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ADAMO PASINI

e NOVECENTO* (A stampa in Rivista di storia della Chiesa in Italia, anno XLIX-n. 1, gennaio-giugno 1995, pp. 94-102@dell'autore). Se, come suol dirsi, il buon giorno si vede dal mattino, allora vi sono tutte le premesse perché la giornata sia luminosa. Fuori di metafora, intendo dire che la pubblicazione di questo primo quaderno realizzato dal Centro Studi per la Storia Religiosa Forlivese (sorto il 26 ottobre 1993 allo scopo, come dice il suo fondatore, monsignor Vincenzo Zarri, vescovo di Forlì-Bertinoro, «di affiancare la vita culturale diocesana e civica con puntuali presenze e offrire sussidi per rivisitare le più valide esperienze di cultura e di vita del passato») è senz'altro degna di attenzione per più motivi, non ultimo il suo potenziale e auspicabile porsi quale capostipite di una serie di contributi rivolti a meglio illuminare una vicenda, come quella comunitaria forlivese, sia ecclesiastica che civile, ricca di stimoli e di fermenti ma non ancora sufficientemente messa a fuoco. E l'occasione migliore per iniziare è finalmente offerta da questo quaderno che inquadra con competenza e passione e con consapevolezza dei propri limiti, rigorosamente dichiarati in una delle due pagine di presentazione da Franco Zaghini, direttore del Centro, l'esperienza umana, pastorale e culturale, sviluppatasi entro un arco cronologico sessantennale, di monsignor Adamo Pasini, una delle figure di più denso spessore e di più nobile profilo espressa dal clero non solo forlivese ma anche romagnolo nella prima metà del nostro secolo. Né, come osserva sempre in sede di presentazione Alessandro Albertazzi dell'Università di Bologna, sarebbe possibile abbozzare i primi lineamenti di una storia della Chiesa forlivese nel Novecento prescindendo dal fondamentale apporto del Pasini, noto in genere per la sua produzione storiografica, ma, come emerge ora per chi forlivese non è e per motivi di età non ha potuto conoscere il Nostro, assai attivo in una molteplicità di campi di considerevole rilievo che gli permisero, pur tra una congerie di difficoltà e di ostacoli, di esprimere tutta la tensione etica che orientava il suo agire e le sue scelte. E tale tensione, al di là dei meriti storiografici del Pasini, comunque si voglia giudicare la sua opera di editore e di studioso prevalentemente locale, è senza dubbio l'aspetto più vivace e fecondo della sua personalità che è giusto rappresentare alla memoria di chi lo conobbe ma che, soprattutto, è e sarebbe opportuno proporre, in quali formule non saprei, all'attenzione distratta dei più giovani, non per additarla loro ad improbabile ed impervio modello di vita ma per indirizzarli alla riflessione su esperienze diverse da quelle comunemente correnti e per accostarli, nelle prospettive esistenziali, a punti di riferimento non effimeri e di autentica sostanza; ciò perché il valore di uomini come monsignor Adamo Pasini supera i ristretti confini del tempo in cui vissero per giungere fino a noi intatto nella sua freschezza. Egli, nato il 23 febbraio 1875 a S. Pietro in Vincoli di Ravenna da famiglia di modesta estrazione sociale ed ammesso non senza difficoltà al Seminario di Forlì per l'impossibilità di versare la retta, venne subito preso in affetto e considerazione dal vescovo, monsignor Domenico Svampa, che, appena diciottenne, lo indirizzò al Seminario Pio di Roma. Questi gli esordi del Pasini da cui trae l'abbrivo il primo contributo del quaderno: Cenni biografici su mons. Adamo Pasini, di Franco Zaghini, 13-22, attento soprattutto a cogliere, al di là dei nudi dati biografici (la laurea in teologia nel 1897 e in «utroque iure» nel 1901, l'ordinazione sacerdotale ricevuta a Forlì il 18 settembre 1897), l'intensa partecipazione del Nostro, sostenuto con discrezione dallo Svampa, a quei generosi ideali, espressi in primo da Ernesto Buonaiuti e da Romolo Murri, che si battevano per un profondo rinnovamento ed una non formale democratizzazione della vita della Chiesa, specie nel rapporto con la comunità dei fedeli.

Leardo MASCANZONI ADAMO PASINI, UN PRETE FORLIVESE fra OTTO e NOVECENTO* (A stampa in Rivista di storia della Chiesa in Italia, anno XLIX - n. 1, gennaio-giugno 1995, pp. 94-102@dell’autore). Se, come suol dirsi, il buon giorno si vede dal mattino, allora vi sono tutte le premesse perché la giornata sia luminosa. Fuori di metafora, intendo dire che la pubblicazione di questo primo quaderno realizzato dal Centro Studi per la Storia Religiosa Forlivese (sorto il 26 ottobre 1993 allo scopo, come dice il suo fondatore, monsignor Vincenzo Zarri, vescovo di Forlì-Bertinoro, «di affiancare la vita culturale diocesana e civica con puntuali presenze e offrire sussidi per rivisitare le più valide esperienze di cultura e di vita del passato») è senz’altro degna di attenzione per più motivi, non ultimo il suo potenziale e auspicabile porsi quale capostipite di una serie di contributi rivolti a meglio illuminare una vicenda, come quella comunitaria forlivese, sia ecclesiastica che civile, ricca di stimoli e di fermenti ma non ancora sufficientemente messa a fuoco. E l’occasione migliore per iniziare è finalmente offerta da questo quaderno che inquadra con competenza e passione e con consapevolezza dei propri limiti, rigorosamente dichiarati in una delle due pagine di presentazione da Franco Zaghini, direttore del Centro, l’esperienza umana, pastorale e culturale, sviluppatasi entro un arco cronologico sessantennale, di monsignor Adamo Pasini, una delle figure di più denso spessore e di più nobile profilo espressa dal clero non solo forlivese ma anche romagnolo nella prima metà del nostro secolo. Né, come osserva sempre in sede di presentazione Alessandro Albertazzi dell’Università di Bologna, sarebbe possibile abbozzare i primi lineamenti di una storia della Chiesa forlivese nel Novecento prescindendo dal fondamentale apporto del Pasini, noto in genere per la sua produzione storiografica, ma, come emerge ora per chi forlivese non è e per motivi di età non ha potuto conoscere il Nostro, assai attivo in una molteplicità di campi di considerevole rilievo che gli permisero, pur tra una congerie di difficoltà e di ostacoli, di esprimere tutta la tensione etica che orientava il suo agire e le sue scelte. E tale tensione, al di là dei meriti storiografici del Pasini, comunque si voglia giudicare la sua opera di editore e di studioso prevalentemente locale, è senza dubbio l’aspetto più vivace e fecondo della sua personalità che è giusto rappresentare alla memoria di chi lo conobbe ma che, soprattutto, è e sarebbe opportuno proporre, in quali formule non saprei, all’attenzione distratta dei più giovani, non per additarla loro ad improbabile ed impervio modello di vita ma per indirizzarli alla riflessione su esperienze diverse da quelle comunemente correnti e per accostarli, nelle prospettive esistenziali, a punti di riferimento non effimeri e di autentica sostanza; ciò perché il valore di uomini come monsignor Adamo Pasini supera i ristretti confini del tempo in cui vissero per giungere fino a noi intatto nella sua freschezza. Egli, nato il 23 febbraio 1875 a S. Pietro in Vincoli di Ravenna da famiglia di modesta estrazione sociale ed ammesso non senza difficoltà al Seminario di Forlì per l’impossibilità di versare la retta, venne subito preso in affetto e considerazione dal vescovo, monsignor Domenico Svampa, che, appena diciottenne, lo indirizzò al Seminario Pio di Roma. Questi gli esordi del Pasini da cui trae l’abbrivo il primo contributo del quaderno: Cenni biografici su mons. Adamo Pasini, di Franco Zaghini, 13-22, attento soprattutto a cogliere, al di là dei nudi dati biografici (la laurea in teologia nel 1897 e in «utroque iure» nel 1901, l’ordinazione sacerdotale ricevuta a Forlì il 18 settembre 1897), l’intensa partecipazione del Nostro, sostenuto con discrezione dallo Svampa, a quei generosi ideali, espressi in primo da Ernesto Buonaiuti e da Romolo Murri, che si battevano per un profondo rinnovamento ed una non formale democratizzazione della vita della Chiesa, specie nel rapporto con la comunità dei fedeli. Da qui la decisione del Pasini di guidare, assieme ad altri giovani di ispirazione murriana, il processo di diffusione delle nuove istanze nella realtà locale attraverso la fondazione, nell’autunno del 1901, del settimanale «il Lavoro d’Oggi» e di avvicinarsi, dal punto di vista tattico e strategico più che ideologico, dove sussistevano forti pregiudiziali, al movimento socialista, l’unico a parere del Pasini, attestato il fallimento del liberalismo nelle sue diverse accezioni, a porsi concretamente il problema dell’eguaglianza e della giustizia nei confronti dei meno fortunati. L’obbiettivo era quello di educare le giovani generazioni a valori di democrazia che si credeva non potesse essere che «cristiana». Tutto questo finché non intervenne, a partire dal 1907, la reazione ‘antimodernista’ della Chiesa romana, condotta da papa Pio X, che, emarginando il Murri e liquidata l’esperienza della ‘democrazia cristiana’ e prendendo ad esercitare la sua pressione anche in campo culturale, un poco alla volta arrivò al Pasini, colpevole, secondo Roma, di aver assunto posizioni eterodosse nell’impartire, dal Seminario Interdiocesano Romagnolo di Cesena, l’insegnamento della S. Scrittura; la sanzione comportò, tra il 1907 e il 1908, l’immediata rimozione e, nonostante l’udienza concessagli da Pio X, la conferma del provvedimento che avrebbe significato, nel futuro del Pasini, la fine di ogni possibile sviluppo della sua carriera ecclesiastica. Questo primo contributo dello Zaghini sfuma poi gradualmente nella menzione di ulteriori momenti o aspetti significativi della vita del sacerdote forlivese, che ricoprì, in seguito, brevi e, pare, non soddisfacenti incarichi di insegnamento in alcune scuole cittadine e che trovò nella vita comunitaria parrocchiale (fu parroco di S. Mercuriale dal 1931), nel Movimento cattolico e negli studi biblici e storiografici la sua dimensione più propria, senza che ciò, e ne sono testimoni il senso di fiduciosa energia e di gioiosa donazione di sé che costantemente profuse, assumesse mai il sapore un po’ amaro del ripiego; tale la direzione, mantenuta dagli inizi del secolo fino alla morte, avvenuta il 9 giugno 1963, della Pia Opera dei Santi Tabernacoli, per la confezione di indumenti da inviare alle Missioni e alle chiese più povere della diocesi, la pubblicazione del bollettino mensile «La Madonna del Fuoco» (nei periodi 1916-1928 e 1937-1943), per il recupero di notizie di storia locale, che gli valse la cooptazione a socio corrispondente della Regia Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna nel 1925 e il riconoscimento a Regio Ispettore del Libro nel 1929, e, da ultimo, il servizio di assistenza ai militari di stanza a Forlì poi convertitosi nell’ente di «Assistenza civile e religiosa per gli orfani di guerra». Non poco interesse suscita poi la considerazione che il Nostro, all’atto della nascita del Partito Popolare Italiano, voluto da don Luigi Sturzo nel 1919, si mantenesse silenziosamente in disparte, parendogli il nuovo partito troppo intriso di clericalismo ed incline al facile compromesso, nel mentre che saliva al ruolo di Vicario generale della diocesi di Forlì per esserne poi allontanato all’arrivo, nel 1933, del vescovo Giuseppe Rolla che lo richiamò infine, nel 1944, riconoscendone tutto intero il grande valore e non temendone più eventuali interferenze nel governo della diocesi; gli ultimi anni trascorsero per Pasini tra la stima e il calore di una popolazione che tanto ne aveva compreso la qualità umana, pastorale e culturale da guardare «a lui come al padre comprensivo, all’uomo di cultura insuperato, al sacerdote pienamente compiuto, al custode della memoria storica della diocesi, memoria storica egli stesso, legame e continuità con un passato di cui ci si poteva gloriare e che poteva offrire le coordinate per un rinnovato impegno nel presente. In lui si era perfettamente realizzata l’idea di ‘sacerdote forlivese’» (p. 22). Ma se il saggio di Zaghini percorre in modo espositivo e riepilogativo l’intera parabola esistenziale del Pasini pur sottolineando la pregnanza di certi momenti della vita dell’ecclesiastico, tali momenti divengono oggetto di esclusivo approfondimento problematico in altri contributi che arricchiscono il quaderno di una valenza più specificamente storiografica. E’ quel che fa Giovanni Tassani, La «Questione Sociale» in Romagna e «Il lavoro d’Oggi (1901-1908)», 35-50, il quale ricostruisce l’appassionata temperie in cui maturò anche in Romagna, ai primi del Novecento e su impulso sia di movimenti sociali cattolici europei già manifestatisi dalla seconda metà del secolo precedente (si pensi, per fare solo alcuni nomi, a Ketteler e a Stocker in Germania, a Manning in Inghilterra, a Ozanam, a La Tour du Pin, a De Mun e ad Harmel in Francia) che di violenti rivolgimenti sociali e politici, quali la grave crisi del 1898 e le conseguenti repressioni, un forte ed avvertito bisogno di rinnovamento, in campo biblico, storiografico-critico e filosofico da un canto e politico-sociale dall’altro, ancorato a quella che allora si definiva la «questione sociale», e guidato dalle parole della «Rerum novarum» di Leone XIII di cui volle essere cassa di risonanza. Di queste richieste di ‘svecchiamento della cultura cattolica’, per usare la stessa espressione dell’autore, si fecero interpreti dapprima monsignor Svampa, presule di Forlì dal 1887, poi il ravennate padre Giovanni Genocchi, quanto mai versato in studi biblici, indi una serie di giovani sacerdoti che rispondevano ai nomi di Francesco Lanzoni, di Giovanni Ravaglia, di Girolamo Mauri, di Girolamo Zattoni e, appunto, di Adamo Pasini; in questo modo, Faenza, Cesena, Rimini, Ravenna e Forlì e le rispettive diocesi vennero intensamente percorse da una convinta propaganda innovativa che proponeva, secondo l’esortazione di Leone XIII fatta propria dal Murri, la figura del sacerdote che «esce dalla sacrestia» e che è «più pastore d’anime» che non «ministro di culto»; strumenti di tale diffusione di idee si fecero alcuni fogli, nati tutti tra il 1899 e il 1903 e fondati dai sunnominati, che furono «Il Piccolo» a Faenza, «Il Savio» a Cesena, «l’Ausa» a Rimini, «’Eco di Ravenna» a Ravenna e «Il Lavoro d’Oggi» a Forlì; il raccordo nazionale di questa prima «democrazia cristiana» romagnola era poi dato da «Il Domani d’Italia». E’ a questo punto che le opzioni di Pasini e dei suoi diventano più spiccatamente sociali con l’individuazione del problema dei patti colonici quale questione primaria di una realtà, a Forlì come del resto in Romagna, non tanto operaia quanto piuttosto contadina. Le necessità era quelle di sensibilizzare gli animi per conseguire condizioni di migliore giustizia e di concorrere, non discostandosene nei fini se non nei metodi, con le ‘fratellanze’ di origine socialista. Va dato merito al Tassani di aver reso con chiarezza ed efficacia i tre temi portanti de «Il Lavoro d’Oggi», cioè l’opposizione contro il conservatorismo borghese e il liberalismo economico, la concorrenza coi partiti socialista e repubblicano per l’organizzazione del popolo e per l’elevazione delle categorie più povere e, infine, la lotta per il rinnovamento del mondo clericale e cattolico; intenti che, nella loro grande ampiezza di orizzonti, culturali ed umani, conferirono all’intervento del Pasini carattere di particolare consapevolezza ed elevatezza. Tuttavia, proprio la troppo spinta pratica democratica tra i cattolici forlivesi, così almeno la giudicava l’ambiente clericale di più stretta osservanza, unitamente ai frequenti contatti avuti dal Nostro col Murri, già prossimo alla scomunica anti-modernistica, e alle generali inversioni di tendenza che connotarono il pontificato di Pio X rispetto alle aperture leoniane decretarono, a metà del 1908, la fine di un’esperienza, quella de «Il Lavoro d’Oggi», che aveva concorso non poco a dar voce, in un contesto di depressione culturale e politica, alle insopprimibili esigenze del confronto civile e della più larga tolleranza. Ad ogni buon conto, il deciso spirito innovativo del Pasini ed il suo coraggio morale ed intellettuale ebbero modo di esprimersi, come evidenzia Franco Zaghini (Mons. Adamo Pasini pioniere della riforma catechistica, 77-82) anche nel più specifico versante della catechesi ove il Nostro, sostanziato dall’insegnamento di un maestro come padre Lagrange e rilevata l’ormai evidente inadeguatezza del catechismo di stampo bellarminiano, si incamminò sulla difficile ma suggestiva strada della riforma in cui tanta parte ebbe il movimento modernistico. Trovò conforto e incitamento a ciò nel catechismo della diocesi di Münster (Katholischer Katechismus für die Diözese Münster), èdito nel 1888, che egli, con entusiasmo e lena, prese a volgere dal tedesco (e perciò si sottopose ad un faticoso studio della lingua), talvolta alterandone il testo per introdurvi semplificazioni o integrazioni, animato dal proposito di pubblicarlo. Incontrò il favore del cardinale Svampa, il suo protettore di un tempo, divenuto ora arcivescovo di Bologna, ma non del Maestro dei Sacri Palazzi che bloccò l’imprimatur dopo le prime bozze di stampa. Così il libro del Pasini, che sarebbe dovuto uscire presso l’editore romano F. Ferrari all’interno di una collana di volumetti tra cui si segnalavano lavori di Buonaiuti, di Mari, di Manaresi e di Colombo, non vide mai la luce. Inutile dire che a carico del suo autore aumentò il già acuto sospetto che verso di lui nutriva la Curia romana. E questa fu, indubbiamente, un’occasione persa dalla Chiesa giacché le posizioni del Pasini e degli altri novatori precorrevano, e di parecchi decenni, i tempi anticipando quelli che sarebbero stati, in materia, gli argomenti di dibattito e le mozioni del Concilio Vaticano II; in pratica, il sacerdote forlivese aderiva al catechismo tedesco, in onore di modernismo soltanto per i suoi avversari, essendo stato pubblicato nel 1888, per la sua proposta di contestualizzazione storica della fede, per il superamento della rigida catechesi post-tridentina mediante l’aggancio ai testi biblici, per l’ampliamento del metodo della domanda e della risposta che approdava ad un’adulta ed articolata riflessione sul dato offerto. E, analizzati ormai gli aspetti più propriamente formativi, ideologici e dottrinari del Pasini, sarà tempo di considerare il momento della messa in atto di siffatti princìpi, che si realizzò nella vita pastorale e nell’esercizio del ministero parrocchiale del Nostro ricostruibili attraverso due contributi, il primo ancora di Franco Zaghini (Mons. Adamo Pasini, sacerdote forlivese, 23-34) e il secondo di Salvatore Gioiello (Mons. Adamo Pasini, parroco di S. Mercuriale, 61-75), che gli fa da ideale pendant. Appare così ai nostri occhi la dimensione quotidiana di un sacerdote guidato dalle ragioni del cuore e della fede non meno che da quelle della intelligenza e della cultura (vi è in lui l’onnipresente tensione a conciliare la libertà della metodologia scientifica con la rigidità della dottrina dogmatica), attivamente impegnato sul piano della predicazione e dell’omiletica, specie nei confronti degli umili soldati della ‘Grande Guerra’, giunto, infine, nella stagione della pienezza della vita, a stemperare certe irruenze giovanili in uno spirito di completa accettazione e pacificazione. Quello che, tuttavia, maggiormente colpisce del sorvegliato e informato contributo dello Zaghini è, ancora una volta, nel Pasini, il profondo bisogno di riforma in campo liturgico che fa il paio con una severissima educazione seminaristica da lui ricevuta in gioventù e impostata per conseguire, attraverso le cosiddette ‘pratiche di pietà’, una spiritualità radicata e robusta. Ed è una vera fortuna che il Pasini, pur nel riserbo e nella timidezza che lo accompagnarono per tutta la sua esistenza, ci abbia lasciato un diario da cui traspare, registrata con estrema pazienza ed accuratezza, la diuturna fatica del parroco. Che dire, ad esempio, oltre alla quantità di altri uffici sacri, dei 9.130 giorni distribuiti in ben 25 anni di cui solo a 13 manca la nota quotidiana nel diario e per i quali solo in 16 il Nostro fu assente, per motivi di salute, dall’obbligo della celebrazione della Messa? Credo che le cifre, nella loro efficace secchezza, ci restituiscano, meglio di quanto possa fare qualsiasi discorso, il senso di questo regolarissimo e strenuo impegno. Quanto poi alla riforma della liturgia, l’innata carità e l’antiveggenza del Pasini si manifestano nell’avanzare, attraverso la pubblicazione nel 1913 de «Il Messalino del popolo», la traduzione italiana del brano evangelico della Messa domenicale; ciò perché al Nostro stava a cuore che i fedeli, diversamente da quel che è accaduto per secoli con l’imposizione di una liturgia officiata in una lingua sconosciuta ed estranea a moltissimi come il latino, potessero finalmente fruire di un rapporto diretto e cosciente, e non più mediato e, spesso, subìto, coi contenuti dei testi sacri; anche stavolta, però, il Pasini dovette scontrarsi con le posizioni della Chiesa ufficiale che andavano in altra direzione; un riconoscimento postumo gli sarebbe poi implicitamente giunto, ancora una volta dal Vaticano II, proprio con l’introduzione, in questi ultimi decenni, della allora deprecata volgarizzazione. Peccato che il rammarico che il Pasini esprimeva negli ultimi tempi della sua vita con queste parole - «mezzo secolo fa il movimento liturgista ha avuto la sua difficoltà da superare. Da principio era coinvolto nei sospetti modernisti, perché si temeva che volesse arrivare sino all’abolizione del latino nella liturgia romana. Ricordo questa frase scritta dalla opposta sponda: “Così cominciò Lutero”» - non abbia avuto, per lui, un più tempestivo risarcimento. Alla compiuta maturità esistenziale e pastorale del Nostro si perviene così col lavoro di Salvatore Gioiello, in cui le straordinarie doti di evangelizzatore e di organizzatore del Pasini prendono, nella luce commossa che l’autore getta su di loro, forma e movenza di realtà. Sembra quasi, leggendo queste belle pagine, di essere anche noi nella parrocchia forlivese di S. Mercuriale che vide dispiegarsi l’apostolato del Pasini fra il 1931 ed il 1944. Apostolato inverato, come ci si può ormai legittimamente aspettare, da precise opzioni civili, basti alludere alla solidale attenzione che il parroco Pasini riservò all’organizzazione dell’Azione Cattolica, in cui, per inciso, militò in quegli anni anche il futuro drammaturgo Diego Fabbri, una delle poche organizzazioni superstiti che, nella sempre più massiccia fascistizzazione delle istituzioni e nella totale mancanza di una rappresentanza politica alternativa, riuscisse ancora a connotarsi come una forza critica, e per questo non di rado osteggiata ed autonoma. Suscita sincera incredulità, quando si ponga mente a ciò che rispetto ad allora si è perduto, apprendere delle giornate di studio scandite nelle formule delle «tre giorni» e delle «tre sere», delle gare di cultura religiosa con relativi premi, della «pagina attiva», del «quaderno di vita» e di una molteplicità di altre iniziative, legate all’istruzione catechistica, ai ritiri spirituali, alle problematiche della famiglia, all’approfondimento di temi particolari e, perché no, allo svago e al divertimento, che radunavano in parrocchia, ad ogni occasione, centinaia di persone fra cui moltissimi giovani; tutto un fervido dinamismo, questo, che sarà pur stato ingenuo e disarmato di fronte alle terribili realtà che andavano sinistramente prendendo corpo proprio in quegli anni ma che riconsiderato oggi, a qualsiasi espressione culturale e/o ideologica ci si possa richiamare, non può non essere visto, se non altro per gli autentici valori sociali e aggregativi che conteneva, con ammirazione non scevra da amarezza e nostalgia. E’ d’obbligo, infine, chiudere il discorso sul ministero parrocchiale del Pasini accennando alle attenzioni e alle cure prodigate dal Nostro alla struttura materiale della ‘sua’ chiesa, tradottesi in un piano di ristrutturazione edilizia dell’intero complesso abbaziale portato a termine nei primi anni Quaranta. Peccato, però, che questo rilevante aspetto della sua attività non sia stato sviluppato dall’autore o, al caso, altri non abbiano ritenuto di riprenderlo in una specifica trattazione come avrebbe meritato. L’attività storiografica del Pasini, infine, è stata studiata da Augusto Vasina, Adamo Pasini, studioso di Forlì fra Medioevo ed età moderna, 51-60, il quale ripercorre, in una calibrata sintesi, le tappe di una lunga attività protrattasi fra il 1916 e il 1962 e che quantitativamente ha toccato, escludendo soltanto gli articoli di giornale e mettendo in conto tutto il resto, le quasi duecento unità. Un interesse storiografico emerso, per il Pasini, in seconda battuta, dopo che i coraggiosi fermenti critici da lui espressi negli anni precedenti avevano dovuto scontrarsi con le chiusure e le incomprensioni curiali di cui si è ampiamente detto, ma che, affiorando in occasione del primo grande conflitto mondiale, aveva poi presto preso coscienza di sé per dirigersi su una pluralità di problemi, questioni e figure concernenti, soprattutto anche se non esclusivamente, Forlì in uno spazio di tempo compreso fra il tardo Medioevo e l’età moderna. Anzi, si può dire senza timore di essere smentiti che il Pasini scrittore si identifichi senz’altro, da un certo momento in poi, col Pasini storiografo. Tale interesse fu probabilmente originato e motivato dalle sue ricerche concernenti la vita delle chiese parrocchiali della diocesi liviense dalle loro origini fino al Novecento e pubblicato poi, nel numero di alcune decine, sul periodico «La Madonna del Fuoco», da lui stesso fondato e diffuso, come s’è già ricordato poco sopra, negli anni compresi fra le due guerre. L’attenzione per le prime forme di devozione e di pietà popolare e per modelli di vita religiosa individuale, coniugandosi con il gusto della ricostruzione letteraria, molto pronunciato in lui, non tardarono così a guidarlo verso l’ultimo Medioevo come àmbito cronologico e alla biografia, frutto di ricerca araldico-genealogica, come genere. Rivelandosi perspicace e attento osservatore delle cose della sua città per quei lontani tempi, sia che ne riguardassero la vita religiosa ovvero quella culturale, politica o sociale, il Pasini compì un ulteriore e conseguente passo nella sua vocazione di storico accostandosi alla tradizione cronachistica cittadina tardomedievale e moderna per la quale, continuando l’opera già a suo tempo avviata da Giuseppe Mazzatinti, fornì le sue prove più alte; ci diede infatti, fra gli anni Venti e Trenta, nella prestigiosa collana «Studi e Testi» della Biblioteca Vaticana e in collaborazione con G. Borghezio e M. Vattasso, l’edizione critica della Chronica di Giovanni di Mastro Pedrino Depintore che raccoglie notizie forlivesi fra il 1411 e il 1464. Né poteva mancare il suo nome, ormai largamente conosciuto ed apprezzato, nella seconda edizione dei Rerum Italicarum Scriptores, condotta ad opera di Giosuè Carducci, Vittorio Fiorini e Pietro Fedele, per la quale egli pubblicò, nel 1931, il Chronicon di frà Girolamo da Forlì composto negli anni fra il 1414 e il 1433. Ciò, cui si accompagnò la nomina a socio emerito della Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna, rappresentò il culmine della sua attività storiografica giacché in seguito gli accresciuti impegni pastorali e le maggiori responsabilità in veste di ecclesiastico di curia se non lo portarono, come dice l’autore, «ad una soluzione di continuità fra interessi attuali e interessi storici» incisero però nei termini quantitativi di una minore produttività, via via rarefattasi con l’andar del tempo e, quindi, col naturale invecchiamento del Pasini ma che pure, di tanto in tanto, ritrovava spirito e slancio per riattingere, sebbene episodicamente, all’alacrità di un tempo. Poté così ripercorrere le fasi salienti della tradizione storiografica forlivese, risalendo dall’Ottocento fino all’epoca dei prediletti cronisti, cimentarsi in difficili studi agiografici inerenti Mercuriale e Valeriano in cui il suo merito precipuo fu quello di esumare i pochi dati autentici dai densi strati di notizie favolose e fuorvianti accumulatisi nei corsi dei secoli e, da ultimo, riconsiderare in una serie di saggi apparsi su «La Piè», l’opera di alcuni umanisti a lui familiari da lungo tempo quali Fausto Anderlini, Biondo Flavio, Niccolò Ferretti e Luffo Numai. Quale, a conclusione del saggio, il bilancio, senz’altro provvisorio, che trae il Vasina circa la complessiva produzione del Nostro? Luci ed ombre direi che si fondono e si bilanciano nel delineare un’immagine sostanzialmente chiaroscurata; se è vero, infatti, che la tematica preferenziale di storia ecclesiastico-religiosa, da lui affrontata lungo tutto il periodo della sua produttività, avrebbe potuto dare risultati più consistenti e durevoli qualora fosse stata interpretata con l’ausilio di una strumentazione più dichiaratamente scientifica rispetto all’impianto culturale di gusto filologico-artistico-letterario che fu costantemente proprio del Pasini, non è men vero, d’altronde, che è quanto meno doveroso accreditarlo d’aver portato ad un soddisfacente grado di conoscenza il periodo e la cultura, prima di lui oggetto di una attenzione approssimata e generica, della Forlì tardo-medievale ed umanistica. Una scarna ed utile bibliografia, Bibliografia essenziale di mons. Adamo Pasini, 83-87, composta da una sessantina di titoli (il Pasini lasciò un elenco incompleto della sua bibliografia che superava i 900 titoli mentre nella bibliografia regionale del Vasina, Cento anni di studi sulla Romagna. 1861-1961. Bibliografia storica, Faenza 1962, 3 voll., si contano 187 titoli del Pasini), unitamente agli indici, quello dei nomi alle pp. 89-94, e quello generale a p. 95, chiudono un quaderno la cui uscita, come detto nelle prime righe di questa recensione, bisogna guardare con interesse e salutare con favore. Quali siano i suoi limiti, che poi non risultano essere limiti dei singoli contributi (tant’è che onestamente il volumetto, con piena consapevolezza della propria transitorietà, reca come sottotitolo la dicitura materiali per una biografia), tutti, a parer mio, validi, sebbene su piani di lettura diversi, quanto piuttosto limiti oggettivi dello status quaestionis circa la formazione, la produzione e le scelte di Adamo Pasini è presto detto e sono gli autori stessi, in più occasioni, a segnalarceli puntualmente. Dall’angolo visuale delle tematiche, poco ancora è emerso circa il periodo degli studi nella capitale, dei tormentati rapporti con la Curia romana e, in prosieguo di tempo, col Partito Popolare e col fascismo; aspetti di non poco rilievo per una valutazione se non definitiva almeno più sicura della figura e dell’opera del Pasini, che restano in gran parte in ombra, così come un cono d’ombra vela ancora parzialmente certi momenti della attività e della vita del sacerdote nel secondo dopoguerra e, relativamente alle problematiche da lui fatte proprie, il suo apporto al rinnovamento biblico e catechistico; quanto poi alle fonti cui adire, è indispensabile, per conquistare una più compiuta nozione della poliedricità del Nostro, avviare sistematici sondaggi e prospezioni sul terreno di indagine costituito dagli ambienti romani da lui lungamente frequentati, pervenire ad una adeguata conoscenze delle molte cose che egli ci ha lasciato, apprestare una valida edizione sia del carteggio che del Diario. * Il contributo prende in considerazione il volume: Monsignor Adamo Pasini. Materiali per una biografia, 1875-1963 (Centro Studi Storia Religiosa Forlivese, Quaderno 1), Forlì 1994, 95 p., ill.