacità
produssero manuali manoscritti che imitavano, nel gergo e nelle illustrazioni, i
trattati di famosi autori alchemici (in tal modo, nacquero anche i cosiddetti
"erbari dei falsi alchimisti" che solo di recente hanno iniziato ad essere analizzati
in modo attento dagli studiosi).
Dopo aver goduto per millenni di un grande prestigio intellettuale e materiale,
l'alchimia scomparve in tal modo dalla gran parte del pensiero occidentale, per
tornare, però, ad essere approfondita nelle opere di pensatori come Julius Evola o
Giuliano Kremmerz agli inizi del 900.
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L’opera di Jung
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Secondo Anthony Stevens nel libro Su Jung, La nascita e lo sviluppo della
psicologia analitica (1990, Astrolabio) di fondamentale importanza, fu l'analisi
proposta dallo psicologo che cominciò a studiare all'età di cinquanta tre anni,
ma non rese pubbliche le sue tesi ino ai sessanta anni, quando pubblicò ,negli
anni quaranta, Psicologia e Alchimia.
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Per capire l'importanza che l'opera di Jung assunse, basti pensare che ino ad
allora l'alchimia era conosciuta come un'anticipazione della chimica moderna e
non come un equivalente storico della psicologia del profondo. Jung però
comprese che l'alchimista, nel suo sforzo di trasformare la materia vile in oro, in
realtà operava simbolicamente sulla trasformazione della propria psiche.
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In altre parole Jung scoprì nell'alchimia una metafora dell’individuazione.
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Importante inoltre era il nesso tra le dimensioni di microcosmo e macrocosmo,
nonché l'atteggiamento religioso che adottavano nel compimento dell'opera:
''Questo arcano deve essere considerato, non solo come veramente grande, ma
come Arte Sacra'', dice un testo. Tutto quello che accade in cielo viene replicato
sulla terra:
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“cielo sopra
cielo sotto
stelle sopra
stelle sotto
tutto ciò ch'è sopra
è anche sotto
afferralo e rallegrati”
(Jung 1946, vol 14, p 200)
Balduinus, Aurum hermeticum, 1675. Rappresentazione simbolica dell’opus con i suoi attributi. Il rotondo alato (aurum
aurae) come prodotto finale dell’opus alchemico e la sua immagine riflessa nella fonte di vita
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Inevitabile è il nesso e l’assonanza con il testo della Tavola Smaragdina attribuita
ad Ermete Trismegisto:
E’ vero senza menzogna, certo e verissimo.
Ciò che è in basso è come ciò che sta in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso
per fare i miracoli della cosa una.
E poiché tutte le cose sono e provengono da una
così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento.
Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre,
il Vento l’ha portata nel suo grembo,
la Terra è la sua nutrice.
Il padre di tutto, il fine di tutto il mondo è qui.
La sua forza o potenza è intera se essa è convertita in terra.
Separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso, dolcemente e con grande industria.
Sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra
e riceve la forza delle cose superiori e inferiori.
Con questo mezzo avrai la gloria di tutto il mondo
e per mezzo di ciò l’oscurità fuggirà da te.
E’ la forza forte di ogni forza:
perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida.
Così è stato creato il mondo.
Da ciò saranno e deriveranno meravigliosi adattamenti, il cui metodo è qui.
E’ perciò che sono stato chiamato Ermete Trismegisto,
avendo le tre parti della filosofia di tutto il mondo.
Ciò che ho detto dell’operazione del Sole è compiuto e terminato.
L'Arte Sacra consiste in qualche modo nel collegare il microcosmo con il
macrocosmo, il personale con il trans personale, l'Io con il Sé.
Esaminando i testi antichi, Jung giunse alla conclusione che l'alchimia era l'unica
tradizione che tentava d'impiegare una verità psicologica eternamente valida e
precisamente che si diventa consapevoli di nuovi signiicati che emergono
dall'inconscio vedendoli rispecchiati nella realtà esterna. In altre parole,
l'alchimia era il primo esempio di una elaborata disciplina costruita interamente
sul fenomeno della proiezione.
Perché giunse a questa conclusione? Che motivo aveva di supporre che gli
alchimisti proiettassero la loro psiche inconscia sulle loro storte e sui loro testi?
!13
Voleva forse suggerire
che l'alchimia non era
affatto il risultato di un
ragionamento cosciente?
La risposta è che la sua
supposizione era del
tutto intuitiva, anche se
sostenuta dall'esperienza
clinica del potere della
Corrispondenze tra operazioni alchemiche e costellazioni
proiezione e dai
numerosi paralleli rintracciati tra i simboli alchemici e i simboli prodotti da Jung
stesso e dai suoi pazienti, nei sogni e nella pratica dell'immaginazione attiva.
In Psicologia e Alchimia, pubblicò una serie di sogni di uno scienziato (che non
aveva alcuna conoscenza dell'alchimia) e dimostrò quanto sorprendentemente il
loro contenuto richiamasse i motivi contenuti nei testi alchemici. In seguito Jung
ammise che lo scienziato era il Premio Nobel per la isica, Wolfgang Pauli.
Quello che affascinava lo psicologo era il modo in cui gli alchimisti tentavano di
dare una spiegazione sistematica degli stadi attraverso cui passava il processo di
trasformazione, con parole scientiiche bizzarre, primordiali, che erano simboli
delle trasmutazioni psichiche coinvolte.
La liberazione dell'oro dalla massa confusa portava dunque il Sé della coscienza
dall'oscuro caos all'inconscio. Produrre l'oro equivale a creare il Sé.
Come la psicologia analitica, l'alchimia rappresentava una disciplina diretta a
promuovere la realizzazione del sé, benché nella prima si tratti di una
realizzazione cosciente e deliberata, nella seconda largamente inconscia e
accidentale. Proprio come Jung concepiva il ruolo del sé nel processo di
individuazione, così gli Alchimisti credevano che la pietra ilosofale fosse il
punto di partenza, la meta e l'agente di trasformazione. E, cosa più importante,
Jung credeva anche che l'Alchimia fosse in un rapporto compensatorio con il
cristianesimo medievale.
Per il cristiano era l'uomo che doveva essere redento da Dio, ma per l'alchimista
era Dio (la divina anima del mondo che attende assopita nella materia) che
aveva bisogno di essere redento dall’uomo. Si rammenta che, con molta
probabilità questa intuizione, nonostante fu di grandissima utilità, potrebbe
essere scaturita dal tentativo dello psicologo di risolvere il difficoltoso rapporto
con la religione ereditato dal padre.
Fu in particolare molto stimolato all’uso, da parte degli alchimisti, dei termini
meditatio e imaginatio, in relazione alla loro opera: ''la meditazione alchimistica
è un dialogo creativo in virtù del quale le cose passano da uno stato potenziale
inconscio a uno manifesto''
Per lui, l'imaginatio era la chiave che apriva la porta al segreto opus.
!14
Dedicarsi allo studio dell'alchimia quindi non era una cosa così eccentrica per
uno psicologo poiché, mentre gli scienziati usano le loro menti per investigare i
dati ricavati da osservazioni di eventi che si svolgono nel mondo esterno, lo
psicologo usa la psiche per investigare dati che derivano dall'osservazione di sé.
L'osservatore completa con la proiezione psicologica ogni cosa incerta o
sconosciuta. (Stevens 1990, pp.203-207)
!
Anthony Stevens ne amplierà a posteriori la visione parlando di alchimia come
metafora dell'embriogenesi: gli alchimisti di fatto si impegnavano in una forma
di compensazione per l'impossibilità di emulare la capacità femminile di creare
la vita. L'obiettivo dell'opus alchemico è quello di separare due o più reagenti da
una massa primaria, la prima materia o materia confusa all'interno di una sorta
di grembo; la ricombinazione dei reagenti per produrre una nuova sostanza
miracolosa, variamente deinita come lapis philosophorum, elisir di vita e così
via, si esprime simbolicamente in un atto di unione sessuale tra un Re e una
Regina in una vasca colma d'acqua, da cui nascerà un iglio, ermafrodito o
androgino.
!
La metafora alchemica, sempre secondo Stevens, opera a tre livelli: materiale
(produrre oro), embriologico (produrre vita), psichico (fare anima). (Stevens
1990, p.203).
Pagine 50 e 63 del Liber Novus, Carl Gustav Jung, terminato di scrivere nel 1959
!15
Le fasi alchemiche
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Come è noto, l'alchimia descrive un processo di trasmutazione chimica per
effettuare il quale essa dà ininite indicazioni. Benché per quanto concerne
l’esatto processo e la successione delle sue fasi, non si trovino due autori che
abbiano la stessa opinione, la maggioranza è d'accordo sui punti essenziali, e
questo già dalle epoche più remote, cioè dall'inizio dell'era cristiana.
Vengono distinte quattro fasi, caratterizzate dai colori originari: la melanosi
(innerimento, nigredo), la leucosi (imbiancamento, albedo), la xanthosi
(ingiallimento, citrinitas) e la iosi (irrossimento, rubedo).
Questa suddivisione del processo fu chiamata ''quadripartizione della ilosoia''.
Più tardi, all'incirca nel quindicesimo-sedicesimo secolo, i colori furono ridotti a
tre , poiché la xanthosi cadde gradualmente in disuso o non fu menzionata che
pochissime volte. Al suo posto apparve eccezionalmente la viriditas (il verde),
dopo la melanosi, senza però assumere un signiicato di principio. Mentre la
tetrametria originaria era un esatto equivalente della quaternità degli elementi,
ora veniva rilevata frequentemente sia l'esistenza di quattro elementi (terra,
acqua, aria, fuoco) che di quattro qualità (caldo, freddo, umido, secco), con tre
colori soltanto: nero, bianco, rosso.
Poiché il processo non conseguì mai il risultato desiderato e poiché non fu mai
eseguito in forma tipica nemmeno nelle sue singole parti, questo mutamento
nella divisione delle fasi non può essere spiegato con cause esterne ma dipende
piuttosto dal signiicato simbolico della quaternità e della trinità, dunque da
cause interne, psichiche.
!
NIGREDO
!
La nerezza, nigredo, è lo stato iniziale che può essere preesistente come qualità
della prima materia, del caos o della massa confusa, oppure provocato dalla
decomposizione (solutio, separatio, divsio, putrefactio) degli elementi. Se si
partiva dallo stato di decomposizione , poi si procedeva a un'unione degli
opposti sul modello dell'unione di maschile e femminile (il cosiddetto
coniugium, matrimonium, coniunctio, coitus), seguita dalla morte del prodotto
dell'unione (mortiicatio, calcinatio, putrefactio) e corrispondente annerimento.
!
ALBEDO
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Dalla nigredo si poteva passare mediante lavaggio (ablutio, baptisma) o
direttamente, all’imbianchimento; oppure l'anima fuggita dal corpo al momento
della morte era unita nuovamente al corpo morto per viviicarlo, oppure ancora i
!16
molti colori (omnes colores, cauda pavonis, la già menzionata viriditas) servivano
di passaggio a un colore unico, il bianco, contenente tutti i colori.
Con ciò era raggiunta la prima meta principale del processo, ossia l'albedo,
tinctura alba, terra alba foliata, lapis albus ecc., meta che certi autori
decantavano in modo tale quasi fosse la meta deinitiva. Era lo stato argenteo o
lunare, che però doveva essere ancora innalzato allo stato solare.
!
RUBEDO
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L'albedo è , in certo qual modo, l'alba; ma soltanto la rubedo è il sorgere del sole.
Il passaggio alla Rubedo è costituito dall'ingiallimento (citrinitas) il quale venne
più avanti soppresso. Aumentando l'intensità del fuoco ino al suo grado
massimo, la rubedo sorge direttamente dall'albedo. Il bianco e il rosso denotano
la Regina ed il Re che anche in questa fase possono celebrare le loro nuptiae
chymicae, nozze chimiche. Per quanto riguarda l'intero processo, gli autori sono
vaghi e contraddittori. Molti si accontentano di alcuni accenni sommari, altri
compilano un elenco dettagliato delle varie operazioni.Prendiamo ad esempio
Josephus Quercetanus, alchimista, medico e diplomatico, che ebbe in Francia e
nella Svizzera francese, una parte simile a quella di Paracleso. Stabilì nel 1576
una sequenza di dodici operazioni nell'ordine seguente, che sono citate anche in
Psicologia e Alchimia da Jung :
1° CALCINATIO
2° SOLUTIO
3° ELEMENTORUM SEPARATIO
4° CONIUNCTIO
5° PUTREFACTIO
6° COAGULATIO
7° CIBATIO
8° SUBLIMATIO
9° FERMENTATIO DISTILLAXIONE
10° EXALTATIO
11° AUGMENTATIO
12° PROIECTIO
(Jung 1944, p. 237)
!
La “calcinazione”, o riscaldamento all'aria, portava al “issaggio” dei metalli
fusibili, ed in tal modo essi assumevano una forma solida permanente o “calce”
che resisteva a ogni ulteriore cambiamento. La “distillazione” fu spesso
immaginata come un processo a due stadi, l'ascendente e il discendente,
simbolicamente rappresentati da uccelli che volavano verso l'alto e verso il basso.
Allo stesso modo, cigni, colombi o altri uccelli che volavano verso l'alto,
!17
simboleggiavano la “sublimazione”. Si pensava che sublimando più volte una
stessa sostanza, si potesse arrivare alla sua quintessenza. Con il termine
“putrefazione” o “mortiicazione” veniva indicata la “morte di un metallo”
causata generalmente dal calore (ossidazione); il processo inverso di “ritorno alla
vita” o “risurrezione” (riduzione) era interpretato dagli alchimisti come il ritorno
dell'anima di un metallo nel suo corpo. Si supponeva che questi due processi si
manifestassero con la comparsa dei colori nero e bianco. Secondo un'idea molto
diffusa, anche l'oro, il metallo perfetto, doveva subire la mortiicazione per
permettere al suo seme di germogliare o crescere quando si fosse trovato in un
mezzo adatto. “Il grano e gli altri semi dei vegetali, gettati nel terreno, prima di
poter germogliare devono decomporsi”, scrisse Paracelso riferendosi a una
diffusa anche se errata concezione medioevale. Il processo di “congiunzione” era
considerato come l'unione del maschio con la femmina, del Sole con la Luna,
dello zolfo con il mercurio, del solido con il volatile, del rospo con l'aquila e così
via. Nella “nutrizione” il recipiente per la reazione era riempito di materiali
preparati al momento. La “circolazione” era una forma continua di distillazione
in vaso chiuso; questo processo fu spesso condotto in un vaso a due braccia,
l'alchimistico pellicano, o in un doppio vaso.
Jung riuscì ad enucleare gli stadi dell'opus dall'esame sinottico di numerosi testi
e fu anche lui concorde nella suddivisione a quattro stadi con i quattro colori
caratteristici già citati da Eraclito.
Psicologicamente la prima materia è identica al sé primordiale, che contiene
tutte le potenzialità, tutte le opposizioni dinamiche, necessarie per raggiungere la
meta dell'opus. La separatio e la divisio sono indispensabili per avviare il
processo, così come la divisione e moltiplicazione delle cellule nell'embrione per
formare una nuova vita. La separatio inoltre trova un parallelo negli stadi inziali
dell'analisi junghiana, quando si differenziano la situazione adulta dai complessi
infantili, l'Io dall'Ombra, dall'Anima/Animus e dal Sé. La Tabula Smaragdina (il
più sacro dei testi alchemici) avverte di ''Separare la terra dal fuoco, il ine dal
grossolano, agendo con prudenza e con giudizio''.
Il colore nero di questo stadio ha a che vedere con la depressione, la melancholia,
che tanto spesso è quel momento iniziale che spinge a interrogarsi sulla propria
vita, che porta all'analisi e che s'intensiica nell'incontro con l'Ombra. L'incontro
con l'Ombra viene sempre deinito come mortiicatio: l'individuo deve
confrontarsi con le sue parti umilianti e disprezzabili di se stesso, per integrarle;
deve percepire, sopportare, elaborare i propri sensi di colpa. Tutti gli alchimisti
concordano con la pericolosità della nigredo: essa genera vapori velenosi di
piombo e mercurio e il vaso può esplodere. I testi consigliano orare et laborare,
con perseveranza, fermezza e preghiera.
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!18
Il secondo stadio, l'albedo, deriva dal lavaggio (ablutio, baptisma) dei prodotti
della nigredo che sul piano psicologico, corrisponde agli stadi ulteriori
dell'integrazione dell'Ombra, nell'intimità della storta analitica: lavare i propri
panni sporchi in privato. Secondo alcune tradizioni, la nigredo costituisce la
morte della prima materia (morire alla vecchia modalità nevrotica di vivere, alle
dipendenze infantili e così via). Al momento della ''morte'', l'anima viene
liberata, puriicata e poi riuniicata alla materia rivitalizzata, per produrre lo
stadio trionfale dei mille colori, la coda di pavone, che poi si trasforma in
albedo: il bianco che contiene tutti i colori, la luce bianca. Questo momento è
molto importante, per Jung è l'alba dello stadio successivo, la preparazione allo
stadio inale.
Nella Rubedo inine, il bianco si unisce al rosso grazie al crescente calore del
sole. Il bianco è associato alla Regina e il rosso al Re, che ora ergono e portano a
compimento la coniunctio oppositorum, l'unione degli opposti che si esprime
simbolicamente nella congiunzione del Maschile e Femminile archetipici nelle
''nozze chimiche'', lo hieros gamos.
Questo ha il suo acme nel raggiungimento della meta, il lapis philosophorum,
l'ermafrodito che incarna il Re e la Regina uniti, ilius microcosmi, una ''igura
che può essere paragonata unicamente all'Anthropos gnostico, all'uomo
primordiale divino''.
Il Re e la Regina compiono una coniunctio e si fondono in un unico essere con
due teste. Il iglio philosophorum non è nato dalla Regina ma i due genitori si
sono trasformati in una nuova creatura: ''L'unione della coscienza o della
personalità dell'Io con l'inconscio personiicato come Anima genera una
personalità nuova che racchiude entrambe le componenti. La nuova personalità
non costituisce affatto un terzo intermedio tra coscienza e inconscio ma è l'una e
l’altra assieme. Essa trascende la coscienza e perciò non dev'essere più deinita
come 'Io' ma come 'Sé'.
Il Sé è io e non-io, soggettivo e oggettivo, individuale e collettivo. Esso è in
quanto epitome dell'uniicazione totale dei contrari, il 'simbolo uniicatore':
l'Uno dei due rappresenta la loro forma rinnovata (per Jung esprimibile solo
attraverso simboli, nella forma del mandala).
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Systema Munditotius (cm 30 x 34). Pubblicato anonimo nel 1955 in un numero speciale della rivista culturale “Du”. In una
lettera Jung scrive in proposito: “[il Mandala] raffigura gli opposti del microcosmo all’interno del mondo macrocosmico e
delle sue antinomie. Alla sommità sta la figura del fanciullo nell’uovo alato [Erikapaios o Fanes], che in tal modo rimanda,
come figura spirituale, agli dèi orfici. Il suo oscuro antagonista nel profondo viene qui indicato come Abraxas. Egli
rappresenta il dominus mundi, il signore di questo mondo fisico, ed è un creatore di natura contraddittoria. Da lui scaturisce
l’albero della vita […], mentre la sua controparte in alto è un albero di luce a forma di candelabro a sette bracci, con le
scritte ignis (fuoco) ed Eros (amore). Un’altra suddivisione del mandala è quella orizzontale. Un cerchio interno che
simboleggia il corpo oppure il sangue. Da esso esce a sinistra il serpente […]che mira al mondo oscuro della terra, della
luna e del vuoto. Il regno luminoso della pienezza si trova a destra, dove […] si libra la colomba dello Spirito Santo.” Da
Il Libro Rosso di C.G. Jung, edizione studio.
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Arte alchemica
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Per arte alchemica , come illustrato nel saggio di Maurizio Calvesi, Arte e
Alchimia (Giunti, 1986) si intende l'esperienza mentale di illuminazione artistica
che differisce dal processo alchemico, che invece implicava per gli adepti una
conoscenza metaisica, ilosoica ed esoterica dei simboli, conigurandosi come
scienza
della
trasmutazione dei poteri
mentali per poi sfociare
nelle discipline della
chimica e della magia:
L'arte alchemica è,
secondo Jung, un
processo
di
t r a s for m a z i on e d e l l a
coscienza razionale dell'Io
nella coscienza del Sé,
intendendo cioè
l'individuazione:
''Individuarsi signiica
diventare un essere
singolo e, intendendo noi
per individualità la nostra
più intima, ultima,
incomparabile e singolare
particolarità, diventare se
stessi, attuare il proprio
Sé''. Consiste per cui in
una ciclica preparazione
Albrecht Dürer, Melancholia I, 1514. Incisione
della materia psichica
(istinto, pulsioni, libido)
da cui estrarre la Malinconia. La Malinconia, ben descritta da alcune incisioni
dell'artista Albrecht Dürer del 1514 (in particolare Melencolia I), si manifesta in
tre gradi di introversione: psichica (funzione nigrescente tipica appunto
dell'opera al nero), sensoriale (funzione rubescente, tipica dell'opera al rosso) ed
intuitiva (funzione albescente relativa all'opera al bianco). Come tipicamente
descritto nelle vicende eroiche o tragiche della mitologia greca, nell'allegorismo
rinascimentale, e in tutta la letteratura metaforica messa in atto dagli alchimisti/
ilosoi, si parla di una crisi coscienziale, di alienazione, di spaesamento data dal
dover scegliere tra il proprio potenziale spirituale e la parte sociale da sostenere.
Nell'ontopsicologia non a caso si parla appunto di ''doppia morale'', con la quale
!21
l’individuo è in grado di sostenere entrambe le realtà senza arrivare alla psicosi.
Secondo Antonio Meneghetti, come descritto in Onto Arte (2000, Psicologica
Editrice), dal momento in cui si vive e si opera all’interno di una società, è
necessario rispettare tutte le regole che essa impone, ma è fondamentale non
identiicarsi con questa o quella regola sociale, con questo o quello stereotipo,
con questa o quella ideologia (Meneghetti 2000, p 40).
Tornando a parlare di manifestazione artistica, è necessario citare innanzitutto i
Tarocchi. Nel Medioevo rappresentavano la sintesi del percorso simbolico da
compiere per arrivare alla liberazione dai falsi involucri della Persona e dalla
suggestione delle immagini inconsce. Le immagini archetipiche conducono alla
igura emblematica del ''Matto'' o ''Folle'': il mistico che rinuncia,
distaccandosene, alle preoccupazioni materiali, simbolo di stravaganze, follie,
spensieratezza, viaggi isici e mentali e linguaggi
i n d e c i f r a b i l i . I l Fo l l e r ap p r e s e nt a l a
prosecuzione della via artistica per quanto
riguarda il confronto tra l'Io conscio e il Sé
inconscio (deinito anche Ombra, nel quale
risiedono le pulsioni e gli istinti inespressi per
colpa della repressione sociale, religiosa e
ilosoica) con il ine di arrivare all'espressione
creativa e alla manifestazione di Dio.
Secondo Pereira, a parte l’immagine simbolica
dell’ouroboros, presente già nei manoscritti più
antichi, le raffigurazioni che accompagnano i
testi alchemici medievali sono essenzialmente
legate alla pratica di laboratorio: forni, apparati
metallurgici, alambicchi per la distillazione.
Tuttavia i nomi di copertura impiegati per le
sostanze principali dell’opus (già da Stefano
d’Alessandria e specialmente nella tradizione
Il Matto, Arcano Maggiore 0, dal mazzo di
Tarocchi Rider-Waite
araba) e gli sviluppi legati al tema ermetico del
reperimento del sapere segreto in una domus
sotterranea, avevano di fatto creato un repertorio di metafore estremamente
suggestive: l’aquila con le ali o senza ali, la tartaruga, il re e la regina, il sole e la
luna, il vecchio, il serpente, l’albero, la fonte, il tesoro nascosto, la chiave erano
immagini familiari agli alchimisti.
L’albero in particolare riveste un ruolo importante, perché sullo sfondo
archetipico del legame fra terra (radici) e cielo (chioma) si innestano il tema
della trasformazione della materia (il tronco, i rami, la circolazione della linfa) e
!22
quello del prodotto perfetto (il iore e
il frutto). Il signiicato delle immagini
tuttavia non era isso ed univoco, ma
mobile e dipendente dal contesto in
cui esse avevano avuto origine. Ciò
signiica che, per via della
trasmissione orale e pratica, man
mano che la testimonianza scritta di
questa si tramanda, varia di continuo.
Le immagini in cui il legame con la
pratica viene prima o poi perduto
sono spesso cariche di risonanze
mitiche, letterarie e psicologiche: il
serpente, la fonte, l’albero, lo sposo
rosso e la sposa bianca si affiancano ai
motivi igurativi nuovi, spesso
surreali e inquietanti, che compaiono
nei primi cicli di miniature legati ai
testi dell’Aurora Consurgens e del
Libro della Santissima Trinità.
Samuel Norton, Arboris philosophica, 1630. Le dodici
operazioni rappresentate nell’Albero Filosofico.
I due cicli, affini per i motivi caratterizzanti le immagini (in entrambi viene
proposta la igura dell’ermafrodita), hanno in realtà un rapporto molto diverso
coi testi cui sono apposti. L’autore ignoto del libro della Santissima Trinità ha
prescritto dettagliatamente i motivi e i colori delle sue illustrazioni, che in larga
misura si ispirano all’iconograia religiosa e sottolineano visivamente il carattere
profetico e le implicazioni teologiche del testo: oltre ai simboli degli evangelisti
(il bue, l’angelo, l’aquila, il leone), sono presenti diverse raffigurazioni di Cristo
(mentre porta la croce, in croce, risorto) e della Vergine (l’incoronazione,
l’Immacolata concezione, la donna vestita di sole). Le tre ultime immagini
raffigurano Cristo giudice nella mandorla, Cristo morto con le ali d’Aquila,
insieme alla Vergine, San Francesco in atto di ricevere le stimmate. Ma c’è anche
la raffigurazione dell’Anticristo, come ermafrodito dagli attributi diabolici, ed un
ermafrodito mercuriale che sta in mezzo agli alberi del sole e della luna con un
drago sotto i piedi. Le immagini che accompagnano l’Aurora Consurgens sono
molto di più, trentasette in tutto nei manoscritti che contengono sia il primo
libro del trattato, quello biblico-alchemico sopra ricordato, che il secondo libro
pratico-operativo. Pochissime però sono di contenuto religioso e nessuna ha
risonanze evangeliche ma eventualmente sapienziali (Salomone, la regina di
Saba, la Sapienza che protegge i ilosoi con il suo manto).
!23
Per la maggior parte presentano motivi simbolici, come l’ermafrodito
sormontato da un’aquila; la scimmia che suona uno strumento a corde, la coppia
nuda coricata, la donna partoriente al centro dello Zodiaco. Alcune igure sono
decisamente grottesche: in una miniatura, un personaggio è rappresentato in
atto di urinare e defecare, mentre un altro è squartato e mostra il cervello, il
cuore, il fegato e i testicoli. Molte presentano motivi che verranno ampiamente
riproposti nel Rinascimento: il pavone, la bara, la coppia nuda, il basilisco. Il
legame delle immagini con i testi crea un livello di lettura ulteriore del testo
stesso: l’immagine veicola qualcosa che la parola non dice, perché non vuole o
perché non può, e nel circuito formatosi tra le parole e le immagini si apre uno
spazio che richiede l’interpretazione simbolica. (Pereira 2001, pp. 195-199)
Per quanto riguarda il Rinascimento, l'archetipo che accompagna gli artisti è
Afrodite, mediatrice tra Psiche e Amore, tra Ragione ed istinto, tra Anima ed
Eros. Nel 1462 venne fondata da Marsilio Ficino, per volere di Cosimo de
Medici, l'Accademia Fiorentina, in cui venne predicata una sorta di psicologia
sperimentale che affondava le radici nel platonismo, che si preiggeva di essere la
continuazione culturale dell'antica Accademia di Atene. Ne presero parte
Michelangelo, Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli. Quest'ultimo in particolare
dipingerà ''La nascita di Venere'' per celebrare questa ''venuta al mondo'', dalle
acque dell'inconscio collettivo, per portare consapevolezza della realtà psichica.
(Pereira 2001, p189)
Nei Quaderni di arte alchemica, di Marta Breuning si comprende che la inalità
dell'artista/alchimista rinascimentale era quella di arrivare all'individuazione
attraverso quattro operazioni di integrazione della sigizia Anima/Animus, con
doppia inalità: quella di rafforzamento dell'IO attraverso l'integrazione degli
istinti e sentimenti tipicamente femminili (Anima) e di quelli maschili (Animus)
e far emergere, da questa fusione un nuovo IO , rinato nella coscienza del Sé.
Simbolicamente era rappresentata dalla nascita dell'Ermafrodito e
dell'Androgino. Tipicamente sono esistite due vie, la via secca (riferita a quella
che fu trasmessa da Michelangelo) e la via umida (attribuita a Leonardo). Nella
via secca, deinita ''breve e pericolosa'', l'arte è sia un veicolo di trascendenza e
arricchimento spirituale che una via per l'arricchimento materiale e il successo.
Nella via umida, si sondano i sentimenti inconsci dell'Animus, ed è più lunga e
sicura. Come già anticipato, la trasmutazione avveniva secondo le seguenti
quattro fasi, anche se non sono mai state dichiarate esplicitamente da alcun
artista:
• "Annerimento" della percezione femminile (psichica, sensoriale, intuitiva)
attraverso le strutture della mente pre-logica al ine di risvegliare l'istinto di
individuazione, la Melancholia generata dall'introversione delle sensazioni, delle
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emozioni e dei sentimenti (la funzione cosciente) che caratterizza la Coscienza
Ermafrodita (Arte della Nigredo).
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• "Arrossamento" della percezione ermafrodita (critica, razionale e intellettiva)
attraverso le strutture della mente logica al ine di risvegliare il sentimento di
individuazione (procastinazione, sublimazione, sacriicio) e il "trasferimento" del
conlitto psichico sul piano della fantasia, dell'immaginazione e dell'ispirazione
(la funzione trascendente) che caratterizza la Coscienza Androgina (Arte della
Rubedo).
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• "Ingiallimento" della percezione androgina (proiezione, immaginazione,
intuizione) attraverso le strutture della mente translogica al ine di risvegliare il
principio di individuazione (consapevolezza, comprensione e conoscenza) e la
dinamica della coincidenza, contrapposizione e integrazione degli opposti
(funzione alchemica) peculiare della Coscienza del Rebis Ermafrodito (Arte
dello Iosis).
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• "Imbiancamento" della percezione translogica (psicologica, simbolica e
archetipale) attraverso le strutture della mente transpersonale al ine di accedere
alle intuizioni provenienti dallo Spirito di individuazione (percezione, coscienza
e conoscenza spirituale), sintesi di tutte i possibili processi di elaborazione delle
esperienze cognitive (funzione supercosciente) peculiare della coscienza del
Rebis Androgino in grado di discriminare tra realtà e illusione, verità e
menzogna, relativo e assoluto (Arte dell’Albedo).
!
Anche per quanto riguardano queste fasi viste nell'aspetto creativo dell'artista
rinascimentale, Jung diede una sua interpretazione specialmente nel volume
Libido: I Simboli della Trasformazione (1965, Bollati Boringhieri).
La prima tappa è caratterizzata dall'archetipo dell'Ombra, ossia tutti quegli
aspetti che l'individuo non conosce di se stesso. L'Ombra rappresenta tutto ciò
che è stato rimosso per l'educazione e le inluenze dell'ambiente sottoposte
all'individuo. Questi elementi sono rappresentati nei sogni e nei simboli
generalmente con igure demoniache, discariche, viaggi nell'oscurità, mostri e
inseguimenti. (Jung 1965, p.185 e p.380)
La seconda tappa è caratterizzata dall'incontro con l'archetipo dell'Anima per il
maschio e l'Animus per la donna. L'Anima rappresenta tutti quegli aspetti
prettamente psichici e mentali, ossia il primo contatto iniziatico dell'individuo
con la propria psicologia. Viene rappresentata come una donna, una igura
!25
femminile. Questo archetipo è quello più comunicativo di tutti gli altri perché
sommerge l'individuo di immagini provenienti dall'inconscio, crea illusioni e
complicazioni, nonché anche crisi. L'Animus rappresenta tutti quegli aspetti
prettamente maschili, pratici e concreti, razionali, e reali, ossia il contatto con la
sfera del diretto e del tangibile, il “qui e ora". Questo archetipo è il più battagliero
e pragmatico ed è pericoloso per le sue capacità strumentali e armamentarie di
sommergere l'individuo. Viene rappresentato nei sogni con la guerra, il fabbro e
simboli simili. La non comprensione di tale archetipi può costare un blocco, una
stasi, una nevrosi. Entrambi hanno sia potenzialità di creatività che distruzione
(Jung 1965, p. 378).
La terza tappa è caratterizzata dall'incontro con il Vecchio Saggio. Tale archetipo
è da intendere come il corrispondente speculare della igura maschile, ossia
paterna, della Grande Madre. È quell'archetipo in cui sono rinchiuse tutte le
potenzialità dell'individuo, ossia la sua previsione, la sua capacità di
ragionamento e la sua esperienza. La Grande Madre rappresenta la meta inale
della psicologia femminile. Il Vecchio Saggio rappresenta tutto ciò che
l'individuo sta per diventare dopo aver attraversato le fasi precedenti, un uomo,
un saggio che sa, che ha conosciuto il passato, il presente e il futuro. Il Vecchio
Saggio è capace di districarsi dalla tela appiccicosa dell'Anima e dalle battaglie
furenti dell'Animus e come tale viene rappresentato come un consigliere, un
ilosofo, un esperto in materia. La sua non comprensione può tenere saldo
l'individuo nella sua situazione bloccandone l'evoluzione che rappresenta. (Jung
1965, p.326)
La quarta tappa è caratterizzata dall'incontro con l'archetipo del Sé. Tale
archetipo è la summa del percorso di individuazione, il ine dell'individuo che si
dispiega avanti a lui, come un iore che sboccia. Viene rappresentato come luce,
come mandala, come quaterna, come centro e come Dio. Tale archetipo
rappresenta l'individuo stesso, tutto ciò che durante la strada ha visto e ha
accumulato. Se l'individuo ha incontrato il Sé signiica che l'Io è allineato con
esso. Non andarvi incontro signiica semplicemente che il percorso non è ancora
terminato. (Jung 1965, p.359)
!
Il concetto di arte come imitazione della natura ideato nel Rinascimento, è stato
inteso in modo riduttivo come imitazione delle apparenze esterne: era dunque
molto più profondo, trattandosi di imitazione come aderenza ad un modello
operativo,ovvero come emulazione dei processi creativi della natura.
Nell'ambito di particolari tecniche come l'incisione all'acquaforte, le analogie
diventano a dir poco sorprendenti.
!26
!
!
!
Il principio attivo cui era demandato il compito di governare il procedimento
trasigurativo della materia, ovvero il mitico Mercurio o argento
vivo, o acqua mercuriale, e che era poi idealmente e isicamente un solvente,
assumeva vari nomi, tra cui quello, proprio, di ''aqua fortis''. Nel procedimento,
poi, le suggestive coincidenze possono essere numerose: abbiamo una lastra di
metallo, un acido che la corrode (come l'acqua mercuriale dissolve la materia
''prima''), abbiamo il fuoco che scalda e affumica il metallo, abbiamo le fasi, le
attese, i misteriosi passaggi dalla materia alla forma. L'inventore della tecnica fu
proprio Albrecht Dürer (1471-1528), ed in particolare, il riferimento va ad una
delle sue opere più famose, Melancholia I.
Rifacendosi ancora al saggio sopra citato di Calvesi, Erwin Panofsky , padre
dell'iconologia moderna, ne da una interpretazione secondo la quale la
malinconia (provocata dalla ''bile nera'') corrisponde, nel pensiero
rinascimentale a uno dei quattro umori che determinano i quattro temperamenti
dell'uomo: il malinconico, il lemmatico, il collerico, il sanguigno.
L'umor malinconico è il più cupo e patologico, ma Dürer avrebbe trasformato la
tradizionale rappresentazione psicopatica o puramente caratteriologica del
melancolico, secondo la ''revisione anzi il rovesciamento di tutto il concetto di
melanconia operato da Marsilio Ficino'', che riprendeva una tesi di Aristotele
secondo cui i melanconici, a causa della loro stessa fragilità, iniscono spesso per
emergere nelle attività intellettuali. Il furor melancholicus diventava così
sinonimo di ispirazione. Quanto al numero I aggiunto alla parola, Panofsky
suppone possa implicare una ideale scala di valori anziché una vera e propria
serie di stampe. La verità di questa ipotesi può essere confermata nelle teorie di
Agrippa di Netterheim, che deiniva tre generi di furor melancholius:
!
-quella tipica di artisti ed artigiani, che hanno una immaginazione più forte della
ragione
-quella tipica di scienziati, medici e politici , dove predomina la ragione
discorsiva
-quella tipica dei teologi, nei quali la mente intuitiva supera le altre facoltà.
!
Alla luce di queste caratteristiche, la “melanconia” di Dürer , secondo una sua
stessa elaborazione ed elucubrazione dello scritto di Agrippa, può sicuramente
rientrare nella malinconia d'artista, cioè la prima tipologia. Muovendosi nella
!27
sfera dell'immaginazione, rappresenta la prima forma dell’ingegnosità umana,
quindi appartiene a coloro che non possono estendere il pensiero oltre i limiti
dello spazio. Questa tesi però può essere superata da un'altra ben più realistica. Il
numero I infatti coinciderebbe con il primo gradino di una serie di molti altri, e
quindi con la fase nigredo, primo segno dell'opus, alla quale peraltro
tradizionalmente si fa corrispondere non solo questo stato emozionale, ma
anche l'elemento terra, la notte, l'inverno, la vecchiaia e la morte. Melancolia I
diventa quindi un monito alla luttuosa bile nera che pervade l'universo
dell'alchimista, ma anche il primo passo verso l'esito di luce (Calvesi 1986, pp.
10-15).
La sua passione per l'alchimia, per l'archetipo del Folle e della Malinconia che
tentò di elaborare in tre diverse versioni al ine di estrarre l'istinto di
individuazione, l'introversione psichica da cui ha inizio un rapido sviluppo della
funzione trascendente (fantasia, immaginazione, ispirazione) che permise anche
a Raffaello di realizzare i più signiicativi capolavori dell'Arte Alchemica.
Entrambi riuscirono ad assimilare l'ermetismo alchemico attraverso lo studio
delle opere realizzate dai maestri dell'Arte e riuscirono in brevissimo tempo a
comprendere lo Spirito di individuazione (opera al Bianco).
Solo in alcuni trattati pubblicati nel corso del XVI secolo i ilosoi avevano
fornito per immagini, spiegazioni dettagliate dell'intero processo di realizzazione
del Sé. I trattati erano composti generalmente da una serie di tavole numerate
accompagnate da testi, simboli, emblemi ermetici e in alcuni casi, come nel
trattato Atalanta Fugiens di Michael Maier (1617), da partiture musicali, allo
scopo di divulgare solo agli iniziati i segreti dell'Arte. Il trattato che più di altri
rende esplicito il processo di individuazione è il Rosarium Philosophorum, uno
dei testi di riferimento per C. G. Jung, che lo utilizza come ilo conduttore nella
sua Psicologia del transfert e fonte di ispirazione per deinire il "percorso
terapeutico di individuazione".
Da considerare inoltre che non è solo la puriicazione dell'Ombra il concetto
chiave su cui l'Arte Alchemica si concentra, ma anche su un altro aspetto
fondamentale, ovverosia la libido. Questo lavoro avviene nella fase massima
dell'estroversione dell'energia, sessuale a scopo riproduttivo per citare Dante
''nel mezzo del cammin di nostra vita'', sotto forma di libido appetitiva (la lupa),
appagativa (la lonza) e affermativa (il leone). Queste tre metafore incontrate da
Dante rappresentano l'inconscio collettivo, per Jung.
Da qui in poi , nell'opus, l'artista alchemico non guarda verso l'alto, alla ricerca
di un Maestro o di una guida, ma si rivolge verso se stesso, precipitando
nell'inconscio collettivo (iosis dell'anima) per arrivare alla comprensione della
realtà umana e spirituale (albedo dell'anima). Inizia cioè a collaborare
!28
spontaneamente all'Anima Mundi, arteice di tutte le forme di compensazioni
indispensabili per riportare ad un equilibrio il corpo e la mente dell'artista e del
collettivo.
Sono identiicabili quattro fasi nella Rubedo dell'arte alchemica, riscontrabili tra
l'altro nella Passione di Gesù, che sono la fase di perdita, depersonalizzazione,
svuotamento e morte simbolica dell'Anima individuale. Le fasi sono necessarie
per puriicare la mente inconscia dalla libido.
La precipitazione dell'anima nell'inconscio collettivo è provocato dal fenomeno
di introversione della libido, rappresentato simbolicamente dal serpente
ouroboros che si morde la coda (del quale si è già accennato) a cui segue un
processo
di
interiorizzazione delle
immagini peculiare
dell'artista o del mistico che
si immerge profondamente
nella meditazione delle
fantasie psichiche generate
dalla compensazione
inconscia.
Jung spiega il processo
psichico sp er iment ato
dall'artista alchemico e,
soprattutto, da lui stesso:
"La luce che a poco poco si
fa in lui consiste nel suo
comprendere che la sua
fantasia è un processo
psichico reale, qualcosa che
Ouroboros, incisione di Lucas Jennis, 1667.
sta succedendo a lui
personalmente...Ma se io
riconosco che sono personalmente coinvolto, devo io stesso entrare in quel processo
con le mie reazioni personali, proprio come se io fossi una di quelle igure
fantastiche, o meglio, come se il dramma messo in scena davanti ai miei occhi fosse
reale. È un dato di fatto psichico che questa fantasia stia accadendo e sia reale allo
stesso modo in cui sono reale io, come entità psichica. Se non viene svolta questa
operazione, tutti i cambiamenti sono demandati al lusso delle immagini, mentre
io come persona rimango immutato”.
L'essenza dell'artiicio alchemico in grado di generare una effettiva
trasformazione
nello stato interiore dell'artista, consisteva dunque nella
!29
proiezione dell'energia psichica sulle immagini elaborate dalla mente inconscia.
Gli artisti si lasciavano cioè coinvolgere a tal punto dall'atto creativo che le opere
stesse descrivevano le fasi della loro intima trasformazione: poteva trattarsi della
libido in amore, dell'apertura dei sensi e del cuore alla vita dedita alla creatività e
alla conoscenza, della drammatizzazione dell'esperienza di sublimazione e
sacriicio della libido corporea e ''passione e morte '' della libido mentale.
Artisti quali Raffaello, Caravaggio, Brueghel e Dürer, tramite le loro opere,
riuscirono a compiere atti simbolici di iniziazione quali la "putrefazione, la
decapitazione, l'impiccagione, la mortiicazione, la passione e crociissione"
dell'Io della mente razionale e intuitiva che ostacola la visione del Sé.
Tiziano, Lorenzo Lotto, Bosch e Velazquez riuscirono invece a percorrere tutte le
fasi dell'Arte Alchemica nella veste di testimoni attivi di ciò accadeva in se stessi
e nella loro vita man mano che i simboli della trasformazione, sacri e profani,
comparivano nelle loro opere, anche se queste venivano realizzate su
commissione, grazie alla legge della sincronicità, oppure ispirate dal caso, dagli
incontri imprevisti, dai viaggi e dalle relazioni sociali, per la legge della
serendipità.
Anche molti altri artisti, come per esempio il Parmigianino, e persino
personalità politiche del periodo si interessarono all'alchimia. Tra questi:
Caterina Sforza, Francesco I de' Medici (nel cui studiolo di Palazzo Vecchio fece
dipingere allegorie alchimistiche dedicate ai quattro elementi e al rapporto tra
arte e natura, da Giovanni Stradano) e Cosimo I de' Medici. (Pereira 2001, p
274)
Nell'età del romanticismo, come esplicato da Calvesi, il repertorio ermetico ed
alchemico è rivisitato in particolare dai simbolisti e dal gruppo di pittori
''rosacrociani'', che riprendeva il nome di una nota società misteriosoica, quella
appunto dei Rosacroce, iorita in Germania nel XVII secolo e diffusa in tutta
Europa. Idolo dei pittori rosacrociani era la Gioconda di Leonardo da Vinci, per i
signiicati che ravvisavano nella sua androginia. Si diffuse sopratutto in Francia,
e trovò, nell’espressione artistica, com’era stata tradizione rinascimentale, uno
strumento per giungere ad un’esposizione velata di arcani, che lasciassero
intendere l’esistenza di mondi sovrannaturali. Il gruppo rosacrociano si trovò ad
agire con pittori di grande rilievo tra i quali Pierre Puvis de Chavannes, Félicien
Rops, Georges Rouault, Odilon Redon, Fernand Edmond Jean Marie Khnopff,
Jean Delville, Ferdinand Hodler, Marcel Béronneau, a ulteriore prova della
natura spiritualista e antipositivista del Simbolismo
Con l'avvento del XX secolo e delle avanguardie, la situazione sembra
capovolgersi e lo stacco storico con tutta la tradizione inizia a delinearsi
nettissimo. Tuttavia le suggestioni dell'ermetismo alchemico continuano a
!30
operare , sia pure in contesti singolari: se ne apprezza ora l'eccentricità
fantasiosa, aspetto che sembra emergere nelle assunzioni del surrealismo. Ma
poiché le poetiche surreali puntano all'inconscio e al mistero , l'immaginazione
alchemica è delibata sia per forza ''archetipica'' dei suoi topoi, riconducibili nei
luoghi stessi dell'inconscio, sia per l'alone di criptica iniziazione che avvolge le
dottrine dell'ermetismo.
Quanto al primo punto, non è un caso che proprio nell'ambito della psicanalisi e
contemporaneamente alla nascita delle avanguardie, comincino a delinearsi già
nel secondo decennio del secolo le ricerche di Carl Gustav Jung sugli ''archetipi'' ,
a suo avviso ricollegabili anche proprio alle igure dell'alchimia, come poi lo
scienziato stesso esporrà nel libro Alchimia e Psicologia e Gli archetipi
dell'inconscio collettivo.
Parallelamente alle ricerche della psicanalisi, Gaston Bachelard teorizzerà negli
anni Trenta l'immaginazione materiale che lavora oniricamente la materia dei
quattro elementi, tra manipolazione (verbale, perché l'autore indirizza le proprie
analisi sulla poesia) e sogno, prendendo a modello l'operazione alchemica che
muta ontologicamente le sostanze e le trasforma nella loro essenza.
Dagli studi antropologici sulle ''strutture'' dell'immaginario, come dall'analisi
junghiana, emerge dunque il protagonismo dell’alchimia. (Calvesi 1986, pp. 43)
Faust l’alchimista davanti allo specchio magico. Rembrandt Van
Rijn, 1625
!31
ANALISI INTERPRETATIVA DI TRE ARTISTI DEL ‘900
!
Seguendo il ilo logico inora proposto riguardo all’arte alchemica, si intende
dare un’interpretazione alle opere di tre artisti del novecento: Marcel Duchamp,
Yves Klein e Piero Manzoni. Questi artisti sono legati implicitamente ed
esplicitamente all’immaginario alchemico, sia per quanto riguarda la loro
poetica, che per l’uso di determinati simboli o archetipi che sono già stati
ampiamente approfonditi in questa sede, soprattutto nella parte centrale del
testo. Per quanto riguardano i primi due artisti analizzati, è stata fatta una
rielaborazione personale, seppur con rimando a studi speciici messi in atto da
vari studiosi in alcune pubblicazioni. Mentre per il terzo artista, è stata seguita
una vera e propria interpretazione ex novo.
!
Marcel Duchamp
!
Biograia dell’artista
!
Marcel Duchamp nasce a Blainville-Crevon il 28
luglio 1877.
Inizia a dipingere prestissimo, a 14 anni, e già nel
1909 espone i suoi lavori al Salon des Indipendants e
al Salon D'Automne. Sempre quell'anno, conosce uno
dei suoi più grandi amici, Francis Picabia. Al 1911
risalgono importanti opere come Macinino da caffè,
che nello studio della meccanica preannuncia opere
della maturità. Il primo importante traguardo viene
però raggiunto nel 1912 con Nu descendant un
escalier, n°2. Sempre allo stesso anno risalgono La sposa spogliata dai suoi
scapoli, Il passaggio da Vergine a Sposa e La Sposa, opere che rappresentano la
naturale evoluzione del Nudo che scende le scale, n°2 e l'attenzione dell'artista a
temi che verranno poi espressi nella sua opera La Mariéè mise à nu par ses
celibataires, méme.
Nel 1913 farà i primi schizzi per La Mariée e il suo primo readymade Ruota di
bicicletta.
Nel 1915 conosce Walter e Louise Arensberg e Man Ray a New York.
Nel 1917 fonda con altri artisti (e poi ne diverrà direttore) la Society of
Independent Artists. In quella occasione conosce anche Katherine Dreier.
Alla mostra annuale della Society si presenta per la prima volta sotto uno
pseudonimo, Richard Mutt, con il suo readymade Fountain. L'opera venne però
occultata dal comitato della society: Duchamp per protesta ne rassegna le
dimissioni.
!32
Nel 1918 per la Drier realizza il suo ultimo quadro ad olio su tela Tu’m… .
Dopo la Prima Guerra Mondiale torna a Parigi dove frequenta Tristan Tzara,
Andre Breton e altri dadaisti, artisti ed intellettuali che da lì a qualche anno
avrebbero dato vita al movimento surrealista.
Torna a New York nel 1920 e fonda con Katherine Dreier e Man Ray la Socété
Anonyme – Museum of Modern Art Inc., società che ha lo scopo di promuovere
l'arte moderna negli Stati Uniti.
Sempre a New York nel 1921 pubblica con Man Ray, New York Dada, usando lo
pseudonimo di “Rrose Selavy”, suo secondo e più famoso alter ego femminile,
nato nel 1920.
Nel biennio successivo fa spola tra New York e Parigi, e nel 1923 lascia Il Grande
Vetro incompleto.
Nel 1933 partecipa a Parigi all' Exposition Surrealiste e l'anno successivo pubblica
La Boite Verte (300 esemplari) che raccoglie foto, disegni e note sulla Mariée.
Sarà del 1937 la sua prima personale a Chicago. L'anno successivo collabora con
Breton all'allestimento dell' Exposition Internationaile du Surrealisme alla Galerie
des Beaux Arts di Parigi, per la quale vengono creati vari environment ante
litteram.
Nel 1941 crea un'altra scatola, la Boite en valise e l'anno seguente a New York
crea con Breton, Sidney Janis e R.A. Parker , un'altra mostra con allestimentoenvironment , il Mile of String al 451 di Madison Avenue. Crea innumerevoli
copertine per libri e cataloghi. Nel 1946 non si occupa più ufficialmente di arte
ma sta lavorando segretamente ad un progetto ventennale, l'istallazione Etant
donnes: 1° la chute d'eau, 2° le gaz d'eclairage (montata dopo la sua morte
secondo le sue direttive e visibile al Philadelphia Museum of Art).
Nel 1963 viene creata la prima retrospettiva a lui dedicata al Norton Simon
Museum di Pasadena : By or of Marcel Duchamp or Rrose Sèlavy, in seguito alla
Cordier and Eckstrom Gallery di New York (1965) e he almost complete Works
of Marcel Duchamp alla Tate Gallery di Londra (1966).
Dodici suoi lavori verranno poi esposti alla mostra Dada, Surrealism and their
Heritage del 1968, al MoMA di New York, l'anno in cui l'artista morì.
(www.marcelduchamp.net/bio)
!
Analisi interpretativa
!
Urinal e fountaine
!
In questa citazione del 1959 dell’artista, in risposta alla domanda dell’amico
Lebel, è celata una prima chiave di lettura : “Se ho praticato l'alchimia , è stato
nell'unico modo possibile oggi, cioè senza saperlo”.
!33
Impossibile non riconoscere in Duchamp un grande interesse per l’argomento,
che volontariamente o no, permea tutta la sua produzione, specialmente dopo il
1917.
Partendo da una delle opere che ha lasciato un segno indelebile nella storia
dell’arte contemporanea e che ha inluenzato generazioni di artisti, Fountain, si
osservi come siano presenti non pochi rimandi al mondo ermetico.
Seguiamo l’interpretazione dell’opera e del nome utilizzando un libro di
Maurizio Calvesi, Duchamp invisibile.
Fountain - scrive Calvesi - è un oggetto chiaramente a doppio senso, essendo
“urina” e “fontana”, nel vocabolario degli alchimisti, sinonimi. Due nomi della
materia da cui si estrae, ovvero zampilla, il mercurio, oppure indicano il
mercurio stesso, che non è distinguibile, nel monismo alchemico, dalla materia:
!
Marcel Duchamp, Fountain, 1917.
questa, come sappiamo, è sostanzialmente indistinguibile dal vaso che la
contiene e che, come la materia stessa, è utero, matrice, sorgente. Circostanza
assai precisa e interessante è che il già citato Flamel chiama tra l’altro “Urinal” il
fornello-vaso degli alchimisti, che a sua volta Bernardo Trevisano descrive come
“fontaine” ; e il vaso va anche sotto il nome, proprio, di “fontaine de Flamel”.
L’argomento alchimia “impregna” tutte le 262 pagine dedicate al Grande Vetro.
Probabile allora che altre opere di Duchamp siano state pensate con linguaggi e
!34
forme alchemiche. Così la Fontana. A posteriori è facile dedurre le somiglianze,
gli accostamenti, tra zampillo di urina e zampillo di fontana. Putti che fanno pipì
decorano innumerevoli fontane settecentesche dei giardini di mezza Europa. Ma
questo è un pensiero sempliicatore. Per il momento, se ne deduce che non ci si
può mettere davanti ad un'opera, qualunque essa sia, sprovvisti dei dati
necessari.
La irma R. Mutt rende l’oggetto ancora più intrigante. L’artista usa spesso giochi
di parole come anagrammi o doppie letture omofone per la titolazione delle
opere, ad esempio Fresh Widow (1920): in questo caso in particolare la
denominazione proverrebbe in realtà da “French Window”, trattandosi di una
inestra di stile francese, ma l’opera è dedicata alle numerose vedove della prima
Guerra Mondiale. L’alchimia qualcosa svela. Calvesi non esclude che questa
irma “debba potersi leggere Mutt Er, che suona “mutter”, ovvero Madre. Flamel
dice che il fornello-vaso degli alchimisti contiene il “matraccio” (matras) ed è,
quindi, il ventre, la matrice. Ecco, allora, l’idea di madre “cui è ben connessa” scrive Calvesi,- “nella tradizione ermetica la stessa materia (mater-materia,
madre terra, mem ecc.)”. La materia prende poi il nome di Moot che indica la
materia in quanto “mota”, fango, immondizia, escremento.
La provocazione duchampiana, ora che abbiamo scoperto in essa signiicati
profondi, “cessa” di essere uno scandaloso orinatoio? Duchamp ha davvero
trasferito - al pari della pietra ilosofale (cioè la sapienza) che trasforma in oro le
cose vili - gli oggetti d’uso comune “nella sfera della contemplazione e della
bellezza, cioè nei signiicati ”?
Serve, comunque, il luogo della contemplazione. All’interno del quale anche un
oggetto qualsiasi (apparentemente qualsiasi), posto su un piedistallo, assume
valore d’opera d’arte. In questo caso, l’esposizione in un museo ne è la chiave.
(Calvesi, 1998).
Duchamp e l’androgino
Altro argomento caro all’artista è l’androginia. Senza dilungarci sul suo noto alter
ego femminile emerso nel 1921, Rrose Selavy (calembour di “Eors, c’est la vie” ?)
ricolleghiamoci indirettamente al quadro di Leonardo da Vinci, caro come già
menzionato ai pittori Rosacrociani del XVII secolo, la Gioconda. Nel 1919
Marcel Duchamp compie un atto apparentemente dissacrante nei confronti
dell’opera celeberrima e della sua “aura”, con l’opera L.H.O.O.Q. .Dietro un gesto
di apparente dissacrazione, l’artista ha celato la propria adesione al pensiero
ermetico. Secondo Maurizio Calvesi, la "Gioconda con i baffi" nascerebbe infatti
da una segreta e divertita allusione "ermetica" all'androginia dell'effigiata.
L'androgino, come unione del maschile e del femminile (e quindi dei contrari) è
!35
infatti una igura simbolica ricorrente nei trattati alchemici e disegnare barba e
baffi sul volto della Gioconda è in fondo mascolinizzare una igura femminile. La
misteriosa sigla del titolo (L.H.O.O.Q) ci fornirebbe poi la chiave per intenderne
il senso.
Marcel Duchamp LHOOQ 1919
Jean Perreal, Rimostranze della natura all’alchimista
errante, 1516
Lette in francese una di seguito all'altra, le cinque lettere danno:" Elle à chaud au
cul", cioè "Lei ha caldo al sedere". Calvesi ipotizza che Duchamp possa aver
preso spunto per questa buffa associazione, da una miniatura di Jean Perreal
proveniente da un manoscritto alchemico del '500 dove si vede la
personiicazione della Natura-Alchimia (peraltro simile alla Gioconda nella
posizione delle braccia e nello sfondo paesaggistico) che siede su un forno
(athanor) acceso in forma di tronco cavo; ha quindi certamente "caldo al
sedere”! (Calvesi 1998)
Marcel Duchamp, scrisse a riguardo della sua velata ironia: “A me interessavano
le idee, non soltanto i prodotti visivi. Volevo riportare la pittura al servizio della
mente [...]
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Di fatto ino a cento anni fa tutta la pittura era stata letteraria o religiosa: era stata
tutta al servizio della mente.
Durante il secolo scorso questa caratteristica si era persa poco a poco. Quanto più
fascino sensuale offriva un quadro – quanto più era animale – tanto più era
apprezzato.
La pittura non dovrebbe essere solamente retinica o visiva; dovrebbe aver a che fare
con la materia grigia della nostra comprensione invece di essere puramente visiva
[...]
Gli ultimi cento anni sono stati retinici. Sono stati retinici perino i cubisti. I
surrealisti hanno tentato di liberarsi da questo e anche i dadaisti, da principio. [...]
Io ero talmente conscio dell’aspetto retinico della pittura che, personalmente, volevo
trovare un altro ilone da esplorare.”
(Marcel Duchamp)
!
La Rota philosophica
!
Sempre in quest’ottica è da
approfondire anche l’analisi di
u n’a l t r a o p e r a d i g r a n d e
importanza: La Ruota di bicicletta
(1913). La funzionalità della "ruota
di bicicletta" duchampiana è solo
ludica: "Mi piaceva l'idea di avere
una ruota di bicicletta nello studio.
Era come avere un camino nello
studio. Il movimento della ruota mi
ricordava il movimento delle
iamme" (Duchamp). In alchimia il
fuoco è l'agente attivo della
trasmutazione che avviene nel
processo autosufficiente (circolare unitario) della distillazione. La
Marcel Duchamp in posa con la sua Ruota (1’ versione del 1915)
"ruota dell'alchimista" è
un'allegoria di tale processo, come l'Ouroborus: serpente che si morde la coda,
"uno è tutto" della concezione unitaria della materia. Eterno ritorno, a se stessi.
Celibe autosufficienza nella conciliazione degli antagonismi.
La ruota dell'alchimista, macchina celibe, è gratuita, sterile o inutile nel suo
funzionamento se non si considerano le profonde motivazioni interiori, che le
assicurano una funzione terapeutica. Così è anche per l'arte: "agisce come
valvola di sicurezza necessaria per gli istinti troppo rimossi dell'uomo" (M.
!37
Bonaparte, Dell’elaborazione e della funzione dell'opera letteraria). Il richiamo è
anche all’Arcano Maggiore X dei Tarocchi: La Ruota, simbolo di successo
immeritato, casualità, tempo misurabile e cicli naturali, tipici della corrente
Dada.
!
Agricoltura celeste
!
Andiamo ora ad addentrarci in un’opera ancora più misteriosa: La mariée mise à
nu par ses célibataires, conosciuta anche come “Il Grande Vetro”, del 1923,
prendendo come riferimento il dossier Arte e Alchimia di Maurizio Calvesi
(Giunti, 1986)
Le indicazioni di Duchamp sul Grande Vetro sono quasi nulle, egli si è limitato a
frasi sibilline.
Non meno della igurazione , è criptico il sottotitolo: La mariée misé à nu par ses
célibataire, mème.
Proprio questa frase può essere letta secondo il già citato principio delle doppie
letture omofone (dallo stesso suono) che uno dei suoi ispiratori, il poeta francese
Raymond Roussel, considerava addirittura fondanti per la costruzione
cabalistica dei suoi romanzi.
!
La mariée mise à nu par ses célibataires = La Marie est mise à nue par ses célibatteurs
La sposa messa a nudo dai propri scapoli = Maria è messa nella nuvola dai
propri trebbiatori celesti
!
Méme (che tradotto signiica “lo stesso”) è espressione di raccordo che sembra
invitare alla seconda lettura e in chiusura può sembrare anche mem (lettera che
nella tradizione ebraica è associata al numero 13, e che per la sua derivazione
dalla scrittura gerogliica egizia, allude all’acqua ed alla maternità).
!
Cosa si intende per ''Maria portata nella nuvola''? Potrebbe stare a simboleggiare
la Vergine Assunta ed effettivamente, se osserviamo la struttura dell'opera, essa è
pure divisa in due parti, come nella tradizione iconograica propria
dell'Assunzione, con la parte inferiore che simboleggia la parte terrestre e quella
superiore la parte celeste. Inoltre nella metà superiore la nuvola contiene tre
quadrati, riconducibili alla SS. Trinità. La Sposa/Maria è un insetto stile cubista
(deinita da Duchamp “impiccato femmina, scheletro, vergine, macchina per
arare”). In basso, i 9 scapoli simboleggiati da divise vuote (corazziere, domestico,
barista, prete, ecc.) ruotano su se stessi spinti dalle pale di un mulino, andando
avanti e indietro come in un coito; i bastoni sopra di loro si aprono e chiudono a
!38
forbice, muovendo il carrello su cui poggia la giostra. Il movimento è azionato
dalla macinatrice di cioccolato. Al di sopra, i coni-setacci destinati a puriicare il
desiderio, da cui dovrebbero uscire gli schizzi della “benzina d’amore” degli
scapoli, per fecondare la sposa. Ma gli schizzi sbagliano mira, come indicano i
fori (spari lanciati da un cannone giocattolo) nella parte destra del pannello
superiore. Il Quadrato rappresenta il numero Quattro e simboleggia il
Quaternario degli Elementi, stabilizzati nella materia concreta. In Alchimia il
quadrato è la Pietra Cubica, perfettamente composta e lavorata, interamente
Marcel Duchamp, Il grande Vetro, 1915
percepibile attraverso i sensi, che le riconoscono una perfezione naturale;
simboleggia quindi anche l’uomo perfettamente equilibrato, padrone di sé e delle
proprie spinte emotive interiori (che riesce a bilanciare con le energie esteriori
che lo invadono). E’ naturale l’associazione al Compagno massonico, all’apice
della propria operatività, quella operatività che lo ha condotto a terminare la
sprezzatura della pietra e che ora gli apre la strada per diventare Maestro. Il
percorso massonico Apprendista–Compagno-Maestro è simboleggiato dal
percorso che porta dal Tartaro (il quadrato imperfetto, allungato, ovvero il
rettangolo) alla Pietra cubica (limata e sgrezzata attraverso il fecondo incessante
lavoro compiuto dal Compagno) ed inine al raggiungimento della Pietra
Filosofale (rinvenuta al termine del suo percorso dal Maestro). La nuvola sta per
!39
accogliere la Sposa/Maria mentre nella parte inferiore è presente un
parallelepipedo in prospettiva, in asse con la Maria che è Ascesa, come a
rievocare il sarcofago vuoto delle Assunzioni attorno a cui si affollano gli astanti.
I trebbiatori celesti sono deiniti, nella spiegazione duchampiana del Grande
Vetro, come ''macchina agricole'' o ''macchina a vapore'' con base in
''muratura'' (dal termine en maconnerie, massoneria): sta proprio qui la chiave di
lettura ermetico/ilosofale dell'opera, spiegabile attraverso il vocabolario
alchemico.
La trebbiatura celeste, poiché si parla in Alchimia di agricoltura celeste;
l'assunzione in cielo della Vergine incoronata dalla SS. Trinità e il denudamento
della sposa sono invece metafore sulla puriicazione-macinazione della materia e
sua trasformazione in pietra ilosofale (che era appunto paragonata al cristallo).
Il Grande Vetro è dunque una macchina agricola. Perché? Nel mito l'agricoltura
è il matrimonio simbolico tra cielo e terra, fratello e sorella. Nell'aratura e nella
semina la vanga-fallo apre il corpo della terra-madre perché venga fecondato.
Lavoro meccanico e unione sessuale.
Inoltre la bozza preparatoria del Grande Vetro mostrava una scena in cui la
sposa veniva effettivamente denudata la sera delle nozze da due pretendenti,
ricavata da una illustrazione dell'alchimista Solidonius allusiva alla ''spoliazione''
o progressiva puriicazione della pietra ilosofale, signiicato molto più aderente
alla prima lettura del sottotitolo. (Calvesi 1986, pp43-47)
!
Altri dettagli poi sono aderenti alla
lettura alchemica del Grande Vetro.
La macinatrice di cioccolato
corrisponde alla ruota di macina della
Melencolia I di Dürer: serve a triturare
la materia ''al nero'' (nigredo / opera al
nero) argutamente indicata come
''cioccolato''. I sette setacci o ''crivelli''
che la sovrastano corrispondono alle
sette chiavi delle operazioni , o ai sette
pioli della scala e sono strumenti di
progressiva raffinazione , mentre le
grandi ''forbici'' a croce, come il mulino
ad acqua incorporato al carro-sarcofago
alludono allo spezzettamento e alla Solidonius, rappresentazione in un suo manoscritto, della
della Pietra filosofale come la vergine sposa
ulteriore macinazione o dissolvimento spoliazione
nuda per la prima notte di nozze, 1550 circa
della materia. Questa, una volta
''dissolta'', ascende al cielo come vapore, per poi ricadere dalla nuvola sotto
forma di pioggia e dare nuovamente avvio al processo.
!40
Ciò che conta è vedere come il mito dell'alchimia si riletta al di là della
rappresentazione astrusa dell'artista, sia nella scelta di utilizzo del vetro al posto
della tela, sia nel segreto che deve avvolgere il suo compimento.
L'apparente insensatezza della igurazione dadaistica nasconde e protegge (in
perfetto parallelismo con il precetto alchemico del silenzio e dell'ermetismo) il
signiicato profondo, benché sdrammatizzato e intimamente decostruito.
L'ironia che è un principio fondante di Duchamp, diviene la metafora e al
contempo il delicato schermo dell'utopia spiritualistica.
!
L'alchimista ha un atteggiamento materialista, monista (risolve conlitti e
contraddizioni nel corpo ermetico androgino), ateo, ribelle a Dio (per
appropriarsi delle sue proprie facoltà creatrici) nei confronti di tutti i fenomeni
naturali. E’ in un'avventura tanto esoterica quanto essoterica: liberare l'uomo dai
conlitti e dalle contraddizioni della vita, riconciliandoli su un piano "altro",
verso uno sviluppo personale più armonico, ino all'"Homo Major", dotato di
eterna giovinezza, e l'Aurea Apprehensio, la conoscenza perfetta del micro e
macro cosmo in cui egli si trova. La conoscenza viene acquisita nella ricerca
della pietra ilosofale. La ricerca diventa il ine. Pietra ilosofale e ricerca sono la
stessa cosa. L'alchimia è lo strumento della conoscenza. Lo strumento per la
liberazione totale sino alla ricostruzione dell'io diviso. Lo stesso processo di
individuazione di a cui si è già fatto riferimento in Jung. Alla scoperta
dell'androgino primordiale (Homo Major mitico), del rebis (cosa doppia),
dell'amico che il solitario trova in sé come guida.
!
L'alchimista è il sognatore che sa ciò che vuole: trasformare il mondo per
trasformare la vita. "La pietra ilosofale non è altro che ciò che doveva
permettere all'immaginazione dell'uomo di prendere su ogni cosa una rivincita
completa" (Andre Breton). La bellezza del trita cioccolato è nel suo esser
"sorgente luminosa", Aurea Apprehensio. "Girante faro della sposa" (dove la
"sposa" è tutto il Grande Vetro e non uno solamente dei due protagonisti), la
macinatrice di cioccolato allegorizza sul narcisismo onanista. Una massima dello
Yoga Tantra lo canta: "che bisogno ho di una donna esterna quando ho in me
una donna interna". "Anima" junghiana, androginia dell'adepto alchimista.
Tanto in arte che in alchimia ciò che importa è la ricerca, non il ine. Per gli
alchimisti, per Duchamp e per i surrealisti, arte e alchimia sono strumenti di
conoscenza la cui funzione è di essere rivoluzionari. Il desiderio della
"giovinezza permanente" nell'alchimista è un desiderio di "rivoluzione
permanente", biologica e perciò psichica. Nell'adepto alchimista gli antagonismi
non vengono risolti in una sintesi statica, in un annullamento reciproco, ma
rimangono volutamente in tensione, in un equilibrio conlittuale, fonte di nuovi
!41
equilibri conlittuali. La tensione è creativa, poiché è sempre dinamica. La
tensione creativa è una caratteristica tanto rivoluzionaria quanto giovanile.
Giovinezza e rivoluzione sono due aspetti della stessa "materia". La rivoluzione è
la giovinezza dell'uomo e viceversa. "Il surrealismo è nato da una affermazione
di fede senza limiti nel genio della giovinezza" (Breton). Coincidenza
inquietante: tanto il giovane rivoluzionario che l'alchimista sono celibi. Tutti e
due si sforzano di creare la macchina celibe della rivoluzione perpetua del
desiderio.
Un altro approccio al tema è quello psicoanalitico introdotto da Jean Reboul nel
1954, che vede un Duchamp “schizofrenico”; interpretazione che Arturo
Schwartz coniuga con quella alchemica. Secondo Schwartz, Duchamp era
ossessionato a livello inconscio dal desiderio incestuoso per la sorella Suzanne;
alle nozze di questa nel 1911, la sua vita e la sua arte ne furono sconvolte. Per
reprimere questo sentimento angoscioso, abbandona la pittura, troppo
coinvolgente emotivamente, per un’arte spersonalizzata. Il desiderio inappagato
per Suzanne si identiica con l’eterno inseguimento dell’unione alchemica, il cui
sempre rinviato adempimento è la forza che muove il mondo.
Altri temi cari a Duchamp ricorrono nell’opera: il caso (la polvere lasciata
depositarsi e issata sui coni-setacci; il fatto stesso che il supporto sia vetro, e
quindi riletta immagini sempre diverse; la decisione, dopo la rottura dell’opera
nel 1926, di integrare la rottura nel lavoro, attraverso una piombatura dei pezzi);
l’indice, ossia quel tipo di segno che, a differenza del simbolo (convenzionale: la
parola) o dell’icona (rappresentativa: l’immagine) è prodotta dalla traccia dal
proprio referente, ed è perciò un messaggio senza codice. La polvere è anche una
traccia; gli spari-schizzi idem, e così nella parte alta i cosiddetti “pistoni di
corrente d’aria” (i quadrati nella “via lattea” che emana dalla sposa, ottenuti
sospendendo di fronte a una inestra aperta uno stroinaccio e fotografando per
tre volte le sue deformazioni prodotte dal vento, quindi usando le sagome
registrate sulla foto come stampi da cui trasferire le forme sul vetro; o secondo
altri facendo cadere uno stroinaccio e riproducendone la forma. Comunque
secondo una procedura analoga a quella dei Stoppages étalon.
Seguendo hierry de Duve, potremmo interpretare questa complessa allegoria
come un commento sul destino del pittore, trasformato dall’industrializzazione
in un “macinatore di cioccolata” (masturbatore), e del suo desiderio inappagato
per la sposa (la Pittura). Il pittore è diventato inutile e disoccupato, visto che la
produzione industriale del colore – lo strumento base del suo mestiere – è
passata all’industria, distruggendone il fondamento materiale
Quando il vetro del Grande vetro si rompe, Duchamp non lo sostituisce perché
sente che le rotture “riportano il lavoro nel mondo reale”: cioè dà all’artista
!42
dell’altro lavoro da fare e suscita nello spettatore l’idea che sia da riparare,
spingendolo a completarlo/ripararlo con l’immaginazione.
In effetti per Duchamp l’interpretazione dello spettatore completava l’opera: l’arte
diviene tale quando viene esperita. Così il ready made è deinito “una sorta di
rendez-vous”. La scelta dell’oggetto non è un atto aggressivo da parte dell’artista
ma un incontro basato sul caso (a chi gli chiedeva come scegliesse i readymade,
rispose che erano loro a sceglierlo), o tutt’al più un impegno formalizzato tra due
parti consensuali.
Per tornare alla lettura psicoanalitico-alchemica, l’atteggiamento di Duchamp
nei confronti di questa era di tollerante, divertita ironia. Oggi la maggior parte
degli studiosi non la condivide; anche se è vero che Duchamp attribuiva
importanza più alla ricerca che all’adempimento. Ma la lettura di Schwartz è
stata integrata nel 1980 da quella della Marquis (Marcel Duchamp: Eros, c’est la
vie), secondo la quale il desiderio incestuoso per Suzanne porta Duchamp a una
paralisi affettiva che lo spinge a lasciare la pittura per un’arte più spersonalizzata.
In questa chiave interpreta l’atteggiamento distaccato, i rapporti supericiali con
le donne, l’ossessione per i giochi (scacchi) come sostituto della vita, la
proiezione in un alter ego femminile del suo io sessuale, e forse omosessuale,
anelante a uscire dalla prigione che si era costruito. Altrettante strategie di
spersonalizzazione sarebbero l’importanza data al caso, il ready made, il disegno
tecnico, l’ironia, il distacco.
Anche per Donald Kuspit (1996) è uno psicotico che si dà al ready made in
quanto incapace di creare arte: un impostore nella cui impostura sono cascati
tutti. Non è stato questo anche il destino degli alchimisti verso la ine del
medioevo, cioè di essere relegati al concetto di truffatori e maghi?
Cos’è che ha trasformato un pittore cubista come tanti altri in un eccentrico
dissacratore e sperimentatore?
Per Jack Bunham (primi anni 70) fa un viaggio a Monaco nel 1912 in cerca di
oscuri testi alchemici che ne determinano la svolta. Per Marquis ed altri, questa
si deve al riiuto del Nu descendant un escalier n. 2 al Salon des Indépendants
del 1912, fallimento che lo costringe a fare i conti con la sua inadeguatezza
pittorica e a cercarsi una carriera che lo liberi dallo sgradevole confronto con i
più dotati fratelli Jacques Villon e Raymond Duchamp Villon.
Per homas Mc Evilley Duchamp sarebbe stato molto inluenzato dalla lettura
del ilosofo Pirrone di Elide (IV-III sec. A.C) nel periodo 1912-1, in cui lavorava
alla Biblioteca St.e Geneviève. Filosofo che da pittore si fece ilosofo, per il quale
niente esiste, la vita umana è governata dalla convenzione, il linguaggio non ha il
potere di deinire la realtà, e quindi bisognerebbe limitarne l’uso a scopi pratici e
rifugiarsi nell’afasia. Pirrone contesta la legge logica per cui una proposizione o è
vera o è falsa, raccomanda la neutralità, l’indifferenza (apatheia) e
!43
l’imperturbabilità (ataraxia). Duchamp dopo il 1913 parla ripetutamente della
bellezza dell’indifferenza e afferma di non credere in niente.
!
!
Yves Klein
!
Biograia dell’artista
!
Yves Klein nasce nel 1928, e sarà uno dei
mag g ior i esp onent i del Nouve au
Réalisme.
Da autodidatta, si formò a Nizza con la
storica compagnia dello scultore Arman e
del poeta Claude Pascal. Si incontravano
nell'appartamento di Arman, in una
stanza dipinta di blu, per leggere pagine di
letteratura alchemica, per meditare, per ballare, ascoltare musica jazz e sognare
di partire per il Giappone a cavallo.
Una volta si narra che i tre salirono su un tetto e si spartirono il mondo. Pascal
prese per sé le parole, Arman la terra e Klein il cielo, che irmò con un gesto
nell'aria.
Tutto il suo percorso artistico fu, in effetti, un atto di appropriazione. Iniziò con
l'andare in Giappone (in aereo), dove divenne maestro di Judo e dove venne
ispirato alla spiritualità buddhista.
Nel 1954 tornò a Parigi e cominciò a trasporre sulla tela le sue idee sui rapporti
tra arte e universo spirituale.
I suoi quadri sono solo monocromi arancioni, rosa, più spesso dorati o blu
(riprendevano i colori della iamma e della cultura alchemica): gli sembravano i
colori più adatti per parlare di luce e di ininito.
Iniziarono a chiamarlo Yves ''il monocromo''.
Si concentrò soprattutto su una certa tonalità di blu, ottenuto e brevettato sotto
la sigla di IKB (International Klein Blue). Il blu, ricordo dei cieli di Giotto e, in
generale delle volte delle chiese, suggeriva lo sbocco verso una spiritualità
diffusa.
Seguendo questa attrazione per il mistero e la sensibilità che oltrepassa la
materia, Klein si interessò a ogni forma di rituale in cui si manifestasse questa
esigenza umana primigenia: da quelle orientali alla massoneria, alle arti marziali,
in un continuo ondeggiare tra ironia realistica e profondo afflato mistico.
Nel giorno del suo trentesimo compleanno, nell'aprile del 1958, Yves Klein aprì
presso la galleria parigina di Iris Clert la sua esposizione più memorabile
intitolata Le Vide, Il Vuoto: la stanza , completamente vuota, ospitava soltanto la
!44
sensibilità dell'artista allo stato puro. Era possibile acquistarla sotto forma di
certiicati, pagandola in oro.
L'inaugurazione fu una sapiente mescolanza di sacro e profano, di rituale e di
triviale: ciascuno dei tremila visitatori poté bere un cocktail blu che avrebbe reso
blu la sua urina per circa una settimana.
Tra la folla c'erano due giapponesi in kimono, due rappresentanti dell'ordine
cattolico di San Sebastiano, cui l'artista si era affiliato e gendarmi in alta
uniforme.
In seguito Klein usò come pennelli delle modelle a cui chiedeva di cospargersi
del colore blu nelle parti più femminili: seno, ventre e cosce, in modo che le
Antropometrie che ne derivavano fossero inni alla fecondità e all'ininito
riprodursi della vita.
L'immagine più signiicativa dell'ispirazione di Klein verso l'alto e il sovrumano,
ma anche di un certo ironico distacco dalle sue stesse utopie, è il Salto nel Vuoto.
Vi vediamo l'artista saltare verso l'alto da una inestra, con le braccia distese
come quelle di un angelo o un novello Icaro, frutto di un montaggio fotograico.
L'artista morì mentre era al lavoro, di attacco cardiaco, mentre la moglie
aspettava il primo iglio. Nella sua opera vi è una evidente componente di gioco
e provocazione, ma il suo trascendentalismo ha prodotto i monocromi più
suggestivi della pittura moderna. (Dorles - Vettese 2012, pp 364-366)
!
Analisi interpretativa
!
Monocromi
!
Come si apprende dalla sua biograia, Yves Klein fu strettamente connesso alla
spiritualità per cui non deve affatto stupire che molte delle sue opere siano
permeate del linguaggio alchemico. Egli riteneva che l’arte fosse il mezzo per
mettersi in contatto con l’ininito, con l’Assoluto.
Partendo dalla ilosoia Zen che sta alla base del Judo, disciplina che l’artista
praticò per parecchi anni, trovò sicuramente le radici per estrapolare alcuni
concetti che poi sviluppò con la maturazione artistica nella sua breve ma intensa
carriera. Pare che proprio negli anni in cui si trovava a Tokio per conseguire il
grado di Cintura Nera, iniziò a dipingere i primi monocromi su carta da lettere.
Klein non seguì la strada di molti altri artisti che partivano dalla igurazione, per
approdare successivamente all’astrattismo e al monocromo: lui poggiò le basi
della sua carriera artistica proprio sull’uso di un solo colore per volta, poiché la
riteneva una forma di meditazione. Scrisse infatti: ‘’La monocromia è la sola
maniera isica di dipingere che permette di raggiungere l’assoluto spirituale.”
La scelta di questa forma d’arte non fu casuale. Pare che Klein la utilizzasse
proprio per la libertà che gli trasmetteva. “Sono giunto a dipingere il
!45
monocromo perché sempre di più davanti a un quadro, non importa se
igurativo o non igurativo, provavo la sensazione che le linee e tutte le loro
conseguenze, contorno, forma, prospettiva, componevano con molta precisione
le sbarre della inestra di una prigione." Ma anche due soli colori su una stessa
tela secondo Klein forzerebbero "il lettore a non entrare nella sensibilità, nella
dominante, nell’intenzione pittorica" obbligandolo ad assistere "sia allo
spettacolo del combattimento tra questi due colori, sia a quello della loro
perfetta intesa.” Possiamo dunque rivedere nella sua pittura la ricerca della
smaterializzazione tipica, come osservato in precedenza della prima fase del
processo alchemico: la materia che viene scomposta per poi putrefarsi, essere
incenerita e passare ad un nuovo stato, più elevato. “I miei quadri sono la cenere
della mia arte.” diceva appunto l’artista.
Vista l’importanza che ne avrebbe dovuto assumere, la scelta del colore non fu
per nulla casuale. Yves Klein era così legato all’idea del colore, che non lasciò al
caso nemmeno la vibrazione che avrebbe dovuto emanare: oltre all’utilizzo di
altri colori legati alla tradizione ermetica come vedremo in seguito, il Blu in
particolare fu centrale nella sua ricerca sulle tonalità che meglio rappresentano i
concetti che desiderava trasmettere. Anche se Klein aveva lavorato estesamente
con il blu nella sua carriera iniziale, fu soltanto dal 1957 che lo utilizzò come
Esecuzione pubblica delle antropometrie, 1960. Sullo sfondo, l’orchestra che suonava la Sinfonia Monotona.
componente centrale delle sue opere (il colore che si trasforma efficacemente in
arte). Klein ha realizzato una serie di produzioni monocromatiche usando l'IKB
come tema centrale. Questi hanno incluso performance art in cui l'artista ha
verniciato modelle nude che poi ha fatto camminare o rotolare su tele bianche o
più spesso monocromatiche: “Le mie modelle sono state i miei pennelli. Le ho fatte
imbrattare di colore e ho fatto imprimere la loro impronta sulla tela.[...] una sorta
!46
di balletto di ragazze imbrattate su una grande tela paragonabile alla stuoia
bianca dei combattimenti di Judo”.
!
!
Il segreto del notevole impatto visivo dell'IKB deriva dal pesante utilizzo del blu
oltremare, ed alla spessa applicazione della vernice che Klein realizzava sulle tele.
L'IKB è stato sviluppato da Klein e dai chimici per avere la stessa luminosità ed
intensità di colore dei pigmenti asciutti, ed è stata realizzata sospendendo il
pigmento asciutto in una resina sintetica. Questa nuova tonalità è stata
brevettata nel 1960 da Klein, sotto la sigla appunto di IKB (International Klein
Blue), ma mai prodotta da nessuno.
Yves Klein, Antropometria senza titolo, 1960
Approfondiamo ora la scelta di questo colore in particolare, che diede a Klein la
fama di voler sidare quello dei cieli stellati di Giotto. Secondo l’artista, “Il blu
non ha dimensioni, è fuori dalla dimensione, mentre gli altri colori ne hanno. Ci
sono degli spazi psicologici, il rosso per esempio presuppone un fuoco di
irraggiamento del calore; tutti i colori portano a delle associazioni in maniera
psicologica a delle idee concrete, materiali o tangibili, mentre il blu ricorda al
limite il mare e il cielo, dopo tutto ciò che è più astratto nella natura tangibile e
visibile.”
Come Jung afferma, la funzione di pensiero, la direzione verticale e la spiritualità
sono associati al blu per tradizione. Le antiche parole greche per il blu servivano
anche a designare il mare; in Tertulliano e in Isidoro di Siviglia il blu si riferiva
sia al mare sia al cielo, analogamente alla parola greca (bathun) e a quella latina
(altus), che implicavano l'alto e il profondo in una sola parola.
!47
La dimensione verticale come gerarchia persiste nel nostro linguaggio, nel
sangue blu per la nobiltà, nei nastri azzurri delle premiazioni, e in molte
Yves Klein, Antropometria, 1960
!
immagini mitologiche di "dèi blu": Kneph d'Egitto, le vesti blu di Odino, Giove e
Giunone, Krishna e Vishnu, Cristo nel suo ministero terreno, come il CristoUomo blu visto da Hildegard di Bingen.
James Hillman in proposito scrisse nel saggio Blu alchemico e unio mentalis che
il blu era parte della gamma cromatica di passaggio tra il nero/nigredo e il
bianco/albedo, accostandolo all’argento soico e alla malinconia data dal
procedere dell’opus alchemica. Non a caso in inglese l’idioma “to be blue”
!48
tradotto signiica essere tristi o malinconici. Inoltre da non trascurare è la sua
affinità col nero, associato nell’alchimia all’Ombra.
L’artista appunto disse “Il periodo dei monocromi blu è stato il frutto della mia
ricerca dell’indeinibile in pittura”. L’altra forma di disintegrazione della materia
si rilette poi nella forma.
!
Creare il vuoto
Il Principio anti-igurativo è particolarmente esplicito nelle Anthropométries
(antropometrie) realizzate con il corpo umano ma raggiunse il suo apice con
l’opera Le vide.
!
Yves Klein Le vide, 1958
!
Per comprendere a fondo cosa rappresentò, è bene osservare direttamente ciò
che scrisse in proposito l'artista, che descrive passo per passo l'intento e lo
svolgimento pratico della mostra con le parole più appropriate, in questo testo
tratto dal suo archivio storico (www.yveskleinarchives.org):
!
!49
“Preparazione e presentazione dell'Esibizione del 28 Aprile 1958 a Iris Clert, 3 rue
des Beaux-Arts, Parigi
La specializzazione della Sensibilità dallo Stato di Materia in Sensibilità Pittorica
Stabilizzata
PERIODO PNEUMATICO:
L'oggetto di questa ricerca: creare, stabilire e presentare al pubblico uno stato
pittorico palpabile nei limiti di una galleria d'immagini. In altre parole, la
creazione di un ambiente, un genuino climax pittorico, e pertanto, un unicum
invisibile. Questo stato pittorico invisibile all'interno dello spazio della galleria
dovrebbe essere così presente e dotato di vita autonoma che dovrebbe essere
letteralmente ciò che l'ha colpito, ed essere considerato come la migliore deinizione
complessiva del quadro: RADIOSITA’.
A tal ine, quindi, elaboriamo con Iris Clert il biglietto d'invito per l'apertura. Il
testo è di Pierre Restany. Questo testo brillantemente laconico è molto chiaro e
decidiamo, in considerazione dell'importanza di questa mostra per la storia
dell'arte, di stamparlo in chiari caratteri, nell’interesse della solennità della
cerimonia e soprattutto in modo che i ciechi possano leggere (tutti sono così ciechi!)
L'inchiostro usato sarà blu, ovviamente, dipinto su cartoncino bianco.
Il Vuoto
Iris Clert vi invita ad onorare, con tutta la vostra Presenza emotiva, l’avvento
lucido e positivo d’un indubitabile regno del sensibile.
Questa manifestazione di sintesi percettiva sancisce con Yves Klein la ricerca
pittorica d’un emozione estatica ed immediatamente
comunicabile.
!
!
Lunedi, 28 aprile 1958, h. 21
Iris Clert, 3 rue des Beaux-Arts, Paris.
Questo metodo, che sembra accennare al Simbolismo, in realtà non è, dal momento
che in realtà tutto accade nello spazio. Esso offre un assaggio di ciò che la mostra
sarà: Nella realtà uno spazio di sensibilità blu nel quadro delle mura imbiancate
della galleria. (Questo corpo sensibile contiene sangue blu). Si decide anche di
!50
spedire gli inviti in buste recanti il formidabile timbro blu del période bleue dell’
anno precedente.
Tremilacinquecento inviti vengono inviati, 3.000 dei quali nella sola Parigi.
Decidiamo anche di aggiungere una sorta di carta d’ingresso gratuito, stabilendo
che senza questa piccola carta speciale il prezzo del biglietto sarà di $ 3.00 a
persona.
La Galerie Iris Clert è una stanza molto piccola, ha una vetrina e un ingresso sulla
strada. Faremo chiudere l'ingresso sulla strada e faremo entrare il pubblico
attraverso l'atrio del palazzo. Dalla strada, sarà impossibile vedere qualcosa che
non sia blu, poiché dipingerò la vetrina di blu. Anche il lucernario sarà dipinto di
blu.
Sabato mattina alle 08:00, mi accingo a lavorare in galleria. Ho 48 ore di tempo
per dipingere la sala della galleria, tutta di un solo bianco immacolato.
La sera dello spettacolo:
Alle 20:00 vado a La Coupole per procurarmi il cocktail blu preparato
appositamente per la mostra.
!
Alle 21:00 Arrivo dei membri della Guardia Repubblicana in alta uniforme. Subito
offro loro un cocktail blu. Essi prendono il loro posto sotto la pensilina all’ingresso,
in piedi sull'attenti.
!
Alle 21:30 Il luogo è bloccato. Fuori, la folla crescente comincia ad avere difficoltà a
penetrare all'interno.
!
Alle 21:45 Restany arriva, accompagnato dalla moglie.
!
Alle ore 21:50 All'interno della galleria, noto un ragazzo che disegna su una delle
pareti. Mi precipito verso di lui, lo blocco, ed educatamente ma con fermezza gli
chiedo di uscire. Egli è letteralmente trascinato via e scompare nelle grinie delle
guardie.
!
Alle 22:00 La polizia arriva con 3 veicoli.
!
Alle 22:10 dalle 2.500 alle 3.000 persone sono in strada, la polizia cerca di spingere
indietro la folla. La polizia chiede una spiegazione del perché vengono chiesti 3
!51
dollari per non vedere nulla. (Alcune persone, furiose per aver pagato i 3 dollari
s’erano lamentate con la polizia)
!
Alle 22:20 arrivo del rappresentante dell'Ordine di San Sebastiano in tenuta da
cerimonia.
!
Alle 22:30 Le Guardie Repubblicane lasciano il luogo con disgusto, poiché degli
studenti di belle arti toccandoli familiarmente sulla spalla hanno chiesto loro dove
hanno affittato i costumi, e se sono comparse cinematograiche!
!
Alle 22:50 La fornitura di cocktail blu essendo ora tutta consumata, costringe ad
una corsa a La Coupole per averne di più. Arrivo di due carine ragazze giapponesi
in kimono straordinarie.
!
Alle 23:00 La folla, che era stata dispersa dalla polizia e dai vigili del fuoco, ritorna
in piccoli gruppi esasperati. All'interno tutto è ancora brulicante.
!
Mezzanotte e mezza. Chiudiamo e andiamo a La Coupole.
!
Alle 01:00 Tremante di stanchezza, consegno il mio discorso rivoluzionario.
!
Alle 01:15 Iris crolla dalla stanchezza!
!
Prevista per otto giorni, la mostra deve essere prolungata per un'altra settimana.
Ogni giorno, più di 200 visitatori precipitano nell'interno del secolo. L'esperienza
umana è di una vasta e quasi indescrivibile portata. Alcuni non possono entrare,
come fossero impediti da un muro invisibile.Uno dei visitatori grida a me un
giorno dalla porta, “Ci tornerò quando questo vuoto sarà pieno…” Rispondo:
“quando sarà pieno, non sarà in grado d’entrare”.
Spesso le persone restano dentro per ore senza dire una parola, e alcuni tremano o
cominciano a piangere. L’indomani, tutti i presenti che all’apertura avevano bevuto
il cocktail blu, urinano blu.”
!
Nell’opera è chiaro il riferimento alla ilosoia Zen. Klein restò per 48 ore chiuso
da solo nelle sale della galleria e ridipinse le pareti di bianco, il non-colore, per
epurare lo spazio dalle energie residue delle precedenti esposizioni pittoriche e
impregnarlo di una nuova sensibilità. Quello che espose fu una galleria bianca e
vuota. Quello che trasmise fu l’accessibilità all’energia del momento pittorico
impregnato e issato nello spazio della galleria, seppur invisibile, pur nella
!52
consapevolezza che “molti sono ciechi”: abbiamo già citato come il linguaggio
dell’alchimia sia stato celato nel corso dei secoli e riservato a pochi eletti , che le
esplicitazioni letterarie e immaginiiche che autori ed artisti nei secoli hanno
riportato sono solo delle tracce da seguire, come piccoli pezzi di puzzle che solo
chi è pronto sa ricomporre, che al di la di ogni metafora sa comprendere.
Anche il dettaglio dell’urina non è secondario: nella letteratura è presente più
volte, addirittura si parla della sua distillazione per estrarne il sale nella sua
forma più naturale, necessario per la creazione della pietra ilosofale. Inoltre fu
associata all’argento mercuriale. Quello che compie Klein è una trasformazione
dell’urina dal suo normale color “oro” al più elevato colore blu, attraverso i
processi isiologici del corpo umano, che funge in questo caso da laboratorio.
Le vide inaugurò l’Époque pneumatique (epoca pneumatica) che segnò il
passaggio dal colore assoluto, il blu, al non colore della sensibilità pittorica e del
superamento della connotazione formale dell’opera d’arte. Una sorta di passaggio
dalla fase nigredo/blu all’albedo. Klein inoltre
intraprese una serie di immaterializzazioni,
come la famosa vendita delle “zone di
sensibilità pittorica immateriale”, cedute in
cambio di 20, 40, 80, o 160 grammi d’oro
puro in foglia, per poi disfarsene gettandolo
in parte, nella Senna. Allo stesso tempo
riformulò la propria teoria cromatica entro
una concezione triadica e simbolica che,
oltre al blu, includeva l’oro puro (il valore
economico per eccellenza e il risultato
spirituale della ricerca alchemica della
pietra ilosofale) e il pigmento rosa
citazione del simbolismo ermetico della Matrimonio di Yves Klein, secondo la cerimonia
rosa e della croce. Quest’ultimo in dei Cavalieri di San Sebastiano
particolare fu di vitale importanza in
quanto l’artista aderì al movimento rosacrociano e celebrò il suo matrimonio
secondo la tradizione.
L’adesione rosacrociana convive con un’ispirazione profondamente cristiana,
provata dai suoi scritti e dalla devozione a Santa Rita da Cascia, conosciuta
nell’ambiente familiare, cui dedica la sua opera. Recatosi a Cascia la prima volta
nel 1958, l’artista vi ritorna nel 1961 per offrire alla santa, sua messaggera
dell’Assoluto, l’oro di cui è rimasto depositario dopo le prime “cessioni
immateriali”.
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Il misticismo di Klein, affascinato dall’atmosfera della distesa celeste, osservata
per notti intere, è calamitato dal “volo” notturno di Rita dallo scoglio di
Roccaporena al monastero di Cascia, che lui stesso cerca di emulare, come
attesta una fotograia del 1960 scattata a Fontenay-les-Roses, il sobborgo di
Parigi dove, sul luogo della palestra di judo frequentata da Yves, sorge ora una
chiesa dedicata alla santa umbra. Si tratta di un fotomontaggio da una fotograia
del 1960 scattata da Harry Shunk , che l’artista operò, ma l’immagine che creò
divenne l’emblema dei nuovi movimenti dell’arte moderna. Il contesto storico
Fotografia scattata da Harry Shunk.Kender a Yves Klein, Salto nel vuoto, 1960.
culturale è quello dei primi lanci spaziali (il lancio dello Sputnik I): rappresenta
l’uomo che va contro la gravità e il proprio destino terrestre, l’immortalità tanto
ambita nella ricerca della pietra ilosofale. Proprio in questo atteggiamento è
rappresentato Klein, con un atteggiamento a prima vista suicida, ad indicare la
morte della parte terrena a favore della rinascita della parte spirituale.
!54
Piero Manzoni
!
Biograia dell’artista
!
Piero Manzoni (1933-1963) iniziò la sua attività
artistica dopo un breve apprendistato all'Accademia
di Brera. I suoi legami più importanti furono con
Lucio Fontana e con compagni come i protagonisti
del Gruppo T , nonché Enrico Castellani e Vincenzo
Agnetti; con questi ultimi fondò a Milano la rivista
Azimuth, dove vennero pubblicati anche i saggi di
Jhon Cage, dimostrando che a Milano se ne
conosceva già la poetica, nonché scritti teorici degli
artisti e riproduzioni di quanto accadeva all'estero; il gruppo fondò una galleria
quasi omonima, la Azimut, centro nevralgico della creatività milanese per tutto
il 1960 e in connessione con altre gallerie vivaci quali la Apollinaire di Guido Le
Noci e la Pater.
Il suo percorso personale fu volto, da un lato, a dissacrare la tipologia romantica
dell'artista geniale, re Mida, capace di far diventare oro ciò che tocca e dall'altro a
mettere in luce una mitologia collettiva fatta di eventi primari: ''nascere, esistere,
respirare, pensare, insomma essere'' come recita un suo famoso breve testo.
Al primo nucleo di problemi rispose con opere come i monocromi Achromes,
cioè senza colori (dal 1957): quadri imbiancati col caolino, fatti di stoffa comune,
decorati, talvolta con pieghe o pietre o persino panini che denunciavano
l'inutilità del quadro; Manzoni esaltò e al tempo stesso derise la natura
dell'autore creando nei primi anni Sessanta, opere come il Fiato d'artista,
scatolette di Merda d'artista, scatole cilindriche con dentro semplici linee
tracciate di suo pugno, ma senza alcun disegno. Le opere incarnano un conlitto
fondamentale anche se affrontato con voluta leggerezza: l'atto artistico (colore,
tecnica, sacralità) viene ridotto ai suoi minimi termini, come per mettere in
discussione una tradizione fattasi stantìa, ma al contempo affermare la necessità,
l'inevitabilità dell'arte per l'uomo di ogni tempo.
Un giorno riunì presso una galleria un folto pubblico che invitò a divorare l'arte,
cioè a mangiare uova sode irmate con il sigillo-impronta del suo pollice.
Nel corso dei suoi frequenti viaggi in Danimarca concepì Socle du Monde, un
enorme parallelepipedo collocato nella località di Herning, una sorta di
piedistallo per reggere il globo terrestre che reca una iscrizione capovolta: come
se tutto il mondo fosse un'opera, naturalmente sua. L'ironia sul parallelismo
artista-creatore divino aveva raggiunto il massimo.
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Firmò anche persone viventi come opere sue, rilasciando loro un certiicato;
ancora oggi chiunque salga sulla sua Base magica può considerarsi
temporaneamente una sua opera.
La seconda sfera di interessi coinvolgeva l'idea junghiana di un inconscio
collettivo in base al quale tutti condividiamo modi simili di pensare.
A quest'ambito, molto presente nei quadri giovanili, appartiene il progetto mai
realizzato di un Placentarium, che prevedeva un teatro a forma d'uovo, in cui
ciascuno avrebbe potuto sentirsi come dentro a un utero.
Pur nel suo spirito indubbiamente goliardico, Manzoni seppe provocatoriamente
proporre rilessioni sul fare artistico e sulla crisi del concetto di autore,
determinanti per il Concettualismo, nato nei secondi anni sessanta.
Tra queste, domande come: chi è l'artista? In che termini
vale la sua irma? Qual è il rapporto tra spessore culturale
e costo in denaro dell'opera? Questa deve durare nel
tempo o può essere effimera?
Manzoni morì giovanissimo all'età di soli ventinove anni,
di infarto cardiaco.
(Dorles - Vettese 2012, pp 367-369)
!
Analisi interpretativa
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L’uovo dei ilosoi
!
Nonostante l’artista non si leghi mai esplicitamente al
tema dell’alchimia, secondo una lettura approfondita e una
interpretazione personale quasi tutta l’opera manzoniana è
ad essa riconducibile, seppure circondata dall’ironia.
Partendo dal concetto di “corpo magico dell’artista” ,
Manzoni si predispone per essere il laboratorio, l’agente
trasformatore e, allo stesso tempo, l’alchimista che compie
l’opus, dando un nuovo livello di interpretazione della Manzoni prepara le uova
funzione insita nell’agire e fare arte della igura dell’artista.
Gli effetti della chiusura di senso dell’opera d’arte (che non ha più un "messaggio"
da comunicare, ma signiica solo se stessa), coinvolgono anche i destinatari della
comunicazione.
Se l'arte non è portatrice di un messaggio e l'opera d'arte non esiste più come
oggetto concreto che può essere esibito in un museo o venduto in una galleria, il
pubblico non può restare coninato nel ruolo passivo di spettatore.
Anche il pubblico è chiamato ad essere un’opera d’arte, seguendo le orme
dell’artista e partecipando alla natura magica del suo corpo. Divulga quindi
!56
anche all’esterno di sé questa opera trasmutativa, coinvolgendo il pubblico,
seppur essendo cosciente che non tutti avrebbero veramente compreso, come
visto in precedenza per Yves Klein in Le vide (“Sono tutti ciechi”).
Il 21 giugno 1960, nel corso della performance Consumazione dell’arte dinamica
del pubblico divorare l’arte, Piero Manzoni imprime l’impronta del suo pollice su
alcune uova sode, offrendole al pubblico da mangiare.
Lui stesso divora un uovo. Non a caso scelse proprio questa immagine, che nella
storia dell’arte si ritrova spesso, ed è intimamente connessa con l’alchimia: era di
fatto un sinonimo del vaso ermetico, igura contenitiva che nell’opera
manzoniana ritorna spesso, sia per quanto riguarda la Merda d’artista, sia per
l’utopistico Placentarium, mai realizzato. Nell’alchimia, l’uovo signiica il caos
compreso, afferrato, dall’arteice, la prima materia contenente l’anima del mondo
che vi è incatenata. Dall’uovo, che veniva simboleggiato dal recipiente di cottura
rotondo, si leva l’aquila o la fenice, l’anima inalmente liberata, che in ultima
analisi è nuovamente identica all’Anthropos, prigioniero nella physis. Attraverso
l’uovo–reliquia, consacrato dal contatto col corpo dell’artista, il pubblico
partecipa dell’arte, entrando in comunione con la isicità (magica, eroica)
dell’artista. Manzoni, cucinando e apponendo la sua impronta digitale, il segno
isico dell’identità distinguibile da ogni altra, su ognuna di esse, si fa arteice di
plurimi microcosmi pronti per essere mangiati, quindi digeriti e metabolizzati
dal suo pubblico, diventando parte integrante e inscindibile di esso, sia
esternamente (l’opera vista) che internamente (l’opera consumata).
Imaginatio
!
Sempre tenendo presente l’idea di rendere
partecipe il pubblico dell’arte, crea il
concetto di base magica e scultura vivente,
andando ad anticipare quella che sarebbe
stata la fortuna degli artisti contemporanei,
Gilbert&George (anche questi ultimi da non
trascurare per il concetto di utilizzo della
loro esistenza e isiologicità quale opera
d’arte).
Nel 1961, alla Galleria La Tartaruga di
Roma, Manzoni sancisce infatti la
trasformazione del pubblico in opera d’arte
irmando le Sculture viventi: modelle,
persone e oggetti personali del pubblico
autografate dall’artista e accompagnate da
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Piero Manzoni firma una modella come Scultura
Vivente
un attestato di autenticità. Tra questi ci fu anche Umberto Eco e Marcel
Broodthaers, oltre che una scarpa di Schifano.
Su ogni documento Manzoni appose un timbro: rosso, se la persona era per
intero un’opera d’arte e sarebbe rimasta sempre tale; giallo, se il nuovo status era
limitato a certe parti del corpo; verde, se vincolato a particolari attività, come il
dormire o il correre; porpora, se l’artisticità del corpo era stata comprata.
Il gesto artistico che eleva lo spettatore dell’opera in arte è riproposto e
automatizzato dalla Base magica: chiunque salga sul piedistallo magico deve
essere considerato, per il tempo che vi rimane, un’opera d’arte. E’ possibile
scorgere in questo gesto apparentemente sarcastico, la volontà di far utilizzare
l’immaginazione come agente creatore. L’immaginazione per l’alchimista,
secondo Ruland, è l’ “astro” nell’uomo, il corpo celeste o superceleste. La strana
espressione astrum è un termine paraclesiano, e in questo contesto va letto come
quintessenza. L’imaginatio, di cui si è già parlato con Jung, era deinita alla
stregua di una attività isica, che si inserisce nel ciclo di trasformazioni materiali
che determina e da cui a sua volta viene determinata. In questo modo
l’alchimista entrava in rapporto non solo con l’inconscio, ma direttamente anche
con la sostanza che sperava di poter trasformare per mezzo dell’immaginario.
Dunque era un estratto di forze vive tanto corporee quanto psichiche. Manzoni
stimola questa immaginazione creatrice nello spettatore, facendolo salire su una
base e facendolo essere una opera d’arte.
Le Pendu
L’ultimo vincolo, quello temporale, è rimosso dalla Base del mondo, (Socle du
Monde): il piedistallo, un parallelepipedo in ferro (90 x 100 cm) installato nel
parco della fabbrica Herning in Danimarca, capovolto al suolo per eleggere il
mondo ad opera d’arte, omaggiando Galileo Galilei. Adesso tutto è un suo
prodotto. Il capovolgimento del punto di vista rimanda all’archetipo tipico della
tradizione dei tarocchi e rimandato spesso alla tradizione artistico alchemica. Si
tratta dell’Arcano maggiore XII, l’Appeso: simbolo, secondo la tradizione, del
disinteresse, della ricerca interiore, dell’arte, della transizione e dell’idealismo. La
igura dell’appeso simboleggia colui che si priva di ogni avere, dello stesso ego,
per lasciare spazio alla spiritualità, . Come visto nella tavola Smaragdina di
Ermete, l’invito è quello di considerare ciò che è in alto come ciò che è in basso,
poiché tutto proviene dalla stessa materia primordiale: il mondo esiste già, e
Manzoni lo fa suo, irmandolo, e quindi comprendendolo nella sua propria sfera
microcosmica. Più supericialmente signiica anche guardare le cose da un altro
punto di vista, capovolgendolo, ma soprattutto vuol dire trascendere ed astrarsi
dal mondo materiale. Per concludere, secondo l’interpretazione del regista
Alejandro Jodorowsky, l’arcano signiicherebbe: “Mi trovo in questa posizione
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Piero Manzoni, Socle du monde 1961
perché lo voglio. Sono stato io a recidere i rami. Ho liberato le mie mani dal
desiderio di afferrare, di appropriarmi delle cose, di trattenerle.
Senza abbandonare il mondo, me ne sono ritratto. Con me potete trovare la
volontà di entrare in quella condizione in cui non esiste più la volontà.
Lo stato in cui le parole, le emozioni, le relazioni, i desideri, i bisogni non vi
tengono più legati.
Per slegarmi ho spezzato tutti i legami, tranne quello che mi lega alla Coscienza.
Ho la sensazione di cadere eternamente verso me stesso. Mi cerco attraverso il
labirinto delle parole, sono colui che pensa e non ciò che viene pensato. Non
sono i sentimenti, li osservo da una sfera intangibile dove regna soltanto la pace.
A una distanza ininita dal iume dei desideri, conosco soltanto indifferenza.
Non sono un corpo, ma colui che lo abita. Per arrivare a me stesso, sono un
cacciatore che sacriica la preda.
Ritrovo l’azione bruciante nell’ininita non-azione. Attraverso il dolore per
trovare la forza del sacriicio.” (planosinin.com).
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Trasformazione della materia vile in oro.
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Passiamo ora ad analizzare il gesto più apparentemente irriverente: l’opera Merda
d’artista, la più conosciuta e scandalosa di Manzoni. Non a caso è stata oggetto di
una violenta interpellanza parlamentare quando fu esposta e acquistata dalla
Galleria d'Arte Moderna di Roma. Si tratta di una serie di confezioni simili a
quelle di carne in scatola che proprio in quel periodo iniziavano ad essere
vendute in Italia. Ciascuna di esse reca una scritta in più lingue (inglese, tedesco,
francese e italiano) che attesta con pignoleria notarile: ''Contenuto netto gr. 30.
Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961''.
La carta bianca che avvolge la scatoletta è punteggiata dal nome dell'artista
ripetuto continuamente in grigioverde, come una garanzia di qualità del
prodotto. Sulla parte superiore ogni scatola è irmata e contrassegnata dal
numero di serie.
Secondo l'intenzione di Manzoni, le scatolette avrebbero dovuto essere vendute a
un prezzo equivalente a quello di 30 grammi d'oro, richiamando alla mente
l'antica equazione sterco e denaro, presente nell'inconscio collettivo: com'è noto
secondo la Psicoanalisi, ogni bambino vivrebbe una fase ''anale'' o periodo
ritentivo-repulsivo, in cui le feci rappresentano una merce di scambio; esse
sarebbero un dono alla madre per procurarsi il suo affetto, ma anche un mezzo
per aggredirla. Inoltre spesso nell’alchimia ricorre l’utilizzo degli escrementi
(come precedentemente notato per quanto riguarda l’urina in Yves Klein) per
attuare la trasformazione di questa miserabile materia in quella più pregiata,
l’oro. Emblematica è la scena tratta dal ilm “he Holy Mountain” del regista
Alejandro Jodorowsky, pellicola del 1973, in cui il protagonista chiede
all’alchimista di poter ottenere l’oro, e quest’ultimo lo invita a defecare in un vaso
(vas Hermetis), che poi verrà sottoposto ad una serie di passaggi per
trasformarne poi il contenuto nella pietra ilosofale e nell’elisir. E’ visibile una
stretta somiglianza tra il processo messo in atto da Manzoni e il processo appena
descritto.
Manzoni indirizza il suo atteggiamento irrisorio contro il feticismo del
collezionista e contro una mitizzazione romantica dell'opera che dovrebbe
rendere accettabile qualsiasi risultato, purché esso esprima l'intimo del suo
autore, ma allo stesso tempo diede un valore equivalente a 30 grammi d’oro.
In quel momento (1961) il mercato dell'arte prosperava come mai prima, grazie
anche al boom economico dell'Italia postbellica; i mercanti sollecitavano
continuamente gli artisti a produrre opere connotate da false mitologie, da
simboli come la irma e l'autenticità più legati alla speculazione che all'effettivo
valore culturale espresso dall'opera. Producendo le sue scatolette, Manzoni
propose sarcasticamente qualcosa di davvero personale e intimo, la merda,
appunto, nella certezza che, se adeguatamente confezionata, irmata e
!60
Piero Manzoni, Merda d’artista, 1961
autenticata, seguendo i nascenti principi di marketing e comunicazione
pubblicitaria, sarebbe stata accolta come opera d'arte. Secondo l’interpretazione
di Antonio Meneghetti, Piero Manzoni è l'artista moderno che sintetizza tutte le
arti contemporanee. Egli ha consumato tutti i percorsi dell'arte, dallo
strutturalismo all'improvvisazione, cercando anche di identiicarsi con l'arte
povera, ino ad arrivare al inale della corsa di tutta l'arte moderna. A Milano ci
sono dei contenitori irmati Merda d'artista, in cui ci sono le sue feci. E' come se
avesse voluto dire: l'essenza di me artista è prodotta dal fatto della mia vita, della
mia costituzione. Io attraverso me, comunico il messaggio di come la natura
rapla. Quindi più immediato di così non posso esprimermi. Scrivo, parlo,
disegno con l'immediatezza della natura che mi costituisce comunque esisto.
Piero Manzoni toglie la maschera a tutta l'arte moderna, la porta allo stremo.
(Meneghetti 2000, p.37).
Manzoni non si sbagliò, dal momento che le sue scatolette acquisirono un valore
sia simbolico che economico notevole. Critico, al tempo stesso nei confronti del
mercato dell'arte e della ciarlataneria degli artisti (che lui stesso fu disposto ad
!61
esasperare pur di metterla in evidenza), Manzoni ha anticipato anche la rivolta
contro il consumismo che sarebbe arrivata in Italia nei tardi anni Sessanta.
Attualmente i barattoli sono conservati in diverse collezioni d'arte in tutto il
mondo (ad esempio l'esemplare numero 4 è esposto alla Tate Modern di Londra
ed il barattolo numero 80 è esposto nel nuovo Museo del Novecento di Milano)
ed il valore di ciascuno di loro è stimato intorno ai 70 000 €, prezzo assai
superiore a quello issato dall'autore. A Milano, il 23 maggio 2007 nelle sale della
casa d'aste Sotheby's, un collezionista privato europeo si è aggiudicato
l'esemplare numero 18 a 124 000 euro: record d'asta mondiale per una delle 90
opere. Manzoni ha dunque effettivamente eseguito la trasformazione della
“merda” in oro.
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CONCLUSIONI
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Come l’alchimia, l’arte contemporanea non separa la dimensione materiale da
quella simbolica e ilosoica e trasforma metaforicamente la ricerca della pietra
ilosofale nella ricerca della perfezione e nel superamento dei conini
dell’esistenza umana. Questo processo simboleggiato nell’alchimia classica dalla
trasmutazione dei metalli semplici in oro diviene nell’arte la trasformazione della
materia e degli oggetti quotidiani in opere d’arte portatrici di molteplici
messaggi.
L’alchimia è un argomento che ha accompagnato tutta la storia della civiltà, per
cui è inevitabile che questa abbia inluenzato ilosoie, scienze ed arte. Come
visto lungo questo percorso fu grande l’interesse nei suoi confronti, da parte di
intellettuali e ilosoi, poiché il suo quid è di grande rilevanza, in qualsiasi
cultura. Parla di trasformazione e di vita, di esistenza e di coinvolgimento di
forze insite nell’essere umano. L’alchimia può aver cambiato forma e linguaggio
ma è sempre stata presente, anche tutt’ora. Come illustrato, in varie culture era
vista più come una via verso l’illuminazione e l’autorealizzazione dell’essere
umano che un metodo per trasformare metalli vili in oro. Negli anni del
dopoguerra, si diffusero molte correnti deinite New Age che presero spunto da
questa interpretazione, che volutamente non sono state approfondite in questo
frangente, poiché deviano molto dal vero fulcro della ricerca, ovvero
l’espressione artistica.
Ciò che può essere preso come punto in comune è il passaggio attraverso
svariate fasi ed il velo di metafora che la avvolge. Fu condannata, repressa,
manipolata , vincolata ma è sempre e comunque sopravvissuta, come se essa
stessa fosse passata attraverso gli stadi che delinea, come un essere vivente con
forma propria, al pari della materia e dell’essere umano cui si riferisce.
In questa sede si è provato a strappare quel velo e ad interpretare sotto l’ottica
dell’alchimia, la poetica ed i messaggi di alcuni artisti che, in modo cosciente o
meno, hanno portato determinati messaggi davanti agli occhi di milioni di
persone, vista la loro fama.
L’interpretazione qui proposta, proviene sia dalla lettura di alcuni testi speciici,
che dagli scritti degli artisti stessi, oltre che da una interpretazione personale che
è stata deliberatamente messa in atto, come risultato della rielaborazione dei
concetti che sono stati approfonditi in questa sede.
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!63
Bibliograia e sitograia:
!
BREUNING MARTA, Quaderni di arte alchemica, Pietro Negri Editore, 2008
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CALVESI MAURIZIO, Arte e Alchimia, Giunti Editore, 1986
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CALVESI MAURIZIO, Duchamp invisibile, Officina Edizioni, 1975
COOPER J.C., Chinese Alchemy: the Daoist Quest for Immortality, Sterling
Publishing, 1990
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DORFLES GILLO, VETTESE ANGELA, Arte 3, Atlas, 2012
!
JUNG CARL GUSTAV, Il libro Rosso, edizione studio, Bollati Boringhieri, 2012
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JUNG CARL GUSTAV, Psicologia e Alchimia, Bollati Boringhieri, 2006
!
JUNG CARL GUSTAV, Simboli della trasformazione, Bollati Boringhieri, 2012
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JUNG CARL GUSTAV, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri,
1977
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MENEGHETTI ANTONIO, Onto Arte, Psicologica editrice, 2000
MENEGHETTI ANTONIO, Sistema e Personalità, Psicologica Editrice, Roma
2002
MINK JANIS , Duchamp, Taschen, 2000
MOFFITT JHON F. Alchemist of the Avant-Garde: the case of Marcel Duchamp,
SUNY Press, 2012
PEREIRA MICHELA, Arcana Sapienza. L’Alchimia dalle origini a Jung, Carocci
editore, 2001
READ JOHN, Dall'alchimia alla chimica, Longanesi 1960
SCARAFFIA LUCETTA, La santa degli impossibili, Vita e Pensiero, 2014
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SHWARZ ARTURO, Introduzione all'alchimia indiana, Laterza, 1984.
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STEVENS ANTHONY, Su Jung. Nascita e sviluppo della psicologia analitica,
Astrolabio, 1991
SZEEMANN HERALD, Le macchine celibi, Rizzoli, 1989
VARI AUTORI, he archive for research in archetypal symbolism, Il libro dei
Simboli, Taschen, 2011
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RICHARD WILLHEIM, C. G. JUNG, Il segreto del iore d’Oro, 1938
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WILLHEIM RICHARD, C. G. JUNG, I Ching, Adelphi editore, 2001
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SITOGRAFIA
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marcelduchamp.net
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pieromanzoni.org
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planosinin.com
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treccani.it
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wikipedia.org
!
yveskleinarchives.com
!65
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!66
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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VERONA
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DIPLOMA ACCADEMICO DI PRIMO LIVELLO IN
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PITTURA
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PROGETTO
NIGREDO
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Relatore Progetto: Prof. Carlo Tombola
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Diplomanda: Monica Moserle
ANNO ACCADEMICO 2013/2014
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nigredo
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“Libros rumpite, ne corda vestra rumpantur.”
[Spezzate i libri, affinché non vi si spezzi il cuore.]
Arnaldo da Villanova Rosarium philosophorum
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INDICE
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Scheda progetto
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Un invito all’ascolto
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Stili ed inluenze
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Sinossi
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70
71
73
76
Sceneggiatura
Scena 1
Scena 2
Scena 3
Scena 4
Scena 5
77
78
79
80
81
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Conlcusioni
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82
83
Ringraziamenti
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!
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nigredo
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Monica Moserle, Nigredo, videoperformance
anno:2014
durata totale: 10 minuti
formato: HD
performer: Ivan Giacopuzzi Moro
regia e montaggio Monica Moserle
musiche di Andrea Moserle
!
!70
Un invito all’ascolto
La poetica alla base di questo lavoro proviene da due iloni già sondati con i due
video Red and green being (2013) e his is the end (2014). Del primo in
particolare ho perseguito l’idea di liberazione dagli stereotipi che sorreggono
l’essere umano, del secondo l’idea di impalpabilità dell’opera con la cancellazione
inale di essa di fronte al pubblico che lo guarda, comprendendone all’interno
l’aspetto emotivo che suscita, che è dunque parte integrante dell’opera, facendo si
che l’apparenza si trasformi in apparizione. Per rimanere in tema alchemico, sarà
solo digerendolo ed assimilandolo mentalmente che potremo poi trasformarlo
in “oro”.
Seguendo prettamente l’interpretazione jungiana, tratta dal già citato Libido: I
Simboli della Trasformazione, si è diviso il video in tappe, con simbologie
attinenti.
• La prima tappa è caratterizzata dall'archetipo dell'Ombra, ossia tutti quegli
aspetti che l'individuo non conosce di se stesso, tutto ciò che è stato rimosso
per l'educazione e le inluenze dell'ambiente sottoposte all'individuo. Questi
elementi sono rappresentati nei sogni e nei simboli, come si è visto, con igure
demoniache, discariche, viaggi nell'oscurità, mostri e inseguimenti. Nel video,
il protagonista viene inseguito da un’entità che non viene mai svelata nel corso
del video, ma che lo costringe a fuggire e a precipitare nelle viscere della terra.
Non a caso ho propenso per questa immagine metaforica, che si ritrova spesso
in alchimia sotto l’acronimo V.I.T.R.I.O.L. (Visita Interiora Terrae Rectiicando
Invenies Occultum Lapidem) che vuol dire “Visita l’interno della terra, e
rettiicando troverai la pietra nascosta.
• La seconda tappa è caratterizzata, dall'incontro con l'archetipo dell’Anima/
Animus. L’Anima rappresenta tutti quegli aspetti prettamente psichici e
mentali, ossia il primo contatto iniziatico dell’individuo maschile con la
propria psicologia, ed è rappresentata come una igura femminile. Questo
archetipo sommerge l'individuo di immagini provenienti dall'inconscio, crea
illusioni e complicazioni, nonché anche crisi. L'Animus rappresenta tutti
quegli aspetti prettamente maschili, pratici e concreti, razionali, e reali, ossia il
contatto con la sfera del diretto e del tangibile, il “qui e ora". Questo archetipo
tende a sommergere l’individuo ed è rappresentato nei sogni con la guerra, il
fabbro e simili. La non comprensione di tale archetipi può costare un blocco,
una stasi, una nevrosi. Nel video, la tappa è rappresentata dalla grotta in cui
l’individuo è precipitato, con rimando alla femminilità, data dalla presenza
dell’acqua. Inizia qui il blocco: infatti perde gli occhiali, quindi la capacità di
vedere, che in realtà sarà l’inizio della trasformazione. Quando esce accecato e
!71
cade, siamo nella parte più profonda di questa crisi la terra comincia a
sotterrarlo e si tramuta in legno. La natura lo prende di nuovo come una parte
di sè.
• La terza tappa è caratterizzata dall'incontro con il Vecchio Saggio, speculare
alla Grande Madre. Il Vecchio Saggio rappresenta tutto ciò che
l'individuo sta per diventare dopo aver attraversato le fasi precedenti, un uomo,
un saggio che sa, che ha conosciuto il passato, il presente e il futuro. Il Vecchio
Saggio è capace di districarsi dalla tela appiccicosa dell'Anima e dalle battaglie
furenti dell'Animus e come tale viene rappresentato come un consigliere, un
ilosofo, un esperto in materia. La sua non comprensione può tenere saldo
l'individuo nella sua situazione bloccandone l'evoluzione che rappresenta, come
accade all’individuo nel video , che è costretto a ripartire di nuovo dalla prima
fase. In questo caso l’incontro sarà con lo Shamano, che ne puriica il corpo
isico con il calore del fuoco.
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• La quarta tappa è caratterizzata dall'incontro con l'archetipo del Sé. Tale
archetipo è la summa del percorso di individuazione, il ine dell'individuo che
si dispiega avanti a lui, come un iore che sboccia. Viene rappresentato come
luce, come mandala, come quaterna, come centro e come Dio. Tale archetipo
rappresenta l'individuo stesso, tutto ciò che durante la strada ha visto e ha
accumulato. Se l'individuo ha incontrato il Sé signiica che l'Io è allineato con
esso. Non andarvi incontro signiica semplicemente che il percorso non è ancora
terminato. Infatti la scena, dopo essersi ripetuta, porta ad una rilessione
dell’individuo, ad una presa di coscienza che raggiunge l’apice con
l’illuminazione inale.
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Per quanto riguarda il titolo, Nigredo è il termine che indica l’inizio di un
determinato processo, come è stato esplicato ampiamente nella tesi
scrittograica. Nell’opera sta ad indicare la nascita di un pensiero che si trasforma
poi in azioni consecutive. Con questa affermazione si intende sia l’azione messa
in atto dal protagonista, sia quella che potrebbe avvenire nell’animo di chi
guarderà il video.
L’intera tesi è nata in seguito ad alcune circostanze che mi hanno messa di fronte
all’argomento ormai da parecchi mesi, come se io stessa fossi entrata in questa
fase per poterla poi affrontare con questo approfondimento teorico e pratico.
Nella tesi scrittograica ho esplicato esaurientemente i temi che l’alchimia tratta,
prendendo spunto da vari libri che ho letto appositamente e dalla ricerca
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personale. Ho preferito farmi inluenzare da essi solo marginalmente nella parte
progettuale. Ho ritenuto infatti necessaria una elaborazione personale per non
cadere io stessa in uno stereotipo pericoloso, che avrebbe fatto del mio lavoro
una mera citazione di simboli alchemici.
Ho propenso per dare una interpretazione personale in chiave metaforica di cosa
l’alchimia ha signiicato per la mia evoluzione come essere umano.
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Stile ed inluenze
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A livello stilistico, il video è girato in presa diretta, sempre con luce naturale o al
massimo creata con il fuoco. Non ho ripiegato molto sulla post produzione e
sulla correzione dei colori, mantenendo dunque le immagini quasi
completamente come le originali, ho solo applicato il iltro bianco e e nero.
Questo video non è paragonabile né ad un ilm né ad un cortometraggio in
quanto lo reputo come un’alternativa mobile al quadro dipinto, poiché in esso
spesso sono rievocati le
tradizioni degli aspetti
compositivi, e poiché
centrale non è la trama,
bensì gli effetti di colore
e le sensazioni che deve
suscitare nello
spettatore, oltre agli
archetipi che è stata mia
intenzione richiamare,
in particolare quelli
Scena tratta dal film Holy Mountain, di Alejandro Jodorowsky, 1973
legati ai Tarocchi e alla
tradizione ermetica.
Dal cinema ho trovato alcuni spunti riguardanti l’alchimia, in particolare il ilm
La montagna sacra (La montaña sagrada) del 1973 diretto da Alejandro
Jodorowsky e L'opera al nero (L'Œuvre au noir)
del 1988 diretto da André Delvaux, tratto dal
romanzo omonimo di Marguerite Yourcenar.
Altri spunti li ho ritrovati in alcuni ilm
sperimentali come quelli di James Whitney, che
aveva pianiicato una serie di quattro ilm
alchemici, di questi solo uno è stato fatto,
chiamato Dwija (1976), descritto dal regista
come una dissoluzione del vaso alchemico e e
Scena tratta dal film L’opera al nero di André
la sua continua materializzazione all'interno di
Delvaux, 1988
un lusso pulsante della luce colorata. L’artista è
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un precursore dell’arte digitale e le igure in movimento che crea sono dei chiari
rimandi ai mandala.
Due fermi immagine dell’opera Lapis , di James Whitney, 1966
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Anche il regista sperimentale tedesco Jürgen Reble ha fatto riferimento ai
processi alchemici nella manipolazione isica e chimica della pellicola, e
accomuna l’Alchimia alla "trasformazione e issazione" del ilm.
Fotogramma tratto da Materia Obscura , film di Jürgen Reble, 2009
Inine, alla video istallazione del 2010 di Richard Ashrowan, che ha creato una
video installazione, Alchemist, in cui ha utilizzato alcuni testi di Michele Scoto,
alchimista XII secolo.
Videoistallazione di Richard Ashrowan, Alchemist, 2010
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SINOSSI!
Un uomo è a metà del cammino della sua esistenza. Ad un certo punto si ferma
a meditare sul punto in cui è arrivato. Proprio in quell’istante sopraggiunge
qualcosa che lo turba e lo mette in fuga, ma il suo destino è inevitabile. E’
dunque costretto ad addentrassi nelle viscere della sua terra interiore, a guardare
ciò che lo circonda con occhi diversi e a ritornare ad esistere nel suo stato
primordiale. Viene sopraffatto dalla natura per tornare ad essere un tutt’uno con
essa, ed incontrare inalmente il Vecchio Saggio che è in lui, igura chiave nel
processo di putrefazione e incenerimento del corpo materiale, permettendogli
così di liberarsi dalle catene psicologiche che lo imbrigliano e che
appesantiscono il suo essere.
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Scena 1
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(Giorno)
Bosco
L’uomo con gli occhiali da vista sta camminando nel bosco.
Ripreso da lontano, nel silenzio della natura. Attraversa un corso d’acqua, poi si
ferma ad osservare ciò che ha intorno. La sua attenzione è attratta da un rumore
che proviene da sinistra. Il punto di vista passa dall’osservazione della “preda” a
quello del “cacciatore” in prima persona, che inizia l’avvicinamento. L’uomo è in
allarme, si alza e lo vede. Dopo un attimo di esitazione inizia a correre, rincorso
da qualcosa che non riesce ancora ad identiicare, ma che lo spaventa.
Mentre corre cade in un buco e viene inghiottito dalle viscere della terra.
Il richiamo è al XVI Arcano Maggiore dei Tarocchi, la Torre.
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Scena 2!
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(Buio, fuochi)
Grotta
L’uomo si risveglia all’interno di una grotta umida e quasi completamente buia.
Il paesaggio attorno a se è ancestrale. Dopo essersi ritrovato nel punto più buio,
inizia ad intravedere la luce e a dirigersi verso di essa. E’ stremato e cammina a
fatica. Il terreno è sempre più impervio, pieno di acqua e fango. Inciampa e cade,
perdendo gli occhiali. Mezzo cieco, inizia ad essere esasperato.
Seguendo la luce però trova l’uscita e, accecato dal sole, sviene.
Il richiamo è al XX Arcano Maggiore dei Tarocchi, il Giudizio.
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Scena 3!
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(Giorno)
Bosco
Il corpo viene sommerso dalla terra, a poco a poco. Viene putrefatto e torna ad
essere materia primordiale, legno e terra.
Il richiamo è al XIII Arcano Maggiore dei Tarocchi, la Morte.
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Scena 4
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(Notte, fuochi.)
Bosco
Un uomo nero e primitivo si avvicina ai resti. Raccoglie un arto di legno e un
pugno di terra. Li getta nel fuoco, si siede e comincia a meditare a voce alta,
parlando una lingua incomprensibile. Nel fuoco si compie la trasmutazione
dell’individuo, con l’incenerimento, che poi lo riporta nel bosco. Ricomincia
nuovamente il percorso, ino alla presa di coscienza dell’individuo che decide di
uscire da questo continuo loop, prendendo coscienza di se e puriicando se
stesso.
Il richiamo è al IX Arcano Maggiore dei Tarocchi, l’Eremita e al XVIII, la Luna.
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Scena 5!
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(Giorno)
Ex sanatorio
L’individuo ha capito come arrivare all’unione degli opposti dentro di Sé.
Il richiamo è al II arcano Maggiore dei Tarocchi, la Papessa.
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Conclusioni
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Questo non è un video nato per essere rivisto, ne per essere ripetuto all’ininito,
ma è un’opera unica, una sorta di happening, che parla in un linguaggio
immaginiico e che colpisce lo spettatore a seconda dello suo stato d’animo in
quel preciso istante. E’ nato per essere vissuto come un sogno che usa sempre
immagini diverse, nonostante il messaggio possa essere uguale. E’ un insieme di
spunti che portano alla ricerca personale.
Non è stato semplice mettere a nudo le proprie idee e propendere per
l’immaterialità dell’opera inale, sopratutto in una occasione come può essere
una tesi di laurea, che signiica molto per alcuni, accettando di non averne poi
un ricordo materiale, ed eliminandone l’aspetto feticista. In cambio di questo
atto di “coraggio” (da cor-agere, agire col cuore) ciò che si ottiene è molto di più.
Può essere una sensazione, un ricordo o una immagine impressa.
Ciò che conta è che l’attenzione posta nei confronti di qualcosa che si è
consapevoli di non poter rivedere è ben diversa rispetto a quella che
impieghiamo quando potremmo avere una seconda occasione. Questa non vuole
essere una critica bensì una osservazione nei confronti del mondo della
riproducibilità in cui siamo inseriti, per il quale ogni cosa perde valore ed unicità
potendo essere riprodotta all’ininito. La volontà è quella di andare in
controtendenza e cambiare punto di vista, capovolgendolo.
Fa parte quindi dell’opera, tutto ciò che essa suscita a posteriori nell’animo di chi
la guarda.
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Ringraziamenti
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Questa tesi è stata, più che una impresa a livello concettuale, un vero e proprio
percorso evolutivo, visto che in in dei conti è di questo che si parla.
Esporsi ad un argomento così vasto e antico ha richiesto un grande sforzo da
parte mia ed è dunque doveroso ringraziare alcune persone che, a livello pratico
o anche solo a livello spirituale, mi sono state accanto in questi mesi.
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Innanzitutto i miei genitori, mio fratello Andrea, ai quali dedico in primis questo
lavoro. GRAZIE
A Ivan, che si è prestato come ‘’protagonista’’ attivo. GRAZIE
Alla dottoressa Mirella Chesini che mi ha dato nuovi spunti e chiavi di lettura
che solo lei poteva darmi. GRAZIE
Ai miei relatori, i professori Francesco Ronzon, Carlo Tombola e Daniele Nalin.
GRAZIE
A Benedetta che mi ha aiutata per l’aspetto graico del lavoro.
A tutta la mia squadra e ai miei colleghi di lavoro, in particolare ad un grande
amico, Massimo Albrigo, e due donne fantastiche, Barbara Rainoldi e Rita
Pedrotti. GRAZIE
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E per ultimo, ma non per importanza, al mio amico Surf, che forse è il solo a
“sapere” davvero quanto questa tesi sia stata un’occasione enorme di crescita, in
dal primo giorno, che non si è ancora arrestata e mai lo farà.
GRAZIE!
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