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LA FORMAZIONE DI BASE DEL DOCENTE
DI ITALIANO A STRANIERI
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PROGETTO ITALS
CA’ FOSCARI
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LA FORMAZIONE DI BASE
DEL DOCENTE
DI ITALIANO A STRANIERI
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a cura di
Roberto Dolci e Paola Celentin
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2a edizione riveduta e aggiornata
Bonacci editore
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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi
mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i paesi.
Printed in Italy
Bonacci editore
Via Paolo Mercuri, 8
00193 ROMA (Italia)
tel: (++39) 06.68.30.00.04
fax: (++39) 06.68.80.63.82
e-mail:
[email protected]
http:// www.bonacci.it
© Bonacci editore, Roma 2000
ISBN 88-7573-369-4
indiCe
Introduzione ................................................................................................
9
Parte Prima.
Coordinate teoriChe ............................................................... 11
Capitolo 1
PER UNA DIDATTICA UMANISTICO-AFFETTIVA
DELL’ITALIANO ....................................................................................... 13
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Paolo E. Balboni
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Capitolo 2
LA FIGURA E LA FORMAZIONE DELL’INSEGNANTE
DI ITALIANO LS ...................................................................................... 20
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Roberto Dolci
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Parte seConda.
aPPorti interdisCiPLinari
aLL’insegnamento deLL’itaLiano a stranieri ................ 31
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Capitolo 3
GLOTTODIDATTICA SOCIO-VARIAZIONALE DELL’ITALIANO
COME LS. L’APPROCCIO SOCIO-GLOTTODIDATTICO .............. 33
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Matteo Santipolo
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Laura Brugè
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Capitolo 4
TEORIA LIGUISTICA E INSEGNAMENTO
DELLA GRAMMATICA .......................................................................... 42
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Capitolo 5
LA FONETICA DELL’ITALIANO E IL SUO INSEGNAMENTO ..... 62
Luciano Canepari, María Emilia Pandolfi
Capitolo 6
LA CULTURA E LA CIVILTÀ ITALIANE E IL LORO
INSEGNAMENTO IN UNA PROSPETTIVA INTERCULTURALE ... 77
Elisabetta Pavan
5
Capitolo 7
IL LEXICAL-APPROACH E I PROCESSI DELLA MEMORIA.
ALCUNE CONVERGENZE ..................................................................... 87
Mario Cardona
Parte terZa.
metodi e teCniChe .................................................................... 101
Capitolo 8
INSEGNARE ITALIANO ALL’ESTERO: CENNI PER UNA
GLOTTODIDATTICA A MISURA DI BAMBINO .............................. 103
Maria Cecilia Luise
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Capitolo 9
ITALIANO COME LS PER ADULTI:
COORDINATE DIDATTICHE DI RIFERIMENTO ........................... 117
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Chiara Zamborlin
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Capitolo 10
L’UTILIZZO DEI MATERIALI AUTENTICI
NELL’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO COME LS .................... 133
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Barbara Spinelli
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Capitolo 11
LO SVILUPPO DELLE ABILITÀ PRODUTTIVE .............................. 148
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Maddalena Angelino
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Elena Ballarin
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Capitolo 12
LO SVILUPPO DELLE ABILITÀ RICETTIVE ................................... 168
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Capitolo 13
LA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI LINGUISTICI ..... 180
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Rita Minello
Capitolo 14
LA RICERCA-AZIONE ........................................................................... 196
Maria De Luchi
Capitolo 15
LA LETTERATURA NELLA CLASSE DI LINGUA .......................... 211
Giovanna Pellizza
6
Capitolo 16
LA DIDATTICA DELLE MICROLINGUE .......................................... 227
Paola Begotti
Capitolo 17
L’ITALIANO COME LINGUA VEICOLARE:
INSEGNARE UNA DISCIPLINA ATTRAVERSO L’ITALIANO ....... 241
Graziano Serragiotto
Parte QUarta.
strUmenti e sUPPorti Per L’insegnamento ...................... 255
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ti.
Capitolo 18
INDICAZIONI PER L’ANALISI DI MANUALI
PER L’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO LS ................................ 257
ris
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Marina Biral
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Capitolo 19
L’UTILIZZO DEL VIDEO NELLA DIDATTICA
DELL’ITALIANO LS ............................................................................... 266
ti
Paolo Torresan
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Capitolo 20
SOFTWARE NELLA DIDATTICA DELL’ITALIANO LS .................. 278
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Paola Celentin
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Capitolo 21
INTERNET PER LA DIDATTICA DELL’ITALIANO LS .................. 289
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Marco Mezzadri
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Parte QUinta.
La formaZione ContinUa ....................................................... 301
©
Capitolo 22
L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE PERMANENTE .............. 303
Paola Celentin
Capitolo 23
L’OFFERTA FORMATIVA PER I DOCENTI DI ITALIANO LS ....... 310
Maria Angela Rapacciuolo
Capitolo 24
L’OFFERTA EDITORIALE PER I DOCENTI DI ITALIANO LS ...... 322
Mara Salvalaggio
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Parte sesta.
Le istitUZioni e i Casi ............................................................. 335
Capitolo 25
LE ISTITUZIONI E LE LEGGI. LA FIGURA
DELL’INSEGNANTE DI ITALIANO ALL’ESTERO ........................ 337
Silvana Vassilli
Capitolo 26
ITALIANO LS ALL’UNIVERSITÀ:
LA KOÇ UNIVERSITY DI ISTANBUL .............................................
348
Cinzia Ciulli, Stefania Ciurli
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ti.
Capitolo 27
CORSI DI LINGUA E CULTURA. ABC OVVERO
ISTRUZIONI PER L’USO (LIVELLO MEDIO, SVIZZERA) ............ 352
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Anna Maria Marzorati
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Capitolo 28
LA SCUOLA STATALE ITALIANA DI BARCELLONA .................... 357
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Silvio Santagati
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Capitolo 29
L’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO LS
NELLE SCUOLE TEDESCHE .............................................................. 362
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Nives Winkler
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María Emilia Pandolfi
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Capitolo 30
ITALIANO LS ALL’INSTITUTO SUPERIOR DEL PROFESORADO
“JOAQUÍN V. GONZÁLEZ” DI BUENOS AIRES .............................. 375
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Capitolo 31
L’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO LS
ALL’ISTITUTO ITALIANO DI CUTURA DI MADRID:
INSIEME PER MIGLIORARE ............................................................... 379
Marilena Da Rold
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introdUZione
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Questo volume rappresenta la seconda edizione del precedente “La formazione di base del docente di italiano a stranieri”. Questa edizione non è
stata solamente completamente riveduta e corretta, ma lo stesso impianto è
stato in parte modificato e sono stati introdotti molti aspetti del tutto nuovi.
Le premesse epistemologiche e metodologiche sono rimaste le stesse, riviste solo alla luce dell’avanzamento della ricerca glottodidattica. Queste premesse vengono esplicitate dal contributo di Paolo E. Balboni, direttore del
Laboratorio Itals dell'Università Ca’ Foscari di Venezia.
Il libro è stato suddiviso in sei parti: nella prima vengono presentate le
basi epistemologiche e l'idea di insegnante di lingua italiana di qualità; nella
seconda, si affrontano gli aspetti linguistici e culturali di una didattica dell’italiano LS; nella terza vengono analizzati in dettaglio metodi e tecniche; nella
quarta gli strumenti e i supporti per l’insegnamento, nella quinta le proposte
per una formazione continua, e nella sesta e ultima vengono presentati solo
alcuni casi che, lungi dall’essere esaustivi, sono comunque rappresentativi
della realtà dell’insegnamento dell’italiano nel mondo.
Molti degli studiosi che hanno contribuito all’edizione precedente sono
qui presenti e molti se ne sono aggiunti. Ciò ci fa particolarmente piacere in
quanto dimostra da un lato quanto sia valida e approfondita la ricerca sull’italiano come Lingua Straniera, e dall’altro quanto sia importante dare visibilità agli studi sull’argomento; inoltre, molti dei contributi vengono da persone che durante il loro percorso di studi, di formazione e di ricerca hanno
voluto affiancarsi al Laboratorio Itals e percorrere insieme un tratto di cammino. Questo libro è la dimostrazione che studiosi, ricercatori, docenti di italiano come lingua straniera possono riuscire a formare una comunità che
condivide un linguaggio comune e che vuole mettere a disposizione di tutti
il proprio lavoro. Noi ci impegneremo affinché tale comunità continui ad
allargarsi e a condividere e collaborare con chi è in prima linea: gli insegnanti
di italiano in tutto il mondo. Una delle attività volte a tal fine è la redazione
di un bollettino elettronico, a contenuto informativo e scientifico, a distribuzione gratuita tramite registrazione nel sito www.itals.it.
Desideriamo ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a questo libro,
ma soprattutto coloro, e sono alcune migliaia, che in questi anni hanno seguito i nostri corsi di formazione: senza il confronto con loro, le loro idee, le critiche e i suggerimenti, questo libro non sarebbe stato possibile.
Roberto Dolci
Paola Celentin
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Parte Prima
Coordinate teoriChe
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Capitolo 1
Per Una didattiCa
UmanistiCo-affettiVa deLL’itaLiano
Paolo E. Balboni
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Di didattica dell’italiano come lingua sia seconda, sia straniera, sia etnica1 si
è scritto molto, negli ultimi dieci anni, come si vedrà dalle bibliografie dei vari
saggi che compongono questo volume; anche di glottodidattica umanisticoaffettiva, sebbene con accezioni variegate, per non dire disparate, si è scritto
molto: ma raramente questi due ambiti sono stati esplicitamente fusi.
Non intendiamo fare un saggio sulla filosofia della glottodidattica umanistico-affettiva: nel suo complesso, tutto il volume si situa in questo alveo.
Intendiamo semplicemente offrire, con estrema sintesi, alcune coordinate di
fondo (rimandando per approfondimento al nostro volume del 2002 che è
basato sull’approccio umanistico-affettivo).
1. La glottodidattica umanistica: una tendenza mondiale
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Sotto l’influenza dell’umanesimo psicologico di studiosi come Allport,
Maslow, Fromm, Nuttin e altri, molti approcci dagli anni Ottanta in poi
hanno messo al centro dell’attenzione l’io unico ed irripetibile di ogni allievo, della sua personalità come interrelazione dinamica tra “io” e “mondo”.
Questa impostazione ha portato al superamento della nozione di glottodidattica come “linguistica applicata”, introducendovi una fortissima componente psicologica.
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Lingua straniera: una lingua che viene studiata in una zona in cui essa non è presente se non nella
scuola, come ad esempio l’italiano studiato in Marocco: l’input in lingua straniera è fornito (direttamente
o con tecnologia didattica) dall’insegnante, che quindi sa cosa è stato presentato agli studenti e a che livello
di profondità.
Lingua seconda: è quella che lo studente può trovare anche fuori della scuola, come nel caso
dell’italiano studiato in Italia. A differenza della lingua straniera, la situazione di lingua seconda prevede
che molto dell’input linguistico su cui si lavora provenga direttamente dall’esterno, dal mondo
extrascolastico, e che sia spesso portato a scuola dagli stessi studenti; inoltre nella situazione di lingua
seconda la motivazione è di solito immediata, strumentale, quotidiana, mirante all’integrazione nel paese
in cui la lingua è parlata.
Lingua etnica: l’italiano della comunità d’origine di un’emigrante, ad esempio, di seconda o terza
generazione: essa non è la sua lingua materna, ma è comunque presente nell’ambiente i cui è cresciuto e
spesso vive ancora. In America si tende a stabilire un’ulteriore differenza, per cui la lingua etnica può
essere family language, se si tratta di famiglie immigrate e stanziate in zone in cui non ci sono altri
immigrati di origine italiana (“bilingui isolati”, secondo la definizione di Francescato), e community
language, quando c’è una comunità italiana e quindi la nostra lingua è usata anche fuori di casa.
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In America le tendenze di questo tipo sono state tradotte in metodi glottodidattici da Curran (la cui scuola è nota come community language learning
e si situa nell’alveo del counseling, cioè di una forma di didattica che ricalca
quella dello psicologo-terapeuta-consigliere), Asher (il creatore della Total
Physical Response, che vuole rispettare la difficoltà di un apprendente di
buttarsi immediatamente nel mare della comunicazione per nuotarvi con la
lingua che sta apprendendo), Gattegno (la cui silent way evita ogni azione
“repressiva” dell’insegnante riducendolo, in pratica, al silenzio); una glottodidatta americana che ha avuto grande influenza in Italia è Mary Finocchiaro
(il cui motto era You must love your student. If you love them, they’ll follow
you) che fu tra le ispiratrici e responsabili del Progetto Speciale Lingue
Straniere degli anni Ottanta2; tuttavia, il nome più noto è quello di S.D.
Krashen, anche al di là del suo effettivo valore scientifico (per una visione
complessiva di questa temperie, cfr. Stevick 1980 e 1989).
Contemporaneamente e in modo parallelo, non ancillare, alla glottodidattica umanistico-affettiva americana, in Europa è maturata dagli anni
Settanta-Ottanta una concezione dell’insegnamento linguistico come processo cognitivo e affettivo assolutamente originale ed unico per ogni discente,
che vi impegna tutto il suo io, sia quello razionale sia quello emotivo: nel
mondo slavo si è diffusa la suggestopedia ad opera di G. Lozanov, in Francia
ricordiamo M. Candelier ed il suo concetto di éveil au langage, in Germania
il nome di punta è quello di H. Piepho. In Italia i due padri nobili della glottodidattica umanistico-affettiva sono Renzo Titone e Giovanni Freddi, insieme ai loro allievi Gianfranco Porcelli e Bona Cambiaghi. La scuola glottodidattica veneziana – cui fanno riferimento gli autori di questo volume – è fortemente segnata da Titone e Freddi, che hanno tenuto a Ca’ Foscari la cattedra di glottodidattica (la prima a nascere, in Italia, nel 1969; cfr. Porcelli,
Balboni, 1991) prima di chi scrive.
Abbiamo dato questa serie di riferimenti senza specificare rimandi bibliografici in quanto le indicazioni dirette avrebbero significato isolare qualche
opera singola enucleandola da intere operae omniae che hanno il filo conduttore umanistico-affettivo – complessi di studi e volumi che per Freddi e
2
Tra il 1978 e i primi anni Novanta centinaia di insegnanti italiani sono stati inviati dal ministero della
Pubblica Istruzione per lunghi stage all’UCLA e a Harvard per divenire poi formatori dei loro colleghi
italiani, in corsi della durata di un anno con possibili follow up negli anni successivi. L’ispiratrice
glottodidattica di tutto questo progetto fu Mary Finocchiaro, e la realizzazione operativa fu opera di altri
glottodidatti umanistico-affettivi come Diane Larsen Freeman, Rebecca Oxford ed Elite Olshtein; la
formazione includeva interventi di Krashen, Schumann e Cohen, anche loro legati allo stesso approccio.
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Titone include decine e decine di titoli. Ogni insegnante può comunque,
nelle biblioteche della sua area di lavoro, trovare i testi di questi maestri.
2. La dimensione affettiva
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Se ogni studente è un unicum sul piano umano, dunque è originale ed
irripetibile nel suo progetto di sé, delle sue aspirazioni, nelle sue motivazioni, nelle strategie cognitive che mette in campo, nei suoi stili d’apprendimento, nella sua personale combinazione dei vari tipi di intelligenza secondo la logica di Gardner (1993) – unicità da cui deriva l’aggettivo umanistico
– ciascuno studente condivide con gli altri membri della specie homo loquens
alcuni meccanismi e processi per l’acquisizione linguistica – meccanismi che
un insegnamento affettivo, centrato sullo studente, non può ignorare.
Sul piano neurolinguistico e cognitivo, questi approcci sono caratterizzati
dal tentativo di coinvolgere la persona dell’allievo nella sua completezza
focalizzando non solo l’aspetto razionale, cioè la modalità propria dell’emisfero sinistro del cervello (quella su cui si fondano tutti gli approcci formalistici, grammaticali, strutturalistici), ma anche quelli dell’emisfero destro, che
ha una percezione globale, simultanea della realtà e dell’input che da questa
gli viene.
Danesi (1988 e 1998) ha riportato ad una logica glottodidattica le nozioni di:
a.bimodalità: si riferisce, appunto, alle due modalità di percezione e rielaborazione della realtà da parte del cervello: quella destra (globale, analogica, simultanea, visiva) e sinistra (analitica, logica, sequenziale, verbale); entrambe le modalità sono coinvolte nel processo di acquisizione
della lingua, non solo quella razionale ed analitica (anche se le due aree
corticali dedicate alla lingua si trovano nell’emisfero sinistro);
b.direzionalità: il percorso delle informazioni nel cervello, quindi la loro
elaborazione percettiva e cognitiva, coinvolge prima l’emisfero destro,
globale, e poi quello sinistro, analitico. Quindi un approccio che preveda prima la formalizzazione grammaticale e poi il contatto con i testi va
“contro natura”.
Queste due osservazioni in questo volume stanno alla base dei saggi di
Luise, Spinelli, Angelino, Ballarin, Minello, per indicare solo quelli in cui il
percorso è più evidente.
Sul piano psicolinguistico e acquisizionale l’approccio umanistico-affettivo
si basa sul rispetto dei processi secondo i quali si pensa che operi il LAD
(Language Acquisition Device) e che sono stati tradotti in teoria glottodidat15
tica da Krashen (1981, 1983, 1985) che è partito dall’ipotesi chomskyana per
elaborare l’opposizione tra acquisition e learning, che riprende in sostanza
quella tra knowing e cognising.
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Vediamo più da vicino queste ipotesi.
a. acquisizione e apprendimento: l’acquisizione è un processo inconscio
che sfrutta le strategie globali dell’emisfero destro del cervello insieme
a quelle analitiche dell’emisfero sinistro; quanto viene acquisito entra a
fare parte stabile della competenza della persona, entra nella sua memoria a lungo termine. Di converso l’apprendimento è un processo razionale, governato dall’emisfero sinistro e basato sulla memoria a medio
termine: la competenza “appresa”, in altre parole, è una competenza a
termine, non è definitiva. Inoltre, essa viene attivata molto più lentamente della competenza “acquisita”, per cui nella comunicazione reale
non si ha tempo di farvi ricorso se non come monitor, come controllo
grammaticale, in senso lato. L’insegnante deve dunque lavorare per produrre acquisizione; quando si produce apprendimento si può avere la
sensazione di aver ottenuto un risultato positivo, ma in realtà si tratta di
un fatto temporaneo che non genera un comportamento linguistico
autonomo. Questa dicotomia risulta quindi una cartina di tornasole per
osservare del materiale didattico o l’operare di un insegnante;
b. input comprensibile: l’acquisizione avviene quando l’allievo concentra
l’attenzione sul significato di un input comprensibile e non sulla sua
forma (fonologica, morfo-sintattica, testuale ecc.). Se a una persona si
fornisce input reso comprensibile (dall’insegnante, dal compagno di
lavoro, dalla madre nei confronti del bambino, ecc.), se cioè si fornisce
quello che Bruner chiama Language Acquisition Support System, allora
il Language Acquisition Device si mette autonomamente in moto e procede all’acquisizione — purché si verifichino le condizioni delle due
ipotesi che seguono;
- ordine naturale, “area di sviluppo potenziale”, interlingua: la prima delle
condizioni perché l’input venga acquisito è che esso sia collocato al gradino dell’ordine naturale (che definiremo sotto) immediatamente successivo all’input finora acquisito. Si tratta dell’applicazione krasheniana
di una nozione psicologica che Vygotsky chiama “area di sviluppo
potenziale” e che in Bruner troviamo come zone of proximal development: è la distanza tra la parte di un compito che una persona è già in
grado di eseguire e il livello potenziale cui può giungere nel tentativo di
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compiere la parte restante del compito, distanza che può percorrere da
solo o sotto la guida di una persona più esperta. Anche se Krashen non
ne parla, questa ipotesi rimanda alla nozione di interlingua: la lingua
viene appresa secondo un procedimento a spirale che procede per
approssimazioni successive alla lingua-obiettivo. All’inizio si attua un
processo di pidginizzazione, di ipersemplificazione che permette una
comunicazione rudimentale, poi piano piano si procede a risistemare
quanto si sa e a incrementarlo in quantità e qualità: non si può dire che
si sa o non si sa una lingua, si può solo dire che l’interlingua di una persona oggi è configurata in un certo modo, che è unico ed originale nei
suoi pregi e difetti (per approfondimento: Schumann 1978 e Selinker
1992);
- filtro affettivo: l’ipotesi afferma che affinché l’input reso comprensibile
sia acquisito è necessario che non sia inserito il filtro affettivo, cioè un
blocco di autodifesa di chi studia di fronte a stress, paura di perdere la
faccia, ansia da prestazione (Schumann 1992). La metafora del filtro,
utile per comprendere, non deve far credere che la nozione sia una mera
creazione intuitiva: in realtà il “filtro affettivo” corrisponde a stimoli
chimici ben precisi: in stato di serenità l’adrenalina si trasforma in noradrenalina, un neurotrasmettitore che facilita la memorizzazione, mentre
in stati di paura e stress si produce uno steroide che blocca la noradrenalina e fa andare in conflitto l’amigdala (ghiandola “emotiva” che
vuole difendere la mente da eventi spiacevoli) e l’ippocampo, la ghiandola che invece ha un ruolo attivo nell’attivare i lobi frontali e iniziare
la memorizzazione (Cardona 2001): il filtro affettivo è dunque un preciso meccanismo di cui tener conto in una logica affettiva.
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L’elemento affettivo dell’approccio che stiamo tratteggiando prende poi
in considerazione alcune variabili di natura psicologica, quali quelle motivazionali, le caratteristiche della personalità, il ruolo della cosiddetta “intelligenza emotiva”, in cui l’attribuzione dell’aggettivo “emotiva” al nome “intelligenza” realizza quello che fino a pochi decenni fa poteva essere considerato un ossimoro vero e proprio.
3. Un approccio umanistico-affettivo alla formazione dei docenti
Finora abbiamo parlato di “studente”, e certo l’interpretazione del lettore è stata quella di “persona impegnata nello studio di una lingua straniera in
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contesto didattico”.
Ma anche il docente che partecipa ad un processo di formazione è uno
“studente”, anche se sui generis.
Anzitutto è uno studente che ha una formazione precedente, compiuta in
alcuni casi in corsi specifici, sia iniziali sia in servizio, in altri casi in maniera
autonoma o con colleghi in associazioni e gruppi di lavoro. È uno studente
che deve riflettere su quello che fa, se è già in servizio, o che paragona quello che scopre con il tipo di insegnamento che ha ricevuto quando era studente nel senso diffuso del termine. È uno studente adulto, con tutti i problemi economici (in senso ampio: rapporto tra impegno, tempo e denaro
investito e risultati ottenuti), sociali (ruolo sociale di insegnante e collega, ma
anche di marito/moglie, di padre/madre: un insegnante in formazione sottrae tempo alla propria famiglia), affettivi (immagine di sé, una “faccia” da
salvare) ed acquisizionali propri di un adulto.
Gli interventi di Dolci, Celentin, De Luchi vanno in una direzione umanistico-affettiva della formazione: insegnanti che collaborano tra loro piuttosto che ascoltare lezioni e leggere libri (come questo…), insegnanti che sono
anche ricercatori sul proprio operare, insegnanti che sanno che la formazione è continua, che un volume come questo o un corso occasionale sono solo
il punto di partenza di un processo continuo che va condotto in una “comunità di pratica” che sia insieme anche “comunità d’apprendimento”, gestita
sostanzialmente da coloro che vi partecipano, anche se con qualche intervento o qualche input dall’esterno.
Mentre l’approccio umanistico-affettivo all’insegnamento delle lingue a
studenti in senso proprio ha avuto negli anni una sua elaborazione precisa ed
organica, e solo da pochi anni le prassi ed i materiali didattici stanno ponendolo in pratica, l’approccio umanistico-affettivo alla formazione degli insegnanti (di lingue, ma non solo) è per ora tutto da costruire: è il compito in
cui è impegnato il Laboratorio ITALS che, per tentativi ed errori, cerca una
strada in questa nuova ed affascinante dimensione della formazione.
riferimenti bibliografici
(Come spiegato nel testo, non presentiamo indicazioni specifiche per
opere dei padri fondatori della psicologia umanistico-affettiva né per gli studiosi italiani che le hanno dato corpo nella nostra glottodidattica: non avrebbe avuto senso enucleare un titolo o due in operae omniae estese per una vita
intera. Diamo solo alcuni riferimenti necessari per approfondire aspetti
appena accennati nel testo, oppure per opere di sintesi in cui approfondire
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l’approccio umanistico-affettivo nel suo complesso)
BALBONI P. E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società
complesse, Torino, UTET Libreria.
CARDONA M. (2001), Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue,
Torino, UTET Libreria.
DANESI M. (1988), Neurolinguistica e glottodidattica, Padova, Liviana.
DANESI M. (1998), Il cervello in aula, Perugia, Guerra.
GARDNER H. (1993), Multiple Intelligences: The Theory in Practice, New
York, Harper & Collins.
KRASHEN S. D. (1981), Second Language Acquisition and Second Language
Learning, Oxford, Pergamon.
KRASHEN S. D. (1983), Principles and Practice in Second Language
Acquisition, Oxford, Pergamon.
KRASHEN S. D. (1985), The Input Hypothesis, New York, Longman.
PORCELLI G. e P. E. BALBONI (cur.) (1991), Glottodidattica e università. La
formazione del Professore di Lingue, Torino, Liviana-Petrini.
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STEVICK E. (1980), Teaching Languages: A Way and Ways, Rowley, Newbury
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STEVICK E. (1989), Success with Foreign Languages, New York, Prentice Hall.
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Capitolo 2
La figUra e La formaZione
deLL’insegnante di itaLiano Ls
Roberto Dolci
1. L’insegnante di italiano nel mondo
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Le ultime ricerche e analisi dicono che l’interesse per la lingua italiana è
in costante aumento e con questo il numero di studenti che frequentano i
corsi di italiano nel mondo. Le cause di questo successo sono state individuate non solamente nel fatto che l’italiano è lingua di cultura o del tempo
libero, come tradizionalmente ritenuto, e quindi legata all’arte, alla musica,
ecc. ma anche lingua del lavoro, del commercio, dell’economia, del turismo,
professionale, in sintesi. Questi dati provengono dall’ultima analisi effettuata che rappresenta una fotografia dettagliata dello stato della richiesta e
offerta di lingua italiana nel mondo, seppur parziale in quanto limitata alla
situazione negli Istituti Italiani di Cultura. L’analisi, denominata Italiano
2000,1 rileva che dal 1995 al 2000 sono aumentati notevolmente gli iscritti ai
corsi di italiano negli IIC e che questa tendenza sembra essere costante.
Inoltre rileva che le motivazioni allo studio dell’italiano sono cambiate, e che
accanto alla tradizionale motivazione culturale (32,8%) emergono fattori
quali “Motivi Personali” (25,8%), il lavoro (22,4) e lo studio (19%)2. I dati
che emergono dalla ricerca testimoniano che “il “sistema Italia” sembra funzionare presso gli stranieri, nel senso che diventa sempre più forte negli altri
paesi” (pag.7). Infatti, alla variegata lista di motivazioni che sottostanno alla
richiesta di italiano corrisponde un’altrettanto variegata provenienza dei soggetti e dell’offerta formativa. Come riportano i dati di Italiano 2000, circa la
metà degli studenti dei corsi di italiano degli IIC all’estero è di origine italiana e affianca alla lingua del paese ospite il dialetto o l’italiano in una percentuale differenziata per valori generazionali. Ma l’offerta formativa dell’italiano è molto diversificata: agli IIC si affiancano, e in molti casi con numeri ben
più consistenti, i corsi offerti da Università Straniere, società come la Dante
Alighieri, le scuole italiane all’estero, e soprattutto attraverso le comunità italiane nel mondo. Inoltre, l’italiano è sempre più integrato nei sistemi scolastici stranieri di ogni ordine e grado. Da questa panoramica emerge che l’i1
2
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De Mauro, T. (cur), (2002) Italiano 2000, MAE.
De Mauro, T. (cur), (2002) Italiano 2000, MAE pag. 13-14.
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taliano all’estero sembra quindi avere i tratti di quel fenomeno che Balboni
definisce “insegnare e apprendere le lingue in una società complessa”3.
L’interesse sempre maggiore nei confronti dell’italiano e gli sforzi in questo senso prodotti dalle varie istituzioni nazionali e locali possono rappresentare una vera tendenza positiva se sosteniamo e investiamo risorse anche
e soprattutto su chi di fatto è in prima linea e quindi rappresenta il punto di
riferimento per tutti gli studenti: gli insegnanti di lingua italiana. È indubbio
che la formazione e le competenze didattiche degli insegnanti di lingua italiana nel mondo siano sempre meglio definite teoricamente e metodologicamente. Per mantenere il trend positivo dell’aumento di richiesta di lingua italiana è necessario che venga mantenuto e migliorato questo livello per dare
una risposta sempre più accurata ai bisogni, alle richieste, alle motivazioni
degli studenti, altrimenti il successo avrà respiro corto e poco futuro.
Non è solamente un problema quantitativo, nel senso che alla maggiore
richiesta di italiano deve necessariamente corrispondere un aumento dei
docenti, ma anche e soprattutto un problema qualitativo: “La qualità dell’insegnamento è il requisito essenziale per assicurare l’efficacia dell’intervento linguistico-culturale nel tempo.”4
Le ricerche riguardanti la formazione dell’insegnante di italiano mostrano un quadro a tinte molto diverse. L’analisi di Italiano 2000, limitata, ricordiamo, agli IIC, riporta che in questo contesto il 14% degli insegnanti non è
laureato e di quelli laureati la maggior parte ha ricevuto una “formazione
genericamente linguistica” (pag. 34) mentre circa un terzo del totale dei
docenti laureati ha ricevuto una formazione glottodidattica specialistica. Dati
leggermente diversi ma su un campione che comprende tutti gli insegnanti di
italiano nelle diverse realtà in cui operano, rilevati dall’indagine Italiano nel
Mondo5 riportano che il 90% dei docenti ha una laurea e di questi l’81% ha
una laurea di tipo umanistico. Ma il dato più significativo e su cui riflettere è
che solo il 42% del totale dei docenti dichiara di avere avuto una formazione specifica in didattica dell’italiano a stranieri. La formazione specifica varia
molto in durata e approfondimento, ma è stata fatta nella stragrande maggioranza dei casi solamente durante il servizio6. C’è quindi ancora molto su
cui investire per fare in modo che la formazione dei docenti sia frutto di un
Balboni P.E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Utet Libreria.
Ventriglia L. (2002), “Strumenti e strategie per la promozione linguistica e culturale”, in Balboni,
P.E., Santipolo M. (2002), L’italiano nel mondo, Roma, Bonacci.
5
Balboni P., Santipolo M. (2002), L’italiano nel mondo, Roma, Bonacci.
6
Dolci R. (2002), “La formazione degli insegnanti”, in Balboni, P., Santipolo, M. (2002), L’italiano
nel mondo, Roma, Bonacci.
3
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progetto organico che dia gli strumenti per agire nella società complessa di
cui la lingua e la cultura italiane fanno parte.
2. L’insegnante di qualità
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Ci può essere d’aiuto il dibattito su quali sono i cambiamenti che deve
affrontare nel suo complesso la scuola e i suoi attori per affrontare le sfide
della globalizzazione e della società complessa che va ormai avanti da parecchio tempo in campo pedagogico. Si veda a questo proposito Margiotta
(1999)7. Egli afferma che “il successo definito in termini di padronanza dei
contenuti disciplinari tipici della scuola tradizionale non assicurerà più ancora per molto tempo alcuna garanzia di successo sul mercato del lavoro”
(pag.15), e più avanti elenca tre caratteristiche dell’educazione che sembrano essenziali per il futuro della coesione e della stabilità delle società contemporanee:
- un appropriato bilanciamento di conoscenze ed abilità, adeguatamente
personalizzato dai singoli e in forma tale da consentire loro di sentirsi
realizzati nei loro personali talenti [e, indirettamente, di veder riconosciuto a livello generale il personale contributo alla crescita della conoscenza e dell’equilibrio sociale];
- l’individuazione dei modi migliori per realizzare tali sistemi di padronanza in situazioni topiche della vita;
- la promozione di un diffuso senso di solidarietà per gli altri, sensibilità,
coraggio, ed alti valori sociali e morali.
La professionalità degli insegnanti non si misura pertanto solo nella conoscenza dei contenuti disciplinari, ma anche negli aspetti relazionali e comunicativi ed è quindi composta anche di competenze che provengono dalle
scienze dell’educazione, dalla psicologia dell’apprendimento, dalle metodologie formative e che sappia quindi affrontare tutte le variabili che compongono il sistema insegnamento-apprendimento e quindi dell’offerta formativa.
Queste competenze possono essere riassunte nel concetto di qualità dell’insegnamento.
Non si deve fare l’errore di trasferire il concetto di qualità dalle certificazioni di qualità dall’ambito economico in cui è nato, il concetto cioè di un
insieme di procedure e di indicatori che permettono di analizzare e quindi
migliorare il proprio lavoro e il suo risultato, a quello educativo. Non voglia7
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Margiotta U. (1999), L’insegnante di qualità, Roma, Armando.
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mo qui dare una visione “economica” o manageriale dell’insegnante di lingua italiana, o trasferire pedissequamente il concetto di qualità così come è
stato elaborato in ambito economico alla realtà dell’insegnamento, errore che
è stato fatto da molti con il rischio di snaturare o perlomeno non comprendere appieno l’enorme complessità e le diverse sfaccettature del lavoro di un
insegnante, e non solo di lingue, costringendolo in una struttura di indici e
descrittori che non riescono a dare conto del suo operato, quanto cercare di
tracciare un profilo di insegnante che riesce a svolgere in maniera adeguata
e valida il proprio lavoro all’interno di quella che, come abbiamo ormai più
volte detto, è una società complessa.
Uno degli aspetti principali che emerge dalla letteratura e da studi, analisi e ricerche sull’insegnante di qualità è che ci si sta focalizzando su una figura di insegnante educatore, rispetto al modello di insegnante disciplinarista.
L’insegnante, quindi “deve stabilire una sinergia tra istruzione ed educazione” (Xodo: (2001)); “Non terapeuta, non confessore, non genitore sostituto,
l’insegnante educa e forma i sentimenti con la cultura e grazie ad essa. Non
trasmette solo conoscenze, ma di queste fornisce senso, collocazione critica
e spessore” (Margiotta: (1999), pag. 37) e nel caso specifico dell’insegnante
di lingua, egli “è un tecnico non solo della lingua e della cultura ma, sempre
più, anche della possibilità di “connettersi” con la lingua e cultura straniera.
(Balboni: (2002), pag. 15).
Da una ricerca fatta dal CERI (Centre for Educational Research and
Innovation) e dal OEDC (Organization for Economic Cooperation and
Development) nel 1992 in 11 paesi riguardante la qualità nell’insegnamento
è emersa una definizione operativa dell’insegnante di qualità composta di
cinque coordinate professionali: competenze disciplinari, didattiche, gestionali, di autovalutazione critica, di empatia comunicazionale, che sono fortemente dinamiche, “in grado di modularsi e trasformarsi in una continua evoluzione” (Picco: (1999), pag.43).8
Le cinque coordinate o dimensioni dell’insegnante di qualità sono, come
riportato da Margiotta (1999):
- conoscenza degli specifici settori disciplinari e del contenuto dei programmi;
- competenze didattiche, cioè la padronanza di un repertorio di strategie
didattiche e la capacità di applicarle;
8
Si veda Picco R. (2002), “La struttura del rapporto di ricerca OCSE/CERI” in Margiotta U.
(cur.), L’insegnante di qualità, Roma, Armando, pag. 43.
23
- capacità di riflessione e di autocritica, vista come carattere distintivo
della professionalità dell’insegnante;
- empatia, o capacità di identificarsi negli altri (allievi, genitori, colleghi),
e di riconoscere la loro dignità, allo scopo di raggiungere risultati affettivi oltre che cognitivi;
- competenze gestionale, dato che gli insegnanti ormai assumono varie
responsabilità del genere dentro e fuori l’aula.
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Allo stesso modo, il Codice deontologico dei docenti elaborato dalla
Associazione Docenti Italiani parla di “[…]profilo esplicito della professione docente, fatto di competenze teoriche (cultura generale di base, specifico
disciplinare, tecnologie di comunicazione, didattica generale e disciplinare,
teorie della conoscenza dei processi comunicativo-relazionali), operative
(progettazione e pratica didattica, attività di valutazione, uso degli strumenti di verifica, uso delle tecnologie didattiche, organizzazione dei gruppi) e
sociali (relazione e comunicazione)[…]”9.
Il National Board for Professional Teaching Standards degli Stati Uniti
definisce cinque coordinate di base per esprimere la missione, le competenze, le abilità dell’insegnante certificato:10
- Teachers are committed to students and their learning.
- Teachers know the subjects they teach and how to teach those subjects
to students.
- Teachers are responsible for managing and monitoring student
learning.
- Teachers think systematically about their practice and learn from
experience.
- Teachers are members of learning communities.11
Da una ricerca fatta in Europa dai Membri dell’ENTEP, (European
Network on Teacher Education Policies)12 sui documenti che nei rispettivi
www.bdp.it/adi/CodeEtic/codetint.htm Visitato il 10.02.03
www.ypepth.gr/entep/ Visitato il 10.02.03
11
- gli insegnanti sono preposti agli studenti e al loro apprendimento;
- gli insegnanti conoscono le materie che insegnano e il modo in cui queste materie devono essere
insegnate agli studenti;
- gli insegnanti sono responsabili della gestione e del monitoraggio dell’apprendimento degli
studenti;
- gli insegnanti riflettono sistematicamente sul loro operato e imparano dall’esperienza;
- gli insegnanti sono membri di comunità di apprendimento. (trad. it. del curatore)
12
www.nbpts.org Visitato il 10.02.03
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paesi definiscono le competenze degli insegnanti, si possono trovare convergenze tra i profili specifici dei 7 diversi paesi e comunità partecipanti al progetto. Tali convergenze sono:13
- La dimensione sociale della professione insegnante; in cui l’insegnante
è visto come partner del mondo esterno, membro della comunità, attore culturale.
- La dimensione della ricerca, legata all’appropriazione di un approccio
scientifico e all’assunzione di inclinazioni alla ricerca. L’insegnante deve
sviluppare anche una dimensione di innovatore e ricercatore, per mettere costantemente in discussione la propria pratica didattica.
- La dimensione legata alle materie insegnate, intesa come competenza
disciplinare e didattica, competenze di comunicazione, sfruttamento
delle tecnologie informatiche e telematiche.
- La dimensione relazionale, con gli allievi e con i colleghi, come parte di
un team.
- La dimensione pedagogica, intesa come creare un clima di apprendimento adeguato, rispettando il ritmo di apprendimento e le caratteristiche degli allievi e fornendo le giuste strategie; gestire la valutazione,
saper pianificare.
- La dimensione della pratica riflessiva sapendo adattarsi alle situazioni e
mettendosi in discussione.
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3. La glottodidattica e l’insegnante di qualità
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Dall’esame seppur sommario delle ricerche sulla professionalità del
docente e sul suo profilo di qualità, per un approfondimento delle quali si
rimanda alla bibliografia, emergono alcuni dati salienti e convergenti particolarmente interessanti per cercare di definire un profilo dell’insegnante di
lingua e ancora più specificamente, di lingua italiana, che ovviamente coinciderà per molti aspetti con quello dell’insegnante in generale, ma che avrà
poi alcune sue particolarità.
La glottodidattica ha affrontato il sistema allievo-docente-disciplina, cioè
la lingua, sempre in un’ottica integrata; dal punto di vista epistemologico, si
pone come scienza pratica che ha per oggetto l’insegnamento-apprendimento delle lingue si trova all’incrocio di varie scienze: scienze del linguaggio e
Si veda: “Le competenze degli insegnanti nell’Unione Europea. Seminario di Bruxelles 29.09.01”,
in Bonetta G., Luzzato G., Michelini M., Pieri M.T. (cur.) (2002), Università e Formazione degli insegnanti: non si parte da zero, Udine, Forum.
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della comunicazione, scienze dell’educazione e della formazione, scienze psicologiche, scienze della cultura e della società. La glottodidattica è quindi
scienza interdisciplinare e “le quattro grandi aree di conoscenza […] divengono glottodidattica nel momento in cui vengono integrate e non giustapposte” (Balboni: (2002), pag. 25). Balboni inoltre afferma che: “la formazione
del glottodidatta (sia questi un ricercatore o un insegnante di lingua) è necessariamente interdisciplinare, integra le quattro aree in un sapere che non è
semplicemente la somma di nozioni provenienti dai vari ambiti di ricerca, ma
costituisce una conoscenza nuova ed autonoma” (pag. 23). Possiamo quindi
affermare che un insegnante di lingua ha già fatto sua una delle prerogative
fondamentali del docente di qualità, cioè il concetto di insegnante educatore contrapposto all’insegnante disciplinarista. Possiamo affermare inoltre
che l’insegnante di lingua con una buona formazione glottodidattica ha molti
dei tratti dell’insegnante di qualità così come è stato delineato sopra.
Nella letteratura glottodidattica molte delle coordinate che compongono
il profilo di un insegnante di qualità sono state elaborate all’interno dei vari
approcci e metodi e in particolare nell’approccio umanistico affettivo. Solo
per citare i punti di contatto più evidenti, possiamo ricordare il ruolo fondamentale dato alla motivazione, dal modello egodinamico di Titone a quello
trifasico “dovere, bisogno, piacere” di Balboni, al filtro affettivo, e alla differenza tra acquisizione e apprendimento di Krashen, al modello di Unità
Didattica elaborato da Freddi, sintesi di programmazione e adattabilità alle
diverse personalità e intelligenze degli allievi, al ruolo dell’insegnante, che
diventa facilitatore, consigliere, maieuta, tutore, regista, pedagogus, a seconda delle prospettive e degli studiosi, ma sicuramente non è più il maestro,
nella concezione di “superiore” (Balboni, (2002), pag. 49). Vengono individuate inoltre altre figure o componenti della stessa figura, le cui competenze
sono fondamentali: il progettista del curricolo, e quindi lo specialista di programmazione, e l’autore di materiale didattico, ovvero l’esperto di contenuti, tecniche e metodologie. Per quanto riguarda l’oggetto di insegnamento, la
lingua, parafrasando ciò che afferma Balboni (2002), possiamo dire che per
insegnare le lingue in una società complessa, la glottodidattica e di conseguenza l’insegnante di lingue, non si trova più di fronte il solo compito di
creare cittadini in grado di intendersi “ma quello ben più importante di consentire a tutti […] di scegliere, liberi da ostacoli linguistici, nuove “masse”
cui appartenere per poter nutrire, condividendoli, i propri interessi culturali, economici, sessuali, musicali, religiosi ecc.” (pag.11). L’oggetto lingua stesso quindi, per le sue particolarità e per la sua peculiarità come espressione
26
dell’umanità ci “costringe” ad essere educatori nel senso più largo del temine. Nello specifico, possiamo quindi azzardarci a dire che le cinque coordinate o dimensioni individuate da Margiotta e dagli altri studi sull’insegnante
di qualità sono bagaglio fondamentale e imprescindibile nella formazione di
ogni insegnante di lingua e non si può distinguere o scindere il sostantivo insegnante- dalla specificazione -di lingua.
4. L’insegnante di qualità di Lingua italiana per stranieri
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Quali sono quindi le competenze richieste ad un insegnante di lingue e
nello specifico ad un insegnante di italiano per stranieri? Abbiamo visto nelle
ricerche effettuate che numerosissime sono le realtà e le situazioni in cui
viene effettuato l’insegnamento dell’italiano all’estero e che si trova ad
affrontare un insegnante, congiuntamente alle diverse origini, bisogni e motivazioni degli studenti. Pertanto un qualunque modello di insegnante di lingua italiana di qualità deve essere fortemente dinamico, adattabile alle personalità e al contesto in cui viene applicato.
L’impegno del Laboratorio Itals in questi anni è stato proprio nella direzione di cercare di formare un insegnante di lingua italiana di qualità e le
esperienze di formazione del Laboratorio Itals, l’analisi di questionari distribuiti alle persone che hanno frequentato i corsi di formazione proposti dal
Laboratorio stesso, le ricerche fatte, ci permettono di affermare che la direzione intrapresa è giusta. È interessante infatti notare come gli insegnanti di
lingua italiana in parte abbiano e in parte richiedano un tipo di formazione
che li fa essere o li porti ad essere insegnanti di qualità. E ciò testimonia
anche della loro capacità di autovalutarsi e riflettere sul proprio operato14.
Dai dati emerge una realtà che mostra come anche i docenti concordino
nel definire un insegnante di qualità secondo queste direttrici e che richiedano, quando non ne sono in possesso, un tipo di formazione che permetta
loro di diventarlo.
- conoscenza dell’oggetto, cioè la lingua e la cultura italiane. Quindi
conoscenza disciplinare. Non solamente e ovviamente intesa come
conoscenza della lingua, ma sulla lingua, sul suo funzionamento e sui
14
In un periodo di circa 6 anni sono stati distribuiti più di 3000 questionari valutativi dell’efficacia
del corso che avevano seguito chiedendo tra le altre cose se aveva soddisfatto le loro richieste e quali
erano le aree che avrebbero voluto approfondire o invece lasciare in secondo piano.
A questi dati si aggiungono anche quelli derivanti dall’analisi del questionario che mirava a tracciare un ritratto dell’insegnante di italiano e che sono stati pubblicati nel 2002 in Balboni, P.E., Santipolo,
M (2002), L’italiano nel mondo, Roma, Bonacci.
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suoi meccanismi. Per affermare con sempre più forza che non basta
sapere una lingua per poterla insegnare. Nel caso di molti insegnanti di
italiano all’estero ciò ha una doppia valenza: come abbiamo visto, la
stragrande maggioranza degli insegnanti di italiano all’estero è di origine italiana, e quindi possiamo definirli di madrelingua, ma ci sono situazioni in cui la lontananza dall’Italia e il vissuto personale richiedono un
costante aggiornamento sull’uso della lingua e sull’Italia; a maggior
ragione questo è necessario per chi non è di madrelingua, come sta in
molti casi accadendo e come speriamo avvenga sempre più. Ma a ciò si
deve affiancare anche come, richiesto dagli stessi insegnanti, un
approfondimento delle conoscenze linguistiche formali. Le competenze
vengono dalle scienze del linguaggio e della comunicazione e dalle
scienze della cultura e della civiltà;
- competenze didattiche, cioè la padronanza di un repertorio di strategie
e tecniche e la capacità di applicarle. Di questo si occupa la glottodidattica come disciplina operativa, con il suo sforzo di teorizzare e proporre approcci fondati, metodi adeguati e coerenti al loro interno e tecniche glottodidattiche che siano coerenti con l’approccio ed il metodo
e efficaci nel raggiungere l’obiettivo. La glottodidattica e le scienze di
cui è integrazione: dell’educazione, della comunicazione, psicologiche,
forniscono approcci e metodi perché l’insegnante di italiano possa
padroneggiare diversi modelli di insegnamento e di apprendimento. Le
situazioni in cui si trova ad operare un insegnante di lingua italiana sono
le più diverse e anche in una stessa giornata si trova ad affrontare corsi
a vari livelli e con varie tipologie di allievi, dai bambini ad adulti, anche
all’interno della stessa classe. In cui poi si trovano, come sappiamo,
bisogni e motivazioni a cui dare una risposta. L’insegnante dovrà quindi essere in grado di saper valutare e riconoscere gli stili e le strategie
degli studenti; dovrà quindi cercare di presentare materiali e argomenti in situazioni quanto più possibile reali, motivando l’allievo con attività interessanti e coinvolgenti, in maniera flessibile rispetto alle attività
proposte. Tra le competenze didattiche, diventa fondamentale poi saper
gestire i gruppi e la classe. Gli insegnanti di lingua italiana si sono resi
conto che bisogna scendere dalla cattedra e gestire la classe in un’ottica
cooperativa e collaborativa; integrando anche le nuove tecnologie15;
15
Fondamentale è a questo punto la formazione, dato che la grande maggioranza dei docenti viene
da una formazione umanistica e conosciamo tutti come in molti paesi e nello specifico in Italia, umanistico e tecnologie siano stati molte volte termini in contrapposizione.
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saper redigere attività didattiche valide e pertinenti. Sappiamo tutti
come il rapporto tra gli insegnanti e il libro di testo, accompagnato dalla
cassetta, o da altri sussidi, sia molto conflittuale. Lo usano ma non lo
amano;
- capacità di riflessione e di autocritica, vista come carattere distintivo
della professionalità dell’insegnante. Questa capacità deve essere intesa
come il cercare continuamente di mettersi in discussione, utilizzando in
modo adeguato gli strumenti messi a disposizione. Ad esempio, seguire
costantemente un percorso di ricerca azione, dove l’osservazione e la
riflessione danno spunti per una ridefinizione del proprio operato.
Inoltre, la formazione di base deve essere seguita da una formazione che
sia fatta di momenti discreti, ma che sia soprattutto continua, cioè associata al proprio operare. Gli insegnanti di lingua italiana debbono
soprattutto sentirsi parte di una comunità di apprendimento e di pratica, che permetta loro di condividere e scambiare esperienze, idee,
dubbi. Data la differenza di provenienze formative, è indispensabile
oltretutto che gli insegnanti di italiano sviluppino un linguaggio glottodidattico comune;
- per quanto riguarda l’aspetto più affettivo e “umano”, molti insegnanti
di italiano nei vari questionari analizzati mettano in risalto come un
bravo insegnante debba “voler bene agli studenti” stabilendo con loro
un rapporto affettivo che va anche al di là e al di fuori dello specifico
della disciplina insegnata. Ciò si differenzia dall’empatia intesa come
capacità di vedere le cose dalla prospettiva dell’altro, con i suoi occhi.
Essenziale, comunque è il rapporto umano con lo studente, diretto ad
incidere positivamente sulla motivazione e soprattutto a mantenerla ad
un alto livello.
- competenze gestionale, dato che gli insegnanti ormai assumono varie
responsabilità del genere dentro e fuori l’aula. Per gli insegnanti di lingua italiana questo aspetto organizzativo e gestionale riveste una importanza particolare, in quanto nelle diverse realtà in cui si trovano ad operare essi non sono solamente insegnanti di lingua e cultura, ma piuttosto promotori del “sistema Italia”.
5. Conclusione
I punti segnalati non debbono far pensare comunque, che l’insegnante di
lingua italiana debba essere un “tuttologo”, in quanto dovrà essere compito
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del glottodidatta, nella sua dimensione scientifica e di ricercatore, quello di
interfacciarsi con le varie discipline che ne compongono l’universo epistemologico e selezionare e proporre le metodologie per lo sviluppo delle competenze linguistiche e comunicative.
La breve presentazione della nostra definizione delle competenze dell’insegnante di italiano di qualità, che vengono poi trattate e approfondite
durante tutto il libro provengono dalla ricerca, ma riflettono anche alcune
delle indicazioni che vengono dagli insegnanti e alle quali si deve cercare di
dare una risposta se vogliamo che il successo della lingua italiana di cui parlavamo all’inizio possa poggiare su basi solide che gli garantiscano un futuro
in una società complessa quale l’attuale.
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riferimenti bibliografici
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Parte seConda
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Capitolo 3
gLottodidattiCa soCio-VariaZionaLe
deLL’itaLiano Come Ls.
L’aPProCCio soCio-gLottodidattiCo
Matteo Santipolo
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Insegnare una lingua straniera significa fornire a chi la studia gli strumenti
migliori per comunicare con i parlanti di tale lingua, siano essi nativi o non.
Affinché ciò possa aver luogo è necessario che la competenza comunicativa, obiettivo ultimo da perseguire nell’attività glottodidattica, sia quanto
più completa e variegata possibile. In considerazione del fatto che la lingua,
qualsiasi lingua, rappresenta un complesso fenomeno sociale e che essa subisce continue variazioni a seconda dei diversi contesti d’uso, solo tenendo
presente anche didatticamente della sua variabilità si potrà rendere conto del
più ampio numero possibile di sfaccettature che la caratterizzano e che ne
garantiscono l’efficacia e l’adeguatezza sociolinguistica.
Il presente capitolo è diviso in due parti: nella prima tracceremo un sintetico profilo del repertorio linguistico degli italiani e delle principali tipologie di
variazione cui è soggetta la lingua; nella seconda accenneremo a come gli aspetti sociolinguistici (ossia quelli che costituiscono la competenza sociolinguistica,
sottocompetenza di quella comunicativa) possano e, a nostro avviso, dovrebbero, costituire parte integrante di un curriculum di italiano come lingua straniera. Definiamo questo particolare ambito di studi glottodidattica socio-variaizonale e l’approccio che persegue socio-glottodidattico (cfr. Santipolo 2000)
Le tematiche qui proposte in sintesi vengono trattate nella loro interezza
in Santipolo 2002 e Santipolo (2003), cui si rimanda per approfondimenti.
©
1. La variazione e il repertorio linguistico degli italiani
Per repertorio linguistico s’intende l’insieme dei segni verbali condiviso
dai membri di una certa comunità che rappresenti la totalità delle varietà e
dei codici linguistici ad essa disponibili, includendo quindi anche differenti
stili, dialetti, o addirittura lingue, nel caso di comunità plurilingui.
1.1 Tipologie di variazione
La lingua, ogni lingua, varia nel tempo. L’italiano di Dante non è certo
uguale a quello che parliamo oggi. Ma è facilmente ipotizzabile che lo stesso
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Dante non parlasse come scriveva, esattamente come accade a ciascuno di
noi (anche se la posta elettronica sembra avere avvicinato molto il parlato e
lo scritto). È inoltre noto a tutti che, pur senza pensare ai dialetti, l’italiano
che si parla in Piemonte è molto differente da quello parlato in Campania:
per pronuncia, per scelte lessicali e morfosintattiche, ecc.
Allo stesso modo è esperienza comune quella di imbattersi in qualche
Azzeccagarbugli che parla per non farsi capire. Anche senza arrivare agli
estremi di manzoniana memoria è naturale che ognuno di noi presenti alcune caratteristiche locutorie che lo identificano come appartenente ad un
certo gruppo. Analogamente il nostro modo di parlare si modifica a seconda
dell’interlocutore con cui interagiamo, ad esempio, a seconda del grado di
familiarità o formalità.
In sintesi e con qualche semplificazione, possiamo affermare che la lingua
è caratterizzata dai seguenti tipi di variazione:
1. diacronica: cioè nel tempo
2. diamesica: cioè a seconda del mezzo con cui viene veicolata
3. diatopica: cioè geografica
4. diastratica: cioè a seconda dei gruppi sociali (per età, per professione,
per sesso, per livello d’istruzione, ecc.)
5. diafasica: cioè a seconda dei registri.
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1.2 Il repertorio
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Nel repertorio linguistico degli italiani è possibile individuare tre tipologie di codici:
- italiano
- dialetti italo-romanzi
- lingue minoritarie
L’italiano
La struttura sociolinguistica della lingua nazionale è rappresentabile
mediante un continuum polarizzato cioè orientato ed ordinato dal più al
meno prestigioso, e costituito come segue:
a.italiano standard
b.italiano semistandard
c. italiani regionali
d.italiani popolari
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All’estremo più alto di questo continuum troviamo il cosiddetto italiano
standard, cioè una varietà di lingua che s’ispira ai modelli dell’italiano scritto colto e letterario. Di fatto questa varietà è d’uso alquanto raro nel parlato
quotidiano e sembra essere esclusiva solo di alcune categorie di persone
(attori, qualche annunciatore radio e TV, ecc.), mentre, per il resto, è prevalentemente di uso scritto e formale (ad esempio di rado compare nei messaggi di posta elettronica). Si tratta di una varietà che, in quanto non marcata geograficamente, gode comunque d’una posizione di prestigio tale da
sovrapporsi alle altre varietà che convergono verso di questa.
La seconda varietà presente in questo continuum è l’italiano semistandard. Si tratta di una varietà i cui confini sono difficilmente delimitabili ma
che pare comprendere aspetti dello standard assieme ad altri propri delle
diverse varietà, soprattutto diafasiche. La variazione diatopica è evidente a
livello fonetico con effetti di sostrato che possono riguardare ad esempio la
realizzazione delle vocali (come la perdita dell’opposizione tra pèsca (frutto)
e pésca (attività sportiva), in alcune varietà settentrionali), relitti linguistici
dei diversi dialetti italo-romanzi locali. Non si tratta quindi d’una varietà
compatta ed unitaria, seppure presenti tratti comuni a tutto il territorio
nazionale, e tanto meno, di un vero e proprio dialetto.
Proseguendo si trovano i cosiddetti italiani regionali, coi quali ci si riferisce alla vasta gamma di fenomeni posti tra l’italiano della tradizione letteraria e il dialetto. Ciò significa che sull’italiano standard vengono innestati, qua
e là, tratti di chiara provenienza dialettale che varieranno, appunto, da regione a regione. Per questo motivo riteniamo sia opportuno riferirsi a questa
varietà del continuum al plurale, cioè appunto italiani regionali, prodotti dall’effetto di sostrato dei dialetti sui quali si sovraimpone l’italiano standard.
All’estremo più basso del continuum si collocano i diversi italiani popolari propri degli strati sociali bassi, incolti e semicolti, ossia con basso livello di
scolarizzazione, e caratterizzati da numerosi tratti di derivazione dialettale
(assai più numerosi che negli italiani regionali) e da fenomeni d’ipercorrettismo, entrambi diffusi a tutti i livelli strutturali (fonologico, morfosintattico,
lessicale, ecc.). Anche per questa varietà, riteniamo più opportuno l’impiego
del plurale (italiani popolari), in quanto pur condividendo gran parte dei
macrofenomeni (semplificazioni, ipergeneralizzazioni, ecc.), diverse saranno
le loro realizzazioni a seconda del sostrato che li genera.
In breve, si osserva che, a mano a mano che ci si sposta dall’estremo alto
del continuum, rappresentato dall’italiano standard, verso l’estremo più
basso, occupato dagli italiani popolari, le “infiltrazioni” dai dialetti italoromanzi si fanno sempre più consistenti e intaccano un numero sempre cre35
scente di livelli strutturali della lingua. Dall’italiano semistandard in giù si
tratta, in altri termini, di varietà di contatto con un ruolo sempre più forte del
sostrato dialettale a mano a mano che si discende nel continuum.
I dialetti italo-romanzi
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Un dialetto non è mai una lingua “parlata male”. Si tratta, al contrario, di
un sistema di comunicazione verbale completo e complesso, con una morfosintassi ed un lessico specifici, anche se talvolta apparentemente meno stabili, in quanto meno o per nulla descritti – e perciò meno prescrittivi – che non
quelli delle lingue standard.
I dialetti italo-romanzi sono una filiazione diretta del latino, esattamente
come lo sono l’italiano, il francese, lo spagnolo, ecc. Se oggi affermiamo che
queste ultime sono delle lingue, non è in quanto sono più ricche, più efficaci o meglio organizzate strutturalmente del siciliano, del bergamasco o del
napoletano, ma piuttosto in quanto hanno acquisito maggiore prestigio divenendo così le lingue letterarie ed ufficiali di Stati costituiti.
La diffusione della dialettofonia (cioè il parlare un dialetto) non è affatto
omogenea in tutte le regioni d’Italia. Così, se la media degli italiani esclusivamente dialettofoni nell’intero territorio nazionale, per quanto approssimativa, pare aggirarsi intorno al 12-13%, tale dato aumenta in modo considerevole nelle regioni del nord-est e dell’estremo sud della Penisola. In queste
aree si può probabilmente parlare di una sorta di forma debole di bilinguismo italiano / dialetto, in cui il ruolo dominante a livello di competenza produttiva e ricettiva è svolto dalla lingua nazionale, ma in cui entrambi i codici possono venire impiegati, se non in tutte, per lo meno in un gran numero
di situazioni comunicative.
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Le lingue minoritarie
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L’Articolo 6 della Costituzione italiana recita: “La Repubblica tutela con
apposite norme le minoranze linguistiche.”
La Legge n. 482 del 15 Dicembre 1999 “Norme in materia di tutela delle
minoranze linguistiche storiche” ha come scopo principale quello della
“valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge”
(Articolo 1 Punto 2), e cioè quelle
“delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di
quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano
e il sardo.” (Articolo 2)
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Il testo della legge si riferisce alle minoranze linguistiche storiche, cioè a
quelle che da secoli sono presenti nel territorio1.
Negli ultimi dieci anni, tuttavia, l’Italia, sotto l’impulso dello sviluppo
economico, si è trasformata da paese di emigranti a paese di attrazione immigratoria. Una delle conseguenze dell’immigrazione, a livello sociolinguistico,
è la formazione di nuove minoranze linguistiche, talvolta anche numericamente assai consistenti. La comunità più vasta è rappresentata dagli arabofoni che, pur con le numerose differenze dialettali che l’arabo presenta al
suo interno, raggiungono circa i 210.000 parlanti, prevalentemente marocchini e tunisini. Altre comunità numericamente significative sono quelle
degli albanesi (da non confondere con quelli storicamente presenti nel territorio) e degli slavi di varia provenienza. Oltre che allo sviluppo di nuove
minoranze linguistiche, l’immigrazione produce situazioni di contatto tra italiano, dialetti e le diverse LM degli immigrati. Si tratta di varietà di italiano
di stranieri di cui, data la loro crescente diffusione, si dovrà sempre più tener
conto come parte integrante del repertorio linguistico degli italiani, o meglio
ancora, dei nuovi italiani.
Proprio la variabilità della lingua e suo modificarsi, come visto, in più
direzioni, e la vasta ed articolata struttura del repertorio linguistico degli italiani rendono indispensabile una riflessione attenta su quale debba essere il
modello didattico di riferimento.
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2. alcune considerazioni glottodidattiche
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È evidente che di fronte alla complessità del quadro, seppure sinteticamente, appena tracciato, non tenerne conto didatticamente significa non
offrire agli studenti una visione verosimile della realtà italiana, compromettendo di fatto le loro possibilità di una sua comprensione, e non esclusivamente in senso linguistico.
D’altro canto, è pur vero che una scelta deve necessariamente essere fatta,
anche per evitare di ingenerare confusione negli studenti stessi. Se per quanto riguarda la lingua scritta il modello di riferimento dovrebbe essere sicuramente l’italiano standard, per quanto riguarda la lingua parlata, il modello
dovrebbe, a nostro avviso, attestarsi sull’italiano semistandard, già a partire
dai livelli più elementari di acquisizione.
1
Per una descrizione dettagliata di ciascuna minoranza e del suo quadro sociolinguistico si rimanda
a Santipolo 2002, capitolo 3.
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Ciò detto, nel caso dell’italiano come lingua straniera il rischio che la
complessità del repertorio costituisca un fattore demotivante è reale, ma l’insegnante potrà invece sfruttarla a proprio vantaggio come strumento per
destare la curiosità degli studenti. In questa situazione sarà di fondamentale
importanza il fatto che l’input sia quanto più autentico e variegato possibile,
pur entro i limiti della sua comprensibilità. La mediazione dell’insegnante
non riguarda solo gli aspetti più strettamente linguistici, ma pure quelli
socioculturali: la complessità del repertorio linguistico è infatti insieme causa
ed effetto della complessità socioculturale.
In considerazione di quanto fin qui esposto e della scarsa o nulla autenticità pragmatica della lingua come LS, l’insegnamento delle diverse varietà
del repertorio andrà inserito solo a livelli medio-alti di studio. Esso dovrà
inoltre avere come obiettivo la sola competenza ricettiva per quanto concerne gli italiani popolari e regionali (intesa comunque in termini di samples),
mentre i dialetti potranno essere presi in considerazione solo in termini di
consapevolezza della loro esistenza e distanza dalla lingua nazionale.
Relativamente alle diverse tipologie di variazione (diamesica, diatonica,
diastratica, e diafasica) in LM la competenza sociolinguistica è ovviamente
sempre sia ricettiva sia produttiva (nel senso che riguarda sia le abilità ricettive che quelle produttive).
In LS, invece, è necessario compiere una distinzione: in linea di massima,
possiamo affermare che la competenza sociolinguistica da perseguire come
obiettivo dovrebbe essere sia produttiva sia ricettiva per quanto riguarda la
variazione diafasica, diamesica e diastratica, ma può essere anche solo ricettiva per quanto riguarda la variazione diatopica2. In altre parole, si deve portare lo studente ad una piena coscienza di tutte le tipologie di variazione presenti nella LS, ma senza richiedere che sappia reimpiegare produttivamente
quella diatopica. Non avrebbe infatti senso insegnare intenzionalmente ad
uno studente tedesco di italiano a parlare con un accento diverso da quello
neutro; mentre è certamente importante farlo pervenire, ad esempio, alla
comprensione delle diverse regole che governano la lingua scritta rispetto a
quelle della lingua parlata.
L’insegnamento degli aspetti sociolinguistici potrà comunque avvenire già
nelle fasi iniziali di acquisizione della lingua, almeno per quanto riguarda
certe caratteristiche elementari (soprattutto relative alla variazione diafasica
2
Si tralascia qui intenzionalmente la variazione diacronica in quanto meno significativa dal punto di
vista comunicativo. Essa potrà in ogni caso costituire materia di studio in corsi specializzati di linguistica,
filologia e letteratura.
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2.1 La scelta delle varietà
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– ad esempio la distinzione tra formale e informale – e diamesica), mentre
sarà bene proporre gli aspetti più complessi (variazione diastratica – ad
esempio aspetti substandard, gerghi, microlingue, ecc. – e diatopica) solo a
livelli più avanzati.
La competenza sociolinguistica, come del resto qualunque altra componente della competenza comunicativa, deve essere perseguita induttivamente, a partire cioè dall’emisfero destro del cervello per giungere solo in seguito a quello sinistro. Ciò implica seguire un percorso che partendo dal comportamento perviene alla regola che lo governa. Ma gli aspetti sociolinguistici, data la loro natura socio-convenzionale non facilmente percepibile a coloro che non sono membri della comunità dei parlanti, potranno essere insegnati anche ampliando lo spazio deduttivo, specie quando si abbia a che fare
con studenti adulti.
Nel caso in cui gli allievi siano dei bambini, esattamente come per quanto accade con l’insegnamento della grammatica, anche lo sviluppo della competenza sociolinguistica dovrà tenere in debita considerazione ed assecondare le fasi dell’evoluzione meta- e psicocognitiva degli apprendenti. Infatti, il
bambino non raggiunge un pieno controllo delle norme sociolinguistiche
nella propria lingua materna prima della pubertà. Voler quindi imporre l’acquisizione di queste norme in una lingua straniera, non solo è controproducente, ma, in termini acquisizionali, è pure errato, in quanto il bambino non
possiede ancora gli strumenti psicologici per poter far proprie tali strutture.
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Considerando la complessità del repertorio descritto sopra è difficile non
tener conto almeno di parte delle sue sfaccettature. Il problema, a questo
punto, è stabilire quale tipo di lingua debba essere fatto oggetto principale
della didattica.
Se da un lato, come detto, pare opportuno che la varietà semistandard sia
l’oggetto della didassi, d’altro canto, per evitare che gli apprendenti commettano “errori” sociolinguistici (ad esempio, usare una parolaccia può essere accettabile e talvolta persino opportuno, ma lo si può fare solo se si ha
pieno possesso del suo significato sociolinguistico), è necessario che vi siano
riferimenti sia all’estremo più alto del continuum che a quello più basso,
senza, peraltro, trascurare i dialetti, quando se ne presenti l’opportunità e
comunque, avendo sempre ben presente la distinzione tra competenza ricettiva e produttiva nella valutazione degli obiettivi da perseguire. Un modello
dunque deve essere presente, ma non si dovrebbero ignorare le altre varietà
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e variazioni che costituiscono il repertorio linguistico dei parlanti nativi.
Un’altra questione sulla quale è bene soffermarsi è quella relativa all’idioletto3 dell’insegnante. Nel caso dell’italiano come lingua seconda il problema
è relativo, data la sovrabbondanza di input e la conseguente pluralità di
modelli di riferimento cui è sottoposto lo studente. Nel caso dell’insegnamento dell’italiano come lingua straniera, invece, due sono le tipologie di
situazioni che si possono incontrare: a. l’insegnante è madrelingua; b. l’insegnante non è madrelingua. Nell’ipotesi dell’insegnante madrelingua, presumibilmente un parlante di italiano semistandard, sarà molto importante che
egli / ella abbia piena coscienza del proprio modus loquendi, in particolare
dei tratti principali della propria pronuncia. Solo così facendo sarà in grado
di porre in evidenza agli studenti le eventuali differenze tra il suo personale
modo di parlare e quello target. Nell’ipotesi dell’insegnante non madrelingua
sarà ancor più fondamentale il ricorso a numerosi realia.
Riteniamo, in ogni caso, che solo l’insegnante in possesso di una solida
formazione, sia teorica che operativa, relativa agli aspetti qui presentati,
possa essere in grado di rispondere adeguatamente all’esigenza di fornire agli
studenti di italiano come LS un’immagine nitida e quanto più completa ed
aggiornata possibile dell’italiano lingua viva.
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riferimenti bibliografici
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3
Per idioletto s’intende la varietà personale di un codice linguistico propria di un singolo individuo,
la somma delle sue caratteristiche linguistiche.
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Capitolo 4
teoria LingUistiCa e insegnamento
deLLa grammatiCa
Laura Brugè
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Quando si cerca di determinare che cosa s’intende per conoscere una lingua, questione su cui ognuno, come studente prima e come docente di lingua (straniera) poi, si è sorpreso certamente a riflettere, ci si rende immediatamente conto della complessità che ciò comporta. Ogni lingua naturale,
infatti, può considerarsi come l’espressione concreta della facoltà del linguaggio, vale a dire della capacità cognitiva, comune a tutti gli individui, di
sviluppare un sistema di comunicazione. Questo sistema è caratterizzato da
proprietà specifiche che lo rendono sensibilmente differente da tutti gli altri
sistemi di comunicazione, o linguaggi, che si presentano in natura o che vengono elaborati artificialmente. Il linguaggio umano è discreto, ricorsivo e
dipendente dalla struttura.1 A queste proprietà, inoltre, si affianca la complessità interna che caratterizza le lingue naturali. Ogni lingua naturale, infatti, si configura come un sistema articolato che integra più livelli: il livello dei
suoni (descritto dalla fonetica e dalla fonologia), il livello delle parole
(descritto dalla morfologia) il livello delle frasi (descritto dalla sintassi) e il
livello dei significati (descritto dalla semantica). Ognuno di questi livelli è
governato da principi e regole specifici, ma al tempo stesso strettamente vincolati ai principi e alle regole che sono inclusi in ognuno degli altri livelli.
Concentrando l’interesse sul sistema lingua come forma e/o struttura,
questo lavoro intende difendere l’imprescindibilità della conoscenza della
teoria linguistica formale nella formazione del docente d’italiano come lingua
1
La proprietà della discretezza, vale a dire la possibilità di distinguere ognuna delle unità che
appartengono alle lingue naturali mediante caratteristiche intrinseche proprie, e la proprietà della
ricorsività, che permette, mediante il meccanismo della subordinazione, di costruire frasi sempre nuove e
di lunghezza teoricamente illimitata, differenziano il linguaggio umano dai linguaggi degli animali. La
proprietà della dipendenza dalla struttura, distingue, invece, il linguaggio umano dai linguaggi artificiali.
Essa consiste nella facoltà, da parte delle unità della lingua, di potersi organizzare in sequenze fortemente
vincolate tra loro da relazioni di dipendenza (semantica e sintattica) interna. Queste sequenze, a loro volta,
si comportano come un “oggetto” compatto (costituente) rispetto all’applicazione delle regole della
grammatica. Per tali ragioni, le regole della grammatica non possono essere formulate facendo unicamente
ricorso al requisito dell’adiacenza. Nell’ambito della grammatica generativa elaborata da Chomsky, questa
proprietà viene descritta mediante un principio universale: il principio della dipendenza dalla struttura
sintagmatica (cfr. Chomsky, 1981).
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straniera.2 Non deve essere considerato, pertanto, come un intervento di
carattere pratico nel significato usuale del termine, bensì come un contributo per orientare la pratica didattica del docente, riflesso di un percorso formativo che includa la teoria linguistica intesa come studio scientifico del linguaggio, ed evitare, così, soluzioni meramente intuitive nell’affrontare e sviluppare il “modulo” della grammatica nell’insegnamento dell’italiano come
lingua straniera.3
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1. La teoria linguistica e gli studi sull’insegnamento della lingua
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1.1. Il rapporto tra linguistica e glottodidattica
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Risulta intuitivamente chiaro che la conoscenza di una lingua non può
essere elaborata in maniera parziale o non integrata. Saper pronunciare correttamente i suoni di una lingua non equivale a conoscere una lingua, così
come non si può affermare di poter dominare una lingua basandosi esclusivamente sul fatto di essere riusciti a memorizzare un numero, anche molto
elevato, di parole che costituiscono il lessico di quella lingua. Questo perché
la lingua, come è stato affermato, è un sistema complesso costituito da diversi sottosistemi, ognuno dei quali governato sì da principi e regole specifici,
ma comunque interdipendenti tra loro ed interagenti l’uno con l’altro.
La conoscenza interiorizzata dei principi e delle regole che sottendono ai
livelli del suono, della parola, della frase e del significato costituiscono quella che viene denominata Competenza (grammaticale) di una lingua. Essa si
manifesta concretamente mediante la capacità, da parte dell’individuo, di
saper costruire frasi che vengono giudicate come appartenenti alla grammatica di quella lingua particolare. Il repertorio, peraltro infinito, di frasi grammaticali di una lingua non si trova né nei dizionari né nei manuali, e presuppone, pertanto, un atto costante di creazione individuale.
La conoscenza globale di una lingua, inoltre, include anche la capacità di
saper produrre frasi ed enunciati appropriati al contesto, vale a dire d’accordo con i parametri che regolano la comunicazione in tutti i suoi aspetti. E
questa conoscenza può essere definita come Competenza pragmatica.
2
Questa proposta non vuole escludere dalla formazione del docente la conoscenza di più teorie
linguistiche, come verrà esposto nel paragrafo 1.1 di questo lavoro. Riguardo, inoltre, al rapporto tra teorie
linguistiche e insegnamento delle lingue, si rimanda il lettore a Chomsky (1988, pp.179-82).
3
Per un commento sui diversi obiettivi che ispirano la linguistica intesa come disciplina scientifica
del linguaggio, da un lato, e la grammatica normativa dall’altro, si rimanda il lettore a Brugè (1999, 2003).
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I principi e le regole che formano parte della competenza grammaticale e
quelli che vengono integrati nella competenza pragmatica dovrebbero essere ben assimilati dal docente di italiano come lingua straniera, come pure l’aspetto metodologico, il quale si prefigge il compito di studiare i criteri più
idonei per un insegnamento efficace delle lingue straniere.4
Sulla base di queste considerazioni, risulta abbastanza sorprendente l’allontanamento che negli ultimi trent’anni si è venuto a creare tra teoria linguistica e insegnamento delle lingue (straniere). Infatti, dopo un lungo periodo in cui l’insegnamento delle lingue era centrato quasi esclusivamente sulla
grammatica, adottando le proposte avanzate nell’ambito della grammatica
tradizionale e normativa prima, e della teoria linguistica dello strutturalismo
poi,5 gli studi rivolti all’insegnamento delle lingue decidono di intraprendere
un percorso differente, che si concretizza in un maggior interesse per l’aspetto metodologico e, contemporaneamente, in un potenziamento consistente dell’aspetto comunicativo e pragmatico della lingua a scapito di quello formale o grammaticale.6
Le ragioni che hanno dato luogo a questa netta separazione tra linguistica e glottodidattica sono, naturalmente, molteplici. In primo luogo, si
potrebbe menzionare la differenza negli obiettivi che entrambe le discipline
si propongono (cfr. Brugè, 1999, 2003). La teoria linguistica si propone,
infatti, di descrivere, nel modo più appropriato possibile dal punto di vista
formale, la capacità che ogni individuo possiede di costruire e comprendere
unità linguistiche provviste di significato. Il suo compito, quindi, è quello di
formulare ipotesi, o principi generali, sul funzionamento del linguaggio
umano, e quindi sulla struttura delle lingue. Diversamente, la glottodidattica, disciplina che “ha per oggetto l’insegnamento-apprendimento delle lingue” (Freddi, 1994, p.1), si propone come obiettivo primario quello di fare
in modo che un parlante non nativo giunga ad esprimersi con correttezza e
fluidità in una lingua straniera. Per raggiungere questo scopo, studia e sviluppa metodi per attivare o migliorare la conoscenza di una lingua straniera.
4
Nell’ insegnamento delle lingue straniere, al “modulo” grammaticale, a quello pragmatico e a quello
metodologico deve affiancarsi, inoltre, anche il “modulo” di cultura/civiltà, come viene proposto in Brugè
(2002), di cui, però, non tratteremo nelle pagine seguenti.
5
Il metodo audio-orale, diffuso nell’insegnamento delle lingue straniere fino agli anni settanta del
secolo scorso, applicava, infatti, i fondamenti concettuali dello strutturalismo, in particolare del
conduttivismo americano.
6
L’approccio ‘naturale’ elaborato da Krashen e Terrel (1983), che traduce in metodo didattico le
ipotesi cognitiviste di Krashen (1981, 1985) sull’acquisizione/apprendimento delle lingue, e gli altri
approcci comunicativi che lo hanno preceduto e seguito considerano inadeguato ricorrere ad una
riflessione (esplicita) sull’aspetto formale della lingua nell’insegnamento delle lingue straniere.
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Un’altra ragione della separazione tra teoria linguistica e glottodidattica
deve ricercarsi, d’accordo con quanto afferma Liceras (1996, p.185), nell’alto grado di astrazione, e quindi di complessità, a cui è giunta la teoria linguistica stessa.
A queste due motivazioni, inoltre, possiamo aggiungerne una terza, vale a
dire l’accusa lanciata alla teoria linguistica di trascurare l’aspetto semantico e
pragmatico del linguaggio per concentrarsi esclusivamente su quello formale. Questa scelta entrerebbe in conflitto con la possibilità, da parte della teoria linguistica, di rappresentare una guida per l’insegnamento delle lingue
straniere: in effetti, l’accesso immediato per un individuo che vuole apprendere una lingua straniera si concretizza nel significato.7
Nonostante queste motivazioni, di cui, come vedremo, la seconda può
essere abbastanza facilmente superata, mentre la terza non sembra potersi
considerare fondata allo stato attuale, ogni docente che si accinge ad insegnare una lingua straniera si rende immediatamente conto che l’aspetto
grammaticale, nella sua accezione formale, ricopre una grande importanza
nell’insegnamento di una lingua straniera, e che pertanto non può essere trascurato e neppure sempre subordinato agli aspetti funzionali della lingua.
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1.2. L’importanza della teoria linguistica
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Negli ultimi vent’anni il formalismo della teoria linguistica ha subito
sostanziali cambiamenti come verrà illustrato di seguito. Il modello a principi e parametri, elaborato da Chomsky all’inizio degli anni ottanta nell’ambito della teoria linguistica della grammatica generativa, segna una sostanziale
svolta in tale senso. Infatti, per raggiungere una maggiore adeguatezza esplicativa nella formulazione dei principi generali che sottendono al funzionamento del linguaggio umano, la grammatica generativa introduce all’interno
della teoria, da un lato, l’aspetto semantico, dall’altro, l’analisi di più lingue,
potenziando, in questo modo, lo studio della comparazione linguistica.
Data l’importanza che, come abbiamo già affermato, riveste la grammatica nell’insegnamento delle lingue straniere, questi cambiamenti nell’ambito
della teoria linguistica sono a nostro avviso sufficienti per sostenere che il
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Questa accusa rivolta alla teoria linguistica potrebbe risultare fondata se si esamina l’impianto
formale dello strutturalismo, in particolare quello americano (cfr. Bloomfield, 1933), e se si esamina il
formalismo adottato dalla grammatica generativa fino alla fine degli anni settanta. Tuttavia, come verrà
discusso nelle pagine successive, la semantica, e anche per certi versi la pragmatica, ha acquisito un peso
determinante nei modelli formali più recenti elaborati dalla grammatica generativa. Ed è proprio negli
sviluppi più recenti di questa teoria che diventa naturale istaurare un dialogo tra teoria linguistica e
glottodidattica, produttivo per lo sviluppo di entrambe le discipline.
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docente di lingua straniera, oltre a possedere una profonda conoscenza di
tutti gli aspetti della grammatica della lingua che va ad insegnare, nel caso
specifico, l’italiano, dovrebbe costruirsi anche una solida formazione nella
teoria grammaticale.
Naturalmente, formarsi nella teoria linguistica non equivale a sostenere
che il docente di lingua straniera debba trasformarsi in un linguista, così come
non equivale ad affermare che si debbano applicare direttamente ed esplicitamente le ipotesi avanzate dalla teoria linguistica in classe, durante, cioè, la
pratica didattica interattiva. Significa, invece, assimilare i risultati raggiunti
dalla teoria linguistica per coglierne le implicazioni, le quali verranno a costituire una solida base su cui sviluppare la pratica didattica in senso esteso.
Una formazione nella teoria grammaticale, pertanto, si prospetta come una
condizione fondamentale per fare propria una terminologia più attuale e
senz’altro più adeguata alla descrizione dei fenomeni linguistici e, in particolare, per acquisire consapevolezza sulla struttura della lingua che si insegna.8
Acquisire consapevolezza sul sistema della grammatica dell’italiano risulta vantaggioso poiché fornisce al docente gli strumenti indispensabili per la
programmazione coerente (con le diverse necessità del gruppo discente) ed
efficace (nel momento di ‘riflettere’ sui diversi aspetti grammaticali che vengono mano a mano affrontati) del corso. Tutto ciò, naturalmente, ha come
scopo primario quello di favorire e facilitare sensibilmente il processo di
acquisizione della lingua straniera.
Se ci si concentra sulle descrizioni generali che la teoria linguistica si propone di elaborare per rendere conto delle proprietà grammaticali delle diverse lingue naturali, si può riuscire ad interpretare in modo appropriato le produzioni degli apprendenti, individuarne, in prospettiva comparativa, le
carenze, e quindi intervenire mediante materiali di rinforzo appropriati.
Inoltre, si potrebbe intuire in anticipo i problemi che gli apprendenti potrebbero avere nell’acquisire alcuni aspetti grammaticali dell’italiano, e mettere a
punto, così, percorsi didattici specifici che li conducano alla corretta costruzione delle ipotesi sul sistema della lingua d’arrivo. Interventi operativi di
questo tipo saranno in grado di indirizzare gli studenti verso un apprendiPer quanto concerne la terminologia, e quindi le impostazioni teoriche che la motivano, essa può
rappresentare un valido aiuto nell’eventuale scelta dei libri di testo e delle grammatiche di supporto da
adottare nei diversi corsi. Inoltre, nelle occasioni metalinguistiche, permette di esplicitare adeguatamente
agli studenti i termini che compaiono nei testi in adozione; oppure permette di intervenire in modo
adeguato nel caso in cui i termini linguistici adottati dai testi per la trattazione di qualche fenomeno
grammaticale non vengano usati in maniera appropriata o non vengano affrontati in modo esaustivo.
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mento più rapido ma soprattutto più stabile.
Tendere ad individuare, e formalizzare, le descrizioni generali che possano rendere conto, da un lato, delle proprietà del sistema grammaticale di una
lingua particolare (come, ad esempio, l’italiano) e, dall’altro delle proprietà
che differenziano il sistema grammaticale di una lingua particolare dai sistemi grammaticali delle altre lingue naturali, equivale a ricondurre a un minor
numero di ipotesi manifestazioni linguistiche a prima vista indipendenti le
une dalle altre sia nell’ambito di una stessa lingua, sia nel dominio più ampio
di lingue diverse.
Dalla parte del docente d’italiano come lingua straniera, quindi, adottare,
per la pratica didattica, queste ipotesi generali che rendono conto di più
comportamenti linguistici, ed abbandonare l’analisi dei singoli comportamenti linguistici, a cui non potrebbero che corrispondere in modo univoco
regole diverse, consentirebbe di agevolare notevolmente il processo di
apprendimento dei discenti.
Questa diversa prospettiva conferma, in modo deciso, l’importanza delle
nozioni di unità e variazione nell’insegnamento delle lingue straniere. E per
comprendere che cosa s’intende con questi due termini, i due poli, cioè, che
sottendono al processo di acquisizione delle lingue, ci viene in aiuto la teoria
linguistica.9
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Per tradurre queste riflessioni in ambito didattico-operativo, si prenda in esame il caso del
possessivo in italiano. In italiano il possessivo, pur possedendo proprietà di natura pronominale, può
essere incluso nella categoria grammaticale Aggettivo: deve essere preceduto da una forma di
determinante se la natura del nome lo richiede, può essere preceduto da un quantificatore non universale
(es. alcuni, molti, pochi, ecc.), può comparire anche in posizione postnominale, può comparire come
attributo nelle costruzioni copulative e può comparire in isolamento. Lo stesso non si può affermare per
il possessivo prenominale in lingue, ad esempio, come il francese, l’inglese, il tedesco e lo spagnolo. In
queste lingue, infatti, il possessivo prenominale, non mostrando la stessa distribuzione del possessivo
prenominale in italiano, deve essere considerato come una forma di Determinante. Lavorare, in ambito
didattico, fin da subito su questa proprietà più generale, vale a dire sullo statuto categoriale Aggettivo, in
italiano, vs. Determinante, nelle altre lingue menzionate, porterebbe con più facilità a discenti di L1
francese, inglese, ecc., ad ipotizzare la regola corretta che descrive il comportamento del possessivo in
italiano. Se invece il possessivo prenominale viene presentato solo nel contesto in cui è preceduto
dall’articolo definito (come riportano, in generale, i testi), la regola che verrà ipotizzata dal discente farà
riferimento al solo contesto articolo-possessivo prenominale. Pertanto, nei momenti di produzione
spontanea, il discente potrebbe produrre, comportamento linguistico peraltro attestato, solo costruzioni
come un libro mio o questo libro mio, senza associare ad esse il valore di rilievo che in italiano il possessivo
possiede in tali contesti. La correzione, in questi casi, implicherebbe, da parte dell’apprendente, una prima
fase in cui dedurrebbe altre due regole, indipendenti tra loro, e che andrebbero a sommarsi con quella
previamente ipotizzata sulla cooccorrenza articolo definito-posessivo. Un approccio didattico che si ispiri
a motivazioni di ordine più generale risulterebbe, pertanto, più adeguato ed economico ai fini
dell’apprendimento.
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2. L’unità e la variazione nella teoria linguistica
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Nell’ambito del modello a principi e parametri della grammatica generativa, il tentativo di dare risposta al problema di conciliare l’unità e la variazione che si osserva nelle diverse manifestazioni del linguaggio umano si concretizza mediante la nozione di parametro.
Con il concetto di parametro s’intende quelle variabili aperte, associate ai
principi generali che costituiscono la Grammatica Universale (o il Language
Acquisition Device), il cui valore (positivo o negativo, ad esempio, rispetto a
possibili scelte), dovrà essere fissato dall’Esperienza, cioè dai dati della lingua a cui un individuo viene esposto fin dai primi anni di età. Fissando il
valore dei parametri, si chiuderà il sistema aperto della Grammatica
Universale, e da tale processo si otterrà, come risultato, una grammatica, la
grammatica, cioè, di una lingua particolare. Fissare il parametro di un principio universale rende conto, inoltre, della variazione, coerente e solidale, tra
una lingua ed un’altra di una serie di proprietà che a prima vista sembrerebbero del tutto indipendenti le une dalle altre. Di conseguenza, alla nozione
di parametro verrebbe ricondotta la variazione interlinguistica. Inoltre, dal
punto di vista intralinguistico, vale a dire nell’ambito di una stessa lingua, il
valore che verrà assegnato ad uno specifico parametro sarà anche responsabile di manifestazioni sintattiche differenti.
Tra i vari esempi di parametro proposti dalla teoria, tra cui, si potrebbe
citare, quello della direzionalità nell’assegnazione del caso, che descrive la
diversa posizione con cui gli argomenti si dispongono rispetto alle teste lessicali che li selezionano, quello della relativizzazione, che descrive l’esistenza
di pronomi relativi in alcune lingue contro l’assenza di questi elementi in
altre a favore del complementatore, quello dell’estrazione di elementi interrogativi, obbligatoria in certe lingue ma impossibile in altre, e quello dell’omissione del soggetto pronominale, prendiamo in esame, come caso esemplificativo, quest’ultimo.
La possibilità di poter non esprimere lessicalmente un soggetto pronominale, che è una proprietà condivisa anche dalla grammatica dell’italiano,
viene descritta da quello che in ambito teorico è denominato parametro del
soggetto nullo.
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Questo parametro, che discende dal principio di proiezione esteso, appartenente alla Grammatica Universale, può essere esplicitato formalmente nel
modo seguente:10
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(1) Parametro del soggetto nullo
Il soggetto pronominale può essere foneticamente nullo
/
\
SÌ
NO
‚
‚
(italiano, spagnolo,
(inglese, francese,
russo, ecc.)
tedesco ecc.)
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D’accordo con quanto espresso in (1), un individuo che apprende una lingua come l’italiano, a contatto fin dai primi anni di vita con i dati di questa
lingua, sceglierà l’opzione SÍ del parametro, assegnando, pertanto, questo
valore alla variabile aperta. Invece, se la lingua con cui entra in contatto è, ad
esempio, l’inglese, sceglierà l’opzione NO dello stesso parametro. In entrambi i casi determinerà la “chiusura” del sistema aperto della Grammatica
Universale, e darà luogo a due grammatiche differenti: quella dell’italiano e
quella dell’inglese.
La variazione tra lingue che assegnano un valore differente al parametro
del soggetto nullo, come ad esempio l’italiano e l’inglese, e le diverse proprietà sintattiche riconducibili, all’interno di una stessa lingua, ad ognuna
delle due scelte, vengono espresse in (2):
(2) italiano
inglese
a. __ è arrivato.
*(he) arrived.
b. __ è arrivato Gianni.
*___ arrived John.
c. __ piove /
*(it) is raining /
__ sembra che verrà.
*(it) seems that he will come.
10
Il contenuto del principio di proiezione esteso (cfr. Chomsky, 1986, p.116) può essere parafrasato
nel modo seguente: “Le rappresentazioni ad ogni livello sintattico (Forma Logica, Struttura profonda e
Struttura superficiale) sono proiettate dal Lessico, e tutte le frasi devono possedere un soggetto”. Il
parametro del soggetto nullo, (1), è associato alla seconda parte del principio di proiezione esteso, nella
quale si stabilisce che ogni costruzione frasale deve essere provvista di una posizione strutturale di
soggetto. La prima parte dello stesso principio, invece, stabilisce essenzialmente che tutte le informazioni
che vengono specificate nel Lessico, come, ad esempio, le diverse proprietà di selezione semantica delle
unità lessicali, così come le loro proprietà categoriali, devono restare costanti ad ogni livello della
derivazione della frase, devono, cioè, essere rispettate sia in sintassi sia nei livelli interpretativo e
fonologico.
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Nei casi in (2a) si può osservare che la scelta positiva assegnata al parametro permette, in italiano, di omettere il soggetto pronominale. In inglese,
invece, l’opzione negativa impone la realizzazione dello stesso elemento. La
stessa scelta positiva, inoltre, dà la possibilità, a lingue come l’italiano, di
esprimere il soggetto in posizione postverbale, mentre ciò non può verificarsi sistematicamente in lingue come l’inglese, come mostrano i contrasti in
(2b).11 Infine, come si può osservare in (2c), la scelta positiva al parametro
impedisce ai verbi “impersonali” di realizzare un soggetto. In inglese, invece, con la stessa classe di verbi la posizione di soggetto strutturale deve essere sempre segnalata da una forma di espletivo, it nei casi proposti. 12,13
Il presupposto concettuale su cui si fonda la nozione di parametro è che
in alcuni di essi una delle opzioni costituisca la scelta non marcata, o neutra,
cioè l’opzione direttamente derivabile da quanto stabilito dal principio universale a cui il parametro stesso è associato. L’altra opzione costituirebbe,
invece, l’opzione marcata rispetto allo stesso principio universale.
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Si noti che in inglese con alcune classi verbali, in particolare la classe degli inaccusativi e quella degli
esistenziali, è possibile realizzare il soggetto in posizione postnominale quando indefinito, come mostrano
i seguenti esempi:
(i)
There arrived three men
/
There is a man in the street
‘arrivarono tre uomini’
‘C’é un unomo per strada’
Come si può osservare, però, anche in questi casi particolari la posizione di soggetto strutturale è
sempre occupata da un elemento espletivo (there), come viene stabilito dalla seconda parte del principio
di proiezione esteso (cfr. nota 10).
12
Le diverse proprietà che distinguono le lingue a soggetto nullo dalle lingue non a soggetto nullo
(cfr. (1)) devono essere ricondotte all’accordo verbale. Si potrebbe affermare, infatti, che nelle lingue in
cui la flessione verbale è sufficientemente ricca da poter distinguere le varie persone grammaticali (come
accade in italiano, spagnolo, russo, ecc.), il soggetto pronominale può essere omesso: i tratti di accordo del
verbo ne recuperano il contenuto. Invece, nelle lingue dove la morfologia del verbo è povera (come accade
in inglese, francese, ecc.) il soggetto pronominale deve avere realizzazione fonetica: il suo contenuto non
può essere recuperato dai tratti di accordo stessi del verbo.
13
Nell’ambito del modello a principi e parametri il parametro costituisce una condizione necessaria
ma non in tutti i casi obbligatoria. Infatti, per quanto concerne il parametro del soggetto nullo, è
importante precisare che nelle lingue che scelgono l’opzione SÌ il soggetto pronominale in certi casi può
o deve comparire lessicalmente espresso, come mostrano i seguenti esempi dell’italiano:
(i) a.
Gianni ha detto che lui non firmerà la petizione (gli altri lo faranno senz’altro).
b.
Questo lo affermi tu.
c.
Credo che tu non abbia ragione.
Nel caso (i.a) la realizzazione del soggetto pronominale è determinata dalla volontà, da parte
dell’emittente, di porre in rilievo questo elemento all’interno della struttura frasale. In (i.b) la realizzazione
del soggetto pronominale in posizione postverbale deve attribuirsi al fatto che in questa costruzione il
pronome stesso costituisce l’informazione nuova (cfr. nota 25). Per questa ragione non può essere omesso:
*Questo lo affermi. Infine, in (i.c) la presenza del pronome personale di 2° persona singolare è richiesta
poiché il verbo compare al congiuntivo. Il presente del congiuntivo, infatti, non distingue, nel paradigma
flessivo del verbo, le prime tre persone singolari. Pertanto, se nel caso in esame il soggetto venisse omesso,
l’interpretazione coinciderebbe con la 3° persona del singolare. Per i casi in (i.b) e in (i.c) si rimanda il
lettore al paragrafo 4 di questo lavoro.
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All’opzione marcata si accederebbe solo attraverso il contatto diretto con i
dati della lingua.14
Se si adotta, per l’acquisizione delle lingue straniere, l’ipotesi della marcatezza nelle opzioni parametriche, diventa plausibile elaborare una griglia di
possibilità che metta in relazione le diverse scelte parametriche adottate dalla
grammatica della lingua materna dell’apprendente con quelle adottate dalla
grammatica della lingua straniera (cfr. Brucart, 1999). Questa griglia, d’accordo con le predizioni del modello a principi e parametri, sarà in grado di
prevedere il maggiore o minore grado di difficoltà che l’apprendente potrebbe incontrare nell’acquisire fenomeni linguistici che caratterizzano la lingua
d’arrivo. Nei due casi in cui le scelte parametriche tra lingua d’arrivo e lingua di partenza non divergono, perché entrambe scelgono o l’opzione marcata o l’opzione non marcata per lo stesso parametro, il grado di difficoltà
sarà basso, al di là, naturalmente, delle tendenze generali (universali) che guidano il processo di acquisizione in sé.15
Maggiori difficoltà nell’acquisizione, invece, si avranno quando la lingua
materna dell’apprendente e la lingua straniera divergono in quanto a scelte
parametriche. In questi casi, il maggior grado di difficoltà verrebbe riscontrato nel caso in cui la lingua materna sceglie l’opzione non marcata per un
determinato parametro, mentre la lingua straniera sceglie l’opzione marcata
per lo stesso parametro. Invece, se si realizza il caso contrario, cioè l’opzione
marcata viene scelta dalla lingua materna e quella non marcata dalla lingua
straniera, allora le difficoltà di apprendimento risulterebbero minori.16
L’ipotesi appena illustrata è stata corroborata nell’ambito degli studi sull’acquisizione delle lingue straniere. Liceras (1996) ha investigato sui problemi di acquisizione relativi al parametro del soggetto nullo in gruppi di
anglofoni che apprendevano lo spagnolo come lingua straniera e, allo stesso
tempo, in gruppi di ispanofoni che apprendevano l’inglese come lingua straniera. Il risultato dell’indagine effettuata dalla studiosa ha dimostrato che gli
ispanofoni incontrano abbastanza difficoltà a dominare l’obbligatorietà della
realizzazione di un pronominale (referenziale o espletivo) in posizione di
14
In Chomsky (1986), questa ipotesi viene espressa nel modo seguente: “The distinction between
core [language] and periphery leaves us with three notions of markedness: core versus periphery, internal
to the core and internal to the periphery. The second has to do with the way parameters are set in the
absence of evidence.” (p.147).
15
L’idea che nel processo di apprendimento delle lingue straniere si progredisca per schemi
sequenziali universali sta alla base della nozione stessa di interlingua.
16
Si noti che questa ipotesi non si accorda con i presupposti teorici della grammatica contrastiva,
secondo la quale ogni variazione interlinguistica presuppone lo stesso grado di difficoltà nel processo di
acquisizione delle lingue straniere.
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soggetto strutturale. Gli anglofoni, invece, individuano con maggiore facilità
i contesti in cui in spagnolo il pronominale soggetto può essere omesso, e riescono, così, a riprodurli correttamente.17
Nell’insegnamento dell’italiano come lingua straniera, quindi, appare
naturale l’importanza che riveste l’individuazione, da parte del docente, delle
opzioni parametriche che caratterizzano la grammatica della lingua, e al
tempo stesso, il confronto di queste con le scelte parametriche che interessano la lingua materna, o le lingue materne, degli apprendenti. Come si è potuto osservare, infatti, nelle variazioni connesse alle diverse opzioni parametriche sembrano risiedere le maggiori difficoltà di acquisizione.
In relazione agli effetti sintattici determinati dalla scelta positiva al parametro del soggetto nullo, (2a-c), e alla proposta, presentata in precedenza e ispirata alla nozione stessa di parametro, secondo la quale risulterebbe più efficace ed adeguato permettere agli apprendenti di accedere ad una descrizione più
generale anziché presentare loro una serie di regole indipendenti (cfr. §1.2), si
potrebbe suggerire che durante l’attività didattica le proprietà sintattiche quali
l’omissione del soggetto pronominale, la possibilità dell’espressione del soggetto (pronominale e non) in posizione postverbale, e la possibilità di realizzare un soggetto pronominale con valore di rilievo vengano presentate congiuntamente agli apprendenti, mediante, ad esempio, la costruzione di esercizi specifici. Queste diverse scelte formali, intimamente vincolate tra loro, potranno
poi essere approfondite durante la fase della riflessione grammaticale.
Lavorando sugli stessi esercizi, inoltre, si potrebbe indurre gli apprendenti a
dedurre le ragioni che permettono l’omissione del soggetto pronominale e una
maggiore libertà nella posizione del soggetto all’interno della frase in italiano,
vale a dire la presenza di unità morfologiche differenziate, di natura nominale
(persona e numero), nella flessione verbale. 18
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17
Questi risultati avvalorano l’ipotesi proposta da Hyams ((1986), p.63 e segg.) secondo la quale
l’omissione del soggetto pronominale corrisponderebbe all’opzione non marcata del parametro del
soggetto nullo. Hyams basa la sua ipotesi sul fatto che i bambini che apprendono l’inglese come lingua
materna prima di fissare l’opzione del parametro che corrisponde alla grammatica della loro lingua
passano per una fase in cui omettono sistematicamente il soggetto (pronominale).
18
Alle manifestazioni sintattiche presentate in (2), riconducibili alle diverse scelte assegnate al
parametro del soggetto nullo, se ne deve aggiungere un’altra che riguarda le costruzioni interrogative. Se
nell’ambito di frasi subordinate dichiarative il soggetto viene interessato dalla regola di formazione di
interrogative, nelle lingue a soggetto nullo il complementatore della frase subordinata stessa deve/può
comparire; nelle lingue non a soggetto nullo, invece, lo stesso elemento non può realizzarsi, come
mostrano i casi seguenti:
(i) a. Chi credi che __ sia arrivato?
italiano
b. Who do you think (*that) __ arrived?
inglese
Data la complessità della struttura, questa variazione potrà essere affrontata didatticamente solo
quando i discenti avranno raggiunto una conoscenza abbastanza approfondita della grammatica
dell’italiano.
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3. L’aspetto semantico nella teoria linguistica
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A partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, l’aspetto semantico acquisisce
grande rilievo nell’ambito della grammatica generativa. Questa profonda
innovazione, che interessa il piano formale della teoria, senza naturalmente
pregiudicarne i fondamenti concettuali, si concretizza mediante l’introduzione della nozione di ruolo tematico (semantico) e mediante la conseguente
importanza che viene attribuita al Lessico (Componente lessicale), come
mostra il modello della Grammatica che Chomsky (1981, 1986) formalizza
per la derivazione delle frasi.19
L’introduzione dei ruoli tematici e il potenziamento del Lessico sanciscono, come conseguenza immediata, il superamento del valore assiomatico fino
a quel momento assegnato alla frase. Nel modello precedente al modello a
principi e parametri, infatti, la frase, concepita come il nodo in cui convergono le proiezioni massimali delle categorie lessicali Nome e Verbo, veniva
considerata come l’unità massima di analisi della grammatica.20 Di conseguenza, i fenomeni linguistici di portata più ampia, e che hanno implicazioni nel discorso, non potevano essere descritti, poiché al di fuori dei confini,
abbastanza ristretti, della frase stessa.
All’assunto formale concernente la struttura della frase deve attribuirsi la
maggior parte delle critiche rivolte alla teoria linguistica dagli studi nell’ambito della didattica delle lingue straniere; dati gli obiettivi di questa disciplina, che rivolge la sua attenzione sul componente dell’Esecuzione, gli aspetti
comunicativi e pragmatici della lingua non possono, infatti, essere ignorati.
Tuttavia, critiche di questo tipo alla teoria linguistica perdono consistenza alla luce delle sostanziali innovazioni che sono state menzionate. Nel
modello a principi e parametri, infatti, la frase viene concepita non già come
l’unità massima di analisi, bensì come l’espressione delle combinazioni sintattiche delle diverse unità linguistiche, le quali si ottengono partendo dalle
informazioni contenute nel Lessico e mediante un percorso che procede dal
19
Nel modello a principi e parametri il potenziamento del Lessico si rende esplicito attraverso
l’ipotesi che il modello della Grammatica sia costituito da due componenti principali: il Lessico e il
Sistema Computazionale. Il Lessico contiene l’insieme delle parole di una lingua, ognuna delle quali
include le proprietà categoriali, semantiche, fonologiche e morfologiche che la caratterizzano (cfr. nota
10). Il sistema computazionale è costituito, invece, da regole e principi che assegnano alla combinazione
di elementi lessicali una rappresentazione strutturale a ogni livello della Grammatica: Strutturap(rofonda), Struttura-s(uperficiale), Forma Fonetica e Forma Logica. Nel recente modello minimalista,
Chomsky (1995) apporta ulteriori modifiche al modello della Grammatica appena descritto, senza però
alterare il ruolo fondamentale svolto dal Lessico per la costruzione delle frasi di una lingua.
20
La regola per la struttura della frase, concepita come assioma iniziale di tutto il sistema di regole,
aveva la forma seguente: F Æ SN SV.
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basso e si proietta verso l’alto, un percorso, cioè, che inizia dalla parola e arriva al sintagma. Parafrasando quanto espresso dallo stesso Chomsky (1981,
1986), nel modello a principi e parametri la sintassi viene concepita come la
proiezione delle dipendenze lessicali. Questa ipotesi viene chiaramente sussunta dal principio di proiezione esteso (cfr. nota 10).
La nuova prospettiva di indagine viene ad acquisire un potere esplicativo
superiore nello studio del funzionamento del linguaggio, e permette, tra le
altre proprietà, di descrivere la buona formazione di costruzioni linguistiche
non frasali (frammenti) e di determinarne l’adeguatezza in contesti superiori alla frase stessa.
A tale proposito, si osservi l’esempio seguente:
(3) a. Che cosa teme Maria?
b. La reazione di suo padre.
Dal punto di vista sintattico, l’espressione nominale in (3b) risulta ben
formata: il nome deverbale reazione esprime il suo argomento esterno, l’agente, mediante il sintagma preposizionale di suo padre. Inoltre, la proiezione del nome viene correttamente completata, o “delimitata”, dall’articolo
definito la: in italiano un nome contabile e al singolare ha bisogno della presenza di una forma di determinante che ne espliciti la referenza.
Il frammento in (3b), inoltre, che nel discorso è interpretabile come risposta alla domanda in (3a), è legittimato dalla presenza, in questa costruzione,
dell’interrogativo che cosa. L’elemento che cosa assume nella frase lo statuto
di operatore e, superando i limiti della costruzione in cui compare, trasmette il ruolo tematico di tema, assegnato dal verbo temere, all’espressione in
(3b). Gli interrogativi, pertanto, vengono ad assumere, nel discorso, il valore di elementi cataforici che fungono da unità ponte per la trasmissione dei
ruoli semantici, e quindi per la coesione nel discorso.21
Dal punto di vista didattico, inoltre, la nozione di ruolo tematico viene a
rappresentare un valido aiuto per comprendere errori di produzione del tipo
seguente, frequenti negli apprendenti di italiano come lingua straniera:
(4) a. *Basta pochi euro.
b. *Succede cose strane.
c. *Mi piace i gruppi rock.
21
Si osservi che un frammento come “Della reazione di suo padre” non può essere interpretato come
risposta alla domanda in (3a). Il ruolo tematico trasmesso dall’interrogativo “che cosa” non troverebbe in
esso adeguata realizzazione sintattica. È importante aggiungere, inoltre, che le innovazioni formali
espresse nel modello a principi e parametri permettono di trattare anche fenomeni quali le relazioni
anaforiche e i casi di ellissi.
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Errori di questo tipo non devono essere attribuiti alla posizione che l’espressione nominale occupa nella struttura, la realizzazione del nominale
soggetto in posizione postverbale non deve considerarsi responsabile del
mancato accordo tra soggetto e tratti di flessione del verbo. Questa affermazione è giustificata dal fatto che gli stessi apprendenti non commettono, in
generale, errori del tipo: *Ha telefonato Maria e Piero.
La ragione dell’agrammaticalità dei casi in (4) deve invece attribuirsi al
fatto che verbi come bastare, succedere e piacere possiedono un tratto in
comune, sono, cioè, verbi inaccusativi.
Nella tradizione grammaticale verbi di questo tipo vengono trattati come
verbi intransitivi. Tuttavia, presentano comportamenti sensibilmente differenti da verbi come lavorare, dormire, ecc., anch’essi inclusi nella classe dei
verbi intransitivi.
Una distinzione terminologica tra verbi inaccusativi (come arrivare, entrare, rompersi, ecc., e i predicati in (4)) e verbi inergativi (come telefonare, lavorare, dormire, ridere, ecc.) può cogliere le proprietà sintattiche che differenziano il primo gruppo dal secondo. Queste proprietà devono essere ricondotte alla diversa natura del ruolo tematico che il predicato assegna all’espressione nominale soggetto.22 Sia i verbi inergativi che i verbi inaccusativi
selezionano un solo argomento. Tuttavia, mentre i verbi inergativi assegnano
ad esso il ruolo tematico di agente o di esperiente, gli inaccusativi assegnano
al loro unico argomento il ruolo tematico di tema o paziente, che di norma è
il ruolo tematico assegnato all’argomento interno (l’oggetto diretto) nei predicati transitivi. La grammatica generativa, per rendere conto del comportamento sintattico dei verbi inaccusativi, e basandosi sulle relazioni semantiche
tra argomento e predicato, propone che l’unico argomento selezionato da
questa classe di predicati corrisponda all’argomento interno (associato alla
funzione grammaticale di oggetto diretto), il quale, però, viene “promosso”
a soggetto grammaticale, operazione che motiva l’accordo, alla stregua di
quanto accade all’oggetto logico nelle costruzioni passive.
Se si adotta questa ipotesi di analisi per valutare il processo di
22
In italiano, i verbi inaccusativi si differenziano dai verbi inergativi per le seguenti proprietà: a) nelle
forme composte scelgono l’ausiliare essere e richiedono accordo in persona e numero tra il participio
passato e il soggetto grammaticale (cfr. I ragazzi sono arrivati / I ragazzi hanno dormito); b) nel caso in cui
il soggetto compare in posizione postverbale ed è modificato da un quantificatore non universale, esso può
essere ripreso dal clitico partitivo ne (cfr. Ne sono arrivati molti vs. *Ne hanno dormito molti); c) nelle
costruzioni participiali assolute, il soggetto grammaticale può realizzarsi lessicalmente (cfr. Arrivati gli
amici, si iniziò a mangiare vs. *Dormiti i bambini, si poté accendere la televisione). Come si può osservare
dai contrasti appena visti, l’espressione nominale soggetto dei verbi inaccusativi presenta gli stessi
comportamenti sintattici dell’oggetto diretto dei predicati transitivi e del soggetto grammaticale nelle
costruzioni passive.
55
apprendimento dell’italiano come lingua straniera, è possibile far luce su
errori del tipo di (4). Gli apprendenti, nella loro interlingua, ipotizzano una
regola che si basa sulle relazioni semantiche tra argomento e predicato per
realizzare l’accordo tra soggetto e verbo.23 Nel caso degli inaccusativi, quindi,
non attuerebbero l’accordo poiché riconoscono, nell’unico argomento, un
tema e non un agente o esperiente.24
4. funzione e forma nella lingua
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Gli studi rivolti a sviluppare metodi sempre più efficaci per l’apprendimento delle lingue straniere sostengono che l’insegnamento della grammatica debba essere affrontato partendo dal significato.
Questa linea di condotta, coerente con i presupposti cognitivisti, non
entra in conflitto con la proposta, che vogliamo difendere in queste pagine,
di adottare le ipotesi sviluppate da teorie formali quali la grammatica generativa per l’insegnamento della grammatica dell’italiano. Come abbiamo presentato nei capitoli precedenti, infatti, la grammatica generativa, nei suoi sviluppi più recenti, assegna grande importanza al significato, e al tempo stesso
riconosce un ruolo importante alle funzioni della lingua. In relazione alle
funzioni della lingua, l’ipotesi che le differenze nella forma possono essere
associate a differenze nel significato viene accettata dalla grammatica generativa. Ciò che essa respinge, naturalmente, è l’ipotesi “forte” secondo la
quale forma e significato siano sempre in relazione biunivoca tra loro, assunzione, peraltro, facilmente falsificabile dal punto di vista empirico.
A tale proposito, si potrebbe menzionare l’ordine con cui le parole si
dispongono all’interno della frase. Rispetto alla disposizione degli elementi
maggiori all’interno della frase, l’italiano risponde all’ordine S(oggetto)
V(erbo) O(ggetto). Quest’ordine, però, può essere alterato per esprimere
contenuti informativi differenti.
Se prendiamo in esame le costruzioni in (5), si può osservare che, nonostante il loro contenuto proposizionale sia lo stesso, esse non possono essere
prodotte indistintamente in tutti i contesti:
(5) a. Regalerò un libro a Maria.
23
La stessa proposta viene avanzata da Brucart (1999) per rendere conto di problemi di
apprendimento dello spagnolo come lingua straniera.
24
In relazione ai dati presentati nel testo, è interessante osservare che anche molti parlanti
dell’italiano, in particolare adolescenti, commettono errori del tipo di (4). Inoltre, di fronte a costruzioni
come Gli piace il teatro non tutti riescono ad individuare correttamente il soggetto grammaticale. Se
interrogati a riguardo, o propongono l’esistenza di un “soggetto sottinteso”, oppure assegnano al clitico
gli la funzione di soggetto.
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b. A Maria(,) le regalerò un libro.
c. A MARIA, regalerò un libro.
Nei casi in (5b) e (5c) l’anteposizione dell’oggetto indiretto deve attribuirsi alla distinzione informazione conosciuta (dato) e informazione nuova
(nuovo) con cui, dal punto di vista informativo si divide, in generale, la
frase.25 In (5b) l’oggetto indiretto viene espresso in posizione iniziale perché
rappresenta l’informazione conosciuta, rispetto all’informazione nuova veicolata dal resto della frase. (5b) è compatibile come risposta a una domanda
del tipo: Che cosa hai deciso per Maria?
In (5c), invece, l’oggetto indiretto anteposto, enunciato con forte enfasi
melodica, costituisce l’informazione nuova, in contrasto con il contesto. (5c)
è compatibile come risposta ad un enunciato del tipo: Potresti regalare un
libro a Francesca.
Queste costruzioni, marcate in quanto all’ordine degli elementi, e che nell’ambito della grammatica generativa vengono denominate, rispettivamente,
dislocazione a sinistra e topicalizzazione, mostrano che forma e contenuto
comunicativo sono vincolati tra loro.
Tuttavia, se si esaminano le lingue naturali, non sembra appropriato affermare che il contenuto e la forma siano sempre associati tra loro, tesi, questa,
difesa dalle teorie funzionaliste, le quali sostengono che dalla funzione comunicativa derivi la forma stessa della lingua.
Se si considera, infatti, la frase in (5b), si deve ammettere che, oltre all’ordine alterato delle parole, che, come si è detto segue il paradigma funzionale dato-nuovo, esiste comunque un requisito formale indipendente che deve
essere rispettato per la buona formazione stessa della costruzione, e cioè che,
all’interno della frase si realizzi un pronome clitico (le) associato al costituente dislocato (a Maria). Lo stesso requisito non può essere soddisfatto nel
caso della costruzione in (5c), la quale, però, a sua volta, richiede, come scelta formale indipendente dal contenuto, che il soggetto, se si realizza lessicalmente, occupi la posizione postverbale (cfr. UNA MACCHINA NUOVA, vuole
Gianni vs. ?*UNA MACCHINA NUOVA, Gianni vuole).
25
Le nozioni di dato e nuovo appartengono alla grammatica del discorso. Adottando questa
dicotomia, si afferma che le frasi (o enunciati) si compongono, in generale, di una parte data (ciò che
l’emittente presuppone sia conosciuto dal ricevente al momento dell’enunciazione) e di una parte nuova
(ciò che si suppone come non conosciuto dal ricevente). D’accordo con il principio che nella
comunicazione si tende a partire dal dato per giungere al nuovo, nella frase la parte data precede sempre,
nell’ordine, la parte nuova. Secondo questa ipotesi, in (5b) il costituente dativo si realizza ad inizio di frase
poiché rappresenta la parte nuova della costruzione. L’emittente, comunque, sempre per ragioni
informative, può alterare quest’ordine “oggettivo” e realizzare l’ordine nuovo-dato. E’ ciò che accade nel
caso in (5c), dove il costituente dativo A MARIA rappresenta la parte nuova dell’enunciato.
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Un altro argomento, che invalida la tesi funzionalista nella sua versione
“forte”, ci viene offerto, sempre nell’ambito dell’ordine delle parole nella
frase, da costruzioni del tipo seguente:
(6) a. La musica classica piace a Maria.
b. A Maria piace la musica classica.
In (6b) non sembra possibile sostenere che il costituente oggetto indiretto venga espresso in posizione iniziale (dislocata) per soddisfare obbligatoriamente il paradigma funzionale dato-nuovo, come accade, invece, nel caso
in (5b), e neppure il paradigma funzionale nuovo-dato espresso dal caso in
(5c). Infatti, la frase in (6b) può essere considerata, dal punto di vista informativo, come tutta nuova, alla stregua di (5a) e (6a): può essere emessa, ad
esempio, come inizio di discorso.
Adottando quanto proposto da Cardinaletti (2002), l’oggetto indiretto
rappresenterebbe, in casi di questo tipo, il soggetto della predicazione, e non
equivarrebbe ad un elemento dislocato per precisi scopi funzionali. Non ci
sarebbe, pertanto, coincidenza tra forma e funzione comunicativa.26,27
Come ulteriore osservazione sull’inadeguatezza di assumere, nell’insegnamento della grammatica, l’ipotesi che dal contenuto comunicativo derivi
necessariamente la forma, possiamo addurre il fatto che, se esaminate in
un’ottica comparativa, le lingue molto spesso codificano stessi contenuti
mediante scelte formali differenti. A tale proposito, si prenda in considerazione il parametro del soggetto nullo (cfr. §2). Nelle lingue a soggetto nullo,
come ad esempio l’italiano, il soggetto pronominale si realizza, in generale,
quando si vuole assegnare a questo elemento un valore di rilievo; oppure, la
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Come osserva Cardinaletti (p.10 e segg.), l’oggetto indiretto che compare in costruzioni del tipo di
(5b) non può essere trattato come l’oggetto indiretto anteposto che troviamo in costruzioni del tipo di
(6b). Infatti, mentre i costituenti dislocati a sinistra (cfr. (5b)) non possono comparire né in costruzioni
gerundive in cui l’ausiliare si realizza in posizione iniziale, (i.a), né in subordinate completive con
complementatore non espresso, (ii.a):
(i). a.
*Avendo(le) a Maria regalato un libro,….
b.
?*Credevo a Maria (le) avessero regalato un libro.
un ausiliare al gerundio in posizione iniziale, così come la non realizzazione del complementatore che, sono
compatibili con un costituente dativo anteposto in costruzioni del tipo di (6b):
(ii). a.
Essendo a Maria piaciuta la musica classica,….
b.
Credevo a Maria piacesse la musica classica.
Pertanto, nonostante l’ordine degli elementi sia lo stesso e il contenuto informativo veicolato dalle
costruzioni in (5b) e (6b) possa essere lo stesso, per rendere conto dei contrasti in (i) e (ii) è necessario
ipotizzare strutture formali differenti.
27
Per costruzioni del tipo di (6b) sembra, quindi, intervenire un fenomeno più generale, vale a dire
la tendenza a scegliere come soggetto della predicazione l’argomento del verbo a cui viene assegnato il
ruolo tematico più prominente.
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sua realizzazione è obbligatoria in quei contesti in cui si darebbe luogo ad
ambiguità nella determinazione del referente, indipendentemente dal contenuto comunicativo (es. Spero che (lui) possa farcela vs. Spero che #(tu) possa
farcela) (cfr. nota 13). Nelle lingue non a soggetto nullo, come ad esempio
l’inglese, non è invece possibile ricorrere alla scelta formale presenza/omissione del soggetto pronominale per veicolare lo stesso contenuto informativo che si ottiene in italiano; nelle lingue non a soggetto nullo la posizione di
soggetto strutturale deve essere sempre occupata lessicalmente.
Infine, un ultimo esempio che si potrebbe citare è rappresentato dal fenomeno dell’accordo nei tratti di persona, numero e genere. Questa proprietà
grammaticale, di natura esclusivamente formale, permette di esprimere i vincoli che all’interno di una struttura si vengono a stabilire tra due o più elementi linguistici solo in quelle lingue che possiedono morfemi flessivi di
accordo. La mancanza di morfemi di flessione in altre lingue permette di
determinare variazioni quali a nice girl dell’inglese e una ragazza simpatica
dell’italiano.
Se si esamina la grammatica di una lingua, e delle lingue in generale, pertanto, non si può negare l’esistenza di principi formali che non possono essere derivati direttamente da principi funzionali.
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5. Conclusioni
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In questo lavoro siamo partiti dall’ipotesi che nell’insegnamento/apprendimento delle lingue straniere la grammatica riveste un ruolo importante.
Abbiamo poi cercato di mostrare che molti dei problemi che possono sorgere durante la pratica didattica devono attribuirsi a questioni di natura grammaticale. Dal momento che i libri di testo adottati per l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera non si organizzano intorno alla grammatica,
d’accordo con i modelli comunicativi dell’ultima generazione, diventa fondamentale, per il docente, acquisire una solida formazione nella teoria linguistica, la quale deve costituire uno degli aspetti della formazione complessiva e integrata del docente di lingua straniera.
La grammatica generativa può rappresentare un valido candidato a tale
scopo. Fondandosi sul cognitivismo, difendendo lo studio comparativo e,
negli sviluppi più recenti, sostenendo l’aspetto semantico e, nella misura
vista, quello funzionale della lingua, può combinarsi senza difficoltà con le
ipotesi difese in ambito glottodidattico.
Una solida formazione nella teoria linguistica permetterà al docente di
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strutturare il corso di lingua d’accordo con le caratteristiche e le esigenze del
gruppo discente oltre che con gli obiettivi che il corso stesso si propone.
Possedere una formazione nella teoria linguistica gli permetterà, inoltre, di
scegliere testi di supporto più idonei ai fini dell’apprendimento della grammatica, di interpretare adeguatamente le produzioni degli apprendenti e di
intervenire, dove necessario, con strumenti appropriati, come, ad esempio,
materiali di rinforzo o adeguate riflessioni esplicite da sviluppare, dove possibile, durante le occasioni metalinguistiche. Questi interventi, impliciti e/o
espliciti, offriranno agli apprendenti i mezzi necessari per facilitare ed accelerare il processo di acquisizione, vale a dire, saranno in grado di attivare in
modo efficace la costruzione di ipotesi sul sistema della lingua italiana.
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riferimenti bibliografici
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Capitolo 5
La fonetiCa deLL’itaLiano
e iL sUo insegnamento
Luciano Canepàri, María Emilia Pandolfi1
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La fonetica è utile, anzi fondamentale, nell’insegnamento delle LS, perché
aiuta a separare i due diversi livelli della scrittura e della pronuncia, comunemente confusi in una sola “realtà” fittizia.
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1. ogni livello al suo posto
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Ancora troppo spesso, le grammatiche dell’italiano presentano una sintetica parte (di solito, posta all’inizio, più raramente alla fine, e generalmente
definita “Fonologia”), in cui presentano l’alfabeto, cercando di farlo corrispondere a dei valori fonici.
Questo modo di procedere poteva forse essere sufficiente quando l’insegnamento delle lingue era indirizzato quasi esclusivamente alla lettura di testi – letterari, commerciali o tecnici – per la semplice comprensione (e per un’eventuale traduzione in LM). Oggi però la grande importanza della lingua parlata, per
lavoro o per turismo, è più che evidente; perciò, l’insegnamento dell’italiano LS
deve tener conto in modo adeguato e soddisfacente anche della fonetica.
Coloro che intendono la padronanza linguistica slegata dalla competenza
fonologica, rischiano spesso di ridurre la loro didassi alla grammatica e al lessico. L’informazione che un parlante intende trasmettere non è data solamente dal contenuto del messaggio organizzato sintatticamente e testualmente, ma anche dalle strutture prosodiche che si mettono in atto nel
momento della codificazione del testo oltre che, naturalmente, da una adeguata articolazione di ognuno dei suoni che formano la catena fonica attraverso cui viene emesso il messaggio.
1.1. La pronuncia come livello a sé, diverso dalla scrittura
Ogni lingua è, prima di tutto, oralità. Solo in seguito diventa – anche –
scrittura, sebbene ormai siamo abituati, dalla scuola e dalla società, a consi1
Pur se concepito insieme dai due autori, la stesura del paragrafo 1 è opera di Luciano Canepari, la
stesura dei restanti paragrafi è opera di María Emilia Pandolfi.
62
derare le lingue come costituite da: scrittura, grammatica e vocabolario.
Invece, la stragrande maggioranza delle lingue del mondo, che sono
attualmente stimate intorno alle 6.000 entità, non sono scritte. Quindi, almeno il 90% delle lingue non ha neppure un sistema ortografico; eppure, funziona perfettamente, per tutti gli usi comunicativi, sia quotidiani (e, magari,
banali), sia particolari (come rituali religiosi o sociali).
Pensiamo alle ricche tradizioni orali d’un tempo (o, ancora oggi, nei continenti extraeuropei), tramandate dagli anziani ai giovani, di generazione in
generazione. Oppure, consideriamo i vari dialetti, anche d’Italia, e alle loro
filastrocche e canzoni popolari, che ricordano usi e costumi.
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1.2 Quali sono i limiti oggettivi delle varie ortografie?
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L’ortografia d’ogni lingua scritta sembra, ai propri parlanti nativi (acculturati), una specie d’indissolubile e soddisfacente connubio fra lettere e
suoni, tanto che un italofono trova “logico” associare, al valore fonico di sh
inglese o di ch francese, il digramma sc. Ma si tratta, invece, d’un’ingenuità
dannosa e ambigua. Infatti, in italiano, sc vale /S/ solo davanti a vocali anteriori, come in: scimmia, scena, oppure quando c’è un’i diacritica, davanti a
vocali posteriori, come in: sciarpa, sciocco. In parole come: scarpa, scocco,
ovviamente, sc non vale /S/, ma /sk/.
È molto importante capire bene la differenza fra l’impiego dei grafemi,
come in scimmia, scena, sciarpa, sciocco e in scarpa, scocco, e l’impiego dei
fonemi, nelle stesse parole: /’Simmja, ‘SEna, ‘Sarpa, ‘SOkko/ e /s’karpa, s’kOkko/.
A quale pronuncia corrisponde una grafia come scienza? Semplicemente
a /’SEnqa/, come se fosse scritto *scenza. D’altra parte, per sciare, che pronuncia abbiamo? Unicamente /Si’are/, perché deriva da scia /’Sia/.
Ugualmente, abbiamo viale /vi’ale/, derivando da via /’via/; ma fiale /’fjale/ e
sciame /’Same/. Queste grandi differenze fra scrittura e pronuncia non si
potrebbero mostrare, inequivocabilmente se non grazie alla trascrizione fonetica. A dire il vero, qui si tratta di trascrizione fonemica (con -m-), perché i
simboli messi tra barre oblique indicano i fonèmi, ossia i suoni distintivi
d’una lingua, quelli che riescono a far cambiare il significato di parole uguali graficamente, come pesca per esempio.
1.3 C’è uniformità nella pronuncia?
Nel Centro Italia, si parla l’italiano derivato direttamente dal latino, senza
interferenze da parte di altre parlate molto differenti (tant’è vero che anche
63
i dialetti centrali sono strutturalmente simili alla lingua italiana). Al Nord e
al Sud la situazione è piuttosto diversa; infatti, generalmente, per le due
pesche viste sopra, si ha un’unica pronuncia, che può essere con la vocale
chiusa, [e], oppure quella aperta, [E], o ancora con una realizzazione intermedia fra le due neutre: [W].
1.4. L’insegnante d’italiano LS
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Chi insegna all’estero (dove può essere l’unico “modello” per studenti e
insegnanti stranieri) ha il dovere d’avvertire studenti e colleghi stranieri che
la sua personale pronuncia non è neutra, ma presenta caratteristiche della
tale regione, zona, o città. Dovrebbe, inoltre, richiamare l’attenzione sulle
differenze di pronuncia per le stesse parole e frasi, dette nel proprio accento
e in altri accenti.
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1.5 Le lettere non sono suoni
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Le lettere dell’alfabeto non sono suoni: sono solo dei mezzi per scrivere la
lingua. Infatti, non sono le lettere che si pronunciano; al contrario, è la pronuncia che si scrive, o tramite l’ortografia tradizionale, diversa da lingua a
lingua, oppure (e meglio) tramite le “trascrizioni fonetiche”.
Se si usa la trascrizione fonetica internazionale, nota come trascrizione
IPA (International Phonetic Alphabet), lo stesso simbolo vale per tutte le lingue, per indicare suoni simili, al di là delle differenze ortografiche delle varie
lingue, come abbiamo visto per /S/, cui corrisponde sh in inglese (ship), ch in
francese (chapeau), sch in tedesco (schön), anche x in portoghese (xícara)...
Conoscere i principali simboli e i principi dell’Associazione Fonetica
Internazionale è oggi una necessità per chi insegna o studia LS
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1.6 L’importanza dei simboli fonetici
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I simboli fonetici rappresentano il miglior passaggio graduale da una lingua orale a un’altra lingua orale diversa, senza indebite interferenze causate
dall’ortografia, ovviamente differente e con regole diverse da una lingua
all’altra.
Il metodo fonetico è l’unico modo per tenere davvero separati il livello
grafico (ortografia) da quello sonoro (trascrizione fonetica), aiutando a riflettere meglio sulle strutture linguistiche (non solo foniche), perché apre la
mente a possibilità imprevedibili e insospettate.
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1.7 Idee chiare sulla pronuncia migliorano anche la scrittura
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Una buona pronuncia, basata su elementi sicuri, grazie alle trascrizioni
fonetiche, aiuta anche a evitare errori di scrittura, giacché i due livelli (fonico e grafico) sono le due facce del significante linguistico, cioè della manifestazione d’una lingua percepibile coi sensi uditivo e visivo.
Le trascrizioni fonetiche riescono a mostrare chiaramente le differenze fra
la pronuncia e la capricciosa ortografia. Oltre a quanto abbiamo già indicato al paragrafo 1.2, solo la trascrizione fa capire, al di là d’ogni possibile dubbio, che il sostantivo cielo si pronuncia esattamente come il verbo celo (celare), cioè: /’cElo/, senza nessuna traccia di /i/ o /j/. Ugualmente, la trascrizione toglie qualsiasi dubbio su forme ambigue come: ancora, principi, capito,
conservatori, giacché non può fare a meno di segnare l’accento e anche i timbri dei fonemi: /’ankora/ (della nave), /an’kora/ (avverbio); /’principi/ (plurale di principe), /prin’cipi/ (plurale di principio); /’kapito/ (io capito), /ka’pito/ (ho capito); /konserva’tOri/ (musicali), /konserva’tori/ (politici).
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1.8 L’uso del dizionario di pronuncia
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Non per tutte le lingue esiste ancora un dizionario di pronuncia cui si
possa far riferimento per risolvere definitivamente i dubbi di pronuncia,
come l’accentazione di parole, o il timbro di e, o, s, z, o la pronuncia o meno
di certe lettere, come in scienza, cielo, gli uomini. Questi ultimi esempi sono:
/’SEnqa, ‘cElo, ‘LwOmini/, non: */’SjEnqa, Si’Enqa/ (né */’Senqa, ‘SEnQa/),
*/’cjElo, ci’Elo/, */Li’wOmini/.
Per l’italiano c’è il dizionario della Zanichelli (Dizionario di pronuncia italiana, 2000, preparato da chi scrive queste osservazioni), che è un lavoro di
completo rifacimento rispetto a quanto detto finora dalle grammatiche e dai
dizionari d’italiano.
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1.9 Altri strumenti per la pronuncia
Ovviamente, non basta imitare la pronuncia del modello offerto dall’insegnante, è necessario anche sapere ciò che si deve fare per produrre i suoni
giusti e per metterli al posto giusto.
Quindi, un altro strumento indispensabile per l’insegnante d’italiano LS
(ma anche per gli studenti che hanno capito l’importanza della pronuncia), è
una trattazione adeguata dei suoni e dell’intonazione, con molti diagrammi,
sia per le vocali e le consonanti, sia per l’intonazione stessa. Infatti, vedere
come si devono porre la lingua e le labbra è fondamentale per capire come
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produrre un suono vocalico o consonantico, compresa l’attività delle pliche
vocali (o “corde vocali”), che è l’unico elemento che distingua, per esempio,
faro da varo: /’faro, ‘varo/; o quanto da quando: /’kwanto, ‘kwando/; o razza
(umana, canina) /’raqqa/ da razza (pesce) /’raQQa/. Ugualmente, i diagrammi fonetici sono fondamentali per orientarsi nell’intricata realtà dell’intonazione, e per arrivare anche all’esatta esecuzione delle altezze tonali relative
tipiche d’ogni lingua.
In tutti questi casi, sarà importantissimo arrivare a confrontare i diagrammi vocalici, consonantici e intonativi di LM e di LS. Per la pronuncia
italiana, sempre della Zanichelli (dello scrivente) c’è la seconda edizione del
Manuale di pronuncia italiana (1999), che tratta tutti questi argomenti.
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1.10 Necessità di conoscere la struttura fonica della LS e della LM
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Potrebbe sembrare poco importante, ma, invece, è basilare conoscere
anche il sistema fonetico, fonologico e intonativo della propria LM. In questo modo, si riesce a fare dei confronti fra la pronuncia delle due lingue. Se
in italiano non si rispettano le consonanti geminate, si confondono, per
esempio, pala e palla, sano e sanno, moto e motto. Lo stesso avviene se si usa
un’accentazione non regolare, come può avvenire per retina, fra /’rEtina/
(dell’occhio) e /re’tina/ (piccola rete).
Ci sono senz’altro anche problemi d’ordine fonetico che denunciano subito un accento straniero, che può complicare anche la comprensione di ciò
che si vuol dire. Possono avvenire anche scambi fra i fonemi /e, E; o, O; s, z;
q, Q/, in casi in cui non si abbiano coppie minime, come pesca /’peska/ (frutto) e /’pEska/ (in mare), o fosse /’fosse/ (se fosse) e /’fOsse/ (le fosse). Se diciamo */’mOska/ o */dotto’rEssa/, per mosca, dottoressa, /’moska, dotto’ressa/,
non confondiamo concetti diversi, possiamo confondere l’ascoltatore, come
d’altra parte avviene in certe pronunce regionali italiane.
I problemi non mancano nemmeno al livello intonativo, con la possibilità
di confusione, per esempio, fra affermazione e domanda, con ripercussioni
sul buon andamento d’una conversazione; oppure, col disagio (o anche fastidio) da parte di chi ascolta, che può arrivare pure a impedire la normale
comunicazione.
2. Come l’insegnante di lingua può insegnare la pronuncia
È quindi importante che l’insegnante, sin dalla prima lezione, si impegni
a far sì che la produzione del discente sia appropriata e completa. Non ci si
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può accontentare dei messaggi che “si capiscono”.
Naturalmente questa impostazione del lavoro comporta da parte dell’insegnante una convinzione dell’importanza dello spazio che deve avere la pronuncia nell’insegnamento della lingua tale – direbbe L. Costamagna – da
“sensibilizzare gli studenti perché curino la pronuncia della lingua che stanno apprendendo e dimostrare, attraverso esercitazioni appropriate, quanto
essa sia importante per una comunicazione senza difficoltà”.2
L’esercitazione fonetica deve sempre accompagnare la lezione di lingua. A
questo scopo sarà dunque necessario prevedere un momento, all’interno
della lezione di lingua, per poter fare un intervento, anche brevissimo, nell’ambito della fonetica.
Può trattarsi di un intervento occasionale oppure programmato:
- è occasionale ogni volta che l’insegnante interviene per correggere una
pronuncia sbagliata, per evidenziare una struttura prosodica, per dimostrare la giusta articolazione di un suono;
- è programmato quando l’insegnante prevede una parte della sua lezione
per la fonetica da abbinare e integrare ai contenuti di lingua che intende insegnare.
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Prevedere il momento della fonetica in ogni lezione di lingua comporta
come conseguenza per l’insegnante:
- il bisogno di rivedere l’articolazione del piano di lavoro
- il bisogno di approfondire la propria competenza fonologica.
ci
2.1 La fonetica nel piano di lavoro
©
Bo
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c
L’insegnante avrà il compito di didattizzare l’input previsto per la lezione
di lingua anche a scopo fonetico.
Come per ogni piano della lingua, i contenuti fonologici appaiono tutti
insieme in qualsiasi testo che si vorrà sfruttare. Occorrerà allora seguire una
progressione che si distribuisce ogni volta su due filoni simultanei:
- il filone dei singoli suoni del sistema;
- il filone prosodico.
In questo modo si può pensare a interventi finalizzati a:
- acquisire la consapevolezza della propria cinestesia;
- all’ identificazione e discriminazione di suoni;
2
Costamagna, L. (2000), p. 78.
67
- alla produzione e interpretazione dei suoni;
- alla riflessione metalinguistica.
Devono essere anche previsti i criteri di valutazione della produzione
orale dell’allievo dal punto di vista fonologico.
2.2 Approfondire la competenza fonologica dell’insegnante
ris
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ti.
La competenza fonologica dell’insegnante ha tre componenti basilari sui
cui poggia:
- la conoscenza del sistema fonologico dell’italiano LS;
- la conoscenza del sistema fonologico della LM dello studente e delle
eventuali zone di conflitto che possono emergere dal contatto delle due
lingue;
- la chiarezza riguardo ai criteri che reggono la selezione dei modelli.
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Ci interessa, in questa sede, accennare al problema del modello fonologico, che è analogo al problema che si pone per l’insegnamento dell’italiano in
generale.
In ogni contesto didattico, sono perlomeno tre i modelli che si avvicendano durante la lezione:
- il modello di cui l’insegnante è portatore;
- il modello (o i modelli) che l’insegnante seleziona nel suo intervento
didattico;
- il modello al quale si tende.
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Il primo modello porta con sé grandi responsabilità, in quanto è il modello che configuererà la prima immagine di “italiano” che si formerà l’allievo.
È quindi opportuno evitare coloriture regionali spiccate.
Come detto in 1.4 sarà doveroso per l’insegnante chiarire che la sua parlata è solo uno fra i molti modelli di italiano. Dovrà, quindi, presentare continuamente altri modelli che consentano all’allievo di avere una visione complessiva dell’ampia gamma di modelli possibili. È solo in questo modo che
l’allievo potrà operare una scelta e costruire il proprio modello, sempre
all’interno di varianti che non vadano oltre i limiti dell’accettabile.
Si tratta comunque di un percorso guidato, con indicazioni precise, e allo
stesso tempo duttile in quanto viene negoziato un prodotto a partire dai
punti di riferimento forniti lungo detto percorso a partire dal modello che
Canepari definisce “variante moderna”3, che deve essere decisamente preva-
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lente nelle prime fasi dell’apprendimento. Esso ha delle caratteristiche ritenute socialmente prestigiose e ovunque valorizzate; è la variante “più consigliabile oggi, per scopi normali, in quanto largamente accettata, pur senza
connotazioni di toscanismo”.
È opportuno citare in questa sede la riflessione di Santipolo a proposito
della “variante didattica”4 dell’italiano da insegnare. Questa variante “lungi
dall’avere un significato riduttivo (...) e dall’essere una semplificazione della
lingua oggetto dell’insegnamento, costituirebbe invece la migliore rappresentazione, dovutamente calibrata, del reale repertorio linguistico degli italiani inteso come la somma degli strumenti linguistici (o linguistic tools) a
disposizione degli italiani per comunicare”.
Sarà certamente opportuno, nella fase della riflessione metalinguistica e
metacognitiva, che l’allievo possa giungere a definire con chiarezza il modello verso il quale vorrebbe tendere e possa giudicare a che punto ritiene di
trovarsi, nonché esplicitare come sta affrontando il percorso della costruzione del modello fonologico, in modo che, a partire da queste esplicitazioni,
l’insegnante possa “calibrare” la selezione dei modelli da proporre.
Quando si tratta di un percorso fatto all’estero, il problema del modello
ha delle caratteristiche proprie. Il modello di cui è portatore l’insegnante può
subire contaminazioni fonologiche notevoli in quanto è fortemente esposto
all’influsso della lingua locale. L’insegnante dovrà quindi impegnarsi a curare e mantenere il proprio modello e la propria pronuncia.5
All’estero si presenta anche il problema della selezione dei modelli, in
quanto la possibilità di scelta è molto più limitata. Nella maggior parte dei casi
vengono selezionate varianti mediatiche (dalla televisione soprattutto) che
sono solo una rappresentazione parziale dell’intera realtà fonologica italiana,
non solo dal punto di vista diatopico, ma soprattutto per quanto riguarda le
caratteristiche prosodiche di un modello (ritmo, pause, volume, velocità, ecc).
L’italiano trasmesso, preferito perché motivante e vario, finisce per essere più
“autorevole” per l’allievo se la riflessione non è sufficientemente guidata e se
non si è alquanto informati sia dei criteri più validi per la scelta dei modelli,
sia delle caratteristiche dell’italiano, in questo caso, televisivo6.
3
Canepari L. (1999a) p. 23.
Santipolo M. (2002).
5
L'insegnante dovrebbe usare particolare cura nella scelta dei materiali da utilizzare, dato che sul
mercato esistono corsi di fonetica per stranieri con problemi di trascrizione o con grossi problemi di
registrazione
delle voci e quindi poco validi dal punto di vista didattico.
6
Per le caratteristiche dell’italiano televisivo rimandiamo a Diadori P. (1994).
4
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3. Lo scetticismo fonetico
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In questo non facile cammino verso un modello ottimale, non di rado si
presenta un nemico con il quale occorre contendere il campo di azione: lo
“scetticismo fonetico”, cioè, da una parte, l’atteggiamento di incredulità da
parte del discente di poter ottenere una pronuncia migliore e dall’altra l’esperienza di disappunto e scoraggiamento da parte dell’insegnante che trova
che la sua didassi e la sua insistenza in materia di pronuncia non produce i
frutti che vorrebbe.
Condizione indispensabile per vincere lo scetticismo dell’insegnante è
innanzi tutto credere nelle potenzialità dello studente. Non si tratta di una
fiducia ingenua ma strategica e cioè capace di non esaurire mai l’intervento
didattico che, attraverso uno svariato ventaglio di tecniche, trova sempre il
modo opportuno di aiutare l’allievo a controllare la sua articolazione e a evidenziare i progressi, anche quelli meno appariscenti.
A titolo di esempio, si potrebbe dire che ci sono sempre esercizi con cui
l’allievo si sente più rilassato perché gli riescono più facili. Saper alternare
opportunamente gli esercizi, in modo che l’allievo non provi né stanchezza
né scoraggiamento e possa verificare il suo parziale successo, è un’auspicabile strategia da parte dell’insegnante che propone l’attività da svolgere in
laboratorio.
Da parte dell’allievo lo scetticismo deriva da mancanza di convinzione nei
riguardi dell’importanza di una buona pronuncia e da calo della motivazione. Fattori intrinseci o attitudinali e fattori estrinseci o motivazionali possono condizionare il successo dell’apprendimento. Il ruolo della motivazione è
indiscusso, sia quella strumentale che quella integrativa7. Tra i fattori psicoattitudinali che possono particolarmente influire, Costamagna accenna
all’ansia e all’autostima.
L’età può essere una variante d’importanza relativa. L’adulto che apprende prova spesso imbarazzo e insicurezza ma attraverso un percorso adeguate anche persone in età avanzata sono riuscite a fare enormi progressi e a
modificare sostanzialmente gravi problemi di fossilizzazione.
Contano anche le esperienze precedenti sostenute dall’allievo in sede di
apprendimento linguistico sia della LM che di altre L2/LS.
Infine è importante considerare anche l’interesse che ogni apprendente
ha nel voler raggiungere una pronuncia da nativo. Quanto la pronuncia sia
legata all’identità del parlante è noto e quindi non tutti gli apprendenti sono
7
70
Cfr. Costamagna L. (2000), p. 81.
disposti a assumere un’identità che può essere “poco compatibile” con la
propria.
È compito dell’insegnante suscitare l’entusiasmo nei confronti delle possibilità di pronunciare meglio e mantenerlo vivo. La motivazione si mantiene quando l’allievo si diverte, quando c’è un buon rapporto insegnantediscente, quando gli errori sono corretti in modo opportuno e rispettoso
della personalità dell’allievo, quando il discente può visualizzare i suoi progressi e sentire che vengono potenziate le sue capacità.
4. L’analisi delle differenze individuali
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Ogni allievo ha un modo di comportarsi e di reagire in sede di apprendimento fonologico che non sempre coincide con il modo di apprendere altri
tipi di contenuti linguistici. Inoltre, ogni allievo ha delle capacità specifiche
e preferenze davanti a una proposta di lavoro relativa alla pronuncia, le quali
possono essere colte e appositamente sfruttate attraverso l’attività nel laboratorio linguistico.
In materia di pronuncia, l’invito della psicolinguistica ad effettuare un’analisi delle differenze individuali è particolarmente valido. Prevedere oltre a
un’esercitazione di gruppo d’accordo agli obiettivi generali, anche un’esercitazione per gruppi o livelli, nonché specifiche proposte addirittura personalizzate, possono essere l’antidoto per lo “scetticismo”.
Preparare esercizi di gruppo, di livello e personalizzati non è semplice e
richiede che l’insegnante segua, attraverso un registro più o meno particolareggiato, la situazione dei singoli allievi. Le varianti che potrebbero essere
prese in considerazione sono parecchie. Può essere di valido aiuto confezionare griglie di analisi o questionari dai quali possano emergere punti indicativi per la preparazione dell’esercitazione, da riversare in seguito su singole
schede. Ecco alcune proposte:
In base all’atteggiamento del discente
- Dimostra interesse a migliorare la pronuncia?
- È interessato a conoscere altri modelli?
- Accetta di buon grado le correzioni?
- Prova disagio se viene corretto davanti ai compagni?
- Prova disagio se viene corretto da un compagno?
- Preferisce le prestazioni individuali o a coppie (o in gruppo)?
- Con quali tipi di esercizi si dimostra più rilassato?
71
- Quali input lo motivano maggiormente? (canzoni, registrazioni, testi
televisivi...)
- Si dimostra teso di fronte a registri molto veloci o con interferenze di
rumori o sovrapposizione di voci?
In base ai contenuti fonologici
Si prendono in considerazione le componenti basilari del sistema fonologico, per le quali proponiamo una griglia di partenza.
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Espressione
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Accento
Durata
Intonazione
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Vocalismo
Consonantismo
Gruppi consonantici e varianti contestuali
Prosodia
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Per ogni voce poi si scenderà nel dettaglio, tenendo conto della LM. Ad
esempio, per degli studenti ispanofoni, si potrebbe proporre la seguente suddivisione:
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Vocalismo
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non molto
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Le vocali sono definite?
Hanno la distribuzione giusta?
L’allievo conosce le principali regole ortoepiche?
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Consonantismo
sì
non molto no
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Realizza la /s/ non sonora nei contesti che lo richiedono?
Distribuisce adeguatamente la /s/ sonora e non sonora?
Realizza le occlusive sonore in modo adeguato?
Realizza /q/ e /Q/ adeguatamente o le scambia per /s/ e /z/?
Dà la lunghezza giusta a /Q, N, L, S/?
Intervengono adeguatamente le labbra in /S/, /c/, /G/?
Realizza la /G/ come affricata o occlucostrittiva?
Realizza la /v/ come labiodentale?
Realizza la /N/ come palatale o la scambia per [nj]?
Realizza la /r/ polivibrante nei contesti giusti?
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Gruppi consonantici e varianti contestuali
sì
non molto no
sì
non molto no
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Conosce le principali regole accentuali?
Rispetta la sede dell’accento nella singola parola?
Differenzia accenti primari e secondari e
li distribuisce adeguatamente?
Rispetta le doppie?
Rispetta i raddoppiamenti sintattici più prestigiosi?
Dà la durata adeguata alle scempie?
Allunga il segmento finale delle sillabe toniche finenti
in consonante?
Allunga la vocale tonica di sillaba aperta?
Rispetta l’intonazione discendente delle conclusive?
Rispetta l’intonazione ascendente delle interrogative totali?
Fa la differenza tra interrogative totali e parziali?
Fa la differenza tra interrogative parziali formali e informali?
Usa adeguatamente la tonia sospensiva?
Rispetta l’intonazione di incisi e citazioni?
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Prosodia
ti.
Realizza C + r dando alla r la lunghezza adeguata?
Realizza /n/ + /v/ come [Mv] o scambia per [mb]?
Realizza /n/ o /l/ + /q/ o /Q/ rispettando
l’occlucostrizione di /q, Q/?
Rispetta i gruppi formati da occlusiva non sonora
+ C senza sonorizzare l’occlusiva?
Ritmo, pause, espressione
sì
non molto no
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Dà agli enunciati il ritmo adeguato distribuendo
appropriatamente gli accenti?
Inserisce le pause laddove occorrono?
Dà la velocità consona alla semantica
e alla pragmatica del testo?
Usa le componenti parafoniche giuste?
In base alla ricorrenza e la posizione dell’errore
La ricorrenza e la posizione dell’errore sono indicative dello stadio nel
quale l’allievo si trova, del grado di automatizzazione di determinate strutture ed evidenziano in parte il tipo di esercitazione che occorre prevedere.
L’insegnante deve fare molta attenzione all’errore ripetuto più volte.
Spesso, dinanzi a una difficoltà di articolazione, l’allievo riesce a produrre la
73
prestazione come gli si propone, ma, nelle successive produzioni, l’errore
ricompare o sistematicamente o saltuariamente.
Nemmeno la posizione dell’errore all’interno del testo è un dato secondario. Consideriamo a questo proposito, e partendo sempre dalla nostra
esperienza, tre situazioni che possono presentarsi:
a. l’errore ricorre lungo tutta la prestazione
b. l’errore appare solo all’inizio del testo, poi viene autocorretto e la struttura viene realizzata adeguatamente fino alla fine
c. l’errore appare nel segmento finale della prestazione.
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Nel primo caso l’errore è l’evidenza della zona lacunosa che, individuata
dall’insegnante, dovrà essere colmata con un opportuno intervento didattico.
Nel secondo caso possiamo fare un paragone tra la pronuncia e l’attività
fisica. Entrambe costituiscono un allenamento, entrambe hanno una partecipazione forte del corpo, in entrambe occorre l’automatizzazione e precisione dei movimenti e il superamento delle devianze spesso radicate (in fonetica, diremmo fossilizzate). L’insegnante di fonetica assume spesso il ruolo dell’istruttore che mostra il modello e insiste sull’esercitazione di determinate
strutture. Quindi, come per l’attività fisica, una prestazione, soprattutto se
libera, richiede una fase di “riscaldamento”. L’intervento dell’insegnante,
allora, dovrà creare le condizioni (“riscaldare”) per agevolare la produzione
dell’allievo che dovrà “assumersi” (nell’atletica, prendere posizione) come
italofono. In questo caso, l’insegnante deve capire che l’allievo ha già fatto un
percorso soddisfacente ed è in grado di pronunciare bene. Ha solo bisogno
di una adeguata ambientazione ed esposizione alla lingua.
Nel terzo caso, il paragone con l’attività fisica può esserci ancora d’aiuto.
L’allievo che cerca di controllare la sua produzione affronta un momento di
alta tensione soprattutto nelle fasi iniziali del suo iter. È normale che, verso
la fine della prestazione, provi stanchezza. I suoi errori, quindi, sono il risultato dell’affaticamento e la conseguente rilassatezza articolatoria. In quei
casi, l’insegnante dovrà regolare l’estensione della prestazione e la complessità della consegna.
In base al tipo di prestazione richiesta
L’ostacolo può essere aggirato dall’allievo quando si tratta di un esercizio
di imitazione; nella produzione libera invece sbaglia nuovamente. Un modo
per far emergere le differenze individuali potrebbe essere chiedersi:
74
- Com’è nella produzione guidata?
- Com’è quando legge?
- Com’è la pronuncia dell’allievo nella produzione libera?
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Queste domande sono fondamentali per capire se gli esercizi di discriminazione e identificazione sono stati esaurienti e se l’allievo possiede,
almeno parzialmente, il sistema fonologico. Quando legge, i contenuti lessicali, grammaticali, ecc. vengono già dati e quindi non costituiscono una
difficoltà. L’allievo deve solo badare alla corretta articolazione dei suoni e
assegnare al testo opportune strutture prosodiche. Subentra comunque
un’altra difficoltà legata all’associazione grafia–pronuncia che non sarà
affrontata in questa sede.
La produzione libera sarà sicuramente quella più complessa per l’allievo
perché la difficoltà della pronuncia sarà aggiunta a quelle degli altri piani
della lingua. In questi casi, conviene sempre suggerire di partire da una scaletta che dia all’allievo la sicurezza dei contenuti e orienti invece tutto il suo
sforzo verso la pronuncia e l’espressione. Nella produzione libera, si mettono in evidenza le strutture che sono state già automatizzate. È la fase più
avanzata nell’iter fonologico. Molti allievi superano senza difficoltà i primi
due momenti. Ma trovano degli intoppi nel terzo: gli errori fossilizzati ricompaiono e non c’è ancora un controllo autonomo delle strutture.
In questo caso, il passaggio dall’esercitazione guidata a quella meno guidata deve essere più lento, gli errori che ricorrono con maggiore frequenza
devono essere affrontati singolarmente in base alle difficoltà che ognuno ha.
Occorrerà rinforzare il momento della lettura, la quale andrà realizzata con
velocità diverse in modo che le strutture siano sempre più stabili.
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5. Conclusione
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L’insegnante di italiano LS insegna anche a pronunciare, tutela il modello di pronuncia e ne segue il percorso di costruzione. È inoltre colui che
cura il rapporto docente–discente all’interno di una didattica umanisticoaffettiva credendo nelle potenzialità dell’allievo e progettando opportuni
interventi affinché questi possa superare le difficoltà e avvicinarsi al modello desiderato.
Infine, è colui che intende la padronanza linguistica nella sua completezza e concepisce la comunicazione in tutti i suoi piani, compreso quello fonologico, perché la lingua è innanzi tutto oralità.
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riferimenti bibliografici
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76
Capitolo 6
La CULtUra e La CiViLtÀ itaLiane
e iL Loro insegnamento
in Una ProsPettiVa interCULtUraLe
Elisabetta Pavan
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Insegnare cultura e civiltà italiane in una classe di italiano lingua straniera è un compito basilare che il docente del terzo millennio deve sempre tener
presente, anche per i motivi legati al rinnovato e pressante interesse per la
lingua italiana nel mondo: non solo l’opera e la moda ma anche il design, la
tecnologia, la dieta mediterranea, il modello economico del Nordest...
I processi di interazione tra persone di culture diverse necessitano la
conoscenza reciproca, quindi la competenza linguistica deve sempre integrarsi con la competenza comunicativa interculturale. Lo studente deve essere edotto sin dall’inizio che oltre agli aspetti linguistici esistono anche delle
dimensioni culturali che emergono prepotentemente nel corso di eventi
comunicativi.
Nella classe di italiano LS molte sono le novità sia sul fronte del docente
che dello studente, si annoverano nuovi strumenti e si moltiplicano le occasioni di contatto con l’Italia, sia reali che virtuali. Le conoscenze complesse
del docente si devono tradurre in pratiche operative e tra le competenze da
insegnare va sempre ricordata la competenza comunicativa interculturale,
competenza da definirsi in maniera precisa per poter pianificare, sviluppare
ed infine aiutare a valutare i progressi dello studente.
L’insegnamento dell’italiano come lingua straniera, quindi, deve andare al
di là dell’acquisizione del sistema morfologico e sintattico “lingua italiana”, i
docenti di italiano LS devono insegnare anche la cultura italiana, perché la
cultura è qualcosa di onnipresente, invisibile, ma soprattutto, che si impara.
1. il nuovo ruolo del docente, della materia e del discente
Il fatto che lo studente stia imparando l’italiano lo espone, creando un
inevitabile contatto, a modelli culturali tipici della cultura italiana. Insegnare
cultura e civiltà implica delle scelte strategiche da parte del docente, il quale
deve saper creare un giusto mix di competenze e materia, avvicinando gli
studenti alla lingua e alla cultura senza creare in loro false aspettative ed ansie
derivanti da differenze culturali o paure dovute agli imprevisti.
77
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A tal fine vanno padroneggiate tutte le competenze che competono al
docente di lingua, e lo scenario da cui si traggono gli strumenti per operare
comprende tutte le scienze del linguaggio (linguistica, sociolinguistica, pragmalinguistica, linguistica applicata, ecc.).
L’obiettivo dell’insegnamento ha subito un cambiamento di focus che si è
spostato dalla lingua come sistema alla lingua in atto, per cui anche sul versante di chi apprende vanno conosciute e utilizzate le conoscenze che derivano dagli studi sulla neuro e psico-linguistica, quelli di programmazione
neurolinguistica, le teorie umanistico-affettive, in un continuum che prende
in considerazione l’intera gamma delle potenzialità umane nonché le diverse
nature dell’intelligenza analitica e di quella emotiva (Balboni, 2002).
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1.1 Alcune definizioni
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Può essere utile riportare qui di seguito le definizioni di cultura e civiltà,
nonché di modello culturale (Balboni, 1999b, 2002):
- cultura: secondo la definizione di Lévy-Strauss è “cultura” tutto ciò che
non è “natura”: la natura pone il bisogno di nutrirsi, coprirsi, procreare, ecc., e le varie culture offrono modelli culturali quali il modo di procurarsi, preparare e distribuire il cibo, il modo di creare abitazioni e
vestiti, le regole di corteggiamento, la struttura familiare, e così via;
- civiltà: alcuni modelli possono risultare più produttivi di altri, e costituiscono la civiltà di un popolo, ma per il resto tutte le culture sono
egualmente degne. Questo atteggiamento di rispetto e, possibilmente,
interesse per la diversità culturale, rappresenta una meta educativa
essenziale della glottodidattica e viene definita relativismo culturale;
- modello culturale: è l’unità minima di analisi della cultura. Un modello
culturale è la risposta ad un problema: ad esempio, il modo in cui una
cultura risponde al bisogno di nutrirsi nell’arco della giornata; il modo
in cui si risponde alla necessità di organizzare il movimento nelle strade; il modo in cui si organizza la vita scolastica degli adolescenti, ecc.
1.2 L’insegnamento della cultura
Le definizioni del termine cultura sono innumerevoli e suscettibili di
variazioni da disciplina a disciplina. A seconda che si tratti di antropologia,
psicologia, sociologia, linguistica, si tende a privilegiare un aspetto piuttosto
che un altro; per il docente di lingua straniera restano comunque fondamentali due aspetti:
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- cultura è tutto ciò che non è natura, quindi le diverse risposte che un
gruppo dà a dei bisogni di natura;
- la cultura è invisibile, onnipresente e si impara.
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La cultura, quindi, comprende e influenza tutte le attività umane ed in
primis le attività legate alla comunicazione, sia essa verbale o non verbale.
Secondo Hall (1959), “la cultura è comunicazione e la comunicazione è cultura”, e ben il 60% della nostra comunicazione avviene attraverso codici non
verbali. In linea di massima le definizioni di cultura utilizzate in ambito glottodidattico si rifanno al concetto di cultura come way of life (Lado, 1957), i
modi di vita che si identificano con i modelli tipici di una cultura (Pavan,
2002).
L’interesse per l’insegnamento della cultura, tuttavia, non è una novità di
questi ultimi anni: già dopo la Seconda Guerra Mondiale il passaggio dall’approccio strutturalistico all’approccio comunicativo portò ad una riconsiderazione del ruolo della cultura, in quanto si raggiunse la consapevolezza
che in una situazione comunicativa l’errore culturale è grave così come può
esserlo l’errore linguistico. Ciononostante permaneva la tendenza a separare
l’apprendimento della lingua, vista ancora come un sistema prettamente
grammaticale, dall’utilizzo di nozioni culturali relative al Paese in cui la lingua è parlata: il focus dell’insegnamento restava la lingua, inserita in uno
sfondo che si identificava con le sezioni di solito definite di “civiltà”.
È con lo sviluppo dell’approccio comunicativo nozionale-funzionale che
l’insegnamento della cultura diventa davvero rilevante, in quanto emerge la
consapevolezza che non si può comunicare efficacemente se non si ha una
solida competenza socio-culturale. Se la comunicazione mira ad un esito
positivo, “vincente”, le persone coinvolte nello scambio comunicativo devono condividere i significati legati alla lingua che hanno imparato e stanno utilizzando: questo è relativamente semplice quando il medium è scritto, ma
quando l’interazione avviene in presenza diventa evidente che la comunicazione non si limita ad uno scambio di parole e significati condivisi. Le persone coinvolte nello scambio comunicativo sono portatrici di una loro identità culturale, e può essere utile ricordare che in ognuno di noi ci possono
essere molteplici identità, legate ai vari gruppi sociali a cui si appartiene e alle
diverse abitudini: ecco che oltre ai significati vanno condivisi anche valori e
usanze.
In questo senso diventa importante sottolineare che la lingua non è mai un
mezzo espressivo oggettivo, in quanto proprio perché culturalmente conno79
tata porta in sé molteplici implicazioni legate sia a chi la parla che alla cultura in cui viene utilizzata. La lingua inglese mal si presta a questo tipo di interpretazione: lingua franca per eccellenza, lingua internazionale legata al business, può risultare priva di riferimenti culturali, mentre l’italiano può prevedere un’approfondita conoscenza linguistica e soprattutto culturale dell’Italia.
1.3 L’insegnamento di lingua e cultura
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Insegnare l’italiano come lingua straniera deve implicare il superamento
del concetto di istruzione (legato soprattutto alla dimensione strumentale
della lingua) assumendo una funzione educativa in cui, al di là di obiettivi
immediati si perseguono delle mete educative. Nella letteratura glottodidattica italiana sull’educazione linguistica si identificano di solito tre mete educative che, in ordine di acquisizione, sono: culturizzazione (io e il mondo),
socializzazione (io e te) e autopromozione (io) (Balboni, 2002). Spostando
l’attenzione all’insegnamento della cultura, si potrebbero identificare tre
aspetti che costituiscono la culturizzazione: l’inculturazione (la lingua e i
modelli culturali acquisiti nel paese in cui si nasce), l’acculturazione (i modelli culturali del paese in cui si parla la lingua che si studia), il relativismo culturale (aspetto che può essere considerato una sintesi dei precedenti, viene
raggiunto quando si riesce a guardare ai modelli altrui astenendosi da qualsiasi giudizio e rispettando risposte ai bisogni di natura diverse da quelle
della propria cultura). Va ricordato che la competenza culturale è la condizione necessaria per la socializzazione.
Quando due persone interagiscono attraverso una lingua straniera i significati linguistici e culturali che vengono veicolati non possono essere dati per
scontati come potrebbe succedere nello scambio che avviene tra due madrelingua: il contesto culturale implicito nella personalità di chi parla può
influenzare fortemente la comunicazione, così come il contesto culturale in
cui avviene la comunicazione.
Imparare una lingua così come viene parlata in un determinato Paese
significa imparare anche i significati condivisi, sottintesi, in relazione ai valori e alle usanze di quella cultura, i modelli e le regole culturali, essere consapevoli del modo in cui essi sono veicolati in maniera implicita quando si fa
“comunicazione”. È palese come questa sia la parte più difficile nel processo di insegnamento di una lingua: proprio perché questi significati sono condivisi, essi sono dati per scontati, spesso vengono definiti naturali quando
invece sono essenzialmente culturali, e, dato che emergono esplicitamente
solo quando ci sono difficoltà d’interazione o quando lo scambio comunica80
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tivo si interrompe, gli studenti hanno difficoltà a riconoscerli e a capire il loro
significato. Un esempio potrebbe essere il tono della voce di un italiano in
una conversazione normale, in cui i rumori di fondo non sono eccessivi e il
numero di persone coinvolte è limitato: se confrontato con il tono di un
gruppo di anglosassoni o di orientali si noterà immediatamente come il volume degli italiani sia più alto. Analizzando il volume secondo i parametri, ad
esempio, degli anglosassoni risulterà che la percezione di un inglese nei confronti dell’italiano sarà di una persona irritata e aggressiva, mentre in realtà
gli italiani coinvolti non stavano discutendo di calcio o di politica, ma semplicemente confrontandosi con estrema serenità su argomenti del tutto
“innocui”.
Va sottolineato che studiare una lingua in un’ottica di questo tipo aiuta i
discenti a riflettere sui propri modelli culturali e a sviluppare lo strumento
senza il quale non potrebbe essere capito fino in fondo uno scambio comunicativo: la consapevolezza culturale. Senza una corretta comprensione della
dimensione culturale, infatti, anche le frasi più semplici possono creare dei
problemi: il “ci vediamo stasera” di un italiano implica quasi sempre un
incontro che avviene nel dopocena, per un inglese la traduzione di sera con
evening potrebbe far perdere questa connotazione. La percezione legata alle
diverse parti del giorno, infatti, è profondamente legata alle diverse culture:
per un italiano è ovvio che la giornata inizi all’alba, mentre per molte popolazioni asiatiche ed africane è ovvio pensare che la giornata finisca con il tramonto e che quindi l’inizio della giornata successiva coincida con l’inizio
della notte (Balboni, 1999a). Per esempio le due di notte italiane sono two in
the morning per gli inglesi. Altre espressioni che possono creare dei problemi sono: “Si può andare più piano?” o “Non si può andare più piano?”, che
al di là di essere viste come un esercizio grammaticale sulla forma interrogativa e interro-negativa, sottendono la stessa finalità pragmatica: ottenere che
chi sta al volante rallenti.
1.4 L’insegnamento del relativismo culturale e l’importanza dei materiali
autentici
Insegnare consapevolezza culturale implica la comprensione che oltre alla
cultura in cui si è nati e cresciuti esiste una cultura altra, che appartiene a
persone e popoli diversi. Questa consapevolezza è più facilmente ottenuta se
si ragiona in termini di differenze, riflettendo cioè su modelli diversi e lavorando per comparazioni, facendo confronti.
È indispensabile riflettere sul contesto, sull’ambiente in cui la cultura ita81
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liana si esprime e si sviluppa; a tal fine è necessario attingere per le attività di
classe da materiali autentici e da una pluralità di fonti (cfr. Spinelli in questo
volume), ma soprattutto fare in modo che lo studente diventi autonomo nel
reperire tali materiali in quanto in alcuni aspetti la cultura di un Paese può
variare con enorme rapidità. I motivi di questi repentini cambiamenti possono essere i più disparati: emigrazioni ed immigrazioni, mezzi di comunicazione di massa, turismo di italiani che sono stati all’estero e di stranieri in
Italia, ecc.; conseguentemente una volta insegnati i modelli standard di base
della cultura, indispensabili alla comunicazione quando gli studenti verranno in Italia, è bene fare un passo in avanti ed educare alla differenza, alla
variabilità delle culture, ma soprattutto ad osservare una cultura, per fornire
così quegli strumenti indispensabili ed universali che sono alla base del relativismo culturale.
A questo proposito Internet è una fonte inesauribile, anche se per l’operatore impreparato può risultare altamente inaffidabile. In Internet, infatti, si
possono trovare le maggiori testate giornalistiche, testi di letteratura e di canzoni, si possono scaricare brani musicali e recensioni di film, si possono visitare i siti di aziende importanti e meno importanti, di associazioni e chat-line.
Restano molto importanti anche i mezzi canonici: i giornali cartacei non solo
per motivi “sentimentali” legati alla carta stampata ma anche per facilità di
archivio e catalogazione, la TV per la possibilità di fruire e di videoregistrare programmi, la pubblicità come mezzo di comunicazione trasversale ai
mezzi di comunicazione. La pubblicità è uno strumento comunicativo molto
utile per il docente di italiano all’estero: consente di tenersi aggiornati su
modi e mode, sia linguistiche che legate al costume. Dalle pubblicità possiamo trarre importantissime e aggiornatissime informazioni, ad esempio, sulle
attitudini legate al cibo, ai mezzi di trasporto, al ruolo dell’uomo e della
donna in seno alla famiglia, alle aspettative dei giovani legate al mondo della
scuola e del lavoro.
Conseguentemente il confronto tra i modelli culturali propri del discente
e quelli che caratterizzano la cultura italiana diventa un mezzo fondamentale
per migliorare la comprensione di entrambi. Nel processo di comparazione lo
studente impara a riconoscere le differenze e a far fronte a quelle situazioni in
cui dare per scontato somiglianze può portare a sonori malintesi e quindi a
fallimenti sul piano comunicativo. In questo modo si riuscirà a controllare il
filtro affettivo e ad evitare che il timore per l’incertezza (uno dei valori fondamentali individuati da Hofstede per l’analisi delle diverse culture) possa
inficiare la performance comunicativa, per cui lo scambio non si limita alle
informazioni ma opera in una scena più complessa: quella culturale.
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Si potrebbe contestare che per non alzare il filtro affettivo sarebbe meglio
riflettere sulle somiglianze invece che sulle differenze: questa procedura,
invece, potrebbe essere altrettanto pericolosa, perché non aiuta a sviluppare
delle strategie in caso di difficoltà d’esecuzione ma soprattutto di interazione, confondendo così ancora una volta sovrastrutture culturali per azioni
naturali.
Un percorso di formazione interculturale che risponde alla necessità di
creare e sviluppare il relativismo culturale è quello che prevede la formazione di una prospettiva interculturale quale preludio all’ingresso in una logica
interculturale. Dal contatto con gli altri emerge la conoscenza di un problema o di un’opportunità, ne segue la tolleranza delle differenze e immediatamente dopo il rispetto per le stesse; passaggio successivo è l’accettazione del
fatto che alcuni dei modelli culturali altrui possono essere migliori dei nostri
e perciò ci può essere una serena messa in discussione dei modelli in cui si è
cresciuti. Entrare in una logica interculturale è una cosa ben diversa dal melting pot perpetrato negli Stati Uniti nel secolo passato: il melting pot prevedeva una transitoria fase multiculturale che doveva dare adito ad una nuova
società in cui ogni differenza culturale si fonde in una nuova realtà.
L’interculturalità, al contrario, è un atteggiamento costante, che prende atto
della ricchezza insita nella varietà, che non si propone l’omogeneizzazione e
mira solo a permettere l’interazione più piena e fluida possibile tra le diverse culture (Balboni, 1999a). Quindi dal contatto con la nuova cultura si passa
alla consapevolezza dell’esistenza di somiglianze e differenze, all’apprezzamento di eventuali modelli diversi e alla loro assunzione, assumendo così una
visione più oggettiva anche nei confronti della propria cultura.
2. La competenza comunicativa interculturale
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Superato il concetto canonico di competenza comunicativa e delle abilità
che essa presuppone, per competenza comunicativa interculturale si intende
l’abilità di sapersi comportare in maniera adeguata in uno scambio interculturale, la capacità affettiva e cognitiva di stabilire e mantenere una relazione
che implica la comunicazione interculturale, e la capacità di conservare e
riconoscere la propria identità culturale durante tali scambi
2.1 La comunicazione interculturale
Per definire la comunicazione interculturale è importante rifarsi ai concetti di identità e di scambio comunicativo: ogni volta che si comunica con
qualcuno percepiamo e siamo percepiti come componenti di una determina83
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ta cultura, portiamo con noi un’identità etnica. È in questa fase che un non
ancora sviluppato relativismo culturale potrebbe portare all’utilizzo di stereotipi e conseguentemente facilitare il sorgere di pregiudizi nei confronti
degli italiani. Il docente di italiano lingua straniera deve saper anticipare questa fase, facendo riflettere i suoi studenti sulla figura del sociotipo, dando
quindi delle generalizzazioni che siano legate a valori intrinseci nella cultura
italiana. Ad esempio lo stereotipo del trentenne italiano, eterno studente a
carico dei genitori, può essere spiegato con un ciclo universitario che prevede la possibilità per gli studenti di non rispettare scadenze per l’esecuzione
degli esami, la stesura di una tesi che può tranquillamente coprire il periodo
di un anno accademico, la difficoltà di conciliare studio e lavoro e soprattutto l’impossibilità di mantenersi fuori casa con un lavoro part-time e senza
l’aiuto economico dei genitori.
Tuttavia un attento sguardo ai mass media nell’arco di qualche anno
potrebbe modificare alcune di queste spiegazioni, sulla scorta della riforma
della scuola e del sistema universitario. Il docente non potrà mai insegnare
tutti gli aspetti tipici di una cultura, l’enfasi del suo insegnamento andrà
quindi posta sullo sviluppo di una concreta consapevolezza in relazione alle
interazioni interculturali e dei risvolti che le stesse possono creare, sviluppando abilità e competenze che possano aiutare nella gestione di incontri
interculturali.
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2.2 Il bravo comunicatore interculturale
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Quando le differenze all’interno dello scambio comunicativo si fanno
importanti, è necessario che lo studente, data per presupposta una buona
competenza linguistica, approfondisca le sue conoscenze in relazione alla
cultura italiana, e a questo proposito sarà stato importante averlo fornito
degli strumenti atti a reperire notizie e materiali autentici, in relazione alle
sue necessità.Tuttavia lo studente non dovrà mai assumere in maniera acritica modelli tipici della cultura italiana, l’assunzione di modelli deve necessariamente seguire il percorso illustrato in 1.4.
Una comunicazione interculturale efficace prevede qualcosa in più della
mera conoscenza delle norme di un gruppo; ci sono stati vari tentativi di definizione delle abilità necessarie a dei validi comunicatori interculturali e sono
emersi alcuni fattori: un bravo comunicatore interculturale ha una personalità ben definita, aperta, rilassata, ha molto autocontrollo; possiede abilità
verbali e non verbali; si sa adattare a situazioni nuove e ha una buona consapevolezza culturale, sia nei confronti della sua cultura che di quella straniera
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(Chen , 1990). Va ricordato che quando si parla di consapevolezza culturale
in relazione al fatto di essere competenti comunicatori interculturali, ci si
riferisce al fatto che si sanno riconoscere e capire le usanze e la struttura
sociale della cultura straniera: capire come le persone pensano e si comportano è essenziale per comunicare efficacemente con loro. Sebbene la lingua
sia considerata come una delle principali differenze tra individui e barriera
alla comunicazione, non vanno dimenticate le abilità legate alla comunicazione non verbale i gesti, la mimica, il contatto oculare, la distanza tra gli
interlocutori, la qualità e la quantità del contatto fisico; inoltre vanno ricordati gli aspetti legati alla competenza linguistica, quali il concetto di formale
e informale, la struttura conversazionale, gli stili del parlato.
Le regole che sottostanno a situazioni sociali, la conoscenza dei modelli
relativi alle relazioni sociali e i valori di fondo che possono identificarsi in
una cultura costituiscono i principali aspetti necessari al bravo comunicatore interculturale nell’ottica dello sviluppo di una più adeguata competenza
comunicativa interculturale. L’enfasi è posta sull’operatività, sulla capacità di
interazione anche in situazioni culturalmente difficili, in altre parole sull’appropriatezza e sull’efficacia dello scambio comunicativo.
Come già definito in 1.4 la consapevolezza culturale si raggiunge attraverso un percorso le cui tappe sono ben definite e conseguenti l’una all’altra,
come ben illustrato nella tabella che segue (Sandhaas, 1989):
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assimilazione
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etnocentrismo
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comprensione
accettazione/rispetto
apprezzamento/valutazione
adozione selettiva
adattamento
biculturalismo
multiculturalismo
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Quando si impara l’italiano come lingua straniera molti dei valori, delle
credenze e dei comportamenti che si sono acquisiti nella più tenera età, vengono messi in discussione, vengono confrontati con diverse interpretazioni,
implicite nella cultura italiana ma non sempre condivise nella cultura dello
studente. Il riposo domenicale, gli orari dei negozi, il ruolo degli insegnanti
e quello degli anziani, il concetto di pulizia e di igiene personale, sono tutte
attitudini che nella cultura italiana e in quella degli studenti non sempre trovano uguale riscontro.
Il bravo comunicatore interculturale, quindi, deve affiancare alla compe85
tenza comunicativa anche l’aggettivo interculturale, sottintendendo le abilità
legate all’interagire con contraddizioni e differenze, diversi sistemi simbolici
e comunicativi.
3. Conclusioni
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L’insegnamento dell’italiano LS è un compito estremamente complesso,
non solo da un punto di vista morfologico e sintattico, ma anche e soprattutto per quanto riguarda le situazioni comunicative che vengono a crearsi
quando lo studente straniero entra in contatto con italiani.
Alla luce di quanto espresso emerge prepotentemente la necessità che
l’apprendimento dell’italiano preveda lo sviluppo di una parallela consapevolezza nei riguardi della cultura e della società italiane, ma anche della cultura materna dello studente. Questa nuova consapevolezza, il relativismo
culturale, potrà contribuire al superamento delle barriere che possono ergersi durante una scambio comunicativo, sia esso verbale o non verbale, in un
continuum in cui potranno essere assunti modelli che appartengono alla cultura altra, quella italiana.
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riferimenti bibliografici
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USA: a Cross Cultural Perspective, Tübingen, Narr Verlag.
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Capitolo 7
iL LEXICAL APPROACH
e i ProCessi deLLa memoria.
aLCUne ConVergenZe
Mario Cardona
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“Without grammar very little can be
conveyed, without vocabulary
nothing can be convoyed.”1
(Wilkins, 1972)
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“Il linguaggio è un medium
attraverso il quale i pensieri
appartenenti ad una memoria
vengono trasmessi ad un’altra.”
(Schank, 1982)
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In questo contributo ci proponiamo di definire le caratteristiche del
Lexical Approach in ordine alle funzioni cognitive della memoria.
L’importanza dei chunk lessicali, che Lewis pone al centro della struttura della
lingua, trova una serie di riscontri in determinate caratteristiche dei processi
mnestici, quali lo span della memoria a breve termine, la profondità di codifica semantica e i livelli di elaborazione. Nella prima parte del presente saggio
descriveremo le principali caratteristiche del Lexical Approach e dei chunk lessicali; quindi prenderemo in esame alcune caratteristiche dell’architettura
della memoria per infine trarne delle conclusioni metodologiche.
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1. ridefinire il lessico
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Il Lexical Approach di M. Lewis (1993) è certamente tra le proposte metodologiche più interessanti della ricerca glottodidattica dell’ultimo decennio. Il dibattito scientifico attorno all’approccio lessicale si è sviluppato nel
quadro di un nuovo interesse per il lessico, la sua natura ed il suo insegnamento. Di fatto, sia gli approcci ispirati allo strutturalismo bloomfieldiano
degli anni Cinquanta-Sessanta, come il metodo audio-orale, sia gli approcci più recenti influenzati dalla teoria chomskiana, attenta ai fenomeni sin1
“Senza la grammatica si può veicolare molto poco, senza vocabolario non si può veicolare nulla.”
(trad. it. del curatore)
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tattici, hanno costantemente trascurato il lessico, considerandolo, in certo
qual modo, il ricettacolo delle irregolarità della lingua. Tutto questo si è
tradotto in sede glottodidattica in una metodologia ampiamente, quando
non totalmente, rivolta agli aspetti morfosintattici ed all’insegnamento
della grammatica, quasi quest’ultima fosse la struttura portante della lingua, la struttura in cemento armato sulla quale edificare la competenza linguistica, mentre il lessico, che di tale struttura costituirebbe i singoli mattoni, veniva lasciato a se stesso. In definitiva, mentre grande attenzione
veniva (e spesso ancora viene) data alla grammatica ed al suo insegnamento, sia esso di carattere deduttivo e prescrittivo nell’approccio strutturalista, sia di tipo induttivo e funzionale negli approcci di tipo comunicativo,
il lessico era destinato ad essere appreso “da solo”, le parole venivano
imparate un po’ per volta, man mano che si imparavano le strutture della
lingua. A dimostrazione di ciò, i materiali didattici raramente presentano
una sezione dedicata allo sviluppo della competenza lessicale e sono praticamente assenti sezioni dedicate alla sua valutazione.
Solo recentemente dunque si è affermato un interessante filone di ricerca
che tenta di superare la tradizionale dicotomia tra la grammatica ed il lessico. Questo conduce ad una ridefinizione di quanto debba essere riconducibile alla grammaticalizzazione e quanto non appartenga, di fatto, alla complessa natura del lessico. L’informatica rappresenta in questo campo una
struttura di supporto imprescindibile. Si pensi ad esempio al progetto inglese COBUILD (Collins-Birmingham-University-International-LanguageDatabase) che prevede l’analisi computerizzata di venti milioni di parole.
Chiaramente avere una banca dati che permette di raccogliere corpora di
unità lessicali ci dice molto sulla frequenza d’uso di un determinato lemma,
sulle sue occorrenze e co-occorrenze, sulle sue collocazioni, espressioni fisse
ed idiomatiche ecc. Questo permette di riorientare la metodologia didattica
introducendo il concetto di lingua come lessico-grammatica, superando la
tradizionale divisione tra le parole e le regole. Un punto fondamentale dell’approccio lessicale (che non a caso Lewis pone in apertura di The Lexical
Approach) stabilisce infatti che: “Language consists of grammaticalised lexis,
not lexicalised grammar”2 (1993, p. vi).
2
“Il linguaggio è costituito da lessico grammaticalizzato e non da grammatica lessicalizzata.” (trad.
it. del curatore)
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1.1 I chunk lessicali
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Come definire allora il lessico alla luce di questo nuovo orientamento?
L’analisi dei corpora e la linguistica computazionale suggeriscono l’esistenza
di chunk lessicali, di unità lessicali composite (lexical items) e di frasi lessicali (lexical prhases). La competenza pragmatica risiederebbe dunque nell’abilità di riconoscere e produrre in contesti significativi chunk prestrutturati
appresi e custoditi nella memoria a lungo termine. L’idea che la lingua sia in
gran parte costituita da chunk che vengono via via memorizzati non è nuova;
già Harold Palmer (1917) suggerisce l’ipotesi che ogni enunciato prodotto,
sia esso orale o scritto, è stato precedentemente memorizzato come un elemento unico, una singola unità, o composto da unità più piccole apprese precedentemente. Palmer definisce queste unità assunte in blocco (proposizioni, brevi dialoghi) come “materia prima” (primary matter), mentre le unità
non apprese in questo modo costituiscono la “materia secondaria” (secondary matter). Il problema glottodidattico si pone quando si deve adottare la
metodologia adeguata per mettere gli allievi in condizione di produrre nuove
unità (secondary matter) a partire dai chunk di lingua memorizzati.
Su queste basi si impongono due osservazioni: la centralità dell’item lessicale nella metodologia didattica, e dunque un ruolo non più privilegiato
attribuito alla grammatica da un lato, dall’altro la necessità di adottare tecniche didattiche e materiali finalizzati a creare negli allievi la competenza
necessaria e la consapevolezza metalinguistica rispetto ai chunk lessicali.
Questi sono gli obiettivi fondamentali del Lexical Approach. In sostanza esso
propone il superamento della visione dicotomica tra lessico e grammatica
come entità separate della lingua, considerando quest’ultima in gran parte
costituita da insiemi di parole che si organizzano fra loro attraverso i principi di coesione e coerenza dell’enunciato. Lewis individua quattro categorie
principali di chunk a partire dalle quali si costituiscono le unità lessicali di
ogni lingua.
Tipologie di chunk lessicali.
1. a) word (parola)
b) polyword (locuzioni composte da più di una parola)
2. collocation (collocazione)
3. institutionalised utterances (frasi istituzionalizzate)
4. sentence frames or heads (espressioni per strutturare il testo).
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Come si può osservare le prime due categorie riguardano il significato
referenziale, mentre le altre due il significato pragmatico.
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Le parole
Si tratta degli item lessicali tradizionalmente presenti nella consuetudine
didattica. Sono parole assunte come unità indipendenti. Cambiando tali
unità cambia il senso della frase, come nell’esempio seguente: “Scusa, mi presteresti la matita/la penna/il disco/il libro ecc..”
È evidente che cambiando il lemma in funzione oggettiva il senso cambia.
In genere, quando si pensa all’insegnamento del lessico negli approcci tradizionali si pensa all’insegnamento di queste singole parole. La competenza
lessicale coincideva dunque con la memorizzazione del maggior numero di
lemmi possibile.
Altre unità indipendenti sono, inoltre, parole singole come “basta, certo,
prego, volentieri ecc.”
In questa prima tipologia rientrano anche locuzioni composte da più di
una parola che possiedono un certo grado di idiomaticità, come ad esempio
le espressioni “a proposito, d’altra parte, comunque sia, ad ogni modo, né
più né meno, ecc.”
Si tratta di locuzioni polifunzionali fisse, composte da più parole, ma che
possono essere considerate singole unità lessicali. Esse costituiscono espressioni fisse che possono svolgere diverse funzioni all’interno del discorso. Si
pensi a locuzioni avverbiali come “alla rinfusa” o “quasi quasi”, oppure a
locuzioni preposizionali come “dal punto di vista di, a seconda di, in proporzione a”; oppure locuzioni con valore congiuntivo come “in modo che, di
tal sorta che ecc.” Si tratta spesso di espressioni e locuzioni che non sono di
facile identificazione da parte di chi apprende una lingua straniera, ma che
ricorrono con certa frequenza. In genere la didattica tradizionale, fortemente orientata a presentare i fenomeni linguistici attraverso una spiegazione dell’insegnante basata su una regola prescrittiva desunta dalla grammatica normativa, non ha preso in considerazione in modo sistematico queste strutture
le quali, costituendo un unico item lessicale, possono essere facilmente
memorizzate dagli allievi.
Le collocazioni
La seconda tipologia indicata da Lewis è costituita dalle collocazioni. In
ogni lingua esse rappresentano co-occorrenze di alta frequenza che si
dispongono sul piano sintagmatico senza specifiche relazioni sintattiche. Si
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tratta dunque di lemmi che ricorrono spesso insieme all’interno della catena
discorsiva e che si attraggono in modo particolare. Per esempio, l’aggettivo
castano si riferisce sempre al colore dei capelli e di conseguenza nella lingua
italiana si dice che una persona “ha i capelli castani”, ma mai che ha i capelli marroni. L’aggettivo rancido si riferisce con alta frequenza al sostantivo
burro, così come aspro a limone ecc. È da tener presente che le parole che
formano questa tipologia di co-occorrenze non si attraggono nello stesso
modo. L’aggettivo castano attrae con maggior forza il sostantivo capelli di
quanto non accada nel caso contrario, e lo stesso vale per gli altri esempi citati. Questo porta alla possibilità di individuare all’interno di una determinata
collocazione una “parola chiave” sulla quale essa si regge. Riflettere su questo aspetto è molto importante perché porta da un lato a creare una certa
metacompetenza linguistica e dall’altro consente di apprendere allo stesso
tempo sia il lemma chiave che quello a lui strettamente correlato, creando
chunk che facilitano la memorizzazione ed in seguito il recupero nell’atto
comunicativo. Di fatto, le collocazioni rappresentano un ostacolo rilevante
per l’apprendente. Esse si reggono su legami di tipo semantico spesso determinato dal valore connotativo del significato; in altri casi possono essere
legami di tipo sintagmatico o pragmatico, più che altro determinati dall’uso.
Tali collocazioni sono patrimonio di una stessa comunità linguistica che ne
condivide il significato, ma possono essere differenti in altre lingue. Esse
risultano dunque di difficile riconoscimento per l’allievo. Può accadere infatti che si creino fenomeni di transfer negativo, in quanto l’apprendente è spesso portato a riprodurre nella lingua target le co-occorrenze presenti nella sua
lingua madre. Nel Lexical Approach le collocazioni assumono un ruolo
importante e di fatto l’insegnante dovrebbe far prendere coscienza della loro
struttura all’interno della lingua, dedicando un certo tempo ad attività che
favoriscano la memorizzazione, in modo tale da poter essere assunte come
singole unità nelle reti semantiche della memoria.
Frasi istituzionalizzate
Rientrano in questa categoria tutti i chunk di uso pragmatico che appartengono principalmente al codice orale e che vengono assunti come singole
unità. La lingua parlata è ricca di tali espressioni. Tali chunk possono essere
costituiti anche da intere frasi, identificabili all’interno di un determinato
contesto. Espressioni come “c’è una telefonata per te, apro io, non ha niente a che fare con me”, sono espressioni che possiamo assumere come singole unità all’interno di un discorso ed essere apprese come tali. In realtà, in
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questa categoria rientrano molte formule e routine linguistiche che si utilizzano molto spesso nella lingua e che pur avendo un certo grado di idiomaticità possiedono comunque un alto grado di trasparenza, a differenza ad
esempio dei modi di dire che per uno straniero possono essere difficili da
comprendere, in quanto spesso la somma dei significati che le compongono
non le rendono in nessun modo comprensibili se non se ne conosce il significato traslato o metaforico che esse veicolano (si pensi ad espressioni come
“essere in gamba” e simili)
In questa tipologia rientrano anche espressioni come “se fossi in te, se
fossi al tuo posto, ecc.” Si tratta di espressioni molto frequenti nella comunicazione che spesso però vengono insegnate quando si affronta il tema del
periodo ipotetico. Ancora una volta alcune strutture vengono insegnante
non in base alla loro frequenza d’uso, ma in base al grado di difficoltà grammaticale che esse implicano. Tradizionalmente sarebbe impensabile apprendere l’espressione “se fossi in te” se non dopo la spiegazione grammaticale
del modo congiuntivo e condizionale e quindi della relazione tra modi e
tempi all’interno del periodo ipotetico. In realtà è possibile apprendere questi chunk all’interno dei contesti in cui essi si presentano senza necessariamente partire dalla spiegazione grammaticale. Si tratta di realizzare in pieno
quello spostamento di enfasi suggerito da Lewis. La spiegazione grammaticale avviene in un secondo momento e non può costituire la base dell’apprendimento che invece è di tipo lessicale:
“…those sentences that are fully institutionalised utterances can be learned
and used as wholes, without analysis, thereby forming the basis, not the product, of grammatical competence” (Lewis, 1997, p. 259)
“quelle frasi che sono frasi completamente istituzionalizzate possono
essere apprese e utilizzate come delle unità a se stanti, per cui costituiscono
la base, non il prodotto, della competenza grammaticale” (trad. it. del curatore).
È evidente che focalizzare l’attenzione su questo tipo di routine e formule
linguistiche che si traducono in item lessicali costituiti da intere frasi grammaticalizzate, è in chiara antitesi con il tradizionale insegnamento del lessico,
soprattutto di matrice strutturalista, basata sull’atomizzazione della lingua.
Espressioni per strutturare il testo
Si tratta in sostanza delle forme istituzionalizzate che però rientrano nel
codice scritto della lingua e che sono estremamente utili per decodificare
testi di una certa lunghezza. Si tratta di espressioni come “in primo luogo…
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in secondo luogo… infine”, oppure “passeremo ora ad analizzare una serie
di punti…”. Si tratta prevalentemente di espressioni che strutturano lunghi
passaggi scritti, ma possono essere presenti anche nella lingua parlata, se per
esempio ci troviamo nel campo del linguaggio accademico. Lo studio di queste strutture dipende in gran parte dall’obiettivo che si propone il corso. Nel
caso di studenti stranieri che devono accedere a corsi accademici o a lingue
settoriali scientifico professionali, la conoscenza di questa tipologia di chunk
lessicali può essere di grande utilità, sia per codificare il discorso in fase ricettiva, sia per organizzare la propria produzione scritta ed in alcuni casi orale.
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L’apprendimento del lessico dovrebbe dunque focalizzarsi sulle quattro
tipologie descritte, tenendo presente che spostare l’enfasi più su una che sull’altra dipende interamente dal tipo di corso e dall’obiettivo che esso si pone.
In The Natural Approach Krashen e Terrell (1983) sostengono che si
impara lingua attraverso input purché esso sia reso comprensibile.
Comprendere un testo, e dunque comprenderne il contenuto, è la condizione necessaria per accedere alla sua struttura, cioè alla forma. Porre il lessico
al centro della metodologia didattica attribuendo alla grammatica un ruolo
importante, ma subalterno, crea di fatto le condizioni per realizzare quanto
sostenuto da Krashen e Terrell. Tuttavia, osserva Lewis (1997), è molto
importante creare consapevolezza metalinguistica; saper riconoscere i chunk
lessicali di una lingua, conoscerne la loro struttura e formazione può essere
di molto aiuto. Si tratta di un processo di apprendimento consapevole che
può favorire l’acquisizione linguistica. In questo senso la posizione di Lewis
rispetto alla dicotomia acquisizione/apprendimento di Krashen è più sfumata, in quanto attribuisce all’apprendimento conscio e strutturato un ruolo
più significativo di quanto non preveda l’approccio di Krashen.
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2. La memoria a breve termine
Vediamo ora di descrivere brevemente le caratteristiche della memoria a
breve termine per trarne alcune implicazioni glottodidattiche utili per l’apprendimento del lessico.
Le principali caratteristiche della memoria a breve termine sono:
a. Una capacità e durata limitate. Lo span di memoria
Questo significa che se non interviene una ulteriore elaborazione dell’input, esso può essere rapidamente dimenticato, sia per interferenza, ossia per
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l’arrivo di un input ulteriore, oppure per normale decadimento della traccia,
ossia a causa della caducità del ricordo che caratterizza questo tipo di memoria (fino a 30 secondi). Inoltre, la sua capienza è piuttosto limitata. Numerose
ricerche confermano che la memoria a breve termine ha una capacità calcolata in 7 +/- due elementi. Tuttavia, è fondamentale tener presente che i sette
elementi che occupano lo span di memoria (ossia la sua capienza) non devono essere considerati come singoli elementi discreti, assunti in modo isolato,
come singoli item che si sommano in modo additivo uno all’altro fino a riempire lo spazio disponibile. Se così fosse, la capienza della memoria a breve
termine sarebbe veramente estremamente limitata. In realtà essa è in grado
di raggruppare gli elementi in entrata in unità superiori di significato o
chunk. Questa possibilità aumenta sensibilmente la sua capacità: è ovvio,
inoltre, che a maggior possibilità di chunking, corrisponde maggior disponibilità di spazio per ulteriori item in entrata. Siamo allora in grado di ricordare sette fonemi se assunti in modo isolato; come ad esempio la stringa e, a, i,
o, m, r, m; ma se queste singole lettere assumono l’ordine che forma la parola memoria, che viene riconosciuta dalla memoria lessicale come una parola
con significato del lessico italiano, allora essa diviene una singola unità che
occuperà nella memoria a breve termine un unico spazio. Le lettere dunque
si organizzano in parole, e le parole si organizzano in frasi di senso compiuto che attraverso il chunking occuperanno sempre meno spazio. In sostanza,
la memoria a breve termine ha una limitata capacità di conservare dei chunk,
ma la quantità di informazione è in relazione alla possibilità di organizzare
l’input in entrata. Dunque, la memorizzazione di enunciati non dipende
tanto dal numero di parole che li compongono, ma piuttosto dalla struttura
morfosintattattica e semantica.
Questa caratteristica della memoria a breve termine suggerisce un’osservazione importante per l’insegnamento delle lingue straniere. Se infatti l’insegnante propone agli allievi liste di parole non collegate semanticamente fra
loro, e dunque non raggruppabili, i nostri allievi avranno grosse difficoltà ad
apprenderne più di un certo numero. È evidente che se non vi è possibilità
di attivare il chunking, l’acquisizione delle parole diviene lenta e difficoltosa,
con gravi conseguenze sull’atteggiamento con cui gli allievi affrontano l’apprendimento.
b. Una codifica prevalentemente fonologica
La memoria a breve termine, o di lavoro come viene preferibilmente definita oggi, svolge un ruolo centrale in tutti i nostri processi cognitivi, inclusi
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ovviamente tutti i processi coinvolti nell’apprendimento scolastico. Oltre alla
memorizzazione temporanea, la memoria a breve termine ha anche la funzione di elaborare l’input in entrata in rapporto alle conoscenze acquisite e
depositate nella memoria semantica. Infatti, il sistema operativo a breve termine codifica a livello fonologico l’input lessicale, ma coopera all’elaborazione profonda dell’input con la memoria a lungo termine, che codifica
l’informazione a livello semantico. Questo è uno degli aspetti che maggiormente ci interessano per la nostra riflessione glottodidattica.
L’input lessicale in entrata viene riconosciuto come parola in base alla sua
forma ed alla codifica fonologica, tuttavia, il suo significato viene elaborato a
livello semantico e confrontato con il lessico mentale a livello astratto (i concetti) nella memoria semantica. Ora, per un’acquisizione stabile nella memoria a lungo termine, è fondamentale che vi sia codifica a livello semantico.
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2.1 La profondità di codifica
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Diviene dunque importante stabilire come avvenga il passaggio dell’informazione dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine. Un
modello elaborato negli anni Sessanta (Atkinson e Shiffrin, 1968) ipotizza
che l’informazione elaborata temporaneamente dalla memoria a breve termine venga trasferita attraverso la ripetizione (il rehearsal) nella memoria a
lungo termine. Tuttavia, questo modello si basa su una visione strutturale che
prevede un procedimento in fasi successive, in cui il trasferimento dalla
memoria a breve termine a quella a lungo termine è soprattutto in funzione
del rehearsal, e dunque della sua permanenza nella memoria a breve termine. In altre parole, più l’item permane nella memoria a breve termine e più
vi sono garanzie di un suo trasferimento nella memoria a lungo termine.
In seguito, Craick e Lockart (1972) hanno proposto un modello diverso
basato su una visione funzionale, avanzando l’ipotesi della profondità di codifica. In questa prospettiva, i processi di elaborazione dell’informazione avvengono lungo un continuum, più che attraverso una serie di tappe discrete, e
sarebbero distribuiti secondo un percorso dai livelli più superficiali di codifica, caratterizzati dall’analisi dei tratti sensoriali e fisici, verso una elaborazione profonda dell’input a livello semantico ed a più alto grado associativo.
In base al principio della profondità di codifica la ripetizione dunque non
è più sufficiente a garantire il formarsi di una traccia stabile, ma il fattore
centrale diviene il livello della sua profondità di codifica. Un’elaborazione
più profonda dà origine ad un ricordo più stabile, perché più connesso a
livello semantico.
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2.2 Ripasso di mantenimento e ripasso di elaborazione
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Un secondo punto fondamentale del modello di Craik e Lockart riguarda il processo di conservazione dell’informazione. Se infatti l’acquisizione
profonda dipende dal livello di elaborazione, sarà solamente un ripasso elaborativo che ne consente una sua permanenza e non un ripasso di mantenimento, in cui il l’informazione viene riciclata senza ulteriore elaborazione.
Il primo consente l’accesso a livelli di elaborazione profonda rinforzando
le associazioni semantiche, mentre il secondo consente una sua permanenza
a breve termine durante il processo di conservazione.
In altri termini la ripetizione di mantenimento è un sistema di conservazione, ma non presenta le caratteristiche dell’apprendimento.
In base a quanto detto si deve supporre che tanto più un certo compito
assegnato riguarda le caratteristiche semantiche dell’item, tanto più dovrebbero aumentare le possibilità di ritenzione.
Sembra dunque evidente che la traccia mnestica è un prodotto dell’analisi percettiva, ma la sua permanenza ed il suo recupero dipendono dalla
profondità di analisi semantica.
Da un punto di vista glottodidattico questo implica che tanto maggiore
sarà l’attenzione alle caratteristiche semantiche del materiale linguistico da
apprendere, tanto maggiore e stabile sarà il suo apprendimento. Ciò si coniuga con l’assunto glottodidattico secondo il quale tanto più ci si concentra sul
contenuto di un enunciato, tanto meglio se ne può comprendere la sua struttura. Perché ciò avvenga diviene fondamentale assumere il testo come unità
minima di significato. Solo nel testo sono infatti presenti tutti gli elementi linguistici ed extralinguistici che consentono i processi di inferenza e predicibilità necessari ad una comprensione profonda del significato.
Mentre il ripasso di mantenimento ha solo la funzione di attivare una rappresentazione già esistente in memoria, il ripasso elaborativo presiede dunque alla riorganizzazione del sapere.
3. Conclusioni
Da quanto detto finora emergono dunque alcuni punti di convergenza tra
la proposta metodologica del Lexical Approach e i processi della memoria.
a. L’ipotesi del chunking
Come abbiamo osservato il Lexical Approach pone al centro della metodologia didattica i chunk lessicali. Ora, tali chunk sembrano essere perfetta96
mente coerenti con l’attività di chunking della memoria a breve termine.
Predisporre attività didattiche che favoriscano l’apprendimento di questo
tipo di unità lessicali rappresenta una metodologia ecologica in quanto
rispetta il normale funzionamento della memoria umana.
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b. Lo span di memoria e la lunghezza dei chunk lessicali
Osserva Lewis:
“Several linguists who have studied and classified expressions have come to
the conclusion that they consist of between two and seven words and, most
interestingly, they do not normally exceed seven words […] Research on short
term memory bears out this limit, which remains speculative, on the length of
individual lexical items.” (1997, p. 33-34)
“Numerosi linguisti che hanno studiato e classificato espressioni sono
giunti alla conclusione che esse consistono di un numero di parole che va da
due a sette e, ancora più interessante, che esse normalmente non superano le
sette parole [...]. Le ricerche sulla memoria a breve termine confermano questo limite della lunghezza dei singoli item lessicali, lunghezza che rimane speculativa. (Trad. it. del curatore).
È evidente dunque la relazione tra la struttura dei chunk lessicali e lo span
della memoria a breve termine. Questo conferma la bontà di una metodologia didattica basata sul Lexical Approach, in quanto i nuovi chunk che gli
allievi formano a partire dalle unità lessicali già acquisite e memorizzate possiedono una struttura linguistica perfettamente coerente con l’ampiezza
dello span di memoria a breve termine e di conseguenza possono essere
memorizzati in modo naturale.
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c. La profondità di codifica, i livelli di elaborazione e il concetto di riflessione
sulla lingua
Nei punti-chiave posti in apertura di The Lexical Approach, Lewis sottolinea che:
“The Present-Practice-Produce paradigm is rejected, in favour of a paradigm
based on the Observe-Hypothesise-Experiment cycle.” (1993, p. vii).
“Il paradigma Esposizione-Pratica-Produzione è rinnegato a favore di un
paradigma basato sul ciclo Osservazione-Ipotesi-Sperimentazione”. (Trad. it.
del curatore).
Il primo paradigma enfatizza di fatto il ruolo del ripasso di mantenimento, ma non di elaborazione. Si tratta della classica metodologia, tipica degli
approcci di matrice strutturalista, basata sulla formazione di nuove abitudi97
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ni linguistiche attraverso la modalità stimolo/risposta/rinforzo desunto dal
condizionamento operante. Considerando il soggetto una mente passiva che
apprende attraverso la ripetizione, tale metodologia non favorisce di fatto
un’elaborazione dell’input a livello profondo, ossia semantico.
Negli anni Settanta, spostando l’interesse verso i processi cognitivi che
soggiacciono all’apprendimento e non solo ai prodotti, si pongono le basi per
un concetto portante della glottodidattica odierna: il concetto di riflessione
sulla lingua, come processo in grado di sviluppare non solo le capacità metacognitive e di autonomia di apprendimento del discente, ma anche di favorire l’organizzazione delle conoscenze a livello della memoria semantica, proprio attraverso un processo di progressiva profondità di codifica. Una metodologia dunque basata sull’osservazione e la formulazione di ipotesi sul funzionamento del sistema lingua consente da un lato una maggior facilità di
memorizzazione stabile dell’input, dall’altro rappresenta la strategia più idonea per comprendere la formazione e la struttura dei chunk lessicali.
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Capitolo 8
insegnare itaLiano aLL’estero:
Cenni Per Una gLottodidattiCa a misUra
di BamBino
Maria Cecilia Luise
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Con “insegnamento dell’italiano come lingua straniera ai bambini”, ci si
riferisce in genere a studenti nell’età che copre più o meno la scuola primaria: dai 4/5 anni agli 11 anni.
Anche se l’insegnamento precoce di una lingua straniera non è un’iniziativa recente, basti pensare allo studio di una lingua straniera impartito da precettori privati ai figli dell’aristocrazia o delle famiglie più benestanti nei secoli scorsi, è recente quello istituzionalizzato, quello impartito nelle scuole, che
costituisce una delle materie del curricolo di un corso scolastico elementare.
Infatti l’insegnamento delle lingue straniere in età precoce è un terreno in
questi anni molto vivo, molto fertile, estremamente ricco di spunti e di
novità: non sono moltissimi anni che l’insegnamento delle lingue straniere ai
bambini ha assunto piena dignità, che è uscito dal campo delle sperimentazioni per entrare a pieno titolo nella glottodidattica, sono pochi anni che
hanno cominciato davvero a cedere le resistenze di chi vedeva la mente del
bambino non ancora pronta per un insegnamento di una lingua straniera che
non fosse informale (in famiglia o all’interno di una comunità), ma strutturato, scientifico, in molti casi istituzionalizzato.
Ciò è dimostrato anche dal fatto che negli ultimi anni si stanno diffondendo sempre più gli insegnamenti di lingua straniera nelle scuole primarie
statali di vari paesi, primo fra tutti l’Italia, dove dal 1992 l’inglese, o il francese, o il tedesco, o lo spagnolo sono una delle materie curricolari della scuola elementare statale.
È quindi sempre più una reale possibilità insegnare l’italiano LS a bambini all’estero, ed è importante conoscere le principali linee della glottodidattica di una LS per bambini.
1. diverse condizioni nelle quali si realizza l’insegnamento
dell’italiano a bambini
L’insegnamento dell’italiano come lingua straniera per i bambini può
assumere diverse modalità: vediamole brevemente.
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Italiano come lingua straniera all’estero: qui ci si può trovare ad insegnare
italiano come lingua straniera (l’italiano è una delle possibili materie curricolari nelle scuole primarie statali di diversi paesi, quali per esempio la Scozia,
dal 1990 e la Francia, dal 1994), o come lingua etnica, cioè italiano insegnato a figli, nipoti o pronipoti di emigranti. In questa ultima situazione, il fatto
che nella maggior parte dei casi l’emigrazione italiana all’estero è ormai datata e spesso si ha a che fare con famiglie che vivono all’estero da tre o quattro
generazioni, si assiste a due fenomeni: la difficoltà dei bambini a riconoscersi in un’identità italiana sempre più labile anche in famiglia; l’estrema diversificazione nella conoscenza della lingua italiana che questi bambini portano
a scuola, che rende il confine tra italiano come lingua etnica e italiano come
lingua straniera molto sottile.
L’italiano ai bambini può essere insegnato in una situazione istituzionale,
quindi in scuole pubbliche, statali, o comunque riconosciute dalla
Amministrazione pubblica. All’estero si trovano per esempio scuole elementari italiane e i cosiddetti “Corsi di lingua e cultura italiana”. L’italiano può
essere insegnato in situazioni che possiamo definire non istituzionali: scuole
private, corsi ad hoc, finanziati da Enti pubblici o da privati.
Quindi ci possono essere molteplici possibilità di insegnare italiano come
lingua straniera a bambini: diventa perciò importante compiere una riflessione articolata sul tema.
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2. motivazioni per l’insegnamento precoce delle lingue
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Consideriamo più da vicino questo tipo di insegnamento; prima di tutto:
perché insegnare una lingua straniera ai bambini?
Ormai da più parti sono state riconosciute molteplici ragioni per cominciare questo tipo di studio in età precoce1:
- motivazioni di carattere neurofisiologico: il cervello dei bambini fino a 10
anni è caratterizzato da una notevole plasticità, che si dimostra particolarmente importante per esempio per l’acquisizione degli aspetti fonetici, di accento,
pronuncia e intonazione; la lateralizzazione degli emisferi cerebrali non è ancora fissata: viene con ciò favorita e facilitata l’acquisizione linguistica;
- motivazioni di carattere psicologico: il bambino ha una diversa disposizione verso l’apprendimento linguistico rispetto agli adulti: ha meno paura
1
In particolare Renzo Titone ha dimostrato in numerosi scritti i vantaggi del bilinguismo precoce (si
veda Titone, 1989 e il suo contributo in Balboni, (1999) (cur.), Educazione bilingue, Perugia, Guerra).
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di sbagliare, ha meno inibizioni, è più disponibile a “mettersi in gioco”, ad
esporsi anche di fronte agli altri;
- motivazioni di carattere formativo: lo studio di una lingua straniera contribuisce ad un più armonico sviluppo del bambino, in quanto: contribuisce
al suo sviluppo cognitivo offrendogli un diverso modello di organizzazione
delle conoscenze; gli fornisce un nuovo strumento di espressione e di comunicazione; gli permette di sviluppare una competenza e una consapevolezza
culturale e interculturale, che sono alla base del superamento dell’etnocentrismo2.
Si può quindi concludere che l’insegnamento delle lingue straniere ai
bambini non solo è fattibile, ma è anche auspicabile: la sua attuazione implica solo l’uso di una didattica e di materiali adatti all’età dei discenti.
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3. aspetti peculiari di una glottodidattica per bambini
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Sicuramente la glottodidattica rivolta a bambini si deve situare all’interno
di un approccio3 che:
- ruota intorno al concetto di comunicazione: ha quindi come principale
obiettivo il raggiungimento della competenza comunicativa4, ha un forte
impianto funzionale, considera la lingua e la cultura che essa veicola come un
tutto inscindibile;
- mette al centro del processo educativo e didattico l’intera persona del
discente, nei suoi aspetti cognitivi, ma anche affettivi, fisici, emozionali, con
una particolare attenzione per tutto ciò che può limitare i processi generatori d’ansia5.
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Questi principi, qui sommariamente descritti, ma che sono oggi i nuclei
fondanti di ogni glottodidattica, sia per bambini sia per discenti adulti, non
bastano a delineare le caratteristiche di una metodologia di insegnamento
precoce delle lingue straniere.
Isoleremo quindi nei paragrafi seguenti alcuni aspetti, alcuni principi,
2
Per un confronto con le caratteristiche del discente adulto si rimanda al saggio di C. Zamborlin in
questo testo.
3
Non è questa la sede per una trattazione approfondita del concetto di approccio glottodidattico,
né per una analisi diacronica dei principali approcci glottodidattici; per questi temi si rimanda al saggio di
M.C. Luise consultabile nel sito www.unive.it/progettoalias
4
La competenza comunicativa è intesa come la capacità di esprimersi usando una lingua in modo
corretto, appropriato al contesto di situazione, coerente con i significati culturali veicolati dalla lingua,
efficace, e quindi in grado di raggiungere gli scopi che il parlante si prefigge di raggiungere; per un
approfondimento del concetto di competenza comunicativa si veda Balboni (1994).
5
Sono questi principi alla base dei cosiddetti approcci umanistico-affettivi.
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alcuni metodi didattici e glottodidattici che possono contribuire a delineare
una glottodidattica a misura di bambino.
3.1 La dimensione affettiva e formativa
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Lavorare con i bambini significa avere un’attenzione particolare per la
dimensione affettiva, per i bisogni non solo comunicativi, per le caratteristiche di personalità degli allievi: l’approccio comunicativo, alla base della maggior parte dei materiali e dei libri di testo disponibili per insegnare l’italiano
a bambini stranieri, ha una forte valenza strumentale, prevede un curricolo
steso in base ai bisogni reali, pratici, legati all’uso di una lingua straniera per
sopravvivere nel paese nel quale la si parla.
Questi sono bisogni che non hanno molto significato per un bambino che
deve studiare una lingua straniera, una lingua quindi che non viene usata nell’ambiente nel quale lo studente vive come strumento di comunicazione,
ambiente dove invece nella maggior parte dei casi si usa la sua madrelingua;
nello stesso tempo, un bambino non è in grado di proiettarsi nel futuro per
vedere e prendere in considerazione futuri scenari della sua vita nei quali il
possesso di quella lingua straniera è importante.
La valenza strumentale della lingua straniera va quindi ridimensionata
quando si lavora con studenti molto giovani per fare spazio agli aspetti formativi e alla dimensione espressiva.
Questo vale in modo particolare per lo studio dell’italiano come lingua
straniera, che, per lo più, non prevede fini strumentali o immediatamente utilitaristici, è una lingua cosiddetta “inutile”6.
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3.2 La didattica ludica
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Tutta la metodologia glottodidattica diretta ai bambini deve essere basata sul gioco.
Ciò non va inteso come l’identificazione del tempo della didattica con
svago e divertimento, con attività poco impegnative o con l’uso di giocattoli
e giochi strutturati, ma come la principale modalità attraverso la quale viene
presentato il materiale linguistico e viene fatta esercitare la lingua, attraverso
la quale il bambino può osservare, sperimentare, manipolare, impossessarsi
di una lingua.
Il gioco è infatti la modalità privilegiata attraverso la quale un bambino fa
esperienza del mondo: la metodologia ludica gli permette di affrontare in un
6
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Per il concetto di italiano come lingua inutile, si veda Balboni (1994).
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modo naturale e familiare lo studio di una lingua e di coinvolgere nel processo di apprendimento tutte le sue capacità cognitive, affettive, sociali e sensomotorie.
La metodologia ludica permette di
- creare un contesto nel quale lavorare con una lingua per impararla sia
significativo, anche laddove non ci sono evidenti fini strumentali o utilitaristici per lo studio della lingua italiana, autentico, in quanto la realtà del gioco
può rendere autentico l’usare la lingua in contesti che non sono autentici,
come quello scolastico, e motivante, in quanto alimenta una motivazione di
tipo intrinseco, basata sul piacere;
- coinvolgere tutte le capacità e le abilità del bambino: un gioco non coinvolge solo le capacità cognitive di un soggetto; anche le caratteristiche affettive e di personalità, le capacità linguistiche, le abilità sensomotorie vengono
chiamate a collaborare. In questo modo il bambino è in grado di utilizzare
tutte le sue risorse per lo svolgimento del gioco, e quindi, nel nostro caso,
nell’apprendimento di una lingua;
- “fare delle cose”: i giochi servono a “fare” nel senso più materiale del
termine. La dimensione della manipolazione, della costruzione, della realizzazione pratica di un progetto, è una delle modalità privilegiate per percepire, e quindi apprendere, per i bambini;
- vincere delle sfide: in tutti i giochi c’è la presenza del fattore sfida, infatti uno dei principali aspetti del divertimento che danno i giochi risiede nel
confrontarsi con altre persone o con un compito, nel mettersi di fronte ad
una sfida; il gioco in contesto didattico deve e può attivare il piacere della
sfida senza necessariamente stimolare sentimenti troppo forti, e spesso ansiogeni, di competizione tra i bambini;
- incoraggiare le interazioni tra pari: i giochi possono infine incoraggiare
le interazioni di cooperazione tra i bambini, non solo la competizione tra
bambini o tra gruppi di bambini: molti giochi possono essere usati per insegnare ai bambini la cooperazione tra pari, la collaborazione, l’importanza del
supportarsi a vicenda.
Il capitolo relativo alla didattica ludica nell’insegnamento delle lingue è
complesso e ricco di risvolti: per ulteriori approfondimenti e per una trattazione precisa di quali giochi sono utili in glottodidattica, si rimanda ai testi
citati in bibliografia di Freddi e di Caon, Rutka.
3.3 Il Total Physical Response
Nella comunicazione quotidiana l’ascolto è l’abilità che, in percentuale,
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usiamo più spesso, con un’incidenza di circa il 45%; la comprensione orale
è alla base di una reale competenza linguistica.
Le abilità di comprensione orale hanno un ruolo privilegiato nell’insegnamento di una lingua, soprattutto all’inizio del percorso di apprendimento, anche alla luce di altre considerazioni.
Ogni persona, esposta ad una lingua nuova, inizia a comprenderla senza
essere ancora in grado, o senza essere ancora abbastanza sicura di sé, per parlarla: è quindi in quella che si chiama “fase del silenzio”, attraverso la quale
si passa anche quando si impara la lingua materna e che ha una durata variabile da persona a persona.
È un periodo importante non solo dal punto di vista psicologico, ma
anche da quello cognitivo: è infatti il periodo nel quale il soggetto è impegnato ad identificare, nel flusso di suoni al quale è esposto, parole ed espressioni, e a dare loro un significato: solo quando ha identificato, riconosciuto,
compreso e messo insieme una serie di espressioni potrà sintetizzarle in una
produzione linguistica autonoma.
Rispettare la fase del silenzio, non richiedere innaturali, forzate e premature produzioni linguistiche significa rispettare i processi di apprendimento
del discente e non porre le condizioni per l’innalzamento del filtro affettivo,
per la perdita della motivazione, per l’instaurarsi di un sentimento di inadeguatezza verso la lingua che si sta andando ad imparare, significa valorizzare
i processi di comprensione, che tanta parte hanno in qualsiasi acquisizione
linguistica.
Spesso invece gli insegnanti provano un senso di disagio verso la mancanza di feedback nella relazione con un parlante nella fase del silenzio, disagio che va superato e aggirato con tecniche glottodidattiche specifiche, che
permettono di lavorare attivamente con l’allievo, da una parte senza forzarlo
a produrre lingua, dall’altra educandolo ad essere un “buon ascoltatore”.
Un metodo glottodidattico che risulta essere molto utile per lo sviluppo
delle abilità di comprensione orale con allievi molto giovani va sotto il nome
di Total Physical Response, spesso abbreviato con T.P.R. e tradotto con
Risposta Fisica Totale.
Il T.P.R., infatti è un metodo che non richiede risposte verbali: è stato
ideato da J. Asher7, uno psicologo americano, negli anni ’60: partendo dalle
osservazioni fatte sui problemi di apprendimento dei bambini, Asher elabora un metodo glottodidattico che si rifà e al processo di acquisizione della lingua materna: per lui l’apprendimento è un processo lento, basato principalmente su esperienze ricettive, facilmente bloccato da avvenimenti frustranti
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3.4 La dimensione metacognitiva
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e ansiogeni, che va basato sul coinvolgimento di tutte le modalità esperienziali dell’individuo: audio-orali, affettive, motorie, visive.
Nel Total Physical Response l’allievo è al centro del processo di insegnamento, viene motivato, protetto dagli insuccessi e guidato all’autorealizzazione.
Il metodo è basato su un input verbale, fornito dal docente, costituito da
comandi ai quali gli studenti rispondono fisicamente, con comportamenti
non verbali, in pratica eseguendo i comandi dati: il fine è favorire le esperienze ricettive di comprensione della lingua, non forzare gli allievi a produzioni linguistiche se non sono ancora pronti a parlare, se sono ancora nel
periodo silenzioso, coinvolgere le abilità di espressione non verbali; nello
stesso tempo l’insegnante ha un feedback dell’avvenuta comprensione del
messaggio dato e si dà la possibilità agli studenti, quando si sentiranno pronti, ad utilizzare la lingua per dare essi stessi comandi agli altri.
I comandi proposti vanno da semplici ordini del genere “apri la porta” a
lunghe sequenze di azioni e comportamenti diversi e sono integrati da gesti,
disegni, oggetti, immagini: i comandi possono essere in sequenza, contenere
tempi verbali diversi, forme negative, sinonimi o contrari, espansioni più o
meno lunghe e complesse, per proporre un input linguistico ricco e variato.
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Riguardo al tema della riflessione linguistica e della dimensione metacognitiva gli insegnanti in genere prendono due posizioni antitetiche, qui di
seguito semplificate.
C’è chi da una parte non ritiene la mente del bambino pronta a compiere le operazioni mentali necessarie per riflettere sulla lingua e sui suoi meccanismi di funzionamento, dall’altra vede come unico obiettivo dell’insegnamento il comunicare con la lingua, privilegiando così solo gli aspetti strumentali: in questa ottica non c’è posto per lo sviluppo delle competenze sull’uso della lingua, ma solo per le competenze d’uso della lingua.
Altri insegnanti invece applicano la metodologia ben conosciuta e sperimentata nell’insegnamento della lingua materna anche quando si trovano ad
insegnare una lingua straniera: in questo modo vengono proposti ad allievi
stranieri che non hanno ancora una sufficiente e sviluppata competenza
comunicativa in lingua straniera percorsi di riflessione linguistica normal-
7
J.J. Asher, (1977), Learning Another Language Through Actions: the Complete Teacher’s Book, Sky
Oaks, Los Gatos.
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mente affrontati da un allievo coetaneo madrelingua, che quindi ha alle spalle anni di esposizione e pratica linguistica e comunicativa con l’italiano; spesso poi questi percorsi vengono finalizzati ad insegnare la microlingua della
nomenclatura grammaticale, a dare precise etichette alle diverse parti del
discorso, limitandosi agli aspetti morfosintattici e lessicali.
Oggi invece è accertato che anche con i bambini non si può basare un
curricolo di lingua straniera solo sulle abilità di usa della lingua, ma che
vanno considerate anche quelle sull’uso della lingua: bisogna quindi muovere verso una riflessione, guidata dall’insegnante, ma condotta dagli alunni,
sulla logica che regge il materiale linguistico presentato, materiale sul quale
si è fatto pratica e che è già stato assimilato come comportamento comunicativo8.
Ciò è fondamentale soprattutto per:
- correggere le ipotesi errate che il bambino può essersi fatto circa i meccanismi ricorrenti di funzionamento della lingua: un bambino esposto ad una
lingua si crea comunque delle ipotesi sul suo funzionamento, e si costruisce
una grammatica spontanea basata non solo sugli esempi di lingua straniera ai
quali è esposto, ma anche costruita attraverso processi di generalizzazione e
di transfer, di trasferimento di quanto ha già “regolarizzato”, scoperto della
sua lingua materna;
- fornire una griglia strutturante nella quale inserire le informazioni sempre più numerose e complesse che il bambino riceve sulla lingua straniera,
senza costringerlo ad affidarsi solo alla memoria;
- dargli gli strumenti per iniziare a creare un meccanismo razionale, per
quanto elementare, per controllare la lingua che viene prodotta: è la funzione di monitoring di Krashen.
Tralasciando la grammatica prescrittiva, normativa, in favore di una riflessione sulla lingua vista come codice e come strumento di comunicazione,
quando si insegna una lingua ai bambini il carattere di queste riflessioni linguistiche dovrà essere:
- induttivo e concreto: è il bambino che, seguendo un processo di induzione, scopre la regola, attraverso la manipolazione della lingua, attraverso
attività concrete, non attraverso esercizi sul libro o sul quaderno, ma per
esempio attraverso giochi con cartellini, o costruzioni di insiemi di parole;
- proposto sotto forma di gioco o di problema, in grado cioè di stimolare
8
Per una panoramica delle tecniche glottodidattiche per la riflessione linguistica si veda Balboni
(1998) e, per quanto riguarda la glottodidattica per bambini, il contributo di M.C. Luise “Metodologia
glottodidattica per bambini” in AA.VV. (2000).
110
il bambino ad applicare le sue capacità di osservazione in un contesto motivante e stimolante.
3.5 L’interdisciplinarità
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Il valore formativo dell’insegnamento dell’italiano come lingua straniera a
studenti molto giovani si realizza anche attraverso la valorizzazione e la realizzazione sistematica di percorsi interdisciplinari: dato che non è possibile
che uno studente in età di scuola primaria o di scuola di base stia studiando
solo italiano come lingua straniera, non si può prescindere dal fatto che non
si può insegnare una lingua senza coordinare ed integrare la programmazione e la metodologia di tutti gli insegnanti che lavorano con gli stessi bambini, primi fra tutti gli insegnanti che si occupano di Educazione Linguistica9.
I criteri da individuare e da seguire per impostare un programma di insegnamento interdisciplinare sono vari; di seguito se ne elencano cinque fra i
più comunemente applicati:
- raccordo a livello di contenuti: si sceglie un tema, un argomento, e le
varie materie del curricolo lo esplorano dal loro particolare punto di vista;
- un secondo criterio opera invece a livello di epistemologia delle discipline: i raccordi si basano su alcuni principi comuni che legano le materie tra
loro, per esempio la stessa metodologia di indagine: è particolarmente facile
usarlo per raccordare tra loro lingua materna e lingue straniere, in quanto la
metodologia di indagine della scienza linguistica può essere applicata ad
un’analisi di più lingue;
- un terzo criterio è più generale e riguarda il livello pedagogico: il raccordo si realizza tramite comuni finalità e obiettivi educativi fra le diverse
discipline;
- il quarto criterio riguarda il raccordo a livello didattico e consiste nello
stabilire un comune approccio metodologico d’insegnamento: è un criterio
fondamentale sopratutto quando si opera sulla riflessione linguistica in senso
contrastivo: si applica lo stesso approccio metodologico, la stessa terminologia, a due lingue per poterle confrontare e per poter generalizzare;
- il quinto criterio invece è di natura diversa rispetto agli altri, più legati
alla specificità delle discipline: a questo livello si opera evidenziando i processi psicologici e cognitivi comuni che caratterizzano l’apprendimento, qua9
Si aggiunge solo che le indicazioni della Comunità Europea in materia di politica linguistica degli
stati membri prevedono che uno studente esca dalla scuola di base con il possesso di almeno due lingue
straniere: ecco allora che non è assolutamente pensabile che non ci siano collegamenti tra le lingue che si
stanno contemporaneamente studiando.
111
lunque sia la disciplina insegnata, e si propongono raccordi tra materie che
attivano gli stessi processi cognitivi: ecco allora che i processi cognitivi alla
base della comprensione orale, per esempio, sono gli stessi sia nella comprensione di un racconto in lingua materna, sia di un problema di matematica, sia di un dialogo in lingua straniera; si può così decidere di lavorare
insieme, nello stesso momento, sulle stesse abilità10.
4. Un modello di Unità didattica per bambini
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4.1 Prima fase di una U.D.: motivazione
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Spostandoci su un piano più pratico, più didattico, riprendiamo il classico modello operativo dell’Unità Didattica11 nelle sue principali fasi: motivazione, accostamento al testo, lavoro sul testo, controllo per vedere come esso
vada adattato, integrato da tecniche specifiche quando si ha a che fare con
discenti molto giovani. Naturalmente, il modello, qui proposto nella sua
forma più semplice e conosciuta dagli insegnanti per semplicità di esposizione, verrà adattato, integrato, collegato ad altre unità in un progetto didattico
di carattere modulare12 da ogni insegnante sulla base delle esigenze di ogni
realtà scolastica.
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Essendo la condizione indispensabile per ogni acquisizione, prerequisito
fondamentale, la motivazione va continuamente stimolata e sostenuta,
soprattutto quando non ci sono immediate motivazioni strumentali o utilitaristiche per imparare una lingua, come nel caso dell’italiano come lingua straniera.
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In genere, quando si lavora con bambini, ci si trova di fronte ad una forte
motivazione iniziale, sostenuta dalla naturale curiosità infantile: non bisogna
però fermarsi a qui, in quanto questa forma di motivazione rischia di sparire
alle prime difficoltà: ecco allora che essa va sostenuta e stimolata in modo
particolare all’inizio di una U.D., ma poi deve essere alimentata in tutte le sue
fasi, attraverso:
- una grandissima varietà di tecniche utilizzate durante le lezioni;
- il coinvolgimento totale dei bambini, di tutte le loro modalità sensoriaPer un approfondimento del concetto di interdisciplinarità si rimanda a Balboni, Luise (1994).
Per ulteriori approfondimenti sul modello dell’Unità Didattica nell’insegnamento di una lingua
straniera per bambini, si rimanda a Freddi (1994).
12
Per il modello di modulo e di costruzione di un progetto didattico flessibile basato
sull’organizzazione reticolare di diverse Unità Didattiche, si veda Balboni (2002).
10
11
112
li, motorie, cognitive.
Per quanto riguarda la motivazione più specificamente legata all’inizio di
ogni U.D., si possono usare diverse tecniche che in genere durano pochi
minuti e possono essere svolte anche nella lingua materna dei bambini, finalizzate a risvegliare la curiosità e l’attenzione degli allievi e fornire loro un
contesto che permetta di mettere in atto le strategie di anticipazione e previsione, molto importanti nei processi di apprendimento e di comprensione
linguistica.
4.2 Seconda fase dell’U.D.: accostamento al testo (globalità)
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È la prima fase di ogni apprendimento, che passa attraverso la percezione globale dell’evento e coinvolge principalmente l’emisfero destro del cervello: essa prevede una successione di attività di ascolto e\o comprensione
scritta di un testo linguistico presentato nella sua interezza, ogni volta caratterizzata da un compito nuovo, da un nuovo elemento da comprendere; l’importante è segmentare il lavoro di comprensione globale in una serie di compiti semplici, alla portata dei bambini.
Cosa è importante quando si ha a che fare con i bambini:
- la fase della globalità va accentuata e prolungata, soprattutto nei suoi
aspetti di comprensione del testo in lingua straniera; ci sono varie motivazioni: - in un curricolo di lingua straniera per bambini devono essere prese
in considerazione tutte le 4 abilità linguistiche primarie: comprensione orale,
produzione orale, lettura e scrittura, ma devono essere fortemente gerarchizzate: quelle orali hanno la precedenza su quelle scritte, quelle ricettive
vengono prima di quelle produttive, in una sequenza ideale che diventa:
comprendere ➝ parlare ➝ leggere ➝ scrivere: quindi le attività per la comprensione sono le prime che vanno affrontate; -chiunque, messo di fronte ad
una lingua nuova, anche il bambino che impara la lingua materna, passa per
un periodo detto “fase del silenzio” (cfr. paragrafo 3.3); nei bambini questa
fase può durare molto a lungo, anche per interi mesi, nei quali vanno sviluppate e potenziate le abilità di comprensione del testo, accanto a semplici attività di ripetizione, che non implichino produzioni linguistiche autonome;
- i materiali e i contenuti da presentare devono essere selezionati accuratamente: vanno scelte le situazioni comunicative da presentare agli allievi, e il
registro linguistico: non ha senso insegnare ad un bambino di 6 anni come
comperare un biglietto aereo per Roma o proporre a bambini molto piccoli
ad un livello linguistico elementare forme del registro formale come l’uso del
“lei”; vanno invece presi in considerazione tutti quei tipi di testo che posso113
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no essere vicini al mondo dei bambini, che rispondono alla funzione poetico-immaginativa, espressiva, narrativa, creativa, che permettono di usare la
lingua per il puro piacere di usarla, per creare mondi fantastici, per giocare
con essa. Ecco allora le poesie e le filastrocche, per scoprire rime e assonanze; le canzoni: quelle tradizionali, per esempio, veicolano anche aspetti culturali, ma non solo: cantare in coro permette al bambino di usare e riprodurre la lingua in una situazione di gruppo non ansiogena; inoltre le canzoni permettono di praticare una lingua straniera rispettando la velocità d’eloquio data dal ritmo musicale, e l’uso dei ritornelli permette di ripetere e fissare in modo non noioso una struttura linguistica; ancora, in un curricolo di
lingua per bambini devono trovare un posto privilegiato le storie, le favole,
le fiabe, i testi narrativi; l’ascoltare storie fa parte del loro vissuto quotidiano:
attraverso le storie si può così dare un carattere di autenticità e realismo ad
una lingua che non sempre ha immediate funzioni utilitaristiche13.
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4.3 Terza fase dell’U.D.: lavoro sul testo (analisi, sintesi, riflessione)
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In questa fase si prevede un lavoro di analisi e successiva sintesi del materiale proposto attraverso attività che coinvolgono anche l’emisfero sinistro
del cervello; in genere si propongono esercizi per favorire la padronanza a
livello comunicativo orale e\o scritto dei contenuti e delle forme linguistiche
presentati.
Le tecniche per favorire l’uso sempre più autonomo della lingua ruotano
con i bambini intorno a due assi principali: i giochi, dei quali abbiamo già
parlato, e la drammatizzazione, in tutte le sue varianti e forme; molto utile è
anche una diversa forma di drammatizzazione, cioè l’utilizzo di pupazzi o
marionette con i quali i bambini possono dialogare o ai quali possono prestare la voce; questa tecnica è utilissima in quanto il pupazzo fa da filtro tra
alunno e lingua straniera, con conseguente diminuzione dell’ansia da prestazione.
Le tecniche sopra descritte sono per lo più legate alle abilità orali, ma va
sottolineato che non è certo corretto limitarsi solo a questa dimensione della
lingua, anche le abilità scritte devono rientrare in un curricolo di lingua straniera per bambini: gerarchizzare le abilità non significa trascurarne alcune;
anche per le abilità scritte vale quanto già detto: gradualità nell’accostamento, far precedere la lettura alla scrittura, avere un approccio:
- ludico, utilizzando tecniche quali per esempio i giochi di parole e i
13
Per l’uso didattico delle storie e delle fiabe pere l’insegnamento delle lingue ai bambini, si veda
anche M.C. Luise, “Favole e insegnamento delle lingue ai bambini”, in In.IT (2000), anno I, n. 1.
114
fumetti;
- comunicativo, organizzando per esempio una corrispondenza scritta
con altri bambini;
- pratico, proponendo per esempio attività di “ritaglia e incolla”, o di preparazione di cartellini da attaccare agli oggetti.
In questa fase si ritrovano anche le attività di riflessione sulla lingua: come
detto nel paragrafo 3.4, il carattere di tutte queste riflessioni sarà induttivo e
concreto, saranno proposte sotto forma di gioco o di problema o di scoperta, verrà stimolata la riflessione all’interno di gruppi di bambini ai quali l’insegnante fornisce solo una guida o un supporto.
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4.4 Quarta fase dell’U.D.: controllo
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5. Conclusioni
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Questa fase è finalizzata ad attività di controllo, recupero e rinforzo: qui
è particolarmente importante l’atteggiamento dell’insegnante nei confronti
dell’errore: laddove l’obiettivo principale è la competenza comunicativa, non
solo quella linguistica, le produzioni degli alunni vanno valutate in base a tre
parametri principali:
- correttezza linguistica;
- efficacia rispetto allo scopo della comunicazione;
- appropriatezza alla situazione comunicativa.
Ecco allora che non ci si può concentrare solo sull’aspetto morfo-sintattico o fonologico, ma che si può anche valutare positivamente una produzione in parte non corretta, se sono garantite efficacia, appropriatezza e comprensibilità del messaggio.
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Come si è visto sopra, l’insegnamento di una lingua straniera, in questo
caso dell’italiano, ad allievi molto giovani, ha delle motivazioni sia legate ad
aspetti sociali e culturali, sia delle motivazioni scientifiche, legate alla ricerca
psicologica e pedagogica.
Nello stesso tempo, si fa sempre più indispensabile affidare questo tipo di
insegnamento a docenti che abbiano una preparazione specifica nel campo
della glottodidattica precoce, in quanto non è sufficiente spostare ai bambini i principi e le tecniche utilizzate per insegnare lingue a studenti adulti.
Solo se si usano precisi accorgimenti e una glottodidattica specifica si possono mettere le basi affinché i bambini non solo imparino una o più lingue,
ma abbiano un più armonico sviluppo intellettuale e un atteggiamento posi-
115
tivo, basato sull’interesse e sulla curiosità, verso chi è diverso, per lingua o
per razza o per cultura, da loro.
riferimenti bibliografici
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116
Capitolo 9
itaLiano Come Ls Per adULti:
Coordinate didattiChe di riferimento
Chiara Zamborlin
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In questo capitolo rifletteremo su alcune variabili cognitive, psicologiche
e socio-culturali che intervengono nell’insegnamento dell’italiano come LS
ad apprendenti adulti. Considerato che non è possibile fornire coordinate
metodologiche applicabili indistintamente ad ogni situazione operativa, il
proposito fondamentale di questo contributo è di offrire alcuni punti di riferimento generali che possano consentire di orientare l’attività didattica in
prospettiva andragogica.
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1. Una definizione del concetto di adulto: l’andragogia
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In glottodidattica lo status d’adulto è definito secondo tre parametri
interdipendenti, ovvero dal punto di vista biologico, psicologico e socio-culturale. In termini generali possiamo quindi ritenere adulta una persona che
ha superato la pubertà, che è capace di compiere scelte autonome e che possiede, o è in grado di esercitare, un ruolo professionale (impiegato, operaio,
ecc.) oppure un’occupazione (studente universitario, casalinga, ecc.). Un
tratto aggiuntivo che ci aiuta a definire meglio questa figura d’apprendente,
è rappresentato dal fatto che ogni adulto è provvisto di un patrimonio di
conoscenze enciclopediche che è molto importante riuscire a valorizzare ai
fini didattici (si pensi in particolare all’ambito dello studio microlinguistico).
La descrizione fin qui tracciata, per quanto vaga, ci consente già di mettere
a fuoco il problema e di comprendere che l’insegnamento agli adulti richiede una programmazione basata su postulati psico-pedagogici diversi da quelli che regolano la didattica agli adolescenti o ai bambini.
Le condizioni in cui all’estero si realizza l’insegnamento della lingua italiana ad adulti sono molto diversificate. Qui possiamo solo accennare che a
livello istituzionale corsi di lingua e letteratura italiana sono spesso offerti in
università, in accademie di Belle Arti e in conservatori musicali di molti paesi
d’Europa, dell’America Latina, in Nord America e in Australia. A partire
dagli anni ottanta lo studio dell’italiano ha guadagnato anche un rapido
incremento in Asia (soprattutto Giappone, Corea e Cina), dove l’utenza è
esclusivamente adulta. Al di fuori delle istituzioni accademiche, l’italiano nel
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mondo è appreso da adulti negli Istituti Italiani di Cultura, in Enti finanziati
da organismi pubblici o privati e in istituti quali scuole di lingue o associazioni culturali di vario genere. Indipendentemente dalle strutture e dal contesto geografico in cui ci si trovi ad operare, ai fini di un’adeguata progettazione didattica è tuttavia importante tenere presente che all’estero gli adulti
si accostano allo studio dell’italiano motivati da interessi e bisogni spesso
molto differenziati. L’italiano può, ad esempio, essere appreso per il semplice piacere di conoscere una nuova lingua e una nuova cultura, per interessi
legati al campo di studio, per ragioni affettive (es. l’italiano come lingua etnica), per esigenze professionali, ecc.
Per quanto non sia possibile fornire indicazioni operative applicabili ad
ogni situazione, nell’ambito di cui trattiamo possiamo individuare per lo
meno un punto di riferimento stabile nell’approccio didattico da seguire. Ci
riferiamo all’andragogia, termine usato dallo psicologo Malcolm Knowles per
designare la teoria dell’apprendimento negli adulti, che si differenzia dalla
pedagogia, ovvero l’arte di educare i fanciulli1. Per una didattica linguistica
condotta secondo principi umanistico-affettivi appare adeguato mantenere
un distinguo tra queste due scienze dell’educazione. Pertanto, in classi d’adulti, un accorgimento da seguire sarà quello di evitare un approccio “pedagogico” nel senso etimologico, vale a dire basato su attività che di norma funzionano nell’insegnamento precoce, ma che possono dimostrarsi inadatte, o
essere addirittura poco gradite, ad allievi che non sono più bambini o ragazzi molto giovani. È inoltre importante ridefinire in senso andragogico anche
il rapporto tra allievo e docente, dal momento che insegnare agli adulti significa interagire con individui per i quali l’apprendimento di una lingua straniera può costituire un impegno abbastanza faticoso e che, soprattutto, non
sono sempre disposti a mettere in discussione, oltre un certo limite, la propria visione del mondo. È quindi indispensabile che il rapporto tra insegnante e apprendente assuma la configurazione e la dinamica di una relazione tra pari. Quest’ultima nota di cautela, come discuteremo, riguarda non
solo il modo di affrontare gli argomenti di carattere morfosintattico, ma
soprattutto quelli di natura socio-culturale.
1
“Andragogia” deriva dal greco anèr-andròs (uomo) + ágein (condurre). La radice etimologica è la
stessa per “pedagogia” (da pais-paidòs = bambino). Per un approfondimento sul tema si rimanda in
particolare a Demetrio (1990; 1995) e a Knowles (1997).
118
2. Variabili associate alla didattica dell’italiano come Ls agli adulti
I fattori coinvolti nell’apprendimento di una lingua straniera sono molteplici. È dunque impossibile pensare di offrirne una tassonomia esauriente.
Di seguito discutiamo in prospettiva andragogica alcune variabili che intervengono nella didattica dell’italiano come LS, classificandole su tre piani correlati: cognitivo, psicologico e socio-culturale. Naturalmente non dobbiamo
dimenticare che la situazione in cui ogni insegnante si troverà ad operare presenterà sempre caratteristiche d’unicità, di conseguenza le riflessioni che
proponiamo non costituiscono altro che un percorso orientativo strutturato
in una griglia di punti di riferimento molto generali.
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2.1 Fattori cognitivi
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Da un punto di vista cognitivo, l’insegnamento di una lingua straniera a
adulti presuppone che si tengano presente alcune considerazioni di carattere neurologico. A partire da Lennemberg (1967) molte ricerche in questo
campo hanno permesso di comprendere che con il raggiungimento della
pubertà il cervello umano completa la lateralizzazione, assegnando certe funzioni cognitive all’uno o all’altro dei due emisferi. Dato che le operazioni linguistiche sembrano essere controllate in gran parte dall’emisfero sinistro –
per quanto oggi sappiamo che anche l’emisfero destro interviene in modo
rilevante nelle funzioni del linguaggio2 – fino a tempi non lontani si riteneva
che il superamento della pubertà segnasse un punto di non ritorno per la
possibilità di apprendere con successo le LS. Il che significava postulare l’esistenza di un periodo critico anche per l’acquisizione di una lingua che non
fosse quella materna3. La questione, in realtà, appare molto più complessa di
quanto si sospettasse e allo stato attuale sembra più adeguato parlare non di
periodo critico ma di periodo sensibile. La distinzione è importante dal
momento che la prima ipotesi interpreta le potenzialità di successo nell’apprendimento di una LS come limitate ad un solo periodo della vita, mentre
la seconda considera l’infanzia come il periodo in cui l’apprendimento è semplicemente più agevolato (Ellis, 1994: 493).
Non è in ogni caso indispensabile possedere nozioni di neurolinguistica
per capire che gli adulti, tanto in ambienti di LS quanto di L2, imparano
2
Ad esempio nella comprensione degli elementi creativi della comunicazione linguistica, come le
metafore, l’ironia, l’umorismo, ecc.
3
La nozione di periodo critico è usata normalmente a proposito dell’apprendimento della LM e si
riferisce all’infanzia, “il periodo in cui è possibile sviluppare il linguaggio anche in seguito ad un danno ai
centri linguistici” (Danesi, 1988: 113).
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facendo più fatica dei bambini. Rispetto ai giovani in età prepuberale gli
adulti sono indubbiamente avvantaggiati in partenza, da un punto di vista
quantitativo, e specialmente nell’apprendimento delle regole grammaticali,
ma in un secondo tempo sono sempre superati dai bambini o dai ragazzi (a
patto che ricevano un’adeguata esposizione alla lingua d’arrivo, cfr. Scovel,
1999: 284). Solo i bambini inoltre sono normalmente in grado di acquisire la
pronuncia di una seconda lingua ai livelli dei madrelingua, e questo può essere spiegato con argomentazioni di carattere psicomotorio che sosterrebbero
l’ipotesi di un periodo critico ma relazionato, più che alla lateralizzazione,
alla plasticità del sistema neuromuscolare infantile che consente di usare con
agilità i muscoli dell’apparato articolatorio (Brown, 1994: 53). Le potenzialità d’apprendimento di morfologia e sintassi a livelli nativi, o quasi nativi,
sembrano infine diminuire sensibilmente dopo i quindici anni, mentre si
ritiene che il lessico possa essere agevolmente appreso a qualsiasi età4.
Bisogna però tener presente che nelle persone anziane si assiste spesso ad
una diminuzione della memoria dichiarativa (la capacità di ricordare nomi,
date, fatti, ecc.), anche se la perdita può essere relativamente minima in condizioni di buona salute (Scovel, 1999: 248).
Gli adulti, nondimeno, possono fruire di preziose risorse, come la capacità d’astrazione e di sistematizzazione delle conoscenze – di cui i bambini
non sono ancora in condizioni di avvalersi – che consentono all’apprendente di oltrepassare la dimensione dell’esperienza concreta e della percezione
diretta (Brown, 1994: 57). A questo riguardo già alcuni decenni fa Ausubel
(1964) faceva notare che nell’apprendimento linguistico le spiegazioni grammaticali esplicite e i ragionamenti deduttivi sono indispensabili agli adulti,
mentre in gran parte dei casi si dimostrerebbero inutili o addirittura svantaggiosi nell’insegnamento precoce. Varie esperienze che abbiamo raccolto
ascoltando insegnanti d’italiano che operano dall’Asia al continente americano, dal nord Europa al nord Africa, confermano quest’osservazione.
Infatti, indipendentemente dalla distanza effettiva tra italiano e LM, e dalle
diverse abitudini d’apprendimento, gli adulti – e già in larga misura gli adolescenti – sollecitano costantemente riflessioni esplicite sui meccanismi di
funzionamento della lingua straniera. Disattendere queste esigenze metalinguistiche sarebbe certamente sbagliato, dal momento che derivano da un
4
Anche sotto quest’aspetto siamo tuttavia lontani dal poter fare affidamento su dati certi. Ellis (1994:
492) ad esempio puntualizza che, con l’assistenza di un intervento istruttivo adeguato, agli adulti non è
affatto preclusa la possibilità di acquisire una pronuncia nativa in una LS/L2, e ricorda che, in una
qualsiasi lingua target, molti adulti riescono a raggiungere livelli di competenza grammaticale d’estrema
accuratezza.
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bisogno di contare su regole generali di riferimento, e tale bisogno costituisce un attributo peculiare della mente adulta (cfr. Brugé, in questo volume).
Un altro elemento che contraddistingue la didattica andragogica da quella precoce, riguarda il fatto che gli adulti mostrano di possedere degli stili
d’apprendimento abbastanza definiti. Con il termine “stile” ci riferiamo qui
ad una tendenza cognitiva, quindi ad un fattore interno, che riguarda il
modo in cui si apprende e che varia da individuo a individuo. Ci sono ad
esempio persone portate all’uso della memoria visiva, mentre altre sono più
inclini a riflettere e ad analizzare. Alcune persone mostrano un livello di tolleranza dell’ambiguità molto elevato (che consente loro di adattarsi a contesti comunicativi opachi e di sostenere una conversazione in LS senza pretendere di capire tutto), quando altre non riescono affatto a tollerarla. Gli stili
d’apprendimento identificati e studiati dagli psicologi della cognizione sono
molteplici e fornirne un inventario esulerebbe dall’ambito di questo lavoro.
Per quanto riguarda lo studio delle LS, ricordiamo solo che sono spesso portati ad esempio due paradigmi: quello di “indipendenza” e quello di “dipendenza dal campo”. Il primo concetto definisce l’abilità di percepire particolari rilevanti isolandoli dall’insieme (ovvero dal “campo”, che nel nostro caso
può essere tanto un testo quanto o una situazione comunicativa). Il secondo
indica invece la tendenza a percepire e ad assimilare le informazioni contestualmente, senza elaborarle in modo analitico e sequenziale. È stato rilevato che nella cultura occidentale gli uomini tendono ad essere più “indipendenti dal campo” rispetto alle donne, ma che nelle società agrarie o autoritarie prevalgono in media gli individui del secondo tipo5. Anche se crediamo
che queste generalizzazioni non debbano essere interpretate come degli
schemi preconfezionati entro cui inquadrare i nostri allievi, dobbiamo
comunque considerare che le differenze negli stili d’apprendimento sono un
fatto accertato, che non ne esiste uno preferibile ad un altro e che ogni stile
dovrebbe essere valorizzato o, quantomeno, assecondato.
2.2 Fattori psicologici
Alcuni allievi apprendono rapidamente mentre altri, in varia misura, pos5
Come spiega Brown, (1994: 106) il motivo sembra strettamente connesso al tipo di sistema
educativo in cui un individuo cresce. Nelle società capitalistiche, industrializzate e altamente competitive,
l’educazione si fonda, ad esempio, su modelli che favoriscono l’indipendenza anche sotto l’aspetto
cognitivo. Non dobbiamo inoltre dimenticare che nella cultura occidentale il mondo dell’educazione
tende a valutare positivamente la capacità di analizzare e di spiegare dettagli, specialmente in ambito
scientifico. Anche a livello affettivo le persone “indipendenti dal campo” tenderebbero all’autonomia e
allo sviluppo della fiducia in se stessi, mentre gli individui “dipendenti” sarebbero più inclini a socializzare
e a percepire i sentimenti degli altri. Nella seconda categoria sono fatti rientrare anche i bambini.
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sono incontrare delle difficoltà. La predisposizione naturale all’acquisizione
delle LS è un fattore interno all’individuo, probabilmente immutabile, quindi innato e quasi certamente indipendente dall’intelligenza (cfr. Carroll,
1981; Skehan 1990). Tra i fattori variabili che caratterizzano la personalità di
un adulto, e che possono determinare il successo o l’insuccesso nell’apprendimento, sono invece solitamente elencati tratti caratteriali quali l’introversione, l’estroversione e la predisposizione all’ansia. Si tratta di fattori che in
una classe di LS dovrebbero essere considerati con attenzione, al fine di
gestire nel miglior modo possibile l’interazione del gruppo e calibrare la
distribuzione delle attività. In tal senso sarà quindi consigliabile incoraggiare tutti gli allievi a prendere la parola o a contribuire con le proprie risposte
alle risoluzioni dei vari task, facendo però attenzione a non forzare chi appare esitante o chi sembra non accettare di buon grado la possibilità di sbagliare di fronte agli altri. A differenza dei bambini, infatti, gli adulti possono
essere molto sensibili alla propria immagine e al rischio di perdere la faccia,
cui si trovano particolarmente esposti nei giochi di ruolo o nelle drammatizzazioni. Nelle attività di coppia o di gruppo sarà inoltre opportuno invitare
chi appare fiducioso a lavorare con chi si mostra insicuro e, richiamandoci ai
principi del cooperative learning, sarà importante far presente che tutti, sebbene in diversa proporzione, possono essere utili agli altri, se non altro per il
patrimonio di conoscenze enciclopediche cui gli adulti, all’occorrenza, sono
sempre in grado di attingere.
Un’altra variabile psicologica degna di menzione è rappresentata dalle
credenze riguardanti il modo di imparare. Gli adulti, diversamente dai bambini, hanno una spiccata consapevolezza glottomatetica che può manifestarsi in una vasta gamma di varianti e spaziare dalle convinzioni concernenti il
metodo, a quelle sullo stile didattico dell’insegnante, dal feedback che si riceve nella correzione degli errori, alle abitudini d’apprendimento che ognuno
porta con sé. Le differenze di punti di vista riguardo a come imparare e a
cosa imparare riflettono naturalmente le esperienze di studio passate e sono
intimamente congiunte agli stili cognitivi e alla personalità d’ogni apprendente. Va anche osservato che il retroterra culturale pedagogico da cui gli
allievi provengono può inibire o incoraggiare determinati atteggiamenti e
convinzioni. Riteniamo altresì importante far notare che, per quanto tali
punti di vista possano essere in contrasto con la filosofia glottodidattica di
chi insegna, il tentativo di eradicarli o di modificarli all’improvviso potrebbe
dimostrarsi controproducente. Confrontiamo, a titolo d’esempio, due diversi territori operativi. Negli USA, dove fino a pochi anni fa il Natural
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Approach aveva un consenso molto ampio e dove gli studenti sono, per tradizione, abituati a metodi come la TPR, il Silent Way, o a tecniche di didattica ludica, gli approcci diretti non trovano comunemente resistenza tra gli
adulti. Tuttavia, con allievi provenienti da un sistema educativo che privilegia uno studio normativo e strutturalista (com’è il caso di molti paesi asiatici), non sarà evidentemente indicato adottare – almeno non fin dal primo
giorno – un percorso all’americana. Sarà casomai più prudente fare riferimento a coordinate teoriche generalmente applicabili, conducendo gli allievi a comprendere che nell’apprendimento di una seconda lingua il cervello
funziona in forma bimodale6, e invitandoli a studiare sì la grammatica ma
attraverso una riflessione sulla lingua a spirale (cfr. Balboni, 1998: 104), condotta sempre dall’implicito all’esplicito (non viceversa) e supportata da attività sullo sviluppo delle abilità che quella tipologia d’allievo sente la necessità di potenziare.
Tra le variabili psicologiche di questa griglia includiamo la motivazione
che, com’è noto, rappresenta una condizione vincolante per l’apprendimento. Gli studi sul tema sono numerosissimi e numerose sono state le definizioni proposte per cercare di spiegare i meccanismi che stimolano e sostengono una persona nello studio di un’altra lingua. Tra le etichette classiche
ricordiamo quelle di integrativa e di strumentale, che si riferiscono alla natura della motivazione. Motivazione integrativa potrebbe, ad esempio, essere
quella di chi nel proprio paese studia l’italiano perché intenzionato a trasferirsi in Italia (anche temporaneamente) e ad integrarsi nella sua società. La
motivazione strumentale è originata invece dalla necessità di usare l’italiano
per scopi “utilitaristici”: pensiamo, ad esempio, ai tanti cantanti lirici stranieri ai quali una corretta dizione italiana serve per esigenze di lavoro. Il
binomio motivazione intrinseca-estrinseca descrive ulteriori meccanismi. Nel
primo caso la motivazione appare generata da un desiderio interno che si
rileva tra chi studia la nostra lingua per ragioni culturali (ad esempio turisti
appassionati delle bellezze artistiche dell’Italia) o per cause affettive (come
nel caso dei discendenti d’italiani, soprattutto in America Latina). La motivazione estrinseca, al contrario, è quella indotta da appagamenti materiali e
può essere riscontrata, per esempio, nei dipendenti di un’azienda che
apprendono l’italiano in vista di un trasferimento di lavoro, o tra studenti
6
Se riconosciamo la validità del principio di bimodalità l’osservazione vale, ovviamente, anche per i
metodi diretti e soprattutto per il Natural Approach. Se, infatti, il metodo grammatico-traduttivo risulta in
ogni caso innaturale, dal momento che avvantaggia l’uso esclusivo dell’emisfero cerebrale sinistro, nella
didattica agli adulti il Natural Approach è inadeguato in senso opposto, poiché sbilanciato verso un uso
quasi esclusivo dell’emisfero destro (cfr. Danesi, 1988).
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universitari che scelgono un corso di letteratura italiana come requisito di
seconda o terza lingua straniera per ottenere un credito. Un’altra opposizione è infine quella di motivazione causativa e risultativa. Le due categorie antitetiche interpretano la motivazione rispettivamente come un fattore psicologico che esercita un effetto sull’apprendimento, e come una variabile influenzata dal livello di successo. Ancora una volta precisiamo che queste classificazioni sono indicative e non sono mai a tenuta stagna. È infatti chiaro che
le varie categorie possono fondersi o intersecarsi tra loro. In ogni caso è
importante tener presente che la motivazione in un adulto costituisce un fattore complesso, mutabile nel tempo e influenzabile, in senso positivo o negativo, da cause sia interne che esterne.
Un ultimo elemento che ci sembra opportuno menzionare riguarda il fattore psicotipologico. La nozione di “psicotipologia” è stata proposta da
Kellerman (1977)7 per indicare il modo in cui gli apprendenti percepiscono
la distanza tra la LM e la lingua d’arrivo. Da un punto di vista strettamente
linguistico, la distanza tra le lingue è comparativamente descritta assegnando
ogni lingua al tipo che le corrisponde: ad esempio, a livello morfologico, una
lingua può appartenere al tipo agglutinante (es. il turco), isolante (es. il vietnamita), flessivo (es. le lingue indoeuropee), ecc.8 Ai fini glottodidattici tuttavia, è interessante non solo stabilire la distanza effettiva tra italiano e LM
ma anche capire come gli allievi avvertano psicologicamente tale distanza. In
una lunga serie di ricerche, Kellerman ha fornito prove abbastanza convincenti che gli apprendenti adulti di una LS hanno una percezione innata relativa al funzionamento del proprio sistema linguistico, la quale consente loro
di riconoscere determinate strutture della lingua materna come potenzialmente trasferibili nella lingua d’arrivo e altre come non trasferibili. Sarebbe
dunque questa capacità percettiva innata, e non il grado di vicinanza-lontananza effettivo tra le lingue, a favorire o ad inibire i transfer9. Tale percezione inoltre non è fissa e immutabile ma rielaborabile man mano che l’allievo
acquista un maggior livello di competenza nella lingua target. Attraverso
scambi d’idee con docenti che insegnano italiano in paesi di lingua romanza,
7
Gli studi sui transfer di Kellerman sono collegati a quelli sulla marcatezza differenziale di Eckman
(1977).
8
Attribuire una lingua a un determinato tipo è comunque un’operazione astratta che prende volutamente in considerazione la maggiore o minore presenza di alcuni tratti anziché di altri. In realtà in ogni lingua si riscontra molto spesso la compresenza di elementi assegnabili all’una o all’altra categoria tipologica
(cfr. Beccaria, 1994: 306). Anche da questo punto di vista quindi, le classificazioni non sono mai ermetiche.
9
Il termine transfer è abbastanza generico e include diversi tipi d’influenze esercitate sulla lingua
d’arrivo dalla LM o da altre lingue straniere che l’allievo può avere appreso in precedenza. Lo studio dei
transfer include l’analisi degli errori (transfer negativi), delle facilitazioni (transfer positivi), e quello
dell’elusione oppure dell’uso sovraesteso o indiscriminato di determinate strutture.
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abbiamo avuto un’interessante conferma di questo mutamento di percezione. In quei casi, ad esempio, gli allievi percepiscono inizialmente l’italiano
come una lingua “facile” perché molto vicina alla lingua materna ma, progredendo nello studio, modificano regolarmente la loro impressione.
A questo punto ci sembra pertinente anche un collegamento tra fattore
tipologico, psicotipologico e materiali didattici. Molti insegnanti all’estero si
rendono presto conto che un qualsiasi testo d’italiano per stranieri non è utilizzabile allo stesso modo in ogni parte del mondo. La situazione può essere
ulteriormente complicata dal fatto che in molti paesi è ancora abbastanza difficile poter contare su testi d’italiano (realizzati per soddisfare i bisogni di
quel particolare tipo d’apprendenti) che si possano considerare qualitativamente validi. In tali circostanze l’insegnante si troverà a svolgere un attento
lavoro di didattizzazione del materiale disponibile, oppure dovrà dedicarsi
alla produzione di materiale che si adatti, innanzi tutto, alla distanza effettiva tra italiano e LM. Per graduare gli argomenti grammaticali sarebbe inoltre importante riuscire a sfruttare quel “senso della lingua” che gli allievi posseggono e le conoscenze su cui sono in grado di fare affidamento10, cercando
di individuare quei punti che consentono di trasferire nella lingua d’arrivo
strutture della LM, oppure dando sempre una priorità a quegli elementi che
sono percepiti senza ambiguità come psicologicamente meno distanti.
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2.3 Fattori socio-culturali
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Nelle sezioni precedenti ci siamo soffermati su aspetti di carattere neuro
e psico-linguistico, portando l’attenzione solo su una faccia della competenza comunicativa11: la competenza linguistica. È tuttavia chiaro che, soprattutto in ambiti di LS in cui le occasioni d’esposizione alla lingua target possono essere molto limitate, sul piano comunicativo gli allievi adulti potranno
arrivare ad appropriarsi del lessico e della grammatica della LS ma conserveranno i propri codici extralinguistici (gestualità, distanza interpersonale,
ecc.) e, a livello concettuale, continueranno a ragionare secondo i parametri
speculativi della loro cultura (cfr. Balboni, 1999a). Indipendentemente dal
fatto che non sia stato ancora accertato se esista una connessione tra competenza linguistica e abilità cognitiva di acquisire i modelli e le costruzioni concettuali di una cultura straniera (cfr. Hinkel, 1999: 11), nella didattica agli
10
Pensiamo anche all’eventualità, in contesti di LM molto distanti, di fare appoggio su una lingua
ponte, come ad esempio può essere una buona conoscenza del francese per molti studenti arabofoni, o
dell’inglese a Hong Kong o in India.
11
Per un modello essenziale di competenza comunicativa si veda ad esempio Freddi (1999).
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adulti appare chiaro che il successo nell’apprendimento di una LS può essere compromesso nel caso in cui l’allievo percepisca la cultura da essa veicolata come una minaccia alla propria identità etnica.
A questo riguardo un utile parametro interpretativo può essere individuato nella nozione di dominanza sociale che recuperiamo dal modello dell’acculturazione di Schumann (1976).12 Secondo questo quadro teorico l’apprendente straniero può percepire la comunità linguistica che utilizza la lingua d’arrivo come lingua materna, secondo tre differenti punti di vista: come
dominante, subordinata, o non-dominante. Il grado relativo di questa percezione può riguardare vari aspetti di civilizzazione (politico, economico,
morale, ecc.). Se, ad esempio, la comunità della lingua d’arrivo (gli italiani,
nel nostro caso) è avvertita come dominante – o come convinta di esserlo –
le ripercussioni sull’apprendimento potranno essere negative. Anche la situazione opposta, per esempio nel caso in cui l’allievo appartenga ad una società
fortemente etnocentrica, non sembra favorire un apprendimento linguistico
e culturale equilibrato. D’accordo con Schumann (1976) possiamo quindi
arguire che la dimensione ideale debba essere quella di non-dominanza, che
si raggiunge solo quando la CM (cultura materna) e la C2/S (cultura seconda o straniera) sono percepite come diverse ma su un piano di pari dignità.
Questo livello di percezione rappresenta altresì la condizione indispensabile
per poter aspirare all’acculturazione, vale a dire per imparare a funzionare in
una cultura straniera senza mettere a repentaglio la propria identità e la propria visione del mondo (cfr. Byram & Morgan, 1994; Balboni 1996).
Riteniamo che il modello dell’acculturazione rappresenti un punto di riferimento adeguato soprattutto al momento di condurre degli adulti stranieri a
riflettere su aspetti della LS che vanno oltre la dimensione grammaticale. Ci
riferiamo in particolare agli esiti di natura sociopragmatica, all’uso dei codici extralinguistici e alla vasta gamma d’argomenti che stimolano un dibattito
in prospettiva transculturale13 ai quali è importantissimo dedicare ampio spazio. Tuttavia, non dobbiamo mai dimenticare che, se non adeguatamente
gestite, le occasioni metaculturali possono indurre negli apprendenti una
percezione della CS troppo inclinata verso uno dei poli estremi dell’asse
della dominanza (Schumann, 1976). Al fine di ridurre al minimo tali rischi,
Il modello di Schumann (1976) è applicato a contesti di L2 ma, almeno parzialmente, può essere
rilevante anche nell’insegnamento delle LS.
13
Traduciamo con transculturale il termine inglese crosscultural che indica le modalità secondo cui
la comunicazione varia in culture diverse. Lo studio di una cultura straniera in un contesto di LS è quindi
molto spesso condotto in prospettiva transculturale. Con interculturale ci si riferisce invece propriamente
all’interazione comunicativa tra membri appartenenti a differenti culture (cfr. anche Pallotti, 2000: 136).
12
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proponiamo di seguito alcune riflessioni che, come sempre, dovranno essere poi rapportate alla situazione individuale di chi legge.14 A questo riguardo
dobbiamo mettere subito in chiaro che se gli adulti apprezzano e interpretano come feedback il fatto che l’insegnante corregga15 i loro errori fonologici,
grammaticali, sociolinguistici o pragmalinguistici, di norma è raro che accolgano di buon grado anche la correzione di “errori” sociopragmatici.
Cerchiamo di discutere quest’importante punto definendo con esempi le
varie categorie d’errore.
Le nozioni d’errore fonologico e grammaticale sono generalmente chiare,
dal momento che si riferiscono rispettivamente ad un esito fonologico poco
intelligibile e ad un’ipotesi errata sul piano morfosintattico. Un errore sociolinguistico può riguardare la scelta di un registro non appropriato al contesto (l’esempio classico è l’uso del “Lei” al posto del “tu” o viceversa), mentre un errore pragmalinguistico riguarda il trasferimento dalla LM di lessico
o di strutture che nella lingua d’arrivo non riescono a svolgere la stessa funzione comunicativa. Un esempio può essere quello di un allievo giapponese
il quale, ogni volta che intendeva esprimere meraviglia, soleva dire “bugia!”,
traducendo dalla sua lingua il termine “uso”, che significa sì “bugia” ma che
in LM svolge anche la funzione di un segnale discorsivo corrispondente all’italiano “Incredibile!”, “Davvero?”. L’“errore”16 sociopragmatico si differenzia da quello pragmalinguistico perché deriva da valutazioni di natura socioculturale e, in termini generali, si riferisce al trasferimento in una LS/L2 di
modalità che traggono origine da un diverso modo di interpretare i principi
dell’etichetta linguistica.17 Ad esempio, tra i nord americani d’origine anglosassone è molto diffuso l’uso di complimenti come apertura di discorso, che
hanno la funzione di iniziare uno scambio di battute dal tono piacevole ma
che possono essere interpretati come caricati o non sinceri da persone di
un’altra etnia. Molti esiti dispreferiti di natura sociopragmatica sono normalmente generati anche dal fatto che i parametri che regolano l’uso della
cortesia variano da cultura a cultura. Gli israeliani, per esempio, tendono ad
essere molto diretti nelle loro richieste e a mostrare una certa intolleranza
14
Per un approfondimento sulla didattica dell’italiano LS in prospettiva transculturale rimandiamo
al capitolo di Pavan in questo volume.
15
Sulla correzione degli errori si veda anche Mezzadri (2002).
16
Sarebbe più appropriato classificarlo come esito dispreferito. Thomas (1983) ricorre infatti al
termine sociopragmatic failure, dove failure non presenta la connotazione negativa che presenterebbero
error o mistake.
17
“Il termine etichetta linguistica si riferisce alla pratica peculiare d’ogni comunità linguistica di
organizzare l’azione verbale in modo tale che sia considerata appropriata all’evento comunicativo in
corso” (Kasper, 1997: 374). (Trad. it. dell’autore)
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verso i giri di parole. Un altro esempio può riguardare la percezione del
grado di severità di un’offesa e il conseguente obbligo di scusarsi, che sembra essere molto alto tra i giapponesi, alto tra gli anglosassoni ma, rispetto a
questi ultimi, relativamente basso tra i tailandesi.18 Sia a livello produttivo
che ricettivo, molti “errori” sociopragmatici, riguardano soprattutto l’uso
dell’umorismo o dell’ironia che vengono codificati in modo variabilissimo a
seconda della cultura.
Gli adulti, quando parlano una lingua straniera, sono generalmente consapevoli di poter commettere errori nell’effettuare una determinata scelta
morfosintattica, lessicale, o sociolinguistica, ma si ritengono anche persone
capaci di compiere decisioni di carattere sociopragmatico che sono appunto
scelte socio-culturali ancor prima che linguistiche (Thomas, 1983: 104). Per
esempio, in un role play potremmo classificare come “errore” sociopragmatico l’enunciato di un allievo (adulto), che entra in un negozio per chiedere
dove si trova l’ufficio postale più vicino, senza ricorrere ad espressioni mitiganti (“Scusi…”, “Potrebbe dirmi…”, “Grazie…”, ecc.) quando, in quel
particolare contesto, un italiano madrelingua le riterrebbe molto probabilmente d’obbligo. Naturalmente lo stesso tipo di “errore” può occorrere
anche nella situazione opposta, in cui, ad esempio, il parlante dovesse fare un
uso eccessivo della cortesia per richiedere un free good (es. un cliente che
chiede al portiere dell’albergo di dargli la chiave della stanza, uno studente
che chiede al compagno di prestargli la penna, ecc.). In casi simili non è insolito che la correzione sia recepita come l’intenzione di mettere in discussione le convinzioni socio-culturali dell’apprendente e di insegnargli il modo
appropriato di comportarsi. Questo naturalmente non significa che esiti di
tale natura non debbano essere esplicitamente messi in luce. Optare infatti
per un metodo induttivo di scoperta della regola come si fa in grammatica,
in questi casi sembra non funzionare (cfr. Zamborlin, i.c.s.), probabilmente
perché le norme sociopragmatiche non sono mai governate da regole, ma da
principi molto generali (cfr. Thomas, 1995). Appare piuttosto preferibile
informare gli allievi, ricorrendo ad una riflessione esplicita (condotta possibilmente anche in LM), senza tuttavia dar loro l’impressione di volergli insegnare quello che “si deve” e quello che “non si deve” dire o fare (l’adulto
dovrebbe essere lasciato libero di valutarlo da sé). Pertanto, il concetto che
18
Studi di pragmatica inter e transculturale che trattano temi come quelli qui menzionati en passant
sono numerosi, molti dei quali basati su dati particolarmente accurati, anche se si tratta per lo più di
ricerche che hanno come punto di riferimento l’inglese L2/LS. Per una rassegna commentata si veda
Bardovi-Harlig (2001).
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in questo caso ci sembra utile adottare è quello che nell’ambito degli studi di
comunicazione interculturale è definito consciousness raising (cfr. Hinkel,
1999: 133), ovvero “innalzamento della presa di coscienza”.19
Quando si discutono le variabili socio-culturali nella didattica dell’italiano come LS, non è nemmeno lontanamente ipotizzabile pretendere di poter
fornire una casistica esaustiva. Ogni situazione è caratterizzata da infiniti fattori (tra cui la distanza culturale, il grado d’estroversione-introversione della
classe, la motivazione degli apprendenti, ma anche i loro problemi quotidiani, il tempo che hanno a disposizione, ecc.) che possono mutare completamente a seconda del gruppo. In linea di principio, riteniamo tuttavia che
sotto quest’aspetto sia importante curare attentamente la dimensione ricettiva, mettendo gli allievi sempre al corrente delle norme sociopragmatiche,
dell’uso dei codici extralinguistici e dei vari aspetti culturali che governano i
principi dell’etichetta linguistica degli italiani. Sarà però opportuno lasciare
all’apprendente libera scelta sul piano produttivo. Potrebbe infatti rivelarsi
controproducente invitare uno straniero a gesticolare come un italiano, a
produrre enunciati umoristici all’italiana o ad esprimere con disinvoltura la
propria opinione su argomenti che in Italia vengono tranquillamente affrontati ma che possono turbare una persona di un’altra cultura. A meno che,
naturalmente, non sia l’allievo stesso a richiedere un training specifico in
questa direzione. Va comunque tenuto presente che, soprattutto a livello
sociopragmatico ed extralinguistico, gli adulti possono scegliere volontariamente di non adeguarsi in modo totale alle modalità dei madrelingua, per
una ragione psicologica del tutto individuale che spesso coincide con il semplice desiderio di mantenere la propria identità di straniero (cfr. Judd, 1999:
160; Rose & Kasper 2001: 3).
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3. Conclusioni: un modello di unità didattica a misura di adulto?
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Parlare di didattica a bambini e ad adulti, come abbiamo visto, significa
muoversi su due terreni epistemologici molto differenti. Se offrire alcune
linee guida generali per un’UD a misura di bambino si può (cfr. Luise, in
questo volume), cercare di fornire in senso speculare indicazioni per un’UD
a misura di adulto può apparire un’aspirazione contestabile. Se inoltre tutti
i bambini del mondo, per la plasticità della loro mente e per i loro bisogni
peculiari, finiscono per assomigliarsi e sono raggruppabili in un’unica categoria d’apprendente, quella di adulto è al contrario una categoria sfuggente
19
Trad. it. dell’autore.
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definibile solo per differenziazione. Vale a dire, ogni allievo adulto, (o gruppo di allievi adulti) è classificabile in base al vissuto, alle motivazioni, agli stili
di apprendimento e alle esigenze che lo caratterizzano. Possiamo pertanto
affermare che non esiste un modello di UD di lingua italiana come LS per
apprendenti adulti. Esistono modelli differenziati (es. UD di letteratura, di
intercultura, di microlingua, ecc.), come appare negli esempi di questo volume a cui rimandiamo, i quali si conformano al modello di scansione dell’unità didattica classico (cfr. Balboni, 1994; Freddi, 1994) e ai principi dell’approccio umanistico-affettivo. Se, quindi, gli apprendenti a cui si insegna non
sono bambini, per la pianificazione delle attività e la preparazione dei materiali possiamo individuare dei punti di riferimento generali nelle variabili su
cui si è riflettuto nei precedenti paragrafi. A livello d’approccio riteniamo
altresì che quello umanistico-affettivo rappresenti un contenitore abbastanza capiente da riuscire a comprendere le esigenze di ciascuno, dal momento
che si fonda su principi che, allo stato attuale, possiamo ritenere universalmente applicabili. In particolare il principio di insegnare ad una persona (cfr.
Balboni, in questo volume), ci invita a non sottovalutare che un adulto è una
persona con bisogni molto diversi da quelli di un bambino, con una mente
che funziona in un modo differente da quella di un ragazzo, e che porta sempre con sé in classe una visione del mondo molto articolata. Se l’insegnante,
orientandosi con i parametri discussi, sarà in grado di valutare attentamente
questi aspetti, sarà anche capace di programmare e gestire l’attività didattica
scegliendo, innanzi tutto, un metodo che si adatti ai bisogni del suo particolare gruppo, che – nei limiti del fattibile – sia in sintonia con il suo stile
didattico, e che, in prospettiva andragogica, consenta di trasformare il corso
d’italiano in un’esperienza formativa, in termini di Lifelong Learning.
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Capitolo 10
L’UtiLiZZo dei materiaLi aUtentiCi
neLL’insegnamento deLL’itaLiano Come
Ls
Barbara Spinelli
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L’attenzione verso gli aspetti funzionali e socio-pragmatici della lingua,
sostenuta dall’Approccio Comunicativo, ha alimentato intorno agli anni
Ottanta un’attenta analisi dei contesti d’uso linguistico e un vivace dibattito
nella definizione del concetto stesso di autenticità applicabile alla realtà dell’insegnamento, dei materiali e delle tecniche utilizzati nella classe di lingua.
In questo capitolo si tenterà di esaminare le diverse prospettive che ne sono
scaturite in rapporto alla selezione e all’utilizzo di materiali autentici che possono integrare la realtà circoscritta dell’ambiente scolastico e dei manuali
adottati per l’insegnamento della lingua. Tra le risorse verranno analizzate le
ulteriori opportunità fornite dalle tecnologie interattive che propongono
nuove realtà di apprendimento.
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1. La realtà di una classe di lingua straniera
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L’ambiente di apprendimento ricreato nella classe di lingua è influenzato
da una serie di fattori. Il contesto socio-culturale e la tipologia linguistica italiana vengono esemplificati in primis dall’insegnante, dal manuale di testo
utilizzato e dalle interazioni sociali che vengono a crearsi tra i vari membri
del gruppo di studio. In una situazione d’insegnamento dell’italiano come
LS, rispetto a quella di italiano L2, la concentrazione su tali modelli di riferimento è enfatizzata dalla mancanza di contatto dei parlanti nativi con la
realtà extrascolastica. Tali limiti definiscono l’artificialità del contesto didattico e sottolineano l’impossibilità di ricreare le stesse condizioni di uso naturale di una lingua straniera con tutte le varianti socio-culturali, regionali ed
inviduali di un’autentica comunicazione (Valdam 1992). Nella classe i turni
di parola vengono gestiti principalmente dall’insegnante che si propone
come primo esempio linguistico e culturale.
Le interazioni sociali e comunicative che vi convengono non rispecchiano
le autentiche risposte dei comportamenti sociolinguistici dei parlanti nativi.
Gli insegnanti, che spesso non sono madrelingua o conservano deboli legami con l’italiano, non possono integrare in maniera esaustiva questo limitato
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ambiente scolastico né rispondere in maniera ugualmente qualificata a tutte
le esigenze didattiche del contesto. Non è auspicabile pensare che gli strumenti di cui gli insegnanti si avvalgono per sostenere il loro percorso didattico, ovvero i libri di testo, anche nei casi in cui risultino ben strutturati ed
articolati, riflettano appieno la complessa realtà dell’italiano e incontrino gli
eterogenei interessi degli studenti.
Il dialogo che s’instaura mediante un manuale è quello tra il suo autore che
modella e “distorce” la realtà proposta dal suo libro nella selezione del materiale in base ad obiettivi grammaticali e lessicali e lo studente che ne è il ricevente (Rings 1986). I testi che vi si trovano, scritti e orali, possono essere principalmente di due tipi: 1) quelli che propongono un discorso autentico che si
riferisce ad una comunicazione naturale, 2) e quelli che simulano un discorso
autentico (Omaggio 1986). In quest’ultimo caso i testi vengono realizzati per
specifici scopi didattici e le regole stilistiche che seguono sono diverse da
quelle del materiale strutturato per un’audience madrelingua. Un esempio è
fornito dai dialoghi orali presenti nei libri di testo che, basandosi perlopiù su
testi scritti, perdono la spontaneità del discorso non pianificato. Anche nel
caso in cui si adottino materiali autentici, lo scopo del loro utilizzo, per esempio di tipo grammaticale, può contraddirne i reali propositi comunicativi.
La struttura generale di un libro di testo avanza per unità discrete dal
brano introduttivo a varie attività per la comprensione orale e scritta o per lo
sviluppo di competenze lessicali e grammaticali. La dimensione che ne consegue è di natura normativa (Kramsch 1987, Omaggio 1986), vale a dire non
prevede attività che promuovano nell’apprendente un atteggiamento critico
verso i contenuti che il manuale presenta. La cultura viene “incapsulata” in
sezioni separate quasi a suggerire che lo sviluppo di competenze ad essa relative rappresentino una quinta abilità. Spesso le attività non prevedono un
esplicito confronto né stimolano una metariflessione sul proprio sistema culturale CM a contatto con le diverse informazioni offerte dalla CS o trascurano l’analisi di certe componenti sociali implicite in dati fattori culturali.
Kramsch (1993) suggerisce, ad esempio, come l’utilizzo di un menu straniero per scopi lessicali escluda l’attenzione da certe convenzioni socio-culturali come il valore della mancia o i diversi script comportamentali propri di
quell’evento comunicativo in contesti culturali diversi.
L’uso di materiale autentico, per quanto caotico possa risultare dal punto
di vista strutturale e lessicale, integra, senza dubbio, i riduttivi confini dell’ambiente scolastico ed amplifica le opportunità per lo sviluppo di ulteriori
abilità cognitive ed analitiche del discente. Inoltre, il vasto ventaglio di risor-
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se di materiali può essere ulteriormente integrato se viene reinterpretato il
concetto stesso di “autenticità”.
2. Come definire il concetto di “autenticità”
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Sulla scia dell’interesse verso il contesto d’uso linguistico alimentato
dall’Approccio Comunicativo e in reazione alla lingua e alla realtà artificiali
proposte da certi libri di testo si sviluppa intorno agli anni Ottanta un interessante dibattito relativo all’interpretazione del concetto di autenticità,
associato non solo ai materiali utilizzabili in classe, ma anche alle altre componenti di un evento didattico, quali le tecniche adottate, le interpretazioni
degli studenti rispetto ai testi presentati e le interazioni sociali che occorrono in tale contesto. In questa sede ci si concentrerà in maniera specifica sull’utilizzo di materiali definiti autentici.
Generalmente per materiali autentici s’intendono quelli prodotti per un
pubblico di parlanti nativi che possono decodificare le intenzioni dell’autore grazie alla condivisione di convenzioni stilistiche e culturali comuni. Chi
entra in contatto con tali materiali deve, dunque, essere partecipe di tale
conoscenza per elaborarne un’interpretazione appropriata.
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2.1 Autenticità per chi?
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Con questa domanda Kramsch (1993) sottolinea un aspetto fondamentale dei materiali definiti autentici che non deve essere trascurato in un contesto di apprendimento di italiano LS. Ogni testo rappresenta il punto di vista
del suo autore che filtra, seleziona e rielabora la sua realtà. All’interno di una
stessa comunità culturale si delineano diverse tipologie di autenticità determinate da differenze di razza, genere, etnia, sesso, posizioni politiche
(Kramsch 1998). L’autenticità di una notizia proposta, ad esempio, dal telegiornale di Canale 5 può differire da quella relativa allo stesso argomento
presentato dal telegiornale di RAI 3. I materiali a disposizione, articoli, programmi televisivi, film, risorse in rete adottano linguaggi mediatici e strategie
narrative o filmiche specifiche per trasmettere la loro individuale autenticità.
Se non si abitua lo studente di LS a sviluppare abilità analitiche nell’interazione con tali realtà, si rischia di promuovere un’assunzione passiva ed autoritaria del concetto di autenticità culturale oltre che una visione univoca,
quindi stereotipata, del diverso mondo linguistico e sociale che si appresta a
conoscere. Ne consegue che esporre lo studente semplicemente a testi autentici non è sufficiente, occorre invece prepararlo ad affrontarli sviluppando
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abilità interpretative.
La didattica relazionale
Widdowson (1979) sostiene che l’autenticità non viene riassunta nel significato del testo in sé, ma si realizza attraverso il rapporto dialogico che s’instaura tra il lettore-spettatore e l’autore di quel testo. Ne consegue un incontro tra ciò che non è conosciuto e ciò che è familiare (Widdowson 1990), nel
quale lo studente reinterpreta e valuta i nuovi contenuti collocandoli e adattandoli “geograficamente” nel mondo ideologico e culturale che già possiede. In questo caso non si tratta dell’acquisizione di una nuova conoscenza,
ma dell’estensione della propria (Swaffar 1985) che determina un processo
di appropriazione (Kramsch 1998) tanto più agevolato quanto più estese
risultino la qualità e la quantità delle conoscenze pregresse dell’individuo. Il
testo non ha più un significato fisso poiché lo studente se ne appropria e lo
utilizza per dare un significato al suo mondo e per costruire le sue azioni
sociali. Lo scopo di tale processo non è quello di simulare certi atti comunicativi in lingua straniera o di assistere ad eventi culturali, ma d’interagirvi
attraverso un atteggiamento analitico. In tal modo s’interpreta la lingua non
solo come strumento di comunicazione, ma come segno rappresentativo di
un mondo individuale generato dallo scambio. La didattica relazionale nasce
proprio dall’esigenza di sviluppare tale atteggiamento nella “lettura” di
materiale autentico, lettura che include il sé e l’altro rifiutandone un’accettazione acritica con lo scopo di potersi gestire all’interno di più realtà
(Kramsch 1993). L’importanza di una simile didattica può giustificare l’utilizzo della LM in classe laddove se ne riveli la necessità, vale a dire a livelli
base di studio dell’italiano LS.
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2.2 Autenticità e testi semplificati
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Benché sia diffusa la convinzione che i testi fin qui definiti autentici
rispetto a quelli inventati, ampiamente utilizzati nei libri di testo, possano
sostenere più saldamente i processi d’acquisizione di un apprendente di italiano LS e promuoverne l’autonomia di giudizio in alternativa a quella dell’insegnante e dell’autore, si evidenzia un problema più pratico: quello di
comprensibilità. Questi materiali presentano strutture discorsive e linguistiche complesse per studenti di italiano, soprattutto ai primi livelli di conoscenza di una lingua, che possono complicarne l’usabilità ed attivare il filtro
affettivo del singolo. La profonda demotivazione che ne può conseguire si
pone come prima barriera al processo di acquisizione. Tuttavia, il problema
non consiste più in se utilizzare i materiali autentici, ma quando introdurli
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nell’iter didattico. Da qui si delineano due tendenze ideologiche che perseguono convinzioni e cammini pedagogici differenti.
Da un lato, secondo approcci di tipo umanistico-affettivo, un testo è interessante se risulta comprensibile, per questo si suggerisce di seguire un percorso graduale di lettura che accompagni lo studente nella comprensione
progressiva di testi semplificati o inventati verso quelli autentici più “leggeri” per approdare alla decodifica del linguaggio accademico dei materiali
autentici complessi (Krashen 1997). Se si considera, inoltre, che un testo è
autentico per la comunità per la quale è stato creato (Little, Devitt e
Singleton 1988) e s’individua questa comunità in un pubblico di studenti
stranieri, anche quello ideato o semplificato per scopi didattici può essere
ritenuto autentico (Pallotti 2002). In tal caso la motivazione è alimentata
dalla facilità di lettura o di comprensione orale.
D’altro canto, tuttavia, si pensa che la risorsa principale di fattori affettivi positivi sia alimentata nell’apprendente proprio dal piacere di agire nello
stesso contesto socio-culturale dell’italiano LS che funge da ponte di connessione tra la costretta conoscenza della classe e il mondo reale (Wilkins
1976). Fattori estrinseci al testo, quale una forte motivazione generata dall’interesse, possono, in realtà, influenzare i fattori intrinseci legati alla comprensione linguistica. Se lo studente è emotivamente coinvolto dai contenuti che quest’ultimo presenta può più facilmente superarne le difficoltà di
comprensione. In alcuni casi, peraltro, la semplificazione di materiali autentici può paradossalmente complicare la comprensione poiché vengono meno
gli elementi di ridondanza, di ripetizione e gli indicatori discorsivi peculiari
dello stile dell’autore e di specifici generi comunicativi (Swaffar 1985,
Guariento e Morley 2001).
Talvolta, la demotivazione può scaturire non tanto dalla complessità
oggettiva di intelligibilità di un testo quanto dalle attività che vi vengono
associate. Molti materiali sono integrati da un apparato di compendi didattici, ad esempio i glossari con traduzioni o con attività quali domande referenziali, che limitano le capacità intuitive degli studenti abituandoli a ricercare elementi discreti piuttosto che a cogliere il significato globale o infierirlo dal contesto (Swaffar 1985, Omaggio 1986).
L’accessibilità a certo materiale autentico può essere agevolata da tecniche
didattiche che mirano all’estrazione di informazioni principali per una comprensione parziale garantendo, in tal caso, l’utilizzo di testi formalmente più
complessi anche a partire dai primi livelli di studio una lingua.
Si può asserire, in conclusione, che integrare materiali autentici in un cur-
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ricolo può essere produttivo principalmente per tre motivi:
1. offrono un terreno significativo per la struttura cognitiva degli apprendenti
2. sviluppano abilità intuitive ed analitiche creando connessioni con il
microcosmo ideologico e socio-culturale del singolo
3. se didattizzati attraverso tecniche adeguate e se incontrano l’interesse
degli studenti, favoriscono l’abbassamento del filtro affettivo grazie alla
forte motivazione che agevola la comprensione.
L’insegnante, in realtà, non si trova a adoperare una scelta binaria tra
materiali autentici e non autentici, ma può sfruttarne l’estrema varietà ed
integrarli in base agli obiettivi che si è prefisso e alle esigenze degli studenti
con cui si trova a collaborare nel suo iter didattico a partire dai primi stadi
di conoscenza dell’italiano.
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3. risorse di materiale autentico
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Le fonti da cui attingere per recuperare materiale autentico sono numerose. Le nuove tecnologie hanno ampliato il ventaglio di opportunità sia di
risorse oggettive che di manipolazione del materiale e di ricreazione di spazi
virtuali come luoghi d’incontro interculturale con i parlanti nativi. La TV
satellitare, il mondo telematico, le biblioteche, i media sottolineano come la
nozione stessa di “testo”non sia più confinata nella parola scritta, ma si articoli in codici orali, visivi e grafici che devono essere inclusi nella valutazione
della comunicazione.
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3.1 I materiali orali e scritti
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La stampa e i giornali rappresentano sempre la risorsa più facilmente utilizzabile nella classe di italiano, ma esiste anche un’altra grande varietà di
materiali disponibili, quali i moduli amministrativi e burocratici, i dépliant
informativi e turistici, i volantini commerciali, ecc. L’utilizzo di questi materiali dipende dalla complessità degli obiettivi per i quali sono stati progettati, ad esempio per lavoro, per assicurazioni sanitarie o personali, per scopi
educativi o turistici e dalle convenzioni stilistiche e linguistiche adoperate.
Tuttavia a causa della loro brevità e del supporto di altri codici (grafici,
vignette, tabelle), che spesso li accompagnano, tali risorse possono rivelarsi
efficaci per condurre lo studente alla lettura graduale di testi più lunghi ed
articolati (Swaffar 1985).
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La stessa economia di messaggio può essere ritrovata negli spot pubblicitari, scritti o videoregistrati, di cui si può usufruire a vari livelli di studio dell’italiano sia in base alle tecniche didattiche ad essi applicate che agli scopi
prefissi. La motivazione dello studente ad affrontare tali materiali può essere alimentata dal riconoscimento del genere “pubblicità” ampiamente diffuso in molti paesi attraverso tecniche discorsive e commerciali simili, quindi
prevedibili, e laddove questo non si verifichi la mancata conformità può fornire terreno propizio di discussione per una didattica relazionale. Le stesse
anticipazioni possono realizzarsi per altri generi di testi scritti, orali e video
(previsioni del tempo, oroscopi, gialli televisivi, telegiornali, trasmissioni
radiofoniche, ecc.).
Nell’analisi di elementi sociolinguistici e sociopragmatci un supporto può
essere fornito da interviste in cui vengono richieste opinioni personali o da
sequenze di film che possono offrire un ampio spettro d’informazioni relative a varietà di registro in base al background socio-culturale degli intervistati riscontrabili nel lessico, negli indicatori discorsivi e nelle prese di posizione rispetto all’argomento trattato oltre che negli elementi extralinguistici da
loro utilizzati.
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3.2 I materiali video
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Come viene sottolineato in altri capitoli di questo volume (cfr. Torresan),
l’utilizzo di materiali video autentici fornisce un terreno d’analisi interculturale fondamentale. Il ricorso ad altri codici come quello delle immagini in
movimento offre allo studente l’opportunità di consultare una sorta di dizionario visivo del contesto socio-culturale dell’italiano. Grazie alle informazioni visive si possono integrare le osservazioni su aspetti sociolinguistici e
sociopragmatici della comunicazione, accennati precedentemente, con un’analisi comparativa su aspetti extralinguistici, quali la gestualità, le movenze
facciali, la distanza tra i parlanti in diversi eventi comunicativi. Il video offre,
inoltre, l’opportunità di una “lettura” semiotica degli spazi fisici in cui interagiscono i parlanti (ad esempio la casa), dei luoghi e dei momenti di socializzazione (ad esempio il bar o la piazza in Italia), dei mezzi e degli strumenti utilizzati dalla comunità in rapporto al loro valore nell’interazione sociale
(ad esempio, le dimensioni fisiche e le convenzioni civili che caratterizzano il
“traffico dei mezzi di trasporto” in situazioni culturali diverse). Come si è già
accennato a proposito della didattica relazionale tali occasioni di metariflessione vanno ricreate in classe sia per contestualizzare i significati di cui una
lingua si fa portatrice, sia per sensibilizzare lo studente all’idea che lo scopo
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principale del suo apprendimento non si limita alla comunicazione in sé,
oltre la quale ciò che resta determinante è la sua univoca visione del mondo,
ma nel saperlo osservare attraverso la “lente di un caleidoscopio” (Kramsch
1993).
4. L’autenticità e il contesto multimediale
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Un discorso a parte va fatto a proposito della ricerca di autenticità nel
mondo multimediale che ha apportato una radicale trasformazione nella
comunicazione e nel concetto di alfabetizzazione intesa come capacità di
saper fare attraverso ciò che si è appreso. Video interattivi, CD Rom,
Internet, la posta elettronica, le Chat, sono strumenti utilissimi per calare l’italiano in un ambiente più autentico rispetto lo spazio delimitato della classe e per sviluppare competenze socio-culturali. La dimensione pluridimensionale della cultura multimediale crea una connessione bilaterale tra “la lingua nella cultura e la cultura nella lingua” che può integrare le informazioni
fattuali fornite in unità discrete dal libro di testo (Kramsch 1999). Le risorse
offerte dal mondo in rete, in più, compensano la fugacità annuale dei materiali cartacei, poiché sono soggette ad un aggiornamento costante sulla cultura contemporanea e sulla vita quotidiana del paese straniero. Il nuovo contesto elettronico del CAI (computer-assisted instruction) e del CMC (computer-mediated communication) contribuisce a creare un ambiente di
apprendimento multiforme che adopera una decentralizzazione del ruolo
dell’insegnante e del libro di testo e agevola l’autonomia dello studente nella
selezione e nella manipolazione delle informazioni mediatiche.
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4.1 I materiali digitali ed elettronici
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Widdowson (1992) sottolinea come l’autenticità di un testo risenta dell’autorità dell’istituzione che l’ha prodotto, monopolizzando l’interpretazione di chi vi si accosta. Si è già accennato nel paragrafo 2.1 all’importanza di
considerare tale aspetto nell’utilizzo di materiale autentico. L’ambiente interattivo del mondo digitale ed elettronico offre nuove opportunità allo studente nella decodificazione di questa interpretazione autoritaria attraverso la
propria autorità di giudizio. Ciò può determinarsi nell’utilizzo di materiali
autentici per la ricostruzione di nuovi testi quali quelli di un ipertesto o di un
Cd Rom. Lo studente diventa autore del proprio materiale e voce alternativa a quella dell’insegnante (Kramsch, A’Ness e Lam 2000). In questo processo impara a riflettere, gestire, selezionare e riutilizzare per scopi persona-
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li testi mediatici e di comunicazione autentica. Uno di questi obiettivi può
essere, ad esempio, la costruzione di un Cd Rom o un di ipertesto che illustri la cultura dell’Italia. Lo studente può ricorrere in questo progetto all’utilizzo di un’estrema varietà di materiali (video, musica, immagini, grafici,
ecc.) attraverso i quali si esprimono più “voci”. L’apprendimento della lingua, in tal caso, non si riassume nella “parola”, ma nell’utilizzo della stessa
come “segno” rappresentativo della realtà dello studente. In questo processo avviene una trasformazione reciproca tra l’oggetto usato (lo strumento
elettronico) e il soggetto (l’apprendente) per esprimere il suo modo di vedere il mondo e di rappresentarlo attraverso l’italiano (Latour 1999). Nella
costruzione di un progetto come quello sopraccitato, i discenti non si limitano ad archiviare materiale autentico, ma a ricontestualizzarlo per creare il
loro nuovo testo multimediale. Durante il loro lavoro selezionano informazioni utili, le manipolano, scelgono immagini informative, decidono quale
musica usare o quali parole chiave rendere cliccabili, imparano, quindi, attraverso l’utilizzo diretto, le strategie comunicative dei linguaggi mediatici. Il
computer potenzia in questo modo l’autonomia e l’autorità dello studente
permettendogli di sfruttare una globale autenticità di plurimi codici. Si delinea la possibilità di creare del materiale interattivo in cui viene meno il rapporto monodirezionale tra autore e lettore proprio dei testi scritti, poiché il
percorso di lettura di un Cd-Rom o di un ipertesto segue le personali tracce
di chi lo vuole esplorare. Alcune ricerche testimoniano che gli studenti definiscono più autentici i materiali multimediali da loro costruiti rispetto quelli scritti poiché “potenziano la loro autorità sia di creatori che di consumatori”(Kramsch, A’Ness e Lam 2000).
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4.2 Classe virtuale versus classe in presenza
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Breen (1985) sostiene che tutto quello che avviene in una classe è autentico. Ciò assume un valore se si pensa ai contesti che si possono ricreare attraverso piattaforme elettroniche in cui studenti di italiano LS possono interagire e costruire progetti comuni con i parlanti nativi attraverso e-mail o Chat.
Queste occasioni generano una diversa concezione di apprendimento dell’italiano poiché tra i partecipanti non avviene esclusivamente una negoziazione d’informazioni, ma una nuova definizione dei significati e della rappresentazione di sé e dell’altro che nasce dall’incontro di diverse visioni del
mondo. Il computer offre così un ulteriore spazio d’interazione che può integrare l’artificialità della classe in presenza creando un ponte di connessione
con il mondo esterno.
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5. Criteri di selezione del materiale autentico
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Chi si appresta ad integrare la propria classe di italiano LS con materiale
autentico adopera una selezione che risulta comunque soggettiva e delimitata. Ne consegue che ricreare un ambiente interamente autentico è un’impresa poco probabile per due motivi principali:
1. i materiali creati per i madrelingua una volta trasportati nella classe
vengono decontestualizzati,
2. non è possibile includere tutte le varianti linguistiche regionali, individuali, sociali o riprodurre le reazioni socio-pragmatiche di un parlante nativo a certi eventi comunicativi.
Tuttavia, l’utilizzo di varie tipologie di testi, la diversificazione dei contesti e dei mezzi d’insegnamento possono fornire una visione più articolata
della cultura italiana ed agevolare il processo di apprendimento coinvolgendo diverse operazioni cognitive. Lo studente di italiano possiede già un suo
vissuto, una sua conoscenza che si basa su un tessuto di credo, valori, abitudini socio-comportamentali riferibili all’insieme d’esperienze educative pregresse e alla comunità culturale d’appartenenza. L’insegnante che seleziona i
materiali autentici deve considerare come punto di partenza proprio i diversi mondi che gli studenti rappresentano.
Breen (1985) suggerisce la prima domanda che ci si dovrebbe porre nella
scelta di un testo: “La conoscenza a priori, l’interesse e la curiosità dello studente possono essere coinvolti in questo testo?... Come tale conoscenza a
priori, interesse e curiosità ...possono essere attivate da questo testo?”.
Esistono tre tipi di conoscenza pregressa a cui fare riferimento:
1. la conoscenza del codice linguistico italiano
2. il sapere relativo al mondo
3. la competenza discorsiva relativa alle strategie stilistiche, linguistiche e
comunicative delle diverse tipologie testuali orali e scritte (articoli di
cronaca, favole, monologhi politici, pubblicità, ecc.) (Omaggio 1986).
A tali componenti si aggiunge l’idea di “comunità immaginata” (Norton
2001) che ogni singolo ha del mondo linguistico che si appresta a conoscere.
In questo nuovo contesto socio-culturale il discente proietta la costruzione
immaginaria del proprio futuro in base ad aspettative dettate dalle sue esigenze e dal tipo d’impegno sociale e educativo che è pronto ad investirvi. Se
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5.1 Testi orali
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l’insegnante riesce a prevedere quali materiali autentici incontrano gli interessi dei suoi studenti e a capire ciò che questi rievocano nelle loro menti, il
processo di apprendimento viene incrementato produttivamente.
Nella selezione dei materiali deve essere considerato anche il ruolo che lo
studente di italiano assume nella comunità culturale italiana, ovvero quello
di outsider. Ciò che lo differenzia rispetto ad un insider è la sua attitudine
contrastiva. Gli insider di una cultura tendono ad analizzare ciò che hanno
già sperimentato, gli outsider, al contrario, notano ciò che è estraneo alla loro
esperienza (Nostrand 1989). Tale attitudine è proficua per lo sviluppo di abilità analitiche e per una didattica relazionale, ma potrebbe rivelarsi un limite ai primi stadi di conoscenza dell’italiano.
A livelli intermedi ed avanzati la scelta di testi complessi è agevolata dalla
più solida competenza linguistica degli apprendenti. Il problema si pone ai
primi livelli di studio dove, anche se è presente una buona conoscenza del
mondo, il limite linguistico può presentarsi come barriera. Il rischio di mancata comprensione di un testo e il senso di frustrazione e di demotivazione
che ne possono conseguire è più alto. Tuttavia, se i criteri di selezione del
materiale autentico esulano dalla semplicità lessicale e sintattica che questo
presenta, la comprensione può essere favorita, come si è anticipato nel paragrafo 2.2, da attività semplici che richiedano allo studente una comprensione generale dei significati.
Un altro fattore che può motivare lo studente di questo livello e abbassarne il filtro affettivo è il grado di familiarità e di prevedibilità dei contenuti che un qualsiasi testo propone. Maggiori sono le potenzialità di connessione tra il testo e la sfera emotiva e culturale precostituita del discente,
migliore è la qualità d’interpretazione dei suoi significati.
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Wilkins (1979) evidenzia le difficoltà di comprensione orale che uno studente straniero incontra quando viene a contatto con un madrelingua. Lo
studente può esprimersi adeguatamente, ma spesso può capire difficilmente
ciò che il parlante nativo gli comunica. La ragione di tale incomprensione è
riferita alla scarsa familiarità del discente con testi orali autentici.
Byrnes (1984) sottolinea l’esigenza di sensibilizzare il discente alla differenza che intercorre tra la lingua orale e la lingua scritta. Queste due osservazioni possono essere importanti per la selezione di materiale orale autentico a vari livelli di studio. Poiché l’autenticità di un testo dipende dall’autenticità del contesto in cui la lingua viene utilizzata, Rings (1986) suggerisce
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cinque stadi dal maggior al minore grado di autenticità di una lingua orale,
utili per la selezione del materiale:
1. un testo genuinamente autentico è quello che si ha quando i due parlanti
nativi non hanno la consapevolezza di essere registrati per scopi didattici (messaggi di segreteria telefonica, trasmissioni radiofoniche, ecc.),
2. meno autentico si può considerare lo scambio orale in cui solo uno dei
due partecipanti alla comunicazione sa di essere registrato,
3. di grado successivo è la registrazione di roleplay in cui ai due partecipanti viene assegnata solo la situazione da improvvisare,
4. più strutturato è il contesto in cui ai parlanti vengono affidati ruoli
precisi,
5. ultimo degli stadi è quello in cui i due parlanti recitano un testo scritto.
Al primo stadio di questa scala, possono occorrere anche errori d’esposizione da parte dei parlanti nativi in quanto questi si esprimono spontaneamente senza porre attenzione alla struttura dell’italiano in sé. Secondo Rings
(1986) quest’elemento deve essere incluso nella più ampia conoscenza dello
studente poiché fa parte del discorso non pianificato e perché non sempre
ciò che può essere considerato scorretto nella lingua scritta lo è altrettanto in
quella parlata.
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5.2 Testi scritti
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La vasta disponibilità di testi scritti è già stata presa in esame nel paragrafo 3.1. I criteri per la selezione di questo tipo di materiali variano, come
accennato, in base agli obiettivi che l’insegnante si prefigge (per un corso di
Italiano Commerciale, di Cultura, di Letteratura, ecc.). In ogni contesto, tuttavia, non devono essere trascurati i fattori menzionati nel paragrafo 5.
Qualunque sia la tipologia dei materiali selezionati (testi poetici, articoli di
giornale, relazioni scientifiche, documenti commerciali, ecc.) essi devono
presentare contenuti che coinvolgono la sfera affettiva e diversi processi
cognitivi del discente, quindi essere sufficientemente significativi da essere
ricordati (Stevick 1983).
Il piacere della lettura può essere alimentato anche da percorsi alternativi. Swaffar (1985) e Krashen (1997) suggeriscono la selezione individualizzata che il singolo o gruppi di studenti possono realizzare in base ai loro interessi specifici. Questi itinerari alternativi stimolano nei discenti il “piacere
della lettura” perché nascono da motivazioni personali. Nel caso in cui si
prevedano gruppi di lettura fuori della classe, la comprensione del testo può
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essere facilitata dalle diverse interpretazioni dei compagni. Un siffatto lavoro può integrare il lavoro di classe, attraverso:
1. la realizzazione di progetti per gruppi d’interesse,
2. uno studio individuale ed indipendente,
3. fasi di tutoraggio.
5.3 Testi multimediali
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Internet è senza dubbio la fonte primaria di materiale autentico più facilmente raggiungibile senza limiti di tempo o di spazio. La selezione, in questo caso, non deve tener conto solo dei fattori più volte ripetuti sin qui, ma
anche misurarsi con altre componenti caratteristiche del mondo in rete. Le
infinità d’informazioni e di pagine Web a disposizione richiedono un’attenta analisi del materiale e dei siti da proporre per poter aiutare lo studente
nella ricerca.
Queste scelte possono seguire criteri di valutazione quali:
- accuratezza dei contenuti (chiunque può pubblicare in rete e talvolta le
informazioni non sono controllate da editori specifici);
- autorità (non è sempre facile ricevere abbastanza informazioni sull’autore del materiale);
- oggettività (possono essere poco chiari gli obiettivi degli autori dei
materiali);
- circolazione delle risorse (quando non è visibile la data di pubblicazione non si è in grado di valutare l’aggiornamento delle pagine Web);
- estensione delle risorse (è difficile stabilire quali argomenti siano inclusi
e se vengano trattati sufficientemente data la mancata linearità di lettura
degli ipertesti che può condurre il lettore a seguire percorsi diversi).
Considerando tali direttive l’insegnante può strutturare una traccia d’itinerari percorribili per i suoi studenti in base agli obiettivi che si è prefisso.
Può, inoltre, agevolare la ricerca del discente attraverso la creazione di mappe
concettuali (Petrucco 2001). Gli studenti insieme all’insegnante selezionano,
raggruppano e integrano parole chiave riguardanti l’argomento scelto che
possono essere utilizzate nella ricerca online.
6. Conclusione
Sebbene il limite dell’ambiente didattico rappresenti un dato oggettivo,
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l’infinita varietà di risorse, di tecniche didattiche e di mezzi tecnologici che
sono ora utilizzabili, possono facilitare le connessioni con la realtà extrascolastica e i contatti con il mondo socio-culturale di una lingua straniera. Da un
lato queste infinite disponibilità agevolano la didassi, dall’altro, però, evidenziano il problema della pluralità di competenze che l’insegnante dovrebbe sviluppare, richiamandolo ad una riqualificazione continua.
Concludendo si può dedurre che, al di là delle diverse scelte metodologiche adottate dall’insegnante e di ciò che lui interpreta come “autenticità”
nella selezione del materiale utilizzabile, resta sempre valida l’osservazione
con la quale Corder (1976) sottolinea che: “Un efficace insegnamento della
lingua straniera lavora con anziché contro i processi naturali, facilita e non
impedisce l’apprendimento. L’insegnante e i materiali di cui si serve devono
adattarsi all’apprendente e non viceversa.”
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riferimenti bibliografici
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Capitolo 11
Lo sViLUPPo deLLe aBiLitÀ ProdUttiVe
Maddalena Angelino
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In questo lavoro cercheremo di approfondire il ruolo delle abilità di
produzione e illustreremo i processi e le tecniche didattiche che possono
portare allo sviluppo e all’acquisizione di queste abilità.
La nozione delle “quattro abilità” – ascoltare, parlare, leggere, scrivere – è
da tempo riconosciuta dalla letteratura scientifica, tanto che la maggior parte
dei materiali didattici presenta le attività didattiche divise secondo questa
ripartizione. Il modello tradizionale per la definizione delle quattro abilità
primarie si basa sull’interrelazione tra due assi: da un lato l’opposizione
orale-scritto, dall’altro quella ricettivo-produttivo. Nella comunicazione,
però, raramente viene utilizzata separatamente una sola abilità alla volta e il
loro uso può essere simultaneo o integrato. Le abilità sono quindi molte di
più se si considerano accanto alle quattro primarie tradizionali quelle che
richiedono un’integrazione di più abilità: l’abilità di interazione (saper
dialogare) e le abilità di trasformazione e manipolazione di testi (saper
riassumere, saper prendere appunti, saper parafrasare, saper scrivere sotto
dettatura e tradurre). Nella classe di lingua è importante che l’insegnante,
oltre al lavoro sulle singole abilità, crei situazioni e attività che
presuppongano l’uso integrato e simultaneo di quest’ultime, per preparare
gli studenti ad affrontare la realtà extrascolastica. Già nell’89 Nunan
definendo il task “un tipo di attività che spinge l’apprendente a
comprendere, manipolare, produrre e interagire nella lingua target, mentre
la sua attenzione è focalizzata più sul significato che sulla forma” (Nunan
1989), dava indicazioni di percorso in questa direzione.
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1. Parlare
Parlare è senza dubbio un’abilità di primaria importanza nel mondo
contemporaneo ed è l’abilità alla quale ha dato maggior enfasi l’approccio
comunicativo. Vediamo in primo luogo quali sono le caratteristiche più
rilevanti del parlato.
Nella maggior parte dei casi il parlato viene prodotto e recepito in tempo
reale. Solitamente è scarsamente pianificato ed è prodotto sotto la pressione
del tempo a disposizione dei parlanti. Chi parla può contare sul feedback
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immediato dell’interlocutore e utilizzare la ridondanza come facilitatore di
comprensione. L’impossibilità di ‘cancellare’ quanto è stato detto porta
spesso i parlanti ad autocorreggere e riformulare gli enunciati. Ricorrenti
sono i segnali discorsivi, le interruzioni e le false partenze, le ellissi,
l’implicitezza e gli accenni alle conoscenze condivise. L’intonazione e il
ricorso a mezzi paralinguistici diventano nel parlato parte integrante della
comunicazione. Il fatto che i parlanti si trovino quasi sempre nello stesso
luogo e nello stesso tempo rende possibile il ricorso alla deissi e coinvolge nel
processo anche i codici extralinguistici.
Nonostante le differenze, la ricerca attuale non individua più
un’opposizione fra parlato e scritto, tanto che alcuni studiosi considerano il
parlato come una variante di lingua legata al mezzo fonico-uditivo
(Bazzanella 1994). Molti tratti che caratterizzano l’italiano parlato oggi in
Italia spesso sono condivisi anche dallo scritto informale: alta frequenza dei
connettivi polifunzionali, riduzione delle congiunzioni coordinanti e
subordinanti molto specifiche a favore di sinonimi di tipo polifunzionale,
presenza di colloquialismi, semplificazione dell’apparato morfosintattico del
verbo (uso dell’indicativo in luogo del futuro o del congiuntivo),
dislocazione a sinistra, che polivalente.
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1.1 L’interazione orale
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Per interagire in lingua straniera non è sufficiente raggiungere una
competenza linguistica che permetta di comprendere e produrre testi il più
possibile corretti sotto l’aspetto morfosintattico, lessicale, fonologico e di
coerenza e coesione. Lo studente dovrà anche sviluppare una competenza
socio-pragmatica che gli consenta di selezionare le forme che considera più
appropriate al contesto socio-culturale dell’evento comunicativo (secondo il
modello rappresentato dall’acronimo SPEAKING di Hymes, ripreso in
Balboni 2002) e inoltre di organizzare il discorso nel modo più efficace per
raggiungere i suoi fini pragmatici.
Il parlare è un evento fondato sulla cooperazione, un processo in cui ogni
partecipante all’interazione interviene e contribuisce alla costruzione di un
unico prodotto. La premessa, quasi ovvia, che sta alla base della
cooperazione è che i parlanti desiderano essere capiti e interpretati
correttamente e gli ascoltatori desiderano decodificare efficacemente i
messaggi che ricevono. Ciò quindi significa anche rivalutare il ruolo
dell’ascoltatore rendendolo co-partecipe, fornendogli gli strumenti non solo
perché possa assentire o dissentire, ma anche intervenire con le sue
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conoscenze sull’argomento, con le sue opinioni, con le sue richieste di
chiarimento o i suoi dubbi nella costruzione del discorso. E non solo:
l’ascoltatore poi dovrà poter disporre degli strumenti linguistici per prendere
a sua volta la parola e condurre il gioco (Zorzi Calò 1991).
I partecipanti ad una conversazione devono dunque di continuo negoziare
i contenuti del loro scambio comunicativo. I parlanti nativi utilizzano, molto
spesso inconsapevolmente, strategie discorsive con cui esplicitano le loro
intenzioni comunicative negoziando l’un con l’altro lo svolgimento della
comunicazione. Alcuni dei mezzi linguistici più frequenti del parlato italiano
si possono così raggruppare:
- per interrompere la comunicazione per inserirvisi e organizzare il
cambio di turno: appunto, infatti, anzi, scusa ma, prima che mi
dimentichi;
- per sollecitare la reazione dell’ascoltatore: chiaro?, no?, mi sono
spiegato?, vero?, mi stai seguendo?;
- per mettere il proprio enunciato in relazione a quello che è stato detto
prima e segnalare all’attenzione i punti di snodo del discorso: allora,
insomma, ecco, quindi, cioè, voglio dire;
- per fornire all’interlocutore elementi di controllo sull’andamento della
comunicazione e segnalare la reazione: ho capito, è vero, già, eh, hmm,
dimmi, addirittura, davvero;
- per attenuare o rinforzare affermazioni o richieste: in un certo senso, si
può dire, oserei dire, figurati, altroché;
- per introdurre un nuovo argomento o per concludere: a proposito,
volevo chiederti, allora siamo d’accordo.
I parlanti non nativi difficilmente riescono ad riconoscere e ad usare
spontaneamente questi segnali discorsivi se non si propongono in classe
input autentici seguiti da un lavoro di analisi delle formule che marcano
l’andamento della conversazione. Le attività d’ascolto di testi autentici
possono gradualmente portare lo studente alla consapevolezza di come i
parlanti nativi gestiscono la conversazione, che in molti casi è regolata da
norme che variano di cultura in cultura. A questo proposito è utile ricordare
che nella comunicazione tra parlante non nativo e interlocutori nativi questi
ultimi tollerano con più facilità errori linguistici, dovuti all’imperfetta
conoscenza del codice, che errori pragmatici, che violano le regole sociali di
contatto verbale. Gli errori grammaticali, fonologici o lessicali vengono
immediatamente e più facilmente percepiti, ma gli errori pragmatici sono
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quelli che disturbano di più, anche se inconsapevolmente, il nativo e
addirittura giungono in alcuni casi a bloccare la comunicazione (cfr.
Zamborlin e Pavan in questo volume).
Il parlante non nativo tuttavia durante il processo di apprendimento di
una lingua straniera mette in atto strategie per sopperire alla difficoltà di
espressione e alle lacune di tipo linguistico che gli impediscono una
comunicazione efficace. Nell’interazione orale è importante non
interrompere la comunicazione, si cerca quindi di superare le difficoltà con
opportune strategie, alcune delle quali possono anche essere sviluppate
didatticamente. Se ne può tentare una classificazione (Bygate M. 1984):
- strategie di conseguimento: sono strategie di approssimazione come
l’adattamento di una parola della lingua madre, il prestito dalla lingua
madre, la traduzione letterale, il conio di nuove parole, l’uso di
perifrasi. Sono anche strategie cooperative come la richiesta di
traduzione, la richiesta di chiarimento, la mimica, la costruzione con
l’aiuto dell’interlocutore di una frase.
- strategie di riduzione: strategie di elusione delle difficoltà fonologiche,
l’elusione della complessità grammaticale, l’abbandono del tema, la
semplificazione del messaggio. È la reazione più immediata, una sorta
di fuga dalle difficoltà.
Alcune strategie come la perifrasi, la sostituzione lessicale e la richiesta di
chiarimento sono utilizzate anche dai parlanti nativi e si rivelano molto utili
per lo sviluppo dell’abilità del parlato. Esse andrebbero rafforzate
didatticamente attirando su di esse l’attenzione degli studenti e prevedendo
attività in cui sia necessario farvi ricorso.
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1.2 Lo sviluppo dell’abilità di dialogo
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Nei dialoghi della comunicazione quotidiana occorre distinguere tra
parlato transazionale, finalizzato essenzialmente al passaggio di informazione,
e parlato interazionale finalizzato essenzialmente allo stabilire e mantenere
buoni rapporti interpersonali (Brown, Yule 1983). In realtà, nessuno
scambio verbale può essere considerato completamente transazionale o
interazionale: anche gli scambi che hanno come scopo la richiesta di beni o
di servizi presentano spesso una componenente interazionale (forme
amichevoli, brevi racconti personali, scherzi e piccole battute). D’altro canto
anche una semplice conversazione può presentare una componente
transazionale perché durante lo scambio comunicativo vengono modificate
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le conoscenze reciproche e si ha un passaggio di informazioni. Le attività
proposte in classe dovrebbero avere come oggetto entrambe le tipologie di
parlato (Zorzi Calò 1991).
Nel primo caso il dialogo da realizzare sarà molto più standardizzato e
potrà essere di grande aiuto la conoscenza degli script o copioni situazionali,
cioè delle sequenze prevedibili e abbastanza fisse di atti e mosse
comunicative nei quali presumibilmente comparirà anche il lessico tematico
relativo (ad esempio: al bar: cliente e cameriere – alla stazione: turista e
bigliettaio) e delle formule di routine, formule fisse e codificate (saluti,
ringraziamenti, commiati e altre espressioni frequenti).
Nel secondo caso non sarà facile creare in classe le condizioni della
conversazione casuale, certo meno prevedibile, più spontanea e creativa di
conversazioni più codificate.
Prima di passare ad analizzare alcune tecniche ed attività didattiche utili
a tal fine, è opportuno ribadire come premessa, sempre più condivisa, che la
realizzazione di scambi autentici in classe può avvenire solamente con la
presentazione di testi di ascolto autentici e con lo svolgimento di attività
coinvolgenti dal punto di vista comunicativo che permettano agli studenti di
esprimersi e imparare a negoziare significati (Ciliberti 1994).
Per comprendere l’importanza della produzione orale, in particolare la
produzione libera, occorre accennare brevemente al concetto di interlingua:
quando lo studente parla liberamente il testo che produce è la manifestazione dell’esistenza della sua interlingua, il sistema linguistico in continua evoluzione che egli costruisce a partire dall’input al quale è esposto. L’interlingua
è un meccanismo interno soggetto a continui processi di sistematizzazione.
Condizione fondamentale affinché essa si sviluppi è che lo studente abbia
occasione di usarla e che, per raggiungere i suoi scopi comunicativi, proceda
per ipotesi e tentativi sforzandosi di colmare il divario tra ciò che riesce a dire
e ciò che cerca di dire.
1.3 Le tecniche e le attività
Raggruppiamo per chiarezza in tre categorie alcune delle tecniche che
comunemente si possono utilizzare in classe per lo sviluppo del parlato:
a) Tecniche esercitative
Drills strutturali
Sono attività di tipo meccanico che hanno lo scopo di fissare strutture e
espressioni, rafforzando con la pratica gli automatismi necessari affinché
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avvenga produzione orale. Queste esercitazioni possono riguardare le
strutture grammaticali, le funzioni o il lessico. Sono state recentemente
rivalutate perché essendo il parlare un’abilità cognitiva complessa che
implica l’uso parallelo e coordinato di molte sotto-procedure e, non essendo
possibile attivarne più di due o tre in parallelo, l’automatismo di alcune di
queste permetterà al parlante di concentrarsi via via sulle altre o di far fronte
a elementi nuovi o imprevisti migliorando la sua esecuzione (Pallotti 1999).
I drill anche se privi di reali scopi comunicativi, hanno il vantaggio di
richiedere poco tempo per lo svolgimento in classe e sono scarsamente
ansiogeni. Con alcuni accorgimenti (uso di immagini o di realia, giochi basati
sulla ripetizione o sul movimento) risultano piacevoli e possono essere
considerate esercitazioni “pseudo-comunicative”.
Drammatizzazione
Anche la drammatizzazione non ha alcun elemento creativo, ma consente
di fissare con la recitazione le espressioni che realizzano i principali atti
comunicativi e soprattutto di esercitare gli aspetti fonologici e paralinguistici.
È importante che l’insegnante fornisca come modello testi autentici per
poter lavorare sull’ intonazione, il ritmo, la velocità di eloquio e il tono della
voce. Molto motivante risulta l’uso di sequenze filmiche nelle quali è facile
osservare e interiorizzare anche le componenti extralinguistiche e che,
durante la drammatizzazione, possono essere mostrate nella modalità sound
off (senza audio).
Role taking
Inseriamo nella categoria delle esercitazioni il role taking perché si tratta
di una simulazione molto guidata in cui, sulla base di un dialogo già noto, gli
studenti che interagiscono devono variare solo alcuni elementi. In una
situazione al bar, ad esempio, chi assume il ruolo del cliente può inserire
alcune variazioni su ciò che ordina, sulle caratteristiche che deve avere,
mentre chi assume il ruolo del barista varierà di conseguenza il prezzo e altri
particolari.
b) Tecniche di simulazione
Role play
Usiamo questo termine per indicare una simulazione che lascia gli
studenti interagire liberamente sulla base di informazioni riguardanti i
partecipanti e la situazione. Le simulazioni possono essere reali, cioè partire
da situazioni comuni nella realtà extrascolastica, o immaginarie, cioè
situazioni irrealizzabili, di fantasia.
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Nel role play di tipo reale lo studente può anche interpretare sé stesso
variando il setting o i rapporti di ruolo tra i partecipanti: in questo caso lo
sforzo comunicativo è sostenuto dal coinvolgimento della sfera affettiva ed
emotiva. L’insegnante farà poi attenzione a rispettare la privacy dei singoli
studenti non esponendoli troppo di fronte al gruppo con la richiesta di
rielaborare quanto è stato detto o ponendo domande dirette.
Negli altri casi per contare su uno scarto comunicativo, un vuoto di
informazione, che metta in moto un’interazione molto simile a quella reale
bisognerà fare in modo che ogni partecipante abbia informazioni accessorie
che l’altro non ha. Seguendo queste modalità ci si avvicina allo scenario
proposto da Di Pietro nell’approccio dell’interazione strategica. Nello
scenario l’intera classe partecipa alla fase di preparazione anche se poi solo
alcuni membri procedono alla messa in scena. I protagonisti, ognuno
all’insaputa dell’altro, dovranno cercare di fare valere le proprie opposte
esigenze e risolvere situazioni di difficoltà facendo un uso strategico della
lingua. L’analisi della performance verrà svolta da tutto il gruppo guidato
dall’insegnante. Nelle attività di simulazione l’insegnante avrà un ruolo
centrale di “regista” nella fase iniziale e conclusiva, mentre durante
l’interazione tra gli studenti resterà a loro disposizione solo come
“consulente” nel caso di problemi linguistici (Di Pietro 1987).
Telefonata e dialogo su chatline
In queste varianti del role play cambiano gli strumenti fisici di
trasmissione. Per simulare una telefonata si dovrà fare in modo che gli
studenti non si guardino, si diano le spalle o vengano divisi da un tramezzo:
la comunicazione sarà più difficile perché gli studenti, come in una vera
telefonata, non potranno così far ricorso agli elementi extralinguistici. Anche
il dialogo su chatline pur utilizzando il codice scritto va, a nostro parere,
inserito in questa categoria, poiché nelle chat si utilizza un parlato-scritto in
cui sono tra l’altro ammessi errori di ortografia, battitura e morfosintassi e
l’interazione avviene in tempo reale, anche se ovviamente mancheranno tutte
le componenti paralinguistiche.
c) Attività di interazione in classe
Giochi
Si tratta di attività ludiche di vario tipo, games, che coinvolgono nel loro
svolgimento tutta la classe divisa in squadre o piccoli gruppi. Gli obiettivi dei
giochi possono essere di tipo morfosintattico, funzionale o lessicale. La
lingua oggetto di studio diventa “il mezzo per giocare” e l’insegnante può
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diventare ‘l’arbitro’del gioco. Le tecniche ludiche sono ben accette anche
dagli adulti a patto che gli scopi glottodidattici siano esplicitati e l’attività
proposta sia motivante. L’atmosfera giocosa contribuisce ad abbassare il
filtro affettivo favorendo così l’acquisizione. L’insegnante dovrà selezionare e
dosare le tipologie di giochi da svolgere in classe in modo che la
competizione alla lunga non prevalga sulla cooperazione.
Soluzione cooperativa di problemi
Sono compiti che richiedono un’interazione comunicativa tra i
partecipanti per raggiungere una soluzione unica al problema. I gruppi di
lavoro usano materiali diversi ma complementari distribuiti dall’insegnante
(orari, mappe e cartine, fotografie, testi orali o scritti) e interagiscono tra di
loro scambiando informazioni e opinioni usando la lingua oggetto di studio.
Un compito, ad esempio, potrebbe essere: risolvere un giallo in base ad
indizi e informazioni di vario genere fornite dell’insegnante.
Compiti più complessi, che richiedono anche interazioni con il mondo
reale fuori dalla classe e giungono alla realizzazione di un prodotto o
un’esperienza, rientrano nel project work (cfr. Ridarelli 1998). Nelle fasi di
realizzazione l’italiano LS è il mezzo per preparare, sviluppare e portare a
termine un progetto, attraverso un insieme di compiti che mettono in gioco
molteplici abilità. Progetti possono essere ad esempio la produzione di un
dépliant turistico o informativo, la realizzazione di un reportage,
l’organizzazione di una mostra o di un evento.
Discussione
Si basa sullo scambio di opinioni riguardanti un tema prestabilito e si
svolge in plenum, può essere informale o più simile ad un dibattito.
L’insegnante dovrebbe in questo caso fungere da moderatore. È un’attività
spesso difficile da gestire, tuttavia è utile per rendere consapevoli gli studenti
delle differenti modalità di presa di parola, di uso del tempo e di gestione dei
turni, fattori che dipendono da variabili legate al contesto e alla cultura.
Soprattutto a livello avanzato la capacità di inserirsi in una conversazione è
considerata da molti apprendenti una componente decisiva della
comunicazione, ma difficile da acquisire se non viene esercitata in apposite
attività.
Monologo
Ad un’attenta analisi il parlato monologico in senso stretto si realizza in
casi assai rari. Chi parla in pubblico, infatti, non sempre interloquisce, ma in
qualche modo interagisce con i suoi destinatari. Gli ascoltatori dispongono
di codici non-verbali con i quali possono interagire, più o meno
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volontariamente, per indicare che sono d’accordo, si annoiano, sono
interessati, si divertono, sono infastiditi.
In classe spesso il monologo coincide con un turno esteso interrotto da
brevi domande da parte degli altri studenti o dell’insegnante e può rientrare
in generi diversi: narrazione, descrizione, relazione, persuasione. Il
monologo può essere preparato in precedenza, per potere organizzare i
contenuti e avere a disposizione una “scaletta”, o improvvisato. Nel secondo
caso l’insegnante dovrà tener presente che saper improvvisare su un dato
soggetto davanti ad un gruppo di ascoltatori è una capacità utilissima che
però non si consegue spontaneamente e richiede uno specifico
addestramento. Nella fase preparatoria può essere opportuno segnalare la
possibilità di ricorrere a segnali discorsivi del tipo “in primo luogo”, “in
secondo luogo”, “inoltre”, “infine”, oppure anche più chiari come “vedremo
anzitutto…”, “abbiamo visto… e ora passiamo a…”: si tratta di strumenti di
coerenza testuale per organizzare il discorso e nello stesso tempo aiutare la
comprensione di chi ascolta testi (per approfondimenti cfr. Balboni 1998 e
Brighetti, Minuz 2001).
La gestione dello spazio in classe durante le attività comunicative riveste
un’importanza fondamentale per la riuscita delle stesse e per l’efficacia della
comunicazione. Lo spazio dovrebbe favorire al massimo l’interazione: gli
studenti dovrebbero potersi disporre a coppie e in piccoli gruppi a seconda
delle attività seguendo diverse modalità. Ad esempio nelle attività in cui
esprimono contenuti personali è preferibile che gli studenti si siedano uno di
fronte all’altro, in situazioni di tipo concreto (in un’agenzia di viaggi, in
segreteria, alla posta) si possono utilizzare i tavoli come desk di lavoro. Si
dovrebbe cercare di organizzare il setting nel modo più vicino alla realtà
(immaginiamo persone che parlano in autobus, ad una festa, in un talk show,
in una conferenza, nel corso di un gioco a squadre). Durante le attività di
produzione orale l’insegnante sarà fuori dallo spazio dello scambio
comunicativo per non inibire o bloccare i parlanti, ma resterà a disposizione
come consulente. Nelle fasi preparatorie o conclusive delle attività la
disposizione ideale è solitamente quella che favorisce l’interazione tra
insegnante/studenti e studenti/studenti: il gruppo di studenti in semicerchio
e l’ insegnante di fronte a loro nello spazio che resta libero oppure i tavoli
disposti ad “U” che consentono all’insegnante di occupare lo spazio centrale
e di muoversi liberamente.
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2. scrivere
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Il lavoro sull’abilità di scrittura non va confuso con lo svolgimento degli
esercizi scritti, che sono in realtà tecniche di manipolazione centrate su
strutture morfosintattiche, attività puramente esercitative prive di scopi
comunicativi. Con scrivere come abilità primaria si intende la produzione di
testi scritti, che può essere più o meno guidata oppure libera. Scrivere fa
parte integrante della competenza comunicativa, spesso però nei livelli più
bassi ha un ruolo secondario rispetto alle altre abilità, mentre nei livelli più
alti viene richiesta la produzione scritta per diverse finalità trascurando il
lavoro sui processi che facilitano questo tipo di produzione.
Indubbiamente la produzione di un testo scritto presenta difficoltà, a tutti
i livelli di apprendimento e talvolta anche in LM. Per scrivere un testo
efficace lo studente dovrebbe possedere il controllo lessicale, strutturale,
testuale e stilistico della lingua oggetto di studio, adatto al testo che intende
scrivere e all’evento comunicativo in cui si inserisce. I destinatari dovrebbero
poi poter decodificare con chiarezza i contenuti comunicativi del testo
prodotto. Il testo scritto risulta solitamente più “corretto” rispetto al parlato,
più esplicito, proprio perché non è possibile fare ricorso a mezzi prosodici,
né alla mimica o ai gesti e non si può tener conto del feedback immediato
dell’ interlocutore. Nello scritto si cerca di evitare le ripetizioni e le
riformulazioni, che al contrario nel parlato sono funzionali ad una maggiore
comprensibilità, spesso la sintassi è più complicata e di solito viene richiesta
maggiore precisione lessicale: diventa quindi importante un lavoro di
pianificazione perché il prodotto finale non dovrebbe presentare incertezze
nell’organizzazione del discorso (Lavinio 1994).
Nelle attività di scrittura possiamo fare ricorso alla funzione del monitor
(la funzione di controllo che l’apprendimento esercita sulla lingua secondo la
Second Language Acquisition Theory di Krashen): grazie alla permanenza del
prodotto scritto è possibile attivare il controllo sulla lingua da parte dell’
apprendimento razionale. Lo scrivere offre il tempo di riflettere e di
apportare modifiche o di considerare alternative. Nel parlato invece un
eccessivo controllo razionale è controproducente, perché la ricerca di
correttezza formale può andare a discapito della fluenza della produzione
linguistica.
Non sono da trascurare altri vantaggi offerti dall’ attività di scrittura,
anche nei livelli più bassi di apprendimento, dove per anni si è evitata la
richiesta di produzione di testi scritti. L’enfasi data alla lingua orale dal
metodo diretto e dall’approccio audio-orale, come reazione all’approccio
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formalistico, negli ultimi tempi si sta riequilibrando nella prassi didattica a
favore della lingua scritta. Lo scrivere in realtà consente allo studente di
esprimere le proprie opinioni ed emozioni, la propria creatività, di
raccontare la sua storia e i suoi progetti personali, insomma “di farsi sentire”,
anche se non fin da subito in modo appropriato ed efficace. Questi sono i
presupposti fondamentali perché si realizzino, sia nell’orale che nello scritto,
gli obiettivi di un approccio di tipo comunicativo. Un uso dell’italiano
centrato sui contenuti che si vogliono comunicare, inoltre, favorisce
l’acquisizione della lingua oggetto di studio. Ribaltando le convinzioni del
metodo grammaticale-traduttivo, si può parlare allora di un uso della lingua
per imparare quella lingua e non di imparare una lingua per usarla. Quando,
nelle fasi iniziali dell’apprendimento, risulta molto più difficile esprimere
opinioni o raccontare avvenimenti oralmente, l’espressione scritta - pagine di
diario, lettere, brevi commenti - può evitare il senso di frustrazione che
alcuni studenti, soprattutto adulti, inevitabilmente provano. Lo scrivere può
essere visto come un’utile palestra che può dare allo studente sicurezza anche
nella produzione orale o abituare ad un uso più creativo della lingua, se
l’attenzione non è posta esclusivamente sul prodotto finito e corretto ma sui
contenuti.
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2.1 Lo sviluppo dell’abilità di scrittura
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Per certe categorie di studenti, in particolare gli studenti degli scambi
universitari o dei corsi di formazione professionale, le attività che implicano
la scrittura sono essenziali. In questi casi l’insegnante, in fase di
programmazione del corso, darà ampio spazio alle attività mirate allo
sviluppo delle abilità che consentono di saper stendere relazioni e progetti,
scrivere lettere formali, prendere appunti, sostenere esami scritti ed
elaborare tesine.
Al di là di questi casi, in cui l’utilità è legata ai bisogni dei singoli studenti,
è evidente che la frequenza d’uso e il ruolo pragmatico dello scrivere
nell’attività linguistica di un parlante medio sono inferiori rispetto a quelli
delle altre abilità, poiché si dedica di solito più tempo ad ascoltare, parlare e
dialogare, leggere. Lo scrivere è di fatto riservato a gruppi limitati: giornalisti,
scrittori, studiosi, si tratta quindi di scrittura professionale. Negli ambienti di
lavoro non si può parlare di necessità di una vera abilità di scrittura, poiché
si utilizzano di solito modelli da compilare o testi su traccia predisposta,
mentre la corrispondenza scritta è stata sostituita dal telefono, poi dal fax ed
ora dalla posta elettronica che presenta caratteristiche particolari e si
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potrebbe definire uno scritto molto vicino al parlato (Spina 1996).
Tradizionalmente nella didattica l’attenzione era posta sul prodotto finito,
sul risultato della scrittura, mentre ora si tende a considerare la scrittura
soprattutto come processo, in cui si possono identificare alcune fasi.
Vediamo come impostare alcune attività per lavorare sul processo:
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a) analisi del contesto situazionale: gli scopi di chi produce quel dato testo
e quelli del destinatario, il rapporto di ruolo che intercorre fra i due, il luogo
fisico e culturale in cui si trovano. È utile abituare gli studenti ad individuare
in testi autentici proposti dall’insegnante, ad esempio alcuni tipi di lettere, lo
scopo, il rapporto tra l’emittente e il destinatario ed il registro usato;
b) la definizione del tipo di testo che si intende produrre (argomentativo,
istruttivo o altri) e del genere testuale (ad esempio relazione, lettera, articolo).
Per riflettere sui generi comunicativi si possono analizzare, sempre in gruppi,
testi appartenenti a generi comunicativi diversi: ad esempio una lettera
ufficiale, un curriculum vitae, una descrizione. Le ipotesi e i risultati possono
poi essere messi a confronto e discussi collettivamente. Lo scopo dell’analisi
è riuscire a scoprire quali regole li caratterizzino, regole che possono variare
da lingua a lingua (come le formule di apertura e chiusura di una lettera) o
essere basate su azioni fondamentali, ad esempio narrare, descrivere e così
via, che regolano in tutte le lingue la formazione di testi e la loro possibilità
di inserirsi in generi precisi. Alcune di esse, infatti, sono universali: ad
esempio in una relazione la concordanza dei tempi è fondamentale, mentre
in una descrizione è importante la denotazione lessicale, i sinonimi, la scelta
degli aggettivi. L’ idea di base è quella di portare gradualmente gli studenti a
padroneggiare i meccanismi e i procedimenti compositivi della scrittura con
attività che vadano dall’analisi, alla manipolazione e in seguito alla
elaborazione autonoma. Progettando materiali o unità di apprendimento di
questo tipo sarà utile, dove è possibile, evitare proposte troppo schematiche,
perché potrebbero risultare demotivanti, e presentare allo studente la
classica pagina bianca da riempire solo quando il compito non risulterà
troppo difficile;
c) la definizione della linea concettuale che darà coerenza al testo, la
“scaletta”. È un obiettivo di tipo cognitivo: si tratta della progettazione del
testo. Rappresenta il momento dell’individuazione delle idee e della loro
organizzazione, in cui il lavoro di scrittura viene osservato nel suo farsi. È la
fase più importante anche se spesso è stata trascurata nella lingua madre,
seguendo la prassi corrente di iniziare subito a scrivere una volta ricevuta la
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consegna. A questo livello le informazioni possono mantenere il loro aspetto
sintetico, vengono solo messi in evidenza i concetti e i legami fra di essi.
Questa fase dovrebbe essere completamente libera e basarsi sulla espressione
delle idee: eliminando l’ansia legata alla scrittura dovrebbero venir attivate le
conoscenze inconsce. Si può lavorare sulla progettazione decidendo ad
esempio di variare la disposizione del materiale tematico o dei fatti, di
eliminare o di aggiungere alcune parti. Nella fase della progettazione di testi
si possono utilizzare tecniche di brainstorming e costellazioni (per
approfondimenti sulle tecniche cfr. Balboni 1998);
d) la stesura di un testo coerente e coeso. Una volta decisa la scaletta le
fasi di espansione, stesura e poi di revisione possono essere condotte
individualmente o a gruppi. In questa fase prevalgono le decisioni che
riguardano la sfera linguistica, ad esempio l’uso di determinati costrutti
sintattici, le concordanze, i connettivi. La stesura del testo scritto può
risultare piuttosto complessa se i processi ai livelli più bassi (ortografico,
morfologico, sintattico) non sono ancora automatizzati. Tutte le tecniche
adatte a rinforzare la competenza morfosintattica e grafemica possono
gradatamente portare all’automatizzazione di alcuni processi e abbassare il
livello d’ansia che il dover scrivere spesso causa. La programmazione da
parte dell’ insegnante dovrà tenere conto di una graduazione dei compiti, in
modo che chi scrive possa concentrarsi sulle scelte via via necessarie a livello
testuale, semantico e pragmatico.
Questa fase comprende anche due momenti da non trascurare: la
revisione e, eventualmente, la riscrittura. Durante la rilettura si controllano
gli aspetti ortografici e sintattici, la coesione e la coerenza, l’adeguatezza al
genere testuale e al destinatario prescelti, le scelte lessicali e sintattiche
effettuate. Per riuscire a sviluppare un senso critico negli studenti è
necessario aver lavorato nelle fasi precedenti su testi autentici o su testi
prodotti da altri studenti. Il lavoro di revisione può essere svolto tra pari dagli
studenti, tenendo presente che chi ha scritto il testo è pur sempre l’autore e
può decidere di tenere conto o meno dei suggerimenti del collega.
L’insegnante, oltre ad essere consulente per problemi linguistici, può fornire
una griglia che sia di aiuto nella valutazione dei vari aspetti da controllare.
Più in generale l’intervento dell’insegnante si attua direttamente sul
processo di scrittura e non, come spesso avveniva, sul prodotto scritto e
finito, tramite correzioni a penna rossa. L’intervento è quindi più efficace e
sostiene e il lavoro degli studenti nelle fasi di progettazione, di stesura e di
revisione.
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Il ricorso al lavoro di gruppo in alcune fasi del processo di scrittura è
supportato dalla considerazione che solitamente le prestazioni del gruppo
sono migliori di quelle di un unico componente. Inoltre interagire può
significare per gli studenti scoprire debolezze o punti forti, porsi domande e
trovare risposte, avere più occasioni di pratica e negoziazione, creare un
clima disteso e rilassato che consenta di sopportare eventuali fallimenti e di
abbassare il filtro affettivo (Ciliberti 1994).
2.2 La scrittura in classe
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Fino a poco tempo fa quando si parlava di produzione scritta si pensava
al “tema” tradizionale che ha costituito per decenni l’unica prova di verifica
dell’abilità di scrittura in LM e talvolta in LS. Nella forma tradizionale era un
puro esercizio scolastico di sviluppo di un argomento o amplificazione di
una tesi in cui l’allievo doveva scrivere un testo disponendo unicamente di
sintetiche indicazioni. I dati riguardanti il destinatario, il rapporto di ruolo
tra il destinatario e l’emittente, lo scopo per cui si scriveva un “tema” non
erano mai resi espliciti, il testo prodotto era quindi privo di bisogni
comunicativi reali e di coordinate che potessero regolarlo. Il tema
tradizionale si avvicina per tipologia ad un saggio, che però resta generico se
lo studente non ha la possibilità di prepararsi e se non dispone di indicazioni
per quanto riguarda il destinatario e lo scopo della composizione.
È invece di fondamentale importanza rendere espliciti il genere dello
scritto che si chiede di produrre, lo scopo - che può essere quello di
informare, disquisire, speculare, persuadere, contrastare, dimostrare e così
via - e il destinatario o i destinatari. Nella vita di tutti i giorni esiste un’ampia
gamma di testi che si devono scrivere o abitualmente si scrivono, testi che in
italiano LS richiedono un lavoro preparatorio perché possiedono
caratteristiche specifiche: narrazioni - dove hanno importanza i fatti, la
successione temporale, le nozioni di tempo; lettere formali e non - che
richiedono attenzione al registro, al lessico specifico, ai modi verbali;
relazioni su eventi - che accentuano la funzione dei verbi e della struttura
temporale, con caratteristiche del testo descrittivo; testi istruttivi - dove è
fondamentale l’ordine delle operazioni, la chiarezza e la precisione, le forme
verbali: imperativo, infinito; descrizioni - che richiedono particolare
attenzione alla precisione lessicale e alle nozioni spaziali e possono essere
oggettive o soggettive; testi prescrittivi - caratterizzati dall’uso del “si” e di
forme impersonali, dall’imperativo, passivo e futuro; testi argomentativi, che
hanno come fine la persuasione e richiedono una costruzione adatta agli
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scopi che ci si prefigge, con una notevole attenzione ai meccanismi di
coesione e agli usi del congiuntivo.
Il lavoro sull’abilità di scrittura si può cominciare già nei livelli più bassi,
seguendo alcuni accorgimenti:
- fornire sempre esempi semplici e autentici con cui gli studenti possano
familiarizzarsi e da cui possano partire per la loro produzione;
- cominciare con testi brevi e aumentare gradualmente la lunghezza dei
testi che si richiede di produrre;
- in un primo tempo facilitare il processo di scrittura, fornendo una
struttura graficamente attraente da completare o una serie di domande
che impostino un testo già dotato di coerenza;
- indicare sempre l’evento comunicativo in cui si colloca la produzione
scritta;
- variare e diversificare le tipologie dei testi;
- prevedere, se necessario, un lavoro preliminare sul vocabolario
tematico;
- collegare e inserire le attività di scrittura alle funzioni e al vocabolario
dell’unità di apprendimento in corso.
- evitare le correzioni a penna rossa, per la connotazione negativa che di
solito le accompagna;
- includere commenti positivi sulle parti ben riuscite del testo (Cicogna e
Nuessel, 1993).
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I testi con cui si possono confrontare gli allievi già dalle prime lezioni
sono quelli che riguardano la comunicazione personale. Possono essere brevi
messaggi personali, come quelli lasciati sui post-it o inviti informali. Anche le
cartoline non presentano particolari difficoltà, data la sinteticità del formato.
Può venire chiesto agli studenti di scrivere seguendo una scaletta decisa in
precedenza, oppure, utilizzando cartoline provenienti da luoghi diversi,
offrire spunti per commenti sul luogo, indicazioni riguardanti il motivo del
viaggio o il clima e così via. Anche per le prime lettere informali una struttura
da completare o una scaletta possono essere di aiuto. Più avanti l’insegnante
può distribuire in classe lettere a cui gli studenti cercheranno, anche con
lavoro collaborativo, di rispondere. Nei livelli intermedi si può lavorare
anche alla stesura di curricula, lettere formali e risposte ad annunci.
La fase di scrittura può naturalmente essere inserita in attività più
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complesse e articolate che richiedono l’uso di più abilità. Nonostante
l’utilizzo di materiali autentici e ricorrendo a simulazioni il più possibile
vicine alla realtà extrascolastica sappiamo che il lavoro resta molto spesso
artificiale. In questo caso per rendere lo scrivere in classe realmente
comunicativo e interattivo la soluzione, con l’aiuto delle nuove tecnologie,
potrebbe essere quella di impostare uno scambio di e-mail con studenti
italiani (Besnard, Elkabas, Rosienski-Pellerin 1996) o organizzare la
partecipazione a chat.
La pagina di diario ha per definizione un suo scopo comunicativo: si scrive
per se stessi. Un suggerimento per fare diventare questo tipo di attività
ancora più interessante è quello di rendere il diario personale accessibile ad
altri studenti o allo stesso insegnante, in modo da stimolare reazioni
personali e commenti a quanto scritto (Brodine 1990). Facilmente
realizzabile è anche un diario di classe alla stesura del quale a turno
collaborano tutti gli studenti.
Le descrizioni di tutti i tipi - di persone, di luoghi, di immagini - si
prestano a diverse attività di solito ben accette dagli studenti e adatte a tutti
i livelli a seconda del tipo di descrizione che si vuole realizzare. Anche con i
testi narrativi gli studenti si possono cimentare fin da subito, cominciando ad
esempio con storie per immagini o sequenze di suoni da trasformare in un
racconto scritto, inventando storie utilizzando parole date dall’insegnante o
dagli altri studenti oppure creando insieme una storia seguendo diverse
tecniche e spunti (numerosissimi sono i percorsi di scrittura creativa,
utilizzabili anche nell’insegnamento della lingua straniera, cfr. Calzetti e
Donaggio 1995). Generi solitamente considerati complessi come la poesia
possono essere introdotti in classe proficuamente seguendo le “ricette” di
Mollica per lavori a coppie o in gruppi (Mollica 1995, Luzi Catione 1995).
Per quanto riguarda i testi istruttivi, le ricette di cucina offrono
numerosissimi spunti di lavoro: incastro di paragrafi dati in ordine sparso,
riempimento con i vocaboli indicanti gli ingredienti o i verbi specifici,
stesura di una ricetta tipica del proprio paese. Coinvolgente è anche la
proposta di fare preparare agli studenti una mappa, ad esempio dalla scuola
alla casa di chi organizza una festa, con tutte le informazioni e le istruzioni
necessarie per raggiungere il luogo indicato.
Il confronto con un testo interpretativo-valutativo come il commento
risulta particolarmente motivante, perché il punto di partenza non è un
argomento, spesso generico, come nel tema tradizionale, ma un testo o un
film, una mostra, un concerto (recensione) che rientra nell’esperienza diretta
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dello studente. Esprimere le proprie reazioni e il proprio giudizio costituisce,
infatti, uno scopo comunicativo valido. Nei livelli avanzati, se si intende dare
maggior spazio alla scrittura, si potrà lavorare, a seconda dei bisogni
linguistici degli studenti, alla stesura di tesine, relazioni, verbali, lettere
formali con diversi scopi, articoli di cronaca o di costume, magari all’interno
di un progetto per un giornale della scuola.
3. La verifica delle abilità di produzione
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La verifica delle abilità produttive ci pone di fronte al non semplice
compito di raccogliere dati ed elaborare ipotesi sul livello di competenza
comunicativa di uno studente. La verificabilità della competenza
comunicativa è limitata infatti dalla natura ciò di cui può disporre
l’insegnante: i prodotti linguistici, le esecuzioni comunicative degli studenti,
che possono essere frutto di apprendimento razionale e non di acquisizione
duratura e non ci informano con attendibilità sui processi e sulla
competenza. La nostra riflessione toccherà qui per ovvi motivi solo alcuni
punti fondamentali sul piano metodologico.
La verifica può essere condotta secondo due modalità complementari:
- il testing diffuso, i cui i dati vengono registrati in una scheda durante le
normali attività didattiche;
- il testing formale periodico, durante lo svolgimento del quale gli
studenti sanno di essere sottoposti a verifica e i cui risultati potranno
dunque influenzati dallo stress e dall’innalzamento del filtro affettivo.
Il testing formale si può effettuare alla fine di una o più unità, alla fine di
un modulo o come test conclusivo di un corso. Oggetto della verifica dovrà
essere ciò che è stato presentato ed esercitato in classe, in termini di abilità,
di padronanza degli atti comunicativi, di acquisizione delle regole verbali e
non verbali. Per ottenere dati affidabili le tecniche utilizzate per la verifica
dovranno essere già note e familiari agli studenti per il fatto che sono state
d’abitudine usate per lo sviluppo delle abilità.
Nella valutazione dell’abilità di interazione orale è necessario considerare
che se l’interazione è tra insegnante e studente, il valutatore è impegnato
nello scambio e non può essere un testimone attendibile. D’altro canto una
coppia di studenti che interagiscono può essere squilibrata perché il più
bravo sovrasta l’altro nella gestione della comunicazione. Per ovviare a
questo problema il dialogo tra insegnante e studente potrebbe essere
registrato e valutato successivamente. In questo caso l’insegnante dovrà
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accuratezza
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efficacia
scorrevolezza precisione
pragmatica
lessicale
coerenza
e coesione testuale
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cercare di non guidare eccessivamente la conversazione e favorire con
spontaneità la produzione da parte dello studente.
A maggior ragione il monologo dovrebbe essere valutato solo in presenza
di una registrazione. I risultati di questa prova possono essere considerati
significativi solo se i parametri sono stati chiaramente definiti in precedenza.
Se si intende verificare l’abilità di scrittura è necessario fornire sempre
chiarimenti riguardo al genere, allo scopo e al destinatario del testo scritto.
Sarebbe consigliabile dare anche indicazioni sulla lunghezza minima e
massima del testo da produrre per una comparazione più uniforme delle
produzioni scritte degli studenti del gruppo. Anche in questo caso il
parametri dovranno essere chiari e, essendo unicamente gli aspetti linguistici
oggetto di verifica, non comprenderanno aspetti di tipo cognitivo e
nozionistico.
Suggeriamo di seguito un agile strumento per la verifica delle abilità di
produzione, una scheda utilizzabile sia per il testing diffuso che per il testing
formale, nella quale per ogni voce si inseriranno giudizi o punteggi numerici:
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167
Capitolo 12
Lo sViLUPPo deLLe aBiLitÀ riCettiVe
Elena Ballarin
ti.
Secondo il modello quadripolare delle abilità linguistiche le abilità ricettive consistono nella capacità di ascoltare e nella capacità di leggere una lingua straniera. Tuttavia, entrambe queste abilità richiamano un unico processo, il processo di comprensione. In questo capitolo verrà affrontato il suo sviluppo e verranno successivamente analizzate alcune tecniche didattiche utili
a sviluppare le due abilità esaminate.
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1. La comprensione
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1.1 La Expectancy Grammar
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Il processo di comprensione si mette in moto in conseguenza all’interazione di alcuni fattori: la competenza comunicativa, la conoscenza del
mondo e il complesso dei processi cognitivi che presiedono alla definizione
dei nessi temporali o causali. Questa interrelazione attiva la Expectancy
Grammar, la quale opera sulla base della consapevolezza situazionale e in
base alla ridondanza (ottenendo informazioni supplementari nel contesto,
nel cotesto e nel paratesto) (Balboni 1994).
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La Expectancy Grammar (Oller 1979) è la capacità di prevedere che cosa
può essere detto o scritto in una determinata situazione, usando un certo lessico quando si parla o si scrive di determinati argomenti (contesto), quando
si usa un certo tipo di testo, un determinato genere comunicativo (barzelletta, lezione, ecc.) e un certo tipo di sintassi (cotesto).
Il contesto, dunque, è dato dall’argomento, dal luogo, dal momento in cui
avviene lo scambio comunicativo. Parimenti, il ruolo psicologico e sociale dei
soggetti viene determinato dai loro scopi comunicativi, dalle norme sociali
che regolano la comunicazione, dalla ridondanza contestuale (il fatto che lo
stesso messaggio possa essere ripetuto in codici diversi da quello verbale).
Il cotesto è definito dal genere comunicativo cui l’evento comunicativo
appartiene e di cui si conoscono le norme costitutive, è delineato dalla testura, da quei meccanismi che definiscono la coesione dell’atto comunicativo,
dagli indicatori metacomunicativi, perché definiscono la coerenza del messaggio, infine i reticoli morfosintattico e semantico offrono esempi di ridon-
168
ti.
danza che facilitano la comprensione.
Il paratesto è definito dai titoli, dalle figure che accompagnano un testo,.
Da tutti quegli elementi che, attorno al testo, aggiungono informazioni supplementari e ridondanti.
La comprensione non viene vista, quindi, come un processo lineare, ma
come un processo globale e simultaneo, perché l’expectancy grammar permette di creare un’ipotesi globale e simultanea1 di quanto può essere detto o
scritto e questa ipotesi viene, poi, confermata, modificata o smentita da ciò
che successivamente si ascolterà o si leggerà. Se l’ipotesi è corretta, sarà possibile comprendere anche un messaggio disturbato come un annuncio alla
stazione ferroviaria o un messaggio stampato male.
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1.2 L’enciclopedia
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Con questo termine si indica la conoscenza del mondo condivisa tra chi
parla e chi ascolta. Questa conoscenza permette di creare ipotesi su quanto
può essere detto o scritto e, allo stesso tempo, consente di disambiguare gli
elementi polisemici.
Esistono dei copioni di comportamento tipici di molte situazioni: una
persona saluta un’altra persona conosciuta, le chiede come sta, come sta la
famiglia, l’altra persona ricambia i saluti e, probabilmente, dopo aver risposto, rivolge all’interlocutore le stesse domande, poi i due si salutano e se ne
vanno. Esistono, poi, dei campi semantici prevedibili che includono le
varianti su un preciso tema (Balboni 2002): una persona entra in un negozio
di abbigliamento per comprare una maglia. La maglia può essere di lana, di
cotone, può essere larga o stretta, può essere in vari colori, in tinta unita o in
fantasia.
Anche la conoscenza del mondo favorisce, perciò, la comprensione,
quando il messaggio che arriva non è completo o è fortemente disturbato. La
conoscenza di quel tipo di situazione in quel dato Paese, dunque, fa intuire
quanto può essere detto o scritto.
1.3 La competenza comunicativa
Quando si impara una lingua straniera, la competenza comunicativa è
ancora in fieri: in questa fase dell’apprendimento si possiede una interlingua
su cui si fa affidamento per poter comunicare e che è indispensabile per
Che la comprensione sia un processo globale e simultaneo piuttosto che un processo lineare è
confermato da studi di neurolinguistica. Cfr. M. Danesi (1988), Neurolinguistica e Glottodidattica, Padova,
Liviana e G. Freddi (1999), Psicolinguistica, sociolinguistica, glottodidattica, Torino, Utet.
1
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poter comprendere. Se l’interlingua è limitata, la capacità di comprendere è
parimenti ridotta.
Insegnare a comprendere una lingua comporta, dunque, l’affinamento, il
potenziamento e l’attivazione costante di tutte le strategie di comprensione e
dei processi cognitivi che sottostanno alla expectancy grammar e che sono
inconsci. Perciò, le strategie didattiche dell’insegnante devono essere tese a
mettere in moto la capacità di creare ipotesi adeguate, non a colmare ipotetiche carenze linguistiche.
Inoltre, a seconda degli scopi, la comprensione si distingue in comprensione intensiva (parola per parola), comprensione estensiva (globale) e comprensione mirata (tesa all’identificazione di qualche dettaglio). Perciò è assolutamente funzionale all’insegnamento della comprensione della lingua
anche la scelta appropriata di quale strategia convenga utilizzare.
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1.4 Obiettivi
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Ai fini dell’educazione linguistica in riferimento specifico alle abilità di
ricezione, si può, dunque, dire che bisogna insegnare a cogliere il contesto
situazionale per poter creare ipotesi attendibili, a cogliere il cotesto e il paratesto, infine, a scegliere e poi a utilizzare la strategia adeguata per poter comprendere un evento comunicativo.
Tuttavia, è opportuno tenere bene presenti gli scopi di chi si accinge a
imparare una lingua per poter attivare le strategie più adeguate: se, infatti, in
un aeroporto pieno di rumori interessa comprendere l’annuncio del numero
del cancello da cui parte un determinato volo, sarà opportuno attivare una
strategia di ascolto estensivo e mirato (scanning); se, invece, l’oggetto della
comprensione è costituito dal piacere della lettura tout court, sarà opportuno attivare una lettura di tipo intensivo.
Quindi, a seconda degli scopi per cui si intende comprendere un evento
comunicativo (piacere, informazione, studio, ecc.) vengono attivate strategie
diverse, perché si creano ipotesi differenti.
2. il ruolo glottodidattico delle abilità di comprensione
Dal punto di vista glottodidattico insegnare a comprendere significa insegnare ad attivare nel modo più efficace la expectancy grammar (Balboni
1991).
Questo processo cognitivo è fondamentale per giungere all’intelligenza
dell’evento comunicativo, per poter entrare dentro l’evento (coglierne il livel-
170
lo semantico e pragmatico) e per poter collegare e cogliere il filo logico che
lega il discorso.
La glottodidattica non solo definisce le mete e gli obiettivi dell’educazione linguistica, ma indica anche i percorsi in cui le mete e gli obiettivi sono
disposti gerarchicamente
2.1 Priorità delle abilità ricettive
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Sulla base dell’osservazione di quanto avviene nell’acquisizione della lingua materna2, si può sostenere che le abilità ricettive ricoprono un ruolo
prioritario rispetto alle abilità produttive: l’approccio umanistico affettivo
allo studio di una lingua straniera si propone, infatti, di non generare nel
discente uno stato di ansia e stress. Quindi, l’accostamento alla lingua si basa
inizialmente sull’abilità di ascolto lasciando che lo studente produca lingua
soltanto quando si sente psicologicamente e affettivamente sicuro.
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2.2 Priorità dell’abilità ricettive orale sull’abilità ricettiva scritta
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La scrittura è un codice derivato dalla lingua orale e la sequenza “dall’orale allo scritto” viene confermata dal Direct Method, dall’approccio strutturalistico3, dall’approccio comunicativo (nelle versioni situazionale e noziofunzionale)4. Infatti, il ruolo di un metodo funzionale è quello di portare alla
padronanza della lingua viva, soprattutto nella sua forma parlata; tuttavia,
questo obiettivo è subordinato al fatto che lo studente, prima di tutto, deve
essere a diretto contatto con la lingua parlata. Tra lo studente e la lingua straniera vi deve, quindi, essere un contatto diretto, senza ricorrere alla lingua
madre e senza l’intermediazione della teoria.
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3. tecniche per lo sviluppo delle abilità di comprensione
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Una tecnica è un’attività di classe attraverso cui il materiale linguistico
viene presentato agli studenti e da questi analizzato, elaborato, prodotto
(Balboni 1999). Questa affermazione prevede, dunque, la necessità di tenere
sempre presente che l’atto didattico non può fare a meno del discente, che
l’insegnante si presenta come guida all’interno del gruppo classe, che all’interno della classe deve essere presente uno spirito di collaborazione e cooperazione.
Cfr. G. Freddi (1999), Op. cit., capp. 1-2
Che viene anche chiamato audio-lingual in inglese.
4
Cfr. anche R. Titone (1993), Psicopedagogia e glottodidattica, Padova, Liviana.
2
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Verranno qui analizzate alcune tecniche volte allo sviluppo delle due abilità primarie della comprensione, ascoltare e leggere.
3.1 Ascolto plurilingue e ascolto selettivo
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L’ascolto plurilingue è una tecnica legata alla diffusione della televisione
via satellite e consiste nell’ascolto di un programma televisivo spostando l’audio della rete che si sta seguendo nell’audio della rete della lingua che si sta
imparando. L’immagine è la stessa, ma cambia il commento verbale che la
accompagna. Questa tecnica costringe lo studente a legare la sua comprensione al contesto e alla conoscenza del mondo.
Nell’ascolto selettivo si devono riconoscere solo alcune parole o espressioni. L’evento comunicativo viene proposto senza alcuna attività propedeutica e il compito è solo quello di cogliere il maggior numero possibile di dati.
Alla fine dell’ascolto i dati vengono controllati a gruppi o a coppie, si procede a un’attività di anticipazione e poi a un secondo ascolto. L’oggetto di questa tecnica è la capacità di cogliere frammenti e di servirsene per creare ipotesi contestuali (comprendere il luogo, dove ci si trova; comprendere la situazione, cosa sta avvenendo).
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3.2 Accoppiamento lingua-immagine e parola-definizione
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Questa tecnica si realizza presentando delle immagini (disegni, fotocopie,
lucidi, diapositive, fotografie) contrassegnate da una lettera. Gli studenti
esplorano le immagini, poi ascoltano (o leggono) brevi testi, descrittivi o dialogici, numerati che si riferiscono alle immagini e devono accoppiare il
numero del testo alla lettera dell’immagine (es. A2, B5, ecc.). Questa tecnica
consente di lavorare sulla comprensione senza dover ricorrere alla produzione; è, inoltre, utile se usata nella fase di verifica della comprensione e può
essere impostata su computer, fornendo materiale per l’autoapprendimento
e il recupero.
La tecnica che prevede l’accoppiamento della parola alla sua definizione
sviluppa in particolare modo la funzione metalinguistica: si fornisce una lista
di parole e, in ordine diverso, una lista delle loro definizioni. L’allievo dovrà
procedere all’accoppiamento.
3.3 Elicitazione
Tecnica didattica che consiste nell’estrarre, attraverso domande, suggerimenti, brainstorming, ecc. informazioni o frammenti di informazioni che i
172
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vari allievi possiedono ma che, essendo distribuiti in maniera casuale e
incompleta nella classe, non appaiono significativi se non dopo che, elicitandoli, l’insegnanti li ha collegati fra loro. Questa tecnica è fondamentale per
sviluppare il processo di anticipazione, quindi, per l’attività iniziale del processo di comprensione. Attraverso l’elicitazione, infatti, l’insegnante riesce a
rendere consapevoli gli studenti di quello che già sanno e su cui possono
innestare nuovo input. Inoltre, questo tipo di tecnica favorisce la collaborazione in classe e questo elemento permette di tenere sempre sotto controllo
il meccanismo del filtro affettivo. È noto infatti che, soprattutto nella didattica ad adulti, la generazione di ansia e stress blocca il processo di acquisizione linguistica.
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3.4 Cloze
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Il cloze consiste nell’eliminazione di una parola ogni x. Di solito viene eliminata ogni “settima” parola, perché questa corrisponde a quel 15% della
comunicazione che, statisticamente, viene perso a causa di rumori o disturbi
della codifica, trasmissione o decodifica dei messaggi.
L’allievo deve inserire nel vuoto la parola mancante o, almeno, una parola accettabile in quel contesto. Per consentire la creazione di un cotesto sufficiente a garantire la comprensione, di solito vengono lasciate intere le prime
righe del testo. Mano a mano che il testo si definisce meglio, si passa a eliminare una parola ogni sei e poi una ogni cinque, ma sotto la soglia della
quinta parola il testo non è più ricostruibile, quindi, non sarà proponibile un
cloze che riporti vuoti troppo frequenti e scenda oltre la soglia del cinque.
Questo appena descritto è il cloze “a crescere”, vi è poi il cloze “facilitato”,
che elenca in calce le parole da inserire o che presenta nei vuoti un disegno
corrispondente alla parola eliminata.
Alcune varianti prevedono che vengano cancellate solo le parole tematiche (che si riferiscono a informazioni già presenti nel testo) o solo le parole
rematiche (portano informazioni nuove rispetto a quanto già espresso nel
testo). Quest’ultima variante accentua il ruolo dell’emisfero destro del cervello che è preposto all’elaborazione di informazioni nuove e risulta più difficile, perché mette in gioco sia la competenza testuale sia i processi che prevedono la conoscenza del mondo.
Nel cloze in LS il discente può inserire le parole mancanti anche nella LM,
in quanto deve dimostrare di comprendere le parole che precedono e che
seguono, piuttosto che la conoscenza della specifica parola che è stata tolta.
Questa tecnica può essere usata anche per l’ascolto: l’insegnante presen173
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3.5 Attività di accoppiamento e incastro
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ta un testo orale (un nastro registrato) interrompendosi in più punti; l’allievo avrà qualche secondo per formulare un’ipotesi sulla parola (o sulla frase)
che segue basandosi sulla sua expectancy grammar.
Questa tecnica, di solito, viene accettata dagli allievi senza troppi problemi di filtro affettivo, in quanto l’allievo è solo di fronte al testo e non c’è l’insegnante-inquisitore che lo intimorisce. Inoltre, l’elemento della sfida favorisce la motivazione e mette, quindi, in moto il processo di acquisizione linguistica.
Il cloze è un’ottima tecnica per sviluppare la capacità di una persona di
considerare il testo nella sua globalità: per individuare la parola mancante o
un suo sinonimo, bisogna cogliere ogni ridondanza contestuale e cotestuale
e non fissarsi sulla singola frase.
Inoltre, per la sua precisione essa viene usata molto spesso nella fase di
verifica e anche nel language testing e per il suo carattere di sfida è uno strumento ideale per il recupero individualizzato di quegli allievi che presentano
una expectancy grammar inadeguata.
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Queste tecniche riguardano attività che chiedono all’allievo di restaurare l’ordine in una sequenza che è stata scompigliata. Per svolgere il compito di incastro l’allievo deve attivare i processi di temporalità, causalità,
inclusione, esclusione, che sono essenziali nel processo di comprensione.
Anche in questo caso queste attività sono molto bene accettate dagli allievi
che da un lato colgono l’elemento della sfida, dall’altro si trovano a comporre una specie di puzzle.
L’incastro può avvenire a diversi livelli:
- incastro di parole. Gli allievi devono rimettere in ordine parole scompigliate di una frase. In questo caso si attivano i meccanismi sintattici e
anche la dimensione semantica gioca un ruolo importante;
- incastro di frammenti di frase. Si devono ricomporre le frasi che sono
state spezzate e disposte su due colonne, di cui una con un ordine diverso dall’altra. In alcuni casi il meccanismo attivato può essere di tipo
semantico e di conoscenza del mondo, in altri casi può essere morfosintattico;
- incastro delle frasi che compongono un periodo/incastro dei paragrafi
che compongono un testo. In queste due varianti la rapidità dell’esecuzione si unisce a un’impostazione giocosa all’attivazione dei meccanismi
di testualità;
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- incastro delle battute di un dialogo. In una colonna si dispongono, nell’ordine corretto, le battute di un personaggio, nell’altra colonna si trovano scompigliate le battute dell’altro personaggio. Questa variante
attiva la competenza pragmatica: l’allievo deve identificare gli scopi dei
parlanti e poi individuare le battute con cui tali scopi vengono perseguiti;
- incastro di battute nelle vignette di un fumetto. Le vignette sono riprodotte nella successione originale, mentre le battute, numerate, sono in
ordine casuale. L’allievo deve scrivere nella “nuvoletta” di ogni scena il
numero della battuta appropriata. Questa attività stimola la competenza pragmatica e anche la competenza semiotica, perché prevede l’interazione tra due codici;
- incastro di vignette. Le vignette, ciascuna complete di disegno e battuta, vengono presentate in ordine sparso. In questo caso si verifica l’interazione funzionale dei codici visivo e verbale;
- incastro di testi. Si presenta agli allievi una serie interrelata di testi come
accade, ad esempio, in una transazione commerciale. Gli allievi devono
leggere i testi e poi indicare quale di essi è il primo, quale il secondo e
così via. Questa tecnica mette in gioco il complesso delle conoscenze
enciclopediche, ma è anche importante per potenziare la lettura mirata,
perché si deve prestare attenzione ai dettagli che possono guidare alla
soluzione del problema.
Queste tecniche possono essere usate tanto per la comprensione scritta,
quanto per la comprensione orale e, parimenti, è anche possibile interrelare
lettura e ascolto.
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3.6 Domanda, scelta multipla, griglia
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La domanda è la tecnica più scontata per guidare, ma anche per verificare la comprensione. Tuttavia, è anche la tecnica meno motivante, perché è la
tecnica “scolastica” per eccellenza e poi perché è basata su un falso di natura pragmatica: l’insegnante, infatti, chiede una risposta che già conosce. Si
verifica, inoltre, il problema della lingua in cui porre la domanda: se la
domanda viene fatta in lingua straniera, si aggiunge difficoltà a difficoltà; se
la domanda viene posta nella lingua materna, diventa un suggerimento per la
comprensione. Lo stesso vale per la risposta che deve dare lo studente.
La griglia è una variante che può ovviare ai problemi della domanda diretta. Non si verifica, infatti, demotivazione: l’allievo non ha davanti un inse175
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gnante-inquisitore che pone domande di cui già conosce le risposte; l’allievo
ha un testo come controparte e può misurare da sé la propria competenza;
non si verifica il problema della scelta della lingua in cui porre la domanda e
fornire la risposta; la correzione, che può essere anche collettiva, è, inoltre,
rapida e oggettiva.
La scelta multipla è essa pure una variante della domanda e può presentarsi come una frase con tre o più conclusioni possibili, come una serie di
affermazioni che possono essere vere o false, come frasi o testi al cui interno
si trovano parole poste in alternativa ad altre parole. Questa tecnica è molto
adatta per la guida alla comprensione, perché presenta chiaramente gli elementi su cui l’allievo deve focalizzare l’attenzione e, inoltre, la correzione
può essere effettuata in tempo reale, durante l’ascolto. Nella variante del
vero/falso si può, infine, stimolare una discussione per giustificare la scelta
della risposta.
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3.7 Trascodificazione
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3.8 Dettato
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Questa tecnica prevede che lo studente trasformi il messaggio in un codice diverso da quello originale: il messaggio linguistico può essere transcodificato nel codice cinesico (quando si chiede di mimare, di eseguire ordini, di
montare apparecchiature) o nel codice grafico (quando si chiede di seguire
un itinerario su una piantina o quando si chiede di eseguire o completare un
disegno). È certamente possibile eseguire questa tecnica anche all’inverso:
passando, cioè, dal codice cinesico o grafico a quello linguistico.
I vantaggi offerti da questa tecnica sono diversi, ma, tra questi, i più notevoli sono costituiti dalla mancata contrapposizione allievo-insegnante, da
un’atmosfera giocosa e dalla rapidità della correzione, che avviene a opera
dei compagni e non a opera dell’insegnante.
La tecnica del dettato prevede la trascrizione di un testo che viene letto a
voce alta dall’insegnante o riprodotto da un registratore. Questa tecnica, in
realtà, non sviluppa soltanto l’abilità di comprensione, ma anche l’abilità di
produzione e varia da lingua a lingua: nelle lingue italiana, spagnola e latina
il dettato riguarda la mera competenza grafemica, perché il problema ortografico è minimo; nella lingua francesce il dettato implica una notevole analisi morfosintattica, perché molte desinenze (maschili, femminili, verbali)
compaiono nello scritto, ma non nell’orale; in inglese il dettato costituisce
una prova soprattutto ortografica; in russo o in greco il dettato sviluppa
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4. La verifica delle abilità di comprensione
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anche la padronanza alfabetica.
Particolarmente efficace nello sviluppo della comprensione appaiono,
dunque, la variante del dettato-cloze in cui l’allievo deve scrivere solo le parti
mancanti del testo e la dicto-composition, in cui l’allievo trova le parti delle
frasi che compongono un riassunto e deve completarle sotto dettatura.
Tuttavia, perché il dettato produca acquisizione, è necessario che non crei
ansia. Dunque, per limitare l’effetto ansiogeno, è necessario che la correzione avvenga tra compagni o in autocorrezione e, perciò, sarà cura dell’insegnante fornire a ciascuno studente, alla fine del dettato, il testo completo e
corretto. Particolarmente efficace, ai fini di ridurre l’ansia e lo stress, appare
la variante del dettato-disegno, in cui il disegno viene realizzato dall’allievo
che ne ascolta le caratteristiche dettate dall’insegnante. L’allievo deve, dunque, dimostrare di comprendere il messaggio ascoltato, ma il tutto avviene in
un’atmosfera giocosa e distensiva.
COMPRENSIONE
INDIVIDUAZIONE SCOPI COMPRENSIONE
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Le tecniche descritte precedentemente servono anche per la verifica delle
abilità ricettive. Per alcune è possibile procedere all’attribuzione del punteggio secondo una scala del tipo: tot risposte corrette, tot punti, come nel caso
delle scelte multiple. Altre tecniche, invece, come il cloze o certi tipi di incastri prevedono l’attribuzione del punteggio “a scalare”: si stabilisce, cioè,
quanti punti attribuire a un cloze eseguito correttamente e si toglie un punto
per ogni errore, calcolando che, oltre una certa soglia, il punteggio è zero.
Può essere utile per una verifica in itinere una scheda di questo tipo:
ALLIEVO
Implic.
COMPRENSIONE ELEMENTI
DI COESIONE DEL TESTO
DEL TESTO
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Refer. Infer. Dichiar.
STRUTTURALE
Questa griglia permette di valutare alcune voci della comprensione come
la comprensione sia referenziale, che inferenziale dell’argomento; l’individuazione non solo degli scopi dichiarati, ma anche di quelli impliciti; la comprensione della strutturazione e della coerenza logica di un testo; l’individuazione e la comprensione dei meccanismi di coesione (anafora, catafora,
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referenze, ecc.) che regolano un testo.
Uno strumento di questo tipo è altamente flessibile e adattabile a seconda degli elementi che si intendono valutare: possono essere oggetto della
verifica, ad esempio, anche l’analisi dei ruoli sociali di un testo o il registro
di una conversazione.
5. La comprensione dei testi letterari
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Alcune tecniche permettono di lavorare alla comprensione della letterarietà dei testi e consentono di guidare l’allievo alla scoperta delle caratteristiche che distinguono i testi letterari da quelli privi di scopo estetico.
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5.1 Individuazione della letterarietà
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Questa tecnica aiuta a scoprire testi scritti con intenti letterari distinguendoli da testi scritti con altri scopi. Si presenta all’allievo un testo letterario accanto alla sua parafrasi: viene richiesto allo studente di individuare il
testo letterario e di motivare la sua scelta presentando le “prove” della letterarietà. Una variante di questa tecnica può essere la presentazione di testi che
descrivono un paesaggio: un testo può essere tratto da una guida turistica, un
testo da un libro di geografia, un ultimo dalla pagina di un romanzo.
Attraverso il confronto e l’analisi testuale dei tre brani viene richiesta all’allievo la motivazione della letterarietà.
Lo scopo principale di questa tecnica non è tanto l’individuazione corretta della letterarietà, quanto piuttosto la motivazione di tale scelta che può
avvenire soltanto attraverso un’accurata analisi testuale e un confrontodiscussione all’interno del gruppo classe.
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5.2 Manipolazione della letterarietà
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Si chiede all’allievo di modificare alcune delle caratteristiche che definiscono la letterarietà di un testo per verificare se, dopo le modifiche, il testo
può ancora definirsi letterario. Tutti gli elementi possono essere modificati:
si possono eliminare gli “a capo” alla fine di ogni verso, il dialogo può essere trasformato in discorso indiretto, il punto di vista può essere spostato da
un personaggio all’altro, le digressioni possono essere poste in nota, ecc.
Anche in questo caso lo scopo di questa tecnica non si esaurisce nella
modifica del testo, ma nella discussione che giustifica ogni singola modifica
e che permette all’allievo di acquisire gli elementi che caratterizzano un testo
come letterario.
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5.3 Apprezzamento critico
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Una tecnica che può aiutare l’allievo a riflettere sul valore di un testo è il
ranking: l’allievo riceve una serie di giudizi relativi a un testo e deve creare
una graduatoria, indicando qual è il giudizio che meglio definisce il testo.
Un’altra tecnica utile è la scelta multipla in cui tutte le varianti proposte
possono essere valide: in questo caso ogni scelta va motivata e spiegata alla
classe e all’insegnante.
Entrambe queste tecniche, come pure le tecniche proposte precedentemente, prevedono una presa di coscienza degli elementi costitutivi la letterarietà e il valore estetico del testo: proporne una discussione collettiva favorisce il processo di acquisizione e avvantaggia notevolmente il processo di
comprensione.
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riferimenti bibliografici
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DANESI M. (1988), Neurolinguistica e glottodidattica, Padova, Liviana.
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OLLER J.W. (1979), Language Tests, Londra, Longman.
TITONE R. (1993), Psicopedagogia e glottodidattica, Padova, Liviana.
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Capitolo 13
La VaLUtaZione degLi
aPPrendimenti LingUistiCi
Rita Minello
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Nella molteplicità delle funzioni valutative l’azione del valutare viene
spesso definita come attività che consiste nell’emettere un giudizio in vista di
una decisione. In realtà ciò si traduce in una vera e propria operazione di
attribuzione di valore a fatti, eventi, oggetti, persone in relazione agli scopi
che colui che valuta intende perseguire. Assumiamo dunque il termine valorizzare nella sua piena accezione positiva, anche come ricerca di ciò che è formalmente utile.
Accanto all’interpretazione valoriale, vi sono diverse altre funzioni valutative, fra cui quella esplicativa, progettuale, decisionale e orientativa, formativa e sommativa, certificativa. In pieno approccio umanistico, possiamo,
infine, identificare uno scopo sociale della valutazione e della sua cultura:
favorire e promuovere la padronanza allargata delle trasformazioni e delle
complessità che alimentano un sistema “aperto” come la scuola, la formazione, l’istruzione.
Una valutazione che si qualifica come significativa cerca soprattutto il
valore formativo dei processi attivati, perciò il suo compito è di interpretare
e comprendere il senso e il significato delle trasformazioni dell’apprendimento degli allievi. In caso contrario, ci troviamo di fronte ad un’indagine
che non mira a produrre informazioni significative, ma solo informazioni.
Il risultato della valutazione è una congettura dotata di senso (Margiotta),
il cui senso viene attribuito da chi la effettua e da chi la interpreta (Lakatos:
condivisione dei criteri). La valutazione non è mai assoluta o definitiva.
L’incertezza è sempre presente, ed è perciò necessario assumere un atteggiamento scientifico (di ricerca) riservando alla valutazione il ruolo di convalida
delle ipotesi di riuscita che ci si pone in sede di progettazione. Per superare
la soggettività della valutazione è opportuna la massima trasparenza comunicativa negli scopi, nei criteri e nei metodi tra coloro che valutano.
1. La competenza del valutare
La valutazione presuppone la disponibilità di un sistema di discriminazione della qualità e della quantità degli “oggetti” da valutare, un sistema capa-
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ce di consentire una “classificazione” e un’interpretazione che vada oltre le
loro caratteristiche intrinseche. Un evento ritenuto positivo in rapporto a
certi scopi o in determinati contesti, può infatti rivelarsi negativo in relazione ad altri scopi ed altri contesti. Il giudizio può essere formulato solo in base
al sistema di discriminazione elaborato o prescelto perché, se è importante
valutare i successi, è altrettanto decisivo determinare la natura e la frequenza degli scarti tra ciò che ci si aspetta e ciò che si verifica. Base di partenza
del processo valutativo sarà dunque una raccolta d’informazioni utili per
facilitare le scelte.
Vi è una sostanziale differenza tra verifica e valutazione, che possiamo
così sintetizzare:
Verificare: registrare in forma quantitativa il livello dei singoli risultati
raggiunti in base agli obiettivi posti inizialmente; in tal caso, più che di
“misurazione”, preferiamo parlare di “accertamento”, ovvero di analisi
ponderata (misurazione) di ciò che è possibile osservare e misurare
mediante strumenti che differenziano e discriminano le caratteristiche
dei fenomeni sottoposti a controllo.
Valutare: giudicare in forma qualitativa i cambiamenti e i progressi fatti
rispetto alla situazione iniziale, sulla base di numerose e differenti verifiche.
Secondo quest’ottica le verifiche degli apprendimenti sono gli strumenti
della valutazione, concorrono a formare la valutazione, ma non la esauriscono.
In particolare nella scuola di base – che deve favorire lo sviluppo personale, sociale e culturale degli alunni, nella prospettiva di un percorso formativo – la valutazione non può riferirsi esclusivamente ai risultati conseguiti
nelle verifiche e non deve limitarsi ad un aspetto sommativo delle abilità e
delle competenze apprese. Le verifiche periodiche sui singoli apprendimenti sono solo una “fotografia” dell’alunno durante un percorso formativo in
divenire, non una “foto segnaletica” punitiva con giudizio di valore annesso.
Se ci si limitasse a misurare la comprensione, le conoscenze già possedute, le
capacità innate, allora la valutazione sarebbe davvero un giudizio di valore,
per cui il bambino più fortunato per provenienza socioculturale o per intelligenza innata, sarebbe da premiare con una lista di “Ottimo”, mentre il
bambino svantaggiato o in difficoltà sarebbe spesso “punito” da valutazioni
minime o insufficienti.
Ciò non significa che la “misurazione” degli apprendimenti sia un’operazione secondaria: anzi, è necessario sperimentare e saper costruire prove di
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verifica ben strutturate per garantire una rilevazione corretta delle competenze e delle abilità.
Secondo Tessaro (1997) le principali azioni di valutazione consistono nel
- reperire informazioni sulla quantità e la qualità dell’acquisizione di un
allievo (testing)
- definire dei parametri (operazione detta anche scaling) da applicare ai
dati del test per ottenere un punteggio (operazione detta anche scoring);
- elaborazione
a. di un giudizio statistico sul rapporto tra un allievo e il suo gruppo
b. di un giudizio di merito sull’acquisizione avvenuta
c. di un giudizio rapportato alla personalità del singolo: i suoi punti di
partenza, i suoi progressi, le sue capacità. Quest’ultima fase è quella
che spesso porta a definire la valutazione come un atto politico, in
quanto mette in gioco una serie di valori ideologici da parte dell’insegnante;
- espressione del giudizio, che può essere un voto in numeri o in lettere
oppure può avere la forma di un giudizio, in cui si fa una diagnosi e, se
necessario, si suggerisce una terapia di recupero (certificazione).
Tra i principali requisiti del processo di valutazione va sottolineato il processo di decentramento. Decentrarsi significa fare una separazione da sé per
situarsi sull’altro e sulla situazione. Questo diventa possibile solo se colui che
valuta riesce a tenere sotto controllo le proprie strutture egoiche. L’altro, l’allievo, ha i propri schemi personali e il valutatore deve cercare di conoscerli e
comprenderli.
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2. La dimensione valutativa
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Perché valutare? Sostanzialmente, perché è impossibile non valutare.
Sempre noi valutiamo, spontaneamente o intenzionalmente. La valutazione
intenzionale rientra a pieno titolo nel progetto formativo, pur nella consapevolezza dei limiti costituiti dai fattori soggettivi e personali che in essa intervengono.
E, tuttavia, nel processo d’apprendimento, è impossibile valutare sempre e
tutto: il controllo totale è antiformativo proprio come la stessa assenza di
controllo. Le attività di valutazione vanno dosate, calibrate, centrate su quei
nodi che si considerano cruciali per l’apprendimento.
La valutazione punta alla consapevolezza: si apprende davvero quando si è
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consapevoli di ciò che si è appreso e del perché lo si è appreso.
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Attribuire valore a qualcosa non può che condurre ad un prodotto soggettivo, personale. La soggettività della valutazione sta a significare che le
interpretazioni non possono che essere personali sulla base dei giudizi pregressi, dei vissuti e delle esperienze individuali (H.G. Gadamer),
La soggettività non deve tuttavia costituire un alibi alla mancata ricerca
del massimo grado possibile di obiettività. L’individualismo si supera con la
consapevolezza dei vincoli e dei limiti personali, professionali e culturali, ma
anche con il riconoscimento dei preconcetti e delle stereotipie presenti in
ciascuno. In pratica l’unica strada percorribile sta nella triangolazione dei
punti di vista e delle metodologie (Huberman, Stake).
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Il principio di triangolazione nella valutazione (Tessaro 1997)
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Da tempo la valutazione non è più considerata come un momento finale
del processo di insegnamento/apprendimento, né come semplice alternanza
di momenti intermedi, bensì come il feedback delle varie fasi della progettazione. Di particolare rilevanza, soprattutto in un contesto di curricolo flessibile, è l’impostazione da parte dell’insegnante di un approccio valutativo che
consenta all’alunno di maturare una consapevolezza del proprio percorso
apprenditivo in modo tale che la valutazione sia soprattutto un’auto-valutazione.
Bisogna porre particolare attenzione a non creare un sistema di testing
chiuso rigido e avvertito come “gerarchico”. Nel curricolo flessibile si coniuga l’attenzione al processo in rispondenza alle diverse situazioni di ogni alunno, con la cultura del risultato perseguita da un accertamento di ciò che l’alunno ha conseguito attraverso il suo particolare itinerario formativo.
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3. Le tipologie della valutazione
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Fra le tante distinzioni degli esperti, limitiamoci a considerare la valutazione formativa e sommativa. Due tipologie di valutazione i cui termini sono
stati coniati da Michael Scriven (1980) e tradotti in italiano in modo apparentemente letterale, ma di fatto non corrispondente: nel nostro sistema scolastico spesso la valutazione formativa viene associata a tecniche qualitative,
interpretata come attenta alle esigenze e bisogni degli allievi; mentre la valutazione sommativa viene impropriamente associata a tecniche quantitative,
alla docimologia, interpretata in funzione certificativa.
La valutazione formativa – che sarebbe più opportuno denominare
“costruttiva” - è la valutazione di un programma di intervento durante la sua
fase di attuazione, allo scopo di apporvi parziali adattamenti e verificare il
reale contributo delle attività messe in opera.
Accogliamo pertanto i due termini con la seguente accezione:
Valutazione sommativa (raccolta, ponderazione, misurazione di punteggi
e bilancio amministrativo):
- Prima dell’apprendimento - diagnostica: nel caso si operi una valutazione per stabilire una soglia, un livello di partenza dove situare le attitudini presenti o i bisogni diretti di un individuo o di un gruppo.
Marc-André Nadeau (1978, 34) specifica il campo di applicazione della
valutazione diagnostica:
a. per determinare la presenza o l’assenza di abilità giudicate necessarie
all’apprendimento di nuove sequenze (prerequisiti), oppure
b. per determinare il livello di conoscenza degli obiettivi di un corso, per
situare l’allievo al punto di partenza a lui più appropriato, oppure
c. per raggruppare gli allievi all’interno di gruppi distinti, secondo caratteristiche quali l’interesse, la personalità, l’atteggiamento, o qualsiasi
altra variabile legata ad una particolare strategia di insegnamento o ad
un particolare tipo di apprendimento.
- Prima dell’apprendimento - prognostica (orientamento, predizione); il
problema dell’efficacia della valutazione risulta strettamente legato a
quello relativo all’esplicitazione delle pre-comprensioni operanti negli
attori coinvolti dal processo di valutazione; tali pre-comprensioni, come
è noto, rappresentano l’unico materiale su cui è possibile lavorare per
esplicitare gli obiettivi reali di un intervento. E, tuttavia, tale prospettiva di valutazione rivela un limite: non si sa mai come reagiranno le persone se non dopo averle viste reagire. È possibile prevedere un’azione
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ulteriore e valutare i risultati solo “a termine”, dopo aver operato una
serie di osservazioni su questo momento futuro. Per tale motivo è preferibile un metodo di valutazione distribuito longitudinalmente nel
tempo, basato su tecniche cronologiche di relazione che permettono di
collegare gli osservatori a momenti precisi. A ben guardare, questo
obiettivo di previsione comprende gli obiettivi di comunicazione, di
descrizione e di comprensione tipici della valutazione formativa.
- Dopo l’apprendimento - validazione (attestazione, certificazione, qualificazione); momenti particolarmente delicati e significativi per l’insegnante di lingua, soprattutto oggi, visto che la più recente normativa ha
introdotto i concetti di competenza e di valutazione delle competenze
nella pratica scolastica. Occorre modificare la prospettiva della valutazione e della certificazione. Ci occuperemo più avanti di tali risvolti.
Numerosi studi criticano l’eccessiva importanza accordata in ambito scolastico alla valutazione sommativa e ne smascherano il carattere fintamente
terminale. Osserva Guy Berger (1977, 13): “non esiste valutazione compiuta, ovvero reticolo di significati, che non possa essere completato e, proprio
per questo, privato della sua validità. La valutazione sommativa perciò è
poco più di una pia illusione, oppure è un modo per delimitare artificialmente un processo continuo. Ogni tipo di valutazione, in realtà, ha carattere
regolatore, e determina all’infinito delle decisioni che allo stesso tempo le
negano significato.”
Valutazione formativa (sistema di operazioni, capace di spiegare il perché
ed il come del processo di apprendimento, e capace di orientare lo sviluppo
successivo). Ha il compito di assicurare gli equilibri formativi e rendere possibile un adeguato orientamento. Si colloca durante l’apprendimento e si
configura come:
- oggettivazione dei criteri elaborati dall’insegnante, istituzione degli
indicatori proposte a chi apprende
- elaborazione e adattamento dei criteri per chi apprende e autovalutazione con l’iniziativa e sotto controllo dell’insegnante.
Secondo Margiotta (1999) valutare significa costruire. E per far questo è
indispensabile mettere in atto un certo numero di norme che vanno necessariamente dichiarate, non devono essere intangibili, bensì variare. Nell’ottica
formativa dell’apprendimento linguistico la valutazione va posta in collegamento privilegiato con alcuni obiettivi:
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- Comunicazione. Innanzitutto, la valutazione deve darsi come obiettivo
quello di comunicare. Si valuta per comunicare, in modo sintetico, un
giudizio di valori a qualcuno diverso da sé. Questo obiettivo implica
due aspetti: quello della comunicazione tra valutatore e valutato, basato essenzialmente sulla fiducia reciproca, e quello della comunicazione
tra valutatori che, sebbene meno complicata (di tipo intellettuale, implica la comprensione dello stesso codice) non sempre viene ben realizzata, spesso a causa della povertà del codice di mediazione. L’obiettivo di
comunicazione - prioritario per ciascun insegnante - si prospetta come
vera e propria emergenza per l’insegnante di lingua. Dal momento che
si opera con diversi tipi di attori (in ambito educativo, sono presenti
almeno tre/quattro diversi interlocutori: discente, docente, amministrazione e, a volte, genitori) è necessario conoscere in che modo il messaggio circola all’interno del gruppo di riferimento ed in che modo operare una traduzione in termini ed elementi sintattici differenti. Questo
procedimento a volte esige l’utilizzo di un mediatore in grado di comprendere entrambi i codici.
- Comprensione. Utilizziamo il termine “comprensione” in luogo di
“descrizione” nella consapevolezza che in ambito pedagogico molto di
rado ci si accontenta di descrivere una situazione, di affermare che uno
studente sa o non sa, può o non può, è o non è. La valutazione priva dell’obiettivo di comprensione del fenomeno è un meccanismo morto.
Un’esigenza di questo tipo impone la descrizione della situazione iniziale in modo diverso, analoga a quella di un pittore, che si pone di fronte ad una tela e lascia agire la propria sensibilità.
- Processo sociale. Qui il nostro modello di riferimento è l’osservazione
ecologica che è una narrazione attraverso un protocollo di osservazione
all’interno della quale hanno particolare rilievo il clima e l’igiene della
valutazione, la registrazione del contesto, cioè della organizzazione dell’ambiente, la frequenza e la durata dell’attività, la grandezza del gruppo, il rapporto numerico adulti/bambini, e la qualità e quantità dei
materiali disponibili. Non si osserva soltanto quello che fanno gli studenti, ma anche come e con quali interazioni con il contesto lo fanno,
in modo da avere un quadro totale di riferimento. Osservare è un processo, situato al di là della percezione, che non solo rende coscienti le
sensazioni, ma le organizza. L’osservazione, quindi, implica tutta una
serie di operazioni di sensibilizzazione e di focalizzazione dell’attenzione, di confronto, di giudizio, il tutto guidato da un’intenzione.
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L’osservazione è un processo intellettuale, spinto da disposizioni di ordine
cognitivo e affettivo allo stesso tempo.
- Autovalutazione nel processo d’autonomia dei soggetti conoscenti/
coscienti. Obiettivo raggiungibile tramite azioni di co-valutazione o
valutazione mediante consultazione. La caratteristica della valutazione
mediante consultazione è quella di seguire una negoziazione, una ricerca comune tra valutatore e valutato; si tratta di un incontro interpersonale, un dialogo dallo schema ben definito, e che unisce valutatore e
valutati nell’accertamento di una situazione o di prodotti di apprendimento a seguito di un’azione didattico-educativa o di formazione. Si
rende indispensabile l’esatta e puntuale definizione dell’obiettivo della
valutazione stessa, a beneficio del valutatore e del valutato. È anche
importante esprimere chiaramente le aspettative di ruolo, sia da una
parte che dall’altra, e precisare se la richiesta di accertamento proviene
dal valutato, dal valutatore, o di comune accordo.
- Modello sistemico inteso come prospettiva globale. L’osservazione sistematica è una metodologia rigorosa che porta alla produzione di una
documentazione utile sia ai fini autovalutativi (lo studente può accedervi e monitorare i propri progressi), sia come testimonianza del lavoro
svolto all’interno della scuola. L’oggetto dell’analisi è il comportamento
dei soggetti che apprendono osservato nello svolgimento delle attività
didattiche, la valutazione entra perciò nel processo di insegnamentoapprendimento, smette di essere la parte conclusiva del percorso didattico e si inserisce nella costruzione e nella applicazione degli interventi
formativi. La valutazione sistemica, che è quella che garantisce, meglio
di ogni altra, la convergenza delle diverse modalità di valutazione.
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4. insegnamento della lingua e valutazione: il quadro attuale e le
prospettive
Abbiamo fin qui sostenuto che le tecniche di misurazione e di valutazione non sono limitate alle prove orali, scritte e pratiche tradizionali. Il minimo indizio che aiuti un insegnante a comprendere meglio un allievo e che
aiuti l’allievo a capire meglio se stesso va considerato come valido. Quindi
bisogna sforzarsi di ottenere tutti gli indizi con tutti i mezzi appropriati, poiché la natura delle tecniche di misurazione e valutazione usate influiscono sul
modo di apprendere. Eppure ci sentiamo di rilevare l’aspetto limitato di queste pratiche nel settore linguistico, dove non mancano insegnanti che si limi187
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tano all’uso di testi e strutture monotoni e/o sorpassati, si affidano alle pratiche non chiare ed ormai abitudinarie della correzione dei compiti o dello
spoglio dei test ed alla conseguente redazione di banali osservazioni; la valutazione così diventa fine a se stessa e non è affatto critica.
Càpita non di rado, nelle attività d’apprendimento linguistico, che i diversi comportamenti pedagogici, quali l’assegnazione di voti, la classificazione,
l’orientamento, la selezione, la formazione, il controllo e la valutazione, vengano compressi all’interno di una sola attività.
Manca ancora, a nostro avviso, un uso consapevole degli strumenti valutativi dei processi linguistici, particolarmente nella prima fase, di raccolta
dati in preparazione della valutazione. La precisione della valutazione è
indubbiamente legata alla qualità degli strumenti di approccio - griglie di
osservazione, protocollo d’osservazione nel tempo, ecc. Manca però uno
strumento unico che consenta di avere una visione globale di tutte le sfaccettature. Si rende dunque necessario assumere l’atteggiamento mentale tipico di quando si fa un’analisi dei sistemi, e ricordare che il risultato che descrive le conoscenze ad un certo momento assume significato solo se completato da un risultato che descrive il comportamento.
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Quali strumenti dovrà preferire l’insegnante di italiano a stranieri?
Generalmente si tratta di strumenti riconducibili a due approcci: quello
quantitativo e quello qualitativo.
L’approccio quantitativo, teso a una misurazione stretta delle competenze
e delle abilità nonché dei comportamenti, usa prevalentemente strumenti
omogenei, quali:
1. Test standardizzati messi a punto da apposite équipe di esperti; consentono di classificare le prestazioni degli studenti rapportandole alla
norma, cioè alla prestazione media.
2. Prove oggettive costruite direttamente dagli insegnanti e mirate ad
accertare il raggiungimento degli obiettivi definiti nella progettazione
dell’intervento didattico.
3. L’osservazione sistematica e intenzionale dei comportamenti, effettuata sulla base di un preciso progetto di indagine e di schemi di riferimento per classificare i fenomeni osservati.
Questi strumenti danno comunque una visione frammentaria degli studenti, fatta attraverso indicatori di abilità, competenze e comportamenti. È
certamente utile conoscere e prendere in considerazione griglie, schede e
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ogni altro possibile strumento di verifica e documentazione, ma la valutazione deve poggiare su basi di realtà. Strumenti conosciuti e ritenuti validi dal
docente (o dal gruppo di docenti) che decide di usarli, possono offrire il
punto di partenza e di riferimento, essere un esempio, ma è necessario rielaborarli contestualizzandoli.
L’approccio qualitativo nasce dalla presa di coscienza della limitatezza del
pensiero umano, della sua impossibilità a descrivere e spiegare la realtà in
modo completo, e dalla considerazione che nel processo di osservazione,
descrizione e valutazione della realtà si inserisce anche il valutatore come
condizionante della valutazione. Strumento fondamentale dell’approccio
qualitativo è l’analisi dei prodotti, l’esame dei materiali verbali, grafici, plastici realizzati dagli studenti spontaneamente o a seguito di sollecitazioni, per
ricavarne informazioni sulle conoscenze, sulle capacità cognitive.
Nell’approccio qualitativo la valutazione si basa sull’interpretazione dei
risultati e sull’attribuzione ad essi di un significato.
Da quanto sostenuto sin qui, si evince con chiarezza un’indicazione privilegiata per l’insegnante di lingua: osservare per valutare.
Si tratta di definire il campo della nostra osservazione, i comportamenti
da osservare, e le operazioni che come educatori dobbiamo compiere nella
rilevazione dei dati e nella loro sistemazione e decodifica. In questo modo si
riducono gli interventi educativi affidati soltanto al caso, a favore di interventi realmente finalizzati, progettati ed efficaci rispetto alla situazione.
Qualsiasi osservazione richiede la realizzazione di tre fasi:
1. selezione della situazione che l’insegnante ritiene utile osservare (cosa
osservare?)
2. registrazione dei dati relativi alla situazione osservata (cosa ho osservato?)
3. decodifica del materiale e dei dati (cosa mi dicono i dati?)
Per comprendere le strutture linguistiche nei bambini della materna e
delle elementari esistono prove oggettive di lettura che consentono di verificare le capacità di comprensione di strutture linguistiche semplici e complesse. Gli obiettivi sono quelli di ottenere un livello di comprensione verbale del soggetto in esame, di identificare il tipo di strategia utilizzata nella
risoluzione del compito, di fornire dati normativi sull’evoluzione processuale del linguaggio, di ottenere una valutazione diagnostica attendibile e di
estrarre dai risultati le necessarie indicazioni operative.
I programmi didattici della scuola elementare italiana precisano che: “Il
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fanciullo deve saper leggere, cioè capire il significato di testi scritti a fini
diversi; deve saper ricercare e raccogliere informazioni da testi scritti; seguire la descrizione, il resoconto, il racconto e saperne cogliere l’essenziale;
[deve saper] leggere facili testi di tipo anche letterario, che attivino processi
interpretativi”. Cogliamo questi suggerimenti, validi anche nelle situazioni
d’acquisizione dell’extra-scuola e nell’acquisizione di una lingua straniera.
Può essere utile presentare in sintesi gli obiettivi di lettura e comprensione
che vengono messi a fuoco dai vari item delle prove oggettive.
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Obiettivi come capacità di…
- riconoscere un testo e un non testo (scorretto o privo di coerenza)
- riconoscere l’elemento centrale di un testo
- comprendere un breve testo narrativo
- ricostruire un testo
- trarre conclusioni
- operare inferenze
- comprendere un testo argomentativo
- comprendere un dialogo
- comprendere un testo regolativo
- riconoscere un testo e un non testo (scorretto o privo di coerenza)
- cercare nel testo le informazioni essenziali per sintetizzarlo
- riferire correttamente le informazioni individuando il referente testuale
degli aggettivi possessivi
- saper leggere un testo pubblicitario
- saper leggere un breve testo argomentativo (sotto forma di dialogo
- riconoscere il significato di parole in base al contesto
- saper leggere un testo regolativo
- trarre conclusioni
- operare inferenze.
5. La valutazione delle competenze
Secondo Pellerey, è stata la definizione stessa di “competenza” a determinare la crisi di tutti i tradizionali modelli di valutazione. E questo, perché,
per descrivere una competenza, è necessario riferirsi a:
1. la tipologia di situazioni per le quali essa fornisce una certa padronanza
2. le risorse che mobilita
3. gli schemi di pensiero che consentono di situarsi in situazioni com190
plesse e in tempi reali con tutte le proprie risorse.
Da ciò consegue la necessità di modificare anche la prospettiva assunta
nel contesto della valutazione e della certificazione. In ambito linguistico,
risulta, infatti, ben difficile l’impegno di documentare e certificare le competenze effettivamente acquisite, basandosi solo sui tradizionali modelli di
valutazione.
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Nell’ottica dell’evoluzione dal concetto di “modularità”, che si trasforma
in “modulazione” degli apprendimenti, si passa ora dalla competenza intesa
come prestazione – con la conseguenza di un’impostazione derivata da un
comportamentismo sommario, basata su una frammentazione esasperata
degli obiettivi e su una organizzazione, del pari frammentata, dello stesso
percorso formativo – alla competenza come mobilizzazione e orchestrazione di
risorse cognitive, affettive e operative interne secondo tipologie specifiche: non
è più possibile l’equazione: competenza = prestazione = comportamento;
come, d’altra parte, non è più accettabile l’altra equazione: compito = procedura esecutiva = algoritmo comportamentale. (Pellerey, 2000)
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Nel campo linguistico Chomsky, aveva già identificato la competenza
come disposizione interna astratta e distinto in maniera precisa tra prestazione e competenza, come riassume Bara: “Con il termine competenza intendo
l’insieme delle capacità astratte possedute da un sistema, indipendentemente da come tali capacità sono effettivamente utilizzate. Con il termine prestazione mi riferisco alle capacità effettivamente dimostrate da un sistema in
azione, desumibili direttamente dal suo comportamento in una specifica
situazione. La differenza è cruciale per discriminare cosa un sistema è in
grado di fare in linea di principio, da quello che effettivamente fa in una
situazione concreta” (Bara 1999, p. 239).
La concezione di competenza che deriva da questa impostazione considera, quindi, le diverse prestazioni che il soggetto è in grado di mostrare o
portare a termine in un ambito particolare del sapere, del saper fare, del
saper essere o del sapere stare insieme con gli altri, solo come indicatori di
competenza. Questa, per sua natura è invisibile, ma può essere individuata
attraverso una famiglia di prestazioni che permettano di inferirla presente nel
soggetto. Tale famiglia è tanto più vasta e differenziata, quanto la competenza appare più complessa e flessibile.
Seguendo questa impostazione, siamo in grado di identificare gli obiettivi di apprendimento essenziali per la valutazione linguistica:
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- Saperi (competenze relative ai contenuti linguistici).
- Abilità (competenze strumentali e abilità di esecuzione legati all’uso
della lingua italiana).
- Capacità trasversali (insieme completo dei saperi e delle abilità transdisciplinari utilizzate tramite l’esercizio della lingua italiana, per esempio:
informarsi).
- Saper essere (disposizione alla vita collettiva in relazione alla comunità
culturale di cui si studia la lingua, accettazione interculturale della
civiltà italiana, per esempio: partecipazione, ascolto, responsabilità,
cooperazione).
Benché vada specificato che le competenze non sono esse stesse dei saperi, dei saper fare o degli atteggiamenti, ma quelle che mobilitano, integrano,
orchestrano tali risorse in ogni situazione singolare, che può essere trattata
solo per analogia con altre già incontrate. L’esercizio della competenza passa
per operazioni mentali complesse, sottese da schemi di pensiero, quelli che
permettono di determinare (più o meno coscientemente e rapidamente) e di
realizzare (più o meno efficacemente) un’azione relativamente adattata alla
situazione. (Perrenoud)
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6. Come valutare lo sviluppo delle competenze: il Portfolio
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Per l’insegnante di lingua, appare funzionale alle esigenze sopra descritte
il metodo del portafoglio formativo progressivo. Sono i termini con i quali
Pellerey definisce una raccolta di documentazione sistematica attestante ciò
che lo studente sa, sa fare, sa essere o come sa stare con gli altri:
Prestazioni finali puntuali + strategie messe in opera + progressi compiuti.
Secondo l’autore, questo dispositivo favorisce una valutazione longitudinale comparativa realizzata sia da parte dell’insegnante sia dello studente,
mediante il confronto tra quanto manifestato all’inizio di un percorso formativo e quanto è stato via via evidenziato nel tempo. Con questo non solo
si permette un’autentica valutazione formativa, che aiuta il docente ad aggiustare il tiro sulla base dei risultati progressivamente conseguiti, ma anche
l’autovalutazione da parte dell’allievo e la collaborazione e la negoziazione
degli obiettivi da raggiungere tra insegnante e studente.
L’aggettivo “formativo” evidenzia il fatto che questo tipo di portfolio ha
finalità specifiche nell’ambito dei processi e delle situazioni di ordine educativo e formativo. Non solo, ma accentua anche il fatto che la sua valorizzazione si colloca nella corrente di pensiero che sottolinea nell’ambito delle
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pratiche valutative l’aspetto longitudinale: si mira, cioè, a seguire gli effetti
dei processi formativi nel loro svolgersi temporale dalla valutazione iniziale,
a quella continua, a quella finale o sommativa. Ciò è accentuato ulteriormente dal secondo aggettivo “progressivo”. Il portfolio così concepito ha
quindi un ruolo di documentazione o testimonianza dei progressi che il
discente compie verso l’acquisizione delle competenze intese dal programma
formativo.
Una valutazione autentica (portfolio) deve rispondere ad almeno quattro
esigenze:
a. avere a disposizione testimonianze provenienti da una molteplicità di
attività e di prestazioni;
b. sostenere e dirigere sia l’insegnamento che l’apprendimento in maniera più incisiva e motivata;
c. rispondere alle esigenze poste dagli obiettivi formativi espressi in termini di competenze;
d. fornire un quadro che permetta un’analisi e interpretazione sia di tipo
longitudinale, o progressiva, sia di tipo conclusivo, o sommativo.
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Il portafoglio formativo progressivo appare proprio come uno strumento
ideale per rispondere a queste esigenze. Si colloca senza dubbio in quest’ottica il portfolio, tutto italiano, di Luciano Mariani (Mariani L. (2002),
Portfolio. Strumenti per documentare cosa si impara e come si impara,
Bologna, Zanichelli). Se utilizzato per l’italiano lingua straniera, richiede un
livello almeno intermedio.
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Nel completare questo breve capitolo, nato senza pretese di esaustività,
siamo consapevoli di aver introdotto questioni di valutazione linguistica
destinate a rimanere aperte:
- Come affrontare la questione degli standard di apprendimento?
- Esiste il rischio di livellare tutto?
- E poi, ogni tipo di apprendimento è verificabile?
- Quali strumenti e criteri utilizzare?
- Come valutare competenze più complesse?
- E come affrontare il problema delle difficoltà di apprendimento linguistico?
- Inoltre, quali sono le modalità migliori di comunicare gli esiti della valutazione (schede, pagelle, profili, ecc.)?
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- Quali sono le esigenze in materia di valutazione del nuovo curricolo di
italiano come lingua straniera strutturato per “obiettivi formativi e competenze” e come si costruisce un sistema “interno” di valutazione del
curricolo?
- Infine, quali sono le esigenze dei sistemi scolastici in materia di nuove
certificazioni?
riferimenti bibliografici
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Capitolo 14
La riCerCa-aZione
Maria De Luchi
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Tutti gli insegnanti devono spesso confrontarsi con domande cui non
sanno dare una risposta, riguardanti contesti problematici di classi o di singoli studenti e sono costretti a cercare delle soluzioni da soli. In questo contesto, la Ricerca-azione può rivelarsi un’efficace modalità di indagine e di
lavoro che, avvalendosi della collaborazione dei soggetti coinvolti nel processo educativo, rende possibile la messa a fuoco del problema da risolvere,
la pianificazione razionale del piano di intervento che si andrà a realizzare in
classe e la successiva analisi degli esiti raggiunti.
In questo capitolo, illustreremo i principi base su cui si fonda la Ricercaazione e daremo alcune indicazioni relative al come organizzare un percorso
di questo tipo.
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1. La ricerca-azione e la “pratica riflessiva”
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La Ricerca-azione nasce come metodologia applicata alle scienze sociali
negli Stati Uniti degli anni ’40, ma è nell’ambito della ricerca didattica che
questo tipo di approccio ha trovato ampie possibilità di sviluppo, specialmente in ambiente britannico, statunitense ed australiano a partire dagli anni
’80 (Coonan 2000).
La Ricerca-azione per la sua stessa natura si presta in modo particolare ad
essere utilizzata in ambienti formativi per l’esplorazione di particolare ambiti d’interesse o per la soluzione di problemi pratici. Gli insegnanti sono,
infatti, quotidianamente chiamati ad assumere decisioni relative, ad esempio,
alle modalità di conduzione della lezione; devono rispondere ad esigenze
contestuali e non previste; spesso si trovano a gestire situazioni difficili di
vario genere. “L’insegnante è sempre in prima posizione, in trincea” (Pozzo,
Zappi 1993) e sembra non ci sia molto spazio per riflettere, né per verificare
se quanto realizzato corrisponda effettivamente a quanto programmato in
precedenza.
In questo contesto operativo così complesso, che richiede grandi capacità
di adattamento alle situazioni che via via si presentano, oltre a doti di intuizione e velocità di reazione agli innumerevoli stimoli provenienti dagli studenti e dall’ambiente, la Ricerca-azione offre l’opportunità di “riflettere, lon-
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tano dall’ondata dell’accadimento, e di rivisitare la propria routine e comportamenti in momenti di assenza di bisogno di soluzioni immediate: uno
spazio in cui ci si attrezzi per poter meglio far fronte all’urto dell’ondata
quando questa arriverà” (ibidem).
L’insegnante che deve gestire una classe molto vivace, oppure in cui gli
allievi hanno molta difficoltà ad esprimersi, si interrogherà innanzitutto sulla
propria pratica didattica, al fine di chiarire la natura del problema.
Presupposto essenziale per l’avvio di un percorso adeguato è, quindi, l’assunzione di un atteggiamento critico da parte del docente coinvolto. Nel suo
Training Foreign Language Teachers. A Reflective Approach, Michael Wallace
afferma che la pratica didattica è in grado di produrre crescita professionale
solo a condizione che diventi “pratica riflessiva”. Ciò significa che il docente,
rinunciando a comodi assunti dettati da conoscenze ed esperienze acquisite,
deve continuamente porsi domande sul cosa fare e perché, rendendosi
disponibile a mettersi in causa e ad analizzare con distacco il proprio operato; per evitare l’auto-referenzialità, tuttavia, non può che aprirsi al confronto con gli altri attori del processo educativo (colleghi ed allievi).
Nel caso in cui, ad esempio, si sia registrata una certa riluttanza da parte
degli studenti ad esprimersi in lingua italiana in classe, ci si chiederà innanzitutto quanto spazio-parlato il docente conceda agli studenti, oppure se
questi siano inibiti dal prevalere della lezione frontale; si potrà poi sondare
quanto la correzione dell’errore possa influire negativamente sulla produzione spontanea. Successivamente si considereranno le strategie utili a creare un
clima sereno di gruppo e si verificherà l’efficacia delle varie attività proposte.
L’insegnante avrà modo di riflettere in itinere sulle proprie convinzioni
profonde, sia di ordine pedagogico che didattico, mettendole, se necessario,
in discussione ed in ogni caso ponendosi in una posizione critica rispetto ad
idee precostituite e modalità di lavoro consolidate dall’esperienza, a volte
troppo rigide e schematizzate per poter produrre un cambiamento.
In tal modo la “pratica riflessiva” così avviata rende possibile per il
docente unire il “sapere acquisito” durante la propria formazione scolastica
e le varie forme di aggiornamento in servizio, al “sapere esperienziale”,
costruito giorno per giorno. Di conseguenza viene superata la dicotomia tra
quanto viene spesso percepito come astratto o, comunque, lontano dall’esperienza e le necessità concrete del lavoro quotidiano in classe.
La Ricerca-azione, meglio definita da Kemmis e McTaggart (1982), come
“idee-in-azione” vuole quindi gettare un ponte tra teoria e pratica didattica,
diventando allo stesso tempo un valido metodo di ricerca ed uno strumento
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utile alla crescita professionale (Wallace 1991; Nunan 1993). Vediamo ora
perché.
1.1. La Ricerca-azione è radicata nella pratica didattica
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1.2 Chi sono i ricercatori?
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Ciascun insegnante, specie dopo alcuni anni di esperienza, rifugge da teorie ed approcci astratti che, pur se validi od accattivanti, risultano lontani
dalla pratica didattica. La Ricerca-azione, invece, si occupa in modo specifico del “qui ed ora”. È un strumento esplorativo ed interpretativo che “consente ai ricercatori di accettare interpretazioni motivate dai dati anziché da
puri costrutti teorici” (Burns and Wood 1995).
I suoi effetti sono – e devono essere – di tipo pratico. Non esiste Ricerca
se questa non è in grado di tradursi in “Azione”, ossia in un piano di lavoro
ben strutturato da realizzare in classe, il cui svolgersi ed i cui effetti siano
chiaramente sottoposti al monitoraggio, all’analisi ed alla riflessione condivisa sugli esiti raggiunti.
Si tratta di un tipo di approccio “radicato all’interno di un reale contesto
sociale”, che può prendere in considerazione “i molteplici fattori che determinano le azioni, le interazioni e le relazioni interpersonali all’interno di contesti specifici”(Burns and Wood 1995) e ben si adatta, quindi, all’applicazione in ambito didattico. Grazie alla natura flessibile del processo di ricerca,
questo “è in grado di rispondere celermente a questioni emergenti di ordine
politico, sociale ed educativo” (ibidem).
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Nell’ambito della ricerca di tipo “tradizionale” i ricercatori sono esperti
della materia, ovvero studiosi che, sulla base di una determinata teoria, definiscono un problema di natura astratta, formulano un’ipotesi, attuano un
esperimento per verificare quell’ipotesi e ne traggono conseguenze che solitamente portano ad un cambiamento della teoria iniziale (Elliott in Scurati,
Zappi 1993). In ambito educativo, la ricerca può avvalersi della collaborazione di docenti ed alunni che forniscono dati utili alla verifica di una determinata ipotesi, poi sottoposta al vaglio dello studioso; ipotesi che, quindi,
nasce e si sviluppa all’esterno della realtà scolastica, ma che di questa si serve
soltanto come oggetto di ricerca e fonte di informazioni.
Come abbiamo visto in precedenza, la Ricerca-azione nasce invece dalla
necessità di risolvere uno specifico problema pratico all’interno della realtà
scolastica. In questo contesto, il docente della classe è il vero esperto in grado
di esplorare la natura del problema, progettare un piano di intervento, rea198
lizzarlo e valutarne gli esiti.
L’insegnante assume dunque il ruolo di “ricercatore” (Coonan 2000) e
diventa soggetto attivo del processo. Quale esperto professionista, abile nel
coniugare teoria e pratica didattica, può assumere decisioni operative in
grado di apportare dei cambiamenti efficaci, agendo in prima persona nella
propria classe; nel contempo, in quanto capace di “pratica riflessiva”, saprà
predisporre strumenti di osservazione utili al monitoraggio del processo in
corso, si renderà disponibile ad operare con colleghi e studenti in un’ottica
collaborativa e sarà in grado di analizzare i dati raccolti, riflettendo criticamente sul percorso realizzato.
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1.3 La dimensione collaborativa della Ricerca-azione
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Ogni insegnante pianifica il proprio intervento o ciclo di interventi sulla
base di una programmazione predeterminata, fissando gli obiettivi che vuole
raggiungere e scegliendo materiali ed attività utili al raggiungimento di tali
obiettivi. Nel corso della lezione sarà pronto a cogliere sia i segnali positivi
che negativi che gli studenti gli inviano e, a lezione conclusa, rifletterà sul
raggiungimento o meno di quanto stabilito. Si interrogherà su un problema
emerso o su un non ben identificato senso di disagio percepito in classe.
Durante la lezione successiva tenterà di risolvere il problema con le risorse a
sua disposizione. Questo processo è già un esempio di “pratica riflessiva”,
ma non rientra nell’ambito della Ricerca-azione per tre motivi essenziali:
a. il docente si affida a sensazioni di tipo soggettivo ed impressionistico
(gli studenti appaiono distratti, oppure poco interessati all’argomento
presentato);
b. il docente opera le sue deduzioni da solo; manca quindi il confronto
con studenti, colleghi, oppure docenti “osservatori” che permettano
di analizzare la situazione assumendo una pluralità di punti di vista;
c. l’analisi del problema e il tentativo di soluzione non sono conformi al
processo rigoroso di Ricerca Azione.
Di conseguenza la Ricerca-azione non va confusa con la normale prassi
quotidiana (Henry & Kemmis 1985), né con il problem solving, né con progetti di lavoro pianificati, condotti e valutati su base individuale. Al contrario, condizione irrinunciabile per l’ideazione e sviluppo di un progetto di
Ricerca-azione è l’adozione di una modalità di lavoro di tipo collaborativo
che preveda sempre, anche se in forme che possono variare da caso a caso,
la possibilità di raccogliere dati provenienti da fonti diverse (colleghi, docen199
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ti “osservatori”, studenti ed eventualmente esperti del campo, genitori,
Preside) e non riferibili unicamente al docente di classe. I dati verranno poi
posti in relazione tra loro ed analizzati in modo tale da fornire un quadro
“realistico e fedele” della situazione. La cosiddetta “triangolazione” delle
informazioni, raccolte da più punti di vista e tra loro correlate, caratterizza
l’intero piano d’azione, ossia la fase operativa da realizzare in classe.
In quest’ottica la Ricerca-azione non può che essere una modalità di lavoro di tipo cooperativo, improntata al dialogo ed al confronto con le persone
coinvolte a vari livelli nel percorso di insegnamento/apprendimento. Il processo non può essere condotto in forma occasionale, né si può basare sull’improvvisazione: esiste infatti un protocollo preciso che andiamo ad illustrare e le cui fasi vanno rispettate, pur nella specificità della situazione di
riferimento.
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2. Le fasi della ricerca-azione
RICOGNIZIONE
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La Ricerca Azione è un “processo di analisi sistematica” che consiste di
tre componenti essenziali:
a. una domanda, un problema, un’ipotesi di lavoro;
b. la raccolta dati;
c. l’analisi ed interpretazione dei dati (Nunan 1993).
Il percorso ha un andamento ciclico o “a spirale” ed è costituito da quattro fasi fondamentali, precedute da un momento di prima esplorazione, chiamato “ricognizione” ed è stato così schematizzato da Kemmis e McTaggart
(1982):
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1. PIANIFICARE
2. AGIRE
3. OSSERVARE-MONITORARE
4. RIFLETTERE-VALUTARE
Come evidenziato dal grafico, la quarta fase (“Riflettere-Valutare”) può
comportare l’esigenza di rivedere il piano generale. Una volta rivisto il piano,
riparte la spirale (Coonan 2000).
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La durata di un ciclo completo varia in base al “fuoco” prescelto, che può
concentrarsi sulla pratica didattica del docente (analisi del tempo-parlato,
modalità di correzione dell’errore, modalità di interazione con la classe),
sulle reazioni degli studenti (il loro livello di attenzione e motivazione, la partecipazione ai lavori di gruppo, numero e tipologia degli interventi), oppure
può riguardare l’organizzazione della lezione e la gestione delle sue varie fasi,
oppure la scelta ed utilizzo di materiali e strumenti di vario tipo.
Generalmente si consiglia di delimitare il fuoco della ricerca ad obiettivi
realisticamente perseguibili in un arco temporale ben delimitato.
Normalmente è necessario completare almeno tre o quattro cicli prima di
poter essere completamente soddisfatti dei miglioramenti apportati (Elliott
1991). Vediamo ora da vicino le varie fasi del percorso.
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2.1 La fase di ricognizione
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Contrariamente al tradizionale approccio di tipo ipotetico-deduttivo, tipico della ricerca tradizionale, ove “le teorie vengono prima validate in forma
autonoma e poi applicate alla pratica” (Elliott 1991), la Ricerca-azione parte
dall’identificazione di problemi pratici o di interrogativi che scaturiscono
dall’esperienza didattica concreta.
Spesso i docenti percepiscono un senso di disagio rispetto ad una determinata situazione. Possono rilevare, ad esempio, che gli studenti sono
annoiati e non partecipano alla discussione in classe. Problemi ed interrogativi danno origine a domande, che possono riguardare, ad esempio, l’ambito
metodologico-didattico (come docente, facilito la produzione e l’interazione
in lingua italiana da parte degli studenti? L’argomento scelto è interessante?
I materiali utilizzati sono motivanti? Il livello linguistico richiesto è adeguato?), oppure possono concentrarsi su aspetti sociologici e psicologici (il clima
generale è sereno e collaborativo? Quali dinamiche ci sono all’interno della
classe? Alcuni studenti appaiono isolati?).
Anziché partire quindi da un’ipotesi precostituita, il docente esplorerà
la situazione per meglio definire la natura del problema. In questo caso, ad
esempio, un questionario rivolto agli studenti potrà fornire indicazioni preziose sul grado di apprezzamento di attività e materiali proposti. Colloqui
individuali, a cura del docente di classe o di un collega, potranno eventualmente rilevare difficoltà a livello interpersonale o particolari carenze
linguistiche.
Dopo aver avviato questo processo di raccolta sistematica di dati sul
campo ed aver operato un’attenta riflessione, si formula un’ipotesi. Tale ipo201
tesi può confermare oppure rettificare il problema iniziale. Nel caso specifico presentato, il questionario ed i colloqui possono aver evidenziato l’imbarazzo di molti studenti ad esprimersi in pubblico, sia per scarsa consuetudine a questo tipo di attività, sia per timore di commettere errori ed essere di
conseguenza giudicati negativamente da docente e compagni.
2.2. Pianificare
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Il passo successivo dell’insegnante consisterà nel pianificare un progetto
di intervento che miri alla risoluzione del problema, oppure fornisca la risposta ad una domanda precisa (perché gli studenti si esprimono con difficoltà
in lingua italiana?); si stabiliranno, inoltre, le modalità di valutazione degli
effetti prodotti dall’intervento che si andrà a realizzare in classe. Il piano
generale d’azione prevede la definizione di:
a. Contenuti ed azioni finalizzati a migliorare l’azione
b. Tempi
c. Sequenze
d. Attori coinvolti
e. Scelta di strumenti utili alla raccolta dei dati
f. Scelta della modalità di analisi dei dati raccolti
I contenuti e la azioni sono direttamente correlati al problema da risolvere. Nel caso specifico, il docente potrà decidere di attivare lavori a coppie o di gruppo, onde favorire la libera espressione degli studenti. Avendo
rilevato la funzione inibitoria della correzione dell’errore, può chiedere ad
un collega di compiere un breve ciclo di osservazioni in classe, al fine di
monitorare il comportamento di docente ed alunni, relativamente a questo
punto.
Particolare attenzione verrà posta nella valutazione della gestibilità del
piano in termini di tempo e di persone coinvolte. Si considereranno realisticamente le risorse disponibili e se, ad esempio, risultasse difficile la disponibilità dell’osservatore d’aula, si potrebbe supplire con videoregistrazioni di
lezioni in classe, successivamente analizzate e commentate.
Si richiederà il consenso alla messa in atto del progetto a tutte le persone
coinvolte: il Dirigente scolastico, i colleghi del Consiglio di classe, gli studenti stessi ed eventualmente i genitori, nel caso in cui si renda necessario il
loro consenso ad effettuare videoregistrazioni di lezioni d’aula a studenti
minorenni.
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2.3 Agire
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In questa fase si realizzerà il piano d’azione in classe. Nel nostro caso,
questo includerà:
- il coinvolgimento della classe nel reperimento dei materiali di lavoro;
- l’attivazione del lavoro a coppie e di gruppo;
- un utilizzo limitato della correzione dell’errore da parte dell’insegnante.
Il docente attiverà lavori a coppie e di gruppo su argomenti di interesse,
coinvolgendo gli studenti nel reperimento di materiali utili alla discussione:
i piccoli, ad esempio, porteranno a scuola oggetti, immagini o fotografie,
mentre giovani ed adulti potranno utilizzare sezioni di riviste o materiale
web. Ciò dovrebbe aumentare il grado di coinvolgimento personale e la
motivazione. La comunicazione in gruppi ristretti, inoltre, potrebbe favorire
la libera espressione di chi si sente inibito dalla discussione in classe.
Un osservatore esterno registrerà le reazioni dei singoli, nel corso delle
varie attività, con annotazioni estemporanee, oppure completando un’apposita griglia (vedi paragrafo 3) mentre il docente fisserà le sue osservazioni con
brevi note sul campo, oppure rifletterà in modo più articolato sull’esperienza nel diario personale. Gli studenti potranno di quando in quando venire
interpellati in forme dirette o indirette sul processo in corso: la stesura di
semplici e sintetiche pagine di diario a conclusione delle varie fasi, successivamente condivise dalla classe o dal docente, fornirà indicazioni preziose
relative alla percezione da parte dell’utenza e permetterà l’individuazione di
eventuali difficoltà emerse. Le riflessioni individuali potrebbero seguire una
traccia predisposta, in cui si chiede al singolo di descrivere l’attività svolta,
esprimere l’indice di gradimento personale, evidenziare i problemi emersi e
prospettare una possibile soluzione. In tal modo, il processo di analisi e
riflessione coinvolgerà direttamente tutti gli studenti e li renderà soggetti
attivi e compartecipi del processo educativo.
Parallelamente, il docente potrà organizzare un percorso di riflessione
sulle proprie modalità di correzione dell’errore. Colloqui con colleghi, in
particolare con il docente osservatore, faranno emergere le convinzioni personali e profonde dei docenti su questioni di ordine metodologico-didattico.
La discussione porterà alla definizione degli obiettivi pratici da perseguire:
nel nostro caso, il docente limiterà drasticamente la correzione nel corso
della produzione orale, per non inibire l’allievo, aumentando nel contempo
il rinforzo di tipo positivo. Conseguentemente si individueranno gli strumenti di osservazione atti a monitorare il comportamento del docente, quali
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la registrazione audio e/o video di fasi di produzione orale e successiva analisi, oppure la registrazione della tipologia di feedback all’errore offerta dal
docente e registrata dall’osservatore su apposita scheda (vedi paragrafo 3).
Durante l’osservazione, in assenza di colleghi disponibili, si potranno coinvolgere degli studenti, se opportunamente motivati e responsabilizzati rispetto al progetto in corso. L’osservazione pone, tuttavia, dei problemi etici
riguardanti le persone coinvolte, dai quali non si può prescindere e che
vedremo insieme.
2.4 Osservare e monitorare
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È fondamentale richiedere il consenso di tutti i soggetti coinvolti, prima
di avviare un qualsiasi progetto di Ricerca-azione, assicurando loro il rispetto dei dati personali, specificando gli obiettivi della ricerca e precisando chiaramente le modalità di utilizzo dei dati emersi. Importante risulta in questo
contesto, ad esempio, la disponibilità espressa dai genitori di minorenni
all’utilizzo della telecamera in classe. La letteratura in materia (Burns 1999;
Hopkins 1985) consiglia la definizione concordata di un protocollo di intesa
tra i vari partecipanti al progetto.
Il rapporto con il docente osservatore deve essere ovviamente ispirato a
sentimenti di “empatia, rispetto, autenticità” (Burns 1999): la situazione
ideale vede due colleghi scambiarsi alternativamente i ruoli di “osservatore”
ed “osservato” all’interno delle rispettive classi per poi riflettere serenamente ed in un clima collaborativo sul processo attivato, sulle difficoltà emerse e
sugli esiti conseguiti.
La scelta degli strumenti di osservazione è determinata dall’ipotesi di
lavoro iniziale, dalle risorse materiali ed umane disponibili e dal tempo a
disposizione. Offriremo ora una breve panoramica delle varie modalità di
analisi e riflessione sui dati raccolti.
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2.5 Riflettere e valutare
La sequenza finale vede il docente riflettere sugli effetti prodotti dal percorso effettuato ed eventualmente progettare un ulteriore piano di intervento, dando così vita ad un procedimento ciclico o “a spirale” (Hopkins 1985).
Successivamente alla messa in atto del piano d’intervento ed al monitoraggio
dell’intero percorso, si valuteranno gli esiti conseguiti (gli studenti si esprimono con maggiore spontaneità in lingua italiana? È migliorato il clima di
classe? Il docente ha rivisto o corretto la sua modalità di correzione dell’errore?).
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Anche in questa fase, le considerazioni e riflessioni personali vanno confrontate con le osservazioni, spontanee o desunte dalle schede di osservazione, fornite dal collega “osservatore” e con il feedback ricevuto dagli allievi:
un questionario a loro rivolto consentirà, ad esempio, di operare un confronto tra la situazione di partenza e quella finale, mentre una discussione in
classe, oppure un’intervista ad un campione di studenti, evidenzierà il loro
grado di apprezzamento delle varie attività proposte. Si potranno così rilevare punti forti e deboli del piano d’azione realizzato, al fine di valutarne gli
esiti (ad es.: la classe è più partecipe, ma due studenti manifestano ancora
grosse difficoltà di comunicazione) e progettare successivamente una nuovo
ciclo di Ricerca-azione, orientato verso il recupero linguistico dei due allievi
problematici.
Come detto in precedenza, considerazioni e conclusioni cui perveniamo
durante le varie fasi della ricerca, trovano il loro fondamento nella riflessione condivisa su dati ben precisi, desunti da fonti diverse e posti a confronto.
I dati raccolti possono essere di tipo quantitativo e provenire, ad esempio, dal
numero di risposte chiuse fornite ad un questionario, oppure da tabelle,
schemi, griglie riassuntive; in tal caso essi potranno essere tradotti in cifre e/o
percentuali (ad es.: il 65% degli studenti teme la correzione dell’errore). Si
possono poi raccogliere informazioni mediante questionari a risposta aperta,
relazioni, lettura di diari: nel nostro caso si potrà così evidenziare, ad esempio, un certo disagio degli studenti durante le discussioni in classe, oppure
una percezione non sempre positiva del clima d’aula. Questi dati di tipo qualitativo non sono ovviamente quantificabili e diventano di conseguenza
oggetto di interpretazione da parte del ricercatore.
Va comunque precisato che la Ricerca-azione, per sua stessa natura, presuppone un’analisi di tipo qualitativo (Burns 1999); di conseguenza, anche
nel caso in cui si utilizzino dati numerici o percentuali, questi dovranno in
ultima istanza sempre e comunque essere interpretati. Non è quindi necessario seguire i criteri della consistenza numerica o statistica nella raccolta
delle informazioni, al fine di garantire la valenza “scientifica” del percorso
svolto.
Come già affermato, caratteristica essenziale della Ricerca-azione è l’essere un tipo di indagine legata ad un contesto specifico, generalmente relativo
alla propria classe; anzi, l’ambito definito e delimitato della ricerca garantiranno la profondità e specificità del processo e degli esiti che ne sortiranno.
Esiti che, seppur interessanti per tutti gli utenti, resteranno legati ad un particolare problema da risolvere: questo tipo di ricerca non mira, infatti, alla
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generalizzazione dei risultati raggiunti.
Il processo prevede addirittura che oggetto di analisi siano soltanto uno o
due studenti con particolari difficoltà e che si progetti un piano d’azione
rivolto principalmente a loro. Si tratta dei cosiddetti “studi di un caso”,
orientati alla soluzione di problemi molto specifici, ma che mantengono
ugualmente il loro valore “scientifico”(Wallace 1991).
Come assicurare, allora, la validità ed “oggettività” del lavoro svolto?
Burns (1999) e Hopkins (1985) affermano che la Ricerca-azione ha un proprio criterio di validità, che deriva dal rigore con cui viene svolto il piano d’azione, fondato sulla raccolta dati. Ciò che garantisce oggettività e spessore
scientifico ad un tipo di indagine qualitativa come questa è senza dubbio la
triangolazione, ossia l’analisi ed il confronto tra informazioni di origine
diversa.
Se, all’inizio del nostro percorso, il docente sentiva la necessità di intervenire in risposta ad una percezione soggettiva di disagio (scarso livello di
produzione ed interazione orale in lingua italiana), questi ha posto a confronto la sua percezione individuale in primo luogo con quella degli studenti (mediante il questionario) e successivamente con quanto osservato dal collega. In tal modo i dati raccolti e provenienti dai vari soggetti coinvolti sono
stati correlati ed hanno consentito la corretta messa a fuoco del problema.
Il monitoraggio del percorso attivato non si basa quindi su considerazioni
personali ed auto-referenziali espresse dal docente, ma si avvale del confronto costante con colleghi e studenti; ciò garantisce l’oggettività delle osservazioni effettuate ed assicura la valenza “scientifica” dell’intero processo.
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3. tecniche e metodi per la raccolta dei dati
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La raccolta dei dati costituisce un fattore di estrema importanza all’interno della ricerca: la scelta di metodi e tecniche utili a tale scopo è legata alle
finalità del piano generale, al “fuoco” dell’osservazione (il docente, la classe,
la lezione?), nonché alle risorse disponibili (docente osservatore, strumentazione audio o video). Gli strumenti di osservazione, in particolare, vanno
definiti di comune accordo tra docente di classe ed osservatore, che insieme
rifletteranno poi sulle informazioni raccolte. Cercheremo ora di delineare un
profilo delle tecniche utilizzabili, con riferimento alle varie fasi del ciclo di
Ricerca Azione sopra delineato.
Durante la fase di ricognizione, la stesura di un diario di bordo favorisce la
messa a fuoco della natura del problema. Si potrà giustamente obiettare che
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tale attività richiede tempo e pazienza, ma la registrazione attenta del vissuto in classe stimola il distacco critico e la riflessione personale, resa ancor più
efficace dalla lettura diacronica di pagine relative, ad esempio, ad attività che
coprono un arco di tempo abbastanza lungo. Più agili risultano in tal senso
le note di campo, brevi annotazioni del docente colte “in tempo reale” ed in
seguito formalizzate attraverso l’utilizzo di promemoria analitici; questi ultimi consentiranno al docente ed all’osservatore di fare il punto sulla situazione, registrando i dati raccolti e le riflessioni condivise, e di predisporre così
il piano d’azione.
Questionari aperti o chiusi rivolti agli alunni e al docente “osservatore”
ed orientati sul possibile “fuoco dell’osservazione” (es.: le attività di produzione ed interazione in lingua italiana normalmente svolte e quelle che si vorrebbero invece introdotte in classe), consentiranno di effettuare una prima
indagine conoscitiva a diversi livelli.
Durante le fasi successive si potranno utilizzare le seguenti modalità di
raccolta dati, qui brevemente delineate e tratte da Elliott (1991, in Pozzo,
Zappi 1993):
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- Diari del docente e degli studenti;
- Interviste, aperte o su traccia, ad alcuni studenti, a cura del docente o
dell’osservatore. L’intervista all’osservatore può fornire la lettura della
situazione da una prospettiva diversa;
- Analisi dei documenti scolastici (verbali, prove di verifica, schede di
lavoro);
- Il profilo di una persona, di una situazione o di una lezione, che offre un
quadro riassuntivo e valutativo nel tempo. Il profilo di lezione, ad esempio, può basarsi sul fattore temporale (time based), qualora si decida di
descrivere un situazione ad intervalli di tempo regolari, ossia ogni 5 o
10 minuti, oppure sul fattore esperienziale (event based) quando si
voglia annotare un avvenimento ogni qualvolta esso si verifichi (Coonan
2000). Si riporta, a titolo esemplificativo, un esempio di “profilo di
lezione”, adattato da Pozzo, Zappi 1993:
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Guida la
discussione
di classe
Fornisce
chiarimenti
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Lavorano a coppie Riportano gli esiti
Eseguono la
del lavoro svolto
consegna
Discutono esiti
del lavoro e lo
annotano nei
quaderni
Registratore
Quaderni, penne,
Fotocopie
lavagna
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Risorse
Dà la consegna
relativa all’attività
di ascolto analitica
distribuisce foglio
con domande di
comprensione
Fa riascoltare la
registrazione
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Allievi
15 minuti
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Presenta l’attività
di ascolto
Dà istruzioni alla
classe
Ascolto di
un’intervista
registrata
Pone domande di
comprensione
globale alla classe
Rispondono
Ascoltano le
alle sollecitazioni istruzioni
del docente
Rispondono alle
domande di
comprensione
globale
Lavagna, penne, Lavagna
quaderni
Registratore
20 minuti
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15 minuti
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Durata della
10 minuti
fase di lezione
Docente
Saluta la classe
Richiama i punti
nodali della
lezione
precedente
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- Testimonianze fotografiche, utili, ad esempio, a cogliere aspetti quali la
distribuzione degli alunni in classe, la posizione dell’insegnante, l’atteggiamento e la postura degli studenti durante le varie fasi della lezione,
oppure durante il lavoro di gruppo. Ci si può avvalere dell’aiuto di un
osservatore esterno;
- Registrazioni audio e/o video e successiva trascrizione di eventi significativi. L’analisi a posteriori, meglio se condivisa con l’osservatore, fornirà, ad esempio, segmenti autentici di produzione orale, nel caso della
registrazione audio; il video offrirà, invece, una panoramica globale
della lezione e renderà possibile la precisa lettura di tratti significativi
che l’osservazione in tempo reale non rende possibile.
- Questionari con domande aperte, che lasciano spazio alla libera espressione dei destinatari, ma richiedono uno sforzo interpretativo da parte
del ricercatore, oppure chiuse, dagli esiti quantificabili e comparabili
tra loro, pur se modulate sulla volontà ed interesse del ricercatore;
- Inventari, ovvero elenchi di enunciati riguardanti una determinata
situazione, ove i destinatari possono esprimere il loro accordo in base a
categorie predeterminate, quali “pienamente d’accordo – d’accordo –
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parzialmente d’accordo – in disaccordo – in disaccordo totale” (Pozzo,
Zappi 1993);
- Le schede di osservazione, di cui si offre un esempio, tratto da Wajnryb
1992 e relativo alla tipologia di feedback all’errore degli studenti:
TIPO DI OPERAZIONE
VERBALIZZAZIONE
SUPPORTO
TIPOLOGIA DI
SUPPLEMENTARE
FEEDBACK DATO:
NON VERBALE
POSITIVO,
(VISIVO, GESTUALE, ECC.)
DI INCORAGGIAMENTO
NEGATIVO, CRITICO
(+)
(-)
DOMANDA
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DEL DOCENTE
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RIPOSTA
DELLO STUDENTE
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FEEDBACK
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DEL DOCENTE
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RISPOSTA
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DELLO STUDENTE
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AL FEEDBACK
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Le schede di osservazione possono essere di vario genere e natura (cfr.
Burns 1999, Hopkins 1985, Wajnryb1992 per una trattazione completa). Per
ognuna di loro, che può essere liberamente creata dal docente, è necessario
stabilire l’obiettivo (la lezione, i materiali, le abilità, ecc.), l’oggetto dell’osservazione (docente, classe, singoli studenti), gli attori coinvolti, tempi e criteri
di osservazione, nonché le modalità di analisi delle informazioni raccolte.
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3. La pubblicizzazione degli esiti della ricerca
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Secondo Ebbutt (1985) l’intero processo “può legittimamente essere considerato “ricerca” solo a condizione che i partecipanti siano disponibili a
documentarlo mediante la stesura di relazioni scritte sulle loro attività”.
La pubblicizzazione degli esiti della ricerca, infatti, rende possibile la condivisione dell’esperienza in un’ottica collaborativa e stimola il confronto critico e costruttivo (Hopkins 1985). Essa può assumere modalità diverse
(come la relazione orale per conferenze e seminari, il documento scritto, la
presentazione su supporto video, ecc.) in base ai destinatari prescelti, quali
colleghi, genitori degli alunni, istituzioni, università, lettori di riviste scolastiche (Coonan 2000).
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riferimenti bibliografici
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Capitolo 15
La LetteratUra neLLa CLasse di LingUa
Giovanna Pelizza
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Il ruolo e l’importanza della letteratura nella classe di lingua hanno seguito le sorti dei vari approcci e delle diverse scelte metodologiche che si sono
susseguite negli anni in ambito glottodidattico. Per quanto riguarda l’Italia si
può affermare che le fortune della letteratura, legate soprattutto al metodo
formalistico o «grammaticale-traduttivo», sono andate scemando a partire
dagli anni ’70, periodo in cui è andato gradualmente affermandosi l’approccio comunicativo. Occorre però sottolineare la particolare situazione che si è
venuta a delineare nel nostro Paese in cui i due approcci hanno convissuto
per anni fino ad oggi dando vita a scelte, sia programmatiche che operative,
contraddittorie (cfr. Lavinio 1990). Ciò è dovuto soprattutto a due fattori. Il
primo riguarda la forte presenza, ancora oggi, di un approccio di tipo formalistico alla base della formazione universitaria della maggioranza degli
insegnanti di lingue e lettere, approccio che questi tendono ad applicare, pur
innestandolo o affiancandolo ad approcci più comunicativi. Il secondo fattore, non slegato dal primo, riguarda lo statuto stesso della letteratura alla
quale si continua ad assegnare un ruolo formativo importante, pur se ridimensionato, all’interno del curricolo linguistico.
A questa situazione in ambito educativo e didattico si aggiunge il problema del ruolo sempre più incerto della letteratura nella società odierna. Infatti
il consumo di letteratura, almeno nella sua accezione di produzione scritta
colta, ciò che comunemente si definisce letteratura canonica, è drasticamente diminuito fino a diventare patrimonio quasi esclusivo della scuola (cfr.
Ceserani 1999).
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1. Letteratura e complessità
1.1 Letteratura e società
È stato più volte sottolineato un crescente disagio nei confronti della fruizione di letteratura, quantomeno di quella definita canonica (cfr. Bloom
1996). Le colpe di questo stato di cose vengono attribuite talora allo strapotere dei nuovi media quali migliori catalizzatori di interesse rispetto alla letteratura; talora invece è la scuola stessa che viene additata come deterrente
alla lettura; in altri casi ancora si sottolinea come la lettura con i suoi ritmi
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lenti e individuali sia diventata una pratica che difficilmente si sposa con le
modalità della società complessa in cui prevale l’immediatezza del qui e ora
(cfr. Bloom 2000); mentre non si può fare a meno di rilevare lo scollamento
tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e le competenze apparentemente specialistiche che richiederebbe la lettura, osservando come i tempi
sempre più ridotti a disposizione delle varie agenzie formative richiedano
modalità flessibili e la formazione di competenze più urgenti e direttamente
spendibili nella pratica professionale.
La letteratura intesa come piacere e risposta al bisogno di immaginario
trova oggi la sua nuova forma di fruizione nei grandi mezzi di comunicazione, soprattutto la televisione e il cinema. (cfr. Armellini 1987). Infatti i grandi temi che in passato sono stati di esclusivo appannaggio della letteratura
sono gli stessi che oggi ritroviamo nelle trame cinematografiche e soprattutto in tutte le forme di intrattenimento televisivo, per non parlare poi delle
nuove forme multimediali e telematiche che la letteratura intesa come luogo
dell’immaginario starebbe assumendo. Da questo punto di vista la letteratura si troverebbe solo ad aver cambiato forme e strumenti di fruizione e quindi sarebbe quantomeno poco realistico non fare i conti con questi profondi
cambiamenti.
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1.2 Lingua, letteratura e società complessa
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Nell’ambito di una società complessa come quella attuale il compito della
glottodidattica non è più quello di offrire modelli statici e universali di
apprendimento linguistico, bensì quello di fornire a tutti strumenti e modalità cognitive e linguistiche per comunicare e intendersi all’interno di comunità che non sono più solo quelle dei singoli stati nazionali ma sono sempre
più spesso comunità elettive e culturali nel senso più ampio del termine.
Nondimeno si pone il problema di mettere a disposizione di tutti, indipendentemente dalla comunità di appartenenza, delle «grammatiche» di base
trasferibili sulle quali ogni individuo, sia all’interno che all’esterno di un contesto educativo, possa costruire nuove competenze e abilità, scoprire e sfruttare capacità che gli sono proprie, in un percorso che vada verso una sempre
maggiore autonomia nell’apprendimento e nel giudizio senza i quali è impensabile qualunque crescita sia umana che intellettuale.
Se oggi il processo di apprendimento/insegnamento è focalizzato non più
sulla lingua come prodotto, bensì sulla lingua come processo comunicativo,
espressivo e cognitivo occorre anche essere consapevoli di come questo processo debba essere tradotto e reinterpretato in curricoli che non possono
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essere né onnicomprensivi, né totalizzanti. Il riconoscimento delle particolarità di un testo letterario come caratteristiche strutturali e stilistiche può essere condotto su testi che non appartengono necessariamente al canone tradizionale. Nello stesso modo se l’obiettivo è quello di formare il senso critico,
un approccio semiotico applicato ai diversi media, dalla televisione al cinema, ai videoclip musicali, ai fumetti, ai videogiochi, permette di arrivare agli
stessi obiettivi con il vantaggio di usare materiali e mezzi di fruizione che
sono molto più vicini alle esperienze e ai gusti degli studenti (cfr. Fabbri
1998). In questo modo è possibile ottenere più facilmente l’abbassamento di
tutti i filtri affettivi e aumentare notevolmente la motivazione.
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2. Letteratura e glottodidattica
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2.1 Letteratura e linguistica
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Anche se recentemente la glottodidattica e la didattica della letteratura
cominciano a vedere nella semiotica e negli studi culturali degli interlocutori
importanti per ridisegnare il ruolo della letteratura in campo educativo, esiste
tuttora una grande difficoltà da parte loro a sottrarsi a una pesante influenza
della linguistica tradizionale che vede la letteratura in termini di devianza
dalla norma e di predominio delle funzione poetica. La letteratura viene considerata così un supplemento necessario a una conoscenza completa delle
modalità della lingua. Ma se, come avviene sempre più spesso, si riconosce
che la funzione poetica non è monopolio esclusivo della letteratura e che il
testo letterario non può essere considerato come devianza da una norma i cui
confini sono sempre più difficili da riconoscere, l’insegnamento della letteratura deve trovare una diversa giustificazione che ne metta in rilievo l’importanza educativa e formativa in termini di sviluppo del senso critico, di capacità di formulare giudizi e quindi di saper scegliere qualitativamente come
soddisfare piaceri e bisogni che sono propri di ogni essere umano. La letteratura viene così recuperata come educazione del lettore comune attraverso il
piacere della lettura, evasione nelle vicende di un buon romanzo, immedesimazione con le avventure umane narrate, unite all’apprezzamento formale di
una trama ben costruita o di dialoghi particolarmente brillanti. La letteratura
è inoltre uno strumento utile a far emergere bisogni non immediatamente percepibili connessi a problematiche comuni a tutti gli esseri umani come la comprensione della vita, delle sue dinamiche affettive, di potere e di giustizia che
sono anche i grandi temi della letteratura.
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2.2 Letteratura e scienze psicologiche
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Il ruolo fondamentale che le varie scienze psicologiche sono venute assumendo, nella definizione stessa e nelle modalità operative proprie della glottodidattica, ha letteralmente rivoluzionato il tradizionale rapporto privilegiato tra disciplina e insegnante riportando al centro del processo di apprendimento lo studente. L’attenzione alle caratteristiche cognitive e affettive di
ogni studente all’interno dell’azione didattica deve quindi costituire non solo
il punto di arrivo, ma essere alla base di ogni programmazione e accompagnare tutto il processo educativo la cui meta finale è l’autonomia stessa di
ogni individuo.
È per questi motivi che l’attenzione agli aspetti cognitivi e affettivi che
sono in gioco nel processo di apprendimento non può limitarsi esclusivamente a una delle fasi del lavoro sul testo letterario. Molto spesso infatti si fa
appello all’affettività dello studente solo in riferimento alla motivazione iniziale nei riguardi di un brano letterario, oppure riguardo il fine pratico di
alcune attività in cui gli studenti sono chiamati a operare attraverso il brano
letterario senza che gli obiettivi specifici legati a questo siano del tutti chiari.
In tutte queste situazioni, il richiamo all’affettività rischia spesso di ridursi a
una pratica fine a stessa se lo studente non è reso partecipe e consapevole
degli obiettivi specifici che si vogliono raggiungere. Lo stesso scollamento tra
la motivazione e le attività ad essa collegate si verifica spesso anche tra le abilità e le strategie cognitive che si mettono in moto attraverso il lavoro sul
testo e le sue finalità. In mancanza di un radicamento nel testo letterario delle
abilità e strategie in gioco c’è il rischio che gli studenti diano importanza solo
a ciò che si fa sul testo e non a cosa il testo stesso invita a fare.
L’attenzione focalizzata esclusivamente sulla funzione referenziale del
testo letterario (scelto cioè per la pregnanza tematica dell’argomento) rischia
di essere percepita come la sola attenzione possibile nei confronti di un testo
soprattutto nel caso in cui le attività a essa collegate siano incentrate sulla
discussione, lo scambio di opinioni, la negoziazione di significati già dati,
percepiti quindi come il contenuto che il testo ha già in sé. D’altra parte
usare il testo letterario esclusivamente come una palestra per esercitare abilità linguistiche o per ricercare elementi di pregnanza socio-culturale significa ridurre notevolmente le sue risorse soprattutto quando si hanno a disposizione tipologie testuali ben più adatte a questi scopi e che presentano un
numero molto minore di difficoltà morfo-lessicali, strutturali e discorsive.
Anche nel caso in cui si voglia richiamare l’attenzione degli studenti su
aspetti più specifici del testo letterario si può incorrere nell’errore opposto. La
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densità formale e contenutistica, spesso in complessa interazione reciproca, le
caratteristiche testuali e culturali finiscono per richiedere la messa in campo
di tali e tante strategie e abilità che spesso il testo letterario rischia di esserne
sommerso fino a perdere qualunque funzione comunicativa percepibile.
Il pericolo è che le abilità e le strategie cognitive messe in campo finiscano per diventare fini a se stesse, per essere percepite in termini di quantità e
non come elementi costitutivi di ogni individualità in un rapporto privilegiato con il testo letterario. Mentre i termini qualitativi, cosa avviene e come si
interagisce davanti a un testo letterario, finiscono per essere tarati esclusivamente sulla produzione pratica con il prevalere del qui e ora della lingua
della comunicazione di tutti i giorni in cui tutti i significati sembrano già dati.
Se è pur vero che molte delle tecniche di analisi del testo letterario sono le
stesse della lettura di testi non letterari, nondimeno occorre sensibilizzare e
far riflettere gli studenti sul processo stesso e sugli obiettivi che si intendono
raggiungere.
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3. Una letteratura per ogni studente
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A prescindere dal tipo di programma o curricolo propri delle diverse istituzioni formative, se l’educazione letteraria deve entrare di diritto a far parte
di ogni percorso formativo in coabitazione, più o meno pacifica, con l’educazione linguistica, è d’obbligo però fare due precisazioni. La prima riguarda la sua funzione di completamento di un percorso linguistico in cui non
può mancare anche una semplice infarinatura, una esemplificazione di ciò
che si può fare con la lingua, di ciò che gli scrittori, ma anche i cantanti e i
pubblicitari riescono a creare. La seconda, ma ancora più importante, è che
l’insegnamento della letteratura si deve regolare non tanto sul supposto interesse o disinteresse degli studenti, ma in base all’età.
Per quanto riguarda i bambini che nelle scuole elementari affrontano una
lingua straniera il loro incontro con la letteratura, o meglio con alcuni aspetti della letterarietà (cfr. Chines-Varotti 2001), non possono essere che indiretti e solo propedeutici. La maggior parte del lavoro verrà svolto con l’insegnante della lingua materna. In ogni caso è possibile sfruttare la propensione dei bambini a giocare con i suoni e le parole della lingua straniera per sottolineare concetti quali la rima e il ritmo anche attraverso la memorizzazione
di conte e filastrocche molto semplici delle quali non è necessario conoscere
il significato di ogni singola parola, bensì concentrarsi sull’effetto divertente,
giocoso ed evocativo di suoni e parole particolari. Inoltre l’ascolto di semplici narrazioni fatte dall’insegnante a commento di immagini raffiguranti
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una favola conosciuta o eventi relativi alla storia della classe o di qualche
bambino, possono costituire una buona base di partenza per affrontare nei
cicli superiori narrazioni più complesse di prima mano.
Durante l’adolescenza l’avvicinamento alla letteratura in lingua straniera
dovrebbe procedere su due coordinate. Da un lato dovrebbe inserirsi in un
percorso che preveda il graduale isolamento delle varianti presenti nella lingua parlata della comunicazione per soffermarsi maggiormente su quelle che
si ritroveranno poi anche nei testi scritti e in quelli letterari. Dall’altro attraverso l’affinamento delle abilità generali di lettura e di scrittura il testo letterario, inteso anche e soprattutto nell’accezione più ampia a cui si è fatto riferimento, dovrebbe costituire un esempio o una tappa utile verso la formazione del senso critico e, nella migliore delle ipotesi, promuovere il piacere
di leggere.
Gli adulti costituiscono un pubblico variegato dalle esigenze diverse che
è mosso da motivazioni spesso disparate. L’italiano come lingua straniera
può costituire solo un mezzo per migliorare l’accesso a informazioni riguardanti il tempo libero e gli interessi personali (sport, moda, musica, cinema,
arte, letteratura, ecc), oppure uno strumento di lavoro. È soprattutto per
questo tipo di utenti che leggere la letteratura italiana, anche nel senso classico del termine, può costituire uno degli obiettivi che li porta a scegliere un
corso di lingua e cultura italiane. In questo caso la motivazione non costituisce un problema, semmai ciò di cui hanno bisogno sono modalità e tecniche,
abilità e strategie di lettura che vanno a innestarsi su quelle già possedute
nella lingua madre o che vanno ad ampliarle e/o modificarle notevolmente.
Ognuno di questi studenti si porta dietro un bagaglio culturale e spesso
anche didattico, derivante dalle precedenti esperienze di apprendimento di
una lingua straniera, su cui è possibile lavorare (cfr. Balboni 2002).
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4. Un modello comune
Alla luce di queste premesse occorre prendere atto di come le possibili
interpretazioni didattiche implicate vadano tutte nella direzione di una forte
interdisciplinarità che vedrebbe la letteratura indagata e scissa nelle sue
varie componenti da discorsi linguistici, storici, culturali, semiotici e filosofici. Se è vero che la didattica della letteratura non è una branca specializzata della glottodidattica, si tratta nondimeno di approfondire quali strumenti della glottodidattica possano essere utili per affrontare correttamente il testo letterario.
Un primo sguardo alla didattica della lingua obbliga a un confronto con
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uno dei suoi obiettivi primari: la creazione della competenza comunicativa.
L’approccio comunicativo, se inteso in modo riduttivo, non riesce a fornire
strumenti adatti per una pratica didattica che basi il suo modello operativo su
un continuum linguistico che va dalla lingua comune alla lingua letteraria, senza
ricadere nella trappola, sempre incombente, di un banale comunicativismo.
Paradossalmente è come se l’incontro con la letteratura obbligasse a un
ripensamento della definizione stessa di lingua. Affermando che la lingua
serve per comunicare e che rappresenta nello stesso tempo lo strumento privilegiato del pensiero, se ne enfatizza soprattutto l’aspetto veicolare e funzionale, considerando quindi la lingua in sé come una forma vuota all’interno della quale vengono, di volta in volta, inscritti dei significati che la precedono. Lo scambio di messaggi che avviene tramite la lingua è invece un’operazione complessa che riassume in sé tutta una serie di varianti e fattori che
interagiscono all’interno dell’evento comunicativo dando vita a significati
che non sono dati a priori. A questo proposito basta ricordare l’analisi dettagliata fornitaci da Hymes per definire il contesto in cui avviene la comunicazione e che è riassunta nell’acronimo SPEAKING. Tenendo nel dovuto conto
tutte le variabili che contribuiscono a creare l’evento comunicativo non è difficile osservare come gli scopi e i bisogni della comunicazione informino la
lingua e siano parte costitutiva della sua struttura. In quest’ottica il significato non è qualcosa di aggiunto a un sistema linguistico indipendente già dotato di una sua forma precisa, quanto piuttosto la forza motivante del sistema.
Ciò porterebbe a una concezione dell’evento comunicativo, non tanto come
una lista di usi linguistici o un’interazione di fattori indipendenti l’uno dall’altro, quanto come un resoconto dei concetti filosofici, psicologici e morali che sono incorporati nella lingua che usiamo (cfr. Fish 1980). Quindi se il
contesto o l’evento comunicativo è impensabile senza l’interagire delle
varianti così bene individuate da Hymes, nondimeno non ci sarebbe evento
comunicativo al di fuori di quei significati che sono dati dalla presenza di
esseri umani nell’interazione. I contenuti, i giudizi e le relazioni, lungi dall’essere proprietà di un contesto extralinguistico con cui una struttura di
rumori arbitrari interagisce, sono invece il frutto dell’interazione dell’uomo
con gli altri e con l’ambiente.
4.1 La competenza comunicativa: i rapporti tra lingua, contesto e significato
Alla base di ogni approccio comunicativo all’insegnamento e all’apprendimento di una lingua c’è il concetto di competenza comunicativa. Si tratta
di un concetto molto ampio che include al suo interno diversi tipi di compe217
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tenze (linguistica, socio-pragmatica, culturale) dalla cui interazione si sviluppa quella macro-competenza che si definisce «comunicativa». Partendo da
una definizione di lingua come forma vuota, come semplice strumento di
comunicazione ed espressione in cui vengono inscritti a posteriori dei significati, è sin troppo facile scoprire che le intenzioni comunicative rimangono
invariate all’interno dell’interazione, come invariate rimangono le operazioni
cognitive e le componenti affettive ed emotive dei partecipanti. Nessun evento comunicativo è qualcosa di già dato, di già esistente, ma è appunto qualcosa che avviene, producendo un cambiamento nella realtà, o meglio creando la realtà stessa. Non si tratta quindi di percepire la realtà e di incasellarla
in schemi mentali preesistenti, bensì di osservare come l’uso della lingua
all’interno di un evento comunicativo contribuisca a creare e a operare dei
cambiamenti nel contesto, nell’uso della lingua stessa e nei parlanti.
Prestando maggior attenzione a tutte le variabili che determinano l’evento
comunicativo si contribuirà anche a creare la consapevolezza di come la lingua agisce ed è agita nella comunicazione.
Un approccio comunicativo fondato principalmente sul parlare e l’ascoltare non può dunque prescindere dalla ricerca dei livelli multipli della comprensione del contesto attraverso il dialogo e la discussione con gli studenti
di questi aspetti. Quindi se le attività comunicative non devono solo servire
per produrre comunicazione ma anche per operare dei cambiamenti nei partecipanti e arricchire il bagaglio di conoscenze, modalità cognitive e strategie
di acquisizione, occorre cercare e indagare insieme modalità per variare
esplicitamente tutti i parametri del contesto in cui avviene l’interazione e
vedere come ogni variazione nel contesto possa portare in primo piano variazioni di significato nel testo. Non è difficile osservare come un simile approccio alla comunicazione di tutti i giorni costituisca una pratica propedeutica
indispensabile all’incontro con il testo letterario, alla sua comprensione,
interpretazione e valutazione.
5. scrittura, lettura e letteratura
5.1 La scrittura tra continuità e particolarità
Nella pratica didattica odierna non si impara semplicemente a scrivere,
bensì si apprende a redigere testi in lingua scritta attraverso dinamiche e procedimenti simili, per molti versi, a quelli della lingua parlata. Si imparano a
scrivere e a leggere testi per scopi comunicativi: fax, testi informativi, artico-
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li di giornale, saggi, ecc.
Attraverso la comunicazione scritta è più facile far rilevare il processo di
costruzione e interpretazione dei significati già presente nella comunicazione orale. Infatti la lingua scritta significa sia di più che di meno di quello che
dice e la lingua letteraria aggiunge una dimensione di particolarità. In questo
modo è possibile mettere a fuoco la particolarità (della lingua, della struttura, dei significati, ecc.), analizzando il testo secondo una prospettiva di intersoggettività, di dialogo e di differenza culturale. L’attenzione si va così gradatamente allontanando dal solo livello contenutistico e referenziale per
focalizzarsi maggiormente sui modi in cui lo scritto prende forma.
Partendo dalla sostanziale continuità tra lingua orale e lingua scritta
occorre sviluppare un confronto tra le differenti tipologie testuali: da quelle
più vicine all’oralità a quelle più tipiche della lingua scritta. Chi scrive dà
forma al medium linguistico, struttura la propria esperienza scegliendo strutture grammaticali e lessico così da portare il lettore a condividere il mondo
che egli ha creato. Inoltre attraverso il processo di negoziazione di significato tra il testo e il lettore quest’ultimo è chiamato a collaborare alla creazione
del testo partecipando a una relazione intersoggettiva in cui viene sollecitata
una sua risposta personale. Per capire i testi, i lettori si rifanno a esperienze
e conoscenze precedenti, fanno anticipazioni di significato ricorrendo alla
propria expectancy grammar e costruiscono il significato del testo attraverso
il bagaglio di conoscenze condivise del mondo, fanno cioè riferimento alla
propria enciclopedia mentale.
La pratica della scrittura confrontata con la comunicazione orale in cui
tutto può sembrare automatico sotto la pressione del qui e ora, sottolinea
maggiormente la presenza del mezzo e la sua funzione di dare forma e significato a ciò che si scrive. Una semplice attività come quella di chiedere agli
studenti di scrivere una frase che descriva la stessa azione che tutti vedono
(l’insegnante o un compagno che compiono un certo gesto) permette di mettere a confronto molte versioni dello stesso fatto. Chi scrive, descrivendo l’evento in un certo modo lo ricrea e obbliga i lettori a vederlo dal suo punto
di vista. Accade così che la realtà dell’evento condiviso venga assoggettata e
subordinata al linguaggio attraverso il filtro soggettivo.
Chi scrive stabilisce e crea una realtà da condividere con chi legge dando
forma alla propria esperienza attraverso la struttura grammaticale e la scelta
del lessico. Analizzando queste scelte strettamente linguistiche è possibile un
confronto iniziale tra ciò che viene detto e le modalità utilizzate per esprimerlo, per poi osservare come questo rapporto contribuisca a ridefinirne il
contenuto.
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5.2 Individuare il rapporto tra testo e lettore: la negoziazione del significato
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I testi letterari invitano i propri lettori a entrare nel mondo dello scrittore facendo così appello a una risposta soggettiva del lettore. Se da una parte
esiste un testo materiale uguale per tutti, dall’altra ogni singolo atto di lettura dà vita a un testo diverso, infatti il testo cambia attraverso il dialogo con
ognuno dei suoi lettori. Non è possibile descrivere un testo prescindendo
dall’incontro con un determinato lettore: se il testo originale è unico, ci sono
però tante versioni del testo quanti sono i lettori.
Ai primi stadi di apprendimento della lingua solitamente viene incoraggiata una lettura in cui l’attenzione dello studente si focalizza principalmente su quello che rimarrà dopo la lettura. Questo tipo di lettura, in cui il lettore è concentrato su quello che porterà via, è stato anche definito «lettura
efferente», dal latino efferre «portare via». Si tratta di un’abilità essenziale per
la comprensione delle notizie riportate da un giornale, per comprendere tutti
i tipi di istruzioni, per consultare guide turistiche, ecc.
Al contrario, in quella che si definisce «lettura estetica» l’attenzione del
lettore è focalizzata su quello che succede durante l’evento della lettura. In
una lettura estetica l’attenzione del lettore si concentra su quello che sta
vivendo e sperimentando durante la sua interazione con un testo nel tentativo di comprendere e condividere l’esperienza di un’altra persona che deve
essere ricostruita e ricreata attraverso la mediazione della parola scritta.
In ogni caso queste due modalità devono essere entrambe viste come
dimensioni del dialogo che si instaura tra testo e lettore, tenendo conto che
uno stesso testo può essere letto sia in modo efferente che estetico.
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5.3 Individuare il rapporto tra il testo e le conoscenze del mondo
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Per capire i testi i lettori si rifanno a esperienze e conoscenze precedenti.
La ricerca portata avanti in questo campo sia in ambito glottodidattico che
in quello delle scienze cognitive ha sottolineato il ruolo fondamentale sia dell’expectancy grammar che dell’enciclopedia mentale (vedi Balboni in questo
volume). Questi fattori, attraverso l’attivazione di schemi, script (copioni)
mentali, rendono possibile anticipare le informazioni e metterle in relazione
alle conoscenze pregresse, riconoscendo quindi il senso globale del testo che
si legge (cfr. Levorato 2000).
Trascurare il contesto socioculturale della produzione del testo e dei contesti culturali e personali dei lettori può portare a fraintendere l’argomento,
il tono, il genere o l’intento del testo, i suoi diversi livelli di significato. Nella
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5.4 Individuare le esperienze testuali precedenti
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pratica didattica può essere quindi più proficuo non tanto domandarsi quali
e quante informazioni devono essere date agli studenti, bensì concentrarsi
sulla loro qualità. Di solito quando si affronta la letteratura si tende a fornire agli studenti informazioni riguardo la conoscenza retorica e formale necessaria ad apprezzare l’abilità dello scrittore, informazioni sul periodo storico,
sull’autore, sul genere e sulla logica interna della narrazione. Oppure si tende
a fornire informazioni contestuali referenziali rispetto al contenuto, al tema
e al valore sociale e culturale del testo. Ciò su cui si dovrebbe focalizzare l’attenzione dovrebbe essere il rapporto tra il contesto culturale e il contesto
interattivo che si viene a creare tra testo e lettore. In questo modo gli studenti
possono confrontarsi con le interpretazioni del testo da parte dei lettori di
madrelingua, e cogliere come la loro esperienza personale di lettori stranieri
possa contribuire alla comprensione dell’esperienza trasmessa dal narratore.
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Un contributo importante alla comprensione e al dialogo con il testo letterario può essere fornito anche dall’esperienza precedente degli studenti
come lettori, dalle storie lette o raccontate dai genitori durante l’infanzia ai
testi letterari e non, letti nel corso della propria esistenza. Queste esperienze
influenzano il modo in cui la parola scritta viene compresa e integrata nelle
conoscenze presenti del lettore. Ognuno ha in sé modalità di lettura derivate dall’educazione generale, dalle diverse sensibilità culturali e dalle informazioni precedenti. Queste modalità hanno contribuito a creare gli stili
cognitivi di ognuno con cui interagiscono durante l’atto della lettura.
Occorre quindi tenere conto e utilizzare tutti i diversi stili e modalità cognitive facendoli interagire reciprocamente, in modo da facilitare l’approccio
degli studenti a stili diversi dai propri.
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5.5 Individuare i silenzi del testo
La lettura estetica permette di focalizzarsi maggiormente su ciò che è
lasciato in ombra nel testo, il suo non detto. Nel testo letterario ogni parola è
stata scelta a spese di altre che sono state escluse. Capire i silenzi è la cosa più
difficile per uno studente straniero perché la decisione dell’autore di lasciare
determinate cose nel non detto si basa sulla sua fiducia nella capacità dei lettori di leggere tra le righe. È necessario che l’insegnante sottolinei e valorizzi
i momenti di discrepanza tra le interpretazioni del lettore nativo e quelle del
lettore straniero per consentire un confronto tra la prospettiva di un lettore
particolare e le risposte di altri lettori in altri tempi e in altre circostanze.
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6. il testo letterario
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Una della maggiori difficoltà per gli studenti di lingua nei confronti dei
testi scritti consiste nello scarto tra una tipologia testuale più legata al parlato, e una più letteraria. Poiché chi scrive attua delle scelte che non sono sempre facilmente prevedibili, occorre rendere consapevoli gli studenti che la
specificità e la singolarità possono essere apprezzate attraverso un’interazione tra loro e il testo, aiutandoli quindi a trasformare le abilità orali sviluppate in precedenza per esprimere significati generali in abilità per esprimere
significati particolari. I testi letterari nella classe di lingua costituiscono una
risorsa importante grazie alla speciale dote che ha la letteratura di rappresentare la voce particolare dello scrittore tra le tante della propria comunità
e in questo modo di fare appello all’individualità del lettore. Il lettore viene
sollecitato dalla particolarità della voce dello scrittore a ricercare e sviluppare la propria voce personale all’interno della comunità straniera. In questo
senso i testi letterari offrono quindi maggiori opportunità per una negoziazione dialettica del significato attraverso la focalizzazione delle differenze.
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6.1 La scelta dei testi
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Piuttosto che scegliere un testo in base a un interesse tematico e alla semplicità linguistica l’insegnante può considerare altri criteri, cioè se il testo si
presta maggiormente a una «lettura efferente» o a una lettura estetica, se la
struttura narrativa sia o no prevedibile, se le allusioni culturali siano conosciute ai lettori stranieri, se i silenzi del testo siano comprensibili ai lettori
stranieri. Una struttura narrativa lineare su un tema famigliare, i cui silenzi
siano facili da riempire permette una risposta più immediata da parte di un
lettore straniero, ma può anche risultare ingannevole e produrre negli studenti una «lettura efferente». Un livello linguistico semplice può presentare
una narrazione sofisticata con cui gli studenti non hanno famigliarità ma può
far nascere un interesse di carattere estetico.
Prima di usare un testo per la classe l’insegnante dovrebbe esaminare le
proprie reazioni al testo, che cosa gli è piaciuto, che cosa lo ha colpito in
positivo e in negativo. È importante sviluppare una risposta personale nella
comprensione dell’esperienza comunicata dal testo. Occorre domandarsi
quale esperienza umana o tema il testo esprima al di là del contenuto direttamente parafrasabile.
L’insegnante cercherà quegli aspetti testuali che veicolano l’argomento
del testo. Questo aspetto è essenziale per evitare che la discussione in classe
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si perda in considerazioni generiche che hanno poco a che fare con il testo.
L’insegnante sceglierà non più di due punti nodali del testo da svolgere in
classe durante una sessione di lavoro. Questi punti devono essere pertinenti
sia a livello della storia che a livello del discorso. Occorre liberarsi dall’illusione di dover affrontare un testo in tutte le caratteristiche sia formali che
contenutistiche, potranno esserci altre occasioni e soprattutto altri testi.
L’insegnante deve anche decidere prima quale forma dare al lavoro in classe
per affrontare i punti su cui ha deciso di focalizzare l’attenzione. Il confronto tra questi punti e le varie attività che fanno parte del repertorio didattico
la aiuterà nella scelta del tipo migliore di interazione: discussione in plenum,
domande individuali, role-play, lavoro di gruppo, lavoro a coppie, ecc.
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6.2 Attività propedeutiche alla lettura
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Queste attività possono essere svolte in classe o a casa. Ogni insegnante
può strutturare la sequenza delle attività nell’ordine che meglio si adatta agli
obiettivi che si è prefissato. Può essere utile spiegare alla classe la differenza
tra una lettura diretta a raccogliere informazioni e una lettura che enfatizzi l’esperienza di leggere. L’insegnante deve sempre spiegare agli studenti che cosa
si aspetta esattamente quando dà loro un testo da leggere a casa, se si tratta di
un lavoro di comprensione a livello lessicale e strutturale per andare alla ricerca dell’argomento del testo oppure se si tratta di una comprensione a livello
della storia, dell’intreccio e quindi si tratta di ricercare il perché degli avvenimenti che accadono e delle azioni hanno luogo. Attraverso domande personalizzate, attività scritte, o la presentazione di altri testi simili può essere utile
sensibilizzare gli studenti all’esperienza tematizzata nel testo. Si possono quindi estrapolare dal testo concetti chiave da discutere insieme. Occorre inoltre
che le aspettative dello studente siano attivate in modo da comprendere la storia. Pur senza indulgere troppo con la terminologia della critica letteraria è
utile che gli studenti sappiano di che si tratta: una satira, una tragedia, una
commedia, un racconto, un brano di un romanzo.
In ogni caso, sia che il testo sia affrontato in un’unica sessione o in più
incontri almeno il primo paragrafo va comunque riletto insieme in classe
(dall’insegnante, dagli studenti, ad alta voce o singolarmente in silenzio).
Dopo che la sintassi e il lessico sono stati chiariti, l’insegnante rilegge il brano
ad alta voce fermandosi dopo ogni frase incoraggiando i singoli studenti a
intervenire con possibili associazioni, commenti, domande, ecc.
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6.4 Analizzare la storia e il discorso
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In ogni testo letterario il dialogo tra il lettore e il testo si orienta su due
livelli: quello della storia e quello della struttura del discorso, della sua narrazione. Esistono diversi modi per attivare il processo cognitivo durante la
lettura e rendere il testo significativo per gli studenti: formulare domande,
stabilire connessioni logiche e analogiche, selezionare/scartare informazioni,
raggruppare, organizzare/riorganizzare fatti e eventi, generalizzare, mettere
in ordine di importanza, esplorare le conseguenze di azioni, generare alternative, prevedere risultati; valutare, raccogliere fatti (linguistici e referenziali), raccogliere le idee su progetti e intenzioni e mettere entrambi in relazione all’esperienza personale dei lettori.
Per illustrare il modo in cui il medium dà forma al significato può essere
utile tradurre il testo in un medium cinetico, visivo o in un altro linguaggio.
È possibile chiedere di disegnare la copertina del libro in modo da catturare
il tema del romanzo. Gli studenti, nel giustificare le loro scelte dei motivi,
colori, forme e collocazioni spaziali si troveranno nella stessa situazione dell’autore quando ha scelto determinate parole, frasi, immagini, ecc. La stessa
attività può essere fatta chiedendo agli studenti di esprimere il tema del testo
attraverso l’uso di altre tipologie testuali. Un altro modo per mettere in luce
il valore delle scelte dell’autore consiste nel confrontare il testo con la traduzione in un’altra lingua.
Chiedere agli studenti di ricomporre, ricostruire il testo in altra forma
spesso aiuta a vedere in modo più chiaro come il punto di vista scelto dall’autore influenzi la comprensione della storia. Uno studente all’inizio della
lezione può riassumere oralmente il testo che ha letto a casa. Alcuni studenti alla lavagna devono scrivere con parole loro il riassunto del compagno,
possibilmente aggiungendo elementi che mancano o contestandone possibili fraintendimenti. Poi la classe in plenum analizza e confronta i vari riassunti. Riscrivere la storia dal punto di vista di un altro personaggio è il modo
migliore per diversificare i contesti di realtà degli studenti. Molte di queste
attività sono perfettamente conosciute in glottodidattica ma sono spesso portate avanti come esercizi puramente linguistici con lo scopo di far praticare
strutture linguistiche di base nel modo più accurato possibile. Qui sono invece usate per sollecitare una riflessione consapevole sul valore della sequenza
degli eventi; per esempio si può chiedere di confrontare gli effetti sul lettore
di quello che hanno scritto gli studenti con gli effetti del testo originale.
Per sensibilizzare gli studenti alla nozione di pubblico gli si può chiedere
di scrivere conclusioni diverse della stessa narrazione per pubblici diversi.
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Per apprezzare il processo di costruzione di schemi che ha luogo durante la
lettura gli studenti dovrebbero essere in grado di confrontare i loro schemi
mentali con le aspettative che avevano in precedenza e con le aspettative che
il testo costruisce attraverso la sua struttura. Fornire un testo di cui manca la
conclusione e chiedere agli studenti di scriverla può rappresentare un’occasione per paragonare la loro logica con quella che il testo li invita a sviluppare. Alla fine è possibile raccogliere tutti i finali sullo stesso foglio, incluso
il finale originale, e discutere sulle differenze considerando i vari effetti sul
lettore e anche l’influenza che questi possono avere sul significato generale
del testo.
Per aiutare gli studenti a identificare le varie voci del testo sono stati avanzati diversi suggerimenti, alcuni suggeriscono la sceneggiatura di testi originariamente non pensati per questo scopo. Il principio è semplice: in piccoli
gruppi gli studenti devono decidere chi darà voce a quali parole o gruppi di
parole del testo mentre il gruppo legge ad alta voce. Separare le voci senza
cambiare nulla nel testo promuove la riflessione sui processi interpretativi e
compositivi del testo. Decidere se alcuni parti devono essere lette da determinati personaggi piuttosto che da altri permette di distinguere tra le voci dei
fatti, le voci delle speculazioni, le voci del presente, le voci del passato, ecc.
Un’altra alternativa può essere quella di far sentire le voci più silenziose.
Mettere in scena una conferenza stampa in cui uno studente assume la parte
del narratore, o un dibattito tra due narratori, può dare visibilità alla prospettiva onnisciente del testo e portarla al centro dell’attenzione, rendendola così più facilmente analizzabile.
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Capitolo 16
La didattiCa deLLe miCroLingUe
Paola Begotti
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Il numero crescente di studenti stranieri che decidono di imparare la lingua italiana all’estero come LS, induce gli insegnanti a differenziare maggiormente l’offerta, proponendo, sempre più frequentemente, corsi di
microlingua.
Il presente capitolo intende porre l’attenzione sulla microlingua come
varietà linguistica e sulle sue peculiarità: nella prima parte ne verrà data una
definizione, successivamente verranno illustrate le caratteristiche testuali e
morfosintattiche che la rendono micro rispetto alla lingua comune, infine
nella terza parte verranno sottolineati alcuni aspetti della didattica della
microlingua, in particolar modo quelli scientifico-professionali.
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1. Una definizione di microlingua
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Tutti i testi di glottodidattica sull’argomento prendono in esame la questione terminologica, sulla quale non vi è tuttora uniformità tra gli studiosi.
Freddi nella sua introduzione al volume di Balboni1, definisce la microlingua una parte della macrolingua, intendendo con tale termine la lingua
quotidiana usata dalla gente comune, che si arricchisce di continuo di apporti che provengono dalle microlingue stesse.
Per capire bene il significato di microlingua è necessario quindi contrapporre questo concetto a quello di lingua standard. Infatti, la lingua comune
veicola una visione approssimativa del mondo ed in essa, ad esempio, le
parole di uso quotidiano hanno un significato polisemico allo scopo di rendere “generica”, e quindi interpretabile in vari modi, la lingua.
La lingua scientifica, invece, manifesta esattamente l’opposto: la realtà
scientifica richiede un linguaggio esatto, che possa riprodurre una comunicazione non ambigua tra coloro che coltivano quella scienza, in quanto la
precisione e l’esattezza metalinguistica sono indispensabili per tendere alla
verità delle cose.
Le microlingue sono pertanto le voci delle scienze, delle tecnologie e di
altre aree di specializzazione.
Tra le definizioni più significative, infatti, ricordiamo: “lingue speciali”
1
Balboni P.E. (2000), Le microlingue scientifico-professionali, Torino, Utet.
227
proposta da Berruto2 nel 1987, il quale poneva l’accento sull’aspetto diafasico, sul contesto extralinguistico e sull’argomento; “linguaggi specialistici” di
Gotti3 nel 1991, il quale predilige definire l’uso che gli specialisti fanno del
linguaggio nel proprio ambito professionale; la suddivisione proposta da
Sobrero4 nel 1993 tra “lingue specialistiche”, ovvero altamente specializzate,
e “lingue settoriali”, più afferenti all’ambito professionale. Infine Balboni5
nel 2000 ha proposto il termine “microlingue scientifico-professionali” per
delimitare ulteriormente il campo di lavoro.
1.1 Le finalità delle microlingue
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Ciò che può consentire l’individuazione di una microlingua è lo scopo ed
i principali scopi per cui si usa una microlingua sono due:
a. la massima chiarezza, la comunicazione non ambigua: si utilizza la
microlingua per ridurre al massimo e, se possibile, eliminare completamente ogni ambiguità dalla comunicazione, ma, se impiegata al di
fuori del contesto in cui si è sviluppata oppure con non esperti o iniziati, la microlingua può avere esattamente l’effetto contrario, vale a
dire rendere la comunicazione assai complessa e, in certi casi, persino
impenetrabile;
b. il riconoscimento reciproco tra appartenenti dello stesso gruppo scientifico-professionale o sociale.
È fondamentale quindi, da parte degli appartenenti ad un determinato
gruppo settoriale, la conoscenza delle strutture concettuali della disciplina,
ma è ulteriormente importante anche la conoscenza delle convenzioni culturali e linguistiche peculiari. La lingua, infatti, non è fatta solo di regole grammaticali, ma sono altrettanto fondamentali gli aspetti extralinguistici: l’uso
comunicativo del corpo, ad esempio può influire sulla comunicazione (una
testa che annuisce, espressioni del volto, lo sguardo, ecc.).
Acquisire una competenza comunicativa di microlingua significa quindi
Berruto G. (1987), Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, Nuova Italia Scientifica.
Gotti M. (1991), I linguaggi specialistici, Firenze, La Nuova Italia.
4
Sobrero, A. (cur.) (1993), Introduzione all’italiano contemporaneo. (Le strutture. La variazione e gli
usi), Bari, Laterza.
5
Balboni P.E. (2000), Le microlingue scientifico professionali, Torino, Utet: “[...] useremo microlingue
scientifico-professionali per riferirci alle «microlingue (prodotte cioè dalla selezione all’interno di tutte le
componenti della competenza comunicativa in una lingua) usate nei settori scientifici (ricerca, università)
e professionali (dall’operaio all’ingegnere, dall’infermiere al medico, dalla studente di liceo al critico
letterario) con gli scopi di comunicare nella maniera meno ambigua possibile e di essere riconosciuti come
appartenenti ad un settore scientifico o professionale” (pag. 9).
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sapere la lingua (competenza linguistica ed extralinguistica), ma anche saper
fare lingua (padronanza dei processi cognitivi) e saper fare con la lingua (competenza socio-pragmatica).
Per quanto riguarda le abilità utilizzate nelle microlingue, il “saper fare
lingua”, esse si differenziano secondo le varie professioni: se per un cameriere è fondamentale saper scrivere sotto dettatura e prendere appunti, quest’abilità è sicuramente meno importante per un architetto o un avvocato.
Nella dimensione pragmatica della microlingua, il “saper fare con la lingua”– ossia il sapere di che cosa parlare, con chi, come e quando – sono privilegiate funzioni diverse a seconda degli ambiti, ma in generale prevalgono la
funzione referenziale, quelle regolativo-strumentale e metalinguistica, mentre
risulta quasi inesistente la funzione poetico-immaginativa o personale.
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2. Caratteristiche formali delle microlingue
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Le microlingue presentano delle peculiarità che vanno ben oltre la caratterizzazione lessicale su cui a lungo si è concentrato lo studio dei linguaggi
settoriali.
Il lessico microlinguistico è sicuramente l’elemento più fortemente marcato di ciascun linguaggio settoriale, ma non è l’unico. Le microlingue, infatti, possono presentare anche fenomeni linguistici di tipo testuale, sia di genere sia di struttura, di tipo morfologico e sintattico.
Tali caratteristiche si differenziano secondo l’ambito settoriale, perciò una
microlingua di tipo scientifico può presentare generi testuali e caratteristiche
morfosintattiche ben diverse da una microlingua, ad esempio, del turismo.
Ad esempio in ambito scientifico gli specialisti del settore, allo scopo di
essere il più possibile chiari e precisi, devono necessariamente condensare in
poche parole concetti che nel linguaggio comune richiederebbero lunghi
discorsi.
Le microlingue scientifiche e tecniche, pertanto, condividono alcune
caratteristiche generali dei linguaggi specialistici, caratteristiche che, traendo
spunto da un elenco approntato da Hoffmann6, possono schematizzarsi in:
- esattezza, in questo settore, infatti, è fondamentale la precisione, non è
possibile ad esempio relazionare un esperimento scientifico con termini
poco corretti (fa eccezione l’ambito legale, dove si usano termini spesso
ambigui, offrendo un pretesto per un’interpretazione soggettiva);
6
Hoffmann L. (1984), “Seven Roads to LSP”, in Special Language-Fachsprache, VI, 1-2, pag. 28-38.
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- oggettività, la scienza e la tecnica richiedono testi formulati in modo
obiettivo, tralasciando interpretazioni o commenti personali e soggettivi;
- generalizzazione, la microlingua deve essere facilmente comprensibile
da quanti fanno parte del settore, perciò devono diffondere e divulgare
i concetti teorici con i relativi termini microlinguistici, ad esempio termini generati con prefissi e suffissi greci o latini i quali rendono internazionali i termini: nel campo della medicina, termini come “ipertiroidismo” viene facilmente e velocemente diffuso tra gli addetti ai lavori;
- densità di informazione, le microlingue scientifiche e tecniche devono
condensare molti concetti in poche righe, perciò si utilizzano generi
testuali particolari, si pensi all’abstract, oppure termini generati dalla
fusione di altri due, ad esempio “informatica”, unione di “informazione” e “automatica”;
- brevità;
- neutralità emotiva;
- mancanza di ambiguità, ossia la monoreferenzialità dei termini: ogni
parola deve indicare un unico strumento, oggetto, concetto, non deve
presentare sinonimi;
- impersonalità, soprattutto per le microlingue scientifiche viene posta
l’attenzione sul fenomeno (nel caso di un esperimento) o della scoperta, annullando la personalità del ricercatore;
- coerenza logica, fattore intrinseco alla scienza ed alla tecnica;
- uso di simboli, acronimi e figure, che riprendono i concetti di densità
concettuale, brevità e mancanza di ambiguità.
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2.1 Aspetti testuali delle microlingue
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Studiare gli aspetti testuali della microlingua significa analizzare il genere
e la forma retorica che la microlingua assume quando è usata in ambito specialistico.
Un testo microlinguistico ben redatto rende chiara sia la sua coerenza, sia
la sua struttura concettuale, e ciò serve per aiutare il lettore a comprendere
le informazioni, a dargli la possibilità di scoprire il disegno concettuale su cui
si basa e di recuperare le conoscenze prerequisite.
I generi testuali rappresentano le forme di realizzazione dei vari tipi di
testo e si differenziano notevolmente nelle varie microlingue a tal punto che
alcuni di essi sono diventati peculiari di un’unica microlingua: ad esempio la
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recensione è il genere testuale tipico della critica letteraria o cinematografica.
Ci sono generi che sono specifici del settore scientifico-professionale
come ad esempio l’abstract o il saggio, altri invece tipici della microlingua del
commercio o del turismo, come ad esempio la lettera commerciale o il curriculum vitae.
Le regole che sottendono a tali generi testuali sono molto più standardizzate e rigide rispetto a quelle appartenenti alla lingua comune, normalmente
non vengono accettate varianti e se i testi non sono stati redatti in quella
determinata struttura, non vengono ritenuti sufficientemente scientifici dalla
comunità degli specialisti.
Sono stati condotti molti studi sulla strutturazione dei testi microlinguistici, e, come Balboni7 ha evidenziato, lo specialista segue un percorso che
appone parti tematiche a parti rematiche, esponendo un argomento (tema) e
commentandolo successivamente (rema), apportando in questa seconda fase
un contributo al concetto espresso nella prima parte e garantendo coerenza
e coesione al testo stesso.
È interessante osservare, inoltre, che questi testi presentano generalmente una struttura gerarchica delle informazioni, struttura che spesso viene evidenziata anche graficamente suddividendo in paragrafi e sottoparagrafi, e
utilizzano maggiormente una struttura paratattica piuttosto che ipotattica, e
ciò al fine di arrivare alla densità d’informazioni ricercata e per dotare il testo
di una maggiore forza coesiva.
Un curriculum vitae, ad esempio, redatto allo scopo di trovare un posto
di lavoro, deve obbligatoriamente essere composto, dal punto di vista delle
informazioni da fornire, in modo gerarchico, perciò s’inizia dai dati anagrafici, per proseguire con informazioni sulla formazione culturale e professionale e finire con notizie sui propri interessi che possono risultare utili,
ma non indispensabili. In un testo orale invece (come una conferenza, una
conversazione, ecc.) ci possono essere supporti sia di tipo visivo che metacomunicativo.
Tale caratteristica di gerarchizzazione e distribuzione delle informazioni è
strettamente legata alla cultura di chi produce il testo stesso: esemplificativa
a tal fine è la lettera commerciale, la quale segue una composizione rigida, ma
gli elementi costituenti variano da cultura a cultura (può variare la posizione
della data, del destinatario o del mittente). Tuttavia complessivamente
mostra elementi condivisi a livello internazionale: in tutto il mondo viene
7
Balboni P.E. (2000), Le microlingue scientifico-professionali. Natura e insegnamento. Torino, Utet
Libreria, pag. 38.
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redatta utilizzando analoghe parti di apertura (data, indirizzi destinatario e
mittente, numero di protocollo, formule di apertura rigide), formulando una
parte centrale con la richiesta commerciale, i termini di consegna e pagamento, oppure di informazioni o lamentele, e concludendo con una parte
finale contenente le formule di chiusura rigide e talvolta obsolete e i saluti.
Se poi prendiamo in considerazione i contratti di tipo notarile e legale,
è interessante notare come la strutturazione testuale sia talmente rigida e
ripetitiva, che si è giunti a predisporre moduli standard con appositi spazi
bianchi in cui inserire successivamente i dati personali dei contraenti e le
clausole particolari, e ciò è indice di una struttura testuale poco incline alle
evoluzioni.
È da osservare, tuttavia, che non è soltanto la disposizione grafica delle
informazioni che può rendere trasparente il disegno semantico alla base del
testo stesso.
Tutti i dispositivi di coesione tipici dei testi microlinguistici, come, ad
esempio, gli indicatori metacomunicativi oppure le locuzioni di carattere
temporale (“pertanto”, “se”, “allora”, “quindi”, “dunque”, “ne consegue
che”) possono concorrere a rendere il testo maggiormente comprensibile agli
addetti del settore.
Un’altra peculiarità della struttura testuale delle microlingue scientifiche
è la tendenza a privilegiare la paratassi rispetto all’ipotassi: le frasi in tal
modo risultano per il lettore più concise, chiare e oggettive.
Ulteriori caratteristiche tipiche dei testi microlinguistici possono essere:
- strutturazione in brevi paragrafi con titoli e sottotitoli;
- note a piè di pagina;
- ampie citazioni da altri testi di microlingua;
- riquadri con date e annotazioni;
- grafici;
- figure ed illustrazioni;
- tabelle;
- diagrammi;
- glossari dei termini tecnici
- un indice analitico
- bibliografia delle opere citate nel testo.
Tutti gli elementi paratestuali quali figure, diagrammi di flusso, tabelle,
simboli grafici, sigle o acronimi, sono peculiari dei testi scientifici e tecnici e
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ciò allo scopo di ampliare la trasparenza del testo microlinguistico per gli
esperti del settore.
2.2 Aspetti morfosintattici delle microlingue
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Oltre alla struttura e al genere testuale, le microlingue si caratterizzano
anche per uno stile sintattico specifico: è proprio in quest’area, infatti, che si
riscontra un numero maggiore di elementi caratterizzanti di questi linguaggi.
Alcuni glottodidatti degli inizi degli anni ’80 come Bertocchi e Lugarini8
affermavano che i linguaggi specialistici erano dotati di meccanismi sintattici del tutto particolari, che non si potevano ricondurre alla lingua standard.
In realtà si è riscontrato che è proprio sul piano sintattico che si assiste
all’utilizzo massiccio e molto frequente di alcune strutture usate normalmente nella lingua comune: si dà luogo in questo modo, come afferma Gotti9
nel suo studio, ad un fenomeno di tipo quantitativo, più che qualitativo.
L’uso di strutture della lingua comune permette, infatti, di raggiungere il
massimo della chiarezza e di soddisfare contemporaneamente le esigenze stilistiche tipiche della microlingua.
Allo scopo di individuare e descrivere gli aspetti linguistici che – se utilizzati in modo quantitativamente diverso – contribuiscono a rendere peculiare lo stile delle microlingue, è utile sottolineare che essi riguardano essenzialmente due aspetti: il sintagma nominale e quello verbale.
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2.3 Aspetti del sintagma nominale nelle microlingue
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Relativamente al sintagma nominale, la ricerca di estrema sinteticità della
microlingua soprattutto scientifico-professionale prevede fenomeni quali l’elisione di articoli e preposizioni. La necessità di massima sinteticità e densità,
porta la microlingua a omettere elementi frasali ritenuti secondari e deducibili dal contesto, la cui elisione non compromette quindi la comprensione del
testo.
Questa caratteristica delle microlingue scientifico-professionali e giuridico-burocratiche non si giustifica sempre e soltanto dalla ricerca di sinteticità,
ma probabilmente è dovuta ad una scelta di tipo stilistico.
È il caso ad esempio dei telex o telegrammi utilizzati nella comunicazione di tipo commerciale, in cui si omettono articoli, preposizioni e molti
8
Bertocchi D., Lugarini E. (1982), “L’insegnamento della lingua straniera per scopi speciali: proposte
per un syllabus funzionale”, in Rassegna Italiana di Linguistica applicata, XVI, 1.
9
Gotti M. (1991), I linguaggi specialistici. Caratteristiche linguistiche e criteri pragmatici, Firenze, La
Nuova Italia, pag. 65.
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aggettivi, mentre la punteggiatura è ridotta al minimo indispensabile: in questo caso la scelta di eliminare parti della frase è dovuta più al mezzo utilizzato che alla specificità della microlingua.
I manuali d’istruzione di carattere tecnico, invece, spesso omettono gli
articoli sia per densità concettuale, sia per la ristrettezza di spazio messo a
disposizione. Si pensi, ad esempio, ad un manuale di montaggio o di funzionamento di un apparecchio elettrico (“alzare leva B”, “premere pulsante
rosso”, “inserire presa”).
Un’altra caratteristica del sintagma nominale è il processo di nominalizzazione, il quale prevede l’utilizzo di sostantivi al posto dei verbi per spiegare procedimenti o azioni.
Ciò è dovuto alla complessità della costruzione verbale (ad esempio la
consecutio temporum) perciò spesso si preferisce sostituire il predicato con
un nome a favore della semplicità e della densità concettuale.
Si pensi a tal proposito alla diagnosi espressa da un medico: il verbo
spesso viene completamente omesso, come viene espresso nel seguente
esempio “Pressione 160 su 90, battito cardiaco regolare, presenza di cianosi e fremiti…”.
La nominalizzazione consente di mettere in risalto l’azione espressa dal
verbo: la frase “La batteria va inserita nell’apposito alloggiamento per consentire…” diventa allora “L’inserimento della batteria nell’apposito alloggiamento consente di…”, dove viene enfatizzata l’azione dell’inserimento dell’oggetto.
La conseguenza dell’utilizzo della nominalizzazione è l’indebolimento del
valore del verbo, il quale spesso viene relegato a funzione di copula, a mero
collegamento tra i sintagmi nominali complessi. È per questo motivo che il
verbo più utilizzato è il verbo essere, come si può osservare sia nei manuali
di tipo tecnico che nelle relazioni di tipo scientifico
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2.4 Aspetti del sintagma verbale nelle microlingue
Il sintagma verbale, come affermato nel paragrafo precedente, assume un
ruolo molto marginale e indebolito nella frase. Ciononostante, quando esso
è presente, subisce ulteriori processi che sono peculiari delle microlingue
scientifico-professionali: la spersonalizzazione, la passivazione e l’uso di precisi tempi verbali.
La spersonalizzazione è la caratteristica più evidente delle microlingue
scientifico-professionali. Infatti, per descrivere un esperimento scientifico è
necessario ridurre la componente umana e personificare invece gli elementi
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utilizzati nell’esperimento.
Si utilizzano, a tale scopo, verbi tipici dell’indagine scientifica (“dimostrare”, “evidenziare”, “confermare”…) coniugati in forme impersonali o
con soggetti inanimati. Spesso è l’evento stesso a fungere da soggetto, l’autore si cita con pronomi personali alla terza persona oppure con perifrasi
come “l’autore”, “il gruppo di ricerca”.
La passivazione prevede l’uso del verbo nella forma passiva ed è dovuto
all’esigenza di enfatizzare il tema rispetto alla persona che compie l’azione, la
quale viene collocata successivamente nel complemento d’agente.
Il passivo consente di spersonalizzare il discorso, in modo da evidenziare
l’azione più che il soggetto che la compie, e a tal fine spesso in italiano si
omette il complemento d’agente per aumentare l’impersonalità del discorso;
Ogni area microlinguistica utilizza in prevalenza alcuni tempi verbali
particolari, i quali diventano peculiari di determinati generi testuali microlinguistici.
Ad esempio nei manuali di montaggio o di funzionamento di strumenti si
riscontra maggiormente l’uso del modo imperativo o infinito (“selezionare le
impostazioni…”, “inserite nell’apposito spazio la chiave…”). Una relazione
su un esperimento scientifico, invece, utilizza prevalentemente il passato
prossimo indicativo (“è dimostrato che…”), invece la formulazione di leggi
scientifiche utilizza il tempo presente indicativo, per indicare l’oggettività
reale dell’enunciato (“un corpo immerso nell’acqua riceve una spinta…”).
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2.5 Aspetti lessicali delle microlingue
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Il lessico ha sempre rivestito un ruolo importante in quest’ambito, poiché
fino a qualche anno fa era considerato l’unica peculiarità del linguaggio
microlinguistico.
Anche se ora gli studi del settore procedono secondo una prospettiva
testuale più che lessicale, si è concordi nell’affermare che la parola che per
sua natura è polisemica e ambigua, diviene nelle microlingue termine, assume cioè un significato altamente denotativo.
Nella sua funzione di termine, il lessico vede la formazione di alcuni fenomeni linguistici, come ad esempio la monoreferenzialità, ossia l’utilizzo di un
termine per un preciso oggetto, fenomeno, concetto. In questo caso il termine non possiede sinonimi, se non in altre aree semantiche (ad esempio il termine “divisa” significa “uniforme” nella microlingua militare, ma anche
“moneta” in ambito bancario), perciò non ha ambiguità perché presenta un
unico significato in un determinato contesto.
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Conseguenza di questo fatto è l’estrema esiguità di termini microlinguistici, come ha analizzato Hoffmann10 nei suoi studi (1178 sono le parole
mediche frequenti, 1114 quelle matematiche), e questo fattore è dovuto alla
volontà di chiarezza e di non ambiguità;
Un altro aspetto lessicale è la tendenza alla stabilità. Un termine in uso in
un ambito scientifico difficilmente verrà cambiato, e ciò per esigenze di chiarezza, ma questo può dar luogo, come nel caso della lingua giuridica, anche
ad un certo conservatorismo obsoleto.
Un ulteriore fenomeno è la sinteticità, ottenuta utilizzando termini sorti
dalla fusione di altri due, oppure dalla loro giustapposizione: in ambito bancario si richiede un “estratto-conto”, in informatica opera “l’analista-programmatore”, in medicina troviamo il “cardiochirurgo”. Analogamente si
utilizzano per lo stesso scopo acronimi e abbreviazioni.
La rapidissima evoluzione e i continui cambiamenti delle diverse discipline determinano il fenomeno linguistico più caratteristico delle microlingue,
la formazione di nuovo lessico.
I neologismi si possono ottenere in vari modi, ma in questa sede tratteremo le tipologie di generazioni più diffuse nelle microlingue.
La generazione con elementi greco-latini si utilizza in particolar modo nel
linguaggio della medicina apponendo al termine prefissi e suffissi di origine
greca e latina al fine di richiamare immediatamente il concetto che esprime.
L’uso di termini classici al posto del linguaggio ordinario, dimostra la volontà
di non voler usare parole comuni allo scopo di evitare quelle ambiguità che
possono derivare da una lingua in evoluzione. In questo senso è interessante
notare come molti termini medici si formano a partire dalla radice greca o
latina anche se esiste una traduzione del termine nella lingua comune: consideriamo ad esempio le opposizioni cuore/cardio, fegato/epato-,
pelle/dermo- ecc.
Esiste poi la generazione con metafore, i cui neologismi si formano nelle
microlingue utilizzando metafore create utilizzando termini del linguaggio
comune: esemplare in questo senso è la lingua dell’informatica (il computer ha
una memoria, i programmi possono essere bacati o avere virus ecc.). In campo
economico si trovano metafore quali elasticità della domanda, la depressione
economica, nel settore elettromeccanico si usano le candele per i motori. I vantaggi riscontrabili da questo processo sono la trasparenza, la sinteticità e la concretezza che l’uso d’immagini offre per spiegare concetti astratti.
10
Hoffmann, L. (1979), “The Linguistic Analysis and Teaching of LSP in the German Democratic
Republic”, in ALSED-LSP Newsletter, II,3.
236
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La generazione per analogie si presenta quando un termine viene coniato
su opposizione di uno già esistente, ad esempio all’hardware del computer si
contrappone un software.
Nelle microlingue si osserva spesso il ricorso ad altre lingue, fenomeno
molto frequente nelle microlingue scientifiche e tecniche. In questo caso, si
può verificare un prestito vero e proprio (ad esempio nel campo musicale
“jazz”, “rock”, in ambito cinematografico “film”, “star”, in quello culinario
“mousse”), oppure un calco, quando il prestito viene utilizzato in italiano (ad
esempio in informatica “scannerizzare” da “scanner”, “digitale” per “numerico” ecc.) infine una traduzione letteraria, quando il termine viene esattamente tradotto (ad esempio “grattacielo”, “baco del millennio” ecc.).
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3. La didattica delle microlingue
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Il problema della didattica delle microlingue è stato ampiamente dibattuto in questi anni sia in scuole e università sia in centri professionali e aziende, le cui pressanti richieste determinano lo stimolo per una continua ricerca nel settore.
Considerando che le mete educative delle microlingue sono le stesse
della lingua comune (ossia culturizzazione, socializzazione e autopromozione), si può affermare che i tre punti fondamentali su cui si basa la didattica delle microlingue sono il destinatario, il docente di microlingue e il
metodo didattico.
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3.1 Lo studente e l’insegnante di microlingue
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L’insegnante di lingua è stato ritenuto per molto tempo una sorta di professore “onnisciente”, come sosteneva Freddi11.
Nel suo saggio Freddi affermava che “l’insegnante ideale di microlingua
è un operatore che ha la necessaria competenza tanto nella scienza, o settore
specialistico, quanto nella corrispondente microlingua”, quindi per lo studioso, l’insegnante di microlingua doveva essere un laureato in lingue con
conoscenze specifiche in un particolare settore, oppure, uno specialista del
settore con specifiche conoscenze linguistiche e didattiche.
È chiaro, però, che questi modelli d’insegnante suggeriti da Freddi non
sono realizzabili e sono ormai abbandonati in tutta la letteratura.
Secondo Balboni12, invece, l’insegnante non può essere uno specialista in
tutti i settori della microlingua, ma deve esserlo solo per quanto riguarda la
11
Freddi G. (1979), Didattica delle lingue moderne, Bergamo, Minerva Italica.
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competenza linguistica.
Egli propone un modello di conoscenza specializzata, ribadendo che l’insegnante di microlingua deve essere autonomo sotto vari punti di vista, come
ad esempio nel condurre l’analisi dei bisogni, nell’impostare una glottodidattica specifica per studenti adulti e nell’approfondimento della natura dei
testi, attualmente sempre più in forma multimediale.
L’insegnante di microlingua, quindi, non può e non deve essere un perito
elettronico oppure un informatico, ma deve essere un umanista colto, molto
preparato sul piano linguistico e in grado di applicare le sue competenze ai
diversi ambiti disciplinari e culturali in cui si trova ad operare.
Infatti, anche se l’insegnante può “costruire” una competenza nell’aspetto linguistico e comunicativo della microlingua in esame, la competenza nell’argomento specialistico è patrimonio dell’allievo e non può essere richiesta
all’insegnante.
L’allievo di microlingua, infatti, ha come pre-requisito quello di essere
specialista del settore che utilizza la microlingua. Anche se non domina perfettamente la lingua comune, con molta probabilità, l’allievo intuisce termini ed espressioni tipiche della microlingua che risultano invece meno familiari all’insegnante, e padroneggia con più sicurezza l’argomento specifico
perché rapportabile alle conoscenze già acquisite in lingua madre ed al suo
patrimonio culturale.
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3.2 Il metodo didattico
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Nella didattica delle microlingue l’insegnante mette a disposizione la sua
competenza linguistica e l’allievo la sua competenza settoriale. Poiché l’insegnante sa alcune cose e l’allievo ne sa altre, i due soggetti devono collaborare, devono ricorrere ad un diverso principio relazionale, quello della cooperazione.
A tal proposito Balboni parla di insegnamento cooperativo13: secondo tale
organizzazione, l’atto didattico vede lo studente e il docente in posizione di
pari dignità e responsabilità, con compiti e competenze che si integrano a
vicenda. In questo modo il rapporto tra alunno e professore diviene complementare, non più asimmetrico.
Nella didattica microlinguistica collaborativa, quindi, il docente dovrà
insegnare allo studente alcune tecniche e abilità di autoapprendimento di
lunga durata, che gli permettano di essere aggiornato e che gli consentano di
12
13
238
Balboni P.E. (2000), Le microlingue scientifico-professionali, Torino, Utet, pag.110.
Balboni P.E., op. cit., pag.78.
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integrare e perfezionare continuamente la microlingua cui si è dedicato.
Quando lo studente di microlingua è però un ragazzo delle scuole superiori, egli può essere a volte demotivato di fronte ad un insegnamento microlinguistico obbligatorio perché previsto nel piano di studi dell’istituto che
frequenta e di cui non prevede l’utilità pratica immediata. In una tale situazione è compito dell’insegnante motivare l’allievo coinvolgendolo nella definizione dei suoi bisogni professionali futuri.
L’insegnamento microlinguistico deve essere in questo caso sostenuto
anche da una collaborazione interdisciplinare tra docenti dello stesso istituto, che coinvolga l’insegnante di lingua e quello esperto della materia tecnica, in modo tale che si creino le condizioni migliori perché avvenga l’apprendimento da parte dello studente.
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4. Conclusioni
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In conclusione, insegnare una microlingua, quindi, non significa unicamente elencare una serie di parole settoriali.
Per mezzo dell’educazione microlinguistica, il docente avrà cura di sviluppare nello studente una forma mentis in grado di analizzare la logica che
è sottesa nei testi e nel linguaggio microlinguistico, di operare un’analisi dello
stile, dei generi testuali e delle peculiarità sintattiche e lessicali della microlingua.
Grazie alla didattica della microlingua, inoltre, gli studenti hanno l’opportunità di sperimentare un tipo di approccio di tipo collaborativo nei confronti del docente e dei compagni, approccio che è l’elemento chiave dell’apprendimento della microlingua.
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TRONCARELLI D., VANNINI E. (1995), L’arte del costruire, Roma, Bonacci.
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Capitolo 17
L’itaLiano Come LingUa VeiCoLare:
insegnare Una disCiPLina
attraVerso L’itaLiano
Graziano Serragiotto
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Insegnare una disciplina, sia linguistica che di altro ambito, attraverso una
lingua straniera è una delle sfide metodologiche della glottodidattica ai giorni nostri.
Anche nel Livre blanc sur l’education et la formation, testo della Comunità
Europea voluto da Delors e approvato nel 1995, si auspica la necessità e l’opportunità che la lingua straniera possa diventare la lingua di insegnamento di
alcune discipline, linguistiche e non, nella scuola secondaria in modo da
poter raggiungere un obiettivo di plurilinguismo.
In questo modo l’acquisizione sarebbe facilitata perché sarebbe più spontanea e ci sarebbe una maggiore esposizione alla lingua straniera; inoltre il
“focus” dell’attenzione passerebbe dalla forma al contenuto cioè a quello che
verrebbe veicolato e questo potrebbe diventare molto utile anche per
apprendere dei contenuti professionali.
Dopo queste premesse, possiamo ipotizzare che anche l’italiano, in qualità di lingua straniera, possa essere lingua veicolare per insegnare altre discipline.
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1. L’italiano e il CLiL
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L’uso veicolare di una lingua straniera per apprendere altre discipline
viene spesso riassunto con il termine di lingua veicolare per semplificarne il
concetto.
Il principio che sta alla base è che l’italiano può essere utilizzato per insegnare un’altra disciplina, la quale ha i propri obiettivi didattici che non
riguardano l’insegnamento della lingua.
L’insegnamento della lingua italiana e l’uso veicolare di quest’ultima
hanno scopi glottodidattici sicuramente diversi: nel primo caso il docente
insegna la lingua italiana, nel secondo egli promuove la lingua italiana; nel
primo caso lo studente impara le abilità e apprende ad usare la lingua italiana, mentre nel secondo caso lo studente usa le abilità acquisite e usa la lingua italiana per apprendere. È molto importante focalizzare la nostra atten241
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zione sui termini “insegna” versus “promuove” e “impara” versus “usa”
dove il ruolo della lingua non è metalinguistico ma serve da tramite per
acquisire dei contenuti non linguistici.
In questo modo l’acquisire una lingua non viene visto come fine a se stesso ma può essere il mezzo che permette di arrivare ad altri contenuti.
Di solito quando ci si riferisce a questo tipo di approccio si usa l’cronimo
inglese CLIL (Content and Language Integrated Learning): apprendimento
integrato di lingua e contenuti. Tale denominazione mette in risalto come ci
sia un equilibrio tra l’apprendimento delle varie discipline e quello della lingua straniera, nel nostro caso la lingua italiana.
Il CLIL è sicuramente un approccio innovativo e rivoluzionario che ha
come obiettivo il plurilinguismo; favorisce l’integrazione curricolare e comprende una varietà di modi di insegnare e di situazioni talmente flessibili tale
da permettere ad ogni docente o gruppo di docenti di decidere il percorso
da seguire e le modalità più adatte per la propria classe, introducendo anche
eventuali modifiche in itinere per migliorare l’apprendimento.
Sebbene il presente contributo sia focalizzato in particolar modo sull’insegnamento dell’italiano LS, il CLIL potrebbe essere vantaggiosamente utilizzato anche nell’ambito dell’italiano L2. Nel primo caso la lingua non è parlata dalla comunità, viene imparata solo in un ambiente scolastico e non c’è
molta possibilità di utilizzo immediato; nel secondo caso invece abbiamo un
contesto bilingue o plurilingue e quindi la lingua può essere utilizzata anche
nell’ambiente esterno alla scuola. A questa tipologia se ne potrebbe aggiungere una terza qualora l’italiano venga usato come lingua etnica; in questo
caso il suo utilizzo veicolare non potrebbe che essere apprezzato per un
miglior apprendimento linguistico.
Indipendentemente dalla situazione in cui ci troviamo ad operare con la
lingua italiana, possiamo riscontrare diversi fattori favorevoli all’apprendimento linguistico tramite il CLIL e varie motivazioni glottodidattiche per il
suo utilizzo.
2. motivazioni glottodidattiche per l’uso veicolare dell’italiano
Dopo aver evidenziato alcuni concetti fondamentali sulla lingua veicolare
e il CLIL, è interessante focalizzare la nostra attenzione sulle motivazioni
glottodidattiche per l’uso veicolare della lingua italiana. Usando il CLIL
come approccio didattico si vengono a creare una serie di situazioni favorevoli determinate da alcuni fattori:
a. un aumento della quantità di esposizione all’italiano: l’italiano non viene
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utilizzato soltanto nelle ore canoniche di insegnamento della lingua
italiana, ma anche nell’orario di altre discipline e questo favorisce l’innalzamento dei livelli di competenza nella lingua italiana degli studenti; inoltre, accanto alla lingua italiana, ci potrebbero essere altre lingue
ad uso veicolare e questo favorirebbe l’uso di una varietà di lingue ed
il plurilinguismo;
b. una migliore qualità dell’esposizione all’italiano: l’insegnamento integrato di lingua italiana e contenuti può favorire un insegnamento di
tipo interattivo e assicurare un certo livello qualitativo perché molto
spesso è richiesta una profondità di rielaborazione che non si avrebbe
in un insegnamento tradizionale;
c. una maggiore motivazione all’apprendimento: diventando il contenuto
della materia il focus dell’attenzione anche gli allievi che non presentano un’attitudine particolare per l’apprendimento linguistico o che
non amano in modo particolare le lingue possono seguire la logica
cognitiva delle discipline e potenziare l’italiano o altre lingue straniere
con attività che possono essere considerate incidentali, proprio perché
non sono state costruite primariamente per questo scopo.
In un simile contesto si vengono a creare le condizioni per una maggiore
autenticità delle attività che riguardano la lingua perché non vi sono simulazioni, la lingua è usata in un contesto reale e necessario, evenienza che raramente si verifica in un insegnamento tradizionale.
Inoltre si ha una maggiore autenticità della lingua in quanto essa non
serve per parlare di se stessa (funzione metalinguistica) ma viene utilizzata
per parlare delle varie discipline.
Insegnando contenuti disciplinari attraverso l’italiano LS abbiamo la possibilità che l’input venga reso comprensibile non solo dalla lingua ma anche
da alcune conoscenze extralinguistiche, cosa che non capita nell’insegnamento della lingua tradizionale perché è la stessa lingua che cerca di spiegare se stessa attraverso perifrasi o traduzioni in LM. Specialmente le materie
che non dipendono solo dal linguaggio verbale e fanno uso di cartine, grafici, immagini, ecc. aiutano la comprensione dei contenuti e potenziano la stessa lingua.
In questo approccio si ha lo spostamento dell’attenzione dalla forma linguistica ai contenuti che essa veicola, quindi diventa fondamentale non la
correttezza formale linguistica, ma il fatto che l’input (il contenuto) diventi
comprensibile il più possibile nonostante alcune imprecisioni linguistiche.
Lo stesso Cummins distingue due tipi di competenze diverse che pos243
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sono essere raggiunte dagli studenti a seconda degli approcci e metodi utilizzati:
BICS (Basic Interpersonal Communicative Skills): è una competenza
linguistica che permette interazioni non sofisticate su argomenti comuni e quotidiani; viene raggiunta attraverso l’insegnamento tradizionale
curricolare;
CALP (Cognitive Accademic Language Proficiency): è una competenza
linguistica elaborata e sofisticata che prevede attività cognitive d’ordine
superiore; si ottiene attraverso l’insegnamento veicolare, in quanto fa
riferimento anche a concetti astratti tipici di alcune discipline.
Ciò dimostra come l’insegnamento veicolare permetta di raggiungere una
competenza più elevata e sofisticata rispetto all’insegnamento tradizionale.
Ciononostante bisogna precisare che questo approccio non deve essere
visto come sostitutivo dell’insegnamento curricolare di una lingua straniera:
ricerche svolte hanno dimostrato che in assenza di un apprendimento formale gli studenti non raggiungono la completa padronanza di una lingua
straniera.
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3. modalità organizzative per l’insegnamento attraverso l’italiano
come lingua veicolare
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Dopo di aver delineato le principali motivazioni glottodidattiche che
spingono all’uso veicolare dell’italiano possiamo analizzare le variabili di
questo tipo di insegnamento. Una prima variabile riguarda la scelta delle lingue (nel nostro caso l’italiano, affiancato o meno ad altre lingue straniere
come lingue veicolari), la scelta delle discipline da mettere in gioco e il rapporto che si viene a creare tra la lingua e la materia non linguistica. In secondo luogo si tratta di vedere quali sono le caratteristiche che deve possedere
l’insegnante e quali modalità può usare per attuare un simile insegnamento.
3.1 La scelta dell’italiano e/o di altre lingue straniere
Tutte le lingue potrebbero essere valide per fungere da veicolo in un simile insegnamento; è giusto quindi considerare e valutare alcuni parametri per
decidere praticamente quale sia la lingua/ siano le lingue più adatte per un
simile approccio.
Nel momento in cui si deve decidere quale lingua/quali lingue privilegiare nelle esperienze di apprendimento integrato di lingua e contenuti si devono prendere in considerazione vari fattori, tra i quali i più importanti sono:
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a. la situazione geografica ed economica del paese o della regione dove si
trova la scuola: per ragioni legate all’economia locale può essere utile
scegliere una lingua rispetto ad un’altra oppure considerare le lingue
parlate negli stati limitrofi. Ad esempio in Austria, per questioni economiche e geopolitiche potrebbe essere utile inserire la lingua italiana;
anche in Argentina, per ragioni etniche, l’italiano sarebbe una scelta
opportuna. Si possono poi affiancare altre lingue straniere a seconda
delle varie esigenze.
b. il grado di somiglianza che esiste tra l’italiano e la lingua materna degli
studenti: sul piano lessicale, fonetico e grammaticale nel caso di lingue
affini (per esempio, italiano e spagnolo) è possibile iniziare contemporaneamente con più materie del curriculum scolastico, anche con
discipline che si basano esclusivamente sulla comunicazione verbale e
che richiedano un certo grado di astrazione. Nel caso di lingue non
affini (per esempio, tedesco e italiano), è necessario che ci sia una
buona conoscenza preliminare della lingua straniera da parte degli studenti, soprattutto con le materie in cui la comunicazione verbale è fondamentale e non vengono in aiuto elementi extralinguistici.
c. la materia che viene insegnata tramite l’italiano: la scelta della materia
ha sicuramente una sua importanza perché a seconda delle caratteristiche della stessa materia si hanno situazioni diverse. Questo verrà
approfondito nel paragrafo successivo.
d. le risorse locali: quali sono gli insegnanti disponibili, quali competenze
ha l’insegnante di italiano, se ci sono scambi già avviati con scuole straniere, se vi sono studenti stranieri, ecc.
Comunque a parte i parametri che abbiamo considerato è fondamentale
assicurare la diversità linguistica, non deve esserci la dominanza di una sola
lingua straniera e devono essere salvaguardate le lingue minoritarie.
3.2 La scelta della materia/materie da veicolare
Tutte le materie potrebbero essere oggetto di insegnamento in lingua
italiana; è preferibile però all’inizio scegliere quelle che caratterizzano l’indirizzo di studio degli studenti in modo da tenere alta la motivazione ad
apprendere.
Inoltre bisogna considerare il livello di conoscenza dell’italiano: è meglio
scegliere materie che si basano principalmente sulla comunicazione verbale
e che sono per loro natura più astratte solo quando è presente una buona
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conoscenza della lingua italiana da parte degli studenti.
Per le materie che si avvalgono invece anche di codici extralinguistici si
può partire anche da livelli elementari di competenza nella lingua italiana,
svolgendo attività molto pratiche: indicare le capitali in un atlante di geografia, mostrare dei movimenti in educazione fisica, introdurre una serie di verbi
in lingua straniera, ecc.
La finalità ambiziosa di questo metodo è lo sviluppo di competenze metodologiche e relazionali in tutti gli ambiti disciplinari.
3.3 Gli insegnanti d’italiano CLIL
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Possono esserci diverse tipologie di insegnanti CLIL:
a. lo stesso insegnante: ci possono essere alcuni insegnanti che hanno la
doppia abilitazione, in italiano e in un’altra disciplina, e che quindi
possono condurre autonomamente l’insegnamento veicolare nei vari
gradi d’istruzione. Questa situazione è abbastanza comune in alcune
realtà estere, ma molto improbabile in Italia dove la laurea è specificamente di area umanistica o scientifica, senza possibilità di unire discipline di aree diverse (a parte alcune eccezioni nella scuola secondaria,
per esempio geografia e lingua straniera, mentre non ci sono problemi
nella scuola elementare perché lo stesso insegnante è chiamato a coprire, a rotazione, tutti gli ambiti disciplinari);
b. due insegnanti diversi (CLIL con prevalenza della lingua): l’insegnante
di italiano guida esercitazioni su contenuti disciplinari che sono già
stati acquisiti ed ora vengono applicati in lingua italiana come LS;
c. due insegnanti in co-presenza (CLIL con prevalenza della disciplina):
l’insegnante di italiano si limita a creare le condizioni affinché i contenuti della disciplina vengano acquisiti senza che la lingua sia un problema attraverso delle attività di semplificazione, per rendere l’input
comprensibile;
d. scambio di insegnanti: un insegnante italiano di una materia va all’estero ed insegna la sua disciplina in italiano, mentre l’insegnante di
quel paese viene in Italia ad insegnare tale disciplina nella sua lingua;
e. organizzare moduli in Internet a gruppi: un’altra possibilità può essere
quella di fare degli incontri chat o forum in Internet dove un insegnante italiano di fisica, per esempio, interagisce con degli studenti
stranieri con esperimenti e relazioni in italiano;
f. risorse personali dei docenti: ci può essere l’insegnante di disciplina che
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conosce l’italiano e che può, con il supporto metodologico di quello di
lingua, creare dei moduli autonomi in italiano; oppure il docente di
italiano può essere in grado di lavorare in un’altra disciplina chiedendo il supporto dell’insegnante specifico. Per questo tipo di intervento
è necessario stabilire un livello minimo di competenza, sia di lingua
italiana sia disciplinare posseduto dall’insegnante; tale competenza
deve poter essere anche certificata in un portfolio del docente.
4. metodologia dell’insegnante di italiano e dell’insegnante della
disciplina per l’uso veicolare della lingua
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Attualmente le situazioni più ricorrenti per l’uso veicolare della lingua sono
le condizioni b. e c., in cui i due insegnanti, uno di italiano e uno di disciplina
specifica, organizzano delle lezioni, dei moduli, degli ambiti tematici chiedendo l’autorizzazione all’interno del proprio istituto e inserendo tale progetto
all’interno del piano formativo d’istituto. Pochi sono ancora i casi di esperienza totale curricolare, in quanto è necessaria una garanzia istituzionale.
Le aree di azione dei due insegnanti devono restare distinte e separate.
L’insegnante di italiano insegna la lingua, gli studenti acquisiscono abilità
e competenze d’uso linguistiche; l’insegnante della disciplina promuove la
lingua, gli studenti usano le abilità acquisite per apprendere la disciplina.
Tra i due insegnanti ci deve essere una stretta collaborazione, sia nella
programmazione sia in itinere in modo che ognuno utilizzi le proprie competenze.
L’insegnante di italiano dà un supporto linguistico sia agli studenti sia
all’insegnante della materia e mette a disposizione la propria preparazione
didattica nell’ambito della comprensione testuale che potrebbe essere utile
all’insegnante della disciplina per creare condizioni tali da rendere l’input
comprensibile. In cambio l’insegnante di italiano amplia i propri orizzonti
professionali in ambiti specialistici.
L’insegnante della materia trasmette i contenuti della disciplina e grazie
alla preparazione didattica per la comprensione dei testi dell’insegnante di
lingua si pone il problema del veicolo linguistico la cui conoscenza da parte
degli studenti molto spesso è data per scontata. In cambio l’insegnante della
disciplina potrebbe imparare una metodologia didattica per la comprensione dei testi e potrebbe ampliare la propria conoscenza dell’italiano.
Entrambi i docenti si impegnano a fare delle scelte e precisamente:
a. selezionano i nuclei fondamentali delle proprie discipline
b. stabiliscono gli obiettivi del corso
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c. prevedono possibilità di cambiamenti in itinere con una certa flessibilità
d. formulano il piano di lavoro in comune sulla base delle proprie competenze
e. prevedono le difficoltà
La collaborazione tra docenti porta a dei buoni risultati per lo scambio
vicendevole che si verifica e permette di superare alcune incertezze: il docente della materia non si sente all’altezza a livello linguistico per poter insegnare attraverso l’italiano, l’insegnante d’italiano ritiene di non conoscere in
modo approfondito gli argomenti che riguardano la disciplina.
L’insegnante di disciplina non linguistica insegna la materia e l’insegnante di italiano la rende in lingua straniera.
L’insegnante di italiano lingua veicolare deve conoscere metodologie
appropriate per l’insegnamento e la valutazione, da impiegarsi con studenti
di lingua straniera.
L’insegnante di italiano deve acquisire un minimo di familiarità con i concetti e la microlingua della disciplina non linguistica e con le modalità di
valutazione più appropriate per quella disciplina.
Non si effettuano solo lezioni frontali, tipiche delle discipline non linguistiche, ma si può usare il cooperative learning, si adottano nuove strategie ed
alcune tecniche che sviluppano la produzione autonoma in italiano (giochi di
ruolo, riempimento di spazi, abbinamento, ecc.) e si utilizza materiale autentico durante la lezione.
Si possono inoltre organizzare dei corsi di italiano per gli insegnanti di
altre discipline che vogliono intraprendere un insegnamento veicolare, al fine
di dare loro competenze specifiche per veicolare i contenuti della propria
materia, anche se le competenze sono molto diversificate. I corsi, oltre ad
un’accurata revisione linguistica, dovranno mirare a sviluppare le abilità
comunicative degli insegnanti veicolari (lingua parlata e ascoltata) e le competenze metodologiche della didattica delle lingue.
4.1 Variabili per una progettualità CLIL e indicazioni per le lezioni
Per elaborare un percorso CLIL gli insegnanti devono considerare alcune variabili, in modo da stendere un progetto che sia rispondente a determinate esigenze (Coonan 2002):
a. classe: prima di tutto bisogna considerare il livello, il numero di studenti coinvolti, il numero e il tipo di insegnanti coinvolti, la lingua che
viene scelta come veicolare, nel nostro caso italiano, la competenza
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linguistica degli studenti nella lingua italiana, il tipo di scuola o di
corsi, ecc.;
b. modello operativo CLIL: una lezione, alcune unità didattiche, un
modulo; un’ora, una settimana, un mese; gli insegnanti lavorano in
sinergia o in co-presenza; CLIL con prevalenza della lingua, CLIL con
prevalenza della disciplina, ecc.;
c. area curricolare/extracurricolare: analisi dei temi e degli argomenti del
percorso;
d. competenze chiave del contenuto (obiettivi): conoscenze, concetti, fatti;
e. lessico chiave: individuare il lessico necessario e scegliere le tecniche
più adatte per farlo memorizzare e riutilizzare;
f. abilità linguistiche attivate: non è necessario utilizzare tutte le abilità
linguistiche, alcune possono essere attivate solo parzialmente; è necessario quindi fare una scelta a seconda delle priorità (ad esempio solo
lettura ed ascolto);
g. abilità di studio coinvolte: prendere appunti, riassumere, ecc.;
h. processi cognitivi: definire, valutare, osservare, sintetizzare, illustrare,
ecc.;
i. metodologia(organizzazione didattica): frontale, individuale, a coppie, a
gruppi, ecc. (uso della lingua straniera): in alternanza con la LM, in
separazione, in concomitanza;
j. materiali usati: di base, integrati; (vedi paragrafo successivo);
k. attività/esercizi: decidere quali attività ed esercizi svolgere in base agli
obiettivi, controllare quali esercizi sono già disponibili, quali sono da
integrare, come devono essere dosati, ecc.;
l. valutazione: come vengono valutati gli allievi, in base a quali obiettivi
(si valuta il contenuto, la lingua, entrambi, attraverso quali esercizi, si
valuta la lezione, l’unità, il modulo, ecc.) (vedi paragrafo successivo);
È importante seguire anche alcune indicazioni prima della lezione in
modo che la progettualità CLIL sia più efficace.
All’inizio è utile far avere agli studenti la scaletta della lezione in modo
che siano chiari gli argomenti da trattare, indicando qualche parola chiave
utile per la comprensione.
Si può leggere insieme lo schema, in modo da sottolineare anche oralmente i punti fondamentali, fermandosi laddove gli studenti hanno delle
domande.
L’input deve essere fornito in maniera ridondante: i concetti più impor249
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tanti devono essere ripetuti attraverso tecniche diverse per assecondare i
diversi stili cognitivi di apprendimento degli studenti.
Gli elementi astratti devono essere illustrati attraverso esempi concreti in
modo da semplificarne la comprensione; bisogna inoltre evidenziare nei testi
i marcatori di ordine logico, temporale, causale, ecc. in modo che i contenuti vengano acquisiti in modo corretto.
Bisogna fare uso delle attenzioni didattiche già utilizzate in altri metodi:
enfatizzare le sezioni importanti, riprendere i punti, ecc.
È preferibile far lavorare gli studenti a coppie o gruppi, interrompendo le
sequenze frontali, cercando di far diventare l’insegnante un mediatore e veri
protagonisti gli studenti.
Dopo ogni sezione di lavoro si chiede agli studenti di fare una sintesi di
quello che hanno appreso, completando una tabella, disegnando un grafico,
non necessariamente in italiano.
Durante l’esposizione da parte degli studenti bisogna intervenire sugli
errori solo quando questi siano tali da impedire la comprensione.
Successivamente, con l’insegnante di italiano, verranno ripresi e sarà cura
dello stesso insegnante trovare i modi più efficaci e gli esercizi più idonei per
recuperare le lacune ancora presenti negli studenti.
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4.2 Il problema dei materiali da utilizzare per l’insegnamento veicolare
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Nell’ambito dell’insegnamento CLIL i materiali possono essere un problema, perché attualmente non vi sono ancora materiali adatti: quelli che esistono sono stati pensati e didattizzati per essere utilizzati in altri contesti
d’insegnamento. Per il momento l’insegnante CLIL deve quindi selezionare
dei testi autentici in italiano (a seconda del livello della classe) e cercare di
renderli comprensibili attraverso una serie di attività didattiche.
Non è pensabile adottare direttamente dei testi scolastici in italiano usati
in Italia, perché i testi delle scuole italiane possono usare approcci diversi,
punti di vista e programmi differenti rispetto alle scuole straniere e perché
quei testi sono stati concepiti per studenti madrelingua italiani e mancano di
una parte fondamentale che dovrebbe rendere il contenuto comprensibile a
livello linguistico.
La didattizzazione del materiale autentico non è facile; richiede molto
tempo, una scelta oculata dei contenuti e delle attività correlate.In base al
tipo di disciplina veicolata è necessario utilizzare anche elementi extralinguistici per rendere comprensibile il contenuto.
L’insegnate deve redigere il materiale in base alle necessità legate al con250
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tenuto che si vuol trasmettere e al mezzo linguistico che lo veicola, utilizzando il concetto di ridondanza, ribadendo in modo diverso e spesso i concetti
fondamentali, cercando che ci sia una cooperazione fra gli obiettivi di
apprendimento della lingua e quelli della disciplina non linguistica veicolata
in italiano.
Qualunque sia il materiale scelto si devono considerare alcune variabili
per poterlo proporre agli studenti:
a. il contesto;
b. i pre-requisiti, se necessari;
c. gli obiettivi specifici;
d. gli strumenti utilizzati.
Anche nella didattizzazione del materiale bisogna considerare alcune
variabili:
a. l’aspetto grafico: è meglio dividere in blocchi un testo lungo, mettendo
in grassetto le parole chiave, evidenziando i titoli, i sottotitoli, ecc.;
b. le attività e gli esercizi di supporto: in base agli obiettivi devono essere
scelte varie tipologie di attività ed esercizi;
c. la comprensione guidata: attraverso gli esercizi e le attività proposte
bisogna arrivare a comprendere i punti fondamentali del testo;
d. il riutilizzo dei concetti generali: mettere in pratica, attraverso attività
specifiche, quello che è stato imparato;
e. gli approfondimenti e i percorsi autonomi: per coloro che lo desiderano
si devono prevedere degli approfondimenti e dei percorsi autonomi,
anche attraverso Internet.
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5. La valutazione nell’insegnamento veicolare
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La questione “valutazione” è sempre un argomento abbastanza complicato e complesso; soprattutto nell’insegnamento veicolare devono essere
chiari gli obiettivi che vogliamo perseguire.
È importante mettere in evidenza se la valutazione riguarda la lingua italiana, i contenuti della disciplina o entrambi.
La verifica deve essere formulata in modo tale che non ci siano dubbi
sulla natura delle carenze e che lo studente possa rendere conto dei propri
progressi sia a livello linguistico che dei contenuti.
Si tratta quindi di una duplice valutazione; è importante decidere quanto pesa o quanto può influenzare la preparazione linguistica o la difficoltà
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di comprensione in contenuti espressi in italiano nella valutazione dello
studente in ambito disciplinare e capire se un fallimento è dovuto a scarsa
competenza linguistica o a scarsa assimilazione dei contenuti. o ad entrambi i fattori.
Durante la verifica si deve supportare il messaggio linguistico in modo da
rendere il significato chiaro e comprensibile; si possono ridurre le richieste
linguistiche, si possono usare diverse modalità di valutazione e verifiche
incrociate.
Usando dei punteggi separati per la lingua e il contenuto è possibile evidenziare il progresso degli studenti in termini di autovalutazione attraverso
una valutazione continua con dei piani di lavoro individualizzati.
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6. Conclusioni
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Queste riflessioni mettono in evidenza come la metodologia CLIL sia
innovativa e favorisca l’acquisizione linguistica attraverso un aumento della
quantità di esposizione all’italiano, una migliore qualità dell’ esposizione all’italiano e una maggiore motivazione all’apprendimento. L’attenzione è focalizzata maggiormente sul contenuto da veicolare piuttosto che sulla lingua stessa, in modo da potenziare le competenze linguistiche senza che lo studente
se ne accorga.
La metodologia CLIL deve essere proposta in modo preciso e articolato,
tenendo conto delle diverse problematiche. Richiede nuove modalità d’insegnamento ed insegnanti in grado di lavorare in sinergia in modo costruttivo
e gli stessi studenti dovranno adottare modalità diverse di lavoro che consentiranno di esperire la lingua in vari contesti.
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riferimenti bibliografici
©
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Integrated Learning: A Research-Driven TIE-CLIL Foundation Course
Reader, Jyvaskyla, University of Jyvaskyla, Continuing Education Centre.
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siti d’interesse
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TIE-CLIL: www.tieclil.org
Euroclic: www.euroclic.net
DIALANG: www.dialang.org
CLIL Compendium: www.clilcompendium.com
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Parte QUarta
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strUmenti e sUPPorti
Per L’insegnamento
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Capitolo 18
indiCaZioni Per L’anaLisi di manUaLi
Per L’insegnamento deLL’itaLiano Ls
Marina Biral
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Il manuale di italiano LS che l’insegnante usa in classe rappresenta,
soprattutto per lo studente principiante, uno strumento di conoscenza della
lingua, un sostegno per inserirsi nella nuova realtà. È quindi fondamentale
che il testo sia scelto in base alle necessità dell’insegnante e ai bisogni dello
studente. Come fare? Per testare i punti di forza e di debolezza di un manuale, si può procedere isolando degli indicatori utili per analizzare le caratteristiche del testo.
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1. Premessa
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Negli ultimi anni il panorama delle pubblicazioni di manuali per l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera si è diversificato e ampliato. I
testi degli ultimi anni presentano articolazioni più elastiche ed eclettiche,
cioè che utilizzano strategie e strumenti diversificati. Oltre ai materiali autentici, offrono strumenti integrativi come audiocassette, videocassette, floppy,
CD-Rom, o le risorse della Rete come materiale in costante aggiornamento.
Ma non solo: la pubblicazione di testi per l’insegnamento della lingua italiana a stranieri nell’ultimo quinquennio si arricchisce anche di manuali per le
lingue di specialità (Architettura, Legge, ecc.), destinati a studenti universitari, o testi per specifici bisogni da utilizzare in ambito del lavoro (l’Italiano
per il turismo, per gli affari, ecc), o manuali per i bambini stranieri che stanno affollando le aule delle nostre scuole Elementari. E inoltre, testi che sono
pensati per integrare il classico manuale da usare in classe, destinati ad
approfondire le acquisizioni in materia di vocabolario, o di scrittura, o di lettura anche di testi letterari.
In questa fase di espansione editoriale, che è conseguente all’enorme diffusione della lingua italiana all’estero, la scelta del manuale da usare in classe, tra i molti ormai pubblicati , può non essere facile. Quindi questo vuole
essere un contributo per rendere tale scelta più rigorosa, individuando parametri utili per analizzare se singole unità, moduli o il manuale nel suo complesso risultino didatticamente validi o meno. Questi indicatori sono stati
organizzati in modo tale da formare una scheda che è proposta interamente
alla fine del capitolo; qui di seguito, ogni indicatore viene commentato.
257
2. indicazioni per l’uso della scheda
Destinatari/ Lingua M/Conoscenza dell’italiano
I primi indicatori riguardano dunque il profilo della classe cui si rivolge
la ricerca del manuale “perfetto”. Per classi formate da studenti omogenei
per madrelingua (come nel classico caso di Università inglesi o americane
che frequentano uno o più semestri in Italia), i manuali sono pochi, qualora
l’insegnante decidesse di adottare un testo bilingue e basato su principi di
grammatica contrastiva. Invece le pubblicazioni destinate a bambini oggi
stanno aumentando.
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Grafica
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Se si pensa che il manuale per principianti è il primo strumento di
approccio con una nuova realtà linguistica, è naturale che un libro colorato,
con foto, vignette, spazi per scrivere rappresenta un sostegno alla motivazione di apprendere e uno stimolo visivo e mentale, sia per bambini che per
adulti.
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Istruzioni
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Se la formulazione delle istruzioni che accompagnano le attività per principianti non sono leggibili, significa che l’insegnante è necessario anche per
la decodificazione di tratti linguistici che potrebbero essere più efficaci se
tradotti in vignetta o in fumetto (come avviene in molti testi). Altrimenti, lo
studente potrebbe non essere in grado di usare il libro da solo.
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Approccio
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Per approccio comunicativo si intende che il materiale è autentico, sia orale
che scritto; che ci sono attività di scambio, di informazioni e di discussione.
Ora molti manuali si basano anche su teorie di tipo eclettico che, sulla base di
un approccio didattico di tipo comunicativo, inseriscono anche esercizi di tipo
strutturalistico, per rendere il testo più flessibile alle esigenze di insegnanti e
studenti. In quest’ottica, un manuale che sia impostato solo per comportamenti grammaticali è oggi superato, a meno che l’insegnante non lo voglia utilizzare come testo di integrazione e di supporto per attività di fissazione delle
strutture grammaticali che affianchino le usuali attività comunicative.
L’ultimo indicatore riguarda testi che fanno lavorare la classe solo su determinate abilità, ad esempio studenti avanzati che richiedano corsi specifici.
258
Metodologia
Tutti i manuali hanno impostazione comunicativa; alcuni fanno maggiormente uso di strategie di coinvolgimento attivo degli studenti con molte attività che favoriscono l’interazione linguistica all’interno del gruppo.
Testi per studenti avanzati hanno i materiali organizzati per Unità tematiche, tecnica che a questi livelli si rivela ottima per poter approfondire le
conoscenze linguistiche attraverso l’esplorazione di temi culturali.
Obiettivi
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Questa voce indica se nel testo compare un indice in cui siano esplicitati
funzioni, contenuti grammaticali, lessicali e culturali di ogni Unità o modulo. Ormai tutti i nuovi testi soddisfano questa richiesta. In alcuni, l’indice
compare anche come introduzione ad ogni UD, in modo da servire come
orientamento per lo studente che così può autonomamente rendersi conto
del percorso da seguire.
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Cultura
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Cultura non significa solo insegnare l’arte, la musica, la letteratura, il cinema; per dimensione culturale si intende tutto quello che può aiutare lo studente a comprendere la persona che ha davanti, a interpretare le implicazioni e le allusioni presenti in ciò che dice. Insegnare cultura significa insegnare anche abitudini e atteggiamenti associati più strettamente ai comportamenti linguistici e alle diverse situazioni. Se il materiale che state esaminando presenta tutti e tre gli indicatori, è già un chiaro segnale che il materiale
è impostato su strategie didattiche molto efficaci.
Bo
Input
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Più sono vari, più offrono materiale di apprendimento e più motivante è
il lavoro di entrambe le parti, insegnante e studenti.
Testi
La selezione del primo indicatore, autentici, è la necessaria conseguenza
di testi impostati su strategie di tipo comunicativo. Le voci successive della
colonna di sinistra segnalano una maggiore efficacia didattica. Se i testi che
state valutando, orali o scritti che siano, appaiono poco in sintonia con gli
interessi della classe, sarà più difficile stimolare la motivazione degli studenti. Se presentano anche variazioni di registro, di accenti regionali, daranno
259
maggiore garanzia di potenziare la capacità sociolinguistica degli studenti.
L’ultimo indicatore riguarda la varietà del genere testuale, che chiaramente
sarà subordinata al livello linguistico dello studente che dovrà affrontare e
decodificare testi sempre più complessi.
Ascolto
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Per i principianti è raro che i manuali presentino dialoghi in presa diretta, ma è importante che siano autentici in quanto realmente comunicativi e
non artificiali. Un dialogo è autentico per la velocità del parlato, se ci sono
espressioni tipiche come anacoluti, interiezioni, sospensioni, pause, cioè i
tratti verbali paralinguistici senza i quali ogni conversazione sarebbe priva di
incisività. Per i livelli più alti, l’ascolto di un dialogo è generalmente sostituito con testi differenti quali: canzoni, trasmissioni radio, dibattiti, interviste.
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Orientamento iniziale
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La presenza di questo elemento è necessario e ormai presente in tutte le
ultime pubblicazioni.Viste le difficoltà relative alla comprensione orale, maggiori sono le strategie di orientamento presentate nel testo, minore è il pericolo che lo studente si senta frustrato. Se il testo è carente in questa fase di
attivazione della comprensione, è chiaro che sarà l’insegnante a dover integrare con anticipazioni il contenuto dell’ascolto. Ottima la strategia delle
illustrazioni o delle vignette per studenti principianti.
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Comprensione orale
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Maggiori sono le voci segnate nella scheda, maggiore sarà la possibilità di
scegliere le attività più stimolanti che il testo offre. Come per altri indicatori
presentati in questa scheda, non sono elencate tutte le attività possibili, ma
quelle più utilizzate nei testi.
Produzione orale
Le voci sono qui indicate in ordine crescente di complessità; è perciò
ovvio che il primo indicatore appaia in un manuale per principianti mentre
il penultimo e l’ultimo sono tipici di livelli più avanzati. L’attività relativa ai
giochi può essere presentata subito, dal livello principianti, fino al livello più
avanzato; un testo che presenti questa attività darà modo di far lavorare la
classe in varie modalità, a gruppi, favorendo il coinvolgimento degli studenti, o individualmente, dando modo a ciascuno di sfidare se stesso.
260
Comprensione
Anche per questo indicatore non sono stati elencate tutte le varietà possibili; è valido sempre lo stesso principio: più materiale è presentato nelle
Unità, maggiori possibilità avrà l’insegnante di lavorare in modo flessibile
agli interessi e ai bisogni degli studenti.
Con attività di comprensione
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Domande, scelte multiple, cloze, incastro, griglie attivano i processi essenziali per la comprensione: la varietà stimola la motivazione, perché così lo
studente può misurare la propria competenza con differenti attività.
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Produzione scritta
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Gli studenti vanno avviati verso la produzione scritta autonoma con esercitazioni graduate; da semplici attività manipolative ad attività più autonome;
dalla produzione di paragrafi su modelli dati, alle composizioni guidate o la
rielaborazione di un brano usando un genere testuale diverso o altro registro.
Per studenti già abili, gli esercizi che mettano in campo abilità diverse, come
un riassunto scritto svolto sulla base di appunti presi ascoltando un notiziario, un’intervista, danno loro la possibilità di potenziare la capacità di reale
comunicazione. Come sempre, maggiori sono gli elementi qui suggeriti presenti nel materiale che state valutando, maggiore è l’efficacia didattica.
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Grammatica
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La grammatica ha come unità di insegnamento il testo e non la frase, perché non è solo morfologia e sintassi, ma anche pragmatica, testualità, sociolinguistica, competenza semantico-lessicale: ormai tutti i manuali presentano
quest’approccio. Il secondo indicatore, che riguarda la presentazione induttiva degli aspetti grammaticali, è importante in un manuale perché in questo
modo apprendere diventa una sfida, quindi fattore motivante. Inoltre è una
strategia che permette che gli elementi grammaticali vengano scoperti dallo
studente nella misura in cui la sua interlingua è in grado di identificarli ed assimilarli. Gli indicatori successivi, nel numero in cui sono presenti nel testo da
analizzare, permettono di capire se il materiale è ben strutturato o meno.
Importante anche la presenza dell’ultimo elemento: ogni studente, specialmente ai livelli più bassi, ha necessità di ancorare le proprie acquisizioni linguistiche a degli schemi scritti, in modo da poterli rivedere in ogni momento.
261
Lessico
Questo indicatore è importante perché non tutti i manuali curano la parte
lessicale, che è invece essenziale. Se appare la prima voce, significa che l’insegnante avrà minore necessità di integrare con altro materiale questa sezione e che lo studente potrà, anche autonomamente, rivedere questa parte per
fissare gli elementi del vocabolario presentati negli input dell’Unità. L’ultimo
elemento, purtroppo, non è facilmente presente nei manuali, anche più
recenti: un indice lessicale risulta un appiglio molto utile per il ripasso dello
studente.
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Fonologia
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Tale sezione deve essere presente nei manuali per principianti perché la
pronuncia errata di un suono, di una frase o l’uso improprio del ritmo e dell’intonazione possono compromettere l’efficacia comunicativa del messaggio.
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Modalità di lavoro
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La scelta di queste voci sono importanti perché se tutti gli indicatori vengono segnati nella scheda, il materiale che state analizzando appare degno di
interesse. Gli studenti hanno bisogno di interagire, per socializzare e per utilizzare la lingua di apprendimento (specie in classi omogenee per LM); la
modalità lavoro in coppie o a gruppi è una strategia didattica motivante. E la
possibilità di fare esercizio autonomo confrontando le proprie soluzioni con
le chiavi fornite dal testo è fondamentale per un lavoro personalizzato di
recupero o fissazione.
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Materiale integrativo
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Variare materiale e mezzi è motivante, sia per la diversificazione degli
input, che diventano più incisivi, sia perché si offre maggiore movimento e
aumentano le aspettative negli studenti. I recenti manuali che attingono risorse dalla Rete riescono ad offrire materiale che si aggiorna continuamente.
Efficacia
Per un soddisfacente processo di apprendimento si devono seguire determinati parametri:
porre lo studente come elemento centrale del percorso didattico;
motivare lo studente coinvolgendolo in attività comunicative stimolanti;
262
utilizzare tecniche varie e diversificate che possano soddisfare diversi stili
di apprendimento, perché non tutti apprendono allo stesso modo (c’è chi
preferisce lavorare in gruppo, chi da solo, c’è chi segue ritmi più lenti).
Sono le ultime indicazioni della scheda, quelle che riassumono la validità
o meno del materiale da analizzare: se nel manuale che state valutando nessuno di questi parametri viene soddisfatto, cestinatelo. Se, invece, tutte queste componenti sono presenti, è molto probabile che il testo sia valido.
Nella pagine seguenti, la scheda intera.
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Conoscenza italiano
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Lingua M
bambini
adolescenti
adulti
eterogenea
unica
scarsissima
sufficiente
buona
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Età
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DESTINATARI
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3. scheda di analisi di un manuale di italiano
Facili
Difficili
Stimolante
Per comportamenti grammaticali
Comunicativo generale
Anche per abilità integrate:
saper dialogare
saper prendere appunti
saper riassumere
saper parlare su traccia scritta
Per abilità specifiche:
ascolto
lettura
UD per funzioni/situazioni
UD per attività
UD tematiche
Esplicitati
Con informazioni adeguate
Coerenti con argomento UD
Con attività di rinforzo delle altre abilità
Sufficienti
Diversificati
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ISTRUZIONI
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GRAFICA
APPROCCIO
METODOLOGIA
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CULTURA
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TESTI
ASCOLTO (Dialogo)
ORIENTAMENTO
INIZIALE
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COMPRENSIONE
ORALE
Autentici
Interessanti
Vari per registro: colloquiale/informale
Vari per area geografica
Vari per genere:annunci, articoli, lettere…
Autentico
Per situazione comunicativa
Per velocità d’eloquio
Tramite elicitazione
Con illustrazioni
Con parole chiave
Attività di guida all’ascolto con scelta multipla /
Vero o Falso/griglie, ecc.
Attività di decodificazione con scelta multipla / griglie
Transcodificazioni
Cloze
Domande
Ascolto - Ripetizione
Simulazione/ drammatizzazione
Role play/ dialogo aperto
Scambi di informazioni
Giochi
Discussione
Con impiego di vari registri: formale/colloquiale
Con varie tipologie di testi
Annunci / cartoline / testi pubblicitari
Articoli
Racconti
Poesie
Varie
Scelta multipla/ Vero o Falso
Griglie /Riordino
Cloze
Domande
Con attività graduate
Trasformazione
ad altro genere comunicativo
ad altro genere testuale
a registri diversi
Composizione
Con attività integrate:riassunti /appunti
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PRODUZIONE
ORALE
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CON ATTIVITÀ DI
COMPRENSIONE
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COMPRENSIONE
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Del testo e della comunicazione
Della frase
Con presentazione induttiva
Con inclusione ed esclusione
Riordino
Con attività di fissazione numerose e varie
Con manipolazioni di tipo strutturale
Con riempimento di spazi
Con cloze
Con specchietti finali
LESSICO
Con sezione specifica
Abbinamento
Inclusione/Esclusione / Seriazione
Cloze
Con indice finale
FONOLOGIA
Esercizi sul ritmo, sulla intonazione
MODALITA’ DI LAVORO Flessibile
Con attività per gruppi
A coppie
Individuali con chiave delle risposte
MATERIALE
Sezione di ripasso o rinforzo
INTEGRATIVO
Sezione per il testing
Audiocassetta / Videocassetta
Cd rom
Siti su Web
EFFICACIA
Il materiale e le attività sono motivanti
Le strategie sono diversificate
Soddisfano diversi stili di apprendimento
Si possono ritagliare percorsi modulari
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GRAMMATICA
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Capitolo 19
L’UtiLiZZo deL Video
neLLa didattiCa deLL’itaLiano Ls
Paolo Torresan
1. apprendimento spontaneo e apprendimento guidato
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Si sta sempre più sfatando la convinzione che l’insegnante possa esporre
la classe ad una sequenza video al solo scopo di intrattenere gli studenti.
Quello che si riscontra nella pratica è piuttosto una flessione dell’attenzione
man mano che una serie ripetuta di input viene presentata, senza che lo studente disponga degli strumenti necessari per inferire i significati.
Detto altrimenti, l’esposizione tout court ad una sequenza video, per
quanto questa possa risultare interessante e piacevole e per quanto la lingua
sia sempre in contesto, non è garanzia di successo da un punto di vista glottodidattico. Così, mentre fenomeni di apprendimento spontaneo sono circoscrivibili a situazioni di forte motivazione e a grandi aspettative di integrazione1, in una normale classe di lingua il docente è chiamato a progettare percorsi di acquisizione che suscitino la motivazione e l’interesse, guidino la
comprensione, spingano all’analisi di una o più componenti (linguistiche,
paralinguistiche ed extralinguistiche) e inducano ad una sintesi conclusiva
dei contenuti e delle forme.
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2. alcune costanti della ricerca
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Nell’ultimo ventennio si sono moltiplicate, sia all’estero che in Italia,
riflessioni e ricerche sui criteri e le modalità che un insegnante di lingua
dovrebbe seguire al fine di sfruttare al meglio il video in classe. Riportiamo
nei paragrafi seguenti le considerazioni più interessanti che ne sono emerse.
2.1 L’utilizzo del video rispetta il principio di direzionalità espresso da
Danesi
Il principio di direzionalità si postula a partire dalla distinzione tra le funzioni a cui sono demandati l’emisfero destro e l’emisfero sinistro del cervello (principio di bimodalità): mentre il primo è deputato alla sintesi globale
1 Si pensi all’apprendimento “spontaneo” dell’italiano degli albanesi in Albania attraverso la
televisione.
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dei significati e all’intuizione complessiva degli aspetti non verbali della
comunicazione, il secondo è preposto all’analisi sequenziale dei dettagli, agisce secondo le leggi della logica, segue percorsi lineari e si focalizza sulla
dimensione verbale della lingua. Danesi sostiene che quando si impara una
lingua, la mente segue un ordine preciso, afferrando prima il significato globale, quindi scendendo nell’analisi dei particolari.
Il video rispetta questa direzione “naturale” dell’apprendimento per il
fatto che “il senso visivo permette il massimo di informazione nel minor
tempo possibile. L’occhio prende contatto in modo immediato con l’oggetto
percepito, non analizza i particolari delle immagini e attiva le funzioni dell’emisfero destro del nostro cervello, al quale sono prevalentemente legati i
processi correlati alle immagini, all’organizzazione spaziale e alle attività globali” (Troncarelli 1994).
Diverse ricerche dimostrano inoltre l’efficacia del linguaggio iconico ai
fini di una memorizzazione a lungo termine: accade che si ricordi il 10% di
ciò che si vede, il 20% di ciò che si ascolta, il 50% di ciò che si vede e si
ascolta (Begley 1994, citato in Porcelli, Dolci 1999, p. 52).
In sintesi si può affermare che con il video si impara in modo efficace e si
ricorda di più.
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2.2 Il video è un veicolo di lingua autentica
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L’evoluzione delle tecnologie, che nel nostro Paese ha registrato un forte
incremento a partire dagli anni Ottanta, si è legata al diffondersi dell’approccio comunicativo, sotto la spinta di un forte interesse per l’aspetto pragmatico e per una comunicazione autentica. Presentare agli studenti testi
scritti da nativi per nativi ha costituito una sfida e ha significato un orientamento della glottodidattica decisamente nuovo: il testo autentico e scelto in
base agli interessi, all’età e ai bisogni linguistici dei discenti, è il luogo in cui
si esplicano i processi di inferenza, in cui si esplorano i significati e si focalizzano via via le forme che l’insegnante intende analizzare.
In realtà, l’insegnante che intende usare il video può contare pure su una
discreta mole di materiali strutturati presenti nel mercato - video pensati ad
hoc per studenti di italiano come LS (documentari, film semiautentici, etc.),
caratterizzati da un lessico e da una sintassi relativamente semplificati; tuttavia si tratta di materiali spesso inefficaci nel rappresentare la realtà del Paese,
sia dal punto di vista linguistico (la lingua usata nasce dallo scritto ed è
distante dalle reali strategie messe in atto in una normale comunicazione faccia a faccia) sia da quello culturale (alcuni prodotti rinforzano, anziché sfa267
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tare, i più diffusi stereotipi sull’Italia).
Diversamente, i materiali autentici (vale a dire i programmi televisivi o le
pellicole cinematografiche di cui l’insegnante seleziona e didattizza una o più
sequenze) hanno il pregio di essere attuali e riscuotono perciò un maggior
interesse da un punto di vista culturale e sociolinguistico.
Nella sua preziosa ricerca del 1994, P. Diadori ha mostrato come l’italiano televisivo sia per così dire “sospeso” tra oralità e scrittura. In effetti, malgrado il messaggio raggiunga gli spettatori principalmente attraverso il canale uditivo, la natura testuale di molti prodotti video si presenta fortemente
caratterizzata dalle “norme” tipiche dello scritto. Ciò vuol dire che sotto la
dicitura “materiali autentici” rientrano testi che si distinguono per un maggiore o minore grado di controllo della lingua. Nei servizi giornalistici, così
come nelle voci fuori campo dei documentari, prevale un parlato-scritto (letto
ad alta voce), che presenta la tipica testualità della scrittura, un’oculata pianificazione e una necessità di esplicitazione, mentre nei dialoghi dei programmi di intrattenimento, nelle telefonate ai concorrenti di un quiz, nelle
interviste improvvisate prevale un parlato-parlato (spontaneo nel caso della
candid camera), dove le difficoltà di comprensione dovute alle variazioni diastratiche e diatopiche, ad eventuali rumori di sottofondo, ecc., sono in un
certo qual modo “compensate” da alcune caratteristiche proprie dell’oralità,
che possono orientare la comprensione: le ripetizioni, l’uso sovrabbondante
di connettivi, una relativa semplicità sintattica, le pause, etc. Tra i due estremi, tra il parlato-scritto e il parlato-parlato, si collocano alcuni gradi intermedi: il parlato-recitato da copione (che è quello di molti attori e dei doppiatori), il parlato-recitato “a braccio” (tipico di alcuni attori, come Benigni, i quali,
pur seguendo una scaletta mentale o scritta, puntano sull’improvvisazione) e
il parlato-controllato (vale a dire quello di alcuni presentatori, dei cronisti e
degli esperti di varie discipline, i cui interventi si basano il più delle volte su
scalette preparate in precedenza).
2.3 Rilievo delle componenti extralinguistiche nel video
L’immagine viene in soccorso alla parola: quanto si vede (sia in termini di
ambientazione che in termini di personaggi) permette di contestualizzare ed
anticipare ciò che sta per esser detto. Si parla, più in particolare, di ridondanza o complementarità dell’immagine quando il linguaggio iconico rafforza o completa quanto espresso dalle parole, semplificando di conseguenza la
comprensione.
Chi ascolta un brano audioregistrato è in grado di percepire le compo268
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nenti paralinguistiche della comunicazione (pronuncia, intonazione, timbro,
velocità di eloquio) e di penetrare meglio le intenzioni psicologiche degli
interlocutori. Con il video si possono esaminare e valutare distintamente le
componenti extralinguistiche: la gestualità, la mimica facciale, i cenni del
capo, la distanza tra gli interlocutori, il significato sociale di oggetti e vestiti.
Tecniche didattiche come il doppiaggio o la drammatizzazione valgono, in
un momento successivo, al fissaggio dei tratti sovrasegmentali e degli aspetti
extralinguistici oggetto di analisi (preziosi suggerimenti in Rostagno 1999).
È chiaro d’altronde che una didattica orientata ad un confronto interculturale promuove la selezione di filmati che mettono in luce quegli aspetti
della società che stimolano discussioni circa le differenze che intercorrono
con la cultura propria dell’allievo; diventa ancora più proficuo tale confronto se l’allievo è stimolato a formulare un giudizio critico sulle stesse modalità
mediante le quali il regista ha deciso di presentare una certa immagine della
cultura della lingua obiettivo (Triolo 2003).
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2.4 Variabili che determinano le difficoltà di comprensione di uno spezzone
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La consapevolezza delle variabili da cui dipende la difficoltà di comprensione di un brano agevola l’insegnante nella selezione e nella classificazione
dei materiali (Diadori 2001).
Un’analisi sul grado di complessità dei processi inferenziali permette di
stabilire, in primo luogo, fino a che punto l’interlingua dello studente può
spingersi nell’interpretazione dei significati presenti nel testo. È chiaro che
più complessi sono i processi inferenziali, più difficile sarà la comprensione.
In secondo luogo, benché l’immagine tenda generalmente a favorire un’operazione di “colmatura” delle informazioni veicolate dalla lingua (rapporto
di ridondanza o di complementarità con il suono), non è raro il caso in cui
tra suono e immagine si dia un rapporto parallelo (il contenuto delle parole
è indipendente da quello delle immagini) o contrario (le immagini contraddicono i significati trasmessi dalle parole), con ovvia difficoltà per lo spettatore straniero.
Una struttura narrativa compiuta e lineare e aperta a più possibilità di
didattizzazione costituisce un parametro positivo sul piano della comprensibilità.
La presenza di rumori di sottofondo invece, come avviene nella presa
diretta, comporta una minore nitidezza del suono; alla pari, un testo risulta
più difficile da capire quanto maggiore è il numero degli interlocutori, quanto più la pronuncia si caratterizza diatopicamente e quanto minori sono le
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informazioni extralinguistiche (è molto più facile comprendere il messaggio
di un parlante in primo piano rispetto a quello di una voce fuori campo).
Diverse strategie di comprensione, e quindi diversi gradi di difficoltà,
vengono attivate a seconda della modalità di codificazione, ovvero della
natura testuale, orale o scritta, del testo audiovisivo; è un argomento a cui
abbiamo già accennato e che approfondiremo nel paragrafo successivo.
Per inciso, ci preme sottolineare l’opportunità di valutare i contenuti culturali; se troppo marcati o troppo distanti dall’universo di valori della cultura d’origine dello studente, potrebbero generare una barriera di tipo “emotivo”, se non addirittura “etico”, con una conseguente reazione di rigetto
(Maggini 2001).
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2.5 Differenti possibilità di utilizzo didattico delle varie tipologie testuali
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I materiali che vengono più largamente usati dagli insegnanti di italiano
sono la pubblicità, il telegiornale, il film e il talk-show; seguono i videoclip,
le previsioni del tempo, i documentari (Cassandro 1999).
La pubblicità è un prodotto raffinato, che gioca su più codici: il colore e
le immagini (di solito ridondanti), gli spazi (che creano un vero e proprio
schema narrativo), le testura (la trama e la confezione degli oggetti), la musica e soprattutto il linguaggio, caratterizzato da un’estrema densità espressiva
e da un uso sapiente e sorprendente delle figure retoriche, al fine di generare un processo di persuasione. Nella società dell’informazione la pubblicità
produce una sorta di “alluvione comunicazionale”: le statistiche riferiscono
che il cittadino italiano viene raggiunto dai messaggi pubblicitari in media
200 volte al giorno, fra giornali, riviste, annunci, radio, Internet, televisione,
cinema, manifesti. Lo scopo della pubblicità è quello di affermare un prodotto e suscitare un goodwill, servendosi di strategie che mirano a penetrare
la sfera emotiva del destinatario; il senso dell’inedito, l’orgoglio e la sicurezza, la comodità, l’affettività sono le caratteristiche di una pubblicità efficace,
che fa leva cioè sui desideri dei consumatori (Zonta R., Passeri R. 1990,
Fabris 1995). È chiaro allora che lo spot non informa solo sul prodotto, ma
è un’espressione più o meno manifesta dei costumi sociali, delle tendenze,
delle mode e dei valori di una cultura. Da un punto di vista didattico, la spendibilità di uno spot risiede nella sua brevità (è quindi ottimo per i livelli elementari), nel forte accento dato alle componenti extralinguistiche, nonché
nella possibilità di tematizzare alcuni aspetti morfosintattici, quali: l’indicativo presente (per affermare la qualità di un prodotto), l’imperativo (per esortare all’acquisto), il futuro (per promettere), i comparativi e i superlativi (per
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paragonare o affermare l’eccellenza del prodotto).
Il telegiornale è il modo italiano di vedere il mondo, e come tale si presta
ad osservazioni di tipo interculturale: si possono, ad esempio, invitare gli studenti a individuare le caratteristiche di un notiziario italiano e metterle a
confronto con quelle di un notiziario del loro Paese (serio/ superficiale; tendenzioso/ obiettivo; sensazionale/ pacato; etnocentrico/ aperto ai fatti internazionali, etc.). La divisione delle informazioni in rubriche (politica, cronaca, economia, sport, spettacolo, etc.), e quindi in sequenze, facilita, ai fini
della comprensione, l’individuazione delle 5 W, permette un arricchimento
lessicale e stimola la capacità di sintesi; al pari, la descrizione degli avvenimenti, la previsione di piani futuri, etc., aiutano a focalizzare l’attenzione
sulla sintassi e la morfologia. La natura scritta del testo parlato a voce alta dal
giornalista, la velocità di eloquio, l’assenza di pause, il fatto di dare per scontate una serie di informazioni (sigle, contratti, associazioni, neologismi della
politica, metafore, ecc.) costituiscono notevoli difficoltà alla comprensione.
Come precisa Zonari (1997), nel telegiornale la comprensione è affidata per
lo più alla parola: le immagini hanno una funzione di supporto e a volte possono addirittura disorientare il discente a causa di una relazione contraria
con i contenuti verbali. È bene pertanto, ogni qual volta si sceglie di agevolare la comprensione, presentare sequenze in cui la ridondanza o la complementarità tra suono e immagini siano abbastanza forti. Da un punto di vista
sociolinguistico negli ultimi anni si è registrata una considerevole oscillazione del parlato dei notiziari verso pronunce regionali (Bosc, Malandra 2000).
Il cinema italiano ha vissuto la sua stagione felice all’epoca dei capolavori
del neorealismo e della successiva sperimentazione onirica del genio felliniano. Meno conosciuta all’estero e più tenue da un punto di vista di valore
cinematografico è la commedia all’italiana, nel suo ritratto agrodolce
dell’Italia del boom, dell’emigrazione interna, della furbizia e della volontà di
sopraffazione. I registi che si sono distinti negli ultimi anni e che hanno avuto
un’eco internazionale, tendono, eccezion fatta per Moretti e la Archibugi, a
tornare idillicamente all’Italia della guerra o del dopoguerra (l’Italia da cui i
nonni degli studenti d’italiano sono partiti per l’America o l’Oceania), in uno
slancio che, seppur apprezzato dalla critica e dal pubblico (basti pensare ai
riconoscimenti assegnati a Salvatores, Benigni, Tornatore e Amelio), pregiudica in un certo qual modo l’utilizzo didattico delle rispettive opere, inattuali sia dal punto di vista linguistico che da quello culturale.
Un’operazione delicata per la presentazione di un film è la selezione della
sequenza. Se si vuole garantire una “tenuta” dell’attenzione degli studenti, la
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durata dello spezzone non dovrebbe superare i cinque – sei minuti; occorre
inoltre che la scena abbia una sua compiutezza e non presenti eccessivi
rimandi alle scene precedenti. La sequenza dovrebbe andare incontro agli
interessi culturali, ai gusti personali e all’età dei discenti, corrispondere al
loro livello di conoscenza della lingua, e fornire stimoli nuovi o rinforzare
strutture e contenuti appresi in precedenza. È necessario che la sequenza si
raccordi (è un criterio valido del resto per ogni genere testuale) con l’intera
programmazione curricolare (che non rappresenti cioè un’esercitazione circoscritta), ed è auspicabile che sia il “nodo” di un complesso reticolo modulare, per cui il testo video si lega ad altri tipi di testo (articoli di giornale,
recensioni, pagine web, canzoni, etc.): le tematiche affrontate vengono così
ulteriormente approfondite, e si costituisce alla fine quella fitta rete di significati che sta alla base di ogni processo di acquisizione.
I talk show sono un’autentica miniera sociolinguistica, poiché fortemente
caratterizzati diatopicamente. Inoltre, con la loro bizzarra asintatticità, presentano una vasta gamma di caratteristiche proprie della lingua parlata: le
ripetizioni, le riprese, gli anacoluti, le esitazioni, la ridondanza di alcuni riempitivi, etc. Le espressioni del volto, il cenno del capo per annuire o negare, il
movimento delle mani, il modo di marcare con il corpo il proprio intervenire alla discussione per prendere la parola, etc., possono essere il punto di
partenza per un’analisi contrastiva, mentre alcune routine linguistiche (dalla
presentazione degli ospiti alle espressioni usate per contraddire, argomentare, ribadire, etc.) sono utili per allargare la consapevolezza linguistica e l’uso
di nuove strategie comunicative.
Amati dal pubblico giovanile, i videoclip presentano una serie di difficoltà
in termini di comprensione a causa dell’indipendenza delle immagini dal
suono (relazione parallela). Ciononostante se ne riscontra un discreto uso
nelle classi di italiano, come motivo di ampliamento di unità di apprendimento basate sulla canzone o come stimolo per attività ludiche, quali il
karaoke (Cardona 1998).
Sono interessanti, per un livello elementare, le previsioni del tempo: la
comprensione è facilitata da una struttura fissa e ripetitiva e dalla presenza
di grafici, simboli e numeri, che inducono a progettare attività di transcodificazione.
È una convinzione abbastanza diffusa che i documentari sull’Italia rappresentino un ottimo veicolo per diffondere la conoscenza della cultura e dei
costumi del nostro Paese, occorre però non sottovalutare la difficoltà della
lingua: benché la pronuncia sia scandita e la qualità del suono sia ottima, le
272
costruzioni sintattiche sono complesse, ricche di subordinate e di incisi, e il
lessico tende ad essere specialistico, fino a rasentare talvolta l’ambito microlinguistico.
Esistono infine alcuni materiali che rimangono piuttosto inesplorati: le
lotterie, le notizie sportive (ottime entrambe per svolgere attività sui numeri),
le televendite (da cui si possono ricavare attività lessicali) e i cartoni animati
(i quali, pur presentando una trama semplice, per cui la formulazione di ipotesi è facilitata dalla prevedibilità degli eventi, implicano alcune difficoltà di
comprensione, dovute in specie alla pronuncia nasale e a una discreta velocità di eloquio).
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2.6 Spunti per la didattizzazione
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Esiste una ricca bibliografia sui criteri mediante i quali si può progettare
proficuamente un’unità didattica basata sul video (tra gli altri: Giraudo 1991;
Continanza, Diadori 1997; Diadori 1992, 1994, 2001; Vannini 1994; Andres
1996; Fratter 2000; Bosc, Malandra 2000). Attraverso una sintesi delle diverse esperienze possiamo riassumere alcune tecniche di base da utilizzare nelle
diverse fasi di un’unità.
Per attivare nello studente le conoscenze pregresse al fine di introdurlo al
tema e di predisporlo ad un’anticipazione dei contenuti, l’insegnante può
ricorrere a: un brainstorming; una esplorazione delle parole-chiave; una
esplicitazione della situazione generale in cui si svolge l’episodio, dei ruoli
dei personaggi, dei loro stati d’animo, del contesto storico e sociale; una ricognizione delle scene precedenti; una descrizione della vita e dello stile del
regista, ecc.
Per introdurre lo studente alla visione e all’ascolto della sequenza l’insegnante può altresì decidere di separare i canali audio e video (Lonergan
1988; Stemplesky, Tomalin 1990), procedendo ad una visione senza suono
(vision on and sound off) oppure ad un ascolto senza visione (sound on and
vision off) o infine a una visione scissa (split viewing). Nel primo caso gli studenti, concentrati solo sulle immagini, formulano ipotesi sul contenuto della
storia (ai livelli più bassi si può semplicemente chieder loro di porre attenzione a relazioni statiche e descrivere persone, oggetti e ambienti); è una tecnica che, oltre a creare aspettative e suscitare interesse, permette di isolare ed
esaminare distintamente le componenti extralinguistiche. Escludendo invece
la visione dallo schermo e invitando la classe ad un ascolto dei dialoghi, si
mira a un’operazione di segno opposto: ricostruire la storia, e quindi avanzare una serie di ipotesi su avvenimenti, relazioni tra i personaggi, etc., a par273
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tire dal solo dato acustico. È chiaro che mediante una visione completa gli
studenti sono messi nelle condizioni di verificare le loro supposizioni. Nel
caso di una visione scissa, infine, avviene un confronto tra i membri della
classe che hanno assistito ad una visione senza suono e quelli che, in un’aula
distinta, hanno solamente ascoltato i dialoghi; si può prevedere un terzo
gruppo che ricostruisce la scena assieme agli altri a partire dalla lettura della
sceneggiatura o del romanzo da cui il film è tratto (Granone, 1999).
Altre modalità per stimolare la formulazione di ipotesi e la capacità di
predizione sono il blocco dell’immagine (pause/ freeze – frame control) e il
riordino delle sequenze (jumbling sequences). Per quest’ultima attività è
necessario disporre di due videoregistratori, in modo da doppiare la scena
originale (Jobst, 1999; Rostagno, 1999).
Per sviluppare o verificare la comprensione si può ricorrere a tecniche
“tradizionali”, quali: griglie, scelte multiple, domande aperte o chiuse, vero
o falso, abbinamento (personaggi-luoghi, personaggi-azioni, personaggiruoli), riordino (ridefinire l’ordine in cui compaiono i personaggi e le loro
azioni, con la presenza o meno di un intruso), incastro di parole o frasi (da
mettere nell’ordine giusto secondo l’ordine di comparsa nel filmato), transcodificazione, etc.
Attività di analisi a carattere morfosintattico o lessicale richiedono che lo
studente abbia sottomano una trascrizione più o meno completa del brano
in questione. Si possono creare cloze, scombinare l’ordine sintattico di alcune frasi presenti nel testo (che devono essere riordinate dallo studente e
quindi confrontate con l’originale), fornire griglie lessicali (i nomi dei personaggi in una colonna, gli aggettivi che esprimono il loro carattere in un’altra),
proporre attività di seriazione, di inclusione, ecc.
Pure la sociolinguistica, la cinesica e la pragmatica (gli studenti esplicitano la realizzazione linguistica di determinati atti comunicativi) possono essere oggetto di un percorso guidato di riflessione.
Nella fase di sintesi, dove si punta a un’appropriazione dei contenuti
attraverso un reimpiego meno guidato, si può disporre di una vasta gamma
di attività: drammatizzazione, role-play, prosecuzione scritta o orale della
scena, doppiaggio, stesura di una lettera a nome di un personaggio, quiz
(Catizone, Humphris 1999, pp. 44-46), ricerca in Internet di informazioni
aggiuntive sull’argomento affrontato (Diadori 2001), ecc.
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2. Produzione di materiale audiovisivo
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riferimenti bibliografici
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L’insegnante e gli studenti possono vestire i panni del regista e produrre
materiali video.
L’insegnante può videoriprendersi o farsi videoriprendere, per esempio,
allo scopo di osservare il proprio modo di interagire in classe, il proprio linguaggio del corpo, la gestione dei turni di parola, l’eventuale preferenza
accordata ad alcuni studenti rispetto ad altri, etc.: un insieme di osservazioni utili a valutare la qualità del proprio insegnamento mediante un autentico
percorso di Ricerca-Azione.
L’insegnante può inoltre videoriprendere scambi tra nativi in un contesto
spontaneo o semiautentico, e creare scenari incentrati su funzioni comunicative specifiche (salutarsi, dare ordini, etc.), oppure riprendere gli studenti
durante le attività di gruppo per valutare, tra le altre cose, il ruolo della leadership, eventuali progressi a distanza di tempo, le dinamiche di autocorrezione, etc.
I corsisti possono invece girare sketch di programmi televisivi di vario
genere (pubblicità, telegiornale in chiave ironica, etc.), realizzare interviste a
nativi o montare piccole sequenze di film per le quali si sono accordati sui
contenuti e hanno steso una sceneggiatura; si tratta di un’attività estremamente motivante, specie in classi plurilingui: la continua negoziazione dei
significati è un esempio concreto di lingua veicolare.
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277
Capitolo 20
softWare neLLa didattiCa
deLL’itaLiano Ls
Paola Celentin
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L’editoria multimediale mette a disposizione dell’insegnante una quantità
crescente di software utilizzabili in ambito didattico. Alcuni di essi nascono
come espressamente dedicati all’apprendimento, altri invece nascono per fini
diversi, ma possono essere validamente utilizzati anche per fini didattici. Il
problema fondamentale, secondo noi, non è tanto la “quantità” e la “raggiungibilità” dei software (basta digitare in un qualunque motore di ricerca
“software per la didattica dell’italiano lingua straniera” per veder comparire
centinaia di siti) quanto piuttosto la qualità degli stessi e la loro effettiva attitudine didattica.
Per questo motivo, attraverso le pagine seguenti, intendiamo proporre un
percorso di riflessione sui significati e sulle implicazioni dell’uso dei software didattici, per giungere a focalizzare l’attenzione sulla valutazione critica
degli stessi.
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1. L’ergonomia cognitiva
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L’ergonomia è una “disciplina scientifica che si occupa dei problemi relativi al lavoro umano in rapporto alla progettazione delle macchine e agli
ambienti di lavoro”1. L’ergonomia cognitiva ha come oggetto di studio più
specifico l’interazione tra il sistema cognitivo umano e gli strumenti per l’elaborazione di informazioni. La conoscenza prodotta da questo studio è utilizzata per supportare la progettazione di strumenti appropriati per svariati
usi, dal lavoro, all’educazione, al divertimento2. Nel settore dell’informatica
si parla anche di IUM, interazione uomo-macchina (in inglese CHI, computer-human interaction); per quanto riguarda invece i siti Web si usa di solito
il termine “usabilità”3.
È possibile effettuare una classificazione sommaria dei prodotti (di tutti i
prodotti) partendo dal punto di vista ergonomico, tenendo conto che l’ergonomia non è una scienza prescrittiva, ma piuttosto una metodologia per osserDizionario della lingua italiana Devoto-Oli (2000).
Dallo statuto della Società Europea di Ergonomia Cognitiva – EACE, costituita nel 1987.
3
Anzalone F., Caburlotto F. (2002), Comunicare in rete = l’usabilità, Milano, Lupetti.
1
2
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vare come si comporta l’individuo quando ha a che fare con le tecnologie.
Tracciando un sistema cartesiano i cui due assi rappresentino la gradevolezza e l’utilità, i prodotti si possono collocare come nello schema seguente4:
bello
buon design
sfarzo tecnologico
(cattivo design)
ergonomico
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Introdurre la nozione di ergonomia nell’ambito specifico della didattica
significa dare avvio ad una riflessione sulle modalità più adatte per svolgere
in modo efficace una funzione educativa, al fine di:
- creare situazioni idonee all’attività cognitiva di chi apprende;
- evitare dispersione, noia, disinteresse;
- fare in modo che il sistema uomo-macchina funzioni5.
Ogni qual volta vengano impiegati software per l’attività didattica sarà
quindi opportuno verificare che la condizione di impiego risponda alle
seguenti caratteristiche:
- il problema cognitivo da affrontare sia tale da giustificare l’impiego del
mezzo tecnologico per la sua risoluzione;
- la tecnologia non sia talmente complicata da utilizzare da assorbire la
maggior parte dell’energia dell’utente, facendo passare in secondo
piano il problema cognitivo da risolvere;
- l’atteggiamento dell’utente non sia passivo, ma piuttosto che vi sia sinergia fra la mente e il media utilizzato;
Tratto dall’intervento di Bonaiuti G., “Ergonomia delle interfacce e apprendimento” al seminario di
aggiornamento per insegnanti di ogni ordine e grado di scuola “Didattica in rete - materiali e giochi online,
18 - 19 novembre 2002”, IPRASE del Trentino
5
Calvani M. (2001), Educazione, Comunicazione e nuovi media, Torino, Utet
4
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- il contesto didattico circostante sia adeguatamente orientato, evitando
interferenze con la soluzione del problema.
1.1 Teorie dell’apprendimento e tecnologie didattiche
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Un approccio scientifico all’utilizzo delle tecnologie in ambito didattico
non può prescindere da un’analisi del materiale stesso alla luce delle indicazioni offerte dalle teorie sull’apprendimento. Un diverso approccio metodologico porta chiaramente l’insegnante a porsi domande differenti nei confronti del media che sta usando, e l’evoluzione delle teorie sull’apprendimento ha portato anche a una progressiva trasformazione del ruolo delle tecnologie didattiche e degli attori della scena educativa.
La prima teoria che si è confrontata con l’istruzione attraverso macchine
è stata la teoria neo-comportamentista, che vede l’apprendimento come un
processo di interiorizzazione di schemi di comportamento intesi come meccanismi inconsci di reazione agli stimoli6. È in questo contesto che nasce il
CAI, Computer Assisted Instruction, che vede la macchina come fornitrice
di stimoli a cui lo studente deve rispondere in modo meccanico. In quest’ottica l’interesse specifico dell’insegnante è chiaramente valutare se la forma e
il modo in cui lo stimolo viene presentato influiscano sulla risposta che lo
studente fornirà.
Questa forma di utilizzo meccanicistica del computer viene messa in
discussione dal cognitivismo, che mette l’accento sui processi interni e suggerisce di tener conto dei fattori cognitivi che favoriscono il raggiungimento
degli obiettivi didattici, e non soltanto gli obiettivi stessi. Ai fini cognitivisti
la “macchina” diventa interessante nella misura in cui permette di articolare
gli input sensoriali al fine di attivare nell’utente dinamiche mentali in grado
di accrescere la qualità delle sue prestazioni. Il computer quindi, che permette di agire lavorando con più codici rispetto al materiale didattico tradizionale, viene rivalutato in quanto facilitatore di stili di apprendimento differenziati.
Un particolare aspetto del cognitivismo, quasi un corollario, è il costruttivismo, secondo il quale l’apprendimento è visto come un impegno attivo da
parte dei discenti a costruire la propria conoscenza, piuttosto che come travaso della conoscenza dalla mente del docente a quella dello studente. In
conseguenza di questo si amplia l’angolo dal quale vengono osservate le tec6
Skinner B.F. (1957) [1976], Verbal Behavior, New York, Appleton-Century-Crofts (trad. it. Il
comportamento verbale, Armando, Roma).
280
nologie didattiche, andando ad indagare anche sulla predisposizione degli
ambienti, sulla tipologia di scaffalature (scaffolding) con le quali vengono
modulate le opportunità formative e sull’impatto che questi elementi hanno
sulla motivazione individuale all’apprendimento.
1.2 La progettazione di software didattici
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La conoscenza e il rispetto delle teorie dell’apprendimento sono elementi fondamentali nella progettazione e nella realizzazione di software a fini
didattici. Infatti, in qualsiasi interazione uomo/macchina, ovvero dietro ogni
“interfaccia”7, ci sono sempre due soggetti:
- l’utente, cioè colui che utilizza il software;
- il progettista, cioè colui che ha pensato e realizzato il software, cercando
di anticipare i bisogni e le scelte dell’utente.
Molto spesso accade però che ci sia uno “scollamento” fra caratteristiche
del prodotto finito e reale valenza didattica del prodotto stesso. I sussidi glottotecnologici, le tecnologie avanzate, oltre che la ricerca tecnologica applicata all’insegnamento, rischiano di diventare delle sezioni autonome e separate dalla didattica: mancando infatti il personale docente/ricercatore che
esprima problemi ed esigenze in questo campo, la componente tecnologica
trova un’autogiustificazione nel proprio operato senza poter sottoporre i
risultati ad applicazioni e verifiche pertinenti.
Il pericolo è quindi quello di avere dei prodotti “sfavillanti” dal punto di
vista tecnologico ma assolutamente inadatti a favorire l’apprendimento.
Per questo motivo abbiamo ritenuto importante, all’interno di questo
capitolo, cercare di favorire una riflessione sull’uso e sulla valutazione dei
software didattici per l’insegnamento dell’italiano LS, piuttosto che riportare un elenco di programmi che diventerebbe obsoleto già all’atto della pubblicazione.
2. L’utente davanti allo schermo
Cerchiamo ora di analizzare le dinamiche che vengono poste in atto al
momento dell’utilizzo di un software da parte di un utente e le possibili
risposte tecnologiche a questo utilizzo.
7
Nell’ambito informatico l’interfaccia è un meccanismo che permette all’utente di accedere alle
funzioni di uno strumento tecnologico, traducendo il “linguaggio” umano in quello della macchina.
281
2.1 Il processo di fruizione del software
Come avviene la fruizione di un software da parte dell’utente? È importante osservare questo processo per poter esprimere poi dei giudizi sulla validità o meno ai fini didattici di un determinato programma. Questa fruizione
avviene normalmente in tre tappe.
1. L’azione
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L’utente non è una tabula rasa. Quando si pone davanti al computer ha
una propria serie di riferimenti (culturali, sociali, operativi…) che lo portano ad assumere un certo tipo di atteggiamento. A questo bisogna aggiungere il ruolo giocato dal “contesto d’uso”: l’ambiente di apprendimento (sia
fisico che informatico) porta l’individuo a costruirsi dei modelli mentali di
funzionamento. Attraverso il mapping, ossia l’insieme di “correlazioni logicospaziali fra quello che l’utente vuol fare e ciò che appare (o è) fattibile”8, si
ha l’azione vera e propria.
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2. Il feedback
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Con il termine feedback si intende l’informazione di ritorno che comunica all’utente l’esito della sua azione. In questo modo l’utente si rende conto
di aver fatto una scelta giusta oppure sbagliata e può proseguire qualora il
feedback sia positivo.
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3. Situazione imprevista
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Quando il feedback è negativo l’utente mette in atto nuove strategie per
porre rimedio al fatto compiuto, cercando di tenere coerente il sistema delle
proprie conoscenze e credenze.
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Quest’analisi dell’interazione uomo-macchina ci porta a riflettere sul
ruolo attivo svolto dall’interfaccia e su come le sue caratteristiche di programmazione possano influire sull’uso soddisfacente del software da parte
dell’utente. È evidente che uno strumento complicato da usare difficilmente
faciliterà l’apprendimento, in quanto l’intero sforzo cognitivo dello studente
sarà rivolto allo strumento anziché al contenuto.
8
Norman D.A. (1997), La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani, Firenze,
Giunti.
282
2.2 I requisiti di una buona interfaccia
Quali caratteristiche deve quindi avere un’interfaccia per agevolare il processo di apprendimento? Jakob Nielsen9 individua cinque requisiti fondamentali per poter definire un software usabile:
1. Facilità di apprendimento
I programmi migliori sono quelli che non prevedono alcun “costo” di
apprendimento (zero learning time).
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2. Efficienza d’uso
Capacità di adempiere pienamente agli scopi per cui è stato progettato.
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3. Facilità di comprensione
La ricerca è orientata verso una progressiva riduzione dei tempi di ricerca delle informazioni (per usare il software) in memoria, andando verso un
processo di naturalizzazione.
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4. Reversibilità degli errori
Riduzione delle possibilità potenziali di errore (nell’uso del software) e
del loro impatto sull’azione, anche attraverso procedure di ripristino della
situazione precedente all’errore (procedure UNDO)
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5. Soddisfazione nell’uso
Capacità di rendere piacevole e confortevole l’interazione.
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Fondamentalmente, una buona interfaccia deve “sparire” con l’uso, cioè
deve dare all’utente la sensazione di riuscire a portare a termine il proprio
compito primario senza doversi impegnare a controllare gli strumenti con cui
lo sta eseguendo10.
Bisogna però anche rendersi conto che esistono alcuni ostacoli alla progettazione di interfacce di questo genere. Innanzitutto un’interfaccia semplificata potrebbe:
- non essere adatta allo scopo che si intende perseguire;
- non essere gradevole;
- non essere intuitiva e naturale per tutti.
9
10
Nielsen J. (1993), Usability Engineering, San Diego CA, Academic Press.
Visciola M. (2000), Usabilità dei siti Web, Milano, Apogeo.
283
2.3 L’evoluzione delle interfacce
La scienza informatica mette oggi a disposizione dell’utente tre tipi di
interfacce11.
Interfacce simboliche
ti.
I primi dialoghi uomo-macchina sono avvenuti attraverso un linguaggio
molto prossimo al linguaggio macchina, comprensibile solo per gli “iniziati”
e gli “addetti ai lavori”. Nei primi computer messi a disposizione dalla tecnologia era necessario quindi usare dei comandi espliciti, come ad esempio i
comandi da prompt.
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Interfacce atomiche
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È il primo tipo di interfaccia grafica che è stata messa a disposizione dell’utente e che ha rivoluzionato l’immagine del computer. Esso infatti è passato da “calcolatore” a “comunicatore”, in quanto è possibile, attraverso la selezione tra opzioni diverse (ad es. i menu) passare da una funzione all’altra.
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Interfacce continue
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Sono un’evoluzione delle interfacce del secondo tipo, caratterizzate da
un’interazione visiva stretta attraverso l’uso di dispositivi di puntamento
(penne ottiche, mouse, joystick, ecc…).
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L’evoluzione tecnologica delle interfacce ha fatto sì che il computer diventasse accessibile a fasce sempre più ampie di utenza, portatrici ovviamente di
abilità differenziate sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
Soprattutto però si è verificato un interessante fenomeno di diffusione di una
“grammatica di base trasversale” a tutti i software che consente il rapido
accesso ai nuovi programmi, senza dover ripartire da zero ogni volta.
2.4 Ergonomia per la formazione
I progressi informatici rendono quindi disponibile una tecnologia “amichevole” che facilita l’approccio dell’utente con il software. Ci possono però
essere altri fattori che entrano in gioco quando prendiamo in considerazione
l’utilizzo effettivo di questi programmi.
Possono presentarsi delle problematiche tecnologiche, legate alla compati11
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Levialdi (1999), in rete http://cesare.dsi.uniroma1.it/~ium/welcome.html
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bilità fra i software e la piattaforma sulla quale devono essere installati, oppure alla tipologia di connessione ad Internet nel caso di software disponibili
online. Accenniamo poi solo di passaggio alle grossissime difficoltà che le
interfacce grafiche presentano per gli studenti non vedenti.
Particolare cura deve essere riservata alla selezione degli elementi grafici come colori, icone e immagini, valutandone sempre l’uso che ne viene
fatto e la comprensibilità (ricordando anche che gli elementi grafici possono avere connotazioni diverse nelle varie culture e che la distinzione fra gli
elementi non può essere basata solo sul colore in quanto possono esserci
utenti daltonici).
Il linguaggio deve essere scelto in base al contesto culturale a cui il software è destinato, sia in termini di complessità delle scelte linguistiche operate,
sia in termini di connotazioni particolari dal punto di vista semantico.
Il software deve sempre promuovere un giusto equilibrio fra attenzione e
interazione, in quanto scopo specifico di un software didattico è quello di
raggiungere obiettivi di natura cognitiva che passano attraverso un’interazione “strumentale” con la macchina. Tale interazione, se strutturata in modo
opportuno, può diventare essa stessa parte dell’obiettivo formativo.
È infine fondamentale che vi sia pertinenza dei materiali e delle informazioni, cioè che il contenuto esplicitamente didattico sia aggiornato, vario,
attendibile.
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3. La valutazione del software didattico
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Le considerazioni espresse nei paragrafi precedenti focalizzano l’attenzione sulla necessità di valutare i software didattici che possono essere messi
a disposizione dell’insegnante da varie fonti.
Per compiere questo processo di valutazione è fondamentale che l’insegnante possegga competenze di tipo metodologico-didattico e di tipo informatico (almeno essenziali). Spesso però l’insegnante non ha a disposizione
materialmente il software per poterlo valutare e deve comprare a “scatola
chiusa”, senza sapere se il materiale sarà o meno adatto ai propri studenti,
risponderà alla propria metodologia didattica, offrirà contenuti validi, ecc.
Proprio per cercare di porre rimedio a questo problema numerosi enti,
istituzioni, organizzazioni di vario genere si sono mossi al fine di catalogare
le risorse esistenti ed offrire una valutazione di usabilità didattica delle risorse stesse. Una delle iniziative italiane più interessanti in tal senso è il Progetto
per la qualità educativa delle risorse mutlimediali12 promosso dall’INDIRE
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(Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca
Educativa) che ha come fine ultimo quello di stabilire una sorta di “certificazione” per i prodotti didattici offerti dalle nuove tecnologie. Le aziende
possono sottoporre i propri software didattici che verranno esaminati, in
maniera incrociata e indipendente, da due esperti e almeno due scuole, che
li utilizzano nelle attività didattiche e li valutano con una scheda compilata
dagli insegnanti ed una dagli alunni.
Siamo però convinti che, al di là delle valutazioni che possono essere
espresse da istituzioni di maggiore o minore prestigio, resta fondamentale
l’approccio critico dell’insegnante e dello studente nei confronti del software utilizzato. Riteniamo infatti che l’utilizzo passivo e standardizzato dei
media messi a disposizione del sistema educativo, tanto per l’autoapprendimento quanto per l’apprendimento in contesti istituzionalizzati, sia contrario
alla crescita di una cultura della comunicazione tecnologica che non si basi
su facili entusiasmi. Si tratta di sviluppare un atteggiamento cosciente e critico nei confronti non solo del software specifico ma in generale dell’accesso
all’informazione. Al giorno d’oggi, infatti, ha sempre meno senso parlare di
distinzione tra software in senso stretto e Internet visto che stanno progressivamente assumendo la stessa interfaccia di presentazione e di fruizione.
Rimangono però diversi il percorso cognitivo che l’utente svolge per lo sfruttamento delle risorse e le abilità chiamate in causa. Per l’approfondimento di
questo aspetto rimandiamo al contributo di Mezzadri in questo volume.
L’analisi e la valutazione del materiale può quindi partire da alcune
domande che sono orientate a provare l’efficacia pratica e didattica del
software e che possono servire da utile stimolo di discussione anche nell’ambito della classe, per andare verso una progressiva presa di coscienza del proprio percorso di apprendimento e una maggiore autonomia nelle proprie
scelte cognitive13.
Proponiamo qui di seguito quindi una possibile “scheda di valutazione”
formulata attraverso domande per osservare gli oggetti multimediali in funzione del loro impiego in ambito didattico.
12
http://www.bdp.it/software/index.php dove si possono consultare anche le schede di valutazione
proposte.
13
Celentin P., “Autonomia e supporti informatici e telematici nell’insegnamento dell’italiano a
stranieri”, in Dolci R., Celentin P. (2000), La formazione di base del docente di italiano per stranieri, Roma,
Bonacci.
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Scientificità
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Ergonomia
Qual è l’argomento scelto per il percorso didattico?
È interessante?
Chi è l’autore? È conosciuto? È affidabile?
Quali sono i materiali utilizzati?
Sono adatti ad affrontare l’argomento proposto?
Le singole unità sono ben costruite?
Hanno autonomia di contenuti?
Come sono organizzate le unità del percorso?
Le relazioni tra queste unità sono significative e
intuitive?
Come viene comunicato l’obiettivo globale del
software?
È comunicato in modo efficace?
Come è strutturato nel complesso il software?
Questa struttura è chiara, facilmente fruibile?
Come sono date le singole consegne?
Il linguaggio è chiaro?
I contenuti operativi delle singole consegne sono
significativi?
Il software è flessibile?
È possibile adattarlo ai diversi ritmi e stili di
apprendimento degli studenti?
Questo tipo di “adattamenti” sono semplici e
immediati?
Il software prevede la possibilità di tenere traccia dei
risultati conseguiti da ogni studente?
È possibile riaccedere in seguito partendo dal punto
del percorso già raggiunto?
L’utente viene coinvolto in maniera attiva?
È attento durante l’utilizzo?
A cosa è orientata prevalentemente la sua attenzione?
In quali realtà didattiche è possibile utilizzare questo
software?
Per quali destinatari è pensato?
Il software può modificare i ruoli didattici presenti
all’interno della classe? In che modo?
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Contesto
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riferimenti bibliografici
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ANZALONE F., CABURLOTTO F. (2002), Comunicare in rete = l’usabilità,
Milano, Lupetti.
BONAIUTI G., “Ergonomia delle interfacce e apprendimento” al seminario di
aggiornamento per insegnanti di ogni ordine e grado di scuola “Didattica in
rete - materiali e giochi online, 18 - 19 novembre 2002”, IPRASE del
Trentino.
CALVANI A., ROTTA M. (1999), Comunicazione e apprendimento in Internet –
Didattica costruttivistica in rete, Erickson, Trento.
CALVANI M. (2001), Educazione, Comunicazione e nuovi media, Torino, Utet
CELENTIN P., “Autonomia e supporti informatici e telematici nell’insegnamento dell’italiano a stranieri”, in Dolci R., Celentin P. (2000), La formazione di base del docente di italiano per stranieri, Roma, Bonacci.
LEVIALDI (1999), in rete http://cesare.dsi.uniroma1.it/~ium/welcome. html
NORMAN (1997), La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti
quotidiani, Firenze, Giunti.
NIELSEN J. (1993), Usability Engineering, San Diego CA, Academic Press.
PORCELLI G., DOLCI R. (1999), Multimedialità e insegnamenti linguistici,
Torino, UTET Libreria.
SKINNER B. F. (1957) [1976], Verbal Behavior, New York, Appleton-CenturyCrofts, (trad. it. Il comportamento verbale, Armando, Roma).
VISCIOLA M. (2000), Usabilità dei siti Web, Milano, Apogeo.
288
Capitolo 21
internet Per La didattiCa
deLL’itaLiano Ls
Marco Mezzadri
Questo breve capitolo intende fornire alcuni spunti per una prima riflessione sull’uso didattico di Internet nella didattica dell’italiano LS. Per un
approfondimento delle tematiche si rinvia ai testi citati in bibliografia.
ti.
1. introduzione
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L’insegnamento dell’italiano LS ha saputo ricevere e adattare al proprio
contesto le maggiori novità tecnologiche nell’ambito della comunicazione:
dal registratore audio, al televisore, dalla radio al videoregistratore, dal laboratorio linguistico al computer.
Dalla metà degli anni ’90 le cosiddette nuove tecnologie (NT) hanno fatto
irruzione nella glottodidattica, arricchendone il panorama.
Il dibattito sulla natura e sull’uso delle NT in glottodidattica è ricco di
spunti e ha prodotto contributi significativi in ambito italiano a cui rimandiamo per un approfondimento (Porcelli, Dolci 1999; Monti 2000; Tamponi,
Flamini 2000; Mezzadri 2001a).
Per molti insegnanti e autori di materiali, l’approccio alle NT non si
discosta da quanto per anni ha caratterizzato l’uso di strumenti quali il videoregistratore, cioè supporti didattici che contribuiscono a rinnovare, migliorare, arricchire l’insegnamento, rendendolo più vario e avvincente, ma che in
sostanza si adattano e sono subordinati alle logiche della didattica che vengono dettate da altre componenti del processo educativo: l’aula, il docente,
il libro di testo, il programma, ecc.
La prospettiva che proponiamo in questa sede è diversa. Ci si concentra
in modo particolare su Internet e i suoi impieghi didattici partendo da un
presupposto: le NT permettono al docente di mettere in pratica una serie di
principi glottodidattici che riguardano gli aspetti neurolinguistici, le dinamiche collaborative per l’apprendimento, la promozione delle strategie di
apprendimento, lo sviluppo dell’autonomia dello studente e della sua centralità, ecc. Le NT offrono l’opportunità di svecchiare l’insegnamento della
lingua creando un nuovo ambiente di lavoro pur nel solco della tradizione,
cioè innestandosi su un tessuto che è quello dell’approccio comunicativo
nella sua dimensione umanistico-affettiva.
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È sicuramente una chiave di lettura in parte provocatoria e ambiziosa,
soprattutto se si valuta la realtà didattica di molti corsi di lingua. Tuttavia la
risposta del sistema educativo ai reali bisogni degli studenti e, in ultima analisi, la sopravvivenza stessa del docente di lingua passa attraverso la trasformazione del linguaggio così come dell’ambiente in cui si svolgono i processi
di comunicazione.
La distanza tra mondo reale esterno, caratterizzato da una dimensione
multimediale e ipermediale sempre più diffusa, e mondo della scuola, dell’università, dei corsi di lingua formali va via via aumentando, con il rischio di
non saper più trovare un canale di comunicazione idoneo che faccia intendere gli studenti e il docente o l’istituzione. Un esempio sotto gli occhi di
tutti è dato dalla considerazione che oggigiorno la grafica colorata e ricca di
immagini, schemi, diagrammi, ecc., nonché realizzatrice di una dimensione
meno sequenziale del testo (la pagina scritta dalla prima all’ultima riga senza
interruzioni) è quanto chiedono gli studenti e quanto l’insegnante ritiene
indispensabile per poter mantenere alta la motivazione degli studenti. Così
come la presenza di audio e video a corredo di un testo di lingua è sentita
come imprescindibile.
Non si tratta tuttavia di una pura questione estetica1 ma di un tentativo di
risposta al modo di fruire l’informazione che caratterizza il mondo d’oggi.
È esperienza di tanti insegnanti la sensazione di disagio di fronte alla relativa incapacità e inadeguatezza di molti studenti nell’affrontare compiti che
impongono la gestione di testi o attività relativamente lunghi, per i quali pare
che la capacità di concentrazione degli studenti non sia sufficiente. Nel
mondo dell’informazione “in pillole” anche l’intervento glottodidattico subisce una trasformazione e una parcellizzazione pur nel rispetto dei criteri
metodologici adottati.
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2. Vantaggi e svantaggi dell’uso di internet nell’insegnamento
delle lingue
Le nuove tecnologie, Internet soprattutto, hanno invaso e stanno trasformando il nostro mondo: questo paragrafo affronta i pro e i contro dell’impiego di Internet nell’insegnamento dell’italiano LS, i requisiti tecnici necessari, nonché le implicazioni didattiche con particolare riguardo alla definizione dei profili di docente e discente di lingue nell’era dell’informatica.
Molti insegnanti che hanno sperimentato l’uso delle NT in classe posso1
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Si veda l’articolo “Il libro nella rete: una morte annunciata?” (Mezzadri, 2001b).
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no dirsi d’accordo con le affermazioni del paragrafo precedente.
Tuttavia, allo stato attuale, la ricerca è ben lontana dal poter affermare che
le NT e in particolare Internet siano di per sé un elemento positivo per la
didattica; è quindi preferibile affrontare il problema mettendo in risalto
tanto gli aspetti positivi quanto quelli negativi.
Come accennato nel paragrafo precedente Internet offre svariate possibilità di sintetizzare e applicare teorie che nella classe di lingua tradizionale
fanno fatica a vincere le resistenze consce e inconsce dell’insegnante, dello
studente e del sistema formativo in generale.
Crediamo che sia questo il maggior vantaggio, che nella lista che segue
viene puntualizzato e arricchito di ulteriori spunti. La lettura di questo paragrafo rimanda, giocoforza, alla trattazione di argomenti di tipo teorico
(Mezzadri, 2003).
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I vantaggi offerti da Internet nella didattica dell’italiano LS sono numerosi:
- vi sono innumerevoli materiali autentici disponibili che arricchiscono
gli strumenti didattici a disposizione offrendo una immagine fresca e
aggiornata della civiltà di un paese e della sua lingua;
- permette di allargare e aumentare le occasioni di utilizzo della lingua in
situazioni significative, spostando definitivamente l’attenzione primaria
dalla forma al significato;
- permette ricerche virtualmente in qualsiasi ambito;
- permette il contatto diretto con parlanti nativi e la cultura da loro
espressa in contesti realmente comunicativi;
- favorisce dinamiche di gruppo di tipo collaborativo;
- sposta il centro della classe dall’insegnante all’apprendente;
- lo studente è visto come individuo e affronta il percorso didattico con i
propri stili d’apprendimento, non con le modalità imposte dall’insegnante;
- chiama lo studente ad applicare abilità cognitive di livello superiore sviluppando non solo la competenza BICS, attraverso i contatti interpersonali o attività mirate alle abilità comunicative di base, ma anche la
competenza CALP (vedi Serragiotto in questo volume);
- permette di produrre lingua e di procedere con un approccio problem-solving che porta lo studente a costruire ipotesi e a verificarle nel corso della
comunicazione, proprio come avviene in situazioni comunicative reali;
- impone una dimensione culturale all’apprendimento linguistico;
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- offre occasioni per espandere il lavoro in classe grazie alle numerose
risorse, alcune delle quali aumentano la motivazione e generano acquisizione: i giochi, ad esempio;
- può favorire la crescita dell’autostima nell’apprendente se utilizzata da
studenti in possesso delle abilità tecniche necessarie e con un livello
d’autonomia in crescita o già buono;
- può rendere più attiva la partecipazione dello studente al dialogo educativo con l’insegnante, la classe e gli altri soggetti coinvolti;
- contribuisce a migliorare oltre alla lingua anche le capacità di utilizzo
critico delle abilità informatiche;
- incentiva la creatività e la conoscenza di sé e della propria realtà, permettendo situazioni in cui gli apprendenti devono predisporre presentazioni personali, descrizioni del proprio ambiente in modo creativo e
comunicativo;
- favorisce i percorsi di apprendimento grazie alla multimedialità e ai
meccanismi cognitivi che mette in funzione;
- offre nuove occasioni di acquisizione naturale a persone con meccanismi d’apprendimento basati prevalentemente sulla modalità destra del
cervello e con sistemi di rappresentazione prevalentemente visivi e cinestesici;
- rivaluta (almeno in questa fase di sviluppo tecnologico) la scrittura e le
sottoabilità ad essa connesse;
- favorisce l’aspetto sociale dell’acquisizione della lingua.
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Se molti sono i vantaggi numerosi sono anche gli svantaggi spesso esattamente speculari ai vantaggi:
- predisporre l’ambiente adatto è costoso, sia per quanto riguarda l’acquisto dei computer e delle strutture necessarie, sia per il costo della
comunicazione;
- preparare la lezione con utilizzo di Internet può essere dispendioso per
l’insegnante in termini di tempo e per la classe o lo studente singolo per
l’esecuzione delle attività;
- e quindi è spesso difficile integrare l’uso di Internet in situazioni didattiche che devono fare i conti con il tempo a disposizione, con i programmi, con le tante limitazioni causate dalla condivisione con altre
classi degli spazi con accesso alle NT;
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- il rapporto tra il classico manuale e i percorsi in Internet può essere difficoltoso se i presupposti metodologici non coincidono, ad esempio se
la teoria alla base del manuale promuove più la forma che il significato
e la comunicazione;
- studente e insegnante devono adattarsi a ruoli nuovi che sono a volte in
aperto contrasto con la loro formazione;
- il tipo di studente richiesto per un efficace utilizzo di Internet nella
didattica della lingua deve possedere livelli di autonomia elevati e condividere in maniera cosciente molti presupposti della glottodidattica
moderna;
- lo studente e l’insegnante devono possedere un livello discreto di conoscenze tecniche;
- la sovrabbondanza di materiali disponibili genera probabili e frequenti
sovraccarichi cognitivi;
- per evitare il sovraccarico cognitivo si richiede un’attenta pianificazione
e un costante monitoraggio da parte dell’insegnante;
- vi sono insidie in Internet difficilmente evitabili (siti di dubbia morale
ad esempio) che possono scontrarsi con il sistema di valori dell’apprendente e inibire la sua efficienza;
- i problemi derivanti dalla difficoltà di destreggiarsi tra i milioni di pagine web disponibili può creare demotivazione e alzare i filtri affettivi;
- problemi tecnici possono insorgere in qualsiasi momento, costringendo
il docente a improbabili evoluzioni per poter ricondurre la lezione su un
piano didattico corretto;
- la motivazione data dalla novità dell’uso del computer è presto superata;
- la valutazione del percorso è difficile. Per l’insegnante solitamente abituato a misurare i progressi degli apprendenti attraverso un prodotto,
spesso diventa complicato spostare l’attenzione sul processo in particolare quando incombono necessità di verifiche formali;
- non solo la valutazione, ma anche il monitoraggio del lavoro dello studente risulta difficoltoso. È tecnicamente complicato verificare il tipo di
comunicazione che si genera;
- le pagine web, così ricche di percorsi multimediali, possono confondere anziché aiutare l’apprendente;
- il testo delle pagine web non lineare e sequenziale, ma ipertestuale può
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favorire alcuni tipi di apprendenti e sfavorirne altri.
Sono tanti i punti elencati sia a favore che a sfavore dell’uso di Internet
nella didattica della lingua. E diversi altri potrebbero essere aggiunti. Ciò che
appare immediatamente evidente è l’importanza di un forte raccordo tra
Internet e la glottodidattica; è questa valenza attribuita a Internet non come
semplice strumento didattico integrativo, ma come nuovo ambiente di lavoro che racchiude in sé una serie di conseguenze sulla didattica, foriera di
numerosi sviluppi nell’insegnamento delle lingue.
Il computer è sì una macchina e quindi di per sé uno strumento, ma la
realtà virtuale di Internet è ben di più, è un ambiente di lavoro, di studio, di
vita, un ambiente per le relazioni, per il tempo libero.
Queste potenzialità possono tradursi in elementi di enorme utilità per la
didattica delle lingue.
3. il docente ai tempi di internet
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Prima di analizzare il ruolo del docente ai tempi di Internet appare necessario uno sguardo sul concetto di alfabetizzazione.
Per quanto riguarda Internet, essere alfabetizzati significa conoscere gli
strumenti necessari per un’efficace navigazione; ma questo non è che il
primo passo, anche perché l’analfabetismo di ritorno è in agguato e non si
tratta solo di conoscenze dimenticate perché scarsamente utilizzate: nel
mondo di Internet il pericolo maggiore si nasconde dietro l’acquisizione solo
di strumenti e non, contestualmente, anche di strategie d’apprendimento.
È di fondamentale importanza, infatti, imparare ad apprendere: gli strumenti utilizzati in Internet diventano presto obsoleti e le conoscenze devono
essere aggiornate costantemente. Questa capacità di aggiornamento, molto
spesso di autoaggiornamento, fa parte dei principi di base dell’alfabetizzazione in Internet e si sposa, come è facilmente intuibile, con i concetti di
autonomia del discente già trattati.
Altro campo di sicuro interesse per questa rivisitazione del concetto di
alfabetizzazione è costituito dal modo in cui si impara a usare Internet:
abbiamo già avuto occasione di notare quanto sia importante far crescere
negli studenti capacità collaborative che diventano essenziali anche nel
momento stesso dell’apprendimento iniziale.
L’alfabetizzazione tecnica si intreccia, così, ancor più saldamente con le
strategie di apprendimento sociale.
Da un punto di vista tecnico, il docente e il discente dell’era di Internet
hanno bisogno di conoscenze informatiche di base che consentano loro un
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impiego proficuo delle NT.
Con la solita, indispensabile attenzione agli aspetti didattici, è necessario
tenere in considerazione i filtri affettivi che una scarsa competenza tecnica
può far sorgere, così come le dinamiche di gruppo distorte che possono
crearsi in situazioni in cui, dopo la prima fase di alfabetizzazione comune, i
membri del gruppo non possiedano tutti un livello accettabile di conoscenze tecniche, permettendo così l’affermarsi di squilibri nel gruppo e processi
che portano alla demotivazione e alla deresponsabilizzazione.
È inoltre indispensabile che l’insegnante possa fungere da costante punto
di riferimento, da risorsa tecnica per la classe; non si tratta di auspicare la
sostituzione del docente di lingue con un tecnico informatico, ma solo di
affermare la necessità di prevedere un profilo per l’insegnante dell’era di
Internet che lo descriva quale utente competente delle NT. Un insegnante
dunque che possa far ricorso alle proprie risorse tecniche, ma anche a quelle metodologiche, nell’osservazione degli studenti, nella determinazione dei
loro bisogni, nella predisposizione delle lezioni e nella gestione della classe,
ma anche un insegnate che possa porre rimedio, attraverso risorse didattiche
predisposte in alternativa al percorso con le NT, agli improvvisi e purtroppo
ancora frequenti problemi tecnici.
Da alcuni anni in Europa è stato lanciato un progetto denominato ECDL
(European Computer Driving Licence), una vera e propria patente per l’uso
del computer a cui si rimanda per l’approfondimento delle competenze
informatiche indispensabili per un uso autonomo ed efficiente dei più comuni strumenti informatici oggi disponibili2.
Il mutato rapporto con lo studente, spesso più paritario e basato da un
lato su modalità collaborative di apprendimento e dall’altro sull’insostituibile autorevolezza dell’insegnante, ridisegna il ruolo del docente. Non più un
docente detentore della verità assoluta, ma un esperto che accetta e promuove la possibilità di crescere insieme agli apprendenti. Non più, dunque,
il docente come modello unico di lingua e di cultura.
L’impressione che se ne ricava è che le strategie didattiche necessarie, o
meglio indispensabili per una didattica che faccia uso delle NT in realtà non
sono diverse in gran parte da quelle auspicabili, anzi imprescindibili, per la
moderna classe di lingua in assenza di NT.
Cercando un ordine più o meno cronologico per una immaginaria lezione l’insegnante è colui che:
2
Si vedano i siti web: www.ecdl.com/, e per la versione italiana www.aicanet.it/ecdl.htm oppure
www.didasca.it.
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- studia il progetto educativo a cui deve rispondere (il programma, sillabo, ecc.);
- analizza i bisogni dei singoli apprendenti;
- verifica i percorsi da mettere in atto per un apprendimento linguistico
e culturale, ma anche in relazione alle strategie d’apprendimento;
- pianifica e organizza la lezione in funzione del processo d’apprendimento;
- gestisce i tempi, i modi e gli scopi del percorso;
- guida gli apprendenti alla scoperta del percorso didattico;
- gestisce l’organizzazione del lavoro di gruppo;
- agisce quale punto di riferimento per le informazioni necessarie a procedere nella lezione o attività; è una sorta di consulente/consigliere; è
un tutor;
- facilita l’esperienza nel tentativo di far raggiungere i necessari obiettivi
didattici, compresi quelli legati all’autonomia del discente;
- monitorizza il percorso, fornendo l’appoggio necessario per giungere
agli obiettivi prefissati;
- fornisce appoggio psicologico per abbassare l’ansia e i filtri affettivi;
- fornisce supporto tecnico per non lasciare l’apprendente “in balia”
della macchina;
- agisce per mantenere alta la motivazione;
- corregge, dove lo ritiene importante, eventuali errori;
- interviene o si defila a seconda delle necessità didattiche;
- verifica e valuta il percorso formativo;
- predispone interventi di recupero;
- orienta gli apprendenti.
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4. siti per l’insegnamento/apprendimento dell’italiano
In questo paragrafo vengono indicati siti che possono essere utili nella
didattica dell’italiano a stranieri. La scelta oggigiorno è tra centinaia di proposte e in questa sede vengono suggeriti siti a volte solo a titolo esemplificativo o che, ed è la nella maggior parte dei casi, permettono ulteriori percorsi
esplorativi tra le risorse del web.
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4.1 Siti istituzionali
Ministero degli Affari Esteri: www.esteri.it
Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca: www.istruzione.it
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4.2 Università per stranieri o con ricca offerta nel campo dell’italiano a
stranieri
Università per Stranieri di Perugia: http://www.unistrapg.it
Università per Stranieri di Siena: http://www.unistrasi.it
Università Ca’ Foscari di Venezia (Progetto Itals e Alias):
http://www.itals.it/
Università di Roma 3: http://w3.uniroma3.it
ICoN, Italian Culture on the Net: http://www.italicon.it
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4.3 Liste di discussione per insegnanti
Italiano L2 dell’Università per Stranieri di Perugia:
http://www.unistrapg.it/lista/lista.htm
Italian Studies: http://www.jiscmail.ac.uk/lists/italian-studies.html
Discutiamone insieme:
http://www.guerra-edizioni.com/it_x_ins/mailing/intro.htm.
Silfi: http://www.uni-duisburg.de/FB3/SILFI/lista/info.htm
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4.4 Associazioni, accademie e altre istituzioni
Accademia della Crusca: http://ovisun199.csovi.fi.cnr.it/crusca/
Accademia dei Lincei: http://www.lincei.it/
AATI American Association teachers of Italian:
http://www.italianstudies.org/aati/
SILFI (Società Internazionale di Linguistica e Filologia italiana):
http://www.uni-duisburg.de/FB3/SILFI/
SLI (Società di Linguistica italiana): http://www.csovi.fi.cnr.it/sli/
ILSA: http://associazioni.comune.firenze.it/ilsa/ass.htm
4.5 Biblioteche e centri di documentazione
Elenco delle biblioteche italiane e straniere online:
http://wwwbiblio.polito.it/it/documentazione/biblioit.html
BDP (Biblioteca di Documentazione Pedagogica): www.bdp.it
4.6 Riviste telematiche e portali per l’insegnamento dell’italiano L2 e LS
Alias: http://www.unive.it/progettoalias
Edscuola: http://www.edscuola.it
297
Italianisticaonline: http://www.italianisticaonline.it/
Italica: http://www.italica.rai.it/index.htm
In.it online: http://www.initonline.it
Portale linguistico italiano: http://www.syllabos.com/
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4.7 Letteratura e cultura italiana
Autori italiani principali:
http://digilander.libero.it/Kingofnetsite/letteraturaitaliana/index.htm
Canta Italia: http://www.cantaitalia.com/
Dante: http://www.danteonline.it/italiano/home_ita.asp
Enciclopedia Treccani: http://www.treccani.it/
Èulogos: http://www.eulogos.net
Il Narratore: http://www.ilnarratore.com/
Letteratura del ’900:
http://digilander.libero.it/letteratura/Novecento/novecento.htm
Liber Liber (Progetto Manuzio): http://www.liberliber.it/home/index.asp
Opera: http://www.operabase.com/
Percorsi storico-letterari: www.sussidiario.it
Rai Educational: http://www.educational.rai.it/index.htm
Storia della letteratura italiana:
http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/indexsto.htm
Storia della lingua italiana:
http://www.italica.rai.it/principali/lingua/storialingua.htm
Tutto il cinema italiano: http://www.anica.it/
Una guida alla cultura italiana:
http://guide.supereva.it/italiano/letteratura_italiana/
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4.8 Dizionari
Dizionari italiani online:
http://www.yourdictionary.com/languages/romance.html#italian
Gatto, Gestione degli Archivi Testuali del Tesoro delle Origini:
http://www.csovi.fi.cnr.it/gframe.htm
Traduttore multilingue: http://www.virgilio.it/servizi/dizionario/
4.9 Corsi di italiano ondine, materiali e risorse per l’insegnamento della
lingua
100 esercizi: http://www.virgilio.it/servizi/dizionario/
Adesso: http://adesso.heinle.com/
Corso di dizione: http://www.attori.com/dizione/
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riferimenti bibliografici
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Corso di sopravvivenza di lingua italiana:
http://www.sirio.regione.lazio.it/giubilando/index.htm
Cyber Italian: http://www.cyberitalian.com/
Enigmistica: http://www.aenigmatica.it/
Giochi con l’italiano: http://web.arts.ubc.ca/italian/giochi.htm
Il verbo italiano:
http://www.chass.utoronto.ca/~ngargano/corsi/verbi/verbi.html
Io parlo italiano: http://www.educational.rai.it/ioparloitaliano/main.htm
Italia in rete, catalogo di link utili: http://www.guerra-edizioni.com/
Italiano in rete: http://www.hull.ac.uk/langinst/italiano/index.htm
La corrispondenza italiana:
http://www.chass.utoronto.ca/~ngargano/corsi/corrisp/
corrispondenza. html
La ludoteca della BDP: http://www.bdp.it/gioco/index.htm
Per creare cruciverba, puzzle, ecc.:
http://puzzlemaker.school.discovery.com/
Programma autore Hot Potatoes in italiano:
http://web.tiscali.it/itisgiorgi/inglese/didattica/hotpot/index.htm
Oggi e domani:
http://academic.brooklyn.cuny.edu/modlang/carasi/site/pageone.html
Quattro passi nell’italiano:
http://helios.unive.it/~italslab/quattropassi/uno.htm
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MEZZADRI M. (2001), Internet nella didattica dell’italiano. La frontiera presente, Perugia, Guerra.
MEZZADRI M. (2001), “Il libro nella rete: una morte annunciata?”, in In.it,
anno 2 n.3 10/2001.
MEZZADRI M. (2003), I ferri del mestiere, Perugia, Guerra
MONTI S. (2000), Internet per l’apprendimento delle lingue, Torino, UTET
Libreria.
PORCELLI G., DOLCI R. (1999), Multimedialità e insegnamenti linguistici,
Torino, UTET.
TAMPONI A.R., FLAMINI, E. (2000), Lingue straniere e multimedialità, Napoli,
Liguori Editore.
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Parte QUinta
La formaZione ContinUa
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Capitolo 22
L’imPortanZa deLLa
formaZione Permanente
Paola Celentin
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Sempre più di frequente termini come “formazione permanente” e “lifelong learning” vengono citati come le sfide che la società dell’informazione e
delle conoscenza nella quale viviamo pone ai cittadini del XXI secolo. Tali
sfide mettono in atto un processo costruttivo quando domanda e offerta formativa si incontrano, generando una sinergia che ha ricadute positive sull’intera società.
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1. il concetto di formazione permanente
Già in Platone, Aristotele, Seneca, Sant’Agostino, Montaigne è possibile
individuare una filosofia di vita che segnala, fra i bisogni umani prioritari, la
necessità di apprendere lungo tutto l’arco dell’esistenza. Questa “attività”
soddisfa un’esigenza della mente, è fonte di benessere per la persona e,
soprattutto, permette di continuare ad esercitare funzioni socialmente utili.
L’apprendimento continuo può essere:
- intenzionale, quando è il soggetto che apprende che cerca le risorse che
gli permettono di promuoversi sia in senso culturale e professionale, sia
in senso morale;
- ambientale, quando si ritiene che le esperienze stesse della vita delle
persone siano fonte inesauribile di apprendimento, in quanto ogni
ambiente di convivenza contribuisce a plasmare le persone (in un’ottica quindi di condizionamento reciproco).
Secondo Liveright e Haygood (1969), l’educazione degli adulti è il “processo grazie al quale persone che non frequentano regolarmente e a tempo
pieno la scuola, s’impegnano in maniera continuativa in attività organizzate
con la chiara intenzione sia di migliorare informazioni, conoscenze, comprensione, qualificazione, capacità di giudizio e attitudini, sia di individuare
e risolvere problemi personali o comunitari”.
La scuola ha quindi il compito di fornire gli strumenti intellettuali di base,
affinché la persona possa continuare a crescere e a sviluppare le proprie
conoscenze e le proprie capacità. Dopo la scuola, il sistema formativo non è
più rappresentato solo dall’università: si sta in realtà configurando un’offer303
ta molteplice, in cui hanno ruoli ben definiti anche i mass media, il mondo
del lavoro, le organizzazioni professionali, le comunità locali…
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1.1 La formazione professionale
Un aspetto particolare della formazione permanente è la formazione professionale. Con questo termine si fa riferimento alle azioni di vario genere
che hanno il fine di modificare l’operatività, gli atteggiamenti, gli stili professionali dei lavoratori.
Questa formazione può essere:
- di adattamento, quando il soggetto apprende ciò che gli è necessario per
eseguire correttamente un compito nuovo oppure la prestazione che gli
viene richiesta;
- professionale in senso stretto, quando il soggetto viene preparato ad
agire per far fronte ad innovazione, già attuate o in corso di attuazione,
attraverso specifici programmi di formazione che preparano ad un
insieme complesso di compiti, abilità analitiche e decisionali.
Per molti versi si può dire che la formazione di adattamento è il primo
passo verso la formazione professionale vera e propria.
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1.2 I principi cui deve rispondere la formazione professionale
La formazione professionale facente parte della formazione continua è
rivolta ad adulti, e l’adulto, così come dimostrano numerosi studi di andragogia, apprende solo se vede l’utilità di ciò che sta faticando ad imparare,
cioè se percepisce che “ne vale la pena”, per la sua crescita personale o professionale. È fondamentale quindi che l’adulto riesca ad integrare il nuovo
che sta apprendendo con la conoscenza e l’esperienza che già possiede.
Chi si occupa di organizzare la formazione professionale per gli adulti
deve quindi stare ben attento a osservare due principi fondamentali:
- pragmatismo (l’ambiente di lavoro origina precise richieste di formazione, caratterizzate dall’attualizzazione di quanto già posseduto e dalla
rapida trasferibilità di quanto appreso);
- economia (le misure di formazione devono essere efficaci, cioè cercare
di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo).
1.3 Il patto formativo iniziale per l’educazione degli adulti
Dalle premesse enunciate nei paragrafi precedenti, emerge con chiarezza
che, affinché ci possa essere un rapporto formativo adeguato tra adulto e
agenzia di formazione, è necessario che siano rispettati alcuni presupposti
304
fondamentali, che si possono riassumere come segue:
- considerazione della situazione socio-professionale (esperienza di lavoro precedente, ruolo, status);
- considerazione delle caratteristiche individuali (modalità di apprendimento, motivazioni personali);
- ratificazione dell’offerta formativa da parte dei partecipanti, per creare
un clima di intesa e collaborazione.
1.3 Il caso particolare della formazione degli insegnanti di italiano come LS
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Gli insegnanti, sia per la loro formazione specifica, sia per il tipo di lavoro svolto, hanno con la formazione un rapporto particolare, che potremmo
dire “a specchio”. L’insegnante, infatti, è formatore a sua volta, e di conseguenza ha conoscenze e strumenti tali da permettergli un confronto metodologico diretto con l’offerta formativa.
A differenza quindi degli altri “formandi”, per l’insegnante non è sufficiente il prodotto: conta anche il processo, cioè come si raggiunge lo scopo;
anzi, potremmo dire che il processo entra a far parte del prodotto finale, in
quanto, se quello che l’agenzia formativa intende trasmettere è una metodologia didattica, essa trasparirà direttamente dalle proprie azioni educative.
Ma gli insegnanti a cui si rivolge la nostra formazione sono insegnanti di
lingue, e di una lingua particolare come l’italiano, una lingua che attualmente sta godendo di parecchio favore all’estero e verso la quale si rivolgono studenti mossi dalle motivazioni più disparate: per lavoro, per affetto, per cultura, per tradizione, per dovere…
I contesti e le condizioni di insegnamento, inoltre, sono i più vari, così
come lo è la provenienza e la formazione degli insegnanti1 che devono
rispondere a questa domanda variegata.
La formazione che si rivolge a loro deve quindi cercare di tenere conto il
più possibile di questi fattori, entrando in contatto direttamente con gli insegnanti, raccogliendo le loro istanze, promuovendo un atteggiamento propositivo e costruttivo e la creazione di un rapporto di fiducia reciproca.
L’agenzia formativa deve porsi come naturale interlocutore dei dubbi
metodologici, delle richieste editoriali, delle sfide professionali che ogni insegnante pone.
1
Un’interessante panoramica si può trovare in Balboni P.E., Santipolo M. (cur.) (2003), L’italiano nel
mondo, Roma, Bonacci.
305
2. Le iniziative del Laboratorio itals per la formazione permanente
degli insegnanti di italiano Ls
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Il Progetto Itals fu fondato da G. Freddi, negli anni Settanta come iniziativa volta alla ricerca in linguistica contrastiva e in glottodidattica e proseguì
negli anni Ottanta con una imponente ricognizione per conto del CNR sulla
diffusione dell’italiano nel mondo; oggi il Progetto trova forma nuova e si
trasforma in una struttura permanente.
Il Laboratorio Itals è una struttura del Dipartimento di Scienze del
Linguaggio dell’Università Ca’ Foscari che si occupa:
- di linguistica, dalla ricerca sulla “lingua in sé” alla descrizione delle singole lingue, dalla linguistica diacronica e computazionale allo studio dei
disturbi del linguaggio;
- di glottodidattica, cioè dell’acquisizione e dell’insegnamento delle lingue, di pianificazione e politica linguistica e della formazione dei docenti di lingue, con un’attenzione particolare per il contributo delle tecnologie a questi processi;
- di ricerca sulla didattica dell’italiano a stranieri;
- di formazione dei docenti.
Proprio la natura universitaria del Laboratorio Itals e la sua forte componente di ricerca fanno sì che le varie iniziative di formazione siano “naturalmente” inserite in un’ottica di formazione permanente, tese all’integrazione
continua dei contenuti e allo sviluppo costante delle metodologie utilizzate e
proposte.
Bisogna inoltre ricordare ch L’Università di Venezia fu la prima, nel 1969,
a istituire in Italia corsi di natura glottodidattica ed ancora oggi ospita una
rilevante attività in questo settore, il cui ruolo è stato confermato dal fatto
che nella Scuola di Specializzazione post lauream per la formazione dei
docenti questo Ateneo è stato delegato per la formazione degli insegnanti di
lingue di tutta la Regione. Inoltre, esistono da vari lustri due Corsi di
Perfezionamento post lauream, uno di Didattica delle Lingue ed uno di
Glottodidattica con Tecnologie Avanzate, che hanno permesso di creare un
patrimonio di esperienza formativa che possiamo definire unica in Italia.
Itals supera il concetto di formazione come travaso di contenuti e la intende come processo in cui i docenti entrano in una comunità di formazione e
autoformazione permanente.
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2.1 La formazione degli insegnanti di italiano LS
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Per la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti e del personale
impegnato in agenzie o scuole che, all’estero, diffondono la lingua e la cultura italiana, il progetto offre:
- Master universitario in didattica e promozione della lingua e cultura italiane a stranieri; il Master contempla due percorsi (italiano LS e italiano L2), all’interno del percorso italiano LS è possibile scegliere tra l’indirizzo didattico e l’indirizzo organizzativo; il Master è la combinazione
di modalità formative in rete, in presenza e di tirocinio;2
- Corsi di formazione in didattica dell’italiano L2 online (Progetto Alias);3
- Corsi di formazione iniziale in presenza tenuti in Italia, presso la sede del
Laboratorio o presso le scuole o gli enti che ne fanno richiesta; i corsi
sono di primo e secondo livello;
- Corsi di formazione iniziale o in itinere tenuti all’estero, quando si realizzi un gruppo di dimensioni sufficienti a sostenere i costi del corso;
- Corsi speciali finanziati dal Ministero degli Affari Esteri;
- Corsi ad hoc per associazioni di insegnanti di italiano, tenuti in Italia o
all’estero.
È inoltre possibile conseguire una Certificazione in didattica dell’italiano
lingua straniera (C.E.D.I.L.S. Venezia) attraverso un esame che può essere
sostenuto a Venezia o in sedi convenzionate in Italia o all’estero. L’esame si
effettua due volte l’anno a Venezia oppure alla fine dei corsi di formazione
all’estero.
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2.2 La comunità di pratica
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La formazione online proposta dal Laboratorio Itals segue le moderne
tendenza della formazione a distanza di terza generazione. Per questo motivo il lavoro è incentrato sulla stretta collaborazione fra tutte le figure coinvolte nel processo formativo, corsisti, tutor, coordinatori, figure esperte.
Un accento particolare viene però posto sull’adozione di dinamiche di
apprendimento cooperativo (cooperative learning), che mirano alla creazione
di legami di interdipendenza positiva molto forti fra tutti i partecipanti.
L’esperienza di formazione non è quindi una semplice “assimilazione di contenuti” in un ambiente di apprendimento virtuale, ma una vera e propria
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3
Per maggiori informazioni consultare il sito www.unive.it/masteritals
Per maggiori informazioni consultare il sito www.unive.it/progettalias
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esperienza di comunità, fatta attraverso la creazione di “classi”, gruppi di
lavoro, forum di discussione.
Si viene a creare così quella che si definisce una “comunità di pratica”,
cioè un gruppo esteso di professionisti (insegnanti e operatori legati dal problema della diffusione dell’italiano LS) che condividono interessi, ruoli, problematiche…pur risiedendo nelle realtà soci-culturali più diversificate.
Questa interazione, impensabile fino all’avvento di Internet e alla sua diffusione nel modo massiccio a cui assistiamo al giorno d’oggi, è arricchente e
fonte di esperienza per tutti i partecipanti, che possono così uscire dall’isolamento in cui molto spesso si erano trovati ad operare in precedenza.
Il sito del Laboratorio Itals offre la possibilità di continuare questa esperienza mettendo a disposizione un ambiente nel quale le persone che hanno
frequentato il Master Itals possono trovare nuove proposte formative, sottoporre problemi di rilevanza particolare per l’italiano LS nel mondo, accedere a materiali e risorse di interesse specifico.
Oltre a questa parte riservata, è prevista però anche un’area ad accesso
libero nella quale potranno intervenire tutti coloro i quali sono interessati
all’italiano LS in generale proponendo argomenti di discussione, mandando
in rete richieste specifiche e rispondendo agli stimoli che periodicamente
vengono proposti.
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2.3 La B.I.G., Biblioteca Italiana di Glottodidattica
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Esistono ormai attualmente moltissime pubblicazioni concernenti la glottodidattica in generale e l’insegnamento dell’italiano LS. Manca però un’organizzazione bibliografica ragionata specifica.
La B.I.G. intende essere un servizio a disposizione dell’italianistica mondiale, attraverso la crazione di uno schedario guidato con chiave, composto
di abstract dei saggi e dei volumi (schedati per capitoli) riguardanti l’italiano
LS, in primis, e più in generale le tematiche glottodidattiche così come vengono elaborate e trattate in Italia. La BIG è in fase di attuazione e sarà liberamente consultabile in rete a partire dal sito del Laboratorio Itals
(www.itals.it ).
2.4 Le tesi finali del Master Itals
Il percorso formativo del Master Itals si conclude con la redazione di un
lavoro di ricerca e di applicazione inerente la didattica e/o la promozione
dell’italiano LS o L2. Questo lavoro, che preferibilmente viene svolto attraverso modalità di gruppo, in linea con la filosofia di base del Master stesso
308
(vedi capitolo 22, paragrafo 2.2), deve essere poi presentato dai redattori ai
propri colleghi di studio in una sessione apposita in presenza a Venezia.
Si tratta di lavori di ricerca molto specifici e dettagliati, che, partendo
dalle formulazioni teoriche che stanno alla base dell’approccio glottodidattico che ispira tutta l’impostazione del Laboratorio Itals, affrontano problemi
particolari e propongono soluzioni innovative e originali.
Queste tesi vengono messe a disposizione dell’italianistica mondiale attraverso pubblicazione nel sito del Laboratorio, in quanto siamo convinti che
tali lavori possano essere interessanti per tutti coloro i quali operano nel settore dell’italiano LS/L2.
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2.5 La Rivista Itals
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La Rivista Itals nasce nell’ambito del Laboratorio Itals dell’Università Ca’
Foscari di Venezia allo scopo di fornire uno strumento di aggiornamento e
ricerca per tutti coloro che operano, come docenti, studiosi, ricercatori, ecc.,
nel contesto dell’italiano come lingua straniera in senso lato.
Gli argomenti trattati riguardano sia la didattica che la linguistica dell’italiano, sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista più pratico,
purché sempre nella prospettiva della lingua come straniera o seconda.
Tematiche di carattere più generale (legate ad esempio all’insegnamento di
aspetti della cultura e della civiltà italiane) si affiancano ad altre più specifiche, come ad esempio la descrizione di alcuni aspetti fonetici o sintattici. Il
tutto comunque sempre in un’ottica rigorosamente scientifica.
La doppia versione, on-line e cartacea, da un lato ne garantisce la massima diffusione possibile, dall’altro tutela gli autori e il prestigio che ancora
solo la carta stampata sembra possedere.
Scopo della Rivista è dunque quello di colmare un vuoto avvalendosi contemporaneamente dei contributi di ricercatori di fama e giovani ma validi
studiosi provenienti da tutto il mondo.
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Capitolo 23
L’offerta formatiVa Per
i doCenti di itaLiano Ls
Maria Angela Rapacciuolo
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1. master
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Oggi l’offerta formativa non si presenta ancora così ricca e articolata
come forse ci si dovrebbe aspettare, dato il crescente interesse per lo studio
della lingua italiana nel mondo e il numero in continuo aumento di docenti
di lingua italiana LS sia in Italia che all’estero. Oltre alle università troviamo
anche enti e scuole private che organizzano corsi di formazione e aggiornamento per l’insegnamento dell’italiano LS, la maggior parte dei quali comunque vengono organizzati in Italia. L’offerta è di vario tipo, da corsi di formazione di base, rivolti anche a chi non ha una formazione universitaria ma
opera nel campo dell’insegnamento agli stranieri, a corsi di aggiornamento,
di specializzazione post-laurea e Master. Il nostro criterio è stato quello di
partire dai Master e presentare poi gli altri tipi di corsi, descrivendo per
ognuno gli obiettivi, la durata e i destinatari. Si è tralasciato di parlare dei
corsi di diploma di laurea in didattica della lingua italiana agli stranieri, nati
negli ultimi anni, decidendo di rivolgerci a chi già insegna o a chi si appresta
ad insegnare. Si è scelto inoltre il criterio di presentare i vari tipi di corsi
indicando le università e gli enti organizzatori in ordine alfabetico.
Naturalmente il quadro presentato non ha nessuna pretesa di esaustività,
anche se si è cercato di dare un quadro il più possibile completo, nel limite
del possibile, di ciò che viene offerto nel campo della formazione del docente di italiano LS.
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Attualmente le università italiane che organizzano corsi di Master sono le
seguenti:
1.1 Università di Genova
Il Master in didattica dell’italiano a stranieri è promosso dalla Facoltà di
Lingue e Letterature Straniere dell’università di Genova in collaborazione
con Perform - Centro di formazione Permanente dell’Università di Genova.
Il corso si rivolge a laureati delle Facoltà di Lingue e Letterature straniere, Magistero, Scienze della Formazione o equipollenti, italiani o stranieri.
310
L’obiettivo è quello di fornire ai destinatari competenze metodologiche e
abilità pratico operative nel campo della lingua italiana agli stranieri, bambini e adulti, in Italia e all’estero.
Il corso ha la durata di un anno accademico in presenza, con 1.500 ore di
attività. Sono previste circa 150 ore di tirocinio didattico, monitorato, presso scuole, enti o istituzioni pubbliche o private, in Italia e all’estero, in classi
di apprendenti adulti o bambini di lingua madre non italiana.
Per conseguire il Master occorre superare le prove di accertamento e il
lavoro finale.
Informazioni al sito: www.perform.unige.it
ti.
1.2 Università di Pescara-Chieti e Roma 3
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Il Master di Italianistica è istituito dalle università di Pescara-Chieti e
Roma 3. È prevista l’adesione anche di altre università, in particolare di
Macerata, Lecce e Catania, che realizzeranno Master in Italianistica configurati secondo gli stessi criteri e lo stesso progetto generale di articolazione
delle attività didattiche.
I candidati italiani devono aver conseguito la laurea o la laurea triennale
in Lettere o Filosofia o in Lingue in Italia, i candidati stranieri la laurea o la
laurea triennale nel settore umanistico con esami di italianistica.
Il corso è articolato in 400 ore in presenza distribuite nell’arco di 6 mesi.
La frequenza è obbligatoria. È previsto un periodo di tirocinio presso i corsi
di italiano per stranieri nelle sedi di Roma o di Pescara-Chieti.
Il conseguimento del Master avverrà dopo il superamento di una prova
finale.
Informazioni al sito: www.unich.it
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1.3 Università di Padova
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Il Master dell’Italiano come L2 dell’Università di Padova è rivolto agli
insegnanti di italiano come lingua seconda o come lingua straniera, che
hanno una formazione universitaria.
Oltre a una solida preparazione teorica il Master si propone di fornire
ai partecipanti la conoscenza del vasto programma editoriale in circolazione, di utilizzare al meglio le tecniche e i materiali che la moderna glottodidattica mette a disposizione e mira inoltre all’elaborazione di nuovo materiale didattico.
Il corso ha la durata di un anno, con circa 300 ore di didattica frontale,
oltre a 30 ore di tirocinio da svolgersi presso il centro linguistico di ateneo o
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presso scuole o enti convenzionati con l’Università.
Il corso del Master si conclude con la redazione di una tesina e la relazione del tirocinio svolto.
Informazioni al sito: www.maldura.unipd.it/masters/italianoL2
1.4 Università di Venezia
Per il Master in didattica e promozione della lingua e cultura italiane agli
stranieri dell’università di Venezia - Laboratorio ITALS, si rimanda al paragrafo 4.
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2. Corsi di specializzazione
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I corsi di specializzazione si distinguono dai corsi di formazione e aggiornamento per la loro durata (due anni) e per il fatto che alla fine rilasciano
un Diploma.
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2.1 Università per Stranieri di Perugia
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Scuola di specializzazione in didattica dell’italiano come LS
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La Scuola di specializzazione, aperta a cittadini italiani e stranieri, si prefigge l’obiettivo di specializzare laureati italiani o stranieri nell’insegnamento
della lingua italiana come lingua straniera o seconda e di aggiornare il personale docente italiano o straniero già impegnato nell’insegnamento dell’italiano come L2 e in possesso di laurea conseguita presso Facoltà di tipo umanistico o di titolo equipollente conseguito presso università straniere.
La scuola è di durata biennale e prevede anche circa 150 ore di pratica
guidata (Praticum), presso i corsi di Lingua e cultura italiana dell’università
per stranieri o in scuole della città convenzionate.
Informazioni al sito: www.unistrapg.it/SCUOLA
2.2 Università per Stranieri di Siena
Scuola di specializzazione in didattica dell’italiano come LS
Consiste in nove tipi di corsi articolati nell’arco di due anni. La Scuola è
destinata a laureati che intendano specializzarsi nell’insegnamento della lingua italiana LS. È richiesto il diploma di laurea conseguito presso le Facoltà
di Lettere e filosofia, Lingue e Letterature straniere e Scienze della formazione. Al termine del corso, dopo il superamento di appositi esami e la
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discussione di una tesi, viene rilasciato il Diploma di specialistica in didattica dell’italiano come LS.
Informazioni al sito: www.unistrasi.it
3. Corsi di formazione e aggiornamento
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I corsi di formazione e aggiornamento presentano una forte varietà sia
nella tipologia che nella struttura che nel tipo di istituzione da cui vengono
organizzati. Oltre alle università, enti e scuole in Italia esistono anche corsi
organizzati in loco nei vari Paesi, o da università locali, o negli Istituti italiani di Cultura e nei comitati della Dante Alighieri all’estero o ancora da associazioni private. Qui di seguito si riportano esclusivamente i corsi organizzati in Italia o all’estero da enti, scuole e università italiane.
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3.1 Università per Stranieri di Perugia
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Corso di aggiornamento per insegnanti di italiano all’estero
Il corso, riservato a docenti stranieri e italiani residenti all’estero, offre
l’opportunità di approfondire tematiche dell’area linguistico-didattica e di
aggiornamento culturale sull’Italia di oggi. Il corso, organizzato in due sessioni, una invernale e una estiva, viene distribuito nell’arco di tre settimane
(oltre 60 ore complessive). Oltre a lezioni frontali il corso prevede l’osservazione guidata di classi di lingua. Non sono previsti esami finali e alla fine
viene rilasciato, su richiesta, un Attestato di frequenza.
Informazioni al sito: www.unistrapg.it
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3.2 Università per Stranieri di Siena
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Il centro linguistico dell’università organizza vari tipi di corsi di formazione e aggiornamento.
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Corso di perfezionamento in didattica dell’italiano a stranieri
Il corso consiste in un ciclo bisettimanale di lezioni per un totale di 60
ore, ed è riservato a insegnanti di italiano a stranieri e ai laureati italiani e
stranieri. Il corso ha soprattutto obiettivi teorico-metodologici, proponendo
pure modelli operativi utilizzabili nell’insegnamento.
Alla fine del corso viene rilasciato un Attestato di Frequenza.
Corsi di formazione e aggiornamento Linguistico, Glottodidattico e Letterario
I corsi mirano all’aggiornamento e alla formazione continua di insegnan-
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ti operanti all’estero e vengono organizzati in sede e all’estero su richiesta di
Istituzioni pubbliche o private italiane o straniere.
Corsi di Lingua e didattica per Docenti
Vengono svolti presso l’Università nei mesi estivi e sono rivolti ad insegnanti stranieri di italiano che necessitano sia di un approfondimento linguistico che una conoscenza in ambito glottodidattico. Sono previsti due tipi di
corsi: un corso ordinario di 150 ore di lezione di cui almeno 40 di didattica,
e un corso intensivo di 80 ore di lezione, di cui almeno 20 di didattica.
Informazioni al sito: www.unistrasi.it
ti.
3.3 Università per Stranieri Dante Alighieri di Reggio Calabria
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Corso di formazione per docenti di italiano L2
Il corso, che si sviluppa nell’arco di sei mesi per un totale di 700 ore, oltre
all’arricchimento culturale e alla glottodidattica prevede anche l’approfondimento linguistico. Destinatari dei corsi sono coloro che si dedicano all’insegnamento della lingua italiana agli stranieri, che abbiano due anni minimo di
studio di lingua italiana ed eventuali esperienze nel campo della lingua italiana agli stranieri.
Il corso si conclude con un esame finale e, a seconda dei risultati, viene
rilasciato un Diploma o un Attestato di frequenza.
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Corso di aggiornamento per docenti di italiano agli stranieri
L’obiettivo è il perfezionamento delle competenze linguistiche e didattiche dei docenti di lingua italiana agli stranieri, oltreché un aggiornamento
culturale. Si articola in quattro settimane per un totale di 60 ore.
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Corso di formazione per docenti di lingua italiana a stranieri
Il corso è riservato a giovani laureati italiani.
Informazioni al sito: www.calnet.it
3.4 Università di Venezia
Corsi in presenza
I corsi si compongono di una parte generale e di due indirizzi: Italiano
Lingua Straniera (ITALS) e Italiano Lingua Seconda (ALIAS) L’indirizzo
ITALS è rivolto a chi vuole insegnare l’italiano all’estero e approfondisce le
tematiche relative alla didattica dell’italiano come lingua straniera. Il corso
ITALS, rivolto a laureati, laureandi e docenti in servizio, prevede un’impo-
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stazione sia teorica che pratica e uno stage presso scuole o corsi dove si insegna l’italiano come lingua straniera.
Il corso è articolato in circa 44 di ore di lezione. Dopo un esame finale
viene rilasciato un Attestato.
Scuola estiva ITALS
Consiste in un corso di formazione per insegnanti di italiano come lingua
straniera e lingua seconda. Viene organizzato a Venezia nel mese di luglio e
dura tre settimane, frequentabile separatamente.
È rivolto a tutti i docenti, ai laureati e agli studenti universitari che abbiano superato almeno gli esami del secondo anno.
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Corso di formazione intensiva
Il corso è articolato in 30 ore distribuite nell’arco di una settimana e viene
organizzato in Italia e all’estero su richiesta di Istituzioni pubbliche o private che si occupano di insegnamento della lingua italiano a stranieri.
Informazioni al sito: http://www.helios.unive.it/~italslab
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3.5 Enti e Associazioni
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IARD
L’istituto IARD opera in strettissima collaborazione con i ministeri degli
Affari Esteri e della Pubblica Istruzione per la diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo. A tale scopo organizza corsi di formazione per insegnanti di lingua italiana operanti in scuole di numerosi paesi europei ed
extraeuropei.
L’impianto formativo ha come riferimento il modello didattico IARD di
insegnamento della lingua, costantemente aggiornato e adattato alle diverse
realtà locali. Il modello è caratterizzato da seminari residenziali di formazione insegnanti, dalla produzione di materiali in sede di laboratorio e dalla produzione editoriale di sussidi didattici. Offre inoltre un servizio multimediale
di aggiornamento continuativo a distanza accessibile in Rete.
Informazioni al sito: www.iard.it
Società Dante Alighieri
Nell’ambito del Progetto Lingua Italiana la Società Dante Alighieri organizza corsi di aggiornamento sia a Roma nella sede centrale che corsi itineranti per insegnanti di italiano LS.
I corsi nella sede centrale di Roma si svolgono nei mesi di febbraio e settembre. I corsi itineranti si svolgono invece presso i comitati Dante Alighieri
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ed i Centri di Certificazione PLIDA che ne facciano richiesta alla Segreteria
Generale della Sede Centrale.
I corsi offerti sono i seguenti:
Didattica dell’italiano come lingua straniera e certificazione di competenza
della lingua italiana. Il corso, della durata di circa 15 ore, si prefigge di avviare un processo di omologazione della didattica verso un unico modello formativo, che caratterizzi l’insieme dei corsi offerti dalla Società nelle diverse
sedi e di contribuire a creare uno spirito di collaborazione scientifica che
contribuisca ad attivare un programma di produzione di materiali glottodidattici della Società.
Glottodidattica: valutazione del processo di apprendimento dell’italiano
come lingua straniera L’obiettivo è di fornire il quadro teorico per la valutazione didattica del processo d’apprendimento dell’italiano come lingua straniera. La durata del corso è di 15 ore.
Storia della lingua e della letteratura italiana;
Canzone italiana;
Informazioni al sito: www.soc-dante-alighieri.it
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3.6 Scuole o Istituti privati
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In Italia esistono anche alcune scuole private che si occupano di formazione docenti. Alcune di queste offrono dei corsi di aggiornamento saltuari, rivolti soprattutto alla formazione professionale dei propri docenti. Qui
vengono indicate due scuole che organizzano dei corsi fissi relativi alla formazione.
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DILIT International House
La Dilit International House organizza corsi di formazione di base destinati a chi non ha mai insegnato italiano come lingua straniera o a chi ha insegnato con una metodologia diversa da quella proposta nei suoi corsi. I corsi
si svolgono esclusivamente nella sede della scuola, durano quattro settimane
al termine delle quali, se il partecipante è considerato idoneo, viene rilasciato un Diploma Dilit per l’insegnamento dell’italiano LS.
La scuola organizza inoltre dei corsi di aggiornamento su misura per istituzioni o gruppi di insegnanti con esigenze specifiche riguardo al contenuto,
alla durata o al periodo dell’aggiornamento. L’obiettivo può essere ad esempio l’apprendimento o il perfezionamento della gestione di una particolare
attività didattica.
Informazioni al sito: www.dilit.it
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Torre di Babele
La scuola Torre di Babele organizza un corso di formazione per insegnanti, rivolto a partecipanti italiani e stranieri che desiderino avvicinarsi alla
professione di insegnanti di italiano agli stranieri.
L’obiettivo è quello di colmare il divario che spesso la formazione universitaria lascia aperto tra la conoscenza della lingua e cultura italiana e delle
teorie linguistiche da un lato e quello della realtà della classe dall’altro.
Alla fine del corso è possibile sostenere gli esami per la Certificazione
DITALS.
Informazioni al sito: www.torredibabele.com
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4. formazione on-line
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Sono solamente due, fino a questo momento, gli enti che si occupano
della formazione on-line destinata ai docenti di italiano LS.
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4.1 Consorzio ICON - Laurea in lingua e cultura italiana per stranieri
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Il corso di laurea in Lingua e cultura per stranieri è erogato dal Consorzio
ICON, di cui fanno parte 24 università italiane convenzionate. Il corso è
interamente on-line.
Il corso di laurea è articolato in quattro indirizzi:
- didattico-linguistico
- storico-culturale
- letterario
- arti-musica-spettacolo.
Una parte dei contenuti è comune a tutti i curricula e una parte è specifica.
Il corso, articolato in 3 anni e diviso per semestri, può essere seguito in
autoapprendimento. In questo caso si utilizzano solo i materiali didattici e si
rinuncia all’assistenza di un tutor. Esiste inoltre la possibilità di non iscriversi all’intero corso di laurea ma di seguire solo singole classi virtuali in base ai
propri interessi. L’iscrizione al corso di laurea è riservata ai cittadini stranieri o italiani residenti all’estero.
Informazioni al sito: www.italicon.it
4.2 Università di Venezia
Master in Didattica e Promozione della lingua e cultura italiane a stranie317
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ri – Master Itals
Il Master ITALS nasce in seno al dipartimento di Scienze del Linguaggio
dell’Università di Venezia, ed è rivolto a laureati. L’obiettivo del Master è
quello di preparare personale con un profilo professionale specifico per l’insegnamento e la promozione della lingua e cultura italiane a stranieri, in
Italia e all’estero.
Il Master consiste nella combinazione di tre modalità formative: in rete,
in presenza e tirocinio.
Lo studio avviene sotto la guida di un tutor e in autoapprendimento per
alcuni moduli. Il piano di studi prevede quattro quadrimestri e termina con
la redazione di una tesi. Il Master è articolato in due percorsi, italiano L2 e
italiano LS. Quest’ultimo percorso nel terzo quadrimestre si articola in due
differenti indirizzi a scelta del corsista, l’indirizzo didattico e l’indirizzo organizzativo e promozionale. Il conseguimento del Master avviene dopo la presentazione di una tesi finale e la realizzazione di uno stage presso struttura
convenzionate.
Informazioni al sito: www.itals.it
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Corso di formazione annuale all’estero
Il corso consiste in circa 150 di ore di lavoro con una combinazione di
formazione glottodidattica di base on-line e settimana in presenza articolata
in 30 ore.
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Corso di formazione e monitoraggio per bambini all’estero
Consiste in un corso di 150 ore distribuite nell’arco di un anno scolastico
che prevede una proposta per il mondo e una variante per l’Europa. Si tratta di una combinazione di studio on-line con tutoraggio e forum, un seminario di 30 ore in presenza ed eventuali incontri con referenti locali.
Informazioni al sito: www.itals.it
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Progetto ALIAS
Il progetto ALIAS, nato in collaborazione con il ministero della Pubblica
Istruzione per la ricerca e l’aggiornamento dei docenti che hanno allievi stranieri offre corsi in presenza e a distanza.
Informazioni al sito: www.unive.it/progettoalias
5. Certificazioni
Le Certificazioni qui presentate sono esclusivamente quelle relative alla
certificazione di una competenza didattica.
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5.1 Certificazione CEDILS
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Il CEDILS è una certificazione della competenza in didattica dell’italiano
lingua straniera o lingua seconda, rilasciata dal Laboratorio ITALS
dell’Università di Venezia.
Possono sostenere l’esame sia cittadini italiani e stranieri con formazione
universitaria che docenti non laureati purché in possesso dei requisiti richiesti. È possibile frequentare un corso di formazione glottodidattica di 20 ore,
sia nelle sedi convenzionate in Italia che all’estero, propedeutico all’esame. Il
corso viene tenuto da formatori del Laboratorio ITALS dell’Università di
Venezia. Dopo il superamento delle prove d’esame viene rilasciato un attestato di Certificazione CEDILS. L’esame si effettua due volte l’anno in Italia
(marzo e settembre) o all’estero alla fine dei corsi di formazione.
Informazioni al sito: www.itals.it
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5.2 Certificazione DITALS
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La certificazione DITALS, certificazione di competenza in didattica
dell’Italiano a stranieri, è un titolo rilasciato dall’Università per Stranieri di
Siena che valuta la preparazione teorico-pratica nel campo dell’insegnamento a stranieri.
Agli esami per la Certificazione Ditals possono partecipare anche non laureati purché in possesso dei requisiti richiesti. Per sostenere l’esame è obbligatorio aver seguito un corso di formazione glottodidattica per almeno 30
ore. L’esame DITALS può essere sostenuto sia presso l’Università per stranieri di Siena nelle due sessioni annuali (luglio e dicembre) sia in Italia che
all’estero, presso istituzioni italiane e straniere convenzionate.
Informazioni al sito: www.unistrasi.it
6. Corsi di formazione e aggiornamento organizzati in loco
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In alcuni Paesi vengono anche organizzati dei corsi di formazione e
aggiornamento da enti e istituzioni locali. Non è certo facile fare una panoramica di questi corsi, sia per motivi di spazio che per difficoltà a reperire le
informazioni. Si consiglia pertanto di rivolgersi ai comitati della Dante
Alighieri, agli Istituti italiani di cultura e alle università locali, anche perché
ogni Paese ha una sua particolare realtà.
Qui di seguito daremo solo alcune informazioni sugli Istituti italiani di
cultura che organizzano propri corsi.
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6.1 Istituto Italiano di Cultura di Atene
L’Istituto di Atene organizza corsi di Glottodidattica, Storia della lingua
e Linguistica per insegnanti di italiano come lingua straniera. I corsi sono
quadrimestrali. Alla fine del corso viene rilasciato un Attestato di frequenza.
Informazioni al sito: www.iic.gr
6.2 Istituto Italiano di Cultura di Londra
L’Istituto organizza corsi di aggiornamento professionale rivolto a insegnanti stranieri o bilingui.
Informazioni al sito: www.italcultr.org.uk
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6.3 Istituto Italiano di Cultura di Malta
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L’Istituto di Malta organizza attualmente un corso di aggiornamento per
gli insegnanti di italiano nelle scuole maltesi in collaborazione con il ministero dell’Educazione maltese.
Informazioni al sito: www.iicmalta.org
riferimenti bibliografici
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UNIVERSITÀ
Università di Genova: www.perform.unige.it
Università di Pescara-Chieti e Roma 3: www.unich.it
Università di Padova: www.maldura.unipd.it/masters/italianoL2
Università per Stranieri di Perugia: www.unistrapg.it/SCUOLA
www.unistrapg.it
Università per Stranieri di Siena : www.unistrasi.it
Università per Stranieri Dante Alighieri di Reggio Calabria: www.calnet.it
Università di Venezia: www.itals.it
www.unive.it/progettoalias
ISTITUTI
IARD: www.iard.it
Società Dante Alighieri: www.soc-dante-alighieri.it
DILIT International House: www.dilit.it
Torre di Babele: www.torredibabele.com
Consorzio ICON: www.italicon.it
Istituto Italiano di Cultura di Atene: www.iic.gr
Istituto Italiano di Cultura di Londra: www.italcultr.org.uk
Istituto Italiano di Cultura di Malta: www.iicmalta.org
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ALTRI SITI INTERESSANTI DA CONSULTARE:
www.educational.rai.it/corsiformazione/intercultura
www.porta-oriente.com/italian_course_for_teachers_htm
www.tuttoeuropa.it/aggiornamento.htm
www.dantealighieri.com/indexa.htm
www.scuoladantealighieri.it/corsoagg.htm
www.suggestopediaitalia.it/pag04.htm
www.apuliadomus.com
www.koinecenter.com/code/courses4.html
www.xoom.virgilio.it/eduadu/italianoseconda.htm
www.hal9000/cisi.torino.it/wf/FACOLTA/Lingue-e-L/RICERCA/
FORMAZIONE/TEDESCO/socrates.htm
www.web.tiscali.it/controra/
www.warwick.ac.uk/fac/arts/Italian/Frontpage.shtml.htm
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Capitolo 24
L’offerta editoriaLe Per
i doCenti di itaLiano Ls
Mara Salvalaggio
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L’aggiornamento continuo e la formazione permanente si esplicitano sia
come partecipazione ad iniziative e attività di formazione e riqualificazione
offerte da Istituzioni, Enti e Università, sia come autoformazione. Questa
assume anzi un ruolo fondamentale nel percorso, e processo, formativo in
quanto consente di “autogestire il proprio apprendimento” e si configura
come “motore di sviluppo di metaapprendimento, primo obiettivo di una
più matura formazione formale, che, a sua volta, diviene formazione continua, cioè esigenza complessa di flessibilità cognitiva e mobilità professionale” (v. F. Batini, A. Fontana, “Verso le comunità di apprendimento” in
Rivista dell’Istruzione, n.2/2000, Maggioli Ed., Rimini).
Partendo da tale presupposto, in questo capitolo si cercherà di offrire una
panoramica delle principali risorse editoriali attualmente disponibili per l’autoformazione del docente di italiano LS. La produzione di testi specialistici
per l’insegnamento/apprendimento dell’italiano come lingua straniera, seppure quantitativamente non ancora ai livelli di altre lingue, è qualitativamente significativa e si avvale di apporti, prospettive e ricerche che contribuiscono a creare un quadro molto articolato e ricco.
Va sottolineato il fatto che si tratta di un settore in continuo e rapido sviluppo, perciò le indicazioni fornite non potranno avere carattere esaustivo, ma
potranno costituire un punto di riferimento da cui partire per ulteriori ricerche e approfondimenti. In particolare si prenderanno in considerazione le collane, i testi e le riviste specialistiche pubblicati dalle maggiori case editrici che
operano nell’ambito dell’insegnamento della lingua italiana a stranieri.
1. Le Collane
In questa sezione vengono presentate le collane che trattano prevalentemente tematiche inerenti alla glottodidattica dell’italiano come LS, distinta
da quella dell’italiano come L2, rivolte cioè all’insegnamento dell’italiano a
stranieri in Italia. Sono state citate le opere che le comprendono entrambe,
ma si sono tralasciate quelle che afferiscono unicamente alla didattica dell’italiano come lingua seconda, che esula dall’intento di questa opera.
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Per motivi di chiarezza si è deciso di presentare le varie collane suddivise
per singola casa editrice, cominciando dall’editore del presente volume.
1.1 I Libri dell’Arco (Bonacci editore, Roma)
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È una collana scientifica di glottodidattica, nata in collaborazione con
l’Università per Stranieri di Siena, progettata e diretta da P.E. Balboni. Essa
affronta in maniera sistematica questioni teoriche e pratiche concernenti l’insegnamento della lingua italiana a stranieri.
Il volume che apre la collana, Didattica dell’italiano a stranieri (1994)
dello stesso P.E. Balboni, rappresenta la prima opera sistematica e completa
relativa alla metodologia didattica dell’italiano per stranieri, ove la distinzione tra lingua straniera e seconda diviene oggetto specifico di riflessione e
approfondimento. Il testo comprende una parte teorica, dedicata alla definizione di un approccio formativo-comunicativo e una parte operativa, dedicata ai metodi e alle tecniche didattiche, nonché una sezione dedicata a temi
specifici quali l’insegnamento della letteratura e delle microlingue, i problemi dell’insegnamento da parte di docenti di madrelingua e l’insegnamento
agli adulti.
Sono stati finora pubblicati altri cinque volumi:
L’italiano televisivo (1994) di P. Diadori, nel quale si analizzano aspetti
linguistici, extralinguistici e glottodidattici della comunicazione televisiva.
Oltre alle parti teoriche, anche questo testo presenta un’ampia sezione operativa, dedicata all’uso del video nella classe di lingua, ed offre vari spunti
sulla valutazione e la didattizzazione di filmati e programmi televisivi in relazione alle tecniche per lo sviluppo delle abilità linguistiche e alla progettazione dell’unità didattica.
Test d’ingresso di italiano per stranieri (1995) di P. Micheli, che fornisce sia
coordinate concettuali per la riflessione e la costruzione di test, sia esemplificazioni nelle quali si possono cogliere suggerimenti per la valutazione.
La grammatica nell’insegnamento dell’italiano a stranieri (1995) di A.
Benucci, che propone una riflessione teorica sulla natura della grammatica e
sulla configurazione del sistema grammaticale in continuo mutamento, sulla
base di ricerche recenti di storia della lingua italiana e di sociolinguistica.
Una parte è dedicata all’analisi di alcuni testi di grammatica comunemente
utilizzati nell’insegnamento dell’italiano a stranieri.
Curricolo di italiano per stranieri (1995) di AA.VV., nel quale si possono
trovare le liste dei materiali linguistici e culturali nonché delle abilità cognitive e linguistiche da includere ai vari livelli dell’insegnamento dell’italiano LS.
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Il testo comprende anche una guida ragionata alle tecniche di classe finalizzate al raggiungimento delle mete glottodidattiche individuate nel curricolo.
Le varietà dell’italiano (1996) di L. Coveri, A. Benucci, P. Diadori, nel
quale si presenta una panoramica della situazione linguistica italiana contemporanea sia dal punto di vista sociolinguistico che da quello della didattica della lingua in Italia e all’estero. Il testo fornisce un’ampia scelta di documenti autentici che possono essere utilizzati in classe come esempi di lingua
reale e spunti per l’approfondimento linguistico.
1.2 Progetto Itals (Bonacci editore, Roma)
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Si tratta di una collana di formazione glottodidattica per insegnanti, sorta
in collaborazione con il Progetto Itals dell’università Ca’ Foscari di Venezia
e diretta da P.E. Balboni. (Per il Progetto Itals vedi capitolo 22)
Il primo volume, La formazione di base del docente di italiano per stranieri (2000) a cura di R. Dolci e P. Celentin, affronta gli aspetti fondamentali per
una corretta didattica dell’italiano a stranieri, fornendo sia basi teoriche che
soluzioni operative a chi sta iniziando un percorso formativo in qualità di
docente di italiano come lingua straniera o seconda.
Il secondo volume, L’italiano nel mondo - Mete e metodi dell’insegnamento dell’italiano nel mondo. Un’indagine qualitativa (2003), a cura di P. E.
Balboni e M. Santipolo cerca di tracciare una “foto (metodologica) di gruppo” attraverso un’indagine mondiale in cui si è cercato di vedere cosa effettivamente succede nelle aule di italiano, tramite la voce di più di 300 insegnanti. I dati, raccolti ed elaborati dall’équipe veneziana offrono un panorama non esaustivo ma significativo della sfaccettata realtà dell’insegnamento
dell’italiano nel mondo.
Il presente volume costituisce la seconda edizione riveduta e aggiornata
della prima pubblicazione della serie.
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1.3 Biblioteca Italiana di Glottodidattica (Guerra Edizioni, Perugia)
Diretta da Anthony Mollica, è una collana scientifica, che si rivolge ad
insegnanti e studiosi della disciplina. Il primo volume, Educazione bilingue,
(1999) curato da P.E. Balboni, presenta una raccolta di saggi di autori diversi che affrontano il tema dell’educazione bilingue attraverso ottiche diverse.
Si possono trovare inoltre analisi critiche di situazioni bilingui in Europa e la
descrizione delle premesse teoriche, dei metodi operativi e dei risultati del
progetto realizzato nelle valli ladine del Trentino.
Ad oggi sono stati pubblicati altri tre volumi:
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Dizionario di Glottodidattica (1999) di P.E. Balboni, uno strumento che
intende contribuire a creare una piattaforma terminologica condivisa dai
glottodidatti italiani e comune ai docenti di lingue in Italia e di italiano all’estero.
Internet nella didattica dell’italiano: la frontiera presente (2001) di M.
Mezzadri, un testo che si propone due obiettivi: da un lato, fornire spiegazioni e strumenti pratici per l’utilizzo di Internet e delle nuove tecnologie
nell’insegnamento/apprendimento dell’italiano come lingua straniera, e dall’altro, dimostrare che le nuove tecnologie possono migliorare la qualità dell’insegnamento/apprendimento in quanto consentono di mettere in pratica
una serie di presupposti glottodidattici fondamentali che sono il risultato
della ricerca degli ultimi decenni.
Lingue straniere nella scuola dell’infanzia (2002) a cura di P.E. Balboni,
C.M. Coonan e F. Ricci Garotti, nel quale si presentano il progetto, i percorsi
e i risultati di una sperimentazione effettuata in alcune scuole materne del
Trentino relativa alle lingue inglese e tedesco. Le indicazioni emerse, le riflessioni sull’organizzazione della scuola ospitante anche una lingua straniera e i
materiali usati per la valutazione dei risultati sono tuttavia applicabili a tutte
le lingue, in Italia come all’estero.
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1.4 Collana S.L.C.A. (Guerra Edizioni, Perugia)
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Si tratta di una collana che presenta contributi di emeriti studiosi, tra i
quali M. Danesi, R. Titone e M. Pichiassi, rivolti a offrire soluzioni teoricopratiche ai problemi della formazione psicopedagogica degli insegnanti di
lingue in Italia e all’estero.
Tra i dieci volumi finora pubblicati, si segnala, per la specificità della
didattica della lingua italiana, il testo di A. Ponzio, Enunciazione e testo letterario nell’insegnamento dell’italiano come LS. Partendo dal presupposto
che l’insegnamento linguistico deve basarsi sull’enunciazione, che le enunciazioni vivono nei testi e questi nei rapporti intertestuali, l’autore sostiene
che lo studio della lingua è inseparabile dallo studio della letteratura, in
quanto essa consente di evidenziare pienamente lo spessore dialogico delle
enunciazioni e dei testi.
1.5 Collana C.I.L.A. - Centro Italiano di Linguistica Applicata (Guerra
Edizioni, Perugia)
La collana comprende I Quaderni di Metodologia, a cura di Katerin
Katerinov. Si tratta di raccolte di articoli apparsi su riviste specializzate, o
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inediti, che mirano a diffondere le idee più avanzate nella glottodidattica
moderna.
Fanno parte della stessa collezione quaderni che si occupano in modo
specifico dell’insegnamento dell’italiano a stranieri, tra cui:
I sussidi didattici per l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera
(problematica generale) e L’analisi contrastiva e l’analisi degli errori di lingua
applicata all’insegnamento dell’italiano a stranieri (con dati statistici e suggerimenti per la correzione e la prevenzione degli errori) di K. Katerinov;
Sulle devianze ortografiche di 124 studenti germanofoni ed ispanofoni nei
dettati in italiano (con riflessioni sul piano teorico e suggerimenti pratici) di
M.C. Boriosi;
L’unità didattica. Problemi di programmazione dell’insegnamento dell’italiano a stranieri (analisi teorica seguita da modelli operativi) di K. Katerinov
e M.C. Boriosi;
Attività del Centro Italiano di Linguistica Applicata nel campo della diffusione della lingua e cultura italiana all’estero (descrizione dettagliata delle
attività a livello di ricerca, di consulenza scientifica e metodologica, di formazione e aggiornamento degli insegnanti di italiano come lingua straniera)
di M.C. Boriosi.
La stessa casa editrice pubblica anche la Collana Ricerca Scientifica e gli
Annali dell’Università per Stranieri di Perugia.
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1.6 Italiano Lingua Straniera - Formazione degli Insegnanti (Paravia
Scriptorium, Torino)
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Questa collana, diretta da Carla Marello dell’Università degli Studi di
Torino e progettata per la formazione di chi insegna all’estero, è rivolta a
docenti di italiano come lingua straniera che lavorano in prevalenza con
adulti e adolescenti non principianti. È patrocinata dall’Unione Europea
all’interno del Progetto LINGUA – SOCRATES Formazione e aggiornamento autonomo e a distanza di insegnanti di italiano lingua straniera. Benché
segua il modello originario della Collana tedesca Fernstudienproject zur Fortund Weiterbildung im Bereich Germanistik und Deutsch als Fremdsprache,
edita da Langenscheidt e sia parallela alla concomitante serie spagnola
Programas de autoformación y perfeccionamento del profesorado de español
como lengua extranjera, edita da Edelsa, essa si propone come una “via italiana” all’insegnamento dell’italiano LS e fa riferimento ad opere sensibili
alle peculiarità della lingua e della cultura italiana.
Ad oggi sono stati pubblicati 12 volumi che affrontano temi fondamenta326
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li per il curriculum formativo e di aggiornamento dei docenti, dove i risultati della ricerca glottodidattica si affiancano a suggerimenti operativi:
Routine e rituali nella comunicazione (1999) di Andrea De Benedetti e
Fabia Gatti;
Abilità di lettura (1999) di Alessandra Agati;
Abilità d’ascolto (1999) di Nicoletta Beretta e Fabia Gatti:
Insegnare e imparare la grammatica (1999) di Cecilia Andorno e Paola
Ribotta;
Insegnare e imparare la fonetica (2000) di Lidia Costamagna;
Abilità di scrittura (2000) di Marina Beltramo;
Analisi e correzione degli errori (2000) di Anna Cattana e Maria Teresa
Nesci;
Insegnare e imparare il lessico (2000) di Alessandra Corda e Carla Marello;
Abilità del parlato (2001) di Claudia Brighetti e Fernanda Minuz;
Il computer a lezione (2001) di Franca Bosc, M. Conoscenti, A. Corda e
A. Malandra;
Il video a lezione (2001) di Franca Bosc e Aura Malandra;
Leggere testi letterari (2001) di Erminia Ardissino e Sabrina Stroppa.
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1.7 Collana di Glottodidattica – Nuova Serie (UTET Libreria, Torino)
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Si tratta di una prestigiosa collana scientifica, diretta da Giovanni Freddi,
che raccoglie volumi e saggi di alcuni dei più illustri studiosi della disciplina.
Si rivolge a docenti di tutte le lingue straniere, ma non mancano i riferimenti precisi all’italiano. La collezione comprende:
Glottodidattica. Fondamenti, metodi e tecniche (1994) di Giovanni Freddi,
nel quale si descrivono, in modo chiaro ed organico, i fondamenti, i principi, i modelli e le tecniche tanto della teoria quanto della prassi glottodidattica. Vi sono illustrati e approfonditi temi fondamentali come i processi di
apprendimento della lingua, l’insegnamento per unità didattiche, la valutazione e il language testing, la strumentazione glottotecnologica.
Tecniche didattiche per l’educazione linguistica: italiano, lingue straniere,
lingue classiche (1998) di Paolo E. Balboni, che si propone come anello di
congiunzione tra la dimensione della ricerca e quella della prassi operativa.
Nella prima parte, dopo avere precisato che cosa si intenda per tecnica didattica, metodo e approccio e quale sia il ruolo delle tecniche in classe, l’autore
fornisce una mappa delle abilità linguistiche, primarie ed integrate, e ne
approfondisce lo sviluppo. Nella seconda parte del volume vengono invece
illustrate le tecniche per l’acquisizione delle regole e per la riflessione sulla
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lingua. La terza parte prende come punto di riferimento l’unità didattica, ed
analizza l’applicazione delle diverse tecniche nelle varie fasi. A conclusione
del volume viene presentato un repertorio ragionato di tutte le tecniche glottodidattiche in ordine alfabetico.
Multimedialità e insegnamenti linguistici: modelli informatici per la scuola
(1999) di G. Porcelli e R. Dolci, nel quale si affrontano i problemi legati all’avvento dell’era tecnologica. Sono suggerite soluzioni e linee di intervento sull’utilizzo delle moderne tecnologie glottodidattiche in una tipologia di insegnamento che evidenzia come la macchina sia comunque al servizio dell’uomo.
Educazione linguistica e valutazione (1999) di G. Porcelli, che presenta
una visione organica del quadro concettuale entro cui si situa il discorso sul
controllo dell’apprendimento della lingua straniera. Vengono definiti i fondamenti della docimologia applicata all’educazione linguistica e descritte le
diverse tecniche di accertamento del profitto in lingua straniera, dal livello
fonologico a quello pragmatico.
Psicolinguistica, sociolinguistica, glottodidattica. La formazione di base dell’insegnante di lingue e di lettere (1999) di G. Freddi, un testo che suggerisce
prospettive, condizioni, strumenti e tecniche per un moderno insegnamento
delle lingue straniere.
Le microlingue scientifico-professionali (2000) di Paolo E. Balboni, nel
quale l’autore analizza e riflette sulla natura e l’insegnamento delle microlingue, che ricoprono un ruolo fondamentale e strategico nella società complessa e fortemente orientata alla specializzazione di oggi. Partendo da una
precisa riflessione terminologica ed epistemologica sul concetto di microlingua, l’autore affronta, in prospettiva glottodidattica, l’aspetto professionale,
cioè il ruolo delle microlingue in ambito scolastico ed aziendale e la definizione del ruolo del docente e la sua formazione in un’ottica educativa oltre
che strumentale.
Europa, lingue e istruzione primaria (2002) a cura di P. Mazzotta, una raccolta di saggi che, avvalendosi di una solida tradizione di studi glottodidattici, linguistici e psicolinguistici sul plurilinguismo, analizzano le indicazioni di
principio fornite dal Common European Framework of Reference for
Languages e le traducono in termini operativi e in proposte didattiche e curricolari concrete.
1.8 Le Lingue di Babele (UTET Libreria, Torino)
È una nuova collana scientifica, diretta da Paolo E. Balboni, che propone i
più recenti sviluppi della ricerca glottodidattica. Fanno parte della collezione:
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Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse (2002) di
Paolo E. Balboni. L’autore presenta una attenta e stimolante riflessione sul
ruolo e sugli sviluppi della moderna glottodidattica, chiamata a difendere e
a salvaguardare il plurilinguismo, visto come autentico patrimonio culturale
e, forse, unica difesa contro la globalizzazione delle menti e l’omologazione
culturale. Dopo una prima parte dedicata agli elementi comuni a tutti i tipi
di didattica, nella seconda vengono affrontate le problematiche legate alle
differenti condizioni di insegnamento delle lingue straniere. Un’ultima sezione è riservata alle particolari difficoltà che si incontrano nell’insegnamento
dell’italiano agli stranieri e delle lingue “seconde” nelle regioni bilingui.
La glottodidattica e la lingua veicolare (2001) di Carmel M. Coonan. Il
volume analizza e approfondisce, in modo rigoroso e sistematico, i molteplici aspetti metodologici e didattici connessi con l’uso della lingua straniera
come veicolo di altri insegnamenti. Nella convinzione che in tal modo si
migliori la qualità dell’apprendimento della stessa lingua straniera, si forniscono suggerimenti per organizzare il lavoro in classe.
Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue straniere (2001) di
Mario Cardona. Il testo si propone come una riflessione articolata sui processi della memoria nell’apprendimento delle lingue. Rifacendosi agli esiti
della ricerca neurobiologica e di quelli della psicologia sperimentale, l’autore presenta la memoria come un insieme di sistemi che interagiscono tra loro
e individua le migliori strategie di apprendimento e di organizzazione del
materiale.
Dalla sociolinguistica alla glottodidattica (2002) di Matteo Santipolo. Il
libro offre un’introduzione accurata e completa dei principi teorici che stanno alla base dell’analisi sociolinguistica, facendo seguire alle definizioni
diversi esempi riguardanti varie realtà linguistiche. Di ogni problema affrontato sono illustrate le implicazioni glottodidattiche.
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1.9 M.I.L.I.A.: materiali per l’aggiornamento a distanza degli insegnanti di
italiano all’estero (I.R.R.S.A.E. Liguria, Genova)
Si tratta di una serie di pubblicazioni, a cura di M.C. Castellani, destinate agli insegnanti di lingua e cultura italiana all’estero. I sedici volumi finora
pubblicati affrontano le principali tematiche connesse con la didattica dell’italiano come lingua straniera. Tra i titoli:
Corsi italiani all’estero e formula di lingua e cultura di E. Dematte;
Esperienze multiculturali in classe di M.C. Castellani;
L’italiano e le altre lingue: aspetti linguistici e culturali di M. Vedovelli;
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La lingua italiana d’uso: il lessico del parlato di M. Vedovelli;
La lingua italiana d’uso: morfosintassi del parlato e dello scritto di M.
Vedovelli;
La comunicazione didattica di D. Bertocchi, A. Fioroni e R. Sidoli
Percorsi differenziati per l’apprendimento linguistico di D. Bertocchi, A.
Fioroni e R. Sidoli;
Intercultura e testi popolari di C. Lavinio;
Programmazione e valutazione di C. Lavinio
Valutazione e certificazione delle competenze in italiano L2 di M.C.
Peccianti.
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1.10 Materiali linguistici (Franco Angeli, Milano)
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È una collana scientifica a cura del Dipartimento di Linguistica
dell’Università di Pavia. Fanno parte del comitato di redazione, tra gli altri,
Anna Giacalone Ramat, Maria Pavesi, Michele Prandi, Paolo Ramat e
Massimo Vedovelli. Tra le pubblicazioni si segnala per l’argomento specifico della didattica dell’italiano come L2/LS:
Italiano Lingua Seconda. Modelli e strategie per l’insegnamento (1991) a
cura di M. Mazzoleni e M. Pavesi.
Si tratta di una raccolta di saggi, tra i quali si possono ricordare
“Descrizioni dell’italiano e applicazioni alla didattica”, di Tullio De Mauro,
“L’ italiano in Europa: contenuti linguistici per l’insegnamento dell’italiano
come L2”, di Vincenzo Lo Cascio, “L’insegnamento dell’italiano in Australia:
prospettive per gli anni novanta”, di Camilla Bettoni e Bruno Di Biase. Il
volume presenta un bilancio sulla situazione dell’italiano L2/LS e passa poi
ad esaminare il problema della certificazione nazionale e le diverse tipologie
di utenti, aggiungendo alcune proposte didattiche.
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2. Volumi fuori collana
Altre pubblicazioni che trattano prevalentemente di didattica dell’italiano come lingua straniera sono:
L’insegnamento della lingua-cultura italiana all’estero: aspetti glottodidattici
(1987) a cura di Giovanni Freddi, Firenze, Le Monnier. Il libro presenta i
risultati di un’indagine volta a monitorare la situazione dell’insegnamento
dell’italiano all’estero, con particolare riferimento ad Europa, America,
Africa e, parzialmente, Asia ed Oceania. Fornisce anche un’analisi di materiali e metodologie didattiche, nonché una proposta di intervento per una
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politica di sostegno della lingua e della cultura italiana all’estero.
La diffusione dell’italiano nel mondo e le vie dell’emigrazione: problemi
istituzionali e sociolinguistici: La prospettiva degli anni ’90 (1996) di T. De
Mauro e M. Vedovelli, Roma, Centro Studi Emigrazione. Si tratta di un saggio sulla diffusione dell’italiano nel mondo e sui problemi istituzionali, sociolinguistici e didattici relativi alla questione dell’emigrazione, con una consistente appendice documentaria e legislativa.
A Handbook for Teachers of Italian di A. Mollica, Éditions Soleil,
Welland, Canada. È un manuale di didattica dell’italiano che si rivolge prevalentemente a docenti non di madrelingua anglofoni. Le numerose proposte didattiche evidenziano l’importanza dell’aspetto ludico nell’insegnamento/apprendimento della lingua.
Parole comuni culture diverse (1999) di P.E. Balboni, Venezia, Marsilio. Il
libro è un manuale di formazione che affronta il tema della comunicazione
interculturale, argomento di fondamentale rilevanza nell’epoca della globalizzazione. Attraverso l’analisi di situazioni precise vengono spiegati i criteri
e i modelli della competenza comunicativa.
Lettori e oltre... confine (2000) di M. Catricalà, Firenze, AIDA. Si tratta di
un saggio nel quale vengono analizzate e discusse le questioni che le nuove
esigenze comunicative impongono ai docenti di lingua italiana all’estero.
L’insegnamento dell’italiano alle soglie del 2000 (2000) a cura di G. Panico
e L.G. Sbrocchi, Ottawa, Legas. Il volume raccoglie una serie di saggi di illustri studiosi che, da un lato, offrono utili contributi teorico-pratici per la
riflessione sulla metodologia glottodidattica (tra gli altri i saggi di Balboni,
Danesi, Titone, Mollica) e, dall’altro, contribuiscono a tracciare i nuovi confini storico-culturali entro i quali collocare oggi l’insegnamento dell’italiano
(Balboni, Oli, De Mauro, Loriggio).
Insegnare italiano a stranieri (2001) a cura di Pierangela Diadori, Firenze,
Le Monnier. Realizzato in collaborazione con l’Università per Stranieri di
Siena, il volume è costituito da una raccolta di saggi di diversi autori, A.
Benucci, M. Catricalà, A. Mollica, M. Maggini, P. Peruzzi, S. Semplici e altri.
Si suddivide in due parti: la prima, di taglio teorico, affronta le tematiche
fondamentali della didattica delle lingue moderne e gli aspetti più peculiari
dell’insegnamento dell’italiano a stranieri sulla base degli sviluppi delle
nuove realtà sociolinguistiche e socioculturali; la seconda, più operativa, propone l’analisi dei materiali didattici, l’organizzazione dell’unità didattica e la
costruzione di materiali e prove di verifica, con il supporto di numerosi
esempi pratici.
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Lector in media. La didattica dell’italiano e la comunicazione (2001) di M.
Catricalà ed E. Vannini, Firenze, AIDA. Il volume si rivolge a lettori ed insegnanti di lingua italiana all’estero. La prima parte analizza l’utilizzo delle
nuove tecnologie nella progettazione dei curricula e illustra le opportunità di
esposizione alla lingua grazie alla rete e alle antenne satellitari. La seconda
parte offre esperienze concrete di didattica dell’italiano in classi di studenti
stranieri mediante l’uso di materiali specifici per lo sviluppo della competenza comunicativa. La terza parte, infine, delinea il ruolo del lettore come
mediatore tra la sua lingua e cultura di origine e quella del paese straniero in
cui opera, sottolineando l’importanza della conoscenza della politica culturale italiana all’estero.
Guida all’italiano per stranieri. La prospettiva del Quadro comune europeo
per le lingue (2002) di M. Vedovelli, Roma, Carocci. Il volume, rivolto a
docenti italiani e stranieri, mette a confronto le linee contemporanee della
diffusione dell’italiano L2/LS con il Quadro comune europeo di riferimento
ed esamina problemi di didattica dell’italiano quali la programmazione degli
interventi formativi e la valutazione e certificazione delle competenze.
L’italiano degli stranieri. Storia, attualità e prospettive (2002) di M.
Vedovelli, Roma, Carocci. Il volume descrive le principali linee storiche della
lingua italiana diffusa fra gli stranieri. Le radici dell’attuale condizione dell’italiano come lingua straniera sono ricercate nel passato, con una ricostruzione di momenti dell’insegnamento dell’ italiano a stranieri che si trasforma
in proposta interpretativa della complessa situazione attuale.
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3. Le riviste
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Fermo restando che molte riviste di italianistica, di linguistica e di didattica delle lingue in generale presentano contributi utili alla formazione del
docente di italiano LS, in questo paragrafo si è scelto di focalizzare l’attenzione sulle riviste che trattano specificamente tematiche e problematiche
relative all’insegnamento e apprendimento dell’italiano come lingua straniera o che si rivolgono prevalentemente agli insegnanti di italiano all’estero.
Si tratta spesso di pubblicazioni recenti, diffuse anche in versione on line.
Le principali sono:
In.IT, periodico quadrimestrale di servizio per gli insegnanti di italiano
come lingua straniera, edito da Guerra Edizioni, Perugia. Come si legge nell’editoriale del Direttore P. Balboni, la rivista è nata per soddisfare tre bisogni:
diffondere informazioni tra gli italianisti che operano all’estero, contribuire a
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migliorare la qualità dell’insegnamento dell’italiano e contribuire a creare una
linea comune di intenti, di condivisione della politica di diffusione dell’italiano. Vi si possono trovare informazioni dettagliate sulle attività delle
Università per Stranieri di Siena e Perugia, del Progetto Itals dell’Università
di Venezia, della Dante Alighieri e su altre iniziative a favore dell’italianistica.
Una parte consistente è dedicata a saggi di glottodidattica, compresa una
rubrica per la presentazione delle novità in fatto di libri e materiali didattici.
La versione on line è consultabile al sito www.initonline.it.
SeLM (Scuola e Lingue Moderne), periodico mensile edito da Garzanti
Scuola. È la rivista dell’Organo Ufficiale dell’Anils, Associazione Nazionale
Insegnanti Lingue Straniere, diretta da Paolo E. Balboni. Ogni numero
riporta Saggi, Esperienze e Strumenti relativi alle lingue straniere. Esiste un
gruppo della segreteria didattico-culturale specifico per l’Italiano come lingua straniera.
Culturiana, trimestrale di linguistica, glottodidattica e informazione culturale per insegnanti d’italiano come lingua seconda o straniera, edito dalle
Edizioni Linguistic Club, Frascati. Alcuni dei materiali sono disponibili on
line al sito www.linguanet.it/bookshop/culturiana.
LEND (Lingua e Nuova Didattica), Petrini, quadrimestrale di linguistica
applicata e di glottodidattica, a cura del LEND, associazione culturale con lo
scopo di condurre un lavoro di ricerca, sperimentazione, formazione e
aggiornamento degli insegnanti di lingua straniera, e recentemente di italiano L2/LS. Alcuni articoli sono reperibili on line al sito www.lend.it.
ITALIANO & OLTRE, La Nuova Italia, Firenze, rivista bimestrale diretta da Raffaele Simone e strettamente legata al Gruppo di intervento e studio
nel campo dell’educazione linguistica (Giscel).
Proponendosi come obiettivo l’apprendimento e la diffusione della lingua
italiana, si occupa soprattutto dei problemi della lingua, vista anche nella sua
complessità di fenomeno sociale, culturale, psicologico e nella sua dimensione internazionale.
R.I.L.A. (Rassegna Italiana di Linguistica Applicata), quadrimestrale di
linguistica a cura del Centro Italiano di Linguistica Applicata, diretta da G.
Porcelli, Roma, Bulzoni Editore. Si occupa in maniera specifica delle implicazioni psicologiche e cognitive dello sviluppo del linguaggio ed affronta le
tematiche connesse con la glottodidattica, il bilinguismo e l’insegnamento
delle lingue straniere, ivi compreso l’italiano.
Educazione Permanente, bimestrale del Centro di Ricerca,
Sperimentazione e Documentazione di educazione permanente
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dell’Università per Stranieri di Siena, edito da Protagon Editori Toscani. La
rivista propone testimonianze sullo stato della ricerca nell’ambito della formazione, sia formale sia informale, dal punto di vista dell’educazione permanente a livello nazionale e internazionale. Si rivolge prevalentemente a
ricercatori, operatori sociali e docenti che lavorano con gli adulti, ivi compresi gli insegnanti dei corsi di lingua italiana per stranieri.
Bollettino Dilit, pubblicazione semestrale di glottodidattica, a distribuzione gratuita, a cura del Dipartimento Formazione insegnanti e ricerca della
DILIT International House, Roma. Si rivolge a tutti gli insegnanti di lingua
straniera e, in modo particolare, ai docenti di italiano L2/LS per i quali il
Dipartimento organizza corsi di formazione basati sull’approccio comunicativo. Il Dipartimento organizza anche Seminari internazionali e Convegni di
cui pubblica poi gli Atti (Ed. DI.L.IT). Tutti gli articoli del Bollettino e alcuni dei materiali pubblicati negli Atti dei Seminari internazionali sono disponibili on line al sito www.dilit.it.
Italienisch, la prima rivista scientifica in Germania che si occupa esclusivamente della lingua e della letteratura italiana. È l’organo del Fachverband
Italienisch in Wissenschaft und Unterricht, edita in collaborazione con la
Deutsch-Italienische Vereinigung e.V., Frankfurt am Main. Oltre alle rubriche per la presentazione di saggi e testi di autori italiani, contiene una sezione dedicata all’insegnamento dell’italiano, dove si analizzano problemi teorici di metodologia didattica e si avanzano proposte concrete per la didassi
quotidiana. Ha periodicità semestrale ed è presente on line al sito http://culturitalia.uibk.ac.at/italienisch/.
L’Italia fra noi, rivista quadrimestrale greca, diretta da Amelia Cepollaro.
In versione cartacea la sua diffusione è limitata alla Grecia, ma è presente
interamente on line al sito www.neticon.net/fra-noi/. Si tratta di una pubblicazione per la diffusione della lingua e cultura italiana, dove, tra le altre cose,
si possono trovare articoli riguardanti la metodologia e la didattica dell’italiano LS.
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Parte sesta
Le istitUZioni e i Casi
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Capitolo 25
Le istitUZioni e Le Leggi.
La figUra deLL’insegnante
di itaLiano aLL’estero
Silvana Vassilli
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In questo intervento si illustreranno brevemente i canali ufficiali per la
diffusione della lingua italiana all’estero e i principali riferimenti normativi
per chi voglia affrontare la professione di insegnante di italiano come lingua
straniera. L’obiettivo è quello di fornire un primo orientamento nel dedalo
delle norme e delle opportunità offerte dalle nostre istituzioni.
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1. i canali ufficiali per la diffusione della lingua italiana all’estero
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Lo Stato italiano ha affidato al Ministero degli Affari Esteri il compito istituzionale di promuovere la diffusione della lingua e della cultura italiana
all’estero. Tale azione viene svolta in sinergia e con la cooperazione di varie
istituzioni pubbliche - tra cui principalmente il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, il Ministero dei Beni Culturali e Librari e
varie Università italiane – e di istituzioni private. L’azione dello Stato nei
riguardi delle scuole ed altre istituzioni educative all’estero, demandata al
M.A.E., è regolata dal D.Lvo. 16 aprile 1994 n. 297, Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni
ordine e grado e si esplica per mezzo degli agenti diplomatici e consolari.
All’interno del Ministero degli Esteri le strutture a cui viene affidata la
promozione della lingua e cultura italiana all’estero fanno capo alla
Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale
(DGPCC) e alla Direzione Generale per gli Italiani all’estero e per le
Politiche Migratorie (DGIT).
1.1 Gli interventi della Direzione Generale per la Promozione e la
Cooperazione Culturale
Negli ultimi anni per la DGPCC la promozione della lingua italiana ha
costituito un’area di intervento prioritario, per la quale ha destinato il 58%
delle risorse finanziarie. Queste risorse consistono in larga misura nel mantenimento in servizio degli insegnanti di ruolo che operano nelle seguenti
istituzioni scolastiche:
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- scuole italiane statali, il cui ordinamento è conforme all’ordinamento
scolastico italiano, sono istituite dallo Stato che ne finanzia le spese e
assicura l’invio di personale direttivo, docente e non docente;
- scuole private legalmente riconosciute, istituite da enti, associazioni o
comitati privati; rilasciano titoli di studio validi in Italia a seguito del
riconoscimento legale da parte del MAE di concerto col MIUR. Al loro
funzionamento il Ministero degli Esteri contribuisce con l’invio di alcune unità di personale di ruolo e con contributi finanziari;
- scuole private con presa d’atto (non legalmente riconosciute), fondate
da enti privati. Poiché i titoli di studio non hanno valore legale gli alunni devono sostenere gli esami finali davanti a una commissione ministeriale. Il MAE contribuisce al loro funzionamento attraverso l’invio di
contributi finanziari.
Un contingente di insegnanti di ruolo viene inoltre destinato ai Corsi di lingua e cultura italiana per i connazionali all’estero (Legge 153), di cui si parlerà
più diffusamente nel paragrafo 1.2, e nelle seguenti istituzioni, divenute nell’ultimo decennio il settore di punta della politica scolastica all’estero:
- Sezioni italiane nelle Scuole Europee che vanno dal livello materno a
quello superiore e sono presenti nei Paesi della Comunità;
- Sezioni italiane di scuole straniere a carattere internazionale, presenti
soprattutto in Francia;
- Sezioni bilingui presso scuole straniere presenti soprattutto nell’Europa
Centro-Orientale.
In tutti e tre i tipi di “Sezioni” si insegnano oltre all’italiano anche alcune discipline in lingua e secondo programmi italiani. I titoli finali sono
riconosciuti per la prosecuzione degli studi nelle università tramite
accordi tra i paesi interessati.
- Università straniere (lettori di italiano).
Il Ministero degli Affari Esteri provvede dunque al funzionamento di vari
tipi di istituzioni scolastiche, inviando personale di ruolo o concedendo contributi a enti e associazioni private per l’assunzione in loco di personale non
di ruolo.
In dettaglio, si ricorda che la DGPCC effettua i seguenti tipi di intervento:
- contributi annuali a favore dell’insegnamento dell’italiano alle Scuole
locali, nelle quali vengono integrati corsi di lingua italiana, per la creazione e il mantenimento di cattedre, per il sostegno tecnico-finanziario
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delle cattedre, per l’assunzione di docenti locali a contratto privato, e
per la loro formazione e aggiornamento (D.M. 580 e 581 del 1992);
- contributi annuali a favore dell’insegnamento dell’italiano nelle
Università, per la creazione e il mantenimento delle cattedre di italiano,
per l’assunzione di docenti locali a contratto privato, e per la loro formazione e aggiornamento (D.M. 580 e 581 del 1992);
- assegni per il funzionamento degli Istituti Italiani di Cultura, i quali
negli ultimi anni hanno ripreso in parte a svolgere la funzione che avevano anteriormente alla legge di riforma del 1990, volta principalmente
all’insegnamento della lingua;
- acquisto e fornitura di materiale didattico per l’insegnamento dell’italiano nelle istituzioni scolastiche, nelle università e negli IIC.
Gli insegnanti che non sono nei ruoli dello Stato e che aspirino a insegnare all’estero potranno essere assunti direttamente dagli enti del Paese
straniero secondo modalità afferenti le leggi locali. Un elenco di scuole private a cui rivolgersi è pubblicato nel sito del Ministero degli Esteri menzionato a fine paragrafo.
Un’altra opportunità è costituita dalle supplenze all’estero sui posti temporaneamente vacanti di contingente statale, presso scuole statali, private o
straniere, o corsi di lingua e cultura italiana coperti da docenti a tempo indeterminato con nomina MAE. A tal fine è necessario essere inseriti nelle relative graduatorie d’Istituto o di Circoscrizione consolare redatte periodicamente dai Consolati o dai Dirigenti scolastici. A tale proposito nel sito
www.esteri.it viene emanata una apposita circolare contenente le disposizioni per la presentazione delle domande di supplenza e per la compilazione
delle graduatorie. Le domande d’inserimento nelle graduatorie vanno inviate direttamente alle sedi prescelte ed è consentito presentare la domanda in
non più di due Circoscrizioni consolari.
Gli Istituti Italiani di Cultura, che in base alla Legge 401 del 1990 hanno
acquisito maggiore autonomia amministrativa, finanziaria e gestionale, provvedono direttamente, attraverso contratti di carattere privato, all’assunzione
di docenti da impiegare nei corsi di lingua italiana. L’organizzazione dei corsi
degli Istituti è regolata dagli articoli 13 e 17 del Decreto Ministeriale n. 392
del 1995, il quale si rifà all’articolo 17 della Legge 401/1990.
È utile ricordare inoltre che, ai sensi della Legge 3 agosto 1998 n. 296, gli
Istituti italiani di cultura possono avvalersi, per l’organizzazione di corsi di
lingua italiana, di personale in possesso di laurea in lettere con votazione non
inferiore a 110/110 e che abbia una buona conoscenza di una delle principali
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lingue straniere. Tale personale è reclutato con contratto a termine della
durata massima di un anno scolastico, rinnovabile per un ulteriore anno.
L’Istituto di cultura effettua il reclutamento attraverso un avviso pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e inviato alle facoltà di lettere delle università italiane. Un esempio positivo di utilizzo di tale legge è
offerto dall’Istituto di cultura di Madrid che sta attuando una politica di diffusione della lingua italiana tramite la gestione diretta e il potenziamento dei
corsi di lingua. Tuttavia, dati i limiti temporali imposti dalla legge, che porta
ad una turnazione costante del personale e ad una conseguente mancanza di
continuità didattica, non sono molti gli Istituti che si avvalgono di questa
possibilità.
Si segnala inoltre che i laureati in lettere e lingue straniere possono essere assunti come lettori di lingua italiana, con un contratto di diritto privato,
da Università straniere. Le informazioni relative possono essere richieste
direttamente alle università straniere o alle rappresentanze diplomatiche e
consolari.
Per sapere di più:
- sulle norme relative agli Istituti di Cultura, si consiglia la consultazione
del sito: http://www.ilsegnalibro.com/normativa/
- sull’azione del MAE in materia di interventi scolastici: www.esteri.it,
cliccare su Politica estera e poi su Promozione culturale e in seguito su
scuole o università;
- sulla normativa e le problematiche relative all’insegnamento all’estero è
utile consultare i siti sindacali del comparto scuola (p.es: www.cgilscuola.it , sezione Estero).
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1.2 Gli interventi della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le
Politiche Migratorie
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Un ruolo molto importante nella promozione di attività linguistico-culturali a favore delle comunità italiane all’estero è svolto dalla Direzione
Generale per gli Italiani all’Estero e per le Politiche Migratorie.
In attuazione del Decreto legislativo 297 del 1994 che ha recepito la legge
153 del 1971, questa Direzione provvede ai finanziamenti a favore della rete
dei Corsi di lingua e cultura italiana rivolti ai nostri connazionali residenti
all’estero. Per l’attuazione di questi corsi sono impiegati soprattutto docenti
locali non di ruolo assunti da Enti gestori, anche se vi sono assegnati anche
docenti o dirigenti scolastici di ruolo inviati dall’Italia e retribuiti dalla
DGPCC.
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Nel 2000 la DGIT ha erogato complessivamente 45 miliardi di lire (23
milioni di Euro) in contributi per il funzionamento dei corsi, utilizzati per
l’assunzione dei docenti locali e per la loro formazione.
La legge 153/71, confluita nel D.L. 16 aprile 1994 n.297 Testo Unico delle
disposizioni legislative in materia di istruzione, secondo una ricostruzione fatta
da M. Barni, (2001) in Studio di fattibilità per una ricerca sulle motivazioni e
sulle caratteristiche dei pubblici dei corsi di lingua e cultura italiana all’estero,
realizzato per conto del Ministero degli Affari Esteri, DGIT, Uff.II dal Centro
CILS, MAE, Roma, (p.26-36) prevede all’art. 636 del Testo Unico: l’organizzazione all’estero, tra gli altri, dei seguenti tipi di interventi formativi:
a. classi o corsi preparatori aventi lo scopo di agevolare l’inserimento dei
congiunti dei lavoratori italiani nelle scuole dei paesi di immigrazione;
b. corsi integrativi di lingua e cultura generale italiana per i congiunti di
lavoratori italiani che frequentino nei paesi di immigrazione le scuole
corrispondenti alle scuole italiane elementare e media;
c. corsi di scuola popolare per lavoratori italiani, non finalizzati al rilascio
di titolo di studio.
In realtà, una volta applicati ai contesti formativi dei vari Paesi del
mondo, questi interventi hanno assunto forme, strutture e funzioni anche
molto differenziate, che sono però riconducibili alle tre categorizzazioni contenute nei quadri riassuntivi dei dati: corsi integrati, inseriti, extrascolastici.
Si definiscono integrati quei corsi che sono appunto pienamente integrati nel sistema scolastico del paese ospite. L’italiano è una delle materie obbligatorie del curriculum e oggetto, come le altre materie, di valutazione finale.
I corsi quindi coincidono con intere classi, e l’italiano, probabilmente per
gran parte degli alunni che compongono la classe, è una lingua straniera.
Sono inseriti quei corsi che si svolgono sempre all’interno del sistema scolastico, ma nell’orario riservato alle materie facoltative. L’italiano è quindi
una delle varie materie facoltative che la scuola offre. Pertanto non è oggetto di valutazione finale: la frequenza o il profitto conseguito non sono contenute nella pagella scolastica dell’alunno.
I corsi extrascolastici sono quelli organizzati al di fuori del sistema scolastico, in un’ottica di educazione permanente. Possono quindi essere frequentati anche da adulti.
1.3 La Società Dante Alighieri
Infine, un intervento importante nel campo della diffusione della lingua e
cultura italiana all’estero è costituito dall’attività della Società Dante
341
Alighieri e dei suoi 500 comitati presenti in tutto il mondo. Anche la Dante
Alighieri assume direttamente in loco i docenti da destinare ai proprio corsi
di lingua, seguendo propri criteri di selezione e di formazione iniziale e in itinere. L’attività dei Comitati è supportata dal Ministero degli Esteri attraverso un contributo annuale erogato dalla Segreteria Generale.
1.4 Conclusioni
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Attualmente nel settore delle istituzioni e iniziative scolastiche sono
impiegate 1.191 unità di personale di ruolo della scuola, utilizzate per il
39,4% nelle Scuole, per il 38,2 % nei Corsi di lingua e cultura italiana, per il
22,4% nei Lettorati presso le università straniere. Negli ultimi anni la rete
delle istituzioni scolastiche è stata parzialmente ristrutturata razionalizzando
le risorse a disposizione e potenziando il numero dei lettorati a scapito
soprattutto del settore dei corsi e delle scuole gestite da enti e comitati privati, ai quali è stato comunque garantito il supporto con l’assegnazione di
contributi per il mantenimento delle attività esistenti.
Le finalità dell’azione svolta dalle istituzioni scolastiche italiane all’estero
rimangono quelle tradizionali di provvedere alla scolarizzazione dei figli dei
connazionali temporaneamente residenti all’estero e al mantenimento dell’identità culturale dei figli degli emigrati anche di seconda e terza generazione. A queste due finalità prioritarie si affianca l’esigenza di promuovere e
diffondere la lingua e la cultura italiana presso gli utenti stranieri.
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2. Chi sono gli insegnati di italiano Ls
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Attualmente non esiste una mappa completa dei docenti che insegnano
all’estero. I dati certi di cui si è in possesso si riferiscono alla tipologia degli
insegnanti di ruolo inviati dal MAE. Per le altre tipologie di insegnanti, quelli “locali” di origine italiana o straniera, i dati più recenti sono quelli indicati nell’inchiesta Italiano 2000, Indagine sulle motivazioni e sui pubblici dell’italiano diffuso fra stranieri, Roma – Siena 2001, affidata dal MAE
all’Università di Roma La Sapienza e condotta da M. Vedovelli, M.Barni e L.
Miraglia sotto la direzione di T. De Mauro.
Vediamo nel dettaglio le diverse tipologie di insegnanti.
2.1 Insegnanti nei ruoli dello Stato italiano
Inviati dal MAE nelle istituzioni menzionate nel paragrafo 1.1.
Sono docenti provenienti dai ruoli del Ministero dell’Istruzione e hanno
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(sulla base dell’ultimo Accordo per la destinazione all’estero del 5.7.2001) una
Laurea in Lettere o in Lingue straniere. Devono aver superato il periodo di
straordinariato o di prova nel ruolo di appartenenza e devono conoscere la
lingua straniera richiesta per il Paese di destinazione. La loro permanenza
all’estero è prevista per un periodo limitato di tempo e il MAE, d’intesa col
MIUR, offre loro una breve formazione iniziale in glottodidattica dell’italiano
affidata nell’ultimo decennio di solito alle Università per Stranieri di Siena o
Perugia, o a vari IRRE (ex IRRSAE), o alla Fondazione IARD.
Al MIUR è demandata la successiva formazione in itinere d’intesa con il
MAE.
Le modalità di selezione dei docenti di ruolo da inviare all’estero per insegnare la lingua italiana sono variate nel corso degli ultimi vent’anni. Si è passati da esami orali accertanti la cultura generale e la conoscenza delle lingue
straniere ad esami molto selettivi (1989-1997) che prevedevano l’espletamento di prove scritte e orali miranti a valutare anche la competenza glottodidattica del candidato. Attualmente, la destinazione all’estero di tutto il
personale docente è regolato da D.L. 16 aprile ’94, Titolo II, e dall’Accordo
sopra menzionato, sottoscritto il 5.7.2001.
Sostanzialmente l’invio all’estero avviene tramite iscrizione alle graduatorie permanenti in cui hanno titolo ad essere inseriti coloro che, possedendo
i titoli di studio e culturali richiesti, abbiano superato una prova unica di
accertamento della conoscenza di una o più lingue straniere tra quelle relative alle quattro aree linguistiche: francese, inglese, tedesco e spagnolo. Il
periodo di permanenza all’estero è limitato a cinque anni rinnovabili per non
più di tre periodi intervallati da un periodo di servizio effettivo in territorio
metropolitano di almeno tre anni.
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2.2 Insegnanti italiani “non” nei ruoli dello Stato italiano
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Non è stato fatto un monitoraggio capillare di questa categoria vasta e
disomogenea. Si tratta spesso di laureati o diplomati italiani che risiedono
all’estero, dove sono arrivati per motivi diversi: perché figli di connazionali
laureati o diplomati all’estero, ovvero perché dopo la laurea o il diploma si
sono trasferiti all’estero per motivi professionali e che offrono attività di insegnamento a diversi livelli e in varie istituzioni, quali Università, Corsi (L.
153), Dante Alighieri, Università della terza età, IIC, ecc., e con diverse formule contrattuali.
Mancano dati completi sulla loro formazione glottodidattica iniziale e in
itinere. Nell’Indagine Italiano 2000 (op.cit. p.76- 77), rivolta prevalentemen343
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te a scandagliare la realtà degli IIC e delle istituzioni con le quali questi sono
in contatto, viene evidenziato ad esempio che i docenti che insegnano nei
corsi degli Istituti di Cultura sono per la maggior parte italiani, solo il 18%
è straniero. La maggioranza di loro, sia italiani sia stranieri, ha conseguito
una laurea. Solo il 14% di tutti gli insegnanti non è laureato, e la percentuale dei laureati italiani è leggermente superiore a quella degli insegnanti stranieri. I docenti laureati hanno avuto una formazione prevalentemente linguistica acquisita per lo più in Italia, la competenza glottodidattica operativa è stata dunque acquisita prevalentemente sul campo per entrambi i gruppi di docenti. Solo il 18,9% hanno con gli IIC un contratto a tempo indeterminato, la maggioranza è assunta in base alle esigenze del momento e a
tempo determinato.
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2.3 Insegnanti stranieri di italiano
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Anche questa categoria meriterebbe un’analisi a tutto campo. Si tratta di
insegnanti stranieri che spesso (ma non sempre) hanno conseguito una
Laurea in materie umanistiche, generalmente in Lingue straniere, nelle
Università del loro Paese. Per poter insegnare italiano nelle istituzioni scolastiche devono aver compreso nel loro curriculum di studi un numero di
esami e insegnamenti di lingua, linguistica e cultura italiane che variano a
seconda degli ordinamenti dei singoli Stati e delle singole istituzioni. Spesso
si sono formati seguendo il percorso didattico e pedagogico delle istituzioni
universitarie di riferimento, hanno fatto un tirocinio nelle scuole a completamento della formazione pedagogica, a volte hanno continuato la loro formazione linguistica e glottodidattica in Italia in corsi loro dedicati delle
Università per stranieri o di altre istituzioni. Insegnano italiano nelle istituzioni scolastiche e universitarie del loro Paese, o nei Corsi (L.153), presso i
Comitati delle Dante Alighieri, negli IIC, e così via.
3. La formazione del personale che insegna italiano all’estero
Il Ministero degli Affari Esteri separa nettamente i tipi di intervento formativo destinati ai docenti “di ruolo” rispetto agli itinerari formativi rivolti
ai docenti “locali”.
Ai primi è riservato un corso di formazione iniziale1 a cura del MAE con
la collaborazione del MIUR, mentre le successive iniziative di formazione in
servizio sono curate d’intesa tra i due Dicasteri, nel quadro di un piano
annuale o pluriennale, che tiene conto delle linee guida definite dal MIUR
per tutto il personale della scuola. Attraverso gli Atti dei corsi di formazione
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per insegnanti di italiano da destinare all’estero, che sono stati in parte raccolti e pubblicati, è possibile ripercorrere le strategie adottate dal MAE per
la formazione iniziale degli insegnanti di ruolo.
Per quanto riguarda la formazione in servizio va notato che fino al 1995 il
MIUR d’intesa con il MAE aveva previsto la figura degli ispettori ministeriali all’estero i quali avevano il compito di coordinare e presentare le richieste
di formazione per il personale in servizio nelle scuole e nei corsi di italiano.
Attualmente, venuta meno - con l’entrata in vigore dell’ ultimo contratto
collettivo del comparto scuola - l’obbligatorietà della formazione per la progressione di carriera, le iniziative di formazione in servizio si sono diradate.
Responsabile per la formazione in servizio comunque è il MIUR ( II
Divisione della Direzione Generale degli Scambi Culturali) il quale negli ultimi anni ha intrapreso un progetto pluriennale che, utilizzando gli strumenti
della formazione a distanza e dell’autoaggiornamento, dovrebbe consentire
di raggiungere tutto il personale in servizio all’estero.
La formazione in servizio del personale di ruolo all’estero, negli intenti
del MIUR, avverrà dunque prioritariamente seguendo un modello di formazione a distanza.
Per i docenti non di ruolo non sono previste azioni di formazione organizzate dall’Amministrazione centrale. Il Ministero ha tuttavia istituito l’erogazione di contributi per l’aggiornamento in servizio e nelle sedi estere
(D.M.581/92). Questi contributi vengono richiesti da istituzioni scolastiche
e universitarie locali, da enti locali preposti alla formazione dei docenti o da
associazioni di insegnanti e sono inviati all’Amministrazione per il tramite
delle rappresentanze diplomatiche che hanno funzione di vigilanza e indirizzo. Il parere favorevole dell’ambasciata è vincolante per l’attribuzione di tali
contributi. Va notato che l’erogazione dei contributi avviene attraverso la
richiesta motivata proveniente dalle Ambasciate o dagli IIC sulla base della
loro conoscenza e valutazione delle problematiche presenti nella situazione
locale. L’amministrazione centrale ha solo la funzione di valutazione della
congruità dei progetti presentati, controllandone il rispetto delle leggi in
vigore, sulla base anche della disponibilità del bilancio annuale.
1
Gli atti relativi agli interventi formativi rivolti ai lettori di prima nomina in parte sono stati raccolti
e pubblicati presso l’Editore Aida di Firenze, in parte sono stati stampati in edizione limitata e non in
commercio. (Una copia degli Atti e la raccolta di norme e disposizioni sul servizio all’estero del personale
della scuola a cura dell’Ufficio IV della DGPC sono a disposizione nella Biblioteca del MAE). In questo
passaggio si fa riferimento al volume Catricalà M. e Vannini E. (cur.) (2001), Lector in media: la didattica
dell’italiano e la comunicazione, Università per Stranieri di Siena, MAE, MPI, Aida, Firenze.
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Tenendo in considerazione gli esiti delle più recenti indagini sulle motivazioni all’apprendimento dell’italiano diffuso fra stranieri (De Mauro Vedovelli, 2001, op. cit.), si deve riconoscere che negli ultimi anni i pubblici
dell’italiano sono molto mutati. Chi vuole apprendere l’italiano è attratto
dalla nostra lingua per poter accedere alla nostra cultura, considerata quale
valore in sé, ma anche per poter migliorare la propria posizione professionale. È interessante infatti notare che la richiesta dell’italiano è legata all’immagine del “sistema Italia” e ai valori culturali ed estetici che esprime, però
si fa sempre più strada l’esigenza di studio per investimento professionale,
per ragioni d’uso nel settore economico-produttivo.
Nonostante questo cambiamento di tendenza, l’azione ministeriale per la
diffusione della nostra lingua è ancora molto legata ad un tipo di intervento
che è più di supporto all’emigrazione e al mantenimento di una lingua quale
testimonianza dell’appartenenza etnica. Pertanto, anche alla luce della mutata fisionomia delle collettività italiane all’estero che sono sempre più integrate nei paesi che le ospitano, sembra sempre più necessario e urgente un
ripensamento dell’intera strategia ministeriale e, in particolare, del sistema
dei corsi per i connazionali all’estero che assorbe molte risorse finanziarie.
È evidente inoltre che condizione essenziale per promuovere la diffusione della lingua italiana e renderla competitiva sul mercato delle lingue è puntare sulla qualità dell’offerta e quindi sul miglioramento della qualità dell’insegnamento/apprendimento. I numerosi studi a proposito, condotti soprattutto dall’OCSE-OECD2, riconducono al fatto che il presupposto di tale
miglioramento è una politica nazionale coerente e continua, volta al monitoraggio della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti. Si dovrebbe
quindi superare la tendenza alla frammentazione degli interventi e dei finanziamenti a favore della promozione della nostra lingua per raggiungere invece un accordo su una strategia comune tra le due Direzioni Generali del
MAE, con l’ausilio di esperti del MIUR e delle università italiane specializzate nell’insegnamento dell’italiano a stranieri e nella ricerca linguistica e
glottodidattica.
C’è da rilevare inoltre, secondo le voci raccolte dalle Associazioni di insegnanti di italiano come lingua straniera (AISSLI e AIPI), e sulla base delle
considerazioni lette nei forum o nelle liste di discussioni per insegnanti del
settore3, si riscontra nella categoria:
una diffusa sensazione di “orfanità” rispetto alle istituzioni italiane, percepita specialmente dagli insegnanti cosiddetti “locali”, per la maggior parte
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stranieri, che lamentano mancanza di comunicazione e attenzione nei loro
riguardi da parte dell’Amministrazione;
una diffusa sensazione di “isolamento” da parte di chi insegna italiano
all’estero e avrebbe bisogno di confrontarsi in termini professionali e umani
con colleghi in situazioni analoghe.
Un’attenzione costante da parte dell’Amministrazione centrale, di monitoraggio e di supporto al lavoro di queste diverse categorie di insegnanti,
potrebbe certamente incentivarne la motivazione. Per un docente straniero,
ad esempio, scegliere di insegnare l’italiano invece dell’inglese imperante è
una scelta professionale non da poco: si pensi ad esempio alla volatilità e alla
mutevolezza dei pubblici dell’italiano e alla conseguente incertezza della
continuità del posto del lavoro, in un contesto internazionale in cui le altre
lingue che concorrono sul mercato e competono con la nostra possono usufruire di una solida organizzazione volta alla loro diffusione.
Sempre sulla base dell’indagine sulla qualità dell’insegnamento condotta
dal CERI per l’OECD4 emerge quanto sia rilevante il lato umano dell’insegnante, il suo carisma, il rapporto affettivo che instaura nella classe che è una
delle basi del successo scolastico. Poiché allo stato attuale è impensabile sottoporre gli insegnanti da destinare all’estero ad un esame iniziale attitudinale, sarebbe particolarmente importante il supporto da fornire in itinere, sia
in termini di formazione continua, sia in termini di attenzione e sostegno al
lavoro che gli insegnanti stanno svolgendo.
2
OCDE (1990), L’enseignant aujord’hui: Fonctions, status, politiques, OCDE, Paris; OECD (1995),
Measuring the Quality of Schools, Paris
3
Si veda ad esempio nel sito dell’Università per Stranieri di Perugia: http://www.unistrapg.it/lista/
lista.htm, l’interessante mailing list per insegnanti di italiano L2.
4
Si veda anche: U. Margiotta (2002), L’insegnante di qualità, Roma, Armando.
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Capitolo 26
itaLiano Ls aLL’UniVersitÀ:
La KoÇ UniVersitY di istanBUL
Cinzia Ciulli, Stefania Ciurli1
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Lingua etnica parlata per secoli solo nei quartieri levantini, spesso sostituita dal francese, raramente utilizzata come lingua franca: ma allora, nell’arco di quest’ultimo decennio, che cosa ha contribuito a rendere l’italiano la
lingua più amata dai turchi, la più ambita? Il commercio, che vede comunque l’inglese sua lingua veicolare ad hoc? La Turchia come probabile nuovo
paese membro della UE? Fenomeno troppo recente per aver già lasciato un
imprinting così marcato. L’italiano sta raggiungendo apici di popolarità in
continua escalation: lo si vuole parlare, capire, vivere.
L’italiano ha musicalità, è la lingua dell’arte e della moda: un idioma che
incanta e appassiona, nelle dolci parole della bella Lizabetta da Messina, nei
cieli azzurri di Bocelli e nella logorroica implorazione di Perdono. Il cosiddetto “caso turco” vive i suoi momenti di splendore: un successo inatteso che
lascia a noi, operatori della lingua e della cultura, il doveroso onere di saperlo mantenere, alimentare, attraverso una costante ricerca di qualità e professionalità.
Sono nati in questi anni numerosi dipartimenti e scuole di lingua in tutto
il paese. Qui vi riportiamo l’esempio di come è strutturato uno degli istituti
che da anni opera con successo nel settore dell’insegnamento e la promozione dell’italiano in Turchia.
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1. Centro Culturale italiano, Koç University, istanbul
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Il Centro Culturale Italiano della Koç University è un’istituzione finanziariamente sostenuta da FIAT International Turchia e parzialmente dal
MAE. Il centro è nato nel 1994 come progetto pilota per monitorare il reale
interesse verso lo studio della lingua italiana. Il successo dell’iniziativa ha
determinato la fondazione, nel 1995, di un Centro Culturale permanente per
la promozione e didattica dell’italiano a stranieri. La presenza dello sponsor
ha permesso la realizzazione di progetti di un certo rilievo che hanno incrementato il prestigio dell’istituzione.
1
Pur concepita insieme, la stesura dell’articolo va attribuita a S. Ciurli per i paragrafi 1 e 1.1, a C.
Ciulli per il paragrafo 1.2.
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Lo scopo principale del centro è quello di preparare studenti-amici
dell’Italia che, avendo maturato forti legami con la lingua e la cultura italiana, possano adottare nella loro carriera professionale, nell’imprenditoria
pubblica o privata, un orientamento italian-friendly. Studenti e docenti si
mostrano sempre più interessati alle iniziative organizzate dal centro; corsi di
lingua, attività extracurricolari, tutoraggi pomeridiani di sostegno e conversazione, forum di discussione, cineforum. Il centro organizza inoltre seminari, conferenze o corsi di formazione per docenti, talvolta organizzati in collaborazione con l’Istituto di Cultura consolare.
Un altro polo di notevole interesse è rappresentato dalla gestione delle
convenzioni stipulate tra Koç University e numerosi atenei italiani, cooperazioni che prevedono la mobilità del corpo studenti e docenti, borse di studio, progetti di ricerca e pubblicazioni. Attività primaria del centro resta
comunque la coordinazione didattica, che include la gestione dei corsi di lingua e cultura italiana e l’organizzazione delle attività extracurricolari.
Le figure professionali operanti in questa struttura vengono selezionate
tramite concorso per titoli e meriti e sono essenzialmente due: il direttoredocente ed il docente. Il direttore, a cui sono affidate la gestione del Centro
e delle attività, nonché la docenza di tre corsi semestrali, viene assunto con
contratto annuale che può assumere validità di collaborazione a tempo indeterminato in base a criteri di merito e anzianità stabiliti dal rettorato. Il
docente, assunto con contratto semestrale rinnovabile in base a criteri di
merito e anzianità, può essere collaboratore a tempo pieno, (con quattro
corsi a semestre), oppure part-time, (con uno, due o tre corsi a semestre).
Le suddette figure professionali devono essere in possesso, al momento
della loro candidatura, dei seguenti requisiti: madrelingua italiana, certificato di laurea ottenuto presso un’università italiana, diploma di specializzazione in didattica della lingua Italiana a stranieri, Master o diploma equipollente, esperienza minima quinquennale nell’insegnamento della LS.
2. Corsi, sillabi e attività extracurricolari
Alla Koç University non esiste un corso di laurea in lingue straniere, tuttavia gli studenti delle varie facoltà (economia, ingegneria, ecc.) hanno la
possibilità di inserire nel loro piano di studi corsi di lingua straniera, a scelta tra francese, italiano, russo e tedesco, come complementari. I corsi sono
semestrali e ognuno vale 3 crediti, come gli altri corsi di laurea obbligatori.
Il regolamento prevede che, scelta una lingua, si frequentino almeno 4 corsi
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o si abbandoni il programma dopo il primo semestre, al termine del quale lo
studente ha appena superato il livello A1, ovvero ha scoperto la lingua e può
decidere più consapevolmente se continuare a studiarla; qualora lo studente
interrompa il programma successivamente non otterrà la trascrizione dei crediti del/i corso/i frequentato/i in seguito.
I primi 4 corsi (ITAL 201, 202, 301 e 302), 3,45 ore alla settimana ripartite su tre giorni per circa 14 settimane ciascuno, prevedono di condurre lo
studente al Vantage Level del Common European Framework (B2), in seguito gli studenti possono continuare ad approfondire le loro conoscenze e
competenze frequentando altri due corsi semestrali, ITAL 401 e ITAL 402,
ciascuno con un monte ore settimanale di 2,30 ore ripartito su due giorni.
Questi due corsi sono indipendenti l’uno dall’altro, così come dal programma precedentemente menzionato e il prerequisito per accedervi è il possesso
della competenza linguistica richiesta.
ITAL 401 è un corso di italiano professionale, non tanto incentrato sulla
microlingua, quanto sugli aspetti interculturali inerenti il mondo degli affari
e i rapporti di lavoro italo-turchi, con particolare riguardo alle competenze
paralinguistiche (cinesica, vestemica, ecc.), per cui alla fine del corso gli studenti saranno in grado non solo di scrivere un CV, ma anche di presentarsi
in modo adeguato e culturalmente pertinente nel mondo del lavoro italiano.
Frequentando ITAL 402 ci si avvicina invece al mondo culturale italiano
attuale: soprattutto cinema, musica e TV. Il curricolo prevede la visione di
film e programmi, ascolti e letture, precedute e seguite da momenti di discussione collettiva e approfondimenti con presentazioni individuali. I curricoli
di questi due corsi prevedono 2-3 verifiche di progresso, mentre il test finale è sostituito da una ricerca individuale presentata in forma scritta e oralmente alla classe. Vista la preponderanza delle attività orali svolte a lezione,
la produzione orale costituisce il 30% della valutazione globale, a cui si
aggiungono: 40% di ricerca/presentazione individuale, 20% verifiche intermedie scritte e 10% presenze.
In considerazione della natura comunicativa di tutti i nostri corsi, nella
valutazione della produzione orale, che nei primi 4 corsi equivale al 20%, si
tiene conto non solo della competenza linguistica, ma anche della sua partecipazione alla lezione, del numero e della qualità di interventi prodotti in
classe. I curricoli di ITAL 201/202/301/302, pur sviluppando ovviamente
sillabi diversi per coprire i primi 4 livelli del framework, sono analoghi e la
valutazione globale dello studente consta di: 20% orale, 20% verifiche di
progresso, 40% verifica finale, 10% presenze e 10% compiti per casa e al
350
laboratorio; infatti gli studenti possono -e devono- avvalersi del laboratorio
multimediale.
L’aspetto culturale, curato anche attraverso varie attività extracurricolari,
è parte fondamentale nella nostra attività didattica; la conoscenza dei valori
e delle tradizioni italiane, nel rispetto della cultura turca, viene trasmessa non
solo parlando, ma anche mangiando, cantando, ballando, giocando e recitando in italiano, durante appuntamenti settimanali, feste e manifestazioni
organizzate dall’Italian Club: Sanremokoç, Italia Quiz Show, ecc., non ultime
la visita guidata all’Istanbul italiana e un viaggio-studio a Firenze.
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3. sito della Koç University
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La Koç University ha un sito all’indirizzo: www.ku.edu.tr
Sul portale d’ingresso si trovano i link per accedere ad informazioni sull’università in generale, sulle attività accademiche e di ricerca, la biblioteca,
(con il catalogo on line), la vita sociale del campus, gli studenti, le facilitazioni informatiche; link aperti a tutti come quello per i visitatori e i “corporate”
in cui si presentano rapporti e collaborazioni fra università e mondo del lavoro, industria e servizi, ed altri link riservati agli insegnanti, al personale
amministrativo, agli studenti e ai laureati. a cui si accede con la parola d’ordine personale. L’università promuove l’informatizzazione della vita universitaria per cui ogni comunicazione avviene tramite posta elettronica, studenti ed insegnanti (per iscriversi ai corsi i primi, per consultare l’orario, riservare aule e trasmettere i risultati i secondi) sono tenuti a comunicare con la
segreteria attraverso il sistema informatizzato di cui sopra.
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Capitolo 27
Corsi di LingUa e CULtUra.
aBC oVVero istrUZioni Per L’Uso
(LiVeLLo medio, sViZZera)
Anna Maria Marzorati
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I corsi di lingua e cultura italiana a livello elementare e medio costituiscono una realtà molto complessa che in Svizzera interessa bambini e ragazzi italofoni dai 7-8 ai 14-15 anni. L’intento di questo capitolo non è tanto quello di
presentare una panoramica delle tipologie dei corsi nei vari Cantoni, quanto di
offrire una serie di consigli ed indicazioni pratiche per il docente italiano che
si trovi catapultato – spesso ad anno scolastico inoltrato - dalla scuola italiana
alla composita realtà dei corsi di una circoscrizione consolare in Svizzera.
Un’altra premessa è doverosa: non è possibile parlare di un sistema scolastico elvetico, perché ogni Cantone gode di grande autonomia nell’organizzazione dell’impianto scolastico, nell’elaborazione dei programmi di insegnamento, nella regolamentazione del passaggio alle varie scuole e da un livello
all’altro, nell’adozione dei libri di testo, nel reclutamento degli insegnanti, nella
predisposizione del calendario annuale e delle frequenti interruzioni, ecc.
Pertanto la realtà dei corsi di lingua e cultura cambia spesso in modo sensibile a seconda dell’ubicazione in un determinato Cantone e Circoscrizione consolare. Le considerazioni che seguono nascono da una concreta esperienza di
lavoro nei corsi di lingua e cultura italiana a Berna, dal 1995 al 1998, seguita
da un’attività di insegnamento quadriennale in una scuola media italiana di
Zurigo dal ’98 al 2002.
Lungi dall’essere esaustivo, dunque, quanto segue vuol essere un prontuario d’emergenza volto a facilitare l’inserimento del docente italiano nella nuova
realtà d’insegnamento, dove la sua attività, agli occhi dei colleghi svizzeri delle
varie scuole in cui si tengono i corsi, viene equiparata a quella di un libero professionista free lance, spesso catalizzatore di tensioni ed equivoci interculturali
a sua insaputa.
1. a come aula: l’assegnazione della sede dei corsi e la composizione dei gruppi-classe
A seconda della durata prevista per il corso, la cattedra del docente di
scuola media risulta solitamente articolata su più sedi – le varie scuole locali
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che, in base ad accordi annuali, concedono al Consolato italiano l’uso di una
o più aule – e su 6 o 8 gruppi-classe diversi. La composizione numerica dei
gruppi varia da un minimo di 8 alunni per una pluriclasse (allievi iscritti al
sesto – settimo – ottavo anno di scolarizzazione), a 12 per una monoclasse
(allievi iscritti al medesimo anno) e generalmente non supera le 20-25 unità.
Il docente appena arrivato dall’Italia ha l’impressione di essere travolto
dalla complessità e dalla diversità delle varie situazioni. Talvolta le sedi possono essere anche molto distanti tra loro o in sobborghi e paesini lontani
dalla città. Fortunatamente gli eccellenti collegamenti dei mezzi pubblici in
territorio elvetico rendono raggiungibili anche le località più sperdute, ma è
necessario tener conto dei tempi di spostamento dall’una all’altra sede nel
programmare l’orario del corso. In qualche caso l’avere sedi diverse comporta anche sensibili variazioni nel calendario scolastico, soprattutto per
quanto riguarda i numerosi periodi di vacanza durante l’anno. Va infatti
tenuto presente che i corsi di lingua e cultura cominciano solitamente durante la seconda settimana d’agosto e proseguono, con frequenti interruzioni,
fino alla prima di luglio, prevedendo non più di sei settimane di vacanza nel
periodo estivo.
Gli allievi iscritti ai corsi appartengono, in maggioranza, ormai alla terza
generazione di emigrati italiani; data la prossimità territoriale, le frequenti
permanenze in Italia durante i periodi di vacanza, l’ambiente familiare ancora molto legato alla cultura della madrepatria, la ricezione dei più comuni
canali televisivi, la presenza sul territorio delle varie strutture associazionistiche e missioni cattoliche, è difficile determinare e classificare in modo inequivocabile le conoscenze linguistiche in italiano di questi allievi facendo
ricorso alla consueta terminologia di LM e LS. Per molti di loro l’italiano si
trova nel mezzo e rappresenta la lingua degli affetti, delle comunicazioni
familiari e delle vacanze. Un serio lavoro di accertamento dei livelli linguistici di partenza degli allievi del corso è pertanto indispensabile per programmare efficacemente gli interventi didattici, verificare il possesso delle quattro
abilità di base e di quelle integrate.
2. B come benvenuto: il problema dell’accoglienza, la motivazione
e alcune linee guida per la programmazione
Il gruppo-classe che si costituisce durante la lezione settimanale d’italiano riunisce di solito allievi provenienti da classi e scuole diverse, talvolta
poco motivati alla frequenza del corso, scelto per volere dei genitori e spesso in alternativa ad attività più gratificanti come quelle sportive, ricreative o
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proprie del tempo libero. Non è infrequente che si creino situazioni di disagio e di demotivazione che finiscono per rendere la lezione poco produttiva
e insoddisfacente per tutti. Pertanto risulta davvero importante dedicare le
prime lezioni del corso ad attività mirate all’accoglienza, alla conoscenza e
all’espressione di sé e volte a creare le condizioni di benessere offrendo molteplici occasioni di interazioni positive all’interno del gruppo.
Una serie di primi giochi e attività di presentazione di sé e del compagno
di banco, l’avvio di gemellaggi con gruppi di allievi italiani o la corrispondenza con classi parallele in Italia, la proposta dell’ascolto di canzoni, l’utilizzo di giornali, riviste e fumetti, la visione di opere cinematografiche o televisive, la redazione di articoli e l’uso delle nuove tecnologie sono alcune delle
tante possibilità di rinforzo della motivazione alla frequenza del corso.
Nell’ottica di tale rinforzo diventa importante il poter disporre di un’aula accogliente e ben attrezzata, in cui poter lasciare tutti i vari materiali giudicati utili per la lezione, gli eventuali sussidi, qualche libro di lettura, poster
e cartelloni che documentino la composizione del gruppo, i momenti di lavoro, le possibili uscite sul territorio. La questione delle attrezzature e dell’aula può sembrare un aspetto secondario o ininfluente, eppure costituisce uno
dei primi messaggi di contesto sull’importanza e sul prestigio dell’attività del
corso d’italiano, per questo occorre che il docente rivendichi degli spazi
dignitosi e anche adeguati all’utilizzo delle nuove tecnologie e dei vari sussidi disponibili.
Per quanto riguarda la programmazione annuale, è evidente che ogni
gruppo-classe in base alla propria specificità richiede un intervento “ad
hoc”, ma ci sembra utile sottolineare in questa sede come sia opportuno
comunque puntare sullo sviluppo, sul consolidamento e sul potenziamento
delle quattro abilità di base (ascoltare, parlare, leggere, scrivere) e di quelle
integrate (dialogare, comprendere testi, riassumere, ecc.). Finalità dell’insegnamento della lingua è dunque la padronanza dell’italiano nelle sue diverse
modalità d’uso: come strumento per comunicare pensieri, emozioni, esperienze e bisogni; come strumento per conoscere; come strumento per strutturare conoscenze ed esperienze. Al termine della frequenza dei tre anni di
corso del livello medio, gli allievi dovranno:
- utilizzare la lingua italiana a livello orale e scritto in modo chiaro, corretto e appropriato;
- aver raggiunto la capacità di comunicare in relazione a destinatari, scopi
e messaggi diversi;
- esprimersi usando un lessico vario e diversificato a seconda degli ambiti;
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- produrre testi scritti e orali coesi e coerenti;
- comprendere diversi tipi di testo (narrativo, poetico, informativo, regolativo...);
- organizzare e rielaborare le proprie conoscenze in ambito storico-geografico-sociale.
Le competenze in uscita riguardano soltanto l’aspetto linguistico perché
il discorso sull’ambito culturale risulta ben più complesso e aperto al dibattito. Un’altra possibilità è quella di proporre in uscita dal corso la certificazione delle competenze raggiunte in campo linguistico (Plida Juniores,
Language Portfolio, ecc).
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3. C come Corsi: il rapporto con la scuola del paese ospitante
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Generalmente i corsi di lingua e cultura italiana a livello elementare e
medio hanno una durata variabile, dalle due alle tre ore settimanali, possono
essere del tutto svincolati dall’orario scolastico della scuola locale (“non inseriti”), oppure essere realizzati a cavallo di tale orario - nel primo pomeriggio
o in quello del mercoledì, tradizionalmente libero in Svizzera - (“semi-inseriti”), o, nei casi più fortunati, essere completamente inseriti all’interno della
cornice oraria della scuola svizzera (“inseriti”) (vedi Vassilli in questo volume).
La modalità del semi-inserimento risulta generalmente la più diffusa:
implica il riconoscimento della frequenza del corso nell’ambito dell’orario
individualizzato di ciascun allievo e comporta la registrazione del voto semestrale sul documento ufficiale di valutazione della scuola svizzera. I voti sono
assegnati in base a una scala numerica da 1 a 6, dove il 6 rappresenta il livello di eccellenza, il 3 quello della stentata sufficienza fino ai più bassi considerati insoddisfacenti.
I corsi semi-inseriti si tengono per lo più in orario pomeridiano, quando
la maggior parte degli insegnanti locali non è più in servizio. Per questo è
indispensabile che il docente italiano, al suo arrivo e comunque prima di iniziare il corso, cerchi di incontrare personalmente il collega svizzero ed
instauri rapporti improntati al dialogo e alla fiducia. Diventa importante programmare una serie di visite reciproche durante le lezioni del mattino e del
pomeriggio e di scambi (di materiali, strumenti, competenze...) per vincere
la diffidenza e il pregiudizio che talvolta accompagnano i rapporti tra insegnanti della scuola locale e docenti italiani. In più di un’occasione ho avuto
modo di constatare personalmente come lo stretto rapporto con l’insegnan355
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te di classe – e la conseguente apertura di quest’ultimo nei riguardi dell’italiano - abbia contribuito a potenziare la motivazione, l’efficacia e l’autostima
negli allievi del corso d’italiano. A prima vista tale operazione di contatto e
di ricerca di rapporti può sembrare superflua e senz’altro faticosa per il
dispendio di energie che richiede (bisogna essere disposti ad investire molto
tempo, al di fuori del proprio orario di cattedra), ma spesso è l’unico modo
per spezzare il cerchio dell’isolamento e dell’emarginazione in cui risultano
talvolta confinati i corsi di lingua e cultura.
Una figura sconosciuta nella scuola italiana, ma onnipresente in quella
svizzera, è l’Hauswart, una sorta di custode-responsabile che abita con la sua
famiglia presso l’edificio scolastico. Il più delle volte è proprio questa figura
di cerbero, talvolta molto prevenuto, l’unica controparte del docente italiano: un rapporto conflittuale con l’Hauswart (che in alcuni casi estremi ritiene il docente responsabile anche per una rosa mancante dall’aiuola del cortile...) può significare pessime condizioni di lavoro per vari mesi. Nella scuola locale, infatti, non esiste il personale ATA: la pulizia dei locali è di solito
appaltata all’esterno, mentre ciascun insegnante provvede, con il proprio
gruppo di alunni tra i quali è rigorosamente programmata e parcellizzata
ogni più piccola forma di collaborazione, al mantenimento e alla cura dell’aula. Conquistarsi la fiducia dell’Hauswart con la puntualità e il rispetto
degli ambienti e delle strutture richiesti ai propri gruppi di allievi è, quindi,
un piccolo passo verso l’integrazione e, alla lunga, garantisce il consolidamento dei rapporti di collaborazione tra l’Ufficio Scuola del Consolato italiano e la direzione didattica di un determinato plesso scolastico.
Difficile condensare in poche righe la problematica dei corsi di lingua e
cultura italiana. Insegnarvi è una sfida per gli insegnanti di frontiera, può
rivelarsi estremamente frustrante o, al contrario, assai gratificante, soprattutto quando il docente riesce a trasmettere il “piacere” per l’italiano e il senso
di “appartenenza” ad una grande cultura.
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Capitolo 28
La sCUoLa stataLe itaLiana
di BarCeLLona
Silvio Santagati
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In questo capitolo vengono illustrate sinteticamente la storia e la progettualità di una delle più famose scuole italiane all’estero, con l’obiettivo di far
conoscere una realtà scolastica molto particolare attraverso il racconto di un
insegnante e di fornire elementi utili a chi avrà l’opportunità di entrarci in
contatto professionale in un futuro prossimo.
Nello stesso tempo si cerca di individuare e di spiegare le ragioni di un
successo che si viene consolidando nonostanze la assoluta normalità delle
risorse disponibili.
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1. Cenni storici
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La scuola statale italiana di Barcellona gode di grande prestigio ed è considerata oggi una delle migliori istituzioni culturali italiane all’estero.
Essa fonda la propria fama in una storia ultracentenaria che si è sviluppata parallelamente alla crescita della comunità degli immigrati italiani nella
capitale della Catalogna.
La prima versione della scuola risale al 1882. Nel 1888 c’era già il primo
corso elementare completo (dalla prima alla quinta, maschile e femminile).
Nel 1911 la scuola si trasferì nei locali della Casa degli Italiani, l’associazione
che ancora oggi gestisce l’aspetto logistico dell’istituzione. Nel 1918 al corso
elementare antimeridiano si erano aggiunti un corso di doposcuola, un corso
magistrale di lavori educativi per maestri spagnoli ed una scuola serale di lingua e letteratura italiana. In quello stesso anno la scuola divenne parificata.
Nel 1922 la Casa degli Italiani promosse anche una scuola secondaria di tipo
tecnico commerciale. Nel 1928 venne istituita una Casa dei Bambini di cui la
stessa Maria Montessori inaugurò il corso preparatorio il 19 ottobre 1930.
Il primo febbraio 1951 l’elementare e le secondarie divenivano ufficialmente scuole statali italiane.
Negli oltre 50 anni di vita come scuola statale la scuola italiana di
Barcellona ha visto crescere e svilupparsi la propria importanza.
Nei lunghi decenni del franchismo, insieme alle altre scuole straniere presenti nella capitale1, divenne un punto di riferimento democratico per la
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2. il perché del successo attuale
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parte più sensibile della società catalana che soffriva le conseguenze della terribile situazione di repressione politica e culturale e di segregazione linguistica in cui era sprofondata la Spagna intera. Nell’ oscuro periodo della dittatura la scuola italiana costituì uno dei pochi baluardi di resistenza culturale tollerati. Furono sempre più numerose le famiglie che iscrissero i propri
figli in quella scuola straniera che si ergeva come un oasi di democrazia in un
deserto di repressione e regressione2.
Estintosi il franchismo con la morte del suo artefice e restituito l’intero
stato spagnolo alla democrazia parlamentare ed alla libertà di espressione linguistica, la funzione di diversità della scuola italiana è venuta scemando e per
almeno un decennio si è assistito ad un calo constante e significativo della
popolazione scolastica.
All’inizio degli anni novanta si è invertita la tendenza negativa con conseguente risalita delle quotazioni della scuola e con la ripresa delle iscrizioni.
All’inizio dell’anno scolastico 2002-2003 la scuola conta con un numero
totale di 503 iscritti, così suddivisi: 119 materna; 187 elementare; 99 media;
98 liceo scientifico3.
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È abituale riferirsi alla scuola italiana di Barcellona come ad un’istituzione unica ed omogenea. In realtà si tratta di due scuole distinte4, ospitate in
due edifici lontani, una in pieno centro cittadino, l’altra in un tranquillo
quartiere ai piedi delle colline5. In più le due scuole sono dirette ciascuna dal
proprio dirigente scolastico ed hanno uffici amministrativi indipendenti,
limitando la propria collaborazione alla Continuità didattica fra gli inseLa scuola italiana opera attualmente in un contesto dominato dai grandi istituti cattolici privati. La
più influente e prestigiosa delle scuole straniere è senz’altro la ricchissima scuola statale francese di
Pedralbes, il quartiere più elegante ed esclusivo della città. Altre scuole straniere prestigiose sono quella
inglese e quella tedesca.
2
La tradizione familiare è di fondamentale importanza per la scelta del corso di studi. Numerosi degli
alunni iscritti attualmente alla scuola italiana sono catalani figli e nipoti di ex alunni.
3 L’orario delle lezioni è quello del tempo pieno, con mensa inclusa, per la primaria e di tempo
prolungato per la secondaria, dal lunedì al venerdì. Per informazioni dettagliate si possono consultare le
pagine www.simontessori.com e www.liceoamaldi.com
4
La scuola primaria, che comprende materna ed elementare è intitolata a Maria Montessori; la
secondaria, che comprende media e liceo scientifico della durata di quattro anni, è intitolata ad Edoardo
Amaldi.
5
La scuola secondaria ha la sua sede in Passatge Mendez Vigo, accanto all’Istituto Italiano di Cultura
ed alla Casa degli Italiani, tra carrer Aragó e carrer Consell de Cent, a due passi da Plaça de Catalunya.
La primaria è ospitata in una vecchia villa riconvertita in scuola, tra carrer Setantí e carrer Carme Karr,
nel cuore del quartiere di Sarriá.
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gnanti delle classi quinte elementari e delle classi prime medie ed all’attività
sindacale dei dipendenti6.
In comune rimangono l’ente gestore, propietario degli stabili, i servizi
medici e psicopedagogici e, soprattutto, l’utenza.
Nella situazione particolare di enclave linguistico in cui si viene a trovare
una qualsiasi scuola italiana all’estero la cura dell’utenza7 è di capitale importanza.
Se possono esserci innumerevoli motivi per scegliere una determinata
scuola, una sola è la ragione per la quale si decide di rimanerci fino alla fine
del corso completo degli studi: il suo livello di qualità.
Nel caso della scuola italiana di Barcellona la qualità è garantita, molto
semplicemente, dalla riproposizione del modello scolastico metropolitano.
Un modello che alla prova dei fatti si dimostra vincente.
All’interno della proposta culturale globale della scuola italiana di
Barcellona assume fondamentale importanza il ruolo della scuola primaria.
Sia come serbatoio naturale di utenza sia come base linguistica e culturale
sulla quale costruire le future competenze “adulte”.
Considerando globalmente i quattro segmenti scolastici in cui si divide il
corso completo di studi italiani, nel caso specifico di Barcellona la scuola elementare è quella che offre il modello più convincente.
Anche qui la spiegazione del successo è piuttosto banale. Infatti la scuola
elementare è l’unico dei quattro segmenti che si trova ad operare con un
organico di insegnanti di ruolo quasi completo (9 insegnanti sui 10 previsti).
Quindi è in grado di riproporre fedelmente il modello metropolitano. Senza
essere costretta a snaturarsi come avviene in altri contesti internazionali, ma
anzi aggiungendo una serie di elementi decisivi per il suo buon funzionamento.
2.1 Trilinguismo e motivazioni
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Primo fra tutti gli elementi positivi è senz’altro il trilinguismo determinato dall’uso contemporaneo delle lingue italiana, spagnola e catalana8 che
assumono, a seconda del contesto, la funzione di lingua veicolare. Questo
6
Gli alunni della secondaria hanno un rapporto continuo con la loro vecchia scuola perchè le lezioni
di educazione fisica si svolgono di pomeriggio negli spazi della primaria.
7
La popolazione scolastica è particolarmente composita. Oltre agli spagnoli bilingui c’è una forte
percentuale di alunni italiani i cui genitori si trasferiscono temporaneamente per motivi di lavoro.
Particolarmente numerosi i figli di coppie miste, in origine trilingui (ma in molti casi anche quadrilingui).
A partire dallo scorso anno sono aumentati gli argentini di origine italiana il cui rientro in Europa avviene
attraverso la “scorciatoia” linguistica spagnola.
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fattore aggiunge alla scuola un surplus di dinamicità che la fa percepire
come una scuola in constante “movimento”.
Movimento che non avrebbe possibilità di riprodursi senza la decisiva
partecipazione del personale docente. Normalissimo personale docente di
ruolo della scuola pubblica italiana, con competenze linguistiche straniere
più o meno sviluppate, ma con una forte motivazione addizionale costituita
dall’eccellenza della retribuzione.
Non è peregrino ritenere che un insegnante gratificato da un assegno di
sede che supera i tremila euro mensili ritrovi delle motivazioni (già perdute)
che ne fanno un eccellente operatore culturale italiano all’estero a tempo
pieno. Non senza considerare che l’effetto gratificante ha un’importante ricaduta anche sul versante della considerazione sociale di cui l’insegnante italiano all’estero arriva a godere.
Da questo “stato di grazia” del personale docente, ma anche di quello
amministrativo e direttivo, derivano degli effetti positivi a catena che si riflettono sulla conduzione dell’intero progetto scolastico.
Il progetto pedagogico della “Maria Montessori” è improntato alla
migliore tradizione umanistico-affettiva. L’ambiente è accogliente, gli spazi9,
sono quelli di una scuola piccola e raccolta in cui tutti si incontrano continuamente e sono “costretti” a stabilire una relazione di amicizia o almeno di
conoscenza.Ciò favorisce il processo di integrazione di ciascun bambino e
permette di fargli percepire la scuola come un lungo momento piacevole
della propria vita. In aggiunta, il Piano dell’Offerta Formativa prevede una
Funzione Obiettivo destinata all’attenzione alla diversità ed un insegnante di
sostegno opera con i bambini che si trovano in condizione di svantaggio nell’apprendimento.
L’apprendimento della lingua italiana non presenta particolari difficoltà.
La maggior parte degli alunni di madrelingua non italiana provengono dalla
materna. Quelli che si iscrivono in prima o in seconda elementare usufruiscono di corsi di recupero di alcune ore alla settimana che vengono tenuti nei
momenti di compresenza.
8
È utile sottolineare che la lingua italiana è assolutamente predominate nel contesto scolastico
ufficiale e che lo spagnolo è la lingua di comunicazione preferita dagli alunni nei momenti extrascolastici.
9
Per la verità l’edificio della Maria Montessori è ormai insufficiente ad ospitare materna ed
elementare. Gli spazi sono angusti ed antiquati e si sente la necessità di ambienti più funzionali. Tuttavia
la scuola si giova dell’atmosfera “magica” di questo vecchio villone e della sua felice ubicazione nel
tranquillo quartiere di Sarriá. Quanto a spazi, la scuola secondaria si trova in condizioni ancora più
precarie.
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Lo standard linguistico complessivo è più che soddisfacente. Uno studio10
condotto dagli insegnanti dell’elementare nel triennio 1998-99/2000-01 ha
dimostrato “una netta superiorità dei risultati in lingua italiana, sia rispetto
alle altre due lingue [del curriculum] che rispetto agli standard nazionali dei
bambini italiani che vivono in Italia....”.
Lo studio è stato condotto attraverso il reperimento degli strumenti di misura delle quattro abilità
linguistiche per ciascuna delle tre lingue e la successiva somministrazione di test già tarati su un campione
ritenuto significativo per la media nazionale italiana e catalana. Vedi: S. Santagati, La Scuola italiana
all’estero e l’insegnamento di qualità, tesi Master Itals, Venezia, luglio 2002.
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Capitolo 29
L’insegnamento deLL’itaLiano Ls
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Questa parte vuole essere una finestra aperta sull’insegnamento della lingua e cultura italiana in Germania, sulle istituzioni, italiane e tedesche preposte allo scopo, sul sistema scolastico tedesco, su come candidarsi e quali i
requisiti richiesti, sulle leggi e normative, italiane e tedesche, che disciplinano l’insegnamento all’estero.
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1. i compiti dell’Ufficio Culturale dell’ambasciata di Berlino per la
promozione e diffusione della lingua e cultura italiana
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L’Ufficio Culturale dell’Ambasciata di Berlino si prende cura delle relazioni culturali italo-tedesche:1
- intrattiene i rapporti con le Autorità tedesche centrali e periferiche per
l’applicazione dell’Accordo culturale italo-tedesco, firmato a Bonn l’8
febbraio 1956, e per l’attuazione dei programmi previsti dal Protocollo
esecutivo, firmato a Roma il 25 novembre 1993; tra questi sono da menzionare: gli scambi di docenti universitari, gli scambi scolastici e gli scambi giovanili, l’assegnazione delle borse di studio messe a disposizione dal
Governo italiano per studenti liceali, universitari e per dottorandi, l’organizzazione di corsi estivi di perfezionamento per insegnanti dei due Paesi;
- svolge un’azione di coordinamento verso gli Istituti Italiani di Cultura
in Germania sia nell’ambito culturale sia in quello dell’insegnamento
linguistico;
- promuove la diffusione della lingua italiana a livello scolastico e accademico, mediante gli opportuni contatti con le Autorità dei Länder e le
Università;
- favorisce la cooperazione universitaria, promovendo iniziative accademiche, scambi di visite, accordi tra gli Atenei italiani e tedeschi e tra
questi ultimi e gli Istituti di Cultura.
Dal sito http://www.botschaft-italien.de dell’Ambasciata di Berlino
1
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Informazioni tratte dal sito http://www.botschaft-italien.de
abbiamo tratto questa statistica dell’ottobre 2002 che può dare un’idea del
numero di studenti di italiano in Germania:
Allievi nelle scuole
Studenti all’università
Allievi negli Istituti di Cultura
Allievi nelle università popolari
TOTALE
30.412
5.224
5.134
193.872
234.642
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Questo dato così rilevante, 234.642 studenti di ogni ordine e grado che
frequentano i corsi di italiano e un ventaglio di strutture così variegato del
“dove imparano”, ci porta a voler specificare meglio cosa si intende per
“Allievi nelle scuole”, ovvero popolazione della fascia scolastica dell’obbligo
(30.412 utenti).
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2. Panorama del sistema scolastico tedesco
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In materia d’istruzione, i sedici Länder tedeschi godono di una totale autonomia, tuttavia, l’attenzione per il riconoscimento reciproco dei titoli di studio e la mobilità degli insegnanti, ha portato a scelte largamente convergenti.
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2.3 Il primo ciclo (Grundschule)
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La scuola dell’obbligo comprende due cicli: il primo ciclo (Grundschule)
inizia a 6 anni e dura dai 4 ai 6 anni (fine del I ciclo). Nelle Grundschulen vi
è, a partire dal terzo anno scolastico, la possibilità di apprendere una prima
lingua straniera (di norma l’inglese).
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2.2 Il secondo ciclo (Sekundarstufe I)
Esistono diversi tipi di scuole a livello di scuola secondaria di primo grado
cui è possibile accedere al termine della Grundschule. Nella maggior parte
dei Länder queste opzioni sono rappresentate dalla Hauptschule, la
Realschule, il Gymnasium e la Gesamtschule.
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Fachhochschulreife
Fachhochschulreife
Gymnasiale
Oberstufe
Berufskolleg
Sekundarstufe II
Allgemeine Hochschulreife
Berufliche Abschlüsse / Allgemeine
Hochschulreife
Hauptschulabschluss nach Klasse 9
Gymnasium Gesamtschule
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Erprobungsstufe
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Grundschule
Primarstufe
Realschule
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Hauptschule
Sonderschule
Sekundarstufe I
Sekundarabschluss / Fachberschulreife
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Legenda:
La Grundschule corrisponde alla nostra scuola elementare.
La Hauptschule, corrisponde alla licenza di una scuola di avviamento al lavoro.
La Realschule corrisponde alla licenza di una scuola di avviamento commerciale, ma consente l’accesso a tipi di scuole in cui è possibile acquisire il diploma di maturità che apre
la strada agli studi universitari.
Il Gymnasium di cui gli ultimi 3 anni sono chiamati Oberstufe, ovvero superiori, corrisponde al nostro tipo di scuola secondaria, il cui diploma di maturità dà accesso a tutti
i tipi di università.
La Gesamtschule dalla 1a alla 10a classe, è un tipo di scuola comprensiva che riunisce in sé
le caratteristiche degli altri tipi di scuola secondarie.
La Berufskolleg, dopo una licenza di 10a classe, è un tipo di scuola professionale superiore.
La Sonderschule è una scuola differenziale per alunni con difficoltà di apprendimento.
Primarstufe è una scuola di livello elementare, (dalla 1a alla 4a classe).
Einprobungstufe sono 2 anni di orientamento scolastico (5/6a classe).
Sekundarstufe 1.è la scuola di livello superiore 1, (dalla 5a alla 9a e/o 10a classe).
Sekundarstufe 2.è la scuola di livello superiore 2, (dalla 10a alla 13a classe).
Sekundarabschluss1.è la licenza di scuola media.
Fachoberschulreife: è una licenza intermedia dopo la 10a classe che permette la continuazione degli studi fino alla maturità.
Fachochschulreife è un diploma di specializzazione tecnica/professionale.
Berufliche Abschlüsse è un diploma di maturità professionale.
Allgemaine Hochschulreife è un diploma di maturità ginnasiale.
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- Nella Hauptschule (formazione professionale) è offerto l’insegnamento
di una prima lingua straniera, di norma l’inglese;
- nella Realschule (termina con la licenza che permette di accedere a
scuole di specializzazione oppure di effettuare il passaggio al livello
superiore: i tre anni finali del Gymnasium), oltre alla lingua straniera
obbligatoria, è offerta quale materia facoltativa una seconda lingua, di
norma il francese;
- nella Gesamtschule (scuola integrata che si compone di alcuni corsi
comuni per la maggior parte delle materie e di altri specifici per l’approfondimento) spesso viene offerta una formazione bilingue (tedesco/italiano, tedesco/francese, tedesco/turco, tedesco/spagnolo);
- nel Gymnasium (si conclude con la maturità e permette l’accesso all’università) sono obbligatorie due lingue straniere (a volte una di queste
lingue è l’italiano). Anche questo tipo di scuole offre sezioni bilingui,
come ad esempio il “Montessori-Gymnasium” di Colonia, che offre l’italiano come seconda lingua straniera a partire dalla 7a classe, permettendo così alla fine della 13a il conseguimento della maturità bilingue.
Osservando il grafico alla pagina successiva si vede che, oltre all’insegnamento linguistico, viene usata la lingua italiana come lingua veicolare per la storia e la geografia. L’insegnamento dell’italiano è fornito
anche a studenti del Gymnasium che non frequentano la sezione bilingue, come seconda o terza lingua straniera. In questo caso esso viene
avviato a partire dalla classe 11a (Oberstufe - ciclo superiore) nella
quale, chi lo desidera, può sceglierlo come Leistungskurs (materia fondamentale - 5 ore di insegnamento settimanali) o Grundkurs (materia
secondaria - 3 ore di insegnamento settimanali).
L’insegnamento dell’italiano e delle altre discipline insegnate in lingua italiana (lingua veicolare) quasi sempre è affidato a personale di ruolo tedesco.
Dal 1999 a questo personale è stato affiancato un insegnante di ruolo italiano comandato tramite il MAE. Al Gymnasium è assegnato annualmente un
assistente di madrelingua italiana (di norma un/una giovane laureato/a in
Lingua e Letteratura tedesca presso un’università italiana).
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2.3 Verso le scuole bilingui
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Esistono, e stanno diffondendosi, sezioni bilingui a partire dalle elementari, come la Scuola elementare “Zuweg” di Colonia, che a partire dall’anno
scolastico 2001/2002 offre una classe bilingue italo/tedesca. La classe ospita
22 bambini la cui componente è 1/3 di origine italiana, 1/3 di bimbi tedeschi
e 1/3 appartiene a famiglie miste. La classe ha due maestre che agiscono in
Team-Teaching: una tedesca con contratto statale(di ruolo), l’altra italiana,
con contratto Angestelltenvertrag, cioè contratto d’impiego con il Land
Nordreno/Westfalia.
Si ha apprendimento bilingue (italiano-tedesco), anche nella scuola elementare “Meinolfschule” di Hagen, dove operano due insegnanti italiane,
una inviata dal MAE e l’altra lavora con incarico d’insegnamento nel
Nordreno-Westfalia, senza che ció comporti l’instaurazione di un rapporto
di lavoro con il Land. Tale pratica d’insegnamento non conferisce alcun diritto all’assunzione da parte del Land.
Scuole con sezioni bilingui si trovano anche ad Amburgo, Francoforte,
Friburgo, Stoccarda.
Altri esempi di scuole bilingui accompagnano gli studenti fino alla maturità: la Gesamtschule bilingue di Wolfsburg (http://www.ddhannover.de) in
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Bassa Sassonia, in cui alcuni insegnanti italiani operano insieme a colleghi
tedeschi, a pari condizioni (Gleichstellung), altri sono inviati dal MAE oppure hanno contratto di lavoro con il Land.
Alcuni indirizzi bilingui esistono anche in scuole italiane nel Nord-RenoWestfalia: la Gesamtschule “Papa Giovanni XXIII” di Stommeln, ha iniziato
la sua attività come Scuola media italiana (unica possibilità di terminare la
scuola dell’obbligo per quei ragazzi italiani che arrivavano nel Nord-RenoWestfalia senza aver concluso le medie e, naturalmente, senza la conoscenza
della lingua tedesca) ed è diventata poi una Gesamtschule bilingue. Ora è
diretta da due presidi, uno tedesco e l’altro italiano. Tutti gli insegnanti italiani, escluso uno con mandato italiano (MAE), hanno un contratto di lavoro con l’amministrazione tedesca, mediato dall’Arcivescovado di Colonia.
A Colonia esiste da molti anni il liceo parificato “Italo Svevo”, la cui direzione è affidata ad un preside italiano che sta per trasformare (entro il 2004)
questo Istituto, dotandolo anche di una struttura pari alla Gesamtschule,
quindi offrendo una sezione bilingue, iniziando già dalla 5 a classe, che porti
contemporaneamente alla maturità tenica e linguistica. Interessante il modello di insegnamento della lingua italiana che verrà adottato:
5 ore di lingua italiana
2 ore come lingua veicolare nello sport e nel disegno
5 ore di lingua italiana
2 ore come lingua veicolare nello sport e nel disegno
1 ora di vocabolario geografico
5 ore di lingua italiana
2 ore come lingua veicolare nello sport, nel disegno e
nella geografia
1 ora di vocabolario storico
5 ore di lingua italiana
2 ore come lingua veicolare nello sport, nel disegno e
nella geografia
1 ora di vocabolario storico
1 ora di vocabolario economico
5 ore di lingua italiana
2 ore come lingua veicolare nello sport, nel disegno e
nella geografia
1 ora di vocabolario storico
3 ore di vocabolario economico
si seguono i due indirizzi che si concluderanno con
la maturità tecnica o linguistica
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5a classe
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6a classe
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7a classe
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8a classe
10a classe
Dall’11a alla 13a classe
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Tutti gli insegnanti dell’“Italo Svevo” devono essere madrelingua italiani
e bilingui, sono assunti dall’Ente gestore in accordo con le autorità tedesche.
3. Quale lingua, in quali istituzioni?
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Ora che ne sappiamo un po’ di più sul panorama scolastico dell’obbligo,
vediamo di esplorare come vengono selezionati, quali sono i requisiti che
devono avere i docenti che insegnano la lingua italiana e in quale forma essa
viene insegnata.
Il primo passo da fare è sempre quello di recarsi presso il Consolato della
città in cui si vuole insegnare. Ogni Consolato ha un apposito “Ufficio scuole” in cui si possono avere indicazioni sulla situazione scolastica e sulle istituzioni presenti in loco. L’Ufficio scuole collabora strettamente con i vari
Schulämter (Provveditorati scolastici), con gli Istituti di Cultura, che secondo lo spirito della legge che ne indirizza l’intervento, promuovono e diffondono la cultura e la lingua italiana negli Stati dove hanno sede avvalendosi di
una propria autonomia operativa e finanziaria, fermo restando un quadro di
obblighi istituzionali, con enti gestori, tipo COASSCIT (Comitato assistenza
scolastica italiana) i quali istituiscono coordinano e finanziano anche corsi di
sostegno per bambini italiani con difficoltà nella scuola tedesca.
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3.1 Corsi di lingua e cultura per gli italiani all’estero
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La Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie
attua, in base al Decreto legislativo 297 del 1994 che ha recepito la legge 153
del 1971, un importante intervento linguistico-culturale a favore delle nostre
collettività all’estero, di natura complessa e dinamica (vedi il capitolo di
Vassilli in questo volume). Nel 1999 sono state realizzate attività scolastiche
e di assistenza scolastica in 42 Paesi, con l’impiego di 7.046 docenti, a beneficio di più di 483.000 utenti. Tali attività sono finanziate mediante uno stanziamento nazionale cui si aggiunge, per i Paesi membri, un contributo
dell’Unione Europea grazie al “ Programma formazione italiani all’estero”.
La normativa si prefigge il duplice scopo di consentire il mantenimento
dei legami linguistico-culturali con l’Italia da parte delle collettività italiane e
di origine italiana all’estero e nel contempo di facilitarne l’integrazione nei
Paesi di accoglienza.
Le forme d’intervento sono:
- corsi di lingua e cultura generale italiana, sia extra-scolastici che integrati nei sistemi scolastici locali;
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- istituzione di classi o corsi “di sostegno”, per agevolare l’inserimento di
alunni italiani e di origine italiana nelle scuole dei paesi di insediamento;
- istituzione di corsi speciali annuali per la preparazione agli esami di idoneità e di licenza di scuola italiana elementare e media;
Le attività linguistico-culturali vengono realizzate tramite il ricorso ad
enti gestori locali di diritto privato che ricevono contributi dal Ministero
Affari Esteri in denaro, materiale didattico e supporto alle attività per la formazione dei docenti. Tali enti accettano peraltro il coordinamento e la supervisione del Ministero degli Esteri, che impartisce direttive ed effettua il
monitoraggio di tutte le attività, direttamente ed attraverso i Consoli che
svolgono per legge funzioni di Provveditore agli Studi, sia per l’aspetto finanziario che sotto il profilo della efficacia pedagogico-didattica. Particolare
impulso è stato dato, negli ultimi anni, alle attività di formazione dei docenti locali, che oggi vengono svolte con regolare frequenza da enti formatori
specializzati con uso di tecnologie avanzate che consentono un aggiornamento continuo.
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Ecco la procedura per la candidatura ed un incarico d’insegnamento
presso i Corsi di lingua e cultura italiana nelle scuole pubbliche del Land
Nordreno/Westfalia:
1. I corsi di lingua e cultura italiana (in tedesco Muttersprachlicher
Unterricht) sono gestiti direttamente dalla Amministrazione scolastica
tedesca (Schulamt), che provvede anche alla assunzione del personale
docente italiano di livello elementare e medio, il quale ha un rapporto
d’impiego con il Land Nordreno-Westfalia.
2. Nella misura in cui uno dei posti occupati si renda vacante (a seguito
di cessazione o assenza prolungata dal servizio del titolare), le Autorità
tedesche procedono alla sostituzione del titolare, previa consultazione
della Rappresentanza consolare. Quest’ultima, tramite il suo Ufficio
scolastico, provvede alla trasmissione di un elenco dei/delle potenziali candidati/e, i/le quali siano in possesso dei requisiti richiesti, nonché
immediatamente reperibili e disposti ad accettare l’incarico. Questi
ultimi vengono infine convocati dall’Ispettore scolastico tedesco
(Schulrat) per il colloquio di selezione.
3. L’insegnante prescelto/a dall’Amministrazione tedesca viene assunto/a
dal Land Nordreno/Westfalia con contratto d’impiego
(Angestelltenverhältnis), inizialmente per la durata di un anno scolastico (compreso il periodo di prova di tre mesi). La retribuzione è fis369
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sata secondo il Bundeasangestelltentarif, nella categoria BAT 5 per i
diplomati e BAT 4 per i laureati. Va precisato che il servizio prestato
presso queste istituzioni scolastiche non dà diritto a punteggio per la
partecipazione ad eventuali concorsi in Italia.
4. L’insegnamento dell’italiano come lingua materna è offerto dalla scuola pubblica tedesca, in genere, al pomeriggio in Schwerpunktschulen
(scuole logisticamente favorevoli) presso le quali sono raccolti alunni
italiani provenienti da più scuole e classi (dalla I alla X classe). I gruppi sono composti da almeno 10 alunni (in media, sui 15 alunni) e ricevono ciascuno da 3 a 5 ore d’insegnamento settimanale. Il servizio di
ogni insegnante si distribuisce, generalmente, su quattro o cinque sedi
scolastiche della medesima circoscrizione (Bezirk), con un orario d’insegnamento settimanale di 28 ore lezione di 45 minuti.
La situazione degli insegnanti di lingua materna, (Muttersprachlicher
Unterricht) è in questo momento complessa, in seguito ai risultati del
”Progetto OCSE/PISA/CC”2, che sono stati piuttosto disastrosi, per la scuola tedesca ed in particolare per alunni migranti, a cui si imputa la poca conoscenza di entrambe le lingue, quella di origine e quella tedesca.
I vari governi regionali (Landesregierung) hanno preso una serie di iniziative allo scopo di promuovere e/o rafforzare le conoscenze della lingua tedesca, tra le quali spicca la proposta di ridurre drasticamente e immediatamente i corsi di lingua d’origine (450 posti solo nel Nordreno-Westfalia), a
favore di corsi di sostegno per il tedesco, proseguendo poi a scalare fino alla
chiusura totale dei corsi MSU (Muttersprachlicher Unterricht). Questo significa che se, nei prossimi anni, un insegnante lascia il proprio posto (per
malattia, pensionamento, gravidanza, trasferimento ecc…) non verrà sostituito, indipendentemente dal numero degli alunni iscritti. Se questa proposta verrà approvata, molti alunni non avranno più la possibilità di frequentare i corsi nella loro madrelingua. Questo provvedimento è già stato attuato
nella regione dell’Assia.
Anche economicamente la situazione degli insegnanti di lingua materna
non è delle più favorevoli. Lo stipendio di tutti gli insegnanti viene stabilito in
base a due criteri: le qualifiche (il numero di materie al cui insegnamento essi
sono abilitati) e il numero di materie effettivamente insegnate. Dato che gli
insegnanti di lingua materna insegnano solamente una materia, sono pagati
meno di quelli che insegnano due o più materie. La diversità di trattamento
2
Indagine Internazionale sulle competenze cross-curricolari degli studenti di 15 anni (International
Programme for Student Assessment on Cross-Curricular Competencies), 2000, http://www.pisa.oecd.org/
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tra gli insegnanti di lingua materna e gli altri (cittadini tedeschi o meno) si
basa quindi su criteri indipendenti dalla nazionalità e come tale la
Commissione Europea non la ritiene in contrasto con la normativa comunitaria. Se un insegnante di lingua materna è pienamente abilitato nel suo paese
di provenienza a insegnare più di una materia, egli soddisfa uno dei due criteri stabiliti dalle autorità del Land Assia ed è collocato al livello retributivo
appropriato. La Commissione ritiene che il riconoscimento delle qualifiche
professionali degli insegnanti di lingua materna di altri Stati membri non
modifica il fatto che essi insegnano una sola materia e sono quindi collocati a
un livello retributivo inferiore rispetto agli insegnanti (di qualsiasi nazionalità)
che insegnano più di una materia. La Commissione Europea sottolinea che gli
insegnanti di lingua materna non hanno bisogno di un riconoscimento formale della loro qualifica da parte delle autorità tedesche per poter insegnare.
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3.2 Scuole tedesche
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La formazione e l’abilitazione all’insegnamento dei docenti nel Land
NRW è regolata dal Gesetz über die Ausbildung für Lehrämter an offentlichen
Schulen (LABG) del 23.6.1989. La predetta legge statuisce i seguenti presupposti per accedere a posti d’insegnamento di ruolo:
1. completamento di un ciclo di studi accademico, rapportato al tipo di
scuola a cui si desidera accedere: 3 anni accademici per il livello primario, 3 anni accademici per il livello secondario di I grado, 4 anni
accademici per il livello secondario di II grado. II piano di studi relativo alla scuola primaria prevede come materie fondamentali: scienze
dell’educazione, tedesco, matematica e un’altra materia a scelta; quello relativo alla scuola secondaria prevede: scienze dell’educazione e
specializzazione in due materie comprese nei curricoli della scuola;
2. superamento di un esame di stato (Erste Staatsprüfung) al termine della
precitata formazione universitaria, consistente in due prove scritte ed
una orale riferite alle materie studiate nella corso di studi universitari;
3. espletamento di un periodo di tirocinio (Vorbereitungsdienst) della
durata di due anni successivo all’esame di stato, consistente in una
parte teorica - da assolversi presso uno Studienseminar – ed una parte
pratica (Referendariat), da assolversi in una scuola del tipo corrispondente a quella dell’abilitazione a cui si aspira;
4. superamento di un secondo esame di stato (Zweite Staatsprüfung),
consistente in un esame scritto, uno orale ed una esercitazione pratica
(Unterrichtssprobe). Al termine del curricolo formativo, il candidato
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consegue l’abilitazione all’insegnamento (Lehrbefähigung) e può concorrere all’assegnazione di un posto nella scuola pubblica senza ulteriori prove di selezione.
Con Ordinanza del 21.5.1991, modificata dall’Ordinanza 26.5.1994, il
Govemo del Land, recependo la Direttiva della Comunità Europea del
21.12.1988, ha ammesso la possibilità di riconoscimento dei diplomi conseguiti nei Paesi membri alle condizioni seguenti:
a. curricolo accademico di almeno un triennio
b. conoscenza della lingua tedesca (accertata attraverso un “colloquio”
presso lo Staatliches Prüfungsamt für Erste Staatsprüfung);
c. abilitazione all’insegnamento di almeno due materie.
La relativa istanza va rivolta al Ministero dell’lstruzione del Land
(Ministerium für Schule und Weiterbildung) entro il 15 ottobre di ogni anno.
Eventuali carenze dei suddetti presupposti possono essere integrate attraverso la frequenza di appositi corsi (Anpassungslehrgänge) o esami
(Eignungsprüfungen).
I requisiti per l’assunzione da parte tedesca sono:
1. possesso del titolo di studio che abilita all’insegnamento dell’italiano
nelle scuole del grado primario e secondario di primo grado; di regola, vengono accettati i diplomi di laurea in Lettere o in Lingue straniere (quest’ultimo deve però comprendere almeno due esami di italiano)
e/o il diploma di abilitazione magistrale;
2. esperienze d’insegnamento;
3. conoscenza della lingua tedesca, in misura tale da consentire la collaborazione con i docenti tedeschi, la comprensione delle Direttive e dei
Programmi d’insegnamento e l’applicazione dei principi didatticometodologici della scuola tedesca nella prassi d’insegnamento della
lingua materna. Si sottolinea il requisito della competenza nella lingua
tedesca, perché esso è spesso sottovalutato dai candidati, mentre viene
invece scrupolosamente verificato dalle Autorità tedesche al momento
del colloquio per la selezione dei/delle candidati/e;
4. permesso di soggiorno in Germania (Aufenthaltserlaubnis) ovvero
possesso dei presupposti giuridici per ottenerlo. L’ottenimento del
permesso di soggiorno non presenta problemi per i/le candidati/e italiani/e. Importante è però che il/la candidato/a si dichiari disposto/a a
trasferire la propria abitazione nei pressi della sede di servizio.
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3.3 Scuole italiane all’estero e Scuole Europee
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Con il Decreto del 1992 sull‘approccio Begegnung mit Sprachen (incontro
con le lingue) il Ministero dell’Istruzione del Land Nordreno-Westfalia ha inteso sensibilizzare insegnanti, alunni e, possibilmente, anche genitori nei confronti delle lingue straniere presenti nelle realtà scolastiche di numerose città
tedesche. Con successivi accordi fra i Consolati di Colonia e Dortmund e le
Autorità scolastiche del Land, nell’anno 1996 veniva attivato un progetto
triennale (1996-1999) mirato alla formazione e all’aggiornamento di insegnanti della scuola elementare tedesca nella lingua e nella didattica dell’italiano
come „lingua d’incontro“ che prevedeva la collaborazione fra le due
Amministrazioni avente per obiettivo Förderung der Begegnung mit der italienischen Sprache in den Grundschulen des Landes Nordrhein-Westfalen (promozione dell’incontro con la lingua italiana nelle scuole elementari del Land
NRW). Ai bambini nella scuola veniva/viene offerta la possibilità di “incontrare” altre lingue straniere tra cui l’italiano. Se nella scuola o classe ci sono bambini di altre lingue materne, si cerca di privilegiarle. Naturalmente questo
“incontro” avviene in forma ludica e tende a risvegliare nel bambino la curiosità di sapere “come si dice in….” altra lingua. Di norma questo insegnamento viene impartito da un insegnante tedesco che abbia conoscenza della lingua
d’incontro.
Il progetto, valido tutt’ora, si estende all’intero Land Nordreno-Westfalia e
coinvolge pertanto le circoscrizioni consolari di Colonia (competente per le
Province di Düsseldorf e Colonia) e Dortmund (competente per le Province di
Arnsberg, Detmold e Münster).
Scopo ultimo del progetto è quello di ancorare l’insegnamento della lingua
italiana nell’ordinamento scolastico, collocandolo con pari dignità accanto ad
altre lingue europee già presenti nella scuola tedesca (inglese, francese, ecc.).
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3.4 Lettori italiani presso Università straniere
L’Autorità tedesca che gestisce lo scambio di assistenti è il Sekretariat der
Standigen Konferenz der Kultus Minister der Lander in der Bundesrepublik
Deutschland - Padagogischer Austauschdienst Nassestr. 8 - Postfach 2240,D53102 Bonn.
Concludo questo capitolo con una considerazione personale: quanto fin
qui scritto si riferisce a procedure che seguono l’iter regolare per le assunzioni. Spesso esiste, parallelamente a questo, un percorso alternativo che può
essere determinato da urgenze che vengono coperte e/o gestite, direttamente da istituzioni locali.
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riferimenti bibliografici accessibili in rete
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http://www.11maggio.de
http://www.botschaft-italien.de
http://welcome.to/uff.scuola.dortmund
http://www.pisa.oecd.org/
http://www.ddhannover.de
http://www.eursc.org
http://www.europeanschool.nl/100/Italiaans/Secties/b.html
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Capitolo 30
itaLiano Ls aLL’institUto sUPerior
deL Profesorado
“JoaQUÍn V. gonZÁLeZ” di BUenos aires
María Emilia Pandolfi
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Capire che aumenta l’interesse per l’italiano nel proprio Paese è qualcosa
che entusiasma e rende ottimisti. L’entusiasmo e l’ottimismo tuttavia sono
seguiti dalla consapevolezza che la diffusione dell’italiano non sarà mai proficua se non ci saranno insegnanti idonei che riescano a trasmetterlo con professionalità.
Compito chiave quindi, in questa catena della promozione dell’italiano, è
quello della formazione di formatori d’italiano nel cui operato risiede buona
parte della responsabilità.
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1. il Profesorado d’italiano
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A Buenos Aires, l’Instituto Superior del Profesorado “Joaquín V.
González”, istituzione storica, è sede di formazione di insegnanti che si inseriscono poi nelle scuole elementari, medie e superiori.
Questa istituzione nasce un centinaio di anni fa sullo stampo di una struttura educativa tedesca di grande prestigio in Europa, avente appunto il compito specifico di formare formatori.
Il Profesorado possiede una complessa articolazione di ben 14 corsi di laurea tra i quali vogliamo particolarmente illustrare, in questa sede, quello del
Profesorado d’Italiano.
Si tratta di un’istituzione pari all’università che, tuttavia, non viene detta
“universitaria” perché
- dipende amministrativamente dalla Secretaría de Educación del
Governo della Città di Buenos Aires;
- è stata creata con uno scopo molto preciso e specialistico che è quello
della formazione di formatori; mentre l’università prepara specialisti in
una determinata disciplina, l’Istituto del Profesorado pone i contenuti
disciplinari sotto l’ottica della pedagogia, e la ricerca si circoscrive
all’ambito dell’insegnamento e a studi di campo in detto settore.
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Cosí, per esempio, nel Dipartimento di Italianistica, il lavoro verte tanto
sulla conoscenza delle singole discipline insegnate (quali grammatica, fonetica, letteratura, ecc.), quanto sulla trasposizione didattica dei contenuti di
dette discipline facendo sí che, per esempio, la grammatica, oltre a essere una
disciplina a sé, diventi anche una grammatica pedagogica, la fonetica, una
fonetica pedagogica e cosí via.
2. La domanda d’italiano
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È noto che, da alcuni anni, si sta verificando in modo generale una grande richiesta di italiano in Argentina dovuta a svariate motivazioni; la conseguenza è un vistoso aumento dei corsi di italiano in tutte le istituzioni che si
interessano dell’insegnamento dell’italiano come lingua straniera.
Anche la scuola ha seguito questo recente entusiasmo e ha dato una risposta, se non esauriente, alquanto soddisfacente nei confronti di questa domanda d’italiano.
Infatti, negli ultimi anni, il governo delle Città di Buenos Aires, a livello
educativo-scolastico, ha messo in atto una politica plurilingue che comporta
una valorizzazione delle lingue straniere soprattutto delle comunità di maggior presenza nel paese. L’italiano è stato considerato la lingua di una delle
comunità numerosamente piú significative. Questa constatazione ha motivato da una parte l’apertura di parecchi corsi di italiano come materia curricolare nelle scuole sin dai primi livelli e, dall’altra, l’implementazione del cosiddetto “Progetto di bilinguismo” nella scuola pubblica che prevede un considerevole numero di ore settimanali di italiano sin dalla prima classe a carico
di insegnanti appositamente preparati per detto progetto e specializzati in
glottodidattica dell’italiano a bambini.
Buona parte di questa domanda d’Italiano è stata affrontata dal
Profesorado d’Italiano il quale ha dimostrato, soprattutto negli ultimi anni,
un crescente dinamismo di pari passo con questa nuova richiesta educativa
che comporta naturalmente la preparazione di insegnanti di italiano idonei,
competenti non solo dal punto di vista linguistico ma anche e soprattutto a
livello metodologico.
3. il corso di laurea
L’attuale corso di laurea è articolato in ben 27 materie annuali distribuite
in tre grandi aree disciplinari: area linguistica, area culturale e area metodologica e un intensivo tirocinio negli ultimi due anni della preparazione.
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Sette delle materie del piano sono in spagnolo e sono comuni agli altri
dipartimenti di formazione: Filosofia, Espressione orale e scritta dello
Spagnolo, Conduzione dell’apprendimento, Teoria dell’educazione,
Psicologia dell’età evolutiva, Storia sociale dell’educazione, Istruzione civica.
Le altre sono le materie specialistiche che vengono insegnate in italiano:
Lingua I, II, III e IV, Grammatica I e II, Fonetica e Dizione, Storia I, II e III,
Letteratura I, II, III e IV, Latino I e II, Storia della lingua e Metodologia I e II.
In questo momento è in atto un progetto di riforma del piano curricolare
dell’attuale corso di laurea che prevede l’anticipo della pratica docente alle
prime fasi dell’iter di studio in modo che i corsisti abbiano l’esperienza del
tirocinio sin dal primo anno, possano mettere a confronto in modo costante
e sistematico il piano teorico della loro preparazione con quello pratico e
siano avvezzi alla riflessione sulla prassi scolastica.
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4. il profilo dell’alunno
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L’allievo che arriva al Profesorado deve possedere un livello di lingua
alquanto solido equivalente perlomeno a un CILS 3, dato che poi dovrà
affrontare tutto il suo studio in italiano.
Gli alunni che riceviamo sono di svariate provenienze. Molti sono della
città di Buenos Aires ma un numero considerevole arriva da località distanti
anche di parecchi chilometri nella provincia di Buenos Aires. Nonostante gli
inconvenienti che comporta il fatto di venire da lontano, molti lo fanno convinti del prestigio che vanta questa istituzione, la sola che prepara insegnanti nell’ambito pubblico ufficiale in modo completamente gratuito.
In questo momento i corsisti d’italiano sono un centinaio.
È nostro interesse formare un alunno con una solida preparazione linguistica, con un’ampia conoscenza culturale, ma allo stesso tempo con strumenti molto concreti per:
- riportare in aula i contenuti appresi;
- costruire percorsi di apprendimento a seconda dei bisogni degli allievi;
- gestire le lezioni rispettando i tempi di apprendimento degli allievi;
- sfruttare le glottotecnologie.
Questo è il profilo di alunno su cui si lavora e tutto il piano curricolare è
finalizzato a questo obiettivo.
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5. La selezione degli insegnanti
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L’insegnante che si volesse inserire nello staff del Profesorado di italiano
deve avere la laurea del Profesorado o dell’università e deve preferibilmente
aver fatto una specializzazione nella disciplina che intende insegnare o un
master in un’università argentina o straniera. L’accesso avviene tramite concorso pubblico.
Durante detti concorsi, i candidati presentano alla giuria appositamente
nominata i loro CV e un progetto di lavoro per la disciplina. Successivamente
tengono una lezione di quaranta minuti davanti a una classe sull’argomento
proposto dalla giuria e, in ultimo, sostengono un colloquio nel quale i candidati giustificano i criteri del progetto da loro presentato ed espongono le
linee di lavoro e l’impianto metodologico che intendono seguire qualora fossero incaricati della cattedra.
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6. Proposte extracurricolari
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Il Profesorado possiede inoltre un’attiva proposta extracurricolare di
seminari di aggiornamento, corsi di lettura aperti alla comunità e laboratori
vari per alunni delle ultime classi e ex-alunni. Cosí per esempio, da un paio
d’anni, il laboratorio di Fonetica è stata un’iniziativa accolta con grande
entusiasmo, perché finalizzata a mantenere un buon livello di pronuncia
negli studenti e a superare problemi di fossilizzazione.
È a disposizione di insegnanti e alunni il computer per lo sfruttamento di
materiale multimediale e la biblioteca alquanto fornita che l’ambasciata dota
di numerosi e aggiornati volumi in base alle richieste che gli insegnanti inoltrano.
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7. Conclusioni
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La crescente domanda di italiano, non solo da parte del cittadino medio
ma anche nell’ambito accademico-intellettuale, le motivazioni di molti giovani che vedono nell’italiano un potenziale sbocco nel mondo del lavoro ci
rende ottimisti nei riguardi della crescita della nostra proposta educativa e ci
crea il dovere di essere aggiornati e offrire un servizio di qualità.
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Capitolo 31
L’insegnamento deLL’itaLiano Ls
aLL’istitUto itaLiano di CULtUra
di madrid: insieme Per migLiorare
Marilena Da Rold
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Negli ultimi anni c’è stata una vera rivoluzione nell’organizzazione dei
corsi di lingua italiana offerti dall’Istituto Italiano di cultura di Madrid, sul
piano didattico, su quello organizzativo e anche sulla composizione del
corpo docenti. Prima i corsi erano annuali, gli insegnanti si coordinavano tra
di loro più o meno autonomamente, ma non c’era vera e propria unità sul
piano metodologico: ciascuno entrava in classe con il proprio metodo
d’insegnamento e le proprie tecniche didattiche. Cosa ancor più grave,
alcuni non avevano una formazione specifica nell’insegnamento della LS.
Ora, grazie agli sforzi congiunti di un gruppo di insegnanti, a una seria
coordinazione didattica e non da ultimo, alla volontà del dirigente, gli
studenti che accedono ai corsi di italiano trovano degli insegnanti formati o
in formazione secondo una linea comune, che utilizzano e seguono lo stesso
metodo didattico e lavorano insieme per il miglioramento
dell’apprendimento e dell’insegnamento dell’italiano in questa realtà.
In questo capitolo faremo una panoramica su questa realtà, specificando
in un primo momento l’organizzazione dei corsi offerti dall’Istituto e
scendendo poi nel dettaglio della realtà della classe con alcune
problematiche legate alla tipologia degli studenti e altre legate
all’insegnamento dell’italiano come LS.
Premettiamo che all’istituto lavorano tutti insegnanti madrelingua,
assunti tramite concorso che consiste in colloquio nel quale i candidati
devono didattizzare del materiale autentico, ma con tre tipologie di contratto
più o meno favorevoli: contratto a termine, di collaborazione e di formazione
per giovani neolaureati. Nonostante questa divisione contrattuale sembri
non facilitare la collaborazione tra tutti, ciò che vogliamo far risaltare è
proprio l’importanza di creare una sinergia tra tutti gli insegnanti per il
successo dei corsi e il miglioramento dell’apprendimento e
dell’insegnamento, convinti come siamo che l’esperienza da un lato e la
teoria e l’entusiasmo dall’alto possano fare molto.
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1. La realtà dei corsi
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I corsi di lingua italiana per adulti offerti dall’Istituto Italiano di Madrid
si dividono in corsi di lingua generale e corsi speciali. I primi si suddividono
in cinque livelli ulteriormente divisi in moduli di 40 ore ciascuno. I primi tre
livelli sono di 120 ore, composti quindi da tre moduli, mentre il quarto e il
quinto sono di 80 ore (2 moduli); alla fine di ogni modulo gli studenti,
tramite un test, passano a quello successivo e alla fine dell’ultimo modulo del
livello, tramite un altro test che verifica la competenza nelle quattro abilità,
passano al livello successivo e ricevono un certificato con la votazione
ottenuta. Attualmente, i test di passaggio di modulo sono una delle questioni
più dibattute fra gli insegnanti perché molti vedono un divario tra le attività
che si fanno in classe a carattere comunicativo e l’eccessiva attenzione data
fin dai primi livelli alla morfosintassi nei test; è un tema spinoso perché
entrano in gioco questioni non solo didattiche ma anche pratiche e
burocratiche che non si è ancora riusciti a risolvere.
I corsi speciali offerti sono di vario tipo: corsi di cultura italiana, di
traduzione, di conversazione, dell’italiano per gli affari, corsi di cucina e
corsi di musica, oltre ai corsi di preparazione alla certificazione
dell’Università di Perugia, di Siena e di Roma di cui l’istituto è sede d’esame.
Tutti questi corsi sono di 40 ore e si aprono con un minimo di 6 iscrizioni.
Tutti i corsi, normali o speciali sono bisettimanali con lezioni da due ore
e mezza ciascuna o di quattro ore una volta alla settimana il venerdì o il
sabato. I corsi di lingua italiana possono anche essere intensivi, di due ore e
mezza dal lunedì al venerdì o super intensivi (quattro ore al giorno) durante
i mesi estivi.
Infine, per quanto riguarda i gruppi classe, si va da un minimo di cinque
studenti a un massimo di quindici, cercando di mantenere nei limiti del
possibile il gruppo unito nei passaggi di modulo.
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1.1 Tipologia degli studenti e formazione dei gruppi
Gli studenti dell’Istituto sono adulti di ogni fascia d’età, dai 18 ai 70 anni,
interessati alla lingua italiana per diverse ragioni; ragioni di carattere
personale (non è raro il caso di fidanzati o fidanzate italiane o passione per il
nostro Paese, che gli spagnoli vedono molto vicino per clima e carattere al
proprio), ragioni di studio (studenti universitari che vogliono passare un
anno in Italia in uno scambio interuniversitario o che tornano da un corso di
questo tipo), motivi di lavoro (sempre più imprese richiedono, oltre
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all’inglese, un’altra o altre lingue straniere e in tutte quelle imprese che
lavorano con l’Italia è ben vista la conoscenza della lingua). Non bisogna
dimenticare poi che l’italiano e lo spagnolo sono lingue affini e se un adulto
deve scegliere una lingua straniera in più da studiare, “l’apparente” facilità è
senz’altro un incentivo.
Esiste un grosso malinteso tra italiano e spagnolo non solo sul piano
strettamente linguistico, ma anche su quello culturale: c’è la convinzione che
le due lingue siano praticamente uguali e che il modo di pensare sia lo stesso.
Un malinteso in cui al primo impatto è facile cadere, poi però nascono le
prime incomprensioni di carattere socio-culturale. Sul piano strettamente
linguistico abbiamo degli studenti che alla fine del percorso di studi sono in
grado di comunicare perfettamente in una lingua che non è né italiano né
spagnolo, ma un ibrido. Uno dei grossi problemi che si trova ad affrontare
un insegnante in questo ambito è proprio il fatto che ad un certo livello
dell’interlingua l’apprendimento si fermi e lo studente non raggiunga mai la
lingua obiettivo. Le ragioni sono molteplici; solo a titolo d’esempio possiamo
citare la motivazione degli studenti, i pochi contatti con la lingua italiana al
di fuori dei corsi di lingua, i metodi di correzione; non è questa la sede per
analizzarle, ma è un dato di fatto con cui l’insegnante LS si deve
quotidianamente confrontare nei livelli medio-alti.
Nella formazione dei gruppi all’atto dell’iscrizione, si cerca di curare
proprio questo aspetto, proponendo allo studente una piccola chiacchierata
informale per metterlo a proprio agio e, in base alle sue capacità di
comprensione e produzione orale, un test di livello, recentemente suddiviso
tra livello basso e alto, che cerca di approfondire anche sul pino
morfosintattico e testuale il livello di conoscenza della lingua italiana con
attività di produzione scritta più o meno mirate. Come dicevamo, il test è
stato recentemente cambiato proprio perché prima era molto generico e
lasciava al singolo insegnante troppa libertà nell’assegnazione del livello: a
volte per inesperienza dei nuovi insegnanti o per poca accuratezza nella
conversazione orale o ancora per preconcetti dovuti al trascorso dello
studente, si erano formati dei gruppi disomogenei che avevano inciso sul
progresso del gruppo stesso.
La formazione di gruppi disomogenei non dipende solo da un test troppo
generico, può dipendere anche dalle competenze degli studenti che possono
essere molto diverse sul piano orale e su quello scritto. Gli studenti Erasmus
o gli studenti che per altri motivi hanno soggiornato a lungo in Italia tornano
con un livello di produzione e comprensione orale e di comprensione scritta
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molto alti, ma con un livello di produzione scritta basso e con molti errori
sistematici anche nell’orale. Ora, visto che nei corsi si sviluppano tutte e
quattro le abilità, diventa veramente difficile inserirli in un gruppo. A volte
si è riusciti a creare dei gruppi con molti studenti con le stesse caratteristiche
e si sono potute fare attività mirate lavorando con tutta la classe. Più spesso
però l’insegnante deve mediare e dare attività di recupero mirate al singolo
studente, cercando, allo stesso tempo, di tenere alta la sua motivazione anche
nelle attività di comprensione e produzione orale che può trovare troppo
facili o addirittura noiose.
1.3 Il metodo: attenzione all’apprendimento
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Come già anticipato, negli ultimi anni la direzione ha deciso di adottare
un approccio comune in tutti i corsi offerti e si è deciso per l’approccio
comunicativo, prediligendo tra gli altri il metodo nozional-funzionale. Per
fare questo sono stati uniformati i programmi, cercando di adattarli al
quadro comune europeo di riferimento, sono stati adottati dei libri di testo
comuni per ogni livello e si sono fatti, e si continuano a fare tutti gli anni,
corsi di formazione per insegnanti vecchi e nuovi. Naturalmente non è facile
far cambiare metodo di lavoro a persone che usano il metodo tradizionale da
tanti anni, ma i corsi fatti con diversi formatori provenienti dall’Italia e i
miglioramenti ottenuti nel livello linguistico degli studenti grazie alla
predilezione per l’orale, hanno fatto cambiare idea a molti.
L’importanza di una linea comune per la nostra realtà non è solo di
principio ma anche di carattere pratico perché gli studenti ad ogni modulo
cambiano insegnante e, nei corsi di quattro ore settimanali o quotidiane, si
alternano due docenti; sarebbe quindi impossibile lasciare ad ognuno la
totale libertà di programmazione e di uso del materiale. È necessario invece
che tutti gli insegnanti collaborino, si informino e interagiscano per portare
a termine un lavoro il più possibile unitario e completo. Si può pensare che
degli studenti adulti non soffrano i cambiamenti dei docenti come invece
succede per i bambini. L’esperienza ci insegna invece che spesso, o per
simpatie personali o per un feeling particolare che si instaura all’interno della
classe, questo passaggio può essere traumatico. Ora, se non si può fare niente
sul lato caratteriale di ciascuna persona, è importante che gli studenti vedano
la continuità sul piano didattico e curricolare e che guardino al cambiamento
come una ricchezza anche in termini linguistici: ogni insegnante madrelingua
porta in classe la sua realtà regionale italiana e per quanto ciascuno cerchi di
correggere la propria lingua per portarla il più vicino possibile a un modello
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di italiano standard, è impossibile depurarla totalmente. Naturalmente gli
insegnanti stessi devono essere coscienti di questo e farlo notare agli studenti
per dare loro un’immagine dell’Italia il più vicina possibile a quella reale ed
attuale. Dobbiamo ricordarci sempre che nonostante l’Italia sia
relativamente vicina e molti abbiano la possibilità di andarci, rimaniamo, noi
insegnanti, il primo modello di riferimento linguistico e culturale per la
maggior parte di loro.
Un altro problema nell’insegnamento di LS sta proprio nel materiale
usato in classe. I libri di testo abbiamo detto che sono fondamentali per gli
insegnanti per adottare una linea di lavoro comune, ma lo sono anche per lo
studente che in questo modo può usufruire di materiale più o meno
autentico su cui lavorare a casa, non potendolo attingere dalla vita
quotidiana così facilmente come invece può fare lo studente di italiano L2. I
libri di testo però non sono perfetti e molto del materiale che forniscono è
superato; gli insegnanti devono quindi integrarlo o sostituirlo aggiornandolo
continuamente tramite Internet, i giornali o la televisione, sempre con lo
scopo di dare agli studenti un’immagine del nostro paese il più veritiera
possibile. Anche per fare questo la collaborazione e la messa in comune del
materiale nuovo è fondamentale.
Vogliamo finire questa breve riflessione mettendo l’accento su un altro
problema legato all’insegnamento dell’italiano LS riprendendo quanto detto
prima sull’importanza del modello linguistico presentato in classe. Non è da
sottovalutare il fatto che alcuni studenti al di fuori delle cinque o quattro ore
settimanali di lezione abbiano pochissimi contatti reali con la lingua italiana,
nonostante quasi tutti abbiano la possibilità di navigare in Internet, molti
abbiano l’antenna parabolica e si trovino facilmente in città giornali italiani.
L’insegnante deve quindi, durante le ore di lezione, fornire tutto l’input, deve
renderlo comprensibile e, naturalmente, far produrre anche l’output. In
questo è fondamentale l’organizzazione del lavoro a coppie e a piccoli gruppi
usata abitualmente in classe. Anche nel lavoro di correzione si predilige il
confronto tra pari per trasformare anch’esso in un’attività comunicativa in
cui lo studente debba usare la lingua italiana. L’affinità tra spagnolo e italiano
permette all’insegnante di usare fin dai primi livelli la LS e dopo le prime
difficoltà si riesce abbastanza facilmente a non far usare allo studente la LM
nell’interazione con il docente; qualche difficoltà in più si ha nel far usare la
LS nell’interazione tra pari: in una classe monolingue è infatti facile cadere
nella LM. Solo la consapevolezza dell’utilità di queste interazioni fin dai
primi giorni di lezione può convincere gli studenti a lasciare la lingua madre
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e a sforzarsi nel comunicare anche tra loro in italiano.
Lungi dall’essere esaustivi con questo capitolo volevamo portare la nostra
testimonianza di un miglioramento avvenuto nell’apprendimento e
nell’insegnamento della lingua e della cultura italiana nel mondo e allo stesso
tempo fare qualche riflessione sul lavoro che si può fare insieme e si deve
continuare a fare sempre nell’ottica di una formazione continua nell’interesse
dello studente.
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L’italiano per stranieri
Amato
Blok-Boas, Materassi e Vedder
Mondo italiano
Letture in corso 1
• libro dello studente
• quaderno degli esercizi
Buttaroni
testi autentici sulla realtà sociale
e culturale italiana
corso di lettura di italiano
come lingua seconda
Letteratura al naturale
Ambroso e Di Giovanni
L’ABC dei piccoli
autori italiani contemporanei
con attività di analisi linguistica
Ambroso e Stefancich
Camalich e Temperini
Parole
Un mare di parole
10 percorsi nel lessico italiano
esercizi guidati
letture ed esercizi di lessico italiano
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L’italiano all’Opera
Italian for the English-speaking
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Carresi, Chiarenza e Frollano
Avitabile
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attività linguistiche attraverso 15 arie famose
Balboni
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Chiappini e De Filippo
GrammaGiochi
Un giorno in Italia 1
per giocare con la grammatica
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corso di italiano per stranieri - primo livello
• libro dello studente con esercizi + CD audio
• guida per l’insegnante + test di verifica
• glossario in 4 lingue + chiavi degli esercizi
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Barki e Diadori
Pro e contro
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Palestra italiana 1
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Barreca, Cogliandro e Murgia
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esercizi di grammatica
Cini
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• 1 livello intermedio - libro dello studente
• 2 livello intermedio-avanzato - libro dello studente
• guida per l’insegnante
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conversare e argomentare in italiano
Strategie di scrittura
quaderno di scrittura - livello intermedio
Deon, Francini e Talamo
Amor di Roma
Grammatica italiana per stranieri
Roma nella letteratura italiana del Novecento
testi con attività di comprensione
livello intermedio-avanzato
Battaglia
Diadori
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Battaglia
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Gramática italiana para estudiantes
de habla española
Battaglia
Leggiamo e conversiamo
Senza parole
100 gesti degli italiani
du Bessé
PerCORSO GUIDAto guida di Roma
letture italiane con esercizi
per la conversazione
con attività ed esercizi di italiano per stranieri
Battaglia e Varsi
PerCORSO GUIDAto guida di Firenze
Parole e immagini
du Bessé
con attività ed esercizi di italiano per stranieri
corso elementare di lingua italiana
per principianti
du Bessé
Bettoni e Vicentini
con attività ed esercizi di italiano per stranieri
Passeggiate italiane
lezioni di italiano - livello avanzato
PerCORSO GUIDAto guida di Venezia
Gruppo META
Maffei e Spagnesi
Uno
Ascoltami!
• libro dello studente
• libro degli esercizi e grammatica
• guida per l’insegnante
• 3 audiocassette
• manuale di lavoro
• 2 audiocassette
corso comunicativo di italiano - primo livello
22 situazioni comunicative
Marmini e Vicentini
Passeggiate italiane
Gruppo META
lezioni di italiano - livello intermedio
Due
Marmini e Vicentini
corso comunicativo di italiano - secondo livello
Ascoltare dal vivo
• libro dello studente
• libro degli esercizi e grammatica
• guida per l’insegnante
• 4 audiocassette
Gruppo NAVILE
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• quaderno dello studente
• libro dell’insegnante
• 3 audiocassette
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Paganini
Dire, fare, capire
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ìssimo
l’italiano come seconda lingua
ti.
manuale di ascolto - livello intermedio
quaderno di scrittura - livello avanzato
Humphris, Luzi Catizone, Urbani
modelli di coniugazione
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Pontesilli
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I verbi italiani
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Comunicare meglio
Quaderno IT - n. 4
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corso di italiano
livello intermedio-avanzato
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Istruzioni per l’uso
dell’italiano in classe 1
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Istruzioni per l’uso
dell’italiano in classe 2
111 suggerimenti didattici
per attività comunicative
Istruzioni per l’uso
dell’italiano in classe 3
22 giochi da tavolo
Jones e Marmini
Comunicando s’impara
esperienze comunicative
• libro dello studente
• libro dell’insegnante
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• manuale per l’allievo
• manuale per l’insegnante
• 4 audiocassette
88 suggerimenti didattici
per attività comunicative
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• libro dello studente
• guida per l’insegnante
• 1 audiocassetta
esame per la certificazione
dell’italiano come L2 -livello avanzato
prove del 2000 e del 2001
• volume + audiocassetta
Radicchi
Corso di lingua italiana
livello elementare
• manuale di lavoro
• 1 audiocassetta
Radicchi
Corso di lingua italiana
livello intermedio
Radicchi
In Italia
modi di dire ed espressioni idiomatiche
Stefancich
Cose d’Italia
tra lingua e cultura
Stefancich
Tracce di animali
nella lingua italiana tra lingua e cultura
Svolacchia e Kaunzner
Urbani
Suoni, accento e intonazione
Senta, scusi...
corso di ascolto e pronuncia
programma di comprensione auditiva
con spunti di produzione libera orale
• manuale
• set 5 CD audio
Tettamanti e Talini
• manuale di lavoro
• 1 audiocassetta
Foto parlanti
Urbani
immagini, lingua e cultura
Le forme del verbo italiano
Totaro e Zanardi
Verri Menzel
Quintetto italiano
La bottega dell’italiano
approccio tematico multimediale
livello avanzato
antologia di scrittori italiani del Novecento
Vicentini e Zanardi
• libro dello studente con esercizi
• libro per l’insegnante
• 2 audiocassette
• 1 videocassetta
Tanto per parlare
• libro dello studente
• libro dell’insegnante
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Ulisse
Faccia a faccia
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attività comunicative
livello elementare-intermedio
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Linguaggi settoriali
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Ballarin e Begotti
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in collaborazione con l’Università per Stranieri di Siena:
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Destinazione Italia
l’italiano per operatori turistici
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• manuale di lavoro
• 1 audiocassetta
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Cherubini
L’italiano per gli affari
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• manuale di lavoro
• 1 audiocassetta
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corso comunicativo di lingua
e cultura aziendale
Spagnesi
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materiale per la conversazione
livello medio-avanzato
Dizionario dell’economia e della finanza
Dica 33
il linguaggio della medicina
• libro dello studente
• guida per l’insegnante
• 1 audiocassetta
L’arte del costruire
• libro dello studente
• guida per l’insegnante
Una lingua in pretura
il linguaggio del diritto
• libro dello studente
• guida per l’insegnante
• 1 audiocassetta
Pubblicazioni di glottodidattica
Progetto ITALS • La formazione di base del docente di italiano per stranieri
a cura di Dolci e Celentin
Progetto ITALS • L’italiano nel mondo a cura di Balboni e Santipolo
I libri dell’arco
1. Balboni • Didattica dell’italiano a stranieri
2. Diadori • L’italiano televisivo
3. Test d’ingresso di italiano per stranieri a cura di Micheli
4. Benucci • La grammatica nell’insegnamento dell’italiano a stranieri
5. AA.VV. • Curricolo d’italiano per stranieri
6. Coveri, Benucci e Diadori • Le varietà dell’italiano
Classici italiani per stranieri
testi con parafrasi a fronte* e note
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6.
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8.
Leopardi • Poesie*
Boccaccio • Cinque novelle*
Machiavelli • Il principe*
Foscolo • Sepolcri e sonetti*
Pirandello • Così è (se vi pare)
D’Annunzio • Poesie*
D’Annunzio • Novelle
Verga • Novelle
9.
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13.
14.
15.
16.
Pascoli • Poesie*
Manzoni • Inni, odi e cori*
Petrarca • Poesie*
Dante • Inferno*
Dante • Purgatorio*
Dante • Paradiso*
Goldoni • La locandiera
Svevo • Una burla riuscita
Libretti d’Opera per stranieri
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Tosca*
Le nozze di Figaro
Don Giovanni
Così fan tutte
Otello*
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6.
7.
8.
9.
10.
La Traviata*
Cavalleria rusticana*
Rigoletto*
La Bohème*
Il barbiere di Siviglia*
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1.
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5.
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testi con parafrasi a fronte* e note
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Letture italiane per stranieri
3. Marretta • Elementare, commissario!
8 racconti gialli con soluzione
ed esercizi per la comprensione del testo
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1. Marretta • Pronto, commissario...? 1
16 racconti gialli con soluzione
ed esercizi per la comprensione del testo
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2. Marretta • Pronto, commissario...? 2
16 racconti gialli con soluzione
ed esercizi per la comprensione del testo
Mosaico italiano
1. Santoni • La straniera
7. Andres • Due estati a Siena
2. Nabboli • Una spiaggia rischiosa
8. Nabboli • Due storie
3. Nencini • Giallo a Cortina
9. Santoni • Ferie pericolose
4. Nencini • Il mistero del quadro
di P. Portese
5. Santoni • Primavera a Roma
10. Andres • Margherita e gli altri
11. Medaglia • Il mondo di Giulietta
12. Caburlotto • Hacker per caso
6. Castellazzo • Premio letterario
Bonacci editore
Finito di stampare nel mese di giugno 2003 dalla Tibergraph s.r.l. Città di Castello (PG)