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Sebastiano Timpanaro Scevola Mariotti Carteggio (1944-1999)

2023, Sebastiano Timpanaro - Scevola Mariotti, Carteggio (1944-1999) / Parroni, Piergiorgio; Donati, Gemma; Piras, Giorgio, Pisa

https://doi.org/10.2422/978-88-7642-761-9

Commented edition of the entire correspondence preserved between the Italian philologists Sebastiano Timpanaro (1923-2000) and Scevola Mariotti (1920-2000). Composed of a corpus of 640 letters - starting from 1944, when Sebastiano Timpanaro and Scevola Mariotti were brilliant university students -, this volume represents a monument of Italian philology in the 1950s and 1970s. Document of a profound friendship, the volume collects intense and very lively discussions on ecdotic problems of particular relevance for the knowledge of the classical tradition.

Sebastiano Timpanaro e Scevola Mariotti in occasione del Convegno «Filologia classica e Filologia romanza: esperienze ecdotiche a confronto» (Aula Magna dell'Università di Roma 'La Sapienza', 25. 5. 1995). Sebastiano Timpanaro Scevola Mariotti Carteggio (1944-1999) a cura di Piergiorgio Parroni con la collaborazione di Gemma Donati e Giorgio Piras © 2023 Autori (testo) © 2023 Edizioni della Normale | Scuola Normale Superiore (presente edizione) Opera distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale (CC BY-NC-ND 4.0) Integralmente disponibile in formato pdf open access: https://edizioni.sns.it/ isbn 978-88-7642-761-9 (online) isbn 978-88-7642-708-4 (print) doi https://doi.org/10.2422/978-88-7642-761-9 Indice Introduzione Piergiorgio Parroni Carteggio 1944-1999 vii 1 Indici a cura di Angelo Luceri Indice dei passi citati Indice dei nomi 1191 1209 Abbreviazioni bibliografiche Opere di Scevola Mariotti (S. M. / M.) BP BP3 Il Bellum Poenicum e l’arte di Nevio, Roma 1955 Il Bellum Poenicum e l’arte di Nevio, terza edizione a cura di P. Parroni, Bologna 2001 LA Livio Andronico e la traduzione artistica. Saggio critico ed edizione dei frammenti dell’ Odyssea, Milano 1952 LA2 Livio Andronico e la traduzione artistica. Saggio critico ed edizione dei frammenti dell’ Odyssea, Urbino 1986 LE Lezioni su Ennio, Pesaro 1951 LE2 Lezioni su Ennio, seconda edizione accresciuta, Urbino 1991 SFC Scritti di filologia classica, Roma 2000 SMU Scritti medievali e umanistici, Roma 1976 SMU2 Scritti medievali e umanistici, a cura di S. Rizzo, Seconda edizione accresciuta e corretta, Roma 1994 SMU3 Scritti medievali e umanistici, a cura di S. Rizzo, Terza edizione accresciuta e corretta, Roma 2010 Opere di Sebastiano Timpanaro (S. T. / T.) Contributi1 Contributi di filologia e di storia della lingua latina, Roma 1978 Contributi2 Nuovi contributi di filologia e storia della lingua latina, Bologna 1994 Contributi3 Contributi di filologia greca e latina, a cura di E. Narducci con la collaborazione di P. Carrara, G. Ramires, A. Russo, Firenze 2005 Introduzione La secolare pratica di corrispondere per litteras è caduta rapidamente in disuso da quando è diventato più facile entrare in contatto immediato col proprio interlocutore attraverso il telefono (e ancor di più ora attraverso la telefonia mobile). La successiva diffusione della posta elettronica ha segnato una parziale inversione di tendenza, ma solo apparente: il messaggio informatico è di solito sbrigativo e soprattutto ha vita effimera, uno specchio anche questo del nostro vivere odierno. La conservazione di un carteggio appare dunque già di per sé una rarità, in quanto testimonianza di un costume ormai quasi scomparso. La rarità riveste poi carattere di eccezionalità se i corrispondenti sono, come nel nostro caso, due dei maggiori filologi della seconda metà del Novecento, Sebastiano Timpanaro e Scevola Mariotti. Quello che si è conservato è un corpus di 640 lettere1, un fitto dialogo che si estende per più di mezzo secolo, a partire dal 1944 quando i due erano ancora studenti universitari. La corrispondenza, stentata all’inizio per la disfunzione del servizio postale in tempo di guerra, si fa intensa tra gli anni Cinquanta e Settanta, per poi diradarsi via via nell’ultimo ventennio, soprattutto da parte di Mariotti, che, come ben sa chi l’ha conosciuto, aveva una particolare predilezione per il telefono. L’ultima lettera di Mariotti all’amico è dell’8.9.1977, mentre Timpanaro continua a scrivere a Mariotti, ma saltuariamente, almeno fino all’11.2.1999. Pur non potendosi escludere che alcune lettere siano andate perdute, è molto probabile che da un certo periodo in poi, per le ragioni dette, la comunicazione tra i due si sia fatta prevalentemente verbale. Il fatto che sia Timpanaro che Mariotti abbiano sentito il bisogno di conservare la corrispondenza tra loro intercorsa è una chiara dimostrazione dell’importanza che essi le attribuivano, e non solo per motivi affettivi. Gli argomenti delle reciproche lettere vertono infatti quasi esclusivamente su temi di studio (talvolta coincidenti, soprattutto nel caso di Ennio, ma anche, p. es., dell’Anthologia Latina o degli Epigrammata Bobiensia, in Altre tre lettere – la 3 bis, la 120 bis e la 154 bis – sono venute alla luce quando il volume era in corso di stampa: sono state inserite nel corpus senza modificare la numerazione delle altre. 1 VII occasione della scoperta di Augusto Campana) e solo incidentalmente su problemi personali o familiari, questioni accademiche, politiche, di attualità (notevole, p. es., la testimonianza sull’alluvione di Firenze del 1966)2, sicché è comprensibile come esse rappresentassero per entrambi un ricco repertorio di idee, di ipotesi, di dubbi, di congetture, da avere all’occorrenza a portata di mano. Che li avesse sfiorati il pensiero che qualcuno un giorno avrebbe potuto rendere di pubblico dominio tutto questo materiale è sicuramente da escludere, né sappiamo se la nostra iniziativa avrebbe ricevuto la loro approvazione. E tuttavia in una lettera (576 del 15 febbraio 1976) Timpanaro scrive che le lettere enniane dell’amico sono una tale miniera di contributi che meriterebbero la pubblicazione. Quello che ci par certo è che essi non avrebbero voluto che almeno quelle parti delle loro lettere alle quali avevano affidato sfoghi e confidenze personali fossero portate a conoscenza di un largo pubblico. Con questa consapevolezza ci siamo assunti la responsabilità di espungerle (si trovano indicate con tre puntini racchiuse tra parentesi quadre), persuasi peraltro che rinunciare all’impresa per un più che legittimo scrupolo filologico avrebbe significato condannare all’oblio (o, nella migliore delle ipotesi, a una tardiva e forse, a distanza di molti anni, inattuale riscoperta) un patrimonio che riteniamo possa continuare a dare fin da subito i suoi frutti. Ci siamo insomma convinti che affrontare questo lavoro fosse un modo per rendere omaggio alla memoria di due grandi maestri del recente passato e insieme un servizio alla storia dei nostri studi. Attraverso il carteggio Timpanaro-Mariotti si ricostruisce infatti la genesi di opere che in qualche caso hanno rappresentato una svolta nell’interpretazione del mondo antico e della sua sopravvivenza lasciandovi una traccia duratura. Si pensi, per Mariotti, alle indagini sulla letteratura latina arcaica nei suoi rapporti con l’alessandrinismo, alle geniali congetture a testi che vanno dall’antichità classica all’umanesimo, per Timpanaro, oltre ai numerosi contributi di filologia e di storia della lingua ora in gran parte raccolti in tre volumi, agli studi su Leopardi, sulla cultura classica dell’Ottocento, su Freud e la sua teoria del lapsus e, sul versante filosofico-politico, sul materialismo. A dare l’avvio alla corrispondenza è Timpanaro, che in data 9 maggio 1944 invia un breve messaggio all’amico, allora sfollato con la famiglia a Monteciccardo, un paesino non lontano da Pesaro, per chiedergli notizie e per informarlo sulla salute di Pasquali. Siamo in tempo di guerra e la cartolina impiega quasi un mese per giungere a destinazione. Mariotti infatti risponde solo il 4 giugno del mese successivo lamentando le difficoltà di comunicazione e l’impossibilità di raggiungere l’Università di Firenze, 2 Lett. 482 del 12 novembre 1966. VIII dove si era trasferito dalla Normale di Pisa dopo il noto incidente3. Informa Timpanaro che gli resta solo un esame, quello di Storia antica, che conta di sostenere a Urbino con Ronconi (prassi ammessa in tempo di guerra), ma che per quanto riguarda la tesi sugli Inni di Sinesio preferisce attendere, sperando di poterla discutere con Pasquali o, se non sarà possibile, con Terzaghi, «il migliore conoscitore italiano di Sinesio» (entrambe le speranze andranno deluse perché Mariotti di laureerà a Urbino con una tesi orale nel marzo del 1945). Si mostra addolorato per la malattia di Pasquali, del quale loda le straordinarie qualità di maestro, e conclude la lettera rammaricandosi della difficoltà di studiare in tempo di guerra e della mancanza di libri (una mancanza di cui Mariotti si lamenterà anche in seguito fino a quando, molto più tardi, non approdò a Roma) che gli impedisce di portare a termine un articolo su Sinesio, destinato infatti a vedere la luce solo nel 1947. La risposta di Mariotti impiega questa volta quasi un anno a raggiungere Pisa, come apprendiamo dalla replica di Timpanaro del 20 maggio 1945, in cui parla all’amico dei bombardamenti che hanno danneggiato la città, risparmiando per fortuna i principali monumenti, lo informa inoltre di essersi nel frattempo laureato con Terzaghi, del permanere delle precarie condizioni di salute di Pasquali, delle difficili condizioni della Normale. Da questo momento in poi la corrispondenza verte quasi esclusivamente su argomenti di studio, come si vede già dalla lettera 5 di Mariotti del 9 settembre 1946 (è molto probabile che alcune lettere intermedie siano andate smarrite). La discussione su problemi filologici diventa via via più intensa. In data 6 giugno 1947 Mariotti scrive: «la nostra collaborazione si va facendo, e me ne rallegro, stretta e fruttuosa; e, sebbene sia io di gran lunga quello che ne approfitta di più, permetti che mi auguri che continui felicemente». Mariotti teme infatti di essere insistente nel prospettare all’amico sempre nuovi dubbi e problemi, anche perché, vivendo in provincia, soffre della carenza di strumenti di studio ed è spesso costretto a chiedere a Timpanaro di fare ricerche bibliografiche per lui4, tanto che qualche tempo dopo, concludendo una missiva5, si mostra preoccupato di assillare l’interlocutore, il quale prontamente replica6: «non c’è pericolo che la conversazione con te susciti in me stanchezza: anzi ogni tua lettera accresce il desiderio di continuare a conversare con te di cose filologiche». In qualche raro caso il discorso si allarga a problemi culturali di più ampio respiro o a discussioni che riguardano la scuola. A questo proposito 3 4 5 6 Rievocato nella lett. 630 del 7 ottobre 1992. Vd. p. es. lett. 26 del 29 ottobre 1947. Lett. 43 del 13 febbraio 1948. Lett. 44 del 18 febbraio 1948. IX si veda l’equilibrato giudizio di Mariotti sull’idealismo nel postscriptum di una lettera del 19647, in cui lui, filologo di stretta osservanza, mette in guardia contro i pericoli del filologismo, o quanto scrive nel 1971 a proposito del volume Sul materialismo di Timpanaro lodando nell’amico la non comune capacità di saldare fra loro politica e cultura grazie alla «profonda riflessione teorica» e alla sua «eccezionale conoscenza di storia della scienza»8. Di grande interesse è anche una lettera del 19539 nella quale Mariotti, occupandosi di un libro postumo di Sebastiano sr (di cui traccia un acuto ritratto), Scritti di storia e critica della scienza, in pieno accordo con lui sottolinea la necessità di «evitare la frattura fra discipline storiche e discipline scientifiche, cercando di fare per queste come si fa per quelle, facendo corrispondere insomma l’insegnamento ‘teorico’ della matematica e delle scienze in genere a quello della ‘grammatica’ e quello di storia della scienza a quello di storia delle lettere, filosofia ecc.». Una visione senza dubbio giusta, ma che Mariotti stesso giudica difficile da tradurre in atti concreti «soprattutto […] per l’impreparazione degli insegnanti», da cui scaturisce la giusta osservazione circa la necessità di cominciare le riforme della scuola dall’alto e non dal basso secondo un’abitudine inveterata. Sempre in tema di scuola in una lettera del 196410 affiora un certo dissenso fra i due circa l’insegnamento del latino nella scuola media: Mariotti in un articolo in «Scuola e città» ne aveva difeso la permanenza pure in misura ridotta, Timpanaro è per sopprimerlo del tutto con un’argomentazione che di lì a poco prevarrà: «Io sono forse un po’ più pessimista di te sull’utilità di un insegnamento così ridotto, e credo che prima o poi dovranno decidersi ad abolire del tutto questa materia nella scuola media inferiore (tale mia opinione non deriva da ‘sinistrismo’ preconcetto, ma dalla convinzione che il latino nella scuola media o lo si insegna con una certa serietà, e allora assorbe tutti gli sforzi del professore di lettere e degli scolari e soffoca l’insegnamento di altre materie essenziali, a cominciare dall’italiano; o lo si insegna col contagocce, e allora perde ogni valore selettivo e formativo)». Alla vigilia del ’68, che, come si sa, diede uno scossone all’università e di riflesso alla scuola secondaria senza peraltro produrre gli effetti di autentico rinnovamento sperati, Timpanaro avverte tutta la gravità del problema e mostra preoccupazione per «un’agitazione che rimane di soli studenti non collegati con operai e contadini; anzi, di soli studenti di facoltà umanistiche», osservando: «Certo è che si è ormai verificata una grossa frattura di generazioni – più grave delle solite incomprensioni che ci sono sempre tra Lett. 455 del 5 ottobre 1964. Lett. 539 del 10 settembre 1971. 9 Lett. 214 dell’8 febbraio 1953. 10 Lett. 452 del 6 giugno 1964. 7 8 X giovani e anziani, e aggravata dalla crisi dei partiti tradizionali, nei quali questi giovani hanno completa sfiducia»11. Ma in sostanza, come s’è detto, è la filologia ad assorbire totalmente gli interessi dei due e se talvolta il discorso prende un’altra strada subito viene ricondotto, per una sorta di pudore, nell’alveo consueto. Solo alla fine di una lunga lettera enniana12 Mariotti fa una confessione politica: di essere iscritto al PSI. Timpanaro replica13: «ai legami filologici che già tanto strettamente ci univano si aggiunge ora, come apprendo dalla tua ultima lettera, anche un legame politico: anch’io, difatti, appartengo al PSI!», ma, subito dopo, taglia corto: «e torniamo alla filologia». L’argomento politico, sempre di sfuggita, trova spazio anche in altre lettere14. In una di esse Mariotti, compiaciuto di appartenere addirittura alla stessa corrente dell’amico, quella di Pertini, rileva che anche un’altra affinità lo lega a lui, quella di essere omonimo del padre, una cosa però che a Mariotti risulta «seccantissima» e che «a suo padre non ha ancora perdonato»15. Più tardi, in occasione della scissione dei socialisti, Timpanaro lascia il PSI per il PSIUP ma pensa che anche «i compagni rimasti nel PSI abbiano la loro funzione da svolgere»16, parole evidentemente rivolte indirettamente a Mariotti che rimane nel vecchio partito. Le divergenze, in filologia come in politica, non sono tali da scalfire la solidità della loro amicizia. Timpanaro lo mette in chiaro nella lettera 163 del 14 febbraio 1951: «i multa in te beneficia che tu mi attribuisci non esistono; ma esiste la vivissima amicizia che a te mi unisce e mi unirà sempre. In questa Italia filologica tutta divisa da meschine rivalità e gelosie e tutta intenta all’accaparramento di posti, la nostra pura e disinteressata amicizia costituisce una splendida eccezione». Le confidenze sono rare fra i due, che, nonostante la crescente familiarità, mantengono sempre un atteggiamento schivo, e anche questo, nonostante le differenze di carattere, è un elemento che li accomuna. Perfino di fronte al dolore per la perdita dei propri cari prevale la riservatezza e il pudore dei sentimenti. Alla lettera di condoglianze per la morte di Sebastiano sr17 Timpanaro risponde con poche righe accorate, ma subito passa alla discussione di un frammento di Ennio18. Circa un decennio più tardi Mariotti, rispondendo a sua volta alle «parole fraterne» di Timpanaro in occasione 11 12 13 14 15 16 17 18 Lett. 499 del 14 dicembre 1967. Lett. 66 del 2 giugno 1948. Lett. 67 pervenuta a Mariotti il 5 giugno 1948. Vd. anche lett. 70-4, 100-1, 107, 112, 114, 116. Vd. lett. 70 del 18 giugno 1948. Lett. 449 del 24 gennaio 1964. Lett. 121 del 24 dicembre 1949. Lett. 122 del 28 dicembre 1949. XI della scomparsa del padre, ha fretta di chiudere l’argomento e di passare ad altro: «ma basta con le malinconie»19. Timpanaro replica20: «so bene quale senso di vuoto lasci la scomparsa di una persona cara, anche quando non sopravviene inaspettata; e come soltanto il riprendere il proprio lavoro possa contribuire a rendere meno insopportabile il dolore». Dunque anzitutto lo studio come regola di vita, una sorta di religione laica che sostiene e affratella i due amici. Anche le gioie sono condivise con riserbo. La notizia del matrimonio di Timpanaro giunge improvvisa a Mariotti che si trova a Pesaro21: Timpanaro aveva spedito qualche giorno prima la partecipazione di nozze a Roma, ma in precedenza non aveva mai fatto cenno all’amico di un legame sentimentale e che avesse intenzione di sposarsi22. Un’altra spia della riservatezza dei due è data dal fatto che per circa un decennio, a partire dalla prima lettera del 1944, essi continuano a chiamarsi per cognome e a firmarsi, tranne qualche rara eccezione, per esteso (vd. lett. 40 del 5 febbraio 1948). Questo comune modo di sentire emerge con tutta chiarezza da una lettera in cui Timpanaro ricordando i vent’anni della loro amicizia scrive23: «è passato davvero molto tempo, e la nostra amicizia, durante questi venti anni, non è stata mai turbata dalla più piccola nube e si è fatta sempre più viva e profonda. Quanto io debba a te sia sul piano umano che su quello degli studi filologici, non sto a dirlo, perché né tu né io amiamo le ‘effusioni’ ma ti assicuro che non lo dimentico mai». E Mariotti replica24: «certo vent’anni di amicizia – e di un’amicizia come la nostra, fondata su un’intesa spirituale, morale, scientifica che non è stata mai incrinata – sono la prova di un’affinità di temperamento che qualche volta mi sembra davvero prodigiosa; tanto più che ho la sensazione, anzi la sicurezza che questa amicizia durerà tutta la vita altrettanto e più solida – se è possibile – e trovo in questa sicurezza un conforto grande, quando ci penso e quando constato la rarità estrema (forse fra filologi di oggi l’assenza) di simili legami d’affetto. Non è questa, come vedi, un’‘effusione’, ma una notazione quasi fredda, perché anch’io, come hai capito, alle ‘effusioni’ non sono portato». L’«intesa scientifica» è essenzialmente fondata, come è noto, sulla condivisione del metodo critico che ha alla base il magistero di Giorgio Pasquali. Il punto di partenza deve essere sempre il testo, la sua tradizione, la sua ricostruzione, la sua interpretazione: in sostanza il lavoro del critico deve 19 20 21 22 23 24 Lett. 418 del 26 ottobre 1961. Lett. 419 del 1° novembre 1961. Lett. 506 del 2 luglio 1968. Lett. 505 spedita il 29 giugno1968. Lett. 454 del 1° ottobre 1964. Lett. 455 del 5 ottobre 1964. XII essere un lavoro essenzialmente storico. Questo appare con tutta chiarezza fin dalle prime battute della corrispondenza. In una lettera del 194725 Mariotti parlando degli studi sull’umanesimo, da lui coltivati fin dall’inizio in parallelo a quelli sull’antichità classica in una visione ‘totale’ del mondo antico, scrive a Timpanaro: «sugli umanisti c’è ancora da fare quasi tutto, a cominciare dalle edizioni. Non mancano tuttavia – ed è significativo – bei giudizi estetici, attraenti formule critiche, ecc. Chissà come avranno fatto a darli?». In un’epoca in cui trionfa ancora il saggio letterario di ispirazione crociana, la congettura è considerata un lusus che non dà la misura delle capacità scientifiche di uno studioso. Questo si riflette naturalmente nella valutazione nei concorsi universitari. Nel primo concorso a cui Mariotti si presenta egli viene giudicato un puro congetturatore e la sua produzione considerata dispersiva. La reazione di Timpanaro è risentita: «quei signori non sanno, o fingono di non sapere, che tu, pur avendo fatto molte splendide congetture, non sei affatto un semplice “congetturatore”, ma un filologo completo, che non congettura mai per il gusto di congetturare, ma per precise esigenze d’interpretazione o di lingua o di metrica»26. Mariotti ringrazia per la solidarietà ma (e anche qui si vede la differenza di carattere fra i due: più impulsivo e ‘diretto’ Timpanaro, più moderato e controllato Mariotti) ammette che i suoi giudici hanno in parte ragione («il difetto di concentrazione di lavoro che mi rimproverano è vero»)27, anche se poi, circa un mese più tardi, rileva: «è curioso che moltissimi in Italia non capiscano che esistono due categorie di congetture: quelle vuote o ludibundae e quelle che mettono a posto i testi»28. Questo concetto sarà in seguito ribadito a chiare lettere da Timpanaro: «una congettura o un’interpretazione che coglie nel segno, anche se è enunciata in una noterella di poche righe, è un atto filologico t o t a l e , sintetico (“Anche il minimo filologhèma ha carattere enciclopedico” diceva Fr. Schelling)»29. E un’interpretazione ‘fulminante’ che coglie nel segno Mariotti aveva dato proprio in quel torno di tempo, affidandola a poche righe di una cartolina postale (anche questo così in carattere col suo gusto ‘riduttivo’): «per me dicti sudiosus nel prooem. VII è traduzione di φιλόλογος ed è da ricollegare col valore dato a φιλόλογος (uomo di varia e molteplice dottrina, quindi s t u d i o s o ecc. – oltreché e più che scrittore che si cura della forma) in età alessandrina (cfr. Eratostene che nel III sec. aveva preso quel soprannome come poi lo Lett. 7 del 29 gennaio 1947. Lett. 170 dell’8 giugno 1951. 27 Lett. 171 del 16 giugno 1951. 28 Lett. 173 del 4 luglio 1951. 29 Lett. 209 del 17 dicembre 1952. L’idea sarà poi sviluppata in un articolo (Delle congetture, «A&R», s. IV, 3, 1953, pp. 95-9, rist. con ritocchi in Contributi1, pp. 673-81). 25 26 XIII prenderà Ateio a Roma nel I sec.), e definisce bene la personalità di Ennio poeta, filosofo, grammatico secondo l’esempio alessandrino»30. Questa ‘scoperta’ – che divenne famosa al punto che gli allievi di Mariotti non troveranno titolo più adatto di Dicti studiosus per la miscellanea offertagli per i suoi settant’anni – fece immediatamente esclamare a Timpanaro: «sei un fenomeno!»31. Come ci si accorse quasi subito, a interpretare dicti studiosus come calco di φιλόλογος erano giunti, a insaputa di Mariotti, anche Otto Skutsch e Mario Puelma Piwonka, ma Timpanaro osserva che né l’uno né l’altro erano stati in grado di trarre da quella giusta osservazione le conclusioni cui era pervenuto Mariotti32. Naturalmente questa difesa del singolo e isolato intervento non significa per Timpanaro, come sappiamo fin troppo bene, rinuncia a vaste ricostruzioni storico-culturali, anzi la sua apertura in questo senso è tale da ingenerare a un certo momento in lui il timore di occuparsi di «cose troppo disparate»33. Ma anche Mariotti, sebbene meno propenso dell’amico a uscire dai confini della filologia intesa in senso tradizionale, non rinunciò al saggio critico di ampio respiro, come dimostra p. es. lo studio su Ovidio uscito in occasione del bimillenario della nascita del poeta34, a proposito del quale Timpanaro così scrive all’amico: «è un saggio che ancora una volta dimostra che tu sei critico e storico di prim’ordine, e non solo filologo stricto sensu»35. A differenza di Mariotti Timpanaro non pensò mai di presentarsi a concorsi universitari, ricevendo una netta disapprovazione da parte dell’amico che lo sollecitò inutilmente36. A un certo punto Mariotti, forse nella speranza di aggirare l’ostacolo, pensò di coinvolgere Timpanaro nell’insegnamento universitario offrendogli un incarico a Urbino in vista dell’istituzione della Facoltà di Lettere (a Urbino fino al 1956 ci fu solo il Magistero), ma anche su questo versante la risposta di Timpanaro fu immediata e irremovibile: «la tua proposta37 è un’ennesima prova (se di prove ci fosse bisogno!) della tua fraterna amicizia. Puoi immaginare quanto sarei lieto di trovarmi con te ad Urbino. Senonché io già da parecchi anni ho definitivamente abbandonato l’idea di fare la carriera universitaria. Sono convinto che per me – individuo irrequieto, ultranevropatico, per non dire quasi pazzo – l’insegnamento universitario (anche dato e non 30 31 32 33 34 35 36 37 Lett. 168 del 30 aprile 1951. Lett. 169 spedita il 2 maggio 1951. Lett. 176 del 15 agosto 1951 e 215 del 15 febbraio 1953. Lett. 439 del 12 aprile 1963. Lett. 320 del 28 agosto 1957. Lett. 328 del 28 dicembre 1957. Lett. 219 del 6 aprile 1953. Vd. lett. 182 del 1° novembre 1951. XIV concesso che io vi arrivassi) sarebbe fonte di fastidi e preoccupazioni assai più che di soddisfazioni; e ormai mi sono talmente incanalato nella scuola media, che non riesco neppure a immaginarmi in un ambiente diverso»38. Egli si avviò così a diventare, esempio unico in Italia e, probabilmente, non solo in Italia, il «maestro senza cattedra», come fu definito, un’autorità filologica indiscussa a cui ci si rivolgeva con fiducia, soprattutto da parte dei giovani, per consigli e giudizi che egli distribuiva con una generosità che spesso sconfinava nell’indulgenza. Tanto fu indulgente verso gli altri quanto fu severo con se stesso. A proposito di una sua congettura morfologicamente impossibile relativa all’Aegritudo Perdicae arriva a scrivere a Mariotti: «Meriterei di essere bocciato in latino in prima media!»39. E così non sa perdonarsi di aver congetturato cruenta in un passo in cui sarebbe stato necessario presupporre un improbabile allungamento della -u-, cosa che non cessa di angustiarlo nonostante le consolationes dell’amico40. Ma questo epistolario ha un ulteriore e non secondario pregio, quello di presentarci, fuori dell’ufficialità, alcuni dei maggiori protagonisti della filologia classica del secolo scorso, a cominciare da Eduard Fraenkel che tenne, come si sa, memorabili seminari a Pisa e a Urbino prima che a Roma e a Bari. Il grande filologo ha un carattere non facile e i due amici non se lo nascondono. «È un po’ curioso» – scrive Mariotti41 – «ma in fondo umano sotto la scorza arcigna». Timpanaro replica42: «È un filologo di grande valore (nonostante certi suoi strani dirizzoni), è, a modo suo, molto affezionato a noi scolari di Pasquali, e quindi conviene sopportarlo!». La presenza di Fraenkel è un po’ ingombrante: quando arriva a Pisa esige, scrive Timpanaro43, «che gli altri professori di filologia classica e di materie affini interrompano o diradino le loro lezioni alla Normale nel periodo in cui c’è lui, perché lui non vuole interferenze e vuol fare ben otto ore settimanali di lezione!». E anche il seminario urbinate del 1958 lascia qualche segno in Mariotti44. Ma a mettere maggiormente in difficoltà entrambi è quello che Timpanaro definisce il «pedagogismo aggressivo» di Fraenkel45, il quale insiste con Timpanaro perché si dedichi all’edizione degli Annali Lett. 183 ricevuta da Mariotti il 2 novembre 1951. Lett. 118 spedita il 6 luglio 1949. 40 Lett. 404 del 23 marzo 1961; 405 del 26 marzo 1961; 407 del 30 marzo 1961; 408 del 2 aprile 1961; 413 del 6 giugno 1961; 491 del 1° febbraio 1967. 41 Lett. 274 del 12 settembre 1955. 42 Lett. 285 del 5 gennaio 1956. 43 Lett. 359 del 28 gennaio 1959. 44 Lett. 339 del 18 maggio 1958. 45 Lett. 293 del 18 aprile 1956. 38 39 XV di Ennio, che invece sta facendo Skutsch46, e perché commenti l’Eneide47, mentre sconsiglia Mariotti dall’occuparsi di poesia frammentaria48 invitandolo a commentare Plauto49. Ma tutto questo non scalfisce l’ammirazione e l’affetto che hanno per lui. Alla sua morte Timpanaro scriverà a Mariotti50: «Anche se, quando era tra noi, provammo talvolta insofferenza per qualche sua affettuosa manifestazione di paternalismo (e io l’ho provata e glie l’ho fatto capire t r o p p o , e ora me ne dispiace), non dimenticheremo il suo ingegno, la sua dedizione alla filologia, l’affetto che ha avuto per noi scolari di Pasquali e per i suoi allievi più giovani». Anche il ricordo di Mariotti, prima letto alla radio e poi pubblicato con ritocchi51 ne «La Nazione del lunedì» del 25 maggio 197052, è di un calore e di una tenerezza inusuali in lui e per questo più indicativi del rapporto che lo legava al grande studioso. Il quale poi, come dimostra anche un curioso episodio rievocato da Timpanaro in una lettera del 3 marzo 197453, non era così tetro ed arcigno come poteva apparire in superficie ma sapeva anche ridere di se stesso (che è sempre spia di intelligenza) e perfino suscitare ilarità. Anche Otto Skutsch, che con Mariotti e Timpanaro completa la triade enniana del ’900, esce dall’epistolario arricchito di aspetti umani che completano la sua figura di studioso. Con lui i due amici avevano intrattenuto rapporti epistolari improntati a cortese polemica, ricavandone entrambi l’impressione di un uomo sicuramente dotto ma intransigente e troppo affezionato a certe sue teorie prosodiche e metriche. Il primo a incontrarlo è Timpanaro che ne disegna a Mariotti un ritratto tutt’affatto diverso da quello che si era immaginato: «Skutsch è un uomo mitissimo; conosciuto personalmente, è molto più affabile e simpatico di come apparirebbe dalle lettere; quindi vedrai che non ti dispiacerà conoscerlo. Inoltre non è un fanatico degli studi filologici: si può benissimo parlare con lui del più e del meno. Per me l’unica seccatura consiste nel dover parlare in latino, ma tu potrai conversare con lui in inglese; del resto, a onor del vero, egli Lett. 274 del 12 settembre 1955. Lett. 285 del 5 gennaio 1956. 48 Lett. 274 del 12 settembre 1955. 49 Lett. 266 del 15 aprile 1955. 50 Lett. 525 del 19 febbraio 1970. 51 Vd. lett. 528 del 28 aprile 1970. 52 Ora in SFC, pp. 612-4. 53 Lett. 564. Si veda anche la lettera successiva (del 24 marzo 1974) in cui Mariotti corregge in alcuni particolari Timpanaro. La pubblicazione di queste due lettere è stata anticipata da chi scrive in Eduard Fraenkel a Pesaro e in Oliveriana nel ricordo di Sebastiano Timpanaro, «SOliv.», s. IV, 3, 2017, pp. 221-8. 46 47 XVI si accontenta di un latino semi-maccheronico!»54. Mariotti, che in vista di un incontro con Skutsch già tempo prima era preoccupato di dover comunicare col collega «a segni»55, si sente rinfrancato e, avuta l’occasione di intrattenersi finalmente con lui qualche mese più tardi, conferma l’impressione ricevuta da Timpanaro: «Skutsch è simpatico. Finora abbiamo parlato una specie di latino, ma ho l’impressione che anche in italiano se la cavi»56. Divertente anche il racconto che Timpanaro fa a Mariotti qualche anno più tardi di una passeggiata per le vie di Firenze in compagnia di Skutch e delle sue tre figlie: esse si annoiano a sentir parlare in latino e vorrebbero notizie sui «monumenti artistici» della città con profonda costernazione di Timpanaro, costretto a improvvisarsi inadeguato cicerone per di più in uno stentato francese57. La corrispondenza fornisce qua e là dettagli anche su altri studiosi del secolo scorso, contribuendo a renderceli vivi nella loro umanità: da Günther Jachmann ad Augusto Campana, da Henry David Jocelyn ad Alessandro Perosa a Franco Munari e a numerosi altri. Insomma questo carteggio per molti e vari aspetti meritava a nostro avviso di essere messo in circolazione, pur con tutti i rischi che abbiamo detto e di cui ci assumiamo la responsabilità, grati alla Normale di Pisa che si è assunta l’onere della pubblicazione. Come siamo grati a Maria Augusta Timpanaro e a Antonietta Gaudiano Mariotti e Flavia Mariotti, che ci hanno messo a disposizione l’intera corrispondenza rinvenuta. Ci auguriamo che il nostro sforzo, nutrito di affetto e ammirazione, non sia stato vano, ma possa ancora per lunghi anni fornire alimento a quegli studi ai quali queste due grandi figure del Novecento con inesausta passione hanno consacrato la loro vita. Per concludere un cenno ai criteri editoriali. Le citazioni latine, che i due corrispondenti ora sottolineano ora pongono fra virgolette, sono sempre date in corsivo. Le parole italiane o di altre lingue diverse dal latino sottolineate sono rese con lo spazieggiato, a meno che la sottolineatura non riguardi una singola lettera, nel qual caso si usa il sottolineato; il doppio sottolineato è reso con lo spazieggiato sottolineato, il triplo sottolineato con lo spazieggiato con doppia sottolineatura. La datazione delle lettere è data sempre in modo uniforme, mentre si sono conservate altre oscillazioni ortografiche. In quelle non datate i dati suppliti sono tra parentesi quadre se sono ricavabili con certezza dal timbro postale di partenza o di arrivo 54 55 56 57 Lett. 331 del 13 gennaio 1958. Lett. 301 del 15 agosto 1956. Lett. 342 del 4 agosto 1958. Lett. 444 del 31 luglio 1963. XVII (questa circostanza è sempre chiarita in nota), mentre sono fra parentesi uncinate se ricostruibili solo in base a criteri interni. Le abbreviazioni di parole e di avverbi (Mariotti ne fa largo uso) sono sempre tacitamente sciolte, come sono tacitamente corrette eventuali sviste. Quando la discussione di un passo o di un argomento riguarda più lettere (il che accade di frequente) l’indicazione di tutte le occorrenze è data di norma solo nella prima lettera, a cui si fa unicamente riferimento nelle altre. Le lettere di Mariotti sono tutte manoscritte, quelle di Timpanaro sono manoscritte fino alla lettera 237 (8 aprile 1954); dalla lettera 239 (30 aprile 1954) in poi Timpanaro preferisce la macchina da scrivere, salvo alcuni casi segnalati di volta in volta in nota (naturalmente saluti e firma sono sempre scritti a mano, talora anche le formule di congedo). Di volta in volta si chiarisce anche se si tratta di lettera (purtroppo di non tutte si conserva la busta) o di cartolina postale o (in pochi casi) di cartolina illustrata (nei rinvii interni si fa sempre riferimento a lett[era]). Per quanto riguarda le lettere di Mariotti il nostro lavoro si è svolto esclusivamente su fotocopie, dato che gli originali rivenuti in casa Timpanaro sono stati depositati dalla signora Maria Augusta, fin dall’inizio del lavoro, presso la Normale di Pisa. Le lettere di Timpanaro invece ci sono state consegnate in fasi successive. Quelle immediatamente ritrovate a casa Mariotti sono state fotocopiate e gli originali sono stati consegnati alla signora Timpanaro che li ha depositati in Normale insieme agli originali delle lettere di Mariotti. Per queste lettere abbiamo pertanto lavorato su fotocopie. Successivamente dal riordino di casa Mariotti sono emerse a varie riprese parecchie altre lettere di Timpanaro, che abbiamo letto e trascritto dagli originali, anch’essi destinati alla Normale58. Il commento è esclusivamente rivolto a esplicitare citazioni di passi e di autori o a dar conto di eventi a cui si fa cenno nel testo; si è rinunciato pertanto a entrare nel merito delle questioni trattate e ad ogni tentativo di aggiornamento della bibliografia. Il lavoro è stato così suddiviso: Gemma Donati ha trascritto la maggior parte delle lettere, servendosi anche di un parziale lavoro iniziato da Salvatore Monda, e le ha fornite di commento (trascrizione lettere 1-500, commento 1-14, 106-500); chi scrive ha trascritto e commentato la parte restante (lettere 500-640) e ha ricontrollato la trascrizione dell’intero cor- Fino a lett. 275 tutte le missive di Timpanaro sono state lette e trascritte dagli originali, tranne la prima e la terza per le quali abbiamo utilizzato le fotocopie. A partire dalla lett. 276 abbiamo lavorato sugli originali delle seguenti lettere: 279, 281-2, 285, 289, 293, 296, 299, 307, 310, 338, 349, 377, 379, 381, 383, 385, 387, 389, 391, 393, 398-400, 426-7, 535, 538, 547, 605, 608, 610-1, 613, 617, 622, 624-8, 631-2, 635-7. La lett. 289, che era pervenuta frammentaria in fotocopia (a partire dalle parole «Quanto a lauris») si è potuta completare grazie al ritrovamento dell’originale della pagina precedente. 58 XVIII pus; Giorgio Piras ha collaborato al commento (lettere 15-105) e all’ordinamento generale delle lettere. Questa impresa non avrebbe visto la fine senza il determinante intervento di Paolo d’Alessandro, che si è offerto di rileggere l’intero carteggio rimediando a errori, sviste e omissioni. Si deve a lui se il commento è più completo e preciso. Va da sé che la responsabilità di ogni residua manchevolezza è soltanto mia. Un vivo grazie anche ad Alessandro Fusi per alcuni suggerimenti e ad Angelo Luceri, che ha collaborato alla revisione e curato gli indici59. Roma, maggio 2019 Piergiorgio Parroni Maria Augusta Morelli Timpanaro, che tanto aveva desiderato la pubblicazione di questo libro, è mancata nel corso della revisione delle bozze (2 genn. 2021). Alla sua memoria, strettamente legata a quella di Antonietta Gaudiano Mariotti e dei due protagonisti del carteggio, rivolgo, anche a nome degli altri collaboratori, un commosso, devoto pensiero. 59 XIX CARTEGGIO 1944-1999 11 [Firenze], 9. 5. 19442 O illustre amico, avendo saputo casualmente da un mio compagno il tuo indirizzo3, ho pensato di mandarti un saluto. Che fai di bello? Vieni a Firenze qualche volta? Io mi trovo qui per alcuni giorni, allo scopo di dare alcuni esami; dopo tornerò a Pisa, dove abito tuttora, sebbene lo starvi non sia troppo allegro per i numerosi bombardamenti ed allarmi, che rendono lo studio quasi impossibile. Avrai certo anche tu saputo che il prof. Pasquali è da parecchi mesi gravemente malato: anche questa è una delle tante circostanze che contribuiscono a rendere triste questo periodo. E tu, puoi studiare? Di cosa ti occupi presentemente? Aspetto tue notizie, e ti mando frattanto molti cordiali saluti. Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. T. ricorda l’inizio della corrispondenza con questa cartolina nella lett. 441. Tutta la corrispondenza di T. a M. fino alla lettera 237 è manoscritta. Dalla 239 in poi T. preferisce la macchina da scrivere, salvo alcuni casi che verranno di volta in volta segnalati in nota. M. invece scrive sempre e solo a mano. 2 La città risulta dal timbro postale. 3 La cartolina è indirizzata a Monteciccardo (Pesaro), dove M. era sfollato con la famiglia. 1 3 2 4. 6. 19441 Amico non meno illustre, ti ringrazio della cartolina2 che, al solito, ci ha messo parecchio per arrivare – e ti ringrazio del saluto che ricambio. Mi domandi se vengo a Firenze: in quest’anno accademico non ci sono venuto mai, data l’estrema difficoltà delle comunicazioni. Il treno funziona, e neppure regolarmente, solo da nord di Rimini; un viaggio a Firenze, per Bologna o Faenza, richiederebbe almeno due giorni, non senza noie e non senza pericoli. Adesso farò l’ultimo esame che mi resta, autoeliminatasi la cultura militare, quello di storia antica (ti ricordi che ne parlammo un giorno?) ad Urbino (Magistero) con Ronconi3. Sembra che Firenze lo riconosca. Potrei fare la tesi pure a Urbino, ma preferisco aspettare, e se, come temo, non sarà possibile farla con Pasquali, la discuterò con Terzaghi – che del resto è il migliore conoscitore italiano di Sinesio4. A proposito di Pasquali, io ne ebbi dolorose ma vaghe notizie dalla moglie un quattro mesi fa; poi altre più precise da Impellizzeri5, che mi parlava addirittura di manifestazioni di pazzia posteriori all’8 settembre e di conseguente trasferimento dal pistoiese; altre molto generiche da Terzaghi. Ora ho riscritto alla moglie. Tu hai niente da dirmi? Io sono dispiacentissimo, anche perché non posso venire a Firenze, e informarmi meglio o vederlo. Pasquali è l’uomo più ‘intelligente’ che io abbia conosciuto e quello a cui sono più grato per ciò che ne ho imparato. Come puoi capire, mi è impossibile studiare: non solo per le distrazioni varie fornite dalla guerra, ma per la mancanza quasi totale di libri (pochi e tutti recenti ad Urbino). Sto riguardando qualcosa su Sinesio, su cui scrivo un articolo che nella sostanza era quasi pronto e che, visto che ho tempo da perdere, sto stendendo in latino6. Questo è, in questi giorni, il mio passatempo. Sulla località vd. lett. precedente. Si tratta della lett. precedente, a cui si risponde. 3 M. sosterrà l’esame di storia greca e storia romana a Urbino l’8 giugno 1944: Archivio Storico dell’Università di Firenze, Sez. Studenti, fasc. «Mariotti Scevola». 4 M. si laureò poi in realtà discutendo a Urbino, da sfollato, una tesi orale nel marzo del 1945. 5 Salvatore Impellizzeri (1917-2004), allievo a Palermo di Bruno Lavagnini, bizantinista a Palermo e a Roma Tor Vergata, fu perfezionando alla Scuola Normale nel 1938-39. 6 S. M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria, «SIFC», n.s., 22, 1947, pp. 215-30 (= SFC, pp. 459-73). 1 2 4 Scrivimi, e dimmi anche tu cosa fai. Ennio? Dammi notizie di Pisa, della Normale, di Arangio Ruiz7 (è sempre a Firenze? come sta?). Qual è la chiesa di Pisa colpita dai bombardamenti? Le tue notizie mi faranno piacere. Cordiali saluti. Scevola Mariotti Vladimiro Arangio-Ruiz (1887-1952), allievo di Vitelli, fu vice-direttore della Scuola Normale dal 1938 al 1943, incaricato di filosofia alla Normale dal 1940 e infine professore di storia della filosofia presso la facoltà di magistero di Firenze. Fu tormentato da vari problemi di salute. 7 5 3 Pisa, 20. 5. 1945 Carissimo Mariotti, oggi, 20 maggio 1945, mi è giunta la tua lettera del 4 giugno 19441, la quale ha dunque impiegato circa un anno per arrivare. Parecchi avvenimenti sono successi nel frattempo. Tu come hai passato i burrascosi mesi estivi? Qui a Pisa la guerra si è fatta sentire molto duramente: bombardamenti assai forti prima, poi la lunga sosta della guerra sull’Arno, durante la quale la parte settentrionale della città è rimasta esposta a continui cannoneggiamenti e a razzìe di uomini da parte dei Tedeschi. Fortunatamente io ed i miei ne siamo usciti salvi, solo con qualche danno alla nostra casa; ma la città nel complesso è stata molto danneggiata. Il Duomo, il Battistero e la Torre pendente sono salvi; invece, come avrai saputo, gli affreschi del Camposanto sono stati in gran parte distrutti, e anche la chiesa di S. Paolo a Ripa d’Arno è parzialmente distrutta. Inoltre i Tedeschi, prima di ritirarsi, han fatto saltare i ponti sull’Arno. Io sono stato a Firenze in gennaio e in febbraio; ho dato gli ultimi esami e mi sono laureato con Terzaghi, sul solito argomento enniano, di cui però ho svolto solo una parte per mancanza di tempo. A Firenze ho visto Pasquali – non so se nel frattempo lo hai visto anche tu – : fisicamente sta molto meglio, né si può parlare di pazzia, perché riconosce le persone, risponde alle domande, ragiona, ricorda ancora un’infinità di cose: ma certo si trova tuttora in uno stato di estremo scoraggiamento, di vera depressione morale; dice che tutti i suoi lavori filologici non valgono nulla, che tutto quello che ha scritto lui è sbagliato, che i suoi avversari avevano essi ragione, ecc. ecc. Fa un’impressione penosissima vedere un uomo che era così convinto delle proprie idee, così vivacemente polemico, ridotto a sconfessare tutto quello che aveva sostenuto, a non aver più fede nella filologia e a dar ragione anche ai suoi più idioti oppositori. Ora però mi scrivono da Firenze che sta meglio: sarà un miglioramento reale e decisivo? Nella tua lettera mi chiedevi notizie di Arangio-Ruiz: non è più a Pisa; insegna a Firenze, al Magistero. La Normale è ora diretta da Russo: rettore dell’Università era fino a giorni or sono lo stesso Russo, ma ora hanno avuto luogo le elezioni ed è stato nominato Mancini2. Del resto, qui nulla Vd. lett. precedente. Luigi Russo (1892-1961) fu per poche settimane direttore della Scuola Normale – dopo le dimissioni di Gentile nell’agosto del ’43 – e contestualmente rettore dell’Università, per 1 2 6 di nuovo: la città si riprende molto faticosamente, e giace tuttora in uno stato di grande inerzia, al contrario di Firenze che è anche troppo animata. E tu? Come hai passato questo periodo? E Sinesio, e gli altri tuoi studi filologici? Mandami notizie; frattanto, i più cordiali saluti. Sebastiano Timpanaro3 poi riassumere le due cariche nel settembre 1944, a seguito della liberazione di Pisa. Augusto Mancini (1875-1957) fu rettore dell’Università di Pisa dal 1945 al 1947. 3 Sotto la firma l’indirizzo: via S. Maria 18, Pisa. 7 3 BIS Pisa, 7. 1. 1946 Carissimo Mariotti, di ritorno da Firenze, dove sono stato per qualche giorno, ho trovato qua la tua lettera. Sono molto contento di avere tue notizie; spero che tu ti sia ormai rimesso completamente e che possa riprendere i tuoi studi. Io quest’anno insegno materie letterarie alla 1a media inferiore di Pontedera: ho cominciato senza entusiasmo, ma adesso trovo che anche questa è un’esperienza interessante, specialmente per ciò che riguarda l’insegnamento del Latino. – Mi laureai nel febbraio dell’anno scorso con Terzaghi, che allora sostituiva Pasquali (ora invece al suo posto c’è Setti, mentre Terzaghi è rimasto al Magistero). I miei studi enniani procedono lentamente. Non ho più visto Pasquali dal gennaio scorso: mi dicono che sta meglio, ma non so se si tratti di un miglioramento reale. Qui a Pisa non c’è proprio nulla di nuovo. La vita culturale è pressoché nulla. Gli «Annali della Scuola Normale» finora non hanno ripreso le pubblicazioni, ma dovrebbero riprenderle fra non molto. A Firenze dovrebbero ricominciare ad uscire, a cura di Terzaghi, gli «Studi it. di Filologia classica». Se qualche volta tu avessi bisogno che ti guardassi qualche cosa in biblioteca, scrivimi. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro1 1 Sotto la firma l’indirizzo: (Pisa, Via S. Maria 18). 8 41 Pisa, 10. 7. 19462 Carissimo Mariotti, da molto tempo non ho più tue notizie. Come stai? Che fai di bello? Lavori sempre su Sinesio? Sei stato recentemente a Firenze? Io vi sono stato una diecina di giorni fa, ma non sono andato da Pasquali: vi ero andato per Pasqua, ma l’avevo trovato in un momento di depressione estrema. Ora dicono che sta meglio: speriamo che si tratti di un miglioramento non illusorio. Quest’anno ho insegnato a Pontedera, alla scuola media inferiore: mi ci sono trovato assai bene, tanto che ho intenzione di fare il concorso per la scuola media anziché per il Liceo come prima pensavo di fare. Continuo ad occuparmi di Ennio, ma il lavoro procede lentamente. Sarei molto contento di sapere tue notizie. Ci rivedremo qualche volta a Pisa o a Firenze? Lo spero; intanto ricevi i più cordiali saluti. Sebastiano Timpanaro Cartolina postale con indirizzo del mittente a stampa: Timpanaro. Via S. Maria - Pisa. Indirizzata da T. a Monteciccardo, è trasmessa a Pesaro con l’erroneo indirizzo Viale Trento invece di Viale Battisti. 2 L’anno, non chiaro nel timbro postale di partenza, si ricava dal timbro di arrivo a Pesaro (20 luglio 1946). 1 9 5 Pesaro, 9. 9. 1946 Carissimo, ti ringrazio (e scusa se lo faccio con ritardo) per le tue informazioni utilissime e le metodiche conclusioni per ᾱλ̉ άομαι1. Non mi resta, ut nunc est, che rinunciare all’ipotesi. Tu sei veramente molto gentile: so che mettersi a fare una ricerca per un altro è molte volte una scocciatura. Del frammento attribuito ad Ennio a cui ti accennavo, ti ho detto anche che si tratta di una cosa di nessuna importanza. Al massimo, se resisterà ad una revisione da fare chissà quando, potrà rientrare in una raccolta di Lesefrüchte. È il fr. inc. inc. 214 R.3 2, a cui il Ribbeck stesso aveva dato posto in un primo tempo con qualche apparenza di verità nel Phoenix di Ennio (ma, se dubita il Ribbeck...). Lui legge: Pater, inquam, hospites, (-tis trad.), <pater> me lumine orbavit, pater. I grammatici che citano il passo (Sacerdote e, da una stessa parte, Carisio e Diomede omettendo hospitis) lo danno come esempio di epanalessi nel senso di ripetizione della stessa parola a principio e in fine di verso. Dunque il pater integrato (e dato per certo in modo ridicolo da Coppola, Il teatro tragico ecc., p. 67 sg.3 – che è un seguito di superbiosi arbitrii) non solo non è necessario se non per il metro, ma quasi quasi guasta. Insomma, per farla breve, verrebbe fuori un senario un po’ duro, ma non impossibile a leggere: Pater inquam, hosp e s , me lumine orbavit, pater. – facendo venire l’hospitis di Sacerdote (omesso dagli altri, la cui fonte forse non capiva bene o trovava segni di dubbio sulla parola?) da un hosp i s come è tradito in Plaut. mil. 752, 937 e il Bergk, Kl. Schr., I 117 sg.4 (ho tratto l’indicazione dal Thes.) ritiene p o s s i b i l e che sia lezione autentica. Questo importa poco: importa che il volgarismo sia entrato nella tradizione di un altro poeta scenico, in cui la lezione è certo antica. Rimane adesso la questione dell’attribuzione. Il Vahlen ignora il frammento, evidentemente anche perché non rientra nella ricostruzione da lui fatta (e Evidentemente la lettera di T. a cui M. fa riferimento è andata perduta, come perduta deve essere anche una precedente lettera di M. all’amico. 2 Su questo frammento vd. lett. 6-12, 14, 23, 26, 30, 43, 99 e S. M., Adversaria philologa I [1. Liv. Andr. Od. fr. 8 Morel; 2. Liv. Andr. Trag. 28 sg. Ribbeck3; 3. Trag. Rom. inc. inc. 214 Ribbeck3; 4. Anacr. LIII 7 Preisendanz], «SIFC», n.s., 24, 1950, pp. 85-9 (il primo e quarto contributo rist. in SFC, pp. 21-2 e 474-5): 3, pp. 87-8. 3 G. Coppola, Il teatro tragico in Roma repubblicana, Bologna 1940. 4 Th. Bergk, Kleine philologische Schriften, hrsg. von R. Peppmüller, I, Halle a. S. 1884 (a p. 117 si giudica «bemerkenswerth» milis per miles in Plauto, come pure hospis per hospes). 1 10 del resto verosimile) del Phoenix servendosi dell’Iliade. Ma l’accecamento di Fenice era in Euripide, se non mi sbaglio. Certo hospites starebbe bene con amici del v. 309 Vahl., dove il Vahlen difende (e avrà ragione) il dattilo. Insomma i grattacapi non mancano e, ripeto, le varie possibilità sono da vedere – fra le altre quella di lasciar perdere tutto. Scusa la chiacchierata troppo lunga e considerami un amico logorroico. Se pubblichi qualcosa, mandamela, come farò io per due lavoretti in preparazione5. Con affetto Scevola Mariotti [PS. ‒] Tornerai a Pontedera? Vd. lett. seguente. Dovrebbe trattarsi di M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2) e Id., Sul testo e le fonti comiche della ‘Chrysis’ di E. S. Piccolomini, «ASNP», s. II, 15, 1946, pp. 118-30 (rist. in SMU, pp. 137-52; SMU 2 e SMU 3, pp. 167-82). 5 11 6 Pisa, 18. 9. 19461 Carissimo Mariotti, ritornato da Firenze (dove sono stato per qualche giorno), ho trovato la tua lettera. Ho letto con interesse le tue giuste osservazioni su quel frammento tragico2. Mi pare che tu abbia perfettamente ragione nel respingere l’integrazione <pater>. Il tuo emendamento hospes certo si spiega bene considerando l’hospitis di Sacerdote come corruttela di un hospis. Soltanto, come tu stesso osservi, il plurale hospites starebbe bene con amici del v. 309 Vahl.2, e quindi sarebbe preferibile non sostituirlo col singolare hospes. Per conservare il plurale, si potrebbe forse ricorrere a un emendamento che ti sottopongo come semplice curiosità benché io stesso vi creda assai poco: si potrebbe, cioè, scrivere: Pater, inquam hostes, me lumine orbavit, pater, intendendo hostes nel senso originario di ‘forestieri, ξένοι’. Questo significato oltre ad essere attestato da grammatici (Varr. L. L. 5, 3, Paul. Diac. 91 Linds., Macr. Sat. 1, 16, 14 ecc. ecc.) è ancora riconoscibile in Plaut. Trin. 102, Hor. epist. 1, 15, 29 e in Ennio stesso Var. 19 (cui nemo civis neque hostis quibit pro factis reddere opis pretium)3. E forse anche nell’Eneide 4, 424 hostem superbum avrà questo significato: almeno così interpretavano già alcuni antichi: cfr. Serv. ad l. nonnulli iuxta veteres h o s t e m pro h o s p i t e dictum accipiunt. Attenzione a quel iuxta veteres! Non è improbabile che Servio o la sua fonte pensino anzitutto ad Ennio, così spesso imitato da Virgilio. È anche da notare che Ennio, benché usi naturalmente già anche hostis nel senso di ‘nemico’, ha conservato però ancora (Sc. 396)4 l’antico termine perduellis, che significava ‘nemico’ quando hostis significava ancora ‘forestiero’, ‘ospite’. Se si accetta come lezione genuina hostes, hospites di Sacerdote sarà stato in origine una glossa di hostes sostituita poi al testo originario. Alla grafia hospitis invece di hospites forse non bisognerà dare eccessiva importanza, essendo simili scambi frequentissimi nei codici (cfr. ad es. in Enn. Sc. 1855 cit. da Nonio arboris per arbores). La fonte di Carisio e di Diomede avrà omesso hostes perché non ne capiva il significato andato ormai in disuso. 1 2 3 4 5 Sotto la data l’indirizzo: via S. Maria 18. Fr. inc. inc., 214 R.3, su cui vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Vd. lett. 36-8, 82. Vd. lett. 58. Su questo frammento vd. lett. 86, 96, 596. 12 Da notare anche che Ennio usa le parole hostimentum (Sc. 133) e hostire6, connesse con hostis nel senso di ‘ospite’. Tuttavia, come ho già detto, io stesso son poco convinto di questa congettura, e, tutto sommato, è meglio il tuo hospes. Scusa quindi l’inutile discorso (come vedi, sono più logorroico di te). Spero di tornare a Pontedera, ma non sono sicuro di ottenere7. Dicono che Pasquali stia meglio, ma io non l’ho visto. Ti ringrazio in anticipo per i due articoli di cui mi preannunzi l’invio. Non ho trovato più nulla su ᾱλ̉ άομαι. Addio, affettuosi saluti. Sebastiano Timpanaro Enn. scaen., 133 V.2 audi atque auditis hostimentum adiungito; 178 Quae mea comminus machaera atque hasta hostibitis manu. 7 T. risponde alla domanda di M. formulata nel postscriptum della lettera precedente. 6 13 7 Pesaro, 29. 1. 1947 Carissimo, tu ormai conosci la mia riprovevole abitudine di non rispondere mai a tempo – e continui a perdonarmi. Il tuo hostes è tutt’altro che da buttar via, come modestamente vuoi far credere1. Se tu mi consentirai, lo citerò (dando beninteso il nome dell’autore e le principali pezze d’appoggio!) quando mi capiterà di vulgare il mio hospis2. Sul rapporto con Sc. 309 Vahl.2 mi rimane qualche dubbio, che tu, qua es harum rerum peritia, vorrai giudicare. Cerco di spiegarmi in breve. A me pare che o amici di quel frammento del Phoenix deve intendersi rivolto agli ἔται καὶ ἀνεψιοί, secondo il brillante ravvicinamento del Vahlen all’episodio omerico, o p p u r e hospites del nostro frammento3 e a m i c i son la stessa cosa. Non mi pare che si possa dire ἔται καὶ ἀνεψιοί = amici = hospites (si tratterebbe naturalmente del coro). Intimi e parenti del principe non mi parrebbe che si potessero chiamare hospites (o hostes), cioè insomma stranieri. Ora, a parte il confronto con Omero del Vahlen, mi pare che il primo corno del dilemma sia più probabilmente il vero: le parole ut quod factum est futtile, amici, v o s f e r a t i s f o r t i t e r mi sembra più adatto a gente che divida la vita di Fenice. Sarebbe utile sapere perché il Ribbeck ha rinunciato all’attribuzione al Phoenix: potresti vedere che cosa ne dice nella Röm. Trag.4? – citandomi eventualmente anche la pagina. Dammi tue notizie e dimmi se hai avuto Pontedera. Quando avremo il tuo Ennio pressappoco? Le note di cui ti avevo annunciato l’invio continuano a tardare5; ma dovrebbero uscire sui prossimi «Annali» pisani. Sto pensando a qualche lavoro un po’ più ampio, ma la voglia e i mezzi di studio mi difettano. Quest’anno insegno al Liceo Scientifico italiano e latino. Ho il vantaggio di avere la scuola a un passo da casa e l’orario comodo. In più mi ristudio un po’ di letteratura italiana, che a un filologo classico non fa male. In ogni modo sugl’italianisti abbiamo il vantaggio di capire il latino degli umanisti, cosa che a loro succede abbastanza di rado. Non so se te ne sei mai occupa- 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente. Vd. infatti M., Adversaria philologa I (cit. lett. 5), 3, p. 88. Fr. inc. inc., 214 R.3, su cui vd. lett. 5. O. Ribbeck, Die römische Tragödie im Zeitalter der Republik, Leipzig 1875. Si tratta evidentemente delle note alla Chrysis, per cui vd. lett. 5. 14 to. Sugli umanisti c’è ancora da fare quasi tutto, a cominciare dalle edizioni. Non mancano tuttavia – ed è significativo – bei giudizi estetici, attraenti formule critiche, ecc. Chissà come avranno fatto a darli? Aspetto tue nuove e ti saluto affettuosamente. Il tuo Scevola Mariotti 15 8 Pisa, 4. 2. 19471 Carissimo, ti ringrazio della tua lettera2. Anche a me sembra che non si possa sfuggire al dilemma da te formulato: gli amici di Sc. 309 o sono gli ἔται καὶ ἀνεψιοί omerici, o sono gli hospites (o hostes) del nostro frammento3. E anch’io credo che la prima di queste due alternative sia la più probabile. Perciò gli hospites del nostro frammento n o n sono gli amici del v. 309, e viene quindi a cadere ogni connessione tra i due frammenti. Naturalmente, questa conclusione indebolisce ancor più la mia congettura hostes; invece il tuo hospes si può benissimo accettare supponendo che Fenice si rivolga a Peleo, presso il quale, secondo la leggenda seguita da Euripide, egli si era rifugiato dopo l’accecamento. Più incerta mi sembra la questione dell’attribuzione. Disgraziatamente non ho potuto vedere la Geschichte der röm. Tragödie del Ribbeck4 perché è in prestito. Il Vahlen non accoglie il frammento, certamente perché egli ricostruisce il Phoenix di Ennio in base al confronto con l’Iliade, e nell’Iliade dell’accecamento di Fenice non si parla. Tuttavia questa non sarebbe ancora, mi pare, una ragione decisiva: infatti l’analogia tra i frammenti enniani e il racconto dell’Iliade non è tanto stretta quanto il Vahlen (p. ccix) vuol far credere. In Ennio (Sc. 307) Fenice è vittima di un f a l s o s o s p e t t o (suspicionem … falsam) del padre, e si proclama i n n o c e n t e (Sc. 3015: innoxium): in Omero invece Amintore si adira contro Fenice non per un sospetto, ma per un fatto realmente avvenuto, cioè perché Fenice aveva sedotto la concubina del padre suo (Iliade 9, 451 sgg.). Evidentemente qui Ennio diverge da Omero e concorda invece col Φοῖνιξ di Euripide, nel quale Fenice era vittima di una calunnia (tipo Fedra-Ippolito, ecc.: cfr. Schol. Il. 9, 453 Εὐριπίδης ἀναμάρτητον εἰσάγει τὸν ἥρωα ἐν τῷ Φοίνικι). Ancora: in Omero gli ἔται καὶ ἀνεψιοί cercano di distogliere Fenice dalla fuga e di trattenerlo in patria, mentre in Ennio, come appare da Sc. 309, era Fenice che esortava alla calma e alla rassegnazione gli amici (i quali forse lo avevano incitato ad uccidere il padre: Sc. 308 e 307). Mi pare perciò che l’Iliade non possa esser presa come unico fondamento per la ricostruzione 1 2 3 4 5 Sotto la data l’indirizzo: via S. Maria 18. Vd. lett. precedente. Si riferisce alla discussione iniziata nella lett. 5 (vd.). In realtà Die römische Tragödie im Zeitalter der Republik (vd. lett. precedente). Su questo frammento vd. lett. 23-4, 44, 58, 236. 16 del Phoenix enniano, e che il fatto che Omero non parli dell’accecamento di Fenice non sia ragione sufficiente per escludere che l’accecamento ci fosse in Ennio: tanto più che l’accecamento c’era di sicuro nel Φοῖνιξ di Euripide (fr. 816 Nauck2, Aristoph. Acharn. 421), che Ennio può aver preso come modello. Appunto in base al confronto con Euripide, il Wüst (RE, XX, 406) attribuisce senz’altro ad Ennio il nostro frammento. Tuttavia qualche dubbio rimane: anzi mi sembra – ma forse mi sbaglio – che dalla lettura dei frr. 306-309 di Ennio si riceva l’impressione che in Ennio l’accecamento non ci fosse. Prendiamo p. es. il v. 309: ut quod factum est futtile, amici, vos feratis fortiter. Queste parole sembrano rivolte da Fenice a gente colpita dalla medesima disgrazia di lui (p. es. cacciata in esilio insieme con lui): ma che Fenice accecato esorti gli amici non accecati a sopportare con forza d’animo la sventura non mi sembra naturale. E anche l’espressione quod factum est futtile (scil. ab Amyntore) mi pare troppo leggera per indicare l’accecamento del figlio. Così pure le parole di uno degli amici a Fenice: quam tibi ex ore orationem duriter dictis dedit! (Sc. 306)6 alludono solo alle p a r o l e dure di Amintore (cioè alla maledizione da lui scagliata contro il figlio, cfr. v. 299) non all’accecamento: e lo stesso si dica della risposta di Fenice (307). In tono ben altrimenti lamentoso si esprimeva Fenice accecato nella tragedia euripidea (cfr. fr. 816 Nauck2, e Aristofane già citati)! Tutto sommato, sarei propenso a supporre che nella tragedia di Ennio Fenice fosse maledetto e cacciato in esilio dal padre, ma non accecato. Il verso ut quod factum est futtile ecc. richiama alla mente le parole di Teucro agli amici nell’ode 1, 7 di Orazio e anche la situazione doveva esser simile; Fenice confortava gli amici che dovevano accompagnarlo nell’esilio. Se queste mie impressioni sono fondate (ma non sono affatto sicuro che lo siano), il nostro frammento non apparterrebbe al Phoenix di Ennio, e il modello del Phoenix di Ennio non sarebbe il Φοῖνιξ di Euripide, ma un altro Φοῖνιξ (forse quello di Sofocle, o quello di Ione?). Ma i dubbi non mancano. Tu che ne pensi? Scrivimi! Io ho riottenuto, dopo qualche difficoltà, l’insegnamento a Pontedera. Quest’anno faccio la II Media (ho gli stessi alunni dell’anno scorso, tra i quali per fortuna alcuni intelligenti). Ennio procede con molta lentezza: quando lo finirò? Non ne ho la minima idea. Nel prossimo numero di «St. it. filol. class.» uscirà purtroppo la prima parte di un mio articolo enniano scritto più di due anni fa, giaciuto a lungo in tipografia e che adesso riconosco essere un aborto7. Come vedi, si comincia male! Auguri per i tuoi lavori umanistici: io non mi sono mai occupato di umanisti e non ne so niente di Su cui vd. anche lett. seguente e inoltre lett. 30, 32. S. T., Per una nuova edizione critica di Ennio, «SIFC», n.s., 21, 1946, pp. 41-81; uscirono poi nel vol. 22, 1947, la seconda parte, pp. 33-77, e la terza, pp. 179-207, mentre nel vol. 23, 6 7 17 preciso, ma credo senz’altro che sia un argomento interessantissimo e in buona parte inesplorato. Di Pasquali non ho nuove notizie. L’unico filologo col quale abbia mantenuto contatti sei tu. Cordiali saluti. Sebastiano Timpanaro 1948-49, la quarta, pp. 5-58 e 235. In seguito questi scritti furono parzialmente ripubblicati con aggiunte in Contributi1, pp. 623-81. 18 9 Pesaro, 12. 3. 1947 Carissimo, la differenza da te rilevata fra Omero ed Ennio riguardo alla colpevolezza di Fenice è sicurissima (anche suspicio = ὑπόνοια? ritorna un’altra sola volta nell’Ennio conservato, appunto nel Telamo, v. 327)1. Acuta anche l’osservazione sulla probabile mancanza dell’accecamento nel Phoenix, su cui convergo. Certo, sicurezza assoluta non si può avere – e quindi una possibilità che il nostro frammento appartenga a questa tragedia rimane. A voler cavillare, si potrebbe pensare ad es. che Amintore prima facesse a Fenice la sua paternale (quella, testimoniata da frammenti precedenti, a cui si riferisce il v. 306)2 e poi l’avesse fatto accecare da qualcuno. La crudeltà di Amintore si sarebbe così manifestata progressivamente (al che non si opporrebbe del tutto il nostro frammento3: pater me orbavit lumine). Ma sono, come vedi, purissime ipotesi. In ogni modo abbastanza forte è il v. 308, che, se fosse detto dopo l’accecamento, innalzerebbe ancora più la figura morale di Fenice. Ma insomma mi pare che tu abbia pienamente ragione. E, se me lo permetti, citerò la tua giustissima osservazione in una noterella sul passo che farà parte di una raccolta da pubblicare non so quando né dove – insieme colla tua congettura hostes, che non mi pare da buttar via4! Dimmi qualcosa in proposito. Io debbo ancora vedere il Ribbeck; l’ho fatto chiedere a Bologna, ma vedilo anche tu, se lo restituiscono. La nostra piacevole e fruttuosa conversazione su questo argomento mi pare in via di esaurimento, se non sopravvengono fatti nuovi. Ed io ti sono grato dell’aiuto che mi hai dato. Speriamo di averne altre da fare, sebbene – per colpa mia – procedano così lentamente. Anch’io non comunico ‘sistematicamente’ con altro filologo che con te. Permetti che ti dica che dei giovani come noi che conosco tu sei meo quidem animo il migliore? – senza offendere nessuno. T’ho da pregare di vedermi due cose che mi servirebbero per mettere il punto – finalmente – al mio articolo sulla tradizione degli Inni sinesiani5. La prima è cosa da poco: vorrei sapere se in Omero è frequente l’espressione μένος ἔμπνευσε, con l’aoristo (senza aumento). Io sono convinto che in Syn. hymn. 1, 490 1 2 3 4 5 M. risponde alla lett. precedente. Vd. lett. precedente. Fr. inc. inc., 214 R.3, su cui vd. lett. 5. Vd. M., Adversaria philologa I (cit. lett. 5), 3, p. 88. M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2). 19 si debba leggere ἔμπνευσας, non ἐμπνεύσας. M’interesserebbe di sapere anche se μένος in quella giuntura è unito con aggettivi come τλῆμον; a me, malgrado la metrica, il τλᾶμον[ι] di Wilamowitz al v. 489 di Sinesio non convince, malgrado la metrica in modo assoluto…6 6 La lettera si arresta qui; il resto è andato smarrito. 20 10 Pisa, 21. 3. 19471 Carissimo Mariotti, ti ringrazio della tua gentile lettera. Comincio col darti le informazioni da te richieste per il tuo articolo su Sinesio2. 1) L’espressione ἔμπνευσε μένος si trova in Omero nei seguenti 4 passi: Ο 262 ὣς εἰπὼν ἔμπνευσε μένος μέγα ποιμένι λαῶν; Υ 110 (lo stesso verso); Κ 482 ὣς φάτο, τῷ δ᾽ ἔμπνευσε μένος γλαυκῶπις Ἀθήνη; ω 520 ὣς φάτο, καί ῥ᾽ ἔμπνευσε μένος μέγα Παλλὰς Ἀθήνη. Viceversa la forma con l’aumento (ἐνέπνευσεν) si trova solo in Ρ 456 ἵπποισιν ἐνέπνευσεν μένος ἠΰ. (cfr. anche ι 381 θάρσος ἐνέπνευσεν μέγα δαίμων). Altri due esempi della stessa formula (nei quali però ἐμπνέω è al congiuntivo) sono Ο 60 αὖτις δ᾽ ἐμπνεύσῃσι μένος e Τ 159 ἐν δὲ θεὸς πνεύσῃ μένος ἀμφοτέροισιν. Come vedi, in questa giuntura μένος è unito con gli aggettivi μέγας ed ἠύς o sta da solo. Con τλήμων in Omero μένος non è mai unito. L’aggettivo più simile a τλήμων col quale si trova congiunto μένος è πολυθαρσής: Ρ 156 εἰ γὰρ νῦν Τρώεσσι μένος πολυθαρσὲς ἐνείη; Τ 37 μένος πολυθαρσὲς ἐνῆκε; ν 387 μένος πολυθαρσὲς ἐνεῖσα. 2) Ho cercato invano nel Liddell-Scott, nello Stephanus, nel Lexicon Hom. dell’Ebeling e nel Lexicon Soph. di Ellendt e Genthe (non ho ancora potuto vedere il Lex. Aesch. del Dindorf) esempi della formula ἆ μέγα δειλή (o δειλέ). Non ne ho trovato registrato alcuno (nemmeno quello di Nonno trovato da te); Omero, come tu ben ricordavi, usa solo ἆ δειλὲ ξείνων e simili, o anche solo ἆ δείλ’(ε), ἆ δειλοί, sempre in principio di verso. – Se queste informazioni non bastano, riscrivimi. E veniamo al Phoenix3. Stavolta ho potuto vedere il Ribbeck4. Te ne do sommaria notizia per il caso che tu non l’abbia ricevuto da Bologna. Il Ribbeck parla del Phoenix di Ennio a pp. 191-96 della sua Geschichte der röm. Tragödie (Leipzig 1875)5. A p. 192 afferma: «Da mit Sicherheit ausser dem Euripideischen Phoenix kein zweites Stück desselben Inhalts nachgeweisen werden kann, so dürfen wir annehmen, dass Ennius sich diesem Original als dem bedeutendsten angeschlossen haben wird». Questo non è Tra il luogo e la data l’indirizzo: via S. Maria 18. M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2). T. risponde alla lettera precedente. 3 Vd. lett. 5. 4 Vd. lett. 7-9. 5 In realtà il titolo esatto dell’opera è Die römische Tragödie im Zeitalter der Republik: l’errore torna anche nell’articolo a stampa di M. 1 2 21 del tutto giusto, poiché anche Sofocle e Ione scrissero un Φοῖνιξ ciascuno, e non è quindi senz’altro da escludere che su uno di questi si sia modellato Ennio quantunque, certo, la derivazione di Ennio da Euripide sia a priori la più probabile. Il Ribbeck cerca poi di ricostruire la tragedia di Ennio in base al Φοῖνιξ di Euripide, senza riuscire però a stabilire nessun raffronto veramente probativo tra i frammenti di Euripide e quelli di Ennio. Infine, quanto al frammento che ci interessa (pater inquam ecc.) egli scrive (p. 195): «Dem Geblendeten theile ich zu inc. inc., fab. CXVII: pater inquam hospites <pater> me lumine orbavit pater. Die Anrede kann nur einem Chor gelten, der aus Fremden bestand. Aus den Paar Worten bei Euripides fr. 811: φθόνον οὐ σέβω, | φθονεῖσθαι δὲ θέλοιμ’ ἂν ἐπ’ ἐσθλοῖς lässt sich kein Schluss über die Zusammensetzung desselben ziehen». Insomma, dal Ribbeck non si ricava gran che. Sono perfettamente d’accordo con te nel ritenere che la mancanza dell’accecamento di Fenice in Ennio, da me supposta, sia tutt’altro che sicura. Infatti si può certo supporre che la crudeltà di Amintore si manifestasse, come tu dici, progressivamente, in due tempi: prima i rimproveri, poi l’accecamento. E a favore dell’attribuzione al Phoenix di Ennio del nostro frammento sta il fatto che non è attestato nessun altro Phoenix nella letteratura latina. Ciò che mi pare indubbio è che, se si attribuisce ad Ennio il frammento in questione, bisogna ammettere che nella tragedia enniana vi fosse un cambiamento di scena. Infatti il diverbio tra Amintore e Fenice e il colloquio di Fenice coi compagni si svolgevano certo nella reggia di Fenice in Orcomeno, mentre il verso Pater inquam hospes, ecc. è pronunziato da Fenice a Ftia, presso Peleo. Forse Ennio fuse in una sola due tragedie greche appartenenti ad una stessa trilogia, un Fenice in Orcomeno e un Fenice in Ftia. La stessa cosa egli fece nella Medea, cioè fuse la Medea di Euripide (dove la scena si svolge in Corinto, cfr. Sc. 259 Vahl.2) con l’Egeo di Euripide, la cui scena è in Atene (Sc. 287, e cfr. Vahlen p. ccviii, che mi pare abbia ragione contro il Ribbeck). Anche gli Hectoris lutra compendiano tre tragedie eschilee (Μυρμιδόνες, Νηρηίδες, Ἕκτορος λύτρα): vedi Vahlen, p. ccvi. Il cambiamento di scena (e, se si accogliesse il mio hostes, anche di coro) non farebbe quindi difficoltà. Leggerò con interesse la nota che scriverai su questo frammento. Se vuoi, cita pure il mio hostes, quantunque, ripeto, io consideri più probabile il tuo hospes. Quanto all’attribuzione, quasi sarei di nuovo propenso a ridare il frammento ad Ennio. Scrivimi se ti occorrono informazioni in biblioteca. Affettuosi saluti. Sebastiano Timpanaro 22 11 Pesaro, 2. 4. 1947 Carissimo Timpanaro, ti ringrazio innanzi tutto per la docta patientia da te impiegata nelle ricerche per me1. Non so come posso ricambiare la tua cortesia. Vedi di suggerirmi una maniera. Quanto al nostro frammento2, non c’è dubbio che, se appartiene al Phoenix enniano (come anche a me, in definitiva, par più probabile), dev’essere pronunciato a Ftia e presuppone un cambiamento di scena. Ma questo cambiamento sembra che i critici già lo presuppongano nel Φοῖνιξ di Euripide, come pare da Nauck2, p. 621: «argumenti summam indicat Apollod. III 13, 8» che arriva alla guarigione dalla cecità per opera di Chirone e alla nomina di Fenice a re dei Dolopi. Così anche il Wüst in RE, da cui ho trascritto, senza prender nota della colonna, queste parole3: «Damit – appunto con questa nomina – endete wohl das Drama Phoinix des Euripides, vgl. Apollod. III 175». In altre parole sembra che nessuno abbia pensato a più di un Fenice euripideo. Una cosa su cui lucem desidero è quel numero 9 con cui il Wüst indica il nostro frammento enniano. Il vol. XX 1 della RE è recente: a che silloge si riferisce il Wüst? Permettimi un’altra domanda. Sai l’indirizzo pisano di Puccioni, che fu mio compagno alla Normale, ed a cui vorrei chiedere una copia del suo lavoro sui composti latini4, che ho visto recensito sull’«Italia che scrive»5? Dammi tue notizie. In questi giorni di vacanza copierò l’articolo sulla tradizione di Sinesio6, e debbo a te se non ho dovuto ritardare ancora la chiusura del lavoro, che mi trascino dietro da tanto tempo. Spero di mandarti presto un estratto dagli «Annali»7, le cui 2e bozze ho corretto da un mese e mezzo! E il tuo negli «Studi»8? I migliori auguri pasquali a te e ai tuoi. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti M. risponde alla lett. precedente. Fr. inc. inc., 214 R.3, su cui vd. lett. 5. 3 E. Wüst, s.v. Phoinix (3), in RE XX, 1941, col. 406. 4 G. Puccioni, L’uso stilistico dei composti nominali latini, «Atti Accad. d’Italia. Mem. sc. mor. e stor.», s. VII, 4, 1944, pp. 371-481. 5 «Italia che scrive», 29-30, 1945, p. 18. 6 M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2). 7 Si tratta evidentemente di M., Sul testo e le fonti comiche della ‘Chrysis’ (cit. lett. 5). 8 Allude a T., Per una nuova edizione, I (cit. lett. 8). 1 2 23 12 Pisa, 10. 4. 1947 Carissimo Mariotti, sul nostro frammento siamo ormai d’accordo1, e spero che presto scriverai la nota intorno ad esso. Quel numero 9 col quale il Wüst indica il frammento è veramente assai strano. Dopo il Vahlen, l’unica edizione critica in cui siano compresi i frammenti scenici di Ennio è quella di E. H. Warmington (Remains of Old Latin, vol. I [Ennius and Caecilius], London-New York, 1935). Conosco questa edizione, ma adesso non posso verificare se l’indicazione del Wüst si riferisce ad essa, perché è in prestito. Tuttavia mi pare strano che il Wüst la citi, perché si tratta di un’edizione più divulgativa che scientifica (traduzione a fronte, apparato critico molto ridotto, pochissimi contributi originali), non certo degna di esser citata in sostituzione del Vahlen o del Ribbeck. Ad ogni modo, appena la restituiranno, guarderò. L’indirizzo di Giulio Puccioni è: via S. Caterina 9 - Pisa. Ricambio a te e ai tuoi i più vivi auguri. Il tuo Sebastiano Timpanaro 1 Si riferisce a fr. inc. inc., 214 R.3, su cui vd. lett. 5. T. risponde alla lett. precedente. 24 131 [Pisa], <aprile-maggio 1947>2 Carissimo Mariotti, ti ringrazio per l’invio del tuo articolo che ho letto con molto interesse, apprezzando le tue felici congetture3. Tra i filologi della nostra generazione – i quali generalmente si orientano verso studi o glottologici o estetici, abbandonando il terreno strettamente filologico – tu sei il solo che possieda intuito e felicità di congetturatore. Interessante è anche la dimostrazione da te data che il Piccolomini nella Chrysis non mostra di conoscere le ‘nuove’ commedie plautine. Nel passo della Chrysis da te citato a p. 120 in alto (v. 186 nemo funera faxit mortuo nec mihi sarcophagum statuat) mi pare chiara (ma sarà stata, suppongo, già notata da altri) una reminiscenza del noto epigramma enniano (Var. 17 Vahl.2): Nemo me lacrimis decoret nec funera fletu faxit, che il Piccolomini poté leggere in Cicerone. Ho visto Pasquali a Firenze: sta notevolmente meglio. Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. La data, illeggibile nel timbro postale, è suggerita dal riferimento all’articolo cit. alla nota seguente, il cui invio nella lettera 11 del 2 aprile M. annuncia come imminente. Il luogo risulta, oltre che dal timbro postale, dal mittente stampato sulla cartolina: Timpanaro - via S. Maria, 18 - Pisa. 3 Si riferisce a M., Sul testo e le fonti comiche della ‘Chrysis’ (cit. lett. 5). 1 2 25 14 <aprile-maggio 1947>1 Carissimo Mariotti, ecco l’estratto del mio articolo uscito negli «Studi»2. Che esso valga assai poco, sono io il primo a riconoscerlo. Lo scrissi tre anni fa quando ero alle prime armi, lo consegnai in tipografia due anni fa senza aver avuto il tempo di rifarlo; adesso esce solo la prima parte dell’articolo che è proprio la più scadente: la seconda, che dovrebbe uscire nel prossimo numero, sarà un po’ migliore. Ti sarò grato delle osservazio ni che vorrai fare a questo mio lavoro, anche e soprattutto se esse consisteranno in aspre critiche. Grazie della segnalazione del libro della Malcovati3, che non conoscevo; quando andrò a Firenze lo cercherò alla Nazionale. A proposito di quel famoso frammento del Phoenix 4, ho visto l’edizione del Warmington5, la quale però non accoglie quel frammento. Perciò neppure ad essa si può riferire l’indicazione del Wüst nella RE. Chi sa a quale edizione si riferisce il Wüst6! Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro La lettera, non datata, è strettamente legata alla lett. 12, e quindi deve essere posteriore ad essa (10 aprile 1947) e anteriore alla seguente (21 maggio 1947), in cui M. fa alcune osservazioni in merito all’estratto che T. con questa gli invia. Presuppone comunque una perduta lettera di M. (a proposito del libro della Malcovati). 2 T., Per una nuova edizione, I (cit. lett. 8). 3 Potrebbe essere Cicerone e la poesia, Pavia 1943. 4 Fr. inc. inc., 214 R.3, su cui vd. lett. 5. 5 Vd. lett. 12. 6 La spiegazione più probabile è che quel frammento sia stato indicato con il numero che avrebbe avuto in Ribbeck se compreso fra i frammenti del Phoenix, otto in quell’edizione (vd. TRF 3, p. 61). 1 26 15 Pesaro, 21. 5. 1947 Carissimo, è inutile che cerchi di convincermi che il tuo lavoro è scadente1. I fatti dimostrano il contrario. Lo studio è ottimo e metodicissimo. Ma, siccome questa lettera non sarà molto breve, passo subito a dirti – più del mio parere, che ti ho già detto in generale e che del resto poco conta – qualche impressione particolare. Oltre che sull’introduzione, niente si troverà da eccepire sul cap. sulla recensio: anche aevum agebant in Ann. 307 è in ogni caso la lezione da conservare. Su aedificant nomen in Ann. 412 non ci sono, mi pare, motivi fondati di dubbio, e interessante è l’eco da te rilevata in Gregorio Magno. Solo non oserei asserire che la conferma ricavabile da Gregorio sia «definitiva» (p. 55 n. 2): a rigore una corruzione può risalire ad età più antica o esser già avvenuta nel testo di Macrobio che Gregorio può aver conosciuto. A p. 55 n. 1 la tua correzione di Ann. 5452 è certo possibile – e che il testo sia corrotto non c’è dubbio. Sul verso permittimi di dirti una mia congettura, che a prima vista mi parrebbe carina, ma su cui aspetto il tuo giudizio. Partendo dalla tua interpretazione (certo cohum va con caeli, cosa che il Vahlen non faceva, come si vede dall’indice sotto terroribus), e considerando che solem per solum potrebbe parere un po’ una banalizzazione, proporrei: <solemque videres (o simili)>| vix sol<l>um complere cohum torroribus caeli. Resta tuttava da vedere se sollus c’è altrove negli arcaici; ma comunque mi pare che la lunghezza e la persistenza di sollus sia documentata dai composti. Nulla sulla presenza di sollus in Ennio si può naturalmente ricavare dal passo di Festo cit. dal Vahlen, p. lxxii; se la parola fosse di origine osca come lui dice (vedrò l’Ernout-Meillet), potrebbe anche essere elemento a favore. O che la prendessero per osca perché la trovavano in Ennio? (Quest’ultima osservazione è senza dubbio una frescaccia). Nell’aggiunta manoscritta a p. 58 n. 2 l’ipotesi mi par giustissima: verrebbe forse fatto di pensare, più che a mutazione in Ennio, a una deformazione popolare (e naturalmente polemica). La correzione di Ann. 1003 mi pare, malgrado il Vahlen, assolutamente indispensabile. Ottima e sicura la dimostrazione della correttezza di pinxit in Var. 15. Anche Hŏram Ann. 117 parrebbe inevitabile. (A p. 66 n. 2 c’è l’errore di stampa Ὧρα per 1 2 3 Vd. lett. precedente. Su questo frammento vd. anche lett. 17-9 e 35. Su cui vd. anche lett. 57. 27 Ὥρα). Nella proposta di p. 72 n. 1 non capisco come stiano virginem – sas 4. Per quanto l’attribuzione di Ann. 4905 a una tragedia o pretesta sia una soluzione abile, dato anche il contenuto del verso, un dubbio sulla impossibilità di un inizio dell’esametro anche negli Annali con ᴗ ᴗ ᴗ ᴗ mi resta. Sull’aggiunta finale manoscritta: Ann. 440 – stlate è molto bello, e confermabile con l’allitterazione stlate specus. Sc. 46 – Lo metterei senz’altro nel testo. Sc. 134 – Molto migliore della soluzione del Bothe. Ann. 3627 – Senza confronto migliore del <nunc> del Vahlen. Ann. 2408 – Tum mi pare la soluzione migliore. Si potrebbe pensare ad eloqueretur, c u i cuncta ecc., in cui si avrebbe l’allitterazione; ma bisognerebbe pensare alla caduta di cui, pur facile, e poi all’aggiunta di et – mentre, con tum, et si spiega facilmente come glossa (cfr. gaudia v. 242). Ann. 2429 – Migliore senz’altro del Vahlen (negli altri casi c’è o il pres. stor. – 236, 243?; cfr. 234 – o il cong. imperf.: perché mettere qui un perf. ind.? – per quanto su questo in Ennio non sia evidentemente da sottilizzare). Ann. 22410 – Qui sarei meno d’accordo per la convergenza di due motivi: 1) è strana la corruzione di sonitu nel testo di Macrobio in mezzo a 2 altri versi (di Virgilio e di Ennio) con la stessa parola nella stessa sede; 2) totum entra bene nel giuoco di t evidentemente intenzionale nel verso (diverso è il caso di Ann. 277, dove prima c’è summo e anche consequitur). È proprio da escludere totum concordato con un campum del verso precedente? Ann. 311 − Non fa difficoltà Lucr. 1, 119, che pare riferirsi a questo passo? E – aggiungo con molto dubbio – res non si riferirebbe meglio al contenuto storico degli Annales? Del resto per poemata mi viene in mente il Lucreti poemata, tanto discusso, di Cic. Qu. fr. 2, 10, 3, che si riferirà certo all’intero De rerum natura12. Enn. ann., 101 V.2, su cui vd. le due lettere seguenti. 5 Su questo frammento vd. anche lett. 17, 101, 144-5, 276. 6 Su questo frammento vd. lett. 249. 7 Vd. anche lett. 83-4, 86-7. 8 Su questo frammento vd. lett. 17, 42, 101-2 e cfr. anche T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8), pp. 36-7. 9 Vd. lett. 527. 10 Su cui vd. anche lett. 17 e 38. 11 Il dialogo su questo fr. prosegue nelle lett. 17-8, 38-9, 52, 68-73, 75, 77, 176, 226, 417, 614 e 629 (cfr. anche T., Per una nuova edizione, II [cit. lett. 8], pp. 44-6, e LE, pp. 70 sgg. = LE2, pp. 49 sgg.). 12 Vd. lett. 17, 70, 72-3. 4 28 Sc. 13513 – Giustissimo. Ti prego solennemente di correggere tutte le storture che ho detto. Infine – in cauda venenum! – ti prego di un favore, sperando che non mi mandi al diavolo. Ho mandato alla «Par. Pass.» 5 congetture all’Anth. Lat.14 – vecchie, almeno 4, di parecchi anni e che piacquero a Pasquali. Vorrei aggiungerne una 6a ad Anth. Lat. 712, 12 Riese15. Ti prego di guardare il passo. Leggerei (11) quin et cum tenera membra molli lectulo, | cum pectora <o r a >16 adhaerent ecc. Molli lectulo è naturalmente abl. di luogo; pectora ora sarebbe asindeto. Mi baso sulle simili paronomasie affastellate nei versi precedenti (che chiamerei ‘baciate’): candentes dentes, od o r e nt o r e , ingenuas genas (cfr. anche geminas gemmulas). Quindi, e qui chiedo la tua attenzione, sarà da conservare anche al v. 7 la b e l l a v e l l i cent17. Labella dev’esser stato corretto per evitare l’anapesto strappato (non mi pare ci possa essere altro motivo) e f o r s e anche per evitare la successione di dattilo + anapesto?; ma è poi vero quello che trovo nello Hermann, Epitome doctr. metr., 1869, p. 5218 che quest’incontro manca o dev’essere eliminato nella commedia latina? – non crederei. Quindi anche al v. 4 è da lasciare fecit coll’anapesto strappato – che non capisco perché sia stato corretto dal Bineto: forse a orecchio. Su questa questione ti prego di controllare le mie osservazioni, che possono esser sbagliate. E vedimi anche, per favore, se il frammento, dato come traduzione da Menandro, è nel Koch19, ed eventualmente con che numero e che testo. So che ti chiedo troppo. Perdonami ed abbimi, coi più affettuosi saluti, tuo Scevola Mariotti PS. ‒ 20 Non posso mandarti un estrattino della recensione al Terzaghi, del resto di nessun valore, dal «Leonardo»21 perché non ne ho che 3 copie. Per i punti su cui hai qualcosa da aggiungere o modificare alla Ia parte del tuo lavoro, perché non fai una brevissima aggiunta alla fine della seconda22? Vd. lett. 106 e cfr. T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8), pp. 73-6. S. M., Congetture all’‘Anthologia Latina’, «PP», 2, 1947, pp. 346-8 (= SFC, pp. 271-3). 15 Su questo verso e il vicino contesto vd. anche lett. 17-20. 16 T. scrive nel marg. <arta> (?) riferito ad <ora>. 17 Nel marg. inferiore del primo foglio della lettera T. ha trascritto per intero il verso: clemente morsu rosea labella vellicent. 18 G. Hermann, Epitome doctrinae metricae, Leipzig 18694. 19 Th. Kock, Comicorum Atticorum fragmenta, III, Novae comediae fragmenta, Leipzig 1888. Vd. sotto, lett. 17. 20 Questo postscriptum è stato aggiunto nel margine superiore del primo foglio della lettera, dal momento che nell’ultimo non c’era più spazio. 21 S. M., rec. a Synesii Cirenensis Hymni, ed. N. Terzaghi, «Leonardo», 12, 1941, pp. 68-9. 22 Cfr. T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8), pp. 76-7. 13 14 29 161 Pesaro, 25. 5. 1947 Carissimo Timpanaro, intanto di una mia frescaccia mi sono accorto da solo. A p. 72 n. 1 del tuo lavoro2 non avevo visto la traduzione in parentesi che chiarisce tutto. Io per me, a proposito del verso, mi atterrei ancora alla soluzione del Lachmann (che mi par la più semplice: un virgine o -is può essersi corrotto tanto più facilmente in quanto c’era sas, inteso per suas o correttamente per eas). Non è più semplice pensare che un romano dicesse: ‘non c’è più speranza per voi sabini di ricuperare – virginis. nam ecc.’. Sarà da pensare a un virgo sing. collettivo, per cui cfr. p. es. Plaut. Curc. 37. Affettuosi saluti. Scevola Mariotti3 Cartolina postale. A proposito di ann., 101, su cui vd. lett. precedente e seguente. 3 A matita nello spazio residuo M. scrive: «p. es. <‒ ᴗ ᴗ nulla siet vobis spes indupetrandae> | virginis. nam». Vd. T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8), p. 77. 1 2 30 17 Pisa, 29. 5. <1947>1 Carissimo Mariotti, debbo innanzi tutto ringraziarti per la pazienza che hai avuto nel leggere il mio prolisso articolo e per le acute osservazioni a singoli punti di esso2. È superfluo dire che le tue osservazioni non contengono nessuna «stortura», ma anzi molte cose giustissime. Quanto ad Ann. 545, indubbiamente la congettura sol<l>um (già proposta dall’Havet, «Arch. f. lat. Lex.» 2 [1885], p. 266, che il Vahlen a torto non cita e il Valmaggi cita inesattamente)3 è assai attraente. Mi aveva dissuaso dall’accettarla soltanto la considerazione che l’aggettivo sollus si trova solo in un verso di Lucilio (v. 1318 Marx = 425 Terzaghi): vasa quoque omnino redimit (dirimit mss.) non sollo dupundi. Sollo è qui accusativo plurale e neutro con desinenza osca (Marx, vol. II, p. 423; von Planta, II, p. 1184; cfr. Festo, 384 L., per cui: ‘non sollo’ …, id est ‘non tota’.), da riferire a vasa. È sufficiente questo esempio di Lucilio per concludere che sollus è usato in latino? Confesso che mi sembra di no: Lucilio infatti non fa che inserire in un suo verso una parola osca, c o n d e s i n e n z a o s c a , così come egli stesso inserisce spesso parole o frasi greche; ma ciò non prova che questa parola osca fosse usata in latino, così come, poniamo, il fatto che Lucilio scriva (v. 25 M.) alochoeo non autorizzerebbe certo a postulare l’esistenza di un alochus, -i, e magari a introdurlo per congettura in un passo di un altro poeta latino. E vien fatto anche di domandarsi perché qui Ennio avrebbe preferito scrivere sollum anziché totum, che era metricamente equivalente e per di più formava allitterazione con torroribus? Naturalmente quest’ultima obiezione non è decisiva, perché non spetta a noi fare il processo alle intenzioni di Ennio; e anche per ciò che riguarda la prima obiezione si può replicare che, come osservi tu, sollus è attestato in parecchi composti. Che il mio solem per solum dei codici possa parere una banalizzazione è vero; si potrebbe tuttavia supporre che un copista, il quale aveva dinanzi questo verso di Ennio staccato dal contesto di cui faceva parte, non comprendendo da che cosa dipendesse quel solem, lo abbia corretto in solum per concordarlo con cohum e rista- L’anno è stato aggiunto da M. Vd. lett. 15, a cui la presente risponde punto per punto. 3 Ennio, I frammenti degli Annali, commento e note di L. Valmaggi, Torino 1900 (rist. 1994), ad loc. 4 R. von Planta, Grammatik der oskisch-umbrischen Dialekte, II, Strassburg 1897. 1 2 31 bilire così una parvenza di senso compiuto. In conclusione, rimango assai incerto su questo punto: e avrei piacere di sapere ancora la tua opinione. Quanto a căpĭtibus di Ann. 490 riconosco che la mia ipotesi che il verso appartenga a una tragedia o praetexta è speciosior quam verior. La tua integrazione ad Ann. 2405 eloqueretur, <cui> cuncta è anch’essa possibile: la citerò nella seconda parte del mio articolo. Riconosco la fondatezza della tue obiezioni contro l’emendamento sonitu in Ann. 224; tuttavia quel totum non mi finisce di persuadere: ci penserò ancora. Quanto ad Ann. 3, non nego che poëma abbia qualche volta (ma assai raramente: l’unico esempio sicuro a me noto è il Lucreti poemata da te citato: vd. Forcellini, Merguet ecc.) il significato dell’italiano ‘poema’. Però l’interpretazione da me proposta ha il vantaggio di mantenere la lezione manoscritta cluebant. Non direi che Lucr. 1, 119 impedisca questa interpretazione: anche ammesso che Lucrezio si riferisca a questo passo (il Leo, Gesch. röm. Lit., I 165 n. 26 crede che l’allusione sia diretta piuttosto al proemio del lib. VII), egli può aver applicato agli Annales un’espressione che Ennio riferiva alle proprie opere precedenti. Res significherà qui semplicemente ‘la materia’, ‘il contenuto’ dei poëmata (res atque poemata quasi = il contenuto e la forma); del resto anche tra le opere minori di Ennio non mancano quelle di contenuto storico (Scipio, Ambracia). Nostra poemata son chiamate da Lucilio le proprie satire in un frammento (1013 Marx = 1012 Terzaghi) simile anche per il contenuto al presente di Ennio: et sola ex multis nunc nostra poemata ferri. Infine, quanto ad Ann. 101, ricevo in questo momento la tua cartolina7: la tua proposta di integrazione rende davvero assai probabile l’emendamento del Lachmann virginis. E passiamo all’Anth. Lat.8. La tua integrazione cum pectora <ora> adhaerent mi sembra probabilissima. Delle congetture precedenti citate dal Riese, l’unica degna di nota era quella del Dousa cum pectora <arte> adhaerent (o forse meglio arta? Plaut. Pseud. 66 compressiones artae amantum corporum); ma la tua è senza dubbio migliore, sia per la paronomasia confermata dagli esempi dei versi precedenti, sia perché più lieve paleograficamente. Così pure credo che tu abbia perfettamente ragione nel difendere rosea labella al v. 7. A sostegno della lezione ms. si può citare – oltre gli altri diminutivi contenuti nel carme, p. es. gemmulas – Catullo 5 6 7 8 Vd. T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8), p. 60, nota 2. F. Leo, Geschichte der römischen Literatur, Berlin 1913. Si riferisce alla lett. 16. Su Anth. Lat., 712 vd. lett. 15. 32 63, v. 74: r o s e i s ut huic l a b e l l i s sonitu celer abiit 9; e ad ogni modo il diminutivo labella è troppo proprio del linguaggio erotico per non essere autentico. L’anapesto strappato non fa certo difficoltà, e, credo, nemmeno la successione di dattilo + anapesto (su quest’ultimo punto però non sono riuscito a raccogliere dati: qui non c’è il Klotz Altröm. Metr.10, ed è in prestito il Lindsay Early Latin Verse)11. Lo stesso si dice di fecit v. 4. Ho visto il Kock12: non riferisce il frammento, soltanto annota a p. 272 del vol. III: «Carmen spurcissimum et foede obscaenum quod in Anthol. Lat. Ries. n. 712 inscribitur ‘Ἀνεχόμενος ex Menandro’, ex comoediis certe poetae non conversum esse vix est quod moneam». Di nuovo ti ringrazio e ti invio i più cordiali saluti. Tuo Sebastiano Timpanaro Vd. lett. seguente. R. Klotz, Grundzüge altrömischer Metrik, Leipzig 1890. 11 W.M. Lindsay, Early Latin Verse, Oxford 1922. 12 Th. Kock, Comicorum Atticorum fragmenta, III, Leipzig 1880. 9 10 33 18 Pesaro, 6. 6. 1947 Carissimo, scusami il ritardo, dovuto, come avrai immaginato, alla fine dell’anno scolastico. Ti ringrazio innanzi tutto delle tue osservazioni1. Citerò il tuo opportuno rinvio a Cat. 63, 74 per roseis labellis2. Se ti capita di vedere il Lindsay3 per la successione dattilo + anapesto (in Anth. Lat. 712, 7), mi faresti piacere. Certo che la successione non manca (non ho avuto la pazienza di cercare esempi); ma, se gli esempi fossero pochissimi e del tutto eccezionali (il che non credo che sia), sarebbe il caso di rimandare a un trattato di metrica. Vedi tu, per favore. Quanto all’arta, senza dubbio migliore di arte di Dousa in Anth. Lat. 712, 124 (per quanto io abbia l’impressione – che forse non oserei scrivere – che compectorata delle edd. per cum pectora del cod. non sia altro che uno di quei monstra verborum tirati fuori da qualche umanista deteriore per far tornare il verso: a me capitò addirittura una volta in un cod. napoletano un rĕlĕlicta per rĕlicta per far tornare il verso!!), si è data una coincidenza molto curiosa: che cioè già tempo fa, in Urbino, me lo aveva proposto Ronconi, ed io dovrò citarlo come suo per motivi… cronologici. La nostra collaborazione si va facendo, e me ne rallegro, stretta e fruttuosa; e, sebbene sia io di gran lunga quello che ne approfitta di più, permetti che mi auguri che continui felicemente. Ti ho mandato uno dei pochissimi estratti di una mia nota in «Belfagor»5, che ti prego di leggere, perdonandomi un grosso sbaglio di cui m’accorsi troppo tardi – e che era in minima parte giustificato da un luogo simile che mi trasse in inganno e non mi fece riflettere. Quanto ad Ennio, ti dirò che sol<l>um in Ann. 545 continua a tentarmi, sebbene le tue osservazioni ne diminuiscano la probabilità (vedo nel Valmaggi, fr. 3266, che citava incomprensibilmente la congettura dell’Havet, che questi intendeva vix = subito: è necessario?). Certo il passo di Lucilio costituisce una presunzione piuttosto sfavorevole, ma rimane sempre il Vd. lett. precedente e 15. Cfr. M., Congetture all’‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 15), p. 348 (= SFC, p. 273). 3 Lindsay, Early Latin Verse (cit. lett. precedente). Su Anth. Lat., 712, 7 vd. lett. 15. 4 Cfr. M., Congetture all’ ‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 15), p. 347 (= SFC, p. 272). 5 S. M., Per lo studio dei dialoghi del Pontano, «Belfagor», 2, 1947, pp. 332-44 (rist. in SMU, pp. 185-207; SMU 2 e SMU 3, pp. 261-84). 6 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. precedente). 1 2 34 notevole numero di composti con sollus, che provano la presenza nel latino arcaico della parola. Fino a quando? La domanda non potrà avere risposta, e sarà quindi necessario lasciare sollum nell’apparato. Fra i composti di sollus c’è solliferreum per indicare un proiettile in Liv. 34, 14, 11 (che non ho guardato); non spero che si sia così fortunati da poter sapere a quando risale quest’arma. Per Ann. 3 il confronto con Lucilio è molto buono. Eppure (scusa se faccio l’advocatus diaboli…) in Lucilio c’è un nunc e l’infinito pres., qui ci sarebbe un imperfetto (tuttavia l’osservazione è naturalmente t u t t ’ a l t r o c h e insuperabile: ma qui si ragiona con minuzie), e d’altronde lo scambio fra a ed u in onciale è estremamente facile. Insomma, per fare il punto sulla mia impressione attuale (ma ci ripenserò), io sarei per mettere nel testo cluebunt e in apparato: cluebant cod[d.?], recte? Qui per vedere un Lucilio bisogna andare a Bologna! (Per lo stesso motivo mi sono comprato in questi giorni il Liddell e Scott, che mi costa più di un mese di stipendio). Sai se l’edizione del Terzaghi, mi sembra fiorentina (ma non so la casa), sia esaurita? Lo sarà certamente. Scrivimi, e scusa i miei ritardi. Ti ho scritto in fretta e male, implicato come sono negli esami. Spero di scriverti hilariore animo fra non molto. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti 35 19 Pisa, 22. 6. 1947 Carissimo Mariotti, non sono riuscito a trovare nel Lindsay1 nulla sulla successione di dattilo + anapesto. Purtroppo i Grundzüge altröm. Metrik del Klotz2, che figurano nel catalogo dell’Universitaria di Pisa, sono smarriti; ho chiesto alla direttrice che ne faccia ricerca: se si ritrovassero, non mancherò di vederli e di dartene notizia. Leggendo in questi giorni il Rudens di Plauto, ho trovato ́ ́ domum (tuttavia a rigore si potrebbe (v. 43) eam vídit íre e lúdō fĭdĭcĭnĭō leggere fidicinjo quadrisillabo: l’esempio quindi non è decisivo). Ho letto con molto interesse il tuo denso articolo sui dialoghi del Pontano3, apprezzando le tue osservazioni sul carattere non classicistico della lingua del Pontano e le tue felici congetture. Quanto al v. Ann. 5454 di Ennio, l’interpretazione di vix = subito data dall’Havet non è, come tu giustamente rilevi, affatto necessaria5. Da Livio 34, 14 non si può ricavare niente sull’epoca a cui risale il solliferreum6 (nella RE la voce manca). L’edizione di Lucilio del Terzaghi (C. Lucili Saturarum reliquiae in usum maxime academicum digessit N. T., Florentiae 1934) è edita da Le Monnier; la 2a edizione è uscita nel 1944, e quindi con tutta probabilità non è ancora esaurita7. Anch’io sono occupato in noiosissimi esami. Quest’estate verrai qualche volta a Firenze o a Pisa? Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Lindsay, Early Latin Verse (cit. lett. 17). Risponde alla richiesta formulata nella lett. precedente a proposito di Anth. Lat., 712. 2 Klotz, Grundzüge altrömischer Metrik (cit. lett. 17). 3 S. M., Per lo studio dei dialoghi del Pontano, «Belfagor», 2, 1947, pp. 332-44 (rist. in SMU, pp. 185-207; SMU 2 e SMU 3, pp. 261-84). 4 Vd. lett. 15. 5 Si riferisce a quanto scrive M. nella lett. precedente. 6 In nota: «Può darsi del resto che si tratti di un’arma (e quindi anche di una parola) non romana, ma italica». Per l’osservazione vd. ancora lett. precedente. 7 In risposta alla domanda formulata da M. nella lett. precedente. 1 36 20 Pisa, 18. 7. 1947 Carissimo Mariotti, sono stato recentemente a Firenze, dove ho potuto vedere i Grundzüge altrömischer Metrik di Richard Klotz (Lipsia, 1890)1. A p. 348 sgg. di quest’opera sono citati molti esempi plautini e terenziani di dattilo + anapesto2, a torto revocati in dubbio dal Hermann e dal Ritschl. Soltanto, in questi esempi la serie di 4 brevi formata dalle due brevi finali del dattilo e dalle due iniziali dell’anapesto (serie che il Klotz chiama «fallender Prokeleusmatikus») non è, di regola, strappata, bensì compresa tutta in una sola parola (es. di Plauto Capt. 156: quid credis? postquam capt u s t P h ĭ ĺ ŏ p ŏ l ĕ m ū ́ s tuos). Fanno eccezione, secondo il Klotz, solo parole strettissimamente unite per il senso (es. Plauto, Amph. 947: ut q u a e ă ́ p ŭ ( d ) l ĕ g ĭ ō ́ n em vota vovi, si donum; id. 889 aūt s ă ́ t ĭ ( s ) f ă c ĭ ā ́ t mi ille atque adiuret insuper) o congiunte da sinalefe (es. Ter. Heaut. 502 ́ ́ di vostram fidem!). In rosea labella vellicent continuo hīc ădĕro.͜ ĭtă quaeso: 3 di Anth. Lat. 712, 7 farebbe dunque difficoltà lo strappo delle 4 brevi ᴗ ᴗ ᴗ | ᴗ. Mi pare tuttavia sicuro che tale lieve anomalia non giustifichi l’emendamento labia, che dal punto di vista linguistico è una banalizzazione. Quanto alla metrica, bisognerà anche tener conto che si tratta di un carme piuttosto tardo, e che le particolarità della metrica latina arcaica, specie per ciò che riguarda le relazioni tra fine di parola e fine di piede, cominciarono presto a non esser più capite dai romani. Sarebbe interessante vedere qual è, p. es., l’uso di Fedro. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro 1 2 3 Klotz, Grundzüge altrömischer Metrik (cit. lett. 17). Vd. lett. 15. Vd. ancora lett. 15. 37 211 Pesaro, 1. 9. <1947>2 Carissimo Timpanaro, ti ringrazio molto, sebbene in ritardo, per le preziose indicazioni metriche3. Manderò in questi giorni, con altre due o tre d’altro genere, la noterella sul frammento tragico all’«Athenaeum»4. Al resto, che tu sai (compresa la concordata citazione del tuo hostes), ho aggiunto solo di sfuggita la citazione di Soph. inc. fr. 686 N.2 βαρὺς βαρὺς ξύνοικος, ὦ ξένοι, βαρύς: il senario (e non settenario) di Ennio (?) ricorda nella movenza il trimetro di Sofocle. Non ha importanza naturalmente che qui ci sia il plur. ξένοι. Aggiungo, per continuare a conversare con te di cose serie, che la ricostruzione di Vahlen di Sc. 2985, sebbene sia buono il richiamo a 279, può lasciar adito a qualche dubbio. A me per lo meno ha fatto un certo effetto il cupita vecchia congettura del Ribbeck v. 256 (in apparato). Ma come leggeva il primo Ribbeck? Se stultust ... cupĭta ..., allora ha ragione ad averla abbandonata6. Ma non mi parrebbe da buttare via uno stultus <ill>est qui cupīta cupiens cupienter cupit, oppure – ᴗ stultust qui cupīta cupiens cupienter cupit (p. es. namque, usato altrove in principio di verso, o la fine di una frase precedente). Cupīta, s’intende, = quae cupiat. Né farebbe a questa lettura alcuna difficoltà il passo di Cicerone citato dal Vahlen negli Addenda7: cupita mi pare che corrisponderebbe bene a quid. Qual è la tua opinione su questo verso? Non ricambiarmi, ti prego, il ritardo nello scriverti. Ed abbimi sempre tuo aff.mo Scevola Mariotti Cartolina postale. L’anno è stato aggiunto fra parentesi da T. 3 Vd. lett. precedente. 4 La nota uscì poi negli «Studi italiani di filologia classica», diretti da Pasquali (Adversaria philologa I [cit. lett. 5], 3). 5 La discussione proseguirà nelle lett. 22, 24-8, 66. Cfr. anche H.D. Jocelyn, The Tragedies of Ennius, Cambridge 1969, p. 392 (che dà conto dell’opinione di M.). 6 O. Ribbeck, Scenicae romanorum poesis fragmenta, I, Tragicorum Latinorum reliquiae, Lipsiae 18521, p. 43 stampava: … stultust quí cupita cúpiens cupientér cupit. 7 Cfr. I. Vahlen, Ennianae poesis reliquiae, Lipsiae 19032, p. 305, che cita Cic. Tusc., 4, 37 ut nec tabescat molestiis … nec sitienter quid expetens ardeat desiderio, «h. e. nec cupida mente quid cupiens cupienter cupiat». 1 2 38 22 Pisa, 4. 9. 1947 Carissimo Mariotti, sì, il cupita del Ribbeck1 (che qui non c’è) andrebbe bene per il senso1. Soltanto mi resta qualche dubbio (forse eccessivo) sulla restituzione metrica del frammento. Stúltus ést qui cúpida … è un ottimo principio di settenario. Scrivendo Stultus <ille> est … o <Namque> stultust o simili, noi inseriamo delle pure zeppe tanto per far tornare il verso; e ciò mi pare, in linea di massima, sconsigliabile. Naturalmente questo argomento è tutt’altro che decisivo; anzi non si tratta di un argomento, ma di una semplice mia impressione. Il cupida <mente> del Vahlen non mi pare cattivo, sia per i confronti da lui addotti con Sc. 279 e con Catullo 64, 147, sia perché espressioni di questo tipo, che anticipano la formazione romanza degli avverbi in -mente, sono frequenti negli arcaici o arcaizzanti (cfr. in Lucrezio i noti minitanti mente 5, 1325, sagaci mente 1, 1022). Per accentuare l’allitterazione, si potrebbe forse (lo propongo senza troppa fiducia) scrivere: stultus est qui cupidā <curā> (‘con bramosa ansia’) cupiens cupienter cupit. In Claudiano 3, 243 (traggo la citazione dal Thes.) si trova avida cura. Il concetto sarebbe simile a quello di Sc. 3922 animus aeger semper errat … cupere numquam desinit. Cupida cura corrisponderebbe in certo senso ad animus aeger (cura ed aegritudo sono spesso giustapposti come sinonimi). In ambedue i passi cupere sarebbe usato intransitivamente. Tuttavia, nonostante che l’allitterazione sia a favore della mia congettura, è forse ancora preferibile il cupida <mente> del Vahlen. Dove invece mi pare che il Vahlen si sbagli, è nell’attribuire il verso ad Amintore. A me par chiaro che questa condanna moralistica della cupidigia eccessiva debba esser pronunziata da Fenice (cfr. un simile moralismo nei vv. 300-303 e 308 e cfr. l’Ippolito euripideo). Tu che ne pensi? Adesso, a far rallentare ancor di più i miei studi enniani, è venuto il bando di concorso. Questa è un’altra grandissima seccatura. Io ho deciso di tentare il concorso per la scuola media inferiore, e quindi dovrò studiare perfino la geografia. Lo scarsissimo numero dei posti messi a concorso, poi, toglie ogni speranza di riuscita. Dopo una così lunga e piacevole conversazione epistolare come quella che si sta svolgendo tra noi da due anni a questa parte, sarei molto contento di vederti e di discorrere con te personalmente. Non hai mai occasione di 1 2 Vd. lett. precedente. La discussione proseguirà nelle lett. 25, 28-35, 38-9. 39 venire a Pisa, o almeno a Firenze? Se questo secondo caso si verificasse, scrivimi in precedenza, e, se sarò libero, ci farò una scappata anch’io (p. es. nella prima metà di ottobre, tra la fine degli esami e l’inizio della scuola). Meglio ancora, poi, se tu venissi addirittura a Pisa. Coi più cordiali saluti Sebastiano Timpanaro 40 231 Pisa, 19. 9. 1947 Carissimo, come ti ho scritto2, qui a Pisa non c’è il Ribbeck1; c’è però il Ribbeck2, che per il frammento del Phoenix che t’interessa3 va bene lo stesso. Il Ribbeck2 dunque scrive4: … stultust quí cupīta cúpiens cupientér cupit (stultust per stultus est aveva già scritto il Voss). Coi più cordiali saluti Sebastiano Timpanaro PS. ‒ Sempre nel Phoenix, al v. 3015 scriverei: fortiter innoxium a d s t a re adversum adversarios (invece che stare col Bentley: mss. vocare o vacare), con triplice allitterazione come virum vera virtute al v. precedente. Cfr. Plaut. Capt. 664 at confidenter ut mihi contra adstitit; Pers. 13 contra me adstat. Tu che ne pensi? Cartolina postale. Vd. lett. precedente. 3 Fr. inc. inc., 214 Ribbeck3, su cui vd. lett. 5. 4 O. Ribbeck, Tragicorum Romanorum fragmenta, Lipsiae 18712, p. 52. Su Enn. scaen., 298 V.2 vd. lett. 21. 5 Vd. lett. 8. 1 2 41 24 Pesaro, 6. 10. 1947 Carissimo, perdonami il ritardo nel risponderti. Anzitutto mi pare ottima e da adottare senz’altro la congettura adstare in Sc. 3011, anche perché uocare può essere abbastanza facile corruzione di un astare. Possibilissimo che Sc. 2982 sia detto da Fenice, e non sarebbe difficile immaginare un contesto in cui quelle parole fossero messe sulla sua bocca. Ma non mi sentirei di assicurare che il criterio ‘contenutistico’ con cui il verso è stato assegnato ad Amintore (che trova preciso riscontro nel presunto peccato di Fenice) sia errato. Come si può escludere che in una polemica appassionata fra Fenice ed Amintore, magari prima che gli spettatori fossero sicuri dell’incolpevolezza del primo, la γνώμη fosse messa in bocca ad Amintore? Insomma γνώμαι giuste in bocca a personaggi ingiusti non mi sembrano davvero da escludere. Col che, ripeto, non voglio difendere la posizione tradizionale, ma resterei nell’incertezza. E adesso, torniamo al cupīta, che tu mi permetterai di cercar di difendere, pur riconoscendo anche in questo caso che cupida <mente> (o <cura>) ha le sue probabilità. Di fronte a due correzioni come stultust (che non è neppure una correzione) e cupita, la cui corruzione in cupida potrebbe sembrare quasi f a t a l e , dovremmo nell’altra ipotesi aggiungere una parola la cui caduta non trova – a differenza delle piccole corruzioni sopraddette – spiegazione; e, che mi pare abbastanza grave, una parola (fosse anche cura) che interrompe la συνέχεια delle quattro non solo allitteranti ma etimologicamente paronomastiche. Né mi parrebbe sufficiente la possibile osservazione che cupida mente può costituire quasi una parola sola. (E un ripiego sarebbe anche <mente> cupida). D’altronde anche, per quanto poco possano valere, motivi di senso potrebbero favorire cupita. Se una ripetizione del concetto avverbiale di cupientes con cupida mente non è naturalmente da escludere in questo tipo d’espressione e in questa lingua amante del cumulus, più logico, mi pare, è dare un reggimento a cupiens cupit, che sarebbe ottimamente cupita. Istruttivo mi par proprio l’esempio di Cicerone citato negli Addenda del Vahlen2, p. 305 (vedi il quid). Né mi meraviglierei che Nonio citasse il verso incompleto. Hai perfettamente ragione a ritenere 1 2 Vd. lettera precedente. Vd. lett. 21. 42 ingiustificate zeppe l’<ill>est o nempe che proponevo3. Ma se il primo piede era costituito dalla fine di una frase precedente, Nonio poteva ben tralasciarlo. A Firenze per ora, per vari motivi, non ho possibilità di venire. Se tu venissi a Pesaro? Gradirei moltissimo una tua visita. Scrivimi e confutami: non tibi deerunt arma! Affettuosamente tuo Scevola M. In realtà, nella lettera 21, anziché nempe, M. aveva proposto namque, che torna poi nella lett. 26. 3 43 25 Pisa, 15. 10. 1947 Carissimo Mariotti, non ti scrivo davvero per «confutarti»1! anzi, riconosco la giustezza dei tuoi argomenti. È innegabile che stultus per stultus est e cupita per cupida sono due mutamenti molto più lievi e più giustificati dell’inserzione di <mente> o <cura>. È altrettanto innegabile che l’inserzione di mente o anche di cura interrompe la serie paronomastica cupida cupiens cupienter cupit. Si potrebbe, è vero, scrivere <mente> cupida, ma, come tu giustamente scrivi, questo sarebbe un ripiego, non una soluzione convincente. La tua difesa di cupita è, quindi, molto ben fondata. Qualche dubbio mi resta ancora quanto al senso. Scrivendo stultust qui cupita cupiens cupienter cupit, bisognerebbe tradurre: ‘è stolto colui che bramosamente brama ciò che brama’. Non ti sembra che quel cupita (= ea, quae cupiat) guasti il senso? Io comprendo, p. es., che si dica: ‘è un malvagio colui che odia i propri simili’, ma mi parrebbe alquanto strana una frase come ‘è malvagio colui che odia quelli che egli odia’. Se invece si scrive cupida <cura>, il senso torna, mi pare, assai meglio: ‘È stolto colui che brama con bramoso affanno’. Qui colui che cupida cura cupit è contrapposto a colui che sa moderare i propri desideri: ed è qualificato come stolto non il desiderio in generale, ma il desiderio affannoso e morboso. Che cupit resti senza complemento oggetto non mi pare faccia difficoltà, dal momento che in Ennio stesso, Sc. 392 sg.2, leggiamo Animus aeger … cupere numquam desinit (e cfr. anche p. es. Verg. Aen. 6, 733). N o n s o s e a favore di cupida <cura> si potrebbe citare Ann. 77 curantes magna cum cura, tum cupientes regni. E una difficoltà mi sembra anche che il verso resti incompleto all’inizio. Certo, Nonio può aver citato un verso incompleto; ma che il primo piede fosse costituito da una fine di frase precedente non mi pare tanto probabile. Scorrendo i versi scenici di Ennio, non trovo nessun esempio di enjambement così forte; e credo che non sia facile trovarne neppure in Plauto; il settenario latino arcaico in generale costituisce un’unità anche per il senso; e, caso mai, l’enjambement capita dopo i primi 2 piedi o a metà del 2o, non dopo il 1o. Naturalmente, nec tibi deerunt arma per controbattere i miei argomenti3. Quanto al senso, tu potrai osservare che l’idea del desiderare smodatamente o affannosamente c’è già (senza bisogno di introdurre cupida <cura>) nell’av- 1 2 3 Si riferisce alla chiusa della lett. precedente. Su Enn. scaen., 298 V.2 vd. lett. 21. Vd. lett. 22. Vd. lett. precedente. 44 verbio cupienter, e che cupienter cupere non è una pura ridondanza (‘bramare bramosamente’) ma ha valore di ‘desiderare a r d e n t e m e n t e ’ , e simili. E potrai trovare un appoggio a questa interpretazione in Nonio, il quale nel lemma parafrasa cupienter non col semplice cupide, ma con cupidissime. In tal senso sarebbe, nel verso enniano, dichiarato stolto non semplicemente ‘colui che brama ciò che brama’ ma colui che ‘brama troppo ardentemente ciò che è oggetto del proprio desiderio’. Resterebbe la difficoltà dell’enjambement. A titolo di pura informazione (ma forse lo avrai visto tu) aggiungo che il Lindsay (ed. di Nonio, p. 91 M.) scrive nel testo: stultúst qui cupida cúpiens cupientér cupit (senario; ma cupida da solo non ha senso) e nell’apparato propone stultást quae cupida ecc., congettura assai scadente. Forse (tanto per aggiungere ancora un’ipotesi) si potrebbe tentare: stultúst qui cupida <cúpiditate> cúpiens cupientér cupit (ottonario giambico). Ottonari giambici sono abbastanza frequenti in Ennio (p. es. Sc. 129, 131 sg., 161-71), e la serie paronomastica non sarebbe interrotta integrando cupiditate. Quanto poi a cupida cupiditate, si può confrontare Plaut. Capt. 774 ita híc me amoenitáte amoena amoénus oneravít dies ed Ennio stesso Sc. 238 otioso in otio4 (del resto anche Cicerone, come vedo nel Georges che non cita il passo, ha impudica impudentia)5. Quanto al personaggio che pronunzia il verso, non nego la possibilità dell’attribuzione ad Amintore in base a criterio ‘contenutistico’. Però mi pare strano che Amintore, irato contro Fenice e prossimo a scagliargli una maledizione terribile (e, forse, ad accecarlo), qualifichi il peccato di Fenice soltanto come stultitia. Mi aspetterei piuttosto scelestus est, qui ecc., o simili. Invece comprendo meglio che Fenice, a cui Ennio attribuisce anche altrove (vedi Sc. 300 sgg.) massime moraleggianti, e che è conscio della propria superiorità di fronte alle passioni, dica che è s t o l t o chi si lascia trascinare da esse6. Proprio questo tono moralistico di Fenice dà noia ad Amintore, il quale replica col v. 304, giustamente interpretato dal Vahlen. Tra non molto dovrebbe uscire la seconda parte del mio articolo, che ti manderò7. Qui niente di nuovo. Mi dicono che Pasquali sta ancora meglio. Spero (ma ancora non sono state fatte le nomine) di ritornare a Pontedera. E tu insegnerai anche quest’anno allo Scientifico? Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro La discussione proseguirà nelle lett. 28, 30, 32-5. Cic. har. resp., 1. Vd. lett. 30. 6 A piè di pagina T. aggiunge: «Può anche darsi che il verso sia pronunziato da Fenice che rimprovera Amintore per il suo amore illegittimo; cfr. Iliade». 7 T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8). 4 5 45 26 Pesaro, 29. 10. 1947 Carissimo, se ti mando un espresso è, come puoi capire, per darti una seccatura: di poco rilievo, forse, come ti dirò, ma sempre una seccatura. Ma prima torno al frammento del Phoenix1, cercando ancora – finché il mio non mi sembri un partito preso – di difendere il cupita dalle tue ben fondate osservazioni. È chiaro che in ogni caso cupienter cupere vale ‘desiderare smodatamente’, sia che questo valore sia dato dall’aggiunta dell’avverbio (come intende Nonio), sia che idea di eccesso o comunque di biasimo stia nello stesso cupere e simm., come potrebbe far pensare il frammento di Lucilio citato negli Addenda del Vahlen. Comunque l’aggiunta del cupita (che, nel senso di ‘il desiderato’, ossia ‘l’oggetto del desiderio’ è, come indica il Georges – di cui ho qui solo l’edizione italiana – in Seneca e Tacito) non può guastare: potrà essere superflua (e tu ricordi giustamente Sc. 393), ma qui naturalmente prevale l’intenzione di allungare più che si può la paronomasia. Ma non è qui che tu ti fermi soprattutto: è sull’argomento, senz’altro forte, dell’enjambement. Ho riguardato anch’io di corsa gli altri frammenti scenici di Ennio – ma non di altri tragici né di Plauto – e forse un caso probabile di forte interpunzione dopo il 1o piede si potrebbe trovare in Sc. 268, dove il ni ob <r>em di Vahlen pare sicuro. Ma c’è un altro caso su cui vorrei richiamare la tua attenzione, Sc. 148. [Mi accorgo di essermi dimenticato di citarti, per cupita cupiens, un caso che f o r s e ha qualche analogia, Sc. 269 qui volt <esse> quod volt 2]. Sc. 148, che ha un senso compiuto, è tramandato nella stessa forma metrica del nostro frammento (sempre posto che si ritenga ovvia la lettura cupita per cupida e lo stultust). La correzione del Vahlen pare a me arbitraria (cfr. Plasberg cit. da Vahlen) – né vale ovviamente Sc. 189 ius atque aecum. (Che poi potesse trattarsi di un ottonario, questo si può dire di entrambi i frammenti. E se si volesse ritener giustificata in 148 la correzione del Vahlen appunto per evitare un enjambement, allora bisogna consentire anche all’altra, certo non più grave, ugualmente non necessaria per il senso <ill>est in 298 [o – ma è possibile qui? – est, <si> qui (?)]). In ogni caso io non voglio – né posso – irrigidirmi a sostenere l’enjambement dopo la tua osservazione che rimane in ogni caso ben fondata sulla grande maggioranza degli esempi. Ma se si ammette che il verso possa, come probabilmente 148, essere tramandato 1 2 Enn. scaen., 298 V.2, su cui vd. lett. 21. Vd. lett. seguente e inoltre 33, 64, 66, 68-9, 95. 46 incompletamente, allora, meglio che a <ill>est od altro, bisognerebbe pensare, sempre ex. gr., a <namque> stultust (namque altrove in principio di settenario). Nonio poteva benissimo tralasciare quella paroletta che non gli serviva a nulla (e che d’altra parte può anche cadere facilmente). Se talvolta i grammatici, per citare il verso intero, non guardano al senso, si dà certo anche il caso opposto. Del resto cfr. anche Var. 9 (cit. da Macrobio), dove si tratta di settenari – e ben ritmati. Escluderei anch’io l’enjambement, ma cosa c’era prima di mundus? Forse un semplice connettivo. Anche quel verso è tramandato come Sc. 148 e, pressappoco, 298. Quanto alla correzione del Lindsay, è davvero brutta. Se si vuole un senario, semmai cupida<m> col primo Vahlen, che è correzione lievissima, ma introduce una figura femminile (evidentemente la presunta amante di Fenice) senza elementi sufficienti. Scrivimi ancora, ti prego, sull’argomento. Eccomi al favore. Ti pregherei di dirmi appena possibile (scusami anche la fretta, ma... è una richiesta in extremis!) s e in un articolo (breve) di Terzaghi in «Byz. Zeitschr.» (che non mi ricordo – ma lo spero ardentemente – se c’è a Pisa; se no, naturalmente, quando andrai a Firenze) 38 (1938), 289 sgg.3 – dove si rende conto di un nuovo codice sinesiano, e si dice che conserva da solo una lezione giusta, αἰὼν δ᾽ὁ γέρων per αỉὼν δ ὲ γέρων nell’inno 1, 248 – è detto chiaramente che tale lezione è secondo lui tradizione e non congettura. Mi pare che Terzaghi dica così. Desidererei sapere la pagina e magari le poche parole che si riferiscono alla cosa. Mi pare che dica che, trattandosi di recensione aperta, anche questo solo codice [che è invece poi un deteriore di nessun conto] può conservare la giusta lezione, che sarebbe quella. Scusami tanto e credimi tuo aff.mo Scevola Mariotti N. Terzaghi, Il cod. Barocc. gr. 56 e l’autore del X inno di Sinesio, «ByZ», 38, 1938, pp. 289-98. Cfr. M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2), p. 216 (= SFC, p. 459). 3 47 271 [Pisa, 30. 10. 1947]2 Carissimo Mariotti, purtroppo, come già altre volte, così anche stavolta devo darti una spiacevole notizia: la «Byz. Zeitschr.» non c’è qui a Pisa, né all’Universitaria né alla Normale3. Siccome nei prossimi giorni non ho la possibilità di andare a Firenze, ho subito scritto al mio amico Eugenio Grassi (laureando in greco con Pasquali, persona intelligente)4 pregandolo vivamente di vedere con urgenza quel passo dell’articolo di Terzaghi. Spero quindi che tu possa avere sollecitamente la notizia che ti interessa. Ho scritto a Grassi che, per non perder tempo, scriva direttamente a te. L’indirizzo di Grassi (nel caso che tu voglia scrivergli per sollecitarlo) è: via Repetti, 12 - Firenze. Scrivimi poi se hai avuto l’informazione che ti preme, e se posso fare qualche altra cosa per facilitarti il lavoro. La tua risposta quanto a cupita mi sembra persuasiva5: m o l t o a c u t o il confronto con Sc. 269 qui volt <esse> quod volt 6. Di cupida <cupiditate> che pensi? Forse il cumulus e la paronomasia ti sembrano eccessivi. Scrivimi e scusa se non ho potuto fare di più per soddisfare la tua richiesta. Affettuosamente Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. La data si ricava dal timbro postale; il luogo, oltre che dal timbro, dall’indirizzo posto in calce: Pisa - via S. Maria, 18. 3 Vd. lett. precedente. 4 Eugenio Grassi (1927-1959) curò la bibliografia del maestro negli «Studi italiani di filologia classica» 1956; T. collaborò alla pubblicazione dei suoi inediti (vd. lett. 397) e gli dedicò La genesi del metodo del Lachmann, Firenze 1963 (se ne veda l’elogio nella prefazione). Su di lui vd. lett. 396-8. 5 Vd. lett. precedente. 6 Vd. lett. precedente. 1 2 48 28 Pesaro, 3. 11. 1947 Carissimo1, ti sono grato per la tua affettuosa solidarietà2. Tu sei sempre di una cortesia squisita, e non credere che non me ne renda conto. Se Grassi non mi scrive, gli telefonerò (tu mi hai dato l’indirizzo). Credi che mi dispiace proprio di averti disturbato. Lo farò ancora, conoscendo ormai bene la tua amicizia, ma non più con carattere di urgenza… L’altra volta mi dimenticai di dirti che cupida <cupiditate> mi pare assai buono3. Si può segnare un limite alla libidine di figurae di questi arcaici? Tu, che hai orecchio esercitato in questo senso, puoi giudicare meglio di me. Ma la congettura mi pare degna di considerazione e assai fine. Cercando l’altra volta settenari incompleti, vidi anche Sc. 2384 (anch’esso analogo a 148 ecc.), su cui tu ti fermasti a p. 76 (e postilla ms.) della 1a parte del tuo articolo5. Adesso oso presentarti un mio tentativo, che giudicherai tu se sia soltanto ardito o addirittura temerario. Comunque ti dico subito, per avere eventualmente la tua compassione, che ho anch’io molti dubbi. Intanto una domanda: a 2346 è proprio da escludere che si tratti di un caso analogo ai tre indicati da Vahl.2 in fondo a p. 160? C’è differenza sostanziale di tono p. es. col fr. 11 della stessa Ifigenia? Otio qui nescit uti mi pare in sé un ottimo emistichio7. Come leggi a 2368? A me sembrano per qualche verso insoddisfacenti tutte le congetture indicate dal Vahlen. L’unica che mi faccia effetto è la vecchia del Bücheler initiis (meglio forse di initio, sembrando in illis lectio difficilior) per l’allitterazione conservata (institutumst – initiis) e per motivi paleografici. Mi pare che possa andare anche per il senso. Ma queste sono impressioni, e non so nulla sull’uso arcaico della forma. Ora ti accen- Nel margine superiore del primo foglio della lettera M. scrive: «Scusa se ho scritto male e ho fatto pasticci», con allusione alle numerose correzioni nel testo della lettera. 2 Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 25 (Enn. scaen., 298 V.2). 4 Vd. già lett. 25. 5 T., Per una nuova edizione, I (cit. lett. 8). 6 Vd. lett. 30. 7 Enn. scaen., 234 V.2, su cui vd. anche lett. 34-5, 38-9, 43-4, 52-3 e cfr. T., Per una nuova edizione, I (cit. lett. 8), p. 76. 8 M. e T. torneranno su questo verso nelle lett. 30, 34-5, 125-9. 1 49 no paucis al v. 238. Non sono certo da escludere le congetture del Leo9 e tua: per questa mi pare da preferire la 1a interpretazione (ὀξύμωρον) – esempi di negotiosus = ‘fastidioso’ non mancheranno giusta l’analogo senso di negotium – perché la seconda pone una limitazione non giustificata dal contesto (il principio dovrebbe valere per tutti, non solo per il negotiosus). D’altronde forse anche la 1a, col negotioso con valore prolettico, mi pare un poco sforzata. Quella di Leo aggiunge l’iato (però in forte cesura). Io ho pensato a Otioso inotio<sus> animus nescit quid velit. 1o) Il senso mi parrebbe buono. ‘All’uomo che non fa nulla, l’animo che non resta10 senza far nulla...’. Vedi 239-41 e in particolare 241 errat animus (cfr. Sc. 392)11. 2o) La correzione mi pare la più semplice di quelle proposte dal punto di vista dell’origine dell’errore: parola rara e cominciante con inotio. Resta (purtroppo) il 3° punto, che ti dico nella forma più favorevole alla congettura. Inotiosus manca negli arcaici (ma non ho visto il Thes.), è attestato, pare, in Quintiliano in contesto del tutto diverso ma con senso essenzialmente analogo. È però formazione facile e non da escludere in questo contesto dove si gioca con parole simili. Perché però non avrebbe Ennio scritto negotiosus? A parte il metro, che non può bastare a spiegare il mancato uso di negotiosus e l’impiego di una parola (forse) nuova, c’è, mi pare, il fatto che animus negotiosus non potrebbe voler dire se non ‘animo dedito agli affari’, ‘animo impegnato in affari’, il che qui andrebbe male. Non dimenticarti che ti ho fatto della congettura una presentazione ottimistica. Ti saluto affettuosamente e ti ringrazio ancora. Il tuo Scevola Leo proponeva otioso in otio <homini> animus nescit quid velit (cfr. T., Per una nuova edizione, I [cit. lett. 8], p. 76); la congettura di T., mai pubblicata, si capisce dal resto della lettera che doveva essere negotioso. 10 Sopra «che non resta» è aggiunto in alternativa «non stando». 11 Vd. lett. 22. 9 50 291 Pesaro, 4. 11. 1947 Carissimo, eccoti un’altra proposta, che spero approverai in nome del principio, da te giustamente sostenuto, della massima uniformità possibile da dare ai gruppi di versi tragici di Ennio. Sc. 392 sg.2: ᴗ ánimus aeger semper errat neque pati neque perpeti ᴗᴗ potest, cúpere numquam desinit. Presupporre la caduta di una congiunzione e simm. all’inizio non costa qui assolutamente nulla; la citazione ciceroniana è incastrata nel testo. Ho avuto finalmente la nomina anche quest’anno al Liceo Scientifico (Ital. e Lat.). Sono ore di tre quarti, ma purtroppo al pomeriggio. Comunque non desideravo di meglio. Latino e greco al classico è occupato per comando. E poi così lavoro poco e mi leggo un po’ di autori italiani. Tu a Pontedera stai tutta la settimana o fai la spola? Cari saluti dal tuo Scevola Mariotti 1 2 Cartolina postale. Vd. lett. 22. 51 30 Pesaro, 8. 11. 1947 Carissimo Timpanaro, ...o forse pensare a ottonario più settenario1? Col vantaggio – oltre che di evitare l’aggiunta di una sillaba al 1o verso – di togliere l’enjambement e di restituire cupere numquam desinit alla (apparentemente) preferibile funzione di fine verso? Ánimus aeger semper errat Néque pati neque perpeti potĕst, cupere numquam desinit 2. Grassi mi ha scritto3. L’ho ringraziato direttamente e ora ringrazio te, di nuovo. Cari saluti dal tuo Scevola Mariotti 1 2 3 Continua il discorso iniziato nella lett. precedente. Enn. scaen., 392-3 V.2 (vd. lett. 22). Vd. lett. 27-8. 52 31 Pisa, 8. 11. <1947>1 Carissimo Mariotti, la nostra conversazione epistolare procede sempre interessante. La tua congettura otioso inotiosus animus in Sc. 2382 è senza dubbio di gran lunga migliore di tutte le precedenti, e credo che faresti bene a pubblicarla senz’altro. Che inotiosus non sia attestato nel latino arcaico non mi pare che faccia difficoltà: si tratta di una parola coniata lì per lì da Ennio per fare un giuoco di parole con otioso. E il confronto con 241 errat animus costituisce un’ottima conferma3. Mi resta un solo dubbio – ma di poco conto –. La lezione tramandata otioso in otio (mss. initio, ma è certo un semplice errore) offre un esempio di ridondanza confrontabile esattamente con amoenitate amoena di Plaut. Capt. 774, impudicam impudentiam di Cic. de har. resp. 14 (cfr. anche venusta Venus di Plaut. Most. 161): questa figura va perduta se si legge otioso inotiosus. Riconosco tuttavia che questa difficoltà (nella quale del resto non incorre soltanto la tua congettura, ma anche quella del Leo e la mia) è lieve: a parte ciò, la tua congettura è inoppugnabile. Così pure hai perfettamente ragione riguardo a Sc. 2345. Io nel mio articolo polemizzavo contro il Vahlen il quale riteneva6 che otio qui nescit uti fosse un verso a sé, un ‘quaternario’ trocaico premesso ai settenari. Ma non avevo pensato all’altra eventualità, da te giustamente prospettata, che si tratti del secondo emistichio di un ottonario trocaico, alternantesi con settenari come negli esempi indicati dal Vahlen in fondo a p. 160. Perciò otio qui nescit uti va mantenuto nel testo, e la trasposizione qui uti nescit otio tutt’al più ricordata nell’apparato critico. Quanto a Sc. 2367, credo che una soluzione soddisfacente sia ancora da trovare. Non ullo negotio del Hermann e is nullo negotio del Voss sarebbero abbastanza soddisfacenti per il senso, ma hanno il difetto di partire dalla lezione in illo negotio, mentre delle tre lezioni tramandate l’originaria sembra essere in illis negotium. D’altra parte initiis del Bücheler, ottimo paleo- 1 2 3 4 5 6 7 L’anno è stato aggiunto da M. Sotto la data l’indirizzo: via S. Maria 18. Vd. lett. 25. Su questo verso vd. lett. 28. Vd. lett. 25. Vd. lett. 28. In nota T. ha aggiunge: «in “Hermes” XV, 262». Vd. lett. 28. 53 graficamente, mi sembra vuoto di senso. Allo stato attuale della questione, sarei per mettere nel testo † in illis negotium † con segno di corruttela. Infine, quanto a Sc. 392 sg.8, la tua proposta ristabilisce giustamente, contro il Vahlen, l’uniformità metrica. Però l’inizio del 2o verso potest cúpere fa difficoltà per due ragioni: 1) per il proceleusmatico strappato, particolarmente grave in questo caso perché dopo potest c’è interpunzione; 2) per la correptio iambica potĕst, giacché di regola la correptio iambica è esclusa dal proceleusmatico che sostituisce un giambo o un trocheo (Jachmann, Studia prosodiaca, p. 35 sgg.)9. Perciò forse non aveva torto il Ribbeck a scrivere: ánimus … perpeti | pótis est,  ᴗ  ᴗ  ᴗ cupere numquam desinit. L’ipotesi di una lacuna tra potis est e cupere non fa difficoltà, perché Cicerone suole citare saltuariamente. Spero che Grassi ti abbia già mandato l’informazione da te desiderata10. Io vado anche quest’anno a Pontedera (faccio la spola, non ci abito), ma ancora non ho avuto la nomina definitiva: spero di averla però tra breve. Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro PS. ‒ Ancora a proposito del Phoenix, come intendi Sc. 30611? Il Vahlen registra quam nell’Index verborum s. v. qui interr.; ritiene dunque che si debba costruire quam orationem tibi dedit ecc.! Ma così duriter resta un po’ campato in aria. Io intenderei quam come avverbio da connettere con duriter, il quale a sua volta si riferirà a dictis, non a dedit: quindi quam duriter dictis tibi ex ore orationem dedit! ‘con quanto dure parole ti parlò!’. Duriter dictis come facete dictum ecc.12 Vd. lett. 22. G. Jachmann, Studia prosodiaca ad veteres poetas scaenicos Latinos spectantia, Diss., Marburg 1912. 10 Vd. lett. precedente. 11 Vd. lett. 8. 12 A matita M. aggiunge: «Ma contro tutti i tentativi di toccare otioso in otio vd. Cic. Planc. 66 ecquid ego dicam de occupatis meis temporibus, cui fuerit ne otium quidem umquam otiosum? (sfuggito, pare, finora)». Vd. lett. 32. 8 9 54 321 Pesaro, 20. 11. 1947 Carissimo, purtroppo, niente da fare per chi vuol toccare in Sc. 238 l’otioso in otio2. E ciò per via di un passo di Cicerone, che dev’essere sfuggito anche al Leo, sebbene indicato dai lessici, pro Planc. 66 ecquid ego dicam de occupatis meis temporibus, cui fuerit ne o t i u m quidem umquam o t i o s u m ? Dunque non si tratta neppure in Ennio di pura ridondanza (otioso in otio = ‘nel tempo libero, in cui non si fa nulla’, il che va benissimo d’accordo con otio qui nescit uti). Cosicché, siccome 238 va benissimo così com’è, bisogna contentarsi di qualche aggiunta molto banale. In questo momento (lasciando da parte <at cum est> otioso ecc.) non saprei far meglio che … animus <hominis> ... bruttino, come vedi. Attendo il tuo parere sulla questione. Quanto a Sc. 392 sg.3 la tua confutazione alla mia prima proposta non fa una grinza. Temo che simili difficoltà si possano fare anche alla seconda4; ma per la correptio iambica si può sempre riparare facilmente con potis (o pote). Rimane il proceleusmatico strappato (si chiama ‘strappato’ anche in questo caso?) che temo sia ugualmente impossibile anche nel verso trocaico, diviso fra due piedi. La mia conoscenza della metrica arcaica è assai limitata, e ti prego di illuminarmi anche su questo punto. Infine per Sc. 3065 tu hai perfettamente ragione. Anch’io, leggendo il frammento, avevo istintivamente legato quam con duriter, e mi pare che il Vahlen abbia torto senz’altro. Scrivimi, e dimmi anche se hai avuto definitivamente Pontedera. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti 1 2 3 4 5 Cartolina postale. Vd. lett. 25. Vd. lett. 22. Vd. lett. 30. Vd. lett. 8. 55 33 Pisa, 26. 11. 19471 Carissimo Mariotti, innanzi tutto ti faccio le più vive congratulazioni per il tuo articolo in «Belfagor» contro quello stupidissimo esercizio che è la composizione latina dei concorsi2. La tua proposta di sostituire la composizione con una traduzione, accompagnata da commento filologico e storico, di un brano d’autore latino dovrebbe incontrare il favore di tutte le persone ragionevoli. Disgraziatamente in Italia la tradizione retorico-umanistica è ancora molto radicata, e quindi c’è da temere che la composizione latina resti; ma ad ogni modo tu hai fatto benissimo a sollevare il problema. Il passo di Cicerone da te indicato3 (il quale finora era sfuggito a quanti si erano occupati del frammento enniano) conferma l’espressione otioso in otio di Sc. 2384 (eppure il tuo otioso inotio<sus>5 era bello!). Bisogna dunque completare il verso (giacché l’opinione del Vahlen che il verso sia un ‘senario’ trocaico inserito tra settenari continua a parermi inverosimile) senza toccare otioso in otio. Io credo che manchi qualcosa all’inizio del verso: leggendo tutto il frammento e seguendo lo svolgersi del pensiero, si sente, se non m’inganno, il bisogno di un’avversativa al principio del v. 238; e inoltre a c o l u i cui quod agat institutumst dev’essere contrapposto <c o l u i c h e s i t r o v a > otioso in otio. E allora, modificando leggermente il tuo <at cum est> otioso ecc., scriverei: <At qui est> otioso in otio, animus ecc., intendendo qui = ei qui: ‘invece a colui che si trova in un o z i o o z i o s o l’animo non sa che cosa volere’. Per qui = ei qui si può confrontare Sc. 269 qui volt <esse> quod volt, ita dat se res, ut operam dabit 6 (vedi anche Sc. 302); Plaut. Epid. 536 pervelim mercedem dare, qui monstret eum mi hominem; Catone p. 78 Jordan lepus multum somni adfert, qui illum edit. Così (is) qui est otioso in otio si contrapporrebbe esattamente a (is) cui quod agat institutumst e riprenderebbe otio qui nescit uti. Tuttavia anche il tuo <at cum est> otioso in otio è probabile e si può confrontare col v. 235 cum est negotium in negotio (dove alcuSotto la data l’indirizzo: via S. Maria 18. Si tratta di M., Composizione latina ai concorsi, «Belfagor», 2, 1947, pp. 754-5, a cui seguì una replica di N. Terzaghi conclusa da una Postilla di M. nella stessa rivista, 3, 1948, pp. 101-2. Vd. anche lett. 39, 46, 47. 3 Nella lett. precedente. 4 Vd. lett. 25. 5 Vd. lett. 28. 6 Vd. lett. 26. 1 2 56 ni, mi pare anche il Ribbeck, correggono il cum in cui, ma senza assoluta necessità). Meno probabile mi sembra animus <hominis> già congetturato da G. Hermann, che sa un po’ troppo di zeppa. Quanto alla tua seconda scansione di Sc. 392 sg.7, non credo che vi sia dal punto di vista metrico nulla da obiettare, giacché non mi risulta che in questo caso si possa parlare di proceleusmatico strappato: però non sono molto sicuro (le mie cognizioni di metrica arcaica sono assai più ristrette di quanto tu credi), e quando ne avrò la possibilità guarderò il Klotz. Che anche qui ad un ottonario (… animus aeger semper errat) segua un settenario è possibilissimo. E tuttavia confesso che animus aeger semper errat, neque pati neque perpeti mi pare un settenario così ben costruito, che mi dispiace di scinderlo; e perciò mi sembra ancora degna di considerazione la scansione del Ribbeck: … perpeti | pótis est ,  ᴗ  ᴗ  ᴗ cupere numquam desinit (accolta anche Zillinger, Cic. und die altröm. Dichter [libro importante]8, p. 121, il quale soltanto lascia pótĕst anziché potis est). Ma queste, certo, sono impressioni soggettive: obiezioni vere e proprie contro la tua scansione non ce ne sono, anzi essa ha il vantaggio di non costringere ad ammettere una lacuna (dopo potis est) non denunciata dal senso. Ho riavuto definitivamente, dopo lunghe difficoltà, Pontedera9. Oggi ho visto Pasquali, che viene regolarmente a Pisa dove fa un seminario sul V libro di Lucrezio. Sta davvero benissimo10; sta curando una 2a edizione della Storia della tradizione e critica del testo11, e si occupa delle opere latine del Petrarca. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro PS. ‒ Tuttavia contro il mio <at qui est> otioso … si può obiettare che l’ellissi di ei riesce in questo caso poco chiara perché, dato il testo at qui est otioso in otio animus nescit ecc., vien fatto spontaneamente di riferire qui ad animus: mentre negli altri esempi da me citati non c’è ambiguità. Perciò propenderei piuttosto per il tuo <at cum est>. Vedi tu. Vd. lett. 22. W. Zillinger, Cicero und die altrömischen Dichter. Eine Literarhistorische Untersuchung, Würzburg 1911. 9 Si riferisce alla nomina definitiva, per cui vd. lettera precedente. 10 Sulla salute di Pasquali vd. lett. 1-4, 6, 14, 25. 11 Nel 1934 fu pubblicata a Firenze per i tipi di Le Monnier la prima edizione di Storia della tradizione e critica del testo di G. Pasquali; nel 1947 in «SIFC», n.s., 22, p. 261 l’autore manifestò l’intenzione di curare una nuova edizione, ma solo nel 1952 uscì una ristampa anastatica con alcune correzioni e accresciuta da tre appendici. Seguirono altre ristampe (Milano, Mondadori, 1974; Firenze, Le Lettere, 1988). 7 8 57 34 Pesaro, 19. 12. 1947 Carissimo Timpanaro, sono lieto di trovarti d’accordo con la noterella sui concorsi1. Nel prossimo fasc. uscirà una replica di Terzaghi, che credo priva di buoni argomenti, con una mia postilla2. Estratti non ne avrò, credo, e, se hai voglia, ti prego di leggere i due scritti. Lallo Russo mi scrisse che anche Pasquali era d’accordo; e tutt’e due avremmo avuto piacere che entrasse in argomento. Se hai occasione, diglielo anche tu. Mi pare che tu abbia pienamente ragione a preferire <at cum sit> in Sc. 2383 ad animus <hominis>, congettura che, sebbene indicata dal Ribbeck, mi era sfuggita. Che ne dici di <otians>? Ma forse rimane sempre più giusto <at cum est>, perché, come tu noti giustamente, è favorita dal senso. Si potrebbe anche at si est, quasi uguale alla fine del verso precedente (delecta t s u u m , a t s i ē ), o (forse meno probabile) s i n e s t , che potrebbe esser caduto per aplografia dato il suum (suū, sinē); sin non richiede di necessità una ipotetica precedente, ma solo un precedente senso ipotetico, ed è, in principio di verso, in Sc. 344 (<s>in). Questo ti ho detto, perché anche a me pare difficile il tuo <at qui est> per il motivo da te stesso addotto: possiamo noi introdurre per congettura una lezione così duramente anfibologica? Per Sc. 392 sg.4, hai ragione che animus ... perpeti sembra un buon settenario difficilmente scindibile. Ma a me pare ancora che si possa scegliere fra animus aeger semper errat | neque ecc. e animus ... perpeti | p o t i s (o p o t e ) , cupere numquam desinit. Rispetto a quest’ultima eventualità, è assoluto il principio che escluderebbe un’interpunzione a metà del proceleusmatico? Leggendo potis si eliminerebbe una difficoltà da te osservata, della correptio impossibile in quella posizione. Tornando al fr. 11 dell’Iphig., ho ripensato senza arrivare a niente di definitivo al v. 2365. Solo che, escluse con te le emendazioni precedenti (o almeno ritenutele tutte improbabili), anziché † in illis negotium †, scriverei † in illis † negotium: ammesso che in illo negotio è la lezione manoscritta più palesemente banalizzata, il negotium, che va benissimo per il senso 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente. M., Postilla (cit. lett. precedente). Vd. lett. 25. Vd. lett. 22. Vd. lett. 28. 58 (negotium, quod agat, e poi i d agit ecc.), lo lascerei fuori delle cruces. Eppure mi pare impossibile che per il poco che resta non si riesca a trovar niente. Un tentativo, di cui son tutt’altro che convinto. Meno di tutto, in in illis, è da toccare, possibilmente, l’in, che allittera con i n stitutumst. Cosa rimane se non in animo?6 Che ha tuttavia la difficoltà di non partire da in illis, ma da in illo (e sarebbe facile: aĩo, con l’a confondibile con u). (Sai se fra i codici di Gellio che danno in illo negotium e quelli che danno in illis negotium ci sia uguaglianza di autorità?). Bisognerebbe (ed è arduo) pensare che ad in illo, assolutamente incomprensibile, qualcuno abbia sostituito in illis, pure assai poco comprensibile, intendendo ‘a chi fra di loro’ detto di persone non nominate (interpretazione più che grossolana, naturalmente, ma capita nei lettori ignoranti). Ho appena lo spazio per fare i migliori auguri per le feste a te e ai tuoi. Affettuosi saluti. Scevola Mariotti7 Su in animo vd. lett. 38, 126, 128-9. Accanto alla firma M. aggiunge, entro una cornice: «Animus ripetuto più volte nel fr., come otium, negotium, ago, nescio». 6 7 59 35 29. 12. 1947 Carissimo Mariotti, l’emendazione del fr. 11 dell’Iphigenia ha fatto dei progressi per merito tuo1. Al v. 2382 credo che il meglio sia accettare il tuo <at cum est> otioso in otio (preferibile anche a si est o sin est per il confronto col v. 235 cum est negotium in negotio)3. Al v. 2364 hai perfettamente ragione di considerare corrotto soltanto in illis, salvando invece negotium. Del resto negotio accettato dal Vahlen è attestato soltanto da due codici della classe che Hosius (ed. di Gellio) chiama γ, mentre i rimanenti di γ e tutta l’altra classe (δ) tramandano negotium. Non c’è dubbio quindi che negotium sia la lezione genuina; a suo favore si può anche rilevare (per quanto si tratti di un indizio lieve) la rima con suum del verso seguente; la rima si trova in altri settenari e senari enniani: Sc. 58-61 ciet – pudet – piget – dolet; Sc. 364 sg. corporis – malis (e assonanza nei vv. 362 sg.); Sat. 6 sg.; Sc. 151-153; Sc. 97-99 (anapesti) 38 sg. Resta perciò da correggere in illis (o in illo). Illis è tramandato da δ, illo da γ; e l’autorità delle due classi, secondo Hosius (praef. p. xiii) è p r e s s ’ a p o c o pari (δ ha solo, sempre secondo Hosius, una lieve superiorità). Perciò dal punto di vista dell’autorità dei manoscritti, si potrebbe anche, come fai tu, partire da in illo nell’emendazione. E tuttavia rimane in me (e, credo, anche in te) l’impressione che in illis sia la lezione originaria. Propongo con scarsissima fiducia: nam, cui quod agat institutumst in primis negotium, ecc. – in primis (= potissimum, ‘a preferenza di ogni altro’) sarebbe da congiungere con agat (e la collocazione un po’ intricata delle parole non farebbe difficoltà: Ann. 326 insece Musa m a n u Romanorum induperator quod quisque in bello g e s s i t cum rege Philippo; Ann. 243 sg. m a l u m … f a c i n u s ; Ann. 545 c o h u m … c a e l i )5. Vd. lett. 28. T. risponde alla lett. precedente. Vd. lett. 25. 3 In nota T. aggiunge: «È preferibile anche, mi sembra, ad otians. An: <ei͡ qui est>? An <at stanti>? Non so rinunziare del tutto all’esigenza che a c o l u i ‘ cui institutumst negotium’ sia contrapposto c o l u i che è ‘otioso in otio’». Per le ultime proposte testuali discusse vd. in particolare la lett. precedente. 4 Vd. lett. 28. 5 M. annota in margine: «sono in dubbio». Su Enn. ann., 243 V.2 vd. lett. 35; su ann., 545 vd. lett. 15. 1 2 60 Quanto a Sc. 3926, ti sottopongo un dubbio: possono pati e perpeti essere usati così assolutamente, senza oggetto? Nei codici si trova spesso patiar, perferam, ma è sottinteso un oggetto facilmente ricavabile dal contesto (hanc iniuriam vel simm.): qui mi pare che almeno un quicquam ci vorrebbe; e in tal caso la lacuna sarebbe denunziata anche dal senso. Ma anche su questo argomento sono tutt’altro che sicuro, e gradirei di sapere la tua opinione7. Ti manderò tra poco, appena lo avrò, l’estratto della 2a parte del mio articolo8. Ricambio a te e ai tuoi i più vivi auguri. Affettuosamente Sebastiano Timpanaro Vd. lett. 22. La replica di M. si legge di seguito, nello spazio bianco del rigo: «non mi pare impossibile l’uso assoluto, anche se solo qui: frase sentenziosa genericizzante». 8 T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8). 6 7 61 36 Pisa, 8. 1. <1948>1 Carissimo Mariotti, ti ho mandato la seconda parte del mio articolo2. Anche su di essa attendo le tue osservazioni, delle quali non mancherò di tener conto. A p. 36 sg. avrei forse fatto meglio a rinunziare alla congettura sonitu, dopo la tua obiezione (che ho riferito a p. 37 n. 2)3: non l’ho fatto, più che altro per non mandare all’aria tutto il capitolo, che era già composto. Che la lezione totum sia genuina non riesco ancora a convincermi; bisognerà cercare un altro emendamento. Nella postilla in fondo, mi sono limitato ad alcune aggiunte e correzioni indispensabili alla prima parte dell’articolo, la quale andrebbe tutta rifatta. L’articolo contiene parecchi errori di stampa, dovuti al fatto che, per far più presto, non mi hanno mandato le seconde bozze: ho corretto quelli di cui mi sono accorto. Nel prossimo fascicolo degli «Studi» dovrebbe uscire la terza parte di questo prolisso articolo, riguardante i frammenti di dubbia autenticità4. Poi dovrei passare a trattare dell’ordinamento dei frammenti, e anche per questa parte ho pronto da tempo parecchio materiale; ma suppongo che gli «St. it. filol. class.» non abbiano più spazio da concedermi5. Leggerò con interesse in «Belfagor» la polemica fra te e Terzaghi. Non dubito che tu abbia ragione nel chiedere la soppressione del componimento in latino6. Per finire, ti sottopongo una ennesima questione enniana. In Var. 19 sg.7 è tramandato: Hic est ille situs, cui nemo civis neque hostis † quivult † pro factis ecc. Quivult fu corretto dal Pincianus in quibit, dal Muretus in quivit. Il Vahlen e gli editori recenti di Seneca (Hense, Beltrami) preferiscono quibit. Paleograficamente e per il senso entrambe le congetture sono possibili, e sarebbe vano cercare di sostenere, sottilizzando, la superiorità dell’una o dell’altra. Ma Seneca8, poco dopo aver citato l’epigramma enniano, lo parafrasa: ait enim Ennius neminem p o t u i s s e Scipioni neque civem neque 1 2 3 4 5 6 7 8 L’anno è aggiunto da M. Che aveva promesso alla fine della lettera precedente. Vd. lett. 15 e 17. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8). Vd. invece S. T., Per una nuova edizione, IV (cit. lett. 8). Vd. lett. 33-4. Vd. lett. 6. Sen. epist., 108, 33. 62 hostem reddere operae pretium. Si tratta di una parafrasi fedele: se Seneca scrive potuisse e non posse o fore ut nemo possit, vuol dire che egli leggeva quivit e non quibit. E in questo caso non c’è ragione di sospettare che la lezione del testo di Seneca non fosse anche la lezione originaria di Ennio; lo scambio tra b e v comincia appena a manifestarsi sporadicamente in iscrizioni del I sec. d. C.: il testo di Cicerone da cui Seneca attinse l’epigramma enniano ne sarà stato ancora immune. Dunque quivit col Muretus. Ti pare? Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro 63 371 Pesaro, 10. 1. 1948 Carissimo, ti sono gratissimo per la copia del tuo lavoro2, che ho cominciato a leggere. È uno dei migliori studi filologici che io abbia mai letto. Ti risponderò a lungo terminata la lettura, come risponderò alla lettera che mi arriva stamane3. Ma quivit mi sembra fin d’ora, per tuo merito, sicuro4. Ti ringrazio delle amichevoli citazioni, e ti saluto con affetto. Tuo Scevola Mariotti 1 2 3 4 Cartolina postale. T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8). Vd. lett. precedente. Vd. lett. 6. 64 38 Pesaro, 28. 1. 1948 Carissimo, al mio fuggevole ringraziamento per il tuo ottimo estratto1 – e per le cortesi citazioni – faccio seguire ora una risposta più riposata, ma, prevedo, disordinata. Del disordine vorrai perdonarmi. Io direi che, sebbene il mio parere non abbia naturalmente nessun peso, accetto tutto quello che hai scritto, tranne forse un’eccezione minutissima. Il tuo lavoro è un esempio di maturità metodica: tu hai una portentosa facilità nel ridurre i problemi ai loro termini essenziali e a risolverli con felicissimo intuito. Su parecchie cose, che mi avevi accennato in precedenza, non ho che da confermare la mia approvazione incondizionata, resa anzi più piena dallo sviluppo della tua dimostrazione. Giustissimo l’equilibrio del § 4, le critiche al Vahlen per Ann. 1412, ottima la ricostruzione di Sc. 178 e il testo da te sostenuto per Sc. 3303. Per Ann. 2244 non riesco ancora a persuadermi della inevitabilità di una correzione: ripensando il verso in un contesto in cui, poniamo, il verso precedente si concludesse con un aggettivo riferito a Numidae e poi con una parola che corrispondesse a campum (o simm.), a me la posizione di totum non farebbe eccessiva difficoltà. Dico questo senza saper nulla di sicuro sull’ordine delle parole in Ennio, che però mi pare abbastanza libero. Tutto sicuro il resto del paragrafo. Anche a p. 39 n. 2, più ci penso, più la conservazione della lez. ms. da te proposta mi convince. Non mi pare dunque il caso che io ti dica di aver pensato a quantus c o n s i l i i s (sc. esset)5, corrispondente a quantum pote i n a r m i s , che darebbe forse un corso più normale al periodo (?), ma forse non risponderebbe in pieno al senso che deve aver qui, come dici, consilia. Ottime le conclusioni sul sistema ortografico da adottare. Il che non toglie che a me rimanga qualche dubbio su quello che dici a p. 42 n. 1: da scrivere Fauni, certo, per coerenza6; ma che Fauni et possa risalire a Faunei non escluderei assolutamente: il fenomeno da te giustamente ricordato Vd. lett. precedente. Sul fr. enniano vd. anche lett. 46-7, 145-7, 176. 3 Vd. lett. 44, 87, 151. 4 Vd. lett. 15. 5 Enn. ann., 222 V.2. Su questo frammento vd. anche lett. 39-40, 48 e cfr. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8), p. 207. 6 Con ann., 214 V.2. Sul testo e l’interpretazione di questo verso vd. lett. seguente, 69, 99-102, 107, 208, 210-1, 220-1, 276-9, 572-3. 1 2 65 (et – que) faciliterebbe la spiegazione della corruzione. Giusti gli appunti a Pighi, ecc. Su Ann. 37 il tuo giudizio è molto acuto; mi pare però necessario confutare, o almeno, ricordare, la più comune opinione sul luogo simile di Lucrezio che sarebbe più probabilmente da riferire altrove, come tu mi accennasti, accettando la tua spiegazione. Al frammento di Lucilio è veramente buona, o almeno pare a prima vista, l’emendazione del Lachmann. Ma certo la tua è ben appoggiata, sebbene obblighi a intervenire (quamvis leniter) in due punti. Bellissimo lo studio su Ann. 98, e sicura la correzione di caelo in caeli. Per il resto, meglio di come tu hai fatto non credo che si possa fare. Aggiungo, in favore di caeli (come avrai già visto): 1o) l’o di caelo sta in un punto corrotto, in quanto è caduto il c di cortina; 2o) anche la l e t t e r a f i n a l e della parola subito seguente nei codd. è pure corrotta, per tentativo – pure – di rabberciamento (orta < orti). E ricordo anche un’espressione greca molto vicina a caeli cortina (ma ce ne saranno altre), non registrata nel Liddell, che trovo nel mio Sinesio, Inni, 9, 87 κύτος (coppa!) οὐρανῶν 9 (cfr. ibid. κύτος οὐράνιον 2, 166, espressioni probabilmente di origine orfica, cfr. Terzaghi ad l.). E così col gen. sono gli esempi traslati di κύτοϛ nel Liddell-Scott (dove c’è anche un κύτος ἀστέριον di Vettio Valente che finora non è stato confrontato con l’espressione κύτος οὐράνιον di Sinesio, ottimo conoscitore di poesia astrologica). D’accordo per Ann. 18 sg.10 (sulla doppia edizione di Ennio, sarei anch’io, come tu in nota manoscritta, in dubbio). Bellissima la dimostrazione di iocum gen.11: la difficoltà posta da Terzaghi non è affatto definitiva. A Sc. 13012 non credo che si possa far meglio e i confronti sono, come sempre, ottimi; in Sc. 56 optumatum è sicuro. E così son d’accordo per tutto il resto. Vorrei solo farti una osservazione a Var. 3313. La tua proposta è certo sostenibile, ma le si potrebbero opporre due obiezioni (nessuna però insuperabile): 1a) è strana, specie in Prisciano, l’interruzione della citazione, senza sapere a cosa si riferisca il quam; 2a) l’integrazione di cum non è necessaria per il senso. Si ovvierebbe in parte alla prima difficoltà e si eviterebbe la seconda scrivendo: sedulo ubi operam addidit | <post> quam Vd. lett. 15. Su questo frammento vd. anche lett. 81-4, 86-90, 177, 226, 453, 501, 510 e 633, e cfr. LE, p. 62 = LE2, p. 44. 9 Vd. lett. successiva. 10 Su questo frammento vd. anche lett. 41-3, 69-70, 102, 502, 517, 610 e cfr. T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8), pp. 54-7. 11 In Enn. ann., 239 V.2; cfr. T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8), pp. 54-7. 12 Vd. lett. 84, 86-7. 13 Su cui vd. 39-40. 7 8 66 tanto studio servit, supplendo poi col Vahlen (o, se vuoi, <tum messem exspectat bonam>). Cioè ‘quando ha continuato a lavorare assiduamente dopo aver seminato con tanto zelo, allora ...’. A questo sarei spinto anche dall’addidit, che a m e n o n r i s u l t a (ma non sono sicuro) sia sinonimo di dedit. Non mi pare che dia gran difficoltà una temporale (diversa: col postquam) dipendente da un’altra temporale. Si tratta in fondo di ammettere la caduta di una sola lettera (p̅) prima del simile (q̅). Vorrei su questa proposta il tuo giudizio. Quanto a quello che mi scrivesti nella tua penultima lettera, ad Iphig. fr. 1114 l’in primis mi lascia piuttosto perplesso: il senso non ne viene migliorato. Certo anche in animo fa difficoltà15. A Sc. 39216, per la mancanza di oggetto a pati e perpeti, non sono documentato; eppure, anche se mancassero esempi dell’uso assoluto, io non troverei impossibile che, in una frase sentenziosa, genericizzante, potessero stare senza oggetto. Avrei piacere di sapere che cosa concludi o verso che cosa ti orienti, su quel passo. Su Var. 20 (quivit) ti ho già detto che la tua dimostrazione è, per me, assolutamente sicura17. Scusa se ho scritto in fretta. Ti ringrazio ancora e ti abbraccio. Tuo Scevola Mariotti PS. ‒ Se me ne mandano estratti, te ne manderò naturalmente uno di tre ‘varietà’ usciti nell’ultimo fasc. di «Paideia»18, al terzo dei quali tengo abbastanza. Se ne hai occasione, ti prego di scorrerli e di farmi eventuali obiezioni. Purtroppo quel che si pubblica in «Paideia» rischia di sfuggire o di essere dimenticato. Vd. lett. 28. Il riferimento è alla lett. 35. Vd. lett. 34. 16 Vd. lett. 22 e in particolare lett. 35. 17 Vd. lett. precedente. 18 Si tratta di S. M., Nota a Catullo c. LI; Un’etimologia medievale del nome Maro; Varianti d’autore nella tradizione diretta dell’ ‘Eneide’?, «Paideia», 2, 1947, p. 303 (la prima e la terza nota rist. in SFC, rispettivamente a p. 74 e p. 539). 14 15 67 39 <3. 2. 1948>1 Carissimo Mariotti, avevo già letto in «Paideia» le tue tre note, acutissime come al solito2. Mi pare che tu abbia senz’altro ragione di respingere l’ipotesi di ‘varianti d’autore’ in Virgilio avanzata dal Funaioli. Questa delle varianti d’autore sta diventando per molti filologi una fissazione, o addirittura un comodo pretesto per esimersi dalla scelta di varianti. Ingegnosissima, sebbene ardita, è anche la spiegazione dell’etimologia di Maro. Per quanto riguarda il carme di Catullo, il confronto con Orazio da te addotto è certo un notevole argomento a favore del distacco di 51a. Io escluderei senz’altro che la strofe otium, Catulle … sia una risposta di Lesbia: non del tutto impossibile mi sembra l’ipotesi che si tratti di un ammonimento di Catullo a sé stesso3, ma certo il confronto con Orazio dà da pensare. Ti ringrazio delle tue anche troppo lusinghiere espressioni per il mio articolo e delle tue osservazioni delle quali terrò il massimo conto4. In Var. 335 è vero che l’integrazione cum da me proposta non è richiesta dal senso: tuttavia nel latino arcaico l’uso del cum è molto più esteso che nel latino classico, mentre assai più raro è l’ablativo semplice. È anche vero che Prisciano suole citare frammenti di senso compiuto, e che quindi il quam che resta sospeso fa difficoltà: tuttavia cfr. Ann. 4606 exin per terras postquam celerissimus rumor, dove manca il predicato. E si può pensare che Prisciano, giunto a seruit che era la parola che a lui importava di spiegare, abbia lasciato in tronco la citazione. Quanto ad addidit, anche se si legge quam tanto <cum> studio7 non c’è bisogno per questo di intenderlo come sinonimo di dedit. Detto questo, però, riconosco che il tuo emendamento <post>quam è ottimo, e lo citerò in una postilla alla 3a parte del mio articolo8 (a meno che tu non preferisca scrivere tu stesso una nota su questo passo, il che sarebbe assai opportuno). Per il 2o emistichio va benissimo 1 2 3 4 5 6 7 8 La data è stata aggiunta da M. A questo proposito vd. il postscriptum della lett. precedente, a cui T. risponde. A piè di pagina T. aggiunge: «facente parte del carme 51». Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 40. Si riferisce a Enn. var., 33 V.2, su cui vd. lett. precedente. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8), p. 207. 68 <tum messem exspectat bonam>, o anche <frugem (o messem) ibi exspectat bonam> (ibi nell’apodosi dopo una parola anche in Ann. 256, 342). Opportunissima la citazione dell’espressione di Sinesio κύτος οὐρανῶν a confronto di caeli cortina9; simile è anche αἰθέρια γύαλα di Oppiano, Cyn. 1, 281. Non mancherò di citarla nella suddetta postilla10. Ad Ann. 22211 il tuo quantus consiliis è certo migliore dell’artificioso quantum is consiliis di Stroux e paleograficamente più lieve di quantum consiliis di L. Müller. Soltanto non so se quantus (e così pure tantus, multus) riferito a persona si trovi nel latino arcaico: ho il sospetto che non si trovi. Forse, come tu stesso dici, quantis si può ancora difendere, anche se implica una certa inconcinnità tra i due membri del periodo. Per Ann. 312 è vero che sarebbe stata opportuna una parola sul passo apparentemente simile di Lucrezio. Quanto al Fauni o Faunei di Ann. 21413, io non escludo che Fauni et possa risalire a Faunei; ma mi pare antimetodico il supporlo dal momento che c’è a portata di mano una spiegazione molto più ovvia: il copista, copiando come al solito non parola per parola ma un’intera espressione, aveva cominciato a scrivere Fauni et vates; poi corresse vatesque ma si dimenticò di cancellare l’et che aveva già scritto. Per poter legittimamente supporre che Fauni et risalga a Faunei, bisognerebbe che non fosse possibile quell’altra più semplice spiegazione: così come, ad es., per supporre legittimamente l’esistenza di una variante d’autore è necessario che quella variante non si possa spiegare altrimenti. Quanto ad Iphig. fr. 11 riconosco adesso che l’in primis da me proposto è d a s c a r t a r e s e n z ’ a l t r o 14. Così pure per ciò che riguarda Sc. 39215, sebbene di pati e di perpeti usati assolutamente16 nessun esempio si trovi nei lessici, tuttavia hai perfettamente ragione tu nel ritenere non impossibile che in questo caso essi siano posti senza oggetto: così come senza oggetto è il seguente cupere. Proprio pochi giorni fa mi è capitato di leggere nel proemio del Decamerone: «elle (scil. le donne) sono molto men forti che gli uomini a sostenere», dove ‘sostenere’ (equivalente in questo caso a pati) è usato assolutamente. Bisogna dunque rinunziare a trovare nella mancanza del complemento oggetto un indizio di lacuna dopo potest. E tuttavia io ho ancora l’impressione che: 1) animus aeger … perpeti sia un ottimo Vd. lett. precedente. Cfr. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8), p. 207. 11 Vd. lett. precedente. 12 Vd. lett. 15. 13 Vd. lett. precedente. 14 Vd. lett. 28. 15 Vd. lett. 22. 16 M. annota: «per gli usi assoluti cfr. Var. 32 (e 33?)». 9 10 69 settenario da non scindersi; 2) cupere numquam desinit sia una altrettanto ottima clausola di settenario. E quindi, pur riservandomi di pensarci su ancora, io sarei tuttora per la soluzione di Ribbeck e Zillinger17: animus … perpeti | potis est  ᴗ  ᴗ  ᴗ cupere numquam desinit. Il frammento è citato da Cicerone18 che suole citare spessissimo saltuariamente: l’ipotesi di una lacuna – intenzionale, non dovuta alla tradizione manoscritta – fra potest e cupere non fa dunque eccessiva difficoltà. Nel prossimo numero degli «Studi» dovrebbe uscire la 3a parte del mio articolo enniano19 e forse anche una brevissima nota su un presunto dativo in -ai in Ennio e Lucrezio20. Aspetto di leggere su «Belfagor» la polemica fra te e Terzaghi sulla composizione latina21. Sai qualcosa sulla data dei concorsi? Qui non se ne sa nulla. Grazie di nuovo e affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro 17 18 19 20 21 Zillinger, Cicero und die altrömische Dichter (cit. lett. 33). Cic. Tusc., 3, 5. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8). S. T., Dativi in -āī in Ennio ed in Lucrezio?, «SIFC», n.s., 22, 1947, pp. 209-13. Vd. lett. 33. 70 401 Pesaro, 5. 2. 1948 Carissimo, ricevo ora la tua lettera, graditissima2. Cita pure tutto, te ne sono grato (ma se per caso dovessi riferirti al q u a n t u s consiliis3, non dimenticare che è proposta fatta dubitanter, perché quantis parrebbe a me da lasciare nel testo: se quantus sia testimoniato nell’arcaico, io non so, ma non mi parrebbe grossa difficoltà essendo quantus = quam magnus). Riparleremo con calma di tutto. Ora terrei a comunicarti brevissimamente una congettura fresca fresca, che mi par buona, per sapere il tuo giudizio. Ann. 300 V.2 – Credo giusta la difesa di varia del Vahlen4 (viri a sarà tentativo di accomodare; e anche Valmaggi ad l. non convince del tutto)5. Ma come pensare che Nonio tralasciasse fortuna o simm.? Quindi si dovrebbero ammettere d u e lacune nella tradizione manoscritta? La parola che manca è un’altra, allitterante (e quindi più facilmente caduta): vice (per varia vice cfr. alterna vice Sc. 126). Dunque  ᴗᴗ  v a ria v a lidis <v i ce> v i ribus luctant. Difficoltà, mi pare, nessuna. L’ordine delle parole (che si potrebbero normalizzare con validis varia <vice> viribus luctant, e della trasposizione nei codici si potrebbe tentare la spiegazione) n o n r i t e n g o affatto sia da mutare. Ennio ha ardite trasposizioni, e q u a l c o s a di simile è in Ann. 243 sg.6 (da te ricordatomi di recente) n u l l a mal͓um s e n t e n t i a ... fac͓inus. Una domanda: in Ennio sarebbe giustificato trovare (ipoteticamente) ragione della trasposizione in un’intenzione ‘artistica’ (varietà nel susseguirsi delle parole = varietà delle vices della lotta)? Affettuosi saluti. Scevola7 Cartolina postale. Vd. lett. precedente. 3 Enn. ann., 222 V.2. Vd. lett. 38 e cfr. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8), p. 207. 4 Vd. lett. 42-4, 94-5. 5 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 6 Vd. lett. 35. 7 Accanto all’intestazione, unico spazio rimasto al termine della scrittura della cartolina, è aggiunto, in una cornice: «Su Var. 33, come ti ho detto, non escludo certo la tua congettura. Giusto il confronto con Ann. 460, dove però si cita, senza curare il senso, un intero esametro. Per Fauni et devi aver ragione tu. Dei concorsi non so nulla». Vd. lett. 38. 1 2 71 41 Pesaro, 7. 2. 1948 Carissimo, scusa se ti scrivo a pezzi e bocconi. Ma è un periodo, questo, in cui ho parecchio da lavorare, oltre la scuola: specialmente per l’edizione del Pontano, a cui ti accennai1. Ma, sapendo che tu aggiungerai una postilla alla prossima puntata, vorrei riaccennarti a un punto su cui può darsi che tu ritorni, avendo dimostrato qualche incertezza – nella nota manoscritta a p. 56 – sulla doppia edizione antica a cui risalirebbero le diverse citazioni di Ann. 18 sg.2 Io sarei su questo punto molto prudente. Anzi mi pare che della non dipendenza di quelle citazioni da diverse edizioni si possa tentare una dimostrazione – proprio partendo dalle tue conclusioni – che io ritengo sicure ed acquisite – sulla lezione originaria del passo. Prendiamo infatti la citazione negli Schol. Veron. In essi (e nella presunta edizione a cui risalirebbero) si dovrebbe naturalmente misurare Vĕnŭs quem ecc. Ora che cosa poteva precedere nell’edizione? Non certo doctus Anchisa, perché il metro non torna: quindi doctus<que> Anchisa (o comunque doctus ᴗ Anchisa)3. Bisogna in ogni caso presupporre che qui sia caduto qualcosa. Ma tu hai dimostrato che la lezione originaria era proprio doctus Anchisa. E allora? Dovremo proprio ammettere che per una stranissima coincidenza sia caduto proprio quello che Ennio non aveva scritto? (Senza dire – che è cosa secondaria e incerta – che un po’ in sospetto sulla a s s o l u t a indipendenza delle due citazioni mette il fatto che entrambe provengono da commenti virgiliani e sono limitate alla stessa estensione). Certo, io non discuto che le differenze sono strane; ma non escluderei assolutamente che il Venŭs quem possa essere prodotto del caso: cioè che un rabberciatore – magari sotto l’influenza di annotazioni ecc. – abbia sostituito la sola finale pulchra dearum con un’altra più normale finale d’esametro (pulcherrima divum) senza curarsi del resto – come anch’io sospetto, col Vahlen ad l., che fata docet non sia da modificare in <fari> fata docet o simm., ma provenga dalla sostituzione dell’espressione virgiliana che era apparentemente più d’accordo coll’accus. quem: e poco dovette importare Non se ne parla in precedenza. Si tratta dell’edizione del De sermone di Pontano che M. avrebbe dovuto fare in collaborazione con Sergio Lupi (vd. lett. 138) ma a cui finì col rinunciare (vd. lett. 165). Vd. inoltre lett. 150, 152-3, 157. 2 Vd. lett. 38. 3 Le parole «comunque … Anchisa» sono sostituite a «qualcosa di molto simile» scritto in un primo tempo. Sopra ᴗ è aggiunto nell’interlinea «ibi ecc.». 1 72 al correttore se, invece di un esametro, veniva fuori un ‘pentametro’. Ma tutto questo è solo un sospetto; sulla prima parte – tendente ad escludere la doppia edizione – vorrei richiamare la tua attenzione, e sapere il tuo parere. Aspetto con molto interesse la terza parte4: ricordi che una volta a Firenze si parlò un poco di frammenti dubbi e io osavo difendere cere comminuit brum5? Non so se ora io avrei il coraggio di persistere; e aspetto di leggerti. Ti saluto affettuosamente e ti abbraccio. Tuo Scevola Mariotti 4 5 Dell’articolo enniano, per cui vd. lett. 8. Enn. ann., 609 V.2. Vd. lett. 76, 196, 220-2. 73 42 Pisa, 9. 2. 1948 Carissimo Mariotti, davvero non so come ringraziarti della tua assidua, preziosa collaborazione al mio studio enniano1. Anche stavolta ho letto con vivo interesse le tue osservazioni: alle quali ora rispondo, pur proponendomi di continuare a rifletterci sopra; questa è dunque una risposta provvisoria. Ad Ann. 300 l’integrazione <vice>2, che era già stata proposta dal Housman («Class. Rev.» 1935, p. 166), è certamente assai superiore a <Fortuna> del Vahlen; e il fatto che essa sia venuta in mente a te indipendentemente dal Housman è una conferma della sua verisimiglianza. Veramente il Housman proponeva  ᴗ viri varia validis <vice> viribus luctant. Ma il porre l’una accanto all’altra le due varianti viri [a] varia, anziché scegliere tra esse, è cattivo metodo; perciò hai ragione tu a scrivere  ᴗ ᴗ  varia ecc. L’ordine un po’ libero delle parole non fa difficoltà, come giustamente osservi. Se nel vario susseguirsi delle parole varia validis vice viribus si debba scorgere l’intenzione, da parte di Ennio, di ritrarre in certo senso l’alternarsi delle vicende della lotta, non saprei: f o r s e questa ipotesi è un po’ troppo sottile. Ad ogni modo, non c’è dubbio che s e si considera, col Vahlen, varia come lezione autentica e viri a come corruttela, si deve poi integrare vice come proponi tu. Senonché è proprio sicuro che varia vada preferito a viri [a]? Su questo punto mi resta, nonostante l’opinione del Vahlen e tua, qualche dubbio. Infatti, scrivendo con Valmaggi3 (e anche col Lindsay, ed. di Nonio), viri validis <cum> viribus luctant, avremmo non solo l’allitterazione, ma anche la paronomasia viri – viribus (come milia militum in Ann. 332, caerula caeli spesso, ecc.; cfr. anche Plaut. Amph. 212 [passo paratragedico] viri freti virtute et viribus): dover rinunziare a questa paronomasia dispiace. Anche quanto alla spiegazione della genesi della variante, non comprendo come da varia possa esser nato viri a (tentativo di render più facile il senso? Ma viria è ancor meno comprensibile di varia)4. Non mi pare invece troppo inverosimile una trafila uiriualidis > uiriuualidis > uiriaualidis (cioè ripetizione erronea dell’u e poi scambio, assai frequente, di u con a): varia sarebbe poi un tentativo di correggere T. risponde alle due lett. precedenti. È la «congettura fresca fresca» proposta da M. nella lett. 40. 3 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 4 M. aggiunge a piè di pagina con nota di richiamo: «penserei varia validis, donde viria». Sopra varia M. scrive «viri (tentativo di correzione)» (vd. lett. successiva). 1 2 74 l’incomprensibile viria. Quanto a validis <cum> viribus, oltre l’osservazione del Valmaggi, cfr. Vahlen Opusc. Acad. II 2805, il quale confronta Aen. 5, 368 vastis cum viribus nella stessa sede del verso: pare che Virgilio ripeta, con una variante intenzionale (vastis pro validis), l’espressione di Ennio. Perciò io non rinunzierei ancora del tutto a viri validis <cum> viribus; ma, ripeto, se si parte da varia, non c’è dubbio che <vice> sia da preferire a <Fortuna> del Vahlen. Quanto ad Ann. 186, riconosco che sono andato troppo oltre supponendo che la divergenza tra Probo e Schol. Veron. si debba far risalire a due edizioni antiche: avrei dovuto limitarmi a negare che Probo e Schol. Veron. dipendano direttamente l’uno dall’altro. Tuttavia mi pare un po’ difficile che Venŭs quem sia un puro «prodotto del caso», cioè che il rabberciatore si sia solo curato di mutare pulcra dearum in pulcherrima divum e che quindi l’emistichio Venus quem pulcherrima divum, c o n V e n ŭ ( s ) s e c o n d o l a p r o s o d i a a r c a i c a , torni metricamente solo per un caso. È proprio da escludere che doctūs Anchisā, Venŭs quem pulcherrima divum potesse, a un grammatico antico, parere un esametro enniano con un ‘allungamento in tesi’ doctūs? Ennio ha essēt, ponebāt, clamōr in tesi: noi sappiamo bene che in questi casi si tratta non di allungamenti metrici, ma di conservazione della quantità originaria; ma ad un grammatico antico questi dovevano apparire allungamenti in tesi, pure e semplici licenze prosodiche, e questi esempi potevano facilmente indurlo ad ammettere come genuino anche un doctūs. Che ai grammatici dell’età imperiale la metrica di Ennio (anche quella degli esametri, non soltanto quella dei versi scenici) riuscisse poco comprensibile, lo dimostra p. es. Gellio 13, 23, 18 (riferito dal Vahlen ad Ann. 104) il quale afferma che Ennio minime solet numerum servare (e tale affermazione è fatta a proposito di un frammento esametrico, e Gellio è un arcaista!). Del resto ancora il Norden (Ennius und Vergilius, 1347: cfr. il mio articolo8 p. 58) considerava ponebāt come allungamento in tesi, e allo stesso modo giustificava eloqueretūr di Ann. 2409: un grammatico antico, che in questo campo era assai meno dotto del Norden, poteva ben ammettere che Ennio avesse scritto doctūs con la finale allungata in tesi. Mi pare perciò (ma potrei sbagliarmi, e sarò lieto di leggere le tue eventuali contro-obiezioni) che la non esistenza della doppia edizione non possa essere positivamente dimostrata; il che non toglie però che io abbia fatto male a 5 6 7 8 9 I. Vahlen, Opuscula Academica, II, Leipzig 1908. Vd. lett. 38. E. Norden, Ennius und Vergilius, Leipzig-Berlin 1915. T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8). Su cui vd. lett. 15. 75 ricorrere a questa ipotesi non necessaria di una doppia edizione: su questo punto hai senz’altro ragione tu. La 3a parte dell’articolo forse ti procurerà una delusione: avrei voluto rifonderla tutta, e non ne ho avuto il tempo10. Scrivimi; ti abbraccio. Tuo Sebastiano Timpanaro 10 T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8). 76 43 Pesaro, 13. 2. 1948 Carissimo, debbo scriverti di più d’una cosa, e cerco di essere breve. Prima di tutto, se io posso gradire il tuo iniziale ringraziamento1, è solo a patto che ti ringrazi anch’io, e più caldamente, per le molte cose che apprendo nella nostra conversazione (vedi come sono disarmato davanti ai latini arcaici!) e per l’utilità che mi rappresenta la tua perfetta informazione enniana. P. es. poteva succedermi di comunicare come mia la congettura ad Ann. 3002, che è già (e… un po’ mi dispiace) di Housman. Ma ho promesso di essere breve. Per Ann. 300 è vero che la questione essenziale sta ora nello scegliere fra viri a e varia (poiché penso che il valore dei codici che danno quelle varianti sia pressappoco – o del tutto – uguale). Malgrado il tuo acuto tentativo, io resterei per varia, pensando che qualcuno, non comprendendo varia, correggesse viri, e l’a fosse residuo del precedente uiri i varia. Così: uariaual … > uiriaual …; o meglio: uạriạual … > uiriaual … (non essendo stato visto il punto sotto a). Ma, certo, rimangono le analoghe paronomasie da te citate. Per Ann. 183 la tua osservazione indebolisce notevolmente la mia obiezione. Tuttavia forse si può ancora dubitare, sia perché la mancanza di una congiunzione o avverbio è denunciata nel testo originario dal metro (<at> Timpanaro) e un doctū s in tesi rimane sempre eccezionale, sia perché, come ti dissi, io temo che abbia ragione il Vahlen (nei testimonia, a proposito di fata docet) appunto per fata docet sostituito, ancora senza tener conto del metro, a fari donavit. Ma riconosco che la mia obiezione non è assolutamente definitiva. Ora due altre proposte, che spero non siano state fatte da nessuno! – sulle quali attendo il tuo giudizio. Ann. 561 sg. (cfr., per i testimonia, gli addenda del Vahlen)4. – A 560 non saprei far meglio di Vahlen <quibus> (acutissimo, ma non so se sicuro). A 562 non mi so liberare dall’impressione che in metrum racchiuda un participio concordato con cor, analogo a revinctum. Propongo incinctum5. Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Vd. lett. 40. 3 Vd. lett. 38. 4 Vd. anche lett. 44-5, 220-3. 5 Subito dopo si cerca di spiegare ‘graficamente’ come incinctum potrebbe essersi corrotto in in metrum. Sotto incinctū in corrispondenza di in è scritto: in; in corrispondenza del successivo in: m; in corrispondenza di c: e (con la chiosa fra parentesi: «come p. es. inver1 2 77 Cfr. Sc. 30 incinctae angui6; e, per Ann., praecinctus 433, 488. Ancora, per la rima (o quasi) fra prima e ultima parola del verso, specialmente Ann. 187. Se la congettura non ti sembra da buttar via, potresti vedere incingo nel Thes., per eventuali analogie specie in poeti esametrici? Grazie. Cingi ferro (sebbene in senso non identico) è espressione comune. Sc. 2917 – I tentativi di correzione sono dovuti alla forte analogia che ha il verso con un senario. Ma invece un senario non è, né c’è bisogno di correggere. È un tetrametro cretico, con molosso in 1a e peone primo in 2a sede: Mi ausculta | uate pue|ros crema|ri iube. Potrebbe essere benissimo (anche per il senso) l’inizio (?) di un canticum. Sto pensando di mettere, in un gruppo di noterelle da mandare a Pasquali, quella – che ho da tempo nel cassetto – sul pater inquam hospes (o hostis Timpanaro) ecc.8; e potrei aggiungerne ancora una o due enniane. Forse una su Iphig. fr. 119 e queste due che ti comunico, se è il caso? Dimmi cosa ne pensi. Comunque, per tutto quello a cui hai occasione di accennare tu, p r e f e r i s c o – nel mio interesse! – che rimanga in un articolo solido come il tuo piuttosto che sperduto in adversaria occasionali. Ti abbraccio e attendo una tua – finché questa conversazione non ti avrà stancato. Tuo Scevola M. samente Sc. 129 se > sc»); in corrispondenza di tū: trū, cui segue: «preso per trū». A fianco è aggiunto: «(Che pasticcio!)». 6 Su cui vd. lett. 44, 47-9, 150, 153. 7 Vd. lett. seguente e 177-8, 226. 8 Fr. inc. inc., 214 R.3, su cui vd. lett. 5 e Adversaria philologa I (cit. lett. 5), 3. 9 Vd. lett. 28. 78 44 Pisa, 18. 2. 1948 Carissimo Mariotti, non c’è pericolo che la conversazione con te susciti in me stanchezza1: anzi, ogni tua lettera accresce il desiderio di continuare a conversare con te di cose filologiche. Ad Ann. 5622 l’innumerum del Vahlen (riferito a loqui saperet) è certamente sforzato e artificioso, e quindi hai perfettamente ragione, mi sembra, di respingerlo. Non del tutto da buttar via mi pare in me, tum del Müller (accolto dal Marx, ed. di Lucilio vol. II p. 434): per in me cfr. (sebbene in senso un po’ diverso) Sc. 407, e per tum = ‘e inoltre’, ‘e per di più’ vd. Kroll, «Rhein. Mus.» 1914, p. 99 sg. e cfr. il mio articolo, 2a parte, p. 59 sg.3 Ma ancora migliore è il tuo veramente geniale incinctum, che mi sembra ottimamente confermato, oltre che dai raffronti che tu adduci, da Ann. 400 succincti corda macaeris (dove c’è proprio la stessa immagine di incinctum ferro cor)4. Anche il riferimento dell’abl. strum. ferro a tutt’e due i participi incinctum e revinctum non fa difficoltà; cfr. Sc. 3305 convestitus squalida saeptus stola, trag. inc. 113 R.3 (p. 36 del mio articolo)6, ecc. Una certa difficoltà parrebbe costituita dall’uso di incingo: mentre cingi, accingi, succingi ferro (o gladio, ense ecc.) son frequentissimi già nel latino arcaico, invece incingo(r) detto di armi (ferro ecc.) si trova soltanto in tre passi di autori tardi (Apul. Met. 8, 13 gladio … se … incingere; Hygin. Astr. 3, 333 incinctum ense; Dictys, 4, 11 pugionem incinctus): gli autori precedenti usano incingo(r) per vestiti, pelli, oppure serpenti (già Enn. Sc. 307, Catull. ecc.). Tuttavia la difficoltà mi pare tutt’altro che insuperabile; che incingo(r) non sia usato per armi prima di Apuleio può benissimo esser casuale, tanto più che si tratta di una parola piuttosto rara, come appare dal Thes. Perciò in conclusione mi sembra che tu faccia benissimo ad inserire questa congettura tra gli Adversaria a cui mi accenni. Quanto al verso precedente (Ann. 561), confesso che quibus del Vahlen non mi persuade del tutto per 1 2 3 4 5 6 7 Si riferisce a quanto M. scrive nella chiusa della lett. precedente. Vd. lett. precedente. T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8). Su cui vd. anche lett. 47-8. Vd. lett. 38. T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8). Vd. lett. precedente. 79 la sua posizione molto strana (non solo iperbato, ma addirittura posizione del pronome relativo a l l a f i n e della proposizione relativa!): e anche il concetto che ne risulta (dieci bocche dotate ciascuna di una lingua quae loqui sapiat) mi sembra un po’ lambiccato. Il Marx, che ho citato sopra, proponeva ut <si> ora decem sint, an ac <si> ? (ac si = ut si: cfr. Sat. 63). Ma sono ancora incerto: vedi tu. Sc. 2918 – La scansione cretica, giustissima, è stata purtroppo già proposta dal Lindsay, ed. di Nonio ad h. loc. Anche a me è accaduta spesso la spiacevole sorpresa di vedere che una congettura venuta in mente a me era stata già fatta da altri9: lì per lì dispiace vedersi rapire una propria creatura! Per Ann. 30010 – La tua deduzione di viria da varia è paleograficamente irreprensibile; esiterei tuttavia ancora a rinunziare a viri per la paronomasia viri … viribus. Ci ripenserò. Che ne pensi di Var. 4711 aqua terra anima et sol? Gli editori concordi la attribuiscono all’Epicharmus, scandendo áqua terra ánima sól … Ma, premesso che l’et non va affatto espunto (Plaut. Pseud. 947 lepido victu, vino unguentis e t inter pocula pulpamentis; Rud. 11; Pacuv. trag. 336 R., ecc.: non lo espungono difatti né il Keil né il Goetz, ed. di Varr. R. R.), a me pare che vada presa in considerazione un’altra possibilità: che, cioè, il frammento (che è citato da Varrone senza indicazione di opera, col solo nome di Ennio) sia una clausola di esametro appartenente p. es. al proemio degli Annali (dove c’era parecchia roba pitagorico-empedoclea; cfr. anche Ann. 52212, su cui vd. Norden, Bignone ecc.). Anzi, sebbene non si possa certo escludere una scansione áqua terra ánima et sól …, mi pare che il confronto ad es. con Ann. 92 exoritur sol o con Ann. 163 luna obstitit et nox (ambedue in clausola) confermi la scansione dattilica. (Naturalmente si potrebbe anche sollevare una questione pregiudiziale: Varrone c i t e r à un frammento enniano o r i a s s u m e r à Ennio con parole proprie? Si tratta cioè, di un f r a m m e n t o o di una t e s t i m o n i a n z a ? Tuttavia l’uso dell’arcaico-poetico anima per aer fa pensare che si tratti piuttosto di frammento. Nella 3a parte del mio articolo mi occuperò del frammento citato da Fulgenzio: vedi Vahlen, Praef. p. cxxiii-cxxiv13. Io lo credo, nonostante Vd. lett. precedente. T. aggiunge in nota a piè di pagina: «A questo proposito, ti avverto che a Sc. 301 l’emendamento adstare che io, in una lettera a te, avevo proposto, era stato già escogitato dal Müller». Cfr. lett. 8. 10 Vd. lett. 40. 11 Vd. lett. seguente, 80, 178, 221-2, 451, 540 e T., Per una nuova edizione, IV (cit. lett. 9), pp. 8-9. 12 Su questo fr. vd. anche lett. 45, 72, 87, 104. 13 Fvlg. serm. ant., 19 (p. 117, 11-12 Helm). Vd. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8), pp. 199 sgg.; Contributi1, pp. 666-7. 8 9 80 la fonte screditatissima, autentico, come è dimostrato fra l’altro dal metro: haéc anus admodúm frigúttit (tetrametro trocaico forse 2o κῶλον di ottonario); nímirúm sáuciávít se flóre Líberí (verso cretico-trocaico c o m e i n E n n . S c . 3 6 0 , 3 6 1 ) . Il metro, arcaico e raro, è garanzia di autenticità: Fulgenzio non lo conosceva di sicuro, e non poteva quindi falsificarlo, e che sia effetto del caso mi pare molto difficile. Che ne pensi? Affettuosamente Sebastiano Timpanaro NB. – Anche su Iphig. fr. 11 una tua nota mi sembra opportunissima14. 14 Si riferisce a quanto M. gli ha scritto alla fine della lett. 43 (sul fr. scenico vd. lett. 28) . 81 451 Pesaro, 23. 2. 1948 Carissimo, per Ann. 562 sono contento che l’incinctum2 ti piaccia. Avevo visto nel Vahlen l’in me tum del Müller, ottimo paleograficamente, che però mi aveva lasciato in dubbio sia perché dà un giro un po’ sforzato, con l’in me in principio di verso, sia soprattutto perché in me sembrerebbe valere normalmente ‘dentro di me’, ‘nel mio animo’ (cfr. Sc. 407, e anche seppur diverso 401). Il tuo ac <si> al v. 561 pare a me la proposta migliore sinora fatta. Si potrebbe avanzare solo una difficoltà: l’introduzione di un’anfibologia (si … ac si …) per congettura; ma è facile rispondere che ac si sarà stato sentito come parola unica (cfr. quasi). Insomma, io sarei per adottarlo senz’altro. Per Var. 473 (a proposito di attribuzioni, non pare anche a te che stia meglio in Sc. il fr. di Ann. inc. X4?) sono d’accordo con te: bisogna vederci una fine d’esametro, e niente si oppone a metterlo negli Annales, sia pur congetturalmente (esametri ci sono anche in Sat. e Scipio). Che sia citazione a me pare sicuro, a n c h e perché facilmente scandibile (che sia frammento esametrico mi parrebbe – minimo indizio! – confermato dal fatto che et – pur sempre meno comune, solo, in questa posizione – ha una funzione metrica nell’esametro, non in un verso trocaico). Che si trovasse nel prooem. è possibile, ma, credo, molto incerto, dato Ann. 5225, che tu citi (e su cui pare proprio, per quanto strano, che abbia ragione Bignone) e l’adattabilità dell’elenco di elementi a diverse situazioni. P. es., ricordando per antitesi Ann. 457 sg., si può pensare <Ad nutum Iovis contremuere> aqua terra anima et sol, ecc.6. Ottima la dimostrazione di autenticità del frammento di Fulgenzio7. Nel 1o verso potrebbe forse anche precedere un Nel marg. superiore alcune indicazioni bibliografiche di mano di T. Vd. lett. 43 e la risposta di T. nella lett. precedente. 3 Vd. lett. precedente. 4 Ann., 467 V.2, su cui vd. lett. 46-8. 5 Vd. lett. 44. 6 Nel marg. inferiore, con segno di nota, M. aggiunge: «Più di un elenco di elementi è negli inni di Sinesio. P. es. “tacciano, ai miei inni, terra ecc.”. Così sostenni una volta contro Terzaghi, in “St. it. filol. class.” 1942, 15 sg. Anche qui c’entreranno influssi orfici». Il rinvio bibliografico è a M., Note agl’‘Inni’ di Sinesio (cit. lett. 2), p. 451. 7 Vd. lett. precedente. 1 2 82 altro dimetro cretico, ricordando per analogia l’uso promiscuo di dim. troc. catal. o acat. nella 2a parte del tetrametro? Un’altra i n c e r t i s s i m a proposta di sfuggita. Ann. 2588 – Così com’è può andare (parole di generale ai soldati, a cui si riferirebbe il vestra). Ma non escluderei v e strae v e rtit, facendo precedere p. es. qualcosa come <at res bene causae> non semper ecc. (parole a un parlamentare, o simm., nemico). L’integrazione mi lascia però più di un dubbio: causa in questo senso è possibile in latino arcaico? Comunque, se ti pare il caso, ne riparleremo. Stamattina ho un sacco di roba da fare, e mi preme di rivolgerti una preghiera (scusami se approfitto della tua cortesia!). Sto finendo una nota per gli «Annali» a proposito di PSI 1305, edito da Pieraccioni (per ora in fascicolo a parte)9, e d’improvviso mi sorge la necessità di sapere una cosa. Per il costrutto di ὅτι con l’infinito Pieraccioni cita Xen. Cyr. 2, 4, 11 e rimanda a Kühner-Gerth, II 2, p. 357 sg. (a proposito del suddetto pap., col. IV, 6 sgg.). Ma gli esempi noti a me da Liddell-Scott riguardano solo ὅτι + a c c u s . e infinito, mentre nel pap. c’è ὅτι + n o m i n . e infinito (che sarebbe, se non ce ne fossero altri, caso interessante di contaminazione). Potresti dare un’occhiata al Kühner per verificare se cita esempi di ὅτι + n o m i n . e infinito? E giacché ho cominciato, potresti anche nello stesso Kühner o Schwyzer vedere se ci sono citati esempi di p r o s a (tarda) con υἱέας per υἱούς? Che esempi esistano mi risulta dal Liddell; ma, dovendo integrare un [υἱ]έ̣ας mi sarebbe m o l t o utile un rimando più preciso. Perdonami! E abbimi, con un affettuoso abbraccio, tuo Scevola M. Vd. lett. 46-9, 52-3. S. M., Note a PSI 1305, «ASNP», s. II, 17, 1948, pp. 223-8 (rist. con il titolo Note a PSI 1305 [ora 1285], in SFC, pp. 435-40); vd. D. Pieraccioni, Lettere del ciclo di Alessandro in un papiro egiziano (P.S.I. 1305), Firenze 1947. 8 9 83 46 <5. 3. 1948>1 Carissimo Mariotti, mandami senz’altro i tuoi Adversaria2: li leggerò con molto interesse e li consegnerò quindi a Pasquali. Ho letto intanto la polemica fra te e Terzaghi in «Belfagor»3: non c’è dubbio, hai ragione tu; gli argomenti di Terzaghi, come tu stesso noti, deporrebbero caso mai a favore della versione dall’italiano in latino (che forse per le scuole medie inferiori sarebbe una prova utile, data la crassa ignoranza di molti concorrenti) non della composizione latina. Acutissimo il tuo Antiocus in Ann. 1414, e senza dubbio superiore alle congetture di Ilberg, L. Müller, Bergk. In una edizione io lascerei il frammento tra quelli di sede incerta scrivendo nel testo † aut marcus †, ma nell’apparato citerei prima di ogni altro emendamento il tuo Antiocus. Rinunziare ad Anco Marzio non costituisce neppure per me alcuna difficoltà: molto meglio perciò Antiocus che tertius rex. In Ann. 1575 non credo giusto sextus erat di Hertz perché sextus erat regnare (‘era il sesto a regnare’, infinito dipendente da aggettivo) è costruzione inesistente nel latino arcaico. Per me si deve scrivere: Ecqui se sperat Romae regnare quadratae?, ‘Forse che qualcuno spera ecc.’ (ecquis già L. Müller, se sperat Salmasius, etquī [abl.] Havet). E credo che il frammento non sia da riferirsi al periodo regio, come tutti han fatto sinora, ma a un tentativo tirannico (Sp. Cassio? Sp. Melio? T. Manlio Capitolino?) in epoca repubblicana6. Un oppositore dell’aspirante alla tirannide (regnum, regnare in senso odioso spessissimo in Cicerone ecc.) domanda, sdegnoso e ironico: ‘C’è forse qualcuno che si illude di regnare in Roma quadrata?’ (di potere essere re come ai tempi dell’urbs quadrata?). Accenno soltanto a un argomento sul quale ci sarebbe da discorrere a lungo: ad ogni modo gradirei di sapere il tuo parere ed eventuali obiezioni. Per Ann. 2587, cercherei, prima di accettare vestrae vertit (causa in questo La data è stata aggiunta da M. Si riferisce a M., Adversaria philologa I (cit. lett. 5). La lettera sembra una replica ad una lett. di M. andata perduta contenente le proposte testuali qui discusse da T. 3 Vd. lett. 33. 4 Cfr. LE, p. 47-8 = LE2, p. 36. Vd. lett. 38. 5 Vd. lett. seguente e 157-8, 383, 553. 6 T. aggiunge in nota: «Dunque lib. IV o (meno probabilmente) V, non II o III». 7 Vd. lett. precedente. 1 2 84 senso non prima di Cicerone, cfr. Thes.) di difendere la lezione tramandata vestra evertit. Certo, supponendo che siano parole di un generale ai soldati ci si aspetterebbe nostra piuttosto che vestra. E se fossero invece parole di un dio sceso a rincuorare i Romani o i Cartaginesi, p. es. Annibale prima della 2a guerra punica, e ad annunziar loro che gli dei, finora avversi, son tornati propizi? ‘Non sempre Giove ce l’ha con voi: stavolta è di qua, parteggia per voi’. Così Apollo ad Ettore ferito e scoraggiato (Il. O 254 sg.): θάρσει νῦν· τοῖόν τοι ἀοσσητῆρα Κρονίων | ἐξ Ἴδης προέηκε παρεστάμεναι καὶ ἀμύνειν; e il dio Tiberino a Enea (Aen. 8, 40): neu bellis terrere minis: tumor omnis et irae | concessere deum. Cfr. anche Ann. lib. VIII, fr. 15. Esiterei a trasportare Ann. 4678 tra gli Scenica: Carisio nei libri I-II (vedi Vahlen Praef. p. xcviii sg. e index fontium) cita due sole volte frammenti scenici e c o n t i t o l o d i t r a g e d i a , mentre cita molto spesso c o l s o l o n o m e d e l l ’ a u t o r e frammenti degli Annali (diverso è il libro IV, in cui le citazioni, fatte allo scopo di esemplificare figure retoriche sono tutte adespote: Vahlen p. xcix med.). Un’ultima cosa di sfuggita: Ann. 3089 nei codici del Brutus (seguo l’edizione del Reis, Lipsia 1934) è tramandato Suadai (F corr., γ) o Suadat (F1GBO): Suadae soltanto F2, che non ha alcuna autorità. Anche gli altri testimoni (Gellio, Cic. Cato mai.: vedi Vahlen) oscillano Suadae / Suada. Scrivere Suadae col Vahlen non mi par possibile: come da Suadae (comprensibilissimo) sarebbero sorte le varianti suadat, suadai (suada Gell.)? Reis, Martha, Sabbadini scrivono Suadāī, ma con Suadāī il metro va all’aria, bisogna ammettere una lacuna tra populi e S., mentre il senso sembra escludere la lacuna. E allora forse Suadasque medulla (suadas leggeva falsamente Vahlen in F1, ed è strano che non l’abbia messo nel testo): passaggio da Suadas a suadai, suadat facilissimo (poi Suadae banalizzazione di suadai), genitivo arcaico in -ās (Andron., Naev. Latonās, Terras, escas, Fortunas, Enn. Ann. 441 vias) qui giustificato dall’intenzione di riprodurre il linguaggio arcaico dei populares qui tum vivebant (Ann. 306 sg.). Agli Adversaria potresti aggiungere l’Antiocus, degnissimo anch’esso di pubblicazione. Se un giorno farò davvero l’edizione di Ennio, avrò da registrare molti tuoi preziosi contributi. Affettuosamente tuo Sebastiano Timpanaro10 Vd. lett. precedente e le due lettere seguenti. Vd. lett. 47, 76, 78-9, 82, 148, 150, 609 e cfr. S. T., Note a Livio Andronico, Ennio, Varrone, Virgilio, «ASNP», s. II, 18, 1949, pp. 186-204 (parziale rist., con ritocchi e modifiche, in Contributi1, pp. 83-96, 289-317, 623-81), a pp. 194-6. 10 Sotto la firma, tra parentesi, l’indirizzo: via S. Maria 18, Pisa. 8 9 85 471 Pesaro, 9. 3. 1948 Carissimo Timpanaro, eccoti la prima puntata degli Adversaria2. Ti sarò grato di una tua lettura-controllo. Prega Pasquali di pubblicare appena può. Pasquali ha già da varî mesi un mio articolo sinesiano3, la cui uscita condiziona anche (almeno psicologicamente) per me altri lavori. Ti sarei grato se volessi informarti del tempo approssimato della sua pubblicazione – senza naturalmente aver l’aria di premere, tanto più che gliene riaccennai già io. Di tutto vivissime grazie. Vedrai, leggendo la seconda noterella, che ho perpetrato un furto ai tuoi danni: del confronto con Ann. 4004. Spero che non mi condannerai. Avrei dovuto già io guardare, almeno attraverso l’indice, tutti i composti di cingo. Vorrei che ti si presentasse l’occasione di ricambiarmi l’amichevole abuso! Un’altra cosa. Io ho riportato, citando nella stessa nota, caerulea in Sc. 30 del Vahlen5. Non vedo però perché non si possa leggere caeruleae (codd.), incinctae angui: caeruleae = ‘nere’, che va bene per le Furie. Sarei quindi per cancellare caerulea dalla citazione (e la corrispondente lezione dei codd.): se condividi la mia idea, fallo tu, ti prego. Ora rispondo alla tua. Sono lieto che tu vada d’accordo con me per i concorsi6 (Terzaghi è stato veramente ingenuo), e che creda all’utilità dell’Antiocus 7. Trovo indubitabile metodicamente, per la semplicità (P > T) e l’ottimo senso, la tua lettura di Ann. 1578. Naturalmente nessunissima difficoltà grammaticale. Inoltre è innaturale una simile frase per un’età in cui regnum era la forma istituzionale dello stato. Citerei a confronto la famosa frase di Bruto, Liv. 1, 59, 1 … me … nec illum nec alium quemquam regnare Romae passurum. Cioè: 1 Nel marg. superiore di mano di T.: «CAERULEUS - RUINA - zeugma - acsi» (vd. lett. 48). Vd. lett. precedente. M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2). 4 Vd. lett. seguente e 44. Di questo frammento e di queste osservazioni non c’è in realtà traccia nell’articolo stampato. 5 Vd. lett. 43. 6 Vd. lett. 33. 7 Enn. ann., 141 V.2, su cui vd. lett. 38. 8 Vd. lett. precedente. 2 3 86 me … nec illum n e c a l i u m q u e m q u a m passurum regnare Romae Ecqui sperat R. regnare quadratae? Naturalmente non è il caso di andare oltre una semplice analogia, ed è poco probabile un riferimento del frammento alla fine del discorso di Bruto, dopo aver enumerato le colpe della tirannide e aver fatto approvare l’abrogazione del regno, discorso per cui cfr. Liv. ibid. 8 sgg. Forse si potrebbe pensare, a puro titolo d’esempio, alla riunione del senato di cui Liv. 3, 5, 1. Ma mi pare che i tuoi ipotetici riferimenti rimangano migliori. Ann. 2589 – Mi dici che cercheresti, prima di accettare vestrae vertit, di difendere la lezione manoscritta. E la tua spiegazione di questa, e il rimando a Omero e Virgilio, sono o t t i m i . Però non c’è alcun motivo di preferire ab externo la tradizione quando la differenza stia solo nella divisione delle parole. Anzi vestrae vertit avrebbe dalla sua l’allitterazione vera e propria, ed è d’altronde naturale che un vestraevertit sia stato diviso vestra evertit non intendendosi la funzione di vestra e . Credo poi che un’integrazione exempli gratia prima del verso sia opportuna anche leggendo (che io non escludo!) vestra evertit, parendomi difficile che il Iuppiter faccia da soggetto anche di evertit. Chi cita è Macrobio, e per semplice confronto formale con Virgilio. P. es., escluso il causae, <at res bene genti> non…? g e n t i v e s t r a e = ‘il popolo che voi (ambasciatori) rappresentate’. Ann. 46710 – Può darsi che tu abbia ragione. Eppure resta un fatto: che il frammento è citato dopo due frammenti scenici (di Plauto e Cecilio), e di questi due non si cita il titolo dei drammi (a quanto pare dal Vahlen). Doveva Carisio fare un’eccezione per l’ultimo, Ennio? Dico questo senza sapere della tecnica di citazione di Carisio, ma solo come dubbio. – O mettere il frammento fra gli incerti? Ann. 30811 – Suadas<que> molto buono. Certo suadae non si può lasciare, e considerare la citazione interrotta è arrischiatissimo (cfr. Quintiliano). Curiosa un poco la mancanza del -que in tutta la tradizione; ma insomma solo in Quintiliano è indispensabile pensare a omissione meccanica: altrove (Cic. Brut.) sarà stato omesso dallo scrittore. Un’altra proposta (coraggiosa) – Ann. 254 sg.12 legio reddit <t>u<m> ru[mo]re ruinas, | mox auferre domos populi rumore secundo | <incipit> (o simm.). V a n t a g g i : I) è forse la congettura più semplice possibile, se non si vogliono vedere 2 frammenti (che non conviene) – reddittū > reddittu; Vd. lett. 45. Vd. lett. 45. 11 Vd. lett. precedente. 12 Vd. lett. 48-9, 51, 66, 103-4, 106-7, 109, 111. 9 10 87 rure > rumore per suggestione del rumor che si esemplifica; I I ) ottima serie paronomastica r e ddit … r͓ure r͓uinas; I I I ) evita di presupporre una citazione ‘acefala’ per il senso; I V ) dà, mi pare, buon senso. La legione (romana) distrugge prima i campi, poi le case (della città?). Per il populi rumore secundo penserei ad es. a un’azione della guerra di Sicilia, in cui, con l’appoggio di una popolazione indigena, i Romani vanno a far distruzioni in un paese vicino (e forse ricambiano un’azione di questo secondo paese contro il primo?). D i f f i c o l t à : I ) di reddere ruinas non conosco esempi, ma sì di dare, edere ruinas. Vd. però Ann. 58 e Serv. Dan. ivi ascritto dal Vahlen – e tieni conto dell’allitterazione – (oppure reddere ruinas = ‘ r i c a m b i a r e l e d i s t r u z i o n i ’ , sul tipo di reddere cladem? – ma non crederei); I I ) c’è nell’arcaico rure per ruri? Conosco solo Funaioli, ora in Studi di lett. ant., II 2, 271 sgg.13 Rure è tramandato e, credo, generalmente accettato in Plaut. Cas. 110; dubbio in Merc. 760. Aggiungi la comodità metrica, che facilita l’abl. in poesia esametrica e, secondo il Funaioli, l’avrebbe reso necessario in Ennio per Kartagine. Rure locativo nella stessa sede Hor. epist. 1, 7, 1. Tutto sommato, cosa te ne pare? Ti abbraccio affettuosamente e torno a ringraziarti di tutto. Tuo Scevola Mariotti G. Funaioli, Studi di letteratura antica. Spiriti e forme, figure e problemi delle letterature classiche, 2 voll. in 4 tomi, Bologna 1946-48. 13 88 48 12. 3. 1948 Carissimo Mariotti, lunedì prossimo (15 marzo) Pasquali verrà a Pisa, e io gli darò il tuo articolo1 facendogli le opportune raccomandazioni e cercando di informarmi sulla data della pubblicazione. Ho letto i tuoi Adversaria (anche quello su Anacreonte e Sinesio)2 con interesse e con pieno consenso. Ti ringrazio delle gentili citazioni. È superfluo dire che il confronto con Ann. 400 non è affatto un «furto», trattandosi di cosa del tutto ovvia e facilmente trovabile mediante l’indice del Vahlen3. Quanto a Sc. 304, il Plasberg (nell’edizione degli Academica di Cicerone) mantiene appunto caeruleae, che certo è sostenibile. Tuttavia dal Thes. appare che caerul(e)us nel senso di ‘scuro’, ‘fosco’ non si trova mai riferito a persone o a divinità (e anche i confronti addotti dal Plasberg, Aesch. Coeph. 1049, Stat. Theb. 1, 600, mi paiono poco calzanti): invece l’aggettivo è spessissimo riferito ai serpenti. Sopra tutto probante a favore di caerulea è Verg. georg. 4, 482 sg. caeruleosque implexae crinibus angues Eumenides. Perciò io sarei per accettare la lievissima correzione caerulea: ma certo è possibile essere di parere diverso: vedi tu, e casomai scrivimi5. Ann. 2586 – Tu hai perfettamente ragione di farmi osservare che la divisione delle parole non ha valore di tradizione e che quindi vestrae vertit per vestra evertit non è ‘emendazione’, ma semplice ‘lettura’. Questo è verissimo. Però pur non negando che il senso possa essere incompiuto, tuttavia, tra una lezione che dà al frammento senso compiuto ed una che obbliga a postulare un’integrazione, io credo che la prima vada preferita: cioè che, in questo caso, sia preferibile vestra evertit. Che Iuppiter faccia da soggetto anche di evertit non mi pare veramente improbabile. Se ammettiamo in Ann. 2227 quantis (o quantus Mariotti) consiliis quantumque potesset in armis (dove consiliis dipende da un esset che va ricavato dal seguente potesset), mi pare che possiamo anche, e con minore sforzo, ammettere che il Si tratta di M., Adversaria philologa I (cit. lett. 5). In proposito vd. lett. precedente, a cui T. risponde. 2 Vd. le due lett. precedenti. 3 Si riferisce a quanto M. scrive nella lett. precedente. 4 Vd. lett. 43. 5 Di seguito a matita M. scrive: «Hai certo ragione». 6 Vd. lett. 45. 7 Vd. lett. 38. 1 89 sogg. di evertit sia il Iuppiter della proposizione seguente. Quanto a libertà di collocazione delle parole, in Ennio c’è di peggio. Supplendo <at res bene genti> vel simm., non si corre il rischio di banalizzare? Naturalmente mi limito a esprimere dei dubbi miei, che possono anche essere infondati. P e r o r a (ma continuerò a pensarci) io sarei ancora per mantenere vestra evertit e per attribuire il verso a un dio sceso a rincuorare p. es. Annibale. Livio 21, 22, 6 narra che, prima che Annibale passasse l’Ebro, in quiete visum ab eo iuvenem divina specie, qui se ab Iove diceret ducem in Italiam Hannibali missum. Che la narrazione di un simile sogno ci fosse anche in Ennio? L’inizio della 2a guerra punica era nel VII libro (vd. Norden, Ennius und Vergilius)8, e il nostro frammento è citato proprio dal VII. Il iuvenis divina specie, apparso in sogno ad Annibale (cfr. l’apparizione, da me citata nella lettera precedente di Tiberino ad Enea in Aen. VIII)9, gli dice: ‘coraggio! non temere l’avversità degli dei: non semper vestra evertit, nunc Iuppiter hac stat!’. Ma forse sto troppo lavorando di fantasia. Ann. 46710 – Le tue controobiezioni sono giuste. Rimane, a favore degli Annales, una certa pregiudiziale a favore dell’opera più frequentemente citata. Ma il meglio è, come proponi tu, metterlo fra gl’incerti. Ann. 254 sg.11 – Confesso di non saper dare un giudizio sicuro. L’espressione legio reddit tum rure ruinas mi suona un po’ ostica, tuttavia non saprei concretare in argomenti questa mia impressione. Migliore delle congetture proposte finora la tua è senza dubbio. Anche su questo punto ripenserò. Brevissimamente ti sottopongo una questione. Inc. 1412 atque genua comprimit arta gena è da tutti gli editori considerato oscuro, o guastato con congetture, o peggio ancora fuso con Sc. 427 che nulla ha a che fare con esso. A me il senso sembra chiaro: come appare dal passo di Isidoro che lo cita (vedi Vahlen), Ennio allude alla posizione dell’embrione rannicchiato nell’utero materno: ‘le palpebre serrate comprimono le ginocchia’, oppure: ‘e con le palpebre serrate comprime le ginocchia’. Genae = palpebre cfr. Ann. 532, Sc. 427; gena = genae cfr. Eur. Or. 302 βλέφαρον = βλέφαρα, Hor. naris, clunis, Verg. nuda genu, Enn. Ann. 472 cervix (prosa classica cervices). Metro trocaico ( ᴗ  ᴗ  ᴗ  ᴗ átque genua cómprimit | árta géna) o giambico: tentativi di ridurlo ad esametro falliti, cfr. Valmaggi p. 148, fr. Vd. lett. 43. Vd. lett. 46. 10 Vd. lett. 45. 11 Vd. lett. precedente. 12 Vd. lett. seguente, 112 e 116. 8 9 90 39513. Poco probabile per il contenuto che appartenga a tragedia: invece Saturae o meglio ancora Epicharmus14. Affettuosamente Sebastiano Timpanaro 13 14 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). Vd. lett. 10. 91 49 Pesaro, 17. 3. 19481 Carissimo, ti ringrazio infinitamente per l’interessamento alle mie noterelle2. Sei, come sempre, molto gentile. Quanto a Sc. 303 credo che ogni essere ragionante, dopo quello che tu osservi, rinuncerebbe a caeruleae – e quindi, anche sulle bozze lascerò la citazione come stava4. Passando alla nostra consueta conversazione, comincio col dirti che per inc. 145 tu hai senza dubbio e pienamente ragione. Si conferma che, a leggere bene il tramandato e il relativo contesto, clarescunt molte cose che parevano irrimediabilmente oscure. A te non mancherà poi il modo di cercare i precedenti di quell’osservazione anche negli scienziati antichi (Corp. Hippocr.?). Anche l’attribuzione all’Epicharmus mi pare fondatissima. Su Ann. 2586 finirò probabilmente per rinunciare a vestrae vertit. Ma il dubbio mi pare ancora legittimo, e forse conviene ancora discuterne. In breve: il tuo non è lavoro di fantasia, ma anzi è sforzo giustificatissimo, nel campo delle ipotesi, d’intendere e sistemare il frammento. Il riferimento a Livio è molto acuto. Mi rimane solo un dubbio: everto non sarà, almeno in quella situazione (passaggio dell’Ebro), un verbo troppo forte? (Viene in mente Aen. 3, 1 sg.: cfr. res Asiae ... evertere con vestra evertunt). In fondo neppure la fine della 1a punica mi pare che lo giustificasse appieno. E poi il secondo emistichio p a r r e b b e meglio presupporre bina castra vicini (vd. l’hac), al momento di un urto importante. Naturalmente sono minuzie e si potrebbe pensare a iperbole. Per Iuppiter sogg. di evertit, tu hai certo ragione: nel senso che può ben esserlo stato; ma il fatto che il soggetto non sia nella posizione più normale (cioè sia nella 2a di due proposizioni coordinate) e che chi cita sia Macrobio (1 v. di Virgilio e 1 di Ennio) lascia il d u b b i o che precedesse p. es. un Fortuna. Al momento attuale, vestra evertit ha per sé, se non erro, la possibilità (o probabilità) che il verso dia senso compiuto. Vestra vertit ha l’allitterazione stricto sensu, in principio di parola, e f o r s e può opporre all’altra interpretazione una certa difficoltà di everto, verbo disastroso, catastrofico, visto che sub specie imperfectiva: ‘ n o n s e m p r e 1 2 3 4 5 6 M. scrive per evidente svista 1947. I suoi Adversaria, di cui alla lett. precedente. Vd. lett. 43. Questo passo non comparirà alla fine nell’articolo stampato. Su cui vd. lett. precedente. Su cui vd. lett. 45. 92 atterra le vostre cose ...’, come riferendosi ad una precedente quasi abituale eversio delle sorti degli uni. Ma su questo punto aspetto una smentita. Ann. 254 sg.7 – Quando avrai riflettuto, ti prego di formularmi eventuali obiezioni. Per ruinae fatte in campagna, trovo nel Georges (ed. it.), non meglio identificata, una citazione di Virgilio (georg.?) ruinas dare arboribus8. Finisco con due proposte, alla seconda delle quali tengo di più: Ann. 1599 – prospexit par veramente da non conservare. Ma allora non suspexit è metodico (solo perché dà un nesso più comune), bensì p e r spexit ( P > P) – detto di uno che vuole orientarsi? o fare previsioni meteorologiche? – o, meglio di tutto, della notturna spectio dell’augure. Ann. 62810 – È un frammento tragico, e, secondo il metodo di citazione di Festo, un verso intero, un tetram. bacch. ‘contratto’, come Plaut. Most. 783: Nunc húnc hauscio án conloquár congrédiar. Ennio: Apud émporium in cámpo hostiúm pro moéne. Ho detto tetram. bacch. ‘contratto’ basandomi sul trattatello del Lenchantin (Manuale di pros. e metr. lat., p. 101)11 che rimanda a Lindsay, The Captivi of Plautus, London 1900, p. 86. Ma non credo affatto che si tratti di una scansione sicura: perché escludere il tetram. bacch. catalettico? (... conloquár con|grediár) – e in teoria sarà possibile anche dim. bacch. + reiziano. Comunque questo a me, per il momento, interessa meno. A me basterebbe sapere – e, se, come credo, sei più informato di me, ti prego di dirmelo – quale è la scansione oggi più accettata dalle persone serie. Non ho visto l’edizione di Festo del Lindsay: se c’è a Pisa, ti prego di dirmi cosa ne ha fatto il Lindsay di questo frammento. A più d’uno piacerà la scansione di saturnio con attribuzione a Nevio. A te (come a me) non credo. Ti abbraccio e ti ringrazio ancora. Tuo Scevola Mariotti Vd. lett. 47. Verg. Aen., 12, 453-4 dabit ille ruinas | arboribus. 9 Su cui vd. anche lett. 52-3. 10 Su questo frammento vd. anche lett. 51-2, 55, 57, 62, 64. 11 M. Lenchantin de Gubernatis, Manuale di prosodia e metrica latina, Milano-Messina 1934. 7 8 93 501 [Pisa, 17. 3. 1948]2 Carissimo Mariotti, ho consegnato a Pasquali il tuo articolo3, pregandolo, come mi avevi detto, di pubblicarlo il più presto possibile. Mi ha detto che il fascicolo contenente il tuo articolo su Sinesio4 dovrebbe uscire prossimamente mentre gli Adversaria dovranno, per mancanza assoluta di spazio, essere compresi nel fascicolo seguente, che uscirebbe fra 3 o 4 mesi5. È vero, questi ritardi nella pubblicazione sono spiacevolissimi. Ho l’impressione che sia la casa editrice a far andare le cose un po’ a rilento, non traendo dalla pubblicazione degli «St. it. filol. class.» un vantaggio economico. I più cordiali saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. Data e luogo si ricavano dal timbro di partenza; il luogo oltre che dal timbro dall’indirizzo posto in calce: Timpanaro - via S. Maria, 18 - Pisa. 3 M., Adversaria philologa I (cit. lett. 5). Vd. anche le due lettere che precedono. 4 M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2); vd. lett. 47. 5 In realtà l’articolo uscirà nel 1950: vd. lett. 99. 1 2 94 511 Pesaro, 19. 3. 1948 Carissimo, grazie per la cartolina e per la premura2. Speriamo che Pasquali possa mantenere. In questi giorni, fino a Pasqua, sono un po’ libero, e continuerò a lectitare, senza un filo, frammenti di Ennio. Segno, qua e là, qualche preferenza per determinati tentativi precedenti non accolti dal Vahlen ecc., e, quando se ne presenterà l’occasione, te ne farò un piccolo elenco perché tu mi dia, se ne hai voglia, il tuo più fondato parere. A proposito di Ann. 628, su cui ti scrissi ier l’altro3, allo stesso schema (tetr. bacch. cat.?) si p u ò riportare Sc. 352, evitando l’iato dopo adiri4 (e di 351 cosa ti pare? certo sarà un verso cretico: dim. cret. + ditrocheo o altrimenti? cfr. Plaut. Most. 693 ecc.). Per ruri-rure5 cfr. Ann. 360, che naturalmente io non avrei nessuna intenzione di citare ‘pubblicamente’, perché non è lo stesso e finirebbe per complicare le cose. Tuttavia mi pare probabile che crucĕ sia dativo, comunque il fenomeno si debba spiegare. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti PS. ‒ Mi accorgo ora di un altro tetrametro cretico, Sc. 423: Íllic est núgator, || níhili non nauci homo6. Mi pare sicuro. Diventa un po’ più probabile che sia comico?? Ma è pura impressione. Cartolina postale. Nel marg. superiore c’è la seguente scansione: ᴗ   ᴗ ᴗ   . Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 49. 4 Nel marg. inferiore M. aggiunge: «cfr. anche Ribbeck3 ad l.: bacchei con clausola giambica». 5 Su Enn. ann., 254-5 V.2 vd. lett. 47. 6 Sul frammento vd. le due lett. seguenti e 57, 177, 220-1. 1 2 95 52 Pisa (via S. Maria 18), 22. 3. 1948 Carissimo Mariotti, continuano, numerosi e acuti, i tuoi contributi ad Ennio. Se un giorno condurrò in porto l’edizione enniana, il tuo nome vi sarà citato più e più volte. Ann. 6281. – La tua scansione è ottima. Che il verso sia un saturnio da attribuirsi a Nevio (come ritiene anche il Lindsay, ed. di Festo) è possibile (oscillazione tra Naevius ed Ennius nei codici p. es. in Cic. Brut. 73 extr.), ma non è metodico il supporlo. L’unica obiezione (tutt’altro che insuperabile) che si potrebbe elevare contro la tua scansione è che il verso, per il suo contenuto, sembra recitativo piuttosto che lirico, e quindi poco adatto a un metro come il tetr. bacch. ‘contratto’. Per sfuggire a tale difficoltà si potrebbe proporre una scansione ́ ᴗ  ᴗ ápud empórium | ín campo hostiúm pro moene (otton. troc.: iato tra i due κῶλα normale: ápud empórium in verso trocaico anche in Plaut. Amph. 1012: uso di Festo di citare versi interi non senza eccezioni, vd. ad es. Ann. 296, Sc. 16, 416, 428, Ann. 510 ecc.: ottonari trocaici del tutto equivalenti al settenario, come già dicemmo). A vantaggio della tua proposta resta però sempre il fatto che risulta u n v e r s o i n t e r o . Quanto alla questione «tetram. bacch. contratto o catalettico», escluderei il catalettico perché tale scansione non è possibile per versi come Most. 790 heus tú, si volés verbum hoc cógĭtáre o Most. 314 voló temperi. Áudi, em, tibi ímpĕrátum est2. Perciò o tetrametro contratto, o, forse meglio, dimetro + reiziano (così il Leo, De trag. Romana, p. 163, interpreta Sc. 352). Ci si può chiedere a quale tragedia appartenga questo frammento. Le tragedie di argomento mitico mi sembrano escluse: quell’emporium sa troppo di moderno, e, anche ammesso che Ennio non si curasse troppo degli anacronismi, par difficile supporre che egli immaginasse un emporium dinanzi alle mura p. es. di Troia. Bisognerà allora pensare ad una praetexta e precisamente all’Ambracia: hostium moene saranno le mura di Ambracia assediata4. Più incerto sarei circa Ann. 1595. Mentre caelum suspicere si trova spessissimo in poesia e prosa di stile alto (agli esempi citati dal Vahlen molti 1 2 3 4 5 Vd. lett. 49. In nota a piè di pagina: «Cfr. anche Cas. 662, insectatur omnis domi pĕr aedis». F. Leo, De tragoedia Romana, Göttingen 1910. Cfr. M., BP, p. 119 = BP3, p. 117-8. Vd. lett. 49. 96 altri se ne potrebbero aggiungere, p. es. Cic. Somn. Scip. 1 [passo tutto ennianizzante], Tac. Germ. 10, 2 ecc. ecc.), invece di caelum perspicere il Thes. III 82 cita solo Liv. 40, 22, 3 ut prae densitate arborum … perspici caelum vix posset, dove perspicere caelum significa non ‘scrutare il cielo’, ma ‘arrivare a vedere il cielo’, senso che poco bene si adatterebbe al nostro verso. Tu riferisci il frammento alla spectio dell’augure: ma proprio per simili riti religiosi si usano di solito espressioni tradizionali, stereotipate, e il fatto che caelum perspicere in questo senso non si trovi mai depone contro. Insomma, ho l’impressione che l’emendazione perspexit sia troppo dettata dalla preoccupazione di discostarsi il meno possibile dalla lezione dei codici; e certo, paleograficamente lo scambio per e pro è facilissimo, ma la causa della corruttela può anche essere stata non paleografica, può essere stata p. es., come suppone il Vahlen, l’attrazione del seguente p r o cessit in un verso molto simile, e allora anche l’emendazione suspexit è giustificata. Scrivendo suspexit, il verso si riferisce con tutta probabilità ad un supplice: gli editori pensano a Lucrezia; io riferirei piuttosto il verso a Tanaquil, con una ricostruzione di tipo ‘nordeniano’ che ti espongo qui sinotticamente: Verg. Aen. 2 680 subitum d i c t u q u e oritur m i r a b i l e mostrum 682 ecce levis summo de vertice visus Iuli fundere lumen apex 685 nos pavidi trepidare metu crinemque flagrantem excutere et sanctos restinguere fontibus ignes 687 a t pater Anchises oculos ad sidera laetus e x t u l i t et c a e l o palmas cum voce tetendit 6 Ennius Ann. 36 T. Livius 1, 39, 1 sgg. § 1 prodigium visu eventuque mirab i l e fuit <prodigio della fiam- puero dormienti, cui ma sul capo di Servio Ser. Tullio fuit nomen, Tullio> caput arsisse ferunt <tentativo di spegner- § 2 cum quidam famila da parte dei familia- liarium a q u a m a d ri ignari> restinguendum ferret <Tanaquil li trattiene> … a b r e g i n a retentum Ann. 159 <Tanaquil> caelum suspexit stellis fulgentibus aptum Vd. lett. 15. 97 «Iuppiter omnipotens … haec omina firma» 692 vix ea fatus erat … subitoque fragore intonuit laevom <Tanaquil chiede a Giove una conferma> Ann. 146 <Iuppiter> olim de caelo laevom dedit inclutus signum Tanaquil (perita … caelestium prodigiorum mulier Liv. 1, 34, 9) = pater Anchises (Venus quem … fari donavit, divinum pectus habere Enn. Ann. 19); Ascanio = Servio Tullio7; cfr. conferma della ricostruzione in Omero, Ο 370-78. Non so se sono stato chiaro. Ottima la scansione di Sc. 4238: che sia comico, certo è possibile, tuttavia: 1) estrema rarità di citazioni di commedie enniane; 2) non sappiamo se la lingua tragica di Ennio non avesse degli abbassamenti al livello del parlar familiare, anzi p. es. da Iphig. 119 pare li avesse. Perciò non escluderei che il frammento sia tragico, né mi pare che il metro cretico deponga a favore dell’attribuzione a commedia. Ann. 25810 – O t t i m a l’osservazione che «evertit è sub specie imperfectiva, come riferendosi ad una precedente quasi abituale eversio»: ma quando Annibale si accingeva al passaggio dell’Ebro, i Cartaginesi non solo avevano subìto la sconfitta della 1a guerra punica, ma anche la perdita della Sardegna, e inoltre avevano avuto anche la guerra dei mercenari; e l’invasione gallica del 225 a. C., incoraggiata da Asdrubale, era stata respinta a Talamone. Ce n’era abbastanza per ritenersi perseguitati da Giove quasi abitualmente. Quanto a evertit, si può, come anche tu dici, pensare ad iperbole: Cicerone usa spesso questo verbo per le rapine commesse da Verre a danno della Sicilia (Div. in Caec. 7 eversae provinciae ecc.), e Verre non aveva certo ‘distrutto’ materialmente la Sicilia. Tuttavia certo si può ancora discutere. Infine Sc. 31311 – Bisogna scrivere: praeterea o b Troiam quam m i s s i . Frontone è testimonio infido perché varia per applicare a Marte le parole di Telamone, ma ob = ad (cfr. Ann. 297, inc. 5) e missi = misi (Leumann, Lat. T. aggiunge la seguente nota a piè di pagina: «Significato del prodigio identico: futura gloria del fanciullo». 8 Vd. lett. precedente. 9 Vd. lett. 28. 10 Vd. lett. 45. 11 Così in Vahlen (ed. cit. lett. 21): Praeterea ad Troiam cum misi ob defendendam Graeciam; il fr. non è accolto tra gli enniani da Jocelyn, The Tragedies of Ennius (cit. lett. 21), pp. 394-5. Vd. lett. seguente e 82. 7 98 gramm., p. 142) sono veri, e Cicerone banalizza12. E forse anche mortifera bella al verso seguente è difendibile contro mortiferum bellum. Scusa la troppo lunga e farraginosa lettera. Affettuosamente tuo Sebastiano Timpanaro In nota a piè di pagina T. aggiunge: «Del resto al verso seguente scibam Fronto (recte), sciebam Cic.». 12 99 531 Pesaro, 25. 3. 1948 Carissimo Timpanaro, non per il desiderio di essere citato, ma per ben più seri motivi – cioè per avere un Ennio attendibile – io spero che i tuoi «se», quando parli della tua edizione2, siano solo espedienti retorici. Tu hai già il materiale, e soprattutto la capacità, di fare un’edizione ottima; ma comunque non disapprovo la tua prudenza, quando rimanga ben distinta dall’indecisione. E ora: Ann. 6283 – Ineccepibile la osservazione sull’impossibilità di misurare tetram. bacch. catal.: dunque o contratto o dimetro + reiziano. Quanto al contenuto recitativo, anche a me l’obiezione non pare grave. Il frammento è troppo breve per poter giudicare, e si possono immaginare contesti ‘patetici’, in cantici o commi, p. es. come ‘il cadavere di Tizio giace apud emporium …’, ecc. L’attribuzione all’Ambracia è suggestiva. Ann. 1594 – La mancanza di esempi di caelum perspicere nel senso voluto è effettivamente grave, e io a b b a n d o n o s e n z ’ a l t r o la proposta. A Tanaquil, come avrai visto, pensava, ma senza motivazione, Valmaggi, p. 455. La tua ricostruzione (chiarissima la sinossi) è quanto mai acuta. Bisogna, seppure naturalmente come ipotesi, accettarla senz’altro – ed io ti ringrazio d’avermela comunicata. Sc. 4236 – Evidentemente io somniabam quando ti ho scritto, forse sotto la suggestione di qualche canticum plautino, che la scansione cretica può favorire l’attribuzione a commedia7. Certo il contenuto fa pensare a commedia, ma, come tu giustamente noti, decidere è impossibile. Così giustissimo il richiamo, per il tono, a Iphig. fr. 118. Nel marg. superiore alcuni appunti di lettura di T., una sorta di regesto della lettera, poi cancellati da un segno di matita: «ORNATU INCIDUNT | Liv. com. 3, trag. 29» uniti da parentesi graffa a «Ribbeck2»; «OLLI Kühner, ind. del. Ribbeck2»; «Ernout fiděĭ ecc.»; «COMITATUS …»; «DIUS Thes. DIVVS, DIVINVS»; «ORNAMENTVM singolare»; «O LUX TROIAE!». «ĒS, ĚS? IPSE CVNCTAT». 2 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. 3 M. scrive per svista 620, ma non vi è dubbio che si tratti del fr. 628, su cui vd. lett. 49. La stessa svista ricorre in T. (vd. lett. 55). 4 Vd. lett. 49. 5 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 6 Vd. lett. 51. 7 Si riferisce al postscriptum della lett. 51. 8 Vd. lett. 28. 1 100 Ann. 2589 – Hai ragione per evertere. Quanto a quello che mi dicevi altra volta su una ‘banalizzazione’ che si avrebbe con vestrae vertit10, non ricordo se ti ho risposto che qui non si tratta di giudicare come di ‘varianti’ tramandate. Il contesto noi non l’abbiamo e anzi la ricostruzione più ‘banale’ potrebbe essere preferibile in quanto la più ‘semplice’. Ma, dinanzi al complesso dei tuoi argomenti, io mi decido, almeno per ora, ad abbandonare la proposta – e quindi ti prego, in qualsiasi eventualità, di non parlarne. Sc. 31311 – Ob e missi senz’altro sicuri – e anche questo è un ottimo acquisto. A quanto mi pare, non c’è convenienza a difendere mortifera bella (314), essendo sempre spiegazione più facile quella di un ‘adattamento’ di Frontone al suo diverso contesto. Questo mi par confermato dalle seguenti parole di Frontone12: Mars de Romanis s a e p e m u l t i s q u e i n b e l l i s hoc carmine usus est. Una rilettura di alcuni frammenti mi spinge a farti un gruppo di proposte. Ho timore di seccarti col loro numero; ma conosco la tua pazienza, e mi è sempre più piacevole (ed utile) conversare con te. Lascio da parte stavolta cose più incerte o che portino a più lungo discorso. E, per variare, comincio con due appunti su Livio Andronico (sul secondo dei quali ho ancora da verificare qualcosa): Liv. com. v. 3 R.3 13 (e Lenchantin, Livi Fragm.)14 – Anche questo è senza dubbio un tetram. cret. Da leggere órnamento (-tu cod., corr. Scaliger) ínce[n]dunt || gnóbili ignóbiles. Le altre correzioni non hanno alcun motivo: il senso va benissimo per una commedia. Escludo órnatu (con iato). Liv. trag. v. 2915 – Cum óllis (illos codd., correxi) olim (sic B, soli(m) cett.) me´a͡ voluntate númquam limavít caput [nota la stupida scansione del metricologo Lenchantin che non si è accorto della sinizesi mea͡ !]. Ollis si riferirà a Filomela sorella e Itys figlio di Procne. Ma, come ti ho detto, debbo ancora verificare. Nota l’allitterazione ollis olim per cui cfr. Enn. Ann. 306. Olim = ‘da tempo’. Ed ora passiamo ad Ennio. Ann. 10716 – Io ragionerei così. Ea, con sinizesi, non è da escludere in principio di verso (cfr. Ann. 200 ecc.), e si porta dietro senz’altro un res. Vd. lett. 45. Vd. lett. 48. 11 Vd. lett. precedente. 12 Fronto, p. 220, 12-3 vdH.2. 13 Vd. lett. 55-6. 14 M. Lenchantin de Gubernatis, Fragmenta Livi Andronici, Torino 1937. 15 Vd. lett. 55-57 e cfr. M., Adversaria philologa I (cit. lett. 5), 2, pp. 86-7, e Id., LA, p. 22, nota 2 = LA2, p. 18, nota 10). 16 Vd. lett. 55-9. 9 10 101 Ora se si leggesse res invece di reliquae tutto tornerebbe bene (non credo faccia difficoltà fidĕi accanto a fidēi Ann. 338). Ma l’errore è facile. Basta pensare alle abbreviazioni R, R = res; E͞R, Et R = et reliqua (oppure a un ref preso per rel, reł e letto, concordando con fidei, reliquae). Leggerei dunque: ea͡ mihi res fidei regno vobisque, Quiritis, ecc. Ann. 11017 – Io leggo, oso dire, senza esitazione pectora dia (diu C, dia C2, cfr. ed. Castiglioni) – dia vale ‘nobili (moralmente), generosi’, e per un’espressione come pectora dia cfr. Lucil. 1316 Marx (= 1214 Terzaghi) Valeri sententia dia, dove sententia non molto diverso da pectus (cfr. Hor. sat. 1, 2, 32), ecc. Che cosa si può opporre? A me pare nulla. Che dius non valga ‘divino’ in senso proprio è cosa nota: δῖος è anche l’ὁφορβός in Omero e la parola greca era naturalmente identificata con la latina anche da Ennio (cfr. Ann. 22 dia dearum, cioè δῖας θεάων). Nota l’allitterazione dia … desiderium. Conosci esempi più adatti al confronto di quello luciliano? Ann. 22118 – Leggo: Poeni suos soliti sacrificare puellos e in Nonio19 suos [divis] sacrificare puellos. Divis 1o) manca in Festo; 2o) fa modificare l’ordine delle altre parole, senza che si capisca più come Nonio potesse citarlo; 3o) interrompe la serie allitterante, a meno che non si voglia col Müller metterlo a principio di verso (Poeni s͓uos s͓oliti s͓acrificare puellos); 4o) dev’essere a sua volta seppur leggermente corretto. Non è più semplice pensare che qualche maestro = scolaretto di grammatica ce l’abbia aggiunto per esemplificare il costrutto di sacrifico? (Cfr. exsacrifico usato senza dat. (né acc.) in Sc. 3920). Altre citazioni prive di una sillaba all’inizio in Festo ci sono (cfr. Vahlen, p. lxviii), per errore di tradizione o piuttosto per omissione. Ma questo non ci interessa qui. Ann. 394 sg.21 – Da lasciare esattamente come tramandato. Bellissimo esempio di doppio cumulus di sinonimi in asindeto con parole interposte (fero, indigno, acerbo; contudit, confecit). Sic finale di esametro, come tu hai dimostrato, anche in Ann. 251. T r e sinonimi anche trag. inc. 19 R.3 22 da te citatomi tempo fa. E (con dubbio) potrebbe essere forse intera, con interrogativo (o, che è lo stesso, esclamativo): ‘qual sorte mi ha…?’. Sc. 386 sg.23 – Perché non misurare un senario? Ciò è possibile se si legge Vd. lett. 55-6 e cfr. LE, p. 138 = LE2, p. 85. Vd. lett. 55, 61, 111, 140. 19 Non. p. 158, 23 M. 20 Vd. lett. 57. 21 Enn. ann., 394-5 V.2 Infit «o cives quae me fortuna ferocis [Vahlen: fero sic codd.] | Contudit, indigno bello confecit acerbo …». Vd. lett. 55, 58-9, 87, 103, 116, 214, 221-3, 226, 259, 557, 615, 622 e cfr. LE, p. 48 = LE2, pp. 36-7. 22 Vd. lett. 55, 87, dove, come qui, si tratta in realtà del v. 20. 23 Vd. le seguenti lett. 55-8, 93, 94. 17 18 102 lūgŭbrĭ per correptio iambica in parola cretica. Stolā in fine di verso anche 330, 339 e probabilmente 410. An ecquis? Auguri vivissimi a te e ai tuoi. Ti saluto affettuosamente. Tuo Scevola Mariotti PS. ‒ E Sc. 1924, se è giusta la lettura del Vahlen, non sarà un tetram. cret. cat.? Áliquod lumén, iubarne?, ín caelo cérno. 24 Vd. lett. 55. 103 541 Pesaro, 26. 3. 1948 Carissimo, in appendice alle proposte fatteti nella mia ultima2: Sc. 72 sgg.3 – Devono essere tetram. bacch. catal. (forse chiusi da un dim. acat.). Accolgo, almeno per ora, il più semplice ritocco, <es> di Vahlen. Integrazione iniziale ex. gr.: <Quidnám video?> O lúx || Troiae, gérmane Hectór, quid íta cum tuó || lacerató corporé miser <és>, aut qui té sic || respéctantibús tractávere nóbis? Affettuosi auguri e saluti. Scevola M. 1 2 3 Cartolina postale. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 55-6, 177-9, 182. 104 55 [7. 4. 1948]1 Carissimo Mariotti, i miei «se», quando parlo della mia edizione, non sono espedienti retorici, ma derivano dal fatto che, quanto più procedo nel lavoro, tanto più esso si allarga2. L’anno scorso avevo curato (non so se ho avuto occasione di scrivertene prima) una revisione dell’edizione Valmaggi3 per Chiantore, cedendo alle insistenze di Terzaghi: ma non ne ho più saputo nulla, e vorrei ritirare il manoscritto perché ormai non mi soddisfa più. Adesso poi ho appreso per mezzo di Pasquali che Otto Skutsch sta anch’egli preparando un’edizione di Ennio: se essa sarà buona, dispenserà me dal farla4. Fra le tue proposte contenute nell’ultima lettera, ho ammirato soprattutto la difesa della lezione manoscritta in Ann. 394. Io, scartati gli emendamenti del Colonna (ferox sic) e del Vahlen (ferocis), avevo finito coll’accettare in mancanza di meglio ferocem del Dousa: ma non mi ero accorto che la lezione tramandata è perfettamente accettabile, come tu dimostri inoppugnabilmente col confronto di trag. 19 R. Credo anch’io che si tratti di una frase intera esclamativa. Ann. 6285 – Riconosco che anche per il contenuto può appartenere ad un canticum e accetto senz’altro la scansione bacchiaca da te proposta. Ann. 107 – Anch’io avevo pensato ad ea con sinizesi e a res, e sono contento di vedere che su ciò concordiamo. Soltanto un dativo fidĕī non par possibile, perché per tutta l’età repubblicana vi sono dativi della 5a declinazione in ei͡ (monosillabo per sinizesi) o in ē, in Lucrezio anche (forse per confusione col genitivo) in ēī, ma non mai in -ĕī: rĕī per la 1a volta in Hor. carm. 3, 24, 64, fidĕī per la 1a volta in Manilio 3, 107 (vedi Lindsay, «Class. Rev.» 10, 424; Ernout, Morph. hist., 113). Anche il genit. -ĕī compare solo in Manilio: prima sempre -ēī o -ei͡ . Perciò io pensavo di scrivere: Ea͡ res mi <at>que fidei͡ (o fidē), regno ecc. Paleograficamente la tua proposta sarebbe certo molto migliore, ma di ammettere fidĕī non mi sentirei. Ti prego di scrivermi ancora il tuo parere su questo punto. La data è stata aggiunta da M. Vd. la lett. 53 anche per la discussione che segue. 3 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 4 L’edizione commentata di Skutsch, The Annals of Quintus Ennius, uscirà a Oxford solo nel 1985 (rist. corr. 1986). 5 T. scrive 620 invece di 628, ricalcando la svista di M. 1 2 105 Ann. 110 – Dia scrive solo lo Ziegler, edizione di Cicerone de re publ.6, e i tuoi argomenti a favore di questa lezione sono assai validi. Tuttavia non sono del tutto persuaso: mi sembra che, se è chiamato dius Romolo del verso seguente (o Romule, Romule die), non possono essere detti dii anche i Romani che lo invocano: verrebbe a mancare, diciamo così, lo stacco tra il divino Romolo e i miseri mortali rimasti in terra a piangerne la dipartita. Perciò preferirei scrivere con lo Steinacker pectora dura: durus nel senso di ‘rude, fiero, primitivo’ è epiteto che si adatta benissimo a quei prisci atque horridi contemporanei di Romolo. La possibilità che dia sia corruzione di dura è dimostrata p. es. da Aen. 11, 657, dove R ha dura Camilla (falso), gli altri codici dia Camilla (recte); e può avere influito il Romule die del verso seguente. Anche lo Ziegler nella sua 2a edizione, pur continuando a scrivere nel testo dia, riconosce che l’emendazione dello Steinacker è «valde probabilis». Non nego però che dia possa esser sostenuto. Ann. 221 – La possibilità di Poeni dis soliti sos sacrificare puellos (Hug, Norden) non mi pare del tutto esclusa, ma certo i tuoi argomenti sono da prendere in seria considerazione. Sc. 386 sg. – Giustissima la tua scansione. Et quis pare anche a me insostenibile, né è difeso dall’esempio plautino citato dal Vahlen: forse, meglio che ecquis, sarà da scrivere, nonostante Vahlen, sed quis: Enniussetquis > Enniusetquis. Sc. 19 – Assai probabile la scansione cretica, se la lezione del Vahlen è giusta (aliquod è un po’ sospetto: forse aliud? o forse aliquod appartiene alle parole di Varrone, come pensano Götz e Schöll?). Sc. 72 sgg.7 – Se l’integrazione es del Vahlen fosse giusta, la scansione bacchiaca sarebbe accettabile: ma io credo che giustamente il Leo (De trag. Romana, p. 20)8 respinge tale integrazione che, per voler esser lieve, finisce col non soddisfare quanto al senso. Il Leo propone: Ó lux Troiae gérmane Hector | quíd ita cum tuó lacerato | córpore <abiectú’s> miser aut qui | té sic respectántibus | tráctavére nóbis?, cioè dimetri trocaici + itifallico. Forse si potrebbe anche tentare: Ó lux Troiae, gérmane Hector | quíd ita cum tuó lacerato | córpore <adstas fléns>, miser,| áut qui te sic tráctavere nóbis respectántibus? – Supplevi ex. gr., coll. Verg. Aen. 2, 271: tractavere nobis respectantibus transposuit Ribbeck. Mi rendo conto dell’incertezza di questo tentativo: il miser<es> del Vahlen però mi sembra inaccettabile. Liv. com. 3 R.3 9 – Giustissimo il tuo rifiuto dei cervellotici emenda- A piè di pagina T. aggiunge: «e già prima il Mähly, “Neue Jahrbb.” 75, 1857, p. 360, e lo Zillinger, Cic. u. die altröm. Dichter, p. 102 n. 1». Sullo Zillinger vd. lett. 33. 7 Vd. lett. precedente. 8 Leo, De tragoedia Romana (cit. lett. 52). 9 Vd. lett. 53. 6 106 menti proposti dagli editori. Tuttavia ornamento mi suscita dei dubbi: ornamentum al singolare si trova come nome astratto10 (Cicero ornamento est rei publicae et similia) ma non mai come nome concreto, nel senso di ‘abbigliamento’. In questo senso si trova sempre il plurale ornamenta, e gli esempi sono tanti, specialmente in Plauto (vedi Lodge, Lex. Plaut.)11, che non si può pensare al caso. Ciò mi induce a ritenere che ornamentu vada corretto non in ornamento (Scaligero), ma in ornatu (Ursinus): ornatus = ‘abbigliamento, foggia di vestire’ frequentissimo in Plauto, e ornamentum invece di ornatu ha il codice B in Plauto, Poen. 801. D’altra parte credo anch’io che órnatú íncedúnt con iato sia poco probabile (quantunque cfr. p. es. Ennio Sc. 87 áuxilió | éxilí | áut fugá). Io proporrei di misurare un tetram. bacch. catal.: ornátu incedúnt gnobili ígnobilés; per il metro cfr. Plaut. Rud. 196: nam mé si fecísse aut paréntes sciám, per una certa analogia di espressione in un verso bacchiaco cfr. Plaut. Truc. 463: vosmét iam vidétis ut órnata incédo. Si potrebbe anche supporre: <núnc> ornátu ecc. (tetr. cret.): il <nunc> qui forse non sarebbe semplice zeppa, ma andrebbe bene anche per il senso: ‘una volta gli i g n o b i l i non osavano innalzarsi al livello dei nobili, o r a invece ecc.’. Liv. trag. 2912 – Una sola difficoltà, forse non insuperabile. Olle non è mai usato in poesia scenica, né comica né tragica: in Afran. 67 R. immo olli, ma codd. immo li, vulg. immo illi, altrove (anche Plauto, Terenzio) sempre ille, Ennio olli, ollis negli Annali ma sempre ille nelle tragedie. Tuttavia la ricerca dell’allitterazione con olim può aver spinto Livio a usare ollis. Ad ogni modo, anche se invece di ollis si scrivesse illis, andrebbe ugualmente bene la tua scansione, che mi pare sicura. Forse nel discutere alcuni punti sono stato, senza volerlo, eccessivamente cavilloso: in tal caso, correggimi. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro 10 11 12 A piè di pagina T. aggiunge: «o, meglio, in senso figurato». Lexicon Plautinum, conscripsit G. Lodge, Lipsiae 1900-1933. Vd. lett. 53. 107 56 Pesaro, 12. 4. 1948 Carissimo Timpanaro, un po’ in ritardo ti rispondo1. Cerco di essere breve – gli argomenti essendo parecchi. Il tuo articolo sugli Annales è ottimo e persuasivo2. Le varie particolarità del frammento si spiegano ora felicemente in una maniera unitaria. (Una svista è Ennio per Accio p. 199 nota 3; ambiguo un «quest’ultima» per dire Camena p. 197: questo per dimostrarti la lettura attenta). È proprio da credere che Ennio usasse già Casmena? In Varr. L. L. 7, 253 non si potrebbe ad es. … camena<s. hoc Musa>rum …? Che l’esempio fosse di Camenae, non Casmenae me lo farebbe sospettare l’espressione di Varrone ita n a t u m ac scriptum est alibi. Non si riferirà a un etimo di Casmena > Camena e Casmena? Ti accenno al dubbio senza averci riflettuto abbastanza. Sono sicuro che non rinuncerai alla edizione di Chiantore4. Sarebbe un grosso peccato. Ann. 1075 – È chiaro che si deve rinunciare, e quindi rinuncio, a fidĕi. Eppure, del tutto in privato, un dubbio mi resta. Ann. 1106 – Questa volta sono contento che non tocchi a me proporre dia, che è, per i motivi da te giustamente addotti, rischioso. Eppure io continuo a crederci. In fondo, tramandato è dia e niente garantisce che Ennio volesse un contrasto fra Romolo divino e i non divini suoi concittadini. Anche Romule die non è detto che debba proprio riferirsi al di genuerunt; ma forse die e di del verso seguente giocano fra loro (e col precedente dia). Aen. 11, 657 prova che dia (parola rara) può corrompersi in dura, non viceversa. Desidererei che mi dicessi ancora cosa ne pensi. Sc. 3867 – Una domanda: perché sed quis anziché ecquis? Sebbene il lemma riguardi quis, anche gli esempi precedenti riguardano quisquis e non quis puro e semplice. S’intende alla lett. precedente. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8). 3 La discussione su ann., 2 Musas quas memorant nosce non esse Camenas (su cui cfr. LE, pp. 59-62 = LE2, pp. 90-5), proseguirà nelle lett. 57-9, 101-4, 106-7, 109, 111, 502, 504, 513-5. 4 Vd. lett. precedente. 5 Vd. lett. 53. 6 Vd. lett. 53. 7 Vd. lett. 53. 1 2 108 Sc. 72 sgg.8 – Giustissima la riserva del Leo e tua, ed acuto il tuo tentativo. Ma a me pare che la scansione bacchiaca si possa salvare benissimo (mi pare che abbia, in sé, qualche probabilità) leggendo ora: 74 – miser <ádĕs>, aut … – Cfr. Aen. 2, 271 (adesse) e 283 (venis, nel gruppo d’interrogazioni analogo a quello di Ennio). Adesse è tipico di apparizioni e sogni anche in Enn. Ann. 6, Sc. 289 e 63. Liv. com. 3 R.3 10– Giustissima la tua obiezione e scansione. Liv. trag. 2911 – Giustissima la tua obiezione su olle. Ma: i comici, in quanto usano stile basso, non possono contra facere; dei tragici abbiamo forse troppo poco. E qui c’è poi, come anche tu noti, l’intenzione di allitterare. Se toccherò di questo passo, bisogna che accenni alla tua obiezione; ma siccome dovrò (appunto con quel che dicevo) contraddire, ti prego di autorizzarmi a riferirmi ad essa. Tre scansioni, di cui la terza mi pare utile: Sc. 36912 – Agrós audaces dépopulant ⁞ serví dominorum dómini – settenario giambico con ‘dieresi’ regolare, leggendo domini[s] col Bothe (ma senza le altre sue modifiche), che mi pare il ritocco migliore, anche per il senso. Sc. 23313 – Altri tetr. bacch. quae núnc abs te víduae et vastáe virginés sunt. Var. 1 sg.14 – Ottonario troc. + emistichio trocaico: Quántam statuam ⁞ fáciet populus ⁞ Rómanus, quantúm columnam quáe res tua͡ s gestás loquatur ⁞ ́ ᴗ  ᴗ ́ ᴗ  (ᴗ). Dunque: 1) confermata l’ipotesi che appartenga allo Scipio anziché agli Annales (puoi vedere, senza fatica, se è il Vahlen che per primo ha messo il frammento nello Scipio, come parrebbe?); 2) nello Scipio (e quindi probabilmente nelle Saturae) c’erano anche ottonari trocaici: forse, come in Scenica, alternati con settenari? Scusa la fretta. E grazie per l’interesse che poni alla nostra conversazione! Saluti affettuosi dal tuo Scevola Vd. lett. 54. Su Enn. scaen., 28 V.2; vd. lett. 60, 62, 64. 10 Vd. lett. 53. 11 Vd. lett. 53. 12 Vd. lett. 64 e 66. 13 Vd. le due lett. seguenti. 14 Su Enn. var., 1-2 V.2 vd. anche lett. 57-8, 61, 63-4, 76, 179 e cfr. LE, p. 49-50 = LE2, p. 37. 8 9 109 57 Pisa, 14. 4. 1948 Carissimo Mariotti, ti ringrazio per la segnalazione della svista e dell’improprietà nel mio articolo1; la prima mi era stata fatta notare proprio ieri anche da Terzaghi. Quanto a Casmena, Varrone certo si esprime, come altre volte, in modo assai confuso, e per di più il passo ci è giunto guasto nel cod. F. Tuttavia dalla conclusione del ragionamento di Varrone (§ 27: quare e Casmena Carmena, carmina, carmen R extrito Camena factum) mi sembra di poter arguire che Varrone considerava la forma Casmena come originaria, donde poi per ‘rotacismo’ Carmena e quindi per caduta dell’R Camena. Perciò l’ita natum si riferirà alla forma creduta originaria, cioè a Casmena. La tesi contraria sostenuta dal Vahlen p. xxxiv non mi sembra persuasiva. Tuttavia non sono sicuro di non sbagliare e ti prego di dirmi ancora il tuo parere2. Ann. 1073 – Riconosco anch’io che dispiace dover rinunziare alla tua restituzione a causa dell’improbabilità di fidĕī. Credo che ad ogni modo la tua ipotesi debba essere citata, anche se non accolta nel testo. Ann. 1004 – Giusta la tua obiezione quanto ad Aen. 11, 657 da me addotto per spiegare il passaggio da dura a dia. Nel verso di Ennio però il passaggio può essere stato facilitato da die al verso seguente. Confesso che non riesco a convincermi che dia sia genuino, ma riconosco senz’altro che è difendibile. Sc. 3865 – Ecquis mi sembra impossibile per il senso. Il significato vero di ecquis è ‘forse che qualcuno…?’, numquis? Tale significato non è compatibile con illaec, che allude a persona determinata. Perciò mi par necessario sed quis. Liv. trag. 296 – È giusta la tua controobiezione quanto ad ollis. Naturalmente sei autorizzato (e lo saresti stato anche senza chiederlo) ad esporre la mia obiezione e a controbatterla. Enn. Sc. 397 – Così già scandiva il Lindsay (ed. di Nonio), il quale però 1 2 3 4 5 6 7 Vd. lett. precedente. Sul frammento vd. lett. precedente. Vd. lett. 53. Vd. lett. 15. Vd. lett. 53. Vd. lett. 53. Vd. lett. 53. 110 mantiene a torto dominis. Anche a me sembra che domini del Bothe sia la soluzione migliore. Per ciò che riguarda la metrica, può rimanere un dubbio: se, cioè, si tratti di un settenario giambico o di un tetrametro anapestico catalettico mancante di una sillaba al principio8. Contro il settenario giambico deporrebbe l’anapesto al 4o piede, che in tale verso è rarissimo. Var. 1 sg.9 – Indubbiamente è l’unica scansione che permetta di non emendare. L’attribuzione allo Scipio (sostenuta già dal Müller e dal Bährens, i quali ritenevano però, a differenza del Vahlen, che lo Scipio appartenesse alle Satire) ne risulta, come tu noti, confermata. Non fa difficoltà l’ottonario trocaico, che si trova anche nelle Menippee di Varrone alternato al settenario (fr. 78 Büch. quibus instabilis animus ardens mutabiliter avet habere et | non habere fastidiliter incostanti pectore; cfr. fr. 204) e anche, io credo, in Lucilio 872 sg. Marx = 876 sg. Terzaghi (cfr. Ennio Sc. 361: a torto Marx e Terzaghi dividono in Lucilio sánguine | átro). Del resto un ottonario + settenario appartenente probabilmente allo stesso Scipio, certo ad una satira od altra opera minore, è Sc. 12 Éo ego ingénio (fine di ottonario) | nátus ecc. (settenario): cfr. la 1a parte del mio articolo, p. 80 sg.10. Obiezioni contro la tua scansione non mi pare che se ne possano addurre; rimane soltanto l’impressione che quantam statuam faciet populus Romanus sia un esametro (cfr. l’esametro con cui s’inizia il cap. 5 della Giugurtina di Sallustio: Bellum scripturus sum quod populus Romanus …). Ma la 2a parte del frammento (quantam columnam ecc.) non si può ridurre a misura di esametro senza gravi alterazioni. Sc. 23311 – Possibile, certo, che si tratti di un tetrametro bacchiaco: ma possibile anche la scansione trocaica del Vahlen, la quale è tanto più probabile quanto il settenario trocaico è più frequente del tetrametro bacchiaco. Ho l’impressione che nelle tue scansioni (del resto sempre acutissime, e il più delle volte da accettare senz’altro) tu abbia la tendenza a supporre troppo frequentemente metri cretici o bacchiaci o altrimenti rari. Non bisogna dimenticare che la stragrande maggioranza dei versi di un dramma latino era costituita da senari giambici e settenari trocaici. Quando la scansione cretica o bacchiaca permette di conservare un testo che altrimenti si sareb- In nota a piè di pagina T. aggiunge: «Una scansione āgrós sembra da escludere, nonostante āgri di Ann. 320, perché in versi scenici non si trova nessun esempio di muta cum liquida che faccia posizione. E tuttavia non mi sentirei di negare assolutamente che in un verso anapestico (cioè in un metro sostanzialmente affine al dattilico) Ennio abbia scandito āgros». 9 Vd. lett. precedente. 10 T., Per una nuova edizione, I (cit. lett. 8). Su Enn. scaen., 12 V.2 vd. lett. seguente e 63. 11 Vd. lett. precedente e seguente. 8 111 be dovuto emendare (come p. es. in Sc. 42312, Ann. 62813), allora essa va senz’altro accolta; ma quando è possibile anche una scansione giambica o trocaica, mi pare che altre scansioni siano da ritenere meno probabili. Né costituisce difficoltà il fatto che con la scansione trocaica non risulta un verso intero: tanto Servio quanto il ‘Danielino’ non badano alla compiutezza del metro: cfr. p. es. Ann. 551, 68, ecc. In questo caso poi contro la scansione bacchiaca si può anche osservare che nel modello greco (Euripide Iph. Aul. 731; 736) il passo corrispondente è in senari, cioè in metro recitativo. Che Ennio abbia ‘liricizzato’ un brano recitativo di Euripide non è molto probabile; piuttosto sarà successo qualche volta il contrario (p. es. Enn. Iph. Sc. 245 ~ Eur. Iph. Aul. 1506 sgg.). Sc. 7414 – Con miser <ádes> la scansione bacchiaca è senz’altro accettabile. Una proposta su cui vorrei sentire il tuo parere. Varrone Men. 259 Büch. (cit. da Non. 274 « c o n d u c e r e colligere, convocare»)15: Manius mane <se> suscitat, rostrum suum in rostra adfert, populum in forum conducit. (se suppl. Bücheler: suum in id., sum codd., sub Turnebus). A me sembra che, come vi è un giuoco di parole nel 1o e nel 2o membro del τρίκωλον (Manius – mane; rostrum … in rostra) così ve ne debba essere uno anche nel 3o. L’effetto retorico a cui qui certo Varrone mira verrebbe meno, se proprio nel 3o membro, che deve costituire il culmine della κλῖμαξ, il giuoco di parole non ci fosse. E allora: Manius mane <se> suscitat, rostrum suum in rostra adfert, populum <conductum> in forum conducit (Manio s’alza di buon mattino, porta il suo rostro nei rostri, raduna nel foro gente prezzolata). Per populum conductum cfr. Cic. Phil. 1, 22 multitudini conductae (e Sall. Cat. 52, 14). Pasquali mi ha detto che nel prossimo numero degli «Studi», oltre al tuo articolo sinesiano16, comparirà anche un’ottima nota di tuo fratello17. Si vede che il genio filologico è innato in tutta la tua famiglia! Affettuosamente Sebastiano Timpanaro Vd. lett. 51. Vd. lett. 49. 14 Vd. lett. 180-1. 15 Vd. lett. seguente, 82, 148, 150, 153. 16 M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2). 17 Si tratta di I. Mariotti, Un passo di Sallustio falsamente attribuito a Cicerone, «SIFC», 22, 1947, p. 257 (= Id., Scritti minori, Bologna 2006, p. 49). Vd. inoltre lett. 73 e 184. 12 13 112 58 Pesaro, 26. 4. 1948 Carissimo Timpanaro, è vero che il passo di Varr. L. L. 7, 25 sg. è un pasticcio1. Io ti dico, con tutte le riserve possibili e immaginabili, come mi p a r r e b b e che si possa intendere. Ma aspetto fin d’ora di essere vittoriosamente contraddetto da te. Musas quos memorant n o s cē ́ n o s esse Camenas (forse precedeva in Ennio <Grai>: presentazione anche delle Muse durante il sogno??). <Hoc Musa>rum ecc.: questo nome ha l’etimologia detta altrove (da Casmena ecc., etimologia che sarà stata fatta anche altrove, ad altro proposito?); e così Carmenae. (Infatti) Casmena > Carmena ecc. Avrò torto di sicuro. Su Varr. Men. 259 Büch.-Her. la tua integrazione <conductum> è un capolavoro di acume2. Sarai forse d’accordo, però, che non si può mettere nel testo. Torno per un momento su una vecchia cosa3. Ann. 394 sg. è stato imitato da Verg. Aen. 11, 108 sg. Q u a e nam v o s t a n t o F o r t u n a i n d i g n a , Latini, | implicuit b e l l o , qui nos fugiatis amicos? Se il confronto non è stato fatto, diventa anche qui più interessante, dato il modo con cui Virgilio ha qui adoperato la frase di Antioco in Ennio. In ogni modo risulta confermato che 1o) la frase di Ennio era interrogativa; 2o) il sic è da conservare (cfr. tanto Verg.). Ann. 1074 – Forse, è vero, conviene proporre dubitosamente fidĕi – tanto più che, come Lucrezio può aver usato il dat. fidēī per confusione col genit., così anche Ennio può aver fatto per fidĕi. Cfr. rĕi gen. in Plaut. (Ernout, Morph. hist., p. 112). Sc. 3865 – Hai perfettamente ragione. La mia correzione era semplicemente un grossolano errore – o, per farmi una cortesia, dirò s v i s t a . Sc. 3966 – Anche qui hai ragione, potrebbe trattarsi di tetram. anap. cat. Forse nel testo sarà da mettere la scansione del Lindsay, avanzando il dubbio in nota. Non escluderei neppur io āgros. Sul passo di Varrone e su Enn. ann., 2 V.2 vd. lett. 56. T. aveva espresso il suo parere in proposito nella lett. precedente, a cui M. risponde. 2 Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 53. 4 Vd. 53. 5 Vd. lett. 53. 6 Vd. lett. 6. 1 113 Var. 1 sg.7 – Finissimo il richiamo che fai a Sall. Iug. per la clausola populus Romanus. In ogni modo l’impressione che quantam … Romanus sia un esam. acefalo (impressione che è appunto la causa degli sforzi irriti fatti finora), si può controbattere osservando che nel tetram. troc. latino (non, naturalmente, nel greco) tale possibilità di confusione può avvenire spesso. Un solo es. da Ennio: se si isola il v. 272 della Medea si potrebbe scandire: – mihi maerores, illi luctum, exitium illi, exilium mihi8. Sc. 2339 – La tua critica è giustissima, e coglie anche in generale un difetto di cui anch’io m’accorgo. Quanto alla fattispecie, ritiro senz’altro la mia scansione, perché il richiamo all’originale, che tu fai, è definitivo. Adesso la smetterò, almeno per qualche tempo, di tormentare Ennio (e te) con le mie congetture. Ne ho ancora qualche altra, più o meno dubbia, che esaurirò in due o tre volte (ma mi auguro, anzi prevedo che questo non rallenterà i nostri rapporti). Ann. 54610 – Perché non, p. es., Fortes Romani <stant>, quamquam caelus profundus | <imbre opplet tenas> (cfr. Sc. 384) – o simili? Per fortes … stant cfr. Sc. 30111 fortiter … stare (o meglio adstare). Sc. 190 sgg.12 – Senza farla lunga, ti propongo come leggerei:  ᴗ  ᴗ  ᴗ  ᴗ || dúc et quadrupedúm iugo ínvitam doma ĭnfréna et iu<n>ge, || válida quo[ru]m tenácia ínfrenari mínĭs <potest> (o simm.). Quom, naturalmente, causale. Vd. lett. 56. Nel marg. inf. M. aggiunge: «Dimenticavo di dirti che hai fatto benissimo a ricordarmi la tua scansione ed attribuzione, che credo sicure, di Sc. 12. Ad essa mi richiamerei se dovessi rendere pubblica la proposta. Inutile dire che hai ragione su Lucil. 872 sg. Marx = 876 sg. Terzaghi». Su Enn. scaen., 12 V.2 vd. lett. precedente. Su scaen., 272 vd. lett. 61. 9 Vd. le due lett. precedenti. 10 Vd. lett. seguente e 236; cfr. inoltre M., Adversaria philologa II [1. Enn. Ann. 166 Vahlen2; 2. Enn. Ann. 546 Vahlen2; 3. Pacuv. 272 sg. Ribbeck3; 4. Synes. Hymn. 9, 120 sg. Terzaghi], in Studi in onore di Ugo Enrico Paoli, Firenze 1956, pp. 507-11: 2, p. 509 (rist. in LE 2, pp. 106-7). 11 Su questo frammento vd. lett. 8. 12 Vd. lett. 59, 62, 64, 90-3 e cfr. S. M., Due note enniane, «SIFC», n.s., 31, 1959, pp. 233-5 (rist. in LE 2, pp. 107-9). 7 8 114 Sc. 42413 – An áliquid quod do? n i l m o r a [r e ], sed accipe. ‘È forse qualcosa di valore quel che ti dò? Non esitare, ma prendilo!’. Ti ho presentato questi tentativi forse troppo in fretta. Ma tu sei talmente harum rerum peritus che vedrai senza fatica il buono e il cattivo che può esserci. Quanto a mio fratello, la noterella sua che vedrai rileva un curioso errore tramandato dall’uno e dall’altro editore del De rep. ciceroniano14. […] Evidentemente ha tendenza per la filologia classica, ma ancora non si può dire di più. Del resto, tu non hai nulla da eccepire se incontri due filologi nella stessa famiglia – proprio tu, che appartieni a una delle famiglie più dotte d’Italia! Ti saluto con affetto. Tuo Scevola M. PS. ‒ Riapro la busta per aggiungere due cose, di cui la prima è una seccatura per te – e te ne chiedo scusa. In Victorinus, De soloecismo et barbarismo, pubblicato per intero per la prima volta da M. Niedermann, Neuchâtel, 1937, si legge (p. 34, 10 sgg.): (soloecismus fit immutatione) aut per partes orationis aut per accidentia partibus orationis. quomodo per partes orationis? ut «non ulla laborum, o virgo, nova mi facies» (Aen. 6, 103 sg.) pro «mihi»; adverbium blandientis positum pro pronomine. et «torvumque repente clamat» (Aen. 7, 399 sg.) pro «torve»; nomen positum pro adverbio. Ora il primo esempio non quadra affatto, per la spiegazione che ne è data. Che c’entra il pro «mihi»? A me par chiaro che Victorinus vuol riferirsi all’uso di virgo per il nome proprio della Sibilla (esempi piuttosto strani di questo genere ce n’è parecchi). Allora è da cancellare pro «mihi» e invece di pro pronomine da scrivere pro proprio nomine (proprium nomen subito dopo, linea 21). Io vorrei su tutto questo il tuo parere15; che è subordinato anche a un accertamento: virgo può esser detto a d v e r b i u m blandientis? A me pare (ma in questo momento non posso accertarlo, essendo il Thes. più vicino in Urbino) che adverbium abbia spesso un senso più largo che in italiano16. A proposito del Niedermann, io mi trovo ad avere un suo articolo Tendances euphoniques en latin, in Mélanges Bally, Genève 1939, 423 sgg., dove si tratta anche di Ennio: il famoso palm et crinibus17 gli è negato, si critica una tesi di Leumann su Sc. 311. Se per caso non l’avessi sotto mano 13 14 15 16 17 Vd. lett. seguente. Vd. lett. precedente. Vd. lett. seguente e 62. La ricerca, fatta da T., è comunicata a M. nella lett. seguente. Enn. scaen., 208 V.2, su cui vd. anche lett. 60, 62, 64, 66, 67. 115 (o non lo conoscessi già), io, desideroso come sono di trovare una piccola maniera di ricambiarti le tue molte cortesie, posso benissimo (questa come le altre cose che ho) mandartelo in lettura. Con affetto tuo Scevola18 Nel marg. inferiore del foglio nota di T. tratta dalla voce Adverbium del Thesaurus linguae Latinae (I, coll. 840-2). Segue una lista di nomi affiancati da voti. 18 116 59 [9. 5. 1948]1 Carissimo Mariotti2, cominciamo dalla tua acutissima congettura a Vittorino3. Ho visto il Thes. s. v. adverbium (I 840: l’articolo è di Prinz)4. Un esempio che costituisce una sicura conferma alla tua congettura non l’ho purtroppo trovato. Tra gli esempi citati dal Thes., il più vicino al tuo è Donato ad Ter. Andr. 4, 3, 1 e 4, 4, 5, il quale chiama adverbium admirantis l’espressione di vostram fidem! Tuttavia certo il caso è ancora un po’ diverso da o virgo, giacché di vostram fidem si può considerare come equivalente ad una interiezione (e Diomede I 419 K. nota interiectionem Graeci inter adverbia posuerunt), il che non si può dire, o si può dire solo fino ad un certo punto, del vocativo o virgo. Ma l’articolo del Thes. è tutt’altro che completo: per esempio il passo di Vittorino di cui tu ti occupi non vi è registrato. La questione rimane quindi sospesa. Se si volesse mantenere la lezione tramandata bisognerebbe (ma è arduo) supporre che Vittorino fosse così ignorante da non sapere che mi è dativo del pronome personale = mihi, e da ritenere invece che fosse un avverbio blandientis col significato per esempio di ‘certamente’, ‘in fede mia’, e simili. Ma mi accorgo bene che questa è una sciocchezza: bisogna dunque accettare la tua congettura. Su Varr. L. L. 7, 26 sg. ed Ennio Ann. 25, la tua interpretazione è degna della massima considerazione ed io mi riservo di pensarci ancora. Certo il passo è dubbio, anche perché non è escluso che si debba, con lo Spengel, interpungere: ac scriptum est; alibi Carmenae … (alibi = ‘in altri testi’), anziché col Vahlen e Götz-Schöll ac scriptum est alibi; Carmenae … Ann. 3946 – Ottimo il confronto con Virgilio, che credo non sia stato fatto finora (bisognerebbe però vedere se per caso non si trovi già in Wiemer, Ennianischer Einfluss in Vergils Aeneis VII-XII, Greifswald 1933, che c’è a Firenze ma non qui) e che conferma la tua difesa della lezione manoscritta. Ann. 1077 – Giustissimo il parallelo con fidēi dat. di Lucrezio. 1 2 3 4 5 6 7 La data è stata aggiunta da M. Nel marg. superiore M. annota: «A. 2» con riferimento ad Enn. ann., 2 V.2. Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Su questa richiesta vd. lett. precedente. Vd. lett. 56. Vd. lett. 53. Vd. lett. 53. 117 Ann. 5468 – Con la tua ingegnosa integrazione il frammento acquista per la prima volta un senso. Per stant si può confrontare anche Ann. 153 defessi sunt stantes spargere sese hastis ansatis (dove stantes dello Scriverius mi sembra preferibile a stare et di Vahlen). Sc. 1909 – B e n i s s i m o ! quorum sembra anche a me insostenibile, oltre che per il metro, per il senso. Si potrebbe forse anche scrivere quoius (da scandire come monosillabo, come di consueto nei poeti scenici): ma, tutto sommato, meglio quom. All’inizio, pur non escludendo la possibilità di mantenere duc et quadrupedum iugo, preferirei duc, ut quadrupedem, iugo, ‘conducila al giogo come una giovenca’ (si parla evidentemente di una vergine restia a contraccambiare l’amore di qualcuno): iugo dat. ‘di direzione’ dipende da duc come Ann. 401 conveniunt … tela tribuno, Sc. 57 missa sum … hariolationibus (cfr. morti mittere), Verg. it clamor caelo ecc.10. Che ne pensi? Sc. 42411 – B e n i s s i m o ! Congettura veramente geniale, da accettare senz’altro. Quella del Vahlen è molto stentata. Spero che tu non la smetta affatto di «tormentare» (come dici tu) con le tue congetture me ed Ennio: tanto io quanto Ennio desideriamo vivamente di continuare ad essere «tormentati». Non conoscevo neppure di nome il lavoro del Niedermann12, che qui non c’è, e ti sarò molto grato se vorrai mandarmelo in lettura per qualche giorno. Io ho acquistato recentemente una memoria di A. Cordier, Les débuts de l’hexamètre latin. Ennius13, che è però soltanto un mediocrissimo lavoro di compilazione. Affettuosi saluti. Sebastiano Timpanaro PS. ‒ A conferma di ut quadrupedem in Sc. 190 cfr. Lucil. 1041 sg. Marx = 1090 sg. Terzaghi an<ne> ego te vacuam atque animosam, T h e s s a l a m u t i n d o m i t a m , frenis subigam ante domemque. Quadrupes femm. anche in Catone e Virgilio, secondo il Georges-Calonghi. Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente. 10 Verg. Aen., 5, 451. In nota a piè di pagina T. aggiunge: «Non ho visto nel Ribbeck se per caso ut quadrupedem non sia stato già proposto da altri: il che è probabile, trattandosi di congettura ovvia». 11 Vd. lett. precedente. 12 Vd. lett. precedente. 13 Paris 1947. 8 9 118 60 [giunta il 19. 5. 1948]1 Carissimo Mariotti, ti ringrazio per l’invio del Niedermann2. L’ho letto con molto interesse e te l’ho rispedito oggi per raccomandata. Che ne pensi tu del famigerato palm et crinibus (Sc. 208)3? Io sarei per negarlo ad Ennio, col Niedermann, giacché il confronto con Eur. Hec. 837 è un indizio troppo debole (non so invece se il Niedermann abbia ragione di asserire [p. 433] che gli esempi citati da Cic. Orat. 153 sono tratti dalla lingua corrente e non da poeti). Quanto alla spiegazione dello stranissimo palm-, né la tesi di Klotz (palmet crinibus = palmis et crinibus) né quella del Niedermann (palmit- et crinibus = palmitibus et crinibus) mi persuadono. Anzi, in generale, non riesco a credere all’esistenza nella lingua latina4 di espressioni abbreviate di tipo ‘tedesco’ come palmit- et crinibus, comm- incommodus ecc. Simili espressioni sono possibili nella lingua tedesca, che ha possibilità illimitate di formare parole composte, e nelle cui parole composte i componenti mantengono una notevole autonomia (accento su ciascuno dei due componenti, prefissi separabili ecc.): ma non nella latina, che ha al contrario scarse possibilità di composizione e nei cui composti i componenti sono intimamente fusi. Inoltre: secondo Niedermann (p. 428) Plauto avrebbe scritto comm- incommodus per ragioni ‘eufoniche’, così come per la stessa ragione avrebbe scritto (Niedermann, p. 425) honoris causa anziché honoris gratia perché seguiva gratiis. Ma da Plauto, come dagli altri arcaici, l’omoteleuto, la paronomasia ecc. non erano sentiti come cacofonia, ma anzi come massima eufonia. Plauto sarebbe stato ben lieto di scrivere honoris g r a t i a g r a t i i s dono dabo, se il metro non lo avesse costretto a scrivere causa. E allora anche comm- incommodus sarà da correggere cómis ĭncómmodus col Leo, nonostante Niedermann, p. 428 n. Tornando a palm et crinibus, anche l’ipotesi del Leumann mi pare inaccettabile: qui ha ragione il Niedermann, p. 432. Io confesso di non saper trovare niente di plausibile. Che in origine fosse palma (sing. collett., come spesso manu, pale) et crinibus (come tramanda L), e che Cicerone avesse dinanzi un testo 1 2 3 4 Annotazione di mano di M. Richiesto da T. al termine della lett. precedente. Vd. lett. 58. A piè di pagina T. aggiunge: «almeno nel lat. arcaico o classico». 119 corrotto5? Ma mi rendo conto della grande debolezza di questa ipotesi. Tu che ne pensi? E, intanto che ci siamo, che ne pensi di Sc. 286? Io credo che il Vahlen conservi a ragione incede, incede, ma lo interpreti a torto (Opusc. Ac. II 379)7 come esortazione a fuggire rivolta da Alcmeone a sé stesso. Ha invece ragione lo Zillinger (Cic. u. die altröm. Dichter)8 il quale pensa che Alcmeone si rivolga chiedendo aiuto (‘vieni, vieni!’; incedere = ‘farsi avanti’, termine tecnico scenico, spesso in Plauto) alla vergine Alfesibea, alla quale sono rivolte anche le esortazioni seguenti fer mi auxilium ecc., come attesta Cic. Luc. 89 quid cum virginis fidem implorat. E quanto al metro? Una scansione ́ ᴗ ́ ᴗ ́ ᴗ í n c e d e í n c e d e ádsunt me éxpetunt è molto dura. Io sentirei piuttosto incéde incéde come fine del 1o κῶλον del tetram. troc., e supplirei press’a poco: <át quid est?> incéde, incede! || <ém, vide,> adsunt, me éxpetunt. Per em vide (possibile anche <iam, vide>, o, meno bene nonostante l’allitterazione, <adspice>) cfr. Plaut. Asin. 840 em, adspecta. L’esortazione a vedere da parte del furente è frequente in simili scene: Enn. Sc. 69 Eheu! videte! (Cassandra)9; Eur. Iph. Taur. 285 (Oreste) Πυλάδη, δέδορκας τήνδε; τήνδε δ᾽ οὐχ ὁρᾷς ...; ecc. ecc. fino al Macbeth di Shakespeare. L’iato tra i due membri del settenario è normale. Em vide dopo i due incede può essere caduto per svista di uno scriba, o anche essere stato tralasciato da Cicerone, secondo il suo solito modo di citare saltuariamente. S’intende che l’integrazione sarebbe da proporsi solo in nota, non da introdursi nel testo. Coi più cordiali saluti Sebastiano Timpanaro10 In nota: «Per l’unione di palma sing. con crinibus plur. cfr. ad es. Enn. Ann. 232». Vd. lett. 56. 7 Vahlen, Opuscula academica (cit. lett. 43). 8 Vd. lett. 33. 9 Vd. lett. 62 e 64. 10 M. annota nel margine inferiore della lettera (con riferimento a scaen., 28): «Non credo che si tratti di tetrametro trocaico perché i vv. 29-30 non saranno certo tetrametri, ma versi anapestici (o dattilici). Forse metro lirico (cretici Bücheler)?». 5 6 120 611 [Pontedera, 20. 5. 1948]2 Carissimo Mariotti, in aggiunta alla lettera che ti ho spedito poco fa3 vorrei farti una proposta (che tu giudicherai temeraria, e anch’io ho il sospetto che lo sia) quanto a Var. 1 sg.4. È vero che, come tu osservi, esametro e tetrametro trocaico latino possono confondersi, ed è giusto il richiamo di Sc. 2725. Tuttavia confesso che permane in me l’impressione che la scansione esametrica sia, fino a populus Romanus, molto più scorrevole di quella trocaica. E proporrei di leggere, senza alcun mutamento: – quantam statuam faciet populus Romanus, | quantă(m) columnam, quae res tua͡ s gestas locŭatur? – Per quantă(m) (debolezza di m finale) cfr. Ann. 3716 enĭ(m), Var. 40 scarŭ(m) (come per il d Var. 39 apŭ(d)): debolezza della consonante finale, n o n c o r r e p t i o i a m b i c a , cfr. Jachmann, Studia prosodiaca, 127. Per tuas cfr. Ann. 2218 suo͡ s (sicuro, comunque si legga il verso). Per locŭatur cfr. Ann. 168 acuast (spesso anche in Lucr.), relicuus nei comici ecc. Troppe, dirai tu, 3 particolarità prosodiche in un sol verso: troppe, sì, se si trattasse di un verso degli Annales; ma gli Hedupagetica9, scritti probabilmente prima degli Annales, sono pieni di anomalie prosodiche (cfr. anche il mio 1o articolo10, p. 74); e anche lo Scipio è certo anteriore agli Annales, che appartengono all’ultimo periodo della vita di Ennio. Non pretendo di averti convinto: vorrei ad ogni modo sapere il tuo parere. Affettuosi saluti. Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Per quae in cesura semiquinaria, cfr. Ann. 20 ́ face vero quod | …; Ann. 565 cum legionibus quom | … – Più d’una singolarità prosodica anche in Ann. 371 (eni(m) e ponebāt). Cartolina postale, intestata: «Scuola Media Governativa - Pontedera». La data è stata aggiunta da M.; il luogo si ricava dal timbro postale. 3 Si tratta della lett. precedente. 4 Vd. lett. 56. 5 Vd. lett. 58. 6 Su questo frammento vd. lett. 101, 103-4. 7 Vd. lett. 30. 8 Vd. lett. 53. 9 La discussione proseguirà nelle lett. 80-2, 96-103, 144, 178. 10 T., Per una nuova edizione, I (cit. lett. 8). 1 2 121 621 Pesaro, 20. 5. 1948 Carissimo, ho ricevuto iersera il Niedermann2: potevi tenerlo con tutto comodo. Ronconi mi ha detto di pregarti di mandargli, se ne hai ancora, gli estratti delle due prime puntate del tuo lavoro3. Se non potessi, ti prego di avvertirmi. L’indirizzo è prof. Alessandro Ronconi, via Piave, 19, Urbino. A Urbino ho avuto modo di vedere attentamente il Festo di Lindsay. Ho fatto una curiosa ‘scoperta’: che nell’indice, non nell’apparato, ha avanzato già il dubbio che Ann. 6284 possa derivare da una pretesta (certo in base all’indizio – anche da te visto – dell’emporium). Vedi p. 568b. Prima di esser sicuri che la proposta sia sua, bisognerebbe vedere il Morel, Naev. B. P. 60 (in apparato): quando ti capita, puoi verificare? Naturalmente rimane tua la attribuzione all’Ambracia. Quanto al passo di Vittorino5, ti sono gratissimo delle preziose e ragionate indicazioni. Non so se oserò proporre la interpretazione che ti dissi e che non ti è dispiaciuta. Ci penserò, e forse te ne riparlerò. La mancanza di quel passo di Vittorino nel Thes. si spiega col fatto che il trattatello De soloecismo et barbarismo era ancora in gran parte inedito: l’editio princeps è quella del Niedermann. Poiché non so se l’edizione (in vol. unico) di Consentius Ars de barbar. et metapl. e di Vict. lib. cit. (Neuchâtel 1937) ti sia facilmente accessibile, tengo a tua disposizione la mia copia, il cui possesso appunto mi fece pensare a qualche correzione. In Vittorino non c’è niente, mi pare, che riguardi Ennio; per Consentius il Niedermannn si è potuto servire di un altro codice (B, scoperto dal Lindsay) spesso migliore di M, usato in GLK. Ma purtroppo per Ann. 5676 B è, o pare, peggio di M, avendo: … maiorum orbatur (adscripta in mg. correctione aevi recentioris, ut vid., morbo) athenis. Il Niedermann mette nel testo (p. 26, ll. 3-4) la congettura Nel marg. superiore a matita, di mano di T., in caratteri maiuscoli, si legge «Tibullus». Vd. lett. 58-60. 3 T., Per una nuova edizione, I e II (cit. lett. 8). 4 Vd. lett. 49. 5 Vd. lett. 58-9. 6 Enn. ann., 567 V.2 Huic statuam statui maiorum obatu athenis. Si continuerà a parlare di questo fr. anche nelle lett. 64, 76-83, 85-7, 89-92, 129, 130, 177, 226, 230; cfr. inoltre S. M., Note al testo di Consenzio, ‘Ars de barbarismis et metaplasmis’, «StudUrb(B)», 1, 26, 1952, pp. 196-8 (= SFC, pp. 297-9), a pp. 197-8 (= p. 299), e LE, p. 102 = LE2, p. 66. 1 2 122 dello Stowasser (cfr. Valmaggi)7, che mi pare del tutto immetodica, perché corregge il litteram r dei codd. La lettera era certo r nell’archetipo (come nel precedente es. di Lucilio): r ha Bm1 ed M; s ha Bm2. Se il libro ti può servire, ora o in futuro, non esitare a chiederlo! Di Ann. 567 – come p. es. di Sc. 346 sg. – io non so proprio cosa pensare. Mi paiono rebus insolubili. E a te? Ti ringrazio per l’indicazione del Wiemer8, che non conoscevo. Dove si trova a Firenze? all’Universitaria? Lo farò chiedere per vedere quel confronto, se è stato fatto. Sc. 190 sgg.9 – Credo che il tuo ut quadrupedem sia giusto, anche per l’acuto confronto con Lucilio. Avrai visto già che nel Ribbeck non c’è quella congettura. Mi pare che ormai il fr. sia a posto. Ma non sarà male forse ripensarci. Io confronterei anche, per qualche analogia, il tenacia infre͓nari minis <pote s t > con Ann. 611 sg. nec retr͓ahi pote s t ur | imperiis10, che è, mi ° sicuramente scenico (forse fine di sett. giamb. + inizio di ° sett. giamb.): pare, vi si dà pure, in qualche modo, un esempio di caparbietà. A proposito dell’articolo del Niedermann11, sono d’accordo con te in tutto. Certo né palm- et crinibus né palm<it> et crinibus (peggio ancora) vanno12. Tu quasi mi… provochi a congetturare. Lo faccio in segreto, con te: mi è venuto in mente un palmati crinibus, cioè ‘con la capigliatura ornata di fogli di palma’: di un trionfatore? Cfr. palmata toga. È una congettura che mi è venuta in mente ora: ti prego di dirmi se mette conto di… ripensarci (non dico di più). Sc. 28 – Certo ha ragione lo Zillinger sul Vahlen nell’interpretare l’incede incede13. [Dove si trovano gli Opusc. del Vahlen?]14. Un po’ meno d’accordo con te sarei, per il momento, sul metro. A me parrebbe molto probabile in generale l’interpretazione anapestica del Bücheler (ap. Ribbeck). Sicuramente anapesti sono 31-33; ed è, malgrado tutto, piuttosto strano che nei pretesi ottonari troc. di 28-3015 (e anche 34??) non ci sia neppure un trocheo (o tribraco). Qui del resto un canticum non sarebbe davvero fuori posto. E anzi, perché non ridurre ad ottonari anap. anche 31-33? Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). Vd. lett. 59. 9 Vd. lett. 58. 10 Vd. lett. 64, 66-7, 126, 373-4. 11 Vd. lett. 58-60. 12 Si riferisce a Enn. scaen., 208 V.2, su cui vd. lett. 58. 13 Vd. lett. 56. Per lo Zillinger vd. lett. 33. 14 Vahlen, Opuscula academica (cit. lett. 43); vd. lett. 60. 15 M. aggiunge nel marg. inf.: «dove ci sono ben quattro dattili». 7 8 123 <Hac> íntendít crinítus Apóllo arcum aúratúm luna ínnixús16: Diána facém iacit á laevá … A meno che non convenga ridurre a dimetri anap. 29-30 (e 34??). Insomma, non vedo la ragione di trattare diversamente 29-30 e 31-33: f o r s e p r e f e r i b i l e t u t t i d i m e t r i ? D’altronde non è detto che 28 precedesse immediatamente a 29; e, se anche fosse, niente impedirebbe che lo si intendesse come parte di un verso cretico (Bücheler). Di 27, che senza dubbio precedeva, non so che dire. In sé potrebbe essere anche un improvviso e drammatico reiziano (che lo fosse anche Sc. 69 Eheu videte! ?)17. L’argomento mi sembra interessante, e aspetto lumi da te. Ora in fretta: Sc. 37718 – Certo residuo di ottonario alternato a sett.: dégustandum <est> éx philosophia, nón in eam <est> ingúrgitandum. L’aggiunta degli est non costa nulla, dato il modo di citare di Gellio. Ma anche, senza pena: nón i n illam i n gúrgitandum. Ann. 56619 – Proposta arrischiatissima. Il glossatore dice una sciocchezza; e, anche colle interpretazioni moderne, flamma loci mi pare difficile a sostenere. Ma già c’è un errore sicuro (che può essere antico), pre, corretto poco verisimilmente in est. Tenterei loci … <o>pe: ‘dopo che la fiamma fu squassata, per virtù (o simm.) del luogo, da un turbine di vento’. Il disordine delle parole non fa impressione. Più ardito il nesso loci ope, ma viene in mente auxilio exili Sc. 87. Cosa ne pensi?? Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti In nota M. aggiunge: «Ha ragione il Vahlen di conservare? Egli rimanda a un articolo che non conosco». 17 Vd. lett. 60. 18 Vd. lett. 64. 19 Enn. ann., 566 V.2 Flamma loci postquam concussa est turbine saevo. Il dialogo su questo frammento continua nelle lett. 64-8, 82-3. 16 124 631 Pesaro, 23. 5. 1948 Carissimo Timpanaro, senza dubbio, se non si presentasse l’altra alternativa di misurare Var. 1 sg.2 come tetrametri troc., bisognerebbe accettare la tua scansione3 – che del resto neppure ora io posso escludere totalmente. Tuttavia, forse perché io sono già prevenuto, non esiterei nella scelta: tre particolarità metriche nello stesso verso – e tutte rare, anche tua͡ s, trattandosi di esametri – richiedono pur sempre parecchia buona volontà. D’altronde cosa si può rimproverare alla scansione trocaica? Essa presenta le seguenti caratteristiche che possono colpire: 1a) coincidenza di parola e piede nel 1o emistichio del 1o verso. Ma questo, che forse dà una certa cadenza popolareggiante, non può meravigliare se si ricorda il famoso Postquam Crassus carbo factus, Carbo crassus factus est 4; 2a) tre anapesti consecutivi, che forse gli dànno quell’apparenza un po’ faticosa a cui mi pare che tu ti riferisca. Ma anche qui analogie si trovano facilmente. Il primo verso che trovo in Scen. con questa caratteristica è 61: – gĕnĭēm Prĭămō pĕpĕrī. D’altronde cfr. il verso, che tu hai dimostrato appartenere alle Satire, Sc. 125, con 4 dattili consecutivi: nátus sum amicitiam átque inimiciti(am) ecc. E anche dell’esametro quantam … Romanus non si potrà dire (per quanto questo – lo so bene – non sia un argomento) che è un bel verso, o un verso normale: è spondaico [bei versi non sono neppure Bellum scripturus sum … di Sallustio o Urbem Romam … di Tacito]6 e ha tre consecutive parole anapestiche. Anch’io, certo, non ti avrò convinto. Affettuosi saluti. Tuo Scevola Mariotti 1 2 3 4 5 6 Cartolina postale. Risponde ai quesiti posti da T. nella lett. 61. Vd. lett. 56. Vd. lett. 61. Sacerd. gramm., VI, 461, 28-9. Vd. lett. 57. Rispettivamente Sall. Iug., 5 e Tac. ann., 1, 1. 125 64 [25. 5. 1948]1 Carissimo Mariotti, ho spedito al prof. Ronconi gli estratti del mio articolo2. Il Wiemer è all’Università di Firenze, dove si trovano anche gli Opuscula Academica del Vahlen3. Mi era sfuggita l’attribuzione di Ann. 6284 a una praetexta da parte del Lindsay, e ti ringrazio di avermela segnalata. Il Morel si limita ad attribuire il frammento a Nevio. Del Lindsay è anche da vedere la 2a edizione di Festo (che è più che altro un tentativo di ricostruire dei brani lacunosi) nel IV vol. dei Glossaria Latina (Parigi 1930): si trova alla Nazionale di Firenze. Quanto ad Ann. 5675, conoscevo la variante di B da un articolo del Lindsay («Class. Quart.» 3, 20): pare anche a me che la congettura dello Stowasser6 sia inaccettabile e che finora nessuna soluzione plausibile sia stata trovata. Probabilmente la soluzione va cercata nella stessa direzione dei tentativi del Lachmann e dell’Ilberg citati dal Vahlen (attivo invece del deponente, come horto per hortor): ma anche le congetture del Lachmann e dell’Ilberg sono inaccettabili perché troppo arbitrarie e sforzate. Ann. 611 sg.7 – Ottimo il confronto con Sc. 190 sgg.8 Quanto al metro di Ann. 610, l’ipotesi che si tratti di fine + principio di settenario giambico presenta la difficoltà che il settenario giambico non si trova mai in frammenti tragici9: è vero, il frammento potrebbe appartenere ad una commedia ma, data la scarsezza dei frammenti comici di Ennio, è forse meglio non supporlo. Si potrebbe allora supporre fine + inizio di ottonario trocaico. Tuttavia non so se sia da respingere la scansione dattilica del Vahlen. Sc. 20810 – Il tuo palmati crinibus è degnissimo di considerazione: rimane, certo, la difficoltà di intendere il frammento in relazione alle parole di La data è stata aggiunta da M. Vd. lett. 62. 3 Vd. lett. 59. 4 Vd. lett. 49. 5 Vd. lett. 62. 6 Vd. lett. 62. 7 Vd. lett. 62. 8 Vd. lett. 58. 9 M. annota nell’interlinea: «Ma vd. Sc. 369 (scansione Lindsay)». Su Enn. scaen., 369 V.2 vd. lett. 56; su ann., 610 vd. lett. 220-1. 10 Vd. lett. 58. 1 2 126 Cicerone. Possibile che Cicerone intendesse palmati crinibus = -is crinibus? O bisognerà supporre11 che egli avesse dinanzi un testo già guasto? Sc. 27 sgg. – Perfettamente d’accordo sulla scansione anapestica, non trocaica di 29-30, e sull’esigenza di scandire o tutti tetrametri, o tutti dimetri12: preferirei tutti dimetri, per non essere costretto a supporre un emistichio dopo il v. 33. Ottima anche la tua ipotesi che Sc. 27 (come pure Sc. 69)13 sia un reiziano. Quanto a Sc. 2814, il fatto che 29 sgg. siano anapesti non escluderebbe la scansione trocaica: passaggio da trochei ad anapesti anche nel canticum dell’Andromaca (Sc. 89-91-92 sgg.). Anche la scansione cretica del Bücheler certo è possibile: la trocaica da me proposta mi sembra ancora che dia un ritmo migliore, ma questa certo è una impressione soggettiva di nessun valore. Sc. 37715 – Benissimo! La scansione del verso come ottonario risolve tutte le difficoltà. Bene anche non in illam ingurgitandum (o non ean<dem> ingurgitandum?). Ann. 56616 – Io credo che l’interpretazione giusta di loci sia, nonostante che il Vahlen (in appar.) la definisca «incredibile», quella dello Studemund: loci postquam = postquam loci. Negli arcaici si trova infinite volte inde loci (anche Ennio, Ann. 22, Sat. 4), interea loci, in Plauto Stich. 758 postidea loci, in Sall. Iug. 102, 1 postea loci: non c’è dunque nessuna difficoltà a supporre postquam loci. Certo, è irregolare l’ordine delle parole loci postquam, ché in simili espressioni il gen. loci suole seguire l’avverbio; ma postquam loci o post loci quam erano impossibili metricamente; né questa inversione è più strana di una qualsiasi anastrofe, p. es. di quibus ex in Ann. 37917 (dove è da leggere ex erugit, non exerugit, forma assurda). E allora si capisce perché lo scoliasta citi il verso di Ennio a proposito di Terenzio interea loci, come esempio di uso pleonastico di loci. L’emendamento loci … <o>pe è molto acuto, ma tuttavia lascia dei dubbî: che cosa vuol dire che la fiamma fu squassata dal vento ‘per virtù del luogo’? che si trattava d’un luogo particolarmente ventoso? È possibile ma mi sembra un po’ sforzato. Inoltre si è costretti a supporre che lo scoliasta citi il verso enniano a sproposito, la quale supposizione può essere evitata accettando l’interpunzione di Studemund. Se si volesse tener fermo ope (giacché la correzione di pre in est è, come giustamente osservi, poco verosimile), si potrebbe scrivere: Flamma 11 12 13 14 15 16 17 M. annota nell’interlinea: «? p. es. consul incedebat p. c.». Vd. lett. 62. Vd. lett. 60. Vd. lett. 56. Vd. lett. 62. Vd. lett. 62. Vd. lett. 75-6, 78, 572. 127 loci postquam concussa ope turbini’ saevi: ‘dopo che la fiamma fu squassata per opera del fiero turbine’ (ope = opera, cfr. Var. 20 e Seneca ad l.). -e per -i’ (= is) è frequente nei codici di Lucrezio (e del resto cfr. le oscillazioni potis / pote, magis / mage): e la scrittura turbine per turbini’ doveva trascinarsi dietro fatalmente la corruzione di saevi in saevo18. Scrivimi ancora su questo argomento. Var. 1 sg.19 – I tuoi argomenti contro il mio tentativo di scansione dattilica sono giustissimi. È vero, la scansione trocaica è migliore. Sc. 26920 – Qui volt <esse> quod volt integrano gli editori coi codici deteriori. Ma esse non è necessario, anzi guasta il senso: qui volt quod volt = ‘chi vuole davvero ciò che vuole’, come in Plaut. Trin. 242 qui amat quod amat = ‘chi ama davvero l’oggetto amato’ (vd. Brix-Niemeyer21 ed Ernout22 ad l.). Né esse è necessario per la metrica: si può, congiungendo con 268, scrivere: ni ób rem? qui volt quod volt, ecc., ottenendo un settenario intero. Fa difficoltà il fatto che Cicerone, dopo aver citato qui volt … dabit, lo chiami versus23? Non credo. Affettuosamente Sebastiano Timpanaro T. aggiunge a piè di pagina: «O anche: una volta che ope divenne pre, turbinis saevi fu mutato in abl. per concordarlo con pr<a>e». 19 Vd. lett. 56. 20 Vd. lett. 26. 21 Ausgewählte Komödien des T. Maccius Plautus, für den schulgebrauch erklärt von J. Brix, I, Trinummus. 4. Auflage umgearbeitet von M. Niemeyer, Leipzig 1888 (19316). 22 Plaute, Comédies, texte établi et traduit par A. Ernout, VII, Paris 19401 (19612). 23 Cic. nat. deor., 3, 65. 18 128 651 [Pisa, 30. 5. 1948?]2 Carissimo Mariotti, ancora due parole su Ann. 5663. Mantenendo per loci l’interpretazione dello Studemund (sulla quale mi dirai il tuo parere) e riconoscendo d’altra parte che l’emendamento di pre in est è, come tu giustamente hai osservato, improbabile e che anche l’ope turbini’ saevi da me proposto è forse troppo audace, proporrei: Flamma loci postquam concussa a (o ab) turbine saevo. Nessuna difficoltà per l’ablativo con ab: il turbo saevus qui è personificato, e del resto Cicerone ha (traggo la citazione dal Gandiglio) a b arboribus hic locus opacatur 4 e vapore a sole … excitantur 5. Non fa difficoltà nemmeno l’elisione concuss(a) ā: Sc. 29 abig(e) ā me, Ann. 484 c(um) ā. Paleograficamente si spiega benissimo il passaggio da concussaapturbine (ap per la solita tendenza dei copisti ad assimilare le preposizioni e i prefissi alla iniziale seguente) a concussapturbine e quindi a concussap̅turbine. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Il turbine personificato come le Tempestates serenae in Ann. 457, i venti in 443 sgg. ecc. Cartolina postale. La data si ricava con qualche incertezza dal timbro postale, il luogo dal timbro postale e dall’indirizzo posto in calce: Timpanaro - via S. Maria 18 - Pisa. 3 Vd. lett. 62. 4 Cic. leg., fr. Macr. Sat., 6, 4, 8. 5 Cic. nat. deor., 2, 118 (non vapore, ma vaporibus). 1 2 129 661 Pesaro, 2. 6. 1948 Carissimo Timpanaro, ti ringrazio di aver spedito gli estratti a Ronconi2, che credo ti avrà risposto direttamente. Mi procurerò la 2a ed. di Festo del Lindsay, anche per vedere come tenta (e se tenta) di ricostruire il passo dove è citato, a quanto credono, Ann. 356 sg.3 e 503. Io confesso di non capire affatto l’integrazione alla p. 362, 10 Linds.1 (dello Scaligero): <R o m a n o s in lib. XI Annal. Graio>s appellat Enni|<us ecc. Qualcosa però vorrà dire, ed io ti prego di spiegarmelo. Giacché sono in argomento, ti accenno (riservandomi di ripensarci e di perfezionare, se ne mette conto) a che punto sono con un molto dubbio e ipotetico tentativo di ricostruzione: l. 10 sgg.: <R o m a n o s Latine loquente>s (oppure L. l. omne>s) appellat Enni|<us in Annal. lib. VII (?? o I ??) «Versus qu>os Grai memo|<rare solent heroos, eos͡ dem Romani li>ngua longos per|<hibemus» (cfr. inc. 20; per la forma Ann. 148 ecc.) Romanē idem lib. XI (?)> «Hispane (-i cod. F) non Ro|<mane memoretis loqui me …». Non vedo ancora una difficoltà definitiva. Non è normale, credo, dire Romani, Romane per Latini, Latine parlando della lingua; anche se, per il 1o framm., Verrio Flacco poteva ricordarsi il Nos sumus Romani, poteva pur sempre non ‘ritenere’ Romanus Ennio. E d’altra parte Romani … perhibemus (o tanto più perhibent, perché il nome di versus longi poteva preesistere ad Ennio; vd. i probabili esametri di Livio Andronico)4 poteva essere inteso come indicazione generale, per Latini. Ma non proseguo, attendendo un tuo giudizio, sull’opportunità di continuare. Un’altra proposta: in Ann. 5635 e 5646 non mi par proprio il caso di mantenere due misure diverse della stessa parola carĭnantibus (564) e carīnantes (563). D’altra parte 563 offre qualche difficoltà, in sé preso, per il senso; e proprio per il senso deve aver tentato aeque il Castricomius (non ho visto Haupt cit. dal Vahlen ad v.)7, che avrà inteso, se non erro, contra Nel marg. superiore M. scrive: «Mi accorgo di aver scritto male, per la fretta. Scusami». Vd. lett. 64. M. risponde ad essa e, insieme, alla lett. precedente. 3 Vd. lett. 67-70, 93, 107, 563 e cfr. LE, p. 62 = LE2, p. 44. 4 Sugli esametri di Livio Andronico vd. anche lett. 80-2, 106-7, 134-5, 137. 5 Enn. ann., 563 V.2 Contra carinantes verba atque obscena profatus. Vd. lett. 67-73, 465. 6 Enn. ann., 564 V.2 <–> neque me decet hanc carinantibus edere chartis. 7 Così Vahlen2 (ed. cit. lett. 21) in apparato: «De contră vide ad 463 aeque cum Castricomio Hauptius opp. i p. 117 obscena: Festus p. 212, 31 Th. verba impudentia elata appellantur obscena; idem p. 236, 1 apud antiquos obscena dicta quae mali ominis habebantur». 1 2 130 come preposizione. Come stanno, se no, carinantes plur. e profatus sing. coordinati? (a meno che non si voglia immaginare un frammento citato temere per il senso, che mi par meno probabile). Insomma, io correggo: contra carĭnan[te]s verba atque obscena profatus cioè obtrectans (contra naturalmente avverbio) et dicens verba obscena. Per la corruzione, cfr. il contesto di Serv. Dan., dove subito prima si parla di un genus che obtrectare solebat, e soprattutto segue il plur. carinantibus. Inoltre: dopo contra si poteva aspettare un accusativo8. Ann. 611 sg.9 – Forse è veramente meglio fine + principio di ottonario, ma settenario mi par sempre piuttosto probabile (col Lindsay) che in Sc. 36910. D’altronde confesso di non capire che convenienza ci sia a sospettare che il frammento si potesse trovare negli Annali. Non solo infatti esso è citato da Diomede insieme con frammenti scenici (e il ragionamento del Vahlen, ad frg., p. 114 non mi par giustificato) ma ogni integrazione, compreso reprimive del Vahl. è fatta s o l o in funzione del metro e non del senso. Sc. 20811 – Non capisco bene la tua obiezione. Non potrebbe palmati crinibus essere una scrittura analoga alle altre citate da Cicerone multi modis, tecti fractis per multis modis, tectis fractis? Cicerone potrebbe averla trovata, poniamo, in annali in cui si parlava di un trionfo, p. es. consul procedebat palmati crinibus. Il che non vuol dire che io sia ben convinto della legittimità dell’espressione palmati(s) crinibus e dell’opportunità di proporla. Ann. 56612 – Il tuo ab turbine è ottimo e molto migliore di est turbine (e anche migliore di ope turbinis). Quanto a loci postquam credo che ti si debba dar ragione. Tuttavia non posso ancora dirmi completamente persuaso della opportunità di abbandonare loci … <o>pe. Io ho ancora un dubbio (non prove, purtroppo!) che lo scoliasta non legasse loci postquam, ma flamma loci. Mi pare, leggendo lo scolio, che chi l’ha scritto intendesse stupidamente dire che loci si può aggiungere a qualsiasi parola, ad libitum: vedi o m n i significationi; e f o r s e anche addi dà più l’idea di s e g u i r e che di u n i r e . Se anche questo fosse giusto, resterebbe sempre discutibile la legittimità, specie per congettura, di un’espressione come loci … ope, nel senso, in fondo, di loci causa o simm. È per questo, e per togliermi quindi ogni dubbio residuo (dopodiché dovrei accettare loci postquam e ab turbine), che ti prego, quando ti capita l’occasione, di dar un’occhiata In margine si aggiunge: «Citato senza monosillabo iniziale anche 564». Vd. lett. 62. 10 Vd. lett. 56. 11 Vd. lett. 58. 12 Vd. lett. 62. 8 9 131 al Lodge13 e magari anche a qualche altro lessico (virgiliano? liviano?) se capitino esempi di ope o operā senza che vi sia vera a z i o n e da parte del genitivo dipendente. Capisco di volere arrampicarmi sugli specchi, ma in fondo anche locus potrebbe essere ‘personificato’ (ricorda il genius loci) e vedersi nel suo favore la ragione per cui il turbo può concutere più facilmente la flamma. Sc. 26914 – Ottimo il tuo confronto con Plaut. Trin. 242. Hai ragione s e n z a d u b b i o a eliminare l’esse (qui volt quod volt si avvicina ora anche più a cupita cupiens di Sc. 298)15 e con estrema probabilità a unire 268 e 269. N e s s u n a difficoltà per il versus di Cicerone16, espressione approssimata ma naturalissima. Ancora a proposito di Ann. 254 sg.17: confronterei, per il mio tentativo, legio reddit tum rure ruinas ecc., Ann. 49518: Et detondit a g r o s laetos atque o p p i d a cepit. Il senso mi pare pressappoco lo stesso. Mi hanno detto di un articolo sull’ «Unità» (che non ho visto) di qualche tempo fa, a firma Seb. Timpanaro che attribuiscono a te. È vero? Ti avverto che sarei l’ultimo a scandalizzarmene (!), dato che sono del PSI e quindi del «Fronte»19. Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola Mariotti 13 14 15 16 17 18 19 Lodge, Lexicon Plautinum (cit. lett. 55). Vd. lett. 26. Vd. lett. 27. Cic. nat. deor., 3, 65-6; cfr. lett. 64. Vd. lett. 47. Vd. lett. 106. Vd. lett. seguente. 132 67 [5. 6. 1948]1 Carissimo Mariotti, ai legami filologici che già tanto strettamente ci univano si aggiunge ora, come apprendo dalla tua ultima lettera, anche un legame politico: anch’io, difatti, appartengo al PSI!2 Quanto al presunto articolo sull’«Unità», si tratta di una notizia falsa, poiché né io né mio padre (il quale è anch’egli del PSI) abbiamo scritto mai sull’«Unità»: forse tale notizia sarà sorta per confusione con l’adesione di mio padre all’«Alleanza della cultura»3, la quale fu pubblicata anche dall’«Unità»,. E torniamo alla filologia. Ann. 3564: ti trascrivo anzitutto la ricostruzione che il Lindsay2 (già in «Class. Quart.» 21, 1927, p. 81) tenta del passo di Festo p. 362: <R o m a n o s priscos Graeco>s appellat Enni<us in lib. XI: «contendunt Grae>c̣os, Grai<os> memo<rare solent5 sos, una usos li>ngua longos per <temporis tractus» et postea:> «Hispane non Ro<mane memoretis loqui me». Gra>ecum Romulus ur<bi nomen dedit, quippe qui non Lat>in[a]e locutus sit. Secondo il Lindsay dunque il passo di Festo si riferirebbe alla nota teoria (sostenuta da Elio Stilone e da altri) della derivazione della lingua latina dalla greca. A ciò pensava certo anche lo Scaligero col suo supplemento (assai poco felice) <Romanos Graio>s appellat Ennius. La ricostruzione del Lindsay parte dal presupposto (finora comunemente accettato) che nelle parole frammentarie c̣os Grai memo si debba riconoscere lo stesso fr. Ann. 356 citato da Festo stesso a p. 388 Lindsay1: contendunt Graios, Graecos memorare solent sos. La tua ricostruzione implica invece la n o n identità dei due frammenti: il che mi sembra che non costituisca nessuna difficoltà, giacché tra c̣os Grai memo e Graios Graecos memo(rare) c’è differenza, e nulla dice che a p. 362 Grai vada corretto in Graios per il confronto con p. 388, e che viceversa a p. 388 Graios Graecos vada transposto in Graecos Graios col Vahlen. Ciò premesso, la tua ricostruzione mi sembra ingegnosissima e degna della massima attenzione. Un solo dubbio mi resta: non vedo bene che cosa ci sarebbe stato di ecce- La data è stata aggiunta da M. Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. 3 Il 19 febbraio 1948 il PCI fonda l’«Alleanza della cultura», iniziativa che si articola in una serie di posizioni contro la minaccia della guerra fredda, contro l'indifferenza alle condizioni di vita delle masse e contro l’attacco alla libertà della cultura. 4 Vd. lett. precedente. 5 M. sotto «… <os> memo<rare sol …», che sottolinea, annota «non si vede come leghi». 1 2 133 zionale nell’uso di Romani; che Romane per Latine sia eccezionale è certo, che lingua Romana per lingua Latina sia anch’esso raro è vero (i lessici citano esempi di Ovidio Velleio Plinio Quintiliano), ma che Romani versus heroos longos perhibent invece di Latini ecc. sia eccezionale non mi sembra. Altra cosa è che Romanus di regola non si usi come attributo di lingua, sermo, ecc., altra che Romani non possa essere soggetto di un verbo come appellare, perhibere, ecc. Non vedo dunque perché Verrio avrebbe dovuto notare come eccezionale l’uso di Romani in quel verso di Ennio. Tuttavia questa difficoltà non pare nemmeno a me decisiva, e quindi, ripeto, credo che la tua ricostruzione meriti di essere sostenuta. Non fa certo difficoltà la sinizesi eos͡ dem (cfr. Ann. 200): tuttavia si potrebbe anche scrivere nostrā Romani linguā ecc. Ann. 5636 – Già il Salmasius (citato da Haupt, Opusc. I 117)7 aveva congetturato <Et> contra carinans verba atque ecc. E il fatto che tale congettura sia stata di nuovo escogitata da te sarebbe una conferma della sua bontà. Tuttavia c’è un ostacolo (già rilevato dal Haupt) che mi sembra insormontabile: l’iperbato di atque (verba atque = atque verba), del quale (come di quello di et) non si trova alcun esempio prima dei poeti augustei (cfr. Thes. s. v. et e atque: tutt’al più per atque si risale a Cesare nei famosi versi su Terenzio: lenibus atque utinam ecc., dove tuttavia atque è più rafforzativo di utinam che copulativo: per et nessun esempio prima di Virgilio). Il Leumann (Lat. gramm. p. 318)8 ammette la coesistenza di carĭnare e carīnare 9, osservando che siccome esistono da un lato coquĭnare bubĭnare inquĭnare, dall’altro opīnari, festīnare, può essere avvenuta contaminazione tra i due tipi. Se non si vuole accettare questa opinione10, bisognerà dividere il frammento tra due versi come facevano gli editori precedenti (vd. Valmaggi)11: contra carinantes || v e r b a < a t r a > a t q u e o b s c e n a p r o f a t u s o per esempio v e r b a < i p s e > a e q u e o b s c e n a p r o f a t u s . Del tutto assurda a mio avviso la scansione del Meister (Thes. s. v. carinare) accettata dal ́ con soluzione della 2a arsi Hofmann Lat. Et. Wört.12: cóntrā cărĭnantés Vd. lett. precedente. M. Haupt, Opuscula, 3 voll. in 4 tomi, Leipzig 1875-76 (Hildesheim 1967). 8 F. Stolz, J.H. Schmalz, Lateinische Grammatik: Laut- und Formenlehre: Syntax und Stilistik, in 5. Aufl. vollig neu bearbeitet von M. Leumann und J.B. Hofmann, München 1926-28. 9 Al di sopra della riga M. annota: «ma non c’è opĭnor e opīnor, ecc.». 10 T. aggiunge in nota a piè di pagina: «naturalmente sarebbe poi sempre necessario correggere atque in aeque col Castricomius (correzione del resto assai lieve)». 11 Ennio, I frammenti degli Annali (vd. lett. 17). 12 A. Walde, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, 3. neubearbeitete Auflage von J.B. Hofmann, 2 voll., Heidelberg 1938-40. 6 7 134 (mentre gli esempi di soluzione dell’arsi che si trovano o sembrano trovarsi in Ennio sono tutti nel 1o piede che, come in Omero, gode di speciali libertà). Scrivimi ancora la tua opinione su questo frammento. Sc. 20813 – La mia osservazione era dovuta a fraintendimento: va benissimo palmati(s) crinibus come multi(s) modis ecc. Ann. 56614 – Ho visto il Lodge15 per ope: in Plauto c’è solo Poen. 132 ope … tua = ‘per tua opera’, in senso proprio. Quanto ad operā, oltre a qualche esempio di operā tua, vestra ecc. in senso proprio, c’è Rud. 699 lautae ambae sumus operā Neptuni noctu: ma anche qui c’è vera e propria azione da parte del genitivo. Ho visto anche il Merguet Lex. Verg., oltre che il Forcellini e il Georges: niente di simile a loci ope. Quanto all’espressione dello scoliasta, certo essa è assai imprecisa, ma tuttavia non dimentichiamo che egli cita il verso enniano a confronto del terenziano interea loci: mi par dunque probabile che egli unisse loci postquam, espressione parallela appunto ad interea loci. Che addere dia l’idea di s e g u i r e più che di u n i r e è forse osservazione troppo sottile. D’altronde, la supposizione che lo scoliasta legasse flamma loci, se contrasta con l’interpretazione dello Studemund, contrasta anche, e non meno, anzi ancor più, col tuo loci … ope: essa, caso mai, confermerebbe l’interpretazione del Vahlen («flamma loci dicit abundanter sed non prave»), la quale tuttavia mi pare insostenibile16. Il Müller, seguìto con qualche esitazione dal Funaioli «Arch. f. lat. Lex.» 13, 1903, 313 (= Studi di letteratura antica ecc.)17, pensava che loci fosse un locativo (= «hier»): ma non essendoci di un locativo loci alcun altro esempio, l’ipotesi è da scartare. Io tutto sommato sarei ancora per interpretare loci postquam collo Studemund e per scrivere concussa ab turbine; ma certo il dissenso è legittimo. Ann. 611 sg.18 – Dal punto di vista metodico il tuo ragionamento è inoppugnabile: eppure una certa diffidenza contro l’eccessivo ricorso a metri rari come l’ottonario19 e ancor più il settenario trocaico mi induce ancora a non abbandonare definitivamente l’ipotesi che si tratti di un frammento esametrico. Ci ripenserò. Di Ann. 470 che ne pensi?20 Buona è l’integrazione del Plasberg ap. Vahlen; soltanto corde … animoque costituiranno un’endiadi di stile arcaico 13 14 15 16 17 18 19 20 Vd. lett. 58. Vd. lett. 62. Lodge, Lexicon Plautinum (cit. lett. 55). M. aggiunge nell’interlinea: «Proverebbe solo, per me, che lo scoliasta intendeva male». Vd. lett. 47. Vd. lett. 62. M. aggiunge nell’interlinea:«giambico: raro??». Vd. lett. 68-9. 135 che non va divisa tra due proposizioni (cfr. Aen. 1, 304 animum mentemque benignam; corde atque animo spesso in Plauto ecc.). E allora forse: <tueri> (o fovere) | omnes corde patrem debent animoque benigno | circum sum <qui sunt>: ‘devono assistere il padre con cuore e animo benigno tutti coloro che gli vivono attorno’. Per circum sum qui sunt cfr. Ann. 15121. Pongo fine alla lunghissima lettera e ti invio i più affettuosi saluti. Sebastiano Timpanaro 21 M. aggiunge in margine: «forse: qui <sunt observantes venerari>». 136 68 Pesaro, 8. 6. 1948 Carissimo Timpanaro, mi fa molto piacere sapere anche te nel PSI1 – addirittura «per tradizione famigliare». Speriamo di uscire meglio che sia possibile da questo periodo di crisi2. Io sarei per una soluzione ‘centristica’ all’interno del partito. Mi pare però che – almeno in questo momento – non sia il caso di abbandonare il «Fronte»: ma che siamo tenuti realmente ad assumere una funzione indipendente e realmente – quantum potest – direttiva nel campo delle sinistre. Ann. 3563 – Grazie di avermi trascritto Lindsay2. Capisco ora meglio la ricostruzione tradizionale; ma non vedo bene né come Ennio potesse chiamare sic et simpliciter Graeci i primi Latini (e d’altra parte parrebbe più naturale, allora, che l’esempio fosse dato al lemma Grai o Graeci, non Romani) né soprattutto cosa c’entri la citazione di Hispani non Romani ecc. Sono lieto che tu sia d’accordo sulla non identificazione della citazione di Festo con Ann. 356. E mi pare che la tua difficoltà per una ricostruzione come quella che ti presentai la volta scorsa sia più che giustificata. Penserei dunque ora pressappoco: <R o m a n a m l i n g u a m Latinam (o meglio R o m a n a m Latinam linguam) saepiu>s [oppure R o m a n a m l i n g u a m , quam Latinam no>s,] appellat Enni|<us ut in Annal. lib. I (?) «Versus quo>s Grai memo|<rare solent heroos, eosdem Romana li>ngua longos per|<hibemus». Et Romane idem lib. … ecc. Ann. 5634 – La mancanza di esempi dell’iperbato di atque ed et prima dell’età augustea (o almeno, per et, dell’età di Cesare) è tanto più definitiva in quanto non si vedrebbe neppure perché Ennio non avrebbe scritto ac verba o et verba, che andava benissimo per il metro. Hai dunque pienamente ragione. Le coesistenza di carĭnare e carīnare ammessa dal Leumann potrà forse convincere più facilmente un linguista che un filologo. A me pare un ripiego, tanto più che, se esistono festīno ecc. e coquĭno ecc., non esiste accanto a festīno (e composti) festĭno e viceversa. Contra carinantes | verba <atra> atque obscena profatus ecc. mi pare vada bene. Oppure contra carinans verba aeque obscena profatus? Carĭnans con il sing. profatus continua a sembrarmi abbastanza opportuno, seppure non più indispensabile. 1 2 3 4 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Vd. lett. seguente. Vd. lett. 66. Vd. lett. 66. 137 Cioè: ‘dicendo (o avendo detto) parole altrettanto oscene ricambiando le offese (di un altro)’. Evidente il torto del Meister. Ann. 5665 – Rinuncio dunque definitivamente a loci … ope. Pur ostinandomi a s o s p e t t a r e che lo scoliasta non capisca bene l’esempio che portava, credo ora con te al nesso loci postquam dello Studemund, e al tuo <a>b turbine saevo. Avevo visto l’interpretazione di Müller-Funaioli, che non mi persuade affatto. Ann. 4706 – Il tuo circum sum qui sunt pare a me ottimo. (Che Plasberg dividesse davvero corde da animoque benigno? o che pensasse a un asindeto?). Due osservazioni. 1a) qui si può forse scrivere fuori parentesi – almeno se il valore del cod. Vat. è quale sembra dal fatto che esso solo, a quanto pare dal Vahlen, conserva poco sopra eum. Infatti il Vat. ha circum fini cui. Ora fini è, mi par certo, corruzione di sum: fũ preso per fũ, cioè fini. Che cosa è dunque, o perché è stato aggiunto, cui? Cui e qui si scambiano spesso. Si può pensare che nell’archetipo le lettere andassero scomparendo, e il Vat. conservi una lettura più antica. Qualcosa di questo genere farebbe sospettare lo stato dello stesso commento al Phorm. in Sat. lib. VI (cit. da Vahlen p. 206). 2a) Si potrebbe anche evitare di aprire due lacune di senso prima e dopo la citazione (tanto più se il testo di Donato non ci è giunto per intero, e quindi poteva contenere una citazione compiuta per il senso, come pare sia abitudine di Donato) e scrivere p. es. Omnes corde patrem debent animoque benigno, | circum sum qui <sunt, observantes venerari>7. A proposito di quanto mi hai scritto su Ann. 5638, debbo dirti – come curiosità – che mi sono convinto forse incorreggibilmente della giustezza della tesi di Herrmann-Ferrarino sull’appartenenza a Cicerone di tutti i versi citati in fine della biografia svetoniana di Terenzio. Due altri passi: Ann. 3 sg.9 – A me pare metodicamente necessario scandire:  ᴗᴗ  ᴗ ᴗ  ᴗ ᴗ nam latos populos res | atque poemata nostra cluebunt (-bant?)  ᴗᴗ  ᴗ [p. es. <omne per aevum>, se si legge cluebunt]. Res (sing.) o rem più volte in fine di verso in Ennio; l’enjambement è meno forte di, p. es., inter | sese 110 sg. Ann. 48010 – Iam, conservato anche dal Lindsay, ed. Fest., non si deve mutare, credo. Quale sarà stato il senso? Il ricordo del certamen navale Vd. lett. 62. Vd. lett. precedente. 7 Vd. fine lett. precedente. 8 Vd. lett. 66. 9 Vd. lett. 15 e cfr. T., Per una nuova edizione, II e III (cit. lett. 8), pp. 44-6 e 207. 10 Vd. lett. seguente. 5 6 138 Vergilianum (Vahlen) è forse giusto, ma Ennio è probabile che descrivesse una gara navale? Insomma tenterei d’integrare: <opus esse> | hortatore bono, prius quam iam finibus termo | <advenisse ratem ostendat>. Di fines p l u r a l e per ‘traguardo’ o ‘arrivo’ non conosco però esempi, ma forse non è difficile ammetterlo anche se mancano. Intenderei metaforicamente. L’hortator (della nave) potrebbe simboleggiare un buon capo, militare (o politico) che qualcuno, in un discorso, poteva richiedere. Quanto alla tua interpretazione di versus in Cicerone a proposito di Sc. 26911, ti è tornato in mente l’uso approssimato che ne fa Servio (cfr. Vahlen ad Ann. I fr. VI)? Non è la stessa cosa, ma serve in mancanza di meglio. Sono però convinto che si possa trovare qualche esempio più vicino. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti 11 Vd. lett. 26. 139 69 Pisa, 11. 6. [1948]1 Carissimo Mariotti, speriamo davvero che il PSI – e con esso tutto lo schieramento delle sinistre – possa superare la crisi2. Anch’io mi auguro la vittoria della corrente autonomista di sinistra, insomma della mozione «Riscossa socialista» di Pertini, Santi ecc. o di quella di Busoni ecc.3 Il mantenimento del «Fronte» pare anche a me indispensabile in questa situazione. Certo nel PSI c’è parecchia confusione di idee: vi sono dei riformisti che starebbero meglio nel PSLI, dei ‘fusionisti’ che dovrebbero passare al PC, e infine una ‘base’ molto sentimentale e spesso poco raziocinante, benché in fondo migliore di quelle di tutti gli altri partiti. Io fino al congresso di gennaio scorso avevo seguito con entusiasmo la tendenza di «Quarto Stato» (Basso ecc.): ma la decisione di presentarsi alle elezioni con liste unite ai comunisti, e specialmente il modo sleale con cui Basso e compagni ottennero tale decisione contro il volere della maggior parte dei socialisti, distrusse la mia fiducia in quella tendenza, che pure aveva avuto il merito di opporsi a Saragat e di impedire la degenerazione in senso riformistico del partito. – E per questa volta interrompo il discorso, poiché altrimenti non resta più spazio per la filologia. Ann. 3564 (continuiamo a chiamarlo così benché si tratti, come hai dimostrato tu, di un altro frammento). – La tua ricostruzione stavolta va benissimo, ed è da pubblicare senz’altro. Quanto alla questione se il frammento appartenga al lib. I o al VII, io sarei decisamente per il VII. È estremamente probabile che i versus longi fossero nominati nel proemio di tale libro in contrapposizione ai versus quos olim Fauni vatesque canebant (Ann. 214)5. Io immaginerei il contesto press’a poco così: (Ann. 213)6 scripsere alii rem | vorsibus quos olim ecc. … | (Ann. 217) Nos ausi reserare <sacros fontes Heliconis> |7, <e scrivere per primi la storia di Roma> | <v e r s i b u ( s ) quo>s Grai memo<rare solent heroos, | n o s m e t Romana L’anno è stato aggiunto da M. Tra la città e la data l’indirizzo: via S. Maria 18. Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. 3 Vd. lett. seguenti 70-3. 4 Vd lett. 66. 5 Vd. lett. 38. 6 Vd. lett. 96. 7 A piè di pagina T. aggiunge: «integrazione, naturalmente, fatta exempli gratia, ma resa forse abbastanza probabile da Verg. georg., 2, 175 sanctos ausus recludere fontes, e da analoghi passi lucreziani». Su questo verso vd. lett. 75 e 502-3. 1 2 140 li>ngua longos per<hibemus>. Mi sembra probabile che al duplice nome, greco e latino, degli esametri Ennio accennasse così, incidentalmente, in una proposizione relativa8, piuttosto che in una intera frase versus quos … eosdem Romana lingua ecc. Ann. 5639 – Sono estremamente incerto. Da un lato contră carīnantes verba aeque obscena profatus sarebbe (a prescindere da carīnantes) un ottimo esametro e il senso tornerebbe benissimo (carinans mi sembra, per il senso e la struttura della frase, piuttosto un peggioramento; dà un po’ noia il cumulo dei due participi l’uno dipendente dall’altro); dall’altro la tua osservazione sul carattere di ripiego che presenta la tesi della coesistenza di carĭn- e carīn- ammessa dal Leumann è giustissima. Si potrebbe ricordare che Ennio ha contŭdit (Ann. 395) e contūdit (Ann. 448), per quanto certo si tratti di un caso diverso. – Verba <atra> atque obscena è, sì, abbastanza buono, ma certo io preferirei per il senso correggere atque in aeque col Castricomio. Ann. 47010 – Giustissima la tua osservazione sul qui che in realtà è tramandato dal cod. Vaticano, e ottima la tua correzione alla mia integrazione. Quanto a Sat. 6 (Vahlen, p. 206) citato anch’esso da Donato, non credo che si tratti, come in Ann. 470, di progressiva scomparsa di lettere nell’archetipo, ma piuttosto di progressiva interpolazione di un testo lacunoso: la lezione genuina sarà anche stavolta quella del Vaticano, che però stavolta, a differenza di Ann. 470, è la più lacunosa. Io perciò non credo (e del resto ci crede poco anche il Vahlen) all’attribuzione di Sat. 14 sgg. ad Ennio: tanto più che l’assegnazione al VI libro delle Satire è contraddetta dalla testimonianza di Porfirione (cit. da Vahlen, p. lxxxvi): Ennius qui quattuor libros saturarum reliquit. Questi versi saranno di un comico anteriore a Terenzio, forse di Nevio o di Plauto, meno probabilmente di Andronico o di Ennio. Ann. 48011 – La tua integrazione è quanto di meglio sia stato finora proposto: certo il giro della frase è un po’ complicato, e qualche dubbio sulla giustezza della lezione manoscritta mi rimane. Ann. 312 – Otto Skutsch, il quale, come ti accennai, sta preparando anch’egli una edizione di Ennio13, in un articolo pubblicato in «Class. Quart.» 194414, propone latos <per> populos res atque poemata nostra | A piè di pagina l’aggiunta: «come anche in Ann. 218, 147 sg. ecc.». Vd. lett. 66. 10 Vd. lett. 67. 11 Vd. lett. precedente. 12 Vd. lett. 15. 13 Vd. lett. 55. 14 O. Skutsch, Enniana I, «CQ», 38, 1944, pp. 79-86, in partic. pp. 82-4 (= Id., Studia Enniana, London 1968, pp. 18-29, in partic. pp. 22-4). 8 9 141 <clara> cluebunt15. L’integrazione clara, già proposta da altri per il confronto con Lucrezio, è secondo lo Skutsch necessaria perché clueo, come appare dal Thes., è sempre accompagnato da un compl. predicativo del soggetto o da una proposizione infinitiva (insomma cluet dives o cluet esse dives, non mai cluet semplicemente: cfr. anche Enn. Sc. 366). L’argomento ha un certo peso; tuttavia non si può separare la considerazione del latino clueo da quella del greco κλύω, e in Omero si trova una volta (Od. 6, 185) κλύω usato assolutamente. Assolutamente necessario è invece integrare un per (cfr. Sc. 366 per gentes cluebat, Lucr.16 per gentes Italas hominum quae clara clueret). Si potrebbe allora scandire, come anch’io avevo pensato, – ᴗᴗ – ᴗᴗ – nam latos <per> populos res | atque ecc. O integrare e scandire secondo la proposta dello Skutsch? Sono molto incerto: res atque poemata nostra sarebbe certo un’ottima clausola di esametro. Con lo Skutsch sono adesso da qualche tempo in relazione epistolare: su molti punti dissentiamo, fra l’altro su Ann. 3 (dove egli respinge la difesa, che io credo tuttora valida, di cluebant) e su Ann. 1817 (dove egli difende doctusque Anchisesque ma non mi ha ancora spiegato come giustifica il 2o -que). Ho ammirato le tue congetture all’Apocolocyntosis nell’edizione del Russo18. Mi sembrano tutte felicissime, tranne quella a 2, 3 (p. 54, 3 Russo), dove (pur riconoscendo l’ingegnosità del tuo num his) mi pare che nimis rustice! stia benissimo e perciò non vada toccato19. Nella stessa Apocolocyntosis, al cap. 5, 4 (p. 69, 5 Russo), trovo un ottimo esempio di versus per designare un verso incompleto all’inizio, proprio come Cic. in Sc. 26920: erat autem sequens versus verior, aeque homericus: ἔνθα δ᾽ ἐγὼ πόλιν ἔπραθον, ὤλεσα δ᾽ αὐτούς (manca Ἰσμάρῳ all’inizio del verso)21. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Sc. 7622 – Superavit forse da conservare (Cassandra vede i fatti già come presenti, cfr. 72 sgg.). Meglio che nella 2a ed. il Vahlen aveva M. nell’interlinea commenta: «e nam?». Lvcr. 1, 119. 17 Vd. lett. 38. 18 In appendice (1964) a C.F. Russo, L. Annaei Senecae Divi Claudii Ἀποκολοκύντωσις, Firenze 19483, sono registrate alcune proposte di M., che si riferiscono rispettivamente a pp. 54, 85 e 121. 19 Sul passo vd. lett. 70, 72-5. 20 Vd. lett. 26. 21 Od., 9, 40. 22 Vd. le seguenti lett. 70-1. 15 16 142 proposto in «Hermes» 12, 254 sg.: nam maximo | saltu superavit gravidus armatis equus, | qui <cum> suo [o <et> qui suo] partu ardua perdat Pergama (bene in fin di verso l’allitterazione p e r dat P e r gama, cfr. Sc. 46)23. Ma superavit usato assolutamente mi pare impossibile, dunque nam <muros> maxumo | saltu ecc., cfr. Aen. cit. dal Vahlen in apparato24 s c a n d i t fatalis machina m u r o s (anche <murus> cfr. Sc. 82) (o anche nam<que muros> ecc., meglio per la cesura). In riferimento a questo M. annota a matita alcune osservazioni elaborate nella lett. seguente. 24 Verg. Aen., 2, 237. 23 143 70 Pesaro, 18. 6. 1948 Carissimo Timpanaro, ho sostenuto e votato anch’io la mozione Pertini1 (che qui a Pesaro città si è trovata in leggera minoranza rispetto alla mozione di sinistra, un tempo di molto prevalente ed ancora sostenuta dai dirigenti locali e provinciali). È veramente una bella coincidenza fra me e te anche questa (fra le altre c’è anche quella che siamo omonimi dei nostri padri, cosa che per me è seccantissima e che a mio padre non ho ancora perdonato). Io prima della scissione votai «Iniziativa socialista» a cui mi opposi solo troppo tardi, quando ormai la scissione era in atto. Si trattava certo – ma io non me ne accorsi – di una cosa preordinata. Tutta la politica del «Fronte» è stata errata. Quando si accetta il metodo parlamentare non si può continuare a concepire la battaglia politica in una maniera rigida. Il «Fronte» sarebbe riuscito se si fosse riuscito a portar dietro il PRI e il PSLI. Altrimenti bisognava limitarsi ad una alleanza coi comunisti e andare alle elezioni con liste separate, impostando una campagna elettorale nostra, anche se i quattrini erano pochi. Ti scrivo in rosso non per l’argomento, ma perché il blu della mia pseudo-penna è esaurito. Ann. 3562 – La tua attribuzione al VII e la ricostruzione da te accennata è perfettamente persuasiva e da adottare senz’altro. Ann. 5633 – Non c’è dubbio che tutti i tentativi fatti finora sono per qualche verso insoddisfacenti. Il migliore finora è il tuo verba <atra> atque ecc. Io ho tentato ora un’altra strada, su cui desidero avere il tuo parere. Scriverei  contra carĭnantes [verba] aeque obscena profatus. Verba sarebbe verba una spiegazione, così … CARINANTES A E Q OBSCENA. Obscena per ‘parole ecc. oscene’ è cit. dal Georges-Calonghi da Ovidio e Quintiliano, e anche se non ci fossero esempi più antichi (ne sai nulla?) l’uso del neutro sostantivato non farebbe alcuna difficoltà. Così si potrebbe conservare anche l’ipotetico riferimento del Vahlen, p. clxxv nota. Naturalmente l’origine spuria di verba sarebbe dimostrata dal trovarsi fuori posto. Ann. 34 – Con quello che mi dici la situazione – quale io la conoscevo – muta. Se mi dici che per è necessario, è chiaro che un compl. di estensione nello spazio col semplice accusativo in dipendenza da un verbo (diverso 1 2 3 4 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Vd. lett. 66. Vd. lett. 66. Vd. lett. 15. 144 da distare ecc.) non risulta possibile. In tal caso <per> diventa inevitabile. Per <clara> non so neanch’io cosa dire. Forse il richiamo a κλύω usato assolutamente nell’Odissea (dove ha altro senso) è troppo ardito. Ma i passi citati dal Valmaggi5 non mi sembrano completamente fuori posto. Se cluo e clueo vogliono dire ‘esser detto’, ‘parlarsene’, non vedo perché escludere che poemata nostra cluebunt significhi ‘i nostri poemi saranno noti, se ne parlerà’, quasi ‘esisteranno’ (-bunt)6. Ma io sono incertissimo, né conosco sufficienti esempi. Vorrei sapere ancora cosa ne pensi. (cluet dives è diverso, ‘se ne parla come di ricco’). D’altronde non mi persuade affatto la lettura dello Skutsch, che non so come faccia a liberarsi del nam. Se <per> è indispensabile e se cluebunt sta bene da solo, allora bisogna leggere come fai tu. Quanto ai due punti di dissenso fra te e lui a cui accenni, per Ann. 187 tu hai fuor di dubbio ragione e la sua difesa di doctusque Anchisesque è in ogni caso impossibile. Per Ann. 3 io sono, come tu sai, molto incerto. Sarei disposto ad accettare cluebant se non ci fosse il passo di Lucrezio, che a me pare molto azzardato negare col Leo che si riferisca al libro I; e se riuscissi a sentire in res atque poemata la parola res come non riferentesi a fatti storici, storia (scripsere alii rem). D’altronde la tua osservazione sul valore di poemata è, malgrado il Lucreti poemata di Cicerone8, parecchio forte – ma mi pare in definitiva meno attraente degli altri due fatti. Tra cluebant e cluebunt continuerei dunque a preferire cluebunt non senza dubbi, non parendomi rebus sic stantibus la ratio palaeographica sufficiente a far preferire il 1o (a ed u si scambiano con estrema facilità). Dopo questo discorso abbastanza slegato, ti dirò anche un’altra cosa, seppure non mi sembri molto probabile, fidando sulla tua benevola comprensione per le debolezze altrui. Che Ennio prevedesse la gloria per Annali e opuscula e res atque poemata non fosse un’ ‘endiadi’ ma indicasse le s t o r i e e i p o e m e t t i ? – leggendo dunque cluebunt e superando la difficoltà da te posta. Vedi tu, rispondendomi, di rimettere un po’ d’ordine. Sc. 769 – Sono senz’altro d’accordo con te sulla conservazione di superant. Per il resto, in un primo momento accettavo la necessità da te osservata di integrare un oggetto e tentavo a mia volta: nam <moenia> maximo saltu superavit gravidus armatis equus qui suo partu ardua perdat Pergama  ᴗ   ᴗ, 5 6 7 8 9 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). Sul margine superiore del foglio si aggiunge: «poteva seguire ad es. saecula multa». Vd. lett. 38. Vd. lett. 15. Vd. lett. precedente. 145 confrontando, per p e r dat P e r gama non in fine di verso l’analogo (sanguine) tepido tullii in Sc. 20. Ma ora, ripensandoci, non mi pare che l’oggetto sia necessario, se si pensa (come potremmo escluderlo?) che esso fosse espresso nella frase subito precedente, p. es. < ᴗ  ́ ᴗ  ́ ᴗ iám Neptuni cápta cerno moénia;> nam … (come nel Vahlen, eccetto s u p e r a v i t ). A meno che non si vogliano fare dei senari come il Vahlen in «Hermes» da te citato10, il che forse non è indispensabile. Ann. 6711 – Non so nulla del passo oltre quello che c’è nel Vahlen (e Valmaggi). Proporrei: postquam | consis<tit per> se ecc. Ossia, nel cod., -STITPSE-. Il senso mi par che vada. Il fiume si fermò (cioè cessò d’ingrossare?) da solo, di sua iniziativa, senza cause esterne. Postquam in fine di verso anche in Virgilio (p. es. Aen. 3, 212). Var. 1312 – Una congettura di passaggio: Haece propter? (Quapropter codd. ex scholio?). Cfr. Var. 5713, dove sarà certo haec<e> propter nella stessa posizione. Giusta metodicamente la tua obiezione al mio num his rustici in Apoc. 2, 314, già me l’aveva accennata Lallo15, che poi nel commento finì per farmene un’altra meno consistente. E anch’io, se avevo ancora qualche dubbio, l’avevo proprio per questo. Ma, quando recensirò l’edizione di Russo16, non mi sentirò forse ancora di abbandonarla, data la sua estrema semplicità. Tuttavia proporrò anche qualcos’altro. La congettura di Lallo non va: così come integra lui, si aspetterebbe poi omnes poetae ut, non contenti …, etiam ecc. e non omnes poetae, non contenti …, ut. Insomma non si può aggiungere con qualche verisimiglianza un adeo prima di adquiescunt. Non so precisamente ancora cosa proporre per integrare la lacuna dopo rustice. Pressappoco: <Numquam in istis17 (cioè espressione come inter sextam et VII erat)> adquiescunt o m n e s p o e t a e , non contenti … inquietent: t u …? Vd. lett. precedente. La discussione proseguirà nelle lett. 71-3, 96, 99-101. 12 Vd. lett. 71-2. 13 Vd. lett. 71-2. 14 Vd. lett. precedente. Così Sen. apocol., 2, 2-3 (ed. Russo, cit. lett. 69): facilius inter philosophos quam inter horologia conveniet; tamen inter sextam et septimam erat. ‘nimis rustice! <adeo his> adquiescunt omnes poetae, non contenti ortus et occasus describere, ut etiam medium diem inquietent: tu sic transibis horam tam bonam?. 15 Carlo Ferdinando Russo. 16 In «Belfagor», 3, 1948, p. 495. 17 Sopra la linea: <In istis minime>. 10 11 146 Ma di tutto questo ti prego di non dir niente a Lallo, se lo vedi – perché gli voglio scherzosamente ricambiare la curiosità in cui mi ha lasciato per qualche tempo su alcuni particolari della sua edizione. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti 147 71 Pisa, 23. 6. 1948 Carissimo Mariotti, siamo perfettamente d’accordo sulla situazione politica1. Vediamo come andrà il nostro congresso. Speriamo che vinca la mozione Pertini2, l’unica che in questo momento possa salvare il PSI e impedire che esso sia assorbito o dal PC o dal partito saragattiano. Ma pare purtroppo che le tre mozioni principali avranno voti press’a poco pari. Ann. 5633 – L’integrazione verba <atra> atque obscena non è mia, ma del Vahlen, 1a ed. La tua proposta di espungere verba è molto buona; obscena = ‘parole oscene’ non fa alcuna difficoltà: non ricordo in questo momento esempi più antichi di quelli citati dal Georges, ma credo che non sia nemmeno necessario citarne. Dispiace soltanto un poco l’esametro senza cesura e con ritmo piuttosto cattivo ́ contra carinantes aeque obscena profatus. Naturalmente, in Ennio si trova più di un esametro di questa fatta, a cominciare dal famoso Sparsis hastis longis … (Var. 14)4: tuttavia certo contră carīnantes verba aeque obscena profatus sarebbe stato, a prescindere da carīn-, un esametro assai migliore. Io, se dovessi decidere ora, metterei dubbiosamente nel testo contră carīnantes verba aeque obscena profatus: nell’apparato citerei prima di ogni altra la tua congettura. Ann. 35 – Quanto a clara, forse hai ragione tu: gli esempi citati dal Valmaggi inducono a ritenere che clara non sia strettamente necessario. Tuttavia, se si ritiene (come ritieni tu) che Lucr. 1, 119 alluda a questo passo di Ennio, par difficile che l’allitterazione clara cluebant non si trovasse già nel modello enniano. L’integrazione <clara> mi pare perciò, se non indispensabile, per lo meno assai consigliabile: assolutamente necessario è <per>. La ricostruzione metrica dello Skutsch era stata già proposta, come ora mi accorgo, dal Terzaghi («Atti Acc. Torino», 1924-25, p. 55): quanto al nam, tanto il Terzaghi quanto lo Skutsch ed altri suppongono che esso sia corruzione di ann. (Ennius in primo nam < Ennius in primo ann.): ipotesi, forse, più comoda che convincente. Quanto a cluebant-cluebunt, la tua ipotesi che res atque poemata n o n sia un’endiadi è certo ingegnosa, né credo che si possano portare argomenti decisivi contro di essa: tut- 1 2 3 4 5 T. risponde alla lett. precedente. Vd. le due lett. precedenti e le seguenti 72-3. Vd. lett. 66. Vd. lett. seguente e 101. Vd. lett. 15. 148 tavia a me non sembra probabile; mi pare che essa sia un compromesso tra l’esigenza di dare a poemata il valore di ‘opere minori’ e il desiderio di mantenere l’emendamento cluebunt. Ma chi legge il passo senza preconcetti, difficilmente non sentirà res atque poemata come un’endiadi. Io difendo ancora cluebant, non per mania conservatrice (sono perfettamente persuaso che cluebunt è correzione estremamente lieve), ma perché questa lezione permette di dare a poemata il suo significato normale. Anche se si ammette che res accenni a fatti storici, non per questo si è costretti a supporre che Ennio parli degli Annales: lo Scipio, l’Ambracia, e le Sabine erano di argomento storico. Ma io credo che res possa essere inteso in senso generico: ‘l’argomento, il contenuto, la materia’: res potevano essere anche le dottrine filosofiche e scientifiche dell’Epicharmus, dell’Euhemerus e delle Saturae, le quali dovettero davvero cluere latos per populos, giacché Ennio acquistò certo notorietà non solo come poeta, ma anche come volgarizzatore della cultura greca in Roma. Quanto al passo di Lucrezio, anch’io sono propenso adesso ad ammettere (contro il Leo) che Lucrezio alluda proprio a questo passo enniano; ma Lucrezio può benissimo aver riferito alla gloria degli Annales un’espressione che Ennio aveva riferito alla gloria delle sue opere precedenti. Noi possiamo benissimo dire che la gloria della Divina Commedia «durerà quanto il mondo lontana»6, applicando a Dante un’espressione dantesca che Dante riferisce a Virgilio7. Ancora: la profezia della gloria della propria opera poetica è un τόπος che di solito si trova a l l a f i n e , non al principio di essa: vedi Metamorfosi di Ovidio, ode 3, 30 di Orazio ecc.8. Invece a me par naturalissimo che Ennio p. es. dicesse: già le mie opere poetiche eran famose (Ovidio, nella sua autobiografia: notaque non tarde facta Thalia mea est)9, quando Omero mi apparve e mi esortò a cantare paulo maiora10. (E se il nam iniziale (che non sembra molto a posto neppure leggendo cluebunt) si correggesse in iam? Ma quest’ultima è una semplice ipotesi incerta). Sc. 7611 – Riconosco che murus o moenia poteva trovarsi nella frase precedente e che quindi l’integrazione da me proposta non è strettamente Dante, Inf., 2, 59. T. aggiunge in nota a piè di pagina: «Ed è superfluo ricordare come questo modo di riprendere un’espressione di un poeta precedente riferendola però ad altro e quasi correggendola sia abituale nei poeti latini». 8 M. aggiunge sopra la riga: «ma forse cfr. Prop. 3, 2». 9 Ov. trist., 4, 10, 56. 10 T. aggiunge in nota: «Sarebbe in certo senso l’inverso del noto τόπος neoterico: ‘Mi ero accinto a cantare guerre ed eroi, quando Apollo mi consigliò a non presumere troppo e a cantare argomenti leggeri’ (Verg. Buc. 6, Prop. 3, 3 ecc.)». 11 Vd. lett. 69. 6 7 149 indispensabile. Quanto alla distribuzione metrica, sarei ancora per i senari del Vahlen in «Hermes»12. Ann. 6713 – Il Vahlen riferisce il passo di Frontone secondo l’edizione del Naber. Ma E. Hauler («Arch. f. lat. Lex.» 13, 1903, p. 298) asserisce che nel cod. di Frontone si legge di 1a mano postquam consti|tui se fluvius, di 2a mano postquam consis|tit fluvius. Dunque consistit sarebbe lezione tramandata, quantunque naturalmente rimanga il sospetto che si tratti di un tentativo di correggere per congettura la lezione incomprensibile di 1a mano. Il tuo consistit per se rimane tuttavia probabile. Soltanto ho un dubbio: Ennio avrà davvero immaginato che il fiume cessasse la piena per se? o non piuttosto per ordine di Giove? (cfr. anche Vahlen, p. clxi extr.). Su questo frammento c’è anche un altro articolo di Hauler, posteriore al precedente, in «Zeitschr. für österr. Gymn.» 1910, p. 673, che però non conosco. Qui la «Zeitschr. für österr. Gymn.» non c’è: se qualche volta andrò a Firenze la vedrò. Var. 1314 – Bene l’haec propter, quantunque in Var. 57 haec<e> propter non sia forse del tutto sicuro15: il Marx («Rhein. Mus.» 1931, p. 206 sgg.) nota che propter haec, haec propter non si trovano mai (e anche propter hoc, propter id sono postclassici) e propone perciò: Hacpropter <mi> Iuppiter … tibi, ǀ qua (‘in quanto’, correlativo ad h a c propter) mortalis <aeque>16 atque ecc. (e forse meglio Hacepropter con Usener). In Var. 13 bisogna anche vedere come si intende considerat. Secondo il Vahlen (come appare dall’esempio di Livio da lui citato in nota) e secondo il Thes. IV 432, considerat è = consēderat, da consīdo (di questa grafia altri esempi sono Liv. 9, 37, 7; 28, 12, 15; Tac. Ann. 1, 30 ecc. vd. Thes.) e propter è preposizione = ‘presso’ da unirsi con copias. Ma bisognerà piuttosto unire quapropter, come in Sc. 53; e allora, se si accetta considerat da consīdo17, proporrei: quápropter <prope> Hánnibālis cópias consíderat (confusione di prope e propter frequente nei codd., e quindi facile caduta per aplografia di prope dopo propter: allitterazione propter prope)18. Tuttavia non è, secondo me Vd. lett. 69. Vd. lett. precedente. 14 Vd. lett. precedente. 15 Vd. lett. precedente. 16 T. aggiunge in nota a piè di pagina: «Schöll <arva>, meglio per il senso». 17 In nota a piè di pagina T. aggiunge: «Questa interpretazione è sostenuta dall’osservazione del frequente uso di consīdere come termine militare = castra ponere (Thes. iv 434, 38 sgg.)». 18 T. annota a piè di pagina: «Frasi simili: Caes. Bell. Gall. 7, 36, 2 castris prope oppidum … posistis; Bell. civ. 3, 37, 4 prope flumen … castra posuit, ecc., vd. Meusel, Lex. Caes. [Lexikon Caesarianum, confecit H. Meusel, Berolini 1887-93] Da scartarsi mi pare comun12 13 150 affatto escluso che considerat sia da considero; e allora forse quapropter <prius> Hannibalis o <primum>. Vorrei ancora sapere il tuo parere. Affettuosi saluti. S. Timpanaro que qua<que> di Hertz accettato dal Vahlen. – Non ho visto ancora altre edizioni di Gellio né di Ennio». 151 72 Pesaro, 2. 7. 1948 Carissimo, mi pare che i risultati del congresso possano soddisfare1. Vedremo – che è la cosa più importante – se si riuscirà a restituire al partito un equilibrio interno e se la collaborazione delle due ali estreme sarà in buona fede volta all’interesse comune. Ann. 5632 – Guarda però che, a rigore, un verso come contra carinantes aeque obscena profatus non è senza cesura – per quanto sia certo un brutto verso. C’è la semisettenaria in elisione (ae||que o.) accompagnata dalla semiternaria. Cesure (specie semiquinarie) in elisione sono frequenti in Ennio, se non si vuole ammettere che versi come Ann. 42 ecc. siano senza cesura. Per la semisettenaria in elisione cfr. p. es. Ann. 396 (meno probabile mi pare, in Ennio, ob||censique); anche peggio del nostro sarebbe 362 (sempre lasciando da parte i versi senza cesura come Var. 143 o Ann. 5224). Col che naturalmente non voglio sopravvalutare la mia congettura. Ann. 35 – Che nam sia corruzione di ann. non mi par davvero probabile. Anche pensare a iam mi parrebbe superfluo, malgrado la semplicità della correzione. Nel caso di cluebant Ennio poteva dire: ‘già io godevo di una grande rinomanza. nam ecc.’, nel caso di cluebunt ‘non omnis moriar 6; nam ecc.’. Hai ragione a respingere l’ipotesi che res atque poemata non sia endiadi, ipotesi a cui io stesso non ho mai creduto sul serio. Le tue osservazioni sulla possibilità che Lucrezio volgesse in suum usum le parole di Ennio dette ad altro proposito e sulla posizione solitamente finale delle predizioni di gloria sono m o l t o acute, né c’è maniera di controbatterle in modo definitivo. Tuttavia per la seconda osserverei che io non so se questo principio possa applicarsi anche a un poema epico, specie a un poema epico che dev’essere stato pubblicato a più riprese (ma tu puoi benissimo Vd. le tre lett. precedenti e la seguente. Al XXVII congresso del PSI, tenutosi a Genova, vinse la corrente centrista: segretario del Partito fu eletto Alberto Jacometti, mentre alla guida dell’«Avanti!» andò Riccardo Lombardi: vd. P. Mattera, Storia del PSI: 1892-1994, Roma 2010, p. 150. 2 Vd. lett. 66. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. 44. 5 Vd. lett. 15. 6 M. scrive nel marg. inf. la seguente nota: «Naturalmente questa non è una proposta di complemento – il metro, come mi accorgo ora, torna solo per caso (col tuo nam latos <per> populos res, che mi par sempre la cosa migliore)». 1 152 rispondermi che tale previsione poteva non esserci affatto). Inoltre Lucrezio s e m b r a in quei versi piuttosto parafrasare Ennio che riadattarlo alessandrinamente al suo contesto. Forse sarebbe utile fare una ricerca più sistematica sul valore di ποίημα - ποιήματα in greco. Ho l’impressione che il valore di ποίημα non ne risulterebbe assolutamente precisato e che forse si troverebbero esempi di espressioni come Lucreti poemata 7. Dimmi ancora qualcosa su questo frammento. Ann. 678 – A proposito di per se, mi pare che il fiume – che è concepito favorevole alle cose romane – potesse smettere la piena per se anche se questo corrispondeva alla volontà di Giove (di un o r d i n e di Giove non mi pare indispensabile parlare, tanto più che la posizione p r e c i s a del concilio degli dei non mi pare accertata. Giove poteva anche ad es. dire che uno dei due fratelli sarebbe stato accolto fra gli dei dopo aver fondato una città, e il fiume interpretare e favorire il suo disegno). Ma a parte questo, su cui si dovrà semmai ripensare, bisognerà prima sapere qualcosa di più preciso sulla lezione manoscritta. Può darsi che Hauler abbia rivisto il manoscritto: l’«Arch. f. lat. Lex.»9 è del 1903, cioè contemporaneo al Vahlen2; se allo Hauler non era allora nota la lettura del Kübler, può darsi che abbia rivisto il codice. Var. 1310 – Giustissimo che haece propter di Var. 5711 non è sicuro. L’argomento di Marx è molto forte; e poi c’è da notare che hae propter si trova in Varr. Men. 213. Dunque mi pare (direi) certo che in Var. 57 si deve leggere hacepropter, e perciò modifico la congettura (che so quanto sia labile) a Var. 13 in Hacepropter, di cui quapropter sarebbe glossa. In Var. 13 mi pare che il tuo <prope> sia ottimo se s’intende consederat; ma se considerat è da considero (che mi par più probabile per questi due motivi: che un presente p a r e più naturale di un ppf.; che l’interpretazione da consīdo potrebbe sostenersi su propter … copias mentre tu hai perfettamente ragione di unire quapropter) ogni congettura può andare: buone anche le tue. Ann. 53512 ́ cum illúd … Festo (l’autore o i codd.) omette altre volte il primo monosillabo. Sc. 11713 – Dal fatto che Vahlen in index segna urvat e non urvāt, si vede che ha preso il verso per otton. giamb. Ma è possibile a n c h e sett. troc. con urvāt e pedĕs. Vd. lett. 15. Vd. lett. 70. 9 Vd. lett. precedente. 10 Vd. lett. 70. 11 Vd. lett. 70. 12 Enn. ann., 535 V.2 Cum illud quo iam semel est imbuta veneno. Vd. lett. 73-4. 13 Enn. scaen., 117 V.2 Circum sese urvat, ad pedes a terra quadringentos caput. Su questo frammento vd. lett. seguente e inoltre lett. 73-80. 7 8 153 Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti [PS. ‒] Dimenticavo di dirti: 1) Sul passo di Apoc. 2, 3 non aveva certo alcun valore la mia obiezione alla congettura di Russo che ti scrissi l’altra volta14. Invece quella congettura mi lascia più che dubbioso per il riferimento dell’his alle perifrasi (come quella di 2, 1), mentre si aspetterebbe piuttosto un immediato riferimento alla frase inter VIam et VIIam erat che precede (semmai <adeo his non> adquiescunt). Io, che ho rotto il mio riserbo con Lallo15, gli ho anche proposto <Numquam in his> adquiescunt … inquietent; tu … bonam? 2) Quanto a Var. 5816 il qua non mi è chiaro. Qua ha un valore limitativo, non causale. L’hac di hacepropter dipende da propter, il che non può naturalmente essere per il qua. Io sarei, per il momento, per quoniam, che permette di non toccare altrove il verso. Aggiunte come <aeque> o <arva> mi paiono superflue completamente per il senso. Oppure ci sono esempi di qua con valore causale? 3) Quando ti capita e con la massima calma puoi verificare per favore se l’Antibarbarus di Krebs-Schmalz17 cita esempi di misereo(r) col dat.? In un verso del Landino18, su cui discussero una volta Perosa e Terzaghi19, e che certo, malgrado Perosa, va in qualche modo corretto, i codd. hanno: Parce precor miseroque patri   ᴗ ᴗ  ᴗ miserere patris Terzaghi, ma la tradizione è di quelle in cui le correzioni debbono essere microscopiche (tranne casi di assoluta necessità). Leggerei misereque, da misereo. Esempi di misereor col dat. (tutti, credo, incerti) sono nel Forcellini; e questo già basterebbe per un umanista (e cfr. miserere nobis). Qui in più c’è parce che faceva preferire il costrutto col dativo. Scevola La proposta di M. si trova in appendice all’edizione dell’ Ἀποκολοκύντωσις curata da Russo (cit. lett. 69). 15 Carlo Ferdinando Russo (vd. lett. 70). 16 Enn. var., 58 V.2 Qua mortalis atque urbes beluasque omnis iuvat. Su questo frammento vd. lett. 73-5. 17 J.Ph. Krebs-J.H. Schmalz, Antibarbarus der Lateinischen Sprache, Basel 1905. 18 Xandra, 3, 4, 83 parce precor, miseroque patri qui dura senectae. 19 N. Terzaghi, rec. a Christophori Landini Carmina omnia ex codicibus manuscriptis primum edidit A. Perosa, «Leonardo», 10, 1939, pp. 234-39, in partic. p. 238, e A. Perosa, Critica congetturale e testi umanistici, «ASNP», s. II, 9, 1940, pp. 120-34 (= Id., Studi di filologia umanistica, a cura di P. Viti, II, Roma 2000, pp. 9-27). 14 154 73 6. 7. 1948 Carissimo Mariotti, anche a me i risultati del congresso sembrano soddisfacenti1: mi è dispiaciuta soltanto la sconfessione di Pertini, che forse si poteva evitare perché egli non aveva espresso idee sostanzialmente divergenti da quelle della mozione di «Riscossa socialista». Ann. 5632 – È vero, non si può dire che il verso contra carinantes verba aeque obscena profatus sia privo di cesura. La tua congettura è certo la migliore finora proposta. Ann. 33 – D’accordo sulla conservazione del nam (giustamente osservi che non è necessario nemmeno il mio iam). Certo sarebbe utile fare una ricerca su ποίημα in greco, e può darsi benissimo che si trovino casi come il Lucreti poemata di Cicerone4. Il fatto, però, che i grammatici distinguano nettamente tra ποίημα e ποίησις (anche ammettendo che tale distinzione non sia nell’uso così netta) non è senza importanza per Ennio, il quale era – come Lucilio, come Accio e Varrone – mezzo poeta e mezzo grammatico, e a simili distinzioni avrà badato. Il fatto che gli Annales siano stati pubblicati a più riprese non mi sembra che debba aver indotto Ennio a porre all’inizio anziché alla fine del poema la sua predizione di gloria: anche se la pubblicazione in più riprese fu prevista da Ennio fin da principio, egli avrebbe potuto ugualmente riservare per l’epilogo del poema tale predizione. E il confronto con Lucilio, 1013 Marx = 1012 Terzaghi mi sembra ancora un argomento abbastanza valido a favore di cluebant. Ann. 675 – Aspettiamo di vedere Hauler. Var. 586 – Giusta l’osservazione che qua ha valore limitativo e non causale. Il Marx cita Seneca, nat. qu. 3, 12, 2: aera marem indicant, qua ventus est, feminam, qua nebulosus …, e il senso del passo può parere vicino a quello di Ennio, tuttavia forse la somiglianza è più apparente che reale. In Ennio si potrebbe sostenere che hac propter … qua equivale ad hacpropter … quapropter (non direi che l’hac di hacpropter dipenda da propter : prop- Vd. le quattro lett. che precedono. T. concorda con il parere espresso da M. nella lett. precedente, a cui qui risponde. 2 Vd. lett. 66. 3 Vd. lett. 15. 4 Vd. lett. 15. 5 Vd. lett. 70. 6 Vd. lett. precedente. 1 155 ter regge l’acc., non l’abl.: hac è avverbio, come eā in anteā, posteā, illā in postillā ecc.: così Leumann-Hofmann), ma certo rimangono dei dubbi. Ann. 5357 – A ́ cum illúd … avevo pensato anch’io nel mio 1o articolo8, p. 64 extr.; avevo finito per preferire cum<que> perché Festo suol citare versi interi, ma giustamente tu mi fai osservare che anche altre volte egli omette il 1o monosillabo. Tuttavia – sempre tenendo presente che il senso è molto probabilmente, come vide il Vahlen, quello dell’oraziano neque amissos colores lana refert medicata fuco, carm. 3, 5, 27 – mi sembra che il cum sia assai poco soddisfacente (non riesco a immaginare un completamento della frase che permetta di conservarlo) e quindi non rinunzio del tutto a numquam illud … proposto nell’art. cit., p. 659. Sc. 11710 – Giusto. Anch’io avevo sempre istintivamente scandito il verso come settenario con urvāt e pedĕs, senza badare all’indice del Vahlen. Il verso (che non è troppo chiaro, almeno mi sembra) apparterrà alla stessa narrazione di Sc. 114 e 115, ed è dunque probabile che sia anch’esso settenario. Krebs-Schmalz Antibarbarus7 II (Basel 1907), p. 89, s. v. miserere e misereri, dice che la costruzione col dativo si trova «erst spätlateinisch», ma non cita passi11. W. Hartel in «Arch. f. lat. Lex.» 3, 1886, p. 25 nota che misereri alicui si trova in Lucifero di Cagliari p. 4, 26; 58, 8 (ed. Hartel, Corp. Vindob. XIV), in Cipriano p. 292, 2 (Hartel, id. III), in Venanzio (non cita ess.) «und sonst»12. Ἀποκολ. 2, 313 – La tua obiezione all’integrazione di Russo (che a me finora era sembrata probabile) è molto forte. Il tuo <numquam in his> è per il senso ottimo. Però a me sembra che, facendo negativa questa frase, la contrapposizione col seguente tu … bonam? perda molto di efficacia, di vis rhetorica. Tra un’antitesi del tipo omnes vigilant, tu dormis?, e una del tipo nemo quiescit (o omnes non quiescunt), tu dormis?, la prima è r e t o r i c a m e n t e assai più efficace della seconda. Non so se questa osservazione ti parrà una sofisticherìa. Anth. Lat. 808, v. 174 Riese14 (vol. II) (è il carme intitolato Aegritudo Perdicae; Ippocrate diagnostica che Perdicca ha un male dell’animo, non del Vd. lett. precedente. T., Per una nuova edizione, I (cit. lett. 8). 9 In margine T. aggiunge: «anche: <quid?> num illud … (lana amittit?)». 10 Vd. lett. precedente. 11 Vd. lett. precedente e seguente. 12 T. aggiunge in una nota a piè di pagina: «Comunque nel Landino può aver influito parce, come osservi tu: bene dunque misereque patri». 13 Vd. lett. 69. 14 Sul questo verso vd. lett. seguente, 105, 118. 7 8 156 corpo) – Causas, mater, habes: medicinae munera cessent. | Hic animi labor est: † hebeo iam ceteri dicant †. Riese scrive … labor est: abeo; iam cetera di dant. (abeo Hiller, hebeo servabat Bährens; di dant vel dent Bährens). A me pare che gli dei qui non c’entrino affatto (comunque, caso mai meglio dent che dant). Proporrei: … abeo: iam cetera dicat, o meglio … abeo: <hic> iam cetera dicat. ‘Io ho riconosciuto che si tratta di un male spirituale, non fisico: a costui ora spetta dire il resto, cioè rivelare quale affanno lo tormenta’. Coi più cordiali saluti Sebastiano Timpanaro PS. ‒ Sono finalmente usciti gli «St. it. fil. class.»15; ho letto il tuo articolo16: sebbene io non conosca Sinesio e non possa quindi giudicare con competenza, tuttavia credo di aver capito che il tuo articolo è ottimo. La nota di tuo fratello dimostra il suo vivo ingegno filologico17. Ti manderò appena li avrò gli estratti del mio 3o articolo18 e di una noterella sul dat. in āī in Ennio e Lucrezio19. 15 16 17 18 19 «SIFC», n.s., 22, 1947. M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2). Vd. lett. 57. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8). T., Dativi in āī in Ennio ed in Lucrezio? (cit. lett. 39). 157 74 Pesaro, 25. 7. 1948 Carissimo, in un intervallo di queste maledette abilitazioni magistrali trovo un po’ di tempo per scriverti. Staremo a vedere come si comporterà la nuova direzione del partito1. Niente di definitivo si può dire prima che abbia chiarito fin dove vuol arrivare e come condurrà la ‘lotta’ colla maggioranza del nostro gruppo parlamentare. Var. 582 – In realtà il passo di Seneca citato dal Marx c’entra pochissimo. Hai ragione che in hacpropter hac è avverbio; ma propter non lo r e g g e in un certo senso ugualmente? (come noi diciamo ‘fino allora’ e simm.). Se sbaglio, correggimi. Comunque, a me non è chiaro come il propter di hacpropter possa legarsi anche con qua: non capisco bene come un avverbio relativo potrebbe congiungersi in questo modo con una parola della reggente. Insomma per ora mi sembra che 58, come non va per il metro, così abbia una parola incomprensibile, qua, che sarà quindi la parola da correggere. Da quoniam a qua il passaggio non è difficile per scambio di abbreviazioni. Dimmi cosa ti pare. Ann. 5353 – Non ricordavo la tua proposta di leggere ́ cum illúd, che preferisco senz’altro alla seguente (cum<que>). Per salvare il cum, una proposta qualsiasi – comunque da rivedere – potrebb’essere: <Ut,> cum illud … veneno | <lana quis vult abolere, labos est irritus omnis, | sic …>. Sc. 1174 – Anche più incerta questa proposta per integrare ipoteticamente, alla quale vorrei ripensare, anche perché il costrutto di urvo può far difficoltà. Penserei che il frammento si riferisse non alla fiera morta (Vahlen), ma alla battaglia di Perseo con essa, e tenterei: … <icta effuso sanguine5> | circum sese urvat 6; ad pedes a terra quadringentos caput | <attollit>7. Ossia: ‘colpita, si circonda (circum avverbio?) di sangue; solleva il capo fino a 400 piedi da terra (saltando)’. Che si dica a terra pur essendo la fiera nell’acqua non parrebbe a me difficoltà grave. 1 2 3 4 5 6 7 Sulla situazione politica vd. precedenti lett. 69-73. Vd. lett. 72. Vd. lett. 72. Vd. lett. 72. Sotto il termine sanguine M. scrive: «cfr. Sc. 119». Sotto «<icta … urvat» M. scrive: «cfr. Ov. Metam. 4, 728 sg.». Sotto «ad pedes … attollit>» M. scrive «cfr. Ov. Metam. 4, 721 sg.». 158 Ti sono molto grato per l’indicazione su misereo(r) col dat. Il Landino poteva aver presente anche miserere nobis, che m’informerò da qualche prete colto (ce n’è pochissimi) a quando risale8. Apoc. 2, 39 – La tua obiezione al mio <numquam in his> adquiescunt è finissima, ma forse veramente troppo fine. Basterebbe pensare che il tono con cui parla l’immaginario interlocutore fosse ironico, sfottente e non energicamente retorico. ‘I poeti, tanti quanti sono, non dicono mai così – non contenti …; e tu …?’. Sat. 8 sg.10 – Vanno bene anche senari, purché non si vada a pensare col Vahlen, caesurae gratia, a nam ⁞ is, di cui non vedo il bisogno (anche in Sat. 1 lascerei suo magno, sebbene, a differenza di qui, non ci sia neppure la semisettenaria; ma, per Sat. 8, basta confrontare Sc. 142). Ma è possibile anche – e anzi parrebbe f o r s e preferibile – un verso unico, settenario giambico: Nam is nón bene vult tibí qui falso crímināt apúd te. Per il sett. giamb. nelle Satire cfr. v. 12 sg. Per apúd te in fine di verso cfr. ad es. apúd me in Catull. 68, 33, ecc. (questo ed altri esempi nell’articolo di Zinn, «Philol.» 94, 285 sgg., parte finale, che però per Plauto e Terenzio rimanda ai lessici che non ho visto). Sc. 182 sg.11 – C’è fra i due versi sufficiente legame per escludere che si tratti, come io sospetterei, di due frammenti diversi, di cui il 2° potrebbe non essere enniano? Derepente sta benissimo sia con il primo che con il secondo concetto. Dunque, forse: Ennius h. l. «Ecce autem abstulit | dere(?) pente <...» Tizio: «… derepente> contulit sese in pedes» (quest’ultimo può essere anche residuo di senario). Ancora non ho visto gli «Studi»12, e attendo di giorno in giorno il tuo articolo con grande interesse; i miei estratti mi arriveranno forse domani, e te ne manderò subito una copia. Del mio articolo sinesiano13 non sono insoddisfatto completamente. Alcuni contributi mi paiono, almeno per ora, sicuri. Anth. Lat. 808, 17414 – Il tuo abeo; iam cetera dicat pare ottimo e sicuro. Me lo segno, beninteso col tuo nome, nel mio Riese. L’inserzione dell’<hic> mi pare superflua. Il riferimento a Perdicca è intuitivo. Tutto il discorso di Ippocrate è rapido. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 69. 10 Vd. lett. 75-6, 78 11 Vd. lett. 75-6. 12 Si riferisce a «SIFC», n.s., 22, 1947, che contengono T., Per una nuova edizione, II e III (cit. lett. 8). Vd. il postscriptum della lett. precedente. 13 M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2). 14 Vd. lett. precedente. 8 9 159 Avevo letto l’Aegritudo Perdicae qualche anno fa. Annotai qualche tentativo, di cui questi due meritano forse che ci ripensi: v. 715 – Mută codd.; Mitte (‘abbandona’ o simm.), credo. Mitte, precor dev’essere inizio d’esametro in qualche poeta che non ricordo. Oltre al metro (muta non è neppure parola giambica), mi pare anche che muta non sia tanto esatto per il senso. v. 132 e 22716 – Lasciare nel testo clarior col Baehrens mi pare pazzesco. Del resto sarebbe bene trovare una correzione semplicissima che spiegasse nel modo migliore il riprodursi dell’errore in ambedue i luoghi. Avevo pensato a Clario ( = Apollini, i.e. soli), sebbene non capisca bene perché l’autore non abbia scritto Phoebo. Forse una leziosaggine? Non so se hai visto in «Paideia» 3, 156 sg. che Pisani torna sul Metioeo Fufetioeo di Ann. 12617, dicendo ingenuità (almeno in parte). Cosa ne pensi di quel terribile frammento? A me non pare persuasivo neppure Bolelli18. Da sabato prossimo sarò a F r a t t e r o s a (P e s a r o ), lontano da città, esami, e con pochi libri. Porterò anche Ennio. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti Vd. lett. seguente e 116. Vd. lett. seguente e 116. 17 Vd. lett. seguente e inoltre 76, 78-83, 621 e cfr. LE, p. 118 = LE2, p. 75 e S. M., Enn. Ann. 120 Skutsch (126 Vahlen2), in Vir bonus discendi peritus. Studies in Celebration of Otto Skutsch’s Eightieth Birthday, ed. by N. Horsfall, London 1988, pp. 82-5 (= LE2, pp. 95-100). 18 T. Bolelli, Mettoeo Fufetioeo o Mettieo Fufetieo in Ennio?, «SIFC», n.s., 21, 1946, pp. 110-6. 15 16 160 75 26. 7. 1948 Carissimo Mariotti, avrai nel frattempo ricevuto i miei estratti1: aspetto le tue obiezioni e proposte sempre graditissime. Var. 582 – Mi pare che tu abbia ragione, e che quoniam sia la soluzione migliore. Sc. 1173 – Giustissima mi pare l’interpretazione di circum come avverbio, e giusto anche il ripudio dell’ipotesi del Vahlen che il verso si riferisca ad feram interemptam. Quanto alla tua proposta d’integrazione, un’espressione come ‘la fiera si circonda di sangue’ mi suona un po’ ostica, e così pure credo che difficilmente si direbbe, di uno che salta fino a 400 piedi di altezza, che ‘s o l l e v a i l c a p o fino a 400 piedi’; preferirei quindi (ma aspetto il tuo parere) supporre che il verso appartenga ad una descrizione della fiera che s’avanza, prima che cominci la lotta di Perseo contro di essa: p. es. <squamis horribilis fera>, | circum sese urvat: ad pedes a terra quadringentos caput | <attollit> (o <tollit>): ‘la fiera si cinge tutt’intorno di squame4: innalza il capo (non saltando, ma restando in acqua con la parte posteriore del corpo) fino a 400 piedi di altezza’. Per la posizione della fiera che avanza nuotando e tenendo il capo sollevato al di sopra dell’acqua, cfr. Aen. 2, 206-8 (i draghi di Laocoonte) pectora quorum inter fluctus arrecta iubaeque | sanguineae superant undas, pars cetera pontum | pone legit. Non credo che faccia difficoltà l’altezza iperbolica di 400 piedi: Ennio può aver immaginato il mostro marino come gigantesco, come Orione che ingrediturque solo et caput inter nubila condit (Aen. 10, 767). [O che circum sese urvat significhi ‘s’avvolge su sé stessa’ come un serpente? Aspetto il tuo giudizio.] Sat. 85 – Il settenario giambico da te proposto è certo possibile. Si potrebbe obiettare che esso sarebbe privo di dieresi dopo il 4o piede, caso r a r i s s i m o nei settenari latini; ma sarebbe facile rispondere che per l’appunto Sat. 12 è anch’esso privo di dieresi. Nam | ís di Vahlen non è certo necessario, ma neppure improbabile giacché iati con nam nei poeti scenici sono Si riferisce agli estratti di cui aveva promesso l’invio al termine della lett. 73. Vd. lett. 72. T. risponde alla lett. precedente. 3 Vd. lett. lett. 72. 4 T. aggiunge in nota a piè di pagina: «cfr. 115; non credo che faccia difficoltà sese urvat = (urvata est)». 5 Vd. lett. precedente. 1 2 161 frequentissimi (anche Ennio Sc. 267 nám | ut ego): naturalmente in questi casi c’è chi preferisce togliere gli iati scrivendo nam<que>. (Ho il sospetto che negli scenici tibī non si trovi, nel qual caso bisognerebbe necessariamente accettare la scansione del Vahlen: ma verificherò, può darsi che mi sbagli). Sc. 182 sg.6 – Se il frammento si riferisce, come suppone il Vahlen e come anche a me parrebbe probabile, ad una narrazione del duello di Achille ed Enea (Il. 20, 321) o di Achille ed Ettore (Il. 20, 441), ambedue interrotti dalla divinità che salva il troiano avvolgendolo di nebbia, si potrebbe integrare a un dipresso: Ecce – abstulit; | <qua ille (scil. Hector sive Aeneas) fretus> derepente contulit sese in pedes (= si dette alla fuga). L’integrazione è brutta, lo so: l’ho fatta soltanto exempli gratia. Il frammento potrebbe appartenere ad una narrazione fatta da un nunzio o anche da Achille stesso. Con ciò non voglio certo escludere che si possa trattare di 2 frammenti distinti: ma forse l’ipotesi non è indispensabile. E veniamo al famigerato Metti(o)eo Fufeti(o)eo 7, su cui finora non ti avevo scritto nulla per non occupare troppo spazio, giacché la questione è intricatissima. Io dell’articolo di Bolelli8 accetto la parte critica, non quella ricostruttiva. Bolelli (e così pure Terzaghi nella postilla) ha ragione di affermare l’e s i g e n z a che nel frammento di Ennio vi siano, come in precula di Tinga Placentinus, una immutatio ed una trasmutatio: ha quindi ragione di respingere l’ipotesi che si tratti di un genitivo omerico in -οιο, ipotesi che del resto è per molte altre ragioni assurda9. Le osservazioni del Pisani sono facilmente confutabili, e alcune sono delle pure sciocchezze (tale p. es. quella sulla prosodia di Fufetius: Fufetius ha stesso suffisso di Lucrētius, di Caesētius, Mussētius, dunque ha la e lunga: Fufĭdius non c’entra). D’altra parte però l’ipotesi di Bolelli (Mettieo Fufetieo dativo, con transmutatio: Mettieo per Metteio e immutatio: Metteio per Mettio) è altrettanto insostenibile. Infatti 1) se Metteius è attestato in iscrizioni, Mettieus invece non lo è affatto; 2) non si capisce perché Quintiliano, dovendo spiegare la forma Mettieo per Mettio, sarebbe ricorso alla trafila Mettio > Metteio > Mettieo anziché derivare direttamente Mettieo da Mettio per adiectio di una e (tra i barbarismi Quintiliano, oltre l’immutatio e la transmutatio, annovera l’adiectio e la detractio); 3) anche ammessa la trafila supposta da Bolelli, Metteio per Mettio secondo la terminologia di Quintiliano non sarebbe immutatio, ma adiectio: dunque neppure il Bolelli è riuscito a trovare nel frammento di Ennio l’immutatio e la transmutatio. Comunicai l’anno scorso queste obiezioni a Bolelli. Egli, quanto all’ultima obiezione, rispose che 6 7 8 9 Vd. lett. precedente. Enn. ann., 126 V.2. Vd. lett. precedente. Bolelli, Mettoeo Fufetioeo (cit. lett. precedente). Sulla questione vd. LE2, p. 97, nota 24. 162 in Metteius la grafia ei potrebbe designare un suono intermedio tra e ed i: in tal caso Metteio per Mettio sarebbe davvero immutatio (passaggio da una i a un suono intermedio tra e ed i). Ma allora – gli controrisposi io – non è più vero che Mettieo per Metteio sia transmutatio, giacché la transmutatio (cioè la metatesi) presuppone che in Metteio la e e la i siano d u e suoni distinti e quindi scambiabili di posto, non una grafia designante un unico suono. Insomma: o ei rappresenta davvero ei, e allora Mettieo < Metteio è, sì, transmutatio ma Metteio < Mettio non è immutatio bensì adiectio; ovvero ei rappresenta un suono intermedio e/i, ed allora Metteio < Mettio è immutatio ma Metteio > Mettieo non è transmutatio. A ciò Bolelli niente seppe replicare, e solo si riservò di ripensarci: perciò anch’io, in attesa di una sua risposta, non ho reso pubbliche le obiezioni alla sua ipotesi. Per me, l’unico che davvero avesse – sia pure a prezzo di un emendamento non molto lieve – messo d’accordo il frammento di Ennio con le parole di Quintiliano era stato il Vahlen1 con Mettoi Fubettoi; immutatio Fubettoi per Fufettoi (cfr. Φουβέντιος in Plutarco, e nota che Fubettus è forma ‘urbana’ con b al posto dell’ f osco-umbra: cfr. ruber-rufus ecc.) e transmutatio Mettoi Fubettoi per Mettio Fubettio: naturalmente Mettoi dativo come populoi Romanoi ecc. Aegrit. Perdicae – Ottime mi paiono le congetture ai vv. 7 e 132 (= 227)10: Clario per Phoebo si spiegherà come preziosismo, o addirittura un semplice sfoggio di dottrina. Al v. 7 muta … flammas per il senso si può forse difendere: ‘cambia genere di amore’ o ‘cambia l’oggetto dell’amore’, cioè invece di suscitare amori incestuosi desta solo amori leciti (cfr. il sg. alioque intende sagittas). Ma l’errore metrico è certo grave. Ἀποκολ. 2, 311 – Mi rimane qualche leggero dubbio, che, però, forse abbandonerò ripensandoci. Ennio Ann. 37912 – Collocazione del Vahlen inaccettabile perché fondata su confronto con u n d i s c o r s o di Giustino, il quale per di più segue per la guerra di Antioco una tradizione divergente da Ennio. Io credo che le ‘fonti’ siano le fonti delle Muse, dalle quali prorompe ‘l’impeto dell’acqua’, cioè, fuori di metafora, l’ispirazione poetica. Ennio per primo s’abbeverò a queste fonti (cfr. Prop. 3, 3, 5 sg.): colui che le disprezzò (contempsit) sarà Nevio: dunque forse proemio libro VII. Anche in Ann. 217, di cui s’è già parlato altra volta, l’oggetto di reserare sarà fontes13. Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Vd. lett. precedente. Vd. lett. 69. 12 Vd. lett. 64. 13 In margine M. scrive alcune annotazioni a matita che si trovano elaborate nella lettera di risposta. 10 11 163 76 Fratterosa (Pesaro), 4. 8. 1948 Carissimo Timpanaro, anche la terza parte del tuo articolo1 è ottima, e io non condivido la tua impressione che la prima metà sappia di tesi di laurea. Il chiarimento di certi concetti dovrebbe esser ovvio e, più che utile, necessario; e tu vuoi sempre arrivare – ci riesci – alla più assoluta chiarezza nell’esposizione del tuo pensiero. Perle dell’articolo, mi pare, la dimostrazione della falsità della testimonianza su Minerva hera domina e quella dell’autenticità del frammento fulgenziano2. Naturalmente su qualche punto si può dissentire, ma non dimostrare che tu abbia torto. Si tratta soltanto di sensazioni. p. 184 (secondario per il tuo assunto): di Ann. 3533 non penserei tanto, come qualcuno, che Festo abbia sbagliato a citare quanto che sia caduta la citazione di Ennio e il nome di Lucrezio. In una citazione di verutum da Enn. Ann. 10 ci si aspetterebbe un riferimento all’uso dell’arma in battaglia e non un’indicazione di spazio. Dato poi anche il saepe io non riesco a immaginare un contesto gran che diverso da quello di Lucrezio, che non si vede come c’entrasse nel X degli Annali. Ma può darsi che sbagli. Ann. 6144 – Bene la dimostrazione della non ennianità del frammento. Bisognerà forse non ritenere casuale la coincidenza fra la citazione virgiliana di Seneca, in cui si parla di Ennio, e la citazione del Colonna5. Probabilmente il Colonna (o una sua fonte) si è trovato davanti al passo di Seneca t r a m a n d a t o a n c h e m a l e (codd.: Ennius hoc ait Homero s e subripuisse; fin qui pareva chiaro che quem super … caeli fosse enniano) e, trattandosi di passo incerto ecc., si è assicurato una fonte più sicura nel mondo della fantasia. Ma un rapporto fra Seneca e Colonna dev’esserci, e pare che lo noti (dubitosamente) il Vahlen ad frg., senza però ricordare che il passo di Seneca è corrotto, il che non mi pare senza importanza. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8): vd. lett. precedente. Vd. rispettivamente T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8), pp. 186-7 e 199-205. 3 Enn. ann., 353 V.2 = Lvcr. 4, 409 cursus quingentos saepe veruti. Su questo frammento vd. anche lett. 78, 499 e 502-3. 4 Enn. ann., 614-5 V.2 quem super ingens | porta tonat caeli. Vd. anche lett. 78 e cfr. S. M., Falsi enniani di Girolamo Colonna?, in Studi filologici e storici in onore di Vittorio De Falco, Napoli 1971, pp. 267-83 (= LE2, pp. 135-46, di cui si vedano in particolare le pp. 135-8 con la nota di p. 131). 5 Enn. ann., 614 V.2 = Verg. georg., 3, 260-1; cfr. Sen. epist., 108, 34; Girolamo Colonna, ed. di Ennio, Napoli 1590. 1 2 164 p. 185 sg. – D’accordo sulla falsità di Ann. 212. Da notare, contro chi cerca d’integrare, che per far ciò si è obbligati ad aggiungere (cioè a s u p p o r r e c a d u t e ) cose che m a n c a n o in Apuleio6: cioè il d di indalbabat e, peggio ancora, orta o cuncta. Chi vorrà ammettere anche questa coincidenza? Tuttavia mi rimane strano che lo Stazio non cercasse di dare una forma metrica al frammento e si limitasse a riprendere quasi alla lettera il passo di Apuleio col rischio d’essere smascherato sui due piedi. p. 189 sg. (Ann. 311)7 – Qualche dubbio mi resta, ma vorrei risentire il tuo parere. Intanto non mi ricordo né l’ho qui, se nel proemio di Lucrezio ci sia p e r c u l s a e (?) corda tua vi8 (che del resto potrebbe essere servito anche al Colonna o a Fabio Aquinate). Se in Lucrezio non c’è percello, si potrebbe anche pensare che perculsi in Ennio (?) fosse usato con valore mediale che darebbe un senso più compiuto al frammentino: ‘i Cartaginesi battutisi il petto’ (p. es. per la morte di Asdrubale). Nel qual caso che in Silio ci sia l’acc. alla greca vorrebbe dir poco9. Ma, ti ripeto, sono incertissimo. Al massimo si potrebbe portare il frammento fra i dubia. Ann. 62710 – Anche qui qualche dubbio (forse ti parrò troppo ‘conservatore’), non sulla non ennianità del frammento, ma sulla sua genesi, parendomi sempre piuttosto strano che un umanista prendesse sic et simpliciter parole di Tizio per attribuirle a Caio, che è metodo assai rischioso e neppure concordante con la ricchezza giocosa di fantasia che avevano gli umanisti. Furius è nome citato, così, molto di rado, se non sbaglio; Furius è paleograficamente molto vicino a Ennius; Macrobio cita spesso Ennio come fonte di Virgilio11. Che il Colonna (il Merula potrebbe aver ripreso da lui) trovasse in un codice interpolato del diffusissimo (e spesso Enn. ann., 212 V.2 Ut primum tenebris abiectis indalbabat, citato dall’umanista Achille Stazio nell’ed. commentata di Catullo, Venezia 1566. Cfr. Apvl. met., 7, 1 ut primum tenebris abiectis dies inalbebat et candidum solis curriculum cuncta conlustrabat. Sul frammento enniano vd. anche lett. 78, 96, 521, 541. 7 Enn. ann., 311 V.2 perculsi pectora Poeni. Dall’apparato si ricava che il frammento è citato dal Colonna nell’ed. di Ennio, Napoli 1590, che lo avrebbe ripreso da un altro umanista, Fabio Aquinate. Vd. lett. 78, 79, 540 e cfr. M., Falsi enniani di Girolamo Colonna? (cit. sopra). 8 Lvcr. 1, 12 significant initum perculsae corda tua vi. 9 Sil. 8, 242 instincti pectora Poeni. 10 Enn. ann., 627 V.2 Saturno sancte create. Dall’apparato si ricava che Colonna e Merula, nell’ed. degli Annales, Leida 1595, dichiarano di aver letto il frammento nel commento serviano ad Aen., 10, dove però non si trova. Vd. lett. 78, 540 e cfr. M., Falsi enniani di Girolamo Colonna? (cit. sopra). 11 Macr. Sat., 6, 1, 32 “quod genus hoc hominum quaeve hunc tam barbara morem” [Aen. 1, 539]. Furius in vi: “quod genus hoc hominum Saturno sancte create”. 6 165 interpolato) Servio quelle parole, attribuite ad Ennio o per l’intenzione di correggere il testo di Macrobio o per errore di memoria dell’interpolatore? Comunque il risultato non cambia. Benissimo per Ann. 22612. Dove sono meno d’accordo è per Ann. 574 sgg.13 Qui noi sappiamo che endo suam do è autentico; non possiamo escludere che, anche solo seguendo l’esempio di Omero, Ennio andasse più in là del suo modello, come succede agli imitatori. In fondo gau e cael sono assurdi, ma lo è latinamente anche do. Prove d’ironia in Ausonio (di cui però non conosco il contesto) non ne vedo14. Il caso di Verg. georg. 2, 121 rimaneggiato è diverso15: Ser è parola legittima e testimoniata (già, che io sappia, in Seneca tragico) e il rimaneggiamento è dovuto, credo, soltanto all’esigenza di finire il verso con un monosillabo. Che Ausonio potesse aver operato ritocchi ad Ennio non si può teoricamente escludere, ma niente lo prova (anzi Ann. 576 è citato bene), e niente soprattutto prova che il ritocco giungesse fino a scrivere gau e cael per gaudium e caelum. Insomma io sono, ora, per mettere i frammenti fra i certi con al massimo un cenno generico di dubbio (non sui frammenti stessi; ma sulla possibilità che abbiano subito rimaneggiamento) in nota. Sono invece d’accordo sulla non ennianità e l’assurdità della tmesi di Ann. 60916. Il fatto che Servio lo citi dicendo quod faciebat antiquitas e quindi lui o la sua fonte sembrino averlo preso da un antico, mi rende molto attraente la congettura da te citata del Hardie che esso (ma non Massilī … tanas, certo tardo exemplum fictum) sia di Lucilio. Lucilio potrebbe anche averlo citato come esempio di tmesi impossibile (ᴗ ᴗ  <ut si dicas> saxo cere comminuit brum) e un grammatico potrebbe averlo preso per citazione. 5. 7. 194817 p. 198 sg. – Ann. 62518. Certo una sensazione di dubbio si prova davanti a questo frammento. Ma io mi domando: su quale base noi possiamo escluderlo dai certi? Il fatto che Isidoro e schol. Pers. (che attinge certo a Isidoro Vd. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8), pp. 190-3. Ibid., pp. 194-6. Vd. lett. 78-9. 14 Si riferisce a Avson. techn., 15, 3; 17-9 Green = Enn. ann., 574; 575-7 V.2. 15 Cfr. Verg. georg., 2, 121 velleraque ut foliis depectant tenuia Seres ~ Avson. techn., 11, 6 Green vellera depectit nemoralia vestifluus Ser. 16 Enn. ann., 609 V.2 saxo cere comminuit brum. Vd. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8), pp. 196-8. Vd. lett. 41. 17 In realtà il 5. 8. 18 Enn. ann., 625 V.2 O multum ante alias infelix littera theta. Vd. lett. 78-9. 12 13 166 o alla sua fonte) lo attribuiscano a un quidam non è ancora ragione sufficiente di dubbio: poteva trattarsi di frase proverbiale, di una dimenticanza del primo che l’aveva citato ecc. Della tarda testimonianza che fa il nome di Ennio noi avremmo ragione di dubitare se riuscissimo a capire perché quello scoliasta ve lo possa aver messo arbitrariamente, ma questo non è, mi sembra, né Ennio doveva essere nel Medio Evo autore così ‘popolare’ da attribuirgli il primo verso che capitava fra le mani. D’altronde, se questo verso non ha caratteri interni d’arcaicità, non ne ha neppure, mi sembra, che la facciano escludere. Del resto l’osservazione sulla littera theta poteva ben venire in mente anche ad Ennio grammatico. Certo è vero che il verso farebbe pensare a certi componimenti dell’Anth. Lat., come il Sic et non, che prese posto tardi nell’Appendix Verg., che comincia con un’esclamazione sulla miseria della vita umana, duo quam monosyllaba versant [non ho la citazione precisa], o quella sulla Y littera Pythagorae [che però dev’essere motivo antico]. Ma questi sono ravvicinamenti occasionali. Ci vorrebbe una prova. E per il momento io sarei per mettere il frammento fra i certi con un solo cenno in nota che faccia rilevare la tardità dell’attestazione. Ma su queste cose ed altre questioni poste dal tuo articolo avremo modo di discorrere ancora. Vengo ora alla tua ultima lettera19, rimandando alla prossima volta i dativi in -ai (il tuo articolo è ottimo)20. Sc. 11721 – La tua soluzione, pure acuta come al solito, mi lascia piuttosto dubbioso. Che <squamis …> circum sese urvat possa voler dire ‘è circondato di squame’ mi pare duro; può darsi che esempi se ne trovino e io cambierei parere, ma la mancanza di un participio (con funzione a g g e t t i v a l e ) mi par difficilmente sopportabile. Può darsi che io esageri, e tu correggimi. Che la fiera ‘si circondi’ di sangue (la fiera è nell’acqua e quindi colorisce di sangue l’acqua circostante) è in verità un po’ duro, come tu noti giustamente; come giusta è la tua osservazione sul senso che dò ad attollit (per questa seconda parte il frammento sta certo meglio con l’interpunzione tua). Io, restando ancora al mio primo punto di vista (ma p r o v v i s o r i a m e n t e ), modificherei la mia integrazione così: <icta, spuma et sanguine> | circum sese urvat; ad pedes a terra quadringentos caput | <saliens attollit>. Ora che ci ripenso, con il tuo riferimento alla descrizione della fiera si potrebbe, mi sembra, bene integrare pressappoco: <cedens, spuma22 horribilis fera> | circum sese urvat, ad pedes a terra CCCC caput | <attollit>. Cfr. la nave di Ann. 384 sg. Vd. lett. precedente. T., Dativi in -āī in Ennio ed in Lucrezio? (cit. lett. 39). 21 Vd. lett. 72. 22 M. aggiunge nel marg. inferiore: «spumis? non sono ben documentato sull’uso più comune della parola e sul suo riferimento a spuma del mare». 19 20 167 Sat. 823 – Tibī, come avrai già visto, c’è anche in Enn. Sc. 121, 290. Mi pare che obiezioni forti contro la possibilità che si tratti di un settenario non ce ne siano. Sc. 182 sg.24 – Hai perfettamente ragione e la mia proposta di vedere due frammenti distinti è da abbandonare senz’altro, visto che il legame fra i due versi si può assicurare facilmente come hai fatto tu. Non mi pare impossibile (ma f o r s e è meno probabile) che il derepente si leghi con quanto precede: Ecce ~ abstulit | derepente, <qua ille fretus> contulit sese in pedes. Su Metti(o)eo Fufeti(o)eo25 la tua confutazione del Bolelli è ottima e sicura e potresti, se lui non ti risponde (né può trovare buoni argomenti), pubblicarla subito26. Certo la soluzione di Vahlen è ancora la migliore. Io avevo pensato a qualcos’altro, che però è ancora subordinato all’accertamento di un fatto che non conosco. Cioè se veramente Mettius sia la forma più comune (anzi normale). Ti dico comunque a cosa pensavo, con tutte le riserve del caso. Non mi faccio illusioni, perché è una soluzione alquanto macchinosa (ma anche il Fubettoi del Vahlen è un po’ sforzato). Se Mettio è la forma normale del dat., un Metioi avrebbe già l’immutatio (il 2o t trasformato in i) e la transmutatio (oi invece di io) e il problema sarebbe risolto. Leggerei dunque Metioi Fufetioi (o Fufettoi). Adesso poi c’è la questione del metro. A rigore, credo, oi finale dovrebb’essere dittongo (e allora si potrebbe: Mĕtĭōī Fūfētjōī (o -ttōī ), finale di esametro). Ma che Ennio abbia usato questo ardito arcaismo senza un motivo metrico a me par difficile (malgrado il tuo probabile suadas di Ann. 30827, che è comunque congetturale e rappresenta un caso meno grave). Io vorrei dunque arrivare a un Mĕtĭōī Fūfētjōī (o Fūfēttōī). Con il che si viene a ricadere nella questione dei dativi in āī, perché, se si ammette Mĕtĭōī ecc., tanto più bisogna ammettere silvāī dat. (?) ecc. Io non sarei (né credo che anche tu sia assolutamente) contrario ad ammetterne l’esistenza analogica; Ennio avrebbe misurato Metiōī come silvaī dat. (?) in base a silvaī genitivo. Nota che Mĕtĭōī Fūfētjōī costituirebbe una clausola molto simile a terrai frugiferai, silvai frondosai, e anche – se fosse una citazione di poeta, p. es. di Ennio, come mi viene il sospetto – populoi Romanoi (identico metricamente). Ma io ho lavorato troppo di fantasia e non dubito che mi dissuaderai dal persistere in queste supposizioni. Già una qualche difficoltà – forse non definitiva – può esser Vd. lett. 74. Vd. lett. 74. 25 Enn. ann., 126 V.2. Vd. lett. 74. 26 S. T., Der Forschungsbericht. Ennius, übersetzt von Fritz Bornmann, «AAHG», 5, 1952, coll. 195-212 (rist. parziale con aggiunte in Contributi1, pp. 623-71): col. 202. 27 Vd. lett. 46. 23 24 168 data dal fatto che in Mettioi > Metioi parrebbe più naturale vedere un’adiectio (di i finale) e una detractio (di una t). Ann. 37928 – Bellissima l’attribuzione al proemio del VII l. Tuttavia non oserei ancora accettare la assoluta esclusione dell’interpretazione vahleniana. Può trattarsi di un luogo comune oratorio, attribuibile anche ad altri contesti (il contempsit poi potrebb’essere perf. gnomico: <erravit qui>29 contempsit). A me viene in mente una frase, mi pare, di Cicerone citata dal Diels come ‘motto’ per i Doxographi: tardi ingeni est rivulos consectari, f o n t e s rerum n o n v i d e r e (= contemnere)30. Dimmi ancora cosa te ne pare. Ripeto che per me la tua attribuzione è sempre la più probabile. Ann. 56731 – Per me è: statui 1a persona; maiorum … a[t]henis (Lachmann) sicuro in base al confronto – forse non fatto dal Lachmann? – con Hor. carm. 3, 30, 1 aere perennius (in fondo = aheneis monumentis perennius) e con Enn. Var. 1 quantam (= quam magnam: cfr. maiorem) statuam32. Il frammento ha dunque contenuto più personale e si riferisce a persona glorificata da Ennio (Scipione: nello Scipio? nella parte di Ann. che lo riguardava? – o Fulvio Nobiliore (l. XV)?). T e n t o c o n c o r a g g i o : Huic statuam statui33 maiorĕm, ⁞ ut arbitro, ahenis. Arbitro più volte in Plauto. Arbitro qui ed arbitror Sc. 409 come altrove opino e opinor. Cfr. et codd. obatu (et < ut) ed orbatur (sebbene a prima vista orbatur sembri secondario, può aver qualche valore). Un’affettuosa stretta di mano dal tuo SM Vd. lett. 64. In nota M. aggiunge: «solo per il senso». 30 Riecheggia Cic. Ac., 1, 7. 31 Enn. ann., 567 V.2 Huic statuam statui maiorum obatu athenis. Vd. lett. 62. 32 Vd. lett. 56. 33 M. aggiunge in uno spazio libero alcune linee al di sopra: «Naturalmente statuam statui = exegi monumentum (Hor.)». Sul primo foglio T. ha scritto: «huic statuam statui maiorem obatu ahenis | maiorem, <ut ego arbitro>. 28 29 169 771 Fratterosa, 6. 8. 1948 Carissimo, nella mia di ieri2 ho dimenticato, oltre che di ringraziarti della tua cortese citazione nella postilla all’articolo3, anche di dirti, a proposito di Sc. 1174, che l’interpretazione di circum sese urvat come ‘si avvolge su se stessa’ mi pare un po’ dura data la glossa circumdare: si potrebbe dire se circumdat in questo senso? Non lo escludo, ma non mi pare naturale. Inoltre non pare che il cetus (cfr. anche Hyg. ap. Vahlen, p. cciv) possa somigliare a un serpente. A proposito di Ann. 5675: allo stesso contesto p o t r e b b e appartenere Ann. 4946 (dum quidem unus homo Romanus toga superescit). Sebbene si tratti di luogo comune, cfr. ancora Hor. carm. 3, 30, 7 sgg. (sebbene Orazio parli della propria gloria, ma in fondo è lo stesso); Verg. Aen. 9, 446 sgg. S’intende che 494 poteva stare anche nel proemio I (se si legge cluebunt)7 e altrove. Altra possibilità per Ann. 567 (che tuttavia n o n mi pare la migliore): che Ennio, venendo a parlare di Scipione in Annales, alludesse con quelle parole allo Scipio, o parlando di Fulvio Nobiliore, all’Ambracia. Da togliere le virgolette del Vahlen ad Ann. 494. Un saluto affettuoso. SM Cartolina postale. Vd. la seconda parte della lett. precedente. 3 T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8), p. 207: nella Postilla discute e in parte accoglie alcune proposte di M. 4 Vd. lett. 72. 5 Vd. lett. 62. 6 Vd. le due lett. che seguono. 7 In Enn. ann., 3, su cui vd. lett. 15. 1 2 170 78 Pisa, 9. 8. 19481 Carissimo Mariotti, anzitutto ti ringrazio per l’invio del tuo articolo sinesiano2, che è – per quanto io, ignorante di Sinesio, posso giudicare – ottimo, e inoltre è scritto in un bellissimo latino. Ho anche letto nella «Par. Pass.» le tue congetture all’Anth. Lat.3: senz’altro sicure mi paiono nudo, potus fotusque (questa particolarmente felice), Asiae natura, pectora <ora>. Qualche dubbio mi suscita l’ultima (855, 4) 4: la tua obiezione alla lezione manoscritta è, da un punto di vista logico, giustissima, ma forse troppo razionalistica: un poetastro può essersi lanciato a fare un paragone altisonante (quantum ingens mundus ecc.) senza badare alla sua illogicità, la quale a prima vista non si nota. Tuttavia non c’è dubbio che, se si deve emendare, il tuo munus è la soluzione migliore. In 353, 65 fugata, piuttosto che in fuscata col Müller, non andrà corretto in fucata con α? Ti ringrazio poi per le osservazioni al mio articolo6. Quasi tutte mi sembrano da accettarsi senz’altro: così hai perfettamente ragione di spiegare Ennius per Furius in Ann. 627 come corruttela di un cod. interpolato di Servio anziché falsificazione del Colonna; lo stesso si dica per Ann. 614, dove giustissimamente tu fai notare che il passo di Seneca è corrotto. Benissimo anche quanto ad Ann. 2127 (O. Skutsch mi scrive che in un suo prossimo articolo dimostrerà che lo Stazio attinse in buona fede a una fonte che tramandava il frammento falso: vedremo). Quanto ad Ann. 3118, in Lucrezio c’è davvero, come tu ricordavi, perculsae corda tua vi (anch’io lo avevo citato, sebbene incompletamente, a p. 189 n. 3), e quindi mi par difficile (sebbene non del tutto impossibile) interpretare perculsi con valore mediale = ‘battutisi il petto’. Ann. 353 – Che anche in Ennio si potesse trovare un’indicazione di spazio, mi par dimostrato ad es. da Omero Π 589 ὅσση δ᾽ αἰγανέης ῥιπὴ ταναοῖο τέτυκται, … τόσσον ἐχώρησαν Τρῶες, ὤσαντο δ᾽ Ἀχαιοί (cfr. Φ 1 2 3 4 5 6 7 8 La data è sotto la firma. M. ha aggiunto in alto a destra dell’intestazione: «9 VIII 48». M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2). Congetture all’‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 15). Vd. lett. seguente. Vd. lett. seguente. T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8). Vd. lett. 76, a cui T. risponde con la presente. Vd. lett. 76. Vd. lett. 76 e 79. 171 251, Ψ 431, 529). C’è però il saepe che, come giustamente mi obietti, fa difficoltà. Ann. 574 sgg. – I tuoi argomenti a favore dell’autenticità sono certo assai validi (io stesso, che nella mia tesi di laurea avevo sostenuto recisamente la falsità, poi ho molto attenuato la mia prima opinione). Qualche dubbio ancora mi rimane; è vero che l a t i n a m e n t e anche do è assurdo come gau e cael, ma una cosa è trasportare di peso una forma greca in un testo latino (δῶ), un’altra è troncare arbitrariamente p a r o l e l a t i n e . Certo però non possiamo escludere che Ennio si sia spinto fino a questo punto. Ann. 625 – Riconosco che contro l’autenticità non vi sono prove, ma soltanto ‘impressioni’. Alla tua osservazione che «Ennio non era nel Medio Evo autore così popolare da attribuirgli il primo verso che capitava fra le mani» si potrebbe forse opporre che il nome di Ennio doveva esser molto noto a glossatori e scoliasti che lo incontravano spessissimo in Festo, Carisio, Prisciano, Isidoro ecc. ecc. Ennio era il più citato in opere grammaticali, quindi non è inverosimile che a lui fosse attribuito un verso adespoto. Ma questa non è certo una prova di non-autenticità. Sc. 1179 – Mi pare che per ora la soluzione migliore sia la 3a da te proposta: <spumis horribilis fera> | … | <attollit>: anche in Aen. 2, 209 (draghi di Laocoonte) fit sonitus s p u m a n t e salo. Meglio spumis che spuma (il plur. è della lingua poetica, cfr. Maas, «Arch. f. lat. Lex.» 12, 516 nota). Sat. 810 – Quanto a tibī avevo detto una sciocchezza; hai perfettamente ragione sulla possibilità del settenario giambico. Metti(o)eo Fufeti(o)eo11: la tua ipotesi è certo da prendere in considerazione, né finora ne sono state fatte di migliori, tranne f o r s e quella del Vahlen1. Tuttavia le difficoltà sono parecchie. Anche ammettendo l’esistenza di dativi analogici in āī (che io non nego recisamente, ma alla quale tuttavia credo poco, perché la loro attestazione è incertissima), mi pare assai arrischiato supporre che a loro volta questi dativi così poco diffusi abbiano fatto sorgere dei dativi analogici in ōī, dei quali manca ogni attestazione. Sempre meglio perciò, io credo, Mĕtĭo͞i Fūfētjo͞i͞ (o -tto͞i͞ ), sebbene in tal caso, come tu osservi, non si capisce perché Ennio sarebbe ricorso a un simile iperarcaismo (in questa difficoltà incorre naturalmente anche il Vahlen1). Quanto al mio Suadas (Ann. 308)12, noto tra parentesi che qui l’arcaismo si giustifica, se non dal punto di vista metrico, da un punto di vista stilistico (riproduzione della parlata arcaica dei populares olli qui tum vivebant homines atque aevum agebant). Che Metius sia meno comune di Vd. lett. 72. Vd. lett. 74. 11 Enn. ann., 126 V.2. Vd. lett. 74. 12 Vd. lett. 46. 9 10 172 Mettius è vero (spesso tuttavia i manoscritti oscillano); ma anche a me pare che Quintiliano13 avrebbe dedotto Metioi da Mettio piuttosto per adiectio e detractio che per immutatio e transmutatio; e sebbene la glottologia di Quintiliano sia del tutto barbarica, nondimeno dubito che egli avrebbe considerato come immutatio addirittura la sostituzione di un’i ad un t : gli altri esempi di immutatio che egli cita (precula / pergula, Canopon / Canobon) si riferiscono a scambi di c e g, di p e b, cioè di suoni affini, tra i quali anche un moderno potrebbe ammettere degli scambi. Ann. 56714 – Benissimo! la tua ipotesi, finora non venuta in mente ad alcuno, che statui sia 1a persona del perfetto, apre la via a capire finalmente questo frammento. Per evitare l’iato maiorem ⁞ ut (possibile, certo, ma forse non da postularsi in una congettura) si può forse scrivere ut ego arbitro. Esempi di ego non strettamente necessario per il senso ci sono in Ennio (vedi indice, e specialmente Var. 45). Ottimo il confronto con Orazio e il riferimento ad una dichiarazione personale di Ennio, probabilmente contenuta in un proemio degli Annales. Cfr. anche Ann. 411 sg.15: Reges per regnum statuasque sepulcraque quaerunt, | aedificant nomen, summa nituntur opum vi, <ma invano, poiché16 il tempo rovinerà un po’ per volta i loro monumenti, finché> postremo longinque dies confecerit aetas. (Ann. 413) <Soltanto i monumenti inalzati dalla poesia sono imperituri> (Così supplisco, preceduto in parte dalla Steuart, col confronto di Hor. carm. 4, 8, Prop. 3, 2, 15 sg. ecc.). Ann. 37917 – Io non nego che il frammento di Ennio p o s s a riferirsi a un discorso come suppone il Vahlen (giusta anche la citazione di Cicerone tardi ingeni est rivulos consectari ecc.)18: ma nego che il confronto con Giustino abbia alcun valore determinante. I discorsi sono invenzione degli storici antichi, e Giustino, o meglio Trogo Pompeo, non andava certo a pigliare Ennio come modello per comporre i suoi lunghissimi discorsi indiretti. Per la stessa ragione è infondata (come giustamente osservò una volta Pasquali) la attribuzione di Ann. 160 a Cincinnato basato su confronto con u n d i s c o r s o di Cincinnato in Dionisio (in Livio di tale discorso non c’è traccia). Ann. 446 sg.19 – Militiae è locativo secondo Funaioli, Studi di lettera- 13 14 15 16 17 18 19 Qvint. inst., 1, 5, 12. Vd. lett. 62. Vd. lett. 129. In nota T. aggiunge: «nequiquam, quoniam …, avrebbe detto Lucrezio». Vd. lett. 64. Vd. lett. 76. Vd. lett. 79-80. 173 tura antica II, 2, 25820: poco probabile, perché, come osserva Heckmann «Indog. Forsch.» 18, 319, di militiae locativo non unito con domi non c’è nel latino arcaico alcun esempio. Heckmann e Vahlen (index, s. v. labor et militia) intendono militiae come genitivo dipendente da labore: possibile. Ma io credo che militiae sia dativo dipendente da peperere: cfr. frasi del tipo optumam progeniem P r i a m o peperisti (Sc. 62), anche in greco τίκτειν τινά τ ι ν ι . Non soltanto peperere, ma anche labore nixi è metafora tratta dal pasto; insomma ‘Non è lecito passar sotto silenzio i prodi che travagliandosi con doglie partorirono egregie azioni alla militia’. Militia è la ‘tradizione militare’ che questi eroi hanno arricchito di nuovi episodi gloriosi (facta). Labor e parere anche altrove spesso congiunti (cfr. Var. 7). Quanto al mio articolo sui dativi in āī, p. 213 nota in fondo21, Servio dicendo che Virgilio aveva scritto aquae amnis intendeva probabilmente che fumidus atque alte spumis exuberat fosse un’aggiunta posteriore, un’interpolazione, e che Virgilio avesse scritto solo furit intus aquae amnis. A proposito di Sc. 11722, hai visto che già il Vahlen p. lxx si richiamava a Ovidio23 e suppliva <tollit> vel <attollit>? Ma il suo riferimento «ad feram interemptam vel interimendam» è ambiguo, sebbene paia un cambiamento d’opinione rispetto a p. 117 (la prefazione fu scritta dopo il testo e l’apparato, cfr. p. 300, addenda). Ricevo ora la tua cartolina24. Sono d’accordo per Ann. 494, pur non escludendo il riferimento di Vahlen p. cxc o simili (discorso di qualche senatore dopo Canne: < n o n c i a r r e n d e r e m o > f i n c h é ecc. o di Appio il Cieco nel lib. VI). Giustamente respingi circum sese urvat = ‘s’avvolge su sé stessa’. Mando tra poco a Pasquali l’ultima parte del mio lavoro, riguardante alcuni problemi di ordinamento dei frammenti; ma purtroppo mi è venuta un po’ lunga, e quindi dubito che Pasquali la accetti25. Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro 20 21 22 23 24 25 Vd. lett. 47. Vd. lett. 39. Vd. lett. 72. Ov. met., 4, 720-2. Vd. lett. precedente. T., Per una nuova edizione, IV (cit. lett. 8). 174 79 Pesaro, 14. 8. 1948 Carissimo, credo che tu abbia ragione a ritenere troppo razionalistica la congettura mun[d]us in Anth. Lat. 855, 41. Probabilmente munus dev’essere relegato nell’apparato. In 353, 6 anche a me par migliore, pensandoci, fucata di fuscata2. Bisognerebbe vedere se il Müller si era indotto a correggere in altro modo solo per gusto di congetturare o per qualche altro motivo (passi simili di qualche classico?). Io mi ero limitato a riportare il testo del Riese discutendolo solo nei punti che m’interessavano; a fucata non ho neppure fatto attenzione, a torto. Certo in Ann. 3113 è da escludere secondo ogni verosimiglianza che perculsi pectora voglia dire ‘battutisi il petto’, e io non insisto affatto su quest’ipotesi visto che Lucrezio ha perculsi corda. Eppure non oserei forse mettere il frammento fra i falsi e lo lascerei fra i dubbi data la presenza del costrutto ‘alla greca’ con perculsi in Lucrezio. Ann. 574 sgg.4 – Ma Ennio avrà sentito do come parola greca? Questo a me non pare probabile (così i grammatici che lo citano come Ausonio non vi hanno certo pensato, sebbene questa non sia una prova). Ann. 6255 – È giusto, niente può escludere che l’attribuzione ad Ennio sia arbitraria – ma, come tu stesso dici, neppure provarlo. Sc. 1176 – Non mi ero mica accorto che attollit è del Vahlen che sembra anche intendere circum sese urvat = ‘si attorce su se stessa’. La mancanza di rinvii dagli apparati all’introduzione, dovuta al modo con cui il libro fu stampato, è molto scomoda. Ti ringrazio per la citazione di Maas in «Arch. f. lat. Lex.»7. Ottimo il tuo confronto con Aen. 2, 209. Ma, a proposito di quella integrazione, non so fino a che punto essa mi spetti, non tanto per l’horribilis (che era già tuo), quanto per l’idea che si tratti della fiera v i v a , su cui tu ti sei fermato prima di me. In altri casi sarà più facile chiarire i limiti del contributo di ciascuno; qui (a meno che poi non si trovi di meglio Vd. lett. precedente. Su Anth. Lat., 855, 4 sgg. e 353, 6 vd. M., Congetture all’‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 15). 2 Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 76. 4 Vd. lett. 76. 5 Vd. lett. 76. 6 Vd. lett. 72. 7 Vd. lett. precedente. 1 175 e quindi si abbandoni questa congettura) è più difficile, e non vorremmo metterci a fare una ‘storia’ della nostra discussione! Sono certo che non litigheremo; ma dimmi cosa ne pensi di tutta questa questione. Ann. 1268 – Ho anch’io il forte sospetto che la congettura di Vahlen1 sia migliore della mia – che comunque, come sai, è una congettura fatta dubitantissime. Premetto che, come debbo già averti detto, io credo al tuo Suadas e alla sua giustificazione stilistica9. Ma proprio perché tale giustificazione manca, quod scimus e anche per quel che è probabile, a Metioi Fufetioi e perché non abbiamo altre attestazioni letterarie sicure di simili dativi (mentre abbiamo vias in Ennio e altro altrove per i gen. in -as, oltre familias ecc.) che io non oserei ammettere uno di questi dativi senza motivi metrici: questo vale naturalmente sia per la congettura del Vahlen (che non so come scandisse) che per la mia. Tentando una difesa contro le difficoltà sorte finora alla proposta, osserverei: 1o) la misura -ōī non mi pare che dovesse essere per forza analogica a quella di dativi in -āī: potevano influire direttamente i genitivi in -āī insieme coi dativi di 3a in -ī. D’altronde è vero anche che, se si ammette un dat. di 2a in -ōī, diviene f o r s e in sé più probabile che ci fosse anche un dat. di 1a in -āī. In ogni modo debbo dire che la tua dimostrazione della insufficiente attestazione di dativi in -āī è bellissima, e l’aquai di Lucrezio è divenuto troppo poca cosa dopo la tua congettura, che è quanto mai acuta e ben sostenuta, aqua<e v>i (giusta la tua interpretazione della nota di Servio su aquae amnis)10. 2o) Per evitare la difficoltà rappresentata dal fatto che Quintiliano avrebbe dovuto considerare Metioi < Mettio piuttosto come adiectio e detractio, ci si può decidere a scrivere, malgrado i codici, Fufettoi (che eviterebbe anche l’i consonantizzato). In tal caso Fufettoi < Fufettio doveva esser considerato come transmutatio e si portava dietro l’ammissione dello stesso fenomeno in Metioi. 3o) È vero che Quintiliano ammette negli altri due esempi scambi che ammetterebbe anche un glottologo oggi; ma questo può esser dovuto al fatto che proprio questi scambi sono quelli che avvengono realmente, e quindi Quintiliano aveva facilmente sottomano esempi di questo genere. Grossolanità sono comunissime in grammatici antichi, come anche tu dici; e una ne abbiamo certo in questo esempio se ammettiamo – come ammettiamo per ora noi – che Mett o i (Vahlen) sia fatto derivare per transmutatio da Mett i o , tanto più che il dotto Quintiliano non avrà ignorato forme come Populoi Romanoi. Forse ho cavillato troppo specie nel punto 1o, e tu dimmelo. Vd. lett. 74. Enn. ann., 308 V.2, su cui vd. lett. 46. 10 In Lvcr. 1, 453, su cui vd. T., Dativi in -āī in Ennio ed in Lucrezio? (cit. lett. 39), p. 212, su cui T. tornò dubbiosamente in Contributi1, p. 202, nota 11. Vd. anche lett. 120. 8 9 176 Ann. 56711 – Ineccepibile il tuo ut e g o arbitro dovuto alla necessità di non congetturare ammettendo un’anormalità metrica. Se dovessi comunicare pubblicamente la congettura, citerei prima il mio ut arbitro – che è sempre giustificabile – come più vicino alla tradizione e poi la tua proposta come molto probabile. Per Ann. 49412 siamo d’accordo sulla possibilità di ambedue i riferimenti. Molto bella la tua ricostruzione del proemio di Ann. 1613: credo che ne parlerai nel tuo prossimo articolo, che Pasquali accetterà certo senza tagli. Forse di quel libro riparleremo ancora, dovendoti io chiedere qualche chiarimento. Ann. 446 sg.14 – La tua interpretazione di militiae come dat. è molto ben appoggiata. Io l’accetterei senza riserve se non ci fosse labor militiae in Cicerone (e belli laboris in Virgilio), com’è indicato in Georges-Calonghi s. labor. Ma bisognerà vedere i passi. Comunque non mi pare escluso che, intendendo militiae come gen., la metafora mantenga abbastanza la sua forza. Ennio può aver giocato sul doppio riferimento del ‘travaglio’ al parto e alla milizia: ‘coloro che essendosi sforzati nel travaglio della milizia ecc.’. Ti prego di dirmi ancora cosa ne pensi. Sc. 42115 – Vocibus concide facimus et obrutus codd. Mi pare che s’imponga face mus<s>et del Turnebo (ap. Ribbeck3, v. 393) non citato neppure dal Vahlen (in ogni caso fac o face è sicuro: cfr. concide). E allora leggerei: Concide, vocibus face musset obrutus, trasponendo le due prime parole. Così, oltre a rimettere a posto il metro, si collega bene vocibus con obrutus: per vocibus obruere cfr. dictis mertare (= mergere) in Acc. trag. 134 R3 (e ci sarà certo altro). ‘Confuta(lo) [concido in questo senso in Cicerone, se non prima], fa’ che sia obbligato al silenzio sommerso dalle (tue) parole’. Certo può far dispiacere di rinunciare all’inizio di senario vocíbus concide; ma sarebbe poi così vantaggioso integrare un insignificante <iam> prima di face (o, peggio ancora, ridurre il verso a un settenario con una più ampia lacuna)? Liv. Andr. trag. 13 sg. R.3 e Lench.16 – Quin quod parere vos maiestas mea procat | toleratis temploque <extemplo> hanc deductis? <extemplo> ludens addidi, alia alii. In ogni modo il 1o verso credo debba terminare con procat (Havet) dopo cui c’è anche pausa di senso. 11 12 13 14 15 16 Vd. lett. 62. Vd. lett. 77. Vd. lett. 100-4, 106-7, 515-7. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 80-4. Vd. lett. seguente, 84, 86. 177 Trag. inc. inc. 63 R.3 (p. 282)17: Ego tunc pudenda p e d i b u s hortabar fugam. – Pedibus ego (o altri prima?), trepidus pedib: cod., trepidus Fabricius, Ribbeck. Ma delle due varianti la difficilior è pedibus, che va con fugam e mi pare pleonasmo adattissimo a un arcaico. Vd. inoltre p u d endam p e d ibus (e cfr. le allitterazioni all’interno dei due versi precedenti). Enn. Sc. 41618 – Un dubbio, probabilmente da abbandonare. Dato l’e s a m e t r o di Lucilio, forse tam ille meae (ille meae tam codd.) potis pacis potiri? Tamen altrove in 1a sede in Ennio. Saluti affettuosissimi dal tuo Scevola M. Vd. lett. 80-2, 185-6 e cfr. S. M., Fuga pedibus (Trag. Rom. inc. inc. 63 Ribbeck3), «StudUrb(B)», 25, 1951, pp. 3-5, e Trag. Rom. inc. 61-63 R.3, «RFIC», 126, 1998, pp. 412-3 (= SFC, pp. 72-3). 18 Vd. lett. seguente. 17 178 80 Abetone (Pistoia), 18. 8. 19481 Carissimo Mariotti, ti scrivo da questo posto di montagna dove sono venuto a riposarmi (e ad annoiarmi!) per una quindicina di giorni. Ti ringrazio degli estratti (ottima anche la recensione a Munari2, giustissima la difesa di mentes in Ciris 118) e della confidenziale comunicazione circa la libera docenza (ho distrutto il foglio3 e non ne farò parola ad alcuno)4. Ti auguro vivissimamente di riuscire perché (lo dico con profonda convinzione e non per ‘farti un complimento’) nessuno, tra i giovani filologi classici, merita più di te tale riconoscimento. Io non credo di essere in grado di partecipare, tanto più che il mio lavoro enniano è ancora incompiuto. Adesso poi, per disgrazia, in autunno ci saranno i maledettissimi concorsi per le scuole medie, e io finora non ho studiato nulla per essi. Sc. 1175 – L’integrazione è sostanzialmente tua, anche se io vi ho, in minima parte, contribuito, e la registrerò col tuo nome. In altri casi, in cui effettivamente c’è stato contributo da parte di entrambi, si potrà specificare nell’apparato il contributo di ciascuno, o, nei casi in cui ciò riuscisse troppo difficile, annotare «scripsimus Mariotti et ego» o qualcosa di simile. S’intende poi che, da quando abbiamo iniziato la nostra relazione epistolare, non c’è una mia congettura alla quale tu non abbia contribuito con conferme, obiezioni ecc.: ed io, dopo aver registrato i tuoi singoli contributi, non mancherò di ricordare nella prefazione la tua generale e costante collaborazione. Ann. 1266 – Tutto ciò che si può dire a sostegno di Mettiōī Fufettōī, tu lo hai detto benissimo. Ciò non toglie che a me sembri pur sempre assai duro ammettere un dativo analogico in -ōī che non è attestato. Anche il supporre che tale dativo sia sorto non per analogia del presunto dativo in -āī, ma per Fra il luogo e la data: Albergo Posta. S. M., rec. a F. Munari, Studi sulla ‘Ciris’, «Paideia», 3, 1948, pp. 151-4. L’idea poi sarà svolta in maniera più completa in La ‘Ciris’ è un falso intenzionale, «Humanitas», 3, 195051, pp. 371-3 (= SFC, pp. 154-6). Sulla recensione a Munari vd. anche lett. seguente. 3 Manca evidentemente la lettera corrispondente. M. ottenne in effetti la libera docenza in letteratura latina solo nel ’54: vd. lett. 240-1. 4 T. aggiunge in una nota a piè di pagina: «Non l’avevo saputo precedentemente da nessuno». 5 Vd. lett. 72. 6 Vd. lett. 74. 1 2 179 analogia del genitivo in -āī e del dativo -ī, mi pare che non attenui molto la difficoltà. Insomma, io credo che spiegazioni analogiche di questo genere possano andar bene per spiegare forme attestate, non per postulare forme non attestate. Certo, anche la congettura di Vahlen1 è tutt’altro che sicura, e io sarei per riprodurre nel testo la lezione manoscritta con segno di corruttela, e ricordare nell’apparato la congettura del Vahlen1 e la tua. (Noto tra parentesi che Mĕtĭō Fūfētjō o –ttō entra nell’esametro: non c’era dunque una a s s o l u t a necessità metrica di usare un dativo in -ōī). Ann. 5677 – Confesso di non sapere se la legge del Maas8 vale per Ennio. Qui non ho nemmeno il Vahlen, e non riesco a ricordarmi esempi. Ann. 4469 – Appena tornato a Pisa, vedrò i passi di Cicerone e di Virgilio per labor militiae (o belli): certo, se essi sono simili a quello di Ennio, dovrò, a malincuore, abbandonare l’interpretazione di militiae come dativo. Sc. 42110 – Senza dubbio face del Turnèbe è la congettura migliore. Farei volentieri a meno, se fosse possibile, della trasposizione concide, vocibus, tanto più che ne vien fuori un senario non molto bello, senza cesura regolare e coll’anapesto strappato face mús-. Ma non vedo altra soluzione migliore, e quindi accetto per ora la trasposizione. Non ho qui né il Vahlen né Varrone L. L.11, e non ricordo se Varrone cita esplicitamente il verso per mussare = tacere. Se per caso Varrone n o n specificasse il valore di mussare, si potrebbe supporre: vocíbus concide, fáce <ne> musset óbrutus, dando a mussare il valore di murmurare (cfr. in Enn. intus in occulto mussabant e exspectans si mussaret)12. Face ne musset = ‘fa che non dica neppure una parola, che non osi neppur mormorare’: cfr. negli Incerta13: neque ut aiunt μῦ facere audent; nec dico nec facio ‘mu’. Ma probabilmente il verso è citato proprio per mussare = tacere, nel qual caso la mia ipotesi va all’aria. (Sempre migliori dell’assurdo facimus del Vahlen sarebbero facito e fac uti proposti non ricordo da chi: ma certo face del Turnèbe è ancora migliore). [Con poca fiducia aggiungo una proposta di scansione cretico-trocaica: vócibu(s) cóncíde fáce (o fác) músset óbrutús, cioè dipodia cretica + tripodia trocaica: ́ ᴗ ᴗ ́ | ́ ᴗ ́ | ́ ᴗ ́ ᴗ ́ . Questo metro c’è in Vd. lett. 62. Vd. lett. 80-3, 91, 93-4. 9 Vd. lett. 78. 10 Vd. lett. precedente. 11 Si riferisce a Varro ling., 7, 101 apud Ennium (fr. trag. R.): ‘vocibus concide, † facimus et obrutus’. mussare dictum, quod muti non amplius quam mu dicunt; a quo idem dicit id quod minimum est (inc. 10 V.2): ‘neque, ut aiunt, μῦ facere audent’. Vd. anche lett. seguente. 12 Rispettivamente Enn. ann., 182 e 344 V.2. Su ann., 344 vd. lett. 86-7, 136-9. 13 Rispettivamente inc., 10 e 9 V.2. 7 8 180 Plauto; ricordo un verso dello Pseudolus: vóx virí péssumi me éxciét forás14. Versi cretico-trocaici anche altrove in Ennio (quam mihi maxime hic …; sed me Apollo ipse …15; e quello citato da Fulgenzio su cui cfr. il mio 3° articolo)16. Il coriambo in 1a sede non fa difficoltà (Enn. áuxilió | éxilí)17; ma sarà permessa nel coriambo parola dattilica (vocibu’)? Questo è il dubbio che mi rimane]. Liv. trag. 13 sg.18 – B e n i s s i m o . Trag. inc. inc. 63 R.19 – Per rendere sicuro pedibus bisognerebbe trovare (e credo che si troverà) un altro esempio di abl. strum. di questo tipo dipendente da un nome (pedibus … fugam). Ma già adesso la tua scelta della variante pedibus contro trepidus mi pare ottima. Sc. 41620 – La tua transposizione è, se non da introdurre nel testo, certo da accogliere nell’apparato. Credo di poter scrivere io a Skutsch; ma qui non ho l’indirizzo e inoltre, poiché gli scrivo in italiano (egli mi risponde in inglese) bisogna che per chiarezza gli scriva a macchina. Appena tornato a Pisa, gli scriverò immediatamente. A proposito di Andronico, che ne pensi tu dei famosi esametri Inferus an superus …, Cum socios nostros …, At celer hasta volans …21. A me pare che: I) che siano esametri scritti da Andronico (come pensa Lenchantin) è impossibile: t r o p p o b e n f a t t i per essere di Andronico; in Ennio stesso si nota chiaramente un’evoluzione dagli irregolarissimi esametri degli Hedupagetica22 a quelli degli Annales: evoluzione che non si comprende più se già Andronico avesse scritto esametri ottimi. E poi c’è il silenzio di tutta la tradizione, c’è il giudizio di Cicerone (che pure era un filoarcaico, e amava non solo Ennio ma anche Nevio) sulla rozzezza dell’Odyssia ‘statua di Dedalo’23, giudizio che si riferisce certo all’Odyssia in saturni (ma il filoarcaico Cicerone avrebbe volentieri aggiunto, se fosse stato vero, che lo stesso Andronico rifece una meno rozza Odyssia in esametri). II) Che siano saturni (Hermann, Terzaghi ecc.) del pari assurdo. Certo, con buona volontà si riesce a scandire qualsiasi verso come saturnio, ma impossibile 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 Plavt. Pseud., 1285. Si tratta di Enn. scaen., 360 e 361 V.2. Vd. lett. 44. Enn. scaen., 87 V.2. Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente. Liv. Andr. carm., frr. 25, 32, 35 Mor. = Ps. Andr. 2-4 Mar.1 = 3, 2, 4 Mar.2. Vd. lett. 66. Sugli Hedupagetica vd. lett. 61. Cic. Brut., 71. 181 è che Andronico volendo scrivere dei saturni, abbia composto dei saturni stentati che però, guarda caso, erano degli ottimi esametri. III) L’ipotesi vera è quella di Ribbeck e Leo: rifacimento esametrico compiuto dopo Ennio. Di ciò credo di aver trovato una conferma. Due saturni di Andronico sono citati da due autori diversi (uno da Carisio, l’altro da Sinnio presso Festo)24 coll’espressione in Odyssia vetere. A me pare sicuro (ma, se credi, ne potremo discutere) che vetere non è un semplice epiteto ornante, del tutto fuor di luogo nello stile dei grammatici (pensa come suonerebbero strane espressioni quali Naevius in Bello Punico vetere, Ennius in Achille vetere ecc.: e nota anche la posizione dell’attributo: in Odyssia vetere, non in vetere Odyssia, dunque non epiteto ornante), ma che l’Odyssia vetus presuppone l’esistenza di un’Odyssia nova, come i poetae veteres sono detti così in contrapposizione ai poetae novi, o la νέα κωμῳδία all’ἀρχαῖα κωμῳδία. E allora? Allora l’Odyssia vetus è quella in saturni, l’Odyssia nova il rifacimento in esametri. Nota che altre traduzioni dell’Odyssia che potessero aspirare al titolo di Odyssia nova non sono attestate25. Tornerò a Pisa verso la fine del mese. Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro PS. ‒ Skutsch ha per ora scritto u n articolo su Ennio. Un altro lo pubblicherà in ottobre26. Dal suo articolo e dalle sue lettere si riceve l’impressione che sia uno studioso serio, molto ben preparato, ma alquanto cavilloso e troppo incline a formulare ‘leggi’ inderogabili di metrica, usus scribendi ecc. anche dove il materiale è troppo scarso, come nel caso di Ennio27. Si tratta rispettivamente del fr. 3 Mor. = 2 Mar.1 = 20 Mar.2 e del complesso dei frr. 26-27 Mor. = 18, 17 e 34 Mar.1 = 15, 14 e 34 Mar.2. 25 Sugli esametri di Livio Andronico vd. lett. 66. 26 Nel 1944 O. Skutsch aveva pubblicato Enniana I (cit. lett. 69), e nel 1948 pubblicò Enniana II, «CQ», 42, pp. 94-101 (= Id., Studia Enniana [cit. lett. 69], pp. 30-45). 27 Nel margine inferiore M. compila un elenco delle ricorrenze nei grammatici di Livius (L. Andronicus) (in) Odyssia di cui riporta i risultati nella lett. seguente. 24 182 81 Fratterosa (Pesaro), 26. 8. 1948 Carissimo Timpanaro, la tua scoperta su Livio Andronico è geniale e importantissima1. Sarà difficile che altri abbia tanto acume da accorgersi di quello che tu hai visto; ma io ti consiglio di comunicarla al più presto2. Credevo anch’io che l’ipotesi di Ribbeck e Leo fosse la vera; ma intanto fra un’ipotesi e una conclusione documentata ce ne corre, e poi un’ombra di dubbio poteva veramente rimanere. L’ipotesi che quei 3 frammenti3 fossero saturni era balorda; ma non si poteva con a s s o l u t a certezza escludere che il caso avesse conservato – magari attraverso qualche parziale ritocco – esametri eccezionalmente buoni dell’unica Odusia (che del resto era sempre quasi assurdo credere scritta in due metri così diversi: che altro esempio anche lontanamente simile se ne poteva portare dall’epica classica?): la rozzezza degli esametri di Enn. Hedup. si sarebbe anche potuta spiegare con differenza (e quasi popolarità) di genere letterario4. Tutto questo, che ora è inutile dire, serve comunque ad aumentare il valore della tua osservazione, che a me sembra incontrovertibile. Io credo poi che se ne possa tentare un’ulteriore conferma, che spero non ti paia troppo sottile. Considerando le citazioni dirette e sicure dell’Odissea di Livio nei grammatici si osserva (se ho contato bene) che: 1 0 v o l t e è citato il solo nome dell’autore. Nella maggioranza dei casi si cita il nome dell’autore e il titolo dell’opera: Livius (L. Andronicus) (in) Odyss. e simili: ben 2 3 v o l t e 5. 2 sole volte (contro cioè il 95% dei casi) manca il nome dell’autore e c’è solo il titolo dell’opera. Può essere un caso che s o l o in questi due casi il titolo non sia, come sempre, Odyssia, ma Odyssia vetus? Dunque in Odyssia vetere è una ‘formula’ di citazione ed Odyssia vetus è un ‘titolo’ tradizionale, sufficiente (a differenza di Odyssea, che del resto – non bisogna dimenti- Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Cfr. «ASNP», s. II, 18, 1949, pp. 186-9 (rist. con ritocchi e aggiunte in Contributi1, pp. 83-96). 3 Vd. lett. 66. 4 Vd. lett. 61. 5 In nota M. aggiunge: «Nel fr. 8 Lench. (Fest. p. 208 L.) Livius è integrato, ma pare integrazione necessaria (cfr. contesto). La caduta si spiega con omoteleuto (precede ommentans)». 1 2 183 carlo – è il nome di un’opera ben nota e citata spesso dai latini, se anche non latina!) ad indicare un’opera. Hai certo già notato che i 3 frammenti esametrici sono tramandati tutti da Prisciano. Non sarà anche esametrico il fr. 6 Lench.6, tramandato anch’esso da Prisciano, quae haec daps est, qui festus dies? …, malgrado l’elisione piuttosto dura del 1o piede (ma cfr. p. es. Cat. etsi m ( e ) adsiduo ecc.)7? In ogni caso però la cosa è dubbia, perché va bene anche come saturnio. Forse è troppo ardita la stessa supposizione per il fr. 29 sic quoque fitum est, che può essere finale d’esametro; ma è citato da Nonio e il fitum est sarà meglio lasciarlo senza dubbi a Livio Andronico8. Passiamo al resto. Quanto alla recensione a Munari9, che mi dici di aver ricevuto, non ricordo se ti ho pregato di non dimenticare – concorde o discorde – l’argomento della σφραγίς con cui ho tentato di dimostrare che la Ciris è un falso intenzionale. È una preghiera ‘circolare’ che rivolgo agli amici dato che mi è capitato di scrivere la cosa, che è andata a genio a Pasquali e credo anche a Munari, in una recensione e in una rivista non specializzata. Ti ringrazio per gli auguri. Sto pensando seriamente a non fare i concorsi per il Liceo, tanto più che dovrei usufruire dei ‘ruoli transitori’. Perché non fai anche tu lo stesso? (Ti dico questo perché vedo che anche a te secca l’idea di farli: molto meglio – e più facile, oltre tutto, per te – la libera docenza). Ann. 12610 – D’accordo; e non dimenticarti che la mia congettura «Metioi Fufetioi vel potius Fufettoi (fort. –ōī bis)» (così penserei di formularla definitivamente) è fatta dubitanter. Ann. 56711 – Mi faresti molto piacere se mi dicessi, quando potrai, qualcosa di più preciso su quella legge di Maas, di cui so solo per sentito dire12. Fatto sta che in Ennio, scorrendo r a p i d a m e n t e , non vi ho trovato eccezioni; ma posso aver visto male, e possono esserci eccezioni altrove. Ad arbitro rinuncerei con difficoltà, oltre che con dispiacere. (Veramente un’eccezione ci sarebbe, ma è dovuta al Vahlen, non ad Ennio, perché mi pare che la sua lettura di Ann. 317 sg. (libertatemque ut perpetuita sint [perpetuita | Assit Usener; perpetuitas sint Non.] quae maxim(e) …) non sia da accogliere. A me pare ancora giusto perpetuassint | † que maxime †. Che Liv. Andr. carm., fr. 6 Mor. = Ps. Andr. 1 Mar.1-2. Vd. lett. seguente e cfr. LA, pp. 76-7 e 105 = LA2, pp. 56-7 e 83. 7 Catull. 65, 1. 8 Vd. lett. seguente e cfr. LA, p. 77 = LA2, p. 57. 9 Vd. lett. precedente. 10 Vd. lett. 74. 11 Vd. lett. 62. 12 Vd. lett. precedente. 6 184 cosa ne pensi?). Così anche mi faresti piacere se mi dicessi se nel Thes. sotto fuga ci sono esempi di complemento dipendente dal sost. (tipo pedibus). In ogni modo, se esiste p. es. observatio signa (Enn.)13 e simm., tanto meglio potrà esserci, fuga pedibus14. Sc. 42115 – Mussare è citato appunto come = tacere (Varr.: mussare dictum, quod muti non amplius quam μῦ dicunt)16. La tua scansione cretico-trocaica, se va bene il dattilo vocibu(s), cosa che non so, mi pare molto buona. E poi lo sai che io ho un certo debole per i metri rari. Scriverei, con quella scansione, piuttosto fac che face (cioè mettendo face fra parentesi) per mantenermi il più vicino possibile allo schema normale del cretico. Del resto fac si potrebbe mettere anche colla mia lettura; ma non capisco perché tu dica che face mus- è anap. strappato. Per essere strappato non deve esserci fine di parola dopo la 1a breve? o sbaglio? Ecco ora due proposte: Ann. 917 – Tu hai dimostrato che per il senso occorre scrivere quaeque in corpore cava caeruleo caeli cortina receptat (è una delle più belle ed acute tue dimostrazioni); poi per il metro hai tolto in e messo al principio cava. Queste due correzioni non sono molto gravi, ma io credo ora che se ne debba fare a meno. Si tratta per me di un frammento scenico in anapesti: quaeque ín corpóre cava caéruleó caelí cortína recéptat (cioè dim. anap. + paremiaco). Possibile naturalmente anche otton. anap. cat., che però mi p a r r e b b e (per il contenuto) meno probabile. L’argomento va benissimo in una tragedia: proprio di tragedia sono i passi che si citano a confronto con l’analogo passo di Lucrezio da te segnalato, cioè Eur. fr. 839 N.2 (lirico), Pacuv. Chrys. 86 R.3; né fa difficoltà il fatto che Lucrezio imitasse nei suoi esametri un ́ o passo anapestico. Per corpore dattilo in 2a sede cfr. Sc. 92 O páter, ō pătrĭa, Príami domus (pure dattilo davanti a cesura), 217 sg.: … stellás sublíme<n> agéns etiam átque | etiám nōctĭś ĭter … (ho fatto male a scrivere sublime<n> col Bücheler anziché sublime agitans del Vahlen?). Ann. 42318 – Leggo persuaso per ora di aver ragione: Primus senex G r a i u m regimen bellique peritus. Graium] bradyn in cod. Fest.; se | primus me bradus Merula; solo bradus corregge Vahlen, di cui non conosco gli argo- 13 14 15 16 17 18 Enn. scaen., 242 V.2. Vd. lett. 79. Vd. lett. 79. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 38. Vd. lett. 82-4 e cfr. LE2, p. 152. 185 menti di un articolo che cita; ma basterebbe l’osservazione di Valmaggi19 che in con l’accusativo non si spiega. Bradus non è attestato (c’è bardus). Graium dovette essere scritto spesso Graiium, da cui un errore in un cod. virgiliano (P o M), in un passo che ora non posso trovare non avendo l’indice dei nomi, grauium20; lo stesso errore nei codd. di Nonio che cita Acc. trag. 471 R.3 (cfr. Ribb. ad l.). Dunque Graiium [o piuttosto Grayum: y per ii comunissimo in età umanistica, ma non so se prima] G e b facili a scambiarsi. – regimen = ‘guida’, ‘capo’; esempi in Val. Max. e Liv. (regimen rerum; dal Georges). Ma non vorrà dire pressappoco lo stesso (p o s s o s b a g l i a r e d i g r o s s o ) in Sc. 224  ᴗ Menelaus me obiungat: id meis rebus regimen restat (così leggerei, come ottonario senza rest<it>at di Bentley)? Resta il fatto che nel l. XVI non si sa che si parlasse di Greci; ci sarebbe stato il bellum Histricum, secondo Vahlen (e c’è il rex Epulo). Ma poteva benissimo, credo, continuarvi la spedizione greca di Fulvio Nobiliore; e T. Caec. Teucro e il fratello potevano benissimo aver partecipato alla guerra in Grecia e poi alla guerra istrica. D’altronde da Plinio21 Q. Ennius T. Caec. Teucrum fratremque eius praecipue miratus propter eos XVI adiecit annalem parrebbe che Ennio li avesse conosciuti e visti combattere costoro: perché non in Grecia? Non posso ancora vedere se si possa tentar di identificare questo senex, ma sarà difficile. Affettuosi saluti dal tuo Scevola M. PS. ‒ Rimarrò a Fratterosa fino al 4 sett. Riposati e cerca di non annoiarti. 19 20 21 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). Verg. Aen., 6, 588 (grauium M, corr. M1). Plin. nat., 7, 101. 186 82 Pisa, 4. 9. 1948 Carissimo Mariotti, eccomi di ritorno a Pisa. Ho scritto ieri a Skutsch1. Ann. 1262 – Ripensandoci, mi sembra che un dativo in -oi (non bisillabo) si possa giustificare come sabinismo: in oscoumbro la desinenza del dat. sing. è appunto in -oi (osco húrtúi = horto, prenest. Numasioi), e Metius Fufetius è un nome oscoumbro. Questa considerazione forse permette di scartare definitivamente il già improbabile Metiōī Fufetiōī, e di mantenere solo il tuo Metioi͡ Fufettoi͡ e il vahleniano Mettoi͡ Fubettoi͡ . Certo rimane l’inesplicabilità della corruttela Metioeo Fufetioeo. Ann. 5673 – Sulla legge del Maas purtroppo non sono ancora riuscito a sapere nulla4. Non ho trovato nulla nel Vollmer (Röm. Metr. nell’Einleitung di Gercke e Norden), nel Maas (Griech. metr.)5, nei vecchi manuali di Christ, Gleditsch, Zambaldi, nel recentissimo Cordier, Les débuts de l’hexamètre latin6. Lo Skutsch (RE, V, 2622) si limita a rilevare la rarità di elisioni di finali lunghe negli esametri enniani. La dissertazione di A. Siedow De elisionis ecc. usu in hexametro Latino ab Ennii usque ad Ovidii tempora (Greifswald 1911) è qui introvabile. Non ho ancora visto il Lindsay, Early Latin Verse 7, ma dubito che ci sia qualcosa, la trattazione dell’esametro essendo brevissima. Certo c’è maxim(e) in Ann. 3188: io non sono del tutto convinto che la lettura del Vahlen sia giusta, ma tuttavia per ora essa è l’unica che permetta di non considerare corrotto que maxime. Sc. 4219 – Il coriambo in sostituzione del cretico vócibu(s) cón- non fa difficoltà: il Vollmer (Röm. Metr.) cita Plauto Bacch. 656 quóm improbu(s) sít, che è identico. Perciò la mia scansione cretico-trocaica è accettabile, anche se non del tutto sicura. Il Bergk («Philol.» 33, 1874, p. 294) scandi- Vd. lett. 80. Vd. lett. 74. T. risponde alla lett. precedente. 3 Vd lett. 62. 4 Vd. lett. 80. 5 A. Gercke, E. Norden, Einleitung in die Altertumswissenschaft, III, Leipzig 192127: I 8, F. Vollmer, Römische Metrik (1923); I 7, P. Maas, Griechische Metrik (1923 [mit Nachtr. 1927, 1929; Oxford 1962, 1972; trad. it., Firenze 1976, 1979²]). 6 Vd. lett. 59. 7 Lindsay, Early Latin Verse (cit. lett. 17). 8 Vd. lett. 83-7, 89-90. 9 Vd. lett. 79. 1 2 187 sce esametricamente: vocibus concide <et> face mussēt (cfr. Ann. 83 essēt) obrutus  ᴗ . Tale scansione (che non implica necessariamente l’integrazione et, giacché si può ammettere concidḗ in arsi e cesura) non mi persuade, tuttavia è più degna di esser ricordata di altri tentativi citati dagli editori di Ennio e di Varrone. Trag. inc. inc. 63 R.3 10 – Nel Thes. s. v. fuga (VI 1472: structurae) non c’è alcun esempio di complemento dipendente dal sostantivo, tipo fuga pedibus. Ciò non toglie che la lezione pedibus sia sostenibile, ed è giusto il confronto da te addotto con observatio signa. Liv. Andron., esametri11 – Sono contento che la mia osservazione circa l’Odyssia vetus abbia incontrato il tuo consenso. La tua conferma basata sulla mancanza del nome dell’autore nella formula in Odyssia vetere è giustissima. Non so se la rozzezza degli esametri di Ennio Hedup.12 si possa spiegare con differenza di genere letterario rispetto agli Annales. Gli Hedupagetica sono evidentemente scritti in stile di parodia epica (o forse, più precisamente, parodia dello stile oracolare), e quindi dal punto di vista metrico vanno assimilati ad esametri epici; io persisto a credere che la loro maggior rozzezza sia dovuta ad anteriorità cronologica. Ad ogni modo questa questione è secondaria. Avevo osservato anch’io che quae haec daps est, qui festus dies13 potrebb’essere esametrico anch’esso; ma, siccome esso si può scandire senza difficoltà come saturnio, sarà forse meglio, per non dar l’impressione di voler strafare, non parlarne neppure14; lo stesso si dica di hoc quoque fitum est15, a cui io non avevo badato. Vorrei pubblicare la nota sui 3 ‘esametri di Andronico’ insieme con alcune altre (riguardanti Enn. Ann. 30816 Suadas, Sc. 31317 ob Troiam quom missi, Ann. 56618 concussa ab turbine e loci postquam, Var. 19 quivit 19, Varr. Men. 259 Büch. populum <conductum>)20; ma non so dove pubblicarle; farò qualche tentativo per Vd. lett. 79. Vd. lett. 66. 12 Vd. lett. 61. 13 Fr. 6 Mor. = Ps. Andr. 1 Mar.1-2. Vd. lett. precedente. 14 In nota T. aggiunge «È vero che esso è citato da Prisciano, ma Prisciano cita anche saturni, per esempio il fr. 2 pater noster, Saturni filie … anch’esso privo della fine». 15 Fr. 29 Mor. = 19 Mar.1 = 32 Mar.2. Vd. lett. precedente. 16 Vd. lett. 46. 17 Vd. lett. 52. 18 Vd. lett. 62. 19 Vd. lett. 6. 20 Vd. lett. 57. 10 11 188 gli «Ann. della Scuola Normale»: agli «St. it. filol. class.» non è il caso di pensare21. Recensione a Munari22 – Sono rimasto pienamente persuaso della tua dimostrazione che la Ciris è un falso intenzionale. È vero che face mus- non è anapesto strappato (come io erroneamente avevo scritto), non perché sia strappato solo quando la fine di parola è dopo la 1a breve (strappato si considera anche il tipo ᴗ ᴗ | )́ , ma perché la 1a parola deve essere un polisillabo (cioè p. es. è strappato cónfice mús-, non face mús): così almeno secondo il Vollmer Röm. Metr. p. 3 e anche secondo il Pasquali Enc. Ital. s. v. senario23. Ann. 924 – La scansione anapestica era stata già proposta dal Bergk, «Philol.» 33, 1874, p. 275 n. 31. Non conoscevo questo articolo quando scrissi il mio. Tuttavia sosterrei ancora la riduzione del frammento in esametri e l’attribuzione agli Annali. Infatti: 1) l’in coll’abl. (in corpore) fa difficoltà. Che receptare non sia mai costruito coll’in e l’abl. vorrebbe ancora dir poco, giacché di questo verbo sono attestati solo pochi esempi; ma anche il semplice recipere nella forma a t t i v a si trova costruito spesso con ad o in e l’a c c u s a t i v o o coll’ablativo semplice, ma non mai coll’in e l’ablativo. Di quest’ultima costruzione il Georges (Ausf. lat. Wört. II 2224) cita 3 esempi c o l p a s s i v o di recipere: il 1o di essi è Plauto St. 685 lépide accipimur quom hóc recipimur ín loco. Ma i codici hanno accipiamur quoniam hoc recipiamur in loco: correxit Guyet; a me sembra probabile che si debba leggere lépide accipimur quom hóc recipimúr loco (o forse lépide accipimur quóniam hoc recipimúr loco): già il Lindsay (non ho visto il Leo), pur accogliendo nel testo la lezione del Guyet, annotava «fortasse in delendum». Restano Bell. Hisp. recipi in equis25 e Ovidio in parte tori recepta26. Sono sufficienti questi esempi per ammettere l’enniano in corpore caeruleo … receptat? A me non pare; tanto più che l’ablativo semplice (strumentale) c’è anche in passi affini per il senso a questo di Ennio, come Lucano 7, 810 placido natura receptat | cuncta sinu. Dunque l’espunzione dell’in è consigliata non solo da ragioni metriche, ma anche da ragioni sintattiche: e, tolto l’in, la scansione anapestica risulta impossibile. 2) Certo, Lucrezio può aver imitato in 2, 1001 un passo anapestico di Ennio: eppure la clausola lucreziana templa receptant fa pensare che anche l’enniano cortina receptat Si riferisce a T., Note a Livio Andronico (cit. lett. 46). Vd. lett. 80. 23 La voce curata da G. Pasquali era uscita nel vol. XXXI del 1936. 24 Vd. lett. 38. 25 In realtà nel Bell. Hisp. (4, 2) non si trova il costrutto indicato bensì l’espressione cum equis recipiuntur, come si chiarisce nella lett. 84. 26 Ov. epist., 6, 20 in mihi promissi parte recepta tori. 21 22 189 sia una clausola esametrica: la maggior parte degli ennianismi in Lucrezio consistono appunto in clausole esametriche (virum vis, luminis oras, e proprio al verso precedente 2, 1000 c’è un’altra clausola enniana aetheris oris). Receptat in fine d’esametro compare poi anche nel passo di Lucano citato sopra, che anch’esso parrebbe una reminiscenza enniana (natura receptat ~ cortina receptat; sinu ~ corpore; cuncta ~ quaeque). 3) Il Bergk stesso, il quale propone la scansione anapestica, rileva una difficoltà metrica: la successione dattilo + anapesto (córpŏrĕ căvă cóe-) si trova in poeti latini, ma sempre qualora il dattilo e l’anapesto appartengano ad una medesima dipodia (come p. es. Accio trag. 520 praedĭtĕ pătrĭā.́ Secondo il Bergk, l’u n i c a eccezione (su molti esempi che egli cita) sarebbe appunto Ennio Ann. 9 se lo si scandisse anapesticamente. S’intende che l’asserzione del Bergk andrebbe controllata; e quindi, almeno per ora, questo 3o argomento ha un valore molto relativo. Ma il 1o, e per me anche il 2o, hanno un certo peso. (Inoltre Ann. 9 s e m b r a , per il senso, connesso con Ann. 13)27. Scrivimi ancora su questo argomento. Ann. 42328 – Mi pare che l’emendamento Graium, benché sia originale ed acuto, incorra tuttavia in difficoltà. Anzitutto, l’unico dato sicuro che noi abbiamo sul contenuto del libro XVI è che in esso era narrato il Bellum Histricum, come risulta da Ann. 421 (rex Epulo). Tu osservi che nel XVI poteva continuare la spedizione greca di Fulvio Nobiliore. Ciò non si può escludere. Ma il lib. XVI cominciava con un proemio (Ann. 410-413) in cui, fra l’altro, Ennio dichiarava vetusta virum non est satis bella moveri29. Una simile dichiarazione si spiega se si ammette che il poeta, dopo aver terminato nel XV il racconto della guerra d’Ambracia, iniziasse col XVI la narrazione della guerra istrica, avvenuta 12 anni più tardi: non si spiegherebbe se la si supponesse inserita nel mezzo del racconto della guerra d’Ambracia. Anche l’espressione di Plinio30 Q. Ennius … XVI adiecit annalem pare alludere ad una aggiunta posteriore (contenuta forse in una nuova edizione) del lib. XVI (su ciò cfr. anche l’articolo di O. Skutsch): è quindi probabile che col XV la guerra d’Ambracia fosse finita. E poi, Ennio aggiunse il lib. XVI apposta per celebrare le gesta dei due Cecilii Teucri: gesta compiute in quale guerra? nella guerra istrica. Tu dici che, prima che alla guerra istrica, i due fratelli potevano aver partecipato a quella d’Ambracia: a me questa ipotesi combinatoria sembra alquanto sforzata; mi rassegnerei ad accettar- Vd. lett. 87. Vd. lett. precedente. 29 Enn. ann., 410 V.2. 30 Plin. nat., 7, 101 fortitudo in quo maxime exstiterit inmensae quaestionis est, utique si poetica recipiatur fabulositas. Q. Ennius T. Caecilium Teucrum fratremque eius praecipue miratus propter eos sextum decimum adiecit annalem. 27 28 190 la per salvare un dato della tradizione; ma una congettura come Graium dovrebbe reggersi senza bisogno di questi sostegni. Che dalla frase di Plinio Q. Ennius T. Caec. T. fratremque eius m i r a t u s 3 1 risulti che Ennio vide combattere i due fratelli, mi pare un’illazione eccessiva: avrà sentito parlare delle loro gesta e li avrà magari conosciuti, ma a Roma. Inoltre, nonostante la tua acuta deduzione paleografica di bradyn in da Graiium o Grayum32, mi pare pur sempre difficile che una parola non molto rara come Graium abbia potuto dar luogo ad un monstrum come bradyn in (nota che il d di bradyn rimane inesplicato). E anche il que di bellique peritus mi sembra che faccia difficoltà: si potrebbe dire p. es. Alexander, Macedonum rex belli q u e peritus? È proprio da scartare la congettura del Merula? Bradus non può certo essere metatesi di bardus, ma può essere un grecismo: bradus = bradys (come Olumpus = Olympus ecc.) = βραδύς. Ennio ha altri grecismi lessicali audaci, specialmente spira (Ann. 510) che nel senso di hominum multitudo è ἅπαξ λεγόμενον. C’è, è vero, l’in coll’accusativo; tuttavia cfr. esempi di in ‘limitativo’ (Kühner-Stegmann II 1, p. 569): Caes. Bell. Gall. 7, 23, 5 hoc in speciem varietatemque quis deforme non est (‘non è brutto q u a n t o a l l ’ apparenza e alla varietà’); Apuleio Met. 1, 19 argento vel vitro aemulus in colorem (‘quanto al colore’); che differenza c’è tra questi esempi e bradus in regimen (‘fiacco quanto a dati di comando’)? A me pare, nessuna. E, per quanto sia pericoloso ricorrere troppo spesso a ragioni metriche, tuttavia nota che in rĕgĭmĭnĕ non sarebbe potuto entrare in un esametro. (Il Vahlen, nell’articolo che cita egli stesso, si limita a difendere il que con valore avversativo: ‘fiacco nel comando ma esperto di guerra’, cfr. trag. 89 R3 secundo rumore adversaque avi). Io per ora (ma sentirò molto volentieri ancora il tuo parere) mi attengo al Merula, e penso col Vahlen che il verso si riferisce a un concilium de bello gerendo: primus senex … peritus | <effatur> (cfr. Ann. 176), forse consigliando la resa, come il re Latino in Aen. 11, 300 sgg. Ann. 42233 – Intenderei: qui clamos oppugnantis vagore volanti | <miscetur>: le grida dell’esercito assalitore si mescolano alle strida delle donne e dei fanciulli della città assalita: cfr. Aen. 2, 486 sg. (anche lì miscetur con enjambement), Lucr. 2, 576 e per il riferimento storico Liv. 41, 11, 5 sg. Coi più affettuosi saluti S. Timpanaro 31 32 33 Vd. nota precedente. Vd. lett. precedente. Vd. lett. seguente. 191 83 Pesaro, 16. 9. 1948 Carissimo, ho avuto ed ho un sacco di roba da fare, e quindi ti rispondo in ritardo e un po’ in fretta. Conosco bene, ma non a fondo, Tantucci, che mi pare serio e grammaticalmente ben fondato. Quest’anno è in una commissione alle Magistrali di Pesaro, ed io sono in un’altra alla stessa scuola: quando lo rivedrò a ottobre parleremo di te. Benissimo la spiegazione di Metioi (o Mettoi) bisillabo come sabinismo1. Rinuncio con piacere a -ōī. Resta dunque Metioi͡ Fufettoi͡ (vel Fufetjoi͡ ). Per l’origine della corruttela, forse Metioͦi ecc., con o spiegazione soprascritta, e poi Metioio, -oeo2? Ann. 5673 – A parte qualche reminiscenza confusa, sulla legge di Maas so solo quello che dice Funaioli, St. di lett. ant., II 2, p. 2724: «Chi opponga …, dimentica ciò che da P. Maas sappiamo, che il cretico non fu mai eliso» (con l’es. Tiburi inops, impossibile). Temo che non ci sarà nulla di più preciso neppure nell’originale di quello studio del Funaioli in «Arch. f. lat. Lex.»5. Tu hai trovato niente ancora? A proposito di Ann. 3186 io credo per ora che sia giusto perpetuassint per il confronto con Plaut. Persa 330 (confronto che non so se sia stato fatto): (quae res bene vortat …) p e r e n n i t a s s i t q u e adeo huic (sc. ventri meo) p e r p e t u o cibum, dove c’è parodia di stile alto, probabilmente tragico (cfr. anche Ribbeck, TRF 3, p. 312). Per il resto avevo pensato a perpetuassi n t <u t > quae maxime 7 (riferito al sogg. plurale di perpetuassint), ma resta per lo meno la difficoltà del maxime eliso. Sc. 4218 – Metterei nel testo la tua scansione cretico-trocaica. Sarà meglio leggere fac che face (almeno con la tua scansione) anche perché face pare che si usi per lo più in fine di frase o di verso. Paleograficamente è lo stesso. Ottima l’idea di pubblicare una raccolta di note testuali ad Ennio: sta’ 1 2 3 4 5 6 7 8 Vd. lett. 74. M. risponde alla lett. precedente. Quest’ultima frase è aggiunta in margine. Vd. lett. 62. Vd. lett. 47. Sulla legge di Maas vd. lett. 80. Vd. lett. 67. Vd. lett. precedente. Nell’interl. sopra a «quae maxime» T. scrive «(iam Bährens)». Vd. lett. 79. 192 sicuro che la sede non ti mancherà9, ma quello che dà noia è l’attesa sempre lunga. Su Ann. 56610 credo di averti già detto di ignorare il mio loci … ope, insostenibile. Accetto, come sai, ab turbine e, seppure con qualche vago dubbio, loci postquam. Anch’io penserei di fare un gruppetto di note a passi di Ennio, su alcuni dei passi dove pare che mi sia riuscito di dir qualcosa di accettabile. Lo farei se tu mi promettessi di riguardare quello che scriverò. Ann. 911 – Supponiamo che sia tradizionale nelle edizioni enniane una scansione anapestica. Con quali forti motivi ci si arrischierebbe a mutarla? Di recipio in abbiamo esempi, sia pure pochi, più tardi (troppo dubbio è anche per me Plaut. Stich. 685) e col passivo; all’argomento dell’imitazione esametrica di Lucrezio forse non si penserebbe neppure; resta l’argomento metrico del Bergk, che a me pare sorprendente. Ammettiamo anche che gli esempi arcaici (di Seneca non crederei che ci si dovesse occupare) sembrino confermare il principio del Bergk: basteranno gli esempi che abbiamo, dato che la finale dattilica di un metro anapestico è piuttosto infrequente (credo)? In più ci troveremmo, senza ragioni plausibili, di fronte a una legge c o n t r a r i a a quella greca, per cui datt. + anap. è ammesso fra metro e metro n o n (almeno nella tragedia, e di rado nella commedia) nell’interno della stesso metro (cfr. p. es. Hermann, Epitome doctr. metr., Lipsiae 1869, p. 122). Ho un’edizione barbara dello Stichus; al v. 42 parrebbe che ci ́ ́ sia un dim. anap. moneo út tu̅um ̅ mĕmĭ¦nĕrĭs ōfficiúm. Ann. 42312 – Mi pare che la tua osservazione sul proemio di XVI consigli di abbandonare il mio Graium, almeno per il momento. Vorrei però rifletterci ancora, anche perché mi pare, da un superficiale sguardo a Liv. 41, che altre situazioni posteriori al bellum Histricum potrebbero f o r s e adattarsi a Graium. Quanto a bradus a me pare sempre difficilissimo: non solo sarebbe ἅπαξ e grecismo arditissimo (da restituire, comunque, per congettura), ma in regimen mi par sempre duro: da Draeger, Hist. Synt., che ora non ho qui, pare che in coll’accusativo in esempi come quello di Apuleio sia di uso postclassico; mentre la frase di Cesare si può f o r s e catalogare con gli esempi di certe espressioni avverbiali fisse come in speciem (che si usa anche senza genitivo seguente). D’altronde il -que (leggendo Graium) andrebbe forse nel senso di ‘reggitore p o l i t i c o dei Greci e d esperto di guerra’ (p. e. ‘Tizio, presidente del consiglio e preparato in questioni militari’). Vd. lett. precedente. Vd. lett. 62. 11 Vd. lett. 38. 12 Enn. ann., 423 V.2 Primus senex bradys in regimen bellique peritus. Sul frammento vd. lett. 81. 9 10 193 Benissimo <miscetur> Ann. 42213. Ann. 36214 – Non escludo pedum <usque>, molto migliore del Vahlen; ma l’omissione da parte di Nonio dell’usque è un po’ strana, sebbene possibile. Penserei: pendent | Peniculamenta unum ad quemque pedum ᴗ ᴗ  ᴗ (con cesura semiquinaria). Cfr. p. es. la struttura di Ann. 40 (e 42). Scusa il pasticcio15. Affettuosi saluti. Tuo Scevola Vd. lett. precedente. Enn. ann., 362 V.2 Pendent peniculamenta unum ad quemque pedum. Sul frammento vd. lett. 15. 15 Riferito alla scrittura affrettata dell’ultima parte della lettera. 13 14 194 84 [22. 9. 1948]1 Carissimo Mariotti, Pasquali mi scrive che è uscito un nuovo fascicolo del «Philologus» con un lungo articolo di W.H. Friedrich Enniuserklärungen2. Qui purtroppo tale fascicolo non è ancora arrivato alle biblioteche; se ritarda, cercherò di farmelo mandare da Firenze e poi te ne darò notizia. Vedremo se tratta problemi già trattati anche da noi (e speriamo che, come spesso succede, non ci abbia preceduto in qualche congettura!). Spero che raccoglierai al più presto in un articolo (che leggerò col massimo piacere) le tue congetture enniane. Ann. 3183 – Perpetuassint <ut> quae maxime leggeva già il Bährens (cfr. comm. del Valmaggi)4, e il tuo confronto con Plauto è molto opportuno. Ma, a parte la questione di maxim(ē) che resta per ora sospesa, come sistemiamo il lemma di Nonio? Il Lindsay propone perpetuassint, <sint> perpetua aeterna; ma perpetuare è transitivo: ‘rendere perpetuo’. Per evitare l’elisione di maximē si potrebbe f o r s e escogitare un contesto con maximĕ vocativo; p. es., modificando la proposta del Vahlen in apparato: <fac pacem> libertatemque ut perpetua | sint quae, m a x i m e <dux, tot frustra optavimus annos>! Per maxime dux cfr. Aen. 8, 470 m a x i m e Teucrorum d u c t o r . Perpetuīta di Usener non mi dispiace ancora del tutto. Scrivimi ancora su questo frammento. Sc. 4215 – È vero, con la scansione cretico-trocaica è meglio fac che face. Ann. 4236 – Per l’in coll’accusativo (in regimen) è vero che l’esempio di Apuleio è poco probativo, perché tardo e perché può essere una bizzarria stilistica di Apuleio. Un certo valore mi pare che conservi l’esempio di Cesare, benché anch’esso sia scosso dalla tua obiezione. Ann. 3627 – Siccome la frase pendent … pedum dà anche da sola un senso compiuto, un compilatore frettoloso come Nonio può aver omesso l’usque che, pur facendo parte della frase stessa, non è tuttavia indispensabile per il senso. Del resto in Nonio, quanto a incompiutezza del senso e del metro, 1 2 3 4 5 6 7 La data è stata aggiunta da M. «Philologus», 97, 1948, pp. 277-301. Vd. lett. 86-7, 89. Vd. lett. 82. T. risponde alla lett. precedente. Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). Vd. lett. 79. Vd. lett. 81. Vd. lett. 15. 195 c’è di peggio: cfr. p. es. Sc. 192 (dove minis, comunque si legga e si scandisca, rimane sospeso: <potest> Mariotti)8 e lo stesso Ann. 317. Con ciò non voglio negare la legittimità della divisione pendent | peniculamenta ecc., ma è forse preferibile non staccare le parole allitteranti pendent peniculamenta; e inoltre, siccome pare che con pendent cominci il periodo, si dovrebbe ammettere una interpunzione dopo il 5o dattilo, che è assai dura9. Ann. 910 – L’obiezione metrica di Bergk alla scansione anapestica è stata da te brillantemente confutata, anzi addirittura polverizzata! Resta la questione di recipio coll’ablativo. Consultando lessici di singoli autori e il Thes. s.v., si può constatare che le indicazioni del Georges sono un po’ inesatte. Nel Bell. Hisp. non c’è recipi in equis citato dal Georges11 (in Bell. Hisp. 4, 2 c’è il semplice abl.: cum equis recipiuntur): c’è invece in Varrone Men. 589 Büch. in cenaculo polito recipiuntur, poi 3 esempi in Ovidio (met. 2, 529 in caelo … recepta, fast. 4, 27 in gente receptam, her. 6, 20 in mihi promissi parte receptatori). Rimane il fatto già constatato dal Georges: in tutti gli esempi recipio è usato al passivo. È questo un puro caso? Se sì, allora niente si oppone a conservare in corpore e a scandire anapesticamente Ann. 9 (i confronti con Lucrezio e Lucano non sono secondo me senza valore, ma anch’io riconosco che da soli non sarebbero sufficienti a far cambiare la lezione tramandata). Ma resta in me il dubbio che la limitazione della costruzione con in e l’abl. al passivo non sia effetto del caso, cioè che nel passivo recipi i latini sentissero implicito un valore di ‘stato’ (recipi = esse) che non sentivano in recipere. Se si tratta di anapesti, Ennio avrebbe potuto usare la costruzione regolare con in e l’accus.: quaeque ín corpús cava cáeruleúm …, e avrebbe così evitato anche la non frequente successione datt. + anap. corpóre cava cáe-. Possibile che abbia preferito la costruzione con in e l’abl. anche metricamente più incomoda? Ho visto anche accipio nel Thes.: la costruzione con in e l’abl. non è mai attestata. Sc. 13012 – Io avevo integrato (nel 2o mio articolo p. 67)13 o <factum> pie!, e ancora non vi rinunzio del tutto. Ma vedo che O. Seyffert in una recensione all’edizione del Vahlen («Berl. Phil. Woch.» 1904, col. 1325) difende la lezione manoscritta: o (= oh) pie | eam ecc. (con senso ironico). Che ne pensi?14 Vd. lett. 58. Nel margine M. annota due integrazioni che propone nella lett. 86. 10 Vd. lett. 38. 11 Su questa citazione vd. lett. 82. 12 Vd. lett. 38. 13 T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8). 14 M. annota nell’interlinea: «Fortissimo e duro enjambement dopo l’avverbio; oh difficile in una relazione di nuntius (ma possibile oh! | pie, cfr. 29, 131 sg.)». 8 9 196 Sc. 10715 – La scansione anapestica di Bergk e Vahlen sarà da conservare nel testo, poiché è l’unica che permetta di evitare emendamenti o trasposizioni. Ma rimangono dei dubbi: molto strano è il dimetro catalettico Acherusia templa alta Orci senza pausa di senso; strana anche la fine di frase (almeno così pare) dopo le due brevi lŏcă. Varrone16 cita Acherusia templa alta Orci salvete infera: queste parole formano un ottimo senario, ed è difficile non credere che Varrone abbia appunto voluto citare un senario intero. Lo Zillinger (Cic. u. die altröm. Dichter)17 proponeva di far due senari: Acherusia templa alta Orci salvete infera | <vos> pallida leti ecc.: male, sia per il vos inutile anzi dannoso, sia per l’anapesto strappato pallĭdă lēti. Proporrei nell’apparato: pallénti͜a leti, núbila tenebrís loca. Pallenti͜a (con consonantizzazione dell’i, come tante altre volte) è parola lucreziana e virgiliana, può essere dunque anche enniana. Liv. Andr. trag. 13 sg.18 – Mi comunicasti qualche tempo fa19 il tuo ottimo procat | toleratis temploque <extemplo>. Vedo ora in un vecchio articolo di W. Meyer su Lucas Fruterius («Rhein. Mus.» 33, p. 245) che il Fruterius aveva proposto procat | tolerasti templo: <extemplo> e t hunc deducitis, precedendo l’Havet nel dividere dopo procat e te nell’integrare extemplo. Non per questo perde valore la tua congettura, giacché il tuo temploque extemplo è evidentemente migliore del templo: extemplo et del Fruterius, che dà anche un senso poco chiaro. Infine una minuzia: Festo p. 439 Linds. (= Vahlen ad Sc. 18, p. 121, riga 16 dell’apparato) quia non patefugium cod., quia non pate<t re>fugium edd., compreso il Lindsay1 e 2. Ma paleograficamente è meglio patet effugium: da patetecfugium, scritto come al solito patetetfugium (cfr. et fatus per ecfatus ecc.), è facile il passaggio a patefugium. Dal Thes. V 2, 211, 34 sgg. risulta che effugium patet è iunctura frequente, specie in frasi negative (p. es. Liv. 29, 33, 5 ne effugium quidem patebat, e molti altri esempi)20. Ti ha mandato l’estratto Skutsch? Io gli avevo scritto chiedendogli un estratto, oltre che per te, anche per me, giacché a me era stato soltanto prestato da Pasquali, ma finora non ho ricevuto nulla. Se hai da fare, rispondimi senza alcuna fretta. Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Enn. scaen., 107-10 V.2 Acherusia templa alta Orci | salvete infera | pallida leti nubila tenebris | loca. Vd. lett. 86, 87, 89. 16 Varro ling., 7, 6. 17 Vd. lett. 33. 18 Vd. lett. 79. 19 Vd. lett. 79. 20 Vd. lett. 86, 279 e 499. 15 197 851 [Pisa, 30. 9. 1948]2 Carissimo Mariotti, Accio, fr. 3 Mor. (= 3 Bährens, p. 88 Diehl)3: maxuma pars Graium Saturno et m a x i m e A t h e n a e conficiunt sacra, quae Cronia esse iterantur ab illis. È dunque salvo (senza bisogno di pensare a correptio iambica) il tuo arbitr(ō) ahenis in Ann. 567 (nella stessa sede del verso)4. E possibile è anche che in Ann. 3185 sia maximē come supponeva il Vahlen (e non maximĕ come avevo supposto io nella mia lettera; sebbene forse nemmeno questa eventualità sia da escludere). Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro 1 2 3 4 5 Cartolina postale. La data è stata aggiunta da M., il luogo si ricava dal timbro postale. Vd. lett. seguente. Vd. lett. 62. Vd. lett. 82. 198 86 Pesaro, 7. 10. 1948 Carissimo Timpanaro, ti scrivo dal mezzo degli esami, in cui pago il fio delle mie numerose bocciature di luglio. Il tuo richiamo ad Acc. fr. 3 Mor.1 mi ha sollevato l’animo, perché lascia aperta l’unica, credo, possibilità di restituire in modo credibile il frammento. Comunque sarà utile restare sul chi vive per sapere, io e tu (più facilmente), la precisa formulazione della non ben identificata legge. Sempre a proposito di Ann. 5672, mi viene in mente un’altra possibilità paleograficamente anche migliore: huic statuam statui maiorem e t < i a m > arbitro ahenis (arbitro paratattico come c r e d o in Sc. 185)3. Mi rimane tuttavia il dubbio se etiam con un comparativo, o comunque con una forma aggettivale (qui = ‘anche maggiore’, ‘addirittura maggiore’) sia consentito nell’arcaico, e per questo mi rivolgo a te. L’et soprascritto in un cod. sarebbe facilissima corruzione di etiam (& < &). ͠ Anche per me rimane possibile 4 un maximĕ in Ann. 318 , come da te supposto. Ma forse, se si preferisce perpetuassint, <ut> quae maxime (del Baehrens, come mi accorsi anch’io dopo avertelo scritto) rimane la congettura più attraente anche perché dà maggior compiutezza di senso (per la cronaca: a me venne in mente un o p t i m e maxime, da legare con un, p. es. precedente, Iuppiter, ma è troppo difficile paleograficamente). Per il lemma di Nonio, è verissimo che il Lindsay ha sbagliato. Scrivere <reddant> invece di <sint>? Può far difficoltà il neutro plur. perpetua aeterna a commento di un passo per cui parrebbe ovvio perpetuam aeternam? o perpetua è neutro generalizzante? o anche in questo caso si sarà obbligati a supporre che libertatem fosse coordinato con un altro oggetto? So troppo poco delle abitudini di Nonio per poter rispondere. Al peggio, comunque, ma sconsigliabile: perpetua<m>, aeterna<m>. Ann. 3625 – Come ti dissi, non escludo affatto il tuo <usque>; ma mi pare che finora pendent | peniculamenta ecc. resti ugualmente probabile, in quanto: a) esempi di allitterazione fra fine verso e principio del successivo (e in genere fra parole di un verso e del seguente) sono piuttosto numerosi. In particolare vedi 49 sg., 79 sg. (che poi continua come nel nostro caso), 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente. M. risponde qui ad essa e alla lett. 84. Vd. lett. 62. Su questo frammento vd. lett. 6. Vd. lett. 82. Vd. lett. 15. 199 147 sg., 312 sg., 341 sg., 344 sg.6 (se, come sono persuaso, pausa di Bergk è giusto; se non fossi dello stesso avviso, ti prego di dirmelo), Epigr. 17 sg.; b) che la frase cominciasse con pendent non mi pare più probabile del contrario: sarebbe comunque, se non sbaglio, un inizio un po’ duro, e si può benissimo pensare che precedesse <iter facientibus> o semplicemente <nunc Romanis civibus>. Ann. 97 – Per il fatto di recipi in osserverei: noi abbiamo solo un esempio di Varrone e tre di Ovidio (almeno finora noti). Insomma in tutta l’età arcaica e quasi tutta l’aurea u n s o l o esempio di un arcaizzante; ne abbiamo a riscontro uno dell’attivo secondo i codici del nostro frammento enniano. Possono bastare i 3 esempi di un solo poeta, e più tardo, a far pendere la bilancia verso l’ammissione dell’esclusivo uso di recipi con in e abl.? Non mi parrebbe. In fondo, se recipi può equivalere in certo senso ad esse, recipere può equivalere ad habere, tenere. E (aggiungo questo per quel che vale) recepto frequentativo può favorire l’idea di un ripetersi dell’idea di ‘ricevere’ ancor più vicino quindi a quella di ‘tenere in sé’. Sc. 1308 – Sono ancora per il tuo o <factum> pie. La conservazione della lezione manoscritta col Seyffert urta, mi pare, in queste difficoltà: a) è credibile l’uso di un oh! in una d e s c r i z i o n e , specialmente tragica ‘Oh! guarda che …’? A me non pare; b) non mi par possibile che ci sia enjambement così forte dopo una sola parola, e per di più avverbio, come pie, e dopo un arresto comunque abbastanza forte come quello richiesto da o h ! (forme come a h ! m i p a r e che ci siano spesso in fine di verso nei comici). È vero che si potrebbe: oh! | pi(e) ea͡ m con ottonari (cfr. 129 e 131 sg.); ma resta il primo punto che mi pare insuperabile. Dimmi cosa te ne pare. A chi si riferisce l’eam? Sc. 1079 – Eppure al senario Acherusia ~ infera si potrebbe obiettare che anche -sia tem- è anapesto strappato. Converrà pensare anche qui a -sja? A me sembra pericoloso. Per essere breve, penserei per ora (p. es.): Acherusia templa alta Orci (paremiaci senza forte punteggiatura alla fine credo che si trovino in greco nei c.d. sistemi impuri) salvéte inféra pallída letí nubíla tenebrís loca <múltum>. Per salvere multum cfr. Plaut. Rud. 416. 6 7 8 9 Su questo frammento vd. lett. 80. Vd. lett. 38. Vd. lett. 38. Vd. lett. 84. 200 Grazie dell’indicazione su Liv. Andr. trag. 13 sg.10; ottimo pate<t ef>fugium nella testimonianza di Sc. 1811. Scusa la fretta e abbimi con affettuosi saluti tuo Scevola Mariotti PS. ‒ Attendo con grande interesse le tue notizie sull’articolo del Friedrich12. 10 11 12 Vd. lett. 79. Vd. lett. 84. Vd. lett. 84. 201 87 [13. 10. 1948]1 Carissimo Mariotti, O. Skutsch mi scrive che manderà a te e a me la 1a parte (già pubblicata) del suo articolo enniano insieme con la 2a, la quale uscirà a primi di novembre2. Ho finalmente potuto avere in prestito da Pasquali il fascicolo del «Philologus» con l’articolo di Friedrich3: non mi pare che sia nulla di straordinario. L’articolo non tratta questioni di critica del testo, ma di interpretazione, di fonti e di ordinamento dei frammenti; rivela molta dottrina, ma anche una spiccata tendenza a sofisticare e a forzare l’interpretazione. Si occupa specialmente del proemio del lib. I (a proposito del quale però dice cose già dette da altri: Cumont, Pascal, ecc.) e dell’ ‘episodio della Discordia’ (cfr. Norden, Enn. u. Verg.)4 del libro VII. Per Ann. 95 confronta anch’egli (come me; ma naturalmente non aveva potuto leggere il mio articolo) Lucr. 2, 999 sgg., ma si attiene alla lezione vulgata quae cava corpore caeruleo ecc. Quanto ad Ann. 5216, propone, contro ogni criterio, di accogliere la banalizzazione prognata palude virago di ‘Probo’, e, nel verso seguente, interpreta come il Norden (‘nella quale si trovano in quantità uguale i 4 elementi’) rinunziando però alla connessione col Νεῖκος di Empedocle e tirando in ballo altri passi (Platone, Eustazio ecc.) che a me pare non c’entrino affatto. Ho mandato a Pasquali una breve aggiunta all’ultima parte del mio articolo in cui cerco di controbattere gli argomenti del Friedrich riguardo a questo frammento7. Per il v. 5228, io mi attengo ancora all’interpretazione di Bignone. Se desideri altre informazioni sull’articolo del Friedrich, scrivimi. Ann. 5679 – Benissimo anche etiam! L’uso di etiam con un comparativo nel latino arcaico è sufficientemente documentato da Cas. 74 m a i o r e - La data è stata aggiunta da M. Si tratta di Enniana I e II (cit. lett. 80). T. aggiunge in nota: «Se gli scrivi tieni presente che egli è un tedesco completamente ‘anglizzato’, e che non ama che gli si scriva in tedesco ma piuttosto in inglese o in italiano». 3 Vd. lett. 84. 4 Norden, Ennius und Vergilius (cit. lett. 42), pp. 150-2. 5 Vd. lett. 38. 6 Vd. lett. 89 e 611. 7 Vd. T., Per una nuova edizione, IV (cit. lett. 8), pp. 55-8. 8 Vd. lett. 44. 9 Vd. lett. 62. T. risponde alla lett. precedente. 1 2 202 que opere ibi serviles nuptiae | quam liberales e t i a m curari solent; Capt. 777 etiam amplius; Trin. 248 amplius etiam (traggo queste citazione dal Lodge)10. Ann. 31811 – Integrare <reddant> (o <fecerunt> con L. Müller, ed. di Nonio) nel lemma di Nonio è certo possibile (il neutro perpetua aeterna non mi porrebbe difficoltà insuperabile), ma sarebbe meglio non dover ricorrere a un’integrazione che paleograficamente non appare motivata: per questo la sistemazione proposta da Usener (‘perpetuita’ perpetua aeterna) mi parrebbe ancora preferibile. Ann. 36212 – È vero, pendent | Peniculamenta è possibile. A favore di Pendent peniculamenta – pedum <usque> rimane forse il criterio che, quando si può non spezzare un frammento tra due versi, è meglio non spezzarlo. In Ann. 34413 credo anch’io che pausa di Bergk sia probabilissimo. A rigore, causa si potrebbe difendere pensando che i soldati si domandassero ‘per qual motivo, insomma (denique), si combatte?’. Ma in tal caso farebbe difficoltà il fieret per esset (sebbene mi paia di ricordarmi che nel latino popolare e forse anche nell’arcaico si trovi fieri per esse; ad ogni modo il Vahlen, una volta che aveva scritto causa, non doveva poi integrare <finis> al verso seguente, ma caso mai <fructus> o qualcosa di simile). Ann. 914 – Confesso di non riuscire ancora a persuadermi pienamente della giustezza di in corpore e della conseguente scansione anapestica: ma non escludo che ciò dipenda solo dall’abitudine ormai inveterata di considerare il frammento come appartenente agli Annali e connesso con Ann. 1315. Lo Skutsch, che nel suo articolo correggeva quaeque in in quem (scil. spiritum) o quam (scil. animam) mi scrive ora accettando la mia difesa di caeli (che anch’egli espungeva) ma insistendo su quem o quam. «Se voi» egli scrive «ritenete, come me, che terraque corpus ecc. appartenga allo stesso contesto, dovreste accettare il mio quem o quam, “since the contrast to corpus is not a vague generality of thing but the spirit”». Effettivamente il quaeque parrebbe presupporre un contesto ‘tutti gli esseri ritornano al cielo’ piuttosto che ‘ciò che, negli esseri viventi, è di origine celeste e ritorna al cielo’. D’altra parte a quaeque rinunzierei difficilmente, senza contare che anche metricamente il frammento non tornerebbe più. Ti prego di scrivermi ancora su questo spinoso frammento. 10 11 12 13 14 15 Lodge, Lexicon Plautinum (cit. lett. 55). Vd. lett. 82. Vd. lett. 15. Vd. lett. 80. Vd. lett. 38. Vd. lett. 82. 203 Sc. 13016 – Giusto; ora sarei per ricordare la difesa del Seyffert nell’apparato, senza però accoglierla nel testo. Eam vien riferito comunemente a Merope. Sc. 10717 – Hai ragione Acherusĭă tēm- è anapesto strappato e io non me n’ero accorto! Rinunzio perciò alla scansione giambica e accetto la tua anapestica. Soltanto quel <multum> alla fine, in posizione inopportunamente enfatica, mi pare una zeppa. Io preferirei supporre dopo loca ancora un aggettivo (cfr. altri esempi di cumulus in Ann. 368, 394 sg. da te difeso18, Sc. 33019, trag. inc. 1920 ecc.): p. es. nubila t e nebris loca <t e sca> (cfr. Sc. 430, Accio trag. 554, ecc.) o <senta> (loca senta situ Verg. Aen. 6, 462 parlando dell’Averno). Anth. Lat. 490, 921: perché finis segnato coll’obelo? Va benissimo (s’intende, 2a persona del presente di finire): ‘tu, senza esser limitato, limiti le epoche transeunti’. Coi più cordiali saluti il tuo Sebastiano Timpanaro 16 17 18 19 20 21 Vd. lett. 38. Vd. lett. 84. Su Enn. ann., 394-5 V.2 vd. lett. 53. Vd. lett. 38. Vd. lett. 53. Su Anth. Lat., 490, 9 e i successivi vv. 10 e 13 vd. lett. 89-91, 93. 204 881 [Pisa, 18. 10. 1948]2 Carissimo Mariotti, se, come mi pare di ricordarmi, hai l’edizione di Andronico del Lenchantin (che io non ho e che qui non c’è) potresti, per favore, dirmi con quali numeri sono contrassegnati, nella suddetta edizione, i frr. 26 Mor. (topper citi ad aedis venimus Circae ecc.) e 27 Mor. (topper facit homines ut prius fuerunt)? Ciò senza alcuna fretta. Ho risposto a Skutsch osservando che il neutro plurale quaeque3 può riferirsi appunto ad un nome designante lo spirito, p. es. caelestia (o aetheria) semina, cfr. Lucr. 2, 991, Aen. 6, 730 sg. ‘dopo la morte le parti dello spirito universale (caelestia semina) incluse nei corpi degli uomini, delle fiere, dei pesci ecc., t u t t e q u e s t e le accoglie ecc.’. Quaeque è difeso dal confronto con georg. 4, 223 sg. hinc pecudes armenta viros genus omne ferarum | quemque sibi tenues nascentem arcessere vitas, Pacuv. trag. 91 (omnia) ecc. Gli ho anche accennato (ma solo sommariamente) alla scansione anapestica proposta dal Bergk e da te sostenuta, chiedendogli il suo parere. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. Luogo e data (la data con minor chiarezza) si ricavano dal timbro postale; il luogo anche dall’indirizzo posto in calce: via S. Maria 18 - Pisa. 3 In Enn. ann., 9 V.2, su cui vd. lett. 38. Sulla lettera di Skutsch a T. vd. lett. precedente. 1 2 205 89 Pesaro, 27. 10. 1948 Carissimo Timpanaro, anzitutto: 1o) il numero di quei due frammenti di Livio Andronico1 è nel Lenchantin lo stesso che nel Morel, e precisamente: fr. 26 topper facit ecc. (legge homines e fuerant); fr. 27 topper citi ecc. (nelle rispettive postille metriche ammette la possibilità di homones [26] e Circai [27]). 2o)2 Non so se ricordi quella mia proposta su Victorin., De soloec. et barbar., p. 34, 11 sgg. Niedermann3. L’ho abbandonata da quando, dopo una prima condizionata accettazione, lo stesso Niedermann ha giustamente confrontato Serv. ad Aen. 6, 1044. Per mi come blandientis adverbium il Niedermann pensa a forme come l’apuleiano mi soror ecc., il che dev’esser giusto ma rimane strano. Non ho intenzione di stringere rapporti epistolari con Skutsch, e vorrei limitarmi allo scambio di estratti. Forse converrà che nell’attesa gli mandi qualcosa di mio per il primo? Se credi, dammi il suo indirizzo. Le tue notizie sull’articolo di Friedrich di cui ti ringrazio mi fanno pensare piuttosto male, specie l’assurda difesa di palude in Ann. 5215. Ann. 5676 – Grazie anche dell’indicazione dei passi plautini. In definitiva et<iam> mi pare da preferire a ut per l’iato e al tuo ut <ego> per ragioni paleografiche. Ma mi pare che convenga citare, in nota, anche questi due tentativi precedenti. Cosa ne dici? Resterebbe da ripensare a dove si possa congetturalmente riferire il frammento. A me pare: 1) in linea generale è da escludere un proemio, dove non mi pare che si spiegherebbe un perfetto (statui); 2) una chiusa (cfr. Orazio)? C’erano chiuse negli Annali? A me quella del l. XII non pare ancora sufficientemente dimostrata: 370 sgg.7 potrebbero p. es. appartenere a un discorso di qualche personaggio sostenente una tesi temporeggiatrice; 374 sgg.8 al proemio. Tratti questa questione nel prossimo articolo? Se si ammette l’esistenza di chiuse, e in Vd. lett. precedente. M. risponde insieme ad essa e alla 87. Questo numero è cerchiato per rimandare nel marg. superiore a un’aggiunta di T.: «Cfr. Charis. p. 42 B.»: M. si sbaglia perché in Lenchantin l'ordine dei frammenti è inverso rispetto a Morel. 3 Vd. lett. 58. 4 O virgo, nova mi facies inopinave surgit. 5 Vd. lett. 87. 6 Vd. lett. 62. 7 Vd. lett. seguente. 8 Vd. lett. 90-3. 1 2 206 particolare di quella del XII come la vuole il Vahlen, allora il nostro frammento ci starebbe bene9. In ogni modo, f o r s e l ’ i p o t e s i m e n o p e r i c o l o s a è di attribuire il frammento alla chiusa dello Scipio, anche perché la statua (come il monumentum di Orazio) si riferirebbe all’intera opera, non a un solo libro; 3) resta l’ipotesi, certo più sforzata, che si tratti di un riferimento, negli Annales, allo Scipio o all’Ambracia10. Ann. 31811 – Non mi pare molto arrischiata un’integrazione <reddant> o <fecerint> in Nonio perché si potrebbe pensare a caduta per omoteleuto dopo il precedente perpetuassi n t (anteriore alla corruzione di questo in perpetuitas sit). D’altronde con la congettura di Usener non si deve cancellare il sit dopo perpetuita[s]? Ti prego di rispondermi ancora su questo punto. Ann. 912 – Questo è uno di quei pochissimi punti in cui probabilmente resteremo di parere diverso. La tua risposta a Skutsch è senz’altro giusta. Quaeque non impedisce affatto che il frammento si immagini appartenente allo stesso passo di 13 sg.; ma proprio il quaeque (tramandato e per tuo merito sicuro) e l’osservazione di Skutsch prova che il legame fra i due passi non è tale da spingere a metterli insieme, malgrado il d a t o (perché a me pare che sia tale) della metrica. Del resto la tua nuova interpretazione di quaeque nel contesto di Ann. I finisce coll’allontanarti in parte dall’analogia di senso con Lucrezio, che invece si salverebbe meglio in un altro contesto in cui quaeque fosse generico. Capisco di esagerare un po’ per amor di tesi. Sc. 10713 – Mi pare senz’altro migliore il tuo <tesca> o <senta> del mio <multum>. Cicerone, come ha lasciato infera, poteva benissimo lasciare anche un altro aggettivo. Var. 3614 – Assurdo, mi pare, l’ ἀμφ’ Ἀμβρακίηφιν di Vahlen (dubit.), quando poi si conserva, e giustamente, aput al v. 39. Molto meglio Ambraciensis del Casaubonus; ma resta sempre il fatto che in tutto il frammento non si trovano nomi di popoli, ma solo di città (e del resto Ἀμβρακία è in Archestrato). Che finis sia glossa, magari antica? Nel qual caso proporrei apud Ambraciae oras. Cfr. i (metaforici) esempi di Ann. 114, 131; Sat. 4; e, in senso proprio, p. es. Aen. 1, 1 (Troiae ~ oris), sempre con orae in fin di verso. Per la dura elisione, anche peggio nello stesso fr. 37 s(ī) ĕrit. Nel marg. superiore M. aggiunge tra parentesi senza alcun segno di rinvio: «Nel XII si parlava di qualcuno degli amici di Ennio glorificati in Ann.». 10 Nel marg. inferiore M. aggiunge: «Ma in conclusione, aspettando il tuo parere, lascerei libera la scelta fra la chiusa di un annale (Fulvio Nobiliore? Scipione?) o dello Scipio». 11 Vd. lett. 82. 12 Vd. lett. 38. 13 Vd, lett. 84. 14 Vd. lett. seguente e 968, 518; cfr. LE, pp. 11-8 = LE2, pp. 17-21. 9 207 Anth. Lat. 490, 915 – Indubbiamente giusta la tua difesa di finis. In base a vecchi appunti, io conserverei anche spectans al v. 10 e sospetterei a[u]strum al v. 13 (certo aevum di Riese non va, perché ha altro senso nel v. 11 e, in fondo, anche nel v. 3; e poi sarebbe strano che fosse corrotto solo qui). Si tratterebbe della dottrina del Timeo ecc. della sede dell’anima in un astro. Un po’ strano il sing. astrum, ma si può f o r s e trattare nei vv. 13-14 di una singola (generica) anima che nei successivi partus scende in terra; astrum collettivo mi pare meno probabile, dato che non rientra nella solita categoria, ma io mi sono segnato un rinvio a questo proposito al Thes. s. v. che non capisco più bene. Un favore: oltre morīmur di Ennio, u n morīri in Pomponio, u n o in Ovidio, quali altri esempi di morior della 4a sono noti?16 Non m’interessa Plauto (che ha, credo, solo morīri) perché era ignoto al giovane Petrarca, riguardo al quale ti ho rivolto la domanda. Grazie e affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti 15 16 Vd. lett. 87. Vd. lett. seguente. 208 90 Pisa, 1. 11. 1948 Carissimo Mariotti, l’indirizzo di Skutsch è il seguente: Dr. Otto Skutsch, 62 South Park Road, Cheadle (Ches.), England. Ti ringrazio molto per le indicazioni sui due frammenti di Andronico1. Ann. 5672 – Anche a me sembra che et<iam> sia la soluzione migliore, ma che tuttavia sia da ricordare il tuo precedente ut, ed, eventualmente, ut <ego> per eliminare l’iato. (Quanto all’elisione del cretico, vedo nell’indice del Lucilio del Marx che in Lucilio essa è frequente (61 Marx ceteri item, 62 exigo et, 113 asperi Athones, 115 corpori honestum [mss. corpore], 1066 improbae ineptae): naturalmente bisogna tener presente che Lucilio è, in fatto di tecnica metrica, assai più trascurato che Ennio negli Annales). Sul problema della collocazione osserverei: 1) all’assegnazione allo Scipio non sarei pregiudizialmente favorevole, perché in generale, dato un esametro enniano citato senza indicazione di opera, bisogna anzitutto supporre che esso appartenga agli Annales, e soltanto se ciò è impossibile pensare alle Saturae o alle altre opere minori, le quali furono certamente molto meno note degli Annales nell’antichità; 2) escluderei anch’io, per le ragioni da te esposte, un proemio degli Annales; 3) in una chiusa il frammento starebbe bene, ma tu hai perfettamente ragione di dubitare dell’esistenza di una chiusa nel XII Ann., almeno di una chiusa così ampia come quella supposta dal Vahlen3. Io credo che tutt’al più si possa supporre che alla fine del XII ci fosse una σφραγίς in cui Ennio diceva la propria età (lib. XII fr. 5): ma 370 sgg.4 si riferirà ad una contrapposizione (contenuta forse, come anche tu supponi, in un discorso) fra Fabio Massimo e qualche generale più recente che rumores ponebat ante salutem, e quanto a 373 nulla dice che esso appartenga al l. XII. Ann. 374 sg.5 poi io lo collocherei piuttosto nel XVIII, senza metterlo in connessione, come finora si è fatto, con XII fr. 5, che va lasciato nel XII: ma di ciò potremo parlare più ampiamente, se credi, la prossima volta; 4) l’ipotesi di un riferimento negli Annales, allo Scipio o all’Ambracia è suggestiva, ma forse un po’ pericolosa; 5) e se il frammento Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Vd. lett. 62. 3 M. aggiunge sopra il rigo: «Vd. anche Sil. fine di 14 e 17: brevi chiuse enfatiche ed elogiative». 4 Vd. lett. precedente. 5 Vd. lett. precedente. 1 2 209 seguisse immediatamente alla narrazione di un atto eroico? Mi viene in mente Virgilio Aen. 9, 446 Fortunati ambo ... Che ne pensi? Ann. 3186 – Sì, con la congettura di Usener si deve cancellare il sit dopo perpetuita[s]: ma è facile supporre che il perpetuitassint corrotto del testo abbia a sua volta prodotto la corruttela nel lemma. Tuttavia ci penserò ancora. Ann. 97 – Pur non essendo ancora intimamente persuaso dalla conservazione di in e della scansione anapestica, tuttavia, dopo averci ancora riflettuto, riconosco che dal punto di vista metodologico tu hai ragione e quindi metterò il frammento tra gli scenici accennando soltanto in nota ai miei dubbi e alla possibilità di riferimento agli Annales espungendo l’in. Var. 368 – M o l t o b e n e ! Se la congettura del Casaubonus è paleograficamente più probabile, la tua d’altra parte s’inquadra meglio nello stile di tutto il frammento. Nessuna difficoltà per l’elisione in un frammento così pieno di durezze prosodiche e metriche. Di morīri non è attestato alcun altro esempio oltre quelli da te citati9 di Plauto, Enn. (1), Pompon. (1), Ovid. (1). Un es. di emorīri in Ter. Eun. 432. Liv. Andr. fr. 24 Mor.10 quoniam audivi † paucis † gavisi. – Paucis è giustamente considerato corrotto dal Leo il quale congettura boantis riferendo il frammento a Odyss. 9, 413 (non, come altri, 16, 92). Il riferimento del Leo mi par giusto, ma, piuttosto che boantis, bisognerà scrivere abeuntis: cfr. Omero ὣς ἄρ᾽ ἔφαν ἀ π ι ό ν τ ε ς , ἐμὸν δ᾽ ἐγέλασσε φίλον κῆρ. Che ne dici tu, e che ne dice Lenchantin? Cfr. Nevio11 nella stessa sede del saturnio flentes ambae a b e u n t e s lacrimis cum multis. Enn. Sc. 19012 – Tu hai giustamente corretto quorum in quom, e supplisci p. es. válida quom tenácia | ínfrenari mínĭs <potest>. Ma ripensandoci mi pare che il senso sia piuttosto: ‘ricorri alla violenza (invitam doma), dal momento che di fronte alla sua ostinatezza le minacce non bastano’; e allora forse piuttosto … válida quom (o quoius monosillabo come aveva supposto il Vahlen1) tenácia | ínfrenari mínĭs <nequītur>, o simili. Già L. Müller aveva integrato in mezzo al verso un vix quitur (ma egli poi sconvolgeva tutto il frammento con emendamenti e trasposizioni pazzesche). Vd. lett. 82. Vd. lett. 38. 8 Vd. lett. precedente. 9 Vd. lett. precedente. 10 Vd. le seguenti lett. 91-2, 107, 131-2, 136-41, e cfr. S. T., Nota di latino arcaico, «Paideia», 4, 1949, p. 400 [rist. con un’aggiunta in Contributi1, pp. 97-8, con il titolo: Livio Andronico, «Odyssia» fr. 24 Morel (16 Mariotti)], e LA, p. 98 = LA2, p. 72. 11 Fr. 4 Mor. = 2 Mar. 12 Vd. lett. 58. 6 7 210 Anth. Lat. 490, 1013 – Giustissima la tua conservazione di spectans. Al v. 13 il tuo astrum è certamente molto migliore delle precedenti congetture (per il sing. si potrebbe f o r s e confrontare georg. 4, 227 s i d e r i s in numerum, in un passo un po’ affine??)14: certo tutta l’espressione mi suona un po’ strana, e specialmente partubus non mi persuade troppo. A me piacerebbe correggere austrum in haustum, riferito a quod: ‘affinché sia restituito al mondo ciò che esso ha perduto, inghiottito (distrutto, consumato) da …’: e qui bisognerebbe emendare partibus in modo che significasse ‘dalla morte’ o ‘dal tempo’ o simili. Finora non mi è venuto in mente niente di meglio che … ut mundo redeat quod m o r tibus haustum | perdiderit. Ma haustum ho l’impressione che sia giusto. Oggi, 1o novembre, il provveditorato non ha ancora cominciato a fare le nomine dei supplenti! Questa situazione di incertezza è assai molesta. Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] A proposito di Ambraciae o r a s per f i n i s : Nonio p. 440, 22 spiega orae appunto con cuius rei libet f i n e s 15. 13 14 15 Vd. lett. 87. M. annota sopra il rigo: «Cfr. Lucr. e Mancini ad l.». Cfr. Enn. var., 36 V.2. Vd. lett. precedente. 211 911 Pesaro, 11. 11. 1948 Carissimo Timpanaro, mando oggi l’estratto sinesiano2 a O. Skutsch. Grazie anche per le indicazioni su moriri3. Ann. 5674 – Benissimo per gli esempi di cretico eliso in Lucilio. Siamo sempre, come mi pare anche per il frammento di Accio, in campo non epico; e rimane sempre da cercare la precisa formulazione di Maas5 (nel caso, d e l t u t t o i p o t e t i c o , che si trattasse di un uso satirico, allora f o r s e si potrebbe essere richiamati allo Scipio, anche se questo non fa parte delle Saturae; ma è naturalmente cosa incertissima. Ho pensato di scrivere a Funaioli, se si ricorda qualcosa di preciso). Quanto alla collocazione, le tue osservazioni mi paiono giuste. Siccome siamo in campo d’ipotesi, escluderei anch’io definitivamente l’allusione, negli Annales, a Scipio o Ambracia. Rimarrebbe o chiusa di un annale o, come tu con l’ottimo rinvio a Verg. Aen. 9, 446 sgg. supponi, parole del poeta alla fine di un atto eroico. Questa tua ipotesi pare a me molto buona; lascerei vivere tuttavia anche la prima perché: 1o) l’exegi monumentum oraziano farebbe pensare a una chiusa di opera (o parte di opera); 2o) chiuse di annali non sono, e siamo d’accordo, provate, ma non sono da escludere. Dell’epica latina ho guardato Silio, Pun. (non Stazio né altri), di cui vd. 14, 684 sgg.; 17, 651 sgg.: brevi chiuse enfatiche ed elogiative. Quanto ad Ann. 374 sg.6, certo non c’è nessuna seria prova della sua vicinanza a XII fr. 5, e la tua attribuzione a XVIII è senz’altro possibile; ma, se si ammette la pubblicazione progressiva degli Annales, che parrebbe appunto sostenibile in base allo stesso XII fr. 5, non so se la separazione sia prudente. Su ciò attendo di leggere il tuo articolo o quello che mi dirai. Sc. 1907 – C’è però il passo di Ov. ex Pont. 1, 8, 56 citato da Vahlen ad l., da cui pare di dover dedurre (ma chissà se ci sono altri esempi?) che minae siano – quasi tecnicamente – parole di minaccia dette dal guidatore ai buoi, Nel marg. superiore, a matita, un appunto di T.: «Mor.: Aiax n(on) infortissimus [AL, 485, 165 R.]. Liv. Andr. 8 integram urit [Naev. B. P. 39, 2 Mor.]». 2 M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2). 3 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. 4 Vd. lett. 62. 5 Vd. lett. 80. 6 Vd. lett. 89. 7 Vd. lett. 58. 1 212 per farli lavorare; nel qual caso in Ennio infrenari minis corrisponderebbe pressappoco a domari, infrenari ecc. della prima parte del frammento. Se no, benissimo nequitur. Dimmi ancora cosa ne pensi. Ann. 5728 – Preferirei hic premitur pede pes atque armis arma teruntur; atque già Vahl.1; pede pes premitur L. Müller. Ma mettendo premitur prima di pede si evita l’allungamento in arsi e cesura di premitūr, possibile naturalmente, ma che è meglio evitare e, per di più, ci si avvicina all’esempio di Furio Bibaculo citato da Macrobio (Vahlen ad h. v.)9 pressatur pede pes (nella stessa posizione, certo imitazione da Ennio). Anche Aen. 10, 361, pure citato da Macrobio, ha il verbo (haeret) davanti a pede pes. Ann. 9810 – Un confronto formale forse utile (se non c’è di meglio) si può fare con il componimento di un grammatico a r c a i z z a n t e 11, in Anth. Lat. 485, 11312 (esempio di προσαπόδοσις = subnexio): A t n o s n o n u t t u : nos simplicitate, tŭ arte. Non dico che avesse sicuramente presente il verso di Ennio, ma lo stesso costrutto con quasi identiche parole (nota anche l’at iniziale) mi pare interessante. Intanto si escluderebbe l’astu non vi di Vahl.1, assai elegante. Per il resto, non oserei invece approvare il te (per tu) del Colonna, parendomi il costrutto oraziano citato dal Vahlen probativo per la conservazione del tramandato nel testo. 13. 11 Liv. Andr. fr. 24 Mor. ( = 24 Lench.). Lenchantin nel testo: quoniam audivi † paucis gavisi (facendo fine di colon dopo audivi, ma senza segnare, come invece fa di solito, gli ictus)13. Come modello indica Od. 9, 413 e s e g u e n t e . Cita in apparato boantis Leo, fantis Bergfeld [che non mi pare brutto, ma vd. sotto], nactis (passive, sc. fraudibus) Lench.: gaudebat enim versutus heros quod, indito sibi Neminis nomine, egregie imposuisset Cyclopibus. Così Lenchantin. S’intende che la sua congettura è improbabile. Io non conosco una congettura di Lenchantin che non sia improbabile o inutile (cioè variazione di congetture altrui). La tua congettura a me pare Vd. lett. seguente e lett. 94, e cfr. LE, p. 136 = LE2, p. 84. Si riferisce a Macr. Sat., 6, 3, 5. 10 Vd. lett. seguente e inoltre 157-8, 161-2, 374-5, 383, 502-4, 515, 517, 530. 11 M. aggiunge in nota: «come provano almeno la prosodia e la metrica. Ma su questo componimento ti scriverò forse altra volta». Sul fr. cfr. anche S. M., Due note enniane, «SIFC», n.s., 31, 1959, pp. 229-32 (rist. in LE2, pp. 91-5). 12 Vd. lett. seguente, 94, 158. 13 M. aggiunge in nota: «Nota metrica: “versus non integer”». Sul frammento vd. lett. precedente. 8 9 213 buona. Essa parte, a differenza delle altre che conosco, dalla giusta esigenza di supporre tradotta nel verso liviano una parola e s s e n z i a l e per il contesto come ἀπιόντες. Certo essa è paleograficamente ardita; ma meglio, da questo punto di vista, mi par difficile fare. Insomma per il momento è la congettura migliore. Non da escludere, forse, malgrado Nevio, una scansione (ᴗ)  (p. es. eos, hos) quoniam audivi || ắbĕuntés gavisi. Liv. Andr. fr. 8 Lench. (anche 8 Mor.?)14 ín Pylum devénies aút ubí ommentans. – Così Lenchantin, che dice « u b i insequentis versus verbis coniungendum esse arbitror» (senza spiegare come, e presupponendo contorsioni incredibili). Fino a Leo si leggeva ibi richiamandosi a Od. 2, 317 intendendo devenies = -ens15 e ibi = αὐτοῦ, hic. Quest’ultima equazione è stata giustamente esclusa da Leo, Sat. Vers16, p. 40 circa [ s o l o se hai sottomano il lavoro del Leo, puoi darmi l’indicazione precisa della p a g i n a o pagine della discussione?], che, d’accordo (pare) con tutti i critici seguenti (compreso Lenchantin), confronta Od. 1, 284 sg. Leo legge <h>aut ibi ommentans <ubi Néstorém rogitáris, pórro itér capésses> – con molto acume. Eppure così ci si dovrebbe staccare dall’originale, e, se si torna a confrontare Od. 2, 317, si vede che in Livio c’è: aut che corrisponde ad ἤ; un avverbio di luogo (ubi o ibi secondo gli apografi; ubi f o r s e lectio difficilior e comunque in un ottimo apografo); il verbo ommentans che va benissimo con l’idea espressa nella seconda parte del verso omerico. Sarà un caso tutto questo? Io proporrei: ín Pylúm devéniens aút ubí <sum> omméntans. Basta pensare alla caduta di una sigla. Cosa ne pensi? A me resta ancora un po’ di dubbio, perché non trovo nei pochi saturni che conosco elisioni nel 2o colon; ma anche in questo caso (che però n o n c r e d o sia voluto), si potrebbe sempre aút ubi súm omméntans. Anth. Lat. 490, 13 – Il tuo richiamo a georg. 4, 227 a me pare o t t i m o . L’autore può aver azzardato un astrum collettivo proprio in base al simile sideris di Virgilio (per cui citano Lucr. 1, 436). Con haustum o simm. bisognerebbe, se non erro, presupporre che chi p e r d e sia la terra; ma a me pare che non possa essere che il cielo, sede originaria e naturale delle anime. Partubus è certo un po’ strano, ma può riferirsi al c i c l o delle nascite. Del resto bisogna conservare partibus, cfr. Apul. met. 9, 33. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti 14 15 16 Vd. lett. seguente, 192, 226. In nota M. aggiunge: «Deveniens è in uno degli apografi». F. Leo, Der saturnische Vers, Berlin 1905. 214 92 Pisa, 21. 11. 1948 Carissimo Mariotti, fino a pochi giorni fa sono stato nell’incertezza per la supplenza. Quest’anno mi è andata male: invece di riavere, come speravo, l’insegnamento a Pontedera, sono stato sbalzato alla scuola d’Avviamento al lavoro di Ponsacco (circa 4 Km a sud di Pontedera). Questo insegnamento, oltre ad essere più scomodo per la località, non dà, come puoi ben immaginare, nessuna soddisfazione, poiché all’Avviamento non c’è il latino e il livello intellettuale degli alunni è piuttosto basso. Il dover lasciare la scuola media di Pontedera, dove avevo insegnato col massimo impegno e con ottimi risultati per tre anni, mi ha amareggiato molto. Ma passiamo alla filologia! Su Ann. 5671 sono perfettamente d’accordo. Quanto ad Ann. 3742, a me pare che il contesto dovesse essere sicut fortis equus ecc. <anch’io senio confectus quiesco>. Dunque se lo si colloca nel XII, bisogna ammettere non solo la pubblicazione progressiva degli Annales (che anch’io ammetto), ma anche il primitivo proposito di chiudere l’opera col XII libro, cosa di cui non c’è alcuna testimonianza: mi par meglio perciò trasportare Ann. 374 nel XVIII. Di questo problema n o n parlerò nel mio prossimo articolo (che non sarà una trattazione completa, ma solo di alcuni problemi). Sul libro XII uno studio che io non sono riuscito a vedere ma che dev’essere, a quanto arguisco da citazioni, assai importante è H. Rotter, Einordnung und Erklärung einiger Enniusfragmente, Pola 1908. Se per caso avessi notizia di qualche biblioteca o studioso che lo possiede, ti prego di comunicarmelo; nel bollettino delle opere straniere possedute da biblioteche pubbliche italiane non figura. Sc. 1903 – Di minae nel senso di parole di minaccia dette dal guidatore ai buoi il Forcellini ed il Georges registrano solo l’esempio di Ovidio citato dal Vahlen: è perciò dubbio che si tratti di un significato particolare, tecnico. Ma anche ammesso quel significato, io continuo a non capire un discorso di questo genere: ‘conducila al giogo, domala a forza, imbrigliala, p o i c h é (quom; e anche se si leggesse quoius sarebbe sempre implicito un rapporto causale) la valida tenacia può essere tenuta a freno dalle parole di minaccia’. Sarebbe come dire: ‘Siccome per farlo stare zitto basta rimproverarlo, inflìggigli dieci giorni di sospensione dalla scuola’. Io capisco, invece, che 1 2 3 Vd. lett. 62. T. risponde alla lett. precedente. Vd. lett. 89. Vd. lett. 58. 215 si dica: ‘siccome le minacce n o n bastano, usa la forza’. Ma forse sbaglio? Scrivimi ancora il tuo parere. Ann. 5724 – Siamo d’accordo. Mi pare che premitur pede pes sia stato già proposto, ma non ricordo in questo momento da chi. Ann. 985 – Anch’io, leggendo l’anno scorso l’Anth. Lat., mi ero segnato il raffronto con 485, 113 (at nos non ut tu)6, che è certo un forte argomento a favore della lezione tramandata; tanto più che, come tu giustamente osservi, l’autore di Anth. Lat. 485 arcaizza, e al v. 51 sembra aver imitato Ennio Sc. 408 (per quanto si tratti d’un luogo comune): cfr. anche v. 172 ~ Enn. Ann. 310; v. 3 praeclare virorum (tipo pulcra deorum ecc.). In questo componimento si trovano anche vere e proprie citazioni da poeti arcaici o arcaizzanti: così al v. 181 bucera saecla (Lucr. 5, 866; 6, 1237) e al v. 165 non infortissimus Graium che certamente (e non credo che la cosa sia stata ancora notata) è citazione da qualche poeta arcaico (Ilias latina di Cn. Mazio? Cfr. Hom. O 11). Tuttavia, per tornare ad Ann. 98, non so ancora rinunziare del tutto all’acutissimo astu non vi di Vahlen1. Liv. Andr. fr. 24 Mor. e Lench.7. – Siamo d’accordo, anche sulla possibilità di scandire <eós> o <hós> (o magari, per l’allitterazione, q u ó s ) q u o niam audivi || abeuntes gavisi: tuttavia preferirei ancora quoniam audivi abeuntes || gavisi …, sia per il confronto con Nevio sia perché dopo abeuntes c’è pausa di senso. Liv. fr. 8 Lench. (e 8 Mor.)8 – Benissimo. Il libro del Leo sul saturnio non c’è a Pisa, è stato rubato a Firenze […] e non pare che ci sia in altre biblioteche governative italiane! Ma dal Morel (che segue il Leo) risulta che il Leo si occupa di quel frammento a p. 4 0 n o t a 4 . Il riferimento del Leo ad α 284 è stato già criticato da H. Fränkel, «Hermes» 67, 1932, p. 306 n. 1, il quale però a sua volta riferisce il frammento con poca probabilità a δ 820 sg., parafrasando: «(Vielleicht ist er ungekommen) bei der Ankunft in Pylos, oder bei seinem Aufenthalt dort (oder unterwegs auf der See)» (leggendo … deveniens aut ibi ommentans). Egli stesso tuttavia riconosce che «das bleibt unsicher» e che forse il frammento si riferisce a β 317 e ibi è corrotto. La tua integrazione ubi <sum> è ottima: nessuna difficoltà quanto all’elisione nel 2o membro: cfr. Naev. fr. 39, 2 Mor. ínsulam íntegram úrit, 21 bellíque inértes (reiziano: non ci sarebbe nessuna convenienza a scandire bélliquē |́ inértes), 19, 2 magníque Atlántes (id.), e altri esempi: del resto 4 5 6 7 8 Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente. Vd lett. 90. Vd. lett. precedente. 216 anche in Liv. 17 Mor. sarà vírgin(em) óráret (itifallico ‘contratto’  ́ ᴗ  ́  ́ ᴗ) ́ | oráret. piuttosto che vírginēm 9 Enn. Ann. 553 – Agmine va conservato (nel senso di ‘gittata’, ‘impulso’): il supplemento <vi> proposto dal Vahlen io non lo capisco. Mi pare che l’unica integrazione possibile, nonostante la sua durezza, sia <ut> (consecutivo): ut in fin di verso anche in Lucil. 19 Marx = 21 Terzaghi10. Lucr. 1, 125 sg. attesta che nel proemio degli Annales l’ombra di Omero lacrimas effundere salsas | coepit et rerum naturam expandere dictis. Quale la ragione di queste lacrime11? Si è supposto che Omero si dolga ‘omericamente’ di essere morto: ma quella è solo l ’ o m b r a di Omero, l’a n i m a vive in Ennio, e che Omero si presenti piangente ad Ennio per annunziargli che egli è alter Homerus e per iniziarlo alla poesia e alla filosofia, a me sembra una stonatura. Nella stessa difficoltà incorrono altre numerose spiegazioni del pianto di Omero. Io credo si debba ritornare all’ipotesi di J.B. Pius: le lacrime di Omero son lacrime di gioia, o almeno di commozione nel vedere finalmente dinanzi a sé il suo alter ego Ennio. Questa ipotesi mi pare ottimamente confermata da Aen. 6, 686: Anchise rivede Enea, e f f u s a e q u e g e n i s l a c r i m a e et vox excidit ore; e cfr. le prime parole di Anchise (venisti tandem, t u a que exspectata parenti vicit iter durum p i e t a s ) con quelle che dovevano essere le prime parole di Omero (Ann. 8) O pietas animi!, e nota che anche Anchise, come Omero, passa a rerum naturam expandere dictis (723 sgg.). Si oppone a ciò l’epiteto salsae che Lucrezio dà alle lacrime di Omero? No, lacrimae salsae non vuol dire ‘lagrime a m a r e (in senso metaforico)’, ma ‘lagrime s a l s e (in senso proprio, materiale)’: l’epiteto può essere dunque riferito anche a lacrime di gioia. Ann. 7 non c’entra col proemio. Coi più cordiali saluti tuo Sebastiano Timpanaro Vd. lett. seguente. In nota: «O integrare <cum>?». 11 Vd. lett. seguente e cfr. T., Contributi1, pp. 628-9; LE, pp. 76-7 = LE2, pp. 52-3. Sulle ‘lacrime di Omero’ molti anni dopo T. polemizzò con Enrico Livrea: vd. S. T., Ancora su Ennio e le lacrime di Omero, «RFIC», 119, 1991, pp. 5-43, replica a E. Livrea, Ennio e le lacrime di Omero, «RFIC», 118, 1990, pp. 33-42. Livrea tornò più tardi sulla questione con Κρέσσονα βασκανίης. Quindici studi di poesia ellenistica, Messina-Firenze 1993, pp. 25-6, cui seguì S. T., Statue piangenti e grecisti furenti, «RFIC», 121, 1993, pp. 101-9. Alla replica di Livrea, Riflessioni di uno psicopatico: ‘Somnia Pythagorea’ o allucinazioni?, in Id., Da Callimaco a Nonno. Dieci studi di poesia ellenistica, Messina-Firenze 1995, pp. 75-100, tenne dietro Un’ultima risposta al prof. Livrea, «Paideia», 51, 1996, pp. 229-41, con cui T. chiuse la polemica. Vd. lett. 625-9, 631 e 634. 9 10 217 PS. ‒ Sopra ho corso troppo supponendo che non infortissimus Graium12 sia un frammento arcaico: può esser traduzione, compiuta dal grammatico stesso, di Il. O 1113. Si riferisce a Anth. Lat., 485, 165. In margine a questa postilla M. annota a matita quello che si legge nella risposta. 13 M. annota: «Omero infatti è citato al v. 159». 12 218 93 Pesaro, 17. 12. 1948 Carissimo, mi dispiace molto che il Provveditorato ti abbia così maltrattato1; e mi meraviglio che costoro sappiano servirsi così male degli elementi capaci! La rivincita ti verrà comunque dai concorsi, a cui credo che tu abbia partecipato (io no, debbo averti detto perché). Io sono riuscito a tornare, dopo un po’ di fatica, al Liceo Scientifico (italiano e latino negli ultimi 2 anni), una cattedra non troppo impegnativa con solo 14 ore. A proposito, rileggendo a scuola Hor. serm. 1, 1, mi sono accorto che anche lui ha il famoso cretico eliso (v. 59 at qui t a n t u l i eget ecc.). In proposito ho scritto, anziché a Funaioli, a Munari (Oxford) perché chieda a Maas2. Se mi risponderà su questo punto, ti riferirò. Ancora su argomenti già discussi: 1) Sc. 386 sg.3 – La scansione che ti proposi con lugubrĭ dà un altro anapesto strappato. Sarà da conservare? Altri esempi di anapesti strappati ci sono, ma sono abbastanza frequenti (e con correptio iambica) perché si possa proporre il lugubrĭ ? 2) Ann. 356 sg.4 – Per il rapporto, probabile, da te supposto fra inc. 20 (versus longi) e VII prooem.5, cfr. già il sospetto di Vahlen, praef. CLXXXI. Ma s’intende che tua resta la proposta di leggere <versibus … ecc.>. 3) Anth. Lat. 490 R.6 – Cfr. Baehrens PLM III, p. 267 sg., che lascia finis e spectans ai vv. 9 sg., partibus (= partubus) a 13 e, sia pure in altra ricostruzione, adotta haustus (haustum Quicherat). 4) Sc. 1907 – Mi pare che tu abbia perfettamente ragione e adotto senz’altro il tuo <nequitur>, più logico del mio <potest> (per me minae sarebbe stato un riferimento riassuntivo al lavoro fatto sotto le minacce). 5) Ann. 374 sg.8 – Il tuo ragionamento mi pare molto fine. Altro è pubblicare separatamente i libri I-XII, altro ritenere, mentre si pubblicano, che 1 2 3 4 5 6 7 8 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Vd. lett. 80. Vd. 53. Vd. lett. 66. Su prooem. VII vd. lett. 106, 109, 168, 226, 326, 328-9, 501-4, 515. Vd. lett. 87. Vd. lett. 58. Vd. lett. 89. 219 con XII l’opera finisca (sebbene ciò, naturalmente, non si possa escludere). Dunque pare ora anche a me più metodico mettere il frammento in XVIII. Sul Rotter9 non so nulla. Forse la cosa migliore è far chiedere, dalla Biblioteca Universitaria di Pisa o da qualche normalista giuliano, se c’è alla Biblioteca (Comunale? l’Universitaria è recente) di Trieste e poi tentare di farselo mandare o di farlo prendere. 6) Anth. Lat. 48510 – Siamo d’accordo; forse ti scriverò ancora su questo carme. Per ora credo di poter confermare che il non infortissimus Graium del v. 165 è traduzione dell’autore stesso. Cfr. infatti l’altra citazione omerica al v. 159 (aves ut), verso che bisogna certo leggere interpungendo col Riese (e non col Baehrens, notando però che non è traduzione di Il. 2, 459 come vuole il Riese, (il che presupporrebbe un errore di memoria e un errore di sostanza, non essendoci in quel passo omerico l’anastrofe), ma è riproduzione letteralissima (e perciò più probabilmente risalente all’autore di 485) di Γ 2 ὄρνιθες ὣς, riferito appunto ai Troiani. A proposito delle fonti del carme, bisognerebbe vedere Halm, Rhet. Lat., cit. dal Baehrens e dal Riese (p. 328). C’è a Pisa? 7) Ann. 55311 – Certo meglio <ut> o <cum> di <vi>. Eppure la divisione di Vahlen1 (cfr. Vahlen2 ad h. v.) non si può escludere, mi sembra. Per le lacrime di Omero12, la tua argomentazione è ottima e io l’accetto senz’altro. Molto bello il confronto con Anchise. 8) Ann. 205 sg.13 – Non ho sulla lezione del cod. notizie posteriori a quelle di Vahlen2. In base ad esse tenterei provvisoriamente:  ᴗᴗ aut animo superant atque asp<era p>rima (Keil) | <mente>fera belli spernunt, cioè ‘disprezzano fieramente le prime asprezze della guerra’. Attendo eventuali obiezioni. Scusami se ti ho scritto in ritardo, e non credere che questo dipenda da mio diminuito interesse per la nostra conversazione. Anzi! Gradisci, insieme con i tuoi, i miei migliori auguri per natale e l’anno nuovo. Ma certo nelle vacanze, con più tempo libero, ci riscriveremo ancora. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti Vd. lett. precedente. Vd. lett. seguente. 11 Vd. lett. precedente. 12 Vd. lett. precedente. 13 Vd. anche lett. 94-6, 99-101, 207. 9 10 220 94 21. 12. 1948 Carissimo Mariotti, pochi giorni dopo che ti avevo scritto la mia lettera precedente1, sono passato dall’Avviamento di Ponsacco alla Scuola Media di Montopoli (sezione distaccata di Pontedera), dove mi trovo discretamente, sebbene perda parecchio tempo per l’andare e venire. Ottima l’idea di chiedere a Maas mediante Munari quanto all’elisione del cretico2. Sc. 3863 – Mi par di ricordarmi che la correptio iambica nell’anapesto strappato non si trovi, ma non sono riuscito a trovare niente di preciso né nel Lindsay Early Latin Verse 4, né nel Vollmer (Einl. di Gercke e Norden)5: il Klotz qui a Pisa non c’è 6, cercherò nella Plaut. Pros. di C.F.W. Müller7. Anth. Lat. 4858 – Hai perfettamente ragione. Qui c’è Halm, Rhetores Latini minores (Lipsia 1863): come fonte di non infortissimus Graium indica anch’egli Ο 11, e per aves ut (v. 159) rimanda, come te, giustamente a Γ 2. Al v. 113 (at nos non ut tu …) non annota niente, e in generale non nota gli arcaismi. Ann. 2059 – Finora io consideravo probabile la restituzione proposta dal Vahlen: aut s u p e r a n t a n i m o atque asp<er>rima <voln>era (o forse meglio <moen>era) belli | spernunt. La tua proposta ha il vantaggio di non esigere la trasposizione di animo[s] superant10, e forse anche quello di corrispondere meglio all’estensione delle lacune del codice (ma su quest’ultimo punto bisognerebbe aver notizie più precise). Ma l’ordine delle parole, con quel belli così distante da aspera prima, mi par difficile ad ammettere, nonostante altri esempi enniani di libera collocazione delle parole. Mi sba- Vd. lett. 92. Vd. lett. 80. T. risponde alla lett. precedente. 3 Vd. lett. 53. 4 Lindsay, Early Latin Verse (cit. lett. 17). 5 Vollmer, Römische Metrik (cit. lett. 82). 6 Vd. lett. 20. 7 C.F.W. Müller, Plautinische Prosodie, Berlin 1869. 8 Vd. lett. precedente. 9 Vd. lett. precedente. 10 T. aggiunge a piè di pagina la seguente nota: «Un’eco di questa espressione enniana, oltre che nel virgiliano superans animis, si trova forse nel solito carme AL 485, 147 nec corde exsuperas». Sul fr. vd. lett. precedente. 1 2 221 glio, o nelle espressioni del tipo cava caeli, deserta locorum ecc. il genitivo segue sempre immediatamente il neutro plurale da cui dipende?11 Forse si potrebbe tentare, transponendo belli, aut animo superant atque asp<era p>rima duelli12 (cfr. la clausola di Ann. 559) | <mente> fera spernunt). Scrivimi ancora su ciò. Ann. 26813 – Cic. pro Mur. (citato dal Vahlen tra le testimonianze, p. 48) fa precedere a pellitur e medio ecc. le parole proeliis promulgatis: e sebbene il Vahlen annoti «quae Ciceronis sunt, non Enni», tuttavia il sospetto, già manifestato dal Bährens e da altri (anche dal Georges s.v. promulgo) che si tratti di parole di Ennio mi pare assai fondato; proelia promulgare (= ‘dichiarare la guerra’, nonostante che il Valmaggi intenda altrimenti)14 è espressione molto singolare: Cicerone usa promulgare soltanto a proposito di leggi, e in questo caso avrebbe scritto bello indicto o qualcosa di simile; a ciò si aggiunga la spiccata allitterazione15; e soprattutto, siccome quelle parole vengono subito dopo l’inciso ut ait ingeniosus poeta et auctor valde bonus, la prima ipotesi che noi dobbiamo prendere in considerazione è che esse appartengano al poeta, e soltanto se questa ipotesi si rivelasse insostenibile avremmo il diritto di considerarle parole di Cicerone. Ora, il Bährens (vd. il Valmaggi, p. 76)16 scriveva arbitrariamente  ᴗ ᴗ  ᴗ ᴗ si sunt proelia promulgata, e anche gli altri hanno sempre ammesso che, nella forma in cui le tramanda, quelle parole non possono essere di Ennio. Ma invece basta leggere: ᴗ ᴗ  ᴗ ᴗ   proelȋs promulgatis | pellitur ecc.: esametro spondiaco come p. es. Ann. 26, 33, 169, 191, 201, 251, 304 ecc.: proelis = proeliis come Iunis = Iuniis in Ann. 163, e proprio proelis si trova nell’elogio di L. Lucullo (Dessau n. 60: compluribus proelis terra marique superatis). Nota anche che quest’uso assai singolare di promulgare (che di solito è verbo riferito a leggi, decreti, ecc.) s’accorda bene con tutto lo stile del frammento, dove vi è un’altra espressione giuridica riferita per translato alla guerra: ferro rem repetunt. Munari mi scrive che per il cretico eliso Maas rimanda al suo articolo sul plur. poet. («Arch. f. lat. Lex.» 12, 1902) e a L. Müller De re metrica17. M. annota in margine: «Ma cfr. Lucr. 1, 315, Enn. Ann. 202 sg. Vahl.2; del resto spostamenti di parole senza motivo (?) Ann. 300». Su Enn. ann., 300 V.2 vd. lett. 40. 12 In nota T. aggiunge: «Mi pare che duelli sia stato già proposto da altri». 13 Vd. lett. seguente e lett. 102. 14 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 15 T. aggiunge a piè di pagina: «Non solo proeliis promulgatis, ma proelis promulgatis | pellitur». 16 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 17 L. Müller, De re metrica poetarum Latinorum praeter Plautum et Terentium, Lipsiae 1861 (Petropoli et Lipsiae 18942, rist. Hildesheim 1967). 11 222 Sono andato a vedere Maas, «Arch. f. lat. Lex.», il quale a p. 508 si limita a riferire le parole di L. Müller De re metrica2 p. 342. Il Müller afferma che gli unici poeti esametrici che elidono il cretico sono «Lucilius, Catullus praeterquam in hexametris continuis, Horatius in saturis» (non cita Accio). Ma insomma l’elisione del cretico si trova, e dunque, per chi non voglia sofisticare, arbitrō Athenis18 è perfettamente legittimo. Ann. 57219: già il Vahlen1  ́ premitur p e d e p e s a t q u e armis arma teruntur, come anche tu avevi proposto. Ricambio a te e ai tuoi i più vivi auguri e saluti. Affettuosamente tuo Sebastiano Timpanaro 18 19 Enn. Ann., 567 V2., su cui vd. lett. 62. Vd. lett. 91. 223 95 Pesaro, 10. 1. 1949 Carissimo, mi rallegro per la tua ‘promozione’ alla Scuola Media di Montopoli1. E mi rallegro, in altro campo, per la finissima nota sui nomi di vie fiorentine, che ti ringrazio di avermi mandato2. A proposito della vecchia nostra (anzi tua) questione di versus usato per verso non intero – a proposito di Enn. Sc. 2693 – dev’essere facile moltiplicare gli esempi. Trovo in Fest. p. 206, 22 sgg. Lindsay: nam … testis hic versus (trag. inc. 211 R.3), e il caso è identico a quello di Cicerone riguardante Ennio (un sett. troc. privo del 1o piede). E in R.3 il verso trag. inc. subito seguente (212) è citato da Seneca il vecchio come versus pur essendo solo mezzo verso ( m a qui può darsi che sia solo allusione all’intero verso). Ann. 2684 – La tua dimostrazione dell’ennianità di proelis promulgatis è b e l l i s s i m a ; assolutamente sicura e importante sia per la prosodia di proelîs che per l’uso di promulgo. Ann. 2055 – È vero che l’ordine delle parole fa qualche difficoltà. Tuttavia cfr., per il distacco fra gen. part. e agg. neutro da cui esso dipende, Lucr. 1, 315 s t r a t a que iam volgi pedibus detrita v i a r u m . E per il gen. part. cfr. Enn. Ann. 202 sg. q u o vobis mentes, rectae quae stare solebant | antehac, dementes sese flexere v i a < i > , dove viai mi par sicuro (cfr. Vahlen ad l.). Certo però pare strano che Ennio non abbia scritto belli mente fera, che andava bene metricamente lo stesso (né in Ennio si può pensare all’intenzione di far corrispondere il meno possibile ictus e accento nella prima metà dell’esametro). Tuttavia ci dev’essere qualche altro caso in cui non si vede chiaro il motivo metrico di certi spostamenti di parole; penso ad Ann. 300, dove, come dicemmo6, non c’è una evidente ragione perché Ennio abbia scritto varia validis <vice> viribus luctant, anziché validis varia vice viribus luctant. Le ragioni che si potrebbero trovare per Ann. 205 sg. mi pare che tengano poco: p. es. l’intenzione di avvicinare quanto possibile mente f e r a ad aspe r a (??), oppure un’allitterazione di belli con la parola seguente a spernunt. Ma insomma non oserei ancora spostare e correg- 1 2 3 4 5 6 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. S. T., Nomi di vie fiorentine, «Lingua nostra», 9, 1948, p. 75. Vd. lett. 26. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 93. Vd. lett. 40. 224 gere (sia pure lievemente) arrivando al tuo prima duelli [ma ti sarò grato di dirmi chi – eventualmente – ha proposto duelli]. Su questa questione aspetto che tu mi scriva ancora. Naev. Lucurgus, v. 49 R.3 7 (Nonio per fervĕre): Late longeque [ma Marmorale p. 23* della sua brutta edizione di Nevio8 ha «Longe lateque tamquam ex codd.»: forse dall’ed. Lindsay di Nonio?] † trans nostros † fervere codd.; trans<tros> nostros R. (e Marmorale) [ma c’è transter maschile?]; T h r a c e s n o s t r o s Bothe, Lindsay, forse bella paleograficamente, ma, mi pare, poco persuasiva. Io penso a qualche forma di transvorsus, unito a longe e late (in lungo e in largo e di traverso), cioè late longeque transvorsos<que> fervere oppure late longeque <tum> transvorsos fervere (detto delle Baccanti che impazzano? – per il maschile cfr. (?) Marmorale al fr. X – o meglio dei cavalli che fanno a pezzi Licurgo?). È uscito o sta per uscire il nuovo fascicolo degli «Studi»? Io non ho saputo nulla (neppure dei miei Adversaria)9. Sai da che biblioteca si potrebbe far venire il Warmington, Remains ecc.10? Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola Mariotti PS. ‒ Un altro versus per ‘verso incompleto’: Gellio che cita Enn. Ann. 104 (p. 17 Vahlen2)11. Vd. lett. seguente e inoltre lett. 141-3. E.V. Marmorale, Naevius poeta, saggio biobibliografico con edizione critica dei frammenti, Catania 1945. Nulla di mutato nella seconda edizione (Firenze 1950). 9 Si riferisce a Adversaria philologa I (cit. lett. 5). 10 Remains of Old Latin (cit. lett. 12). 11 Postscriptum presente in una cartolina postale spillata alla lettera, che ha come timbro postale di partenza l’11 gennaio 1949 e di arrivo il giorno successivo. T. ha però annotato «10 / I / ’49» con evidente riferimento alla data della lettera. 7 8 225 96 Pisa, 16. 1. 1949 Carissimo Mariotti, ho corretto pochi giorni fa le seconde bozze della 4a (e, per fortuna, ultima) parte del mio articolo enniano1. Mi dispiace che tu non abbia saputo nulla dei tuoi Adversaria: c’è da temere che Pasquali li abbia rinviati al prossimo fascicolo2. Il Warmington Remains ecc. c’è qui alla Normale (solo il vol. contenente Ennio e Cecilio, non l’altro contenente Liv. Andr., Naev. ecc.)3. Ho ricevuto ieri l’altro i due articoli di O. Skutsch4: spero che li abbia mandati anche a te. Io, del suo 2o articolo enniano, accetto ciò che riguarda Sc. 4045 (p. 94), Ann. 5246 (p. 98), Ann. 2127: non accetto affatto ciò che scrive su Ann. 2138 (p. 95 sg.: argomenti sofistici) e sulla questione se la 1a guerra punica fosse narrata da Ennio (p. 96 sg.: ha ragione il Norden); rimango incerto quanto agli Hedupagetica (p. 99)9. A proposito degli Hedupagetica, Var. 36: Ambraciae o r a s è stato già congetturato dal Warmington10; ma forse su questo verso sarà da accettare l’opinione di O. Skutsch (p. 99), il quale difende Ambraciai del Salmasius. Di ciò riparleremo. Ann. 20511 – Le tue osservazioni sono giuste e, sebbene quella collocazione del genitivo belli continui a parermi un po’ difficile a digerire, tuttavia riconosco che essa è sostenibile e che la transposizione aspera prima duelli (di cui non sono riuscito ancora a scovare l’autore) è troppo arrischiata. Prima di decidere definitivamente su questo frammento, bisognerà aver notizie più precise sulla lezione del codice e specialmente sull’estensione delle lacune. T., Per una nuova edizione, IV (cit. lett. 8). Vd. lett. 48-9. T. risponde alla lett. precedente. 3 Vd. ancora lett. precedente. 4 Vd. lett. 80. 5 Vd. lett. seguente. 6 Vd. ancora lett. seguente. 7 Vd. lett. 76. 8 Vd. lett. 69. 9 Sugli Hedupagetica vd. lett. 61. 10 Vd. lett. 89. 11 Vd. lett. 93. 1 2 226 Naev. trag. 49 R.3 12 – La tua proposta mi pare ottima; avevo pensato per un momento a laté longeque, rúrsus prorsus férvere (cfr. Enn. Sc. 116), che avrebbe forse il vantaggio di giustapporre a late longeque un’altra ‘coppia di contrarii’ allitterante, ma che paleograficamente è meno probabile. (Il Lindsay ha anch’egli late longeque, perciò longe lateque di Marmorale sarà una svista)13. A Firenze, dove sono stato nelle vacanze di Natale, ho visto l’articolo di E. Hauler (Zu Ennius) in «Zeitschr. für österr. Gymnas.» 61, 1910, p. 673. Hauler dà una nuova collazione, molto minuziosa e macchinosa, del passo di Frontone p. 160 N. nel quale è citato Ennio Ann. 6714. In sostanza secondo Hauler di 1a mano il codice ha: Ennius pos ạquam (corr., sempre di 1a mano, in postquam) consịṣ|tit (corr. in constitit) isṭị fluvius qui omniụm (corr. in omnibus) | princeps, | qui sub civilia (corr. in ọvilia) ait. La 2a mano ha corretto postquam consis|tit isti prima in retro iam constare | it ipsẹ, poi in retro iam | substaṭ. Il Hauler (p. 683) ritiene che la lezione giusta sia quella di 2a mano (che anche altre volte, egli dice, tramanda lezioni giuste che non possono essere congetturali); egli inoltre pensa che anche qui sub o civilia siano parole di Ennio (infatti, egli dice, la citazione termina con ait) e che vada inoltre premesso a retro iam substat ecc. un factumst (quest’ultimo punto è sostenuto da Hauler con argomenti assai oscuri)15. Perciò egli legge (p. 683): Factumst: | retro iam substat fluvius qui est omnibu’ princeps, | qui sub ovilia … Questi ovilia sarebbero (p. 680 sg.) le stalle del pastore Faustolo. A me pare che: 1) è evidente che quel factumst messo lì in fin di verso, separato da ciò che segue, non può stare (del resto il ragionamento di Hauler su questo punto è, come ho detto, oscuro e pare sofistico); 2) pur essendo difficile giudicare, io ho l’impressione che la lezione genuina sia quella di 1a mano e che quella di 2a mano sia una rabberciatura. Perciò tutto sommato direi che la collazione di Hauler conferma la congettura di Bekker: Postquam (o pos quam?) consistit (isti sarà naturalmente dittografia) fluvius ecc. Quanto a qui sub ovilia o civilia, pur riconoscendo metodicamente giusta l’attribuzione ad Ennio anche di queste parole, in quanto precedono ait, tuttavia vi apporrei un segno di corruttela: tanto più che nel codice dopo princeps vi è, anche per testimonianza di Hauler, uno spazio bianco. Consistit è anche confermato da Sc. 18516 e da Var. 12 (sebbene il Vd. lett. precedente e inoltre lett. 141-3. Vd. lett. precedente. 14 Vd. lett. 70. 15 T. aggiunge in nota: «A quanto pare, egli vuol indurre da tutto il contesto di Frontone che questi citava il frammento di Ennio a proposito della locuzione factumst: ma non riesce affatto persuasivo». 16 Su questo frammento vd. lett. 6. 12 13 227 senso sia forse un po’ diverso); anche Lucrezio ha constiterunt imbres et flumina vim minuerunt 17. Che ne pensi di questa ingarbugliata questione? Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro 17 Lvcr. 5, 415. 228 971 Pesaro, 16. 1. [1949]2 Carissimo Timpanaro, ho avuto, e letto rapidamente, i due estratti di Skutsch3. Condivido senz’altro il giudizio che mi desti su questo studioso. La prima parte non mi pare dia contributi molto sicuri e notevoli (mi ha interessato la questione di poeta-vates4, ecc., p. 84, a cui non avevo mai pensato). Nella seconda parte, certo da escludere il tentativo di negare a Ennio quisquam erat (Ann. 216)5. Il cum di 2156, mi parrebbe, è causale: è opinione già di altri? ed è opinione giusta? Skutsch potrebbe aver ragione su Sc. 4047. Importante e, mi pare, da accettare il § 4, su caradrum apud 8 (Salmas.) (‘canale’, crederei, più che nome di città) e le conseguenze su cronologia e tecnica di Hedupagetica – quindi abbandonerei il mio Ambraciae oras 9. Queste, come vedi, non sono che impressioni. Se credi, di’ a Skutsch che lo ringrazio e continuerò a mandargli miei lavori, sperando di avere i suoi. Affettuosamente Scevola Mariotti 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Cartolina postale. L’anno è aggiunto fra parentesi quadre da T. Vd. lett. precedente. Su questo argomento vd. lett. 208 e 220-21. Vd. lett. 168. Vd. lett. 98-104, 106-7, 502, 515. Vd. lett. precedente. Enn. var., 36 V.2. Sugli Hedupagetica vd. lett. 61. Vd. lett. 89. 229 981 Pisa, 18. 1. [1949]2 Carissimo Mariotti, poco tempo dopo averti spedito una lettera, ricevo la tua cartolina3. Sono contento di vedere che siamo d’accordo nel giudicare l’articolo di Skutsch. Quanto a caradrumque apud, credo anch’io che egli abbia ragione4; se siano giuste anche le conseguenze che egli trae sulla cronologia degli Hedupagetica, non so. Per me rimane sempre la questione: gli Hedupagetica sono parodia epica, poesis epica ludibunda, al pari delle poesie gastronomiche di Archestrato: e la parodia di un genere letterario si conforma, quanto alla tecnica metrica, al genere letterario parodiato. Aristofane, là dove παρατραγῳδεῖ, osserva le leggi del trimetro tragico; Archestrato, quanto a tecnica metrica, non si discosta da Omero. Non credo che Ennio abbia voluto fare diversamente. Il cum di Ann. 2155 finora, che io sappia, è stato inteso come temporale; non mi pare che convenga considerarlo causale. Piuttosto credo che sia correlativo ad olim del verso precedente ‘i versi che i Fauni e gli indovini cantavano a quel tempo, quando ancora nessuno …’. Correlazione di olim … quom … frequente in Plauto, a cominciare dai primi versi del Miles. Ho letto in «Paideia» una sciocchissima replica del Colonna alla tua nota sulle presunte varianti d’autore in Virgilio6; e in «Maia» un pessimo articolo di Pagliaro su sunt lacrimae rerum7. Affettuosamente S. Timpanaro Cartolina postale. L’anno si ricava dal timbro postale. 3 Si riferisce alla lett. precedente. 4 Enn. var., 36 V.2; vd. lett. precedente. Sugli Hedupagetica vd. lett. 61. 5 Vd. lett. precedente. 6 A. Colonna, Varianti d’autore negli scrittori antichi, «Paideia», 3, 1948, pp. 277-8. 7 A. Pagliaro, Sunt lacrimae rerum (Aen. 1, 462), «Maia», 1, 1948, pp. 114-28 (rist. in Saggi di critica semantica, Messina-Firenze 19612, pp. 159-80). 1 2 230 99 Pesaro, 24. 1. 1949 Carissimo Timpanaro, se Pasquali non pubblica in questo fascicolo gli Adversaria, da una parte può essere meglio1. Sostituirei le due note enniane con altre non enniane2, e le unirei alla raccolta di Enniana che ormai è venuta l’ora di stendere3. Scriverò a Pasquali che mi rimandi il manoscritto per la sostituzione. Se mi dirai quando esce questo fascicolo degli «Studi», mi farai cosa gradita; così lo comprerò subito, e anticiperò anche la lettura del tuo articolo (di cui però ti prego di mandarmi ugualmente l’estratto). Ann. 2054 – Penso che per avere un’idea della lacuna basti vedere una foto del palinsesto. Io cercherei di farmela mandare (per poi passartela), sempre che il codice sia ancora a Verona, se tu potessi darmi, in base all’edizione Hagen, l’indicazione esatta del codice e del foglio dove è quella nota. Ann. 675 – Dopo averci riflettuto, penso anch’io che la lezione giusta sia ancora quella del Becker da te approvata. Contro substat (m2) c’è f o r s e anche il fatto che substare nel senso di ‘sostare’, che parrebbe qui richiesto, non parrebbe classico. Invece mi ha fatto pensare per un momento il constare|it della m2 (1a correzione) perché pare che consto nel senso di ‘star fermo’ sia solo arcaico; ma mi par sicuro che si tratta di un caso e che comunque sarebbe immetodico servirsi solo qui della lezione di seconda mano (che poi non si vedrebbe bene come adattare nel verso: p. es. postquam constaret … in discorso indiretto? Ma, ripeto, mi pare infondato). o Piuttosto è forse il caso di ripensare qui sub civilia. Io non ho il otesto di Frontone. Cosa c’è dopo ait? Penso, lacuna. Tu dici che qui sub civilia, in quanto precedono ait, dovrebbero metodicamente attribuirsi ad Ennio. Ma come sta questo ait? Collegato con Ennius? Non è troppo lontano? Potrebbe cominciare una frase esplicativa dell’esempio enniano. Ma c’era bisogno di una spiegazione dopo un esempio che (malgrado Hauler) si spiega da sé? E, d’altro canto, c’era bisogno di proseguire la citazione dopo princeps per i fini di Frontone? Come vedi sono tutti dubbi a cui attendo una tua risposta, non sapendo decidere da me (e senza il testo). Sarebbe anche utile Si riferisce al vol. 23 di «SIFC», datato 1948-49. L’articolo di M., Adversaria philologa I (cit. lett. 5), uscì nel vol. 24 del 1950 (vd. lett. 126). 2 Sulle note enniane originariamente destinate a questa sede vd. lett. 43. 3 I primi contributi enniani saranno infatti raccolti da M. in LE del 1951. 4 Vd. lett. 93. 5 Vd. lett. 70. 1 231 sapere se Frontone cita altre volte premettendo alla citazione il solo nome dell’autore (ma questo non mi pare che debba fare difficoltà). Insomma, come vedi, propenderei quasi per non mettere nel testo, neppure con segno di corruttela, quelle tre parole. Quanto all’articolo di Skutsch6, siamo, mi pare, d’accordo su quasi tutto. Forse è anche giusta, come tu dici, l’allusione che lui coglie in Ann. 5247. Se la ricostruzione di Lindsay2 - Heraeus è in sostanza giusta, come pare, dubbi mi restano ancora almeno per Ann. 5258. Io confesso di non capire che vantaggio ci sia a leggere surum Surus, cioè a non intendere entrambe le forme di surus nello stesso senso e a introdurre nel testo quel curioso Syrus. È un vecchio dubbio che solo ora mi azzardo a dirti, con estrema incertezza. E se si leggesse unus surum surus ferre, tamen defendere possent?, intendendo una sentenza con ἀδύνατον, cioè pressappoco: ‘un palo (o bastone ??) potrebbe tener sopra di sé un altro bastone, e (tuttavia) (potrebbero) tutt’e due servir di difesa?’ cioè ‘potrebbero stare tutt’e due in posizione verticale uno sull’altro e insieme servir di difesa, per cui ci vuole la posizione orizzontale?’. In altre parole simul flare sorbereque haud factu facilest (Plaut. Most. 791). Verrio avrà pensato che un lettore poteva restare in dubbio se si trattasse di unus surum surus o unus Surum Surus, e allora veramente l’esempio si accorderebbe con chiarezza con Caeli, Calore, Parum (e Naris), anche se qui non si tratta di nome proprio. S’intende che qui non faccio questione della prosodia sūrus o sŭrus, non sapendone nulla (se per altre ragioni dovesse essere sūrus, come segnano i lessici di cui dispongo, allora naturalmente, ma più scomodamente, unus | surus surum (o, forse peggio, unus | surum surus). Il tuo ragionamento su Hedupagetica è acuto, ma mi lascia ancora dubbioso9. Ennio potrebbe aver trasportato la parodia epica di Archestrato a semplice poesia satirico-precettistica, come ce n’è spesso nel vecchio latino. Questa idea mi rimane anche perché mi pare che l’anapesto nel solo 1o piede e anche l’ipermetro (ma specialmente l’anapesto) non siano tanto prova d’incapacità di fare esametri (certuni degli Hedupagetica sono normalissimi) quanto derivino da una t e c n i c a speciale. Ma riscrivimi di questo. Per Ann. 21510, è naturale che a prima vista s’intenda cum temporale; ma come sta in piedi nel contesto un periodo come « q u a n d o … nessuno era s t u d i o s u s dicti p r i m a d i m e » ? A meno che non si voglia Si riferisce a Enniana II (cit. lett. 80). Per le note di lettura agli articoli di Skutsch si vedano le lett. 96-7. 7 Vd. lett. precedente. 8 Vd. anche lett. 100-1, 171-2, 200, 238 e cfr. LA, p. 59, nota 1 = LA2, p. 43, nota 65. 9 Vd. lett. precedente. 10 Vd. lett. precedente. 6 232 staccare il nec di 216 dal neque di 215 (e perciò dal cum), il che mi pare impossibile. Ma non dico affatto di aver ragione io a mettere per ora, nella citazione del Brutus11, un punto dopo canebant e a legare quello che segue con ait ipse de se, pensando che dopo Ann. 21412 manchi p. es. un verso che dicesse: ‘alii che non potevano saper fare della poesia davvero cum (poiché) né <io avevo salito> le alture delle Muse né (di conseguenza) alcuno prima di me…’. Questo solo a scopo di continuare la discussione, e senza essere affatto sicuro di aver ragione e senza tentare integrazioni più faticose che fruttuose. Ann. 16613 – E se si interpungesse, integrando: <sese>14 inicit inritatus, tenet (sc. hostem): occasus iuvat res | <Romanorum>15 (= ‘gl’interessi’ o ‘le azioni’)? A Colonna, che pare anche a me non dica nulla di importante, risponderò più che altro per tornare su qualche verso virgiliano16. L’articolo di Pagliaro17 l’ho cominciato e non sono riuscito a finirlo: mi pare che tu abbia tutte le ragioni. Affettuosi saluti, e scusa se ho scritto male. Tuo Scevola M. Cic. Brut., 71 (Malcovati): quid, nostri veteres versus ubi sunt? “quos olim Fauni vatesque canebant, | cum neque Musarum scopulos *** | * nec dicti studiosus quisquam erat ante hunc”, ait ipse de se, nec mentitur in gloriando. 12 Vd. lett. 38. 13 Vd. lett. seguente, 236, 245-8, 254, 275. Sul frammento cfr. M., Adversaria philologa II (cit. lett. 58), 1, p. 508-9 (rist. in LE2, pp. 100-1). 14 Nel marg. inferiore M. aggiunge: «Cfr., per sese inicit, Ann. 233; per l’enjambement con sese Ann. 391 sg.». 15 Sotto l’integrazione Romanorum T. ha scritto a matita: «o nostras (cfr. speres … nostras)». Il rinvio è ad Enn. ann., 128 V.2. Vd. Contributi1, p. 637; LE2, p. 101, nota 42. 16 Vd. lett. precedente. A Colonna M. replicò con Ancora di varianti d’autore, «Paideia», 5, 1950, pp. 26-28 (= SFC, pp. 540-3). 17 Vd. lett. precedente. 11 233 100 Pisa, 30. 1. 1949 Carissimo Mariotti, sono molto contento che ti sia deciso a scrivere l’articolo enniano1: sarà una raccolta di congetture una più bella dell’altra. Quanto ad Ann. 2052, gli Scholia Veronensia sono nel cod. n. 38 della Capitolare di Verona: lo scolio nel quale è citato Ann. 205 è nel fol. 259 v., nel margine inferiore. L’edizione Hagen si basa sulla collazione del precedente editore A. Herrmann, e non dà indicazioni precise sull’estensione delle lacune. Ann. 673 – Hauler cita nel suo articolo altri esempi di citazioni fatte da Frontone con lo schema: n o m e d e l l ’ a u t o r e – c i t a z i o n e (anche piuttosto lunga) – a i t . Tali esempi mi parvero persuasivi quando li lessi, ma purtroppo non me li sono copiati. Ann. 5254 – Confesso che l’interpretazione da te proposta mi sembra un po’ troppo audace e sforzata. Sono d’accordo con te nel ritenere che surum Surus non soddisfa. Certo il frammento doveva contenere un giuoco di parole, un ‘equivoco’: ma è difficile afferrarlo. Quanto alla prosodia, i linguisti (Ernout e Meillet, Walde-Pokorny ecc.) ritengono che debba essere sŭrus per il confronto con altre voci indoeuropee. Hedup.5 – Che Ennio abbia «trasportato la parodia epica di Archestrato a semplice poesia satirico-precettistica» è certo possibile, ma non mi sembra molto probabile perché: 1) il frammento sembra una vera e propria traduzione, sia pur non letterale, di passi di Archestrato; 2) anche in Ennio, come in Archestrato, lo stile sembra di parodia epica: p. es. magnusque bonusque (v. 41) è un evidente calco della clausola omerica ἠύς τε μέγας τε, e la stessa intonazione parodica è chiaramente visibile in Nestoris ad patriam e in cerebrum Iovis … supremi. Lo Skutsch, al quale avevo comunicato i miei dubbi su questo punto, mi risponde: «If your arguments are decisive (they are very strong), it would mean that Ennius began to experiment with the hexameter after 189 B. C. In that case the Annals (which I am absolutely certain belong to the period after 189) are even later». E questa mi pare la soluzione migliore. Del resto già il Maas, «Wiener Studien» 45, 215 ha supposto che gli Annales siano stati cominciati addirittura nel 177 a. C. (egli si 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 93. Vd. lett. 70. Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente (da cui è ripresa la citazione) e 61. 234 basa su Ann. 16, che io non sono ancora sicuro che appartenga alle Satire, nonostante Skutsch)6. Su questo punto sarà utile discutere ancora. Ann. 2157 – Certo, un discorso come ‘ q u a n d o nessuno era ecc. ecc. p r i m a d i m e ’ è, da un punto di vista strettamente razionalistico, inconseguente; e per questo anche il Vahlen segna lacuna tra 215 e 216. Eppure io sono convinto che si tratti di un’inconseguenza in cui il poeta stesso è caduto. Ennio scrive: ‘in quei versi che cantavano i Fauni e gli indovini a quel tempo quando né <alcuno aveva salito> (oppure, come tu supponi, né <io avevo salito>) le volte scoscese delle Muse, né alcuno si curava della perfezione stilistica…’. Qui il poeta dovrebbe fermarsi; ma il cum è ormai lontano, ed egli se ne dimentica e, preoccupato soprattutto di insistere sul fatto che egli è stato i l p r i m o vero poeta latino, ribadisce: … né alcuno era dicti sudiosus p r i m a d i m e . So bene che questa può sembrare una di quelle interpretazioni estetizzanti e aggiranti le difficoltà, in cui eccellono i commentatori italiani; eppure io sono persuaso che essa è giusta. Interpretando il cum come causale, certo, tutto si razionalizza: ma quale lettore latino, incontrando un simile cum, specie dopo l’olim, avrebbe potuto capire che esso era causale e non temporale? E perché Ennio sarebbe ricorso a un cum estremamente ambiguo, mentre poteva senza difficoltà quanto alla metrica, usare un quod o un nam? Di supporre una lacuna di un verso dopo il 214 non vedo l’utilità8. Ma su questo punto aspetto le tue controobiezioni. Certo lo Skutsch ha torto di negare studiósūs quísquam; egli vuol stabilire ad ogni costo regole metriche rigidissime, mentre la caratteristica fondamentale della prosodia enniana è proprio l’oscillazione, l’incoerenza. Glie l’ho scritto, ma non è rimasto persuaso. Ann. 1669 – B e n i s s i m o ! Se l’interpunzione tradizionale è appoggiata dal parallelismo delle due espressioni ridondanti tenet occasus, iuvat res (res ‘la situazione’, come in Ann. 430), d’altra parte la tua facilita l’interpretazione di tenet. Inicit poteva esser preceduto, oltre che da <sese> (per cui cfr. anche Ann. 72), p. es. da <manusque>; e si potrebbe completare iuvat res | <nostras> (cfr. Ann. 128 speres nostras = speres Romanorum, come giustamente interpreta il Vahlen p. clxvi). Sc. 19710 – Miserete, manus codd. che il Vahlen conserva senza spiegare. Gli altri edd. correggono tutti o annis con lo Scaligero (così anche il Lindsay, Nonio) o manu con L. Müller. Anche il Leo, De trag. Romana, p. Skutsch, Enniana I (cit. lett. 69), pp. 85-6 = Id., Studia Enniana (cit. lett. 69), pp. 25-7. Vd. lett. 79. 7 Vd. lett. 98. 8 Vd. lett. 38. 9 Vd. lett. precedente. 10 Vd. lett. seguente. 6 235 711 scrive: manus «tolerari posse nego». Mi sembra che manus sia da interpretare come vocativo singolare, e non nel senso di ‘mano’ ma di ‘schiera’: cfr. Verg. Aen. 10, 294 nunc, o lecta manus, validis insurgite remis12. Da chi composta questa manus? Se il frammento si riferisce col Vahlen ad Eur. Hec. 165, sarebbero le prigioniere troiane che in Euripide formano il coro. Ma manus detto di donne non si trova nel latino arcaico e classico. Inoltre io non credo che siano parole di Ecuba: Ecuba direbbe ‘ u c c i d e t e m i ’ (come in Euripide citato da Vahlen ἀπωλέσατε, e p. es. in Verg. Aen. 9, 493 sg. la vecchia madre di Eurialo in me omnia tela | conicite o Rutuli, me primam absumite ferro), non ‘ d a t e m i u n f e r r o , c o l q u a l e i o m i u c c i d a ’ . E allora saranno piuttosto (come già aveva supposto il Leo) parole di Polimestore, cfr. Eur. Hec. 1105 ἢ τὸν ἐς Ἀίδα | μελάγχρωτα πορθμὸν ᾄξω τάλας; (cfr. anche la risposta del coro, v. 1107 sg.). Manus saranno gli Achei, che anche in Euripide Polimestore invoca, 1091: ἰὼ Ἀχαιοί. … ἴτε: μόλετε πρὸς θεῶν. [Non ho ancora visto il Ribbeck]. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Come va costà il PSI? La linea politica dell’attuale direzione mi pare giusta, ma romitiani e morandiani fanno a gara nel rompere le scatole. 11 12 Leo, De tragoedia Romana (cit. lett. 52). In realtà Virgilio ha incumbite. 236 101 9. 2. 1949 Carissimo Timpanaro, innanzi tutto una postilla alla lettera precedente1. Ann. 672 – Ho l’impressione che proporre anche dubitosamente p o s quam per pos ạquam (poi corretto) del cod. sia troppo ardito, perché nello spirito dei prevahleniani (per intenderci) che cercavano arcaismi a ogni costo nei minimi particolari della tradizione manoscritta. Ma può essere che mi sbagli. Ho fatto chiedere la foto del cod. Veron. per Ann. 2053. Ti terrò informato. Ancora Ann. 67 – Stando così le cose, sono d’accordo che la citazione o termina con civilia. Cosa ci sia sotto qui subcivilia rimane anche per me un mistero impenetrabile. Converrà forse vedere se Frontone faccia altrove citazioni sospese, il che lascerebbe maggior libertà al congetturatore, ma anche dubbi su ogni soluzione per quanto abile. Ann. 5254 – Hai perfettamente ragione sulla non persuasività del mio surum surus, ma anche di surum Surus. Converrà ripensarci. A me pare sempre che, data la spiegazione di Festo e il carattere (presunto, ma forse probabile) delle altre citazioni, surum surus debbano essere due parole usate nello stesso senso (quale, se non ‘bastone’, ‘piuolo’?) e che si potevano confondere con altre omofone (quali, se non Surus = Syrus?). Per questo, sebbene, come ti ho detto, non persuaso neppure io e non disposto a rendere pubblica una proposta come la mia, che ha tutti i caratteri del fantasioso, non riesco a trovarne nessuna migliore. Hedup.5 – I tuoi argomenti sono finissimi. A magnusque bonusque – ἠύς τε μέγας τε, non avevo ancora pensato, e mi pare ottimo per la tua tesi. Ti parrò testardo se mi restano ancora dei dubbi? Riprendendo in sostanza gli argomenti dell’altra volta, osserverei che un esametro ‘mal fatto’ è p. es. Var. 146 (sparsis hastis …) o Ann. 230 (poste recumbite …), per ragioni ritmiche. Qui negli Hedupagetica abbiamo piuttosto esametri ben fatti (34, 38 [nota āpriculum, da mettere insieme ad āgri di Ann. 320], 43, 44) o ben fatti per Ennio (41); poi abbiamo versi ben fatti con particolarità prosodi- 1 2 3 4 5 6 Vd. lett. 99. Vd. lett. 70. Vd. lett. 93. Vd. lett. 99. Vd. le due lett. precedenti e 61. Vd. lett. 71. 237 che che dimostrano una t e c n i c a particolare, non un’incapacità di fare esametri, delle l i b e r t à (che quasi tutte avvicinano questi versi alla parlata comune), non delle imperfezioni: così gli iati dopo Aeni e Surrenti 7 (iati in esametri greci quanti non ne trovava Ennio?), un ipermetro (ce ne sono anche in Virgilio; e p. es. senari ipermetri in Plauto e Terenzio ce ne sono [cfr. anche Enn. Sc. 295]), due correptiones iambicae, normali nella poesia scenica perché più vicina alla parlata comune; infine quegli stranissimi anapesti iniziali, che noi non possiamo escludere con assoluta certezza che si trovassero anche altrove (cfr. Ann. 4908; ma quest’argomento vale molto poco, d’accordo), e che, limitati come sono a un solo piede, il primo, il che noi non possiamo considerare un caso, sembrano dipendere ancora da tecnica, non da scarsa abilità del verseggiatore. D’altra parte mescolanza di forme epicizzanti (anche parodiche) sono comuni, credo, in tutta la poesia satirica. Con il che non voglio sottovalutare i tuoi argomenti, che anzi io sono in questo momento al non liquet, e non dalla parte opposta alla tua. Tu mi puoi sempre obiettare che correptiones iambicae e inizi anapestici non si trovano più neppure in tutta la poesia satirica, a quanto pare, e io non so cosa risponderti, se non, vagamente, che qui possiamo trovarci di fronte a uno stadio iniziale della poesia satirica, ancora tecnicamente più vicina alle forme giambiche e trocaiche (per quel che riguarda la correptio) che pure rientrano nella poesia satirica stessa. Ho parlato finora di correptio per apŭt Cumas e scarŭm praeterii 9. Debbo dirti che ora a me pare metodico: 1o) considerare quelle due forme come correptiones iambicae finché non saprò (ma questo può dipendere da mia lacuna d’informazione, che eventualmente ti prego di colmare) che esistono in poesia ‘letteraria’ (cioè non d’iscrizioni più tarde ecc.) casi di indebolimento di lettera finale (anche in parole non comuni, come scarum) non spiegabili con la correptio, p. es. una finale di esametro illŭm videre; 2o) leggere noenum (correzione semplicissima) del Lachmann in Ann. 37110, finché non saprò che correptiones iambicae ci sono anche in poesia epica. Ma s’intende che, se esistono prove contro il 1o punto, abbandonerò anche il 2o. Ann. 21511 – Può darsi benissimo che tu abbia ragione, e che l’anacoluto sia dovuto ad Ennio. So benissimo che tu non hai niente in comune con gli estetizzanti. Io resterei ancora del mio parere, perché ammettere l’inconseguenza logica in Ennio sarebbe giusto, metodicamente, secondo me Rispettivamente Enn. var., 35 e 39 V.2. Vd. lett. 15. 9 Enn. var., 39 e 40 V.2, per cui vd. lett. 61. 10 Vd. lett. 61. 11 Vd. lett. 98. 7 8 238 solo se potessimo disporre di un testo intero e non di un testo, oltre che certamente non intero, anche interrotto nella sua continuità dalla maniera di citarlo di Cicerone12, che lo divide fra d u e periodi (nostri veteres versus ubi sunt …? ... ait ipse de se ecc.). In queste condizioni a me pare ancora giustificato considerare legati neque e nec, che introducevano due frasi certo strettamente legate e affini per il senso, a quanto è dato vedere (e perciò appunto integrerei ‘né <io avevo ancora salito>’ al v. 215 anziché ‘né <alcuno aveva salito>’, per legare di più le due frasi) e considerare il primo periodo ciceroniano terminante con canebant. È vero che nessun lettore latino, «incontrando un simile cum, specie dopo l’olim, avrebbe potuto capire che esso era causale e non temporale», come tu scrivi13. Ma l’anfibologia (che solo faticosamente poteva scomparire quando il lettore arrivava all’ante hunc) non esisterebbe più se noi ammettiamo, come possiamo essere autorizzati a fare dal modo di citare di Cicerone, la lacuna di un verso appunto dopo 21414, come proponevo; di un verso che dicesse ‘<ma non poterono raggiungere la poesia (o ‘la perfezione’)>, cum (‘poiché’, e non ‘quando’) ecc.’. Sc. 19715 – Benissimo! La tua soluzione è senza dubbio da adottare. Tutti i rinvii da te fatti mi sembrano ottimi. Ann. 1616 – In un primo momento rimasi incerto anch’io davanti alla tesi Housman - Skutsch17. Ora sono persuaso, almeno per il momento, che sia giusta, perché con essa tutto (cioè l’occasione del curioso frammento e la forma dello scolio, specie la ragione delle parole sic Ennius ait ~ definitionem) riesce più chiaro, né mi pare che le si possano opporre argomenti forti. Ma attendo di sapere cosa ne pensi precisamente. Ann. 2 – Mi ricordo che ne parlammo un’altra volta18, ma la cosa rimase in sospeso (sui due piedi non mi riesce di ritrovare la tua lettera in cui mi parlavi della preferenza per Casmenas di fronte a Camenas: cosa ne pensano gli ultimi editori di Varrone?). In sostanza io penso: non m’importa tanto se sia esemplificato Casmenae o Camenae; nel secondo caso leggerei col Vahlen, ma senza aggiungere <dicere>, nel primo (che f o r s e ora mi parrebbe preferibile) leggerei p. es. <Casmenas, Graium genus> Musas | Cic. Brut., 71. Vd. lett. precedente. 14 Vd. lett. 38. 15 Vd. lett. precedente. 16 Vd. lett. 79. 17 Vd. Skutsch, Enniana I (cit. lett. 69), pp. 85-6 = Id., Studia Enniana (cit. lett. 69), pp. 25-7. Cfr. A.E. Housman, Ennius in Pers. VI 9, «CR», 48, 1934, pp. 50-1. Vd. lett. 103-4, 106-7 e 511. 18 Vd. lett. 56. 12 13 239 quas memorant, noscē nos esse …, pensando che le prime tre parole siano cadute in Varrone (per la forma cfr. 148; per la struttura e per quas memorant in principio di verso cfr. Lucr. 2, 629 sg. cit. dal Vahlen). Se c’è qualcosa di sicuro è proprio nosce (o nosces) nos esse19, un’autopresentazione delle Muse, certo nel sogno di Ennio. Le Muse erano sognate da Callimaco (cfr. Anth. Pal. 7, 42). È necessario pensare che Ennio abbia s o s t i t u i t o Omero alle Muse? Può, dopo Omero, aver fatto parlare le Muse mostrategli da lui. Nota che in Prop. 3, 3 parlano prima Febo e poi una Musa (Calliope, che può aver parlato anche in Ennio). [Certo troppo ardito cercare una conferma in Pers. prol. 4, dove Heliconidas portebbe riferirsi al v. 2, Pirenen al v. 1]. Dimmi sinceramente: ti pare il caso di presentare questa ipotesi (che c r e d o nuova)? Sc. 15020 – La miglior correzione parrebbe a me pilam del Ribbeck, ma scriverei: <O r e s t e ? [o Eumenidi? o Apollo?]> Areopagitae quid dedere? <Minerva> Aequam pilam. Cfr., s e b b e n e n o n i d e n t i c a , l’angosciata interrogazione di Oreste ad Apollo in Eum. 744: πῶς ἀγὼν κριθήσεται (e cfr. 745). Che Sc. 149, che probabilmente seguiva subito, sia invece settenario non mi pare faccia difficoltà. Qui il PSI vive senza infamia e senza lode. Della sezione (non della federazione) si è ‘impadronita’ la sinistra. Ma non ho più spazio!21 Affettuosi saluti. Scevola M. Nel marg. inferiore M. aggiunge: «Qui sarei senz’altro per noscē (cfr. cunctā da te difeso in Ann. 240). Eppure vorrei un solo esempio, dove che sia (che ci sarà certo, ma in Virgilio pare di no, a quanto vedo, tranne sanguis, spiegabile altrimenti) di parola troc. misurata come spondeo per l’ictus. Se no, ci sarebbe una ‘legge’ (diversa da quella di Skutsch) da formulare». Su Enn. ann., 240 V.2 vd. lett. 15. 20 Vd. lett. seguente. 21 Si riferisce al foglio che non offre più spazio alla scrittura, nelle ultime righe anche più fitta e compatta. 19 240 102 14. 2. 1949 Carissimo Mariotti, il tuo dissenso sulla questione degli Hedupagetica non deriva affatto da «testardaggine»1, anzi è pienamente legittimo, poiché c’è davvero motivo di rimanere incerti. A me pare ancora difficile ad ammettersi che le irregolarità metriche e prosodiche del frammento rappresentino una tecnica ‘satirica’ diversa dalla tecnica epica degli Annales. Anche prescindendo dal carattere di parodia epica che hanno versi degli Hedupagetica, e ammettendo senz’altro la loro appartenenza al genere satirico, resta pur sempre il fatto che in tutta la poesia greca e latina noi non abbiamo nessun altro esempio di una tecnica ‘satirica’ dell’esametro così diversa dalla tecnica epica. La tecnica degli esametri greci ludibundi (Archestrato, ecc.) è identica a quella degli esametri epici. L’esametro satirico di Orazio non è certo identico a quello epico di Virgilio, tuttavia si tratta pur sempre di differenze lievi riguardanti le relazioni tra parola e piede, le cesure, ecc.; qui, tra Hedupagetica e Annales, lo stacco mi par molto più notevole2. Che gli Hedupagetica siano tecnicamente più vicini alla poesia giambica e trocaica, come tu noti, è verissimo: ma ciò si accorda bene anche con la mia ipotesi: Ennio, partito da una tecnica esametrica ancora vicina alla metrica e alla prosodia scenica, andò poi affinando e rendendo sempre più severa (e più vicina al modello greco) la propria tecnica: dagli esametri degli Hedupagetica a quelli degli Annales c’è la stessa evoluzione che dal s e n a r i o plautino al t r i m e t r o grecanico di Catullo. Quanto al problema se apŭd ed enĭm siano correptio iambica o indebolimento di consonante finale3, bisogna riconoscere che casi di indebolimento del tipo illŭm videre (cioè non spiegabili come correptio) non ci sono. C’è però il fatto (notato dal Leo Plaut. Forsch.4, che ora non ho sotto mano, e ribadito dal Jachmann Studia prosodiaca)5 che in Plauto si trova Si riferisce al dubbio avanzato da M. «ti parrò testardo…?» nella lett. precedente. Sugli Hedupagetica vd. lett. 61. 2 In nota T. aggiunge: «Nota che fra tragedia e commedia latina arcaica non si riscontra nessuna differenza di tecnica metrica, eppure qui la differenza sarebbe stata legittimata dal confronto con la poesia greca. Tanto più improbabile è che ci sia differenza tra esametro epico e satirico». 3 A proposito di Enn. var., 39 e 40 V.2, per cui vd. lett. precedente. 4 F. Leo, Plautinische Forschungen, Berlin 1912. 5 Vd. lett. 30. 1 241 spessissimo enĭm e apŭd anche in punti del verso dove la correptio iambica è vietata: questo indizio ha un certo valore, per ciò che riguarda apŭd ed enĭm; per scarŭm la cosa è più incerta, e forse qui si tratta davvero di correptio iambica. Ann. 2156 – Certo, il cum può essere inteso come causale se si ammette la lacuna di un verso dopo 214; ma p r o p r i o i l f a t t o c h e q u e s t a interpretazione renda necessario supporre una lacuna me l a f a a p p a r i r e m e t o d i c a m e n t e p o c o r a c c o m a n d a b i l e . Se si considera il cum come temporale, non c’è più bisogno di ammettere la lacuna: la quale è certo possibile, dato il modo di citare di Cicerone, ma se si può farne a meno è sempre meglio. Io non credo che Cicerone «divida il testo enniano fra due periodi»7 (nostri veteres versus ubi sunt …? ait ipse ecc.). Il periodo fondamentale è uno solo: ‘dove sono i nostri antichi versi ecc. ecc.?’. Soltanto, arrivato ad ante hunc, Cicerone aggiunge, come glossa esplicativa di hunc, la proposizione ait ipse de se ecc. La struttura del periodo è un po’ irregolare, ma corrispondente allo stile colloquiale, rotto da frequenti incisi, dei dialoghi di Cicerone. Ma anche su questo argomento vorrei sentire ancora il tuo parere. Ann. 168 – Sono tuttora un po’ incerto. Skutsch ha dimostrato benissimo che lo scolio a Persio consta in realtà di d u e scolii distinti. Ma, eliminata la testimonianza dello scoliasta, rimane pur sempre il passo di Persio: postquam destertuit esse Maeonides9, che mi sembra non possa significare altro che ‘subito dopo il sogno’ (vd. Vahlen, p. cxlix: nota che già il Vahlen basava il suo ragionamento s o l t a n t o s u l l e p a r o l e d i P e r s i o , non sullo scolio). Sostenere, come fa lo Skutsch (1o articolo10, p. 86) che nello scolio carminibus indichi le opere minori contrapposte agli Annales mi pare che sia un forzare l’interpretazione. Carmina lì avrà senso generico, e anche poemi epici son chiamati carmen, come risulta da moltissimi esempi del Thes. (secondo Diomede I, 484 K. carmen è l’equivalente latino di epos)11. Ann. 212 – L’ipotesi che Ennio abbia fatto parlare, dopo Omero, le Muse, è nuova ed è in sé perfettamente plausibile. Ottimo il parallelo con Prop. 3, 3; si può citare anche Verg. buc. 6, 64-73, dove l’iniziazione poetica di Vd. lett. 38. Vd. lett. precedente. 8 Vd. lett. 79. 9 Pers. 6, 10-1, su cui vd. lett. 103-4, 106-7, 504, 511, 515, 517. 10 In Enniana I (cit. lett. 69), p. 86 = Id., Studia Enniana (cit. lett. 69), pp. 26-7. 11 M. annota nell’interlinea: «Ma postquam destertuit vale solo dopo che cominciò a poetare (cfr. Persio, prologo)». 12 Vd. lett. 56. 6 7 242 Gallo è compiuta dalle Muse e da Lino (che ha l’ufficio che in Ennio aveva Omero). Soltanto, la base di quest’ipotesi mi pare un po’ debole, essendo costituita da un frammento tramandato in forma così corrotta e malsicura come Ann. 2 (ma forse sto peccando di eccessivo scetticismo). Noscē ́ dal punto di vista metrico non fa comunque difficoltà; oltre a cunctā ́ in Ann. 24013, doctūś (sicuro, secondo me) in Ann. 1814, e pulvīś in Ann. 28215, cfr. Hor. sat. 2, 3, 1 scribīs,́ Verg. Aen. 1, 478 pulvīś (non spiegabile altrimenti, nonostante O. Skutsch), Ov. met. 10, 97 myrtūś , id. 15, 635 laurūś ecc. ecc. (In Enn. Ann. 50816 ci sarebbe anche tergūś : ma la parola seguente igitur è molto sospetta. Io sarei per espungere igitur, supponendo che esso sia corruzione di inquit (oscillazione igitur / inquit, cioè igit̃ / ĩquit, p. es. anche in Gell. 2, 29, 10 = Enn. Sat. 38, vd. Vahlen ad Sat. 32, p. 208) e che Nonio, quo stupore est, abbia compreso nella citazione enniana un inquit inserito dall’autore dal quale attingeva: cfr. Non. p. 145, 6, dove similmente Nonio comprende in una citazione da Varrone un dixit che non è di Varrone, ma di Gell. 3, 10, 5 da cui Nonio attinge senza dirlo. L’espunzione di igitur era stata già proposta, ma senza render ragione dell’interpolazione dall’Onions, ed. di Nonio. Su ciò dimmi il tuo parere). Tornando ad Ann. 2, c’è ancora la questione: Casmenae o Camenae? Io sarei ancora per Casmenae e per ritornare nel passo di Varrone all’interpunzione … scriptum est; alibi Carmenae ecc. Contro l’interpunzione … scriptum est alibi; Carmenae ecc., accettata anche da Götz e Schöll, sta il fatto che l’atque (o ac) comparativo dopo ita o sic non si trova prima di Igino e del Digesto, e anche in questi testi tardi soltanto se ad atque (o ac) segue si: di ita (sic) … atque (ac) … (senza si) non c’è nessun esempio in tutta la latinità (in Plaut. Merc. 532 atque ha evidentissimamente il senso di ‘eppure’, cfr. Lodge Lex. Plaut. I, 18117, e non il senso comparativo che sbadatamente gli assegna il Thes. II 1081; ed Enn. Sc. 326, anch’esso citato come comparativo dal Thes., non c’entra affatto). Ora, dato che ci dev’essere Casmenae, è impossibile la lezione del Vahlen; d’altra parte supporre la caduta di tre parole (Casmenae, Graium genus) in Varrone mi sembra arrischiato. È proprio da scartare la soluzione di Leo e Jacobsohn (Thes. s. v. Camenae) <Grai> | Musas quas memorant; C a smenas esse <volebant> (scil. maiores nostri)? o Musas | quas memorant, noscē <Casme>nas18 esse <p. es. Latinas, come già sup- Vd. lett. 15. Vd. lett. 38. 15 Su cui vd. lett. 220, 502-3, 517, 530, 542, 544. 16 Vd. lett. seguenti 103-4, 106, 177-8, 502-3, 517, 542. 17 Lodge, Lexicon Plautinum (cit. lett. 55). 18 In nota T. aggiunge: «o nosc<as Casm>enas, come già aveva supposto il Grienberger, «Indog. Forsch.» 27, 202 che però distribuiva male metricamente». 13 14 243 pose il Bährens>? Insomma ho ancora l’impressione che Casmenas vada cercato in nosce – nos piuttosto che aggiunto al principio del frammento [Forse anche: Musae (cod. Musac, cioè piuttosto Musae che Musas), | quas memorant nos<tri> C<asm>enas esse <Latinē>, | … Ma basta con questi tentativi, che a te parranno, e con ragione, oziosi.] Sc. 15019 – Benissimo la divisione tra due personaggi! Ann. 26820 – Vedo che proel i s promulgatis (che qualche tempo fa ti proposi come mio) era stato già proposto dalla Steuart nel commento. Ann. 23721 – È chiaro che si deve mantenere fūisset: ma come interpretare? Dall’index verborum appare che il Vahlen considera lato del v. 238 come aggettivo (‘nel largo fòro’) e fa dipendere consilio da lassus come abl. di causa (vd. s.v. consilium): ma così il senso non torna, e la collocazione delle parole sarebbe intricatissima. Invece lato sarà, come aveva già visto il Pascoli, partic. di fero: consilio lato abl. assoluto ‘avendo portato (espresso) il suo parere, o il suo consiglio’. E allora bisognerà costruire: cum fuisset lassus consilio lato magnam partem diei, indu foro sanctoque senatu, de summis rebus regundis: ‘quando era stanco per aver partecipato per gran parte della giornata, nel foro e nel senato, a deliberazioni concernenti le più gravi questioni di governo’. Così intende anche il Pascoli. Ma – a questo non si è badato finora – questa interpretazione implica che fuisset abbia il valore di esset. L’affermazione delle sintassi (p. es. Hofmann, p. 562, Kühner-Stegmann II 1, p. 141) che i primi esempi di piuccheperf. cong. per l’imperf. risalgono all’età ciceroniana, va dunque corretta: il fenomeno si trova già in Ennio, ed è certo proprio della lingua popolare, come dimostrano le lingue romanze (f o s s e imperf. dal piuccheperf. lat. fuisset, ecc.). Naev. B. P. fr. 1 novem Iovis concordes filiae sorores ~ Hes. Theog. 60 ἠ (scil. Μνημοσύνη) δ᾽ ἔτεκ᾽ ἐννέα κούρας ὁμόφρονας. In nessun altro passo, che io sappia, le Muse son dette ‘concordi’. Mi sembra chiara perciò la derivazione di Nevio da Esiodo, finora non notata (non ho visto però il Marmorale, che qui non c’è; se lo hai, potresti dargli un’occhiata?)22. Stavolta sono stato ancor più prolisso del solito! Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro 19 20 21 22 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 94. Vd. lett. seguente e 385-8. Marmorale, Naevius poeta (cit. lett. 95). Ma cfr. BP, pp. 53 sgg. = BP3, pp. 51 sgg. 244 103 Pesaro, 3. 3. 1949 Carissimo, cerco di essere breve. Naev. B. P. p. 1 – Ottimo il rinvio a Esiodo1. Niente di particolare in Marmorale, Naevius poeta, Catania 1945, p. 85* sg. (cioè 85 sg. dell’edizione, con numerazione a parte), il quale traduce concordes con ‘ a r m o n i o s e ’ e disapprova le «fantastiche congetture» del Pascoli, Epos p. 72, a proposito di quella parola da lui male intesa. Oltre Esiodo puoi forse ricordare Epich. fr. 222 Kaibel = 210 Olivieri2, in Serv. Dan. ad Aen. 1, 8: has (sc. Siculas) musas Siculus Epicharmus non musas sed ὁμονοούσας3 dicit. Sull’ ὁμονοούσας più d’uno ha dubitato. Hermann propose ὁμοῦ οὔσας oppure ὁμοῦ ναούσας, i recenti edd. harvardiani di Servio, vol. II4 [che debbo recensire5, e accennerò anche a questo passo] annotano (p. 18): «si ad fabulam Ἥβας Γάμον sive Μούσας dictam haec verba spectant, aliquod lepidius fort. in Graeco verbo latet, cuius prima littera non o (in C o del.), sed m esse potuit, ut μονούσας (fictum sane vocabulum), quasi virgines». Ora, a parte il non felice μονούσας, a me pare che, se si pensa per l’appunto ad Esiodo, di scherzo ce n’è già abbastanza per non dover correggere. Epicarmo avrà alluso al tradizionale ὁμόφρονες con una pseudo-etimologia: ‘voi M u s e , o sarà meglio dire O m o n o u s e … ’ . (A meno che non si trattasse del ps.-Epicarmo, quello imitato da Ennio [che pure introduce etimi, sebbene latini], dato che, come nota Olivieri ad l., il fr. sembra pitagoreggiante; ma non ci ho pensato ancora abbastanza). E poiché ho accennato al Servio harvardiano, che legge (p. 107) il fr. di Enn. inc. 15 avium vulgus et hastarum, quasi fosse frammento unico6 (e ha certo torto), io credo che sia metodico, diversamente da Vahlen e Thilo, considerare d u e le citazioni e n t r a m b e da Ennio, cioè avium vulgus e hastarum (vulgus), leggendo p. es. in DS: Ennius ‘avium vulgus’ et ‘hasta- Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. G. Pascoli, Epos, Livorno 1897. 3 Nel marg. inferiore la seguente nota: «La tradizione omonousas C, ὀμονούσας f». 4 Servianorum in Vergilii Carmina commentariorum editionis Harvardianae, vol. II, quod in Aeneidos libros 1. et 2. explanationes continet, E.K. Rand et al. confecerunt, Lancastriae Pennsylvaniarum 1946. 5 Proposito non realizzato. 6 Nel marg. inferiore M. aggiunge: «e conserva poi, insensatamente, et alibi ‘multitudinem …’ quasi fosse frammento di qualche altro». Sul frammento vd. lett. 104 e 106. 1 2 245 rum’, [ e t a l i b i ] ‘multitudinem et hastarum et avium’, cioè espungendo et alibi e considerando ‘multitudinem … avium’ spiegazione. Cosa ne pensi? Sulla questione di Hedupagetica7 continuo a restare in dubbio, pur propendendo ora per la tua soluzione data la mancanza in tutta la poesia satirica (anche nel poco restante di Ennio) di anapesto iniziale e di correptiones iambicae (anche di eni(m) e apu(d), credo). Ma mi pare in questo caso tanto più necessario leggere noenum in Ann. 3718 (per quanto non ci giurerei). Cosa mi dici di questo noenum, che mi pare questione interessante? Ann. 2159 – Mi par difficile intendere ait ipse de se ecc. di Cicerone come «glossa esplicativa di ante hunc». Ait ipse de se presuppone, mi pare, che a l m e n o ante hunc sia detto su un tono diverso dal resto di ciò che precede, e che perciò obblighi comunque a spezzare in due la citazione di Ennio. Non so se riesco a spiegarmi. In altre parole, se mai sarebbe necessario ripetere ante hunc e scrivere (ma è c e r t o soluzione da e s c l u d e r e ) : … ubi sunt ‘… ante hunc’? <Ante hunc> ait ipse de se nec ecc. Per questo rimarrei ancora alla spezzatura, e continuerei a spezzare nello stesso modo che ti proposi, con cum = ‘poiché’, pur non sottovalutando la tua osservazione che si tratta di una lacuna di più. Ma, se non vogliamo staccare i due neque (nec), non mi pare che si possa risolvere altrimenti. Ma attendo ancora il tuo parere. Ann. 1610 – Confesso che Housman-Skutsch11 continuano a persuadermi. Postquam destertuit esse ecc. può benissimo voler dire ‘dopo che diventò poeta’. A questo proposito mi pare importante il confronto con Pers. Prol. 2-3. Per Persio ‘aver sognato sul Parnaso’ vorrebbe dire (in lui con ironia, s’intende) ‘esser diventato poeta’. Che poi, nel 1o scolio, carmina voglia essere termine tecnico, indicante le opere minori in contrapposto ad Annales, non è detto, ma si può ritenere lo stesso (anche per il confronto con Giovenale) che il frammento appartenga alle Satire. Ann. 212 – Avevo pensato anch’io a buc. 6, 64 sgg., dove però le Muse non parlano (e anche per questo rimane più vicino Prop. 3, 3); ma citerò anche Virgilio. Per la mia ricostruzione vorrei basarmi appunto sull’inopportunità di correggere nosce nos, che va bene per il metro e per l ’ a l l i t t e r a z i o n e fortissima. D’altronde Casmenas è lontano paleograficamente da nosce nos. E se si ammette che sia poco consigliabile correggere nosce nos, allora l’ipotesi che parlassero le Muse mi pare inevitabile. Col che non nego affatto che Vd. lett. precedente. Vd. lett. 61. 9 Vd. lett. 98. 10 Vd. lett. 79. 11 Vd. lett. 101. 12 Vd. lett. 56. 7 8 246 sia solo un’ipotesi. Solo che, adesso, oltre a propendere più decisamente per Casmenae, in base alla tua osservazione su ita … ac, preferirei scrivere, evitando di integrare all’inizio, (pericoloso, perché potrebbe anche esser caduto il nome di un autore: quale??) e riducendo al minimo l’integrazione: … Musas, quas memora n t <Casmenas | Roma n i > , noscē nos esse. Così abbiamo anche che le Muse si presentano come Muse (= Camene), e non come Camene (= Muse), che sarebbe un po’ strano svolgendosi il sogno in Grecia e dopo Ann. 1 (cfr. anche Leo, Gesch. röm. Lit., p. 1845 13, che pure dice altro). Ann. 50814 – Tergūś mi par da conservare (e così cade anche in base ad un frammento enniano d a n o n c o r r e g g e r e , oltre che a doctūś [Timp., sicuro anche per me] e cunctā,́ la tesi di Skutsch) perché igitur dev’essere inteso, secondo me, nel senso arcaico (= tum o simm.), e allora ci sta benissimo. In base al rinvio del Vahlen a Diod. 5, 30, 1, si può p. es. integrare: <illis (sc. Gallis), c u m temporis frigust | hiberni,> tergus i g i t u r sagus pinguis opertat;| <cum aestas est, tenuis sc. sagus>. Che te ne pare? Ann. 23715 – B e n i s s i m o l’accettazione dell’interpretazione del Pascoli e la retrodatazione del primo esempio di fuissem = essem. Ann. 95 sg.16 – Non so quanto precisamente valga il Voss. B (e ti sarei molto grato se, con tutto tuo comodo, mi darai notizie più moderne della tradizione del passo), ma a me pare che propriam (cioè propritim Müller) sia lectio difficilior. Ma, allora, non intenderei come Müller (cfr. Valm. p. 26)17, bensì legherei data stabilita come i soliti asindeti coi termini lontani fra loro (cfr. i soliti esempi di cui già discutemmo, compreso Ann. 394 sg.)18. Ann. 6919 – Frammento terribile (hai visto il tentativo, insostenibile, di Castiglioni20?). Per ‘sondaggio’, proporrei: (le acque del Tevere, dopo la piena) desu<bito refluu>nt, rivos camposque remanant | <caeruleos>21 (per campi caerulei = ‘mare’22 cfr. Plaut. Trin. 834, ecc.). Cioè: ‘d’improvviso Leo, Geschichte der römischen Literatur (cit. lett. 17). Vd. lett. precedente. 15 Vd. lett. precedente. 16 Vd. lett. seguente e inoltre lett. 106-7, 109, 516-7. 17 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 18 Vd. lett. 53. 19 Vd. lett. 104-7, 109, 111, 116, 120, e cfr. O. Skutsch, Enniana VI. 2, «CQ», 58, 1964, pp. 87-9 = Id., Studia Enniana (cit. lett. 69), pp. 105-9. 20 L. Castiglioni, Decisa forficibus, III, «RIL», 74, 1940-41, pp. 389-418 (in partic. p. 413). 21 Nel marg. inferiore M. aggiunge: «<caeruleos>, naturalmente, omesso da Festo». 22 «= mare» è aggiunto nell’interlinea. 13 14 247 (per ordine degli dei) le acque del Tevere ritornano indietro, e refluiscono nei ruscelli (= affluenti del Tevere [che stavano nella pianura allagata?]) e (di là) al mare’. Ann. 25423, di cui ti parlai altra volta (e gradirò una tua risposta complessiva, quando crederai): invece di … reddit <t>u<m> ecc., leggerei ora: legio reddit v < i > 24 ru[mo]re ruinas, | mox … secundo | <incipit>. Per i due ablativi di seguito viene in mente Ann. 19325, dove a me par certo vi pugna (a proposito di Ann. 192, dove altra volta26 ti dissi che sarei per non correggere nulla dividendo qui anteh͡ ac | invicti ecc., nota che è anche possibile per evitare la dura elisione, quῐ antehac – cfr. Var. 3 e 15 – Verg. buc. 8, 108 q u ĭ amat). E infine una preghiera (per cui pure non c’è nessuna fretta), che ti faccio sempre spiacente di darti seccature. Delle due note che manderò a Pasquali per sostituire le due enniane dei miei Adversaria27 una è quella che sai a Liv. Andr. Tereus (cum i l l o s codd., cum i l l o c edd., cum o l l i s ego)28. Il Ribbeck (Röm. Trag., 35 sgg.)29 esclude, certo a torto, ogni legame col Tereo di Sofocle, perché secondo lui i frammenti proverebbero che Livio ha seguito un’altra versione del mito. Io non lo credo affatto, ma penso che qualcuno abbia per lo meno ritenuto improbabile la tesi del Ribbeck, nel qual caso mi basterebbe un rinvio a questo qualcuno. Ora tu mi faresti un gran piacere se vedessi nella RE (s.v. Tereus (o Philomela ecc.) e anche s.v. Liv. Andr.) qual è il punto di vista dei redattori. Mi basta un semplice cenno, perché potrei eventualmente completare il rinvio sulle bozze vedendo la RE in Urbino. Grazie e affettuosi saluti dal tuo Scevola M. Vd. lett. 47. M. aggiunge in nota: «vi facilissimo a corrompersi, come provano altri frammenti di Ennio». 25 Vd. lett. 104, 109, 111. 26 Una proposta che non risulta dalle lettere conservate. Su questo frammento vd. lett. seguente e 109 e 111. 27 M., Adversaria philologa I (cit. lett. 5) e cfr. lett. 99. 28 Liv. Andr. trag., 28-9 R3. 29 Ribbeck, Die römische Tragödie (cit. lett. 8). 23 24 248 104 [8. 3. 1949]1 Carissimo Mariotti, sul Tereus purtroppo non sono riuscito a raccogliere nulla: il Fraenkel nell’articolo su Livio Andronico in P.-W. non dice niente2 (l’articolo si occupa quasi esclusivamente di stile e di metrica); negli articoli Tereus, Philomela (Procne non c’è ancora), Itys non c’è niente al riguardo. Lo Schmid (Schmid-Stählin II 453), parlando del Tereo di Sofocle dice: «von den beiden römischen Tereus-dichtern Livius Andronicus und Accius wird dieser sich an Sophokles angeschlossen haben», perciò esclude anch’egli la derivazione di Livio Andronico da Sofocle. Altre storie della letteratura greca (Bernhardy et similia) e latina (Schanz-Hosius ecc.) tacciono. Cercherò ancora, ma non mi meraviglierei che tutti fossero rimasti, per inerzia, alla tesi del Ribbeck. Ti ringrazio per la citazione di Epicarmo su Μούσας ὁμονοούσας, che non conoscevo3; è superfluo aggiungere che tu hai perfettamente ragione di mantenere ὁμονοούσας. Inc. 154 – Anch’io penso che si debba attribuire hastarum vulgus ad Ennio. La tua restituzione del passo di Serv. Dan. è perfettamente convincente. Soltanto, io penserei che l’alibi vada, più che espunto, considerato come una notazione del correttore del cod. Cassellanus, il quale volle significare che ‘altrove’, cioè in un altro codice da lui collazionato, invece di et (avium) era scritto multitudinem et hastarum et (avium). Io credo, insomma, che il codice collazionato dal correttore avesse precisamente la lezione che tu hai restituito, mentre il copista del Cassellanus, o la sua fonte, aveva omesso per omoteleuto le parole multitudinem et hastarum. Non so se mi sono spiegato chiaramente. Il Servio harvardiano non l’ho ancora visto, perché qui non c’è: ti prego di segnalarmi ciò che può interessare per Ennio. Ann. 3715 – Quanto a noenum, non oserei metterlo nel testo, pur riconoscendone la probabilità. Mi sbaglio, o si sente la necessità di un collegamento col verso precedente, come enim? ‘Un solo uomo salvò la situazione temporeggiando: οὐ γάρ ecc.’ (non semplicemente οὐ). 1 2 3 4 5 La data è aggiunta da M. Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente e 106. Vd. lett. precedente e 61. 249 Ann. 2156 – Arrivati ad ante hunc non può il tono interrogativo essersi andato, diciamo così, smorzando a poco a poco, tanto più che si tratta di un’interrogazione retorica? ‘Dove sono i nostri antichi versi, che Fauni e indovini cantavano a quel tempo, quando né ecc. ecc. né alcuno si curava dello stile p r i m a d i q u e s t o q u i , dice egli stesso di sé, né mente ecc.’. O forse anche si può porre in parentesi ait ipse – habet, e dopo la parentesi l’interrogativo: ‘Dove sono i versi che ecc. ecc. … prima di questo qui (dice egli di sé stesso, né è un vanto menzognero, poiché la cosa sta davvero così)?’. Quest’ultima, ora, mi pare la soluzione migliore. Ma mi aspetto energiche obiezioni. Ad ogni modo, che i due neque (nec) non debbano essere staccati credo anch’io: soltanto mi pare altrettanto necessario non staccare olim da cum. Ann. 167 – Pur avendo qualche dubbio superstite, mi vado persuadendo che hai ragione e che bisogna seguire Housman e Skutsch8. Il tuo confronto con Pers. prol. 2 è davvero ottimo, e porta all’interpretazione di postquam destertuit ecc. un contributo d e c i s i v o . Ann. 29 – Un verso come  ᴗᴗ  ᴗᴗ Musas, quas memorant Casmenas non è bello: in particolare la fine di parola spondaica dopo il 3o piede (Musas) si trova solo in Ann. 52210 (dove tuttavia è in certo senso giustificata dal parallelismo dei due membri imber et ignis, | spiritus et … terra), oltre che in sparsis hastis longis …11, che però non appartiene agli Annales ed ha tutta una struttura particolare. Qui in più ci sarebbe la clausola spondaica. Anche al verso seguente l’intepunzione dopo il 4o trocheo (Romani, noscē non esse. ᴗ  ᴗ ᴗ  ᴗ) è molto dura. Insomma, il frammento non mi pare ancora sistemato. Ann. 50812 – La tua proposta d’integrazione è acuta, e ora anch’io sono per lasciare nel testo l’igitur. Eppure un dubbio mi resta. Nonostante il confronto con Diodoro, mi par molto più probabile che Ennio, anziché notare che questi popoli portano mantelli pesanti d’inverno e leggeri d’estate, descrivesse la foggia di vestito e l’armamento di soldati galli o ibèri, p. es. come Verg. Aen. 8, 659-62; perciò non rinunzio del tutto all’ipotesi che igitur risalga ad un inquit inserito nella citazione, come in Nonio p. 168 (da Gellio 4, 20): Masurius Sabinus … ‘censores’ inquit ‘Publius Scipio ecc. Ma, ripeto, nel testo manterrò igitur. Vd. lett. 98. Vd. lett. 79. 8 Vd. lett. 101. 9 Vd. lett. 56. 10 Vd. lett. 44. 11 Enn. var., 14 V.2, su cui vd. lett. 71. 12 Vd. lett. 102. 6 7 250 Ann. 9513 – Il Voss. B rappresenta da solo un ramo della tradizione, mentre l’altro ramo è rappresentato dal Voss. A e dal Vindob., strettamente affini tra loro. L’autorità dei due rami è pari, e bisogna scegliere volta per volta (così Plasberg nella prefazione al De natura deorum, e più brevemente Ax nella prefazione al De divinatione, Lipsia 1938). Qui però anche B di 1a mano ha propriam; di 2a mano prioram (così attesta Ax). Un altro caso in cui B2 conserva la lezione giusta contro VAB1 c’è in questo stesso frammento al v. 80 (avem B2, autem VAB1). Io credo, col Vahlen e coll’Ax, che priora sia la lezione giusta: data esse priora è calco dell’espressione greca τὰ πρῶτα φέρεσται, e propriam mi sembra solo una banale corruttela di priora[m]. L’Ax nota che anche in De nat. deor. B ha propriam (falso) contro AV priora (recte). Come congettura, priora sarebbe troppo bella: molto meglio, mi pare, accettare priora che correggere propriam in propritim. Inoltre, contro il congiungimento data stabilita sta il fatto che il sibi del v. 95 si riferisce bene a data, ma meno bene a stabilita (Quest’ultimo argomento naturalmente ha scarso valore). Ann. 6914 – Frammento davvero terribile! A desu<bito> aveva pensato già il Bergk (citato dal Warmington)15, il quale però suppliva stranamente desu<bito linque>nt (che cosa c’entri il futuro non capisco: forse errore di stampa in Warmington per linquunt?). Ciò che, nella tua restituzione, mi pare difficile ad ammettere è che il poeta dica che le acque refluiscono n e i r u s c e l l i a f f l u e n t i d e l T e v e r e e n e l m a r e , e non dica la cosa più importante, che, cioè, refluiscono n e l T e v e r e . Tra i rivi e i campi caerulei, c’è di mezzo il Tevere, ed è impossibile che Ennio lo tacesse. Il tentativo del Castiglioni è, certo, assai ardito, eppure finora è l’unico che dia un senso soddisfacente; e retroque remanant che s’incontra due volte in Lucrezio pare proprio clausola enniana. Ann. 25416 – Vorrei qualche altro schiarimento: come mai la legione distrugge le case populi rumore secundo? Resta poi la difficoltà di quel rure. Ma ne riparleremo. Il vi ad ogni modo andrebbe bene. Ma in Ann. 19317 hos egŏ | in pugna può esser conservato confrontando con Fr. Skutsch Omero Α 29 τὴν δ᾽ ἐγὼ οὐ λύσω. Quanto alla divisione qui antehac | invicti ecc.18 a me pare che il carattere di ‘epigrafe’ esiga che siano due versi interi. Ma saranno poi davvero di Ennio questi versi, che Orosio cita senza nome di 13 14 15 16 17 18 Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente. Remains of Old Latin (cit. lett. 12). Vd. lett. 47. Vd. lett. precedente. In Enn. ann., 192 V.2, su cui vd. lett. precedente. 251 autore? Il Norden (Enn. u. Verg., non ricordo a che pagina)19 crede che si tratti di versi ‘popolari’ del tipo dei Carmina Marciana. Io penserei piuttosto che si tratti di roba tarda. Nell’Anthologia Latina vi son parecchi ‘ettametri’ dattilici, p. es. Riese 762, 53; 763a, 10: tale sarà anche qui antehac invicti fuere viri, pater optime Olympi. Che i tardi versificatori si dilettassero di fabbricare epigrammi in cui parlassero in prima persona illustri personaggi storici, lo dimostrano i carmi 831-863 dell’Anth. Lat., e vedi specialmente l’855a (Epigramma Pyrrhi). Uno di questi componimenti può essere stato accolto come autentico da Orosio. È vero che antehac e fuēre sono caratteri arcaici: ma arcaismi è facile trovarne, come tu sai bene, anche nei più tardi e sgrammaticati verseggiatori dell’Anth. Lat. e dei carmi epigrafici20. Ancora l’Aegritudo Perdicae, Riese II p. 291, v. 15621 – Io non capisco l’emendamento pulsus accolto dal Riese e dal Vollmer (Poet. lat. min., V). Il codice ha pulso; mi pare ovvio: non isti calor est (‘costui non ha febbre’), pulsu nec vena minatur (‘né la vena minaccia’, cioè ‘dà indizio di febbre, c o n la sua p u l s a z i o n e ’ )22. E al v. 15823 discordare parant, quam mox elementa resolvant (cfr. Enn. Ann. 86): ‘si apprestano a entrare in discordia, desiderosi di (aspettando il momento di) disunire gli elementi’. (Il Vollmer mantiene cum mox senza segnare corruttela, ma mi par difficile). Il Vollmer poi al v. 157 scrive num (cod. nam, Rose non) e ordina: 155, 157-5859, 156: non persuade. Anche su tutto ciò aspetto il tuo giudizio. Grazie della consultazione del Marmorale24. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro Norden, Ennius und Vergilius (cit. lett. 42), p. 85, nota. M. aggiunge in margine: «e l’allitterazione?». Per l’Aegritudo Perdicae cfr. lett. 73-4. 21 Vd. lett. 109, 111, 116 e 516 e cfr. S. M., Imitazione e critica del testo. Qualche esempio dall’ ‘Aegritudo Perdicae’, «RIFC», 97, 1969, pp. 385-92: 390 e nota 13 (= SFC, pp. 523-30: 527 e nota 13). 22 M. aggiunge: «cfr. 145». 23 Vd. lett. 109. 24 Vd. l’inizio della lett. precedente. 19 20 252 105 21. 3. 1949 Carissimo Mariotti, prima ancora di ricevere una tua lettera (ed è superfluo dire che puoi rispondermi con tutto il tuo comodo, non avendo io alcuna fretta), ti scrivo questa lettera supplementare per sottoporti alcuni altri passi della Aegritudo Perdicae. Ho visto, oltre il Riese, anche il Vollmer Poet. Lat. min. (che migliora in parecchi punti il testo del Riese) e alcuni articoli posteriori (Walter, «Wien. Stud.» 45, 109; Hudson-Williams, «Class. Quart.» 1939, 162). Non ho potuto purtroppo vedere un articolo di Morel, «Class. Quart.» 1941, 136 che dev’essere importante. v. 261 – Manterrei la collocazione delle parole del codice scrivendo: quem Phoebi foliis (cod. solus) Daphne diffusa tenebat (meglio per l’allitterazione P h f D d e per la forma metrica dell’esametro  ́   ́ ᴗ ᴗ  ́ ||   ́   ́ ᴗ ᴗ  ́ ᴗ; la collocazione ‘intrecciata’ delle parole non dà noia, e del resto si può anche intendere Phoebi foliis ‘con le foglie sacre a Febo’ anziché Phoebi Daphne. v. 642 – Forse inlimas (infimas cod., inlimes edd.), sebbene Ovidio abbia inlimis: ma cfr. le oscillazioni inermus / inermis, sublimus / -mis, imbecillus / -llis ecc. ecc. v. 1603 – Vollmer <non> stridens gremium ecc., intendendo gremium = pulmones, e in ciò avrà ragione, ma <non> stridens non persuade: piuttosto sarà caduto prima di questo un verso di questo tenore: <‘non la gola, stretta dall’angina (cfr. georg. 3, 497, 508),> impedisce ai polmoni le aure vitali’. v. 1734 ‒ causa subest, mater (causas habes cod.: causas, mater, habes Bährens, Riese: causa subes, mater Vollmer, impossibili ambedue perché è chiaro che Ippocrate, pur essendosi accorto della verità, n o n la rivela alla madre; invece causa subest ‘c’è una causa nascosta’; es per est anche al v. 173)5; medicinae munera cessant (cessent cod., corr. Vollmer); del verso seguente già parlammo6. v. 2237 – si quis vigor ulli (illic cod., illis vel illex edd.; ulli mi pare ovvio); vedo nell’Année philologique del Marouzeau che di questo verso si è occu- 1 2 3 4 5 6 7 Vd. lett. 109. Vd. lett. 109 e 111. Vd. lett. 109. Vd. lett. 109, 111, 113-4, 116. M. sottolinea 173 e vi affianca un punto interrogativo. Vd. lett. 73. Vd. lett. 108-11, 116, 118. 253 pato il Morel, art. cit.: è quindi probabile che ulli sia stato congetturato già da lui. v. 2548 – famem è certo, come ritiene il Vollmer, una glossa di ieiunia: Vollmer viscera <macra>; forse viscera <vesca>9. v. 26110 – molitus gestare <nequit> Vollmer, e questa mi pare la soluzione migliore; ma passiamo alle parole seguenti: Vollmer suppone victusque fatiscit (male!), Walter art. cit. victusque vigorem (accus. di relazione: non persuade). Io credo che il testo tramandato sia giusto: virorum va connesso con infelix: cfr. al v. 170 magnusque virorum, Anth. Lat. 485, 3 praeclare virorum, 485a, 161 felixque volucrum, imitazione naturalmente del tipo enniano sancta dearum ecc. (probabilmente attraverso Verg. Aen. 4, 576 sequimur te sancte deorum). v. 26811 – miserere roganti del cod. andrà conservato (non ricordo se lo conserva Vollmer), e così ecco un altro esempio a sostegno del misereque patri da te congetturato in non mi ricordo quale poeta umanistico12. Tu giudicherai cosa ci sia di accettabile in questi tentativi e in quelli che ti comunicai nella lettera precedente; io intanto cercherò di procurarmi l’articolo di Morel. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] A proposito di Ann. 6913: Lucano 4, 130 (descrivendo anch’egli la fine di un’inondazione): utque habuit ripas Sicoris c a m p o s q u e r e l i q u i t … Forse il meglio è scrivere <undae> (suppl. hic Terzaghi, vel <flumina>) des<titu>unt campos rivosque (ripasque?) remanant. Che remanare regga qui l’accus. semplice, come pensa il Vahlen, è realmente probabile, giacché Festo lo traduce con repetunt. Ma anche su ciò aspetto il tuo parere. S.T. Vd. lett. 109 e 111. M. aggiunge sopra la linea: «già Eussner (cfr. Riese, addenda)». 10 Vd. lett. 109, 111, 113-4, 116. 11 Vd. lett. 109 e 111. 12 Si tratta di una congettura ad un verso del Landino su cui vd. lett. 72. 13 Vd. lett. 103. 8 9 254 106 Pesaro, 24. 3. 1949 Carissimo, finché mi ricordo (ma certo non ti sarà sfuggito): a proposito degli esametri della Odyssea nova1, non so se sia o no il caso di ricordare, per escluderne naturalmente l’analogia colla situazione che si presenta per l’Od., che un ‘esametro’ apparente è tramandato anche come di Naev., B. P. fr. 47 Mor. (49, p. 113 Marmor.): convenit regnum simul atque (ac Leo, recte (?)) locos ut haberent. Il Marmorale, colla solita faciloneria, dice (p. 114*): «è un esametro, che può essere anche letto come un saturnio»2. Grazie delle notizie, utilissime per me e precise, sulla questione dei rapporti di Livio Andronico nel Tereus con Sofocle3. Del Ribbeck non tiene alcun conto Leo, Gesch. röm. Lit. p. 704, e per ora rimando a lui; ma vedrò anche Warmington, vol. II5. Quanto al Servio harvardiano6, novità (almeno novità di qualche interesse) per Ennio non ce ne sono. Ho rivisto tutti i frammenti enniani (il vol. contiene Ad Aen. I-II): in generale è seguito (e citato) Vahlen2. Ti ho già detto come gli editori leggono malamente inc. 157. Ann. 23 non è citato (per ragioni evidenti) neanche nell’apparato. Sc. 135 sg.8 ut vos vostri (nr̃i (in ur̃i C5) C, corr. Masvicius) liberi defendant, pro vostra (in uestra C5, il che conferma semmai che qui C5 fa correzioni inutili) vita morti occumbant obviam. Noterò, nella recensione che farò (senza particolare impegno), che il passo è stato rimesso a posto da te. Infine (inc. 30) il passo di Servio è letto: «… excepto ‘puta’, et ‘ita’ ‘quia’; apud Ennium eqs.», coi codd. (alcuni omettono et ita). Cita in app. «excepto puta et ita quae» di Vahlen, Enn. Poes. Rell. [sarà la 1a ed.?] p. 180. Prima di decidere, bisognerà rivedere i passi simili di grammatici, citati anche nell’edizione harvardiana. Se vuoi sapere quali sono, dimmelo. Ma la cosa non interessa Ennio direttamente. Ann. 2159 – La questione è veramente ardua e io non saprei decidere 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Vd. lett. 66. Sul fr. neviano vd. BP, p. 107 = BP3, pp. 103-4. Vd. lett. 103-4. M. risponde a quest’ultima. Leo, Geschichte der römischen Literatur (cit. lett. 17). Remains of Old Latin (cit. lett. 12). Vd. lett. 103. Vd. lett. 103. Vd. lett. 15. Vd. lett. 98. 255 definitivamente. Certo la tua soluzione di mettere ait ~ gloriando ecc. fra parentesi mi pare buona e sostenibile. F o r s e è la soluzione migliore. Ma a me resta sempre il dubbio se convenga ammettere un’inconseguenza ‘logica’ come ‘quando … prima di me’ in un testo tramandato lacunosamente; tanto più che un’altra (quasi) inconseguenza bisogna ammettere nel testo di Cicerone leggendo come tu fai. Tutto questo non è affatto impossibile: è altrettanto metodico? È vero che costa fatica staccare olim da cum; ma Cicerone (e i suoi lettori) conoscevano bene il testo di Ennio, e di unire olim con cum (posto che cum valesse veramente ‘poiché’, come io non ho ancora rinunciato del tutto a credere) non poteva loro passare per la testa. E tra un testo sotto tutti gli aspetti ‘razionale’ (per quanto riguarda Ennio e per quanto riguarda Cicerone) e un testo doppiamente ‘zoppicante’, malgrado il vantaggio di unire olim a cum, io resto davvero nell’incertezza. E poi, eccoti un’altra ‘eresia’ su un altro punto, per confermarti che di questo prooem. VII10 io non sono sicuro di nulla; io non capisco come Ennio, dopo il ‘complimento’ fatto a Nevio, non trattasse, per un i n c o n c e p i b i l e (almeno in un classico) rispetto verso di lui, la 1a punica. Norden avrà ragione11, ma io non gli credo. Oltre l’osservazione specifica di Skutsch su Ann. 22312, che non mi pare da buttar via, c’è il fatto più sostanziale che è impensabile un salto del genere in un annalista. E per che ragioni poi? in grazia di Nevio?? Quando mai uno storico o un poeta fanno di queste concessioni a un predecessore (diverso è naturalmente il caso di uno storico che riprende il racconto di dove un altro l’ha lasciato)? E, soprattutto, un poeta (perché il problema, nel prooem., è impostato dal punto di vista della poesia). Certo c’è il passo di Cicerone. Hai visto nel Merguet se ci sono in Cicerone esempi di reliquo ‘attenuato’ nel senso? E in ogni modo Cicerone è un oratore, e quel passo è quant’altro mai avvocatesco. Ma di ciò riparleremo, anche perché la mia posizione è del tutto provvisoria. Ann. 1613 – Housman14, il cui articolo non conosco, non dice che postquam destertuit ecc. dev’essere inteso (probabilmente) come ti accennavo? Se non lo dicesse, ti pregherei di comunicarmelo, perché accennerei alla cosa in una nota15. Ann. 216 – Hai perfettamente ragione a respingere il mio durissimo tenta- Vd. lett. 93. Norden, Ennius und Vergilius (cit. lett. 42), pp. 63 sgg. 12 Skutsch, Enniana II (cit. lett. 80), pp. 96-7 = Id., Studia Enniana (cit. lett. 69), pp. 34-6 (vd. lett. seguente e 502). Sul verso degli Annales vd. lett. 107, 502, 504. 13 Vd. lett. 79. 14 Vd. lett. 101. 15 Vd. lett. 104 e cfr. LE, pp. 81-2 = LE2, p. 55. 16 Vd. lett. 56. 10 11 256 tivo d’integrazione. Tuttavia mi pare ancora di dover seguire quella strada, conservando n o s ce n o s , e di doverti proporre ora (un po’ duro, ma non da escludere?): Mus a s , <Romae Casmen a s > | quas memorant, nosce nos esse. Quanto ad ēssĕ ⁞ ᴗ, può darsi anche che fosse eliso: ēss(e) ᴗᴗ . Una ricostruzione meno dura, ma, mi pare, meno prudente: Musas, <Casmenas nomine Romae> | quas memorant, ecc. Ann. 50817 – L’ipotesi dell’inquit > igitur è acuta, ma mi pare che possa esserle opposto, da un punto di vista metodico, che è ardito ammettere n e l l o s t e s s o p u n t o un errore di Nonio e un errore dei codici. Ann. 9518 – Non avevo pensato a τὰ πρῶτα φέρεσται19, che è rinvio ottimo per priora. Eppure guarda che propritim è congettura di semplicità estrema (tim > am)20, e propritim è parola rarissima (anzi ἅπαξ, a parte questo passo). D’altronde B2, come mi dici, ha prioram, cioè una lezione che potrebbe tanto più facilmente essere corruzione meccanica di propriam. Che il calco del greco non sia che un’apparenza occasionale? Non nego: sarebbe una strana combinazione! Secondo me, per una soluzione assolutamente certa in favore di priora bisognerebbe avere altri esempi latini di priora in costrutto del genere; mentre favorevole a propritim sarebbe il fatto che B2 non desse in Cicerone altre buone lezioni sicuramente n o n congetturali. A me pare infatti che autem corretto da B2 in avem al v. 80 non si può escludere che sia corretto per congettura: la differenza è minima, avis torna anche più avanti ed è lezione ovvia e confermata dal metro. Ann. 6921 – B e l l o il tuo rinvio (nella lettera che ho ricevuto ieri)22 a Lucan. 4, 130 – e tale da far veramente pensare alla trasposizione di campos e rivos. Ma rimane sempre la sforzatura di rivos dove si aspetterebbe flumen o altro (difatti ripas proponi dubitosamente). E questa, dopo aver già toccato la tradizione trasponendo, mi par ancora una difficoltà. Nel frattempo io avevo pensato, poiché la tua critica alla mia proposta è giustissima, a seguire un’altra strada. Ma sono molto incerto per un motivo che ti dirò. In breve: se desunt, di cui non si vede qui un senso plausibile, fosse soltanto una annotazione di un copista che diceva che il passo era lacunoso? Allora p. es: <Tunc (= ‘all’ordine degli dei’) undae (vel aquae)> rivos, <fluvium> camposque remanant | <caeruleos> (caeruleos naturalmente omesso da Festo). Oppure, forse da preferire per l’allitterazione (dato che allontania- Vd. lett. 102. Vd. lett. 103. 19 Vd. lett. 104. 20 Per avvalorare la facilità del deterioramento M. disegna sotto tim e am le stesse lettere come potevano apparire in un codice in minuscola. 21 Vd. lett. 103. 22 Vd. lett. precedente. 17 18 257 mo rivos e remanant), <iam redeunt,> rivos ecc. Ma io ricordo (sebbene vagamente) che i copisti indicano talora lacune con deest o con desunt. Ricordi qualcosa in proposito? Ann. 25423 – Supporrei, p. es., che in populi rumore secundo il populus sia, per semplice esempio, quello degli Etruschi che, durante l’invasione gallica, è favorevole alla p u n i z i o n e di una città che ha preso le parti dei Galli. Ma forse è più prudente integrare populi rumore secundo <iussi> col Vahlen e lasciare in sospeso, come credo faccia lui (ma non ho letto l’articolo da lui citato in nota), se si tratti del popolo romano. Ora penserei che reddit sia = ‘ricambia’ (cfr. reddere cladem), e p . e s . questa legio ricambi violenze compiute da una città etrusca d’accordo coi Galli a un’altra città etrusca d’accordo coi Romani. Per tutto il frammento cfr. Ann. 49524. Per rure vedi Funaioli25, la cui tesi nel complesso non mi pare abbastanza forte. Nota fra l’altro che Goetz-Schöll conservano rure nel passo della Casina26. Acherunte spesso in Lucrezio. E non capisco bene come Funaioli intenda Acheruntest nel passo che cita da Plauto (non ho in questo momento il testo). E nell’esempio di Plauto Sicyone … ei vivit pater non è più logico Sicyone locativo27? Ma parleremo di ciò con più calma. Ora voglio spedirti subito questa mia, senza rimandare per fermarmi sull’Aegritudo Perdicae28. In proposito ti scriverò presto, dopo aver ripreso confidenza con quel testo29. Ma molte tue proposte mi sembrano fin d’ora da accettare. Perché non fai un’edizione critica dell’Aegritudo? Appena li avrò, ti manderò due estratti dagli ultimi «Annali» pisani30. Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola M. 23 24 25 26 27 28 29 30 Vd. lett. 47. Vd. lett. 66. Vd. lett. 47. Si riferisce a Plavt. Cas., 110, su cui vd. lett. 47. Cfr. Plavt. Cist., 130. Oltre alla lett. 104, vd. lett. precedente. Vd. lett. 109. Vd. lett. 108. 258 107 27. 3. 1949 Carissimo Mariotti, prima di passare alla filologia: hai letto la mozione della direzione per il congresso del PSI, e quella della ‘sinistra’? A me quella della direzione pare ottima, e credo che si debba far tutta la propaganda possibile perché essa vinca; ma purtroppo è facile prevedere che vincerà la sinistra, perché ha dalla sua parte quasi tutto il gruppo parlamentare e buona parte dei funzionari. Del fr. 47 Mor. (convenit regnum ecc.)1 ho parlato nell’articolo sugli ‘esametri di Livio Andronico’, che ho consegnato già parecchi mesi fa per gli «Ann. della Scuola Normale»2; ti sono ugualmente grato di avermelo ricordato. Ann. 163 – Housman4 (e già prima di lui L. Müller e l’Albini, «St. it. filol. class.» 8, 1900, p. 503) dice che postquam destertuit ecc. significa ‘dopo (anche molto tempo dopo) il sogno’: non altro. È perciò utile che tu accenni in una nota alla tua interpretazione e specialmente al confronto con Persio prol. 1 sg., che è decisivo. Su questo frammento, c’è un articolo recente di Waszink (Varia critica et exegetica, «Mnemosyne» n.s., 13, 1947, p. 121), che non ho potuto ancora vedere perché qui «Mnemosyne» dopo la guerra non è più arrivata. Pare che non lo abbia visto neppure Skutsch. Ann. 2155 – Certo, le difficoltà da te rilevate esistono realmente, e tuttavia io non riesco a digerire il cum causale e la lacuna dopo 214. Ma qui si entra nel campo delle preferenze soggettive; ed io ammetto che anche la tua opinione è legittima. Dove invece io rimango ‘teologicamente’ intransigente, è nella questione dell’omissione da parte di Ennio della 1a guerra punica. Qui, a parer mio, c’è poco da discutere: se Cicerone dice che Ennio reliquit la 1a guerra punica, noi non possiamo far altro che prestargli fede. Ed è vano cercar di intendere reliquisset in senso attenuato: relinquere così da solo, senza l’aggiunta nemmeno di un paene o di un prope, non può significare altro che ‘omettere’. Scripsere alii rem è, in fondo, il solito motivo dell’omnia iam vulgata (georg. 3, 3 sgg.); soltanto, su questo motivo s’innesta subito una punta polemica contro Nevio: versibus quos olim ecc. Ennio 1 2 3 4 5 Si riferisce all’inizio della lett. precedente di M. T., Note a Livio Andronico (cit. lett. 46). Vd. lett. 79. Vd. lett. 101. Vd. lett. 38. 259 comincia come se volesse rendere omaggio a Nevio, ma nell’omaggio inserisce la nota polemica e sprezzante. Ciò del resto era stato già osservato da Cicerone6: qui s i i l l u m u t s i m u l a t c o n t e m n e r e t , non omnia bella persequens primum illud Punicum acerrimum bellum reliquisset. L’argomento di O. Skutsch riguardo ad Ann. 2237 non ha per me alcun valore: Cicerone cita quel verso come esempio di historia, cioè di menzione di cose realmente accadute, in contrapposizione alla fabula che si riferisce a fatti immaginarii: egli ha scelto come esempio di historia il v. 223 perché esso gli offriva il vantaggio di contenere, racchiusa in un verso solo, una menzione compiuta e intelligibile di per sé di un fatto storico; l’illazione tratta da Skutsch che il verso appartenga ad una narrazione della 1a guerra punica è del tutto arbitraria. E poi, è inutile: Cicerone dice che Ennio tralasciò la prima guerra punica, e contro questa testimonianza è vano repugnare! Di ciò parlo anche nell’ultima parte del mio articolo8, di cui però ho corretto le bozze prima che mi giungesse l’articolo di Skutsch. Ann. 29 – Rimango ancora assai incerto, pur non disconoscendo certo l’acutezza dei tuoi tentativi. Quanto a Romae Casmenas quas memorant, non so se il locativo Romae sia appoggiato da confronti con passi di altri autori: in Ennio, se non mi sbaglio, in espressioni simili è sempre espresso il p o p o l o , non la località (Ann. 148 Graium genus, 356 Grai memo<rare solent ecc., 23, Var. 54, cfr. Pacuv. trag. 87, Afran. com. 299). Ann. 9510 – Altri esempi di priora in questo senso non sono attestati, che io sappia; ma per me il confronto con τὰ πρῶτα φέρεσται11 è sufficiente. Tra i pochi esempi enniani di grecismi sintattici ce n’è un altro tratto anch’esso dalla terminologia delle gare: vicit Olympia (Ann. 375) = τὰ Ὀλύμπια νικᾶν. Il fatto che B2 abbia prioram e non priora conferma che non si tratta di una congettura di B2; e d’altra parte che un esempio così raro di grecismo sintattico sia frutto di corruttela meccanica, difficilmente mi indurrei a crederlo. E poi, propritim secondo me è da scartare anche per il senso. Perché il poeta avrebbe sentito il bisogno di dire che Romolo si accorse che a lui p r o p r i a m e n t e ( o e s c l u s i v a m e n t e ) era stato dato il regno? C’era forse da temere che l’auspicio concedesse il regno ad entrambi i fratelli12? In Lucr. 2, 975 propritim ha un significato ben preciso ed è Cic. Brut., 76. Vd. lett. precedente. 8 T., Per una nuova edizione, IV (cit. lett. 8), pp. 26 sgg. 9 Vd. lett. 56. 10 Vd. lett. 103. 11 Vd. lett. 104. 12 M. annota sopra la riga: «ha poco valore». 6 7 260 necessario al contesto, ma qui sarebbe una zeppa. Nota anche che sibi data esse priora riprende utri victoria sit data del v. 8813. Ann. 6914 – Anch’io ricordo esempi di deest (deficit) per indicar lacune, ma non di desunt. Bisognerebbe (ma è un po’ arrischiato) supporre che un deest fosse stato poi mutato in desunt per analogia con rema<na>nt che segue. A me pare che in questo contesto i campi caerulei c’entrino poco: chi vuol descrivere la fine di un’inondazione dice che le acque ritornano nell’alveo del fiume, non che ritornano nell’alveo del fiume e n e l m a r e . D’altra parte, tu hai perfettamente ragione di respingere il mio tentativo. Resto dunque del tutto incerto. Ann. 25415 – Quanto al locativo rure, avrai ragione tu. Ma tutta questa faccenda di città etrusche d’accordo coi Galli o coi Romani mi pare ancora poco chiara. E poi, è attestato che nell’invasione gallica del 225 a.C. città etrusche abbiano preso le parti dei Galli? A me non risulta. Polibio 2, 24, 5 sg. parla solo di truppe etrusche alleate dei Romani. D’altronde alla prima invasione gallica del 390 non si può pensare, perché il frammento è citato da Nonio con l’indicazione del VII libro. Inoltre quel legio reddit rure ruinas non mi suona bene. Ruri (rure) si usa sempre in frasi come ‘vivere (abitare, stare) in campagna (cioè nel proprio podere, nella propria casa di campagna)’. Ma p. es. rure pugnare o simili non credo che si trovi mai: in tal caso si direbbe in agris. Ma può darsi che su questo frammento io abbia scritto delle sciocchezze, perché ho le idee ancora confuse. Se ti capitasse di vedere il vol. II di Warmington16 (che io non sono mai riuscito a vedere), potresti guardare che cosa dice sugli esametri dell’Odyssia17 e su quoniam audivi † paucis † (abeuntis) gavisi18? Ann. 43319 – Cosa vuol dire mediis signis? Non è chiaro. Il Bährens annota mediis] in bigis?, glossa ancor più oscura del testo. Forse ‘a mezzo il corpo’? la Notte immaginata come una donna coi fianchi stretti da una c i n t u r a di stelle? Cfr. Ann. 505 succincti gladiis media regione20 cracentes. Ma qui non sarà da correggere gladios21? Cfr. Ann. 253 gladios filo gracilento. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro 13 14 15 16 17 18 19 20 21 M. commenta: «bene». Vd. lett. 103. Vd. lett. 47. Remains of Old Latin (cit. lett. 12). Vd. lett. 66. Liv. Andr. carm., fr. 24 Mor. = 16 Mar.1 = 13 Mar.2, su cui vd. lett. 90. Vd. lett. 109, 111, 116, 483-9. M. annota sopra la riga: «ma cfr. Ann. 481; c’è regio (corporis)?». Vd. lett. 109, 483-9. 261 1081 [Pisa, 12. 4. 1949]2 Carissimo Mariotti, ti ringrazio per i due estratti che ho letto col massimo piacere. Le tue proposte sono tutte ottime. Nella recensione all’ed. del Pontano, bellissimo seris a p. 2403! Morel mi ha mandato il suo articolo sull’Aegritudo Perdicae («Class. Quart.» 35, 136 sgg.)4. Ecco le sue proposte: v. 124 s e d f a c i n u s (credamus ms.) quibus hoc ecc. [da scartare]; v. 139 artis, medicina (vocat.) t u ā i [molto dubbio]5; 2236 conserva la lezione manoscritta si quis (= quibus, εἴ τισιν) vigor illic (= ‘in the town’) [forse meglio del mio si quis (o qui abl.?) vigor ulli, a cui tuttavia ancora non rinunzio del tutto]; 232 sancta (da unire con lege) [certamente giusto]7; Anth. Lat. 21, 205 hoc sapiens <dea> fur [molto ingegnoso]; Anth. Lat. 494b, 2 sg. laeto | comple cuncta choro! [mi par buono, anche se paleograficamente ardito]. Affettuosi auguri e saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. La data indicata è quella del timbro postale di partenza da Pisa; quella di arrivo a Pesaro il giorno successivo, ricavabile sempre dal timbro postale, è stata anche aggiunta da M. sul margine superiore della cartolina accanto all’intestazione. 3 Si riferisce a M., Note a PSI 1305 (cit. lett. 45) e alla recensione a Io. Ioviani Pontani Carmina. Ecloghe, Elegie, Liriche, a cura di J. Oeschger, «ASNP», s. II, 17, 1948, pp. 238-40 (rist. in SMU, pp. 209-12; SMU 2 e SMU 3, pp. 285-8): vd. anche lett. 106. 4 Vd. lett. 105. 5 Vd. lett. 110-1, 116. 6 Vd. lett. 105. 7 Vd. lett. 110-1. 1 2 262 109 13. 4. 1949 Carissimo Timpanaro, siamo d’accordo per la mozione di centro1, che anzi toccherà a me difendere ‘d’ufficio’ in sezione in una prossima assemblea. La volta scorsa2 mi sfuggì di risponderti su Ann. 192 sg.3 Io, per ora, ragionerei così. Qui abbiamo una citazione di versi che hanno caratteristiche sicuramente arcaiche (anteh͡ ac 4, fūere5 – due caratteristiche prosodiche anzi che si ritrovano in Ennio), che si riferiscono a un fatto dell’antica storia romana, che sono facilmente e senza (o quasi senza) correzioni conservabili in un contesto esametrico. Dunque con ogni probabilità sono di Ennio (ed Orosio6 può averli avuti da Livio, che di Ennio si è servito, anzi l’ha anche citato). Che difficoltà c’è a leggere, come io vorrei: qui (prob. quĭ) antehac | invicti fuere viri ecc.7? Per il Vahlen è necessario che siano 2 versi interi. Io confesso di non vederne la necessità. Se anche (che non è certo!) Ennio traduceva un distico greco, egli poteva benissimo adattarlo alla sua narrazione senza preoccuparsi del nostro, e scrivere p. es.: … fertur scripsisse: ‘qui antehac eqs.’; e poi come escludere ad es. che precedessero in Ennio altre parole, di dedica, di Pirro, secondo lo stile degli ex voto: ‘Pirro a Giove Tarentino …’ o simm.? La soluzione del Norden mi pare che giri la difficoltà senza risolverla, anzi introducendone un’altra perché un ‘eptametro’ popolareggiante e risalente certo ad età antica non è, mi pare, cosa così ovvia. La tua soluzione non mi pare la più metodica: arcaismi Vd. lett. 107, a cui M. risponde. Vd. lett. 106. 3 Vd. lett. 103. 4 T. annota in margine in riferimento ad anteh͡ ac: «Anche Hor. nunc est bibendum, e cfr. Thes.». 5 T. annota nel margine inferiore in riferimento a fūere: «vīolarum AL 809 7». 6 Oros. hist., 4, 1, 14. 7 Enn. ann., 192 V.2 Qui antehac invicti fuere viri, pater optime Olympi. Così il Vahlen (ed. cit. lett. 21) in apparato: «Reliqui quae Orosius dedit, qui cum ne versus quidem descripserit in afferendis verbis lapsus videtur; sed nec antehac (cf. 203 et Paulus Festi p. 6, 19 Th. antehac Terentius pro antea ponit; q. i. ante fuere Pithoeus in hist. misc.) neque vero viri (fuerant sine viri Heynius opp. acad. II 230) velis abesse: quae retineri non possunt ita ut quod oportet versus duo integri exstent, nisi hoc modo qui invicti antehac fuere viri, fuere ut sit bisyllabum: sed haereo incertus; qui invicti fuvere viri p. o. O. (fuvere cum Lautio) Zangemeisterus». 1 2 263 prosodici così spiccati potranno essere occasionalmente in componimenti tardi; ma qui essi paiono intenzionali (come quelli dell’s finale che non fa posizione nel nostro componimento dell’Anth. Lat.), e allora sarebbero opera di un dotto, a cui si attribuirebbe con una certa difficoltà un grossolano eptametro. Aggiungi, a questo proposito, le allitterazioni invicti … viri8, optime Olympi, vici victus9; e anzi, io continuo a credere, invicti … viri … vi … vici victusque. Perché il confronto con ἐγώ greco non mi persuade abbastanza. Ego in lat. è s e m p r e misurato come pirrichio, cioè l’azione della correptio è, diciamo, preistorica, e non mi pare quindi che si possa pensare al c.d. [c.d.?] ‘iato prosodico’ (analogo al greco). Ma dimmi ancora cosa ne pensi. Prooem. VII10 – Non c’è dubbio, tu hai, in base ai documenti, ragione, e sarebbe sciocco insistere da parte mia. Riconosco anche la gravità dell’argomento di Skutsch. Certo però quell’omissione è curiosa (e il caso di Verg. georg. 3, 3 è diverso). Te l’immagini che Livio, arrivato alla congiura di Catilina, dicesse: ‘Di questa poi non parlo, perché ne ha già parlato quel frescone di Sallustio’? Ma, a parte gli scherzi, tu hai senz’altro ragione. Gli «Studi» non si decidono mai ad uscire11? Ann. 212 – È giusta – e te ne sono grato – la tua osservazione contro il locat. Romae, che non è prudente aggiungere per congettura. Scriverei dunque ora: Musas, <genus Romanum Casmenas> | quas memorant, nosce nos esse (forse ess(e) eliso). A me continua a parere, oso dire, evidente la metodicità (non dico la sicurezza) di presupporre un’autopresentazione delle Muse in base ai resti del passo: nosce nos esse … che cosa, se non Musas (o Casmenas)? Ann. 9513 – Credo che tu abbia ragione e rinuncio a credere al propritim di Müller. Molto giusto il tuo rinvio al v. 88 (meno persuasiva mi pare l’esclusione di propritim per ragione di senso). Ann. 6914 – Anche qui hai ragione. Bisogna, proprio per ragioni di senso, rinunciare a campos … <caeruleos>. E allora, un altro tentativo, che per ora mi pare migliore. I campi, come conferma bene anche Lucan. 4, 130 da Nel marg. inferiore M. aggiunge: «e vedi anche fuvere viri». Enn. ann., 193 V.2 Hos ego in pugna vici victusque sum ab isdem (vd. lett. 103). Così il Vahlen (ed. cit. lett. 21) in apparato: «et ego in p. Pithoeus egomet p. cum Sang. corr. Zangemeisterus ego vi pugna Speijerus Mnemos. XIX (1891) p. 50». 10 Vd. lett. 93. 11 Si riferisce al vol. 23 di «SIFC», datato 1948-49, dove uscirà T., Per una nuova edizione, IV (cit. lett. 8). 12 Vd. lett. 56. 13 Vd. lett. 103. 14 Vd. lett. 103. 8 9 264 te citato, sono certo l a p i a n u r a . Remanare sarà semplicemente ‘filtrare’ o simm. come, mi sembra, in Lucrezio. Allora: <flumina lente>15 | des<titu>unt (Scalig. cfr. Liv. 1, 4, 6) <fluvium (amnem ?) et> rivos camposque remanant. Rimane il repetunt di Festo. Ma non sarà piuttosto, in base a reptent del cod. Farnes. e repetant di Paolo, da leggere reptant? Rimane, forse, l’unica difficoltà, forse non insuperabile, di reptare detto di acque. Io non ho potuto verificare abbastanza, e anche per questo ho aggiunto per ora il lente al verso precedente. Ma vedo che in Col. 1, 5, 3 c’è aqua repit («l’eau s’infiltre» Gaffiot). Ann. 25416 – È vero che la mia ricostruzione dell’episodio è ancora oscura e non persuasiva. Ti sottoporrei ora una ricostruzione (naturalmente ipotetica) di questo genere. Nemici insubri provocano danni all’accampamento romano; la legione ricambia i danni nella campagna vicina alla città (o paese) da cui è partito l’attacco17; poi passa a distruggere la città col favore del popolo romano (cioè la notizia è accolta con favore a Roma o qualcosa di simile). Non ho visto Polibio che qui non c’è in edizione adoperabile ma non mi pare indispensabile che si debba conoscere l’episodio da altra fonte. Se rus vale anche genericamente la campagna non sempre un podere ecc., non vedo perché rure locat. non dovrebbe corrispondere a in agris. Ma non sono ancora sicuro, e ti sarò grato se vorrai ripensare a tutta questa faccenda; e poi tornerò anch’io a riesaminarla con tutta l’attenzione. Per il Warmington18, l’ho ordinato, di prima o di seconda mano, a una casa inglese. Per ora nulla. Ma, se l’avrò, ti manderò il II vol. Ann. 433 e 50519 – Giusto mi pare il tuo gladios al v. 505. Finora intendevo media regione come ‘nel mezzo (del campo di battaglia)’ (p. es. ‘sono schierati nel mezzo del campo di battaglia i tali, cinti di spada’). Mi pare che tu intenda ‘in mezzo al corpo’; ma c’è regio (corporis)? D’altronde confronta anche il mediis regionibus di Ann. 481. Così verrebbe meno l’analogia per la tua interpretazione di Ann. 433, che mi lascia assai dubbioso. Io intenderei mediis signis praecincta ‘cinta dalle costellazioni medie’, cioè da quelle che si vedono alla mezzanotte. Dunque praecincta non attributivo, ma predicativo. L’indicazione della mezzanotte è comune nei poeti epici (anche Virgilio) anche con immagini figurate. È evidente che la spiegazione del Bährens è insensata. Ma non si sa come altri (p. es. Vahlen) abbia inteso? M. aggiunge nel marg. inferiore: «o <flumina summa> = la sommità della corrente?». Vd. lett. 47. 17 M. annota nel marg. inferiore: «sempre che non sia reddit ruinas = dat (edit) ruinas». 18 Remains of Old Latin (cit. lett. 12). Vd. anche lett. precedente. 19 Enn. ann., 433 V.2 Nox quando mediis signis praecincta volabit; ann., 505 V.2 Succincti gladiis media regione cracentes. Sui due frammenti vd. lett. 107. 15 16 265 Un’altra proposta o due su Ennio rimando, per necessità di spazio, alla prossima volta. Ora passo all’Aegritudo Perdicae. 2620 – Bene la conservazione dell’ordine manoscritto. 6421 – Acuto inlimas, che forse però lascerei in apparato data la facilità di sbagliare le finali di questo scriba e il fatto che, non comprendendo un inlimes, può averlo ridotto lui a infimas. 156 - benissimo pulso (cfr. 145)22. 15823 – quam mox mi pare che vada bene senz’altro. Escludo anch’io il riordinamento di Vollmer. Giustissima la lacuna da te segnata e integrata prima di 16024. 17325 – Qui mi pare [ma non capisco il v. 179 Lumina tu partus ecc.26: cosa vuol dire?] che sia necessaria una più precisa diagnosi di Ippocrate. Certo che non dice che Perdicca ama la madre; ma non basta che dica ‘c’è una causa nascosta’ o simm. Infatti la madre, da 178 sgg., si vede che sa già che il figlio è innamorato. Mi par ovvio che lo abbia saputo da Ippocrate. Dunque 173: causa amor est, mater. Cioè: ‘È innamorato’. La medicina non ci ha a che fare ( f o r s e cessent conservabile: ‘si ritiri la medicina’), ( p o i c h é ) questo è un male dell’anima. Me ne vado (dunque); adesso dica lui il resto (bene cetera dicat Timp.). Non nego che la mia correzione è piuttosto dura paleograficamente (forse CAVSA A͠OREST e, da A͠OREST, ABES), ma bisognerà pensare anche qui che il copista rifacesse malamente di suo. O si può correggere meglio? 22327 – B e n e ulli. 25428 – Guarda che <vesca>, buono, è già di Eussner, ap. Riese, p. 391 (negli addenda). 261 sg.29 – B e n e virorum … infelix conservato, e così roganti 26830. 20131 – Conserverei vocīś exordia rumpi [e 202 mi par giusto f<l>am<m>amque [s]urgentem revocat (Riese nell’appar.)32]. 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 Vd. lett. 105. Vd. lett. 105. Vd. lett. 104. Vd. lett. 104. Vd. lett. 105. Vd. lett. 105. Vd. lett. 111 e 114. Vd. lett. 105. Vd. lett. 105. Vd. lett. 105. Vd. lett. 105. Vd. lett. 111. Sul fr. 202 vd. lett. 114-6. 266 23133 – candidior Chione c o n venit <e t > altera Dirce (altera una volta sola nella seconda metà del verso anche in 229 e 230). E per oggi basta. Ti prego di fare una correzione al mio estratto su PSI 130534: a p. 226, l. 8 dal fondo invece di εὔ[νουν], che ho accettato a occhi chiusi da Merkelbach e Pieraccioni, εὔ[βουλον]. Potresti per favore dirmi qual è l’editore dell’ultimo Forcellini, che debbo far comprare da una biblioteca? Grazie35. Gradisci, insieme ai tuoi, i miei sinceri auguri pasquali – e credimi con affetto tuo Scevola M. 33 34 35 Vd. lett. 111. M., Note a PSI 1305 (cit. lett. 45). Ovviamente nella ristampa in SFC l’errore è corretto. Vd. lett. 111. 267 1101 Pesaro, 15. 4. 1949 Carissimo Timpanaro, grazie della cartolina e delle informazioni interessanti2. Io escluderei anche con decisione la correzione di Morel a 1393: di genitivi tipo tuai mancano altri esempi nell’Aegritudo Perdicae. Mentre mi pare da accogliere l’interpretazione della lezione manoscritta al v. 2234 (cfr. anche illic in fine di verso al v. 33). Confesso di non vedere la necessità del suo sancta[e] al v. 2325. Più aggettivi p. es. al v. 1086; e sanctus vale ‘di onesta vita’. Ma possono sfuggirmi altri motivi della correzione. Ancora a proposito di 220 sgg., penserei per 2257 a qualcosa come: quae proprio iuveni (-nem H) statuisse<n>t morigerari (amore gravare H; an morigerare coll. Plaut. Amph. 981?). Cfr., ancora a proposito delle matronae, v. 181 sive suo matrona f o v e t (sarà favet?? foret cod.) viduata marito. Proprio, naturalmente, di Castalia. Tuttavia non giurerei ancora sulla possibilità di espressioni come mens iuvenis, mens adulescens per dire ‘il mio ragazzo’ o simm. (non è lo stesso il rapporto fra iuvenis e mater al v. 6). Potresti, se credi, vedere il Thes. s. v. iuvenis, adulescens? Io non ho che il Riese (e un po’ di appunti presi tempo fa dal Bährens), quindi non posso sapere (ma lo credo) se ci si è accorti che 1488 è tramandato bene, e si deve leggere (147): sed iecur et splenis temptata cubilia et atri | fellis (quae metuenda [neutro pl.]) domus. Fellis domus simile a splenis cubilia (cfr. anche v. 150). Affettuosi auguri. Scevola M. 1 2 3 4 5 6 7 8 Cartolina postale. Vd. lett. 108. Vd. lett. 108. Vd. lett. 105. Vd. lett. 108. Vd. lett. seguente. Vd. lett. seguente e 114. Su domus plur. vd. lett. seguente e inoltre lett. 114 e 116. 268 111 21. 4. 1949 Carissimo Mariotti, Ann. 192 sg.1 – Confesso che a me continua a parere necessario che si tratti di 2 versi interi. Cfr. Verg. ecl. 5, 43; Tibull. 1, 3, 55 sg., e soprattutto Aen. 3, 288: tutti versi interi. Tu supponi che possano esser cadute parole come ‘Pirro a Giove tarentino’. Ma pare strano che Orosio le abbia omesse. Pare naturale che Orosio con le parole in quo haec scripsit abbia citato t u t t a l’iscrizione, non un pezzo soltanto. Le tue obiezioni alla mia ipotesi che si tratti di un distico tardo sono indubbiamente forti. Si potrebbe forse rispondere così: delle due particolarità prosodiche del v. 192, una, cioè, anteh͡ ac, non è indizio sicuro di arcaicità, perché c’è anche in una notissima ode di Orazio (1, 37, 5): anteh͡ ac nefas depromere Caecubum …: di qui può averla presa il compositore del distico. Resta fūere: questo può, certo, essere un arcaismo prosodico, ma può anche essere una negligenza di un versificatore tardo: in Anth. Lat. 809, 7 vedo p. es. vīolarum. Né, del resto, è inammissibile che in un ‘grossolano eptametro’ si trovi un arcaismo come fūere: in Anth. Lat. 763a c’è un eptametro (v. 10), e c’è anche un arcaismo prosodico come suu ͡ m (o sȗm) al v. 1 (cfr. Enn. Ann. 2212 suo͡ s, 149 sis = suis), nonché un composto arcaizzante come armipotens. Tuttavia io rinunzierei volentieri alla mia ipotesi, se non ci fosse la difficoltà di sistemare metricamente il 1o verso: poiché io credo ancora che si tratti di 2 versi interi. Quanto alla questione hós ego | ín pugná3, non so se davvero ego sia sempre pirrichio: il Thes. V 2, 252 sg. cita parecchi esempi di egō in Plauto (anche in tesi: p. es. Poen. 1185 quĭdem ĕt pŏĺ ĕgō quom íngeniís [anapesti]). Il Vollmer («Münch. Sitz.» 1924, 4, p. 13) li elimina tutti, ora scrivendo egon, ora egomet, ora supponendo iati ecc. Ho l’impressione che non abbia ragione, però bisognerebbe esaminare con calma tutti i passi, cosa che io non ho avuto ancora tempo di fare. Ann. 24 – Adesso obiezioni contro la tua integrazione non possono essere sollevate. Intimamente persuaso della giustezza della tua restituzione io non sono; ma questa non è che una mia impressione soggettiva, della quale farai benissimo a non tenere conto. 1 2 3 4 Vd. lett. 103. Vd. lett. 53. Enn. ann., 193 V.2, su cui vd. lett. 103. Vd. lett. 56. 269 Ann. 695 – Non comprendo bene (probabilmente per colpa mia) il senso: ‘Le acque abbandonano il fiume e filtrano n e i r u s c e l l i e nella pianura’? Ti sarei grato di un chiarimento, sebbene, ripeto, si tratterà con tutta probabilità di una mia impuntatura su una questione facilissima. Ann. 4336 – Il Vahlen non spiega affatto come intende; anche il Müller e il Valmaggi7 stanno zitti. Mi ricordo ora che anche Terzaghi, col quale parlai di questo verso l’anno scorso, intendeva come te mediis signis. Può darsi che abbiate ragione. Ma a me pare che Nox quando … volabit alluda al sopraggiungere della notte in generale, non della mezza notte (cioè equivalga ad Ann. 339 hinc Nox processit stellis fulgentibus apta). Per intendere praecincta come predicativo, bisognerebbe ammettere che la Notte sopraggiunga… due volte: una prima volta primis signis praecincta, una seconda volta mediis signis praecincta: il che non mi pare possibile. Che se poi la Notte arriva una volta sola, non si capisce perché il poeta la immagini praecincta soltanto mediis signis e non omnibus signis. O forse anche qui mi sto impigliando in difficoltà inesistenti? In tal caso, corrèggimi. Rimando alla prossima volta Ann. 2548, su cui voglio ancora ripensare. E passo all’Aegritudo. 649 – Giusta la tua riserva su inlimas10. 13911 – Giusta l’obiezione contro tuai di Morel (il quale cita aquai in Prudenzio Apoth. 702, ma sono d’accordo che non basta): d’altra parte i tentativi precedenti, compreso artis <decora alta> requiri <et> di Vollmer, sono infelicissimi. 147 sg.12 – Il Vollmer conserva la lezione di H scrivendo et atri | quae fellis metuenda domus: infatti quae fellis è tramandato, non fellis quae, e allora quae … metuenda sarà femminile riferito a domus, non neutro plurale. 17313 – Qui sono davvero incerto. Paleograficamente non avrei nessuna difficoltà ad accettare il tuo causa amor est, poiché il testo dato da H è ricchissimo non solo di corruttele paleografiche, ma anche di rabberciature e interpolazioni di ogni genere. Soltanto a me pare che il troppo esplicito causa amor est (anche se non tanto esplicito da nominare addirittura la persona amata da Perdicca) si accordi male col tono ‘misterioso’ e reticente Vd. lett. 103. Vd. lett. 107. 7 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 8 Vd. lett. 47. 9 Vd. lett. 105. 10 Per le osservazioni di M. vd. lett. 109. 11 Vd. lett. 108. 12 Vd. lett. precedente. 13 Vd. lett. 105. 5 6 270 di Ippocrate. Le parole hic animi labor est bastano, secondo me, a far capire alla madre che Perdicca è innamorato. Queste parole invece perdono di efficacia e diventano una fiacca ripetizione, se al verso precedente si legge causa amor est. Perciò insisterei su causa subest; ma vorrei ancora sapere la tua opinione. 17914 – lumina tu partus è veramente strano, ma, credo, non corrotto: ‘tu sei la luce del <mio> parto’, cioè ‘sei la gioia scaturita dai dolori del parto’, o qualcosa di simile; poi tu me facis ecc. ‘tu fai sì che io sia madre’, cioè ‘sei il mio unico figlio’, ‘grazie a te io sono madre’. 20115 – Già il Vollmer conserva giustamente vocís exordia rumpi; al verso seguente credo anch’io che la proposta di Riese sia plausibile, sebbene mi dispiaccia rinunziare a famam, che in questo contesto sembrerebbe appropriato. (Avevo pensato per un momento a Famam vergentem revocat ‘richiama indietro il senso dell’onore che stava cedendo’, ma sarà meglio rinunziarci; ad ogni modo, cosa te ne sembrerebbe?). Il Vollmer riproduce la lezione di H con segno di corruttela. 22516 – Il Vollmer conserva la lezione di H, e annota: «gravare recte H, scil. potione magica». Io credo che, anche senza pensare alla pozione magica, il testo di H si possa conservare: ‘la quale avesse stabilito di opprimere col proprio amore (di conquistare, di affascinare) il giovane’. Il tuo morigerare è acuto, senonché: 1) proprio iuveni è, come tu noti, espressione un po’ strana (nel Thes. iuvenis purtroppo ancora non c’è; niente alla voce adulescens); tuttavia questa non sarebbe difficoltà insuperabile; 2) statuisset (o -ssent), mentre va bene come amore gravare, perché in questo caso l’iniziativa è della donna la quale s t a b i l i s c e di sedurre il giovane, va meno bene con morigerari, che implica iniziativa del giovane e consenso (non decisione) della donna (non so se, con questo linguaggio ‘calossiano’17, mi sono spiegato); 3) una parola così lunga (morigerari) in fin di verso non è conforme alla tecnica metrica della poesia classica e postclassica: nell’Aegritudo non se ne trovano altri esempi. Perciò io conserverei amore gravare. Ma allora statuisset deve riferirsi ad un singolare: e quindi al v. 22318 non può andare si quis = si quibus, e bisognerà accettare il mio ulli (che statuisset si riferisca a forma superba mi pare difficile). Su tutto ciò aspetto lumi da te. Vd. lett. 109. Vd. lett. 109. 16 Vd. lett. precedente. 17 Riferimento a Umberto Calosso (1895-1959), docente di letteratura italiana, giornalista e deputato socialista, con allusione al suo impegno per l’elettorato alle donne. 18 Vd. lett. 105. 14 15 271 23119 – Benissimo convenit <et> altera! Avevo pensato di mantenere addirittura pervenit, ma non può andare – a meno che questo autore tardo non usi pervenit nel senso di advenit. 23220 – Riconosco la non assoluta necessità di sanctā, eppure è strano il susseguirsi dei due aggettivi tenerae sanctae (al v. 10821 i due aggettivi sono uno attributivo [caelestia] e l’altro predicativo [fessa]), mentre poi lege è senza aggettivo. Ti ringrazio di avermi fatto notare che viscera <vesca> al v. 25422 è di Eussner; anche roganti al v. 26823 è conservato già dal Vollmer. Alcune altre proposte, l e p i ù a s s a i i n c e r t e : v. 424 – Non correggerei per quas in post quas: per può avere valore causale (come spesso nel latino tardo) o anche temporale (‘durante’). 5025 – Forse ripamque secutus? 6026 – magnum mi par difficilmente conservabile: suppongo che si debba scrivere medium (al verso precedente il Vollmer scrive giustamente iam sol emens u m radiis libraverat orbem). 12927 – La lezione di H sese privato lumine è da conservare (privat dum Bährens, privando Vollmer): ‘avendo privato sé stesso della vista’. È un ablativo assol. un po’ irregolare, ma Plinio Nat. hist. 7, 23 ha p r o d e n t e s e Ctesias scribit et (= etiam) in quadam gente Indiae feminas semel in vita parere (citato da Schmalz-Hofmann). 14528 – post vena <est> temptata: sedet, pulsusque quietus (sedet scripsi29 [cioè non minatur, cfr. v. 15630; ‘ha una pulsazione tranquilla’]: sedes H, sed haec edd. compreso il Vollmer). 16731 – quae fuit illa [ille H, ante edd.] tenenti (cioè illa que fuit ecc.). 19132 – Vollmer at te, Perdicā,́ numquam puer ille Cupido, forse a ragione; volendo evitare l’allungamento in arsi, si potrebbe scrivere: at non te, 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 Vd. lett. 109. Vd. lett. 108. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 105. Vd. lett. 105. Vd. lett. 114 e 116. Vd. lett. 114-5. Vd. lett. 114 e 116. Vd. lett. 114. Vd. lett. 114 e 116. Vd. lett. 115. Vd. lett. 104. Vd. lett. 113-4. Vd. lett. 114. 272 Perdicca, unquam puer ille Cupido (at non spesso con enfasi al principio dell’esametro, p. es. Aen. 2, 540 e specialmente 4, 529, simile anche per il contesto). 19333 – sed totum tenet (?? solus Riese, Vollmer; non ho visto il Bährens). 23534 – dura] duro Vollmer (impossibile per il senso, mi pare): an aegro? ma è difficile paleograficamente. 25035 – tristis non persuade (primis H): an primum? (cfr. denique v. 260, citato dal Vollmer che nel testo scrive † primis). 26136 – F o r s e membra colore mol l i t a <haut> gestare <valet>, victusque virorum ecc.? (o mollitā ́ gestare <nequit>? nequit già il Vollmer ma molitus). Cfr. il v. 69. L’ultima edizione del Forcellini (1942) è stata pubblicata ancora a Padova, tip. del Seminario37: così mi assicura un amico, io non sono riuscito a vederla. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro 33 34 35 36 37 Vd. lett. 114 e 116. Vd. lett. 113-4, 118. Vd. lett. 114 e 116. Vd. lett. 105. Vd. lett. 109 273 1121 Pesaro, 1. 5. 1949 Carissimo, un rapido ringraziamento per l’estratto2, dovendo io rimandare di circa una settimana la risposta alla tua. Il lavoro è naturalmente ottimo. Del resto di varie cose avevamo già parlato. Qualche appunto particolare: p. 101 – mi pare che a [sibi] faccia difficoltà l’ibi (= in utero) che precede in Isidoro (da te omesso). Forse sibi da conservare, e il mezzo pasticcio dovuto a Isidoro? Dimmi che te ne pare3. p. 11 – Malgrado le Eumenides, infinitamente più probabile l’Epicharmus. p. 12, l. 20 – «finale», adde «o i consonante» (una sciocchezza). p. 28 – Ann. 3784 – Ho sempre pensato che convenisse metterlo in lib. inc. Serse è ‘luogo comune’ nella oratoria ecc. per dimostrare o ὕβρις o altro (per ora, rapidamente, vd. Max. Tyr. 14, 8 init. e i molti rinvii di Hobein ad l. (p. 180, l. 4), a cui molto è da aggiungere (Claudiano, ecc.; Anth. Lat. 239, 442, 461, sui quali componimenti ti dirò un’altra volta una mia tesi molto ardita). Dunque p . e s . un discorso antiannibalico di un duce romano che confronta le gesta di Annibale (2a punica) con quelle di Serse poi finito male. p. 31 – Veramente può darsi che Ennio, malgrado la sua dichiarazione riguardo a Nevio, potesse ( i n t e o r i a ) trattare delle origini di Cartagine in quanto queste erano trattate da Nevio in un excursus; ma la tua tesi, allo stato attuale della questione, deve ugualmente accettarsi. p. 39 – Lucilio – Perché non piuttosto (v. 34 Terzaghi) caelicolae <factum (vel hic habitum) esse> adfūissemus priore? Molto acuta la tua osservazione e probabilmente giusta, non, direi, assolutamente certa. Lucilio parodia, cioè scherza. Poteva p. es. essersi ‘dimenticato’, dato che la sua attenzione era rivolta solo a quel primo concilio, dei seguenti, dove Romolo non sarà mai intervenuto; oppure non tenerne conto, magari per mettere in maggior rilievo p. es. l’incertezza di Romolo. p. 33 e 51 – Due volte, per errore di stampa, «causale». Alle votazioni provinciali5 la posizione del centro è, rispetto a prima, peggiorata: sinistra 66%, centro 29%, destra 5%. Purtroppo i propagandisti 1 2 3 4 5 Cartolina postale. T., Per una nuova edizione, IV (cit. lett. 8). Si riferisce a Enn. inc., 14 V.2: vd. lett. 48. Vd. lett. 116. Vd. lett. 107 e 109. 274 (anche venuti da Roma) della sinistra parlano un linguaggio troppo ‘bolscevico’. Corona6 ha fatto qui un discorso affermando con c e r t e z z a che la guerra ci sarà entro 4-5 mesi e bisogna prepararsi a difendere l’URSS! Tutto questo per avere voti. Affettuosissimi saluti. Scevola M. PS. ‒ Mi correggo, per [sibi]. Devi invece proprio aver ragione tu; e sibi sarà una quasi dittografia (‘stanno unite nell’utero e sono imparentate con gli occhi’). Achille Corona (1914-1979), parlamentare socialista e ministro in vari governi, radicato nella realtà pesarese. 6 275 1131 [Pisa, 12. 5. 1949]2 Carissimo Mariotti, Aegritudo Perdicae 1733 – Rinunzio a causa subest perché quest’espressione, come dimostrano i numerosi passi citati dal Thes. s. v. causa, significa semplicemente ‘ c ’ è una causa’, non ‘c’è una causa n a s c o s t a ’ o simili (cfr. p. es. Corn. Nep. Alc. 1, 4; Cic. off. 1, 38 ecc. ecc.). Per ora in mancanza di meglio ritorno a causas mater habes del Bährens (forse volutamente ambiguo: ‘èccoti le cause’, ma in realtà = ‘tu hai in te le cause del male di tuo figlio’). 1674 – Mantengo la congettura illa, ma questo illa andrà spiegato come dimostrativo pleonastico dopo il relativo, come spesso nel latino tardo, p. es. Hieron.5 q u i per legem i l l i mundabantur, fasciculo hyssopi aspergebantur (altri ess. Löfstedt, Beitr. zur Kenntnis ecc. p. 94) 6. 2357 – Da conservare durā ́ suspiria coll. Lucan. 4, 328 suspiria dura (‘respirazione penosa’). 918 – Löfstedt, Vermischte Studien, p. 1149 dà molti esempi di dolor = amor in testi tardi; allora forse: oscula … dedit materni plena doloris (di amore materno). 26110 – virorum già difeso da C. Morelli, «St. it. filol. class.» n. s. 1, 1920, p. 77 n. (ottimo articolo di un filologo morto giovane nella 1a guerra mondiale)11. Cartolina postale. La data si ricava dal timbro postale di partenza ed è stata anche aggiunta da M. sul margine superiore della cartolina accanto all’intestazione; il luogo risulta oltre che dal timbro postale dall’indirizzo posto in calce: Pisa - via S. Maria, 18. 3 Vd. lett. 105. 4 Vd. lett. 111. 5 Ps. Hier. tract., p. 422, 14-5 Morin. 6 E. Löfstedt, Beiträge zur Kenntnis der späteren Latinität, Inaug.-Diss., Stockholm 1907 (il passo dello pseudo Girolamo è citato a p. 97). 7 Vd. lett. 111. 8 Vd. lett. 114 e 116. 9 E. Löfstedt, Vermischte Studien zur lateinischen Sprachkunde und Syntax, London 1936 (19682). 10 Vd. lett. 105. 11 C. Morelli, Sulle tracce del romanzo e della novella, «SIFC», 1, 1920, pp. 25-100. Sull’opera del latinista Camillo Morelli (1885-1916), a cui è dedicato il primo volume della 1 2 276 Grazie delle ottime osservazioni sul mio articolo12. Scusa se ti sto tediando con l’Aegritudo Perdicae! Affettuosissimamente Sebastiano Timpanaro nuova serie degli «Studi italiani di filologia classica» (1920), vd. A. Aruch, Opere di Camillo Morelli, «Athenaeum», 5, 1917, 187-9, e ultimamente A. Luceri, Il carme ‘Quinque sorores’ di Camillo Morelli nel centenario della pubblicazione (1918-2018), «Latinitas», n.s., 6, 2018, pp. 87-116. 12 Vd. lett. precedente. 277 114 Pesaro, 16. 5. 1949 Carissimo Timpanaro, scusami il ritardo. Speriamo che la ‘sinistra’ non faccia sciocchezze e provi almeno di essere più fedele al PS che al PC1. Purtroppo il confronto del concordis neviano con Esiodo era già stato fatto. La cosa è osservata da Puccioni, L’uso stil. dei composti ecc., p. 421 sg.2 e certo già da altri prima. E, tanto per cambiare, cominciamo dall’Aegritudo. Non pensare neppure lontanamente che l’argomento mi annoi3. Discorro con te con grande piacere, pro viribus, su qualunque argomento, e sempre con molto profitto. E poi l’Aegritudo m’interessa, anche se marginalmente. A proposito, intendi poi di farne un’edizione, che sarebbe la cosa migliore? Se no, se sarà il caso e a suo tempo, si potrebbe fare insieme una raccolta di Contributi al testo ecc., distinguendo naturalmente ciò che è dell’uno e dell’altro (lo dico anche perché è chiaro che i tuoi contributi sono più notevoli). Oggi sono in vena di progetti; ma mi pare meglio rimandarne un altro alla mia prossima – molto più grosso e comunque tale da lasciare a ciascuno la più assoluta indipendenza. 914 – B e n i s s i m o la difesa di doloris (immagino che gli esempi del Löfstedt non riguardino solo amore nel senso ‘erotico’). 1675 – Anche qui ottimamente illa, inteso come dici nella cartolina. Vari esempi del pron. dimostr. pleon. dopo il relat. in una recensione del Niedermann in «Emerita»6 (di cui, se mai, ti potrò dare notizia precisa); ma probabilmente riprenderà dal Löfstedt. 1737 – Confesso di non essere persuaso ancora di Causas, mater, habes. Certo habes (o simm.) si dirà anche di qualcosa che segue, non solo di qualcosa che precede (io ricordo, certo per caso, solo esempi di questa seconda categoria). Ma come si fa a dire ‘Eccoti le cause’ e poi, invece o prima di Vd. lett. 107, 109 e 112. Puccioni, L’uso stilistico (cit. lett. 12) e vd. già M. Mayer, s.v. Musai (1), in RE, XVI 1, 1933, col. 706. Sulla dipendenza da Esiodo di Naev. carm., fr. 1 Mor. = 51 Mar. vd. lett. 102-3. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. precedente. 5 Vd. lett. 111. 6 M. Niedermann, Les gloses médicales du Liber glossarum, «Emerita», 11, 1943, pp. 257-96, e 12, 1944, pp. 29-83 (rist. Recueil Max Niedermann, Neuchâtel 1954, pp. 65-136). 7 Vd. lett. 105. 1 2 278 dire le cause, aggiungere medicinae munera cessant (o -ent)? Ma contro la mia congettura p u ò d a r s i che si possa citare Heliod. 4, 7 (citato da Morelli, p. 88)8: non so se in Eliodoro sia detto esplicitamente che il male è amore, e il Morelli non riporta il passo. Potresti vederlo tu? – naturalmente tenendo conto del contesto, perché a me pare ancora difficile che Castalia indovini che con animi labor Ippocrate voglia intendere amore e parli subito con tanta sicurezza al figlio. Ma può darsi benissimo che abbia torto. 1799 – È veramente strano (nella 1a parte). 20210 – Sarei sempre decisamente per la lettura di Riese. Quanto al tuo dubbioso tentativo, mi pare piuttosto duro per l’interpretazione che richiederebbe di fama (= ‘senso dell’onore’). Che fama, in quanto vuol dire ciò che si dice di noi, possa prendere in certi contesti questo senso è naturale; ma che famam ... revocat possa voler dire «richiama indietro il senso dell’onore» non crederei. 22511 – Rinunzio senz’altro a morigerari, e pare anche a me da accettare la lez. ms., intendendola come fai tu. 23512 – Giustissimo durā ́ col cod. 147 sg.13 – Confesso che mi fa piuttosto specie quel fellis inserito nella prop. rel., anche se non è impossibile. Per questo passo resto incerto. A me parrebbe ora che 147 sg. sarebbe normale che dipendessero da negant (cioè da un aiunt); ma allora domus dovrebbe essere plurale (cfr. cubilia): pluralis poeticus? esiste per domus (cfr. δώματα ecc.)14? Il Löfstedt, Syntact. I15, non ne parla, ma naturalmente il suo non è un repertorio; e d’altronde può aver influito cubilia, e potrebbe anche trattarsi di un vero plurale. Allora però bisognerebbe leggere fellis quae. Cosa te ne pare? 416 – Ottima la conservazione di per (direi senz’altro senso causale). 50 – Continuerei a preferire rivumque perché l’errore è più facile; ma per il tuo ripamque vd. l’errore ms. al v. 106 tenetque per tepetque (che però forse non avrà origine paleografica). Morelli, Sulle tracce (cit. lett. 113). Vd. lett. 109. 10 Vd. lett. 109. 11 Vd. lett. 110. 12 Vd. lett. 111. 13 Vd. lett. 110. 14 L’ultima frase è sottolineata da T. che sotto aggiunge: «[NON RISULTA]». Vd. infatti lett. seguente e anche le precedenti 110-1. 15 E. Löfstedt, Syntactica: Studien und Beiträge zur historischen Syntax des Lateins, I, Über einige Grundfragen der Lateinischen Nominalsyntax, London 1928; II, Syntaktisch-stilistische Gesichtspunkte und Probleme, London 1933. 16 Per la discussione sui versi dell’Aegritudo a partire di qui fino a 261 vd. lett. 111. 8 9 279 60 – Sei sicuro che non ci sia magnus dies (cfr. franc. grand jour per dire il giorno pieno)? In questo caso medium andrebbe bene, mi pare. Ma non capisco la lezione del Vollmer, da te approvata, al v. 59: cosa vuol dire librare (radiis) orbem in quel contesto? Se mai, si sarebbe aspettato lustraverat. Ma sarò io a non capire. 129 – Benissimo la conservazione della lez. ms. Ottimo mi pare anche sedet al v. 145. Può darsi anche che sedet sia termine tecnico medico. 191 – Preferirei la lezione del Vollmer data la frequenza di allungamenti in arsi; ma la tua è acuta. 193 – Qui io leggevo tempo fa, e ora ti propongo: sed solum tenuit v i g i l a n t e m tectus in umbras. Solum mi pare indispensabile lasciarlo: cfr. 104, dove solus ibi mi par giusto (non capisco perché Riese dica «suspectum» l’ibi = ‘allora’). 250 – Primum mi pare poco convincente (e denique 260 non basta certo a sostenerlo). Propongo putris (p. ... p. p. ...). 261 – Assai buono il tuo mollitā ́ (quod malim) gestare <nequit>; ma anche molitus è possibile17. 17 La lettera si arresta qui; il resto è andato smarrito. 280 1151 Pesaro, 19. 5. 1949 Carissimo Timpanaro, Aegr. 502 – Il tuo ripamque è reso molto più probabile dal fatto che tepetque > tenetque di 106 non è (o non è solo) errore psicologico; per lo scambio p-n cfr. Havet, Man. de crit. verb.3, pp. 156, 164. Ora mi pare ripamque preferibile a rivumque. 2024 – Per il mio premit cfr. anche 112, 130, 175, 220. 35 sgg.5 – Parrebbe ovvio virgola dopo 35 e fra parentesi il v. 37. 72 sgg.6 – Non vedo la necessità della lacuna dopo 73, purché si scriva 74 ignoras <quae> (peggio <quam>) intus gravior tibi flamma paratur (te) lucos petisse perché nel (indicazione da conservare). Farà difficoltà putas … bosco Perdicca c’è entrato realmente? Ma allora dovrebbe farla anche putas … te radios solis fugisse. Ma nel complesso s’intende bene, mi pare. 112 sg.7 – Tunc quoque Perdicam <assiduo> premit igne Cupido; cfr. 196, e mi pare che assiduus c’entri di più, in relazione al v. sg., dove mi pare nec da conservare (= non anche in latino tardo, cfr. Löfstedt Peregr. Aeth. e Syntact.)8. 122 sgg.9 (la trasposizione di 123 pare sicura): at – nefas? Tamen – coactus! | Credamus? (si potrebbe, potrei crederlo?) Quibus …? Cartolina postale. Questa cartolina, pur avendo la stessa data della lettera successiva con cui T. risponde alla 114 di M., la precede, come dimostrano le considerazioni di T. riguardo a Aegr., 202, 35 sgg., 72 sgg., 112-3, 132-3, 164, di cui qui si parla. T. può aver iniziato la lettera 116 il giorno 19 e averla ultimata il giorno successivo, quando gli pervenne la presente cartolina (dai timbri postali risulta che essa fu spedita da Pesaro il 19 e che pervenne a Pisa il 20). 2 Vd. lett. 111. 3 L. Havet, Manuel de critique verbale appliquée aux textes latins, Paris 1911 (rist. Roma 1967). 4 Vd. lett. 109. 5 Vd. lett. seguente. 6 Vd. lett. seguente. 7 Vd. lett. seguente. 8 E. Löfstedt, Philologischer Kommentar zur Peregrinatio Aetheriae, Uppsala 1911 (trad. it. Commento filologico alla Peregrinatio Aetheriae. Ricerche sulla storia della lingua latina, trad., note e appendice a cura di P. Pieroni, Bologna 2007); Löfstedt, Syntactica (cit. lett. 114). 9 Vd. lett. seguente. 1 281 16410 † iaculata – Non sarà per caso iaculandō? (‘trafiggendo’, s’intende figuratamente). Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti 10 Vd. lett. 16-8. 282 116 Pisa, 19. 5. [1949]1 Carissimo Mariotti, ho poche speranze quanto alla sinistra del PSI2. Al tempo della lotta contro Saragat, la sinistra ebbe il merito di impedire la degenerazione socialdemocratica del partito, e io non mi pento di avere allora appartenuto ad essa. Ma adesso la sinistra non è che criptocomunismo. Basso al congresso ha dichiarato che è «profondamente reazionario» chi non identifica gli interessi del proletariato mondiale con quello dello stato russo; e l’«Unità», il giorno dopo constatava con soddisfazione che Basso p e r l a p r i m a v o l t a i n v i t a s u a aveva riconosciuto la parte predominante dell’URSS nella lotta per il socialismo. Con gente simile, il PSI non prospererà di certo! E d’altra parte quel fesso di Romita continua a parlare di unificazione coi saragattiani e di Comisco3, e contribuisce anch’egli a disgregare il partito. Passiamo ad Ennio. Rispondo brevemente anche alla tua cartolina del 1o maggio4. Inc. 145 – È vero, ho omesso ibi prima di sibi. Ho avuto il torto di copiare il passo dal Vahlen, senza confrontare Isidoro. Il Vahlen tralascia ibi, certo perché lo considera dittografia di sibi, mentre sarà vero il contrario. Ann. 3786 – Credo anch’io che vada messo tra gli incerti per prudenza. Tuttavia, tra le varie attribuzioni possibili, quella ad Antioco mi pare pur sempre la migliore. Verissimo che Serse è luogo comune per dimostrare ὕβρις: ma tale esempio di ὕβρις, meglio che ad Annibale come tu supponi, si adatta proprio ad Antioco, anch’egli re orientale come Serse, anch’egli baldanzoso all’inizio (cfr. Hannibal audaci cum pectore …)7 e demoraliz- L’anno è stato aggiunto da M. Vd. l’inizio della lett. 114. 3 Il Committee of the International Socialist Conference, fondato a Londra nel 1948, già in quell’anno aveva espulso il PSI per la sua vicinanza al Partito Comunista. 4 Vd. lett. 112. 5 Vd. lett. 48. 6 Vd. lett. 112. 7 In nota a piè di pagina T. scrive: «Cito l’inizio del frammento anziché il numero del verso perché sono, ahimè, senza Vahlen. Avevo in prestito da anni quello della Biblioteca Universitaria, ma ora è stato richiesto da una donna che deve fare la tesi su Ennio. Cercherò di prendere quello della Normale, che però è anch’esso in prestito». Si tratta del v. 381. 1 2 283 zato dopo la sconfitta (Infit: o cives …8: cfr. Serse nei Persiani di Eschilo). – In Lucilio citato a p. 39 del mio articolo non so se <factum esse> da te proposto sia preferibile a <factum, vellem>. Il periodo ne risulterebbe più intralciato, perché da adfuissemus dipenderebbero prima concilio vestrum e poi priore concilio, senza la ripresa con vellem. Riconosco che il mio argomento contro l’esistenza di concilia deorum dopo quello del lib. I non è assolutamente certo, ma continua a parermi probabile. È vero che Lucilio scherza, ma gli antichi erano forse più razionalisti di noi anche nello scherzo. Grazie della segnalazione dell’errore di stampa «causale» per «casuale»: errore assai seccante, perché essendo ripetuto 2 volte può sembrare imputabile all’autore! Ann. 699 – Adesso capisco. Qualche dubbio mi resta per remanant che con la tua restituzione dovrebbe significare, più che ‘filtrare’ come in Lucrezio, ‘traboccare’: nel qual caso non so se questo verbo potrebbe equivalere a reptant. Lumpae andrebbe bene: cfr. C. Gloss. Lat. IV 362, 20 lumpae: aquae vel undae. Ann. 43310 – L’interpretazione di volabit come ‘starà volando’ mi pare forzata: quando Nox volabit mi pare che non possa significare altro che ‘quando la Notte giungerà a volo’. ELIMINARE11 – Hai perfettamente ragione. Ma purtroppo il valore intransitivo di eliminare in Ennio Pacuvio e Accio è stato già sostenuto da Fr. Skutsch, Kleine Schriften p. 48712, citato dal Thes. V 2, 388. L’autore dell’articolo del Thes. (Rubenbauer) accoglie la tesi di Skutsch, soltanto annota: «[Jachmann in plagulis hunc usum omnino negat]». Passiamo all’Aegritudo. Se valga la pena di fare un’edizione non so13: mi pare che quei dieci o quindici nuovi contributi che si possono arrecare al testo non siano ancora sufficienti a giustificare una nuova edizione. E poi, se mi metto a fare l’Aegritudo, quando finirò Ennio? Accetto invece c o l p i ù g r a n d e p i a c e r e la tua proposta di mettere insieme un articolo in comune. Intanto, debbo comunicarti che altre due mie congetture erano state già fatte da altri: sedet al v. 145 dal Rohde14 e pulsu nec al v. 15615 da A. Enn. ann., 394-5 V.2, su cui vd. lett. 53. Vd. lett. 103. 10 Vd. lett. 107. 11 Si riferisce a Enn. scaen., 256 V.2, di cui M. parlava probabilmente nella parte perduta della lett. 114. 12 Leipzig 1914. 13 Vd. lett. 114. 14 Vd. lett. 111. 15 Vd. lett. 104. 8 9 284 Otto, «Neue Jahrbb.» 1887, p. 784 (articolo ottimo, sfuggito stranamente al Riese e al Vollmer). 9116 – Mi farai piacere se, con tutto il tuo comodo, mi darai l’indicazione di quell’articolo del Niedermann su dolor = amor. 17317 – Hai perfettamente ragione di respingere causas mater habes. Ho visto Heliod. 4, 7: lì il medico in primo tempo dice al padre della fanciulla ammalata: «ῷ Χαρίκλεις περιττῶς ἡμᾶς ἐνθάδε εἰσκέκληκας ἰατρικὴ. γὰρ οὐδὲν ἄν οὐδαμῶς ἀνύσειε πρὸς ταύτην (= medicinae munera cessant)». Poi, chiamato in disparte il padre, aggiunge: «… τὸ δὲ τῆς κόρης νόσος μέν, ἀλλ᾽ οὐ σώματος». Infine, in seguito a nuove insistenze del padre: «οὐ γὰρ καὶ παιδὶ γνώριμον» ἔφη «ψυχῆς εἶναι τὸ πάθος, καὶ τὴν νόσον ἔ ρ ω τ α λαμπρόν;». Ma qui tutto il racconto è impostato diversamente, perché non si tratta di amore incestuoso e quindi il medico non ha motivo di fare il misterioso. – Io avevo pensato a causa latet (cauſaſabeſ) o causa <a>l<i>a es<t>: tentativi, me ne rendo conto benissimo, poco felici. Ad ogni modo, di quest’ultimo cosa penseresti? (‘la causa è un’altra, va cercata altrove che nella medicina’: cfr. Heliod.18 ῷ Χαρίκλεις περιττῶς ἡμᾶς ἐνθάδε εἰσκέκληκας). 20219 – Hai ragione, riconosco che il mio tentativo va abbandonato. 147 sg.20 – Siamo d’accordo che iecur ecc. dipendono da un aiunt che va ricavato dal precedente negant. Ma non per questo, credo, bisognerà intendere domus come plurale. Domus è attratto in nominativo da quae: invece di domum quae metuenda est, quae metuenda (est) domus. Io conserverei quae fellis col Vollmer, tutt’al più accennando a fellis quae nell’apparato, e ad ogni modo interpreterei quae metuenda domus come nominativo singolare. 6021 – magnus dies si trova solo in Lattanzio Div. inst. 7, 14, 9 dies magnus dei mille annorum circulo terminatur (similmente 7, 14, 2); evidentemente qui magnus dies ha un significato speciale, ricalcato probabilmente su magnus annus, che non può avere nell’Aegritudo. Perciò medium mi pare probabile (cfr. georg. 4, 426 m e d i u m sol igneus o r b e m | hauserat). 59 (leggendo emensum … orbem)22 – ‘Già il sole coi suoi raggi aveva r e s o u g u a l e la parte della volta celeste già percorsa (a quella ancora da percorrere)’: librare = ‘equilibrare’ nel senso di ‘eguagliare’, ‘bilanciare’, 16 17 18 19 20 21 22 Vd. lett. 113. Vd. lett. 105. Vd. sopra: Hld. 4, 7. Vd. lett. 109. Vd. lett. 110. Vd. lett. 111. Vd. lett. 114. 285 ‘distribuire in parti uguali’. Nota che al sorgere e al calare del sole l’autore accenna sempre con espressioni che, per voler essere nuove, finiscono col cadere nel contorto e nel barocco; e a favore della conservazione di orbem cfr. la clausola del v. 132. – (A proposito di 14823, aggiungo che di domus plurale poetico non ho trovato esempi né nel Thes. né nel Kühner-Stegmann). 19324 – Bene! Sei riuscito a trovare una soluzione plausibile per un passo sul quale io mi ero scervellato invano. Il Vollmer proponeva tenuit miserum et bene tectus ab umbris (pazzesco!). 25025 – Rinunzio senz’altro a primum e accetto, almeno per ora, il tuo putris. 26126 – Per mollita haut gestare <valet> cfr. 277 (dove il Riese erra spiegando vulnera cordis amore perditi: in vulnera è finale: ‘scagliare l’arma mortale sì da produrre ferite’). 8 sg. – Per una curiosa combinazione, anch’io avevo pochi giorni fa pensato a concire furorem. Sul v. 727 rimango incerto. Pietas et perfida mater = ‘l’amore filiale e l’amore sensuale’ mi sembra assai oscuro; e troppo brusco il passaggio al v. 8: est, Paphie, ecc. Ma certo le soluzioni finora proposte soddisfano ancor meno (Otto e Vollmer: … pietas et, perfide, mater et Paphie ecc.). 94 sgg. – Già l’Otto («Neue Jahrbb.» 1887, p. 784) ordinava 94-95-92-9398, soltanto tra il 93 e il 96 supponeva una lacuna in cui ci fosse un verbum dicendi. Il Vollmer mantiene l’ordine del codice e segna punto esclamativo alla fine del 93. Io resto incerto, perché confesso che ancora non capisco i versi 92-93. Perdicca ha la madre dinanzi agli occhi: che c’entra allora pulsante deo? E mutata est può significare ‘era a l l o n t a n a t a ’ ? Io non ci capisco niente! Un altro verso che mi riesce oscuro (e sarà magari chiarissimo, poiché gli editori non avvertono nulla) è 111. Forse ‘ciò (ossia l’abbandonarsi al sonno) è un delitto (appare come un delitto) alla sola passione amorosa di Perdicca vegliante’: ma è possibile un simile garbuglio?? 119 sg. – Non sono d’accordo: mi pare che seu Veneris ecc. sia la spiegazione di sine te nihil ille; perciò conserverei l’interpunzione vulgata. E al 120 bisognerà scrivere Seu Veneris pars es[t] seu <tu> Venus ecc. (così tu ha un suo valore, non è semplice zeppa). Vd. lett. 110 . Vd. lett. 111. 25 Vd. lett. 111. 26 Vd. lett. 105. 27 Vd. lett. 74-5, ma di questo verso, dei vv. 8-9 e di altri passi della Aegritudo Perdicae di cui T. discute di seguito, come nel caso di Enn. scaen., 256 V.2 (vd. sopra), M. doveva aver parlato nella parte perduta della lett. 114. 23 24 286 13928 – Bene; resta solo il dubbio se convenga proporre artís per congettura; e d’altra parte artis<que> non mi pare consigliabile. La lezione di H artis medicinae non sarebbe di per sé stessa da buttar via, ché il Thes. II 665, 72 sgg. dà molti esempi sia di ars medicinae, sia di ars medicina. Avevo perciò pensato a qualcosa come famulosque vocavit | ad sese iussitque <illos> artis medicinae. Illos, s’intende, ex. gr., e si può forse trovare qualcosa di meglio. Così si salverebbe medicinae, mentre la tua proposta implica l’espunzione di ben due parole (medicinae e requiri) e il rifacimento ex novo della chiusa del verso. Ma mi si può obiettare che di un quadrisillabo come medicinae in fine di verso non si trovano altri esempi nell’Aegritudo. Vedrò in Draconzio. [Forse iussitque <illic> artis medicinae? Cfr. 152, e la già notata predilezione dell’autore per illic]. 20229 – Bene. Il Vollmer suppone che in † anillans si celi anhelans, ma non va oltre. 216 – etiam si de Iove già il Vollmer. L’Ellis, «Journ. of Phil.» 8, p. 231: et si tibi tela furoris | defuerint, et si <vel> de ecc.; così è impossibile, ma forse: et, si tibi tela furoris | defuerint, etsi <vel> de (o meglio de <ipso>) Iove ecc. (‘e, se ti verranno a mancare ecc., per quanto tu prenda in prestito da Giove stesso i fulmini non potrai vincere ecc.’). Ma meglio la lezione del Vollmer e tua. 249 – F. Walter, «Wien. Stud.» 45, 1926/27, p. 109: iusti, (iussisti H) mandasti: iam possum ecc., che non mi pare cattivo. Di iusti = iussisti il Walter cita esempi anche tardi (Mart. Cap.). 35 sg.30 – Bene l’interpunzione: ma non sarà necessario spargit al v. 35 (come proponeva il Bährens) oppure amans al v. 34? 72 sgg. – Il Vollmer: Heu … | … fugisse putans … petisse, | ignoras: intus ecc., supponendo una forma paratattica = ignoras … tibi flammam parari. Ma forse meglio il tuo <quae> intus, sebbene in generale sia sconsigliabile introdurre per congettura elisioni, data la loro estrema rarità in questo carme. 112 – Possibile assiduo, ma forse meglio tanto di Vollmer (cfr. ut al verso seguente). Nec al 113 mantenuto già da Vollmer, il quale scrive anche facem per vocem di H (vicem Bährens). 123 sg. – M a g n i f i c a m e n t e ! Tutto è sistemato dalla tua interpunzione. A sostegno di credamus? si può citare il virgiliano credimus? all’inizio del verso in buc. 8, 108. 164 – Credo che il Morelli «St. ital.» n. s. 1, p. 77 n.31 abbia ragione di 28 29 30 31 Vd. lett. 108. Vd. lett. 109. Per la discussione dei versi dell’Aegritudo da qui a 164 vd. lett. precedente. Morelli, Sulle tracce (cit. lett. 113). 287 difendere iaculata neutro plur., confrontando per l’allungamento in tesi (cioè, per l’errore di prosodia) 107 dāturus, 223 vēnire32, 40 delapsūs (?). Soltanto egli erra nell’interpretare iaculata come passivo. Per dolor = amor 33 cfr. anche 12, dove certo dolor nefandus è l’amore di Perdicca per la madre. 434 – cod. ethereus: il Bährens mise nel testo aera Tereus 35, e nell’apparato propose aethera Tereus. Bisogna certo scegliere quest’ultimo, sia per motivi paleografici, sia per Ov. met. 2, 437 p e t i t a e t h e r a victor (clausola). 190 – omnes suspectum; an orbem? Per tutta la frase cfr. 101 sg. Grazie del Warmington36, che ho ricevuto e ti restituirò fra pochi giorni. Affettuosamente Sebastiano Timpanaro 32 33 34 35 36 Vd. lett. 105. Si riferisce al v. 91, su cui vd. sopra e lett. 113. Vd. lett. 111. A piè di pagina si aggiunge: «accolto da Riese e Vollmer». Remains of Old Latin (cit. lett. 12). 288 1171 [Pisa, 31. 5. 1949]2 Carissimo Mariotti, ti ho rispedito il Warmington3. La tua proposta a p. 276 mi pare sicura; degna di considerazione anche quella a p. 2: anche a me malas era sempre sembrato poco chiaro4. In Aegr. 1645, se non si volesse conservare iaculatā, si potrebbe forse, meglio che iaculando, scrivere iaculantes?6 Da iaculātessaepe a iaculatasaepe passaggio facilissimo, consistente, in fondo, nel solo scambio di e con a, frequentissimo nel codice dell’Aegritudo (p. es. 275 reseramus per resecemus, 204 pectora per pectore: molto spesso anche il viceversa). Il Vollmer conservava iaculatā saepe intendendo saepe come ablativo di saepes (‘la siepe delle costole’) e iaculata passivo; ma giustamente, mi pare, il Morelli7 trova troppo sforzata questa interpretazione – sebbene non sia forse del tutto da scartare, ricordando le espressioni dei vv. 147-149 – . Che ne pensi? Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. La data si ricava dal timbro postale; il luogo oltre che dal timbro dall’indirizzo posto in calce: Pisa - via S. Maria, 18. 3 Remains of Old Latin (cit. lett. 12), che M. gli aveva prestato (vd. lett. precedente). 4 Non è possibile dire in che cosa consistessero tali proposte. 5 Vd. lett. 115. 6 Vd. lett. 118. 7 Vd. lett. precedente. 1 2 289 1181 [Pisa, 6. 7. 1949]2 Carissimo Mariotti, oggi, riguardando dopo molto tempo l’Aegritudo Perdicae, mi sono improvvisamente accorto che tempo fa ti proposi al v. 164 un iaculantes riferito ad ilia neutro3!!! Meriterei di essere bocciato in latino in prima media! Munari mi ha gentilmente mandato ampie notizie di un articolo di W. Barbasz, In Aegr. Perd. Animadversiones, in «Eos» 27, 1924, p. 29 sgg. L’articolo contiene molte congetture inutili o sballate, ma alcune buone. Fra l’altro, appartengono già al Barbasz cetera dicat al v. 1744 (soltanto egli scrive iuvenis invece di hebeo i.e. abeo) e ulli al 2235; inoltre in una nota aggiunta all’articolo del Barbasz un tizio che si firma G (il Munari suppone Ganszyniek, uno dei redattori di «Eos») ha già difeso dura suspiria al v. 2356 (soltanto supponendo dura <ah!>) col confronto di Lucan. 4, 328. A me perciò non rimane più nulla7! Tu che fai? Suppongo che tu sia affaccendato con esami di maturità. Vuoi che ti spedisca gli appunti di Munari sul suddetto articolo di Barbasz? Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. La data si ricava dal timbro postale; il luogo oltre che dal timbro dall’indirizzo posto in calce: Pisa - via S. Maria, 18. 3 Vd. lett. 117. 4 Vd. lett. 73. 5 Vd. lett. 105. 6 Vd. lett. 111. 7 Cfr. lett. 116 sulla possibilità di fare con M. una nuova edizione dell’Aegritudo Perdicae o di pubblicare in un articolo in comune i contributi testuali di entrambi. 1 2 290 1191 Pesaro, 24. 7. 1949 Carissimo, non so quanto tempo è che non ti scrivo più. Ho qui una tua lettera e due cartoline2, a cui risponderò fra una settimana quando sarò in villeggiatura a Ginestreto (Pesaro). Tu sei la prima persona a cui torno a scrivere dopo molto tempo. Motivo di così lungo silenzio? Sì gli esami (anche di maturità, con 58 candidati), prima gli scrutini, ecc.; ma anche un motivo più grave e per sua natura antifilologico: che debbo essermi innamorato proprio sul serio. Roba da pazzi! Adesso però mi rimettrò a lavorare – e spero che, di fronte a tale argomento, mi perdoni di essere stato così scortesemente silenzioso. (Al fatto che ti ho detto non accennare, per favore, in cartolina perché i miei non ne sanno ancora niente). Ti saluta affettuosamente il tuo Scevola 1 2 Cartolina postale. Si tratta delle lett. 116-8. 291 1201 Pesaro, 21. 12. 1949 Mio carissimo Timpanaro, non oserò più scriverti fino a che non potrò mandarti il canovaccio dell’articolo enniano, che spero ti farà, non dico perdonare, ma compatire il mio lungo silenzio. Per ora apro per un attimo il velario calato su questo silenzio per fare a te e ai tuoi i migliori auguri. Aggiungo di sfuggita: Ann. 692 – Forse remanant = reptant ( = ‘ s ’ i n f i l t r a n o ’ , e non ‘traboccano violentemente’) difendibile in base a Liv. 1, 4, 4, dove è presupposta una inondazione di piccolo calibro. Ann. 4923 – An agea <st>longa?? Cfr. il tuo stlate, usato per allungare la voc. prec. e stabilitā scamna nella stessa sede4. Lucr. 1, 453 – Anche qui con tutti i dubbi del caso, se è giusto il tuo acutissimo aqua<e v>i5, perché non leggere pondus uti saxis, calor igni[s], liquor aqua<e v>i, con ablativi (qui e al v. sg.) dipendenti da seiungi seque gregari (che pure p r e f e r i r e b b e r o ab) e con vi normalmente ablativo? Un saluto affettuoso e cordialissimo dal tuo Scevola M. [PS. ‒] Io insegno ancora allo Scientifico. E tu? 1 2 3 4 5 Cartolina postale. Vd. lett. 103. Vd. lett. 122-4, 588-9, 600. Enn. ann., 96 V.2. Vd. lett. 79. 292 120 BIS Pisa, 22. 12. 19491 Caro Mariotti, ho il dolore di comunicarti la perdita di mio padre, avvenuta stamattina dopo cinque mesi di sofferenze. In questo momento terribile, penso con particolare affetto a te, mio fraterno amico, e spero che tu continuerai anche per me quegli studi filologici che io ormai non avrò più la forza di condurre a termine. Il tuo Sebastiano Timpanaro junior 1 Tra il luogo e la data l’indirizzo: (via S. Maria 18). 293 121 Pesaro, 24. 12. 1949 Mio carissimo Timpanaro, io non so dire parole di circostanza1; e sono talmente sotto l’impressione della notizia, giuntami del tutto imprevista, quando mi pareva ormai venuto il momento di riprendere le nostre conversazioni, che, anche se volessi, non riuscirei a dirle ugualmente. Credi, mio caro amico, se vale qualcosa l’amicizia intima ed affettuosa che si forma attraverso una faticosa collaborazione di studi (e fra noi s’è formata, credo, solida e sicura, e durerà sempre), e se quest’amicizia ha la forza di sollevare l’animo in momenti così terribili come quelli che tu attraversi, io voglio con tutte le mie forze che tu mi senta vicino, fraternamente più che amichevolmente. So, anche se non potevo giudicarlo direttamente, il valore di tuo padre; capisco soprattutto la gravità irreparabile del colpo che ti è stato inferto in uno degli affetti più grandi. Ut sunt humana, nihil est perpetuum datum2: è la terribile verità a cui non s’impara mai ad adattarsi abbastanza. Eppure il tempo, più ancora la solidarietà degli amici, più ancora i doveri morali che ci legano a quelli che rimangono come ai nostri ideali di studiosi debbono aiutarci a sollevarci dal senso di catastrofe che coglie in certi momenti. Il vero modo di essere fedele alla memoria di tuo Padre è continuare nella via aspra degli studi: questo è ciò che ti chiedono anche gli amici, che vedono in te il migliore di tutti loro. Perdersi d’animo sarebbe colpa imperdonabile. Quando ti sentirai in grado di rimetterti al lavoro e se in quel momento sentirai che la comunicazione con un amico lontano può in qualche modo aiutarti spiritualmente, ti prego vivamente di dirmelo, ed io sarò felice della nostra ripresa collaborazione. Non voglio chiudere senza rivolgere un pensiero deferente e commosso a tua Madre, a cui ti prego di esprimere tutto il mio profondo dolore per la sciagura che ha colpito lei prima di tutti. A te, mio carissimo, un abbraccio affettuoso ed un bacio dal tuo Scevola Vd. lett. 120 bis. In data 22 dicembre 1949 M. aveva inviato a T. in occasione della morte del padre (Sebastiano Timpanaro sr. [1888-1949]) il seguente telegramma: «Commosse fraterne condoglianze dal tuo Scevola». 2 Plavt. Cist., 194. 1 294 122 Pisa, 28. 12. 1949 Carissimo Mariotti, ti sono molto grato per le tue parole veramente fraterne1. Nella mia famiglia c’era una fusione non solo affettiva ma anche intellettuale così grande che, ora che uno dei tre è morto, la vita è diventata insopportabile per i due superstiti. L’unica cosa augurabile ora sarebbe che un improvviso incidente (terremoto, scontro ferroviario o simili) uccidesse c o n t e m p o r a n e a m e n t e me e mia madre, in modo da risparmiarci ulteriori dolori. Adesso io sento la necessità di lasciare, almeno per un certo tempo, gli studi filologici. L’unico lavoro che forse terminerò è un commento scolastico alle Baccanti di Euripide che, tanto per guadagnare qualche cosa, mi ero impegnato a fare per Vallecchi2. Ma, pur cessando di lavorare io, non cesserò di leggere i lavori degli altri, e innanzi tutto il tuo articolo enniano, che spero di ricevere tra poco. Ad agea <st>longa avevo pensato per un momento anch’io, alcuni anni fa3. Ma mentre latus risale a stlatus, longus non pare che sia mai stato *stlongus: almeno Ernout e Meillet e Walde-Hofmann, col confronto del got. laggs e forse dell’irlandese long (che però forse è un latinismo) risalgono a un originario *longhos o *dlonghos. Supporre in Ennio un falso arcaismo per analogia di stlatus è possibile, ma mi pare poco prudente. Nel mio articolo, oltre alle congetture del Valmaggi e del Maurenbrecher, avrei dovuto ricordare anche Vahlen1: et longa repletur agea. Tuttavia anch’essa mi lascia dubbioso. Partendo dal testo di Osberno, avevo anche supposto: multa foro ponunt<ur> ageoque ecc., ma è poco probabile. Vedi tu che cosa ti sembra meglio. Grazie di nuovo anche a nome della mia mamma e saluti affettuosi dal tuo Sebastiano Timpanaro Vd. lett. precedente. T. non porterà a termine questo progetto (vd. lett. 132), a cui peraltro dovette continuare a lavorare (vd. lett. 128, 131). 3 Si riferisce a Enn. ann., 492 V.2, su cui vd. lett. 120. 1 2 295 1231 Pesaro, 30. 12. 1949 Carissimo, grazie della tua lettera2. Ti sono vicino col pensiero e ti prego di farti coraggio. Billanovich mi ha scritto giorni fa di chiederti se saresti disposto a collaborare alla collezione di testi umanistici svizzera («Thesaurus Mundi», buona), da lui diretta. Naturalmente mi risponderai quando ne avrai voglia (puoi rispondere eventualmente anche a lui entro metà gennaio a Padova, viale Cavalletto 26). Quel verso di agea è veramente terribile3. Per semplice e per ora privata comunicazione, ti dirò che una volta pensai anche a lasciar tutto così: Multa foro ponit et ageā: longa repletur | <Navis>4. Ageā abl. come foro. L’unica vera difficoltà è forse che longa sembra ottimo aggettivo per agea. Ma sono molto incerto. Ti saluto affettuosamente e ti abbraccio. Il tuo Scevola M. 1 2 3 4 Cartolina postale. Vd. lett. precedente. Enn. ann., 492 V.2, su cui vd. lett. 120. Nel marg. inferiore M. annota: «Io non so che ci siano esempi di longa = longa navis». 296 124 Pisa, 5. 1. 1950 Carissimo Mariotti, ringrazio Billanovich e te per l’invito1; ma – a parte il fatto che per ora non ho voglia di lavorare – io di letteratura umanistica non mi sono mai occupato, e quindi non posso accettare l’invito. La tua proposta di leggere: et agea: longa repletur | <navis>2 non mi persuade interamente (appunto perché, come noti tu stesso, longa sta troppo bene con agea), e tuttavia ammiro ancora una volta la tua straordinaria acutezza. Certo l’ipotesi è degnissima di esser pubblicata, e spero che la inserirai nei tuoi Adversaria Enniana. (Longa = longa navis non si trova; l’integrazione <navis> è quindi necessaria). Alcuni mesi fa Skutsch mi mandò un riassunto di una sua comunicazione su Ennio, pubblicato nei «Proceedings of the Classical Association», vol. XLVI3. L’ha mandato anche a te? Ricevetti anche da R.P. Oliver un articolo New fragments of latin authors in Perotti’s Cornucopiae («Transactions of the Amer. Assoc.» 1974, p. 376 sgg.)4. L’Oliver esamina parecchi ‘nuovi frammenti’ di Plauto, Sallustio e anche di Ennio citati dal Perotti, e propende a crederli almeno in parte autentici. Senonché i frammenti plautini non tornano metricamente, e si vede subito che sono ‘pseudosenarii’ come quelli delle commedie umanistiche; e allora anche i sallustiani e gli enniani saranno falsi. Del resto, il più lungo degli enniani, che l’Oliver dichiarava quasi certamente genuino, è invece un passo dell’Eneide. Insomma si tratta di un articolo assai infelice. Vuoi che te lo mandi? Quest’anno insegno all’Avviamento di Marina, 7 ore sole. Avrei potuto avere di meglio, ma preferii questo posto per poter assistere meglio mio padre. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro 1 2 3 4 Vd. lett. precedente. Enn. ann., 492 V.2, su cui vd. lett. 120. Vd. anche lett. 176. Vd. lett. seguente e inoltre lett. 126, 128, 132, 134. 297 1251 Pesaro, 23. 1. 1950 Carissimo, se mi manderai per pochi giorni quell’articolo sulla Cornucopia, al quale mi aveva già accennato Billanovich, mi farai una cosa graditissima2. Io vado in cerca di ‘senari’ umanistici per un articolo, già scritto e spedito, ma non ancora prossimo ad uscire (in una rivista portoghese «Humanitas», dove c’è del buono e del cattivo), su una commedia giovanile del Petrarca di cui ci sono alcune testimonianze e un frammento3. Un caso del genere è in Anth. Lat. 922 (fra i componimenti «di cui alcuni antichi» secondo il Riese, riportati da codici perduti o inesistenti dal Barth (XVII sec.))4. Ti ricopio quei versi, attribuiti ad Apuleio: principium vitae obitus meditatio est. non vult emendari peccare nesciens. immoderata ira fructus est insaniae. pecuniam amico credens est damnum duplex: argentum et sodalem perdidit simul. 5 Così i codd. secondo il Barth, tranne che strictus al v. 3 (fructus Barth). Le varie correzioni tentate sono naturalmente vane. Sarà forse giusto al v. 4 credens f e r t del Burman ( c r e d e r e est Barth, che quindi forse si serviva davvero di un codice). Che si tratti di pseudosenari è evidente soprattutto dal v. 1. Ti dico questo solo per cronaca, tanto più che ci debbo ripensare prima di aggiungere questa ed altre cosette sulle bozze. Ora una proposta enniana, su un passo di cui discutemmo tempo fa5. Sc. 236, a cui ho ripensato un sacco di volte. Nam cui quod agat institutumst, i n s i s t i ( i n i l l i s codd. pler.) negotium, ecc. Insistere negotium già in Plaut. Mil. 925 (o giù di lì), e poi ancora in Cicerone ecc. Ossia ‘colui che ha stabilito di dedicarsi con zelo all’affare che faccia (che voglia fare)’. Ti pare che faccia difficoltà il duplice passivo? A me, per ora, non sembra, tanto più Nel marg. superiore M. scrive: «Scusa la fretta e la pessima scrittura». Si tratta dell’articolo di R.P. Oliver di cui T. parla nella lett. precedente (vd.) e tornerà a parlare nelle successive. 3 Vd. S. M., La ‘Philologia’ del Petrarca, «Humanitas», 3, 1950-51, pp. 191-206 (rist. in SMU, pp. 115-30; SMU 2 e SMU 3, pp. 143-58). 4 Ibid., p. 155, nota 29. 5 Riprende qui un dialogo iniziato a lett. 28 (vd.). 1 2 298 che ci sentirei una qualche influenza di costrutti (anche più diffusi in arcaico che nel classico) come coeptum est insisti negotium. Paleograficamente non molto difficile: letto in non è stato capito ſiſti da cui si è ricavato illis. Nota la forte allitterazione. Ma aspetto un tuo giudizio. Ora vorrei darti una seccatura, ma tu mi dirai se ti senti, specie in questo momento, di accettarla. Siccome avevo saputo di una prossima 2a ed. di Nevio del Marmorale (La Nuova Italia)6, gli proposi di comunicargli qualche proposta (sai che la 1a ed. è pessima). Mi ha risposto proponendomi di fare queste proposte (qualcuna delle quali già conosci) in un articolo per la sua rivista7. Poiché dovrei farlo in pochi giorni, avresti voglia di dargli una letta (possibilmente severa) e farmi un paio di riscontri? So di chiederti molto, e te ne domando scusa. Cerco di captare la tua benevolenza dicendoti che c’è una questione che riguarda anche Ennio. Un’altra cosa. Penso che, quando avrai in parte superato il periodo di grande dolore che purtroppo ti ha colpito, non ti farebbe male cercare di distrarti. Se (p. es. in primavera, o quando preferisci) accetti di venire per una settimana, o più, a Pesaro, mi farai una cosa v e r a m e n t e gradita. Così, potremo chiacchierare a lungo di molte cose, e io ti spiegherò in quell’occasione perché non ci siamo visti prima d’ora a Firenze. Sarei felice se tu accettassi. Ho comunicato a Billanovich la tua risposta per il «Thesaurus Mundi»8 (e anche il tuo giudizio su quell’articolo americano). Mi pare che tempo fa mi chiedesti di indicarti qualcosa di un articolo del Niedermann (su quis is?)9. Non mi pare di avertelo detto. Ti serve ancora? Grazie del giornale pisano che mi mandasti. Ti sono sempre fraternamente vicino. Ti abbraccio con affetto. Scevola Mariotti Marmorale, Naevius poeta (cit. lett. 95). L’articolo non uscì nel «Giornale italiano di filologia», la rivista fondata da Marmorale, ma negli «Studi Urbinati»: si tratta di S. M., Contributi al testo dei frammenti scenici di Nevio, «StudUrb(B)», 24, 1950, pp. 174-90, ripubblicato con modifiche anche sostanziali in appendice a BP, pp. 129-44. 8 Vd. lett. precedente. 9 Vd. lett. 116. 6 7 299 126 <gennaio-febbraio, 1950>1 Carissimo Mariotti, ti ho spedito stamattina l’articolo di Oliver sul Perotti2. Non avere nessuna fretta di rispedirmelo, ché per ora non mi serve. L’Oliver, come vedrai, cerca di togliere importanza all’esame metrico dei frammenti adducendo il modo di citare ‘saltuario’ del Perotti (p. 378 n. 5 e p. 393); ma che tutte le volte il Perotti abbia omesso delle parole senza che ciò sia rivelato dal senso, è impossibile. Io credo che basti leggere frammenti come il 9 (p. 418) dii deaeque omnes tantam nobis laetitiam o il 10 animadverto hominem subalbidum, tremulum o l’11 is cum in herum animadvertisset gravius ecc. ecc. per accorgersi che si tratta di pseudosenarii, molti dei quali son fatti assai peggio di quelli dell’Anth. Lat. da te opportunamente citati. Perciò i frammenti plautini citati soltanto dal Perotti sono falsi, e ciò toglie attendibilità anche ai frammenti sallustiani ed enniani; del resto uno degli enniani, il 1o a pag. 412 dell’articolo di Oliver, non è altro che Verg. Aen. 12, 903. Se il Perotti è, come l’Oliver sostiene, incapace di aver commesso un falso, si può supporre che egli abbia attinto in buona fede i frammenti dalla parte ora perduta del De orthographia di Caecilius Minutianus Apuleius: vedi Oliver p. 380 n. 13, e cfr. il 2° articolo enniano di Skutsch3. L’Oliver, al quale scrissi ciò quest’estate, mi rispose ringraziandomi per avergli indicato che quel frammento citato come enniano è dell’Eneide ma sulla questione degli pseudosenari non si pronunziò. Mandami senz’altro l’articolo neviano4, che leggerò con molto piacere. Spero (ma non ne sono affatto sicuro) che il Marmorale sia in grado di apprezzare il valore dei tuoi contributi. Bello insisti in Sc. 2365 (per il passivo si può citare p. es. retrahi potestur)6: tuttavia ho l’impressione che, se si scrive insisti, divenga un po’ superfluo il quod agat; l’espressione cui quod agat institutumst negotium sta benissimo da sé, e l’aggiunta di insisti piuttosto che giovare la danneggia. Perciò forse La data è da collocare tra il 23 gennaio 1950, quando M. chiede l’invio dell’articolo dell’Oliver (vd. lett. precedente), e il 6 febbraio quando egli dichiara di averlo ricevuto (vd. lett. seguente). 2 Vd. lett. 124. 3 Si riferisce a Enniana II (cit. lett. 80). 4 Vd. lett. precedente. 5 Vd. lett. 28. 6 Enn. ann., 611 V.2, su cui vd. lett. 62. 1 300 sempre meglio il tuo precedente in animo7, sebbene insisti abbia il vantaggio di partire da in illis e non da in illo. Ti ringrazio molto dell’estratto: ho riletto con piacere i tuoi Adversaria8. Le tue congetture a Liv. Andr. Odyss. fr. 8 e trag. inc. 214 sono da accettare senz’altro. Qualche dubbio mi rimane per ollis in Liv. Andr. trag. 28. È vero che della tragedia arcaica ci rimane troppo poco, ma dà da pensare il fatto che anche altri arcaismi si trovano solo nell’epos e non nella tragedia: p. es. il genitivo singolare in -as (attestato in Liv. Andr. Od., Naev. Bell. Poen., Enn. Ann., ma non nelle tragedie di questi tre autori né dei seguenti), nox = noctu. Quanto all’articolo del Niedermann, ti confesso che non mi ricordo più che cosa ti chiesi9. Forse si trattava della famosa Aegritudo Perdicae su cui ci arrabbattammo tanto l’anno scorso10. Ma non te ne dar pensiero. Ho ricevuto da Fraenkel una recensione al Servio harvardiano11, di cui mi pare che tu ti occupassi. Vuoi che te la mandi? Coi più affettuosi saluti, e ringraziandoti ancora per la tua fraterna solidarietà Sebastiano Timpanaro Vd. lett. 34. M., Adversaria philologa I (cit. lett. 5). 9 Vd. lett. precedente. 10 Sull’Aegritudo vd. lett. 73-5, 104-6, 108-11, 113-8. 11 Pubblicata in «JRS», 38, 1948, pp. 131-43; 39, 1949, pp. 145-54 (= Kleine Beiträge zur klassischen Philologie, Roma 1964, II, pp. 339-90). A proposito della recensione vd. lett. 103. 7 8 301 1271 Pesaro, 6. 2. 1950 Carissimo, poiché, per sopravvenute complicazioni, tarderò ancora alcuni giorni a mandarti l’articolo neviano2, ti rispondo intanto brevemente su Sc. 2363. Senza dubbio la tua obiezione al mio insisti ‘trifft das Recht’. Io leggerei perciò ora, convinto come sono che insistere negotium c’entri qui in qualche modo: Nam cui quod agat institutumst, i n s i s t i t negotium: Id agit <id>studet, ibi mentem atque animum delectat suum. Cioè: ‘Infatti chi ha stabilito cos’ha da fare, si dedica al (suo) affare: quello fa, a quello si applica con amore, in quello distrae (svaga) la mente e l’animo’. Ho ricevuto l’articolo dell’Oliver4, del quale ti ringrazio e che ti rimanderò presto. Per il momento non mandarmi la recensione del Fraenkel5 (che mi dicono essere una decisiva stroncatura), dato che ho troppe cose da fare e mi sento sempre più pigro. Grazie anche di questo. Insieme con l’articolo su Nevio, ti manderò anche quella recensione del Niedermann6, che del resto non dice niente di eccezionale. Aspetto con grande desiderio che tu mi faccia prevedere prossima una tua venuta qua. Affettuosi saluti dal tuo Scevola M. 1 2 3 4 5 6 Cartolina postale. Vd. lett. 125. Vd. lett. 28. M. risponde alla lett. precedente. Vd. lett. 124. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 114. 302 1281 [Pisa, 12. 2. 1950]2 Carissimo Mariotti, ti confesso che neanche insistit negotium3 mi soddisfa pienamente, pur essendo molto ingegnosa. Ma io ragionerei così: se noi trascuriamo † in illis †, abbiamo: nam cui quod agat institutumst negotium, id agit, <id> studet ecc. Questo è un periodo che torna benissimo: qualsiasi congettura che lo alteri o lo spezzi in due (come fai tu con insistit negotium, dopo il quale devi mettere due punti) è perciò da respingere. Da questo punto di vista, l’unica proposta buona è il tuo in animo4, e io lo preferisco pur sempre alle tue proposte successive, sebbene parta da in illo e non da in illis. Io sto cercando di finire al più presto, per levarmelo di torno e poi riposarmi, il commento scolastico alle Baccanti5. A proposito, tu ti sei mai occupato di questa tragedia? Hai in serbo qualche congettura anche ad essa? Ci sono molti passi che avrebbero bisogno del tuo intervento. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. La data si legge chiaramente nel timbro postale solo per il giorno (12), meno per il mese, ma che si tratti di febbraio non vi è dubbio considerato che questa cartolina risponde alla lettera precedente datata con sicurezza 6 febbraio. Il luogo invece risulta con chiarezza dal timbro postale. 3 Enn. scaen., 236 V.2, su cui vd. lett. 28. 4 Vd. lett. 34. 5 Vd. lett. 122. 1 2 303 1291 Pesaro, 19. 2. 1950 Carissimo, certo per Sc. 2362 non hai tutti i torti; ma sta di fatto che, partendo dall’unione di quod agat con negotium, non si riesce a trovare niente di persuasivo (anche in animo infatti va incontro alla nota difficoltà)3, e allora, mi pare, si è autorizzati, almeno in via esplorativa, a tentare qualcos’altro. Per questo non rinuncerei ancora ad insistit. La questione di Ann. 5674 si arricchisce di un fatto nuovo. A rigore di metodo, io credo che quel frammento vada assegnato allo Scipio, finché non troveremo esempi sicuri di cretico eliso in poesia esametrica di tono alto5. Dunque huic = Scipioni (l’uguaglianza sarebbe naturalmente possibile o probabile, ma non altrettanto certa, negli Annales). Ora a questo passo allude certo, mi sembra, Hor. carm. 4, 8, 13 sgg.: non incisa notis marmora publicis (statue qui di marmo, ma la cosa non ha importanza; cfr. 3, 30, 1 aere perennius) … non le gesta di Scipione [io salverei il v. 17, convinto che la spiegazione data p. es. da Tescari ad l. e da lui ritenuta poco probabile sia invece possibilissima in un poeta alessandrino] eius … clarius indicant laudes quam Calabrae Pierides. Resta la domanda: in 3, 30 Orazio ha direttamente avuto presente Ennio? A me parrebbe di sì. Ha raffinato ed elevato l’espressione enniana6; ha battuto sul motivo dell’eternità, non presente, c r e d o , in Pindaro (di cui conosco solo, col motivo della statua, Nem. 4, 80 sg. e 5, 1 sgg.) e f o r s e presente in Ennio (cfr. Ann. 411-13, su cui mi scrivesti le tue osservazioni tempo fa)7. Bisognerebbe sapere se questo confronto statua-poesia c’è altrove, oltre che in Pindaro, in poesia greca. Come ti dissi, mi sto persuadendo che la prima punica era omessa da Ennio con rinvio a Nevio8. Un’omissione (ben più limitata e diversa) con rinvio ad altra opera storica in Liv. 45, 25, 3. Affettuosi saluti dal tuo Scevola M. Cartolina postale. Vd. lett. 28. M. risponde alla lett. precedente. 3 Vd. lett. 34. 4 Vd. lett. 62. 5 Nel marg. inferiore M. aggiunge: «Cfr. anche quantam statuam in Scipio, v. 1». 6 Nel marg. inferiore M. aggiunge: «Sembra proprio che voglia dare lezioni di bello stile ad Ennio nel v. 1». 7 Vd. lett. 78. 8 Vd. lett. 109. 1 2 304 130 Pisa, 26. 2. 1950 Carissimo Mariotti, prima che me ne dimentichi, vorrei pregarti, se non l’hai già fatto, di mandare un estratto dei tuoi Adversaria1 a Otto Skutsch (62, South Park Road, Cheadle, Cheshire, England). Altri studiosi a cui certo esso interesserebbe sono H. Fränkel (552 Alvarado Row, Stanford, California, USA), W. H. Friedrich (Am Goldgraben 13, Göttingen, 20b) ed Ed. Fraenkel (Corpus Christi College, Oxford)2. Per Ann. 5673, o t t i m o il confronto con Orazio. Ma proprio l’allusione di Orazio mi fa pensare che il verso appartenga agli Annali piuttosto che allo Scipio. I lettori di Orazio avranno certamente pensato agli Annali. L’argomento metrico con cui tu vorresti attribuire il frammento allo Scipio è forse ‘ipermetodico’4. Skutsch lo approverà senz’altro, ma io collocherei ancora il frammento negli Annali in base al principio che esametri citati senza indicazione di opera vanno assegnati agli Annali a meno che non ci siano f o r t i ragioni in contrario. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro Vd. lett. 126. In nota si aggiunge: «anche W. Morel - 517, Huddersfield Road, Halifax, Yorkshire, England». 3 Vd. lett. 62. T. risponde alla lett. precedente. 4 In nota T. aggiunge: «E poi, anche gli esametri dello Scipio erano epicizzanti, non ‘satirici’». 1 2 305 131 11. 3. 1950 Carissimo Timpanaro, ti ringrazio molto degl’indirizzi1. Ho spedito a tutti l’estratto; l’avevo anzi già spedito ad E. Fraenkel e a Skutsch, al quale ultimo ti pregherei di comunicare il mio desiderio (se e quando gli scrivi) di ricevere in cambio la nota enniana a cui tu mi accennasti2. Ho visto la tua nota su Livio Andronico in «Paideia»3. Ripensando alla questione di quel frammento, mi è venuto qualche dubbio, sebbene la tua congettura mi sembra sempre degnissima di considerazione. Che cosa vuol dire audivi abeuntis? ‘Li sentii andarsene’, non ‘li sentii (parlare così) mentre se ne andavano’. La corrispondenza coll’originale è quindi un po’ compromessa, anche perché precede un discorso e l’espressione ‘così parlarono’ oppure ‘così detto’ è in casi del genere normale. Col che, ripeto, non nego che tu possa aver ragione. In favore della tua congettura anche l’allitterazione audivi abeuntis (cfr. Naev. ambae abeuntes)4. L’altra volta non ti risposi sulle Baccanti 5. So, purtroppo, poco di tragedia greca e sono sicuro che, se anche tentassi una lettura attenta della tragedia, non ne caverei nulla. Attendo invece con molto interesse la tua edizione, da cui imparerò certo moltissime cose. Se proprio credessi di segnalarmi qualche passo controverso, s’intende riassumendomi lo status quaestionis (ho, oltre tutto, edizioni da quattro soldi), naturalmente ci penserei anch’io; ma la situazione è, purtroppo, quella che ti ho detto. Enn. Ann. 4836 – Preferirei ut con Isidoro. Ut (= utinam) può avvicinarsi benissimo a dum (= purché): i lessici citano esempi di Terenzio (cfr. modo ut). Quintiliano citerà a memoria banalizzando. Cfr. Cole, Quintilian’s Quotations from the Latin Poets, in «Class. Rev.» 20, 1906, 47 sgg., che però conosco solo indirettamente e non so quindi se si occupi anche di questo passo. Mi trovo ad avere doppio il Glossarium biblicum codicis Augiensis CCXLVIII, ed. Labhardt, Neuchâtel-Paris 1948 (è un testo che ha qualche 1 2 3 4 5 6 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 124. T., Nota di latino arcaico (cit. lett. 90). Naev. carm., fr. 4 Mor. = 2 Mar. Vd. lett. 128, a cui M. aveva risposto con la lett. 129. Vd. lett. seguente e 134. 306 interesse per il tardo latino volgare). Se non l’hai e ti fa piacere averlo, te lo mando senz’altro. Naturalmente non preoccuparti del ricambio, che potrà avvenire quando ti capiti di avere un doppione che m’interessi (cioè anche mai). Ti saluto con fraterno affetto. Il tuo Scevola M. 307 132 Pisa, 14. 3. 1950 Carissimo Mariotti, quanto alle Baccanti, essendomi accorto che non ne veniva fuori niente di buono, ho mandato al diavolo tutto quanto e ho scritto a Ronconi pregandolo di accettare la mia rinunzia1. Di Euripide voglio continuare ad occuparmi ma, per ora, senza pubblicare niente. Quanto a quel frammento di Livio Andronico2, anch’io intendo audivi abeuntis = ‘li sentii andarsene’, non ‘li sentii (parlar così) mentre se ne andavano’. Le parole stesse dei Ciclopi fanno capire a Ulisse che essi se ne vanno, avendo frainteso il nome Οὔτις. Tuttavia riconosco che la congettura non è del tutto sicura. Forse sono stato un po’ troppo frettoloso nello scartare fantis di Bergfeld, che può darsi sia da preferire al mio abeuntis. Le altre congetture mi paiono insostenibili. Scrivimi ancora il tuo parere: accettare fantis? Enn. Ann. 4833 – Giustissimo. Anch’io, in quel rifacimento dell’edizione Valmaggi che poi non pubblicai4, avevo preferito ut, intendendolo però non come = utinam, ma come un ut stipulativum (= ‘a condizione che’, ‘a patto che’: vd. Schmalz-Hofmann p. 761, che cita per es. Plauto Asin. 718 licet laudem Fortunam, tamen ut ne Salutem culpem). Ti ringrazio della citazione dell’articolo del Cole5, che non conoscevo e che vedrò. Un’inezia: Nevio trag. 136 forse non ᴗ  ́ ᴗ  ́ numquam hódie effugies quín mea | manú moriare (e tanto meno numquam hodie effugies quín mea moriarís manu), ma un unico verso reiziano (= dimetro giambico + reiziano, come nella famosa scena dell’Aulularia): numquam hódie effúgies quín meá ⁞ manú moriáre). Anche la situazione pare simile alla scena dell’Aulularia. Avevo già scritto a Skutsch che ti mandasse la nota enniana7. Se non l’hai ancora ricevuta, avvertimi: siccome è brevissima te la posso benissimo Vd. lett. 122. Il discorso era proseguito nella lett. 128 e nella precedente, a cui T. risponde. 2 Carm. fr. 24 Mor. = 16 Mar.1 = 13 Mar.2, su cui vd. lett. 90. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. 55. 5 Vd. lett. precedente. 6 Vd. lett. 134-5, 138. 7 Vd. lett. precedente. 1 308 copiare a macchina. Ti ringrazio di tutto cuore per il Glossarium biblicum8. Non come ricambio, ma come minimo segno di ringraziamento ti puoi tenere l’articolo di Oliver sul Perotti9, perché ne ho ricevuto giorni fa da Oliver un’altra copia (nella quale ha cancellato il frammento ‘enniano’ che appartiene invece all’Eneide). Fraterni saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro 8 9 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 124. 309 1331 [Pisa, 22. 3. 1950]2 Carissimo Mariotti, ti ringrazio di nuovo del Glossario biblico3, che ho ricevuto alcuni giorni fa. Che ne pensi di Ann. 340-424? Ancora non ci siamo, perché si quando (o quando = cum, se si legge  ́ veluti quando) non può andare con solet, e inoltre solet non si coordina con ciò che segue. Canes per solet di Fuchs è comodo ma evidentemente arbitrario. Anche feras plurale non va, nonostante Vahlen: ci vorrebbe un singolare (θηρός Omero, e sempre il singolare in similitudini virgiliane ecc. analoghe; Festo enuncia una definizione generica). Forse: Veluti … velox apta silet (iam Turnebus), <sed aprum> si forte ex nare sagaci | sensit, voce sua nictit ululatque ibi acuta: ‘come quando una cagna ecc. tace, ma se per caso sente ecc., allora (ibi) guaisce e abbaia’5. Scusa la pessima scrittura. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. Nel timbro postale si leggono con chiarezza il luogo, il giorno e l’anno, mentre il mese si ricava dall’allusione all’invio del Glossario biblico a cui si fa cenno nella lettera precedente. 3 Vd. lett. 131-2. 4 Vd. lett. 134-5, 140-1, 144-8. 5 In nota T. aggiunge: «Ma aspetto che tu mi proponga qualcosa di meglio». 1 2 310 1341 [Pesaro], 25. 3. 19502 Carissimo, scusa la brevità della risposta, che è dovuta alla fretta unita al desiderio di non tardare. Grazie dell’Oliver3, che va benissimo anche come ricambio. Naev. trag. 134: ottima la tua scansione, sempre naturalmente nei limiti della probabilità e non un’«inezia», perché si tratta del primo esempio probabile di versus reizianus latino, anteriore a Plauto, che perciò lo trovava già in Nevio. Poiché la scansione si collega bene con una parte dell’articolo neviano che ti manderò presto, al solito fine di non disperdere questi contributi, potrei citarlo, se credi (non so se nel testo o in nota)5. Enn. Ann. 340 sgg.6 – Ci ho pensato ancora poco, e te ne riscriverò. Ti dirò quello che annotai dopo aver letto quanto scrivesti in proposito nel tuo primo articolo enniano7. Bene senz’altro [si]; integrare prima forse <tum> (cfr. Ann. 514) (<tum> o <ac> Timpanaro); intenderei quando non = cum ma = aliquando, sebbene mi manchino sul momento esempi di quest’uguaglianza senza che precedano si ecc. (ma ci saranno senz’altro, cfr. il caso di quis per aliquis). Per (ali)quando … solet non dovrebbero esserci difficoltà. Mi viene in mente l’ariostesco famoso «Come soglion talor dui can mordenti» ecc.8. Sarà proprio da escludere un asindeto (come se si mettessero (quasi) due punti dopo solet)? Certo però, in base a quello che dici, <feras> non va. Alcune brutte proposte del momento: per evitare l’asindeto, solet, <quae, āprum> si …; oppure semplicemente solēt, <āprum> (o solet, <praedam>?). Āprum non mi fa paura, malgrado la nota di Skutsch, che ho ricevuta9 (cfr. 320 āgri, 474 nīgrum10, che non so come Skutsch spieghi). Cartolina postale. Il luogo si ricava dal timbro postale. 3 Vd. lett. 124. 4 Vd. lett. 132. 5 Vd. lett. 141 e cfr. M., Contributi al testo dei frammenti scenici di Nevio (cit. lett. 125), p. 181, nota 21 (e BP, p. 136, nota 20). 6 Vd. lett. precedente. 7 T., Per una nuova edizione, I (cit. lett. 8), pp. 73-4. 8 L. Ariosto, Orlando furioso, 2, 5. 9 Vd. lett. 132. 10 Vd. lett. 176 e 610. 1 2 311 Che ne è della stampa del tuo articolo sull’Odyssia vetus11? Mi pare che si presenti un corollario di qualche interesse, che forse e se lo crederai opportuno potrebbe essere accennato in nota o postilla. Te ne scriverò. D’accordo su Ann. 48312: io volevo dire pressappoco la stessa cosa, ma lo dicevo meno propriamente e comunque in ritardo. Affettuosi saluti dal tuo Scevola M. 11 12 Vd. lett. seguente. Vd. lett. 131. 312 135 <Pisa, marzo-aprile, 1950>1 Carissimo Mariotti, accetto naturalmente la tua proposta di citazione della scansione di Naev. trag. 132 come versus reizianus, e te ne ringrazio. Il fatto che la situazione pare simile a quella della scena dell’Aulularia (scena movimentata, minacce) è forse una conferma, se si pensa che per gli antichi ogni metro aveva il suo ἦθος. La tesi di Fraenkel, che Plauto attinse dalla tragedia romana la metrica dei suoi cantica, avrebbe un nuovo esempio a suo favore. Naturalmente però, anche ammessa la mia scansione, resta incerto se già Nevio usò il versus reizianus κατὰ στίχον oppure se si tratti di un versus reizianus isolato, come ce n’è già nei tragici greci (p. es. Sofocle Ai. 408 πᾶς δὲ στρατὸς δίπαλτος ἄν | με χειρὶ φονεύοι: altri esempi citano Wilamowitz, Verskunst, p. 403 e Pasquali, Preistoria ecc. p. 41)3. Enn. Ann. 340 sgg.4 – Pensai anch’io un tempo di risolvere il problema intendendo quando = aliquando: nel qual caso si potrebbe anche ammettere l’asindeto, cioè i due punti che tu proponi dopo solet, e accettare il tuo solet, <quae aprum> o solet, <praedam>, che sarebbero ottimi. Senonché il male è che di quando = aliquando senza che preceda si ecc. non si trova, per quanto possa parere strano, nessun esempio. Inutile dire che hai ragione quanto alla legittimità di āprum; lo Skutsch, con magnifica disinvoltura, dice che āgri non conta perché il frammento è corrotto (mentre corrotta sarà, caso mai, la sola parola dentefabres) e nīgrum è citato da Servio genericamente e quindi poteva essere ātrum! Inutilmente cercai l’anno scorso di persuaderlo che questi erano sofismi. Dell’articolo sull’Odyssia vetus5 ho purtroppo già corretto le prime bozze, suscitando proteste della tipografia per le troppe correzioni extratipografiche. Se il tuo «corollario» non potesse essere formulato brevissimamente, Questa lettera, che risponde alla precedente, è da collocare fra il 25 marzo (data della lettera precedente) e il 6 aprile (data della seguente). 2 Vd. lett. 132. 3 U. von Wilamowitz-Moellendorff, Griechische Verskunst, Berlin 1921 (rist. Darmstadt 1975); G. Pasquali, Preistoria della poesia romana, Firenze 1936 (rist. con un saggio introduttivo di S. Timpanaro, Firenze 1981). 4 Vd. lett. 133. 5 T., Note a Livio Andronico (cit. lett. 46). Sul problema degli esametri andronichei e l’Odyssia vetus vd. lett. 66. 1 313 sarebbe forse meglio che lo sviluppassi in un articoletto a parte; ad ogni modo aspetto di conoscerlo con vivo interesse. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro 314 136 6. 4. 1950 Carissimo Timpanaro, ti mando, sotto forma di abbozzo di noterella, il «corollario» di cui ti parlai1. Mi interessano naturalmente molto le tue reazioni ed eventuali suggerimenti. In particolare vorrei pregarti (e ti faccio le scuse del caso) di dare un’occhiata al Morel, che ho citato sempre indirettamente attraverso il Lenchantin; e m’interesserebbe di sapere cosa ne pensa del fr. 392, e cosa ne pensi anche tu. Il Lenchantin, che s e m b r a contrario all’appartenenza ad Andronico, ma in conclusione è incerto, nota fra l’altro: «negat Leo p. 31 navem Ulixis iure lintrem appellari posse; licuit tamen Livio fractae navis tabulam, qua ad litus Ulixes appulisset, lintrem dicere, h. e. cymbam ex asseribus vel ex cavata arbore quae prope ad similitudinem ratis accederet». Non mi persuade. Forse un motivo contro l’appartenenza ad Andronico è anche che non si avrebbe la dieresi dopo la seconda arsi del dim. giamb. catal. Ma questo forse l’avrà già notato il Leo. Ti dispiacerebbe anche di vedere se alla nota 8 si può citare p. es. lo Schmid-Stählin? La notizia sui papiri l’ho ricavata da Gallavotti-Ronconi, La lingua omerica3. Indicami anche per favore la rivista (ed eventualmente il titolo) dove esce la tua nota4. Enn. Ann. 344 sgg.5 – Silet è certo ben trovato; ma mi pare che la comparazione risulti un po’ sforzata, per colpa del quando: è curioso cominciare con un ‘ c o m e q u a n d o … t a c e ( t a c e s ì , m a s e … )’, mentre il quando dovrebbe introdurre logicamente soltanto nictit ecc. Non so se mi sono spiegato. Se silet fosse tramandato, naturalmente la cosa sarebbe diversa. Io tenterei ora: – veluti [si] q u o n d a m … solet, < ā p r u m > (vel <praedam>) eqs. Quondam = ‘talvolta’, come in Cicerone e Virgilio. Ma sono incerto. Fa qualche difficoltà l’inserzione di una parola (o due) fra solet e si, che allitterano, tanto più che questa parola sarebbe in posizione non normale. È proprio assolutamente da escludere forte <feras>? Certo le parole di Festo Vd. le due lett. precedenti. Il ms. allegato alla lett. non è conservato e non è stato pubblicato a parte da M., ma compreso in LA, pp. 76 sgg. = LA2, pp. 56 sgg. 2 In realtà si tratta del fr. 42 Mor. (vd. lett. 139), su cui vd. lett. seguente, 138 e 140 e cfr. LA, pp. 78-9 = LA2, pp. 57-8. 3 C. Gallavotti-A. Ronconi, La lingua omerica, Bari 1948. 4 Si riferisce a T., Note a Livio Andronico (cit. lett. 46), di cui alla lett. precedente. 5 Vd. lett. 80. 1 315 non dicono nulla a favore di <feras>, malgrado Vahlen, ma Omero ancora non basterebbe; ma mi dici che il sing. c’è anche altrove. Liv. Andr. Od. fr. 24 Mor.6 – Non so se i motivi addotti dal Leo (e a me ignoti) contro le altre ricostruzioni partenti da Hom. Od. 16, 92 ἦ μάλα μευ καταδάπτετ᾽ ἀκούοντος φίλον ἦτορ, varrebbero anche contro questa: <quae dixtis> quoniam audivi, pa<r>u<m> eis͡ gavisi. Cosa ne penseresti? Naturalmente parum eis gavisi colon reiziano, e parum detto con un certo tono d’ironia che non starebbe male in quel punto in bocca a Ulisse. Certo è che l’idea di u d i r e è espressa in greco in 16, 92, non in 9, 413. Ottima la tua osservazione che i versi reiziani dell’Aulularia sono in una scena movimentata come in Nevio7. Scusa, al solito, la cattiva scrittura. Molti cordiali auguri e un’affettuosa stretta di mano dal tuo Scevola M. PS. ‒ Ti prego di rimandarmi l’unito ms., naturalmente con comodo, non avendo altre copie. 6 7 Vd. lett. 90. Vd. lett. precedente. 316 137 Pisa, 9. 4. 1950 Carissimo Mariotti, ti ringrazio molto di avermi mandato la tua bellissima noterella1. Dovrai purtroppo aspettare una settimana, perché la biblioteca della Normale è chiusa per riordinamento fino al 15, mentre l’Universitaria è anch’essa inaccessibile a causa dello sciopero degli studenti e della conseguente serrata dell’Università, che si prolunga più del previsto. Ma appena una delle due si riaprirà (cioè al più tardi il 15) farò le verifiche che desideri. Ti dico intanto fin d’ora che la tua nota è ottima. Certo, sarebbe stato ancora meglio se anche i tre esametri 25, 32, 352 fossero stati citati da Prisciano con indicazione di libro: ma non si può pretendere troppo dalla sorte, e anche così il tuo ragionamento è perfettamente persuasivo e stringente. L’unico punto su cui non sono del tutto sicuro è che il fr. 393 sia di Tito Livio. Non ho visto il Leo (che purtroppo qui non c’è e a Firenze è stato rubato), ma a me sembra che: 1) per il contenuto, si tratta di mare e di navigazione, cioè di un argomento ‘odisseico’ per eccellenza. Non capisco perché non possa esser detta linter la zattera, o anche la nave di Ulisse: non si trova tante volte nei poeti, a cominciare da Ennio (Ann. 385, 497), ratis = navis?; 2) per la metrica, la dieresi dopo la 2a arsi si ottiene facilmente scandendo ᴗ  ́ ᴗ  ́ iam in áltum | expúlsa líntre (p. es. <validís ventís> iam ecc. [validi venti spesso in Lucrezio], oppure <longe ábs terrá> iam ecc.). Per l’iato tra i due membri del saturnio confronta virum mihi Camena | insece versutum. Con ciò io non voglio affatto sostenere che il frammento è di Livio Andronico: dico solo che vi sono uguali probabilità a favore di Livio Andronico e di Tito Livio. Livio Andronico quoniam audivi ecc.4 – Difficoltà grammaticali contro il tuo parum eis non ce ne sono; anche paleograficamente la congettura è molto buona. Però io non riesco a giustificare un parum gavisi in luogo di dolui o simili. Nelle parole di Ulisse non c’è ironia, c’è partecipazione affettuosa al dolore di Telemaco: sarebbe molto strano che egli invece di dire (come dice nel testo greco) ‘mi dolgo’ dicesse ‘mi rallegro poco’. Rimango 1 2 3 4 Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Vd. lett. 66. Cioè il fr. 42 Morel. Vd. lett. precedente e seguente e inoltre 140. Carm. fr. 24 Mor. = 16 Mar.1 = 13 Mar.2, su cui vd. lett. 90. 317 convinto che si tratta di 9, 413, non di 16, 92; e credo che, se abeuntis non soddisfa, il meglio sia accettare fantis (sebbene neppure esso sia l’ideale). Enn. Ann. 3445 – La tua obiezione contro silet è giusta, il quondam molto acuto. Forse al verso seguente apta solet: <cervum> si forte ecc.: cfr. Aen. 12, 749-51 inclusum veluti si quando flumine nactus | cervum aut puniceae saeptum formidine pennae | venator cursu canis et latratibus instat. D’altra parte questo passo appoggerebbe il veluti si quando dei codici. Sono ancora molto incerto. Ann. 1676 – Il Keller nell’edizione di Acrone (vol. II Lipsia 1904, posteriore al Vahlen) tramanda: bellum | aequis de manibus nox intempesta diremit. Se davvero i codici hanno il de (converrà verificare), credo che bisognerà conservarlo come temporale (cfr. de subito, de improviso, ecc.). E allora non è improbabile che l’arcaismo duellum che si trova nel passo di Orazio (epist. 2, 2, 98) in fin di verso (cfr. Enn. Ann. 559) fosse già in Ennio: … duellum | aequis de manibus ecc. La mia nota sugli ‘esametri di Livio Andronico’ insieme ad altre dovrebbe uscire nel prossimo fascicolo degli «Ann. della Scuola Normale»7: dico d o v r e b b e perché ieri il Vannini, dopo che già avevo corretto anche le 2e bozze, ha incominciato a prospettarmi un nuovo rinvio al prossimo numero, per far posto ad altri articoli scritti molto tempo dopo il mio (che risale ad oltre due anni fa!). Ho protestato energicamente (è già la terza volta che me lo rimandano al prossimo fascicolo!) ma credo che le mie proteste gioveranno poco. Ciò che è seccante, con questi ritardi, è che quando uno si vede arrivare le bozze di un articolo scritto due anni prima vorrebbe modificare tante cose, anzi rifare tutto da capo, il che non è possibile. Il tuo articolo neviano e quello enniano a che punto sono? Spero di riceverli tra breve8. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro 5 6 7 8 Vd. lett. 80. Vd. lett. 138-41. Vd. lett. 135. Vd. lett. seguente. 318 138 Pesaro, 12. 4. 1950 Carissimo Timpanaro, ti ringrazio di tutto cuore per la gentile premura a proposito della mia noterella1; ti prego di scusarmi e di non darti troppa pena. Ti sono grato delle osservazioni che intanto mi fai. Che contro l’attribuzione ad Andronico2 si possano portare motivi metrici, è dunque, come tu giustamente noti, da escludere. Per il momento penserei di esprimermi nel testo dubbiosamente e aggiungere in nota come elementi in favore di Tito Livio i seguenti: 1) expello nel senso di ‘spingere in mare’ e simm. è di uso raro. Ora, come risulta nel Thes. (V 2, 1637, 64 sgg.), proprio l’espressione ‘in altum expellere un’imbarcazione’ si ritrova solo in T. Liv. 41, 3, 2 naves i n a l t u m expellunt. 2) L’Odyssia di Andronico sembra una traduzione molto letterale, fin dove si può giudicare con sicurezza. Ora una sistemazione convincente di questo frammento non si trova, o almeno non sembra trovarsi. Lenchantin cita Hom. Od. 12, 401 e 403 (403 ἀλλ᾽ ὅτε δὴ τὴν νῆσον ἐλείπομεν) e d’altra parte 5, 219. In quest’ultimo caso linter andrebbe senza dubbio bene; ma, se si guarda il contesto, non pare che stia a posto un’espressione come ‘essendo g i à stata spinta (essendo g i à giunta) in alto mare la zattera …’ – che cosa seguiva? Si aspetterebbe, mi pare, ‘avvenne questo e questo’, mentre Omero dice che Ulisse sedeva al timone e guidava la zattera secondo i consigli di Calipso, ecc. D’altronde 12, 403 andrebbe bene, ma mi rimane ancora il dubbio che il Leo potesse aver ragione: i lessici che ho a disposizione non segnalano un uso traslato di linter = navis, mentre lo indicano naturalmente per ratis. Ma forse tutto questo secondo argomento è discutibile. Quando vai in biblioteca, potresti dare un’occhiata generica, per mezzo dell’indice del Keil, alle citazioni di Prisciano da T. Livio? Se lo cita spesso e soprattutto, di solito, col numero di libro come nel nostro caso, sarebbe… buon segno. Andron. fr. 24 M.3 – Io pensavo ad un’ironia amara di Ulisse, più che altro verso la propria situazione. Parum pressappoco col tono di parum sane: ‘poco davvero ne godetti’, cioè ‘molto ne soffersi (ne soffro)’. Lui è lì sconosciuto, e parrebbe che la situazione della sua famiglia non dovesse 1 2 3 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Sul frammento 42 Mor. di Andronico (escluso dall’ed. di M.) vd. lett. 136. Vd. lett. 90. 319 interessargli, mentre è proprio il contrario di quanto Eumeo e Telemaco possono pensare. Perciò non rinuncerei ancora del tutto alla mia proposta, pur riconoscendo il valore della tua obiezione. Ti prego di dirmi ancora cosa ne pensi. Enn. Ann. 3444 – La questione si complica, e ti confesso che ci capisco sempre meno. Certo, <cervum> è meglio di tutto quanto abbiamo pensato finora, che perciò cade senz’altro. Mi resta solo, come ti dissi, lo scrupolo, superabile, di introdurre una parola non allitterante fra due allitteranti (e una parola nella posizione non più normale). Dopo il tuo giustissimo rinvio a Verg. Aen. 12, 749 sgg., bisognerà pur decidersi: o véluti si quando … † solet, o – veluti quondam … solet. Non ho il coraggio di preferire né l’una né l’altra soluzione. Contro la prima vale l’obiezione metrica (forse in sé non definitiva) e anche la difficoltà di correggere solet; contro la seconda, la forte analogia virgiliana. Nel primo caso, avevo pensato più che dubbiosamente a salit [nel qual caso si poteva leggere con te – veluti [si] quando (= cum)]. ‘Come quando (o come se talvolta) il cane da caccia salta, se ha fiutato un cervo: allora nictit ecc.’; ma se il cane salti in queste situazioni non so, e la frase, per via dell’ibi, rimane assai contorta (ma forse si potrà sentire l’inciso <cervum> … sensit come ἀπὸ κοινοῦ rispetto a salit e nictit ululatque?). Vedi se ti riesce di mettere un po’ d’ordine in questa confusione! Ann. 1675 – Confesso di non capir bene. Come può aequis de manibus essere un’espressione temporale? Trovando aequis manibus, si penserebbe subito, mi pare, a locuzione m o d a l e , non temporale; e poi in de subito ecc. c’è il solo abl. di un aggettivo. Certo, se è tramandato de, conviene ripensarci. Naev. Eq. Troi.6 – Ho trovato purtroppo, per puro caso, la scansione del frammento come versus reizianus, sfuggita agli studiosi di Nevio, in Lindsay, Early Latin Verse, p. 279, n. 27: «Is the solitary fragment of Naevius’ Equus Troianus a Versus Reizianus? Numquam hodie effugies quin manu || mea moriare». Come vedi, il Lindsay traspone tacite (per svista o consulto?) manu mea per mea manu, evidentemente da conservare. Citerò però il tuo acuto confronto con la scena dell’Aulularia. L’articolo neviano spero di mandartelo fra poco tempo; quello enniano temo che tarderà di più8, perché bisogna che mi rimetta a lavorare al De sermone del Pontano, avendo 4 5 6 7 8 Vd. lett. 80. Vd. lett. precedente. Su Naev. trag., 13 R.3 vd. lett. seguente e inoltre lett. 132. Lindsay, Early Latin Verse (cit. lett. 17). Vd. lett. precedente. 320 il mio collaboratore (Sergio Lupi)9 finito la sua parte dell’edizione critica, mentre l’editore fa fretta10. Avrai ricevuto una cartolina da Gradara11 (creduta sede dell’episodio di Paolo e Francesca) firmata abusivamente da molta gente che non conosci. Non te ne meravigliarai, naturalmente, perché in casi di gite ben riuscite succede che tutti si sentono amici di tutti… Non so se ti ho detto che Marmorale mi ha raccomandato di cercar di non mettere nell’articolo neviano12 parole greche per ragioni tipografiche: si tratta di una rivista di filologia classica!! Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola M. Sul germanista pesarese Sergio Lupi (1908-1978) vd. L. Forte, In memoria di Sergio Lupi, «SOliv», 19-20, 1971-72, pp. 139 sgg.; Giornata celebrativa in ricordo di Sergio Lupi, Macerata 1990. 10 Vd. lett. 41. 11 Vd. il postscriptum della lett. seguente. 12 Vd. lett. 125. 9 321 139 Pisa, 17. 4. 1950 Carissimo Mariotti, ti rimando la tua nota1. Ho confrontato i frammenti di Andronico nel Morel. Il fr. iam in altum expulsa lintre porta il numero 42 (n o n 3 9 ). A questo frammento il Morel annota: «T. Livio Patavino dedit Luc. Mue(ller). Sed sive huius sive antiquissimi poetae est, numerus VI utique corruptus. Contulerunt, ut potissimos laudem, cum μ 401 Havet (cfr. 403), cum ε 297 Zander. Sed neque navem neque ratem Ulixis apte lintrem appellari posse monet Leo p. 31, 7. V. Tolkiehn [Festschrift O. Schade, da me già altra volta cercato invano] p. 292». In realtà linter è propriamente una barchetta scavata in un tronco d’albero (cfr. RE s.v.; Liv. 21, 26, 8) e quindi non ha torto il Leo di negare che possa significare ‘zattera’. Resta il dubbio che Livio Andronico abbia usato la parola genericamente nel senso di n a v e , ma certo esempi di quest’uso mancano. Perciò, tutto sommato, propenderei anch’io per Tito Livio, tenuto conto anche del fatto che, come mi fai osservare, navem in altum expellunt ricorre in Livio 41, 3, 2. Quanto alla nota 8, nello Schmid-Stählin non ho trovato, cosa strana, niente che faccia al caso tuo. Ma puoi invece citare Pasquali, Storia della tradizione, p. 2172 (da cui avranno attinto Gallavotti e Ronconi). Scrive Pasquali: «Quegli stessi papiri del primo ellenismo che presentano tanti versi aggiunti, non hanno per quel che si può giudicare, divisione di libri; dal 150 a. C. in poi troviamo quella stessa divisione che ora è canonica [In nota cita Wilamowitz, Ilias u. Homer 32 n. 2; Bolling, «Am. Journal» 42, 1921, 258]. È certo ch’essa fu introdotta da un grammatico alessandrino, se pure si può dubitare se costui sia Zenodoto, Aristofane o Aristarco, il che a noi qui poco importa [Nella nota 4 confuta un argomento del Wilamowitz a favore di Zenodoto, citando Bethe, Homer II2, p. vi sgg.]». Scrivimi se hai bisogno di altre citazioni. Enn. Ann. 3443 – È davvero un frammento terribile! Sarei quasi tentato di lasciar tutto come è nel Vahlen, soltanto con <cervum> invece di <feras> (e, s’intende, anche ululat … acuta, cfr. ὀξέα κεκληγώς: in Festo bisogna scrivere, con alcune vecchie edizioni, unde et (ms. et unde) ipsa gannitio, cfr. Paolo Diacono). Quindi: vĕ́lŭtī si quando … solet: <cervum> si forte Vd. lett. 136. T. risponde anzitutto a quanto gli era stato richiesto da M. nella lett. 136 e poi alla lett. precedente. 2 Pasquali, Storia della tradizione (cit. lett. 33). 3 Vd. lett. 80. 1 322 ecc., supponendo che siquando fosse sentito ormai come equivalente ad interdum, e perciò compatibile con solet. Che te ne pare? Certo ibi è correlativo a si (s e sente, a l l o r a abbaia …): cfr. Ter. Andr. 379, Sall. Iug. 58, 3. Correggendo solet in salit, mi pare che questa correlazione si … ibi venga spezzata; o sbaglio? E ad ogni modo adesso ho l’impressione che solet non vada toccato. Ann. 1674 – La tua osservazione è giusta: il de è difficilmente spiegabile. Ci ripenserò. Naev. equ. Troi.5 – Per fortuna ti sei accorto in tempo che l’ipotesi del verso reiziano era già nel Lindsay Early Latin Verse6; ti ringrazio. Liv. Andr. fr. 247 – Qui confesso di non essere ancora convinto. Ho l’impressione (ma posso sbagliarmi) che spiegare il parum gavisi come amara ironia ecc. sia fare dello psicologismo. Andronico leggeva in Omero: ἦ μάλα μευ καταδάπτετ᾿ ἀκούοντος φίλον ἦτορ: è credibile che egli, invece di tradurre p. es. haec quoniam audivi, cor mi valde doluit (cfr. Ulixi cor frixit prae pavore) o qualcosa di simile, abbia voluto aggiungere al testo omerico una punta ironica? A me pare difficile. Inoltre scrivendo <quae díxtis> quóniam audívi mancherebbe la dieresi dopo la 2a arsi (quantunque si possa ribattere che la dieresi c’è se si tiene conto dell’elisione: quoni’ || audivi: su questo argomento perciò non insisto, tanto più che c’è nexabant mult(a) inter se). Ho letto in «Paideia» la tua risposta al Colonna8: ottima, interessantissima dal punto di vista metodologico; anche per frixusque coloremque hai ragione contro Paladini. L’unico punto su cui non mi sentirei d’accordo è la preferenza da te data a superimponant (a p. 27, riga 27 ti hanno stampato superimponant invece di -as)9. Il passaggio tu erige … superimponant mi pare duro: dalla 2a persona erige, sottolineata dal tu in posizione iniziale, si passerebbe a una 3a persona con soggetto indeterminato (le ancelle?). Credo piuttosto che superimponas appartenga a Virgilio, mentre superimponant sarà correzione di un lettore che intese erroneamente viri come nominativo plurale anziché come genitivo: ‘t u innalza il rogo e g l i u o m i n i vi mettono sopra le armi ecc.’. L’erronea interpretazione di viri fu facilitata da passi simili dell’Eneide in cui viri è nominativo-vocativo plurale: 2, 668 a r m a v i r i ferte arma; 7, 443 sg. cura t i b i divom effigies Vd. lett. 137. Vd. lett. precedente. 6 Lindsay, Early Latin Verse (cit. lett. 17). 7 Vd. lett. 90. 8 M., Ancora di varianti d’autore (cit. lett. 99). 9 In Aen., 4, 497. Vd. lett. seguente e inoltre lett. 148, 150, 152-3 e cfr. S. T., Scevola Mariotti, «Belfagor», 48, 1993, pp. 271-326, a pp. 322-3. 4 5 323 … tueri: | b e l l a v i r i pacemque gerant. Nota qui la contrapposizione tibi (‘a te, donna’) … viri. Un’analoga contrapposizione tra tu e viri nel nostro passo credette di scorgere anche il lettore, il quale da questa sua falsa interpretazione fu perciò indotto a cambiare superimponas in -ant. Che te ne pare? Resta ad ogni modo accertato che è assurdo supporre una variante d’autore, come tu hai giustamente sostenuto. Scusa la chiacchierata troppo lunga. Ma soltanto quando converso con te di cose filologiche dimentico, sia pure per breve tempo, i pensieri tristi. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Grazie della cartolina da Gradara10. 10 Non conservata. Vd. lett. precedente. 324 140 Pesaro, 24. 4. 1950 Carissimo Timpanaro, ti sono infinitamente grato delle preziose comunicazioni fattemi a proposito della noterella su Andronico1. So di continuare ad approfittare della tua bontà inviandoti, come ho fatto ier l’altro, i ‘contributi’ neviani2; ma ormai, data la strettezza della nostra collaborazione filologica, anche le scuse, pur necessarie, sento di doverle ridurre al minimo. A proposito di Andronico: sono molto contento che anche tu propenda per T. Livio per il fr. 39 Mor.3 (avevo scritto 42 per errore, perché all’ultimo momento mi ero accorto di dover dire una parola anche sul 42, sulla cui appartenenza a T. Livio non credo ragionevoli i dubbi)4. Grazie della citazione di Pasquali, che non avevo pensato di guardare. A proposito di Nevio: scusami lo stato turbinoso in cui ti mando il ms. Ma, se l’avessi ricopiato, non solo avrei perduto altro tempo, ma avrei voluto certamente cambiare e ricambiare, in modo che la situazione sarebbe rimasta immutata. S’intende che gradisco da te soprattutto le critiche. Ti pregherei di dare un’occhiata ai passi di Nonio nell’edizione Lindsay, che questa volta purtroppo non ho potuto vedere direttamente, in particolare a proposito di Naev. trag. 115 (dove il contesto ed altre eventuali citazioni di manubiae potrebbero cambiare la situazione; e poi, sebbene la cosa non interessi direttamente la mia piuttosto ardita tesi, desidererei sapere chi ha espunto manus in manus exuviae [[manus] anche Deicke in Th. l. L. s. v. manubiae]) e di trag. 266, dove non sono sicuro che la scansione ott. troc. + sett. troc. (con inlicīte) sia dell’Onions7. Ancora: a p. 5 ti pare il caso di proporre is multat o sarà meglio tacere8? Quanto alla nota anti-Colonna in «Paideia», sono lieto del tuo accordo, Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Si tratta dell’articolo neviano menzionato nelle lett. 126-7, 134, 138; vd. lett. seguente. 3 Vd. lett. 136-8. 4 M. commette curiosamente ancora lo stesso errore di numerazione correttogli da T. nella lett. precedente: il fr. di cui avevano discusso sinora era appunto il 42 e non il 39 Mor.; probabilmente quello a cui ora accenna come 42 è il 45 Morel, visto che il 39 non è da attribuire a Livio bensì a Nevio (38 Mariotti). 5 Vd. lett. seguente. 6 Vd. lett. seguente e 147. 7 Vd. lett. seguente e 147. 8 Su tutti questi quesiti ed altro ancora vd. lett. seguente. 1 2 325 di cui non dubitavo per la sostanza9. La tua difesa di superimponas10 mi pare molto acuta, e in realtà io ero più dubbioso di quanto sembrasse: la ‘ragion polemica’ mi ha spinto a preferire -nant, perché chi partisse dal punto di vista di Funaioli e Colonna (variante d’autore) non poteva, dal punto di vista metodico, obiettarmi nulla. Poiché la tua spiegazione dell’errore superimponant è senza dubbio migliore di quella del Sabbadini ed è benissimo appoggiata dai passi che citi, perché non fai in proposito un ‘varietà’ per «Paideia»? Non ti mancherebbe naturalmente il modo di ricordare altri curiosi errori d’interpretazione antichi, con imprevisti legamenti di parole, nell’Eneide. Chi sarebbero stati poi questi viri per il lettore che corresse? Soldati cartaginesi? Liv. Andr. fr. 2411 – La tua obiezione contro il mio parum gavisi e conseguente riferimento a Od. 16, 96 è persuasiva, e credo che non si possa fare a meno di tornare a 9, 413. Proporrei ora: <haéce> (<haec dícta>?) quoniam audivi, plurimum ei͡ s gavisi. Ossia pl<ur>i<m>u<m> eis: scrittura pl’iũeif (per scritture come pl’es = plures ecc., del resto normali, cfr. Cappelli)12: li13 > a; o anche, ma forse meno probabile, p<lur>u<m>u<m> per scambio fra u ed a. Plurimi all’inizio del 2o colon nel fr. 7. Non saprei scegliere con sicurezza fra <haece> e <haec dicta>; forse haece, seguito a poca distanza da eis, dà noia? Ti prego di dirmi il tuo parere. Ann. 340 sgg.14 – Quanto a <cervum> si, mi rimane ancora qualche dubbio per le ragioni che ti dissi. Certo, peggiore per la cesura, sarebbe si <cervum> forte. Oppure si forte <feram sua͡ > ex nare sagaci?? Cfr. suo͡ s Ann. 22115; la ripetizione sŭā al v. sg. non mi pare faccia difficoltà. Resta la questione più grossa, veluti si quando. La tua conservazione, intendendo si quando = interdum, non mi pare molto persuasiva. Come si sostiene si quando = interdum nell’età di Ennio? E più ancora, veluti si quando ha un valore preciso nelle comparazioni (cfr. il passo di Virgilio da te citato). La soluzione per cui propenderei in questo momento sarebbe veluti [si] quando intendendo quando = aliquando malgrado la mancanza di esempi senza si ecc. Può aver agito l’analogia di quis; e poi confronterei (?) il caso di qui avv. = πως. Se non sono troppo poco documentato, qui in proposizioni principali e senza altre parole a cui in qualche modo si leghi M., Ancora di varianti d’autore (cit. lett. 99). In Verg. Aen., 4, 497; vd. lett. precedente. 11 Vd. lett. 90. La proposta avanzata qui è quella poi proposta dubitosamente in LA, p. 98 (fr. 16) = LA2, p. 72 (fr. 13). 12 A. Cappelli, Dizionario di abbreviature latine e italiane, Milano 1929, p. 274. 13 Nell’interlinea M. spiega: «(ossia u)». 14 Vd. lett. 133. 15 Vd. lett. 53. 9 10 326 (hercle, edepol ecc.) rimane solo in certe formule: qui te Iuppiter perduit!, que illi di irati e simm., evidentemente arcaiche e rimaste nella lingua popolare (cfr. Cic. Att. 4, 7, 1), cioè era una forma antica che non ha più avuto forza di entrare in nuove espressioni. Non potrebbe essere lo stesso di quando = ‘qualche volta’? L’unico esempio dell’uso antico resterebbe in Ennio. Non so se mi sono espresso chiaramente né se la cosa è un po’ persuasiva. Ann. 16716 – Proporrei qualcosa come: <Romanus pugnat valide Samnisque,> duellum17 | aequis dum (đ o simm. > de) manibus nox intempesta diremit. Cosa ne diresti? Come vedi, la mia lettera è più lunga della tua; e, se ti fa piacere di conversare con me di cose filologiche, il mio non è certo minore. Un affettuoso saluto dal tuo Scevola Mariotti PS. ‒ Ancora su Ann. 340 sgg.18 – Sul contesto festino, certo unde et per et unde può andare; ma mi pare che Paolo non garantisca con sicurezza questa lezione, perché può aver sostituito et ad ipsa (o aver letto il testo corrotto, e rabberciato da et unde ipsa ricavando unde et). D’altronde siamo d’accordo per acuta ed è giustissimo il tuo rinvio ad Omero (cfr. anche raucum Ann. 520). Niente può valere per acute il passo del Gloss. Abav. cit. (non a questo scopo) da Lindsay2 ad l. (nictit canis cum a c u t e gannit), ma potrebbe anche darsi che in un suo testo di Festo il grammatico avesse letto acute. Perché io penserei alla possibilità di leggere in Festo … acuta» [et] unde ipsa gannitio, pensando che ad acuta fosse stato soprascritto un e e per spiegare l’uso avverbiale. Cioè: acuta unde19 ipsa > acuta et unde ipsa. Credo che potrebbe decidere solo un esame dell’usus di Festo: se cioè in casi del genere dice unde ipse o unde et ipse (e in genere se preferisce et ipse o ipse). Vd. lett. 137. «ma s’intende che duellum starebbe meglio in apparato» è aggiunto nell’interlinea. 18 Vd. sopra. e 19 Nel marg. inferiore M. aggiunge: «Nota che, se era scritto acuta unde, la successione eun- poteva benissimo far nascere per errore etun-». 16 17 327 141 Pisa, 28. 4. 1950 Carissimo Mariotti, ti ringrazio dell’articolo neviano e dell’estratto del Niedermann1. Quest’ultimo te lo rimanderò tra pochi giorni. Ti rimando ora l’articolo neviano, che è, come al solito, ottimo2. Molti passi, su cui gli studiosi precedenti, me compreso, si erano scervellati inutilmente, sono stati da te sistemati in modo persuasivo e, in molti casi, definitivo. Ecco le mie impressioni particolari: p. 1, trag. 113 – B e n i s s i m o ; la tua tesi, benché ardita, è metodicamente ineccepibile. Nonio cita s o l o q u e s t o f r a m m e n t o d i N e v i o sotto il lemma manubias. Lindsay non fa parola, nemmeno nell’apparato, dell’espunzione di [manus]: vedrò (ancora non ne ho avuto il tempo) l’edizione di L. Müller. trag. 164 – Benissimo. A favore di in portum non so se sia stato già citato Plaut. Stich. 369 i n p o r t u m vento secundo, v e l o p a s s o pervenit. trag. 265 – Giusto. Sebbene con dispiacere, riconosco che si deve rinunziare a ridurre il frammento in senari. Lindsay attribuisce ad Onions inlicīte 6, non esplicitamente la scansione ottonario + settenario. Vedrò anche qui L. Müller (l’edizione di Onions non c’è). trag. 40 – Giusto. Non escluderei del tutto la soluzione del Warmington7 da te citata nella nota 11: per la fin di verso tĭmō ś păvō ś (coppia di sinonimi in asindeto, strettamente uniti) si potrebbe confrontare Enn. Sc. 340 parat putat. Tuttavia è buon metodo preferire la tua scansione. trag. 41 – B e n i s s i m o . trag. 498 – I d e m . A proposito di trag. 20 (cfr. la tua nota 17): non sarà piuttosto vi, quaeque ecc. o anche meglio  ́ ᴗ ílli quoque ecc. (o  ́ illi vi,  ́ ᴗ ii vi)? Che da un ii sia sorto addirittura lib. II mi pare più difficile. com. 11 – B e n e . Qualcuno obietterà che in Plauto c’è sempre volup est, Si tratta della recensione cui M. accenna alla lett. 127. Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Delle osservazioni e proposte qui avanzate da T. c’è traccia nell’articolo a stampa. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. seguente. 5 Vd. lett. precedente. 6 Vd. lett. precedente e 147. 7 Warmington, Remains of Old Latin (cit. lett. 12). 8 Vd. lett. 96. 1 2 328 non mai il solo volup. Ma io credo che tu abbia ragione, data la rapidità del dialogo. com. 269 – È possibile; e tuttavia io preferirei illi ipse astat: ‘A lui… fa da cameriere lui stesso’10. Intenderei cioè press’a poco come il Warmington11, ma illi ipse mi par meglio di ille ipsi. Dopo illi bisogna immaginare una sospensione: l’ascoltatore si aspetta pauci, o unus (servus), e invece ecco l’ἀπροσδόκητον: ipse. com. 32 – Benissimo; anche is multat mi pare degno di essere proposto, sia pur dubitativamente. com. 41 sg. – Benissimo. com. 9012 – È escluso che nulla mulier nota possa voler dire ‘nessuna donna conosciuta’ (nota = quae quidem nota sit)? A me sembra di no. E allora, espungendo soltanto l’et dopo morigera e accettando da te <mulier suo marito>, leggerei: nec nimis erit morigera nota quisquam <mulier suo marito>. Il nota aggiunge una punta maliziosa: ce ne saranno, ma nessuno riuscirà mai a conoscerle; ‘che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa’. [PS. Ab nata quisquam mulier ‘nessuna donna al mondo’?]. com. 126 – Benissimo. Molto interessante anche dal punto di vista linguistico l’osservazione su rētritum. Come vedi, tranne su com. 26 e 90 (e anche qui può darsi che abbia ragione tu), sono pienamente d’accordo su tutto il resto. Liv. Andr. fr. 2413 – La tua congettura è plausibile e, pur senza rinunziare definitivamente per ora (ma ci ripenserò) ad abeuntis, non ho nulla da obiettare contro di essa. Ann. 34014 – Hai probabilmente ragione contro si quando = interdum. D’altra parte attribuire a quando il valore di aliquando, valore che risulta dall’espunzione di si (cioè da una congettura) mi pare arrischiato15. Per ora non vedo alcuna soluzione soddisfacente. Ann. 16716 – Il tuo dum è molto acuto e, se davvero i codici hanno de e se non troveremo una spiegazione soddisfacente di questo de, sarà da accettare certamente la tua congettura. Vd. lett. seguente, 269-70. In nota: «Cioè non ha nemmeno un servo, e quindi è egli servo di sé stesso». 11 Warmington, Remains of Old Latin (cit. lett. 12). 12 Vd. le due lettere seguenti. 13 Vd. lett. 90. 14 Vd. lett. 133. 15 In nota: «nonostante le tue giuste considerazioni sulla maggiore estensione dell’uso di qui = aliquo modo nel latino arcaico». 16 Vd. lett. 137. 9 10 329 Mi permetto di inviarti un abbozzo di nota oraziana su cui vorrei sapere il tuo parere, senza alcuna fretta17. Varr. Men. fr. 49818 – quod leges iubent non faciunt; δὸς καὶ λαβὲ fervit omnino. Così Bücheler; ma è tramandato non faciunt faciant. Dittografia? Dato lo stile di questi frammenti prosastici con tono di invettiva, tutto a base di ripetizioni, assonanze, allitterazioni (cfr. frr. 260, 259, 64, 333), non credo che faciant si debba espungere. In una nota all’articolo che uscirà negli «Annali»19, ho supposto dubitativamente quod leges iubent non faciunt <quod vetant> faciunt. Malissimo, come ora mi accorgo. Forse invece: quod leges iubent faciant, non faciunt (cioè la sola transposizione di faciant). Iubeo con ut o col semplice congiuntivo si trova, specialmente trattandosi di decreti, leggi ecc. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Il luogo preso in esame è Hor. epod., 5, 87. Se ne discute nella lett. seguente e nelle lett. 143, 146-8, 152. La nota non fu poi effettivamente pubblicata, essenzialmente per l’osservazione fatta da T. a lett. 152. 18 Vd. lett. seguente e 150. 19 T., Note a Livio Andronico (cit. lett. 46), p. 201, nota 2, e cfr. Note a testi latini. 1. Varrone, Menipp. fr. 498 Buecheler, «PP», 6, 1951, p. 129. Vd. lett. 173. 17 330 142 8. 5. 1950 Carissimo, ti sono infinitamente grato per la lettura, i controlli e in particolare i contributi1. Mi fa molto piacere di saperti d’accordo su quasi tutto. […] Benissimo il confronto di Naev. trag. 16 con Stich. 369, che non mi risulta fatto e naturalmente citerò2. Trag. 493. Il passaggio da ii a lib. II non mi pare molto difficile: ii preso per II e quindi (dopo il titolo dell’opera) aggiunto lib. Comunque le tue proposte non sono da scartare: quale dici di citare? – io citerei vi, quaque (cioè ui > l. ii > lib. ii), ma ti prego di dirmi cosa ne pensi – 4. Molto fine la tua proposta illi ipse con ἀπροσδόκητον in com. 265. Molto bene anche il nota = quae quidem nota sit in com. 906, credo. Sarebbe bene comunque pescare qualche esempio in espressione analoga di notus, che non conosco (ma in ogni caso non è da escludere). Se tu lo trovassi, sarò sempre in tempo a indicarlo7. A proposito di com. 30 avevo pensato a dim. cret. + reiz.: ét volo et véreor et facere ín prolúbio est, ma questa combinazione non mi risulta esistente. Se per caso ne sapessi qualcosa (senza però disturbarti a cercare), ti prego di dirmelo. Ottima la tua lettura di Varr. Men. 4988, che adotterei senz’altro. Non sei in tempo a correggere sulle bozze? Sulla nota oraziana, dotta e informata come sempre, mi rimangono dei dubbi9. A me pare che nessuno dei tuoi raffronti sia veramente probante. Si riferisce all’articolo neviano menzionato nella lett. precedente, a cui M. risponde. M., Contributi al testo dei frammenti scenici di Nevio (cit. lett. 125), p. 176, nota 4 (cfr. BP, p. 131). Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 96. 4 La risposta di T. nella lett. seguente dovette indurre M. a non menzionare questa proposta nel suo articolo (Contributi al testo dei frammenti scenici di Nevio, p. 180, nota 19 [cfr. BP, p. 135, nota 18]). 5 M., Contributi al testo dei frammenti scenici di Nevio (cit. lett. 125), pp. 184-5 (cfr. BP, pp. 136-7). Vd. lett. precedente. 6 Vd. lett. precedente e seguente e cfr. M., Contributi al testo dei frammenti scenici di Nevio (cit. lett. 125), pp. 188-9 (e BP, pp. 141-2). 7 L’opinione di T. è citata a stampa, senz’altra precisazione (vd. del resto lett. seguente). 8 Vd. lett. precedente. 9 T. aveva inviato un «abbozzo di nota oraziana» su epod. 5, 87 (vd. lett. precedente). 1 2 331 In Soph. Ant. 1108 mi pare si tratti, se si può dir così, di un’espressione polare ‘iperbolica’: ‘chi c’è e anche chi non c’è’ – o meglio di un’espressione stereotipa = ‘tutti’; in Eur. Phoen. 533 sgg. ἐσῆλθε κἀξῆλθε = ‘ci passò’; in Elvio Mancia e altri fas nefasque mi pare che arrivi a significare ‘ogni norma giuridica’, non di più (e nota che lì e in Tac. hist. 3, 51 fas precede). Ma intendere fas nefasque = nefas a me pare molto difficile. Non so se mi sono spiegato con chiarezza: semmai, sarei lieto di parlarne ancora ed eventualmente di darti ragione. Per ora preferirei, malgrado tutto, venena maga non di Haupt (per il tribraco cfr. epod. 2, 23 libét iacere módo ⁞ sub antiqua ílice). Mi pare che il senso torni meglio così, cioè più chiaramente e immediatamente, che con magica. Scusa la fretta. Alla prossima volta una comunicazione enniana. Un abbraccio affettuoso dal tuo Scevola M. 332 143 [12. 5. 1950]1 Carissimo Mariotti, quanto a Naev. trag. 492, hai perfettamente ragione: non mi ero accorto che, una volta compiuto il passaggio da ii a II, lib. può essere stato aggiunto. Perciò i quaque ecc. va benissimo, e sarei quasi del parere di rinunziare a vi. Esempi analoghi di notus per com. 903 non sono riuscito a trovarne né nel Forcellini, né nel Lex. Plaut. del Lodge4; cercherò ancora. Non sono nemmeno riuscito a trovare esempi di dimetro cretico + reiziano; certo questa combinazione, se pure esiste, dev’essere rarissima. E veniamo ad Orazio5. Innanzi tutto ti chiedo scusa di non averti detto che quella copia della mia nota la potevi tenere, avendone io un’altra, e mi dispiace che ti sia disturbato a fare una raccomandata inutilmente. Ammetto senz’altro che la mia interpretazione può non convincere; tuttavia a me essa pare ancora la meno cattiva tra quelle finora proposte. Ad accogliere venena maga non sarei restìo per le seguenti ragioni: 1) magnum leggeva già Porfirione. Si tratterebbe dunque di una corruttela antica. Ciò è certamente possibile, e tuttavia prima di supporre una corruttela antica p u r a m e n t e m e c c a n i c a (di un tipo, cioè, piuttosto medievale che antico) bisogna pensarci due volte; tanto più che, in un carme di argomento magico, maga sarebbe stata una lezione facilissima, e quindi l’errore improbabile; 2) nonostante epod. 2, 23, citato anche da Giarratano, è arrischiato introdurre per congettura una anomalia metrica; 3) in un carme magico, maga (come anche magica di Bentley) ha tutta l’aria di una zeppa6; 4) se almeno il senso tornasse davvero bene! ma a me venena non valent convertere fas nefasque sembra assai poco chiaro. In Virgilio, georg. 1, 505 ubi fas versum atque nefas significa ‘quando il lecito e l’illecito sono invertiti, quando non c’è più distinzione (o meglio, è capovolta la distinzione) tra lecito e illecito’: ma in questo senso non si può dire davvero che i vene- La data è stata apposta da M. ed è certamente quella della ricezione; di conseguenza precede cronologicamente la successiva di M. pure datata 12 maggio 1950. 2 Vd. lett. 96. T. risponde alla lett. precedente. 3 Per questa e la successiva affermazione vd. le domande di M. nella lett. precedente. 4 Lodge, Lexicon Plautinum (cit. lett. 55). 5 Vd. lett. 141. 6 In una nota a piè di pagina T. aggiunge: «Caso mai, sarebbe più nello stile di Orazio un aggettivo geografico, come venena Colcha in carm. 2, 13, 8. Ma il tentativo del Lenchantin, venena Marsum, è inaccettabile». 1 333 na non valent convertere fas nefasque, anzi bisognerebbe dire che valent convertere ecc. (difatti questo intese far dire a Orazio il Bentley con la sua correzione magica). Nella migliore delle ipotesi, bisogna ammettere che il senso non è molto chiaro. Mi pare quindi che ci siano ragioni sufficienti per scartare la congettura di Haupt. Quanto alle espressioni polari, senza dubbio i n o r i g i n e tutti e due i termini antitetici hanno la loro giustificazione, e quindi ὄντες καὶ ἀπόντες significherà ‘chi c’è e perfino chi non c’è’, e via dicendo. Senonché tali espressioni si vanno sempre più cristallizzando, così che uno dei due termini finisce coll’essere, dal punto di vista logico, del tutto superfluo. E io credo che già per Sofocle οἱ τ᾿ὄντες οἱ τ᾿ἀπόντες7 fosse un’espressione ormai stereotipata: cfr. Eur. Elettra 564: al vecchio che la esorta a ringraziare gli dei, Elettra dice: τί τῶν ἀπόντων ἢ τί τῶν ὄντων πέρι; così si arriva a espressioni come adversus omne fas nefasque trucidatus est di Elvio Mancia8. Qui a me pare chiaro che soltanto la tendenza a far seguire a un nome il suo contrario spiega l’aggiunta nefasque che è, logicamente, del tutto priva di senso: Mancia intendeva dire contra omne fas. È vero che in Mancia e in Tacito fas nefasque = fas, mentre in Orazio fas nefasque sarebbe = nefas (cioè, in Mancia e in Tacito il termine superfluo è il 2o, in Orazio sarebbe il 1o); ma non mancano esempi in cui, come in Orazio, il termine superfluo è il 1o: p. es. in Properzio 2, 4, 6 aequa et iniqua ferunt = iniqua ferunt, e del resto anche Tac. hist. 2, 56 in omne fas nefasque (= nefas) avidi. Del resto la formula ormai cristallizzata era fas nefasque; nefas fasque non sarebbe stato possibile. Insomma io credo che, a poco a poco, si sia finito col sentire fas nefasque come uguale a nefas. Non so se ti ho convinto, e naturalmente sarei lieto di abbandonare questa spiegazione se ce ne fosse una migliore. Ma non mi pare che ci sia; a venena maga non sono, per le ragioni che ho detto, decisamente contrario. Scrivimi ancora su questo punto. Ti rispedisco il Niedermann9, e di nuovo ti ringrazio di avermelo inviato. Aspetto con desiderio la comunicazione enniana che mi preannunci10. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro […] Soph. Ant., 1109. ORF 4 71, fr. 1 (Val. Max. 6, 2, 8) adversus omne fas ac nefas … a te equite Romano trucidatum. 9 Vd. lett. 141. 10 Vd. la fine della lett. precedente e 146. 7 8 334 1441 Pesaro, 12. 5. 1950 Carissimo, su Ann. 340 sgg.2 mi sto persuadendo che: 1) veluti si quando dev’essere lasciato. C’è in Virgilio (che ha normalizzato metricamente – oltre che per necessità, forse anche consulto – trasportando in altra sede del verso) e non è contrario all’uso di Ennio, sia per gli esempi degli Hedupagetica3, sia forse per Ann. 4904 e Sc. 4295: due esempi discutibili, siamo d’accordo (ma sul secondo non sarei d’accordo con la tua scansione, che obbliga ad ammettere due i consonantiche e una tesi ‘strappata’, -ra sed, cioè troppe anormalità insieme), ma è notevole che si abbiano due esametri (almeno apparenti) entrambi con la prima e solo con la prima arsi sciolta. In Sc. 429 noenu necesse mi pare che s’imponga. Tuttavia s’intende che argomenti fondamentali sono gli esametri degli Hedupagetica e anche l’inopportunità di correggere Ann. 3406; 2) <cervum> tuo va bene7; o forse <cervam>. Cfr. Vario, fr. 4 (p. 100) Mor.8: Ceu c a n i s umbrosam lustrans G o r t y n i a (femm. come in Ennio) vallem | s i veteris potuit c e r v a e comprendere lustra | saevit in a b s e n t e m (a b s e n s è la cerva anche in Ennio, non in Virgilio) et circum vestigia l a t r a n s (cfr. ululat e Virgilio, ma i codici hanno l u s t r a n s) | aethera per nitidum tenues sectatur odores | (cfr. n i c t i t ), | non amnes ecc.; 3) ora, se si potesse accomodare tutto cambiando in un solo punto, diverso da veluti si quando, credo che potremmo restare soddisfatti, almeno per il momento. E allora opterei per apta c a n e s di Fuchs, comunicato nel tuo secondo articolo, p. 779 (canis già Scaligero, Turnebo). Venator – canis più di una volta in Virgilio; bisognerebbe vedere se venaticus, -a sia usato mai sostantivato: a me non risulta. Canes forma arcaica e perciò più facile a corrompersi; forse il copista trovava coĩeſ, preso per coles o toles, donde solet (è un po’ sforzato, ma forse Cartolina postale. Vd. lett. 133. 3 Sugli Hedupagetica vd. lett. 61. 4 Vd. lett. 15. 5 Vd. lett. seguente. Non è chiaro però dove T. proponesse la scansione menzionata nel testo. Forse T., Per una nuova edizione, IV (cit. lett. 8), p. 47. 6 Su cui vd. lett. 133. 7 Vd. lett. 137. 8 In nota: «Sono riuscito a pescarlo». 9 T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8). Vd. Contributi1, pp. 648-9. 1 2 335 non da escludere). Dunque apta canes, <cervum (o -am)> si ecc. Cosa ne diresti? Forse bisognerebbe anche sapere se solet è comune in comparazioni (ut solet ... e simm.). Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti 336 145 Pisa, 16. 5. 1950 Carissimo Mariotti, ́ si quando quanto ad Ann. 340 sgg.1: 1) sono d’accordo quanto a vĕlŭtī (sebbene rimanga strano che Ennio non abbia preferito scrivere s i cut s i quando). Per Ann. 4902 ho ormai abbandonato la mia attribuzione ad una tragedia; su Sc. 4293 vorrei pensare ancora; 2) ottimo il confronto con Vario, che a me era completamente sfuggito, e che conferma <cervum> (o <cervam>); 3) la soluzione di Fuchs (canes) è comoda, ma a me continua a parere troppo arbitraria. Che canes sia «forma arcaica e perciò facile a corrompersi» non mi pare una ragione molto persuasiva: io direi che canes è facile a banalizzarsi in canis, ma niente di più. Da canes a solet il passo mi pare troppo lungo. Perciò (sia pure con esitazione, e in attesa di sentire di nuovo il tuo parere) sarei piuttosto incline a conservare solet e a considerare si quando … solet come una trascuratezza da imputarsi ad Ennio stesso, una specie di contaminazione tra veluti solet e veluti si quando … Ann. 1414 – Considero ancora la tua congettura post Antiocus quam come la migliore fra quelle finora proposte. Mi resta soltanto un dubbio: il frammento accennerebbe ad una narrazione abbastanza diffusa degli avvenimenti immediatamente seguenti all’assunzione al trono di Antioco III. È verosimile che Ennio si indugiasse a narrare tali avvenimenti? Livio fa menzione di Antioco per la 1a volta a proposito del suo trattato di alleanza con Filippo di Macedonia (31, 14, 5) stipulato nel 200 a. C., mentre Antioco era salito al trono nel 223 (cfr. Giannelli, La repubblica romana, p. 415)5. Mi sembra assai probabile che anche in Ennio Antioco entrasse in scena in occasione di questo trattato6, non prima. Perciò sarei tentato di ritornare ad uno dei sette re di Roma. E siccome i tentativi di ricavare da aut marcus Ancus Marcius sono stati da te giustamente scartati, proporrei: isque dies, post Tarquinius quam regna recepit. È una proposta che faccio in forma e s t r e m a m e n t e d u b i t a t i v a . Capisco bene che il passaggio da posttarquinius a postautmarcus non è agevole7, e che, dopo aver criticato Vd. lett. 133. T. risponde alla lett. precedente. Vd. lett. 15. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. 38. 5 Milano, 1937. 6 In nota T. scrive: «o addirittura della fuga di Annibale presso di lui (195)». 7 In nota T. aggiunge: «Forse post(t)arcuũ’, non capito e rabberciato in postāmarcuſ (? ? ? )». 1 2 337 Fuchs che vuol dedurre canes da solet, sto facendo qualcosa di simile! E non c’è dubbio che paleograficamente il tuo Antiocus è di molto preferibile. Tuttavia, se non erro, è pur sempre più probabile che Ennio parlasse del giorno seguente all’incoronazione di Tarquinio che del giorno seguente8 all’incoronazione di Antioco; cfr. anche Ann. 150 Tarquinio dedit imperium simul et sola regni. Il senso sarà stato forse press’a poco: isque dies ecc. | <consumptust epulis>. Ma aspetto una tua confutazione. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro PS. ‒ Ann. 141 è citato da Serv. Dan.: che ne pensano gli editori harvardiani? 8 In nota T. aggiunge: «o anche del giorno stesso». 338 146 19. 5. 1950 Carissimo, gli argomenti sul tappeto sono parecchi. Comincio, per non sembrare ... reticente, con la (forse) novità enniana1, certo però discutibile, e che avrei dovuto ancora attendere a comunicarti perché non ho fatto le sufficienti verifiche. Si tratta del famoso frammento della Tarentilla di Nevio2 in Isid. orig. 1, 26. Esso è dato in genere come di Nevio perché in Paul. Fest.3 è citato il verso Alii adnutat, alii adnictat, alium amat, alium tenet, che ha solo una parziale somiglianza con alcune parole di questo frammento. Il quale invece è tramandato da Isidoro come di Ennio, e, secondo me, invece delle molte correzioni (a cominciare da quella di Ennius in Naevius), ne richiede una sola4, a patto che lo si consideri come appartenente ad un passo lirico 1 giambico-trocaico. In breve leggerei: Ennius de quadam impudica: ... quasi 2 ín choro | píla ludens datatim dat sese atque (et codd.) communem facit.| 3 4 aliúm tenet alii adnútat, | álibi manus est occupata, ⁞ alii pervellit pedem, | 5 6 alií dat anulum spectandum (adsp- ?), ⁞ a labris alium invocat, | cum álio cantat, at tamen alii s<uo> dat digito litteras. Cioè settenari trocaici, con intercalati un dim. giamb. catal. e un ottonario giamb. (v. 5, a torto corretto: cfr. Enn. Sc. 222 sg.). Due iati in cesura (o dieresi). Niente di strano che Ennio riprendesse parzialmente (al v. 3) un motivo neviano. Mi resta da veder meglio quali esempi plautini si possano citare per il dim. giamb. intercalato fra settenari troc. (comunque metro t r o c . c a t a l . (v. 2) + metro g i a m b . c a t a l . (v. 3) + metro t r o c . (v. 4) non fa difficoltà). Avremmo così un altro passo comico di Ennio (azzardatissimo tentare riferimenti: la Caupuncula ricordando il tipo dell’ostessa come appare p. es. nella Copa pseudovirgiliana??). Sull’epodo oraziano, confesso di non essere ancora persuaso5. Non ti pare che espressioni polari in cui un termine sia sovrabbondante (e t a l o r a ‘assurdo’) debbano essere limitate a certi tipi, più ristretti possibile? Sembrano solo tipi del genere adversus (o in) fas nefasque, cioè con Vd. lett. 142-3. Naev. com., 75-9 R.3, su cui vd. le due lett. seguenti e cfr. S. M., s.v. Ennius, in Der kleine Pauly, II, 1979, col. 272. 3 P. 26, 15 L. 4 In nota: «A parte il s<uo> dell’ultimo verso». 5 Vd. lett. 141. 1 2 339 preposizione6; e nell’esempio di Tac. hist. 2, 56 il primo termine non è ‘assurdo’, ma solo superfluo; così in Prop. 2, 4, 6. Perciò esempi con primo termine ‘assurdo’ non mi pare che ci siano. Quanto alla limitazione dei ‘tipi’, mi pare che essa s’imponga. Sarebbe concepibile una frase come fas nefasque vitandum est (= nefas vitandum est)? A me pare di no, come una frase con venena, fas nefasque = venena, nefas. Quanto alle tue obiezioni contro maga, esse sono acute ed è il caso di non aver molta fiducia in maga. Tuttavia: 1) in maiuscola da MΛGΛN (maga non) a MAGNV il passo è breve! È vero che si tratta di carme magico, ma è anche vero che si tratta di una gnome, dove la specificazione maga può non star male; 2) è veramente maga ⁞ non una seria anomalia?; 3) a me il senso par chiaro: ‘i veleni non posson mutare il giusto e l’ingiusto (cioè non possono far sì che la vostra colpa non sia colpa), e perciò non possono mutare il corso delle cose umane, la nemesi, per cui anche voi sarete punite, e perciò io vi perseguiterò come larva ...’. Ma attendo tue controobiezioni. Enn. Ann. 340 sgg.7 – Forse veluti per allitterazione con vinclis venatica velox (più ampio giro allitterante che sicuti si). Un anacoluto come quello del testo tramandato mi pare difficilmente tollerabile. Nota che con veluti solet si presuppone un arresto dopo solet, mentre con veluti si quando nictit ecc. nessun arresto e anzi una stretta continuità. Canes, hai ragione, non è bello, ma mi pare ancora la soluzione meno peggiore. Errori banalissimi, anche in parole facili, sono frequenti nel cod. di Festo. Bisognerebbe vedere se si trova mai venaticus, -a senza canis (nei passi simili canis c’è sempre). Ann. 1418 – Certo Tarquinius è difficile paleograficamente, ma la tua giustificazione paleografica e di senso è molto acuta. Ma come si può escludere che Ennio, che trattava di Antioco in due libri (ed erano fatti recenti!), dicesse qualcosa come Isque dies ... | <omina multa tulit mala ...>, riferendosi a cattivi auguri che potevano far prevedere una disgraziata sorte del regno di Antioco? Parole del genere potevano anche essere messe in bocca a qualcuno, p. es. al generale che esortava i soldati in Ann. 391 sg. Ti prego di riscrivermi su questo punto. Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola M. PS. ‒ Quanto al Servio harvardiano, ne è uscito, ch’io sappia, solo il vol. contenente Aen. I-II; dovrebbe ora uscire un altro volume (Aen. III-VI, credo)9. Nel marg. superiore: «Poi per me fas nefasque vuol dire ‘ogni concetto giuridico’». Vd. lett.133. 8 Vd. lett. 38. 9 Per il vol. dei Servianorum in Vergilii Carmina commentariorum editionis Harvardianae già uscito vd. lett. 103; nel 1965, ad Oxford, uscirà il vol. III (Aen., 3-5). 6 7 340 147 [2a metà di maggio 1950]1 Carissimo Mariotti, prima che mi dimentichi: a Firenze pochi giorni fa ho visto le edizioni di Nonio dell’Onions e del Müller. A proposito del frammento di Nevio alii sublimen alios saltus ecc.,2 l’Onions2 corregge inlicĭte in inlicīte, ma n o n misura ottonari trocaici, bensì senari giambici: sublímen altos sáltus inlicīté ubi | bipedés v o l a n t e s líno linquant lúmina. Poco diversamente L. Müller. Il primo a scandire otton. troc. è stato dunque non l’Onions, ma il Lindsay. Ti ringrazio di avermi comunicato la tua ipotesi, ancora in gestazione, sul frammento della Tarentilla3. L’attribuzione ad Ennio era stata sostenuta dal Pascal negli Studi sugli scrittori latini (che qui non ci sono; li vidi molto tempo fa all’Universitaria di Firenze); il Pascal spiegava appunto la somiglianza col verso di Nevio citato da Paolo Diacono supponendo che «Ennio cum ea scriberet, obversatum esse ante oculos locum hunc Naevianum»4. Ma della metrica mi pare che non facesse cenno, e comunque la tua interpretazione metrica è senza dubbio originale e, se ci sono esempi di dim. giamb. fra sett. troc. in Plauto, andrà accettata senz’altro. Avevo pensato dapprima che il 5o verso si potesse ridurre a settenario scandendo álĭ dat ánulum ecc.5, ma di alî per alii non ci sono esempi in Plauto e Terenzio (i primi in Varr. Menipp. e Lucr.)6. Chi volesse fare l’advocatus diaboli potrebbe osservare che in un passo così simmetrico dal punto di vista stilistico (alii … alii…) ci si aspetterebbe anche simmetria metrica, e che quindi da questo lato sarebbe gradita la riduzione a settenario del 3o verso mediante Paolo Diacono; e che inoltre Isidoro è screditato da numerosi errori di nome d’autore (io me ne annotai alcuni quando lo lessi). Ma quest’ultimo argomento ha il valore di un semplice sospetto, e anche il primo dovrà cedere se si troveranno esempi di dim. giamb. tra sett. troc. Io insomma sarei, per il momento, propenso ad accogliere il frammento tra gli enniani, accennando in nota al dubbio che esso sia di Nevio. La data, approssimativa, è stata aggiunta da M. Naev. trag., 26 R.3 (vd. lett. 140). 3 Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. 4 C. Pascal, Studi sugli scrittori latini, Torino 1900, p. 50. 5 In nota T. aggiunge: «Preferirei anch’io aspectandum». 6 M. aggiunge nell’interlinea: «e inoltre cfr. Skutsch, Pros. u. metr., p. 20». Vd. lett. successiva. 1 2 341 Enn. Ann. 3407 – Le tue obiezioni contro la lezione tramandata sono giuste, e d’altra parte canes non mi pare accettabile. Di venaticus c’è un esempio in Plauto ed uno in Cicerone; in entrambi è accompagnato da canis; tuttavia bisogna riconoscere che un venaticus sostantivato non farebbe nessuna difficoltà. In Virgilio (venator … canis) la cosa è diversa, perché venator da solo significa il cacciatore (uomo, non cane), donde la necessità di aggiungere canis. Ann. 1418 – Il contesto da te supposto è certamente possibile: molto probabile non lo direi, anche perché di questi omina mala non credo che vi sia menzione nella tradizione storiografica. Dal punto di vista della collocazione mi pare quindi ancora che Tarquinius faciliterebbe la soluzione; ma questa difficoltà è compensata9 dalla maggiore probabilità paleografica del tuo Antiocus10. Hor. epod. 511 – 1o stadio: fas nefasque miscere, confundere ecc. (qui i due termini hanno ancora ambedue pieno valore semantico); 2o: fas nefasque facere, committere audēre (qui si può ancora scorgere il valore di ciascuno dei due termini, ma già l’espressione sarà stata sentita come un tutto unico, = nefas facere ecc.: ricorda Donato: p r o v e r b i a l e hoc est, qualia sunt fas nefas ecc.); 3o: hoc fas nefasque est, e quindi anche venena magnum fas nefasque sunt. Questa la trafila, che a me pare legittima e che sola può, mi sembra, spiegare l’espressione oraziana. Certo, magnum per maga non è corruttela facile; ma è verosimile che Porfirione leggesse un testo di Orazio (cioè di un autore tramandato, oltre che da manoscritti, anche da un’ininterrotta tradizione scolastica, di lettura e recitazione) già sfigurato da corruttele meccaniche? Nota che altrove, p. es. ad Od. 4, 14, 28 (citato da Pasquali, St. d. trad., p. 376)12, egli conosce e discute due varianti (meditatur / minitatur). Qui bisognerebbe invece supporre che magnum fosse già penetrato in tutta la tradizione. E poi, non riesco a sottrarmi all’impressione che maga sia un’inutilissima zeppa. La difficoltà metrica (maga ⁞ non), da sola certo insufficiente, aggiunta al resto ha anch’essa il suo valore. M a n a t u r a l m e n t e n o n d i s c o n o s c o a f f a t t o l a s e r i e t à e l ’ a c u t e z z a d e l l e t u e o b i e z i o n i . Se mi deciderò a pubblicare il mio tentativo di interpretazione (Pugliese Caratelli, che quest’anno insegna qui storia antica13, vorrebbe che glie lo dessi per «La Vd. lett. 133. Vd. lett. 38. 9 In nota T. aggiunge: «ad usura». 10 Vd. lett. 46. 11 Vd. lett. 141. 12 Pasquali, Storia della tradizione (cit. lett. 33). 13 Giovanni Pugliese Carratelli (1911-2010), iniziò appunto nel 1950 il suo insegnamento di storia greca e romana all’Università di Pisa. 7 8 342 parola del passato»), sarò molto lieto se tu vorrai, anche nella stessa sede, esporre le tue obiezioni. Ti ho mandato un estratto dell’articolo uscito negli «Annali» (classe di Lettere, 1949, pp. 1 8 6 - 2 0 4 1 4 : purtroppo nell’estratto mi hanno numerato le pagine cominciando dall’1). Naturalmente a due anni di distanza sono scontento di parecchie cose: p. es. a p. 8 (= 193) bella andava difeso con ancor maggiore riserva; il § 6 non meritava di esser pubblicato; e i §§ 1 e 8 mi paiono ancora giusti, ma sono troppo prolissi15. Spero che tu abbia già mandato a qualche rivista la tua nota sull’Odyssia nova16. Scusa la pessima grafia e l’eterogeneità della carta17. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro T., Note a Livio Andronico (cit. lett. 46). Questi i titoli dei paragrafi menzionati: § 6 Una probabile citazione enniana in Cicerone; § 1 Gli «esametri di Livio Andronico» (rist. con modifiche in Contributi1, pp. 83-96), e § 8 Virgilio, Aen. X 185 sg. (interamente riscritto in Contributi1, pp. 289-317). 16 Vd. sopra lett. 136. 17 Si tratta infatti di tre foglietti separati (il terzo diseguale dagli altri due), che per chiarezza T. ha numerato in rosso. 14 15 343 148 29. 5. 1950 Carissimo, grazie anzitutto delle preziose indicazioni sull’Onions1. Tu sei sempre troppo gentile. E grazie dell’articolo, che avevo già letto negli «Annali»2 (a cui sono abbonato). L’articolo è o t t i m o , tutto senza eccezione di altissima classe. Anche il § 6 è certo ipotetico, ma meritava di essere scritto. Tu sai che sono completamente d’accordo sui §§ 1, 2 (d’accordo che bellum va nel testo, bella non oltre l’apparato), 4, 5; altrettanto aggiungo ora sull’ottimo § 83. Ma, poiché è più utile soffermarsi su punti in cui s i p u ò discordare, ti sottopongo qualche osservazione. § 3. La situazione è, rispetto a quando parlammo di questo frammento4, mutata. Tràdito è suadai o forme tutte facilmente riportabili a suadai (o comunque più facilmente a suadai che a suadas). Perciò leggerei (arditamente, lo riconosco) flos delibatus populi suadai͡ que medulla – ai monosillabico in un senario di un epitafio di età repubblicana cit. in Ernout, Morph. hist. p. 335, un senario parecchio raffinato (heic est s e p u l c r u m hau p u l c r u m p u l c r a i͡ feminae, con gioco di parole e mutazione di senso in pulcrum e pulcrai). Sarà difficile che chi scriveva quel verso non avesse presenti esempi letterari di ai monosillabico. Se noi non ne abbiamo, è facile pensare che sia colpa insieme della scarsezza di materiale e della facilità di corruzione di -ai in -ae, specie in mancanza di necessità metrica. § 7. – Ora penserei che siano versi (sett. giamb.)6, e, senza entrare in particolari che puoi facilmente immaginare, ti dico come penserei di leggere (in parte, naturalmente, ex. gratia): Maníus <se> (vel etiam Maníu’ s<e>) mane súscitat, rostrúm su<u>m <in> rostra ádfert, | populum ín forum condúcit <et condúcto honore gaúdet>. Il dattilo iniziale Manius è ammesso (per di più nome proprio). Per lo spondeo rostra ad- (7o piede) cfr. (in otton. troc.) fr. 205, 3. Per et o ac in dieresi nel 2o verso cfr. 257, 1. Mi pare che così si risponda abbastanza all’esigenza della corrispondenza di un Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. T., Note a Livio Andronico (cit. lett. 46). 3 Vd. la fine della lett. precedente. 4 Enn. ann., 308 V.2, su cui vd. lett. 46 e cfr. LE, p. 118 = LE2, p. 75. 5 A. Ernout, Morphologie historique du latin, Paris 1914 (19272; 19533; numerose ristampe). 6 Si tratta di Varro Men., 259 B., su cui vd. lett. 57. 1 2 344 gioco di parole nel 3o membro (che sarebbe sdoppiato) a quelli dei primi due, come tu hai finemente osservato. Quanto all’obiezione di Skutsch sui due ob, è inutile dire che hai tutte le ragioni. Rimandando la ripresa del discorso sul frammento della Tarentilla 7, mi limito a dirti che ad álĭ per correptio avevo pensato a un certo momento anch’io, ma l’avevo escluso per un’altra ragione: che una sillaba derivante da sinizesi (e quindi, penso, anche da contrazione) non sembra abbreviarsi per correptio: cfr. Skutsch, Pros. u. metr. Ges. ecc., p. 208 (che parla di monosillabi, ma cfr. Index s. v. Iambenkürzung). Su Ann. 340 siamo sostanzialmente d’accordo9. Certo però una correzione migliore di canes non è ancora stata trovata. Ci ripenserò. Hor. epod. 510 – Non è davvero il caso, mi pare, che io esponga in pubblico obiezioni che non credo portino contributi nuovi, ma solo un dissenso (che del resto non nega l’acume della tua tesi). In altre parole, il 3 o s t a d i o da te presupposto non trova altri esempi che questo d’Orazio, e sembra a me perciò ingiustificato, perché non credo che si trovi nessun enunciato ‘polare’ così a p e r t a m e n t e assurdo come hoc fas nefasque est = hoc nefas est. Ma può darsi benissimo che io abbia torto. Ti unisco l’estratto della nota in «Paideia»11. Su Aen. 4, 497 credo ora che abbia ragione tu e che la spiegazione plausibile finalmente da te trovata della derivazione di superimponant dal giusto -nas debba essere comunicata12. Ti stringe affettuosamente la mano il tuo Scevola Mariotti Vd. lett. 146. O. Skutsch, Prosodische und metrische Gesetze der Jambenkürzung, Göttingen 1934. 9 Vd. lett. 133. 10 Vd. le due lett. precedenti e inoltre lett. 141-3, 152. 11 M., Ancora di varianti d’autore (cit. lett. 99). 12 Vd. lett. 139. 7 8 345 1491 Pesaro, 2. 6. 1950 Carissimo, ti trascrivo una nota che aggiungo nell’articolo neviano a proposito del tuo articolo sul Carmen Priami2: «Il Timpanaro ha sostenuto che nel Carmen Priami veteres Casmenas è vocativo ed ha supposto che veteres, ritenuto dai più aggettivo inadatto alle Muse, derivi dal carattere arcaizzante del poema. Di ciò si può dare una notevole conferma ricordando che Mimnermo, come tramanda Paus. 9, 29, 4 ἐλεγεῖα ἐς τὴν μάχην ποιήσας τὴν Σμυρναίων πρὸς Γύγην τε καὶ Λυδούς, φησὶν ἐ ν τ ῷ π ρ ο ο ι μ ί ῳ θυγατέρας Οὐρανοῦ τὰς ἀρχαιοτέρας Μούσας, τούτων δὲ ἄλλας νεωτέρας εἶναι Διὸς παῖδας. Evidentemente Mimnermo distingueva antiche e nuove Muse nell’invocazione (o a proposito dell’invocazione) iniziale per contrapporre il proprio genere poetico a quello arcaico di Omero (cfr. poi anche Timoth. fr. 7, 5 Diehl e Lavagnini, Da Mimnermo a Callimaco, Torino 1950, p. 1 n. 1). Niente di strano che un arcaizzante latino, rifacendosi con ogni probabilità alla tradizione lirica greca, facesse l’inverso, come ha sostenuto il Timpanaro». Affettuosi saluti dal tuo Scevola Mariotti Cartolina postale. S. T., Il ‘Carmen Priami’, «ASNP», s. II, 16, 1947, pp. 194-200 (rist. riveduta in Contributi1, pp. 99-116, dove T., a p. 107, nota 13, fa riferimento a quanto qui anticipato da M., rinviando a BP, p. 130, nota 4, dove successivamente M. ripubblicò «con modifiche anche sostanziali» l’articolo neviano a cui qui si fa cenno, apparso originariamente in «StudUrb(B)», 24, 1950, pp. 174 sgg.). Vd. lett. 270. 1 2 346 150 Pisa, 5. 6. [1950]1 Carissimo Mariotti, la tua critica al mio suadas è giusta2; anch’io mi vado convincendo che bisogna cercare di conservare suadai, e sono propenso a ritenere che la tua soluzione (suadai͡ que) sia da accettare. Dal punto di vista glottologico non c’è nulla da opporre all’ipotesi di un suadai͡ , perché tra āī ed ae dev’esserci stato necessariamente in mezzo un -ai͡ monosillabico. Rimane, certo, la difficoltà costituita dalla mancanza di attestazione di tale genitivo: filologi molto prudenti e ‘ipermetodici’ come per es. Skutsch diranno che il pulcrai di quel carme epigrafico è un errore isolato del lapicida, come p. es. il sibei = sibĭ del carm. epigr. 958 Büch. (epitaffio di uno degli Scipioni), e faranno notare l’incoerenza pulcrai feminae (non feminai). Per far vincere pienamente la tua ipotesi, bisognerebbe trovare almeno un altro es. letterario di -ai͡ . Ma, ripeto, io personalmente sono quasi del tutto persuaso che tu abbia ragione; e credo che dovresti nel tuo prossimo articolo enniano comunicare la tua ipotesi. Meno d’accordo sono, almeno per ora, sul fr. di Varrone3. A me pare che il criterio seguito dal Bücheler di considerare metrici solo i frammenti c h i a r a m e n t e metrici (mentre gli editori precedenti, come il Riese, avevano ‘metricizzato’ il maggior numero possibile di frammenti) sia giusto. Ora, se noi non siamo guidati dalla volontà di metricizzare il frammento, mi pare chiaro che Manius mane se suscitat è preferibile a Manius se mane suscitat 4. E anche quanto allo stile, mi par di notare chiaramente che i frammenti scritti in questo stile fortemente retorico (assonanze, antitesi, κῶλα paralleli,5 ecc.) sono tutti in prosa: cfr., oltre i frammenti che ho citato a p. 16 dell’estratto, anche il 264 appartenente anch’esso al Manius (lex neque innocenti)a (propter simultatem)b (obstrigillat)c, (neque nocenti)a’ (propter amicitiam)b’ (ignoscit)c’. Invece i settenari giambici (cfr. indice metrico del Bücheler) sono in tutt’altro stile, popolaresco: e ciò non sarà L’anno è stato aggiunto da M. In Enn. ann., 308 V.2, su cui vd. lett. 46. Per la «critica» di M. vd. lett. 148, a cui T. risponde. 3 Varro Men., 259 B., su cui vd. lett. 57. 4 T. aggiunge in una nota a piè di pagina: «A Maniu’ s<e> non credo, sebbene sia ingegnoso!». 5 Le parole «κῶλα paralleli» sono aggiunte in margine tra due virgole. 1 2 347 casuale, poiché il settenario giambico è un metro soltanto comico e non tragico. Ma aspetto le tue controobiezioni. Come va il Pontano6? Spero che, dopo che lo avrai finito, non tarderai più oltre a stendere l’articolo enniano. Tu hai messo insieme su Ennio una lunga serie di contributi di prim’ordine, ed è un peccato che tu tardi a comunicarli. Ti ringrazio per l’estratto dell’articolo contro Colonna7. Potrei forse mandare a «Paideia» una breve nota su superimponant / superimponas8 insieme con la rettifica all’emendazione di Varrone fr. 498 (quod leges iubent faciant, non faciunt) che già ti comunicai9. Ad ogni modo, prima che a «Paideia» la manderò a te. A meno che tu non abbia occasione di occuparti ancora di varianti virgiliane, nel qual caso alla questione di superimponas potresti accennare tu stesso. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro PS. ‒ L’ultimo vol. de l’Année philologique (1948) reca l’indicazione di due articoli di L. Strzelecki, Coniectanea scenica («Eos» 1948/49, p. 147 sgg.) e Meletematon tragicorum specimen (id. 1947, p. 24 sgg.): sono note a frammenti scenici di Liv. Andr., N a e v . , E n n . , Pacuv. Ho scritto allo Strzelecki all’Accademia di Cracovia, dove pare che abbia il suo recapito (Polska Akademia Umiejętności Kraków, Polonia) mandandogli i miei estratti e chiedendogli i suoi; speriamo che riceva! ______ Enn. Sc. 3010 – Molto tempo fa tu difendesti (come già il Plasberg) la lez. ms. caeruleae, io preferivo la correzione del Vahlen caerulea confrontando georg. 4, 482 caeruleosque implexae crinibus angues. Ma ora leggo in Eur. Elettra 1344 sg. (parla Castore ad Oreste preannunziandogli l’arrivo delle Erinni): δεινὸν γὰρ ἴχνος βάλλουσ᾽ ἐπὶ σοὶ | χειροδράκοντες χρῶτα κελαιναί, … ἴ χ ν ο ς β ά λ λ ο υ σ ᾽ ἐ π ὶ σ ο ὶ = incedunt, χειροδράκοντες = incinctae angui (press’a poco), κελαιναί = caeruleae. Perciò probabilmente bisognerà relegare caerulea in apparato (o mettere in apparato un «fortasse recte» a caeruleae?). Vd. lett. 41. M., Ancora di varianti d’autore (cit. lett. 99); vd. lett. 148. 8 Vd. lett. 139. 9 Vd. lett. 141. 10 Vd. lett. 43. 6 7 348 1511 [Pisa, 14. 6. 1950]2 Carissimo Mariotti, ottima la conferma al Carmen Priami3! Ho ricevuto da Strzelecki i 2 articoli di cui ti parlai l’altra volta4. Nel 1o («Eos», 42, 1947, p. 24) legge Naev. trag. 19 (p. 24 sgg.) Libero secundo | quaque incedunt ecc. (fine e inizio di otton. troc.: Libero secundo ‘col favore di Bacco’): non del tutto persuasivo, ma non da buttar via. – p. 26 in Enn. Sc. 295 un unico verso reiziano. – p. 30 sgg. in Enn. Sc. 3305 cedo cave! | o quam vestitus ecc. (pazzesco). Tratta poi di alcuni frammenti di Pacuvio, non convincente. Nel 2o articolo (id., 43, 1948/49, p. 147 sgg.): p. 147 Liv. trag. 12 ípse sé | ín terrám ecc. (cretico-trocaico); p. 153 Enn. Sc. 1-3: attribuisce solo 2-3 all’Achilles, 1 alle Eumenides coll. Aesch. Eum. 566 sgg. (poco convincente); p. 157 Enn. Sc. 78 accetta <cl>amidio purus putus = omni veste nudatus (assurdo); p. 159 Enn. Sc. 177 senarii: … at omnipotens ego [ego omnipotens codd.] | te exposco … auxili | fuat; p. 161 da Cic. Tusc. 1, 116 ricava dúcite me ímmolandam ut hóstium éliciátur <iám> meo. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro 1 2 3 4 5 Cartolina postale. Luogo e data si ricavano dal timbro postale. Vd. lett. 149. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 38. 349 1521 [Pisa, 1. 8. 1950]2 Carissimo Mariotti, ora che sono finiti gli esami di maturità, che – suppongo – ti hanno tenuto occupato finora, rumpe silentium! Mi sono accorto che già il Ribbeck (Prolegomena critica ad Vergilii opera, s Lipsia 1866, p. 279) notava a proposito di superimponant in Aen. 4, 497: «pluralis ab eis factus, qui viri v. 495 pro subiecto haberent»3. Mi sono anche accorto che la mia interpretazione di venena magnum fas nefasque era stata già proposta da un certo G. Dominici nella «Riv. di filol.» del 19104. Così sono liberato dalla responsabilità di proporla io! Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro PS. ‒ Mi viene in mente ora che forse stai lavorando al Pontano5, nel qual caso non voglio disturbarti. Cartolina postale. Luogo e data si ricavano dal timbro postale. 3 Vd. lett. 139. 4 G. Dominici, Di un passo di Orazio, «RFIC», 38, 1910, pp. 239-46, a proposito di Hor. epod. 5, 87, su cui vd. lett. 141. 5 Vd. lett. 41. 1 2 350 153 Pesaro, 23. 8. 1950 Carissimo Timpanaro, sarai allibito del mio silenzio, e certo a ragione. Debbo dirti che purtroppo l’unica mia nonna vivente, a cui siamo tutti molto attaccati, è stata colpita da una grave paralisi, e questo ci ha scombussolati. Ho qui la tua lettera e la tua cartolina1, a cui vorrei rispondere più a lungo – e mi riprometto di riprendere appena possibile la nostra corrispondenza, che mi è, come la tua amicizia, cara e preziosa. Quanto al frammento di Varrone2, forse la scansione in settenari giambici è ancora sostenibile, malgrado le tue fini osservazioni. Che si abbia la non infrequente allitterazione abab (Manius se mane suscitat) anziché aabb (Manius mane se suscitat) non mi pare grave difficoltà, giacché, caduto il se, noi possiamo integrare con una certa libertà e d’altronde nel 2o colon si ha ancora allitterazione con parola interposta ( r o s t r u m suum (che riprende se ... suscitat) (in) r o s t r a ) . Inoltre di settenari varroniani abbiamo troppo poco per essere sicuri che dovessero essere tutti ‘popolareggianti’; e l’allitterazione è fenomeno così frequente in poesia arcaica e arcaizzante che non mi pare il caso di escluderla anche da parti eventualmente popolareggianti. Il Pontano3 ed Ennio sono per ora rimandati. Grazie delle preziose indicazioni sullo Strzelecki, di cui approfitto4. D’accordo sulla ottima difesa di caeruleae in Sc. 305. Mi dispiace che il superimponant fosse già stato difeso con l’unico argomento giusto, prima che da te, dal Ribbeck; ma questo forse non esclude l’opportunità di una tua ‘rettifica’6. Un abbraccio affettuoso dal tuo Scevola M. 1 2 3 4 5 6 Si trattava in realtà di una lettera (150) e di due cartoline (151-2). Varro Men., 259 B., su cui vd. lett. 57. Vd. lett. 41. Vd. lett. 151. Vd. lett. 43. Vd. lett. 139. 351 1541 Pisa, 25. 8. [1950]2 Carissimo Mariotti, apprendo col più vivo dispiacere la notizia della malattia della tua Nonna3. Comprendo bene il tuo stato d’animo. Spero vivamente che essa possa ristabilirsi o almeno migliorare. So bene che, quando qualcuno in famiglia non sta bene, è impossibile pensare allo studio. Di nuovo i più vivi auguri e un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. L’anno si legge a fatica nel timbro postale, ma si deduce con certezza dal confronto con la lettera precedente. 3 Vd. lett. precedente. 1 2 352 154 BIS1 Pisa, 31. 8. 1950 Carissimo Mariotti, ho appreso con vivo dolore la notizia del lutto che ti ha colpito e invio a te e ai Tuoi le più sincere condoglianze anche da parte di mia madre. Comprendo quanto dolorosa sia stata per tutti voi, e specialmente per tua madre, la perdita che avete subìto. Quando ti sentirai di riprendere la nostra conversazione, scrivimi. Io penso sempre a te con fraterno affetto. Il tuo Sebastiano Timpanaro 1 Vd. le due lettere precedenti. 353 1551 [Pisa, 9. 9. 1950]2 Carissimo Mariotti, ti ringrazio moltissimo per l’invio dei tre estratti3: t u t t o o t t i m o . Anche le note ai Catalepton sono giustissime, particolarmente felice hora adimit in 3, 10. Grazie anche per le amichevoli citazioni nell’articolo neviano. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. Luogo e data si ricavano dal timbro postale. Il luogo è confermato dall’indirizzo: Mitt. Timpanaro, via S. Maria 18, Pisa. 3 Quasi certamente si tratta di due scritti usciti in «Humanitas» 3, 1950-51, cioè La ‘Ciris’ è un falso intenzionale (cit. lett. 80), e la recensione a R.E.H. Westendorp Boerma, P. Vergili Maronis Catalepton, pp. xx-xxiii (= SFC, pp. 119-22; per la congettura lodata da T. vd. pp. 121-2), e dei Contributi al testo dei frammenti scenici di Nevio (cit. lett. 125) con le «amichevoli citazioni» di T. 1 2 354 1561 [Pisa, 22. 10. 1950]2 Carissimo Mariotti, fatti vivo! Da moltissimo tempo non ho tue notizie, Stai bene? Lavori? Insegni? Io quest’anno insegno all’Avviamento di S. Frediano a Settimo (a metà strada tra Pisa e Pontedera). Nell’ultimo numero di «Mnemosyne» c’è un articolo di Waszink sul proemio degli Annales di Ennio3: informatissimo e interessante, sebbene le sue conclusioni non persuadano. L’indirizzo di Waszink è: Prof. J.H. Waszink, Witte Singel 91 Leiden. In attesa di tue notizie, ti saluto con affetto. Il tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. Luogo e data si ricavano dal timbro postale. Il luogo è confermato dall’indirizzo: Timpanaro, via S. Maria 18, Pisa. 3 J.H. Waszink, The Proem of the ‘Annales’ of Ennius, «Mnemosyne», s. IV, 3, 1950, pp. 215-40. 1 2 355 157 Pesaro, 26. 10. 1950 Mio carissimo Timpanaro, so bene che il mio silenzio è imperdonabile1. Un po’ le conseguenze della morte di mia nonna, un po’ gli esami (compresa la maturità scientifica) e l’inizio della scuola mi hanno fatto rimandare fino ad ora di ringraziarti, oltre tutto il resto, del tuo estratto su Romae regnare quadratae2, sul quale sono ammirativamente d’accordo con te. Anche il riferimento all’età repubblicana è sostenuto con ottimi argomenti e raffronti. Solo una timida osservazione. Se si volesse intendere Romae quadratae3 senza intenzioni metaforiche, cioè nel senso più normale, non si potrebbe intendere ecqui = ecquo modo coll’Havet e immaginare, diversamente da lui, che Romolo dicesse a una terza persona riferendosi a Remo: ‘si sogna forse di regnare in Roma in qualche modo?’. La partecipazione di terze persone a quei convicia par provata dai vv. 76 (a meno che non sia hic = ego) e 98; ma è da ripensarci. Per ecqui cfr. numqui in Plauto. Scriverò a Waszink, e ti ringrazio molto dell’indicazione e dell’indirizzo4. Purtroppo tutti i miei lavori hanno subìto una battuta d’arresto, e temo di dover riprendere, anziché con Ennio (che è la cosa che desidero più di fare), col Pontano5. Spero però di poterti mandare presto qualche altra breve puntata degli Adversaria philologa, che ti pregherò di leggere (ma parecchio conosci già)6. Quest’anno sono alle magistrali (15 ore), e per di più c’è anche una candida puella che mi distrae. Scrivimi, ti prego, almeno per dirmi che hai perdonato il mio silenzio! Ti abbraccia con affetto il tuo Scevola M. Nella lett. precedente T. si era lamentato del lungo silenzio dell’amico. S. T., Romae regnare quadratae, «Maia», 3, 1950, pp. 26-32 (rist. di estratti con aggiunte in Contributi1, pp. 623-81). 3 Enn. ann., 157 V.2 et qui sextus erat Romae regnare quadratae. Vd. lett. 46. 4 Vd. lett. precedente. 5 Vd. lett. 41. 6 Vd. lett. 99. 1 2 356 158 Pisa, 1. 11. 1950 Carissimo Mariotti, ti ringrazio della tua affettuosa lettera; e, prima di passare alla filologia, ti faccio i più vivi rallegramenti e auguri quanto alla candida puella a cui accenni1. Quanto a Romae quadratae2, mi ero accorto anch’io, rileggendo il mio articoletto in bozze, che esso è più brillante che convincente. L’ipotesi dell’Havet da te modificata è certo molto più plausibile di quanto non lo fosse nella forma in cui l’Havet l’aveva formulata. Tuttavia dell’esistenza di quei convicia tra Romolo e Remo con la partecipazione di terze persone io dubiterei: Ann. 76 si può benissimo riferire alla scena del riconoscimento dei due gemelli col re di Alba Longa, come fa il Vahlen p. clxii: Romolo, accorso in difesa di Remo fatto prigioniero dai soldati di Amulio, dice ad Amulio indicando Remo: ‘Costui, che tu ecc. ecc. <è tuo nipote>’ (così integra il Rosenberg, RE IA 1090). Quanto a 983, bisognerebbe intanto decidere se mantenere at tu non ut o scrivere astu non vi: io (come anche O. Skutsch) sarei propenso a questa seconda soluzione, nonostante Anth. Lat. 485, 1134. C’è anche da osservare che l’interpretazione di ecqui5 come nominativo pare più naturale: intendendo ‘forse che … i n q u a l c h e m o d o ’ , bisogna riconoscere che questo i n q u a l c h e m o d o non è necessario al contesto; ed ecqui ablativo in interrogazioni dirette si trova solo in due esempi di Seneca il Vecchio e uno di Pelagonio. Ma certo la questione resta aperta, soprattutto per l’interpretazione di Romae quadratae, la quale costituisce indubbiamente il punto debole della mia ipotesi. Io in questi ultimi tempi sono ritornato un po’ sull’Anth. Lat. (lasciando da parte l’Aegritudo Perdicae, della quale spero che torneremo ad occuparci insieme)6. Ho raccolto alcune note a singoli passi, ma non so se le pubbli- Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 91. 4 In nota T. aggiunge: «A me pare, tutto sommato, probabile che anche in Ennio l’uccisione di Remo si svolgesse nella forma ‘classica’, senza tanti discorsi: Remo salta la fossa, Romolo lo uccide pronunziando i vv. 99 sg.; e basta». Vd. lett. 91. 5 In Enn. ann., 157 V.2, su cui vd. lett. precedente e 46. 6 Sull’Aegritudo vd. lett. 73-5, 104-6, 108-11, 113-8, 126, in partic. 114 sull’ipotesi di un lavoro comune. 1 2 357 cherò7 perché si tratta quasi esclusivamente di difese della lezione tramandata contro congetture accolte dal Riese: difese molto facili, e quindi poco meritorie. Ad ogni modo, prima di decidere sentirò il tuo parere. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro Le note divennero poi l’articolo Sul testo dell’‘Anthologia Latina’, «SIFC», n.s., 25, 1951, pp. 33-48 (rist. con alcune soppressioni e aggiunte in Contributi1, pp. 569-609 e, limitatamente ad Anth. Lat., 672, in Contributi2, pp. 474-5), su cui vd. lett. 177. 7 358 1591 Pesaro, 30. 11. 1950 Carissimo, grazie dei rallegramenti2. E scusami sempre la poca loquacità: colpa della scuola e del… cuore. Ho ricevuto il tuo dattiloscritto, che leggerò con grandissimo interesse nei prossimi giorni3. Te lo rimanderò postillato, prevedo con molti punti esclamativi. Ti ricordo fraternamente e ti abbraccio. Il tuo Scevola M. PS. ‒ Prima ancora di leggere il tuo articolo ti dirò che un lavoro ‘conservatore’ sull’Anth. Lat. mi sembra senz’altro utilissimo e per niente inopportuno. 1 2 3 Cartolina postale. Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 359 160 Pisa, 19. 12. 1950 Carissimo Mariotti, ti sono gratissimo delle tue postille1. Ti ho dato un disturbo e te ne chiedo scusa, ma non volevo pubblicare l’articolo senza aver sentito il tuo parere. Le tue due congetture ver (Anth. Lat. 61, 1) e bruma … alba (490a, 1) sono b e l l i s s i m e : la prima è senz’altro molto migliore del mio illam e anche la seconda con tutta probabilità coglie nel segno, sebbene a rigore arva si possa difendere (accusativi di relazione dipendenti da verbi nettamente passivi, non medii, si trovano: p. es. Lucan. 3, 587 sg. terga et pectora telis | transfigitur ; Aen. 2, 57 manus iuvenem interea post terga revinctum: Kühner-Stegmann II 1, p. 291). Ma, ripeto, alba è quasi certamente giusto e se fossi l’editore lo accoglierei nel testo notando solo nell’apparato «arva codd., fort. recte». Naturalmente ho aggiunto nel mio articolo la citazione di entrambe le congetture2; ho anche citato il tuo contributo di «Paideia» 1948, p. 1523. Anche in 223, 9 hai ragione: Casum = la rovina, meglio che la sorte. 283 – l’ut temporale continua a non persuadermi, pur non potendosi escludere. 811 – in cyathis mi sembra troppo ardito, quantunque offra il vantaggio di conservare dignatus. Il Perosa naturalmente vuol conservare incolumis, ma non riesce neanche lui a spiegarlo. 774, 18 – Ti ringrazio dell’obiezione metrica a cui non avevo pensato; cancello senz’altro la congettura. Di nuovo grazie e affettuosi saluti e auguri dal tuo Sebastiano Timpanaro Vd. le due lett. precedenti. Vd. T., Sul testo dell’ ‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 158), pp. 36; 42 (= Contributi1, pp. 573-4; 586). 3 Si tratta di M., rec. a F. Munari (cit. lett. 80). 1 2 360 1611 [Pesaro], 26. 12. 19502 Carissimo Timpanaro, ti ricambio gli auguri affettuosi. Grazie della cartolina3, ma, ti prego, non pensare n e p p u r e l o n t a n a m e n t e di avermi disturbato col tuo articolo. È stata una lettura interessantissima. Quando vuoi farmi leggere qualcosa, mi fai sempre un gran piacere, e anch’io continuerò ad approfittare di te quando scrivo qualcosa. Un cenno marginale a una questione enniana rimasta in sospeso: Ann. 984. Resterei ancora ai codici, perché due correzioni non indispensabili, sebbene lievissime, non mi sembrano metodiche. Hai notato che anche 76 (dalle stesse parti) comincia con cinque monosillabi (e la prima parola è la stessa)? Al verso seguente penserei, piuttosto che all’integrazione del Vahlen, a qualcosa come <sic eo͡ dem dignatus honore es> o simm. Nel qual caso parrebbe che veramente qualche terza persona intervenisse nella contesa fra Romolo e Remo. Purtroppo non ritrovo l’indirizzo di Waszink che mi avevi gentilmente mandato5. Se non ti dà noia, potresti per qualche giorno mandarmi l’estratto6 (dato che ora ho un po’ di tempo libero) e comunicarmi anche, quando ti capita di scrivermi, l’indirizzo? Grazie di tutto (compresa la buona accoglienza alle mie congetture all’Anth. Lat.)7 e fraterni saluti dal tuo Scevola M. 1 2 3 4 5 6 7 Cartolina postale. Il luogo risulta dal timbro postale. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 91. Vd. lett. 156. Waszink, The Proem of the ‘Annales’ of Ennius (cit. lett. 156). Vd. lett. precedente. 361 1621 [Pisa], 29. 12. 19502 Carissimo Mariotti, ti ho spedito oggi il Waszink3. Come vedrai, non persuade (non ha persuaso nemmeno Skutsch), tuttavia è interessante e informatissimo. L’indirizzo di Waszink è: Prof. J.H. Waszink, Leiden, Witte Singel 91, Olanda. Skutsch mi scrive di aver recensito per una rivista inglese il Nevio di Marmorale, sfavorevolmente4. Potresti mandargli (se non l’hai già fatto) il tuo articolo neviano5? Nota che ha cambiato indirizzo: 1, Netherwood Road, Northenden, Manchester. Ann. 986 – O t t i m o il confronto col 76; sull’integrazione del verso seguente rimango un po’ incerto: mi sembra che ne venga fuori sempre (come anche con l’integrazione del Vahlen) un giro di frase un po’ contorto: ma ci ripenserò. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro PS. ‒ N o n h o a l c u n a fretta che tu mi rimandi il Waszink: per ora non mi occupo di Ennio. 1 2 3 4 5 6 Cartolina postale. Il luogo risulta dal timbro postale. M. aveva chiesto in prestito nella lett. precedente l’articolo, su cui vd. lett. 156. «CR», n.s., 1, 1951, pp. 174-7. Contributi al testo dei frammenti scenici di Nevio (cit. lett. 125). Vd. lett. 91. 362 163 Pisa, 14. 2. 1951 Carissimo Mariotti, ti ringrazio di tutto cuore per l’ottimo articolo petrarchesco e per l’affettuosissima dedica1. I multa in te beneficia che tu mi attribuisci non esistono; ma esiste la vivissima amicizia che a te mi unisce e mi unirà sempre. In questa Italia filologica tutta divisa da meschine rivalità e gelosie e tutta intenta all’accaparramento di posti, la nostra pura e disinteressata amicizia costituisce una splendida eccezione. Il tuo articolo è perfettamente convincente; ottima la dimostrazione che maior pars hominum ecc. è un senario. Le tue osservazioni sui ‘senari’ umanistici mi saranno molto utili se riprenderò la questione dei frammenti pseudoplautini e pseudoenniani citati dal Perotti. Di che ti occupi adesso? Fatti vivo ogni tanto. Russo e Munari ti hanno mandato l’ Ἀσπίς e gli Amores2? A me non ancora. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro Si tratta di M., La ‘Philologia’ del Petrarca (cit. lett. 125). Il riferimento è rispettivamente a Hesiodi Scutum, introduzione, testo critico e commento a cura di C.F. Russo, Firenze 1950, e a P. Ovidi Nasonis Amores, testo, introduzione, traduzione e note di F. Munari, Firenze 1951. 1 2 363 1641 <Pisa, marzo 1951>2 Carissimo Mariotti, Skutsch mi scrive: «You have no doubt seen Mariotti’s paper on Naevius in the Studi Urbinati3. He has a curious misprint in his treatment in the line from the Iphigenia, p. 176, which get so close to an emendation which I made a longe time ago that I have decided to publish it. Surely the correct reading is in portum perferas (cfr. Plaut. Stich. 369 in portum vento secundo, velo passo pervenit, and Cicero (somewhere) portum … quo utinam velis passis pervehi liceat. (is velis possis pervehi the end of a septenarius?)». Sarà forse il caso che gli scriva tu, chiarendo che non c’è nessun errore di stampa4? In difesa di fer foras, oltre che l’allitterazione, cfr. Plaut. Truc. 750 ferri foras e Lucil. 652 Marx ecferres foras, ambedue in fine di settenario5. Tuttavia perferas andrebbe f o r s e meglio col compl. di moto a luogo vicinum in portum. An … in portum <hinc> per foras. Affettuosamente Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Indirizzo di Skutsch: 1, Netherwood Road, Northenden, Manchester. Cartolina postale. La data, illeggibile dal timbro postale, è di poco anteriore al 28 marzo, come si ricava dalla lett. 166, in cui T. fa riferimento a questa cartolina. 3 M., Contributi al testo dei frammenti scenici di Nevio (cit. lett. 125). 4 Vd. invece la risposta di M., lett. 167. 5 Cfr. BP, p. 131, nota 6. 1 2 364 1651 Pesaro, Pasqua 19512 Carissimo, tanti auguri affettuosi a te, e devoti alla tua Mamma. Grazie della tua lettera cordiale3: tu sai quanto strettamente mi sento legato a te, anche se, per un insieme di cose, dagli obblighi d’insegnamento a quelli sentimentali, scrivo, per ora, di rado. In breve alcune notizie. Un particolare di bibliografia enniana che p o t r e b b e esserti sfuggito: G. Pascucci in «Studi Urbinati» 24, 1950, p. 213 sg.4 (dove non c’è nulla di notevole o accettabile, e anche l’ametricità delle citazioni da Ennio del Bell. Hisp. è spiegata, credo, erroneamente). So ora che è uscito un libro su Ennio di Antonio Risicato, Edizioni Universitarie, Messina5. Cercherò di averlo, ma, da quanto mi dicono, non dev’esserci niente di nuovo. Ho visto (ma piuttosto in fretta) l’ Ἀσπίς di Russo (di cui ho fatto un annuncio nell’ultimo «Belfagor» su richiesta di Russo stesso)6; mi pare un libro utile, ma non ho competenza per dire fondatamente molto di più. Ho solo visto in fretta gli Amores di Munari7, che direi buoni, ma mi pare che ecceda nel riportare varianti insignificanti. Ho rinunciato, con scuse varie, a proseguire il lavoro per l’edizione pontaniana8. […] Ora penso all’edizione di alcune commedie umanistiche (Chrysis del Piccolomini e Janus sacerdos, inedito, di autore ignoto). Quest’anno ho avuto immeritamente l’incarico di latino al Magistero di Urbino (dove – detto fra parentesi – si può dire che non paghino!). Faccio un corso su Ennio (!): se dovessi fare, il che non è ancora certo, delle dispense9, te le farò leggere perché ti scandalizzi del mio ardire. Ti cito Cartolina postale. La Pasqua 1951 cadde il 25 marzo. 3 Vd. lett. 163. 4 G. Pascucci, Stile e lingua dell’Hispaniense, «StudUrb(B)», 26, 1950, pp. 191-217. Vd. inoltre lett. seguente e 177-9. 5 A. Risicato, Lingua parlata e lingua d’arte in Ennio, Messina 1950 (19662). Vd. lett. 166-71. 6 «Belfagor», 6, 1951, pp. 245-6. 7 Per questo e per il libro di Russo vd. lett. 163. 8 Vd. lett. 41. 9 Esse costituiranno la prima edizione di LE. Vd. lett. 166-7, 169, 170-1, 174. 1 2 365 naturalmente spesso. Ho visto un annuncio bibliografico di un tuo articolo in «Società»10: ne hai estratti? Con affetto tuo Scevola M. S. T., Catullo democratico?, «Società», 7, 1959, pp. 125-8. Nella lett. seguente T. ne illustra la genesi. 10 366 166 Pisa, 28. 3. 1951 Carissimo Mariotti, una cartolina che ti ho mandato giorni fa si è incrociata con la tua1, che ho ricevuto oggi. Comincio col rallegrarmi vivamente per l’incarico a Urbino che è non «immeritato» come tu dici2, ma invece molto al di sotto di ciò che tu meriti. Sono contentissimo che tu abbia scelto Ennio come argomento del tuo corso: è un argomento che tu conosci a fondo e sul quale hai dato importantissimi contributi che ti deciderai, spero, a pubblicare quanto prima. Naturalmente leggerò con grandissimo piacere le tue dispense, nelle quali ci saranno certamente molte idee nuove. Ti ringrazio per l’indicazione dell’articolo di Pascucci3, che a me era completamente sfuggito. Il libro di Risicato4 ce l’ho: penso che ti possa interessare di vederlo e quindi te lo spedisco oggi stesso; ma, come vedrai, non val niente. Siccome l’autore è una persona gentile, mi sono astenuto dallo ‘stroncarlo’ e gli ho comunicato varie osservazioni privatamente. Ti faccio i migliori auguri per le edizioni di commedie umanistiche5. Io da molto tempo non mi occupo più di Ennio. In questi ultimi mesi mi sono messo a studiare un po’ di storia della filologia italiana del secolo scorso. La storia della filologia è molto interessante e ha il vantaggio che finora pochissime persone intelligenti se ne sono occupate, così che c’è ancora da mietere; ma è un mare magnum, e temo di non uscirne più fuori. In «Società» ho pubblicato una breve risposta ad Ambrogio Donini6, che nell’«Unità» aveva scritto spaventose sciocchezze su Catullo poeta democratico e quasi precursore del socialismo (!). Per ora non mi hanno mandato estratti; se per caso me ne manderanno (ma non credo), te ne spedirò uno. Ma è una cosuccia che non vale la pena di leggere se non per vedere fino a qual punto di idiozia possono giungere questi s e d i c e n t i marxisti, che Gramsci avrebbe cacciato a frustate. Io l’avevo mandata all’«Unità», ma me l’hanno deviata a «Società », che non è letta dalla base. La mia mamma ti ricambia i più cordiali saluti. Si riferisce alle lett. 164-5. Vd. lett. precedente. 3 Pascucci, Stile e lingua (cit. lett. precedente). 4 Risicato, Lingua parlata (cit. lett. precedente). 5 Vd. lett. precedente. 6 Vd. lett. precedente. A. Donini scrisse la prefazione a Catullo, Poesie, traduzione di E. Cetrangolo, Milano 1950. 1 2 367 Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Non ho ancora visto né l’ Ἀσπίς né gli Amores.7 7 Sui libri di Russo e Munari vd. lett. precedente e 163. 368 1671 Pesaro, 8. 4. 1951 Carissimo, grazie vivissime per l’estratto antidoniniano2 (su cui è inutile dire che sono d’accordo) e per il Risicato, che ti rimanderò a giorni col Waszink3. Ho scritto a Skutsch chiedendogli anche la recensione a Marmorale4. Guarda che l’errore di stampa a cui si riferiva c’era5, ed era un per foras (curiosamente vicino, diceva lui, al suo perferas) invece di fer foras a p. 176 (le pp. 3-19 dell’estratto sono uguali alle pp. 174-90 dell’originale). Penso che i tuoi studi sulla filologia ottocentesca saranno interessantissimi6. Ma non dimenticare l’edizione di Ennio! Sto facendo con improntitudine (e fretta) le dispense7, sulle quali ti sono grato delle amichevoli parole, ma avrai modo di cambiare idea! Affettuosi saluti dal tuo Scevola M. Cartolina postale. Si allude all’articolo Catullo democratico? (cit. lett. 165). Vd. inoltre lett. precedente e le tre che seguono. 3 Si riferisce ad un volume (su cui vd. lett. 165) e ad un estratto (su cui vd. lett. 156) prestatigli da T. 4 Vd. lett. 162. 5 Vd. lett. 164. 6 Vd. lett. precedente. 7 Vd. lett. 165. 1 2 369 1681 Pesaro, 30. 4. 1951 Carissimo, fra le questioni enniane che mi si ripresentano ora (e su cui non ci mancherà, spero, in tempi migliori, modo di discutere con calma) vorrei accennartene una che mi sembra interessante. Per me dicti studiosus nel prooem. VII2 è traduzione di φιλόλογος3 ed è da ricollegare col valore dato a φιλόλογος (uomo di varia e molteplice dottrina, quindi s t u d i o s o ecc. – oltreché e più che scrittore che si cura della forma) in età alessandrina (cfr. Eratostene che nel III sec. aveva preso quel soprannome come poi lo prenderà Ateio a Roma nel I sec.), e definisce bene la personalità di Ennio poeta, filosofo, grammatico secondo l’esempio alessandrino. Cosa te ne pare? Un’affettuosa stretta di mano dal tuo Scevola Mariotti [PS. ‒] Se avessi bisogno di Waszink e Risicato4, che continuo colpevolmente a detenere, dimmelo liberamente, perché li ho visti già abbastanza e non mi sono affatto indispensabili. Comunque, conto di rispedirteli presto. Cartolina postale. Enn. ann., 216 V.2 nec dicti studiosus quisquam erat ante hunc, su cui vd. lett. 97. Sul proemio al libro VII vd. lett. 93 e sul valore di dicti studiosus cfr. LE, pp. 104-6 = LE2, pp. 67-9. 3 Vd. lett. seguente. 4 Si tratta rispettivamente di un estratto (vd. lett. 156) e di un libro (vd. lett. 165) che gli aveva prestato T. 1 2 370 1691 [2. 5. 1951]2 Carissimo Mariotti, s e i u n f e n o m e n o ! La tua spiegazione di dicti studiosus = φιλόλογος3 risolve definitivamente ogni difficoltà e permette di scartare senz’altro la spiegazione di H. Fränkel. Chi sa quanti altri contributi di questa importanza ci saranno nelle tue dispense! Io da molto tempo ho tradito Ennio e sto svolazzando da un argomento all’altro senza combinare niente d’importante. Recentemente ho scritto un articolo di metrica antiperrottiano e antigentiliano4. Ad Ennio dovrò, con poca voglia, tornare nell’estate per scrivere un resoconto bibliografico per l’«Anzeiger für die Altertumwiss.» di Innsbruck5. Hai visto in «Eranos» 1951, 35 ss. gli articoli di Laughton e Fraenkel sull’Euhemeros6? Sono abbastanza interessanti; vuoi che te li mandi? Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Per ora non ho bisogno né di Waszink né di Risicato7. Cartolina postale. La data si ricava, anche se non con assoluta certezza, dal timbro postale. In ogni caso è evidente che tiene dietro immediatamente alla cartolina di M. che precede. 3 Vd. lett. precedente. 4 S. T., Questioni di metrica greca, «ASNP», s. II, 20, 1951, pp. 1-20. Vd. anche lett. 171, 186-7. 5 T., Der Forschungsbericht. Ennius (cit. 76). 6 In «Eranos», 49, 1951 si trovano E. Laughton, The Prose of Ennius, pp. 35-49, e E. Fraenkel, Additional Note on the Prose of Ennius, pp. 50-6 (= Id., Kleine Beiträge [cit. lett. 126], II, pp. 53-8). 7 Un estratto (vd. lett. 156) e un libro (vd. lett. 165) che T. aveva prestato a M. 1 2 371 170 Pisa, 8. 6. <1951>1 Carissimo Mariotti, ho ricevuto il Waszink e il Risicato2; spero che davvero non ti servissero più, altrimenti potevi benissimo tenerli ancora. Come va il tuo corso enniano3? Chi sa quante novità ci saranno nelle tue dispense! Qualche giorno fa ho letto per caso, nel «Bollettino della Pubblica Istruzione», la relazione sul concorso di letteratura latina. […] Quei signori non sanno, o fingono di non sapere, che tu, pur avendo fatto molte splendide congetture, non sei affatto un semplice «congetturatore», ma un filologo completo, che non congettura mai per il gusto di congetturare, ma per precise esigenze d’interpretazione o di lingua o di metrica. E pensare che, mentre tu non hai avuto (almeno a giudicare dalla relazione) nessun sostenitore, è stato lì lì per vincere la cattedra un Mazzarino, della cui serietà e preparazione si può avere un piccolo saggio leggendo l’articolo su I quattro esametri di Marco Plauzio nel penultimo fascicolo di «Maia»!4. Ma sta sicuro che prima o poi tutti dovranno riconoscere quello di cui io sono persuaso già da tempo, che cioè tra i giovani filologi tu sei il migliore in Italia e, per quanto io so, anche nel mondo. Ho visto recentemente qui a Pisa il Munari, il quale è stato, anch’egli ingiustamente, respinto alla libera docenza. Ov. am. 2, 4, 11 oculos i n m e deiecta modestos. La difesa di in me del Munari non persuade; correggi in humum, coll. 3, 6, 675. Al Munari la proposta è sembrata persuasiva. 1, 4, 23: conserverei loquaris nel senso di m a l e loquaris; per quest’uso di loqui e dicere vd. Löfstedt, Vermischte Beiträge6. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro L’anno è facilmente desumibile dalle lett. precedente e seguente. Un estratto (vd. lett. 156) e un libro (vd. lett. 165) che T. aveva prestato a M. 3 Vd. lett. 164. 4 A. Mazzarino, I quattro esametri di Marco Plauzio, «Maia», 3, 1950, pp. 300-4. 5 M. aggiunge nell’interlinea: «e met. 6, 607». 6 E. Löfstedt, Vermischte Beiträge zur lateinischen Sprachkunde, «Eranos», 8, 1908, pp. 85-116. 1 2 372 171 Pesaro, 16. 6. 1951 Carissimo Timpanaro, perdonami il lungo silenzio. Sono in una periodo di superlavoro, ma, anche per la ragione che ti dirò più sotto, il mio pensiero si è spessissimo rivolto a te. Prima di tutto, grazie vivissime per quello che mi hai scritto sul giudizio della commissione e che è dettato da una vecchia e provata amicizia1. Certo tu (bisogna che te lo dica) esageri molto nei miei confronti. Il difetto di concentrazione di lavoro che mi rimproverano è vero; e le lodi che tu mi fai n o n corrispondono alla realtà. Basta considerare il fatto che ci sia tu in Italia a produrre, e su un così alto piano scientifico e con tanta novità e genialità di risultati, per ridurre all’assurdo le tue stesse affermazioni. Guarda che lo dico con sincerità. Sono d’accordo invece se dici che in quel giudizio c’erano delle reticenze e una certa tendenza a chiaroscurare con qualche arbitrio. Del resto io ho partecipato senza neppure la più lontana speranza di riuscita (anche questo è letteralmente vero), e contentandomi di avere un giudizio non stroncatorio, come premessa per future (più d’una) partecipazioni a concorsi del genere. A proposito dell’articolo di Mazzarino su Marco Plauzio2, sono d’accordo sulla seconda parte (metrica), insostenibile. Ma il locom della prima mi parve, quando lessi l’articolo, giusto. Sbagliavo? I tuoi rilievi ad Ov. am. 2, 4, 11 e 1, 4, 23 sono giustissimi3: ottima l’osservazione su questo secondo passo (anche noi usiamo frasi come ‘se hai qualcosa da dire [sc. in male] su di me’); sul primo in me è assurdo, in se (quasi = in gremio, cfr. defigere in gremio oculos o simm.) una poco felice correzione. In humum mi pare senz’altro da accogliere (cfr. anche Ov. met. 6, 607). Sono contento che ti abbia persuaso il dicti studiosus = φιλόλογος 4. Non ti aspettare gran che dalle mie dispense, le quali – per spinta dell’editore, un pesarese ignoto5 – usciranno fra poco in forma di libretto, che ti manderò Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. 169. 5 L’editore Federici, presso il quale uscì nel 1951 a Pesaro la prima edizione delle Lezioni su Ennio. 1 2 373 naturalmente subito. Sono quattro capitoli: nei primi tre poco o niente di nuovo, tranne alcuni contributi particolari che quasi tutti conosci. Il IV è forse abbastanza nuovo come impostazione; e su questa impostazione, e se convenga riprenderla a parte, chiedo il tuo s e v e r o giudizio. Il titolo è Gli Annali e l’arte di Ennio: come vedi, roba con pretese. Naturalmente errori, discontinuità, imperfetta disposizione e quasi completa assenza di documentazione, avendo io scritto il tutto in fretta e con pochi testi sottomano. Ma, se la cosa meritasse di esser ripresa, sarei disposto a tornare a dedicarmi ad Ennio per un lavoretto un po’ più ampio, se non mi negherai il tuo amichevole appoggio. Poiché del libretto si tirano pochissime copie (350) e il suo carattere scolastico è evidente e lo destina all’oblìo, ti sarei gratissimo se – qualora te ne paresse il caso – volessi accennare al non molto di nuovo nella tua rassegna bibliografica. Grazie ancora di Waszink e Risicato6; anche di Laughton e Fraenkel7 se puoi (e q u a n d o puoi) mandarmeli. Ann. 5258 (di cui ti scrissi male un’altra volta). – Poiché si parla di Siri e di guerra (surum ferre forse = vallum (da vallus naturalmente) ferre; defendere), p. es., nel lib. XIV prima delle Termopili (parole di un romano): <vel si essent (oppure ita sunt loca tuta | ut, si essent) omnes imbelles, vixque valeret> unu’ surum Suru’ ferre, tamen defendere possent. Per sŭrus f o r s e anche inc. 35, se è, com’è la cosa più probabile, degli Annali; crēbrĭsūro impossibile per il cretico. Per la ricostruzione ipotetica che ti ho scritto sopra, debbo ancora vedere se c’è qualcosa di simile in Livio o altrove. Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola M. PS. ‒ Il tuo articolo metrico9 m’interesserà molto. Ti prego di spedirmelo appena possibile. Le ‘teorie’ (pure ‘teorie’) di Perrotta e Gentili mi hanno sempre lasciato dubbioso sulla loro opportunità (e sulla loro fondatezza), ma non mi sentirei in grado, per incompetenza, di formulare una critica precisa e continuata. Perciò aspetto di leggerti. Vd. rispettivamente lett. 156 e 165. Per Laughton, The Prose of Ennius, e Fraenkel, Additional Note on the Prose of Ennius, vd. lett. 169. 8 Vd. lett. 99. 9 T., Questioni di metrica greca (cit. lett. 169). 6 7 374 1721 [Pisa, 3. 7. 1951]2 Carissimo Mariotti, ottima la tua proposta su unus surum Surus ferre …3. Quando uscirà il tuo libro enniano? Mandamelo al più presto! Io dovrei consegnare il mio resoconto bibliografico entro il settembre. Quanto alla faccenda del concorso, io non ho affatto esagerato4. L’accusa di dispersività ecc. che ti rivolgono è idiota: sarebbe come accusare di dispersività un poeta che abbia scritto 100 brevi liriche su diversi argomenti anziché un unico poema epico. Una volta o l’altra mi deciderò a scrivere un saggio su te, rispondendo esplicitamente alle critiche di questi idioti5! Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. In realtà 3 luglio è la data di arrivo della missiva a Pesaro, che si legge chiaramente nel timbro postale. Dal timbro di partenza da Pisa si ricava con certezza solo il mese (VII), non il giorno (che non può essere che il 1o o il 2). 3 Enn. ann., 525 V.2, su cui vd. lett. 99. T. risponde alla lett. precedente. 4 Vd. lett. precedente. 5 Il saggio di T. su M. venne molti anni più tardi (vd. lett. 139). 1 2 375 1731 Pesaro, 4. 7. 1951 Carissimo, o t t i m e le tue Note a testi latini2. Per la prima, sai già che sono d’accordo3; la seconda è bellissima4 e vi sono dei richiami quanto mai felici, di quelli che non si fanno coi lessici sottomano: quello a Tacito e a Cicerone. Forse non escluderei d e l t u t t o il riferimento ad Antonino Pio: qualcuno poteva dire ‘Tu meriti proprio a n c h e per questo il soprannome di Pius; propria sane ac peculiari arte diceris Pius’. Il tua sarebbe massimamente enfatico. La terza parte è senz’altro persuasiva ed acuta. Sarei curioso di sapere se anche Terenziano Mauro5 cita l’esempio per litoră Xerxes. A l t r i m e n t i (ma è un dubbio assai poco fondato, né io conosco il grado di cultura ecc. dell’anonimo de litteris) si potrebbe sospettare che egli citasse l’esempio di Xerxes (o -is) per la scrittura, forse più comune al suo tempo, Xerses (cfr. il palinsesto di Cic. de rep., esempi nell’Anth. Lat. ecc.): in questo caso non ci sarebbe bisogno di tornare a trasporre Xerxis, ma non si capirebbe neppure molto bene perché il grammatico citasse anche le altre due parole e non il solo nome Xerxes. Come vedi, una sciocchezza. Ti spedirò certo il libretto (e tutte le mende che contiene…) entro una decina di giorni. È già tutto stampato6. Affettuosi saluti dal tuo Scevola M. PS. ‒ Grazie ancora della solidarietà7! Certo è curioso che moltissimi in Italia non capiscano che esistono due categorie di congetture: quelle vuote o ludibundae e quelle che mettono a posto i testi. Una volta volevo scrivere un articolo «Congetture e congetture» su quest’argomento; ma non lo farò mai, anche perché non sembri che lo scriva pro domo mea8! Cartolina postale. «PP», 6, 1951, pp. 129-32. 3 Riguarda Varro Men., 498 B., su cui vd. lett. 141. 4 Su CLE 881 Bücheler. È l’unica ristampata, con pochi ritocchi, in Contributi1, pp. 389-93. 5 T. ha annotato in margine: «VI 359 v. 1160». 6 Si riferisce a LE (vd. lett. precedente). 7 Vd. lett. precedente. 8 Considerazioni che vanno in questa direzione si trovano nelle sezioni metodologiche di Validità e limiti della critica congetturale. Qualche esempio dall’‘Apocolocintosi’ di Seneca, in La filologia testuale e le scienze umane, Atti del Convegno internazionale (Roma, 19-22 aprile 1993), Roma 1994, pp. 61-72 (= SFC, pp. 509-22). 1 2 376 174 Pisa, 20. 7. [1951]1 Carissimo Mariotti, già ad una prima lettura ho potuto apprezzare l’alto valore del tuo volumetto2, che, sotto l’apparenza modesta di un corso di dispense, racchiude contributi importantissimi. Ho sopra tutto ammirato il quarto capitolo. La tua accentuazione del carattere ‘ s a t i r i c o ’ degli Annali è originale e del tutto convincente. Questo capitolo potrebb’essere senz’altro pubblicato a parte: esso costituisce un ottimo saggio critico e storico-culturale su Ennio e distrugge definitivamente la leggenda di un Mariotti soltanto congetturatore. Anche i singoli contributi filologici, che in gran parte già conoscevo, sono ottimi. Il più bello è forse la spiegazione di dicti studiosus = φιλόλογος3; ma è difficile scegliere. Molto felici le correzioni alla tesi di O. Skutsch su Lunai portum …, che rendono la tesi stessa pienamente accettabile. Noto qui alcuni punti su cui sono in dubbio: si tratta, come vedrai, di questioni marginali e poco importanti. p. 56 – La tua interpretazione di pulsatis = ‘percorrete’4, escludendo la danza, mi lascia un po’ incerto. In Aen. 10, 215 pulsabat allude agli zoccoli dei cavalli (cfr. q u a t i t ungula campum!)5; in Aen. 11, 660 pulsant significherà ‘percorrono c o n i m p e t o ’ o qualcosa di simile (cfr. il nostro ‘battere la campagna’): di un pulsare equivalente a un semplice ‘percorrere’ non trovo esempi. Frequentissimo è invece l’uso di pulso e di pello con riferimento alla danza: oltre i passi citati dal Valmaggi6, cfr. p. es. Catull. 61, 14 e Lucr. 5, 1403. Né mi pare da buttar via il confronto con Esiodo; se Ennio contamina, come tu osservi giustamente, diversi passi omerici, perché non potrebbe anche contaminare Omero con Esiodo? p. 85 – Non escluderei l’abbeverarsi alla fonte delle Muse: oltre Properzio, cfr. Persio Nec labra fonte prolui caballino7. p. 89 – Ultima linea leggi «Omero» invece di «Ennio». p. 109 sg. – Molto bene sulle ‘chiose filosofiche’: per l’identificazione di una figura mitica con concetto filosofico (o con un ente fisico) cfr. anche 1 2 3 4 5 6 7 L’anno è stato aggiunto da M. Si tratta di LE, di cui M. prometteva l’invio nella lett. precedente. Vd. lett. 168-9. In Enn. ann., 1 V.2 Musae quae pedibus magnum pulsatis Olympum. Verg. Aen., 8, 596. Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). Pers. prol., 1. Si fa riferimento al celebre sogno di Ennio nel proemio agli Annales. 377 Iuppiter hic risit …8, dove Iuppiter è il Giove mitico ed è nello stesso tempo il cielo (cfr. il frammento dell’Epicarmo)9. p. 112 – Io manterrei col Vahlen solida (non stolida) vi in Ann. 273. Certo così leggeva Gellio, il quale parafrasa poco sotto (20, 10, 10): bello ferroque et vera vi atque solida. p. 125 – Non so se i lati campi fossero testimoni (come in Var. 8) delle vittorie di Scipione: in tal caso non capisco quos gerit Africa terra politos 10 (‘ben coltivati’). p. 140 – F o r s e è esagerato dire che Incedunt arbusta per alta …11 è il più bello di tutti i frammenti di Ennio: il sogno di Ilia, e alcuni frammenti scenici, a me paiono assai superiori. La varietà dei verbi non ha, certo, niente di ingenuo: ma forse quel voler trovare un verbo diverso per ogni albero tradisce un po’ l’artificio. p. 134 – La scansione del frammento delle Sabine12 come coppie di reiziani non mi pare accettabile. A parte una certa prevenzione che, come sai, io ho contro il troppo frequente ricorso a metri rari, qui detraxeritis è futuro anteriore, e ha dunque la penultima breve, a differenza di dederītis che è congiuntivo perfetto. Nel latino arcaico questa differenza è ancora rispettata: il 1o esempio di -īmus in un futuro anteriore è in Catullo 5, 10 (poi spesso in Ovidio). Perciò mi sembra che si debba tornare a supporre 2 senari: … quam, <patres>, | inscriptionem, o p. es. detraxeritis, <dicite,> | quam inscriptionem. Ti ringrazio delle benevole citazioni (anche troppe!). Citerò naturalmente i tuoi contributi nell’ «Anzeiger»13. Ho cominciato a buttar giù quel resoconto, ma mi riesce più difficile di quanto credevo. Di nuovo grazie, rallegramenti e affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Ova parire solet ecc.14: perché per l’appunto parla degli uccelli, e non degli animali in genere? Forse il frammento va accostato a Memini me fiere pavum15, spiega non in generale la metempsicosi, ma come l’anima di Enn. ann., 457 V.2. 9 Enn. var., 54-8 V.2. 10 Enn. sat., 11 V.2 lati campi quos gerit Africa terra politos. 11 Enn. ann., 187-91 V.2. 12 Enn. scaen., 370-1 V.2. 13 T., Der Forschungsbericht. Ennius (cit. lett. 76). 14 Enn. ann., 10 V.2. 15 Enn. ann., 15 V.2. 8 378 Omero poté andare a finire in un pavone. Che ne pensi? Forse troppo arzigogolato16. M. di seguito al testo di T. abbozza una risposta che trova sviluppo nella lett. seguente: «No, ma resta la difficoltà che il passo di Epicharmus a cui si ispira Ennio (anche forse fraintendendolo [vd.]) cita o citerebbe l’esempio in un contesto e ad un proposito generici». 16 379 175 Urbino, 3. 8. 19511 Carissimo Timpanaro, sono dal 1o in Urbino, e mi ci tratterrò tutto il mese. Lavoro un po’, ma soprattutto mi riposo. Non ho bisogno di ripeterti che una tua visita qua (a Urbino o più tardi a Pesaro), naturalmente con permanenza di alcuni giorni da me, mi sarebbe graditissima. Ciò così ora come in qualsiasi altro momento. Grazie del tuo giudizio sul mio libretto2, così pieno di difetti. Che l’impostazione del IV cap. ti persuada, è per me motivo di soddisfazione e di più decisa risoluzione a riprenderla in un lavoro a parte nel prossimo futuro. Particolarmente grato ti sono delle obiezioni. Hai ragione senza dubbio su pulsatis (p. 56) e su detraxeritis (p. 134), e io sono pentito dell’avventatezza con cui ho fatto quelle proposte3. Così è logico conservare solida in Ann. 273: la mia era una svista dovuta al momentaneo uso del Valmaggi4. Grazie anche della segnalazione delle sviste dovute ad affrettata stesura. Giusto anche il rinvio a Iuppiter hic risit5 a proposito delle ‘chiose filosofiche’: avevo pensato a quel passo, ma esso rientrava un po’ a fatica nel contesto, perché non si trattava forse di una ‘chiosa’ vera e propria, ben isolabile, ma di qualcosa di più. Su p. 85, io sarei sempre per escludere la certezza dell’abbeverarsi alla fonte delle Muse: la chiosa a Pers. prol. riguarda solo il v. 2, e non potrebbe darsi che il v. 1 si riferisca al luogo comune (non enniano) dell’abbeverarsi stesso? p. 125 – quos gerit Africa terra politos6. A me pare che politos sia semplice epiteto ornante. Invece di dire lati campi politi, quos ecc. Ennio può aver detto lati campi, quos ... politos. Sotto la data: villa Gloria. Vd. lett. precedente. 3 Questi pentimenti, poi dichiarati nel Postscriptum della ristampa anastatica (Torino 1963, p. 7), diventano evidenti nella seconda edizione urbinate del 1991, dove l’interpretazione di pulsatis (ann., 1 V.2) e la scansione di scaen, 370-1 V.2 (a cui si aggiunge scaen., 423 V.2, di cui non aveva parlato T.) sono soppresse. Neanche della congettura stolida per solida accolta da Valmaggi vi è più traccia. 4 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 5 Enn. ann., 457 V.2. 6 Enn. sat., 11 V.2. 1 2 380 Il giudizio estetico su Incedunt arbusta ecc.7 non era abbastanza motivato: io volevo richiamare l’attenzione sui valori fonici, melodico-descrittivi del frammento: in questi valori sta forse la massima originalità e il vero valore estetico della poesia enniana. Ci tornerò sopra con più calma. Ann. 10-14 – Non credo affatto che la tua ipotesi sia arzigogolata8. È anzi suggestiva e sarebbe comoda per evitare la supposizione di un eccessivo indugio di Omero sulla trattazione teoretica. Però mi pare che faccia difficoltà il passo di Epicarmo sul σοφόν (che non ho sott’occhio). Ad esso mi par certo che Ennio si rifaccia, probabilmente fraintendendolo in senso pitagorico9. Se così è, quell’esempio doveva essere citato da Ennio come da Epicarmo in un contesto e ad un proposito generici. Spedisco oggi il libretto a Skutsch (cancellando il detraxerītis e il pulsatis). Gli avevo scritto, a proposito del frammento neviano (fer foras)10, nel senso che mi avevi suggerito, senza avere risposta. S e hai occasione di scrivergli, vuoi pregarlo di mandarmi la recensione a Marmorale11 ed eventuali altre cose enniane? Avrai certo avuto l’estratto di Strzelecki, Enniana12. Le sue tesi sono insostenibili, con particolare evidenza la prima, dove egli non dimostra affatto che sia am = per (sarà facile trovare nel Thes. esempi del tipo di circum fines e circum segetes). A proposito della mia nota (p. 144), guarda che fontes ogg. di reserare era già in Pascoli, Epos, ad l.13 e può darsi che sia precedente. Ancora grazie e saluti affettuosi dal tuo Scevola M. Enn. ann., 187 sgg. V.2. Vd. la fine della lett. precedente. 9 Segue fra parentesi successivamente cancellato: «o – ipotesi più complicata e, direi, meno raccomandabile – Ennio poteva rifarsi a un testo intermedio che lo fraintendeva». 10 Vd. lett. 164 e 167. 11 Vd. lett. 162. 12 L. Strzelecki, Enniana, in Charisteria Th. Sinko ab amicis collegis discipulis oblata, Varsaviae 1951, pp. 339-47. Vd. lett. seguente. 13 Pascoli, Epos (cit. lett. 103); cfr. LE2, p. 51, nota 13. 7 8 381 176 Pisa, 15. 8. [1951]1 Carissimo Mariotti, grazie della lettera e della cartolina da Urbino2. Sono d’accordo sull’inaccettabilità di am latos populos di Strzelecki3. Le espressioni am fines, am segetes citate da Cominiano e Palemone apparterranno con tutta probabilità al rituale degli Ambarvalia4, e quindi anche lì am = circum, non per. Hai visto nell’ultimo fascicolo degli «Studi» le due note enniane di Ronconi5? La seconda mi pare accettabile, sulla prima sono assai incerto. Come credo di averti scritto a suo tempo6, nell’estate del ’49 lo Skutsch mi mandò l’estratto di un brevissimo riassunto di una sua conferenza enniana, pubblicato nei «Proceedings of the Classical Assoc.» 1949, p. 26 sg. (in esso fra l’altro egli sosteneva che in Ennio la lunga dinanzi a muta cum liquida è limitata a parole greche che altrimenti non entrerebbero nell’esametro). Adesso lo Skutsch, accennando a quel riassunto sul quale gli avevo chiesto recentemente un chiarimento, mi scrive: «It (cioè il riassunto) necessarily leaves out much. E. g. I said dicti studiosus was in my opinion a translation of philologos: if you and Mariotti go on as you are doing there will be nothing left for me to say!». Insieme alla sua lettera lo Skutsch mi ha mandato il testo intero (dattiloscritto, inedito) di quella sua conferenza7; effettivamente a p. 5 del dattiloscritto egli dice: «The precise meaning of dicti studiosus is uncertain. I suspect that it is a translation of Greek philologos. But even if it should have to be given a somewhat different interpretation (student of rhetoric is the most divergent of the suggestions made) it attests for Ennius the theoretical occupation with the elements of poetry». Ad ogni modo egli non trae affatto dall’interpretazione di dicti studiosus le illazioni che tu ne trai, anzi intende φιλόλογος piuttosto in senso moderno e quindi considera ciò come una conferma della sua opinione che Ennio abbia seguìto regole prosodiche e metriche rigide. Di questa conferenza di Skutsch sto L’anno è stato aggiunto da M. Quest’ultima non conservata. La lettera è la precedente. 3 Enn. ann., 3 V.2, su cui vd. lett. 15. 4 Vd. le due lett. che seguono. 5 A. Ronconi, Due nuovi frammenti di Ennio?, «SIFC», n.s., 25, 1951, pp. 105-10 (rist. in Id., Filologia e linguistica, Roma 1968, pp. 147-53). 6 Vd. lett. 124. 7 Pubblicata col titolo di The Annals of Ennius, Inaug. lecture delivered at Univ. College, London 1951, published 1953 = Id., Studia Enniana (cit. lett. 69), pp. 1-17. 1 2 382 copiando i passi più importanti, perché gli debbo restituire quanto prima il testo; ma in complesso non dice molto. Nella lettera, dopo il passo che ho riportato, lo Skutsch aggiunge: «I received Mariotti’s book yesterday8 and shall write to him as soon as I have read it as carefully as it deserves. There is some very good stuff in it, and I am much amused by his reference to my rigidity». E qui ricomincia a dimostrarmi per l’ennesima volta che, quanto alla muta cum liquida, pētrisque non conta perché il verso è corrotto9, nīgrum10 nemmeno perché probabilmente Ennio scrisse atrum o taetrum, e āgri11 è isolato e quindi non si può prestargli fede! Più sotto aggiunge: «By the way, do you believe Mariotti’s Antiocus12? I had mentioned it in the commentary as one of many possibilities». Insomma ho l’impressione che si sia accorto del valore del tuo volumetto. Quanto alle sue l e g g i prosodiche, niente da fare: nessuno riuscirà a convincerlo! La sua recensione a Marmorale non è ancora uscita13. A proposito di litoră Xerxes14: anche Terenziano Mauro cita il verso per la finale breve di litoră, e quindi l’osservazione dell’Anecd. Helv. che «X vicem complet S» si riferirà a ciò, anziché a una grafia Xerses. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro Vd. lett. precedente. Enn. ann., 365 V.2. 10 Enn. ann., 474 V.2. Vd. lett. 134. 11 Enn. ann., 320 V.2. 12 In Enn. ann., 141 V.2, su cui vd. lett. 38. 13 Vd. lett. precedente. 14 Vd. lett. 173. 8 9 383 177 Pesaro, 10. 9. 1951 Carissimo, con le solite scuse per il ritardo, inizio una lettera che sarà abbastanza ricca di argomenti. Ti ho rispedito (scusami ancora per il ritardo!), con un estratto improvvisato di Pascucci1, il duplice articolo dell’«Eranos»2: mi pare un lavoro assai utile, che varrà anche come premessa a un approfondimento del problema per risolvere, fin dove possibile, i particolari. A proposito di Var. 103 sg. (idque ... indidit) e 104 sg. (idque ... nominavit), visto che sono varianti entrambe notevoli per contenuto e stile e che non si capirebbe proprio la ragione della sostituzione dell’una all’altra da parte di uno diverso da Ennio, penserei che fossero varianti d’autore (forse posteriore, cioè definitiva, la seconda?). Ma ne potremo riparlare, e passo al resto. Articolo di Ronconi3: molto probabile anche per me la seconda parte; la prima mi sembra accettabile solo per l’osservazione dell’ennianità delle allitterazioni ‘a ponte’ sulla cesura, per cui fortunatam natam di Cicerone4 è allitterazione d i t i p o e n n i a n o . Ma che fortunatam natam sia di Ennio non credo affatto dimostrato da quanto è detto a p. 106 sg., né la ricostruzione (e quindi la collocazione) del verso enniano mi pare in alcun modo probabile. Infatti, se Cicerone e Orazio coincidono (com’è probabile, ma non certo) senza che il secondo imiti il primo, si aspetterebbe nel verso di Ennio una indicazione di carica o di dignità (Cic. consule, Hor. principe), non un sospite; e poi perché Romolo era servator di Roma? (d’altronde auspice o augure non sono molto probabili, mancando esempi di ted nell’epica, credo). Anche il passo di Festo non mi pare bene inteso: il frammento enniano di cui a p. 107 e n. 4 mi pare usi sospes nel senso di ‘salvo’, non di ‘salvatore’. Grazie vivissime per il tuo ottimo articolo sull’Anth. Lat.5. E grazie per le citazioni: solo non credo davvero fosse il caso che tu mi citassi per l’osservazione paleografica su 99, 3 (p. 36), e penso che per cose del genere Pascucci, Stile e lingua (cit. lett. 165). Quelli di Laughton e Fraenkel, per cui vd. lett. 169. 3 Ronconi, Due nuovi frammenti di Ennio? (cit. lett. precedente). 4 Carm., fr. 17 Mor. 5 T., Sul testo dell’‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 158). M. aveva letto il dattiloscritto alla fine del 1950 (vd. lett. 159-60). 1 2 384 dovremmo liberamente approfittare di suggerimenti reciproci. Se no, chissà quante volte di più avrei dovuto fare il tuo nome in cose mie! Ti pare? p. 39, n. 1 – La congettura è senz’altro acuta, ma nostrum profectum parrebbe in sé valere piuttosto ‘il mio vantaggio’, e viene fuori sempre (come del resto con nostras di Oudendorp) qualcosa di duro, che del resto può ben risalire all’autore. ibid., n. 2 – Certo non si può escludere, ma è ardito. Ci vorrebbero esempi affini. (An iaces? che però non varrà più di lates)6. p. 40 – ... quae tibi<que> et ... Non saprei. Ma già <quae>que di Burman e Baehrens non valeva q u a e tibi e t ubera et potum? An ubera quae tibi, quae (et cod.) potum ... ? p. 47 n. 3 – L’obiezione di Munari mi pare notevole, sebbene non definitiva. Ed ora torno ad Ennio. Certo farò prossimamente l’articolo su singoli passi enniani, quasi tutto già a te noto. Te lo farò naturalmente leggere, e già prima credo che avrò bisogno dei tuoi suggerimenti. Di chi è l’ottima ipotesi che am fines ecc. siano tratti dal rituale degli Ambarvalia7? Tua? Anche a me Skutsch scrisse molto cortesemente circa un mese fa: gli risponderò oggi stesso. Accenna al dicti studiosus ecc. Mi dice di chiederti il manoscritto della sua conferenza8, ma io mi limito a chiederti se c’è qualcos’altro d’interessante, non avendo francamente voglia di leggerla tutta. Ammette di malanimo tergūʹs ecc.9. Dice di essere ora d’accordo che quaeque in corpore ecc.10 sono anapesti. Sembra favorevole ad ... arbitro ahenis11. È sfavorevole alla scansione di Lindsay di trag. 291 (e quindi, ovviamente, anche alla mia di íllic est 12 ecc.) perché mi aúscultá13 dà fine di cretico coincidente con fine di parola molossica (equivalente a parola spondaica, che ivi è ammessa solo due volte in Plauto; rimanda al suo articolo in «Class. Philol.» 32, 1937, p. 36014, ma non mi pare obiezione definitiva. Forse i due esempi enniani si sostengono a vicenda). Non è 6 In margine di mano di T.: «an sedes?». Iaces di M. compare in Contributi1, p. 581, nota 12. Vd. lett. precedente e seguente. Vd. lett. precedente. 9 In Enn. ann., 508 V.2, su cui vd. lett. 102. 10 Enn. ann., 9 V.2, su cui vd. lett. 38. 11 In Enn. ann., 567 V.2, su cui vd. lett. 62. 12 In Enn. scaen., 423 V.2, su cui vd. lett. 51. 13 Enn. scaen., 291 V.2 (vd. lett. successiva e 43). T. ha annotato in margine: «nimirum sauciavit se f. L.» (Fulgenzio, Expositio sermonum antiquorum, p. 117 Helm). Vd. lett. 44. 14 O. Skutsch, The First Scene of Plautus’‘Epidicus’, «CPh», 32, 1937, pp. 360-5. 7 8 385 d’accordo con la scansione bacchiaca di 72 sgg.15, ma non mi persuade. Dice che l’anno prossimo, venendo in Italia d’estate, avrebbe con piacere un «Ennius congress» con noi. Due note telegrafiche: 1) se ti è possibile e facile, potresti far chiedere, da Vallerini (p. es.), un paio di copie del mio libretto16 in deposito (a Federici, via Branca, Pesaro), sebbene io sia persuasissimo che non interessi né privati né biblioteche?; 2) se per caso (e quando) avessi qualcosa per gli «Studi Urbinati», i tuoi scritti sarebbero graditissimi17. Un’affettuosa stretta di mano dal tuo Scevola M. Su Enn. scaen., 72 sgg. V.2 vd. lett. 54. Cioè di LE. 17 In margine di mano di T.: «Camilli, Metrica ?». Si riferisce al proposito di una recensione a A. Camilli, Trattato di prosodia e metrica latina, Firenze 1949, su cui vd. lett. successiva. 15 16 386 178 Pisa, 14. 9. [1951]1 Carissimo Mariotti, Vallerini mi ha detto che chiederà subito in deposito il tuo volumetto all’editore, di cui gli ho dato l’indirizzo2. In bocca a un pisano, s u b i t o può anche voler dire f r a u n a n n o , e quindi fra un certo tempo, se non lo vedo esposto, tornerò all’assalto. Grazie per l’offerta di collaborare agli «Studi Urbinati»3. Anche recensioni, o soltanto articoli? Ho una recensione al Trattato di metrica e prosodia latina del Camilli (uscito l’anno scorso) che non sono riuscito a pubblicare4, sebbene forse non sia del tutto privo d’interesse. Ma il titolo della rivista («Studi Urb.») mi fa supporre che le recensioni siano escluse. Grazie anche per l’articolo di Pascucci, che però qualche mese fa mi era stato mandato dall’autore5. Te lo rimanderò quindi alla prima occasione. Anth. Lat. p. 40 mio articolo 6 – Sì, anche <quae>que di Burman varrà q u a e tibi e t ubera et potum; ma il que inserito lì, oltre ad essere poco chiaro, disturba l’anafora, quae tibi … quae tibi … Il Morel, a cui avevo mandato il mio articolo, propone di scrivere vel (equivalente a et, come spesso nel lat. tardo) invece di et: non male. Anche il tuo q u a e potum è da prendere in considerazione, ma forse anch’esso turba la simmetria dell’anafora (quae tibi …, quae …, quae tibi …). Giacché siamo sull’Anth. Lat.: in 738a, v. 2 mi pare sicuro nomen habeb i s (habeb i t codd.)7. Passiamo ad Ennio. Perfettamente d’accordo su Ronconi8. All’ipotesi che am fines ecc. derivi dal rituale degli Ambarvalia siamo arrivati indipendentemente Skutsch ed io9; può darsi che altri ci abbiano preceduto: dal Keil non risulta, ma non ho visto Barwick. Mi compiaccio che Skutsch ammetta L’anno è aggiunto da M. Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. precedente. 4 T. scrive in nota: «Attualmente il ms. è ancora alla redazione della “Parola del pass.” ma ho capito che non intendono pubblicarlo e quindi lo richiederò». In realtà la recensione al Camilli uscì in «PP», 6, 1951, pp. 391-8 (così nella lett. 181, vd. anche lett. 185-7, 189). 5 Pascucci, Stile e lingua (cit. lett. 165). 6 T., Sul testo dell’‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 158). Sul problema vd. anche lett. seguente. 7 M. annota: «Mi pare giusto». 8 Vd. le due lett. precedenti. 9 Vd. le due lett. precedenti. 1 2 387 tergūś 10 e la scansione anapestica di quaeque ecc. Sulla muta cum liquida stiamo ancora discutendo, per ora senza frutto. La sua obiezione quanto a mi áuscultá dà da pensare11. Ho visto il suo articolo in «Class. Phil.»12; dice che gli unici due esempi di coincidenza tra fine di cretico e fine di parola spondaica sono Plaut. Amph. 221 e Most. 732; dubbî Epid. 330 e Poen. 1182, non degni di menzione Bacch. 657, Capt. 21213 ed Epid. 544. (Non ho tempo ora di controllare questi esempi). Continua così. «How anxious the poet is to avoid the clash in a spondaic word is borne out, not only by the overwhelming number of iambic words in a corresponding position, but also by the unrestricted occurrence of molossi like cúm clamór(e), Amph. 245; quós argént(o), Capt. 205; nam ét cenánd(um), Most. 701; quín elúd(e), Pers. 805; díc vivísn(e), Rud. 243; sí frugí est, Bacch. 665; quód nusquámst, Epid. 335, etc.». Cosa c’entrino i due ultimi esempi coi precedenti, io non so capire; mi pare anzi che siano due eccezioni alla regola di Skutsch. Nella nota 3 osserva ancora: «Most. 108, átque illúd, is a case for itself». Insomma bisogna rivedere tutto. Se Skutsch ha ragione, cade anche la mia scansione (e quindi il più forte argomento per l’autenticità) del frammento della Telestis citato da Fulgenzio (cfr. il mio 3o articolo enniano14, p. 202 sg.): nímirúm. Alla scansione bacchiaca di Sc. 72 sgg.15 che cosa obietta Skutsch? A me pare che obiezioni non ci siano, e tuttavia anch’io non sono persuaso: mi pare scansione corretta ma stentata. Coi più affettuosi saluti il tuo S. Timpanaro [PS. ‒] Speriamo che l’ ‘Ennius Congress’ si realizzi! Ci sarà da discutere. Muth mi prega di ritardare l’invio del resoconto enniano per l’«Anzeiger» di Innsbruck16 al 30 giugno prossimo. Cerca di far uscire prima il tuo articolo enniano! In Enn. ann., 508 V.2, su cui vd. lett. 102 e lett. precedente. Vd. lett. precedente e 43. 12 Skutsch, The First Scene of Plautus’‘Epidicus’ (cit. lett. precedente), p. 360. 13 T. aggiunge in nota: «Qui egli (p. 360 n. 2) scandisce: út sine hísce árbitrís átque vóbis (cfr. 215…) | nóbis détís locúm loquéndi». 14 Vd. lett. 8. 15 Vd. lett. 54. 16 T., Der Forschungsbericht. Ennius (cit. lett. 76). Vd. inoltre lett. 174. Questa seconda frase è stata aggiunta nell’unico spazio bianco rimasto nella prima pagina della lettera sopra l’intestazione. 10 11 388 179 Pesaro, 25. 9. 1951 Carissimo, grazie prima di tutto, e scusami, per Vallerini1. Per gli «Studi Urb.»2, finora non vi sono uscite recensioni, ma potrei insistere – quando il rettore sarà tornato (il rettore è Bo, che aveva accettato con piacere di pubblicare qualche lavoro di filologia classica di buoni collaboratori) – perché pubblichino la tua, e credo che sarebbe senz’altro possibile. Ma perché non le dai la forma di articolo, con qualche leggera modificazione iniziale e un titolo (anche, p. es., Un nuovo trattato di metrica latina o simm.)? Dimmi cosa ne pensi e, se credi, ritirala senz’altro dalla «Par. d. pass.»3. Non rimandarmi l’articolo di Pascucci che non mi serve4. Per Anth. Lat., p. 40 del tuo articolo5, anche a me il vel di Morel pare degno di considerazione. Eppure una correzione del tutto convincente non è stata ancora trovata; e io non escluderei del tutto l’errore tibi / et da te sostenuto. L’habetis da te proposto in 738a, 2 mi pare sicuro. Hai mandato il tuo articolo a Paul Maas - 38 Chalfont Rd. - Oxford? Skutsch mi mandò, dopo la sua lettera, l’estratto del suo articolo in «Class. Philol.»6 (comunque, ti ringrazio molto delle notizie che me ne avevi date). Notai subito anch’io l’inconsistenza dell’esclusione di esempi come si frugi est (cioè si frugist), quod numquamst: a me non risulta che qualcuno abbia sostenuto un’accentuazione numquámst ecc., l’unica possibile giustificazione per l’esclusione di Skutsch. Non mi ero invece fermato su atque illud, perché pensavo alla possibilità di un ĭllud, che invece è senz’altro impossibile. Scrivendogli (non l’ho ancora fatto!), gli farò notare questo ed altro che ti sottopongo. Ho riguardato i cretici della Mostellaria [purtroppo io non posso fare una ricerca sistematica: ho qualche volume dell’Ernout, qualcosa di Goetz-Schoell e del vecchio Fleckeisen, l’edizioncina di tre commedie di Niedermann, e capirai come posso fare una ricerca di questo tipo!]. Riconosco l’utilità di una ricerca più vasta, ma sono sempre meno persuaso delle ‘leggi’ di Skutsch. Vd. le due lettere che precedono. Vd. lett. precedente. 3 In realtà la recensione al Camilli uscì in questa rivista (vd. lett. precedente). 4 Pascucci, Stile e lingua (cit. lett. 165). 5 T., Sul testo dell’‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 158). Sul problema vd. anche lett. precedente. 6 Vd. lett. 177. 1 2 389 Verso 1097 – cónfringit tégulas ímbricésque ibí (dunque mi aúsculta di Lindsay, nímirum tuo sono sostenibilissimi!). E poi questa gente fa presto a fissare leggi! Prima le fissa e poi scandisce altrimenti tutti i versi che non le seguono (dico questo, naturalmente, per sfogo polemico). Guarda infatti i vv. 704 e sg., in una scena dove prevalgono di gran lunga i cretici (con e senza clausola): Néminem sóllicitat ⁞ sópor: ibi ómnibús | íre dormítum odiost. ⁞ vélut<i> núnc mihí. Così li scandiscono alcuni (p. es. il Niedermann, che seguirà certo altri), e, credo, giustamente. Goetz-Schoell scandiscono, se non sbaglio, trimetri troc. cat.: ma credo che versi di questo genere non si trovino mai nel latino arcaico. Avremmo allora coriambi nel secondo piede terminante con fine di parola, che giustificherebbero anche il nugator della mia scansione. In favore di esso anche il v. 723 secondo la scansione accolta da Goetz-Schoell: íntus : : quid id ē ś t : : scīs iām, ⁞ quíd loquar. síc decet. Ma, ripeto, una ricerca complessiva sarebbe utile. Se qualche volta tu avessi voglia di farla, ti pregherei di vedere la questione della parola molossica (o finale di parola + parola spondaica ecc.) nel piede pari. Dagli esempi citati da Skutsch, l’unico che non abbia visto è Epid. 335. Alla scansione bacchiaca di Sc. 72 sgg.8 Skutsch obietta: «I have my doubts about your bacchees. On quid ita see Ges. d. Iambkzg.9 p. 81 n. 1 [non l’ho visto, purtroppo, e tratterà, penso, dell’accentuazione quíd ita; ma come spiega p. es. Curc. 48, Mil. 1260, Poen. 691, Pseud. 77, e soprattutto Poen. 705, esempi che trovo in Lindsay, Early Latin Verse, p. 9510?], and I do like your ades; miserande iaces, perhaps». Forse non ha visto il <fles> miser proposto negli addenda, forse da preferire? Io non ho ancora abbandonato l’idea che siano bacchei, sebbene anche Fraenkel lo neghi senza dare motivi. Fraenkel approva la parte storico-letteraria del IV cap.; critica assurdamente la scansione Quántam statuam fáciet ecc.11 dicendo che in un verso trocaico ci vorrebbe, come sostenne Spengel, almeno un trocheo (ma un trocheo c’è: quantām cŏlumnam!)12; dice che negli Hedupagetica è assurdo parlare di correptio, perché per apud valgono le osservazioni che seguivi anche tu (e in sé sarebbero certo approvabili)13 e scarum deve senza dubbio essere corretto14. Non mi persuade abbastanza e glielo scriverò. Non fa altre osservazioni. Plavt. Most. Vd. lett. 54. 9 Skutsch, Prosodische und metrische Gesetze (cit. lett. 148). 10 Lindsay, Early Latin Verse (cit. lett. 17). 11 Enn. var., 1 V.2 (vd. lett. 56). 12 Enn. var., 2 V.2. 13 Vd. lett. 98. 14 Enn. var., 40 V.2 (vd. lett. 101). 7 8 390 Per finire, una preghiera. Persone di Amalfi, che hanno una bambina gravissimamente malata di nefrite, vorrebbero sapere se è vero che a Pisa esiste un ottimo primario pediatrico, come han sentito dire, per cui convenisse portarla di laggiù a visitare. La domanda, fatta da conoscenti comuni a mia madre, è naturalmente un po’ strana, ma io te le trasmetto chiedendoti scusa della seccatura. Scusami, al solito, la frettolosa stesura della lettera. Scrivimi ed abbimi, con vivissimo affetto, tuo Scevola M. 391 1801 [Pesaro], 30. 9. 19512 Carissimo, mille grazie (anche a nome di mia madre) per la premurosa ed esauriente risposta che abbiamo subito fatto proseguire. Mi dispiace che a me manchi la possibilità di ricambiare le tue cortesie3! In Sc. 744 forse <ades> (e, a maggior ragione, <fles>) fanno qualche difficoltà per il senso, sono troppo influenzati da Virgilio. Qui Cassandra ‘vede’ Ettore morto già trascinato sotto le mura: il <fles> presupporrebbe una situazione ‘virgiliana’, l’<ăděs> sarebbe forse sostenibile, ma fa poi anche qualche difficoltà per le troppe soluzioni. Allora tenterei: miser<áre> aut ecc., ‘sei oggetto di compianto’, con riferimento al famoso compianto di Ettore di Il. X. Per misero attivo in tragedia cfr. Acc. 195 R.3. Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola M. Cartolina postale. Il luogo si ricava dal timbro postale. 3 Vd. la richiesta fatta da M. alla fine della lett. precedente. Non è conservata la risposta di T. citata. 4 Vd. lett. 57. 1 2 392 181 Pisa, 6. 10. 1951 Carissimo Mariotti, ho ricevuto la tua cartolina e l’espresso1. Ti ringrazio della tua premura e nello stesso tempo mi dispiace che ti sia preso tanto disturbo. Proprio ieri l’altro, inaspettatamente, ho ricevuto le bozze di quella recensione al Camilli2, la quale quindi ormai uscirà ne «La parola del passato»; del resto, come vedrai, non valeva la pena di trasformarla in articolo. Purtroppo Gallavotti ha in più punti rimaneggiato il manoscritto, forse nell’intento di abbreviarlo; e non sempre ho potuto ristabilire il testo originario. Così la recensione apparirà ancora peggiore di com’era all’inizio. Agli «Studi Urbinati» vedrò, più in là, di mandare qualcosa di meglio. Intanto ti prego di ringraziare vivamente a mio nome il prof. Bo. Sc. 743 – Miserare mi lascia dubbioso: miser sta molto bene in questo contesto patetico e non vorrei mutarlo. È davvero un difetto l’analogia di fles o ades con Virgilio? Macrobio cita il frammento enniano proprio per questa analogia. La scansione bacchiaca a me continua a parere i n o p p u g n a b i l e m a n o n c o n v i n c e n t e . C’è la possibilità di raggruppare le sillabe in piedi bacchiaci, non c’è un andamento bacchiaco evidente. Personalmente credo ancora ad una scansione trocaica: Ó lux Troiae, germane Hector (fine di ottonario, o quaternario isolato) | quíd ita cum tuo lacerato córpore <astas fléns,> miser? | Áut qui te sic tráctavere n o b i s r e s p e c t a n t i b u s ? O, non volendo accettare la transposizione, ripiegherei sulla scansione, pure trocaica, del Leo (De trag. Romana p. 20)4: O … Hector | quíd … laceráto | córpore <abiectu’s> miser aut qui | té sic respectantibus | tráctavére nóbis? (itifallico). Dà noia però il dattilo tús miser, nonché la chiusa aut qui e la separazione di lacerato da corpore. Quindi, tutto sommato, preferirei transporre. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Si tratterà della cartolina precedente; nell’espresso, perduto, M. comunicava all’amico la possibilità di pubblicare la recensione al Camilli in «StudUrb(B)», magari trasformandola in articolo. 2 Vd. lett. 178. 3 Vd. lett. 57. 4 Leo, De tragoedia Romana (cit. lett. 52). 1 393 182 Pesaro, 1. 11. 1951 Carissimo, oggi un argomento... imprevisto e di una certa importanza, su cui spero vivissimamente di avere il tuo assenso. In Urbino si istituisce quest’anno, anzi in questi giorni, accanto alla Facoltà di Magistero, quella di Lettere, che avrà naturalmente per il momento una vita piuttosto modesta1. Io avevo l’anno scorso, oltre l’incarico di latino, quello (nominale, si può dire) di greco al Magistero, e quest’anno, col definitivo abbandono di Urbino (già avvenuto) da parte di Ronconi, mi danno anche Grammatica latina, tradizionalmente assegnato qui all’incaricato di letteratura. Ora però la situazione cambia: il greco dovrà cominciare a funzionare più seriamente, si aggiunge grammatica greco-latina, e certamente (anche se forse in un secondo tempo) latino di Lettere e latino di Magistero saranno distinti. Per queste ed altre ragioni è necessario che ci sia qua un altro incaricato. Se questo incaricato fossi tu, io sarei felicissimo che la sua venuta datasse fin da quest’anno. Ti dirò come sono andate le cose. Bo qualche giorno fa mi ha chiesto se potevo indicargli qualcuno – s’intende di sicuro affidamento! – ed io (consenziente anche Ronconi, che però non si è interessato direttamente della cosa) gli ho indicato te. Ora mi ha incaricato di chiedere se gradiresti la nomina, che potrebbe essere fatta, magari per questo primo anno, anche per materie che non siano le più impegnative (p. es. le due grammatiche) e che quindi ti lascino una certa libertà. La cosa più importante sarebbe, secondo me, che tu assumessi effettivamente qualche incarico (ma sulla divisione delle materie, naturalmente, la soluzione migliore sarebbe forse – in tempi normali o fin d’ora – fare come a Firenze), perché, quando a Urbino si è entrati, non se ne esce, in pratica, che se lo si vuole. Puoi capire come io desideri e, se mi permetti, insista perché tu accetti. Il vantaggio maggiore è costituito dal titolo che questi incarichi costituiscono. Diari ed orari sono qui piuttosto leggeri (come, se vorrai, ti specificherò). Per Urbino c’è una corriera diretta da Firenze. Gli stipendi sono scarsi, purtroppo; ma anche su questo ti potrò essere preciso. Ti mando questa lettera per espresso perché tu abbia il tempo di pensarci, di chiedermi eventuali schiarimenti e di darmi una risposta entro un 10-15 giorni, cioè per quando Bo rientrerà in Urbino. C’è bisogno che ti dica che attendo con v i v i s s i m o d e s i d e r i o 1 In realtà la Facoltà di Lettere comincerà la sua attività solo nel 1956. 394 una tua risposta affermativa? Ora una preghiera: non dire, né della proposta né della disponibilità di cattedre ecc., nulla a nessuno. Abbimi, con un affettuoso abbraccio e cari saluti, tuo Scevola Mariotti PS. – Su Sc. 72 sgg.2 – È vero che miser <ades> o <fles> miser sono favoriti dal confronto con Virgilio; ma a me pare che le due situazioni siano diverse. In Virgilio si tratta di un’apparizione di Ettore che si presenta ad Enea per parlargli – quindi flet ecc. – in Ennio invece si tratta solo della visione di un momento, di un episodio particolare della guerra di Troia, e questo episodio è ben isolato e chiarito da qui … nobis: perché Ettore dovrebbe flere? Il mio <flet> dev’essere del tutto sbagliato; poco probabile anche ades, direi. È giusta la tua obiezione a miser<are>, ma forse non definitiva; e io resterei a questa congettura in attesa di qualcosa di meglio che si concilii coi miei bacchei, o in attesa di abbandonare i bacchei… 2 Vd. lett. 54. 395 183 [2. 11. 1951]1 Carissimo Mariotti, la tua proposta2 è un’ennesima prova (se di prove ci fosse bisogno!) della tua fraterna amicizia. Puoi immaginare quanto sarei lieto di trovarmi con te ad Urbino. Senonché io già da parecchi anni ho definitivamente abbandonato l’idea di fare la carriera universitaria. Sono convinto che per me – individuo irrequieto, ultranevropatico, per non dire quasi pazzo – l’insegnamento universitario (anche dato e non concesso che io vi arrivassi) sarebbe fonte di fastidi e preoccupazioni assai più che di soddisfazioni; e ormai mi sono talmente incanalato nella scuola media3, che non riesco neppure a immaginarmi in un ambiente diverso. Del resto, a parte questa ragione pregiudiziale, io non sarei minimamente in grado di metter su per quest’anno un corso né di grammatica né di letteratura. Sono, credimi, spiaciutissimo di dover rispondere con un rifiuto a tanta amichevole fiducia; ma sento di non poter fare altrimenti. Ti prego di ringraziare vivamente Bo e Ronconi; e soprattutto ringrazio te. Puoi star sicuro che non dirò nulla a nessuno della faccenda. Su che farai il corso quest’anno? Il Munari ti ha parlato delle ecloghe edite dal Lehmann che egli sta ripubblicando4? Quest’anno alla Normale probabilmente Pasquali farà il seminario sugli Amores. Di nuovo grazie e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro La data è stata aggiunta da M. Vd. lett. precedente. 3 In nota T. aggiunge: «anche quest’anno insegno all’Avviamento di S. Frediano a Settimo». 4 Vd. lett. 187-8. 1 2 396 184 [Pisa], <dicembre 1951>1 Carissimo Mariotti, pur ringraziandoti di tutto cuore per le tue affettuose insistenze, non posso che confermarti la mia decisione2. Non mancano altri studiosi seri a cui può essere affidato quell’incarico. Leggerò molto volentieri la tua dissertazione inaugurale su Livio Andronico3; ma non tralasciare Ennio, anzi cerca di pubblicare il tuo articolo enniano prima del 30 giugno in modo che io possa parlarne nella mia rassegna per l’«Anzeiger» di Innsbruck4. Ieri, sfogliando alcuni fascicoli degli «St. it. di fil. class.» ho rivisto l’articoletto di tuo fratello5. Che fa? Si è laureato? Continua ad occuparsi di filologia classica? Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro La data, che non è possibile in alcun modo ricavare dal timbro postale (dove si legge con chiarezza solo la provenienza), deve precedere di poco la cartolina che segue (del 19 dicembre), che è chiaramente una risposta a questa. 2 Il rifiuto della proposta di M. (lett. 182), già espresso da T. nella lett. precedente, è qui ribadito certo in seguito ad ulteriori insistenze da parte dell’amico di cui non sono conservate tracce scritte. 3 Lezione inaugurale dell’a. a. 1951-52 tenuta nel novembre del 1951 presso l’Università di Urbino, Livio Andronico e la traduzione artistica, pubblicata in «Ann. della Univ. degli Studi di Urbino», a. a. 1951-52 e 1952-53, Urbino 1953, pp. 13-33 (rist. in Relazioni del Rettore Carlo Bo e Discorsi inaugurali dei docenti della Libera Università degli Studi di Urbino, IV, 1947-1967, Urbino, 1998, pp. 112-27). Vd. anche lett. 185-6, 188. 4 T., Der Forschungsbericht. Ennius (cit. lett. 76). 5 Vd. lett. 57. 1 397 1851 Pesaro, 19. 12. 1951 Carissimo, ho tardato a scriverti perché volevo aspettare di mandarti l’articolo su Livio Andronico2 riveduto e completato. Ma ora penso di non poterlo fare che subito dopo Natale; e quindi ti mando per ora i migliori e più affettuosi auguri, pregandoti di ricordarmi anche devotamente a tua Madre. Per l’articolo ti prego vivamente fin d’ora di leggerlo con severità, ché ne ha bisogno. Ora progetterei un libretto sull’epica latina arcaica con tre saggi su Livio Andronico, Nevio (che avrei in mente nelle linee essenziali) ed il rifacimento migliorato di quello enniano (IV cap. delle Lezioni). Seguirebbero contributi puntuali ai tre autori, che mi daranno l’occasione di correggere l’articolo su Nevio negli «St. Urb.» e di stendere finalmente quello su Ennio, che quindi rischia purtroppo di essere rimandato a dopo la tua recensione nell’«Anzeiger»3. Attendo la tua recensione al Camilli4. A parte ti mando un estratto di cui conosci già il contenuto5. Italo si occupa di Lucilio e andrà presto da Paquali per fissare l’argomento della tesi. Nell’ultimo fasc. di «Belfagor» è uscita una mia recensione alle Quarte stravaganze di Pasquali6: quando ne avrò l’estratto te lo manderò. Affettuosi saluti dal tuo Scevola M. Cartolina postale. Vd. lett. precedente. 3 T., Der Forschungsbericht. Ennius (cit. lett. 76). L’art. neviano è Contributi al testo dei frammenti scenici di Nevio (cit. lett. 125). Vd. lett. seguente. 4 Vd. lett. 178. 5 Come si ricava dalla lett. successiva si tratta di M., Fuga pedibus (cit. lett. 79). 6 S. M., rec. a G. Pasquali, Stravaganze quarte e supreme, «Belfagor», 6, 1951, pp. 740-3. Vd. anche lett. seguente. 1 2 398 1861 Pisa, 22. 12. 1951 Carissimo Mariotti, grazie della cartolina e dell’articolo Fuga pedibus2, che mi pare tuttora pienamente convincente. Ho letto in «Belfagor» la tua recensione a Pasquali3, ottima; soltanto mi ha un po’ meravigliato la tua difesa della goliardia. A me pare (in base all’esperienza di Pisa e di Firenze) che la goliardia odierna sia solo un’imitazione grossolana, anacronistica e (nonostante l’ostentata allegria) melanconica di usanze che hanno ormai fatto il loro tempo. Il tuo progetto di pubblicare un libro sull’epica latina arcaica è o t t i m o 4 . Aspetto con desiderio l’articolo su Livio Andronico5. Appena riceverò gli estratti, ti manderò l’articolo metrico antiperrottiano e antigentiliano, che è uscito negli «Annali della Sc. Norm.»6. La parte critica mi pare ancora valida; quella ricostruttiva va giudicata con indulgenza. La recensione al Camilli7 non è ancora uscita. Ti ricambio i migliori auguri anche da parte di mia madre. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro 1 2 3 4 5 6 7 Cartolina postale. L’invio è annunciato da M. nella lett. precedente; sul frammento vd. lett. 79. M., rec. a Pasquali, Stravaganze quarte e supreme (cit. lett. precedente). Si riferisce a quanto è detto nella lett. precedente. Vd. lett. 184. T., Questioni di metrica greca (cit. lett. 169). Vd. lett. 178. 399 1871 Pesaro, 12. 4. 1952 Carissimo Timpanaro, è davvero da tempo immemorabile che penso e stabilisco di scriverti. Ho molto lavoro, scolastico ed extra, e aspettavo, per scriverti a lungo, di aver pronto il saggio su Livio Andronico2, che ti manderò presto con preghiera di severa lettura. Oltre questo, non uscirà prossimamente di mio se non una nota con qualche contributo testuale a Consenzio (negli «St. Urbinati», a cui spero che collaborerai!)3. Il tuo saggio su Gentili e Perrotta4 è bellissimo: io sono completamente d’accordo non solo sulla parte negativa, ma anche sull’impostazione di quella costruttiva. Ora attendo l’estratto della recensione al Camilli5, che ho visto di sfuggita a Urbino, ma senza poterla leggere con attenzione. Aspetto con grande interesse i prossimi lavori. Ho avuto da Munari le ecloghe medievali6 (credo che tu ti riferisca a quelle lehmanniane, che sono però più di due): gli ho mandato qualche contributo, su cui ti prego di dirmi il tuo parere quando li vedrai. Quasi tutti i tuoi contributi erano ottimi (ma infringere loquelas sarà piuttosto trascrizione leccata di rumpere voces)7, e senza di essi non sarebbe potuta venir fuori un’edizione critica decente. Per il tuo resoconto bibliografico enniano8 sai che tempo fa fu pubblicato uno studio di Paratore su Nemo me lacrimis in soli estratti9, che non ho potuto vedere, ma che furono inviati a parecchi professori universitari (forse anche a Pasquali)? Ora Paratore sta per pubblicare un saggio su Ennio in atti di accademia. Auguri devoti a tua Madre; affettuosi e fraterni a te. Scevola M. Cartolina postale. Su cui vd. lett. 184. 3 M., Note al testo di Consenzio, cit. (vd. lett. 62). 4 T., Questioni di metrica greca, cit. (vd. lett. 169). 5 Vd. lett. 178. 6 Vd. lett. 183 e lett. seguente. Che tali ecloghe fossero due T. diceva per svista in una cartolina perduta, come risulta dalla lett. seguente. 7 L’interpretazione di M. è citata in appendice a Prol. 3, in M. Valerio, Bucoliche, a cura di F. Munari, Firenze 19702, p. 3. Vd. inoltre lett. seguente. 8 T., Der Forschungsbericht. Ennius (cit. lett. 76). 9 E. Paratore, Sull’autoepitaffio attribuito ad Ennio, Roma 1943 (pubblicazione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze). 1 2 400 1881 Pisa, 21. 4. 1952 Carissimo Mariotti, ti ringrazio delle notizie circa il Paratore, di cui non sapevo nulla2. Vedrò se Pasquali ha l’articolo su Nemo me lacrimis. Il mio resoconto enniano3 (che, come tutti i lavori di questo genere, è riuscito un gran minestrone senza capo né coda) è ora nelle mani di Fritz Bornmann4, un «mixobarbaro» (come dice Pasquali) che lo sta traducendo in tedesco. Nella cartolina precedente alludevo appunto alle ecloghe del Lehmann (avevo scritto due per sbaglio invece di quattro)5. Giusta la tua osservazione su infringere loquellas = rumpere voces 6. Ti manderò fra poco una noterella su un passo di Marziale scritta con la collaborazione di Perosa7. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. Vd. lett. precedente. 3 T., Der Forschungsbericht. Ennius (cit. lett. 76). 4 Fritz Bornmann (1929-1997), allievo di Giorgio Pasquali, fu professore di Letteratura greca a Genova e poi a Firenze. 5 Vd. lett. precedente e 183. La cartolina cui fa riferimento T. è perduta. 6 Vd. lett. precedente. 7 S. T., Atlas cum compare gibbo, «Rinascimento», n.s., 2, 1951, pp. 311-8 (rist. con un’aggiunta in Contributi1, pp. 333-43). 1 2 401 1891 Pesaro, 7. 6. 1952 Carissimo, continua a perdonarmi, ti prego, il colpevole silenzio. Sto finendo il libretto su Andronico2, che vorrei uscisse in tempo per i concorsi, a cui parteciperò perché è ormai cosa fatale, non per grande fiducia in me stesso né, d’altra parte, per grande fiducia in certi possibili giudici di cui sento fare il nome. Come al solito, mi sono ridotto a finire all’ultimo momento. Sento il bisogno di farti leggere il lavoro, sicuro che, come altre volte, mi eviteresti errori e sviste. Ma ho scritto e mandato all’editore un po’ per volta; e ora spero soltanto che, come ho chiesto, mi mandino le bozze in duplice copia, in modo che possa spedirtene una. Ma avrai la pazienza di leggere? Ho letto con grandissimo interesse gli ultimi due tuoi estratti. Atlas cum compare gibbo3 è tutto bellissimo e sicuro. Ottima anche la recensione al Camilli4. Qualche dubbio nutro ancora sull’ictus5. Un mio amico di qui, M. Zicàri (che pubblicherà una recensione ai Due studi catulliani di Della Corte)6, mi cita contro l’ictus il noto passo di Cic. orat. 183 sg., che però neppur esso mi par definitivo. p. 395: mi pare che Andr. fr. 26 non sia molto adatto, perché a nūmpam vi corrisponde duŏna (quindi con iato)7. Ma s’intende che hai ragione tu: le scansioni di saturni di Camilli e le scansioni ‘saturnie’ di esametri sono pazzesche!! Dovrei anche pregarti di un favore, il che faccio con molte scuse. Quando avrai occasione di andare alle biblioteca della Normale, potresti pregare a mio nome il bibliotecario (Chiodo!8) di mandare all’Oliveriana di Pesaro Cartolina postale. Il riferimento è a LA. 3 T., ‘Atlas cum compare gibbo’ (cit. lett. precedente). 4 Vd. lett. 178. 5 Vd. lett. seguente. 6 In realtà divenne poi un articolo: M. Zicàri, A proposito di un altro Catullo, «RIL», 85, 1952, pp. 246-58 (rist. in Id, Studi catulliani, Urbino 1978, pp. 29-42). L’opera che originò l’articolo è F. Della Corte, Due studi catulliani, Genova 1951. 7 Vd. lett. seguente. 8 Si tratta, come apprendo da Antonio Carlini, del bibliotecario Valentino Ortensi, così soprannominato per la tendenza a prolungare oltre misura i suoi dialoghi con professori e studenti. Nella lettera seguente e 202-3; 205-6 è detto anche l’‘avvocato’. 1 2 402 (da cui farò fare la richiesta stasera) tre libri che mi servirebbero urgentemente? Scusami e grazie. Affettuosi saluti dal tuo Scevola M. PS. ‒ Secondo il Leo, il cui Sat. Vers9 ho potuto finalmente vedere (c’è a Bologna, biblioteca della Facoltà di Lettere), sarebbe da scandire apúd nymphám | Atlantis10; ma anch’io preferisco apúd nýmpham. 9 10 Leo, Der saturnische Vers (cit. lett. 91). Liv. Andr. carm., fr. 15 Mor. = 29 Mar.1 = 28 Mar.2 403 1901 Pisa, 11. 6. [1952]2 Carissimo Mariotti, hai perfettamente ragione quanto a duona3. Io, non so come, avevo sciaguratamente ragionato come se duonus avesse l’o lunga, e non m’ero accorto di questo svarione neppure correggendo le bozze!!! Né, finora, pare se ne siano accorti gli altri che han letto la recensione. Quanto all’ictus, beninteso, io riconosco senz’altro la forza degli argomenti contrari; soltanto credo che, a loro volta, anche i negatori dell’ictus incorrano in difficoltà, e quindi incertus haereo. Nel prossimo numero di «Maia» pare che ci sarà un articolo metrico di Perrotta in risposta al mio. Naturalmente, avrò non la pazienza, ma il piacere di leggere il tuo saggio su Andronico, che, prevedo, sarà bello come quello su Ennio. Penso che al prossimo concorso, tranne il caso di a s s o l u t a d i s o n e s t à , dovranno darti il riconoscimento che già meritavi in quello passato. L’‘avvocato’ (= Chiodo!) mi ha assicurato che appena arriva la richiesta manda subito i libri all’Oliveriana. Affettuosamente S. Timpanaro 1 2 3 Cartolina postale. L’anno si ricava dal timbro postale. Vd., anche per quello che segue, lett. precedente. 404 191 Pesaro, 28. 6. 1952 Carissimo, ti ringrazio molto delle cordiali espressioni per il concorso1. Le tue indubbie esagerazioni nel giudicarmi mi sono gradite come prova di un’affettuosa amicizia, come sempre ricambiatissima. Mi è stato detto che non intendi partecipare. Permetti che ti ripeta che anch’io, come Pasquali e tanti altri, n o n sono d’accordo. Sono molto curioso di leggere la replica di Perrotta2. Sono convinto che non possa portare niente di sostanziale. Ti spedisco per espresso questa mia e, a parte, insieme con un estratto recentissimo3, la seconda copia delle prime bozze della seconda parte del libretto su Andronico4: la prima è ancora in composizione, e non so se farò in tempo a mandartela per avere il tuo giudizio ed eventuali suggerimenti. Lo spero ardentemente. Vedrai che le bozze sono appena corrette perché, per la fretta di rispedire l’altra copia, non ho fatto in tempo a correggere in questa. L’unico cambiamento di rilievo è lo spostamento di un frammento (il n. 3, p. 44), che per svista avevo messo fra quelli di sede certa. Mancano i segni metrici, ma le scansioni non hanno niente di particolarmente notevole (solo, a proposito di p. 43 n. 29, sei d’accordo che anche dinanzi a dieresi si debba segnare la lunga in casi come tōpper făcīt | (segue vocale)5, come se fosse in fin di verso? A me questo era parso ovvio). Se ti mando espressi, non pensare che ti voglia far fretta. Rispediscimi pure con comodo e per posta normale; tanto vedo che stampano con una certa lentezza. Su un punto solo (riguardante la prima parte) terrei ad avere appena puoi il tuo parere. È un dubbio, o piuttosto uno scrupolo che mi tormenta forse ingiustificatamente. Ma non vorrei rischiare di veder male per amor di tesi. A me parrebbe che un grecismo sintattico nell’Odyssea di Andronico ci sia. Si tratta del fr. 22 Mor. (nexebant multa inter se flexu nodorum dubio)6. H. Fränkel, «Herm.» 67, 1932, p. 306 chiama a confronto giustamente, mi pare, lo scolio V a θ 379. – θ 378 sg.: ὠρχείσθην δὴ ἔπειτα ποτὶ χθονὶ 1 2 3 4 5 6 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Vd. ancora lett. precedente. M., Note al testo di Consenzio (cit. lett. 62). Vd. lett. 189. Liv. Andr. carm., fr. 27 Mor. = 18 Mar.1 = 15 Mar.2 Vd. LA, pp. 28-9 = LA2, p. 22 (fr. 14 Mar.1 = 11 Mar.2). 405 πουλυβοτείρῃ | ταρφέ᾽ ἀμειβομένω. Scolio V a 379: πυκνῶς πλέκοντες εἰς ἀλλήλους («Das stimmt genau zu Livius’ erstem Halbvers nexebant multa inter se», Fränkel, l. c.). E allora, se non sbaglio: nexebant risponde a πλέκοντες, inter se a εἰς ἀλλήλους; multa a πυκνῶς (cioè a ταρφέα), ed è un grecismo (cfr. πολλά spesso in Omero e multa ... tendebam in Ennio7; che si tratti di grecismi sostiene giustamente Löfstedt, Syntactica)8. Eppure un’ombra di dubbio mi rimane. Non si aspetterebbe piuttosto nexebantur inter se? Amant inter se vuol dire «a ama b e b ama a»; ma qui si può intendere «a nectit b e b nectit a»? Perché non piuttosto «a n e c t i t u r a b e b n e c t i t u r ab a»? È vero, c’è Verg. Aen. 11, 632 implicuere inter se acies; ma per implico ci sono esempi (rari) come hedera implicat arborem (Catullo)9, non, credo, esempi simili per necto (c’è tuttavia nexi passivo = ‘imprigionati’ o simili). E d’altronde l’uso di πλέκοντες (non πλεκóμενοι) in greco dovrebbe togliermi ogni dubbio. Ma ho bisogno di sapere il tuo parere, per esser sicuro di non cadere in un abbaglio. (In un primo tempo, non avendo ancora letto Fränkel, avevo pensato a nexebant multa, ‘intrecciarono molte figure di danza’, che del resto sarebbe stato altro grecismo, esemplato su ἅψαι χορόν che è in Eschilo10; ma questa interpretazione dovrebbe cadere dinanzi allo scolio, non ti pare?). Ti dò anche la traduzione di Warmington11 (che del resto, come sai, non è un’autorità sicura!): «Entwined they each with each in many a twist, / Bent in confused knottings». Senza dire poi che anche flexu nodorum dubio non è chiarissimo; ma sarà da intendere nel modo voluto da Warmington e, prima (a quanto pare), da Fränkel, cioè, circa, come nodis dubiis (= ‘confusi’). Il redattore del Thes. s. v. flexus s e m b r a intendere ‘con flessione di articolazioni ...’. Scusa la fretta e soprattutto la seccatura. Una affettuosa stretta di mano dal tuo Scevola M. Enn. ann., 49-50 V.2. Löfstedt, Syntactica (cit. lett. 114). 9 Catull. 61, 34-5 ut tenax hedera huc et huc | arborem implicat errans. 10 Aesch. Eu., 307 χορὸν ἅψωμεν. 11 Warmington, Remains of Old Latin (cit. lett. 12). 7 8 406 192 [Pisa], 1. 7. 19521 Carissimo Mariotti, ti ringrazio molto dell’estratto2, che ho letto con pieno consenso (bellissima specialmente la prima congettura, conservatis), e delle bozze, che ti rimando3. Sono pienamente d’accordo su tutto; in particolare, ho molto apprezzato il rigore metodico con cui hai distinto i frammenti da attribuire a Livio Andronico da quelli di Tito Livio o di Nevio (anche su iam in altum expulsa lintre 4, su cui un tempo avevo dei dubbi, ora sono propenso a darti ragione)5. Probabilissimo mi sembra ancora il tuo aut ubi <sum> ommentans 6. È anche vero che nel fr. 7 <proci> procitum di Zander è «più fortunato che fondato»7; forse però meriterebbe di esser ricordato matrem <meam> procitum di Havet, che è appoggiato dal confronto con Omero8 μητέρ’ ἐ μ ὴ ν μνῶνται, e inoltre dà luogo a una duplice allitterazione m. m. p. p. (è vero che Livio Andronico è molto parco di allitterazioni, e questa è anche una ragione contro la studiata paronomasia proci procitum). Alla nota 21 dell’introduzione preferirei che togliessi il richiamo al mio articolo degli «Studi ital.» quanto all’ortografia di Ennio9, perché io lì non faccio che ripetere (come noto espressamente) i criteri seguiti dal Valmaggi10. Quella, del resto, è una delle parti del mio articolo che più sanno di tesi di laurea. Veniamo infine a nexebant multa inter se11. A me pare che, accettata l’interpretazione del Fränkel che certo è assai probabile, la conseguenza da te tratta che multa è un grecismo sintattico sia sicura. Tuttavia non escluderei l’altra tua interpretazione, ‘intrecciavano molte figure di danza’. Anzi, confesso che a me pare che, se noi ci mettiamo davanti al verso di Livio La città risulta dal timbro postale. Vd. lettera precedente. 3 In margine aggiunge: «Le ho già rispedite oggi». Si tratta delle bozze della seconda parte di LA (vd. lett. precedente). 4 Liv. Andr. carm., fr. 42 Mor. (escluso dall’ed. di M.). 5 Vd. lett. 136. 6 Liv. Andr. carm., fr. 8 Mor. = 4 Mar.1 = 2 Mar.2, su cui vd. lett. 91. 7 Fr. 7 Mor. = 3 Mar.1 = 23 Mar.2. 8 Hom. Od., 1, 248 e 16, 125. 9 T., Per una nuova edizione, II (cit. lett. 8), pp. 39-77. 10 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 11 Liv. Andr. carm., fr. 22 Mor. = 14 Mar.1 = 11 Mar.2, su cui vd. lett. precedente. 1 2 407 Andronico impregiudicatamente (cioè senz’essere influenzati dallo scolio omerico), questa seconda interpretazione sia molto più naturale. Una certa analogia con lo scolio omerico, del resto, sussisterebbe sempre; e πολλά (oggetto interno) sarebbe pur sempre, come tu osservi, un costrutto grecizzante. Continuerò a pensarci. Dubio lo intenderei anch’io come ‘confuso’, o, più precisamente, ‘difficile a districare (con la vista)’: le membra dei due s’intrecciavano in modo tale, e con tale rapidità, ut spectatores dubitarent (non satis discernerent) cuius esset quodque membrum. La risposta di Perrotta è rimandata, a quanto pare, al numero di «Maia» che verrà dopo il prossimo12. Nel difendere ob Troiam in Ennio, Sc.13 ero stato preceduto dal Leopardi, il quale, in alcuni appunti a Frontone ancora inediti che sto studiando, scrive: «puto absque dubio reponendam lectionem Codicis [cioè ob]; nam ob valet etiam ad. vide exempla ipsius Ennii apud Forcellin.». Sul Leopardi filologo sto trovando molta roba interessantissima; ma è un lavoro interminabile. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Pare giusto anche a me segnare la lunga facīt́ in dieresi ecc.14. Vd. lett. 191. T. lascia uno spazio vuoto per il numero del fr. che è 313, su cui vd. lett. 52-3 e cfr. S. T., La filologia di Giacomo Leopardi, Roma-Bari 1997, p. 43 e nota 94. 14 Vd. lett. precedente. 12 13 408 193 Pesaro, 6. 7. 1952 Carissimo, grazie vivissime per la tua lettera – e per la pazienza con cui hai letto e mi hai consigliato1. Anch’io intendevo dubio (traducendolo approssimativamente con ‘confuso’) nel senso che tu esattamente precisi2. Ma sulla seconda parte del verso non ho espresso alcun giudizio, limitandomi a rimandare per il verso intero a Fränkel, il quale non può aver inteso che così. Per la prima parte ho accettato Fränkel (quindi con multa avverbiale), aggiungendo in nota un cenno all’altra interpretazione di nexebant multa, che però è forse da escludere. Quello che a me importava era il grecismo. Quando stai pubblicando un lavoro, ti vengono i dubbi più impensati. Hai ragione: citerò anche, se potrò farlo senza buttare all’aria la composizione, matrem <meam> di Havet3. Quanto alle figure retoriche in Andronico, a me pare che ce ne siano, e una bella mi pare di averne indicato dalle tragedie: un polysigma nel verso quo Castalia per struices saxeas lapsu accidit 4, tutto ‘rappresentativo’ come ‘rappresentativo’ è l’altro verso confluges ubi conventu5 campum totum inumigant 6. Ma io spero ancora in extremis di poterti far leggere la prima parte (la più importante) del lavoro, dove sostengo la tesi ardita7, ma di cui per ora sono persuaso, che Andronico traduce Omero secondo lo spirito ‘antimacheo’, che insomma Andronico e Nevio sono (in senso lato) antimachei, e che, quindi, quando Ennio polemizza con Nevio, assume lo stesso atteggiamento di Callimaco contro Antimaco (ed Apollonio). Mi sto sempre più convincendo che Ennio è c o s c i e n t e m e n t e callimacheo (‘scherzi’ nell’epos, proemio callimacheo – e, almeno nei chiari sottintesi, polemico – degli Annali ecc.; e, avrei anche aggiunto, se avessi potuto leggere il libro di M. Puelma Piwonka su Lucilius T. ha rispedito a M. le bozze corrette di LA. Vd. lett. precedente. Liv. Andr. carm., fr. 22 Mor. = 14 Mar.1 = 11 Mar.2, su cui vd. lett. 191 e precedente. 3 Fr. 7 Mor. = 3 Mar.1 = 23 Mar.2, su cui vd. lett. precedente. 4 Liv. Andr. trag., 37 R.3 5 Sotto la v sottolineata c’è un punto interrogativo. 6 Liv. Andr. trag., 18 R.3. 7 Una tesi della quale a distanza di tempo M. doveva sentirsi meno sicuro se nella prefazione di LA2 scriveva: «se dovessi riscriverlo ora [il libro], non lo modificherei di molto, ma non insisterei sulla troppo netta contrapposizione fra antimachismo e callimachismo nella letteratura latina arcaica» (p. 10). 1 2 409 und Kallimachos8, la cui tesi so non condivisa da Pasquali, probabili influssi dei Giambi callimachei sulle Satire). Un altro articoletto enniano farò presto e ti manderò per avere il tuo giudizio9: se la sua tesi, a cui debbo ancora pensare, è giusta, si avrebbe un nuovo elemento per lo spirito ‘grammaticale’ di Ennio. I n t e r e s s a n t i s s i m o quello che scrivi sul Leopardi10. Ho sempre creduto che il Leopardi fosse un filologo in gamba. Un particolare: ricordo che, quando mi occupavo di Sinesio, mi capitò di leggere, non so più dove, che a lui il Thilo aveva dedicato una od entrambe le sue piccole commentationes su Sinesio: I.C. Thilo, Commentarius in Synesii hymnum secundum, v. I-XXIV, Progr. Acad. Halae 1842; idem, idem, v. XXII-XXIV, ibid. 1843. Dovevano quindi essere in relazione. Io non riuscii a trovare quei due libretti; chissà se ci saranno nella biblioteca di Recanati? Credo di dover conservare la citazione delle tue osservazioni sull’ortografia di Ennio. S e ti è facile vedere i due libri, potresti dirmi a quali pagine del Plautinisches im Plautus di Fraenkel11 si tratta della (sostanziale) mancanza di grecismi lessicali in Plauto? – e se veramente ad Havet (in «Rev. de philol.» 1891, Laeviana)12 risale il tentativo (assurdo) di ricostruire il testo di Cesio Basso (che avrebbe citato l’Ino di Andronico, mentre io sono convintissimo, con molti altri compreso Havet, che si tratti dell’Ino di Levio) nella forma Laevius ille vetus Graio cognomine ... ecc.13 ? Questo, ripeto, se hai possibilità e tempo! Scusami: so di approfittare della tua gentilezza. Scusa anche la fretta e il disordine di questa lettera. Ancora grazie e saluti affettuosi dal tuo Scevola Mariotti PS. ‒ Per il tuo resoconto bibliografico su Ennio: in Marouzeau, L’ordre des mots, III, p. 158 trovo citato A. Cordier, Mots mutilés et sectionnés dans Ennius, in Mél. A. Ernout, circa p. 8914. Ma certo l’avrai visto. Frankfurt a. M. 1949. Si allude a Titoli di opere enniane, «Maia», 5, 1952, pp. 271-6 (= LE2, pp. 113-8). Vd. lett. 197 e 201. 10 Cfr. T., La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. precedente), p. 180 e nota 34. 11 Berlin 1922 (trad. it. a cura di F. Munari, Elementi plautini in Plauto, Firenze 1960). 12 «RPh», n.s., 15, 1891, pp. 6-13. 13 Liv. Andr. trag., pp. 4-5 R.3. 14 Rispettivamente J. Marouzeau, L’ordre des mots dans la phrase latine, III, Les articulations de l’énoncé, Paris 1949, e A. Cordier, Mots mutilés et sectionnés dans Ennius; Ennius justifié par Aristote, in Mélange de philologie, de littérature et d’histoire anciennes offert à Alfred Ernout, Paris 1940, pp. 89-96. 8 9 410 194 Pisa, 7. 7. 1952 Carissimo Mariotti, a poca distanza dalla lettera precedente1, ti scrivo per chiederti un’informazione. Io ho finito, circa un mese fa, un articolo su Gli studi di Giacomo Leopardi sui ‘Cesti’ di Giulio Africano2, nel quale ho pubblicato e commentato tutto ciò che mi è parso interessare del lavoro giovanile (ancora inedito) del Leopardi su questo autore. L’articolo mi è venuto un po’ lungo (una quarantina di facciate dattiloscritte) ed è una lettura pesante, come direbbe Pasquali, «inamena»; tuttavia può forse presentare un certo interesse perché sono venute fuori non solo molte congetture già fatte dal Leopardi e rifatte poi, indipendentemente, da filologi più recenti, ma anche alcune congetture del Leopardi n u o v e e g i u s t e . Mandai l’articolo a Pasquali chiedendogli di pubblicarlo negli «Studi», ma egli non ha voluto pubblicarmelo perché (eccoci arrivati alle dolenti note!) l’articolo contiene una nota di protesta contro la Mondolfo, direttrice della Nazionale di Firenze3. Ti trascrivo la nota: «Se questi mss. filologici leopardiani non sono stati ancora studiati come meritano, ciò in parte è dovuto agli intralci burocratici e alle spese che deve subire chi, non risiedendo a Firenze, vuole studiarli. Basti dire che la direttrice della Nazionale di Firenze, per rilasciarmi un semplice microfilm del Giulio Africano, si è compiaciuta di costringermi a far eseguire a mie spese e a cedere alla Biblioteca un ingrandimento 13 x 18 di tutti i fotogrammi, adducendo a giustificazione della sua esorbitante richiesta un ordine ministeriale che è poi risultato inesistente!». Ti potrò eventualmente dare maggiori particolari. Posseggo naturalmente, tutta la documentazione di quanto affermo. Nota bene che, oltre a farmi spendere circa 15.000 Lire più del necessario, la Mondolfo mi ha fatto anche perdere tre mesi, e tutto ciò per pura idiozia e malvagità burocratica. Pasquali, essendo con la Mondolfo in buoni rapporti, non ha voluto (ed io lo comprendo perfettamente) pubblicare l’articolo, a meno che io non togliessi la nota su riferita, cosa che io non ho voluto fare. Gli avevo anche Lett. 192. S. T., Gli studi di Giacomo Leopardi sui ‘Cesti’ di Giulio Africano, «StudUrb(B)», 27, 1953, pp. 12-35. 3 Anita Mondolfo (1886-1977), fu direttrice della Biblioteca Nazionale di Firenze nel 1936-37 e 1945-53: su di lei vd. E. Francioni, Bibliotecari al confino: Anita Mondolfo, «Bollettino di informazione Associazione dei bibliotecari ecclesiastici italiani», 38, 1998, pp. 167-89. 1 2 411 proposto di aggiungere una nota redazionale attribuendo a me tutta la responsabilità delle mie affermazioni (che d’altronde la Mondolfo non può certo negare!), ma non ha voluto. Ora, credi tu che l’articolo sarebbe accolto negli «Studi Urbinati»? Io suppongo che la cosa n o n sia facile, anche per l’eccessiva lunghezza4, e forse anche perché si tratta di greco e non di latino. Se dunque tu credi che non sia il caso, non parlarne neppure a Bo. Se invece qualche probabilità c’è, posso mandarti il dattiloscritto. L’articolo contiene anche qualche contributo di critica del testo (di poco conto, però) di Eugenio Grassi5 e mio. Scusami per questa lettera asfissiante e ricevi i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro PS. ‒ S’intende che non ho nessuna fretta e che, se Bo ora non c’è, se ne può riparlare benissimo in autunno. T. aggiunge in nota: «La maggior parte dell’articolo, tuttavia, si potrebbe stampare in corpo più piccolo perché è sotto forma di apparato critico; e naturalmente si potrebbe dividere in due puntate». 5 Su Eugenio Grassi vd. lett. 27. 4 412 1951 Pesaro, 9. 7. 1952 Carissimo, mandami pure subito (conservandone naturalmente, per ogni eventualità, un’altra copia) il tuo articolo, che sarà una fortuna per gli «Studi Urbin.» poter pubblicare2. Quando, non so ancora. Domani avrò forse notizie più precise da Massolo3 (che si occupa, con Bo, della redazione) sullo stato di composizione del presente fascicolo (quello dove c’è la mia nota su Consenzio)4; temo però che per esso non si faccia più in tempo, e sarà quindi per il prossimo. Della nota antimondolfiana e antiburocratica non c’è neppure bisogno che io dica a Bo: hai fatto bene a dire le cose come stanno. Dall’«Unità» di oggi ho appreso con costernazione la notizia dell’incidente occorso a Pasquali. Non ho potuto far altro che telegrafargli auguri. Spero ardentemente che se la cavi nel modo migliore, non solo per l’affetto che ho per lui5, ma anche perché egli è uno dei pochi difensori dell’onestà e della scienza. Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola M. Cartolina postale. Si riferisce a quello sugli studi leopardiani dei Cesti di Giulio Africano (su cui lett. precedente, a cui M. risponde). 3 Arturo Massolo (1909-1966), filosofo, insegnò dal 1945 al 1960 all’Università di Urbino e successivamente a Pisa. Su di lui vd. R. Bodei in Maestri di Ateneo. I docenti dell’Università di Urbino nel Novecento, a cura di A. Tonelli, Urbino 2013, pp. 350-2. 4 Vd. lett. 188. 5 Purtroppo Pasquali non sopravviverà all’incidente e morirà lo stesso 9 luglio. Il giorno successivo M. invia a T. il seguente telegramma: «Pregoti rappresentarmi nelle maniere che riterrai migliori onoranze Pasquali. Scevola». 1 2 413 196 Pisa, 12. 7. 1952 Carissimo Mariotti, sono stato ieri ai funerali di Pasquali. Ho firmato sul registro anche a nome tuo, e ho raccomandato agli amici fiorentini di informarci di qualsiasi iniziativa che verrà presa per onorarne la memoria. Corone di fiori a nome degli scolari non ce n’erano: pare che sarà decisa l’istituzione di una borsa di studio intitolata a lui, e allora contribuiremo. Ti terrò sempre informato. I funerali naturalmente si sono svolti con la solita ‘ufficialità’ che rende abbominevoli simili cerimonie: discorsi pieni di retorica, riti religiosi certamente contrari alle idee del defunto. Tuttavia grande e commovente è stata la partecipazione di scolari e di amici, consapevoli dell’irreparabile perdita che abbiamo subìto. Adesso abbiamo in Italia molti bravi specialisti di questo o quel ramo (e anch’essi li abbiamo grazie al suo insegnamento), ma nessuno che abbracci e riassuma in sé tutta la scienza dell’antichità, come egli sapeva. Come maestro, poi, nessuno può nemmeno lontanamente sostituirlo. Ti ringrazio per l’accettazione dell’articolo leopardiano1 – se, naturalmente, lo troverai degno di pubblicazione. Questa non è un’aggiunta pleonastica perché io sono nuovo a tale genere di lavori e non è detto che sia riuscito bene. Ti sarei grato perciò di una severa lettura. Ma forse costà non c’è l’edizione di Giulio Africano del Vieillefond2; se credi, te la posso mandare in prestito. Il dattiloscritto te lo spedirò domani. Nessuna fretta per la pubblicazione, come già ti dissi. Purtroppo non sono ancora riuscito a soddisfare le tue due richieste3. La «Revue de philol.» qui c’è soltanto a partire dal ’92, cioè proprio dall’annata seguente a quella che t’interessa. Ho poi scorso il Plautinisches im Plautus, ma non sono riuscito, nemmeno attraverso l’indice analitico, a trovare il passo di cui mi chiedevi. A p. 195 c’è una nota su formazioni grecizzanti scherzose come gli avverbi basilice, athletice, pancratice, ecc., ma non certo Vd. lett. precedente. Jules Africain, Fragments des Cestes provenant de la collection des tacticiens grecs, édités avec une introduction et des notes critiques par J.-R. Vieillefond, Paris 1932; successivamente uscì J.-R. Vieillefond, Les ‘Cestes’ de Julius Africanus. Étude sur l’ensemble des fragments avec édition, traduction et commentaires, Firenze-Paris 1970, che fu recensito da T. in «RFIC», 100, 1972, pp. 213-9. 3 Vd. lett. 193. 1 2 414 a questa tu alludevi. Potresti darmi qualche altra indicazione? Quanto alla «Revue de philol.», verso giovedì o venerdì prossimo andrò di nuovo a Firenze e la vedrò. Puoi aspettare? Se no, scrivi direttamente a Eugenio Grassi, via Repetti 12, Firenze, che in questi casi si presta volentieri; mi pare che tu sia stato già altra volta in corrispondenza con lui4. Mi dispiace di non aver potuto fare di più. Gli accenni che mi fai sullo spirito antimacheo di Livio Andronico e Nevio mi paiono molto interessanti5. Io purtroppo ho studiato Ennio senza mai affrontare un serio studio di Callimaco e, in generale, dell’ambiente letterario ellenistico. La lettura del tuo saggio servirà, oltre tutto, a introdurmi in questo campo. Lessi tempo fa l’articolo di Cordier nei Mélanges Ernout 6 (prestatimi da Bolelli): è una difesa di cael, gau e cere-brum7; per i primi due credo anch’io ora che abbia ragione. Il mio resoconto bibliografico8 dovrebbe uscire in settembre. È un genere di lavori noiosissimo e che lascia sempre insoddisfatti. Non ne farò più. Ti sono gratissimo dell’indicazione degli opusculi di J.K. Thilo9. Leopardi e Thilo furono in relazione attraverso il de Sinner. In una lettera di de Sinner al Leopardi del 21 dic. 1833 si accenna a una prossima edizione di Sinesio che Thilo dedicherà al d e S i n n e r e a l L e o p a r d i . Ma non avevo l’indicazione che tu mi dai. Il Thilo vide anche alcuni manoscritti filologici leopardiani, ma ne dette al de Sinner un giudizio non molto favorevole. Grazie, e affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro Vd. lett. 28 e 31. Vd. lett. 193. 6 Vd. lett. 193. 7 Rispettivamente Enn. ann., 575, 574 e 609 V.2. Su cael e gau vd. lett. 76 e 78, su cerebrum vd. lett. 41. 8 T., Der Forschungsbericht. Ennius (cit. lett. 76). 9 A questo proposito vd. lett. 193. 4 5 415 197 Pesaro, 21. 7. 1952 Carissimo Timpanaro, ti sono gratissimo per quanto hai fatto (e farai) per me per le onoranze a Pasquali1. S’intende che mi assocerò per la borsa di studio. Così ti ringrazio per aver cercato la «Rev. de phil.» e aver guardato il Plautinisches im Plautus di Fraenkel2. Quanto a quest’ultimo, certo ricordavo male io (alla cosa accennava anche Pasquali nella conferenza su Plauto ristampata nelle Quarte stravaganze)3. Così ho soppresso la nota, considerando la cosa come risaputa, ed ho tolto anche l’accenno all’Havet, che era del resto secondario4. Grazie ancora di tutto. Ho spedito da qualche giorno le ultime bozze, e attendo il libretto5, che manderò a te prima che ad ogni altro. Veramente anch’io non so abbastanza di poesia ellenistica per poter ‘sfruttare’ a fondo quello che ho osservato e che mi pare corrisponda probabilmente alla realtà. Quanto alle Satire di Ennio (su cui non mi sono fermato nel libretto), ora mi pare più che probabile che Ennio, iniziando il genere (la Satura di Nevio era sicuramente un dramma), abbia imitato nella concezione, e con libertà, i Giambi di Callimaco. E allora avrà ripreso il titolo satura (satura = un componimento; saturae = la raccolta – dico questo perché, come sai, altri intendono diversamente) dalla vecchia satura di origine popolare (di cui tuttavia molti negano l’esistenza, ma, mi pare, senza fondati motivi; che poi i grammatici abbiano modellato e completato il poco che sapevano su questa satura secondo l’analogia della storia drammatica greca, è indubbio) perché ἴαμβος era stata una forma popolare preletteraria greca con invettive, scherzi ecc. simile alla antica satura latina indigena o che con essa poteva rassomigliarsi (vd. mito di Ἰάμβη ecc.). In altre parole saturae = ἴαμβοι (che poi la satura latina preletteraria fosse legata al culto di Cerere, come vuole Altheim, sarebbe un bel parallelo con l’origine del ἴαμβος dal culto di Demetra; ma converrà essere prudenti). Così anche negli Annali il titolo riprende quello di una forma preletteraria (cfr. Skutsch in RE V, 2603 sg.), da cui la raffinata opera di Ennio era praticamente lontanissima (cfr. già Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Vd. ancora lett. precedente. 3 G. Pasquali, Pagine stravaganti di un filologo, II, Terze pagine stravaganti, Stravaganze quarte e supreme nel testo originale, a cura di C. F. Russo, Firenze 1994, pp. 314-28, a p. 319. 4 M. aveva chiesto notizie dei Laeviana di Havet a lett. 193. Vd. anche lett. seguente. 5 Si tratta di LA. 1 2 416 il giudizio di Catone sulla rozzezza delle tavole pontificali!), come lontana del resto era dagli ὧροι greci contemporanei. Ennio sapeva dalla storia della letteratura greca che generi popolari e primitivi si erano evoluti fino a forme d’arte elevatissime (cfr. i casi di τραγῳδία e κωμῳδία), e, da erudito, con, in fondo, un dotto riferimento ai greci, faceva fare un così gran salto agli Annales pontificum e alla Satura drammatica. Che egli credesse seriamente di continuare quei generi preletterari, è assurdo. Questo dovrebbe contenere, in sostanza, l’articoletto6 che ti farò leggere, spero, quanto prima – diversamente dalla prima parte del libro, le cui bozze mi furono mandate in unica copia, e dovetti rispedirle subito, con rammarico. L’articolo su Leopardi, di cui ho letto la prima parte e scorso la seconda, è bellissimo ed importante7. Io continuo a trattenerlo perché questo fasc. degli «St. Urb.» è tutto composto, e anche perché, se credi di mandarmi il Vieillefond8, lo rileggerò più attentamente, con grandissimo piacere, ma senza speranza – dato l’argomento e la lingua, i problemi connessi con Giulio Africano, che tutti ignoro – di poterti giovare in alcun modo. Tuttavia, se credi, segnalami i punti su cui credi che si possa ancora fare qualcosa: saranno certo pochissimi. Interessante quel trimetro che segnali (ma non ne ho il testo): è da escludere del tutto che l’abbia fatto Giulio Africano? Da Norden, Antike Kunstprosa9 sarà facile sapere se il vecchio uso di mettere versi nella prosa fosse conservato nella sua età; e naturalmente la presenza di casi simili potrebbe eventualmente essere decisiva. O cita spesso poeti? Affettuosissimi saluti e un ultimo grazie dal tuo Scevola M. 6 7 8 9 Titoli di opere enniane (cit. lett. 193). Vd. le due lettere precedenti. Vd. lett. precedente. Leipzig 1909. 417 1981 Selva in Val Gardena (Bolzano), presso Bernardi, 28. 7. 1952 Carissimo Mariotti, la tua lettera2 mi è giunta qui, dove starò per una quindicina di giorni insieme col Grassi. Prima di partire scrissi a un mio amico di Firenze, Bornmann, pregandolo di consultare la «Rev. de philol.» e di informare te direttamente3; ma capisco dalla tua che era ormai troppo tardi; comunque spero che egli ti abbia scritto. Appena sarò di ritorno a Pisa, cioè verso il 12 agosto, ti spedirò il Giulio Africano del Vieillefond4 indicandoti i passi (che sono molti) sui quali ancora c’è da fare. Intanto ti ringrazio vivamente per l’accettazione del mio ‘mattone’5. Come già ti dissi, non ho la minima fretta per la pubblicazione. Grazie anche per le interessanti primizie sulla satira enniana6. Leggerò col massimo piacere l’articolo, e così pure il volumetto su Livio Andronico. Il Grassi ti saluta. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Timpanaro 1 2 3 4 5 6 Cartolina postale. La lett. precedente. Si tratta dell’articolo di Havet cit. lett. 193. Vd. lett. precedente. Si riferisce all’articolo sugli studi di Leopardi su Giulio Africano (vd. lett. 194). Per questo e quanto segue vedi lett. precedente. 418 1991 Pesaro, 11. 8. 1952 Carissimo, prima di tutto buone vacanze a te e al Grassi, di cui ricambio i saluti2. Mi sono giunte le comunicazioni di Bornmann (in ritardo, ma non importa), a cui ho scritto ringraziando; e ora ringrazio te, e ti chiedo ancora scusa. Mi accorgo ora che nella tua cartolina è previsto il tuo ritorno a Pisa per verso il 12: spero che questa cartolina faccia in tempo a raggiungerti. Vedrai forse sul «Nuovo Corriere» del 9 una pagina per il trigesimo di Pasquali, a cui ho collaborato anch’io con poche righe purtroppo generiche e enfatiche (e per di più ‘tagliate’ in tipografia)3. Troverai a Pisa il libretto su Andronico, che ho mandato subito, prima che a ogni altro, a te. Ti saluta affettuosamente e ti ringrazia ancora il tuo Scevola Cartolina postale. In alto, a destra, sopra l’indirizzo: «Se necessario, fa seguire, per favore». 2 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. 3 S. M., Giorgio Pasquali maestro di filologia, «Il nuovo Corriere», 9 agosto 1952, p. 3 (rist. in Per Giorgio Pasquali. Studi e testimonianze, a cura di L. Caretti, Pisa 1972, pp. 29-31, e in SFC, pp. 599-600). 1 419 200 Pisa, 14. 8. 1952 Carissimo Mariotti, tornato a Pisa (prima di partire avevo ricevuto a Selva la tua cartolina)1, ho trovato il tuo Livio Andronico2, che ti ringrazio di nuovo di avermi così sollecitamente mandato. Già da una prima rapida lettura vedo che la prima parte è anch’essa molto interessante e suggestiva. Mi è piaciuta soprattutto (oltre, s’intende, tante notazioni particolari) la tua precisazione di Livio Andronico «inventore della traduzione l e t t e r a r i a » , e l’accostamento al Monti e al Pindemonte. Un po’ più incerto mi lascia la tua tesi di Andronico a n t i m a c h e o e di Ennio c a l l i m a c h e o . Qui mi par di notare una certa forzatura dei pochi dati a nostra disposizione, per quanto, certo, la tesi sia suggestiva. Ma debbo ripensarci con più calma, e soprattutto debbo informarmi meglio sulla cultura ellenistica, sulla quale, come già ti scrissi, non so quasi nulla. Ad ogni modo, anche prescindendo dall’accostamento ad Antimaco, il carattere tutt’altro che rozzo e incolto della traduzione di Andronico è da te ottimamente dimostrato. Tra i contributi particolari mi paiono ottimi specialmente quelli a p. 33 n. 3 (senari e settenari preandronichèi; molto bene: credo che Pasquali avrebbe consentito) e a p. 59 n. 1 (unu’ surum Suru’ ferre …)3. Qualche osservazione spicciola: a p. 28 n. l’espunzione di Livius nel passo di Festo mi pare metodicamente sconsigliabile4; è vero che anche le altre soluzioni incorrono in difficoltà, tuttavia non sarà sempre meglio attribuire entrambe le espressioni a Tito Livio? p. 41 n. 1 – Escluderei tuttora che Ann. 573 (carbasus alta volat …) sia di Ennio5. L’argomento fondamentale contro l’autenticità è per me l’impossibilità di ductura p e r i l s e n s o : ci vorrebbe ducens (cfr. p. e. Lucano 6, 471 puppimque f e r e n t e s | in ventum tumuere sinus); il participio futuro è assolutamente insostenibile. Aggiungi la mala fede del Barth e la stranezza (da sola certo non sufficiente) dell’uso predicativo del part. fut. già notata dal Wackernagel. 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. Enn. ann., 525 V.2, su cui vd. lett. 99. Vd. lett. seguente, 203, 205. Vd. lett. seguente. 420 p. 61 n. – In Ann. 2606 non posso credere che vi sia alcun giuoco di parole tra Naris e naris; che senso avrebbe, i n q u e l c o n t e s t o , naris? Piuttosto è Lucano che si è divertito a riprendere l’espressione enniana con naris al posto di Naris (spiramina naris aduncae)7. A p. 52 lin. 13 leggi E u r i p i d e pro S o f o c l e , a p. 53 n. 1 lin. 5 «venio, corretto in verno» (se non erro). Spero di poter aggiungere, sulle bozze del resoconto per l’«Anzeiger» di Innsbruck8, un rimando anche a questo tuo lavoro, che interessa anche lo studioso di Ennio. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro Enn. ann., 260 V.2 Sulphureas posuit spiramina Naris ad undas, su cui vd. lett. seguente, 202-3, 205. 7 Lvcan. 2, 183. 8 T., Der Forschungsbericht. Ennius (cit. lett. 76). 6 421 201 Pesaro, 4. 10. 1952 Carissimo, mi perdonerai il ritardo vergognoso con cui ti rispondo1? Ho avuto molto da fare e solo ora, credimi, ho un po’ di tempo per scrivere distesamente. Prima di tutto, ti ringrazio molto dell’attenta lettura del mio Andronico2 e della segnalazione della svista Sofocle per Euripide3 (un’altra, purtroppo, a p. 65 n. 2 lin. 7: p r i m a per s e c o n d a ) e dell’errore di stampa, a cui parecchi altri si potrebbero aggiungere (così p. 19 n. j ä r l i c h e per j ä h r l . , p. 40 n. 2 b e a b s i c h t i g e per - g t e , p. 103 ἠτρύναντο per ἠρτ-, ecc. ecc.). Certo la tesi di Ennio callimacheo contro Andronico (e Nevio) antimachei è ardita e non del tutto sicura4. Eppure a me pare che le analogie fra il modo con cui Antimaco (un caposcuola!) legge ed imita Omero e quello con cui lo legge e traduce Andronico (e lo imita Nevio) siano abbastanza forti, e che l’atteggiamento di Ennio contro i predecessori, l’accusa di rozzezza sia analoga (analoga soltanto, ma, penserei, volutamente) a quella di Callimaco contro gli antimachei. Per i rapporti Ennio-Callimaco, la cui esistenza ed anche importanza mi sembra molto probabile, vedi anche l’articolo che ti mando in dattiloscritto e di una cui severa lettura ti sarò molto grato5. Certo, nell’insieme, i miei sono solo tentativi di collegare le tendenze letterarie latine arcaiche con quelle greche di età alessandrina e prealessandrina. Cosa ne resterà di abbastanza solido, non so proprio dire: forse nulla! Vedremo per Nevio, di cui avremo tempo di parlare. Per dirti in due parole, io avrei l’impressione di un Nevio influenzato da Apollonio (o almeno dalla problematica tecnico-artistica di Apollonio), in base a queste osservazioni, che andranno ripensate e studiate meglio: il B. P. è un poema epico b r e v e (solo per la materia? – non crederei), in esso si tenta di ‘fondere’ Iliade ed Odissea (Iliade nella descrizione della guerra, Odissea nella descrizione delle peregrinazioni di Enea: cfr. Apollonio e poi Virgilio), e la stessa tecnica dell’inserzione del lungo episodio di Enea ( o r i g o Romae!) nella narrazione fa pensare quasi più agli alessandrini che Con riferimento alla lett. precedente. Vd. lett. precedente. 3 Naturalmente questo e tutti gli errori successivamente elencati sono emendati nella seconda edizione. 4 Vd. lett. 193. 5 M., Titoli di opere enniane (cit. lett. 193). 1 2 422 all’Odissea. Ma, ripeto, c’è molto da pensarci, ed io ne so ben poco dell’alessandrinismo greco. p. 28 n. – A proposito dell’espunzione di [Livius]6, ci sarebbe da notare anche, non solo che solliferreum è citato anche a p. 372, 28 L. senza nome d’autore, ma che anche gli altri esempi che seguono in Festo (sollers e sollemne) sono citati senza indicazioni. D’altronde è veramente probabile che sollicuria, un ἅπαξ indicante un concetto comune, fosse usato da Tito Livio? Non ha l’aria di un composto arcaico od artificiale estraneo all’uso di uno storico? Su questo punto condividerei il punto di vista di Lenchantin; ma, se ne hai voglia, ti pregherei di ripensarci. p. 41 n. 1 (su Ann. 573 carbasus alta volat ... )7. – Non escludo la falsità, eppure la tua trattazione del frammento (nel terzo articolo8, p. 187 sgg.) non mi persuade del tutto. Il part. fut. mi pare difficilmente dovuto a un errore di falsario: questo falsario dovrebbe essere uno smisurato ignorante per usare un part. fut. invece del pres., e invece non solo il verso è ben fatto (il che vorrebbe dir poco), ma bisognerebbe ammettere che egli abbia finemente saputo collegare reminiscenze di Ann. 386, da te citato, e anche di Ann. 315 (pulvis fulva volat, di identica struttura nel primo emistichio, terminante colla stessa parola volat). Mi pare di averti accennato a un tentativo d’integrazione per il senso carbasus ... carinam | <longinquam ad terram> o <longinquum ad portum>: la nave viaggia verso un porto, ma poi p. es. avviene una tempesta ecc. Tuttavia non nego che ragioni di dubbio esistano per causa del Barth, del part. fut. predicativo e anche del tuo confronto con Lucan. 6, 471. Ann. 2609. – S e n o n r i c o r d o male, il Norden sosteneva trattarsi dell’apertura dell’Averno. Ora penserei: 1) senso r e a l e : (Giove? Plutone?) pose l’apertura presso le onde sulfuree del Nar ; 2) senso scherzoso, apparente: pose le aperture delle narici, gli spiragli del naso presso (le) onde sulfuree – n o n , probabilmente, spiramina naris ponere = spiritum ponere, perché spiramen non equivale a spiritus. Su Giulio Africano spero di poterti scrivere fra non molto. Morel (in risposta al libretto) mi scrive fra l’altro che nel supplemento letterario di «Times» è uscita la notizia di un papiro che obbliga a far discendere al 465 la data di composizione delle Supplici! Bella prova che l’ ‘arcaismo’ delle Supplici è intenzionale10! Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente. 8 T., Per una nuova edizione, III (cit. lett. 8). In proposito vd. Contributi1, p. 654. 9 Vd. lett. precedente. 10 La pubblicazione del P.Oxy. 2256, 3 porta a datare le Supplici al 463: vd. M. Di Marco, La tragedia greca. Forma, gioco scenico, tecniche drammatiche, Roma 2000, p. 48. 6 7 423 Sul fr. di Andr. 15 (23 Mor.) Maas propone dubbiosamente filia m<e> docuit confrontando χ 347, che è confronto acuto, anche se meno probabile (a rigore) del tradizionale11. Che ne è della borsa di studio da intitolare a Pasquali, di cui mi parlasti12? E che ne sarà della sua biblioteca13? Ho lasciato per ultimo un ringraziamento per le parole troppo gentili che mi hai dedicato in «Mondo operaio»14, in un articolo lucido e ben impostato (di cui sono venuto a conoscenza in questi giorni, su segnalazione di un amico di Rimini che l’aveva letto a suo tempo), ma, come si vede, tagliato malamente (anche il mio ‘ricordo’, enfatico e poco felice, era stato tagliato, per fortuna senza effetti evidenti)15. Degli scolari di Pasquali hai dovuto, per modestia, tacere il migliore. Del mio concorso, che credo avvenga in novembre, non so quasi nulla e temo che le tenui speranze si riveleranno illusioni. Pensa che sia a letteratura che a grammatica c’è Pighi! A grammatica Lavagnini è stato sostituito da Devoto, e questo può forse essere un vantaggio; ma purtroppo in queste cose bisogna essere meglio armati e più abili di quello che io non sia! Scusami la lunga lettera ed abbimi, con un abbraccio, il tuo sempre aff.mo Scevola M. PS. ‒ Scusa le cattive condizioni del dattiloscritto, specialmente nelle note. Mi è rimasto da vedere U. Knoche, Die röm. Satire, Berlin, Wissenschaftliche Editionsgesellschaft, 1949, che dedica un capitolo alle Satire di Ennio. Sai in che biblioteca si trovi? La proposta è citata in BP, p. 5, nota 2 (= BP3, p. 11, nota 2) e compare in apparato di 2 LA , p. 71, a proposito di quello che è divenuto il fr. 12, con la precisazione che Maas era stato preceduto da Fruterius ap. W. Meyer, «Rhein. Mus.», 33, 1878, p. 246. 12 Vd. lett. 196-7. La borsa Pasquali per il perfezionamento nelle discipline filologiche, archeologiche e storiche classiche è bandita annualmente dalla Fondazione Giorgio Pasquali, che fu istituita in attuazione delle disposizioni delle ultima volontà della vedova, Sig.ra Maria Nosei, presso la Scuola Normale di Pisa (la prima borsa è stata erogata nel 1991: vd. <http://www.sns.it/scuola/associazioni/pasquali/>). 13 La biblioteca di Giorgio Pasquali, comprendente 3820 volumi e 6819 tra opuscoli ed estratti di filologia classica e letteratura greca, è stata donata nel 1970 alla Scuola Normale Superiore di Pisa, che li ha collocati in libero accesso, in base alla disciplina, nei diversi settori della Biblioteca. (http://biblio.sns.it/speciali/). 14 S. T., Ricordo di Giorgio Pasquali, «Mondo Operaio», a. V, XVI, 23 agosto 1952, p. 24. 15 Vd. lett. 201. 11 424 202 Pisa, 8. 10. <1952>1 Carissimo Mariotti, ho letto con gran piacere l’articolo, che ti rispedisco oggi2. A me pare convincente e originale. Sull’affinità tra le Satire enniane e i Giambi di Callimaco insiste anche il Knoche Die röm. Satire3 (p. 20: «In besonders hohem Grade scheint Ennius dann den Iamben des Kallimachos verpflichtet gewesen zu sein …»; p. 17 ricorda il contrasto callimacheo alloro-olivo), ma senza affatto stabilire il parallelismo tra l’elaborazione di forme di poesia popolare compiuta parallelamente da Ennio e da Callimaco, in cui consiste la novità del tuo articolo. Anzi Knoche mette in dubbio, del tutto a torto (p. 10), l’esistenza della satura drammatica. Il libro di Knoche c’è alla Normale, e potrai chiederlo in prestito esterno; te lo manderei io se non avessero recentemente introdotto forti restrizioni al prestito per non normalisti (solo per pochi giorni, ecc.); ma eventualmente, quando avrai mandato la richiesta, posso sollecitarla presso l’‘avvocato’4. Il solo punto su cui io non sarei d’accordo è l’accettazione della spiegazione di satura proposta da Altheim. A me paiono convincenti le considerazioni del Knoche (p. 11) e di O. Weinreich (Römische Satiren eingeleitet u. übertragen von O. W., Zurigo 1949, p. x sgg. e 425) contro Altheim, Snell e Kerényi e a favore della spiegazione tradizionale. Il confronto con metafore ‘culinarie’ quali farsa, pot-pourri, olla podrida ecc. mi pare decisivo. Del resto, l’accettazione della spiegazione tradizionale non pregiudica, mi pare, la derivazione della satira enniana dalla satura drammatica: cfr. appunto farsa; la satira drammatica sarà stata un insieme di scenette staccate, un po’ come la seconda parte (dopo la parabasi) delle commedie di Aristofane5; e quindi un ‘fritto misto’, ecc. Difatti il Weinreich (p. xix sg.), pur attenendosi a tale spiegazione, presta fede alla tradizione sulla satura drammatica (ma senza far paragoni coll’ ἴαμβος). In complesso il Weinreich, pur non interessando direttamente la tua tesi, mi pare degno di attenzione. Non c’è a Pisa né, credo, a Firenze; lo possiede però Lallo Russo, che me lo prestò tempo fa; ne presi alcuni appunti, purtroppo insufficienti. Ad ogni modo Non c’è alcun dubbio che l’anno sia il 1952, in quanto si tratta chiaramente della risposta alla lett. precedente. 2 Vd. lett. precedente. 3 Knoche, Die römische Satire (cit. lett. precedente). 4 Vd. lett. 189-90, 203, 205-6. 5 Su questo richiamo vd. anche lett. seguente, 205 e 207. 1 425 questo problema, comunque si risolva, lascia intatta la tesi centrale del tuo articolo, che, ripeto, mi persuade. Ti prego solo ( s e r i a m e n t e ! ) di togliere la citazione del mio articolo alla nota 26, poiché si tratta di cosa già detta da molti altri (Skutsch, Leo, Schanz-Hosius ecc. ecc.), e parrebbe quindi una citazione fatta solo amicitiae causa. Suggestivo mi sembra anche quanto mi scrivi su Nevio. Se ti servisse lo Strzelecki, De Naeviano Belli Punici carmine quaestiones selectae 7, io ce l’ho e te lo posso mandare. P. 28 n. del tuo Andronico8. Ripensandoci, riconosco che gli argomenti contro Tito Livio sono forti e che forse è meglio davvero espungere Livius. Si potrebbe tuttavia supporre che Livio avesse, per es. nella seconda deca, riferito qualche formula religiosa o giuridica o simili (come spesso suol fare: devotio di Decio Mure, Carmina Marciana ecc.) in cui vi fosse la parola sollicuria. Ma capisco che l’ipotesi ti parrà artificiosa9. Anche su carbasus alta volat10 mi hai messo dei dubbi; l’integrazione da te proposta è certo acuta11, e devo riconoscere che la falsità del frammento non può più essere sostenuta tanto facilmente. Non sono invece persuaso del doppio senso di Ann. 26012. Leggendo quel verso in quel contesto, a nessun lettore poteva, io credo, venire in mente che Ennio avesse v o l u t o l’ambiguità tra Nar e nar. Ho saputo anch’io recentemente (da Grassi) la faccenda della data delle Supplici13. Filia me docuit di Maas è davvero acuto, ma anche a me par meglio la soluzione tradizionale. Sulla borsa di studio intitolata a Pasquali non è stato ancora deciso nulla. La sorte della sua biblioteca non è ancora chiara. La signora in un primo tempo aveva detto che l’avrebbe subito data all’Universitaria di Firenze (in conformità alla volontà di Pasquali, che spesso si era espresso in questo senso), ma adesso mi hanno detto che è incline a tenerla in casa, permettendone (ma in pratica la cosa sarà difficile) la consultazione agli studiosi. Anche sulla successione di Pasquali all’università di Firenze non si sa nulla: si parla di Perrotta (che, tutto sommato, sarebbe, credo, il più degno) e Vd. anche lett. 205 e 207. Kraków 1935. 8 Vd. lett. 201. 9 M. annota in margine: «ma Festo non cita, pare, T. Livio», obiezione che compare nella risposta che segue. Sui Carmina Marciana vd. inoltre lett. seguente e 205, 207-9, 211, 276. 10 Si riferisce a Enn. ann., 573 V.2, su cui vd. lett. 200 e 201. 11 In nota T. aggiunge: «Non mi pare che tu me l’avessi già comunicata, ma può darsi che ricordi male. Conservo ad ogni modo tutta la tua corrispondenza enniana!». 12 Vd. lett. 200. 13 Su questo e i successivi argomenti vd. lett. precedente. 6 7 426 di Diano. Alla Normale può anche darsi che finiranno col non chiamare nessuno. Per fortuna ti sei accorto che l’articolo su Pasquali in «Mondo operaio» è stato completamente guastato da tagli idioti: hanno tolto tutta la parte più concreta e meno generica. Ridotto così, l’articolo non ha più nessun interesse. Ne ho letto recentemente nel «Mondo» uno assai buono di Ronconi. Quanto al tuo concorso, ripeto: staremo a vedere se questi egregi professori sono c o m p l e t a m e n t e disonesti o se conservano, come spero e confido, un po’ di onestà e di intelligenza. In Devoto credo che si possa avere una notevole fiducia. Non conosci mica per caso (te lo domando tanto per provare, ma capisco che è poco probabile [Anzi, ripensandoci, pressoché impossibile, e quindi sia per non detto] e quindi non te ne dar pensiero) qualcuno che abiti a Recanati e sia capace di copiare quattro postille del Leopardi a pp. 294, 296, 313 e 345 di un Isocrate greco-latino edito a Cambridge nel 1792, conservato nella biblioteca della casa Leopardi? Di queste postille dà notizia, ma senza riferirne il contenuto, il Moroncini a p. lxxxvi della sua edizione delle Opere minori del Leopardi (I 1931). La scrittura del Leopardi è di solito chiarissima, ma ci vorrebbe uno che sa leggere il greco. Chi sa se esiste un bibliotecario? A Recanati c’è, mi pare, anche una biblioteca comunale. Proverò a scrivere là14. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro Le parole da «Non conosci» a «scrivere là» sono cancellate da T. con un segno di croce. La frase che T. racchiude fra parentesi quadre è un’aggiunta marginale. Su Recanati vd. lett. 205, 207, 209. 14 427 203 Pesaro, 10. 11. 1952 Carissimo Timpanaro, scusami il lungo vergognoso ritardo. Ho avuto molto da fare ed ho sempre rimandato in attesa di poterti scrivere con calma; ma non ho mancato di pensare ai vari nostri comuni problemi e quindi, affettuosamente, a te. Ho qui la tua bella lettera del mese scorso1, le lucide obiezioni e le importanti notizie che mi hai comunicato a proposito dell’articolo enniano. Delle une e delle altre ti sono m o l t o grato. Esse mi sono preziose anche perché mi permettono di svincolare la mia tesi da interpretazioni della satura drammatica che sono, come tu giustissimamente osservi, per lo meno dubbie. Il richiamo che tu fai alla seconda parte delle commedie di Aristofane è molto suggestivo. È tuo o già di altri? Te lo chiedo perché penso che potrebbe servirmi in altra occasione. Oggi chiederò, attraverso l’Oliveriana di Pesaro, il Knoche alla biblioteca della Normale e ti sarò grato se, quando ci vai, dirai una parola all’ ‘avvocato’2. Qualche dubbio ho ora anche sulla Satura di Nevio, e quindi mi esprimerò più cautamente, pur sostenendo, in base alla forma della citazione, che essa è altra cosa dalle Saturae enniane. Ma di questo, che mi interessa anche per Nevio, avremo tempo di riparlare. Alla nota 2 metterò «cfr. p . e s . S. T. ecc.», sperando di non farti dispiacere. Grazie della gentile proposta d’inviarmi lo Strzelecki, De Naeviano ecc. Fortunatamente lo possiedo. Condivido anche (sia pure con certezza non assoluta) il punto di vista dello Strzelecki sul titolo originario Carmen belli Poenici, ma non credo possibile la sua interpretazione delle citazioni di Prisciano in carmine belli Poenici II o simili: in carmine belli Poenici II vorrà dire in carmine belli Poenici (libro) II come qualche volta si trova citato Ennius (in) Annalibus I id est libro I o simili [ho raccolto gli esempi, pochissimi, ma non li ho sottomano]. Tuttavia quel gruppo di citazioni di Prisciano, t u t t e con questa r a r a formula introduttiva, mi sembra che possano costituire un’unità isolata, un’eccezione che non compromette abbastanza la tesi che Carmen belli Poenici fosse il titolo dell’opera non divisa in libri, Belli Poenici libri il titolo dell’edizione di Lampadione. A proposito di Strzelecki, mi sono procurato il suo De Senecae trimetro iambico quaestiones selectae3, dove ho trovato, nell’Appendice, qualcosa che interessa gli arcaici. Lo Strzelecki cerca di riconoscere applicata, senza 1 2 3 Vd. lett. precedente, cui si rinvia per tutte le questioni di seguito trattate. Sull’‘avvocato’ vd. lett. 189. L. Strzelecki, De Senecae trimetro iambico quaestiones selectae, Kraków 1938. 428 fortuna nell’insieme, la legge di Porson ai versi tragici latini4. Mi ha però colpito (p. 100) la scansione trocaica di Enn. Sc. 141 sgg.5 (che risolverebbe il problema di 142). Únde6 populi et réges consilium éxpetunt summarum rerum íncerti, quos égo mea ope ex incértis certos cómpotesque cónsili dimítto, ut ne res témere tractent túrbidas. Nel v. 2 lo Strzelecki segna dieresi dopo in- di incertis, ma potrebbe anche essere un verso senza cesura. Alla questione sarà certo da ripensare. Non mi pare faccia sensibile difficoltà la non corrispondenza di fine di verso e pausa di senso: si tratterà di una specie di ‘sistema’, ottonari strettamente legati chiusi da un settenario. Se non hai lo studio di Strzelecki, che è notevole anche per Seneca, te lo manderò con molto piacere. La tua ipotesi a proposito del mio Andronico, p. 28 n.7 (che sollicuria fosse in Tito Livio, citazione da un testo arcaico) è acuta, ma pare avversata dal fatto che nessuna citazione veramente probabile da Tito Livio c’è in Festo: probabilmente Verrio Flacco non aveva schedato Tito Livio. Anche la citazione che si era voluta vedere da quest’ultimo in Festo, s. v. stirps è sicuramente da Andronico, perché il grammatico parla dell’uso arcaico di stirps maschile. E d’altronde Verrio Flacco, amante dell’antichità (e uomo intelligente), avrebbe forse preferito indicare il testo da cui anche Tito Livio citava, e non semplicemente Livius. Quanto ad Ann. 2608, non saprei. A me non pare che l’ambiguità dovesse essere fra due sensi entrambi verosimili: lo scherzo poteva forse nascere anche da un senso ‘apparente’ ridicolo. D’altra parte nar è naturalmente parola ben più comune di Nar, e l’errore poteva, lì per lì, nascere in chiunque. Vedi del resto la stessa imitazione lucanea, che mostra che almeno la possibilità di legare (e intendere) altrimenti le parole era balenata alla mente di qualcuno. A proposito di Odyssea vetus e nova, Paratore mi scrive di aver parlato con Perrotta, «il quale non dubita della paternità liviana dei versi della cosiddetta Odyssea nova, ma ritiene oziosa la questione dell’esistenza di due diverse versioni dell’Odissea, una in saturni e l’altra in esametri, fatte dal medesimo autore. Bisognerà attendere la sua imminente opera sul saturnio o forse un articolo con cui egli comincerà a prendere posizione 4 5 6 7 8 Si veda però la rettifica nella lett. successiva. Vd. anche lett. 249-50. Vd. lett. 205, 207, 209. In nota: «Ma bisogna invece leggere Und’ sibi (lo Strzelecki omette il sibi)». Vd. lett. 201. Vd. lett. 200. 429 sull’argomento». Che Perrotta sia completamente fuori strada, cioè vada sostanzialmente d’accordo, sul saturnio, con Camilli9? Non vedrei come altrimenti si spiegherebbero le parole di Paratore. A proposito di Livio, tu ricordavi i Carmina Marciana10. Per spiegare l’arcaicità e insieme l’andamento ‘esametrico’, non si potrebbe supporre (ma è possibile che qualcuno non l’abbia fatto?) che Livio attinga da Ennio, modificando perché sapeva bene che la forma data da Ennio non era l’originaria, ma mantenendo le caratteristiche arcaiche? Se fosse roba enniana, p. es. si spiegherebbe bene il terra frugiferante di Carm. Marc. 1, 6 Mor. come fonte della famosa espressione del proemio di Lucrezio, ecc. Quanto alle note manoscritte del Leopardi, un professore di quelle parti mi dice che la biblioteca sarebbe chiusa e praticamente priva di competenti, ma che intenderebbero aprirla. Se tu credi di scrivere intanto, potresti farlo; e, se non avrai risposta soddisfacente, andrò io stesso entro metà gennaio, prendendo occasione da una gita che dovrei fare in Ancona. Ti prego di dirmi come la cosa procede. Purtroppo ancora non ho finito di rivedere i Cesti11, e ti chiedo scusa. Spero di avere nelle prossime settimane un po’ più di tempo libero; ma temo di non poterti dire niente d’interessante. Grazie per le cose che mi dici a proposito del concorso12. Le date sono, credo, 10 letteratura e 17 grammatica: si dovrebbe quindi venir a sapere qualcosa entro il mese, ma, sinceramente, le mie speranze sono abbastanza limitate. Staremo a vedere. Un saluto affettuoso e un abbraccio dal tuo Scevola Mariotti Sulle «scansioni di saturni di Camilli e le scansioni ‘saturnie’ di esametri» vd. lett. 189. Vd. lett. precedente. 11 Vd. lett. 194, 195 e 198. 12 Vd. lett. precedente. 9 10 430 2041 Pesaro, 12. 11. 1952 Carissimo, nella mia dell’altro giorno2, a proposito dello studio di Strzelecki, ti ho detto per sciocca svista che egli vuole applicare la legge di Porson ai versi tragici arcaici. Si tratta invece proprio del contrario. In altre parole, egli nega la legittimità di un finale di verso atquĕ barbari, mentre ammetterebbe atquī barbari. Ma, come ti ho detto, la mia copia del suo lavoro è a tua disposizione. Affettuosi saluti dal tuo Scevola M. 1 2 Cartolina postale. Vd. lett. precedente. 431 205 Pisa, 16. 11. 1952 Carissimo Mariotti, appoggerò senz’altro presso l’‘avvocato’ la tua richiesta1. Ho scritto a Recanati, e intanto ti ringrazio2. Il confronto tra la satura drammatica e la 2a parte delle commedie di Aristofane3 è venuto in mente a me, ma può darsi, trattandosi di cosa ovvia, che si trovi già in altri. Quanto alla citazione della nota 2 del tuo articolo4, dammi retta, t o g l i l a s e n z ’ a l t r o , e, caso mai, cita Skutsch in P.-W. ma forse è meglio non citare nessuno: si tratta di cosa arcinota. Sono perfettamente d’accordo sul titolo del b. P. di Nevio. Anche per la questione di sollicuria5 (tuo Livio Andronico, p. 28 n.) riconosco che la mia ipotesi era sforzata. Su Ennio Ann. 260 sono ancora dubbioso6. Non conosco il De Senecae trimetro ecc. di Strzelecki7; ti ringrazio dell’offerta di mandarmelo, di cui approfitterò in seguito (adesso non avrei tempo di occuparmene). La scansione trocaica di Enn. Sc. 141 sgg. mi persuade assai poco8. Che un p r o l o g o espositivo di tipo euripideo sia stato reso da Ennio con un canticum (ottonari e settenari), dubito. Da quel che ci rimane (Medea, Alexander) pare che Ennio in questi casi usasse senarii, e ciò è confermato dai prologhi di Plauto e Terenzio. E poi, dispiace smembrare l’allitterazione incertis certo compotesque consili (a cui fa riscontro l’allitterazione del t nel senario seguente)9. Fa davvero difficoltà la chiusa ope ex10? Non ho presente in questo momento la memoria del Vahlen a cui egli stesso rimanda. A. Klotz («Würzburger Jahrbücher» 1947, p. 349: articolo su prosodia e metrica degli scenici latini, utile come raccolta e discussione Si riferisce alla richiesta di prestito presso la biblioteca della Scuola Normale del libro di Knoche su cui vd. lett. 203. L’ ‘avvocato’ è il bibliotecario Chiodo, cit. lett. 189-90. 2 Vd. lett. 202. 3 Vd. ancora lett. 202. 4 Vd. lett. 202 e 203. 5 Vd. lett. 201. 6 Vd. lett. 200. 7 Vd. lett. 203. 8 Vd. ancora lett. 203. 9 Si riferisce ad Enn. scaen., 144 V.2 Dimitto, ut ne res temere tractent turbidas. 10 Enn. scaen., 142 V.2. 1 432 aggiornata, anche se spesso non convincente) scandisce con iato egŏ mĕắ ⁞ ope éx, accetta comunque anch’egli la chiusa con preposizione11. Dei Carmina Marciana12 non mi consta che alcuno abbia proposto l’attribuzione ad Ennio. Io però la negherei; quelli non sono esametri alterati13 da Livio o dalla tradizione manoscritta: sono nati fin dal principio come ‘esametri approssimativi’. Il Teuffel (-Kroll) ravvicina giustamente ad essi le cosiddette sortes Praenestinae (Bücheler Carm. epig. 331)14. Non capisco come il Morel, di solito prudente, abbia accettato i folli emendamenti del Bährens e di altri per ridurli a esametri regolari15. L’influsso enniano, certo, c’è (frugiferente tuttavia è congettura, codd. frugifera, che d’altronde è enniano, Ann. 489): saranno versi ‘popolari’, cioè semidotti, fabbricati in ambiente già influenzato da Ennio e attribuiti falsamente all’antico Marcius vates (che scriveva in saturni). Come gli oracoli greci rimasticano formule omeriche, così qui abbiamo rimasticature enniane, ma con una metrica estremamente approssimativa. Scrivimi ancora che ne pensi. Pare anche a me, dal passo di lettera di Paratore che mi riferisci16, che Perrotta sia fuori strada. Dal punto di vista della sua metrica ‘sincretistica’, certo, è facilissimo dimostrare che il saturnio e tutt’uno con l’esametro, o magari col senario o con qualsiasi altro verso; e allora tutte le questioni serie divengono per lui ‘oziose’. Vedremo il suo libro sul saturnio, il quale però, è i m m i n e n t e fin dal 193717! Coi più affettuosi saluti, il tuo Sebastiano Timpanaro […] M. annota nell’interlinea: «proceleusmatico in 5a sede con per di più correptio e iato, impossibile direi». 12 Vd. lett. 202. 13 Corretto da «modificati». 14 Cfr. W.S. Teuffel, Geschichte der römischen Literatur, neu bearbeitet von W. Kroll und F. Skutsch, i, Leipzig-Berlin 1916, § 66.67, p. 129, dove però non si trova l’accostamento con le sortes Praenestinae, ma si osserva invece: «Livius’ Fassung hat hexametrische Anklänge, die auf Umstilisierung durch seine Quelle (Fabius Pictor?) beruhen mögen». 15 Cfr. FPL, pp. 63-5 Mor. 16 Vd. lett. 203. 17 Il libro non uscì, ma vd. G. Morelli, Metrica greca e saturnio latino. Gli studi di Gennaro Perrotta sul saturnio, Bologna 1996. 11 433 2061 [23. 11. 1952]2 Carissimo Mariotti, mi sono rivolto all’ ‘avvocato’ quando aveva già risposto negativamente all’Oliveriana3, in quanto il Knoche è attualmente collocato nel Seminario di filologia classica (una stanzetta in cui sono riuniti i libri principali di filologia classica, con esclusione dal prestito). L’unica, io credo, è che tu rivolga una ‘supplica’ a Bolelli, vice-direttore con pieni poteri4, magari mandandogli un paio di estratti in omaggio. Non dubito che te lo manderà: ti conosce bene per fama, abbiamo spesso parlato di te; ma è un tipo piuttosto fornito, come diceva Pasquali, di ‘senso gerarchico’. Coi più affettuosi saluti, il tuo Sebastiano Timpanaro Cartolina postale. La data si ricava dal timbro postale di arrivo. 3 Si riferisce alla richiesta del libro di Knoche, su cui vd. lett. 203. 4 Tristano Bolelli (1913-2001), glottologo, vicedirettore della Scuola Normale Superiore dal 1950 al 1958 e direttore degli «ASNP». 1 2 434 207 Pesaro, 10. 2. 1952 Carissimo, grazie dell’interessamento per i libri della Normale: ne ho rimandato la richiesta, con ‘supplica’ al Bolelli1. Se intanto ti capitasse di parlargli, ti prego di accennargliene vagamente e di salutarlo per me (altra volta mi rispose gentilmente quando cercavo con urgenza copie degli «Annali»). Per Recanati, informami: potrei eventualmente andarci, come ti dissi, nelle vacanze, e lo farei con piacere2. Scusami, ma ho lasciato la citazione del tuo articolo, premettendo però «Cfr. u l t i m a m e n t e ... »3. Il rimando mi pare tanto più giustificato in quanto tu sviluppavi originalmente, in quelle pagine, la questione delle ‘proporzioni’ della trattazione storica. Ho anche accennato al tuo confronto con Aristofane4. Lo Strzelecki, De Senecae trim. iamb.5 è a tua disposizione e te lo manderò (se l’hai bisogno ora, scrivimi); ora ti spedisco una foto del cod. Capit. di Verona n. 38, f. 259 v, dove c’è la citazione di Ann. 205 sg.6 e di cui parlammo tempo fa. Purtroppo non si vede quasi niente (ma mi assicurano che nella foto, fatta con molta cura da un fotografo di Milano, si vede più che nell’originale – con molta cura, ma purtroppo è un po’ tagliata a sinistra). Può tuttavia servire per avere un’idea della scrittura e della probabile estensione delle lacune. Dell’asp... rima riesco per ora a intravedere solo asp.......a; considerata la grandezza 2 delle lettere ecc. mi parrebbe che il <sequuntur nec> fera belli di Keil sia eccessivo, e quasi avrei l’impressione che meglio di tutto sia asperrima volnera (dell’f̣ o ḍ non si vede alcuna traccia, proprio all’inizio della foto a sinistra); e quindi superant animo? Ma vedi tu senza prevenzioni. Della foto mi sono fatto fare due copie, e naturalmente quella che ti mando è tua, per quanto poco possa valere. Certo la scansione di Sc. 141 sgg. è molto dubbia7; ma è proprio sicuro che si tratti di un prologo? Non potrebbe parlare così Apollo nella situazione dei passi eschilei citati dal Vahlen p. 142? Mette conto di ripensarci e di vedere se ex in fine di verso sia ammissibile (non ho ancora visto il Thes.). 1 2 3 4 5 6 7 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 202. Vd. lett. 202. Vd. ancora lett. 202. Vd. lett. 203. Vd. lett. 93. Su Enn. scaen., 141 sgg. V.2 vd. anche lett. 203. 435 D’altronde la scansione del Klotz ego méă ⁞ ope ex mi pare impossibile per la presenza di un proceleusmatico in penultima sede (che non c’è mai!), tanto peggiore per la correptio e l’iato8. Allora, direi, senz’altro meglio Ax, De hiatu ecc., p. 26 sg.9 ego mea͡ ope ex (cioè mea<d>? cfr. med in Var. 45). Hai piena ragione di negare il mio tentativo di attribuzione ad Ennio della forma ‘esametrica’ dei Carmina Marciana10. Giusto mi pare quello che propone Teuffel (-Kroll) da te approvato: esametri ‘approssimativi’, tipo sortes Praenestinae. Ma tenterei un’altra via, certo azzardata, ma che per ora molto mi sorride. Che siano autentici (cioè fabbricati veramente, sotto il nome di Marcius vates, subito dopo Canne: profezia post eventum); che l’esametro sia stato tentato fin da prima di allora più o meno perfettamente da vati che imitavano gli oracoli greci e grecizzavano più di quanto facessero Andronico e Nevio, i quali, a me pare, non è che facessero saturnii perché non sapessero fare esametri; che l’autore si servisse di ‘formule’ esametriche preesistenti (nota specialmente che nel secondo carme le più ‘esametriche’ sono proprio formule di apertura e chiusura: Hostem ... vultis; haec ... semper: cfr. gaudebis semper nelle sortes Praenestinae). Per i composti (Troiugena, alienigena [alienigenus è attribuito agli antiquissimi da Prisc. II 196, 4], frugifer) cfr. quelli attestati nel poco che rimane di Andronico e Nevio, da quinquertio (Andr.) a thyrsiger (Naev.), calcati sul greco. Ennio sarebbe stato il primo a usare l’esametro l e t t e r a r i a m e n t e . Così si spiegherebbero le stranezze tipo mĕlᾰnurum11, improbabili in un dotto (cfr. Timpanaro sull’impossibilità che derivino da sinizesi male interpretate), ma comprensibili se ereditate da una tradizione ‘predotta’ e poi progressivamente abbandonate. (Nota anche che in questi carmina si ha la sensazione che fosse applicata la correptio come in Enn. Hedup.: quae incolŭnt terras; Iuppitĕr fatust12; f o r s e nel secondo carme censeŏ ludos? ex publicŏ partem ??). Certo non mancano ragioni di dubbio, ma nessuna per ora mi pare definitiva. Mi fa un po’ difficoltà il grecismo pontus (altrove non anteriore a Ennio) perché πόντος in senso generico è in greco piuttosto poetico; ma potrebbe essere stato ripreso direttamente dal verseggiatore (?) o forse piuttosto giunto per via popolare in base a nomi di uso comune come Pontus Euxinus. D’altronde di caratteristiche arcaiche in questi carmi ce n’è molte. Anche pascunt campos non mi pare più strano ed eccezionale Vd. lett. 205. W.H. Ax, De hiatu qui in fragmentis priscae poesis Romanae invenitur, Inaug.-Diss., Gottingae 1917. 10 Vd. lett. 202. 11 Enn. var., 42 V.2. 12 In nota: «mi pare che îs fuat esca caro tua: nam mi ita Iuppiter fatust sia un intero ‘esametro’ di chiusura». Sugli Hedupagetica vd. lett. 61. 8 9 436 qui che in età classica. Come vedi, ti accenno all’ipotesi in fretta e in forma piuttosto... tumultuosa. Se ti pare il caso, ne potremmo riparlare. […] Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola 437 2081 Pesaro, 16. 12. 1952 Carissimo, una breve e non sicura aggiunta sulla questione dell’introduzione dell’esametro e dei Carmina Marciana2. Come Catone mostra di relegare in una lontana antichità i Carmina convivalia, così d’altro lato anche Ennio sembra considerare lontano nel tempo l’uso dei saturni nelle profezie: versibus quos o l i m . . . c a n e b a n t 3 . Vates certo = ‘indovini’ (ma che vates non sia mai stato = ‘poeta’ prima di Varrone, come vuole il Dahlmann in «Philol.», ultimo fascicolo4, non crederei; se in tutti i testi noti a Varrone fosse stato vates = ‘indovino’, perché Varrone avrebbe potuto intendere vates = ‘poeta’ nel passo di Ennio? – e del resto ‘indovino’ e ‘poeta’ si confondono in ambienti primitivi, come sembrano confermare altre lingue). Dunque l’autore dei Carmina Marciana (probabilmente uno che abusava del nome del più antico Marcius vates) può bene già nel suo tempo aver usato o tentato di usare l’esametro. Ma attendo obiezioni. Terrei molto a sapere il tuo parere sulla p o s s i b i l i t à , a cui ti accennai altra volta, che Var. 103 sg. e 104 sg. Vahl.2 siano varianti d’autore, data la poca probabilità che altri – in quel testo e con quella forma, che sembra ambedue le volte così enniana – sia intervenuto senza che si capisca il motivo, ed eventualmente se sai cosa pensi del passo lo Jacoby (in FGH). Questo m’interesserebbe per l’articolo (o recensione) che sto finendo per l’«At. e Roma» su Pasquali, St. d. trad.2 5. Hai visto ‘grammatica’? Traglia, De Marco, Massa Positano, con voto di minoranza di Devoto e Ronconi a me6. […] Ti saluta affettuosamente il tuo SM Cartolina postale. Vd. lett. 202. 3 Enn. ann., 214 V.2, su cui vd. lett. 38 e in particolare, sul significato del verso, 210-1, 220-1, 276-9. 4 H. Dahlmann, Vates, «Philologus», 97, 1948, pp. 337-53. 5 S. M., Rileggendo la ‘Storia della tradizione’, «A&R», s. IV, 2, 1952, pp. 212-9 (= SFC, pp. 601-9). Vd. lett. 213, 214, 218, 220. Sul libro di Pasquali vd. lett. 33. 6 Vd. lett. seguente. 1 2 438 209 Pisa, 17. 12. 1952 Carissimo Mariotti, prima di tutto ti ringrazio molto della bellissima fotografia1. Non ho ancora avuto il tempo di esaminarla con cura. Purtroppo in fatto di paleografia io ho pochissima pratica, e quindi credo che poco potrò ricavare dalla lettura di un passo così difficile; a una prima occhiata non sono riuscito a intravedere2 quasi nulla. Ma la farò vedere ad Augusto Campana, che viene ogni tanto a Pisa per fare un seminario alla Normale. Scrissi a Recanati3 seguendo il tuo consiglio, e mi risposero dopo poco mandandomi la trascrizione di quelle postille, fatte da un prete del luogo. Perciò non c’è più bisogno che tu ti disturbi, grazie. L’idea che i Carmina Marciana4 siano esametri preletterari non mi pare affatto da scartare. Essa, se non sbaglio, era stata già accennata dall’Ussani, Storia della lett. lat. repubbl. e august., ed. F. Vallardi5, ma senza sviluppo. Le tue osservazioni mi paiono giuste, e ottimo è il confronto con gli Hedupagetica. Certo, qualche dubbio rimane: la lingua pare troppo enniana, la metrica troppo rozza. Ma tutto sommato la tesi merita di essere sostenuta e sviluppata. Ennio Sc. 1416: hai perfettamente ragione: nulla dice che il frammento appartenga al prologo, anzi il confronto con Eschilo lo esclude. Sulla scansione rimango incerto; ad ogni modo hai ragione di respingere Klotz. E veniamo ai concorsi! Il Perosa mi ha detto ieri di aver sentito dire che in grammatica sarebbero riusciti Traglia, De Marco e la Massa Positano7. Se la notizia è vera, sono più che mai deciso a cantarle chiare pubblicamente a questi giudici. Ciò potrebbe esser fatto sotto varie forme. Quella da me preferita sarebbe di scrivere un articoletto intitolato press’a poco Scevola Mariotti o delle congetture, in cui discuterei il giudizio di te dato nella relazione dei due concorsi (che, suppongo, consisterà nelle solite idiozie: «puro congetturatore» et similia) e insegnerei a costoro come e qualmente le con- Vd. lett. 207. Aveva scritto «leggere». 3 Vd. lett. 202. 4 Vd. ancora lett. 202. 5 Milano 1929, 19502. 6 Vd. lett. 203. 7 M. dà la notizia per certa nella cartolina precedente non ancora ricevuta da T., essendo stata scritta il giorno avanti. 1 2 439 getture da proscrivere siano quelle oziose, ludibundae, ‘umanistiche’, non le congetture che risolvono reali difficoltà metriche ed esegetiche; aggiungerei che una congettura o un’interpretazione che coglie nel segno, anche se è enunciata in una noterella di poche righe, è un atto filologico t o t a l e , sintetico («Anche il minimo filologhèma ha carattere enciclopedico» diceva Fr. Schelling). Se uno oggi chiamasse frammentari e incapaci di sintesi il Petrarca, o il Leopardi, perché non hanno saputo scrivere poemi di gran mole, sarebbe chiaro che costui è un cretino; eppure nel campo degli studi classici si continua proprio a giudicare con questo metro. Non mancherei di notare che, del resto, gli ultimi tuoi lavori ti hanno dimostrato capace non solo di congetture, ma anche di sintesi storico-culturali e di giudizi estetici. L’unico dubbio è: dove pubblicare un simile articolo? Credi tu che l’«Atene e Roma», cioè Ronconi, me lo pubblicherebbe? O «Paideia»? Se questo progetto si rivelasse del tutto irrealizzabile, ripiegherei, ma con dispiacere, su un altro: una recensione a qualcosa di tuo, in cui inserirei un po’ più concisamente, le cose che ho già esposto8. Il tuo saggio su Nevio uscirà fra poco? Recensirei volentieri l’Ennio, ma troppe sono in quel volumetto le lodi rivolte a me, e apparirebbe come uno ‘scambio di cortesie’. Anche per questo torno a pregarti di sopprimere quell’inutile citazione a proposito del carattere non cronachistico degli Annales. Scrivimi. Io intanto conto di vedere Ronconi a Firenze e di fare qualche sondaggio in merito. Ti riferirò. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Ho scritto in gran fretta. 8 Vd. lett. 213. 440 2101 22. 12. 1952 Carissimo, grazie infinite della tua solidarietà e degli affettuosi progetti2. Non voglio tardare a dirti che, se accetto volentieri la tua idea, lo faccio non perché creda di meritarlo personalmente, ma perché vedo in essa l’intenzione di difendere la scuola di Pasquali, che si vorrebbe ignorare o soffocare. Se si trattasse dell’articolo, credo che in nessun caso il mio nome dovrebbe figurare nel titolo (a me parrebbe ridicolo!) e che la cosa più utile sarebbe una trattazione generale sulla congettura, con le giustissime cose che mi hai scritto, in cui potresti accennare a me per incidens. Ma gratissimo ti sarei anche della recensione, invece che dell’articolo, solo che il Nevio tarderà ancora parecchio (e poi, meriterà una recensione favorevole?) e una raccolta di saturnî che dovrei ora fare per la Nuova Italia (e per cui, quando sarà il momento, dovrò disturbarti per avere i tuoi consigli) non sarà consegnata all’editore prima dell’ottobre ’53. Se non l’hai visto da Ronconi, ti manderò il ‘giudizio’ di grammatica (quello di letteratura mi è ignoto), in cui la maggioranza si esprime in forma quanto mai vaga, dicendo in sostanza che non si sente di giudicarmi maturo. Vi è anche un cenno alla troppa «personalità» di congetture e simm. Di «Paideia» non so: forse mandando a Pisani e non a Scarpat, che ha partecipato anche lui a grammatica? Pisani è stato qualche volta gentile con me; ma purtroppo ha accolto qualche volta nella rivista polemiche inopportune e troppo personalistiche. Forse meglio l’ «At. e R.»; o, per un articolo metodico o una recensione, gli «Annali»? […] Abbiti, con rinnovati auguri, un affettuoso abbraccio dal tuo Scevola PS. – Grazie dell’indicazione dell’Ussani, il quale aveva già fatto anche l’osservazione, secondo me giusta, sull’olim … canebant di Ennio3. 1 2 3 Cartolina postale. Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 441 211 Pisa, 1. 1. 1953 Carissimo Mariotti, scusa il ritardo con cui ti rispondo. Ti ricambio, anche a nome di mia madre, i più vivi auguri. All’osservazione sull’o l i m … canebant1 non darei troppo peso (Ennio può aver calcato la mano per fare apparire a n t i d i l u v i a n o Nevio, anche se il saturnio era stato fino a poco tempo prima in voga), tuttavia essa ha il suo valore come argomento sussidiario. Farai un articoletto a parte sui Carmina Marciana o ne parlerai nel Nevio2? L’ipotesi della variante d’autore in quel passo dell’Euhemerus è impeccabile3. Certo, una variante d’autore in un testo arcaico tramandato indirettamente parrà a molti (e anche a me!) dura a digerire; eppure, ὅπῃ ἂν ὁ λόγος φέρῃ, ταύτῃ ἰτέον4. Sono stato a Firenze e ho parlato a lungo per telefono con Ronconi. Mi è apparso sinceramente addolorato e indignato per il tuo caso, che anch’egli considera gravissimo; mi ha detto che lui e Devoto, nella loro controrelazione, hanno insistito sulla conoscenza di lingua e stile che dimostrano i tuoi lavori, ecc. Alla mia proposta di scrivere un articolo sul tuo caso non ha risposto negativamente; però ha accompagnato il suo assenso con tante raccomandazione di cautela, che praticamente lo svuotano del suo valore. Ha detto infatti che ogni riferimento o allusione diretta al concorso andrebbe evitata, perché può nuocere più che giovare. Io comprendo bene la fondatezza di tali preoccupazioni, soltanto ti confesso che, mentre saprei scrivere su due piedi un articolo come quello che ti ho abbozzato nell’ultima lettera5, non riesco a vedere come si potrebbe scrivere un articolo privo di riferimenti polemici al concorso. Si può evitare (e io l’avrei evitato in ogni caso) la polemica pettegola e maldicente, ma non la polemica elevata. Fare un semplice articolo metodologico Delle congetture, con accenni indiretti al tuo caso? Mi ci proverò, ma ho paura di non riuscir bene in questo sapiente dosaggio. Ad ogni modo qualcosa farò, e naturalmente tu sarai il primo a leggerlo e nulla sarà pubblicato senza il tuo assenso. Quanto a «Paideia», io purtroppo conosco bene Scarpat ma non Pisani; quel poco 1 2 3 4 5 Vd. lett. 209. Vd. lett. 202. Vd. lett. 208. Plat. Rep., 394d (con omissione di ὥσπερ πνεῦμα tra λόγος e φέρῃ). Vd. lett. 209. 442 che ho pubblicato là l’ho mandato sempre a Scarpat, e mi par difficile stavolta mandarlo a Pisani. Qualche rivista di sinistra come «Società»? Ma ciò, purtroppo, aumenterebbe i sospetti di azione politica ecc. Forse, tutto sommato, il meglio è ancora l’«Atene e Roma», sebbene Ronconi sia stato poco incoraggiante. Scrivimi ancora cosa ne pensi. Non ho ancora visto né il giudizio di letteratura né quello di grammatica. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano T. […] 443 212 21. 1. 1953 Carissimo, scusami del ritardo: ho dovuto rinunciare per un po’ di tempo a ogni corrispondenza a causa di una recensione (diventata poi articolo) alla St. d. trad.2 di Pasquali che ho finalmente spedito a Ronconi1. È riuscita un po’ un pasticcio: a una prima parte generica in cui ripeto cose note e arcinote segue una seconda, forse un po’ più interessante, in cui tratto di varianti d’autore, cercando di sostenere che nei loro confronti (nei testi classici) si può forse nutrire un po’ meno pessimismo di quanto ne avesse l’ultimo Pasquali. Dò l’esempio enniano che sai (naturalmente con molta cautela) ed un esempio sinesiano. Ho aggiunto all’ultimo momento anche un esempio di Cicerone, difendendo la tesi del Baehrens (seguito da Morel, FPL) che, nel famoso cedant arma togae ... 2, linguae è effettivamente la prima scrittura di Cicerone. Sull’argomento che adduco vorrei pregarti di dirmi il tuo parere, dedicando, se ne hai, un po’ di tempo alla questione. Questo perché sono ancora in tempo a correggere o a moderare. Sai naturalmente come stanno le cose: Traglia, La lingua di Cicerone poeta3, p. 231, dice che ormai sono tutti d’accordo per linguae deformazione polemica di avversari; Marmorale, «Riv. di filol.» 1947, 118 sgg. citava il prologo della Cist., 201 (parite l a u d e m et l a u r e a m ) cum aliqua veri specie, in favore della priorità (cioè dell’unicità) di laurea. Qualche cenno anche in Monaco nell’ultimo fasc. degli «Annali»4 (il quale, a proposito di o fortunatam ecc.5, ha certo ragione a discutere la tesi di Pascal e Pascoli, ma trae dalle sue osservazioni conseguenze insostenibili, mi pare, sul senso del verso ciceroniano). Io direi: lingua, ‘eloquenza’ (preso poi polemicamente per ‘maldicenza’), sta benissimo, è molto più proprio di laus a indicare le arti della pace. Cfr. il passo di Ennio citato due volte da Cicerone spernitur o r a t o r bonus con quel che segue6. E cfr. tutto il cap. 14 del pro Mur. (dove è citato Ennio), in particolare cedat … forum castris ecc. Altrettanto non si può dire di laudi, che qui è chiarito dal contesto, ma che in sé (come mostra del resto lo stesso verso plautino citato da Marmorale) vale altrettanto bene la gloria 1 2 3 4 5 6 Vd. lett. 208. Cic. carm., fr. 16 Mor. Bari 1950. G. Monaco, Due note filologiche, «ANSP», 21, 1952, pp. 63-9. Cic. carm., fr. 17 Mor. Enn. ann., 268-73 V.2. Cicerone vi fa riferimento in fam., 7, 13, 2 e Mur., 30. 444 militare7. Cosa te ne pare? Se non ti disturba e se l’hai sottomano, potresti vedere il lessico ciceroniano, caso mai esistesse qualche prova che laus significhi qualche volta in Cicerone ‘specializzatamente’ la gloria civile, il che indebolirebbe il mio tentativo? Scusami di questa chiacchierata e della seccatura. Ti dirò che ora leggerò con tutta l’attenzione Giulio Africano8: scusami di aver rimandato tanto una risposta su questo argomento e il rinvio del libro! Veniamo ora alla questione ‘dolente’ dei concorsi. Ti unisco la copia del giudizio di grammatica mandatomi da Ronconi, con la preghiera di rispedirmela con tutto comodo. Non conosco il giudizio di letteratura. Quanto al giudizio di Pighi e Sbordone, non so che dire: congetture sbagliate ne ho fatte qualche volta, ma non, credo, così arbitrarie e strampalate. Quanto all’oscurità del latino (con riferimento a un articolo su Sinesio)9, certo è un latino ‘intellettualistico’, costruito, ma mi ricordo che Pasquali, di cui ho le lettere, che in un primo tempo aveva detto di capirci poco, mi scrisse poi in modo tutto diverso nei riguardi del latino stesso quando gli ebbi accennato alle questioni presupposte che un non specialista non poteva aver presenti. Quindi l’oscurità fatta rilevare da Pighi dipenderà dall’argomento, non dalla lingua. Ronconi mi ha accennato ad una tua recensione al mio Andronico: così deve aver creduto di poter concludere dal vostro colloquio telefonico. (S’intende che dell’argomento ti parlo considerando le tue affettuose proposte come si può considerare un’opera di... propaganda elettorale, e perciò bandisco tutte le riserve che dovrei fare per la precisa coscienza di n o n meritare quello che vuoi dire). Anch’io ho le stesse incertezze che tu accenni nell’ultima parte della tua lettera. Può essere peggiore praticamente la prudenza? In ultima analisi penserei di no, perché mi figuro che, di fronte ad un attacco preciso, gli ‘altri’ tacerebbero abbozzando un sorriso o simulando indifferenza. […] In conclusione vedi tu. Certo un articolo sulla congettura sarebbe interessante10. Nell’articolo-recensione a Pasquali11, ho lasciato quasi del tutto da parte la congettura. Penso che un articolo sul tipo di quelli che mi accennasti sarebbe la cosa migliore: anche questioni teoriche, criteri con cui si sceglie fra molte la congettura più metodica, ecc.? Potresti exempli gratia citare un caso capitatomi a proposito della Chrysis del Piccolomini (su cui ti darò i dati) – caso del resto comune – di tre In nota: «Un gioco di parole simile è anche in Fam. 15, 6, dove però laudatio non è laus, e rientra nell’oratoria, lingua». 8 Vd. lett. 201. 9 M., De Synesii ‘Hymnorum’ memoria (cit. lett. 2). 10 Vd. lett. precedente. 11 Vd. lett. 208. 7 445 congetture (semplici, come vedrai) di cui due confermate dalla lettura del manoscritto fatta, ahimé, in precedenza da un editore anteriore al Sanesi (e quindi anche alle mie congetture), editore però, per ragioni conseguenti alla guerra, ignoto in Italia, il Boutemy; la terza confermata anch’essa più tardi da un riesame del codice fatto da Perosa in un punto dove sia Sanesi che Boutemy avevano letto male. Questo per dire che, insomma, le congetture fatte da me non sono poi tutte campate in aria! Ma ti dico questo sentendo il comico di questa autoesaltazione, che vedrai esagerata quando vedrai di che congetture si tratta (le avrebbe fatte chiunque fosse ratione utens): mi posso perdonare solo pensando ai fini elettorali! Per Cazzaniga, assicuralo pure che sarà fatto il tradizionale ‘possibile’. È ancora a Pisa o è già a Milano? Se è già a Pisa, chiedigli, per curiosità, se un mons. Anacleto Cazzaniga nuovo vescovo di Urbino è suo parente: molte cose me lo fanno... congetturare. Ti mando a parte (non so se tu l’abbia già) l’edizione di Ranstrand del Querolus12 (sulla quale è uscito un articolo di S. Cavallin in uno degli ultimi fascicoli di «Eranos»)13 che mi trovo ad avere doppia. Non per un cambio (ché so che non c’è corrispondenza), ma s e ne hai copie disponibili o se pensi che l’editore non ti faccia difficoltà ad inviarmela, gradirei molto la raccolta di studi di tuo Padre che ho visto annunciata in rassegne bibliografiche14. Scusa la fretta con cui ti ho scritto; ma non volevo e non potevo più tardare. Un’affettuosa stretta di mano dal tuo Scevola Mariotti Göteborg 1951. S. Cavallin, Bemerkungen zu Querolus, «Eranos», 49, 1951, pp. 137-58. 14 S. Timpanaro, Scritti di storia e critica della scienza, con una avvertenza di S. T. jr., Firenze 1952. 12 13 446 213 Pisa, 27. 1. 1953 Carissimo Mariotti, grazie vivissime del Querolus1. Non lo avevo, e non l’ho mai letto; ora approfitterò dell’occasione. Ti ho spedito ieri il libro di mio padre2. Ho guardato laus nel Merguet (lessico delle orazioni, delle opere filosofiche e Handlexicon)3: nulla, mi pare che accenni al significato specifico di ‘gloria civile’. Frequenti, anzi, i casi in cui si riferisce a gloria militare (di Pompeo ecc.), frequenti le endiadi con gloria (de imp. Cn. Pompei 7 appetentes gloriae … atque avidi laudis, identico, entrambi di ‘gloria militare’); in casi come Catil. 2, 10 (o praeclaram laudem consulatus mei!) o pro Planc. 66 (si quam habeo laudem … parta Romae est, quaesita in foro) il significato si ricava da tutto il contesto. Perciò, nulla osta all’ipotesi del Baehrens e tua, che mi pare non improbabile. Immagino che l’articolo su Pasquali e la critica del testo sarà venuto molto interessante4. Per quel numero dell’«Atene e Roma» ne ho scritto uno anch’io, breve, su Pasquali e la metrica5. In «Società» è uscita (ma non me ne hanno mandato estratti) una mia replica a Bianchi Bandinelli, che nel numero precedente aveva parlato di Pasquali come di un puro t e c n i c o e aveva ricordato, con poco senso di opportunità, debolezze politiche ecc. Bandinelli ha brevemente controreplicato6. Ti rimando, dopo averlo copiato, il giudizio di grammatica latina. Mi sono persuaso anch’io che il meglio sia fare un articolo sulle congetture7, con accenni, non direttamente polemici, a te; perciò ti prego di mandarmi i dati su quelle 3 congetture della Chrysis. Mi ci metterò d’impegno, e Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 3 H. Merguet, Lexikon zu den Reden des Cicero, I-IV, Jena 1877-84; Id., Lexikon zu den philosophischen Schriften Ciceros, I-III, Jena 1877-94; Id., Handlexikon zu Cicero, Leipzig 1905. Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. 208. 5 S. T., Pasquali e la metrica, «A&R», s. IV, 2, 1952, pp. 220-3. 6 L’articolo di S. T., A proposito di un giudizio su Pasquali, apparso in «Società», 8, 1952, pp. 704-5 (rist. in «Belfagor», 28, 1973, pp. 202-3) era la risposta a una recensione di R. Bianchi Bandinelli alle Vecchie e nuove pagine stravaganti di un filologo e alle Stravaganze quarte e supreme di G. Pasquali («Società», cit., pp. 564-6). La replica di Bianchi Bandinelli in «Società», cit., p. 705. 7 L’articolo, intitolato Delle congetture, uscì in «A&R», s. IV, 3, 1953, pp. 95-9 (rist. con ritocchi in Contributi1, pp. 673-81). Vd. lett. 209, 211, 218, 226, 236. 1 2 447 spero di riuscire discretamente, sebbene, certo, mi sarebbe riuscito meglio l’attacco diretto e violento; ma riconosco pienamente che non è opportuno. Naturalmente appena avrò abbozzato l’articolo te lo manderò, e potremo ampiamente discutere i particolari e il ‘dosaggio’ degli accenni al caso Mariotti. Penso che un articolo di questo genere potrà essere anche meglio della recensione all’Andronico, pur non escludendo a priori neanche questa8. D’altra parte, un articolo di questo genere credo che potrà essere pubblicato senza troppa difficoltà anche da Ronconi o, nel peggiore dei casi da «Paideia» (ma come è scesa in basso questa rivista! Hai visto l’ultimo numero? Bickel che i n v e n t a un intero verso di Titinio, e Pisani che, credendo che decoro abbia le prime due sillabe lunghe, ‘corregge’ un senario epigrafico postulando una forma preromanza decorai per decoravi!!!)9. Aspetto dunque i dati sulla Chrysis. Nessuno scrupolo che si tratti di «propaganda elettorale»10; si tratta di difendere l’onestà e la serietà degli studi. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro T. aggiunge in nota: «In quel resoconto enniano per l’«Anzeiger» di Innsbruck accennai ampiamente (per quanto me lo consentiva lo spazio) all’Ennio. Ma non ne ho più saputo nulla. Probabilmente la rivista si è arenata. Cazzaniga ora è a Milano; quando torna gli domanderò se il vescovo è suo parente [su ciò vd. lett. precedente]. Lui ostenta anticlericalismo, ma dev’essere più terzaforzista che sinistro». 9 In «Paideia», 7, 1952, si leggono E. Bickel, Observationum satura, I. Iacta alea est, pp. 269-73; V. Pisani, Grafia e metrica, II. Sulla i sing. del perfetto lat. in -ai, pp. 280-1. 10 La medesima espressione nella lett. precedente di M. 8 448 214 Pesaro, 8. 2. 1953 Carissimo Timpanaro, ti ringrazio molto vivamente per la bella raccolta di saggi di tuo Padre1 e per l’affettuosa dedica. Ho letto già quasi tutti i saggi, che testimoniano il suo spirito acuto, ricco di problemi e soprattutto capace di impostare la questione della scienza in termini filosofici, il che è cosa rara negli scienziati e nei filosofi. Questo libro risponde a tante domande che a ciascuno di noi era accaduto di porsi, anche sul piano della curiosità (p. es. caratteri e limiti della personalità di Marconi ecc.). L’identificazione di scienza e storia della scienza e di scienza e filosofia risponde a qualcosa di cui anch’io ero, sia pur vagamente, persuaso; e, quando, prima o poi, scriverò un articolo a cui penso da molti anni (e che non faccio mai) sulle ragioni dell’insufficienza delle scuole medie attuali – un articolo che non sarà niente di speciale, ma solo un insieme di riflessioni sulle esperienze di insegnante da me fatte in diverse di queste scuole – mi riferirò al libro di tuo Padre per quella che è una delle mie convinzioni più radicate: che cioè bisognerebbe evitare la frattura fra discipline storiche e discipline scientifiche, cercando di fare per queste come si fa per quelle, facendo corrispondere insomma l’insegnamento ‘teorico’ della matematica e delle scienze in genere a quello della ‘grammatica’ e quello di storia della scienza a quello di storia delle lettere, filosofia ecc. Non so poi quanto questo sia realizzabile, soprattutto, direi, per l’impreparazione degl’insegnanti. Ma è un’esigenza che bisognerebbe in qualche modo soddisfare, cominciando intanto dalle università: come fa il ricercatore nel campo della fisica o della medicina a ricercare ed a formulare delle ipotesi che debbono riassumere il mondo della sua esperienza, conoscendo suppergiù solo le teorie correnti o recenti e senza rendersi conto della loro storicità e spesso neppure delle ragioni ultime – e legate ai tempi – di quelle teorie? Che questo valga anche per la matematica, per cui è meno immediatamente evidente (il che poi finirebbe collo svalutare del tutto la matematica), è stato detto molto chiaramente (e in modo persuasivo anche per un profano) da tuo Padre. Anche la negazione dello pseudoconcetto mi pare, quindi, del tutto giusta. Nel libro ci sono anche belle prove polemiche della sua coerenza politica, e c’è anche, nella biografia e nella misurata caratterizzazione della sua personalità che hai fatto all’inizio, qualcosa che contribuisce a spiegare direttamente o indirettamente certi tuoi atteggiamenti ed interessi: il rigoroso senso della moralità scientifica, 1 Vd. lett. 212. 449 che ti ammiro, la tua insofferenza per una partecipazione ‘ufficiale’ alla vita universitaria (che io, debbo ripeterti, non approvo, anche per ragioni morali), gli stessi tuoi interessi per la storia della filologia, di cui tu vedi giustamente l’importanza da tutti o quasi misconosciuta. Essa è l’analogo degl’interessi di tuo Padre per la storia della scienza. Ma passiamo ad altro. Grazie, prima di tutto, della consultazione che mi hai fatto del Merguet2, per me preziosa. Ho letto il tuo giustissimo attacco a Bianchi Bandinelli e la sua risposta3, che mi pare ben imbarazzata. È inutile dire che sono completamente d’accordo con te. Non lessi quello che fu scritto di Pasquali in «Idea»4; dell’articolo di Pieraccioni nella «Fiera letteraria»5, letto in fretta e molto tempo fa, m’era rimasta un’impressione un po’ diversa, che fosse un tentativo di allargare il suo cristianesimo fino a comprendervi l’umanità di Pasquali. Ma può darsi invece che fosse solo un tentativo di accaparramento. […] È curioso che, quando ricevetti «Paideia»6, feci le due stesse tue osservazioni: sono, mi dirai, osservazioni ovvie; ma è caratteristico, per la somiglianza della nostra forma mentis e dei nostri interessi, che ci siamo fermati sulle stesse due cose con la stessa scandalizzata meraviglia. A me era rimasto il dubbio che Bickel avesse ripreso, senza ricordarsi di dirlo, quel verso da qualche parte, tanto era stupida la sua nota! Ma tutto il testo della nota smentisce questo dubbio. Skutsch ti avrà certo mandato la sua conferenza7. Chi sia lo svizzero che ha pure spiegato dicti studiosus = φιλόλογος, non so8. Il tentativo di correggere, nel frammento di Antioco9, fero in foro mi pare del tutto errato. Debbo ancora ringraziarti della «propaganda elettorale»10; ma ti prego di non indulgere troppo all’amicizia, sia perché mi faresti restar male, sia Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 4 In «Idea: settimanale di cultura» [supplemento di «Idea: mensile di cultura politica e sociale»], a. IV, n° 29, 29 luglio 1952, uscirono il Ricordo di Giorgio Pasquali di Piero Treves (pp. 1 e 5) e L’avversario che fu sempre un amico a firma V. C., cioè Vladimiro Cajoli (p. 1). 5 Quello di D. Pieraccioni era uno dei quattro contributi pubblicati sotto il titolo complessivo Non c’era frattura tra la cattedra e la vita: Giorgio Pasquali in «La Fiera letteraria», 7, 27 luglio 1952, pp. 3 e 7; gli altri interventi portavano la firma di P.P. Trompeo, A. Pincherle e E. Paratore, a proposito dei quali si veda quello che scrive G. Arrighetti, Pasquali visto da Timpanaro, «Eikasmós», 23, 2012, pp. 402-3. 6 Vd. lett. precedente. 7 Vd. lett. 176. 8 Si tratta di M. Puelma Piwonka (vd. lett. successiva). Vd. inoltre lett. 225. 9 Enn. ann., 394 V.2, su cui vd. lett. 53. 10 Vd. lett. precedente. 2 3 450 perché diventerebbe troppo facile agli altri individuare in questa il motivo delle tue prese di posizione. Perciò escluderei in modo assoluto la recensione all’Andronico. (Mi viene in mente che debbo dirti che l’articolo-recensione alla St. d. trad.2 di Pasquali, inviato già da qualche tempo a Ronconi, non uscirà nel fascicolo dedicato a Pasquali, perché Ronconi lo ritiene poco adatto a quel fascicolo in quanto vi si tratterebbe troppo poco di Pasquali e della sua opera; uscirà più tardi)11. Sulla Chrysis del Piccolomini (ed. Sanesi, Firenze 1941) ti dò brevemente qualche dato. L’ed. Sanesi fu ritenuta in Italia la princeps finché non si ebbe notizia (in ritardo per ragioni di guerra e per la poca diffusione della collezione in cui rientrava) di quella del Boutemy (Bruxelles 1939): questa fu ignorata dai recensori e studiosi della Chrysis (Bernetti nella «Rinascita» 1943, 60 sgg. e Cammelli pure in «Rinascita» di quel periodo)12. Il mio articolo in «Ann. Pisa» 1946 [ma scritto prima], 118 sgg. te lo mandai certamente13. Un confronto fra le due edizioni, Sanesi e Boutemy, fu fatto, in modo quasi sempre accettabile, dal Niedermann in «Humanitas» 2, Coimbra 1948-49, 93 sgg., ed è sfavorevole in genere al Boutemy. Il Sanesi si serviva di due trascrizioni precedenti del codice; il Boutemy di autopsia. Il codice fu rivisto, in foto, da Perosa; vd. «Ann. Pisa» 19, 195014. I punti a cui alludevo (ti ripeto, non aspettare gran che!) sono vv. 215, 602, 709 e 555: in tre casi purtroppo già il Boutemy aveva letto bene, mentre le due fonti del Sanesi avevano sbagliato; più interessante forse 555 dove in tre avevano errato, mentre Perosa (p. 4 dell’estratto) constatò che la congettura da me fatta (del resto in base a Plauto!) era anche paleograficamente giusta. Così Perosa conferma cenopolio al v. 494, per cui cfr. il mio articolo, p. 123. Ma ad un orientamento più chiaro (e abbastanza rapido) ti serviranno gli articoli di Niedermann e Perosa. Io ho qui l’edizione Boutemy, l’estratto di Niedermann (e Perosa), l’articolo di Bernetti e anche, sia pure in cattive condizioni, l’edizione Sanesi. Ti posso mandare subito tutto o parte: ti prego di dirmelo. Non credo che leggerai tutta la Chrysis: se mai dovesse interessarti, ti manderò un paio di altre proposte. Il microfilm del Vd. lett. 208. G. Bernetti, Enea Silvio Piccolomini e la sua commedia “Chrysis”, «La rinascita», 6, 1943, pp. 37-65 (rist. in Id., Saggi e studi sugli scritti di Enea Silvio Piccolomini Papa Pio II, Firenze 1971, 129-46). Nei contributi di G. Cammelli in «Rinascita» di quegli anni, di cui il più cospicuo è Andronico Callisto I-II (5, 1942, p. 104-21 e 174-214), non risulta che si accenni alla Chrysis. 13 M., Sul testo e le fonti comiche della ‘Chrysis’ (cit. lett. 5). 14 A. Perosa, La ‘Chrysis’ di Enea Silvio Piccolomini, in «ASNP», s. II, 19, 1950, pp. 63-7 (rist. in Id., Studi di filologia umanistica, III. Umanesimo italiano, a cura di P. Viti, Roma 2000, pp. 45-50) 11 12 451 codice, che io non ho poi mai visto perché abbandonai l’argomento, è certo alla Normale. Scusa la micrografia15 e un affettuoso saluto dal tuo Scevola 15 Nell’ultimo foglio la grafia si fa via via più serrata e di modulo più piccolo. 452 215 Pisa, 15. 2. 1953 Carissimo Mariotti, ti sono vivamente grato delle intelligenti e affettuose considerazioni sul libro di mio padre1. Credo anch’io che in quegli scritti (e in molti altri che per necessità di spazio ho dovuto lasciar da parte) vi siano molti spunti che meriterebbero di essere ripresi e sviluppati. Purtroppo la storia della scienza è tuttora (come si accorge anche un profano quale io sono, solo che legga qualche rivista di questa materia, per es. le «Archives internationales d’hist. des sciences») in condizioni deplorevoli, poiché di solito se ne occupano individui che sono falliti come scienziati e che ripiegano su questo campo da essi considerato ‘più facile’; e naturalmente, oltre a valer poco come scienziati, non hanno alcuna preparazione filosofica né senso storico. È anche vero che io, pur occupandomi di diversi argomenti, devo moltissimo a mio padre; e il dolore per la sua perdita fu tanto più grave in quanto rappresentò la fine di una comunanza non solo affettiva, ma anche intellettuale. Solo nel carattere, e quindi nella visione generale della vita, eravamo molto diversi: lui invittamente ottimista (per quanto di un ottimismo pieno di irrequietezze e di scontentezze sui singoli aspetti contingenti della vita), io altrettanto fermo nel mio pessimismo; e di ciò egli si addolorava. Le tue osservazioni sull’insegnamento delle scienze sono molto interessanti, e io spero che ti deciderai presto a scrivere l’articolo a cui accenni. Nella nota antibandinelliana2, accennando a «La fiera letteraria», più ancora che all’articolo di Pieraccioni mi riferivo a quello di Pincherle (nello stesso numero), che mi sembrò molto antipatico e insinuante. In «Idea», sciocchezze ancor maggiori furono scritte da Vladimiro Cajoli (il quale, tra parentesi, deve credere al cattolicismo quanto ci crediamo noi, ma ora ritiene opportuno fare il cattolico). Ho ricevuto la prolusione di Skutsch. Mi par buona la sua osservazione sul libro vi (proposte di pace di Pirro dopo Ascoli); sbagliata, siamo d’accordo, la congettura foro. Rimango convinto che hai ragione tu di difendere il tramandato, e ho scritto in questo senso oggi a Skutsch. In complesso Skutsch riesce molto meglio in problemi di ordinamento e riferimento storico dei frammenti che in critica del testo. Ora si è messo in mente di 1 2 Su quanto segue vd. lett. precedente, a cui T. risponde. T., Pasquali e la metrica (cit. lett. 213). 453 eliminare i casi di dattili in versi trocaici (delínquis ego árguor3 ecc. ) con congetture più o meno assurde. Lo svizzero che era anche arrivato a spiegare dicti studiosus = φιλόλογος è M. Puelma Piwonka nel suo Lucilius und Kallimachos (Francoforte sul M., 1949); ma non ne traeva, a differenza di te e (in misura assai minore) di Skutsch, alcuna conseguenza storico-culturale. A ciò ho accennato nell’ormai famigerato resoconto per l’ «Anzeiger»4, che dovrebbe finalmente (almeno così mi ha scritto il direttore, Muth) uscire tra qualche giorno, e che ti manderò appena avrò l’estratto. Quel frammento di Titinio è stato proprio i n v e n t a t o in base a Menandro da Bickel5. Allo stesso modo si potrebbero tradurre in senari brani della Medea di Euripide e poi spacciarli per enniani. Non c’è che dire, il «Rhein. Mus.» è finito in buone mani6! Ti ringrazio molto per i dati sulla Chrysis del Piccolomini7. Mi paiono sufficienti; le edizioni della Chrysis (che per ora non penso di leggere tutta) me le farò prestare dal Perosa, e quindi non è necessario che me le mandi. Spero fra non molto di mandarti un abbozzo di articolo, che poi discuteremo minutamente prima di pubblicare. Spero che, sotto questa forma, Ronconi non faccia difficoltà8. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Timpanaro Enn. scaen., 225 V.2. Vd. lett. 250 e 516-7. Vd. lett. 76. 5 Vd. le due lett. precedenti. 6 Dal 1935 Ernst J.F. Bickel (1876-1961) aveva assunto la direzione della rivista «Rheinisches Museum», succedendo a Friederich Marx. 7 Vd. ancora lett. precedente. 8 Cioè all’articolo Delle congetture (cit. lett. 213). 3 4 454 2161 Pesaro, 2. 3. 1953 Carissimo, sulle osservazioni di Skutsch a proposito di Fabrizio dopo Eraclea, Cinea dopo Ascoli sono anch’io d’accordo2, e mi sembrano fini. Su altre cose naturalmente dissento, compreso il cavillo (direi) di p. 11 su Omero rinato e Omero imitato: non mi pare che per Ennio il presentarsi come Omero fosse gran che di diverso da una finzione letteraria. La posizione di Skutsch mi sembra dovuta ad una troppo letterale interpretazione del ‘callimachismo’ di Ennio (o comunque del suo alessandrinismo). D’accordo già a priori sull’impossibilità di correggere i dattili in versi trocaici. È vero, già nel Puelma Piwonka c’era dicti studiosus = φιλόλογος3: l’ho visto solo ora, sebbene avessi acquistato il libro (mediante «Paideia») già l’anno scorso e l’avessi citato nell’articolo per «Maia» che conosci4 (ed è uscito, ma non ne ho ancora avuti gli estratti). Mi accorgo di un errore nel mio Andronico, e grosso (ereditato da tutte le edizioni recenti, compresa quella di De la Ville de Mirmont, che distingue anch’essa ex professo frammenti di sede certa e incerta): il mio fr. 2 va fra quelli di sede incerta, perché è verso riportato anche in ε 22 e ψ 70 (invece altrove è riferito ad un f i g l i o maschile, e perciò puera non andrebbe)5. […] Nella suddivisione fra gli eredi della biblioteca del Picciola6, scolaro e amico di Carducci, e molti anni fa preside a Firenze, ho trovato (e mi sono fatto dare fra i... compensi di consulenza) una traduzione da Ippocrate e Galeno di Massimiliano Cardini (con dedica al Picciola e una breve lettera di accompagno): è un tuo ascendente? Me l’hanno fatto sospettare gl’interessi per la storia della scienza e un po’ anche l’abitazione a Firenze. Se per un caso la lettera (generica) t’interessasse (è del 1910), te la manderò, non Cartolina postale. Vd. lett. precedente. 3 Puelma Piwonka, Lucilius und Kallimachos (cit. lett. precedente), p. 188 nota 3. 4 M., Titoli di opere enniane, «Maia», 5, 1952, pp. 271-6 (= LE2, pp. 114-8). 5 Infatti nella seconda edizione il fr. 2 diventa fr. 20 ed è collocato giustamente fra i frammenti incertae sedis. 6 Giuseppe Picciola (1859-1912), nato a Parenzo, allora sotto gli Asburgo, per le sue idee irredentiste fu costretto all’esilio. Si trasferì a Pisa dove si laureò in letteratura italiana. Sposatosi con una pesarese (Beatrice Vaccaj, figlia del deputato socialista Giuseppe), restò legato a Pesaro, dove insegnò e fu preside del locale liceo. Fu in seguito preside di quello di Ancona e da ultimo del liceo «Galilei» di Firenze. 1 2 455 avendo ragione di conservarla. Q u a n d o t i c a p i t a s s e di vedere Bornmann, potresti dirgli se può mandarmi un suo estratto sul γρῖφος7? Guarda però che non ho n e s s u n i s s i m a f r e t t a e anche nessuna vera necessità, perché l’«Athenaeum» c’è qui. Grazie di tutto e affettuosi saluti dal tuo Scevola PS. – Dicono che il «Philologus» cessi le pubblicazioni8. In cambio, si moltiplicano le riviste inutili: «Latinitas», umanistico-democristiana; una rivista nuova fa a Torino non ricordo se D’Agostino o Pellegrino. F. Bornmann, Kenning in greco?, «Athenaeum», 30, 1952, pp. 85-103. La rivista tedesca, uscita irregolarmente durante e dopo la guerra, riprese le pubblicazioni dal 1954. 7 8 456 2171 Pisa, 7. 3. [1953]2 Carissimo Mariotti, fra tre o quattro giorni ti manderò l’abbozzo dell’articoletto sulle congetture3. Lo avrei finito già da tempo, se non ci fossero di mezzo le prove scritte dei concorsi per le scuole medie e poi un’influenza che mi ha fatto perdere qualche giorno. […] D’accordo su Skutsch4. Il «Philologus», a quanto mi risulta, ha cessato le pubblicazione già dal ’49, o è uscito più tardi qualche altro fascicolo5? Ho saputo solo da poco che alla Nazionale di Napoli tra i manoscritti leopardiani c’è un abbozzo del Giulio Africano6 contenente (pare) anche alcuni pezzi di testo greco. Dovrei ricevere tra qualche giorno il microfilm. Eventualmente farò un’aggiunta all’articolo. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Timpanaro 1 2 3 4 5 6 Cartolina postale. L’anno si ricava dal timbro postale. Vd. lett. 213. Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. Vd. lett. 194. 457 218 19. 3. 1953 Carissimo Timpanaro, prima di tutto auguri vivissimi per il tuo concorso, auguri di cui naturalmente non avresti bisogno se tutto fosse in mano di gente competente e onesta. Ma, anche se così non fosse, non c’è dubbio che stravincerai facilmente. Soltanto, io vorrei poterti ripetere gli auguri per un agone più degno di te. Grazie di avermi mandato la prima stesura del tuo articolo, dove dici tutte cose giustissime e molte nuove (ottima la chiusa; interessanti e, per quel che so, giustissima la limitazione nel giudizio su Vitelli ecc.)1. Di me hai detto anche troppo; n o n a g g i u n g e r e i n n e s s u n c a s o altri esempi miei, ché sono già evidentemente troppi. Aggiungere forse, accanto alle congetture puramente ludibundae, quasi come una sottospecie, quelle congetture che ‘equivalgono’ ad altre fatte exempli gratia per passi certamente corrotti, quelle che, pure in passi gravemente corrotti, migliorano un po’ dal lato paleografico una congettura precedente e la p e g g i o r a n o per la lingua o altro? Non saprei. Spesso tali erano le congetture di Lenchantin. La tua congettura ad Ovidio mi pare che stia lì benissimo. Forse anche il caso citato da Campana può andare, tanto più se un qualche miglioramento nel confronto di Carisio (e di tutte le altre fonti) ci sia qualora sia tramandato miserum ... homonem ((nella mia edizione del Vahlen avevo notato molto dubbiosamente spineto: an ex spineis?? cioè -is > -to, favorito dal senso, ma non saprei)). A p. 4 a proposito del passo dell’Anth. s e non ci sono altri esempi (a me pare di averci pensato, senza trovarne) di ripetizioni simili, si potrebbe forse scrivere «poteva anche sembrare voluta». A proposito della Chrysis mi sembra giustissimo mettere in evidenza il caso del v. 555, dove avevano letto male Lambel e Nejedly (i due ‘collatori’, indipendenti fra loro, su cui si basava il Sanesi) ed il Boutemy, cioè in tre, ed evidentemente, a quanto pare dal Perosa, io avevo azzeccato anche l’origine paleografica dell’errore [cosa del resto, come vedrai, semplicissima]. Gli altri tre casi (215, 602, 709, citati da Perosa) sono un po’ diversi, perché Boutemy, ignoto allora in Italia, aveva già letto giusto. Quindi, al massimo, in nota. Quanto a Giulio Africano2, finalmente (e con vergognoso ritardo) mi sono messo a pensarci un po’, ma, come prevedevo, per ora senza alcun 1 2 Si riferisce a T., Delle congetture (cit. lett. 213). Vd. lett. 218. 458 sensibile risultato (solo forse un suggerimento e un dubbio). Penso che tu abbia bisogno dell’edizione, data l’interessante novità napoletana; e perciò chiedimela pure e te la spedirò subito, magari pregandoti di rinviarmela. Oppure mi annoterò i passi che mi avevi segnato con l’asterisco. Io purtroppo in queste cose procedo molto lentamente, e con questo autore mi è difficile orientarmi con qualche sicurezza. Degli «Studi Urbin.» usciranno a breve distanza due fascicoli, a quanto mi dice Bo: perciò avresti abbastanza tempo anche se volessi rifondere nell’articolo i nuovi dati. Dimmi se debbo spedirti anche il manoscritto. In ogni caso si potranno far fare subito gli estratti. Nel fascicolo dell’ «At. e Roma» dedicato a Pasquali uscirà il mio articolo-recensione sulla St. d. trad.2 tagliato delle parti più originali, che avranno altra sorte3. […] Affettuosamente tuo Scevola M. 3 Vd. lett. 208. 459 2191 Pesaro, 6. 4. 1953 Carissimo, ti ringrazio di avermi voluto comunicare il testo della lettera a Devoto. Ho visto il «Belfagor»2 e mi pare che da un lato la tua reazione sia spiegabile e anche giustificata, in quanto egli poteva fare a meno di rendere pubbliche osservazioni che riguardano un campo delicato, di cui si può essere intimamente gelosi (può seccare senz’altro di sentirsi dare pubblicamente dei ‘modesti’ e sentirsi dare, sempre pubblicamente, dei consigli: in fondo, uno fa quello che gli pare [sebbene tu sappia già cosa ne penso io sulla faccenda della tua partecipazione a concorsi universitari]), dall’altro non credo che nel «santo» di Devoto ci sia un riferimento religioso, e qui francamente ti darei torto. «Santo», anche se ambiguo, mi pare che volesse dire chiaramente lì non desideroso di mescolarsi in certi affari, suppergiù schivo, ‘puro’. Ripeto, capisco che son cose che seccano; ma non bisogna dimenticare che l’intenzione di Devoto era più che benevola e perciò, se fossi in tempo, ti suggerirei la massima misura nelle righe per il «Belfagor»; suggerimento però superfluo, perché non dubito che tu l’abbia già messo in pratica. Direi pressappoco: «a scanso di equivoci» o simili. Grazie per l’articolo che mi dici già consegnato. Quando e come potrò ricambiare la tua fraterna gentilezza? Un abbraccio dal tuo Scevola M. [PS. –] Effettivamente del «Philologus» non è uscito più nulla, che io sappia, dopo il 1o fasc. del ’49. Ripensando al tuo articolo3: potrà qualcuno restare in dubbio e intendere bene il tuo « a r t i s t i c o » (ad un certo punto, fra virgolette)? Si potrà dire, n o n i n t e n d e n d o t i b e n e , che una congettura può riguardare anche, appunto, un conto della spesa, dove ‘arte’ non c’è? Dire semplicemente « c r e a t i v o » ? È, come vedi, un dubbio senza importanza. Cartolina postale (che risponde evidentemente a una lettera di T. non conservata). «Belfagor», 8, 1953, pp. 172-84. Il giudizio di Devoto che suscitò il risentimento di T. a p. 183. 3 T., Delle congetture (cit. lett. 213). Per «artistico» vd. Contributi1, p. 675. 1 2 460 220 25. 5. 1953 Carissimo, il mio deprecabile ritardo, per cui si sono raccolte parecchie cose da dirti, mi fa pensare che non finirò oggi di scriverti. Prima di tutto, grazie vivissime per la bella rassegna enniana1. Grazie per avermela mandata (è uno strumento prezioso di lavoro) e più ancora grazie per avermi trattato come mi hai trattato, accentuando, com’è evidente, i pochi meriti delle mie cose e coprendo, come pure è evidente, di pudibondo silenzio le cose peggiori anche quando proprio a te risaliva il merito di avermi fatto notare privatamente la loro insostenibilità. Per quanto riguarda i tuoi lavori, io sono pienamente d’accordo con Skutsch che osservava scrivendomi la troppa modestia nei confronti dei tuoi contributi. (Egli mi dice, e certo avrà detto anche a te, che replicherà su pulvis2. Gli ho fatto notare che Ennio epico ha milĕs ed ĕs e che, tranne i composti in -c(e), è più unico che raro dopo Plauto che -ss finale sia conservato prosodicamente; che inoltre non risultano casi analoghi con temi in -s, diverso naturalmente essendo il caso di Cerēs ecc. e così via). Ti prego di indicarmi il volume e l’anno dell’«Anzeiger» donde proviene il tuo estratto. Sul barocchismo di Ann. 519 e 138 credo che tu abbia senz’altro ragione (col. 197), mentre più in dubbio sono su Ann. 35. Col. 198: speriamo che questa edizione enniana tu voglia farla: nessun altro potrebbe sostituirti in questo compito, che si fa sentire sempre più necessario. – [Col.] 199: giusta l’osservazione del ‘Fachmann’ Skutsch. – [Col.] 202: c’è qualcosa di nuovo in Bickel, «Rhein. Mus.» 94, 257 da te citato? Anche a me il punto di vista di Dahlmann (che m’interessa un po’ anche per Nevio) pare notevole (cfr. anche Runes in Festschrift Kretschmer, Wien 1926, 202 sgg.), ma non mi pare che si giunga a sicurezza assoluta. Infatti, se Varrone non avesse avuto esempi di vates = (o quasi =) ‘poeta’, sarebbe molto logico pensare che avesse frainteso così (comunque è certo che l’abbia frainteso) il verso di Ennio? Se hai voglia di ripensarci, ti prego di dirmi cosa ne pensi. Quanto a Nevio, il fatto che chiamasse sé ‘poeta’ mi pare provato non solo dal ‘Grabepigramm’ citato dal Runes, ma dal concordare con esso del famoso malum dabunt Metelli N a e v i o p o e t a e (nella stessa posizione del verso: e sono due fonti una favorevole e una contraria, di cui la prima, posteriore, avrà difficilmente imitato la seconda!) e dal fatto, che a me non risulta osservato, che spesso le 1 2 T., Der Forschungsbericht. Ennius (cit. lett. 76). Enn. ann., 282 V.2, su cui vd. lett. 102. 461 fonti antiche lo chiamavano Naevius poeta, con poeta quasi fisso soprannome (cfr. Marcius vates, dove però vates = ‘profeta’). Quanto alla questione di poeta-vates, non bisogna dimenticare che il vates-profeta è l’unico tipo di poeta di società primitive, e ciò può essere in parte in favore del Dahlmann (se non erro). – Col. 203: quale la ragione dei tuoi dubbi su Ann. 561 sg.3? – Col. 204: giustissimo il rilievo contro <cl->amidio. – Col. 206: benissimo sull’ ‘orfismo’ dell’Epicarmo. – [Col.] 206 sg.: bene le riserve su Koller. – Col. 207 sg.: notevole il tentativo di spiegazione di āgri come arcaismo. Poiché il tipo manca nel dramma, bisognerebbe pensare ad un arcaismo conservato solo nell’epica, il che troverebbe analogie nei casi (lessicali e morfologici) studiati da Fraenkel in RE s. v. Liv. Andr. – [Col.] 208: non conosco purtroppo l’articolo del Cordier 4. Pensa che io oserei addirittura non escludere l’ennianità di cere - comminuit - brum5, e certo non mi approverai. Come enniano qualcuno nell’antichità lo ha dato (cioè colui che ha aggiunto Ennius in margine di un testo grammaticale), e in favore dell’antichità e ‘artisticità’ della espressione sta l’allitterazione e l’intenzione ‘rappresentativa’ della spezzatura (cere-brum diviso come comminutum è il cervello). Nessun dubbio invece sulla falsità di Massili portabant iuvenes ad litora tanas6. – Col. 205: ora non credo più alla scansione cretica di Sc. 4237, perché non pare che nel 2o piede sia ammesso un molosso terminante con fine di parola. Se l’iato nauci | homo fosse ammissibile, forse no<e>n<u>? Mi pare che non parli della tua scansione del fr. haec anus admodum friguttit ecc.8 L’hai abbandonata? Nel 2o verso è ammissibile che non vi sia dieresi fra i due cola (sáuciá||vít)? È vero che c’è Sc. 361 (Séd me Apóllo ecc.), ma è da escludere qui la scansione del Lindsay Sed mĕ ́ Apollo íps’ deléctat ductat Delphicus (senario)? Per oggi, prima di passare ad altro, aggiungo qualche altra cosa più breve. Ho letto nel fasc. dell’«A. e R.» dedicato a Pasquali (riuscito bene, mi pare, e notevole l’articolo di La Penna) il tuo scritto sulla metrica9. Interessante la discussione dell’ipotesi fraenkeliana dell’origine greca dell’intero verso. Penserei però che il passaggio da lirico a recitativo potrebbe essere originale romano, non forse l’associazione dei due cola: è un fatto non insignificante Vd. lett. 43. Cordier, Mots mutilés et sectionnés (cit. lett. 193). 5 Ann., 609 V.2, su cui vd. lett. 41. 6 Ann., 610 V.2, su cui vd. lett. 64. 7 Vd. lett. 51. 8 Su questo dubbio fr. enniano vd. lett. 44. 9 Si tratta del fasc. s. IV, 2, 1952, pp. 210-44 contenente scritti di A. Ronconi, T. Bolelli, S. M., S. T., A. La Penna, F. Chiappelli. M. si riferisce in particolare al contributo di A. La Penna, Lo scrittore ‘stravagante’, pp. 224-36 e a quello di T., Pasquali e la metrica, pp. 220-3. 3 4 462 trovare quell’associazione nel p r i m o verso di un inno religioso molto antico. E la mancanza in esso della dieresi dopo la prima dipodia forse non dice molto, perché questa dieresi dovrebbe, anche secondo Pasquali, rispondere a sensibilità romana e non sembra trovarsi nelle forme liriche più antiche: così – se è un saturnio (come Pasquali riteneva e certo è possibile) – nel quintuplice triumpe del carm. Arv. Cazzaniga in una cartolina recente chiedeva cosa fai: ti trasmetto la... richiesta, evidentemente da intendere come saluto. Avrai visto i giudizi di letteratura nel bollettino della P. I. del 12 marzo. La notizia, che avevo avuto da Lallo Russo, che Castiglioni mi avesse votato era inesatta. F o r s e mi avrebbe votato come terzo, ma ha votato due volte (per il 1° e 2° posto) Lana. Mi ha poi scritto in tono cordiale e incoraggiante. Dell’Andronico pare che esca nel prossimo fasc. di «Maia» una recensione di Pieraccioni10; cortese una della Malcovati recentemente in «Athenaeum»11, ma le sue osservazioni metriche (ritorni al Lenchantin) non sono persuasive. 28. 5 Ed ora passo a Giulio Africano12 – con melanconia, perché su questo argomento avrei voluto possedere la capacità di dirti qualcosa di significativo e, devo dire, un po’ anche la volontà di applicarmi di più – perché indubbiamente l’argomento e lo stato spesso oscurissimo in cui è conservato il testo lo meriterebbe. E invece purtroppo, dopo aver detenuto per un tempo che non oso calcolare il tuo testo, prezioso per gl’infiniti miglioramenti, richiami ecc., e il tuo manoscritto, sono qui ora con un pugno di mosche. Perdonami di questo, e pensa che soprattutto mi ha scoraggiato il fatto che tu avevi ormai raggiunto una tale ‘esperienza’ di quel testo, come dimostrano i tuoi contributi spesso geniali (e notevoli e fini anche alcuni interventi del Grassi), che a me, che pure ho cercato di leggere tutto con attenzione, non restava più niente da fare. Solo per dimostrarti l’avvenuta lettura, accenno a uno o due punti. P. 25, 5 sg.: non sarà da conservare, intendendo τὸ … δυνάμενον come acc. assoluto (con verbo, al solito, impersonale: δυνάμενον)? Con e s t r e m o d u b b i o sospetterei un andamento piuttosto libero del costrutto a p. 11, 28 sgg. scrivendo δή (? o qualcos’altro) invece di μή a l. 29: ‘... e nulla vi è che non sia registrato (scil. ‘nelle storie’: cfr. 12, 35), come avviene, dando insegnamento (διδάσκω usato assolutamente) affinché vi siano ... ’. Cioè ‘ t u t t o è registrato ed 10 11 12 «Maia», 6, 1953, pp. 315-9. «Athenaeum», 30, 1952, pp. 236-7. Vd. lett. 218. 463 insegna ...’. Non sono poi sicurissimo che γίγνομαι vada bene (per il senso) con χωρία, mentre va bene con soggetti indicanti azione come i seguenti (καταλήψεις ecc.), ma penso che la difficoltà non sia grossa, sia per la banalizzazione dell’uso di γίγνομαι (= εἰμί) sia perché in ὑγιεινὰ ... χωρία è implicita un’idea di scelta. Se si salva come autentico tutto il contesto fino a p. 12, 33, non mi pare necessario il <γάρ> ivi del Vieillefond. Può essere una ripresa fortemente affermativa in asindeto. A parte ti rispedisco per raccomandata il libro e il manoscritto. Per quest’ultimo ti pregherei di fare quanto prima le aggiunte riguardanti il manoscritto napoletano13, perché sarebbe ormai il momento di consegnarlo a Bo. Farò di tutto, anche per farmi in parte perdonare il mio ritardo, perché la stampa sia la più sollecita possibile. Io ho quasi finito la nota su qualche variante d’autore di cui ti scrissi e che è stata stralciata dall’articolo-recensione alla St. d. trad.2 di Pasquali14. Continuo a pensare al Nevio senza ancora scrivere nulla; ma spero poi di concludere piuttosto rapidamente e, se avrai pazienza, di farti leggere. Chiudo la troppo lunga lettera con un abbraccio. (Ho visto la recensione di Albergamo in «Belfagor» al libro di tuo Padre15, giusta e simpatica anche se breve). Il tuo Scevola M. Vd. lett. 217. S. M., Probabili varianti d’autore in Ennio, Cicerone, Sinesio, «PP», 9, 1954, pp. 368-75 2 (la parte relativa a Ennio, col titolo Note enniane, 7. var. 99 sgg. V., rist. in LE , pp. 109-11; il resto in SFC, pp. 544-50). Per l’articolo-recensione vd. lett. 208. 15 «Belfagor», 8, 1953, pp. 349-51. 13 14 464 221 Pisa, 2. 6. 1953 Carissimo Mariotti, grazie prima di tutto per aver letto il testo di Giulio Africano (tanto difficile quanto inutile a capirsi, se non ci fosse implicato il Leopardi!)1. Le tue due proposte mi paiono molto buone; anche quella a p. 11, 29 (ὡς συμβαίνει διδάσκον ecc.), pur sembrando ardita, coglie molto probabilmente nel segno. O espungere διδάσκον (il cui uso assoluto mi pare un po’ strano)? Forse in tal caso andrebbe meglio anche il ἵνα δ ὴ : «e nulla vi è (nessun artifizio vi è) il cui procedimento non sia registrato scilicet ut ecc.». Su questo punto vorrei ancora sapere il tuo parere, e quindi lo lascio in sospeso. Intanto ti rispedisco il dattiloscritto, a cui ho aggiunto la tua osservazione a p. 25, 5 Vieillefond e poche cose riguardanti il manoscritto napoletano. Questo manoscritto non è altro, come ti avevo già scritto2, che un primo abbozzo del fiorentino, e non presenta perciò quasi nessun interesse; l’unica cosa notevole è che esso ha un capitoletto in più, la Ὄξους σκευασία, p. 44, 39 Vieillefond, ma si tratta di poche righe e non c’è alcun contributo al testo. Ho fatto anche un’aggiunta a p. 3 del dattiloscritto (nota 4) per segnalare il ritrovamento, da parte di Campana, dell’autografo della lettera al Cancellieri, finora nota solo attraverso una pubblicazione a stampa. Nella mia rassegna enniana (uscita nell’ «Anzeiger für Altertumswissenschaft», 5, 1952, 195 sgg.) credo fermamente di essere stato obiettivo5. Nessun «pudibondo silenzio» nei tuoi riguardi: per t u t t i (me compreso), e non per te solo, ho seguito il criterio di omettere la segnalazione di semplici sviste (nel caso tuo, poi, si sarebbe trattato di u n a s o l a svista), che sarebbe stato pura pedanteria notare. Castiglioni, al quale avevo mandato l’estratto, mi ha risposto lodando l’equanimità dei giudizi e aggiungendo: «Non mi dispiace nemmeno il rilievo dato alle ricerche del Mariotti, le cui conclusioni non mi sembrano da parecchi tenute nel giusto conto». Speriamo che al prossimo si concorso decida ad agire in conformità delle Vd. lett. 195. Vd. lett. 217. 3 T. lascia in bianco lo spazio per il numero di pagina. A proposito della lettera che Leopardi scrive all’abate Francesco Cancellieri per chiedergli la collazione di due codici vaticani dei Cesti ritrovata da A. Campana vd. «Giorn. stor. della lett. ital.», 135, 1958, p. 619. 4 T. lascia in bianco lo spazio per il numero di nota. 5 Vd. lett. precedente. 1 2 465 proprie opinioni e a votare per te! Anche Cazzaniga (che credo rispecchi le idee del suo maestro) in questi ultimi tempi mi ha più volte parlato di te con molte lodi. Su vates ecc. dovrei ripensare, ma inclino a credere che tu abbia ragione6. Certo il punto di partenza per tutta la questione è il fatto, da te accennato, che in società primitive l’unico tipo di poeta è il profeta, e quindi non si sente ancora il bisogno di un termine speciale per poeta. D’accordo senz’altro che già Nevio si sia definito poeta, e ottima l’osservazione sulla formula Naevius poeta nelle fonti antiche. L’articolo di Bickel in «Rhein. Mus.» 94, 257 farai bene a vederlo direttamente; a me parve molto sfocato, oltre che intollerabilmente prolisso; per spiegare il verso di Ennio fa ricorso a dottrine iraniche ecc. che non c’entrano per nulla, almeno direttamente. Ann. 561 sg. (Non si lingua loqui)7: acsi adesso mi dà un po’ di noia per il si precedente (Non si …) e incinctum per l’asindeto con la frase precedente e perché obbliga a spezzare l’endiadi cor pectusque, unendo il primo con incinctum e il secondo con revinctum. Sarei quasi tentato di tornare a immo etiam del Vahlen, «Hermes» 15, 265: da immoetiam (immetiam) a in metrum il passaggio è facile8. Ma ho ancora molti dubbi. Su cere comminuit brum9 guarda che l’attribuzione ad Ennio è attestata d e b o l i s s i m a m e n t e . Già nel mio 3o articolo enniano10, p. 197, citavo un caso di attribuzione del tutto cervellotica a Plauto di un verso enniano da parte dell’autore delle Explanationes in Donatum. Ora ecco altri esempi: Explan. in Don. p. 564 Keil, un fr. di Livio (cfr. Quint. inst. 8, 3, 53 e altri) è attribuito a Sallustio e confuso con un altro esempio; p. 501, 38 Terentius invece di Pacuvius; p. 542 Marius per Fabianus. L’attribuzione di cere comminuit brum ad Ennio è in sostanza puramente congetturale, ed è fatta da un grammatico di cui possiamo documentare altri errori di attribuzione cervellotiche. Tanto varrebbe allora attribuire ad Ennio anche Massili … tanas11. N o n ho rinunziato alla scansione del frammento citato da Fulgenzio12. Nessuna difficoltà quanto a sáuciá||vít: cfr. nel 3o art., p. 202 sg., gli esempi plautini tra cui ímperá||tóres e cónsolá||ri héus; e poi per es. Aesch. Coeph. 594 ἀλλ᾽ ὑπέρτολμον ἀν||δρὸς φρόνημα τίς λέγοι; ecc. Dell’eventuale Vd. ancora lett. precedente. Vd. lett. 43. 8 M. annota ciò che farà presente nella risposta: «ma cfr. 561 si … si … sint (e acsi è parola unica, cfr. quasi) e 562 incinctum … revinctum può essere asindeto come fero … indigno … acerbo [ann., 394-5 V.2, su cui vd. lett. 53]». 9 Enn. ann., 609 V.2, su cui vd. lett. 41. 10 Per la successione degli articoli enniani di T. vd. lett. 8. 11 Enn. ann., 610 V.2, su cui vd. lett. 64. 12 Vd. lett. 44. 6 7 466 difficoltà di nímīrúm| già parlammo: si tratta di una delle tante ‘leggi’ di Skutsch. Perciò andrei piano anche prima di abbandonare la tua scansione cretica di Sc. 423; hai fatto altre ricerche? Sul saturnio e su Fraenkel ripenserò. L’articolo di La Penna pare anche a me m o l t o notevole13. Il tuo contiene osservazioni interessantissime, che aspetto di vedere sviluppate nella tua nota. Leggerò con gran piacere il Nevio. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro 13 Vd. lett. precedente. 467 222 Pesaro, 8. 6. 1953 Carissimo, la tua espunzione di διδάσκω (-ον) a p. 11, 29 Vieillefond mi sembra giustissima1. Διδάσκον ha due cose contro di sé: la necessità di ammettere un duro legame con οὐδέν ὅ τι μὴ ἀνάγραπτον e la difficoltà (o almeno la stranezza) dell’uso assoluto del verbo. Forse la sua presenza si può cercar di spiegare: potrebbe essere stata l’integrazione (non felice) di uno che non capiva che ὡς συμβαίνει dipende da quanto precede: questo non deve averlo capito nemmeno il Vieillefond, che altrimenti avrebbe potuto aprire la parentesi quadra e mettere la crux d o p o ὡς συμβαίνει. In conclusione, sempre che non cambiassi idea, potresti indicare come nostro comune tentativo ... ἀνάγραπτον ὡς συμβαίνει (‘nulla vi è di cui non sia registrato il procedimento’), [διδάσκον] ἵνα δὴ (μὴ codd.) γένηται etc. Da ΙΝΑΔΗ a INAMH il passaggio pare facile. Ho scorso di nuovo il tuo articolo2, che è bellissimo, e sono molto contento che appaia negli «Studi Urbinati» per dare un po’ di lustro a questa pubblicazione, che è, per il valore, discontinua e di tono nell’insieme piuttosto basso. Se non ho visto male, hai dimenticato di modificare nel manoscritto a proposito del δυνάμενον accus. assoluto (s’intende che qui non c’è nessuna ragione di nominarmi, trattandosi di cosa piuttosto ovvia e poi di cui deve certo essersi accorto il Vieillefond, che conserva la lezione manoscritta). Se per queste due cose vuoi inviarmi il dattiloscritto delle correzioni (oppure il testo a penna), farò le aggiunte prima di consegnare a Bo, che vedrò il 1 6 prossimo a Urbino. Altrimenti puoi fare tu sulle bozze. A proposito delle quali, aggiungo che farai bene, dopo aver ricevuto le prime, a scriverci sopra che ti inviino anche le seconde (qualche volta trascurano di mandarle). La tipografia milanese comunque non è pessima. Grazie delle molte cose che mi scrivi, anche di quanto mi riferisci di Castiglioni e Cazzaniga, che si mostrano anche verso di me assai gentili3. A proposito di Ann. 561 sg.4, forse ac <si> e incinctum non sono ancora da rinunciarvi del tutto: la ripetizione del si in funzioni diverse (e la seconda volta in un nesso fissato, ac<si>) può esser voluta (nota anche si ... <si> ... sint) e per il 2o verso non mi pare indispensabile staccare cor da 1 2 3 4 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 194. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 43. 468 pectusque: incinctum ... revinctum potrebbero esser legati asindeticamente a distanza (il solito tipo fero ... indigno ... acerbo ecc.)5. Certo anche immo etiam di Vahl.1 non è brutto. Bisognerebbe forse vederne meglio l’uso in latino arcaico. Su cere-brum hai ragione6, non si può considerare la paternità enniana che d e b o l i s s i m a m e n t e attestata. Pure allitterazione e probabile fine artistico della tmesi meritano forse di essere osservate. Ma allora potrebbe essere anche un gioco di Lucilio: certo, direi, cosa arcaica, non di grammatici (?). Non avevo tenuto conto dei tuoi confronti per il verso citato da Fulgenzio7. Affettuosi saluti dal tuo Scevola M. 5 6 7 Enn. ann., 394-5 V.2, su cui vd. lett. 53. Vd. lett. 41. Vd. lett. 44. 469 223 Pisa, 10. 6. 1953 Carissimo Mariotti, mentre scrivo, sembra che la Democrazia cristiana coi suoi alleati non sia riuscita ad avere il mostruoso premio di maggioranza1. Comincerebbe in tal caso a sbloccarsi quella situazione di assoluto predominio clericale che pareva eterna. Speriamo bene. Hai ragione, mi ero dimenticato di modificare il manoscritto di Giulio Africano a proposito del δυνάμενον2. Ti prego dunque, a p. 29, nota 4 del ms., dopo le parole: «… poi è ritornato a τό» di cancellare il resto e scrivere invece: «L’espunzione di δυνάμενον (Boivin, Leopardi) renderebbe più regolare il costrutto; e il δυνάμενον che c’è poco sotto, alla linea 7, potrebbe aver causato la dittografia. Ma, come mi fa osservare Scevola Mariotti e come del resto avrà inteso lo stesso Vieillefond, τὸ τρωθῆναι καὶ ἀράττεσθαι δυνάμενον può essere un accusativo assoluto (δυνάμενον = ἐξόν)». – E a p. 18 n. 1, dopo «impossibile», scriverei: «Vedi la nota seguente», e rifarei la nota 2 così: «Probabilmente tutto il passo sarà da leggere così: (l. 28) καὶ οὐδὲν ὅ τι μὴ ἀνάγραπτον ὡς συμβαίνει, [διδάσκον] ἵνα δὴ (μὴ codd.) γένηται ὑγιεινὰ ecc.: ‘e nulla vi è di cui non sia registrato (s’intende, nelle storie, cfr. l. 35, o nei libri di strategìa) il procedimento, allo scopo di ecc.’. Del Mariotti è la spiegazione di ὡς συμβαίνει (L ha συμβαίνη) e la correzione di μὴ in δή (preferibile all’espunzione di μή proposta dal Leopardi, la quale tuttavia rispondeva alla stessa esigenza); mia l’espunzione di διδάσκον, inserito probabilmente da uno che non capì la dipendenza di ὡς συμβαίνει da ciò che precede. È poi arbitrario espungere, come fa il Vieillefond, tutto il passo fino a διαρκής (l. 33)». Scusami della seccatura che ti do con queste aggiunte. Il tuo accostamento di Ann. 562 (incinctum … revinctum / cor pectusque) al tipo fero … indigno … acerbo / contudit … confecit 3, è impeccabile; sarebbe dovuto venire in mente anche a me. Inclino di nuovo a credere che la tua congettura possa cogliere nel segno. Vedrò un po’ l’uso di immo etiam. A titolo di cronaca, sappi che Russo si è rifiutato di pubblicarmi la replica (brevissima e rispettosa) a quella stupidissima frase di Devoto. Ho risposto Si tratta della cosiddetta «legge truffa» del 1953 (premio di maggioranza), che non diede i risultati sperati dal governo e che venne abrogata l’anno successivo. 2 Si riferisce all’osservazione fatta da M. nella lett. precedente. 3 Enn. ann., 394-5 V.2, su cui vd. lett. 43. 1 470 per le rime anche a lui, e gli ho preannunciato il mio disabbonamento da «Belfagor». Con affettuosi saluti e ringraziamenti, il tuo Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Ho ricevuto un estratto di Marcello Zicàri, pesarese, contro Della Corte a proposito della tradizione di Catullo4. Mi pare buono. È un tuo amico? Ho saputo da Bartoletti che tuo fratello si è laureato molto bene. Rallegramenti. Pubblicherà qualcosa su Lucilio? 4 Zicàri, A proposito di un altro Catullo (cit. lett. 189). 471 2241 [Pesaro], 24. 6. 19532 Carissimo, consegnai subito a Bo il tuo articolo, che uscirà con molto piacere di tutti nel prossimo fascicolo3. Gli «St. Urb.» hanno bisogno di qualcosa di eccezionale, ogni tanto, per attirare un po’ d’interesse. Ho detto a Bo che ti facesse fare 50 estratti, ma glielo ricorderò ancora. Ho fatto le due aggiunte, togliendo da una il mio nome (a proposito dell’acc. assoluto), che ti prego n e l l a m a n i e r a p i ù r e c i s a di non rimettere perché si tratta di cosa di ordinaria amministrazione: scambiarsi piccoli rilievi di questo genere è perfettamente normale, ed io, se ti avessi citato tutte le volte che ho approfittato di tuoi rilievi analoghi, avrei dovuto farlo quasi a ogni pagina di quello che pubblico. Inoltre, non vedo che merito ‘scientifico’ possa essere essersi accorti di una cosa che, se le apparenze non ingannano, era stata già vista dall’editore. Solo ti suggerirei di riguardare nelle bozze quel passo, perché non saprei se il richiamo ad ἐξόν possa essere fatto con un segno di =: tra ἐξόν e δυνάμενον mi pare che ci sia differenza, ma non ricordo il luogo di Giulio Africano. Per gli acc. assoluti ricordo di aver visto una buona raccolta di esempi nello Schwyzer II4. Mi dispiace che Russo non abbia pubblicato la tua replica e non so perché l’abbia fatto; tuttavia penserei che sia stato meglio così in pratica, perché certe volte è preferibile tacere: in fondo il tuo silenzio di fronte al famigerato «santo»5 non significa mica che lo approvi! Potresti averlo tollerato in considerazione della tutt’altro che malevola disposizione di Devoto. Zicàri è un insegnante privato circa cinquantenne di qui, che ha avuto vita avventurosa (in Africa ecc.), sa molte lingue, legge molto. Non ha mai avuto veri maestri e lavora un po’ tumultuariamente, ma è aperto e intelligente. Di Italo ti dirò che prepara una recensione per «At. e Roma»6 e lavora a ridurre ad articolo (per gli «St. Urbinati») la parte della sua tesi Cartolina postale. La città si ricava dal timbro postale. 3 Vd. lett. 194. 4 E. Schwyzer, Griechische Grammatik, II, München 1950. 5 Vd. lett. 219. 6 I. Mariotti, rec. a A.R. Hakamies, Études sur l’origine de l’évolution du diminutif latin et sa survie dans les langues romanes, Helsinki 1951, apparsa in «A&R», s. IV, 3, 1953, pp. 137-41 (= Id., Scritti minori, Bologna 2006, pp. 479-83). 1 2 472 riguardante i grecismi7. Ha fatto una o due buone congetture. In Lucil. 680 M. legge (bene, direi) flaccam per flaticam. […] Affettuosamente tuo Scevola M. I. Mariotti, I grecismi di Lucilio, «StudUrb(B)», 28, 1954, pp. 357 sgg. (confluito in Id., Studi luciliani, Firenze 1960; 19692). 7 473 2251 Pesaro, 31. 7. 1953 Carissimo Timpanaro, avevo visto la recensione di Drexler2, e mi fa piacere che anche tu l’abbia trovata debole. Ad una replica diretta mi sembra che non si presti, anche per la genericità a cui tu accenni. Penserei di fare cenno alle recensioni all’Andronico nella prefazione al Nevio3 e accennare qui anche a Drexler come al rappresentante della corrente più retriva nei confronti della letteratura arcaica. In fondo lui non ammette neppure la ‘traduzione artistica’ (di cui non ho parlato io per primo per Andronico, ma Leo!), se ha bisogno di presupporre un pubblico ignorante per l’Odusia e dice che Fabio Pittore poteva leggere l’Odissea in greco. Forse per gl’ignoranti di greco aveva tradotto Catullo la Chioma o Cicerone gli Aratea? E chissà poi perché altri dopo Cicerone, sempre in grazia di un pubblico di ignoranti, sarebbero entrati in gara con Cicerone per ritradurre Arato! Né capisco come Drexler possa dire che ho frainteso la sostenutezza di Fraenkel di fronte all’attestazione di Svetonio: a me pare piuttosto che lui abbia frainteso la fiducia che ho io in quell’attestazione che Svetonio riferisce e su cui poco importa quale fosse il parere di Svetonio stesso: tutto dimostra che quell’attestazione (su Andronico ed Ennio insieme) era giusta, perché tutto quello che vediamo sempre più chiaramente su Andronico ed Ennio è in accordo con essa. Mi dici che Skutsch sta recensendo le Lezioni su Ennio: io sapevo che recensirà l’Andronico per la «Class. Rev.»: forse il tuo è un lapsus o ha cambiato idea4? Mi chiedi di Puelma5. È stato in villeggiatura a Gabicce, vicino a Pesaro, e mi è venuto a trovare; gli ho poi ricambiato la visita a Gabicce e siamo andati, insieme con Gallavotti (presidente alla maturità a Fano-Urbino), a Urbino. È cileno di madre cecoslovacca (Piwonka), ha studiato per un decennio a Monaco e insegna ora a Friburgo in Svizzera dove sta per diventare di ruolo. È simpatico e dotto, polemizza con piacere e liberamente. Ha suppergiù la nostra età. È stato ed è in rapporto con Wehrli, da cui evidentemente ha ereditato l’interesse per la retorica e l’estetica antiche. Risponde a una lettera di T. non conservata. «Gnomon», 25, 1953, p. 281 sgg. 3 Vd. BP, pp. 5-6. 4 L’Andronico fu recensito da O. Skutsch in «CR», n.s., 4, 1954, pp. 252-4, le Lezioni su Ennio nelle pagine immediatamente seguenti (256-7). 5 Vd. lett. 215 e 216. 1 2 474 Conosceva bene il tuo lavoro nell’«Anzeiger»6 e abbiamo parlato parecchio di te. Ora sembra accettare la tesi del ‘callimachismo’ di Ennio, ma non crede allo spirito fondamentalmente ‘satirico’ di lui (il che può essere anche giusto) e vorrebbe riportare la varietas degli Annali agli Αἴτια piuttosto che (sia pure indirettamente) alle Satire e di qui ai Giambi callimachei. (Un particolare: mi ha fatto venire in mente di collegare in qualche modo Enn. Ann. 374 sg. (da una chiusa) a Call. fr. 1, 31 sgg. Pfeiffer (motivo della vecchiaia e di Encelado, nel prologo); ma il tono è chiaramente diverso; tuttavia f o r s e l’idea, come quella del sogno, può esser venuta di là). Scusa la fretta. Passo questa mia all’amico Gallavotti, che vuole aggiungere qualcosa7. Abbiamo fatto vari e piacevoli conversari filologici anche sullo spurcum additamentum di Apuleio8, su cui ho un po’ riflettuto, forse con qualche risultato positivo, in questi giorni, dopo aver letto Billanovich, I primi umanisti e la tradizione dei classici latini, Friburgo 1953 (interessante). Te ne riscriverò. Affettuosi saluti. Scevola M. Vd. lett. 76. Nel margine superiore della prima pagina, di mano di Gallavotti: «Caro Timpanaro, aggiungo il mio cordiale saluto, nella speranza d’incontrare anche lei qualche volta. Qui le vigiliae Pisaurenses con Mariotti sono state molto simpatiche e fruttuose. Le scriverò circa il suo articolo metrico negli «Annali»: intanto può mandarmene un estratto per conservarlo? Cordialità CGallavotti». 8 Sull’argomento M. scriverà più tardi un articolo (Lo ‘spurcum additamentum’ ad Apul. met. 10, 21, «SIFC», n.s., 27-28, 1956 (in memoria di G. Pasquali), pp. 229-50, rist. in SMU, pp. 47-69 = SMU 2 = SMU 3, pp. 61-83). 6 7 475 226 Pisa, 6. 8. 1953 Carissimo Mariotti, siamo perfettamente d’accordo su Drexler1; mi par buona l’idea di replicargli nel Nevio. Giorni fa ho corretto le bozze di quell’articoletto sulle congetture per l’«Atene e Roma»2. Skutsch recensirà sia l’Andronico, sia le Lezioni su Ennio (non so se tutt’e due nella «Class. Rev.» o no)3. Anzi, una quindicina di giorni fa mi ha mandato in visione il dattiloscritto delle due recensioni, pregandomi di restituirglielo al più presto. Siccome in quel periodo ero sovraccarico di lavoro (sto facendo un lavoraccio di revisione di una traduzione per la Nuova Italia), ho dovuto rinunziare a copiarle e a mandartene la copia, come avrei desiderato. Ti dico ad ogni modo che la recensione alle Lezioni è di intonazione assai favorevole. Soltanto sul iv capitolo fa delle riserve, causate, credo, da scarsa preparazione metodologica, per cui non ha ben capito il tuo punto di vista. Gli ho scritto che credo che abbia ragione tu. Quanto ai punti particolari, ti dà esplicitamente ragione quanto alla scansione di caeli cortina4, dissente (ma senza entrare in particolari) sulla scansione di illic est nugator … e di mi ausculta, nate …5; considera incerta la questione delle Muse nel proemio; approva la tua opinione su poemata nostra cluebunt 6; disapprova la tua congettura maiorem etiam, arbitro, ahenis 7 perché implica tre elisioni (argomento evidentemente debolissimo). Approva la tua negazione di una esatta ripartizione in esadi o triadi ecc. dei libri degli Annali. Su molte altre questioni (per es. fero sic contudit …8, il proemio del lib. VII ecc. ecc.) non si pronuncia. Meno favorevole è la recensione all’Andronico. Lo Skutsch nega il carattere antimachèo dell’Odyssia (sostenendo, in sostanza, che non ci sono prove sufficienti; e qui forse anch’io gli darei ragione), ma nega anche (e qui ha certamente torto) l’importanza di Andronico come ‘traduttore artistico’. Loda molto, però, i contributi particolari (dimostrazione che l’Odys- 1 2 3 4 5 6 7 8 Vd. lett. precedente. T., Delle congetture (cit. lett. 213). Vd. lett. precedente Enn. ann., 9 V.2. Vd. lett. 38. Rispettivamente Enn. inc., 423 e scaen., 291 V.2 (sul secondo frammento vd. lett. 43). Enn. ann., 3-4 V.2, su cui vd. lett. 15. Enn. ann., 567 V.2, su cui vd. lett. 62. Enn. ann., 394-5 V.2, su cui vd. lett. 53. 476 sia non era divisa in libri; aut ubi <sum> ommentans9 ecc.) e specialmente l’edizione dei frammenti; conclude che nonostante l’inaccettabilità della tesi generale, il libro è indispensabile a chi d’ora innanzi vorrà occuparsi di Livio Andronico. Mi pare di averti riferito tutto l’essenziale (entrambe le recensioni sono piuttosto brevi), ma eventualmente interrogami su altri punti e cercherò di ricordarmi. Grazie delle notizie su Puelma. Mi compiaccio dei cordiali colloqui con Gallavotti10. Mi chiede un estratto dell’articolo metrico antiperrottiano11; ma qual è il suo indirizzo? Se vedi Zicàri, digli, per favore, che mi scusi se non ho ancora risposto alla sua cartolina (in cui mi faceva un’osservazione a proposito di un passo di Marziale). Gli risponderò quanto prima. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Scusa la pessima grafia! Carm., fr. 8 Mor. = 4 Mar.1 = 2 Mar.2, su cui vd. lett. 91. Vd. lett. precedente. 11 T., Questioni di metrica greca (cit. lett. 169). 9 10 477 2271 [Pesaro], 8. 8. 19532 Carissimo Timpanaro, molte grazie per quello che mi riferisci sulle recensioni di Skutsch3, che me ne dà un’idea ampiamente sufficiente. Quanto alla tesi antimachea, che essa non sia del tutto dimostrata è senz’altro vero, né io ho parlato di diretta e immediata dipendenza, ma piuttosto di accordo sostanziale di atteggiamenti artistici nel campo dell’epica. Se Antimaco aveva dato un indirizzo seguito da tutto l’alessandrinismo, se era famosissimo presso gli antichi (è il 2o in un canone epico dopo Omero) ed anche, più tardi, in Roma era citato p. es. da Catullo come rappresentante di un indirizzo poetico, richiamarsi a lui per dimostrare l’alessandrinismo di Andronico (e un certo tipo di alessandrinismo) non mi pare ancora ingiustificato – anche se certo ora mi esprimerei più cautamente. Ma nota che di imitazione diretta di Antimaco non ho parlato; ma credo che, attraverso le scuole di retorica, forse attraverso Apollonio, ecc., il suo insegnamento abbia avuto un valore (sostanzialmente) determinante nei confronti dell’epica latina. […] Affettuosi saluti e grazie dal tuo Scevola M. PS. ‒ L’indirizzo di Gallavotti è: via I. Giorgi, 16 Roma. Ho sentito dire di tue affermazioni agli scritti dei concorsi recenti: rallegramenti non a te, ma ai giudici. Russo mi ha scritto di una tua traduzione di Norden (con complementi bibliografici di Fuchs), che sarà utilissima4. Io sto preparandomi al matrimonio, che sarà fra circa un mese; ma lavoro anche un po’. Di Apuleio ti scriverò. Cartolina postale. La città si ricava dal timbro postale. 3 Vd. lett. precedente. 4 In realtà La Letteratura romana di Norden fu tradotta da Fausto Codino (Roma-Bari, Laterza, 1958), mentre T. ne scriverà la premessa alla seconda edizione (1984); vd. anche lett. 606. 1 2 478 2281 16. 8. 1953 Carissimo, […] sono d’accordo che non si debba correre troppo sull’alessandrinismo di Andronico, o almeno sui suoi rapporti con Antimaco. Ti farò naturalmente leggere il Nevio prima della pubblicazione e sarà una buona occasione per ritornare sulla questione. Grazie dei tuoi rallegramenti per il mio matrimonio. Esso è previsto per il 12 settembre. Io e la mia fidanzata2 (che ti conosce già molto bene attraverso i miei frequenti discorsi e sa quanto mi è cara la tua amicizia) saremmo felicissimi se tu volessi essere fra i pochi presenti alla molto semplice cerimonia, che si svolgerà vicino a Pesaro. Non so se questo sia possibile: temo che sia per te un sacrificio troppo grosso, specie per il viaggio non breve, e ti prego quindi di rispondermi con tutta libertà. Ma se venissi, ti ripeto, ne sarei felice – e ti pregherei di farmi da testimonio. Un affettuoso saluto dal tuo Scevola M. 1 2 Cartolina postale. Risponde a una lettera non conservata di T. Antonietta Gaudiano, detta famigliarmente Tota (1924-2013). 479 229 Pisa, 23. 8. <1953>1 Carissimo Mariotti, ti ringrazio moltissimo per la tua lettera. […] Sono intanto contentissimo di venirti a trovare per un paio di giorni. Andrebbe bene per te se io venissi lunedì 31 agosto? Ho dato un’occhiata agli orari e mi sembra che il meglio sia che arrivi a Pesaro alle 13,58 (dopo aver mangiato durante il viaggio). Non occorre affatto che tu mi venga a prendere alla stazione. Piuttosto, ti sono grato se mi fissi una camera in un albergo. Se preferisci, invece del 31 posso venire uno dei giorni successivi, purché prima del 4 (il 5 infatti ho la riunione preliminare degli esami di riparazione). Quanto al regalo (che non considero, in questo caso, come una formalità), va benissimo il libro filologico, e ti prego di indicarmelo tu stesso. Io avrei pensato, se non l’hai già, al Callimaco di Pfeiffer, di cui è uscito recentemente il 2o volume. Ma se preferisci qualcos’altro, non hai che da dirmelo, ripeto, senza fare nessun complimento. In attesa di conferma, ti invio i più affettuosi saluti, e ti prego di salutare cordialmente la tua fidanzata2. Il tuo Sebastiano Timpanaro PS. ‒ Skutsch mi ha risposto (a proposito della sua obiezione alla tua restituzione di Huic statuam statui …)3 che in Ennio non c’è nessun altro esametro con 3 elisioni. Sarà vero? Non ho ora il tempo di verificare. Mi viene solo negli Hedup.4 Mures sunt Aeni a͜ spera<que>͜ ostrea plurima͜ Abydi, ma bisognerà leggere col Lindsay e altri Aení | aspra óstrea (o addirittura Aeni͜ áspera | óstrea?) e allora le elisioni sono due. Ma possibile che non ci sia nessun altro caso? L’anno è facilmente ricavabile dal contenuto. La lettera segue uno scambio di missive tra T. e M. non pervenute. 2 Vd. lett. precedente. 3 Enn. ann., 567 V.2, su cui vd. lett. 62. 4 Enn. var., 35 V.2. 1 480 2301 Pesaro, 27. 8. 1953 Carissimo, torno stamane a Pesaro, dove ti attendo con grandissimo piacere per lunedì prossimo alle 13,58. Sarò naturalmente alla stazione, e ti prego molto di ritardare il pranzo fino a quell’ora. Ti chiedo scusa fin d’ora se l’ospitalità che potrò darti sarà modesta. Spero che ciò non ti impedirà di restare qui il più a lungo possibile, secondo il desiderio mio e dei miei. Quanto al dono che vuoi farmi, ti dirò che possiedo già il Callimaco di Pfeiffer, e (poiché ne so bene il costo) non voglio assolutamente un’opera di quel valore. Non ho avuto il tempo di vedere altri esempi di elisioni in Ennio, ma non mi sembra proibitiva la presenza di tre elisioni. Al peggio si potrebbe ripiegare sulla mia prima proposta maiorĕm | ŭt arbitro (tu avevi poi pensato a maiorem ut <ego> arbitro)2, che tuttavia mi sembra sempre inferiore. La mia fidanzata3 ti ricambia i saluti. Con affetto, attendendoti, tuo Scevola M. 1 2 3 Cartolina postale. Enn. ann., 567 V.2, su cui vd. lett. 62. Vd. lett. 228. 481 2311 Pesaro, 5. 9. 1953 Carissimo, non era il caso che tu ringraziassi. Debbo farlo piuttosto io, per la tua venuta, per le piacevoli e per me fruttuosissime conversazioni, per la simpatica e cara compagnia che mi hai tenuto in quei pochi giorni. E ringrazia, anche a nome dei miei, la tua gentile Mamma per le buone parole. Ora spero che, passato per me questo periodo eccezionale, torneremo ai nostri scambi epistolari ravvivati più spesso da incontri. Non ho ricevuto l’estratto di Skutsch2, e spero che si ricordi di mandarmelo. (Una cosa ovvia: hac noctu è in fondo un’altra conferma di qua ... noctu (Ann. 164), da unire malgrado il Vahlen). Cordiali saluti agli amici ‒ Perosa, di cui gradirò molto la venuta a Urbino, La Penna, Grassi... Ossequi alla tua Mamma e a te un affettuoso abbraccio dal tuo Scevola 1 2 Risponde a una lettera non conservata di T. O. Skutsch, Noctu, «Glotta», 32, 1952-53, pp. 307-10. 482 2321 Pesaro, 18. 10. 1953 Carissimo, grazie della tua, e non ti preoccupare né del Bailey2, del quale fin d’ora ti ringrazio molto e che sarà graditissimo in qualunque momento giunga, né dell’Aegritudo Perdicae: sebbene per quest’ultima io sia d’accordo con te che conviene ormai concludere, per evitare un nuovo rinvio pluriennale, non c’è naturalmente alcuna urgenza! Da Skutsch non ebbi l’estratto, a cui mi accennasti, su hac noctu3. Al solito, se ti capitasse di scrivergli, ti prego di accennargli che lo mandi anche a me. E dovrei chiederti anche un altro favore, questa volta per mio fratello. Il quale avrebbe molto desiderio di fare il perfezionamento a Pisa, ma desidererebbe prima, se possibile, un tuo ‘sondaggio’ nell’ambiente per sapere se vi sono effettive probabilità. Presenterebbe, oltre la noterella su Sallustio e Cicerone negli «Studi» (una pagina!)4, anche, dattiloscritta, la tesi luciliana e una recensione a Hakamies (studio sui diminutivi) in pubblicazione in «At. e Roma»5. In questa recensione c’è una statistica sui diminutivi in tragedie, commedie ecc. arcaiche che estende con evidenza all’età arcaica la differenza di atteggiamento verso i diminutivi nota per l’età classica. Sono, direi, deciso di presentare le pubblicazioni per le libere docenze di latino e filologia classica e quindi di parteciparvi. Credo che ormai della mia partecipazione si sia saputo. Hai sentito dir niente? Che ne è del tuo Leopardi? E della Nuova Italia? Forse ti conviene tenere anche la scuola fino almeno a natale? Un affettuoso saluto dal tuo Scevola M. Risponde a una lettera non conservata di T. Si tratta del commento a Lucrezio (Oxford 1947), dono di nozze in luogo del Callimaco di Pfeiffer già posseduto da M. (vd. lett. 229 e 230). 3 Vd. lett. precedente. 4 I. Mariotti, Un passo di Sallustio falsamente attribuito a Cicerone, «SIFC», n.s., 22, 1947 [ma 1948], p. 257 (= Id., Scritti minori [cit. lett. 224], p. 49). 5 «A&R», s. IV, 3, 1953, pp. 137-41 (= Id., Scritti minori [cit. lett. 224], pp. 479-83). 1 2 483 2331 <ottobre 1953>2 … Non avevo sentito parlare da nessuno della tua partecipazione alle libere docenze. Credo che tu faccia benissimo: dal momento che questi professori considerano la libera docenza quasi come un passaggio obbligato per la cattedra universitaria, fai bene a togliere questo pretesto di cavillare in un futuro concorso! Chi sono i giudici? Ti mando l’art. di Skutsch3 su noctu. Non ho nessuna fretta di riaverlo. A mio parere, è del tutto sbagliato. Con ragionamenti simili si potrebbe benissimo sostenere la tesi opposta a quella di Skutsch! Per me, tra nocte e noctu c’è solo una differenza di livello stilistico: noctu è sentito come arcaico ed aulico (per questo Plauto lo usa soprattutto nell’Amphitruo che è una παρατραγῳδία), nocte è ‘Umgangssprache’. Nient’altro. Ho scritto ciò a Skutsch, che non mi ha risposto. Appena avrò occasione di riscrivergli, gli dirò che mandi anche a te l’estratto. In questi giorni sto studiando affrettatamente un po’ d’italiano, di storia e – ahimè – di geografia per il concorso dell’Avviamento, che avrò a metà di novembre. S u b i t o d o p o concluderemo assolutamente con l’Aegritudo Perdicae. Dimenticavo di ringraziare di tutto cuore te e la signora per i confetti. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano T. [PS. ‒] Dimmi se Italo ha bisogno di altre informazioni4. Lettera pervenuta incompleta. M. ha scritto sul marg. sup. del foglio: «per Skutsch, art. su noctu». 2 Trattandosi di un’evidente risposta alla lett. 232 deve datarsi all’ottobre del 1953. 3 Vd. lett. precedente e 231. 4 Vd. lett. precedente. Le informazioni richieste erano evidentemente nella parte perduta della lettera. 1 484 2341 Pesaro, 29. 11. 1953 Carissimo, non preoccuparti per il Bailey2! In primo luogo io non ne ho alcun bisogno immediato; in secondo luogo tu hai già fatto t r o p p o per procurarlo al più presto, e, se questa volta non lo mandano, ti prego proprio di rinunciare all’idea e, a l m a s s i m o , di sostituirlo con un libro italiano. Molti rallegramenti per il successo nel primo concorso, a cui altri successi seguiranno. Sono lieto che ti trovi bene alla Nuova Italia. La nostra casa in Urbino è quasi a posto, ma ora ci diviene un po’ più difficile trasferirci là stabilmente perché mia moglie ha avuto una supplenza a Pesaro alle Magistrali. Tuttavia ho già portato lassù i libri e almeno per buona parte dell’anno vi risiederò. Ora preparo la parte centrale del libro neviano come saggio da pubblicare nella Festschrift Funaioli3. Bo mi ha detto che il tuo articolo leopardiano è già composto4. Per il concorso di Italo alla Normale ho già scritto a Ronconi. Saluti affettuosi dal tuo Scevola Cartolina postale. Risponde a una lettera di T. non conservata. Vd. lett. 232. 3 S. M., La struttura del ‘Bellum Poenicum’ di Nevio, in Studi in onore di Gino Funaioli, Roma 1955, pp. 221-38 (saggio in parte rifuso nei capp. I e II di BP). 4 Vd. lett. 194. 1 2 485 2351 Pesaro, 18. 12. 1953 Carissimo Timpanaro, ti sono (e con me i miei) molto grato per le cortesie usate ad Italo. Un anno di Pisa, soprattutto la vicinanza tua e di Fraenkel gli saranno molto utili. Ti ringrazio anche per la notevole osservazione di Fraenkel a proposito di quomodo nel frammento neviano2. A me essa non pare, per ora, definitiva contro il riferimento al tempio di Agrigento, riferimento che, anche se certo non è sicuro, pare a me molto suggestivo. In astratto, l’osservazione su quomodo è acuta; ma, se si accetta la probabilità del tempio di Agrigento, basta pensare nel verso seguente ai tre tramandati, p. es., un <poenas Iovi solverunt>. Cosa te ne pare? Se ti capitasse di riparlarne con Fraenkel, potresti chiedergli, se te ne paresse il caso, se ha piacere che la sua osservazione sia resa pubblica, il che farei naturalmente volentieri. Italo torna oggi a Pisa e ti porterà i miei saluti, che ti faccio anche qui affettuosamente, uniti ai migliori auguri anche per tua Madre. Con affetto tuo Scevola 1 2 Cartolina postale. Risponde a una lettera di T. non conservata. Carm. fr. 19 Mor. = 12 Mar. 486 236 Pesaro, 4. 2. 1954 Carissimo, chissà se Italo è riuscito a impetrare il tuo perdono per il ritardo nel ringraziarti del magnifico Bailey1? È un prezioso strumento di lavoro: mi è capitato già di citarlo nei due ‘capitoli’ neviani che ho finalmente spedito a Paratore per la Miscellanea Funaioli2. Appunto la loro abbastanza faticosa e affrettata compilazione è stata causa di questo ritardo. Dovrebbero rappresentare un testo quasi definitivo di una parte del libretto, e perciò ti prego molto fin d’ora di darmi il tuo giudizio sulle questioni ivi trattate quando te lo manderò, il che spero sia presto. E ancora grazie per la tua nota Sulle congetture3, di cui so bene lo scopo precipuo: l’ho riletta ora insieme con quella leopardiana4 di cui conoscevo il contenuto, e che è riuscitissima. Interessante anche in questo numero dell’«At. e Roma», il rinvio di La Penna a Censorino per natalis primus, che scarta definitivamente l’identificazione (del resto già abbastanza improbabile) di Ligdamo col fratello di Ovidio5. Ora sto stendendo una seconda puntata di Adversaria philologa per la Miscellanea Paoli 6 (il destino vuole che adesso lavori per miscellanee). Ci metto la correzione, che già conosci, per loca agrestia c < u m > trepidante gradu nititur a Pacuvio7 e οἴμαῖς per ὁρμαῖς a Sinesio8; inoltre due cosette enniane che già ben conosci: Ann. 1669 interpunto e integrato circa così <sese> | inicit inritatus, tenet: occasus iuvat res | <Romanorum> (o <nostras> Timp.) [un confronto formale forse non del tutto inutile mi pare Verg. Aen. 9, 723 qui c a s u s ag a t r e s , venutomi in mente per caso; appena la neve mi permetterà di ritornare a Urbino, vedrò nel Thes. se ci può essere altro del genere e cercherò qualcosa anche per inicio]; e Ann. 546 fortis Romani <stant> (cf. Sc. 301) quamquam caelus profundus | <imbre 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Vd. lett. 232 e 234. Vd. lett. 234. T., Delle congetture (cit. lett. 213). S. T., Il Leopardi e la pronuncia del greco, «A&R», s. IV, 3, 1953, pp. 100-4. A. La Penna, Ancora su Ligdamo e Ovidio, «A&R», s. IV, 3, 1953, pp. 105-10. Adversaria philologa II (cit. lett. 58). Pacvv. trag., 272 R.3. Syn. hymn., 9, 120-1 Terzaghi. Vd. lett. 99. 487 opplet terras o -am>10. Se tu avessi novità nella tua posizione a proposito di questi frammenti, ti prego di dirmele. Mi sono deciso a mettere intanto qui queste due note enniane perché, come ti dissi a voce, un articolo-raccolta di congetture enniane, non so perché, mi ripugna un po’, anche se certo sarebbe stata la cosa più raccomandabile. Se Fraenkel (e Perosa) si decidessero a venire in Urbino andando a Sarsina, conto s e n z ’ a l t r o che tu li accompagni. Ronconi dice che Messina ha chiesto il bando del concorso, evidentemente per Mazzarino. Ancora grazie affettuose di tutto e un abbraccio dal tuo Scevola 10 Vd. lett. 58. 488 2371 Pisa, 8. 4. 1954 Carissimo Mariotti, l’indirizzo della famosa Vielliard è: M.lle Jeanne V., 87 rue Vieille du Temple, Paris III. Quel volume del Goetz a cui alludeva il Fraenkel dev’essere De glossariorum Latinorum origine et fatis, Lipsiae 1923, che figura come vol. I del Corpus Gloss. Lat.2, benché uscito più tardi. Qui all’Universitaria c’è: l’ho un po’ guardato, ma non sono riuscito a trovare nulla quanto a quel codice Parigino. La ricerca non è facile, perché non c’è un indice dei codici, ma solo un indice lessicale, in cui pyga (piga, puga) non risulta3. Ad ogni modo nel Corpus Gloss. Lat. non deve esserci nulla del genere, perché l’Index graeco-latinus del medesimo, compilato da Heraeus (= Corpus Gloss. Lat., VII 2)4, alla voce πυγή ha soltanto: anus, culus, natica, natis. Quanto a genius = mentula, invece, come forse avrai visto, il C.Gl.L. dà qualcosa: IV 588, 32 Genium genitale naturale [?] numen virgo [?] seu vigor ; 346, 39 e 604, 7 Genium vigor potentia; IV 241, 21 Genium virgo seu vigor. Non capisco quel virgo che compare nella 1a e nella 3a delle glosse citate. Avevo pensato un momento se non fosse virga; ma pare dal Du Cange che virga = mentula sia raro. Ora vedrò Uguccione. Quanto a excreverat, vedo nel Thes. che excrescere nel senso di ‘erigersi’ non c’è; ripensandoci, hai forse ragione tu di intenderlo da excerno. Ho rivisto Fraenkel che si è rimesso, sebbene sia ancora un po’ raffreddato. Mi ha detto che ha scritto a Latte cercando di svincolarsi per gli Opuscula del Leo5. È stato contentissimo della tua lettera. Ci vediamo dunque a Firenze? Io sono nel pomeriggio alla Nuova Italia, piazza Indipendenza 29, tel. 483.207 o 483.208. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Continua uno scambio epistolare tra T. e M. non conservato. Corpus glossariorum Latinorum, a G. Loewe incohatum …, composuit, recensuit, edidit G. Goetz, 7 voll., Lipsiae 1888-1923. Il primo volume fu l’ultimo a essere pubblicato. 3 Vd. lett. 244-5, 247, 248. 4 Uscito nel 1903. 5 Si tratta di F. Leo, Ausgewählte kleine Schriften, hrsg. u. eingel. von E. Fraenkel, 2 voll., apparso a Roma nel 1960 per le Edizioni di Storia e Letteratura. Vd. lett. 245, 322-3, 333-4. 1 2 489 2381 Pesaro, 27. 4. 1954 Carissimo, certo anche La Penna avrà ricevuto un telegramma-circolare ministeriale: la commissione si riunisce il 30 e convocherà poi telegraficamente. Quando lo vedi ringrazialo ancora per me del Properzio2 di cui ho letto buona parte imparandoci molte cose. Purtroppo la «Class. Rev.» non c’è ancora a Urbino, ma la farò prendere. Se ci sono novità notevoli su Unus surum ...3, ti prego di accennarmelo; e ti ringrazio delle comunicazioni tutte interessanti (in particolare l’errata osservazione di …4). Così grazie fin d’ora per Uguccione, che non sapevo inedito5. Ma fa’ pure con tutto comodo e se questo non ti disturba troppo. Rivedendo l’Appendix di Giomini6, l’impressione negativa non fa che confermarsi. Basta arrivare al v. 27 del Culex per trovare, in questo nemico delle congetture, un emistichio integrato nel testo senza parentesi, e sarebbe poco, ma con iūga!! E anche il quadro della tradizione non appare affatto chiaro, direi non soltanto per colpa della tradizione. E l’apparato è scomodissimo, riporta le varianti più sciocche. Hai avuto da Della Corte l’estratto menippeo7 in cui fra l’altro ribadisce la sua interpretazione di Manius mane ecc.? Continua ad avere il torto, anche dopo il tuo articolo8, di non vedere l’impossibilità di separare rostrum da in rostra adfert. Il suo argomento contro il tuo <conductum> non è forte, ma tu sai che io la penso un po’ diversamente da te e forse prima o poi mettrò in qualche raccolta di noterelle il mio tentativo, discutendo di nuovo il punto di vista di Della Corte. Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola M. Cartolina postale. Continua uno scambio epistolare di M. e T. non conservato. A. La Penna, Properzio. Saggio critico seguito da due ricerche filologiche, Firenze 1951. 3 Enn. ann., 525 V.2, su cui vd. lett. 99. 4 Parola cancellata e riscritta, illeggibile anche per sovrapposizione di una lettera della riga sottostante. 5 La prima edizione critica di Uguccione è recente: Uguccione da Pisa, Edizione critica princeps a cura di E. Cecchini e di G. Arbizzoni, S. Lanciotti, G. Nonni, M.G. Sassi, A. Tontini, 2 voll., Firenze 2004. Il rinvio a Uguccione si riferisce allo Spurcum Additamentum, su cui vd. lett. 225. 6 Firenze 1953; 19622. 7 Suspiciones, in In memoriam A. Beltrami. Miscellanea filologica, Genova 1954, pp. 69-81. 8 S. T., Note a testi latini, «PP», 6, 1951, pp. 129-32. 1 2 490 239 Pisa, 30. 4. <1954>1 Carissimo Scevola, avevi avuto ottimo fiuto a pensare a Uguccione da Pisa! Ieri ho finalmente potuto vedere tre suoi codici alla Laurenziana, e il significato di piga = ‘scroto’ risulta esplicitamente confermato. I tre codd. che ho visto – indicati da Goetz, Corpus Glossar. Lat. I2, p. 190 sgg. – sono: S. Crucis Plut. XXVII sin. 1; Plut. XXVII sin. 5, e Plut. XXVII sin. 6 (l’indicazione sin., cioè sinistra, omessa da Goetz, è necessaria). Moltissimi altri codici sono a Parigi, uno anche a Cesena (Plut. XXI, 4). Il lessico è ordinato alfabeticamente, ma l’ordine alfabetico delle lettere dopo l’iniziale è soltanto approssimativo (press’a poco come in Festo). I tre codd. che ho visto non hanno numerazione di fogli. Ti trascrivo il passo, notando anche varianti di nessun valore; non sto invece a notare le molte abbreviazioni usuali (p̄ = prae, e simili): 1 3 5 7 9 11 13 15 17 pige grece dicitur depressum vel depressio, unde pige apud grecos dicitur fons quia depressis locis solet esse et hinc pagus -gi i(dest) villa quia iuxta fontes ville solent edificari. unde pagulus dic(tum) et paganus -a -um i(dest) villanus et incultus [qui seguono alcune righe, che non sono stato a trascrivere, su paganus, paganosus e altri derivati]. Item a pige quod est depressum vel depressio dicitur hec piga -e summitas natium vel nates quia depressa est unde hic et hec depigis -e i(dest) sine natibus. Unde OR(ATIUS) ‘depigit nasuta brevi latere ac pede longo est’. Item piga dicitur bursa et proprie bursa testiculorum. Unde idem OR(ATIUS) ‘ne numi pereant aut piga aut denique fama’. Item pige quod est depressum componitur cum salim quod est locus et dicitur salpiga -e quidam serpens qui habitat in depressis locis3. 1 dicitur] i codd. hanno sempre d͠c (= dictum, dicta? cfr. Cappelli). 2 depressis locis i L’anno si deduce facilmente dall’argomento strettamente connesso con quello delle due lettere precedenti. 2 Lipsiae et Berolini 1923. 3 I numeri laterali e l’apparato sono manoscritti. 1 491 codd. 1 e 6, in depressis locis il 5. 4 solent edificari cod. 5, solent edifficari 1, so lent edificari 6. 9 vel depressio om. 5. 10 e 1, 5: ge 6 (piga pigae). sũmitas 6, sũitas 1, sumita 5. nates tutti e tre (nomin. sing.?). 12 versum depigit [sic] ~ longo est [Hor. Sat. 1, 2, 93] habet 5, om. 1, 6, servatis tamen verbis vñ OR� (unde Oratius). 13 burgsa 6 (ma anch’esso bursa alla lin. sg.). 14 Vñ id͂ OR� 5, 6: Vñ OR� 1. versum Horatii (Sat. 1, 2, 133) habet 5, om. 1, 6. Chi sa in base a quale raccostamento Uguccione dice che pige in greco significa depressum vel depressio. Quanto a pige = fons, si potrebbe forse pensare a πιδή. È curioso che, come testimonianza di piga = bursa testiculorum, citi quel verso di Orazio, in cui piga significa certo ‘natica’. Che il senso di bursa sia nato proprio da interpretazione sbagliata del verso di Orazio? (cioè che avessero inteso che l’adultero fosse addirittura evirato?)4. In Acrone, Porfirione e negli Scolii editi dal Botschuyver, però, non ce n’è traccia. Tutti spiegano ne pereat … piga con stupretur 5. La prossima settimana voglio tornare in Laurenziana a vedere se c’è in Uguccione qualcosa su cephalum, anthera, genius. Certo è grave che Uguccione sia ancora inedito. Mi ha detto Perosa che ne stava facendo un’edizione Franceschini, ma che poi si è scoraggiato per l’enorme numero dei codici. Quello svarione di Giomini al v. 27 del Culex 6 è sfuggito a me e a Manfredi nell’affrettata revisione che facemmo delle bozze. Parecchi altri dello stesso tipo furono da noi segnalati all’autore, che li corresse. La traduzione è in moltissimi punti o sbagliata o ambigua. Quanto alla farraginosità dell’apparato hai perfettamente ragione. Ti ringrazio della segnalazione dell’articolo di Della Corte, che ancora non ho visto. Non ho ancora nemmeno avuto il tempo di leggere quell’articoletto su Unu’ surum7; spero di leggerlo lunedì. Auguri (d’altronde non necessari) per la libera docenza e affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Timpanaro [PS. ‒] Il La Penna ti ringrazia e ti ricambia affettuosi saluti8. 4 5 6 7 8 La frase tra parentesi è aggiunta a mano con un segno di richiamo. Le parole da «In Acrone» a «stupretur» sono aggiunte a mano in nota. Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. La frase di congedo e il postscriptum sono manoscritti. 492 2401 Roma, 4. 5. 1954 Confectis laboribus laetiores Ant. La Penna Scevola Cartolina illustrata con veduta di Via dei Fori imperiali. M. e La Penna si trovavano insieme a Roma per sostenere gli esami di libera docenza, come si ricava dalla lettera che segue. 1 493 241 Pesaro, 9. 5. 19541 Carissimo Sebastiano, ricevetti la tua lettera a Roma: avrai già saputo da La Penna, quando riceverai questa mia, come e con che esito sono andate le cose. Stranezze e anche assurdità non sono mancate neanche questa volta. Speriamo che il Consiglio Superiore ratifichi la riuscita di Munari. Per dovere di cronaca debbo dirti che nella discussione dei titoli, avendo a un certo momento ricordato a Castiglioni le tue osservazioni sull’impossibilità del fraintendimento di sinizesi omeriche da parte di Ennio, me lo son visto quasi scattare riferendosi al tuo atteggiamento rinunciatario verso concorsi ecc. Non faccio commenti per non dispiacerti. Ed ora grazie infinite per l ’ e d i z i o n e c r i t i c a del passo di Uguccione2: mi dispiace di averti rubato tempo, ma certo (nel mio interesse) ne è valsa la pena, perché oltre tutto si è trovata l’origine dell’interpretazione di piga come bursa (nel passo oraziano come hai visto) e questa toglie ogni sia pur debole possibilità che il piga = bursa del lessico parigino fosse originato da un tentativo di interpretazione del pigam già corrotto [p. es. da bigam congetturato dal Salmasio] in codici apuleiani. Solo temo che il buon risultato ottenuto finora sia per te ragione di ulteriori noie. Non so se sia facile la ricerca (per la scrittura e l’ordine alfabetico); ma ti pregherei di vedere un cod. solo (il 5??) per non perder tempo e verificare r a p i d a m e n t e se c’è qualcosa oltre che su cephalum (-us), anthera, genius (o -um), anche su orches (o simm.), hyachus (-um? o simm.), rosacea (per -um), porrixo, sui nomi greci delle dita (magari sotto digitus, dato il carattere quasi di enciclopedia che hanno certi lessici) e finalmente anche su sternum, per togliermi definitivamente il vecchio dubbio che sia il nome di una parte del corpo (correggendo naturalmente mundaverat)3. So che tutto questo è troppo, anche se limitato, come assolutamente dovrebbe essere, a un rapido sguardo, e quindi ti prego di dirmi c o n t u t t a f r a n c h e z z a se non hai tempo, tanto più che non mi sarebbe difficile andare un giorno a Cesena a vedere il cod. che mi indichi. La data è sicuramente 9. 5 e non del 9. 6, come M. scrive per svista, dato che si tratta della risposta alla lett. 239. 2 Vd. lett. 239. 3 T. ha barrato le seguenti parole: cephalum, anthera, genius (o -um). 1 494 A proposito di pige = fons, mi sembra che convenga pensare a πηγή con (parziale) lettura itacistica. Un parziale passo avanti ho fatto per il cod. parigino (su cui ho avuto qualche altra notizia non importante, dalla Vielliard)4: da Goetz, De gloss. lat. ecc.5, p. 174 risulta che il lessico ivi contenuto [il numero del cod. è immutato: Paris lat. 7613] è quello di Papia6, l’altro famoso lessico medievale accanto a quello di Uguccione. Esso è pubblicato (cfr. Goetz p. 172), ma la glossa piga si trova solo nell’editio princeps perché le edizioni seguenti (tutte quattrocentesche) omettono la parte da pecuosus a placitum per caduta di fogli dal loro esemplare della princeps. La princeps è Papiae Elementarium (o simm.), Mediolani 1476. A Roma non l’ho trovata, e, se ti capita di potermelo fare, ti prego di vedere semplicemente s e c ’ è a Firenze. Mi manderai al diavolo? Permetterai comunque che, citando Uguccione, mi riferisca alla tua revisione dei codici. Ammetterai che questa è una cosa di cui non ci si può appropriare per onestà scientifica! Ora vorrei finire al più presto questo articolo pseudapuleiano per poter tornare, anche per ragioni pratiche, al Nevio. Farei un articolo sullo stile del Bellum Poenicum, come ti accennai a Urbino, e sarei dell’idea di premettere un cenno di polemica con Drexler (di cui finalmente mi sono procurato un articolo precedente sulla letteratura arcaica nel volume miscellaneo Das neue Bild der Antike7, che dà la spiegazione della sua posizione polemica col mio libro) e riprendere la tesi di Ussani sull’anteriorità dell’esametro ad Ennio (tesi accennata già lucidamente da Pascoli nella prefazione ad Epos8, però sulla sola base dell’incredibilità che, se prima di Ennio si sapevano fare anapesti, cretici ecc., non si fosse in grado di fare esametri). Ancora grazie vivissime di tutto e un affettuoso saluto dal tuo Scevola Vd. lett. 237. Vd. ancora lett. 237. 6 Si aggiunge in nota: «Il Goetz ritiene erroneamente che in quel codice vi siano solo le lettere A-I: il lessico è intero in due volumi». 7 Der Anfang der römische Literatur, in Das neue Bild der Antike, II, Leipzig 1942, pp. 64 sgg. 8 G. Pascoli, Epos, I, Livorno 1897. 4 5 495 2421 Firenze, 13. 5. 1954 Carissimo Scevola, innanzi tutto i più vivi rallegramenti per il pieno successo nella libera docenza. Del resto non ne dubitavo. Il primo e il secondo posto sono stati assegnati, una volta tanto, con giustizia. Non altrettanto si può dire degli altri, perché il 3° posto sarebbe dovuto spettare al Munari, mentre gli altri posti non avrebbero dovuto, a mio parere, essere assegnati a nessuno. Speriamo almeno che anche Munari riesca ad entrare. Italo, che ho visto a Pisa, mi ha accennato a obiezioni poco intelligenti rivolte a te da Funaioli. A proposito di che? delle ‘varianti d’autore’ in Virgilio? L’altro giorno ho conosciuto Arnaldo Momigliano, che era di passaggio e che ora è tornato in Inghilterra. È un uomo s i m p a t i c i s s i m o e sa un’infinità di cose. Avrei voluto parlare con lui più a lungo di storia della filologia ‒ materia di cui egli è uno dei pochi competenti ‒ ma purtroppo ho potuto vederlo solo per poco. Veniamo allo pseudo-Apuleio2. La 1a edizione del Lessico di Papia c’è alla Nazionale (segnatura: A. N° 2 del catalogo degli incunaboli). L’ho vista: non ha titolo (sulla costola3 Papiae Vocabularium); infine Impressum Mediolani per Dominicum de Vespolate Anno domini Mcccclxxvi die xii mensis decembris. È aggiunta a lapis la numerazione dei fogli. Fol. 167 recto: Pyga nates vel bursa mentula. 39 verso: Cephalen Κεφαλη▫n <sic!> graece dicunt caput. Nient’altro. 86 v.: Genius numen a paganis dicitur: quod quasi vim habeat omnium rerum gignendorum. Genius deus nature. inde genialis. (altro lemma:) Genium honor aut dignitas. vigor: ordinatio. (altro lemma:) Genios γεμ̀ειοσ <sic> graece barba. 152 r.: Orchis haerba picta: quod radix ejus in modum testiculorum sit: quod graeci orches ορχεσ vocant: eadem est satyrion. 199 v.: Rosea rubea purpurea speciosa. Rosa : n : rubet. 1 2 3 Lettera manoscritta. Vd. lett. 225. Sopra «costola»: «rilegatura». 496 Roseum -p se. Rosaceũ mixtum. <sic> Roseus ipse color. Rosacea corona. 93 r.: Hipates gravissime fidium voces. 116 v.: Licanos hypaton dicta: quod licanos graece index digytus est ad demonstrndum: quae est quarta chorda. licanos vero meson · i · tertia mediarum. 129 v.: Mese octava chorda est. 140 v.: Nethe corda ultima. Netes acutissimae voces fidium. Ho riprodotto tali e quali le incoerenze ortografiche (e/ae, corda/chorda ecc.). Niente su sternum, hiaci vel simm., porrixo, paramese. Alla voce digitus (60 v.) nulla di interessante per i nomi greci. C’è rosaceus come aggettivo, e poi rosacea corona come in Papia. UGUCCIONE ‒ Ho rivisto i soliti 3 codici. Niente su ant(h)era, hyacus vel simm., porrixo, sternum, digitus. [Ho cercato con una certa cura, tuttavia purtroppo per avere la sicurezza bisognerebbe leggersi tutto il lessico da cima a fondo, giacché non solo l’ordine alfabetico è, come ti ho detto, molto approssimativo (e parecchi lemmi non sono nemmeno contraddistinti da un ‘a capo’), ma sopra tutto molte parole sono raggruppate sotto altre voci in base a pazzesche connessioni etimologiche]. Su genius, alla voce gigno: Item a gigno1 hic genius deus qui preest nuptiis. vel deus nature et dicitur sia quia q. [= quasi]2 vim habet omnium rerum gignendarum vel a gignendis liberis. Unde hic genialis -lis dicitur lectus <…, e qui digressione su genialis; poi geniatus, genitalis ecc.: niente di interessante>. Item a genio hoc genium -i i(dest) ingenium … <altro sproloquio su ingenium e derivati>. Et nota quod genium et genius inveniuntur in aliis significationibus genium honor privatus genius honor publicus. 1 gigno] gino cod. 1 2 certamente quasi, cfr. Papia Cephas vel cephalim1 greci dicunt caput2 unde cephas3 dictus est petrus quod in capite et principatu constitutus sit apostolorum et hoc cepe indeclinabile in singulari quia non est n̔ [= nisi ?] caput <e cita Naev. com. 18: ancora varia roba su cepe: poi cephalea, acephalus, cinocephalus. Niente che si riferisca al significato osceno>. 1 Così, scritto per esteso in 1 e 6: cephalĩ (anch’esso chiaro, non -ũ) 5 2 Sic 1, 6: greci caput dicunt 5 3 cepha 5 497 Orce grece latine recipere … <quindi orchus = ‘inferno’ perché riceve tutti ecc.>. Item ab orce hec orcas -dis quoddam genus olivarum quia multum liquoris recipiunt. Vel orce similiter ῾r <etiam?> dicitur grece rotundum1. Item orti <sic!> apud grecos dicuntur testiculi propter rotunditatem2. et hinc quedam olive dicte sunt orcades q. <=quasi> testiculares3 quia in modum testiculorum crescant4. 1 sic 1] vel orce ῾r dicitur similiter grece rotundum 5: vel orce dicitur similiter grece rotundum 6 2 sic 1] unde orca <sic> apud grecos dicuntur testicula propter rotonditatem 5: inde orci apud grecos dicuntur testiculi propter rotunditatem 6. Andrà citata la lez. di 6. Comunque è interessante l’incertezza orci/orca 3 q. testiculares om. 5 4 succrescant 5 Nete1 dicitur corda quinta quae superponitur2 IIII cordis in aliquo instrumento 1 Nece 1 2 supponitur 1 Niente sulle altre corde. Per curiosità ti trascrivo anche: Hi neuus -ui macula quae nascitur in corpore hominis. et ponitur quandoque pro culpa vel offensa. Pige è certo πηγή 4, ero stato un fesso a non accorgermene! Coi più affettuosi saluti Sebastiano T. [PS. ‒] Per orci/a sarebbe bene vedere altri codici. Su Papia il più informato è Cazzaniga, che ha pubblicato un articolo su un codice Monzese nell’ultimo fascicolo di «Acme»5. Vd. lett. 239. I. Cazzaniga, Osservazioni intorno alla tradizione del glossario di Ansileubo, «Acme», 6, 1953, pp. 315-48. 4 5 498 243 Pesaro, 19. 5. 1954 Carissimo, non ho parole per ringraziarti della cura, dottrina e pazienza con cui mi hai trascritto Papia e Uguccione1. Ci sono molte cose interessanti, fra l’altro: nete corda q u i n t a quae superponitur IIII cordis in aliquo instrumento (forse con riferimento a strumenti pentacordi?): per lo meno è interessante che ci fosse una serie di 5 corde, che quindi poteva costituire, per le 5 dita, un parallelo più vicino delle 7 nominate da Boezio. Anche, fra l’altro, cephas = caput (basato su Isidoro); cephalim (-lĩ cod. 5) che sia trascrizione di κεφαλήν, cioè cephalin preso per nominativo? Isidoro (che ho in Urbino, non qui) mi pare citi la forma greca all’accusativo. Quanto al fraintendimento di pyga nell’oraziano ne pereant ecc.2, mi è tornato in mente che nel Babio (XII sec.) un marito tradito vuol vendicarsi del rivale tagliandogli appunto tutti i genitali esterni, e invece poi il rivale gli taglia i testicoli. Il confronto può servire a spiegare psicologicamente l’errore d’interpretazione in Orazio (sia bursa sia mentula). Cercherò di sapere, da Danieli o da altri in Urbino, se ci sono altri fatti del genere, più o meno conosciuti ai giuristi dal Medio Evo. È chiara l’intenzione di colpire la parte che ha peccato, che è concezione antichissima, ma la cosa avrà qui sapore ‘germanico’ (?). Ad ogni modo sarà difficile poter stabilire limiti di tempo (cioè un approssimato terminus post quem per il fraintendimento). Comunque, data la grossolanità dell’errore e data l’ignoranza o quasi che il Medio Evo deve aver avuto di Apuleio fino all’epoca del codice cassinese, mi pare abbastanza logico pensare alla cerchia cassinese per l’autore dell’additamentum3. Anche la conoscenza (approssimata) di terminologia medica, mi faceva notare Campana, potrebbe accordarsi con la presenza di codici di medici a Monte Cassino. Sono tuttavia cose piuttosto vaghe. Grazie dei rallegramenti. Penso che, praticamente, avete fatto bene a consigliarmi di presentarmi. Anche a me ha fatto colpo il trattamento di Munari. Per fortuna, a quanto mi dice Italo, la cosa è per lui risolta. Ma rimane bene strano il conto fatto di Giancotti (sostenuto da Funaioli) e di Salvatore, entrambi riusciti all’unanimità. Dicono che a filologia classica 1 2 3 Vd. lett. precedente. Hor. sat., 1, 2, 133. Vd. lett. 225. 499 riusciranno certo Giomini e forse Puccioni (a meno che anche la sua situazione non sia sanata dal Consiglio Superiore). Quanto alla discussione sulle pubblicazioni, Funaioli fece dapprima un’osservazione sensata (gli arcaismi di Andronico potrebbero dipendere non da ricalco dell’atteggiamento di poeti greci contemporanei, ma dalla coscienza che Andronico aveva che arcaico = solenne; ‘sensata’ ma non sicura, e che d’altra parte non sposta molto la questione perché questo senso dell’arcaismo come mezzo stilistico per ottenere la solennità presuppone almeno come verosimile, mi pare, un rapporto con la cultura greca; e d’altronde, come ho fatto notare a Funaioli, Andronico n o n sapeva certo che Omero usava già una lingua non usuale al tempo suo). Poi ha detto o cose di nessun conto e già scontate (che avrebbe preferito nell’edizione di Andronico una grafia arcaica e la scrittura Odusia, per il che gli ho fatto vedere che la stessa esigenza era sentita anche da me) o del tutto assurde (certo per non aver letto con attenzione, era incrollabilmente persuaso che io avessi voluto far tutt’uno, sempre nell’Andronico, di multa avverbiale e di humanum sostantivato, e, nell’Ennio, avessi parlato di apud e di scarum misurati come pirrichi senza accorgermi che dopo entrambi c’erano parole comincianti per v o c a l e , al che non mi è restato che fargli vedere che c’è Cumas e praeterii; va da sé che non ha pensato, se mai, a obiettare che poteva trattarsi di apu’). Infine Funaioli del tutto genericamente ha detto che mi esprimo con troppa sicurezza sul saturnio. Da ciò ha preso occasione Castiglioni per parlare un po’ del saturnio, ma solo chiedendo il mio parere. Non ha detto nulla d’interessante, anche perché la conversazione è deviata verso la preesistenza dell’esametro ad Ennio (e qui si è parlato di ́ te a proposito mĕlănurum ecc., e qui Castiglioni ha fatto gli apprezzamenti che sai). Infine Paoli ha fatto un paio di osservazioni irrilevanti sul latino di una noterella pubblicata nel ’40 negli «Annali»4. Ma è stato, debbo dirlo, veramente molto cordiale ed affettuoso, e anche Castiglioni si è mostrato piuttosto cordiale. Funaioli, malgrado quel che ti ho detto, è stato corretto e non è parso, specie poi alla lezione, prevenuto negativamente. La lezione (generica sull’Eunuchus e quindi difficile, come difficile era quella di La Penna) è stata quanto mai scialba. Avevo parecchio materiale e troppo da dire, ed ho avuto il torto di cominciare da questioni di datazione ecc. e dall’impostazione un po’ particolareggiata della questione della contaminazione (in base al prologo), per cui, quando dopo venti minuti mi hanno fatto smettere non avevo ancora attaccato il punto forse più interessante, quello della fisionomia S. M., De quibusdam Macrobii et Martiani locis ad codicum lectionem restituendis, «ANSP», s. II, 9, 1940, pp. 196-7 (= SFC, pp. 363-4). 4 500 originale della commedia di Terenzio in confronto al presumibile carattere dei modelli. Certo non mi chiedevi, nella tua, una così lunga relazione; ma te l’ho fatta così come mi è venuta a scopo di chiacchierata. Ora sto stendendo la nota apuleiana, che poi ti farò leggere. Mi ci vorrà qualche settimana, perché purtroppo ho parecchio da fare a Urbino nei giorni prossimi per gli esami e la casa. Ti ho spedito a Pisa l’edizione di P.G. Ricci del Petrarca, Invective contra medicum5, avendo saputo da Italo che non l’hai. Non ti servirà gran che; ma era un doppione e, in fondo... è sempre un libro. Affettuosi saluti e ancora grazie dal tuo Scevola F. Petrarca, Invective contra medicum, testo latino e volgarizzamento di ser Domenico Silvestri, ed. critica a cura di P.G. Ricci, Roma 1950 (nuova ediz. con appendice di aggiornamento a cura di B. Martinelli, Roma 1978). 5 501 2441 [Firenze, 31. 5. 1954]2 Carissimo Scevola, vedo per caso nel Glossarium (voci tarde) aggiunto in fine al Forcellini-De Vit vol. VI (Prato 1875) p. 709: «pugae; virilia, Gloss. Amplon.». Probabilmente l’avevi già visto tu. Non so che glossario sia. Coi più affettuosi saluti Sebastiano T. PS. ‒ In che rivista era l’articolo di Della Corte su Manius mane se suscitat 3? Cartolina postale manoscritta. Contiene alcuni appunti di M. relativi alla risposta che segue. 2 La data si ricava con sufficiente sicurezza dal timbro postale ed è confermata dal contenuto della lett. seguente. 3 Vd. lett. 238. 1 502 245 Pesaro, 8. 6. 1954 Carissimo, grazie mille per l’indicazione di pugae: virilia, glossa che non conoscevo affatto1. Avevo visto l’elenco di glosse che è alla fine dell’edizione del Forcellini (-Furlanetto), Prato 1845, dove nulla c’è che riguardi pyga. Di Glossari Amploniani tratta il Goetz nel primo volume del Thesaurus Gloss. emend. che ho sottomano2, e rimanda all’edizione (e prefazione) dei medesimi in altri volumi del Thesaurus stesso. Vedrò naturalmente i volumi in cui sono edite queste glosse, ma purtroppo l’edizione è, almeno per qualcuno dei Glossari Amploniani, parziale; e quindi, dalla mancanza della voce puga(e) nell’indice generale del Thes. gloss., si dovrà dedurre che la glossa in questione non è stata edita colà. Di dove era stata ricavata dal De Vit, se l’aggiunta risale a lui? Nell’edizione del Forcellini del 1845 la raccolta di glosse è fatta in base ai lessici: «Calepini, Passeratii, Basilii Fabri, Junkeri et aliorum»: c’è qualcos’altro in più nelle indicazioni del Forcellini-De Vit o qualche precisazione nella prefazione del De Vit? Se avrai voglia di guardare, con tutta calma, te ne sarò grato. Non ho fretta, e del resto, intanto, io debbo vedere le prefazioni alle singole parti del Thes. gloss. dov’è pubblicata parte delle glosse Amploniane per vedere se c’è qualche vecchia edizione (anche parziale) di cui il De Vit possa essersi servito. Andrò entro il mese a Bologna, e poi finirò a ogni costo l’articolo, che ogni tanto mi obbliga ad allargare le ricerche. Debbo vedere ancora un sacco di cose. Intanto ti dirò che tutti i miei sospetti sull’origine tarda dell’interpretazione di pyga = bursa in Orazio rimangono fondati s o l o sul fatto che i buoni commenti spiegavano il testo rettamente, perché – come io ingenuamente non avevo notato – l’evirazione è prevista proprio in quella satira di Orazio (1, 2, 44 sgg.)! E poi ci sono molti altri casi già antichi, elencati in RE s. v. talio. Una traccia interessante è data ora dalla voce punga, latino di origine germanica, ‘borsa’ e simili. Questa parola può aver contribuito a far dare a pyga e simm. il senso di bursa. Anzi Uguccione mi sembra che lo confermi dicendo che piga vale bursa (genericamente) e proprie «bursa testiculorum»: solo questo secondo senso si sarebbe potuto dedurre dal passo di Orazio, e il primo più generico presuppone, mi pare, l’identificazione tra (pyga) puga e Per la glossa vd. Lo ‘spurcum additamentum’ (cit. lett. 225), p. 234 nota 3 (= SMU, p. 53 nota 3 = SMU 2 = SMU 3, p. 67 nota 21) e lett. precedente. 2 Si tratta del vol. VI del Corpus glossariorum Latinorum (cit. lett. 237). 1 503 punga. Anche l’autore dell’additamentum dice: o r c i u m pigam e non solo pigam (sebbene quest’indizio sia non definitivo). Ti ho spedito ieri a Pisa l’estratto di Della Corte3, che puoi tenere quanto vuoi: se non ti arrivasse, avvertimi, per favore, perché l’hanno impostato in una buca per corrispondenza comune, assai poco capiente, e rischia di esser rimasto a mezz’aria nella buca stessa. Ti prego di vedere (e di decidere) per <manusque> (o -numque) inicit, perché penso che presto avrò le bozze4: per le ragioni che sai ci terrei a citarlo, ma tu, che su questo eri d’accordo, volevi però ancora verificare l’uso di manus o manum inicere. Fraenkel ti saluta e dice di comunicarti riservatamente che Gottinga cede ad Urbino la pubblicazione di Leo Opuscula5. Affettuosi saluti e scusa la fretta. Il tuo Scevola Vd. lett. precedente. Si riferisce ad Enn. ann., 166 V.2 in Adversaria philologa II (cit. lett. 58) e alla congettura di T., di cui alla lett. 100. Vd. anche lett. 99. 5 Vd. lett. 237. 3 4 504 246 Pisa, 12. 6. <1954>1 Carissimo Scevola, grazie della lettera e dell’estratto di Della Corte2, che ti rimanderò tra pochi giorni. L’obiezione che fa alla mia integrazione è fondata, anche se non del tutto decisiva. Sono ormai persuaso che bisogna rinunziarvi. Ho visto il Thesaurus, s. v. manus. C’è qualche esempio di manum e di manum inicere nel senso di trattenere (p. es. Cic. pro Roscio com. 48: ipsa mihi veritas manum iniecit … et commorari coegit) e di vim inferre. Ma è poca roba, e niente nel latino arcaico. Penso che sia meglio proporre solamente sese3. Il De Vit, nella prefazione al ‘Glossario’ del Forcellini, dice di avere arricchito il materiale precedente, utilizzando i glossari pubblicati dal Mai nei Classici Auctores, tomi VI, VII e VIII (tra questi vi è anche quel lessico di Osberno che cita alcuni frammenti enniani), il Thesaurus utriusque linguae del Vulcanius pubblicato a Leida, 1600, e la nuova edizione del Du Cange. Sono indicazioni assai vaghe. Del resto, a me sembra che, siccome citi esattamente Uguccione e Papia, quanto alle glosse Amploniane tu possa rinviare semplicemente al Forcellini. Per la tua tesi ce n’è già abbastanza, ulteriori ricerche farà chi si occuperà di proposito di lessicografia medievale. Piuttosto, sarebbe forse utile citare uno o due commenti medievali a Orazio. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano T. [PS. ‒]4 Ottima l’idea della contaminazione col germanico punga! L’anno si ricava facilmente dall’accenno all’invio dell’estratto di Della Corte annunciato nella lett. precedente. 2 Vd. le due lettere precedenti. 3 In relazione a Enn. ann., 166 V.2, su cui vd. lett. 99. 4 Aggiunta manoscritta. 1 505 247 Urbino, 26. 7. 19541 Carissimo Sebastiano, ti debbo da parecchio tempo una lettera un po’ lunga. Ancora non ho avuto le bozze della Miscellanea Paoli2. A me pare che il passo di Cicerone da te citato3 giustifichi la comunicazione della tua congettura <manumque>, utile, come ti dissi, per il senso (perché lega in più stretta successione il (manum) inicit a tenet = ‘trattiene, tien fermo’), e molto probabilmente migliore del mio <sese>, anche se questo trova paralleli più vicini in Ennio stesso. La mancanza di altri esempi di manum inicere in latino arcaico non mi pare faccia alcuna difficoltà: si tratta del resto di una espressione rara anche più tardi, per cui la mancanza in latino arcaico può essere del tutto casuale. Dunque insisterei per avere la tua autorizzazione: scusami questa insistenza4. Io non riuscii purtroppo a vedere mai il Thilo, della cui dedica al Leopardi avevo trovato un cenno non so più dove5 (forse in un volumetto della fine dell’ ’800 sugli studi filologici del Leopardi?; se t’interessasse saperlo, f o r s e potrei rintracciarlo, se la memoria mi aiuta). Avevo pensato che potesse esserci nella biblioteca del Leopardi. Se potesse servirti una verifica, farei volentieri, entro i primi di settembre, una capatina a Recanati6. Non avere, per questo od altro che ti servisse là, il minimo scrupolo, perché sto già pensando a una gita del genere. Italo mi dice che quella congettura alla Vita di Lucano di Vacca era già stata fatta e che c’è qualche difficoltà sull’essere l’opera (col titolo da lui congetturata) in prosa o in versi. Fra parentesi: ho ricevuto, e ti ringrazio, l’estratto di Della Corte7. Mi chiedi di Nevio e ps.-Apuleio8. Nevio tace, ma dev’essere ripreso al più presto appena finito ps.-Apuleio9, per non rischiare che un eventuale Sotto la data: «Villa Gloria». Vd. lett. 245. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. 99. 5 Sulla dedica di Thilo a Leopardi vd. lett. 193 e 196. 6 Vd. lett. 207. 7 Vd. lett. precedente. 8 Evidentemente in una lettera non conservata, forse quella che accompagnava la restituzione dell’estratto di Della Corte. 9 Si tratta dello Spurcum additamentum, su cui vd. lett. 225. 1 2 506 concorso trovi il libro non ancora stampato. È noiosissima (e svantaggiosa, spesso, per la compiutezza ed esattezza di stesura, revisione di bozze ecc. dei libri) questa loro destinazione... allotria a concorsi. A proposito di libri, so che il tuo leopardiano10 sta per giungere alla fine. Lo aspetto con grandissimo desiderio. È stato qui, per poco più di ventiquattro ore, Billanovich, che si occupa, come sai, di tradizione apuleiana (mi ha anche chiesto il tuo indirizzo). Anche lui crede che l’additamentum sia di origine cassinese. Penserebbe, in via d’ipotesi, che sia stato letto separatamente da Zanobi e dal Boccaccio11 (dimenticavo di dirti una sua importante novità: in L, cioè nel codice scritto dal Boccaccio, l’additamentum è stato aggiunto n o n da altra mano, ma da quella stessa del Boccaccio in un secondo tempo) nel codice assisano, di cui è conservata, come sai, solo una minima parte. Tuttavia penso ora che, se questo fosse vero, bisognerebbe ammettere che già nell’assisano ci fosse un testo corrotto (basti: anth teneras, comune a φ ed L). Mie novità sull’additamentum, pochissime. Sono un po’ arenato perché, malgrado una recente puntata a Bologna, mi manca ancora qualche dato bibliografico. Profittando della tua longanime pazienza, ti darò queste indicazioni, pregandoti di vedere cosa puoi fare a Firenze senza troppa fatica. Se poi qualcosa dovesse ancora rimanere in sospeso, mettrò punto ugualmente, perché ormai di questa storia sono stufo. Il punto forse più interessante che posso dirti è che quella glossa del glossario Asbestos (che è certamente estratto del glossario Abba) genium genitale naturale numen virgo seu vigor è da ricondurre, in base anche al glossario Abba, a due glosse distinte: genium numen vigor e genitale naturale (cfr. Goetz, Thes. gloss. emend. s. v. genium e Lindsay, Gloss. Lat. V 66)12. Queste due glosse si sono unite erroneamente in Asbestos e la loro unione poteva far credere che genium (o -us) valesse mentula o simm. (che è per l’appunto il senso sia di genitale che di naturale): forse è stato proprio questo errore di Asbestos a far credere all’autore dell’additamentum che genius valesse mentula, valore del tutto estraneo al latino antico e, per quel che si può vedere, anche al latino medievale. L’interessante è che la maggioranza dei codici di Asbestos sono dei cassinesi del IX-XI sec. Questo deporrebbe, seppure in via non definitiva, per l’origine cassinese dell’additamentum, già di per sé abbastanza probabile. Non so poi se ti ho detto che anche pando et repando (due voci sul cui uso ho trovato per fortuna larga documentazione in un S. T., La filologia di Giacomo Leopardi, Firenze 1955 (seconda ediz. riv. e ampliata, Roma-Bari 1977; terza ediz. riv. con Addenda, Roma-Bari 1997). 11 Si aggiunge in nota: «Pensa a due letture separate di Zanobi e del Boccaccio solo perché, come a me sembra, concitim di L è migliore di conatim di φ». 12 Glossaria Latina, 5 voll., Paris 1926-31. 10 507 articolo di Wölfflin in ALL I)13 s’intende benissimo, come nota realistica, se riferito a una oscillazione tipica dell’asino arrectus (e di altri equini) che appunto così tactat ventrem. Insomma, il senso dell’additamentum è ormai, pressappoco, tutto chiaro. Ecco ora i punti su cui non sono ancora riuscito a trovare quanto cercavo: 1) Per la questione di pyga (che ha interessato anche Billanovich) vorrei possibilmente indicare anche con precisione la provenienza della glossa da te indicatami pugae virilia. Da vari indizi sono ormai sicuro che questa è edita in un articolo di Oehler (introvabile a Bologna, come, teste Italo, a Pisa) in una annata di rivista del 1847, rivista indicata in vari modi, come «Neue Jahrbb.» Suppl. XIII (1847) o «Jahns Archiv» o «Jahns Jahrb.» XIII (1847)14: alle pp. 230 sgg. e 325 sgg. l’Oehler pubblica (malamente, come dimostrò Loewe, Prodr., da me non visto)15 a) le glosse Amploniane (che però quasi tutte (o tutte?) sono nel CGlL); b) aggiunte, da un cod. Amploniano più ricco, all’Osberno edito dal Mai. F o r s e a quest’ultimo gruppo apparterrà la glossa in questione. Chissà se questi maledetti «Jhbb.»16 ci sono a Firenze? 2) Non ho visto cosa dell’additamentum dice incidentalmente il Traube in uno studio su O Roma nobilis certamente ripubblicato in uno dei tre voll. delle Kleine Schriften (originariamente era in «Abhandl. d. bayer. Ak.» XIX 2, mi pare del 1891, p. 308)17. Non credo si tratti di cosa lunga: comunque mi basterebbe un semplicissimo cenno. Lo mette forse in relazione con letteratura oscena medievale? 3) So che a punga accenna il Rohlfs, Germ. Spracherbe in der Romania, in «Sitzungsber. d. bayer. Ak.» 1944-46, Heft 8. Credo che non dica nulla che debba interessare particolarmente la questione di pyga, ma può darsi che dia indicazioni sui limiti (cronologici o geografici) dell’uso di punga. Mi perdonerai delle mie lunghe, verbose richieste? Scusa la lettera così noiosa ed abbiti un’affettuosa stretta di mano con mille grazie. Il tuo Scevola «Archiv für lateinische Lexicographie», 1, 1884, p. 576. Vd. la risposta di T. nella lett. 248. 15 G. Loewe, Prodromus corporis glossariorum Latinorum: quaestiones de glossariorum Latinorum fontibus et usu, Lipsiae 1876. 16 Si aggiunge in nota: «Da non confondere, pare, con altri “Jhbb.” o “Neue Jhbb.” di epoca posteriore. Comunque l’indicazione XIII (1847) è sicura». 17 L. Traube, O Roma nobilis. Philologische Untersuchungen aus dem Mittelalter, München 1891. 13 14 508 248 Pisa, 31. 7. 1954 Carissimo Scevola, ti ringrazio molto per la proposta di cercare l’opuscolo del Thilo a Recanati1. Ma, come appare dall’Epistolario del Leopardi, tale opuscolo gli fu spedito dal de Sinner quando il Leopardi era già a Napoli; quindi esso non si trova certamente a Recanati, ma forse alla Nazionale di Napoli, alla quale passarono, dopo la morte del Ranieri, le carte e i libri che il Leopardi aveva con sé (dei libri, però, parecchi andarono dispersi). Proverò dunque a scrivere a Napoli. Delle tre questioni che t’interessano per l’articolo apuleiano, la terza rimane purtroppo senza risposta, perché i «Sitzungsberichte» di Monaco, a Pisa sono fermi al 1940, e a Firenze ancora prima: conseguenze della guerra e dell’incuria dei bibliotecari italiani! Potresti forse provare a scrivere a Roma, all’Ist. archeologico germanico, via Sardegna. Quanto al Traube, ecco il passo che ti interessa (e che cito non dalle Kleine Schrifen che non ho trovato alla Nazionale di Firenze, ma direttamente dalle «Abhandlungen» di Monaco, XIX. 2, 1891, p. 308): Die Schriften des Apuleius, die der 1053-87 (?) geschriebene Florentinus F enthält, kommen seit dem 12. Jahrhundert schnell zu allgemeiner Verbreitung und Bekanntschaft. Das betreffende Kapitel der Apologie ist z. B. im 13. Jahrhundert von dem Verfasser der Metamorphosis Goliae episcopi (bei Th. Wright, The latin poems attributed to Walter Mapes, London 1841 S. 21 ff. vgl. v. 178 ff. und v. 183) benutz worden, der auch Amor und Psyche kennt. Aber schon lange vorher hat der Verfasser von Ganymed und Helena (herausg. von Wattenbach «Zeitschr. für das Altertum» XVIII vgl. S. 128 Strophe 14) die Providentia in sein Gedicht aus Kenntnis von Ap. Met. VI, 15 eingeführt. Seit jener Zeit hat die Beschäftigung mit Apuleius nich aufgehöhrt. Dass der Trecentist, der Met. X 21 interpolierte, aus seiner eigenen schumutzigen Phantasie schöpfte, brauchte für den, der die Ueberlieferung der Matamorphosen kennt, nicht erst gesagt zu werden, muss es aber für den Leser von Woelfflin’s Archiv für Lex. I 337. I «Neue Jahrbücher für Philologie und Paedagogik», serie diretta da Jahn, Seebode e Klotz, Supplement-Band XIII (1847) ci sono a Firenze alla Nazionale (nel catalogo magliabechiano a volumi, non in quello a schede). 1 Vd. lett. precedente, a cui la presente risponde. 509 In realtà, se i vari direttori che si succedettero in questa rivista si fossero proposti esplicitamente di rendere, con la numerazione dei volumi delle varie serie, il più possibile difficili le ricerche agli studiosi, non avrebbero potuto far meglio! Io conosco un po’ questo intrico perché studiando il Leopardi ho dovuto guardare alcuni volumi di questa vecchia serie. Ci sono prima i «Jahrbb. für Philol. und Paedag.» diretti da Jahn (fino al 1830), poi, dal ’31, i «Neue Jahrbücher» diretti da Jahn, Seebode e (più tardi) Klotz, poi (mi pare dal ’52 o giù di lì) un’altra serie diretta da Fleckeisen, poi nel nostro secolo un’ultima serie di formato più ampio. Ai «Jahrbb.» di Jahn e alla prima serie dei «Neue Jbb.» corrisponde una prima serie di volumi di supplemento (quella a cui appartiene il volume che ci interessa), ai «Neue Jbb.» di Fleckeisen una seconda serie. Altri pasticci accessorî sono creati dalla duplicità della parte filologica e di quella pedagogica, ciascuna con numerazione separata delle pagine (ma questo non riguarda i supplementi). Dunque a p. 230 sgg. e 325 sgg. c’è effettivamente l’articolo di Franz Oehler Zur Litteratur der Glossen. L’Oehler pubblica: a) postille manoscritte che si trovano su un esemplare a stampa del lessico di Bonaventura Vulcanius nella Rathsbibliothek di Lipsia, e che derivano da un glossario contenuto in un codice Vossiano (l’Oehler non dice se questo cod. Vossiano è perduto, nel qual caso tali postille hanno effettivo valore, o no): niente su pyga ecc. ‒ b) v a r i a n t i (piuttosto che a g g i u n t e ) all’Osberno edito dal Mai, dal cod. Amploniano 53: niente su pyga. (Il cod. Amploniano è, rispetto a quello seguito dal Mai, in molti punti più corretto, ma non mi pare ‘più ampio’; non risulta, cioè, che vi siano lemmi nuovi). ‒ c) le glosse Amploniane, dal cod. Ampl. 42. Tra queste ultime, a p. 369, lin. 17 dell’art. dell’Oehler, c’è «Pubae, virilia». Nessuna nota dell’Oehler che accenni alla possibilità di correggere pubae in pugae. La collocazione della glossa confermerebbe la lezione pubae (o pubes, o simili) perché essa è preceduta da «Pubentes, crescentes turgentes» e seguita da «Puberat, crescit incrementat» (è vero tuttavia che l’ordine è alfabetico solo quanto all’iniziale, mentre quanto alle lettere seguenti è del tutto caotico, assai più di Festo o di Uguccione in cui una certa tendenza all’ordine, sia pure non rigoroso, c’è anche nelle lettere sgg.). Al di fuori di questa glossa, nient’altro ho trovato che si riferisca a pyga e simili. Che pubae sia stato tacitamente corretto in pugae dal De Vit, mi pare poco probabile. Avrà dunque il De Vit avuto qualche altra fonte? Ora, col 31 luglio, chiudono tutte le biblioteche di Pisa e Firenze. Dal 1° settembre in poi potrò, eventualmente, farti altre ricerche. Quanto a manumque inicit, non so che dire. Io sono tuttora molto incerto, tanto più che, caso mai, mi suona meglio manusque che manumque (e, se non sbaglio, io avevo proposto appunto manusque). Vedi tu. Hai ricevuto da Strzelecki un estratto contenente due articoli di metrica 510 latina arcaica, De septenariis anapaesticis e De peculiari quodam tragicorum romanorum versu2? Se non l’hai ricevuto te lo mando, perché parla anche di Nevio (e di Ennio). Non l’ho ancora letto; ma il secondo articolo mi sembra, a una prima occhiata, del tutto sballato. Tornando allo pseudo-Apuleio (scusa il disordine!), ho letto con interesse le tue nuove osservazioni sulla glossa genium e su pando et repando. Ormai è davvero tutto chiaro. Interessanti anche le considerazioni di Billanovich. Io ho finito il Leopardi filologo; debbo soltanto fare qualche aggiunta e qualche completamento bibliografico, in settembre, quando riapriranno le biblioteche. Salutami tanto Italo, che vedrò in ottobre. E tu non farai qualche puntata a Pisa o almeno a Firenze? A Firenze in settembre c’è il congresso sul Poliziano, che si preannuncia interessante anche per i filologi classici3. Coi più affettuosi saluti Sebastiano [PS. ‒] Grazie anche della cartolina4! W. Strzelecki, De septenariis anapaesticis in Tragica II (Travaux de la Société des Sciences et des Lettres de Wrocław), Wrocław 1954, pp. 89-103; Id., De peculiari quodam tragicorum Romanorum versu, ibid., pp. 105-13. 3 Quest’ultima frase è stata aggiunta a mano in calce alla lettera con nota di richiamo. 4 Aggiunta manoscritta. La cartolina non è conservata. 2 511 249 Urbino, 5. 9. 1954 Carissimo Sebastiano, scusami, scusami – e l’anadiplosi, sincera ma ridicola, ti faccia perdonare più facilmente sorridendo il ritardo con cui ti ringrazio. Sei stato, come al solito, magnifico per l’esauriente precisione. Tu sai quanto, sempre, sia preferibile consultare da sé: ora, quando mi vedi qualcosa tu, è come se l’avessi vista io stesso. Ora poi mi dispiace che anche Ronconi, come mi scrive, ti abbia passato la citazione oribasiana1. Seppi però da Italo che l’edizione Didot non c’è a Pisa2. È possibile che le mie richieste di revisioni ecc. debbano tutte finire a te, come è già successo una volta di una cosa che chiesi a Italo? Ancora l’articolo sull’additamentum3 non è condotto ad umbilicum, ma la stesura, faticosa, ha fatto qualche progresso. L’agosto è stato per me piuttosto impegnato, fra i corsi estivi e i contatti con Ronconi. Ricevetti i due estratti di Strzelecki4. Sull’assoluta inconsistenza del secondo sono pienamente d’accordo con te. Il primo ha qualche cosa d’interessante, anche se lo Strzelecki al solito si preoccupa più del metro meccanicamente inteso che del senso dei frammenti (e anche delle possibilità d’integrazione di lacune: mi sai dire cosa si può integrare prima di nam consiliis obvarant 5, cioè che monosillabo?). Inoltre per il frammento nam consiliis ha avuto il torto d’ignorare la tua trattazione, che io credo sempre definitiva; e anche per Naev. trag. 41 sg. (nam ut ludere laetantis ...) non tiene conto della scansione trocaica data da me, che avevo anche notato (con altri) l’impossibilità di praeter e accennato, respingendola, alla possibilità di trasposizione amnem propter da lui proposta6. Tuttavia sono utili le sue notizie sullo ps.-Censorino (ma deve trattarsi di cosa scontata), giusta (mi pare) la conservazione di Aeschylus nei passi citati a p. 102, e penso che forse (per il senso, n o n per il metro) abbia ragione per Pac. 30 Il passo non viene indicato neppure nella risposta di T. (lett. successiva). Probabilmente si tratta non di un’edizione didotiana, ma di Œuvres d’Oribase, texte grec, en grande partie inédit, collationné sur les manuscrits, traduit pour la première fois en français, avec une introduction, des notes, des tables et des planches par les docteurs [U.C.] Bussemaker et Ch. Daremberg, Paris, 1851-76. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. ancora lett. precedente. 5 Enn. scaen., 4 V.2. Sul frammento vd. lett. 15. 6 L’articolo sui frammenti tragici di Nevio in «StudUrb.(B)» (cit. lett. 125). 1 2 512 difendendo da col Lindsay: confronterei Enn. sc. 368, dove leggo, beninteso, con te cunctas o. Certo è che la presenza di settenari anapestici nella tragedia non è per niente da escludere. Se non hai scritto a Strzelecki, ti prego di dirmelo, ché queste osservazioni generiche (e anche la segnalazione dei nostri contributi sfuggitigli) gliele farò io. Vorrei anche fargli notare che la sua giusta osservazione sulla identità di usi metrici in tragedia e commedia latina arcaica (giustificata con la famosa ‘unione personale’ in Andronico e Nevio) contrasta curiosamente con la legge porsoniana da lui stesso cercata di applicare ai soli versi tragici latini: è cosa di molti anni fa, ma non ha cessato di credervi, pur essendo infondata. Due note telegrafiche: ho chiesto a Lallo7, come dettomi da Italo, il Weinreich8 a tuo nome; un’insegnante di qui, la prof. Sonia Sichirollo (moglie di quel Sichirollo che conoscesti)9 – Viale Gramsci – Urbino, dice di aver adottato la tua Metrica10 ma di non esser riuscita ad averla in saggio, e la vorrebbe mercè il tuo intervento. Potresti farla mandare anche a me? Dì all’editore che la consiglierò anche nei programmi ‘ufficiali’: infatti spesso gli studenti chiedono indicazioni di trattati del genere. Affettuosissimi saluti e ancora grazie dal tuo Scevola Carlo Ferdinando Russo. Vd. lett. 202. 9 Livio Sichirollo (1928-2002), su cui vd. G. Bonacina in Maestri di Ateneo. I docenti dell’Università di Urbino nel Novecento, a cura di A. Tonelli, Urbino 2013, pp. 496-501. 10 Nozioni elementari di prosodia e di metrica latina per la scuola media, Messina-Firenze 1953 (rist. in appendice ad A. La Penna, Romanae res et litterae, Torino 1966, pp. 367-90, e a Id., Primordia et incrementa Latinitatis, Torino 1967, pp. 353-76). 7 8 513 250 Pisa, 10. 9. 1954 Carissimo Scevola, quell’edizione di Oribasio1 non c’è, purtroppo, né all’universitaria di Pisa né alla Nazionale di Firenze. All’Universitaria di Firenze l’aveva già invano cercata Ronconi. Resta la Normale, la cui biblioteca è tuttora chiusa; ma c’è poco da sperare. Io ho scritto tempo fa a Strzelecki, ma molto brevemente. Sul primo articolo2 gli ho dato genericamente ragione, sul secondo mi sono dichiarato non convinto, e in particolare gli ho osservato che anche nello Scipio i codici hanno qua própter Hánnibális copias considerat 3, anche nell’Epicharmus4 haec própter Iúppitér sunt ista quae dico tibi e qua mórtalís atque úrbes beluasque omnis iuvat (quest’ultimo, a rigore, è da correggere anche per il senso, ma i primi due quanto al senso non avrebbero bisogno di alcun emendamento); eppure si tratta certo di settenari trocaici giacché non si vorrà certo credere che Ennio nell’Epicarmo abbia mescolato ai settenari dei versi lirici formati di dimetri giambici catalettici + lecizio. D u n q u e anche i versi tragici elencati dallo Strzelecki (cui si potrebbe aggiungere anche quello delle Eumenides5: dicó vicísse Oréstem vos ab hoc facessite) saranno settenari. Del resto vari esametri enniani sono tramandati senza una sillaba all’inizio  ́ cum illúd quo iám semel est imbuta veneno6, ecc.), e non si vorrà certo sostenere che siano versi formati da monom. anap. + paremiaco! All’infuori di questo non gli ho scritto altro, e quindi fai bene a scrivergli anche tu le tue osservazioni, sulle quali concordo pienamente (particolarmente interessante quella relativa alla presunta esistenza della legge di Porson nei versi tragici latini). Scrivo a D’Anna che mandi il mio libretto di metrica alla Signora Sichirollo che ti prego di ringraziare per l’adozione e a te. Purtroppo io ne ho solo u n a copia superstite, altrimenti l’avrei mandata io stesso. Prego te e la Sig.ra Sichirollo di tener presente che: 1) si tratta di un libretto destinato alla sola scuola media inferiore (quindi 1 2 3 4 5 6 Vd. lett. precedente, a cui la presente risponde. Sui due articoli di Strzelecki vd. lett. 248. Enn. var., 13 V.2. Enn. var., 57 e 58 V.2. Enn. scaen., 149 V.2. Enn. ann., 535 V.2. 514 solo esametro e pentametro, ed eliminazione di tutto ciò che non è assolutamente essenziale); 2) la copertina sarebbe più adatta per un programma di carnevale di Viareggio che per un libretto di metrica; 3) all’ultimo momento, dopo licenziate anche le ultime bozze, quello sciagurato di tipografo cambiò la numerazione delle pagine, cosicché tutti i rimandi vanno aumentati di 8 (per es. invece di «vedi pag. 3» si legga «vedi pag. 11»). 4) a p. 37 mi è sfuggita una fesseria, cioè ho citato tra gli esempi di cesura trocaica un verso di Ovidio (fast. 4, 721) che ha una cesura, semmai, dopo il 4o (e non il 3o) trocheo. Lallo Russo mi ha mandato il Weinreich; debbo ora mandarlo costà ad Italo? Coi più affettuosi saluti tuo Sebastiano T. [PS. ‒] Lo Skutsch mi ha riscritto cercando di convincermi che in quel verso dell’Ifigenia7 bisogna correggere tu delinquis, ego arguor in tu delinquas, ego luam. Dice che Fraenkel e Latte gli hanno dato ragione! 7 Enn. scaen., 225 V.2. Vd. lett. 215. 515 251 Urbino, 9. 10. 1954 Carissimo, ti scrivo a Pisa perché non so se tu continui la tua attività alla Nuova Italia insieme con la scuola, che certo avrai iniziato o starai per iniziare: dove? Mi avevi chiesto del Weinreich1: rimandalo pure direttamente a Russo, perché Italo non mi disse di desiderarlo. Sono tornato da pochi giorni da Milano, dove (oltre ad avere avuto con Castiglioni il colloquio di cui ti scrissi)2 ho conosciuto anche Grilli. Ora siamo tornati a Urbino, dove fa già un freddo del diavolo. Credi che non ho ancora definitivamente chiuso l’articolo sull’additamentum3? A te vorrei chiedere, con vergogna, un ultimo favore, questa volta ultimo davvero. Ho rivisto in foto, adiuvante Billanovichio, φ ed L. Una cosa che non si riesce a determinare dalla foto è, in φ (= Laur. 29, 2, dove l’additamentum è nel margine inferiore del f. 66r), la natura precisa della macchia che si vede sopra l’a di excorias (nella 3a riga, verso l’inizio). Secondo Helm e Robertson, si tratterebbe di abbreviazione di nasale (~) poi cancellata, e la cosa è certo probabile. Ma, poiché inesattezze negli apparati non mancano a proposito (anzi, anche a proposito) dell’additamentum, ti pregherei di vedere, quando ti capita (e senza urgenza, ché la cosa può benissimo essere rimandata alla correzione delle bozze), come precisamente stanno le cose. È sicuro che si tratta di ~ ? si può per caso determinare con probabilità se sia della stessa mano di Zanobi (nota che t u t t o l’additamentum, comprese le glosse, è di mano di Zanobi, come assicura senza esitazione Billanovich)? Chiedere poi chi abbia eraso il ~, se lo stesso Zanobi od altri, sarà un po’ troppo, mi pare4! Il tuo innare per inane nella Sylva in scabiem è ottimo: mi pare che fosse il punto più difficile da sanare5. Zicàri sta studiando un codice interessan- Vd. lett. precedente. In una lett. non conservata. 3 Vd. lett. 225. 4 Nel margine superiore della lettera ci sono appunti di T. relativi alla risposta (vd. lett. seguente). 5 La congettura innare per inane, riguardante i vv. 203-4 della Sylva in scabiem del Poliziano (non illo quisquam fuit atrum innare cruorem / doctior), è accolta nell’edizione di A. Perosa (Angeli Politiani Sylva in scabiem, testo inedito a cura di A. Perosa, Roma 1954, p. 39) e riprodotta in quella più recente (senza apparato) di P. Orvieto (Angelo Poliziano, Sylva in scabiem, Roma 1989, p. 90). 1 2 516 te dell’Oliveriana (del XV), da cui stamperà nel prossimo fasc. degli «St. Oliv.» una lettera inedita del Vergerio (seniore), con critiche, nell’insieme almeno giuste, all’edizione dello Smith6. Dammi tue notizie e dimmi quando e come ci potremo rivedere. Non da queste parti? Affettuosamente tuo Scevola M. Zicàri, Il più antico codice di lettere di P. Paolo Vergerio il vecchio, «SOliv.», 2, 1954, pp. 33-59. 6 517 2521 Firenze, 22. 10. <1954>2 Carissimo Scevola, sono stato finalmente alla Laurenziana e ho visto lo spurcum additamentum in φ (= Laur. plut. XXIX, 2). Dunque: sopra le due ultime lettere di excorias si vede solo la rasura, la quale ha eliminato o g n i t r a c c i a d ’ i n c h i o s t r o . Impossibile, dunque, precisare la natura di ciò che è stato eraso (anche per trasparenza non si vede niente). Tuttavia, a giudicare dalla posizione e dall’ampiezza della rasura, sembra effettivamente quasi certo che sia stato eraso il segno abbreviativo della nasale. La rasura ha all’incirca questa forma: (nota che la s ha la forma ς, non la forma ſ, come apparirebbe dallo Helm). Il fatto che la rasura sia sopra as, e non solo sopra l’a, non costituisce difficoltà, anzi è una conferma, perché anche ganiens e inspiciens hanno la lineetta sopra le ultime d u e lettere: gāníe͞s, ínspícíe͞s. Una macchia ben difficilmente avrebbe avuto l’esatta forma del segno abbreviativo (nel disegno che ho fatto sopra, la rasura mi è venuta un po’ troppo alta, in realtà è più schiacciata, così: Ho portato con me l’edizione di Helm, non ho visto il Robertson; aggiungo perciò due minuzie che certo saranno state già notate dal Robertson o da te sulla fotografia. per e teretē sono uniti in basso da una sottile lineetta. Sopra per– teretem c’è la glossa: ualde rutūdā .ʹ. Il dubbio tra lustrum e lustium mi pare risolubile a favore di lustrum. Tra qualche giorno ti seccherò chiedendo il tuo parere su due o tre passi di Frontone3. Coi più affettuosi saluti tuo Sebastiano N.B. – La Lodi4 non c’era. Ma ad ogni modo quanto alla rasura mi pare Lettera manoscritta. L’anno è facilmente ricostruibile in base al confronto con la lettera precedente, a cui T. risponde. 3 Vd. lett. 253 e 254. La lettera con la richiesta dei passi, cronologicamente intermedia tra queste, non è conservata. 4 Teresa Lodi (1889-1971), direttrice della Laurenziana. 1 2 518 che la cosa sia chiara. Nella fotografia forse la rasura appariva come una macchia? Ho visto Cazzaniga, che di nuovo mi ha parlato di te con grande stima e si è detto spiacente di non averti visto a Milano. 519 2531 Urbino, 28. 10. 1954 Carissimo, mille grazie per le esattissime informazioni su φ di Apuleio2, preziose anche perché (pur trattandosi d’una cosa piccola) permettono di scrivere la glossa a perteretem nella forma valde rutundam anziché valde rotundam, come aveva fatto Robertson. Scusami ancora per questa seccatura. Ora sto proprio finendo l’articolo. Rallegramenti per la cattedra avuta di ruolo, giacché questa desideravi. E anche per aver finito il Leopardi. Vedrò con molto interesse i passi di Frontone3, ma temo di non poterti giovare neanche con una seria impressione, giacché di Frontone non conosco quasi niente, tranne qualche pagina sparsa letta nel Van den Hout quando me lo mandò Perosa. Un particolare di cronaca (anzi, quasi... anagrafico): ho messo qui il telefono, numero 508. Ancora grazie e saluti affettuosissimi dal tuo Scevola PS. ‒ Grazie di quanto mi scrivi di Cazzaniga. Sai, per puro caso, se ebbe da Milano una mia cartolina indirizzata al Classico di Pisa, in cui gli chiedevo anche un estratto di un suo articolo sul Pervigilium Veneris4, del quale anche Castiglioni diceva bene? 1 2 Cartolina postale. In relazione allo spurcum additamentum; vd. lett. precedente, a cui la presente rispon- de. T. stava preparando la recensione all’edizione di Frontone di M.P.J. van den Hout (Lugduni Batavorum 1954), uscita in «ASNP», s. II, 24, 1955, pp. 276-82 (rist. con ritocchi e aggiunte in Contributi1, pp. 345-63). 4 I. Cazzaniga, Saggio critico ed esegetico sul Pervigilium Veneris, «SCO», 2, 1952, pp. 47-101. 3 520 2541 14. 11. 1954 Carissimo Sebastiano, scusami se ho tardato a risponderti su Frontone2 fino al limite del 15 novembre: ho voluto pensare con un po’ di calma ai singoli passi, e d’altronde, come ti dissi, non ho confidenza con Frontone. Ti dico subito che credo che tu abbia pienamente ragione in tutto. 1, 9 – Certo il testo è insostenibile e certo la miglior correzione è <de> ista. Il van den Hout avrà creduto a un abl. di causa (ista mea fortuna) che mi sembra assolutamente impossibile. 25, 8 – Sembra anche a me giusto quod di Orelli. Se non mi sbaglio grossolanamente, ut ... audias vuol dire ‘perché tu possa ascoltare quel che vuoi (i. e. l’orazione) come (quale) lo vuoi (i. e. ben fatta)’. Forse il senso è anche più evidente se non segni la virgola dopo il primo vis. 38, 19 – Assolutamente indispensabile per il senso la tua correzione. Immagino che tu abbia scritto <haud> invece di <non> (del resto è una quisquilia!) in relazione a una preferenza di Frontone o simili. [Leggendo il contesto mi è venuto a un certo momento il dubbio che a l. 9 quidam fosse da correggere in quidem (‘certamente’ o qualcosa di simile, quasi ad anticipare molto di lontano l’opposizione con il si vero di l. 12?), ma mi sembra ora che quidam possa e perciò debba esser salvato (‘Erode deve apparire in questa causa nella figura di un carnefice’)]. 38, 27 sg. – Certo la traduzione di Haines non ha alcuna probabilità di cogliere nel segno. Nella tua lettera scrivi quem ad modum me unum <medendum> putas, che intenderei solo con molta difficoltà (o non sono riuscito a capire?). Forse volevi espungere me unum (come dittografia di modum??) o meglio correggerlo in medendum. Ma ti prego, anche qui, di spiegarmi se sono caduto in un abbaglio. Medendum (per me unum) va certo assai bene. Avrei pensato dubbiosamente anche a quem ad modum [m] <a>e<q>u[n]um putas (‘provvedi a ciò come ti par giusto, conveniente’), che mi pare corrisponda per il senso alla congettura di Ehrenthal; ma non capisco la virgola segnata dal van den Hout (in apparato, riferendo la congettura di Ehrenthal) dopo quemadmodum, e penso che non sarà facile trovare la dissertazione di Ehrenthal. Quanto ad aequum, bisognerebbe presupporre una scrittura equum: per e invece di ae cfr. Proleg. p. xxxvii, e penso che anche il finale -um per -om non dovrebbe fare gran difficoltà. 1 2 Nel margine superiore appunti di T. in relazione alla risposta. Vd. lett. 252. La lettera di T., a cui la presente risponde, non è conservata. 521 Naturalmente [m]- aggiunto per dittografia -MEQVVM preso per -ME ~ VVM; ma una spiegazione paleografica è insufficiente. 45, 14 sgg. – Benissimo. Capisco che si possa forzatissimamente considerare superfluo <doceres>; ma lascerei che lo dicessero altri, capaci di portare esempi di una simile ellissi dovuta al seguente doces. Troppo duro!! Anche <si> simul (non mi pare necessario proporre <si nunc> simul o <nunc vero> satius) è, direi, necessario. Prova magari a ripensare se si potesse tollerare un satius, simul et audire verum me doces ! ‘meglio ancora, mi insegni insieme anche ... ! (e quindi debbo ringraziarti doppiamente)’. Confesso poi che un’idea precisa dell’uso di satius io non ce l’ho e i comuni lessici mi dicono troppo poco. 195, 8 sgg. – L’idea di una lacuna un po’ lunga mi pare giusta. La tua congettura ex. gr. non presenta, mi pare, alcuna difficoltà ed è migliore delle altre. Tuttavia non escluderei del tutto il sed che sembra leggersi in A, perché dopo impigro si aspetterebbe, in sé, piuttosto un sed che un et. Si tratterebbe di vedere se fosse il caso di considerare Adriano ‘difettoso’ anche nell’instruere instrumenta bellorum (e ‘insieme’ nel gerere bella): qui non so proprio se soccorrano altre testimonianze o indizi sulle qualità di Adriano come organizzatore di eserciti od altre espressioni, in qualche modo analoghe a questa, riferite ad altri, su cui per analogia ci si possa basare. Ma avrai già pensato a cercare, e ti ripeto che la tua integrazione non può prestarsi ad obiezioni. Ho corretto finalmente le bozze dell’articolo per la Miscellanea Paoli3, togliendo la citazione timpanariana che non ti andava e sostituendo manusque a manumque in quell’integrazione ex. gr. ad Ennio. Anche a me icter di Italo in quel passo di Lucilio4 sembra probabile o almeno sostenibile. Ancora una parola su Frontone: a proposito dell’ultimo passo (instrum. bellorum) non capisco bene un rinvio del Thes. II 1844, 2 sg., a proposito di queste parole, a Serta Harteliana (una miscellanea?), p. 263, ma penso che non si tratti di cosa importante (forse per accertamento della lezione ms.??). Sbaglio o qualche volta al van den Hout sfuggono errori di latino, come p. xxxiii l. 7 qui per quod? Altri invece, come saeculo per -a p. xxvi l. 4 dal fondo, sono ovviamente errori di stampa. Mi pare di aver fatto un piccolo passo avanti per l’additamentum5 congetturando un semplicissimo nive[i] in hastam mei inguinis nive[i] (prima avevo pensato a n(a)evi<s>) spurci<ti>ei pluscul(a)e excoria<n>s emundavit. Cioè: ‘la ripulì dalla bianchezza della sporcizia’. Nix metaforico per ‘bianchezza’, oltre un paio di esempi più lontani, è proprio in A p u l . De 3 4 5 Vd. lett. 245 e 248. Su cui vd. Mariotti, Studi luciliani (cit. lett. 224), p. 73. Vd. lett. 225. 522 mundo 27 cuius tecta fulgerent eboris nive, argenti luce ecc. E anche dire nive spurcitie pluscula per nivea spurcitie pluscula è nello stile di Apuleio (così come apuleianismi sicuri sono le stesse voci spurcities e plusculus). A proposito, s e hai sottomano Lowe, Scriptura Beneventana (o The Beneventan Script)6, potresti vedermi se nell’indice dei codici in beneventana c’è un De mundo di Apuleio? Ma doveva essere opera diffusa nel medio evo. Ripeto: s e non ti costa troppa fatica: ti ho ormai seccato troppo! Affettuosi saluti dal tuo Scevola E.A. Lowe, Scriptura Beneventana, 2 voll., Oxford 1929; Id., The Beneventan Script, a cura di V. Brown, 2 voll., Roma 19802. 6 523 255 Urbino, 22. 11. 1954 Carissimo, Front. p. 38, 28 – Mi sembra che tu abbia pienamente ragione a conservare me unum, e perciò rinuncio ad aequum1. Tuttavia mi pare che unum <mederi (resistere, occurrere) posse> dia nell’insieme un periodo un po’ contorto, sebbene non impossibile (‘provvedi [o pensa] a come tu credi che io possa ...’). Sarei tentato di prendere in considerazione la lezione di m2 prospicere e di considerare la proposizione come interrogativa diretta: cui rei quem ad modum me unum putas prospicere <posse>? – ‘come pensi che io da solo possa (cercar di) riparare a questo inconveniente?’. Ma ti prego di ripensarci. Alla l. 26 mi pare che qualcosa non sia del tutto chiaro. Perché ‘anche quelli che trattano ... ’? Già agent di Naber non mi pare del tutto ingiustificato dato l’acturi, anche se agunt si può forse tollerare. Poi si aspetterebbe ‘ g l i a l t r i che trattano’. Non tratta la causa anche lui? o non capisco bene? Piuttosto parrebbe superfluo – anzi contraddittorio, dacché lui dice di non voler parlare inclementius – et (corretto da Haupt in ei), che pure si potrebbe considerare come una sovrabbondanza venutagli nello scrivere: ‘avverrà che a n c h e gli altri parlino inclementius contro Erode (come del resto avrei fatto anch’io)’. Dunque et <ceteri> (forse ripreso dal ceteri di p. 39, 12?)?? – oppure <c>et<eri>?? Ma probabilmente sono dubbi ingiustificati, come ingiustificato era il dubbio su l. 9, dove carnifex quidam sarà ‘una specie di carnefice’ (forse quidam ‘attenuante’). 45, 14 sgg. – Ti prego di non citare i n n e s s u n c a s o il mio satius, simul et ... doces! Esso non è che una variante della tua lettura, e poi l’uso di satius è effettivamente strano. Se ti paresse utile in qualche modo, servitene naturalmente come vuoi (non ci eravamo accordati per un uso un po’ libero di suggerimenti reciproci?), ché, data da te come possibile modo di conservazione, quella lettura potrebbe avere forse anche un significato. Ma, di fronte al tuo tentativo (che mi pare ottimamente fondato e che comunque dimostra che tu per primo hai capito come, almeno in sostanza, sta quel passo), il mio avrebbe, citato separatamente, il carattere di un peggioramento iperconservativo. 38, 19 – sicubi ottimo, direi senz’altro sicuro. Per questa e le successive proposte testuali di correzione all’edizione di Frontone di van den Hout vd. lett. precedente. La presente risponde tuttavia a ulteriori osservazioni di T. in una lettera non conservata. 1 524 129, 2 – saviolo mi pare sicuro. Certo anche la conservazione di lege sembra giustificata, anche per lo i u s . . . osculi della riga precedente. Grazie delle informazioni: utile quella del Hauler a Naev. ap. Front. p. 28 v. d. H. (di cui ho preso nota). Avevo visto la recensione in «Latomus»2. Ho letto l’articolo di Biliński3, che anche a me è parso più interessante per Euripide che per Ennio (autentiche sciocchezze scrive su h o m i n e m appellat e sulla commozione di Ennio di fronte a coloro paupertas quorum obscurat nomina). Sono lieto che tu sia d’accordo su nive[i] dell’additamentum4. Forse in extremis ho risolto anche la questione di hyaci. È solo un travestimento grafico di Iacchi (= ‘vini’). Gli h ed y fuori posto non han bisogno di essere giustificati in parole greche; per la scrittura con una sola c (che ha il parallelo nel comune Bachus, vd. Thes. s. v. Bacchus) ho trovato qualche esempio in apparati: p. es. in Nemes. Buc. 3, 62 (ed. Giarratano) G ha hiaco per Iaccho. Decisivo mi pare il confronto con Ser. Samm. 675 languidus antiquo purgatur penis Iaccho ecc.: il vino è dunque un eccitante, e la parola (non comunissima) per indicarlo è la stessa. Nel Manitius non c’è nulla, almeno di complessivo, sul De mundo di Apuleio nel medio evo. Se per caso ci fosse a Pisa S. Costanza, La fortuna di Apuleio ecc., Palermo 1937, che vidi a Firenze (Univ.) con poco frutto, ma ora mi sarebbe utile rivedere, potresti mandarmelo per pochissimi giorni? Scusami! E grazie. Affettuosi saluti dal tuo Scevola La recensione all’Andronico di M. Leroy in «Latomus», 13, 1954, p. 241. B. BiliŃski, Rôle idéologique de la tragédie romaine sous la république, I. L’Alexandre d’Ennius et les premières révoltes d’esclaves, in Tragica III (Travaux de la Société des Sciences et Lettres de Wrocław), Wrocław 1954, pp. 9-54. 4 Vd. lett. precedente. 2 3 525 2561 Pisa, 26. 11.1954 Carissimo Mariotti, il Costanza2 a Pisa non c’è. Venerdì della prossima settimana andrò probabilmente a Firenze e te lo spedirò. Benissimo Iacchi! L’additamentum, in mano tua, è diventato una miniera inesauribile! Grazie delle osservazioni a Frontone. Cito senz’altro quem ad modum me unum putas prospicere <posse>?, che è ottimo. Anche et <ceteri> a p. 38, 26 è possibile. Non lo cito perché, per ragioni di spazio, devo limitarmi ad alcuni casi di lezioni manoscritte s i c u r a m e n t e c o r r o t t e , ma in altra occasione andrà reso noto. Ti prego invece di permettermi di citare il tuo satius, simul et … doces!, che, almeno come possibilità, è senz’altro da prendere in considerazione. Non è vero che sia un peggioramento iperconservativo. Hai ricevuto l’invito per gli «Studi ital. di fil. classica» dedicati a Pasquali3? Io sono in grave imbarazzo perché non ho nulla di filologico da mandare, e d’altra parte mi dispiace non mandar niente4. Frugherò tra vecchi appunti, ma temo proprio di non avere nulla di presentabile. Né vorrei ricorrere alla solita Anth. Lat. (alla quale ho ancora alcune note), argomento troppo marginale. Tanti affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Cartolina postale. Per la richiesta del libro del Costanza, come per la congettura all’additamentum e le osservazioni a Frontone vd. lett. precedente. 3 Si riferisce a «SIFC», n.s., 27-28, 1956. 4 Per il contributo di T. al volume in memoria di Pasquali vd. lett. 259. 1 2 526 2571 Pesaro, 30. 11. 1954 Carissimo, ti scrivo da Pesaro, dove sono ora per gran parte della settimana (e dove ti prego di indirizzare per qualche mese). Sono lieto che Iacchi nell’additamentum ti soddisfaccia2. Grazie molte per il Costanza; ma scusa di nuovo! Ho avuto anch’io l’invito per gli «Studi» ed ho aderito. Ma sono anch’io incertissimo, specialmente ora che questo maledetto concorso magistrale mi fa perdere tempo e bisognerebbe che mi rivolgessi al più presto alle cose neviane, se debbo finire in tempo il libretto per il forse imminente concorso3. D’altronde l’articolo sull’additamentum è troppo lungo per rientrare nei limiti posti ai collaboratori del vol. degli «Studi»4. In caso estremo tenterò di chiedere a Ronconi di fare un’eccezione per me. Hai pensato alla possibilità di dare, noi due insieme, quelle note all’Aegritudo Perdicae? Una collaborazione in comune nostra forse non sarebbe brutta, ma, limitata all’Aegritudo, sarebbe forse un po’ esile. Dimmi cosa te ne pare. Ultimamente ho avuto da Munari per una prima lettura i carmi inediti e gli ho mandato qualche contributo: penso che li avrà mandati o li manderà anche a te. Sono sul comunissimo piano di altra roba dell’Anth. Lat. Grazie della citazione del mio tentativo a Frontone prospicere <posse>?, se ti pare davvero meritevole. (Per fore uti et qui hanc rem agunt non ricordo se ti ho proposto anche fore uti <c>et<eri> ecc., forse migliore perché elimina l’et, che ha poco senso, e cioè prende due piccioni con una fava; ripensandoci, mi pare sempre più necessario anche agent di Naber). Quanto a satius ecc., si quid apud te valeo, non mi citare, specialmente in re tam parva! Anche per evitare l’impressione che noi ci si citi ad ogni cantone e per ogni minuzia! Di’ semplicemente, dopo aver proposto la tua correzione, in parentesi: «(a voler essere anche più conservatori, si potrebbe satius, simul ... doces!)». Fa’ come credi, naturalmente, ma è m e g l i o c o s ì . Affettuosi saluti e scusa la fretta. Il tuo Scevola Cartolina postale. Per questa correzione e gli argomenti trattati successivamente vd. lett. precedente. 3 Su questo concorso a professore ordinario di Letteratura latina, in cui M. riuscì vincitore con A. La Penna e V. Ussani, vd. lett. 271, 275, 280-1, 284-5, 290-1. 4 In realtà sarà proprio questo articolo (vd. lett. 225) ad essere destinato a «SIFC» in memoria di Pasquali. 1 2 527 2581 Pesaro, 29. 1. 1955 Carissimo, è arrivata l’ora che io ti disturbi con la noiosa lettura del mio (specie nell’ultimo periodo) noioso articolo sull’additamentum2. Scusa se te lo mando con correzioni ecc. Ti prego di farmi tutti i rilievi, appunti, suggerimenti che credi (per comodità, falli in margine o correggendo nel testo addirittura). S’intende che l’articolo attende ancora qualche ritocco di forma, oltre quelli probabilmente necessari di sostanza. Vedrai che anche a nive[i] ho rinunciato3, lasciandovi un cenno in nota: può anche darsi che sia giusto, ma certo non è indispensabile, ti pare? Terrei soprattutto che mi riguardassi severamente la conclusione (e introduzione al testo), che non mi persuade del tutto. Anche la chiusa è un po’ a effetto. […] Ti spedisco per espresso, unendo con rinnovate grazie il Costanza4, perché penso che così riceverai domani domenica a Pisa, prima di ripartire per la scuola (ma forse a Pisa torni ogni giorno). Dovrei anche pregarti di farmi tre verifiche in biblioteca, seccantissime e quindi oggetto di molte scuse da parte mia: 1) p. 22 n. 30: puoi vedere se quello che dico sul testo di Boezio (ordine dell’elenco delle note musicali ecc.) e il numero del capitolo risponde alla realtà in un’edizione qualunque più moderna di quella che ho usato io, ché è una quattrocentina? 2) p. 13 e p. 25 nn. 50 e 51: corrispondono le mie citazioni di CGlL (a p. 25) e di Thes. gloss. emend. (a p. 13, dove il numero della pagina è certo esatto, ma non so se ricordo bene che il Thes. è diviso in due voll. con numerazioni distinte)? 3) p. 25 n. 50: qual è il p a r a g r a f o di Cels. 6, 11 eas compositiones ecc., che mi dimenticai di annotarmi? Questa verifica è pochissimo importante, e quindi lasciala pur perdere. Come vedi, e come eravamo forse d’accordo, ho approfittato non citandoti della tua revisione di φ, come di altre cose; scusami. La revisione di quel codice è avvenuta in modo romanzesco. Tra me, te e Billanovich, un po’ a Urbino, un po’ a Friburgo, un po’ a Firenze! Avevo detto tempo fa a La Penna che gli avrei mandato una copia del dattiloscritto o che avrei pregato te di farglielo leggere. Ora penso che non mi 1 2 3 4 La lettera contiene qualche appunto di T. inerente alla risposta. Vd. lett. 225. Vd. lett. 254 e 255. Vd. le tre lett. precedenti. 528 convenga perdere altro tempo, e perciò, s e p e r c a s o doveste parlarne, digli che l’ho intanto fatto leggere a te, ripromettendomi di mandargli il dattiloscritto in un secondo momento. Sulla Miscellanea Pasquali ti scriverò: penso di mandare una noterella oraziana5. Affettuosamente e scusami ancora Scevola In realtà in «SIFC» in memoria di Pasquali M. pubblicò lo Spurcum additamentum (vd. lett. precedente). 5 529 259 Pisa, 31. 1. 1955 Carissimo Scevola, ho ricevuto e letto con grande interesse il tuo articolo1. Innanzi tutto, quanto alle tre precisazioni che desideri, 1) a p. 22 n. 30 ciò che dici sul testo di Boezio è esatto, e anche il numero del cap. va bene; 2) a p. 13 quanto alla citazione del Thes. glossarum emend. non ho potuto purtroppo verificare, perché il Thes. è in prestito, ma vedrò prossimamente colui che lo ha in prestito e glie lo chiederò; a p. 25, n. 51 anthos è in CGlL III 266 (non 276): anthos flos; alla n. 50 non sono riuscito a trovare la glossa anthera semen rosae: in III 276 non c’è; in III 266 c’è solo ἀνθηρός, non seguito da alcuna spiegazione latina. Tu dove l’hai trovato? Forse nel Thes. gloss. emend.? Scrivimi e farò altre ricerche; 3) a p. 25, n. 50: Celso 6, 11, 2 (la divisione in paragrafi c’è nell’edizione del Marx, Lipsia 1915; non c’è nell’edizione del Daremberg, Lipsia 1891, e forse nemmeno nelle precedenti. Nel Marx, se t’interessa, quel passo è a p. 286, 4). L’articolo mi pare assolutamente ottimo; anche nella chiusa non vedo nulla di sforzato. Soltanto un’osservazione d i n e s s u n c o n t o : confesso che il nomignolo di Spurcus appioppato dal Fraenkel all’autore dell’additamentum, pur essendo comodo per la sua brevità, mi riesce assai antipatico, moralistico. Appunto perché, come tu osservi giustamente, egli non è un volgare pornografo, mi pare che sia preferibile chiamarlo altrimenti! (per es. lo pseudo-Apuleio, o l’interpolatore, o simile). Testo apparato, commento, tutto benissimo. Riconosco che nivei è, a rigore, difendibile, eppure personalmente continuo a credere che il tuo nive sia giusto: mi pare che tu l’abbia un po’ troppo relegato. Penso che, pur non mettendolo nel testo, sarebbe meglio proporlo n e l c o m m e n t o e non i n u n a n o t a al commento. Molto incerta mi pare la difesa di excorias tentata dal Gallavotti, ma è vero che, come dici tu, non si possono muoverle obiezioni sostanziali. Nel «Journal of Roman Studies»2 è uscita la mia recensione a Skutsch, The Annals of Quintus Ennius3, ma non mi hanno mandato estratti, almeno per ora. Lì ho citato la tua interpretazione di fero sic contudit indigno4, Vd. lett. precedente. Nell’ann. 44 del 1954, pp. 155-57. 3 O. Skutsch, The Annals of Quintus Ennius: an inaugural lecture delivered at University College London, 29th November 1951, London 1953. 4 Enn. ann., 394-5 V.2, su cui vd. lett. 53. 1 2 530 respingendo l’impossibile foro di Skutsch. Ho visto poi che anche F. De Ruyt, ne «L’antiquité classique», 23, 1954, 211 sg. polemizza bene su questo punto con Skutsch, ma conclude a torto che il passo è irrimediabilmente corrotto. Non so se hai visto in «Gymnasium», 61, 1954, p. 531 sgg. un articolo di Oppermann: Q. Ennius und die Entwicklung des römischen Epos. Non ho avuto ancora il tempo di leggerlo; da un’occhiata mi è parso poco importante e soltanto divulgativo, ma potrei sbagliarmi. Probabilmente lo Skutsch manderà anche a te i resoconti ciclostilati del suo seminario sull’Ifigenia di Ennio. Ieri l’altro ho consegnato a De Robertis il mio malloppo leopardiano5. Quanto alla Miscellanea Pasquali, ho finito per accettare la proposta del Perosa di pubblicare lì insieme con lui una comunicazione su una dialexis di Libanio (o di Coricio) scoperta dal Poliziano e poi di nuovo dal Leopardi, comunicazione che leggemmo al congresso polizianesco del settembre scorso6. Non è certo una soluzione brillante, tutt’altro; ma non avevo nient’altro di presentabile sul momento. Quella congettura a una lettera di Cicerone di cui ti scrissi7 la feci vedere a Castiglioni, che non rimase persuaso. Scrivimi ancora quanto a quel passo del CGlL che non ho potuto rintracciare. Affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Si riferisce al materiale preparatorio per il volume La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247). 6 A. Perosa-S. T., Libanio (o Coricio?), Poliziano e Leopardi, «SIFC», n.s., 27-28 (in memoria di G. Pasquali), 1956, pp. 411-25 (rist. in A. Perosa, Studi di filologia umanistica, I. Angelo Poliziano, a cura di P. Viti, Roma 2000, pp. 125-39). 7 In una lettera non conservata. Si tratterà comunque della congettura a Cic. ad Brut., 5, 1, su cui vd. lett. 261. 5 531 2601 Pesaro, 14. 2. 1955 Carissimo Sebastiano, grazie delle revisioni del Thes. gloss. emend. e del v. d. Vliet2. Finalmente, anche per tuo merito, pare che l’articolo3 sia proprio finito (con qualche modifica su rosacea e un’aggiunta su excoriare, il cui uso osceno, non classico, è invece attestato nel medio evo: Eberardo di Béthune)4. Ronconi, chiudendo un occhio sulla lunghezza, mi promette la pubblicazione nel volume pasqualiano, che mi sembra la soluzione migliore. Ho visto a Urbino il «Jour. Rom. St.» con la tua recensione a Skutsch5, molto giusta, nella quale ti ringrazio per avermi citato ben due volte. E dire che eravamo d’accordo di ignorarci il più possibile! Sono lieto che Perosa abbia ricevuto una chiamata, anche se non la più ideale6. Se ti capita di vederlo, digli che gli scriverò. Affettuosissimi saluti dal tuo Scevola Cartolina postale. La presente segue evidentemente una lettera non conservata, in cui T. doveva comunicare tra l’altro i controlli richiesti sul Thes. gloss. emend. che non aveva potuto effettuare all’epoca della lett. precedente, ma anche ulteriori controlli su un testo di J. van der Vliet – probabilmente l’edizione teubneriana delle Metamorfosi di Apuleio (Lipsiae 1897). 3 Sullo Spurcum additamentum (vd. lett. 225). 4 M. scrive per svista «Edoardo» (ma vd. SMU, p. 57 = SMU 2 = SMU 3, p. 71) e inoltre, qui e nell’art., «Béthunes» per «Béthune». 5 Vd. lett. precedente. 6 Nel 1955, già professore incaricato, divenne professore di ruolo di Filologia medievale e umanistica e fu chiamato all’università di Cagliari (dove ricoprì anche l’incarico di Letteratura latina). 1 2 532 2611 Pesaro, 15. 3. 1955 Carissimo Sebastiano, credo di aver bisogno da te di qualche altro chiarimento sul passo ciceroniano2, che ho letto (dando una scorsa anche alle altre epistole circonvicine) in una vecchia edizione. Non vedo bene la difficoltà del testo tràdito. ‘Io mi diedi da fare per la libertà, che non può esistere senza la pace (quella pace per cui ti davi da fare tu); e (s’intende) ritenevo che la pace ...’. Cioè mentre tu tendevi alla pace soprattutto (lenis come sei), io guardavo anche più in là alla libertà, che presuppone la pace (non reges sed regnum ...)3. Ma probabilmente c’è qualcosa che non capisco. Quanto a qua sine, è possibile (o probabile) in prosa l’iperbato? Grazie dell’indicazione della recensione di De Ruyt4. Ho visto (ma non ancora ricevuto dall’autore) la recensione di Skutsch ai miei libretti5. Sono d’accordo con quanto mi scrivesti tempo fa, che è senz’altro soddisfacente (e prova di una lettura attenta). Tuttavia la critica fondamentale all’Andronico non mi persuade: che Andronico si ponga in una posizione analoga ai postomerici quando traduce Omero mi pare evidente. La critica al mio ragionamento su argenteo polubro6 ecc. è giusta. Forse lì ha ragione Pierac- Cartolina postale. Vd. lett. 259. T. comunque deve essere tornato sull’argomento in una lettera non conservata, magari in seguito ad altra missiva di M., in cui questi gli chiedeva anche i riferimenti completi dell’art. di De Ruyt di cui qui ringrazia (quelli forniti nella lett. 259 sono incompleti, e se si riferisse ad essi avrebbe già ringraziato nella lett. 260). 3 Cfr. Cic. ad Brut., 5, 1 Scis mihi semper placuisse non rege solum sed regno liberari rem publicam; tu lenius immortali omnino cum tua laude, sed quid melius fuerit magno dolore sensimus, magno periculo sentimus. Recenti illo tempore tu omnia ad pacem, quae oratione confici non poterant, ego omnia ad libertatem, quae sine pax [qua sine pax Timpanaro] nulla est; pacem ipsam bello atque armis effici posse arbitror. L’emendamento di T. è accolto da W.S. Watt nella sua edizione (Oxonii 1958) e dagli editori successivi: L. Lenaz (Milano 1971), D.R. Shackleton Bailey (Cambridge 1980; Stutgardiae 1988), J. Beaujeu (Paris 1991). T. non era sicurissimo del suo emendamento e il ripensamento era dovuto, come si ricava dall’apparato di Lenaz sia dalla presenza della clausola nel testo vulgato (quae͞ sĭnĕ pācĕ ) sia dall’anastrofe qua sine. Vd. le due lett. seguenti. 4 Vd. lett. 259. 5 Le recensioni all’Andronico e alle Lezioni su Ennio in «CR» (cit. lett. 225). 6 Liv. Andr. carm., fr. 4 Mor. = 26 Mar.1 = 21 Mar.2. Vd. lett. seguente, 263, 267. 1 2 533 cioni7 a credere che argenteo polubro sia dativo anziché ablativo, a differenza di aureo eglutro. Forse ci tornerò sopra nel Nevio: mi pare che Nevio certe volte si compiaccia di accostare casi diversi con la stessa desinenza per ottenere l’omoteleuto: scopas (acc.) atque verbenas (gen.) ecc.8; deum (acc.) adlocutus... deum (gen.) regis fratrem (qualcosa di simile in Lucrezio)9; magnae me t u s (gen.) tumul t u s (nom.) pectora possidit 10. Ora mi rimetto a lavorare su Nevio. Se ti capita sott’occhio nei prossimi mesi qualcosa che lo riguardi (specie il Bellum Poenicum), ti sarò g r a t i s s i m o se me lo segnali. Affettuosamente Scevola «Maia», 6, 1953, 318. Naev. carm., fr. 31 Mor. = 33 Mar. 9 Naev. carm., fr. 12 Mor. = 49 Mar. 10 Naev. carm., fr. 53 Mor. = 42 Mar. 7 8 534 2621 Pisa, 22. 3. 19552 Carissimo Scevola, la tua spiegazione di quel passo ciceroniano è persuasiva (invece Castiglioni ne aveva data una confusissima), e quindi rinunzio alla mia congettura3. A me era parso che Cicerone dovesse dire: ‘Per te l’esperienza fondamentale era quella della pace – per me quella della libertà, s e n z a l a q u a l e l a p a c e n o n h a a l c u n v a l o r e (e non c h e n o n h a a l c u n v a l o r e s e n z a l a p a c e : in tal caso mi pareva che Cicerone si sarebbe dato la zappa sui piedi, perché Bruto avrebbe potuto ribattergli: – Dunque, ho ragione io a cercare innanzi tutto la pace!): l a p a c e s t e s s a , poi, pensavo che si potesse ottenere con le armi e non con una politica di acquiescenza’. Da un punto di vista rigorosamente logico mi pare ancora che questa avrebbe dovuto essere la contrapposizione. Però vedo ora che la mia congettura pecca di iperlogicismo e che la lezione tramandata si può benissimo conservare4. A rileggerla, la recensione di Skutsch ai tuoi libri mi è piaciuta meno della prima volta: mi è parsa alquanto aciduccia5. Lo Skutsch inoltre, come già gli avevo scritto quando mi mandò il testo dattiloscritto, non ha inteso il cap. IV del tuo Ennio. Su argenteo polubro ripenserò6. Giusta mi pare la tua osservazione sugli accostamenti di finali uguali indicanti casi diversi (scopas atque verbenas ecc.). Che ne pensi del famigerato atque alium libris intactum quaerimus orbem? del fr. di Albinovano Pedone7? (quello in cui l’Alfonsi un tempo Lettera manoscritta. La lettera è datata 22 aprile, ma deve trattarsi del 22 marzo perché risponde punto per punto alla 261 e precede la 262, in cui M. risponde su Albinovano. 3 Vd. lett. 261. 4 Una nota di M. commenta questa affermazione: «l’atteggiamento di Cicerone di fronte a Bruto è conciliante, almeno nella forma, più che polemico». 5 Vd. lett. 225. 6 Vd. lett. 261. 7 Ad Albinovano (v. 19) T. dedicò una nota (Un verso di Pedone Albinovano interpretato da Jean Le Clerc), apparsa in «BollClass», n.s., 7, 1959, pp. 93-5. Sull’argomento T. e M. ebbero un lungo scambio epistolare: vd. lett. 263, 265-6, 279-81, 284-91, 359, 361-3, 366, 441-2. 1 2 535 voleva introdurre lībĕrīs di alcuni mss.!!)8. A me pare che, dato il fallimento di tutti i tentativi di emendamento, sia lecito pensare se non si debba conservare libris: ‘un mondo di cui nessun libro parla’. Così spiegavano difatti i primi editori cinque e seicenteschi; poi cominciò la corsa alle congetture. Per intactus cfr. intactum carmen ecc., e tangere = ‘accennare a …’ 9, detto di un argomento. Libri possono essere peripli, opere geografiche ed etnografiche, raccolte di θαυμάσια e simili. Nessuna fretta nel rispondere: ho accennato a questo frammento così perché mi è venuto in mente, non perché me ne stia occupando. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Cfr. L. Alfonsi, Sul frammento epico di Pedone, «A&R», s. III, 11, 1943, pp. 31-35, in partic. p. 33. 9 M. aggiunge nell’interlinea: «intactos saltus (= concelebrati) Verg. [Georg. 3. 40 sg.]». 8 536 2631 Pesaro, 29. 3. 1955 Carissimo, scusa la carta intestata alla ditta. Non sono affatto sicuro della mia spiegazione del passo ciceroniano2, al quale ti prego di ripensare senza sopravalutarla. Certo quello che pensavi tu è in sé più logico. Con la mia tentata difesa si avrebbe invece un atteggiamento più conciliante, almeno nella forma, e forse questo non è in contrasto con il tono di questa polemica di Cicerone con Bruto: la m i a libertà non era nemmeno pensabile senza la t u a pace. Sul passo di Albinovano, mi pare che nulla di solido si possa opporre alla tua difesa di libris. Solo (ma è poco, specie, come noti giustamente, dopo le congetture infelicissime che ho visto nel Morel; e ce ne saranno forse altre) si aspetterebbe, in relazione con il tono enfatico di tutto il passo, con la tendenza all’iperbole, qualcosa di più che ‘non trattato dai libri’. Puoi rispondere che nessuno poteva impedire a Albinovano di essere un cattivo poeta. Sarei, per ora, per segnare con obelo liberis e mettere in apparato un «libris, recte?». Mi domando: dove pensa di andare costui? Cioè: chi sono quelle gentes? Può darsi che pensi agli ἀντίχθονες? o non piuttosto agli Elisi?3 Se fossero i campi Elisi, non si potrebbe pensare a vivis intactum? uiuif letto liv rif o simili? Ma è un dubbio senza sostanza e senza la necessaria riflessione. Riscrivimi su questo passo, quando ci avrai ripensato4. Scusa la fretta. Grazie se ripenserai a argenteo polubro (dipendente da un (per)fudit o simm.?)5. Affettuosamente tuo Scevola 1 2 3 4 5 Cartolina postale intestata «Università degli Studi. Urbino» (vd. infra nel testo). Vd. lett. precedente, di cui è la risposta. In nota: «Può darsi che queste domande siano infondate». Su vivis vd. lett. 265-6, 279-81, 287-9, 362-3. Vd. lett. precedente. 537 264 Pesaro, 9. 4. 1955 Carissimo Sebastiano, mi sono messo a lavorare a pieno ritmo per veder di finire Nevio entro maggio: mi sono impegnato a consegnarlo entro quel termine a Signorelli di Roma, che lo pubblicherà in una nuova collezione1. Sto ora preliminarmente ripassandomi i frammenti, su cui ho qualcosa di nuovo (ma non molto, unica correzione nel fr. 50 Mor. moéniá <quae> sint quae2; poi 13 credo sia ‘traduzione’ di Hes. Theog. 76 [cfr. in particolare ἐννέα all’inizio di verso] con utilizzazione del contesto esiodeo, in particolare 60, il famoso ὁμόφρονες di cui parlammo; fr. 244 difenderei suas con ellissi di manus, per cui cfr. qualche es. in Löfstedt Beitr. z. Kenntn. d. spät. Latinität 5 89 sg., mentre isque è sicuramente giusto e da difendere in base a vari richiami, anche Enn. i s q u e Hellesponto6 in principio di verso; per 51 penserei alla casa di Priamo, cfr. Verg.7; per 548 confronterei espressioni come cogere sub ius iudiciumque alicuius proprie del linguaggio storico scrivendo suum ( = eius, eorum) con TCV9; e qualcos’altro). Avrò bisogno qualche volta, finché hai pazienza, del tuo parere. E subito una domanda. (Premetto che in genere userei un criterio severo di distribuzione dei frammenti, lasciandone molti incertae sedis ecc.). Una croce è il frammento citato da Varr. l. L. 7, 23, per cui seguono Leo, Sat. Vers 61 n. attribuendolo a tragedia. A sua volta Leo citava la scansione di A. Spengel p. 1 0 5 (immagino dell’edizione di Varrone, la seconda, fatta dopo la morte del padre)10 : ... conférre queánt Il saggio apparve nel 1955 a Roma presso Angelo Signorelli nella collana «Studi e saggi» diretta da Ettore Paratore (S. M., Il ‘Bellum Poenicum’ e l’arte di Nevio. Saggio con edizione dei frammenti del ‘Bellum Poenicum’), della quale vennero fatte successive edizioni e ristampe: una seconda edizione, emendata da refusi e sviste, nel 1966, una nuova ristampa riveduta e corretta nel 1970 e infine, per i tipi di Pàtron editore, una terza edizione con un’appendice di Naeviana recentiora, Bologna 2001. 2 Fr. 31 Mar. 3 Fr. 51 Mar. 4 Fr. 18 Mar. 5 Löfstedt, Beiträge zur Kenntnis der späteren Latinität (cit. lett. 113). 6 Enn. ann., 378 V.2. 7 Fr. 43 Mar.; cfr. Verg. Aen. 2, 310-1 Deiphobi ... a m p l a ... | ... domus. 8 Fr. 40 Mar. 9 Sigle dei codd. di Don. ad Ter. Andr., 55, che tramanda il frammento. 10 A. Spengel, M. Terentii Varronis De lingua Latina, Berlin 1885; ma in realtà il Leo 1 538 ratem aératám, | qui pér liquidum mare súdantes | eunt átque sedentes <sátagunt>. Strano però che non si siano accorti della difficoltà dello iato ratem|aé- (a questo proposito, se c’è lo Spengel a Pisa, ti pregherei di vedermelo). Si potrebbe ovviare con la correptio rătem aĕrátam (in dimetri anapestici catalettici o settenari anapestici). Ma resta che, se è tragedia, dovrebbe essere praetexta per via del riferimento a navi da guerra (vedi Varrone), e una praetexta nota di Nevio che potesse trattare di quest’argomento non c’è. Cichorius, Rom. Stud.11, 37 sg. sembra propendere per Bellum Poenicum, pur notando che altrove Varrone cita sempre il titolo delle preteste (ma è cosa poco grave: le citazioni sono poche e Varrone è estroso). L’argomento mi pare che porti decisamente al Bellum Poenicum. Certo una scansione saturnia è piuttosto forzata, ma non impossibile. Tenterei … conférre | queánt ratém aerátam (o ratem aérá-) || qui pér liquidúm maré (cfr. regnátorém marúm fr. 12, 3) | sudántés eúnt (cfr. sardáré queúnt fr. 55) || átq’ sedéntes ... (peggio atqué sedentés) oppure (peggio?) | conférré queánt (cfr. sardáré queúnt) || ratem aératám quí per | liquidúm maré sudántes || eúnt átq’ sedéntes |. Insomma: ti pare il caso di metterlo nel Bellum Poenicum? o parlarne nell’introduzione con un non liquet12? Affettuosi auguri. Devoti auguri a tua Madre. Il tuo Scevola PS. ‒ Debbo ripensare anche a apud emporium13, di cui già parlammo. Ora mi parrebbe di doverlo dare a Nevio perché Festo cita sempre versi interi dalle tragedie di Ennio (vd. Vahlen)14, tranne eccezioni spiegabili. Forse finirei per metterlo alla fine del Bellum Poenicum fra i versi di dubbia attribuzione. Scusami tutte queste scocciature! Da lunedì ritornerò a Urbino (Villa Gloria). rinviava a A. Spengel, Der saturnische Vers, «Philologus», 23, 1866, come ha annotato T., che ha anche trascritto il brano che interessa nel marg. superiore della seconda e terza pagina della lettera, in vista della risposta (vd. lett. seguente). Nel margine superiore della prima pagina, sempre di mano di T., un appunto dall’edizione del De lingua latina di Spengel. Vd. lett. successiva, 266, 268. 11 C. Cichorius, Römische Studien: historisches epigraphisches literargeschichtliches aus vier Jahrunderten Roms, Leipzig-Berlin 1922. 12 Cfr. BP, pp. 93-4 (=BP 3, pp. 86-8). 13 Naev. carm., fr. 34 Mor. = 58 Mar. Sulla questione vd. BP, p. 119 (= BP 3, pp. 117-8). 14 C. Naevi De bello Punico reliquiae ex recensione I. Vahleni, Lipsiae 1854, pp. lxv sgg. 539 265 Pisa, 12. 4. 1955 Carissimo Scevola, sono contento che il tuo Nevio sia a buon punto1. Le congetture e interpretazioni a singoli frammenti che brevemente mi comunichi (e che in parte già conoscevo) mi sembrano tutte convincenti. L’unico punto su cui, naturalmente, si rimane sempre incerti è quel famigerato conferreque aut ratem aeratam … La citazione del Leo da «A. Spengel p. 105» si riferisce non alla edizione varroniana, ma all’articolo Der saturniche Vers, in «Philologus» 23, 1866, p. 105. Ti riferisco il passo: «Das von Vahlen saturnisch gemessene Fragment des Naevius, aber ohne Angabe des bellum Punicum, bei Varro VII 23: conférre | queánt ratem aératám qui || per líquidum máre sudántes | átque eúnt sedéntes || ist sowohl durch die Auflösung zweier Arsen hinter einander als durch den Schluss des ersteren Verses mit dem relativum und den ganzen Rhythmus für saturnisches Versmass nicht passend; es ist ohne Zweifel einem Drama des Naevius entlehnt und wahrscheinlich anapästiches Versmass; man stelle ratem queant und behalte dafür die überlieferte von O. Müller und Vahlen verlassene Wortstellung eunt atque bei: conferre ratem || queant aeratam || qui per liquidum || mare sudantes || eunt atque sedentes». (Ogni volta che ho messo la doppia sbarra ||, nel testo si va a c a p o . ) Nella seconda edizione di Varrone de l. L. (emend. L. Spengel, Leonardo patre mortuo edidit et recognovit filius Andreas Spengel, Berlino 1885, p. 126), A. Spengel, peggiorando notevolmente il suo precedente tentativo, scrive: «Conferti equitant || rate in aerata qui per liquidum || mare sudantes eunt atque sedent ||». In nota cita il suo articolo nel «Philol.» e Vahlen, Naev., p. 172, e aggiunge: «versus sunt anapaesti, qui sic quoque distribui possunt, ut voce aerata primus versus terminetur». Il Nevio del Vahlen qui non c’è e io non l’ho mai veduto. Sembra, ad ogni modo, che il primo ad ammettere l’iato ratĕm áe- sia stato il Leo (o che addirittura, per distrazione, non si sia accorto che ratis ha l’a breve??). L’esigenza da te formulata, che il frammento appartenga per il suo contenuto al Bellum Poenicum e non a un dramma, è giusta. Resta il fatto che ad una scansione in saturni veramente persuasiva (e non soltanto p o s s i b i l e ) non si riesce ad arrivare. Della scansione del Vahlen che ne dici? Non so se le due soluzioni consecutive per lĭquĭdum mărĕ siano una vera difficoltà; 1 2 Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. C. Naevi De bello Punico reliquiae (cit. lett. precedente). 540 forse no. Naturalmente si potrebbe benissimo lasciar stare eúnt atqué (o atqu’ = ac) senza trasporlo. Ho ricevuto oggi l’articolo sulle varianti d’autore3. Non c’è che dire: nonostante il mio scetticismo pregiudiziale, devo riconoscere che le tue tre dimostrazioni sono condotte benissimo e che in tutti e tre i casi l’ipotesi della variante d’autore, almeno metodologicamente, non fa una grinza. Lo hai mandato a Skutsch e a Fraenkel? (A proposito di Fraenkel: corre voce che l’estate prossima voglia venire niente meno che a Pesaro! ne sai niente?) Quanto al frammento di Albinovano Pedone4, senza dubbio libris è tutt’altro che bello! Il tuo vivis è la prima congettura sensata che sia stata finora proposta (ché flabris, aligeris e simili sono pure e semplici sciocchezze); penso che andrebbe pubblicata. L’unica difficoltà mi sembra, non tanto la sua lontananza, in senso assoluto, dalla tradizione manoscritta (poiché, attraverso uibis, ci si potrebbe arrivare con non troppa difficoltà), quanto la poca probabilità che una lezione così piana come vivis si corrompesse in quello strano libris. Resta inoltre il fatto che, bene o male, libris è sostenibile. Insomma io sarei per mettere libris nel testo e vivis nell’apparato con un «fortasse recte»; ma ci ripenserò. Credo ad ogni modo, ripeto, che la tua congettura sia da pubblicare. Con tanti affettuosi saluti Sebastiano [PS. ‒] Mia madre ricambia a te e alla signora i più cordiali augurî. 3 4 M., Probabili varianti d’autore (cit. lett. 220). Vd. lett. 262. 541 266 Urbino, 15. 4. 1955 Carissimo Sebastiano, grazie molte della precisa ed esauriente risposta su conferre queant1. Attendo di giorno in giorno il Nevio di Vahlen, che c’è alla biblioteca di facoltà di Bologna, ma credo che non ci sia nient’altro di notevole su quel frammento. Quanto alla scansione del Vahlen, in per líquidum máre sudántes la difficoltà maggiore mi pare data dal fatto che nella seconda arsi non c’è mai soluzione se c’è fine di parola; e questo è, credo, un fatto non casuale, se si tiene conto che la seconda arsi può avere le proprietà della fine di verso. Se il frammento si dovesse dare al Bellum Poenicum (non so proprio cosa fare; forse accennarvi, per ora, nell’introduzione ai frammenti, dato che questa sarà solo una προέκδοσις?), insisterei su conferre | queant ratem aeratam || qui per liquidum mare | sudantes eunt || atq’ sedentes. Ma, sebbene per ciascun colon si riescano a citare dei paralleli, hai perfettamente ragione che non si tratta di scansioni persuasive. Curiosa quella svista del Leo per ratem || aératám con iato in anapesti (o con errore in rātem, a quanto giustamente dici). Doveva evidentemente aver bisogno di liberarsi di quel frammento; e si è liberato forse troppo in fretta nella stessa nota anche di cum tu arquitenens sagittis pollens dea2, che Macr. Sat. 6, 5, 8 cita subito dopo B. P. fr. 30 Mor.3 (introdotto con Naevius b. P. libro II) introducendolo con idem alibi. Non si può dire se alibi valga ‘in un altro libro’ o ‘in un’altra opera’, ma certo è che la scansione saturnia (cum tu árquitenéns sagíttis | polléns deá ...) non è più improbabile di quella anapestica (cum tu árquitenéns sagittís | polléns dea ...); certo la stretta parentela di espressione con il frammento citato subito prima da Macrobio (le stesse parole: arquitenens, sagittis pollens) e soprattutto l’identità di posizione di sagittis nel saturnio (se del secondo frammento si dà scansione saturnia) sembrano a me favorevoli all’attribuzione al B. P. Fra parentesi: anche in Ann. 175 (tum cum corde suo ecc.) Ennio avrà sentito pater ... rex come voci coordinate distanziate in asindeto; cfr. 580 divumque hominumque p a t e r r e x ? Solo un dubbio, perché la certezza non mi pare si possa ottenere4. Fraenkel effettivamente ha progettato di venire a Pesaro in settembre per 1 2 3 4 Sul fr. vd. le due lett. precedenti. Naev. carm., fr. 62 Bl. Vd. lett. 268. Fr. 15 Mar. Vd. lett. 268. 542 un paio di settimane. Me ne scrisse qualche tempo fa dicendo che la spiaggia di Pesaro (da lui vista durante la passeggiata che facemmo una mattina) gli piace. In fondo non mi dispiace, perché interromperà la mia solitudine filologica; anche se naturalmente vorrà catechizzarmi a fare il commento a Plauto, che è deciso che io non farò mai. Mi fa piacere che non ti sia parso da buttar via del tutto il mio vivis ad Albinovano Pedone5; a cui però anch’io credo poco, e almeno per ora non credo di pubblicarlo! La cosa migliore sarebbe che tu stampassi la tua difesa di libris (possibilmente pescando qualche espressione affine; ma non è indispensabile) e al massimo accennassi in nota, dopo le congetture altrui, che ti avevo quondam prospettato vivis. «Fortasse recte» per vivis, è troppo. Affettuosi saluti e grazie ancora. Il tuo Scevola 5 Vd. lett. 263. 543 2671 Urbino, 27. 4. 1955 Carissimo, ho avuto alcune cose di Skutsch, fra cui l’estratto della recensione, a cui ho risposto ringraziandolo, riconoscendo la giustezza di certe critiche (fra cui quelle all’ὕστερον πρότερον in argenteo polubro)2, riconfermando di essere dello stesso parere su arbitro ahenis e sull’attribuzione (pur non totalmente sicura) a Ennio del frammento citato da Isidoro (e dato a Nevio per la somiglianza con un verso della Tarentilla). In particolare ho insistito sull’interpretazione della figura letteraria di Andronico, pur ammettendo di aver fatto troppo posto al nome di Antimaco. Quanto a Volsculus (estratto di Skutsch dal «Rh. Mus.»)3, gli ho detto che, sebbene acuto, non persuade abbastanza. Fabio può aver notato che in VOLSCI e SICVLI le lettere sono, tranne una, le stesse, e con una commutatio e qualche traiectio può aver creduto di giustificare la sua etimologia. In fondo VOLSCI da SICVLI non è molto più pazzesco che februarius da inferi (Fulvio Nobiliore apud Varr. l. L. 6, 34). (Ma non sono riuscito a trovare, in una rapida ricerca, casi di tante traiectiones in un etimo antico). Affettuosi saluti dal tuo Scevola 1 2 3 Cartolina postale. Vd. lett. 261. O. Skutsch, Volsculus, «RhM», 98, 1955, pp. 94-6. 544 2681 Pisa, 29. 4. 1955 Carissimo Scevola, ricevetti anch’io alcuni giorni fa l’articolo di Skutsch2, e troppo precipitosamente gli scrissi che ero d’accordo. Adesso vedo che la tua critica è perfettamente giusta, e che la pseudoetimologia di VOLSCI da SICVLI per transpositio e immutatio è assai più probabile che la trafila supposta da Skutsch. Avrei fatto meglio ad aspettare a scrivergli; comunque, se capiterà l’occasione gli farò sapere che ho cambiato parere. Capisco che la scansione vahleniana per líquidum máre sudántes è insostenibile3. Giustissimo quanto scrivi a proposito di cum tu arquitenens sagittis …4: senza dubbio le maggiori probabilità sono per l’appartenenza al B. P. Un po’ incerto rimango quanto ad Ennio, Ann. 175, nonostante l’acuto confronto con 5805. Anche se Ennio intese pater … rex come parole coordinate in asindeto, già i primi lettori di Ennio avranno riferito divum soltanto a pater e hominum soltanto a rex. Ma ci ripenserò6. Affettuosissimi saluti dal tuo Sebastiano Cartolina postale manoscritta. In alto, vicino alla data, M. ha appuntato: «dirgli venuta Bolelli». 2 Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 264. 4 Vd. lett. 266. 5 Vd. ancora lett. 266. 6 M. ha aggiunto nell’interlinea: «certo, così anche Virgilio». 1 545 2691 Pesaro, 26. 6. 1955 Carissimo Sebastiano, grazie mille della notizia proveniente da La Penna, che ho subito comunicata a Italo. Non ricevo i resoconti di Skutsch; ma per ora non avrei davvero il tempo di leggerli2! Sto lavorando disperatamente, come supponevi nella tua, al Nevio, che naturalmente non guadagnerà da questa fretta. Chissà se mi resterà il tempo di farti rileggere, approfittando della tua pazienza, qualcosa su cui mi sarebbe, più che gradito, necessario, avere il tuo giudizio? Ora dovrei pregarti, sempre per questa faccenda, di una cosa. In appendice vorrei ristampare i Contributi ai frammenti scenici di Nevio usciti anni fa, come ricordi, negli «Studi Urbinati»3. In qualche punto naturalmente modifico alcune cose. Poiché vi sono vari contributi tuoi (su com. 26 credo che tu abbia pienamente ragione)4, ti prego di dirmi se hai altro da osservare ecc. e di fare, se hai tempo, una lettura di controllo. In particolare, su trag. 305 (come su altre cose) credo di aver avuto torto e vorrei esaminare la possibilità di leggere senari: † alis (alii?) sublimen altos ́ ubi bípedes ecc., cioè inlicít(e) con verso ipermetro. Potresti, saltus inlicīt(e) però, vedere (forse in L. Müller, De re metr.6? o altrove?) se questi senari ipermetri si trovano anche in casi diversi da quelli che ricordo, cioè quando il verso finisce con -que? Scusami la noia che ti dò, e la fretta. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Risponde a una lett. di T. non conservata. Vd. lett. 259, ma T. deve essere tornato a chiedere a M. se li avesse ricevuti. 3 «StudUrb.(B)», 24, 1950, pp. 174-90. I contributi, con alcuni ritocchi, in appendice a BP, pp. 127-44; nella terza edizione, per volere dell’autore, sono stati sostituiti da Naeviana recentiora. 4 Vd. lett. 141. 5 Vd. lett. seguente e 277. 6 Cit. lett. 94. 1 2 546 270 Pisa, 2. 7. 1955 Carissimo Scevola, purtroppo non sono riuscito ad appurare nulla sui senari ipermetri1. Del De re metrica di L. Müller2 a Pisa e a Firenze c’è solo la prima edizione (1861), nella quale sono citati solo i soliti esempi di e s a m e t r i ipermetri. Ma credo che anche la seconda edizione (che andrebbe chiesta in prestito esterno da Roma) non contenga niente, perché l’opera del Müller è De re metrica ecc. praeter Plautum et Terentium e in pratica, oltre Plauto e Terenzio trascura anche i frammenti scenici dell’epoca repubblicana. Ho guardato il Vollmer (in Gercke-Norden) ma non ho trovato niente. Avrei voluto vedere il Lindsay e il Klotz, ma il Lindsay è in prestito, e il Klotz, che io stesso avevo consultato tante volte negli anni scorsi, è smarrito! (Nelle biblioteche italiane, maledizione, non si può studiare!). Vedrò a Firenze. Anch’io ricordo soltanto senari ipermetri con que. Ho riletto i tuoi Contributi al testo di Nevio, che fai benissimo a ristampare in appendice al tuo libro; non ho nulla di nuovo da osservare. Solo ti raccomando di togliere le numerosissime citazioni del mio nome (in nessun altro tuo articolo così numerose come in questo), le quali si riferiscono per lo più a inezie, o addirittura (come a p. 12 dell’estratto, sull’uso di ornamentum) a consultazioni di lessici fatte per tuo incarico! U n a s o l a v o l t a è giusto e io ho piacere che tu mi citi, cioè a proposito di com. 26 (illi – ipse astat, quando edit!). E basta. Quanto al Carmen Priami, dire «la riuscita dimostrazione del Timpanaro» è troppo3. Fra l’altro, il Fraenkel mi scrisse alcuni anni fa una lettera molto aspra su questo mio articolo4, dicendo che la possibilità di Casmenas nom.-voc. plur. era tutt’altro che dimostrata, perché laetitias può essere un fatto sintattico e non morfologico. A sua volta lo Skutsch, mentre accettò la mia interpretazione di veteres, negò che Casmena fosse un falso arcaismo, e mi oppose casmillus/cămillus. Insomma, tutto il problema andrebbe riesaminato, cosa che io ormai non ho più voglia di fare. Ho avuto fra mano il dattiloscritto degli epigrammi di Campana-Muna- Vd. lett. precedente, a cui la presente risponde. Müller, De re metrica (cit. lett. 94). 3 S. T., Il ‘Carmen Priami’, «ASNP», s. II, 16, 1947, pp. 194-200 (rist. con ritocchi in Contributi1, pp. 94-114). 4 A proposito di veteres Casmenas vd. lett. 149. 1 2 547 ri5. L’edizione è ottima, e ho ammirato alcune tue congetture molto felici. Anche il Munari e il Fraenkel hanno emendato brillantemente vari passi. Io ho comunicato al Munari l’unica congettura che mi è venuta in mente: in quel passo in cui il cod. dà auget per rus, e il Munari ha congetturato otia dat rus tu (meglio) auget ager rem o res, penso che sia possibile rimanere più vicini alla tradizione scrivendo auget opes rus6. Coi più cordiali saluti il tuo Sebastiano Si tratta del testo per la stampa di Epigrammata Bobiensia, detexit A. Campana, edidit F. Munari, II. Introduzione ed edizione critica, a cura di F. Munari, Roma 1955. Come è noto il vol. I non uscì mai. Sopperisce ora egregiamente O. Portuese, Per la storia della tradizione degli Epigrammata Bobiensia. Con una disamina delle Carte Campana e un testimone inedito, Roma 2017. 6 Epigr. Bob., 26, 3, dove sia Munari che Speyer mettono a testo la congettura di T. Vd. lett. 271-4. 5 548 271 Pesaro, 4. 7. 1955 Carissimo Sebastiano, grazie per quanto hai fatto per i senari ipermetri1. Anche nel Lindsay, Early Latin Verse2, che ho, non ho trovato nulla. È curioso che non ci si riesca a documentare su una cosa così semplice. Ancora non ho messo mano alla rielaborazione di quell’articolo, e quindi, dato il poco tempo che mi resta, non potrò ritoccarlo tanto quanto ne avrebbe bisogno. Ma pazienza. E speriamo che, almeno, esca in tempo per il concorso3! Io credo sempre ‘riuscita’ la tua dimostrazione sul Carmen Priami4. Quanto a laetitias insperatas, bisogna anche dire che tu sei partito da quella che è opinione corrente degli studiosi (bisognerebbe forse rivedere Meister in «Indogerm. Forsch.» 26, 1909, p. 85 sg. citato da Sommer, Handb.5, 329) e che d’altra parte esempi letterari ravvicinabili a questo (per l’epoca ecc.) dell’uso sintattico a cui allude Fraenkel non so che ci siano fuori della prima declinazione. Quello che poi non mi persuade affatto già a prima vista è il richiamo di Skutsch a casmillus > cămillus. Questo è soltanto un etimo di Varrone De l. L. 7, 34, che deriva una parola latina da una greca, della cui esistenza in latino Varrone stesso non sapeva nulla. Ci si può basare su questo per ammettere la legittimità del passaggio Casmena > Cămena? In quel passo degli epigrammi di Munari il tuo <o>pes mi pare molto buono, anche perché ritocca una parola soltanto e salva rus, che in quel contesto non è davvero senza senso. Eppure (forse perché, lì per lì, mi parve di aver azzeccato e sono rimasto sotto l’influenza dell’impressione primitiva) non sono del tutto sicuro di opes. Per sembra suggerire prepotentemente ager, che (se non ricordo male, perché una copia l’ho a Urbino, non qui) si trova nel passo corrispondente dell’epigramma gemello; e rus si potrebbe spiegare come scritto erroneamente per influenza di pelag u s finale del verso seguente (o anche come errore psicologico??). Ancora auget ager allittera, il che sembrerebbe non casuale dopo il Per questo e gli altri argomenti trattati vd. lett. precedente. Lindsay, Early Latin Verse (cit. lett. 17). 3 Vd. lett. 257. 4 T., Il ‘Carmen Priami’ (cit. lett. precedente). 5 F. Sommer, Handbuch der lateinischen Laut- und Formenlehre: eine Einführung in das sprachwissenschaftliche Studium des Lateins, Heidelberg 1914. 1 2 549 precedente recte rem qui regit. Ma insomma opes è più semplice e probabilmente più metodico. Certo quegli epigrammi sono interessanti. Non conosco i contributi di Fraenkel. Non so se abbia fatto nulla per l’epistola di Penelope. Se hai tempo, mettrebbe conto che ci pensassi tu. Io non ero riuscito a niente. Affettuosi saluti e grazie ancora dal tuo Scevola 550 2721 Pisa, 8. 7. 1955 Carissimo Scevola, all’Universitaria di Firenze il Klotz non c’è; a Pisa, come ti ho scritto, è smarrito, per colpa di bibliotecari cretini e irresponsabili2. Ti ringrazio per la ‘difesa’ del mio articolo sul Carmen Priami3. Dovrei riesaminare tutta la questione. Ad ogni modo, sarà prudente non dare senz’altro come sicura, e nemmeno come molto probabile, la mia ipotesi. Ronconi è qui per gli esami di maturità; ti ricorda con simpatia. In quel passo degli epigrammi bobbiesi, ammetto che auget ager rem è possibile4. Tuttavia per può risalire a opes non meno bene che ad ager; lo scambio di r con s si trova in altri due passi di quegli epigrammi. L’elegia di Penelope è davvero difficilissima; a me non è venuto in mente nulla5. Ora ho restituito il dattiloscritto al Munari. Affettuosamente tuo Sebastiano 1 2 3 4 5 Cartolina postale manoscritta. Vd. lett. 270. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 270. Vd. lett. precedente. 551 2731 Pesaro, 21. 7. 1955 Carissimo Sebastiano, grazie della cartolina con Munari2 ecc. E grazie delle altre ricerche fatte per me. Il tuo <o>pes in quell’epigramma mi pare ora ancora più probabile (dopo il tuo rilievo paleografico), per non dire del tutto sicuro3. Penso che Munari dovrebbe metterlo nel testo. Io sto finendo la maturità di Pesaro (e Urbino) e il libro neviano, di cui spedisco domani, con ritardo sul previsto, l’ultima parte. Aspetto la tua lettura e le meritate critiche (anche per la fretta della stesura, madre di errori) per quando (spero assai presto) sarà uscito. Affettuosi saluti dal tuo Scevola 1 2 3 Cartolina postale. La cartolina non è pervenuta. Vd. lett. 270. 552 2741 Pesaro, 12. 9. 1955 Carissimo Sebastiano, mi dispiace molto (come è dispiaciuto anche a Fraenkel) della tua mancata venuta, peraltro comprensibilissima dato il cambiamento di casa e le bozze. Le quali mi fanno intravedere molto prossima la lettura del libro leopardiano2! Io ho finito di correggere le seconde bozze del Nevio, che dovrebbe uscire a giorni. Fraenkel continua a sconsigliare di occuparsi di frammenti. È un po’ curioso, ma in fondo assai umano sotto la scorza arcigna. Lamenta che l’edizione di Ennio stia per essere fatta da Skutsch anziché da te, di cui riconosce e magnifica le qualità, neque iniuria! Ho pregato fortemente Munari di togliere dall’apparato il mio auget ager res3, essendo ormai sicuro che tu hai ragione. Non è tuttavia certo che ci riesca, dato lo stato avanzato della stampa del libro. Ho letto la sua introduzione, buona, anche se troppo sicura nell’attribuire la raccolta a Naucellio e un po’ esagerata nel cercare sottili corrispondenze strutturali nella raccolta stessa. Affettuosi saluti dal tuo Scevola 1 2 3 Cartolina postale. T., La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247). Su questa lezione vd. lett. 270. 553 2751 Pesaro, 12. 10. 1955 Carissimo Sebastiano, il Nevio, di cui mi chiedi gentilmente, è uscito in tempo per il concorso2; o meglio ne sono uscite le copie indispensabili per il concorso, mandatemi subito dall’editore, mentre le altre stanno tardando, ma non potranno più tardare molto. Non so quante me ne destinino in tutto. Comunque è ovvio che, entro pochi giorni, ne riceverai una o da me direttamente o dall’editore con la solita (puramente formale) preghiera di recensione. A mia volta io aspetto il tuo Leopardi3, e l’aspetto, ormai, impazientemente, perché sono ora più libero e cerco letture interessanti al di fuori del solito latino arcaico. Tuttavia a quest’ultimo ritornerò presto per l’edizione di Andronico e Nevio, che vorrei fare davvero4. Ma ne riparleremo. Quanto alla citazione del tuo manusque5, guarda che io ho mantenuto la persuasione che, alla fine, tu mi lasciassi libero di citarlo. Se ho ricordato male, ti chiedo scusa, ma ti assicuro della mia buona fede. Concordo in pieno con il tuo giudizio sul Valerio di Munari6. Hai avuto l’edizione di epigrammi attribuiti a Seneca di Prato7? Nell’insieme può anche essere utile; ma, a parte gli errori di stampa anche rilevanti (non tutti corretti nell’errata), è da lamentare che sia stato così generico sulla questione dell’autenticità (lascia aperta la possibilità che t u t t i gli epigrammi siano autentici: fra l’altro, in uno c’è un muliēre!). Anche il commento è utile per confronti ecc.; ma è nell’insieme un commento troppo ‘formalistico’, che sfugge in genere le questioni di sostanza e, mi pare, dove c’è qualche difficoltà grossa, aiuta poco. Per ora temo che non mi sia facile venire in Toscana; quanto vorrei che tu avessi, anzi cercassi l’occasione di venire da queste parti! Molti saluti affettuosi dal tuo Scevola Risponde a una lettera di T. non conservata. Vd. lett. 257. 3 Vd. lett. precedente. 4 M. aveva progettato un’edizione complessiva di Livio Andronico e Nevio, che con l’Ennio di T. avrebbe completato la triade degli arcaici; vd. lett. 285, 391, 437. In questa direzione sembra orientata anche la proposta di Cazzaniga di includere il progettato volume nella collana da lui diretta (vd. lett. 316). 5 Vd. lett. 99. 6 Marci Valerii Bucolica, a cura di F. Munari, Firenze 1955 (19702) . 7 C. Prato, Gli Epigrammi attribuiti a L. A. Seneca, introduzione, testo critico, commento, Bari 1955. 1 2 554 276 Pisa, 5. 11. 1955 Carissimo Scevola, finisco di leggere oggi il tuo Nevio, che mi è giunto alcuni giorni fa. Si tratta di uno studio ottimo sotto ogni rapporto. Se nell’Andronico mi era sembrato di scorgere, per quanto riguardava la tesi generale, qualche leggera forzatura (senza con ciò aderire affatto alle sciocchezze scritte da Drexler e in parte anche da Skutsch)1, qui invece tesi generale e contributi singoli sono ugualmente convincenti, e il tuo saggio caratterizza come meglio non si potrebbe l’arte di Nevio e la sua posizione culturale. Sui primi due capitoli sai già che sono pienamente d’accordo; non meno belli sono il terzo e il quarto, ed esemplare per rigore metodico l’edizione dei frammenti (come già quella di Andronico). Io sono davvero curioso di vedere se – dopo questo nuovo tuo contributo non solo filologico in senso stretto, ma storico-culturale e critico-letterario – avranno ancora il coraggio di definirti «estroso congetturatore»2. Tra le osservazioni particolari sparse nel tuo saggio, mi sembrano specialmente felici quelle sugli Atlantes a p. 60 sg.3 (penso che Fraenkel consentirà), su Naevius poeta a p. 66 n.4, su suavissumum a p. 67 n. 85 (si potrebbe forse vedere nella lezione manoscritta una traccia della grafia suavisumum senza la geminata, come nell’epitafio di Scipione Barbato parisuma? Ma forse è meglio lasciar perdere!), sull’uso dell’imperfetto a p. 766 (ottima!). Senza dubbio giuste sone le osservazioni su blande et docte a p. 30 sg.7; nel mio quarto articolo enniano, p. 31 n. 18, avevo anch’io opinato che quegli avverbi fossero più adatti a Didone, ma ora mi ricredo. (In margine a quella mia nota vedo segnato un rinvio a Th. B. de Graff, Naevian Studies, New York 1931, cap. 2, recensito in «Phil. Wochenschrift» 1932, col. 1256, ma non so se si tratti di un lavoro interessante). Bellissima continua a parermi l’integrazione moenia <quae> sint quae9: forse avresti dovuto metterla più 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Le parole da «senza» a «Skutsch» sono aggiunte a mano in nota. Vd. lett. 209. = BP3, pp. 56-7 In margine segno di attenzione di M., vd. anche infra. = BP3, p. 62 nota 5. = BP3, p. 63 nota 8. Vd. lett. 279. = BP3, pp. 70-1. = BP3, p. 34. Sugli articoli enniani di T. vd. lett. 9. Naev. carm., fr. 50 Mor. = 31 Mar. 555 in rilievo citandola anche nel saggio, speriamo comunque che non sfugga ai recensori. Quanto a concinnat (fr. 22)10, non mi è accessibile in questo momento quel volume di «Glotta» con l’articolo dello Schuster11; ma non significherà ‘concia per le feste’, ‘aggiusta’ (in senso ironico, come nelle frasi ‘ora t’aggiusto io’, ‘ora lo sistemo io’ e simili)? Senza dubbio sarà stata già proposta questa interpretazione. L’unico punto su cui rimango un po’ dubbioso sono gli esametri preletterari. L’unico argomento in loro favore mi pare l’esistenza dei Carmina Marciana12. Ma l’argomento di Ussani tratto dall’olim di Ennio Ann. 214 mi par debole: Ennio può benissimo aver usato l’olim in senso ironico-sprezzante, per sottolineare che con lui si era iniziata una nuova era, e che tutto ciò che era stato scritto prima di lui era quindi ‘preistorico’, anche se, in realtà, erano passati solo pochi decennî. Cfr. is dictus ollis popularibus olim qui tunc vivebant ecc.13 Così pure non aderirei senz’altro all’osservazione del Pascoli da te citata a p. 83 n. 6214. I bacchei e i cretici sono certo molto più facili dell’esametro, tant’è vero che molte parole latine, e tra le più comuni, non entrano nell’esametro, mentre non c’è, credo, nessuna parola che non possa entrare, più o meno facilmente, in un verso cretico o bacchiaco15. Quanto poi allo scioglimento della prima arsi dell’esametro, c’è pur sempre capitibus nutantis …16. Io allora lo attribuivo a una tragedia, ma era, come tu stesso mi facesti osservare, una soluzione più abile che persuasiva. Con questo non voglio negare la legittimità dell’ipotesi di esametri preletterari – anzi, ripeto, i Carmina Marciana sono a favore della tua tesi –; soltanto, essa mi appare ancora piuttosto incerta. L’edizione degli epigrammi senechiani di Prato, di cui mi parlavi nell’ultima tua lettera, non l’ho ancora vista. Un amico, Vincenzo Tandoi, che s’interessa anche lui dell’Anthologia Latina, me ne ha dato un giudizio che coincide col tuo. Avrete ragione senz’altro. Il mio Leopardi filologo non è ancora uscito, ma ormai non dovrebbe Naev. carm., fr. 39, 3 Mor. Vd. anche lett. successiva. «Glotta», 16, 1928, pp. 131 sgg. Sul problema M. tornerà in Concinnat in Naev. Carm. frg. 39, 3 Morel, in Kontinuität und Wandel. Lateinische Poesie von Naevius bis Baudelaire. Franco Munari zum 65. Geburtstag, Hildesheim 1986, pp. 1-5 (= SFC, pp. 42-45; BP3, pp. 143-7). 12 Vd. lett. 202. 13 Enn. ann., 306-7 V.2. In margine segno di attenzione di M. affiancato dalla nota: «importante (olim di tempo recente)»; cfr. i ripensamenti di M., lett. 278. 14 = BP3, p. 77 nota 62. 15 In margine M. annota: «ma p. es. una parola come recurreret in bacchei o cretici non va». 16 Enn. ann., 490 V.2, su cui vd. lett. 15. 10 11 556 tardare molto17. Te lo manderò appena uscirà, e naturalmente ti sarò grato se mi comunicherai obiezioni riguardanti sia l’impostazione generale, sia singoli punti. Di nuovo grazie, e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano PS.18 ‒ Quando hai tempo e senza nessunissima fretta, vorrei che dessi un’occhiata a Festo, p. 439 Lindsay (329 Müller): non ti pare che sia da leggere vitio impudicitiae mollescere[t] (infinito dipendente da fertur?)19. Poco più sotto vitolandarum sarà violandarum come scrivono tutti gli editori, ma non escluderei del tutto vitiandarum. Forse il codice da cui fu copiato F aveva vitiandarum corr. in viol-. Più sotto ancora patet effugium piuttosto che refugium, ma di quest’ultima correzione mi pare che abbiamo già parlato un’altra volta. 17 18 19 Vd. lett. precedente. Aggiunta manoscritta. Sulla congettura vd. lett. seguente e 279-81, 284, 348. 557 277 Pesaro, 7. 11. 1955 Carissimo Sebastiano, grazie molte della tua lettera e della lettura attenta del mio Nevio, che mi fa molto piacere che ti sia piaciuto ma che temo ti sia piaciuto più del merito1. Rispondo seguendo la traccia della tua. Sugli Atlantes (60 sg.) Frankel ha dato a vedere di non consentire (gli avevo fatto leggere qui a Pesaro, in bozze, queste pagine e l’edizione), dicendo che la mia ipotesi era sullo stesso piano di quella di H. Fränkel, ma non ha insistito sulla sua, che più ci ripenso più mi sembra debole. Mi fa piacere che tu sia d’accordo. P. 67 n. 8: molto acuto il tuo suavisumum (con il richiamo a parisuma). Quando sarà il momento, ti chiederò se ti parrà il caso di ricordare questa ipotesi nella mia edizione (molto futura; ma sono deciso a farla) sia pure in forma dubitativa. A me ora parrebbe di sì. L’obiezione che si potrebbe fare è che, se non ricordo male, tracce di scritture senza geminata sono assai rare nei codici di arcaici e d’altra parte si potrebbe pensare che, per un pasticcio forse non impossibile, il copista abbia raddoppiato la m anziché la s (nel leggere un suavissumum in fretta e con approssimazione e naturalmente senza capire). Sono molto contento di quello che mi scrivi sull’imperfetto in gratulabatur ecc. (p. 76): io sono rimasto molto in dubbio e ho temuto di dire una bestialità. P. 30 sg. (su blande et docte): anche Fraenkel, che prima propendeva per la tesi opposta, dice ora di stare ricredendosi e cita anche, in favore della tesi di Leo, Jacoby, FGH III b (Noten) p. 338 sg. (volume non ancora in circolazione). Non ho mai visto il libro della de Graff perché da una recensione di Fraenkel in «Gnomon»2 sembrava chiaro che non c’è nulla di importante. Quanto a concinnat (p. 22)3 si dà un caso ben curioso (non il primo, del resto) di coincidenza fra noi. Alcuni mesi fa Fraenkel mi mandò da Oxford un foglio con un appunto sulla congettura del Palmer (vastam ... concinnat), a me ignota, con alcune osservazioni che lo facevano apparire piuttosto favorevole ad essa e con una critica allo Schuster e a Leo Litgesch. 80 n. 2. La congettura del Palmer mi parve assurda (e per di più presuppone che il testo fosse già letto da Nonio in forma corrotta, come del resto notava anche Fraenkel). Io risposi a Fraenkel con una lunga lettera (dopo aver letto nel frattempo lo Schuster) in cui criticavo la congettura del Vd. lett. precedente, a cui la presente risponde dettagliatamente. 9, 1933, pp. 504-6. 3 Le osservazioni qui esposte sono poi approfondite da M. in Concinnat in Naev. (cit. lett. precedente). 1 2 558 Palmer (soprattutto con l’argomento del τρίκωλον, che mi pare definitivo) e dicevo che a me era sempre parso che concinnat fosse detto ironicamente, come noi diciamo4 ‘aggiustare’, ‘(ri)assestare’, ‘sistemare’ (p. es. il capitale di qualcuno), in francese ‘ajuster’, ‘arranger’ (cfr. Larousse du XX s., s. v.) e confrontando il sia pur non identico Ter. Heaut. 950 sg. Syrum ... adeo exornatum dabo, adeo depexum (= ‘ben pettinato’, cfr. Thes. s. depecto; altri ‘strigliato’, ma a torto) dabo ecc. Per me anzi, per ora, è ironico anche il decoratos (più probabile di decoratas) di Naev. trag. 305 (cfr. exornatum; e questo passo di Nevio trova corrispondenze formali notevoli in Plaut. Rud. 986, Trin. 823 ecc.). Restava a me, e mi resta un po’ ancora, il dubbio sull’opportunità di quest’ironia in un passo che pare solennemene epico; ma ricordavo la frequenza di atteggiamenti sarcastici in Omero, qualche volta anche nel racconto epico (non solo in discorsi di personaggi). Fraenkel non mi rispose sulla faccenda (né ne abbiamo riparlato a Pesaro) e io, nel dubbio e nella fretta, mi limitai a criticare Schuster e Palmer, sul che ero sicuro, e a rimandare. Ora sono molto contento di vederti sulla stessa via, e ti sarò grato se ci ripenserai con me. Non so che altri abbia pensato la stessa cosa; Schuster e altri non ne dicono nulla. Di molte cose neviane dovremo parlare, se ne avrai voglia. Io ora mi sono messo a rimuginare sui frammenti del Lycurgus, su cui ti scriverò, prima o poi, a lungo6. Poco di testuale (forse proinde (monos.) vos invece di proinde huc del Ribbeck al v. 46), ma vari particolari di interpretazione, disposizione dei frammenti, metrica, per cui mi sarà preziosa la tua conoscenza a fondo delle Baccanti, che ho solo riletto ora. Sugli esametri preletterari ti sapevo poco d’accordo, e in effetti il tuo punto di vista ha le sue buone ragioni. Ma se profezie si facevano in saturni ai tempi di Ennio, perché dire olim? Sempre che s’intenda Fauni vatesque come autori di profezie ecc., non poeti. Ma ci voglio ripensare. Sulla facilità di mettere nei bacchei e cretici qualunque parola non sarei d’accordo, se sono vere le leggi fissate per questi versi (in parte uguali a quelle di senari ecc. e in più mancanza o quasi di correptio). P. es. un amaverit (scelgo a caso) non può entrarvi. Festo p. 439 L.: ottimo mollescere[t], che mi pare sicuro. Curioso che nessuno, sembra, abbia dubitato della tradizione. Un punto non capisco bene (forse per influenza della grammatica ‘normativa’): perché bibisset e non bibat o biberit? Forse perché, scrivendo in fretta come spesso Verrio (e peggio Varrone!) sente il mollescere, più che dipendente da fertur, da In margine: «(trascrivo gli ess. da un appunto: sono quasi gli stessi tuoi!)». Vd. lett. 269. 6 Sull’argomento M. tornò molti anni più tardi in Una similitudine omerica nel ‘Lycurgus’ di Nevio, in Poesia latina in frammenti. Miscellanea filologica, Genova 1974, pp. 29-33 (= SFC, pp. 23-7 = BP3, pp. 121-6). 4 5 559 un putabant o simm. (per poi tornare al presente: largitur)? Nella seconda edizione del Lindsay manca poi il punto prima di Ennius, ma è certo errore di stampa; e avrebbe fatto bene, direi, in entrambe le edizioni a non mettere punto prima di ob eam rem. Vitiandarum è assai fine: forse lasciare nel testo viol- e suggerire in apparato vit-, la cui spiegazione migliore è quella da te data, ma viene fatto di pensare anche alla facilità particolare con cui nel testo di Festo si scambiano i ed l (cfr. Linds.1 p. ix) (e quindi viti- > vitl- > vitol-). Pate<t ef>fugium: giustissimo! Refugium non va. Aspetto il tuo Leopardi7. Se per caso vuoi l’Anthol. Lat. di Prato, dimmelo (strano che non te l’abbia mandata; appena ne ho l’occasione, glielo ricordo. Ti cita anche). Soprattutto: ho avuto, dopo incredibili sforzi, gli Epigr. di Munari8, di cui, a torto, vogliono ritardare la diffusione in attesa del primo volume (Campana!). Non è da escludere che l’abbiano mandato anche a te; altrimenti dimmelo e te lo mando. Avrei in progetto di recensirlo per «Gnomon», se mi riesce di farmene incaricare. Affettuosi saluti e scusa la fretta; ma non volevo tardare a ringraziarti. Il tuo Scevola 7 8 Vd. le due lettere che precedono. Munari, Epigrammata Bobiensia (cit. lett. 270). 560 2781 Pesaro, 8. 11. 1955 Carissimo, mi accorgo di essere stato ieri2 troppo frettoloso su versibus quos olim. Certo la possibilità di un olim in tono spregiativo non dev’essere trascurata; ma non capisco bene quello che scrivi3: «per sottolineare che con lui si era iniziata una nuova era, e che t u t t o c i ò c h e e r a s t a t o s c r i t t o prima di lui era quindi ‘preistorico’» ecc. Ma con versibus ecc. non mi pare che Ennio si riferisse a scritti letterari, bensì a predizioni, formule religiose ecc. O è da intendere diversamente? Ma Ann. 306 (is dictust ... olim) è certo un argomento fortissimo per la tua interpretazione, e io non ci avevo fatto caso. Cioè Ennio può dire olim per un tempo niente affatto lontano. Per i cretici e bacchei, piuttosto che amaverit (che, a rigore, potrebbe trovarsi, ma solo se preceduto da monosillabo), p. es. refecerit o simili. Quanto a capitibus ecc., per la mia tesi non farebbe, mi pare, gran difficoltà che la tecnica ‘primitiva’ e ‘popolare’ dello scioglimento si fosse conservata (se si conservò), certo meno frequente, negli Annali. Affettuosamente tuo Scevola 1 2 3 Cartolina postale. Cfr. lett. precedente. Vd. lett. 276. 561 279 Pisa, 13. 11. 19551 Carissimo Scevola, grazie della lettera e della cartolina2. Quanto ad olim, effettivamente avevo preso, nella fretta di scrivere, un abbaglio, perché lo avevo riferito ai versi di Nevio anziché a quelli dei Fauni vatesque! Quanto ai cretici e bacchei, non avevo considerato, a torto, le regole riguardanti i rapporti tra parola e piede; tuttavia penserei che, nonostante queste regole, sia molto più facile scrivere cretici e bacchei che esametri. Ma ad ogni modo riconosco che nessuna delle mie obiezioni ha valore decisivo (neppure, come è ovvio, quella riguardante capitibus. Io sono ormai sicuro che quel verso appartenga agli A n n a l i , ma resta il fatto che la tecnica degli Hedupagetica è molto più rozza). Mi fa meraviglia che Fraenkel non abbia accettato la tua interpretazione di Atlantes. Avrebbe dovuto accettarla con gioia, perché essa permette di accogliere la sostanza del suo articolo che, altrimenti, risulterebbe del tutto inaccettabile. Sono contento che già tu abbia pensato all’interpretazione ironica di concinnat. Io la credevo un’interpretazione diffusa. Mi sembra l’unica possibile (scarterei senz’altro la congettura vastam). Assai probabile mi sembra anche proin(de) vos in quel verso del Licurgo. Gli Epigrammata di Munari li ho visti appena stampati, in settembre, a Roma in casa di Campana. Speriamo che il Campana (uomo di grandissimo valore, ma, purtroppo, di lentezza esasperante) si decida a metter fuori il primo volume3. Ho anch’io promesso a Campana e a Munari una recensione, per «La parola del passato» o per gli «Ann. della Scuola normale». Tra qualche tempo vorrei riprendere un po’ in mano l’Anthologia Latina, e allora ti chiederò in prestito, se non l’avrò nel frattempo ricevuta dall’autore, l’edizione di Prato4. Mi fa piacere la tua approvazione quanto a mollescere e a vitiandarum5. Per quest’ultimo sono anch’io del parere che convenga lasciare nel testo violandarum. Quanto a mollescere, il Grassi mi fa osservare che, a rigore, mollesceret si può conservare, mettendo virgola semplice (e non punto e 1 2 3 4 5 Tra la città e la data: «(via S. Paolo 11)». Vd. lett. 277-8, a cui la presente risponde dettagliatamente. Vd. lett. 270. Vd. lett. 275-7, 279-80, 282. Vd. lett. 276 e 277. 562 virgola) prima di quam, e considerando la frase quam … mollesceret come una vera e propria relativa, e non come una di quelle ‘relative apparenti’ che nel discorso indiretto vanno all’infinito6. Forse non ha torto; avrei piacere, senza nessunissima fretta, di sapere di nuovo il tuo parere. Quanto a bibisset e non bibat, la spiegazione sarà quella da te accennata. Penso di riunire questo e altri due o tre contributi in un articoletto di adversaria7. Fra l’altro, vorrei sostenere la difendibilità di libris intactum … orbem in quel frammento di Pedone Albinovano8: difendibilità sostenuta già ai primi del Settecento da Jean Le Clerc, e trascurata poi del tutto dagli editori recenti. In quest’occasione vorrei anche accennare al tuo vivis, come all’unica congettura sensata finora proposta9. Ti spedisco domani il mio Leopardi filologo10. Inutile dire che, trattandosi di una lettura assai indigesta, puoi procedere senza alcuna fretta. Come vedrai, su molti passi di cui il Leopardi si occupò ci sarebbe ancora da riflettere e da discutere. Tanti affettuosi saluti dal tuo Sebastiano [PS. ‒]11 Su suavisumum sono io stesso molto scettico12. Possibilissimo che il copista si sia confuso tra ss e mm come tu supponi. Possibile anche che la semplice s risalga non a Nevio ma all’errore assai comune tra i copisti (come in generale tra gli incolti) di scrivere semplici le doppie. Nota in margine di M.: «cuius potor mollesceret andrebbe, non, a rigore, quam qui bibisset mollesceret (cioè is … mollesceret, e quindi non relativa)». Vd. lett. successiva. 7 Il contributo su Fest. p. 439 L. alle pp. 298-9 di S. T., Tre noterelle, in Studien zur Textgeschichte und Textkrtitik, hrsg. von H. Dahlmann und R. Merkelbach (Festschrift Günther Jachmann), Köln-Opladen, 1959, pp. 297-300 (rist. con ritocchi e aggiunte in Contributi1, pp. 195-205; 395-6; 506-8). 8 Vd. lett. 262. 9 T. aggiunge a mano in calce: «E accennerò anche alla difesa di lībĕrīs sostenuta da Luigi Alfonsi!» (vd. lett. 262). 10 T., La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247). 11 Aggiunta manoscritta. 12 Vd. lett. 276. 6 563 280 Pesaro, 1. 12. 1955 Carissimo Sebastiano, comincio col rispondere alla tua lettera1. Su Fest. p. 439 L.2 l’osservazione di Grassi non mi pare, a rigore, giusta, perché la proposizione vitio impudicitiae mollescere o -ret non è in nessun caso una relativa, apparente o no. Infatti bisogna sempre intendere o ( i s ) ... mollesceret (nel qual caso non si capisce da cosa dipenda quel congiuntivo), o (i s fertur) ... mollescere (Timp.), e questa mi pare la soluzione giusta. Capisco che si potrebbe dire che quam ... mollesceret potrebbe, a senso, equivalere a cuius potor vitio impudicitiae mollesceret, nel qual caso si avrebbe una relativa che potrebbe anche essere reale; ma il costrutto grammaticale è quello che è. Ti si potrebbe obiettare che la tua è una congettura razionalistica, non tenente conto che in sostanza la frase equivale a cuius potor ecc.? Io francamente non temerei questa accusa, tanto più che con quam qui bibisset, se non sbaglio, comincia qualcosa di nuovo, che non è affatto integrante di quel che precede, ma aggiunge una notizia nuova. ‘Quella fonte si chiama S. per una ninfa, che evidentemente vi abitava; questa fonte aveva queste caratteristiche, e quindi Ennio u s a S a l m a c i d a i n q u e l c e r t o s e n s o … ’ . O sbaglio? Quanto al frammento di Albinovano Pedone3, ci ho ripensato parecchio in questi giorni e l’ho riletto con attenzione (non tutto è chiaro, direi, nei primi versi; ma non è questo che importa). Libris continua a parermi difendibile, e degno di esser difeso, ma in fondo non mi convince per una ragione di tono, di opportunità, direi, retorica. In quel punto poco importa che ne parlino i libri, ma importa che sia un mondo non raggiunto dagli uomini. Ma siamo d’accordo che non basta questa critica contro la tradizione. Sull’uso di libri non ho potuto far ricerche: si può dire così semplicemente libri per dire, pressappoco, la letteratura o simili? Forse sì, ma non so. Quanto a vivis, io sono in dubbio se convenga citarlo (come giustificava flabris lo Haupt? hai visto i suoi Opuscula?)4. La giustificazione che tentai di darti altra volta di questo vivis doveva essere molto zoppicante. Che si possa pensare davvero al regno dei morti (o meglio dei beati) e queste siano le gentes positae alio sub cardine non mi pare sostenibile. Forse l’interroga- 1 2 3 4 Si tratta della lett. precedente. Vd. lett. 276. Vd. lett. 262. Cit. lett. 67. 564 zione dei vv. 18-19 è un ‘assurdo’, perché aliae gentes e un alius orbis non ci sono ultra; se si è giunti all’estremo limite del mondo (cfr. i precedenti vv. 16-17 orbemque ... tenebris). Tuttavia f o r s e si potrebbe pensare: ‘un altro (inesistente) mondo a cui vivo non è arrivato nessuno’ – quasi vivis quidem intactum. A non abbandonare del tutto vivis mi spingerebbe Verg. Aen. 6, 154 regna i n v i a v i v i s (detto però degl’inferi). (Non ho visto la nota di Norden, se vi siano altri rinvii o paralleli). Del resto anche paleograficamente uiuis non è chiarissimo. Si potrebbe forse partire da libris (uibif > librif, con tentativo d’interpretazione del copista?). Potrei forse formulare così: ‘an lib(e)ris ortum ex vivis (cf. Aen. 6, 154 regna invia vivis)?’. Ma vedi tu. In ogni modo è congettura fatta dubbiosamente, anche perché libris non posso escluderlo. Se hai pensato altre cose su tutto questo frammento, ti prego di dirmelo. Nello stile mi pare parecchio vicino a Lucano. Ho scritto a Prato che ti mandi il libro5; altrimenti, quando ti servirà, dimmelo. Ho doppi due estratti di Waszink (note a Manil. I e Ter. c. Hermog.)6. Se non te li ha mandati, fammelo sapere (non sono del tutto disprezzabili). E ora vengo al Leopardi 7, di cui prima di tutto ti ringrazio molto. L’ho letto con molta attenzione, anche se non sostando sui singoli passi esaminati. Senza nessuna enfasi ti dico che è un libro magnifico, esemplare. Unisce due cose che di rado vanno insieme: un gusto preciso delle questioni puntuali, della filologia ‘pura’ (che tu giustamente definisci avvicinandola all’arte ‘pura’) e un interesse largo, umano, storico e ‘politico’ (in senso alto) per il mondo recente e presente. In questo lavoro si sente bene che ti sei avvicinato al Leopardi non per una curiosità erudita, ma per simpatia verso l’uomo (e anche, direi, verso il suo pessimismo fiorito di entusiasmi) e per interesse per una problematica filosofico-culturale che è la tua e quella degli uomini colti del nostro tempo. Perciò è anche più apprezzabile l’enorme lavoro che evidentemente questo libro ti è costato: esaminare manoscritti, studiare autori antichi spesso quasi ignorati, individuare riviste e pubblicazioni rare o poco note. Anche per questa somma di lavoro comunque il tuo libro è prezioso (con il suo indice). Per quello che io so, è l’unico libro esistente in Italia dove si faccia seriamente storia della filologia8. Certe pagine sulla filologia in Italia (come 255 sgg.) sono fondamen- Vd. lett. 275. J.H. Waszink, In Manilii librum primum observationes, in P. de Jonge et al. (edd.), Ut pictura poesis. Studia Latina P.J. Enk septuagenario oblata, Leiden 1955, pp. 204-14; Id., Observations on Tertullian’s treatise against Hermogenes, «VetChr», 9, 1955, pp. 129-47. 7 Vd. lett. precedente. 8 In nota a piè di pagina: «Qual è l’editore romano dei Contributi di Momigliano che citi?». Si riferisce a Contributo alla storia degli studi classici, Roma 1955. Vd. lett. 282. 5 6 565 tali, come tutti i chiarimenti sul passaggio dalla cultura antiquaria di tipo settecentesco alla nuova e le molte notizie (e soprattutto gli orientamenti) sulla filologia tedesca nell’ ’800. Benissimo anche sul Mai. Molte osservazioni anche non testuali colpiscono per il loro acume: così 159 Platone ellenisticizzato ecc. ecc. Chiarissima e credo nuova la caratterizzazione dei taumasiografi (166 sgg.). Molto bella la scoperta della fonte del passo dei Paralipomeni a p. 230 sgg. Tu mi chiedi delle critiche. È molto difficile farne, almeno a me. Se questo libro l’avessi voluto e saputo fare io, l’avrei fatto così come tu l’hai fatto. Forse in qualche punto si può notare una certa duplicità di atteggiamento nei confronti delle congetture e contributi di Leopardi: anche le congetture scartate perché non più attuali (in quanto fatte su testi errati o fatte prima da altri ecc.) possono essere più illuminanti sul metodo e il valore della critica leopardiana di altre. In altre parole, tu, e necessariamente (anche per ragioni pratiche), ti muovi fra il fine di studiare il Leopardi e quello di comunicare congetture tuttora valide ecc. e questo forse lascia un po’ in ombra i n q u a l c h e p u n t o lo studio dell’evoluzione del Leopardi filologo, che del resto non manchi di mettere in evidenza in generale. Qualcuno può darsi che ti attribuisca troppa simpatia per il Leopardi filologo: io gli darei torto, perché i suoi limiti li hai visti e precisati in più punti con ammirevole chiarezza. Forse il ‘difetto’ di Leopardi filologo è quello di non aver fatto tutto quello che doveva e capiva di dover fare per lavorare sistematicamente (procurarsi codici, edizioni moderne, studi); ma s’intende che le ragioni ambientali e la salute sono fondamentali scusanti. Nel suo lavoro e nei suoi interessi, attraverso le sue pagine, sembra di vedere un po’ troppa desultorietà (questione, oltre tutto, anche di carattere, fisicamente ‘nervoso’ o spiritualmente ‘poetico’). Troppo filoleopardiana forse l’ipotesi della sua scoperta delle clausole in Simmaco (113 sg.), fors’anche perché il Leopardi non aveva, come dici giustamente, un grande senso metrico e prosodico. L’obiezione al Croce a p. 235 n. 2 mi pare formulata in modo un po’ eccessivo, anche se tocca un difetto indubbio dell’idealismo. Io qui non ne so molto di preciso; ma l’evoluzione dello spirito dovrebbe essere concepita come lotta, contrasto con un non-spirito, che sarebbe però qualcosa di inerente allo spirito stesso come limite. Ma chissà che fesserie sto dicendo. E vorrei concludere (dopo averti detto che ho trovato un solo errore di stampa, ἅ per ἃ a p. 180 l. 1) dicendoti che il tuo Leopardi è uno dei libri più belli e seri che abbia mai letto. Scusa la fretta. In questi giorni ho anche i nervi perché so che da oggi si riunisce la commissione per il nostro concorso e non riesco a stare tran- 566 quillo perché penso che la mia stessa possibilità di lavorare con calma nel futuro dipende da un giuoco di bussolotti9! Un’affettuosa stretta di mano dal tuo Scevola 9 Vd. lett. 257. 567 281 Pisa, 6. 12. 1955 Carissimo Scevola, ti sono molto grato per le tue affettuose parole, e sono contento che, nell’insieme, il mio Leopardi filologo abbia incontrato la tua approvazione1. Senza dubbio molti punti andrebbero ancora approfonditi. Uno di essi è la ‘scoperta’ delle clausole di Simmaco: il tuo scetticismo è certamente giustificato, data la scarsissima preparazione prosodica e metrica del Leopardi, ma d’altra parte non sono riuscito ad individuare alcuna fonte del Leopardi (e, di solito, le fonti del Leopardi sono facilmente riconoscibili, perché tranne pochissime eccezioni, possiamo ricostruire quasi con sicurezza l’elenco dei libri che egli lesse). Molto giusta è poi la tua osservazione riguardo a un certo dualismo, che nel mio libro si nota, tra l’esigenza di segnalare i contributi leopardiani tuttora validi e l’esigenza di tracciare la linea di sviluppo del Leopardi filologo. Di questo dualismo mi sono accorto anch’io mentre scrivevo il libro, ma non sono riuscito a superarlo del tutto, anche perché volevo soddisfare insieme le esigenze, assai distanti tra loro, di diverse categorie di studiosi (italianisti, storici della filologia, filologi classici). Sulla desultorietà dell’attività filologica leopardiana siamo d’accordo, e io credo che siano vere entrambe le cause da te notate: l’incapacità fisica di lavorare a lungo e l’irrequietezza spirituale. Anche quanto alla sparata anticrociana di p. 235 n. 2 riconosco di avere forse ecceduto; ma ero sotto l’impressione della lettura del saggio sul Leopardi in Poesia e non poesia, saggio che è davvero uno dei più brutti che Croce abbia mai scritto e che riprende in gran parte i motivi dell’‘antileopardismo reazionario’ di Tommaseo, Capponi, ecc. Senza dubbio l’idealismo non esclude il contrasto, la lotta dello spirito col non-spirito; ma Croce in quel saggio sostiene che «il povero Leopardi» non ebbe un’evoluzione intellettuale, perché la sua vita fu «strozzata» dalle infermità fisiche: «il Foscolo visse e si svolse, e il povero Leopardi no». Questa non è più la lotta dello spirito col non spirito, ma è lo spirito condizionato dalla natura. Non ti pare? Ma, ripeto, riconosco che il mio accenno è troppo frettoloso e sgarbato. Grazie anche per la segnalazione di quell’errore di stampa (un altro è a p. 151 in fondo, κτίξω per κτίζω). Su libris in Albinovano Pedone sono d’accordo con te2: la lezione manoscritta è difendibile, ma non del tutto persuasiva. Tuttavia osserverei che 1 2 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 262. 568 Pedone, scrivendo libris intactum, ha forse voluto esprimere un’iperbole ancor più forte che hominibus intactum: un mondo, cioè, non solo non raggiunto mai da alcun uomo, ma addirittura non menzionato neppure in alcun libro: qualcosa di ancor più sconosciuto, dunque, dell’Atlantide o dell’ultima Thule, le quali almeno sono state menzionate da qualche scrittore. Penserei, insomma, che sia da intendere quasi = vel libris intactum. Vivis mi sembra che possa andar bene nel senso da te precisato, senza tuttavia escludere che Pedone alluda al regno dei morti o dei beati. (Mi viene in mente, ma forse non c’entra un bel nulla, Dante: «mi volsi a retro a rimirar lo passo Che non lasciò giammai persona viva»)3. Haupt, Opusc.4, III 2, p. 414 giustificava flabris con un riferimento ai vv. 8-9: iam sidere limo navigia et rapido desertam flamine classem … Ma è un riferimento che non significa nulla, perché Pedone non parla di ‘un mondo privo di venti’, ma semplicemente descrive una violenta tempesta (v. 7 sg.) seguìta da un repentino cessare del vento, mentre le navi rimangono incagliate in bassifondi. Quello che è davvero difficilissimo è il principio del frammento, con quegli accusativi e quegli infiniti che non si capisce da che cosa dipendono. La sola correzione di iam quidem (v. 2) in iamque vident non mi pare che risolva il problema. L’articolo di Kent in «Class. Rev.» 17, 1903, p. 3115 mette bene in rilievo le difficoltà inerenti a tutte le soluzioni finora proposte. Il Kent vorrebbe scrivere iamque vident al v. 1 e iam pridem al 2, ma anche questa soluzione mi lascia un po’ incerto. Tu che ne pensi? Su mollescere e mollesceret in Fest. 439 L.6 sono ancora incerto. A rigore non mi sembra si possa escludere che quam … mollesceret sia una vera relativa, intendendo appunto is qui bibisset = ὁ πιών, potor. Tuttavia credo anch’io che sia il caso di proporre, sia pure in forma dubitativa, mollescere. Giorni fa ho visto Italo che aveva discusso poco prima, con ottimo successo la tesi di perfezionamento. Purtroppo è ripartito subito. […] Non so se, a quest’ora, sia stato deciso il tuo concorso7. Ti rinnovo i più vivi auguri per un successo che è tardato già troppo e che questa volta non dovrebbe mancare, se esiste ancora un minimo di onestà nei giudici. Fammi sapere qualcosa. Grazie di nuovo e tanti affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 3 4 5 6 7 Dante, Inf., 1, 26-7. Cit. lett. 67. R.G. Kent, On Albinovanus Pedo vv. 1-7 apud Sen. suas. I 15, «CR», 17, 1903, pp. 311-2. Vd. lett. 276. Vd. lett. 257. 569 2821 Pisa, mercoledì [7. 12. 1955]2 Carissimo Scevola, mi accorgo di non aver risposto, nella lettera che ti ho spedito ieri, alla tua domanda circa il libro di Arnaldo Momigliano. L’editore è De Luca («Edizioni di storia e letteratura», via Lancellotti 18, Roma)3. Ti sarà facile avere una copia in omaggio o almeno con forte sconto, tramite Campana. È un libro ricco di contributi interessantissimi; soltanto è di lettura un po’ faticosa, perché specialmente i saggi più antichi sono scritti in uno stile un po’ involuto. Ho ricevuto ieri sera l’edizione di Prato4 e due suoi estratti. Alcuni contributi di Prato (specialmente alcune difese della tradizione manoscritta) mi paiono buoni; parecchie congetture mi lasciano in dubbio; del tutto insufficiente mi pare il commento, che registra soltanto passi paralleli e notazioni lessicali, trascurando quasi del tutto l’interpretazione del testo e la giustificazione della scelta delle congetture. Ma questa è solo un’impressione, del resto concorde con la tua. Di nuovo affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Cartolina postale. La data si ricava dal timbro postale di partenza e dal riferimento interno alla «lettera che ti ho spedito ieri». Il timbro postale di arrivo a Pesaro porta la data del giorno successivo. 3 Vd. lett. 280. 4 Vd. ancora lett. 280. 1 2 570 2831 Pesaro, 12. 12. 1955 Carissimo, non posso tardare a ringraziarti del telegramma2. Il mio successo, che dedico alla memoria di Pasquali, è in certo modo un successo collettivo, di scuola (tanto più se lo si guarda insieme con quello di La Penna). E prima di tutto io debbo ritornare a ringraziare te, che mi hai sostenuto sempre, moralmente come in pubblico e negli scritti. Mi dispiace solo di Munari. E di un’altra cosa che non voglio dire per non dispiacerti. Grazie della lettera e della cartolina, cui risponderò i prossimi giorni. Ti abbraccia il tuo Scevola Cartolina illustrata (Pesaro, Rocca Costanza). Si tratta evidentemente di un telegramma di felicitazioni per la vittoria di M. nel concorso, su cui vd. lett. 257. 1 2 571 284 Pesaro, 30. 12. 1955 Carissimo Sebastiano, avrei voluto, prima di risponderti, rivedere il passo di Albinovano1; ma il Morel l’ho a Urbino e, ritornando lassù per breve tempo di recente, mi sono dimenticato di prenderlo. Così ho rimandato e rimando ancora; ti scriverò comunque in proposito, perché quel passo è veramente interessante ‘tecnicamente’. A proposito, non so se hai visto che il Pascoli Epos I3 p. 403 congettura superis per il famoso lib(e)ris. Io me ne sono accorto ora, ed è curioso che, cercando qualcosa che volesse dire hominibus (avevo pensato anche a alium <hum>anis, troppo improbabile però paleograficamente), avevo pensato anche a superis nel senso appunto di ‘uomini’, ‘viventi’ (se non sbaglio, questo sarà il senso voluto dal Pascoli); ma, a una rapida ricerca, mi risultò che superi in quel senso si trova solo esplicitamente contrapposto a inferi (oppure implicitamente, parlandosi comunque nel contesto dell’oltretomba, cosa che qui non è, a meno che le aliae gentes non fossero davvero i morti, cosa che non credo o almeno è indimostrabile). Sai certo che La Nuova Italia sta ristampando Epos e Lyra di Pascoli. […] Su mollescere in Fest. 439 non cambio idea2: credo che tu abbia ragione e che mollescerent sia da lasciare in apparato, magari con un recte? Hai visto l’edizione delle Atellanae di Frassinetti3 nel Corpus Paravianum? Io l’ho scorsa e mi pare nell’insieme piuttosto misurata e prudente. Fra i giovani non ‘fiorentini’ o ‘pisani’ mi pare che Frassinetti sia dei migliori. Ritornando al concorso4, ho scritto a Munari che dovrebbe in futuro farsi vivo un po’ più spesso f i s i c a m e n t e in Italia, perché anche questo conta in vista di futuri concorsi, e ho aggiunto (per ora del tutto confidenzialmente) che io e t u avremmo fatto il possibile per sostenerlo in futuro. Non so se ho interpretato bene il tuo pensiero (ricordo quanto mi scrivesti sulla t u a ‘terna’). Skutsch mi ha scritto sul Nevio in tono piuttosto favorevole; forse lo recensirà5. Mi chiede come mai ritengo tragico il frammento dell’hemis- 1 2 3 4 5 Vd. lett. 262. M. risponde alle questioni poste da T. nella lett. 281. Vd. lett. 276. Fabularum Atellanarum fragmenta, recensuit P. Frassinetti, Torino 1955. Vd. lett. 257. La recensione uscì in «CR», 8, 1958, pp. 45-8. 572 phaerium (a cui accenno a p. 67 del Nevio)6, che per lui sarebbe invece un saturnio intero (hemisphaerium ubi concha || caerula saeptum stat). Saturnio non mi pare che possa essere per via dell’arsi ‘strappata’ –rĭ(um) ŭ-, che non ha altri esempi (e mancherebbe anche la dieresi dopo la prima dipodia; né mi pare prudente hemísphaerjúm | ubi cóncha ||). A me pareva un frammento anapestico (- hémisphaerium ubī ́ concha caerŭ́lă saeptum stat (ᴗ)  ᴗ ᴗ ); improbabile, direi, ottonario giambico (hem. | ubi cóncha caerula sāeptūm (sic, davanti a dieresi) stat ...). Ora Skutsch ricordo che aveva citato, nella recensione a Marmorale, a proposito di questo frammento una nota (ad loc. o negli addenda) di Goetz-Schoell (?)7 nell’edizione teubneriana di Varrone8. S e puoi e hai voglia, ti dispiacerebbe vederla? S’intende con tutta calma, perché non ho fretta di rispondere a Skutsch. Auguri vivissimi a te e alla tua Mamma per il nuovo anno, anche da parte di mia moglie e dei miei. Tanti saluti affettuosi dal tuo Scevola = BP3, p. 63. Vd. lett. 288 e 454. Appunto di T. accanto all’intestazione, in vista della risposta (vd. lett. successiva): «Goetz-Schoell ‘adnotationes’, p. 271, ad p. 94, 7 “Cf. Bergk Opusc. i p. 403 saeptumst <mare> A. Sp(engel). – Ceterum Naevii v., quem Bothe exhibuit Poet. Sc. Lat. v 2 p. 27, neque Ribbeck neque Baehrens recepit inter fragmenta itemque desideratur in Th.l.L. s. v. concha (at exstat sub caerulus)”». 8 M. Terenti Varronis De lingua latina quae supersunt, recensuerunt G. Goetz et Fr. Schoell, accedunt grammaticorum Varronis librorum fragmenta, Lipsiae 1910. 6 7 573 285 Pisa, 5. 1.1956 Carissimo Scevola, ecco la nota di Goetz-Schoell a cui alludeva Skutsch nella recensione al Marmorale (la nota si trova a p. 271, tra le «Adnotationes» in fondo al volume; si riferisce a p. 94, 7 dell’ed. del De l. L.): «Cf. Bergk Opusc. i p. 403 saeptumst <mare> A. Sp(engel). – Ceterum Naevii v., quem Bothe exhibuit Poet. Sc. lat. V 2 p. 27, neque Ribbeck neque Baehrens recepit inter fragmenta itemque desideratur in Thes. l. L. s. v. concha (at extat sub caerulus)»1. Nel frammento di Albinovano2, superis del Pascoli3 è certo un po’ migliore delle sciocchezze di Haupt, Morel ecc., ma mi sembra da scartare per la ragione che anche tu dici, cioè che superi = ‘uomini’ si trova solo in contrapposizione ai morti. In un contesto come questo, il lettore avrebbe inteso superis = dis. Io, come già ti scrissi, ho intenzione di difendere libris assai cautamente, non come lezione giusta, ma come lezione da non scartare senz’altro come hanno fatto gli editori recenti, i quali si sono completamente dimenticati dell’interpretazione di Jean Le Clerc. (Non mi ricordo se ti ho già scritto che è stato il Le Clerc il primo a interpretare libris in quel senso)4. Ad ogni modo non c’è fretta (voglio prima terminare alcune letture), e quindi mi farà piacere se nel frattempo ripenserai a questo passo. Più in là voglio anche riprendere alcune noterelle che avevo abbozzato sull’Anth. Lat. Mi fa piacere che Skutsch recensisca il Nevio5. Spero di vedere compiuta tra non molto l’edizione completa di Livio Andronico e di Nevio. E lo Skutsch a che punto sarà con Ennio? Non vorrei che anche lui… facesse la mia stessa fine! In tal caso, sarebbe bene che tu facessi anche Ennio6. Quanto al concorso7, innanzi tutto rinnovo i miei rallegramenti per l’esito, che era il migliore che si potesse sperare, La tua vittoria, intanto è piena ed è fuori discussione. […] Quanto al Munari, il suo insuccesso era scontanto in partenza, ma speriamo bene per la prossima volta. Hai fatto 1 2 3 4 5 6 7 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 262. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 279. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 275. Vd. lett. 257. 574 benissimo a scrivergli in quei termini anche da parte mia; naturalmente io posso fare ben poco, ma intanto recensirò anch’io molto favorevolmente i Bobiensia. L’edizione del Frassinetti non l’ho ancora veduta8, ma dagli articoli che conosco ho ricavato su di lui la stessa tua impressione. Il Fraenkel mi ha scritto, in risposta all’invio del mio Leopardi9, una delle sue solite lettere miste di affettuosità e di predicozzi. Naturalmente è sempre convinto che io dovrei fare un commento all’Eneide! Il 5 aprile verrà a Pisa e ci starà un mese, e per un mese mi sentirò ripetere tutti i giorni questa musica. Ma che fare? È un filologo di grande valore (nonostante certi suoi strani dirizzoni), è, a modo suo, molto affezionato a noi scolari di Pasquali, e quindi bisogna sopportarlo! Anche da parte di mia madre ricambio a te, alla signora e a tutti i tuoi i migliori auguri. Con tanti saluti affettuosi Sebastiano 8 9 Vd. lett. precedente. T., La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247). 575 286 Urbino, 30. 1. 1956 Carissimo Sebastiano, prima di tutto ancora un grazie affettuoso per essere venuto a Firenze quella domenica. La nostra conversazione è il ricordo migliore del mio viaggio. Ho ripensato parecchio al frammento di Albinovano1, su cui ti sono debitore di una risposta. Io tenterei di leggere e interpungere la prima parte così (la trascrivo e aggiungo qualche nota): 1 2 3-4 5 6 7 8 9-11 iam pridem post terga diem solemque relictum iamque p u t a n t noti s < e > extorres finibus orbis per non concessas ~ mundi; nunc illum, pigris immania monstra sub undis qui ferat, Oceanum, qui saevas undique pristis aequoreosque canes, ratibus consurgere prensis (accumulat fragor ipse metus); iam sidere limo navigia ~ relinqui. Cioè, piuttosto che vera descrizione di una tempesta o di una bonaccia, descrizione dello stato d’animo delle ciurme: la spedizione è giunta all’Oceano, dove si incontra una grossa foschia (?), che è interpretata come segno che si è giunti nelle tenebre che circondano il mondo; e gli animi sono agitati ora (nunc) dal timore di affondare nell’Oceano, ora (iam v. 8) in quello che le navi sidant limo. 2. putant (iamqu<e p>utant > iam quidam di A con id [d aperto] da ut??) reggerebbe iam ... relictum (sc. esse) e iam ... se ... ire. Le due proposizioni dipendenti poste, rispetto al verbo reggente, come quelle dei versi 8-11 rispetto a credunt; e la stessa congettura putant appoggiata su credunt, che ripeterebbe putant; possibile forse, ma, direi, meno probabile, pensare a gemunt, dolent, timent (raro però con acc. e inf.). Noti s<e> già di Baehrens, e da appoggiare anche su Luc. 4, 145 n o t i diffisus vir i b u s o r b i s (altri elementi lucanei, o prelucanei, si trovano nel frammento). Possibile anche notis <se> ext-. 3. audaces = ‘temerari’. 5. nunc illum ... Oceanum ... consurgere dipenderebbe sempre da putant (il ferat, che il Gertz voleva correggere in fert, s’intenderebbe benissimo perché si tratta del pensiero dei naviganti). 1 Vd. lett. 262. 576 8. fragor non sembra presupporre di necessità che ci sia una tempesta. P. es. Val. Fl. 3, 404 parla di Oceani praeceps fragor come di cosa normale. (Curioso che la clausola sidere limo ricorda la clausola di Ov. met. 1, 424 sidere limus, dove però sidere è sostantivo; forse un ‘giuoco’ imitativo??). Iam alternerebbe inconcinne con nunc; non trovo esempi di questa alternanza in Thes. s. iam, ma non mi pare difficoltà grave data la distanza (e dato Schmalz-Hofmann, p. 664). Tutto questo, naturalmente, non è che un tentativo, su cui attendo il tuo parere. Spero di avere presto il tuo articolo, graditissimo, per gli «Studi Urbinati»2. Quanto agli Epigrammata Bobiensia (oltre un appunto su 15, 5: difficile, direi, separare con Munari iam e nunc; quindi il discorso comincerà con iam e nel modello probabilmente il traduttore avrà considerato αὐταὶ νῦν come parole di Atena ad Era): hai ragione, non è facile giustificare tetigi ... tabellas; tenterei pepigi ... tabellas3 (che potrebb’essere anche una specie di papera del copista: scambio di iniziali e pasticcio da cui è venuto tetigi pallore puellas), giustificandolo col fatto che in Ovidio e imitatori non solo la Saffo dell’Ep. Sapph. 5 sgg., ma anche personaggi mitici non nascondono il carattere metrico e perciò letterario delle loro epistole (cfr. her. 7, 1* e 20, 2354 mea carmina, se non ho capito male5; cfr. anche l’epistola Anth. Lat. 83, 10 sgg., dove Didone dice di scrivere dei carmi, forse però non riferendosi ad epistole) e quindi pangere parrebbe possibile. Cosa te ne pare? Sai che hanno rimandato all’inizio di marzo il Consiglio Superiore6? Sebbene le chiamate possano farsi, quest’anno, fino alla metà di marzo, il prolungarsi di questa faccenda è veramente seccante. I più affettuosi saluti – e ossequi alla tua Mamma. Il tuo aff.mo Scevola S. T., Note serviane con contributi ad altri autori e a questioni di lessicografia latina, «StudUrb(B)», 31, 1957, pp. 155-98 (rist. con rimaneggiamenti in Contributi1, pp. 427-508). 3 Difeso in Adnotationes ad ‘Epigrammata Bobiensia’ et ‘Anthologiam Latinam’, «Philologus», 100, 1956, p. 325 (= SFC, p. 258). Tornando molti anni più tardi sull’argomento M. finì per accettare tetigi: cfr. De Penelope (Epigr. Bob. 36), in Synodia. Studia Humanitatis Antonio Garzya septuagenario ab amicis atque discipulis dicata, Napoli 1997, p. 647 (= SFC, pp. 268-9). 4 In realtà M. avrebbe dovuto scrivere «Ov. her., 20 (21), 235» (epistola di Cidippe), come chiarisce nella lett. 288. 5 In nota: «Per togliermi uno scrupolo, potresti rivedere il passo o darmi un’occhiata alla traduzione delle “Belles Lettres”? Ma mi par chiaro che mea carmina è l’epistola. Scusami». 6 Per approvazione del concorso, su cui vd. lett. 257. 2 577 287 Pisa, 2. 2. 1956 Carissimo Scevola, non avevo saputo niente del rinvio del Consiglio Superiore1; è un po’ di tempo che non vado a Firenze e che non ricevo notizie dal La Penna. Certo la cosa è seccante, sebbene forse un rinvio possa servire a far riflettere certa gente e a distoglierla da decisioni precipitose. Speriamo ad ogni modo che non vi facciano perdere un anno! Rispondo alla tua densa lettera2 raggruppando gli argomenti. Bobiensia 15, 5: hai perfettamente ragione, l’interpunzione di Munari va modificata come tu dici. – Quanto a pepigi … tabellas, sebbene in un passo così corrotto rimanga sempre un certo margine di dubbio, tuttavia mi sembra che la tua proposta sia molto interessante, migliore senza dubbio di tetigi … tabellas. Assai convincenti i passi da te addotti a confronto. Soltanto, la tua citazione di Ov. her. 20, 235 non riesco a trovarla nel testo delle Belles Lettres; il v. 235 (iuncta salus nostra est; miserere meique tuique) non contiene l’espressione mea carmina. Ho guardato un po’ i versi precedenti e seguenti ma non sono riuscito a trovarla. C’è forse una svista nella tua indicazione? Riscrivimi su questo punto3. Posseggo l’edizione delle Belles Lettres e quindi non mi arreca nessun disturbo rivedere il passo. Albinovano, inizio del frammento. La struttura sintattica, che non ero riuscito ad afferrare, adesso, dopo la tua lettera, mi appare del tutto chiara. Rimango però in dubbio se convenga scrivere iamque putant invece di iamque vident, che è molto più facile paleograficamente. Tu parti dalla lezione iam quidam di A, ma BV hanno iam quidem, e siccome lo stemma è Ω V A B (cfr. l’edizione di Seneca retore di H. J. Müller, Vienna 1887, p. xii sg., posteriore e più completa di quella del Kiessling, che del resto su questo punto Vd. lett. precedente. Si tratta della lett. precedente. 3 Si tratta infatti di Ov. her., 20 (21), 235 (epistola di Cidippe): vd. lett. precedente e seguente. 1 2 578 concorda), pare consigliabile partire da iam quidem e considerare quidam come una rabberciatura escogitata per far tornare il verso (un altro codice, D, più recente e assai interpolato, ha iam pridem, derivato dal verso 1). Mi pare che sintatticamente il periodo si regga con vident come con putant. D’altra parte mi sembra, nonostante tutto, più naturale pensare ad una vera e propria tempesta seguita da improvviso cessare del vento, piuttosto che a mere impressioni soggettive dei naviganti (ma su questo punto non ho ancora sufficientemente riflettuto). Certo, quel congiuntivo ferat al v. 6 sembra appoggiare la tua tesi, ma forse il congiuntivo si giustifica anche con vident. Molto buoni i tuoi raffronti con Valerio Flacco e con Lucano, e curioso il parallelismo con sidere limus in Ovidio. Anche nel passo di Albinovano alcuni tra i primi editori intesero sidere come abl. di sidus e limo = obliquo4, ma questa interpretazione non sembra assolutamente possibile. Tornando ancora un momento a lib(e)ris intactum5, il Wernsdorf supponeva con molti dubbi, lauris (o anche labaris, ma quanto a quest’ultima congettura egli stesso riconosceva che labarum si trova solo assai più tardi). Ma lauris («h. e. victoriis nostris», come spiega il Wernsdorf), mentre in un primo momento mi era parso da scartare, adesso non mi dispiace del tutto. Paleograficamente sarebbe abbastanza facile. Tu che ne dici? Certo, però, per il senso sarebbe preferibile vivis. C’è un’altra edizione di Seneca retore, a cura di Edward (Cambridge 1928), che non si trova né qui né a Firenze. Ho scritto al Munari pregandolo di farmi sapere come legge il frammento di Albinovano. H.J. Müller (che ho citato sopra) accoglie flabris di Haupt, certamente a torto. Quando avremo ancora pensato un po’ su questo frammento, stenderò le noterelle per gli «Studi urbinati»6; e di nuovo ti ringrazio dell’invito. Forse, per ciò che riguarda il frammento di Albinovano, il meglio sarà che io mi limiti a trattare la questione di lib(e)ris intactum, e che tu aggiunga una postilla (o una noterella a parte) sui primi versi e sulla struttura sintattica di tutto il frammento. O se addirittura volessi occupartene interamente tu? giacché, ripensandoci, io non arreco nessun mio contributo: la difesa di libris è di Jean Le Clerc, vivis tuo, tua la sistemazione dei primi versi! Mia madre ricambia a te e alla signora i migliori saluti. Attendo risposta quanto a quel passo delle Heroides. Con tanti saluti affettuosi tuo Sebastiano Nel marg. inf. del foglio T. aggiunge a mano: «già D2 glossa limo con obliquo, cf. ediz. del Müller». 5 Sul v. 19 di Albinovano vd. lett. 262. 6 T., Note serviane (cit. lett. precedente). 4 579 288 Urbino, 19. 2. 1956 Carissimo Sebastiano, seguo anch’io l’ordine della tua lettera1. Bobiensia. La mia indicazione era incompleta, perché basata sulla numerazione di Ehwald, che non computa l’Epist. Sapphus. Dovevo aggiungere in parentesi 20 ( 2 1 ) , 235 (epist. di Cidippe). Che mea carmina indichi l’epistola mi pare evidente, ma ti sono grato del controllo. La mia recensione al Munari è andata a monte. Marg, dopo avermi dato formalmente l’incarico per suggerimento di Fraenkel prima di avere il volume, ha visto, ricevuto questo, che vi erano vari contributi miei (di cui parla anche Munari in prefazione), si è messo in allarme e mi ha scritto una lunga e cerimoniosa lettera mettendomi nelle condizioni di rinunciare a favore di Wolfgang Schmid). Forse farò un articoletto abbinando il carme di Penelope e quello su Giano nell’AL. (352), di cui sai2. Ho scelto quest’ultimo anche per riprendere l’AL. in vista del nostro progetto3. A suo tempo te lo farò leggere. Nessuno storico della religione romana, per quanto ho visto finora, ha tenuto conto del carme dell’AL. raccogliendo materiale su Giano, mentre esso è un documento della speculazione dotta antica su questa divinità, di cui si hanno varie altre testimonianze. Albinovano4. Sono lieto che nella sostanza ti sembri giusto quello che ti scrivevo sui primi versi del frammento; ma, dopo le tue osservazioni, il mio punto di vista ha bisogno di correzioni. Prima di tutto: non penso assolutamente a trattare io del frammento, sia per una ragione ‘storica’ (cioè perché tu te ne sei interessato per primo e il mio interesse è soltanto secondario), sia perché tu hai sulla questione materiale ecc. (anche qui io mi sono servito e mi servo della tua informazione) oltre che l’importante difesa di libris, basata su un’argomentazione che non è nel Le Clerc, sia infine perché non mi sento tentato dall’idea di scrivere un’altra ‘nota’ che Si tratta della lett. precedente. Vd. Adnotationes (cit. lett. 286). 3 Come si comprende piú chiaramente dalle lett. 314, 316-7 e 351-2, M. e T. avevano progettato un’edizione dei carmi dell’Anthologia Latina tramandati dal codex Salmasianus. All’iniziativa fu aggiunto poi Vincenzo Tandoi, che avrebbe dovuto occuparsi del codex Vossianus: vd. lett. 317, 341 e 352. I due volumi sono infatti annunciati come «in preparazione» nella collana «Testi e documenti per lo studio dell’antichità» diretta da I. Cazzaniga per l’Istituto Editoriale Cisalpino. 4 Vd. lett. 262. 1 2 580 richiederebbe tempo e informazione che non ho. All’idea della postilla preferirei quella di un brevissimo cenno (in latino, magari, secondo il solito) che, se credi, potresti citare in nota. Si tratterebbe di trovare la forma più concisa, e cercherei di farlo dopo che avremo esaurito la discussione su questo punto. Dunque: io non avevo né ho né mi è accessibile un’edizione di Seneca Retore (!) e mi ero lasciato ingannare da Morel, che cita per prima la lezione di A, sulla posizione di questo codice nello stemma. Hai perfettamente ragione: bisogna partire da iam quidem, e non c’è dubbio che iamque vident è paleograficamente facilissimo. Eppure non mi pare probabile vident, s e videre vale ‘accorgersi (o simili) di qualcosa c h e c ’ è , c h e è v e r a ’ (anche su questo non sono assolutamente sicuro). Che essi vadano ad rerum metas (cioè che sia vero quello che dirà poi aliquis nei vv. 16 sgg.) è certo da escludere: essi vanno con Germanico attraverso l’Oceano da uno a un altro punto del mondo conosciuto. D’altronde da cosa dipende sidere limo? Direi da credunt del v. 10, non dal verbo corrotto nel v. 2 (lo direi per la distanza e soprattutto perché mi pare che i due infiniti sidere e 11 relinqui siano coordinati con la stessa struttura con cui lo sono 1 relictum [esse] e 3 ire, cioè mediante una ripresa con -que a cui segue il verbo principale) e quindi, se essi c r e d o n o di potersi arenare, così c r e d o n o (e non v e d o n o ) che l’Oceano consurgat ecc. [Nota che quest’idea del c r e d e r e dei naviganti, dei loro terrori ecc. si ritrova nel contesto di Tacito che, come vedo dallo Schanz-Hosius a proposito di Albinovano, si cita a confronto (sebbene sia confronto un po’ generico): Ann. 2, 24, 1 ut credatur (l’Oceano) novissimum ac sine terris mare (qui veramente non è detto che siano i naviganti a ‘credere’) e 4 ut quis ex longinquo revenerat, miracula narrabat: … visa sive ex metu credita.]. Per il momento dunque continuerei a pensare a iamque vident, supponendo che l’occhio del copista dell’archetipo (come poi, in altro modo, quello di D) sia passato al v. 1, contaminando l’inizio di -que putant con la fine di pridem5. Ma attendo di sapere cosa ne pensi. Lauris di Wernsdorf al v. 19 non mi persuade molto, perché dà luogo a una doppia metafora barocca ‘non tocco dagli allori’; ed è poi molto naturale che qui pensino alle ‘vittorie’ dei Romani? È curioso, ma mi fa pensare un po’ alla mentalità fascisteggiante, che metteva i trionfi dei romani dappertutto. Comunque però, come ti ho detto anche a voce, al mio vivis, in fondo, io non credo per il primo, anche se non mi sembra indecente proporlo6. In nota: «L’ipotesi della semplice ‘foschia’, che disorienta i naviganti e li fa ritenere giunti nella zona di tenebre che segna il confine del mondo e aumenta le loro paure sullo stato del mare (che certo, in effetti, può esser stato ora più mosso, ora più calmo), mi pare ancora sostenibile». 6 Vd. lett. 263. 5 581 Skutsch è convinto che quel frammento di Nevio sull’hemisphaerium7 sia un saturnio (hemísphaeríum ubi cóncha || caérulá saeptúm stat) e si meraviglia, ma con tono simpatico, come io, che non riconosco la validità delle sue ‘leggi’ (al pari di te), m’intestardisca qui sull’arsi strappata -rĭ(um) ŭ-. Gli risponderò che le sue leggi sono smentite dagli stessi frammenti di Ennio (āgri, sācrificare, studiosūs q-), mentre questa legge del saturnio (non seguita talora nella sola prima arsi, come avviene nella prima arsi del senario ecc.) è confermata, al di là dello scarso materiale saturnio (alla quale egli si appella), dall’uso dei metri giambici e trocaici. È vero che Skutsch sembra non credere alla scansione quantitativa del saturnio. È curioso poi che mi aveva accennato alla possibilità di ottonari giambici (… hemisphaérium | ubi cóncha caerulá saeptum stat …) e, avendogli io fatto notare che davanti alla dieresi principale del secondo verso ci sarebbe stato uno spondeo (saeptúm), non trova questa una «very serious objection»! Scusa, al solito, la brutta scrittura, il poter usare la quale con la giustificazione della nostra intima amicizia mi aumenta di molto il gusto di scriverti, e abbimi, con affettuosi saluti, tuo Scevola 7 Tramandato da Varro ling., 7, 7; vd. lett. 284. 582 289 Pisa, 1. 3. <1956>1 Carissimo Scevola, mi dispiace che Marg si sia mostrato così poco intelligente a proposito della recensione dei Bobiensia. La recensione di Wolfgang Schmid sarà senza dubbio molto più generica e meno ricca di contributi originali di quanto sarebbe stata la tua; lo Schmid si intende abbastanza di letteratura latina tarda, ma non ha (a giudicare da quel poco che conosco di lui) alcuna particolare acutezza di congetturatore o d’interprete. Del resto, il livello medio delle recensioni di «Gnomon» è calato assai in questi ultimi anni. Spero, ad ogni modo, che non rinuncerai a pubblicare t u t t i i tuoi contributi (non solo quelli sul carme di Penelope, ma anche il viridans e gli altri). Io recensirò i Bobiensia per l’«Atene e Roma» redivivo; ma chi sa quando il Campana pubblicherà il primo volume2! Nell’edizione delle Belles Lettres (Ovide, Héroïdes, texte établi par H. Bornecque et traduit par M. Prévost, Parigi 1928, epist. 21 p. 158), il v. 237 (hoc deus et vates, hoc et mea carmina dicunt) è tradotto così «Voilà ce que disent et le dieu et les diseurs d’avenir (3), voilà ce que disent aussi mes vers (4)». Nella nota 3 si fa osservare che vates sono probabilmente gli indovini consultati da Cidippe, «mais vates peut être aussi au singulier et désigner Apollon». La nota 4 dice: «carmen signifie à la fois “vers, formule magique et prédiction”». Mi pare che il Prévost (o il Bornecque; non so di chi siano le note) rimanga alquanto nel vago. Che mea carmina indichi l’epistola parrebbe, se non sbaglio, confermato anche da mea charta del v. 2463. Il Bornecque cita poi nell’apparato le congetture hoc edita carmine dicunt del Bentley, hoc et mihi carmine 4 dicunt del Burman e somnia per carmina del Palmer. Ed eccoci ad Albinovano5. Ti avevo scritto che avevo chiesto a Munari notizie sull’edizione di Seneca il vecchio a cura di W. A. Edward (Cambridge 1928). Il Munari, con gentilezza addirittura eccessiva, mi ha mandato le fotografie delle pagine del testo, della traduzione e del commento dell’Edward. Non mi pare il caso che io te le mandi a mia volta, perché l’Ed- Il contenuto della lettera, evidente risposta alla precedente di M., consente di supplire l’anno omesso nella data. 2 Vd. lett. 270. 3 Ov. epist., 21, 246 non timuit tecum quod mea charta loqui. 4 Ma carmina nell’edizione. 5 Vd. lett. 262. 1 583 ward non porta in sostanza niente di nuovo. Al principio del frammento egli scrive: iamque vident post terga diem solemque relictum | iam pridem notis extorres finibus orbis | ecc., che è in sostanza la soluzione già proposta da R.G. Kent in «Class. Rev.» 27, 1903, 311 sgg.6 Ma l’Edward, cosa strana, in una nota aggiunta a p. 100 non mostra di conoscere l’articolo di Kent, e dopo aver citato la congettura iamque videnti del Gertz nel 2o verso, soggiunge: «With Gertz’s conjecture the only difficulty is iam … iamque … I prefer to put iamque vident in place of the first iam pridem, and to retain the second [«retain» non è giusto, perché al 2o verso soltanto D, un codice assai interpolato, ha iam pridem]. “They first of all leave the well-known limits of the world, then voyage into darkness, and leave day and sun far behind (a much farter step), then they see the Ocean all round them, and their ships in its power”. (accumulat etc. is a parenthesis.) sidere limo, desertam classem, relinqui all depend upon credunt, as Schott pointed out. “Their ships settle on a shoal. (Well, the wind will blow them off.) No! the wind falls: alas, they are abandoned to the perils of the sea”. These are the thoughts passing through their minds, as implied by credunt. The passage then is a wonderful representation of their terrors». Tutto ciò nella nota a p. 100. Nota bene che, pur osservando che accumulat … metus ha carattere parentetico, non lo mette in parentesi nel testo, ma mette un punto prima e dopo. Nella traduzione a fronte, traduce così: «Already they see day and sun left far behind, long exiled as they are from the well-known limits of the world, daring to go through gloom forbidden to the bounds of creation, and the farthest shores of the universe: and now they behold the Ocean, which has huge monsters beneath its sluggish waves, which bears on all sides savage sharks and dogs of the sea seizing their ships and rising high in wrath. (The very crashing of its billows swells their fear.) Now they feel their ships settling on a shoal and their fleet abandoned by the swift winds, and believe that they are left at last by the careless fates to be mangled in a doom unhappy by the wild beasts of the sea» (nel testo scrive i a m non felici)». Quanto a libris, l’Edward accetta senz’altro flabris, e traduce ‘a world untouched by the blasts of the storm’. E nel commento (p. 98): «flabris intactum: untouched by storm-blasts, “a world where never creeps a cloud or moves a wind” (cf. Tennyson’s Lucretius)». Il Munari a sua volta, al quale avevo chiesto che cosa ne pensava di libris, mi scrive: «Il vivis di Mariotti7 risolve tutti i problemi, ma forse lascia scontenti gli adoratori della probabilità paleografica. All’interpretazione di Le Clerc ti confesso che non credo, perché mi pare che intactum vada inteso in senso proprio e che la parola corrotta debba essere un ablativo d’agente. 6 7 Vd. lett. 281. Vd lett. 263. 584 Avevo pensato a linis (‘vele’) oppure a lignis (‘navi’), sulla scorta di passi come Ex Ponto 1, 4, 35 fragili ligno e Silvae 3, 2, 80 gracili ligno e Iuv. 12, 588; ma qui lignum è sempre al singolare accompagnato da aggettivo. Altri passi favorevoli a questa correzione non m’è riuscito di trovare, e sono estremamente dubbioso che colga nel segno… Certo il flabris di Haupt è buono, aligeris di Morel assurdo. Ho pensato anche a Zephyris, ma temo che in questo contesto non sia molto persuasivo». Che ne pensi di queste proposte del Munari? a me non sembrano convincenti (per quanto siano non spregevoli), e ad ogni modo rimango convinto che flabris è da scartarsi assolutamente per il senso. Il ‘mondo senza venti’ qui non c’entra un bel nulla! Tornando ai primi versi, il tuo confronto con Tacito (visa sive ex metu credita)9 è senza dubbio un buon appoggio alla tua interpretazione; e tuttavia ti confesso che esito ancora alquanto. La foschia potrà produrre delle false impressioni v i s i v e ma che il mare si gonfi minacciosamente (Oceanum … consurgere) e che poi il vento improvvisamente cessi (iam … rapido desertam flamine classem), mi pare che debbano essere fatti reali, e non semplici impressioni soggettive dei naviganti. Non si può avere l’impressione delle ondate senza che le ondate ci siano davvero, e non si può c r e d e r e falsamente che il vento sia cessato. È vero che, come tu giustamente osservi, sidere limo e gli infiniti seguenti dipendono da credunt; ma forse c’è una specie di zeugma, e bisogna intendere ‘(constatano) che le navi sono arenate e il vento è cessato, e credono che finiranno preda dei mostri marini’. Capisco però che neanche questa spiegazione soddisfa. Continuerò a pensarci. Nella mia nota, comunque, io vorrei il più possibile limitarmi a discutere il libris intactum; e penso che tuttora il problema dell’inizio dovrebbe essere da te trattato con una certa ampiezza in un articoletto o in una postilla; un brevissimo cenno, come tu pensi di fare, riuscirà abbastanza chiaro? Quanto a lauris riconosco che hai ragione (molto giusto e arguto il richiamo ad analoghe espressioni della retorica fascista!). E siccome anche i tentativi del Munari, ripeto, non mi convincono gran che, resta fermo che l’unica congettura plausibile è vivis. Curioso quello Skutsch, diventato improvvisamente ‘lassista’ in fatto di leggi metriche! Fai benissimo a rispondergli come mi accenni. Alle note urbinati10 vorrei aggiungerne una su una testimonianza della Iliou persis di Arctino, contenuta in uno scolio virgiliano e sfuggita, cosa curiosa, a tutti gli studiosi dei frammenti dei poemi ciclici. Ti espongo, Ivv. 12, 57-8 dolato | ligno. Tac. ann., 2, 24, 4; vd. lett. precedente. 10 Si tratta delle Note serviane (cit. lett. 286) = Contributi1, pp. 429-57. 8 9 585 il più brevemente che posso, la questione, sulla quale vorrei sapere il tuo parere. Il Servio Danielino ad Aen. 2, 150 (p. 362 dell’ed. americana) dice: hunc tamen equum (cioè il cavallo di Troia) quidam longum centum viginti, latum triginta fuisse tradunt, cuius cauda genua oculi moventur. Moventur andrà, credo, corretto in moverentur. Dopo centum viginti il Burman supplì pedes o ulnas, e gli editori americani, come già il Thilo, riportano questa integrazione nell’apparato. Ma né il Thilo né gli americani confrontano questo passo con uno scolio del cod. Monac. 18059, il quale fu pubblicato proprio dal Thilo nella prefazione alla sua edizione di Servio, vol. I p. lxxxiv n. 1: aractinus (così stampa il Thilo, con la minuscola, senza aggiungere nessuna congettura) dicit fuisse in longitudine pedes C, et in latitudine pedes b(?) eius ad caudam et genua mobilia fuisse tradidit11. Il Savage («Harvard Studies» 31, p. 142) riferisce anch’egli questo scolio, insieme con un altro del cod. Turonense; propone di correggere eius ad in cuius et, mentre io preferirei eius autem; quanto ad aractinus, anch’egli lo scrive così senza osservare nulla. Ora, è chiaro che aractinus non può essere altro che Arctinus; avremmo dunque una testimonianza dell’Iliou persis, sfuggita sia a Kinkel Epic. Gr. fragm.12, sia al Bethe (Homer, II, dove sono ripubblicati i frammenti dei ciclici)13, sia all’Allen (Omero di Oxford, vol. V)14. L’unico dubbio è se si debba prestar fede allo scolio monacense, o se non si debba invece ritenere che lo scoliasta monacense, per sfoggio di falsa dottrina, abbia sostituito al quidam del Danielino il nome di Arctino. Tuttavia Arctino è poco citato da scrittori greci, pochissimo da latini15, e pare qundi molto improbabile che uno scoliasta medievale abbia pensato a lui. L’unico passo da cui egli avrebbe potuto trarre il nome di Arctino come autore dell’Iliou persis è la cronaca di S. Girolamo (Ol. 4: Arctinus qui Aethiopidem composuit et Ilii persin agnoscitur). Ma par difficile che egli si sia ricordato di una menzione così fuggevole; e poi, avrà saputo il significato di persin? Tutto sommato pare più probabile supporre l’inverso, cioè che la fonte comune del Monacense e del Danielino (Donato?) citasse Arctino, e che il Danielino, come ha fatto altre volte (i passi sono citati dal Barwick A mano in margine: «di qui risulta confermata l’integrazione del Burman, e precisamente pedes, non ulnas». 12 Epicorum graecorum Fragmenta, collegit disposuit commentarium criticum adiecit G. Kinkel, Lipsiae 1877. 13 E. Bethe, Dichtung und Sage, II 2. Kyklos, Leipzig 1929. 14 T.W. Allen, Homeri Opera, V, Oxford 1902. 15 A mano nel margine inferiore: «da latini solo due volte: una da S. Girolamo (vd. sotto) e una da Diomede (cfr. Thes. l. L. s.v. Arctinus, ma da Diomede non appare che si tratta dell’ Ἰλίου πέρσις». 11 586 in un articolo del «Philologus»)16, abbia sostituito alla menzione determinata il generico quidam. La testimonianza avrebbe un certo interesse, sia pure di curiosità. Che te ne pare? Il Fraenkel e il Grassi consentono, il La Penna sospetta che la testimonianza sia falsa. Io propenderei per l’autenticità, come ho detto, ma con qualche dubbio17. Scusa la lunghezza spropositata di questa lettera. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano PS. ‒ Ottima l’idea di pubblicare la nota sul carme su Giano18. K. Barwick, Zur Serviusfrage, «Philologus», 70, 1911, pp. 106-45, in partic. 143-4. A mano in margine: «Naturalmente bisognerebbe studiare un po’ tutti gli scoli del Monacense; il Thilo ne pubblica solo due o tre anch’essi comunque interessanti. Ne riparleremo». 18 Vd. lett. precedente. 16 17 587 290 Urbino, 12. 3. 1956 Carissimo Sebastiano, grazie dell’informazione su quel passo delle Heroides e del giusto richiamo a mea charta, di cui forse mi approprierò. Prima di passare ad Albinovano, l’ Ἰλίου πέρσις. La tua intuizione è indubbiamente giusta e o t t i m a . Non si può nutrire nessun dubbio ragionevole. La Penna è, come altre volte, troppo distruttivo. La soluzione che tu dai è metodica, e pensare a una sostituzione di Ar[a]ctinus a quidam è immetodico e assurdo. Io intitolerei Un nuovo frammento dell’ Ἰλίου πέρσις1 ed escluderei r e c i s a m e n t e nel contesto la possibilità di un falso. Sicuri mi sembrano sia moverentur (caduta di gruppo con r abbreviato) sia eius autem (āt preso per ad, tanto più davanti ad accusativo!). Curioso quel b che dovrebbe venire da triginta nello scolio del Monacense. Bisognerebbe forse vedere le abbreviazioni di numeri nei codici, cosa che io non posso fare. Sui valori numerici di B nell’antichità il Thes. rimanda a GLK IV 330 (ma bisogna vedere se si trovano anche in codici). Poiché B è di solito 300, parrebbe che un rapporto con il 30, che è ovviamente giusto, si potesse istituire; ma in che modo precisamente? Anche l’integrazione di pedes nel Danielino è certo probabile; dico probabile perché forse si potrebbe cercare se vi siano esempi di ellissi di pedes (io, con il poco che posso vedere, non ne ho trovati; e bisognerebbe vedere se ce ne sono in testi non ‘tecnici’). Come vedi, questioncelle minime e per me insolubili. La testimonianza è molto interessante e curiosa. Chissà se Arctino dava la misura in piedi? Πούς come misura non c’è in Omero (ma c’è ἑκατόμπεδος)2, ma poi c’è in Esiodo. Citi un lavoro di Barwick: ne conosci l’indirizzo, se, come credo, è vivo? Volevo mandargli il Nevio. Albinovano3: grazie delle precise notizie sull’Edward. Le congetture di Munari sembrano anche a me non molto solide. Anch’io non capisco flabris di Haupt. A proposito dei primi versi, la tua obiezione sul dovervi essere degli effettivi cambiamenti dello stato del mare è senza dubbio giusta. Veramente io non volevo proprio escluderlo all’inizio (volevo piuttosto escludere che si trattasse di una d e s c r i z i o n e di tempesta o di bonaccia), ma poi debbo essermi inopportunamente irrigidito. Ho tentato di scrivere Il titolo definitivo all'interno delle Note serviane (cit. lett. 286) fu Una testimonianza finora inosservata del poema ciclico Ἰλίου πέρσις in uno scolio virgiliano. 2 Hom. Il., 23, 164. 3 Su cui vd. lett. 262. 1 588 in due parole in latino quelle osservazioni in quanto potrebbero avere di più o meno nuovo, e ti trascrivo la provvisoria formulazione: «De textu versuum 1-11 constituendo et distinguendo in his equidem a Morelio FPL. p. 115 discedam: 2 iam † quidem (iamque putant suspicor [an (qui)dem ex 1 (pr)idem?], cf. 10 credunt unde iam sidere eqs. pendere consentaneum est; iamque vident Withof magis rei palaeographicae quam sententiae satisfaciens, agitur enim de falsis terroribus navigantium qui caligine iamdiu oborta vetitum cursum ingressi sibi videntur atque in vario statu Oceani nunc naves demergi nunc in arenis sidere putant) noti s<e> (notis codd., corr. Baehrens; vide etiam Luc. 4, 145 n o t i diffisus vir i b u s o r b i s , quem poetam plus semel cum Albinovano conferas); 4 sg. mundi; nunc; 7 sq. prensis (accumulat fragor ipse metus); iam (iam = ‘nunc’)». Dimmi cosa te ne pare e se credi che sia il caso di alloggiare queste righe in una tua nota; se no, ci ripenseremo insieme. Non so se hai visto che il tuo articolo metrico è citato da Del Grande, Filologia minore, Milano-Napoli, Ricciardi 1956, p. 353. Del Grande è certo un uomo ricco di interessi (esemplati sul tipo degli jaegeriani di Paideia) e ha la rara ventura di intendersi di metrica (o meglio di problematica metrica ‘generale’, ché non so le sue scansioni ecc. cosa valgano). […] Affettuosi saluti. Siamo di nuovo fra la neve. Il tuo Scevola PS. ‒ Il Consiglio Superiore4 ha approvato per me e La Penna e forse anche per Ussani; ma la votazione per Ussani sembra che abbia lasciato degli strascichi e così ancora oggi la nomina (o meglio il consenso ministeriale alla nomina) non è giunta, col rischio, forse però non destinato a realizzarsi, che ci facciano perdere un anno di anzianità di servizio. 4 Vd. lett. 257. 589 291 Pisa, 18. 3. 1956 Carissimo Scevola, mi rallegro moltissimo dell’approvazione del concorso1 (Bartoletti, che ho visto ieri a Firenze, mi ha detto che per te l’approvazione è stata all’unanimità). Spero vivamente che la questione di Ussani non vi faccia perdere un anno, ma ad ogni modo l’essenziale è raggiunto. Sono contento che la «nuova testimonianza dell’Iliou persis» abbia il tuo consenso. (Al La Penna parlai della questione molto di sfuggita; può darsi che, riesaminandola con più calma, anche lui finisca col consentire). Quel b del Monacense è certo assai strano. Il rinvio del Thes. a GL IV 330 aiuta poco, perché si tratta di misure itinerarie, e per di più, a quanto sembra, di uso raro. Il rapporto tra 30 e 300, a cui tu accenni, potrebb’essere, mi pare, soltanto questo, che il copista avrebbe erroneamente scritto trecentos (b) invece di triginta. O vedi un’altra possibilità? Tuttavia è da notare che il Monacense concorda col Turonense (e non col Danielino) nella cifra della lunghezza: 100, e non 120. Ciò mi aveva fatto supporre che quel b fosse piuttosto un errore invece di L; tuttavia, certo, si tratterebbe di un errore difficile a spiegare paleograficamente. Le cifre giuste saranno senza dubbio quelle del Danielino, giacché un cavallo di lunghezza soltanto doppia rispetto alla larghezza (come risulterebbe secondo il Turonense) sarebbe stato un po’ troppo tozzo! Su questo punto, ad ogni modo, ti pregherei di farmi sapere il tuo parere. Ti ringrazio della segnalazione di ἑκατόμπεδος in Omero. Anche in Esiodo, se ho visto bene, πούς c’è solo in composti (Op. 424 sg.); il primo in cui si trova πούς in senso di misura pare che sia Erodoto, almeno così risulta dai dizionari2. Ho guardato qualche trattato di metrologia (Hultsch, Niese, A. Segré), ma nessuno dice chiaramente in quali autori è attestata per la prima volta ogni singola misura. Il Segré si limita a dire: «in Omero non si trovano altre misure che il δῶρον, il πέλεθρον e il πυγών; in Esiodo il δῶρον, la σπιθαμή, il πούς e il πῆχυς» (Metrologia e circolazione monetaria degli antichi, Bologna 1928, p. 138; le stesse parole sono ripetute nell’Enciclopedia italiana, XXIII 115). Nessuna indicazione di passi. Hultsch e Niese dicono ancora meno del Segré. Che gente! Sapresti per caso indicarmi qualche manuale meno scalcinato (storico e non puramente sistematico)? Per questo e per gli altri argomenti trattati vd. lettera precedente. A piè di pagina, a mano: «Ma mi pare che sia sufficiente il trovare in Omero e in Esiodo composti con πούς, per ammettere che Arctino abbia potuto dare le misure in piedi». 1 2 590 Per fortuna mi hai segnalato ἑκατόμπεδος, altrimenti avrei scritto che Omero non conosce il πούς. La tua nota latina su Albinovano è ottimamente formulata, e la riporterò senz’altro nel mio articolo. Ero scettico sulla possibilità di esprimere in poche parole una questione così intricata, ma tu ci sei riuscito benissimo. Sebbene qualche dubbio su iamque putant mi rimanga, riconosco che la congettura è degnissima di essere proposta. Senz’altro convincenti i raffronti in appoggio a noti se. […] Anche noi fino a pochi giorni fa abbiamo avuto un freddo notevole. Tanti affettuosi saluti dal tuo Sebastiano [PS. ‒]3 Italo dovrebbe pubblicare la sua difesa della lezione siccat in Anth. lat. 232, 3, che mi comunicò una volta oralmente4. Anche Prato nell’edizione degli epigrammi di Seneca scrive siccant, del tutto a torto! La Nuova Italia ristampa solo Lyra, non Epos, e in forma ridotta ad uso scolastico. (Dovrebb’essere proibito di manomettere così un libro ‘classico’). Aggiunta manoscritta. La nota di I. Mariotti su Anthol. Lat. 232, Riese2, preceduta da un’altra su Lucil. 473 Marx, apparve col titolo di Due note di critica testuale in «SIFC», n.s., 29, 1957, pp. 255-8 (= Id., Scritti minori [cit. lett. 224], pp. 51-4). 3 4 591 292 Urbino, 17. 4. 1956 Carissimo Sebastiano, scusami il ritardo nello scriverti sullo scolio virgiliano1. E purtroppo debbo risponderti ancora con una domanda. Com’è precisamente lo scolio del Turonensis? Da quello che mi dici nell’ultima lettera vedo che avrebbe come misure 100 x 50 (e questo certo giustifica il tuo dubbio che sotto b del Monacense ci sia L); ma reca il Turonense il nome di Arctino? Parrebbe di no. Se anche nel Turonense c’è quidam come nel Danielino (o qualcosa di simile) e se le misure giuste fossero quelle del Danielino (il che parrebbe in sé abbastanza verosimile), come si spiega in uno stemma la posizione del Monacense, che conserva giustamente il nome di Arctino? In altre parole, se la misura giusta è 120 x 30 (Danielino), dovremmo avere: Donato (?) (120 × 30) Dan. (120 × 30) x (100 × ?) (50??) Monac. (100 x ?) Turon. (100 × 50) Ma allora si capirebbe male come il Turonense2 conservasse il nome di Arctino contro Dan. e Monac.3 Allora si potrebbe pensare che la lunghezza fosse 100 in Donato (e la larghezza magari 30), e si avrebbe Donato (?) (100 × 30) Monac. (100 × 30 (?)) x (100 x 30) Dan. (120 × 30) 1 2 3 Turon. (100 x 50) Vd. lett. precedente. T. ha aggiunto nell’interlinea: «leggi: Mon. (S. T.)». Nell’interlinea di mano di T. «Turon. id.». 592 Tutto questo, ripeto, supposto che il Turonense abbia quidam e simili. (Certo il corrompersi di C in CXX è un po’ strano). E s’intende che a questo gioco di stemmi si potrebbe ovviare pensando che ci siano contaminazioni, e che p. es., se fosse vero il primo stemma, il nome di Arctinus sia giunto al Monacense per collazione. Ma forse questo indebolirebbe un po’ la tesi fondamentale, certamente giusta (cioè che Arctinus risalga a Donato). Quanto all’eventuale errore trecentos per triginta, esso non si spiegherebbe se non come tu dici, per pura confusione; la quale è una spiegazione assai debole. Converrà lasciare quel b inesplicato, tanto più che non è facile sapere l’effettiva diffusione (e l’epoca di diffusione) di B = 300 nei codici (il Cappelli p. 4134 non indica data, sebbene la forma delle sue lettere sembri antica e B = 300 sia già in epigrafi cristiane, cfr. Cappelli p. 437). Su testi di metrologia antica non so indicarti nulla; anche nella Pauly-Wissowa mi pare che non ci sia nulla che interessi. Con le riviste che li contengono mi sono giunti due tuoi lavori: quello sul Mai5, interessantissimo (e quanto utili le appendici per gli studiosi di codici e di storia della filologia!), e la recensione al van den Hout6 (dove n o n dovevi citarmi ‒ lo ripeto per l’ennesima volta ‒ per il poco felice satius difeso). Anche questa recensione è una cosa ottima. Ho visto quel passo curioso di duum (p. 214, 20 sgg.). Certo metodicamente hai ragione, e si potrebbe forse citare in tuo favore l’arcaico duo d u u m n o s t r u m p a t r e s di Naev. com. 86 [anch’esso in Carisio], che Frontone potrebbe anche aver avuto presente. Eppure la ‘situazione’ testuale è molto curiosa. Come le cose stanno nel palinsesto, tutto sarebbe molto chiaro e naturale (nota soprattutto le corrispondenze: … maiores vestri … proavus vester … avom … vestrum … pater vester); e d’altronde, se si pensa a caduta per omoteleuto nel palinsesto (anzi addirittura quasi per aplografia: auom duom! – e anche la quasi identità grafica delle due parole lascia da pensare), bisogna pensare secondo me a caduta per omoteleuto anche in Carisio, perché non posso credere che Carisio saltasse avum così necessario per il senso. Anche un po’ curiosa mi pare, malgrado la tua affermazione (ma posso sbagliare), la posizione di item. Non oso dire che duum sia falsa lectio per avum. (Forse possibile avom item <duum> vestrum [cfr. Naev.], ammettendo che la stessa corruzione si sia avuta indipendentemente nella tradizione di Frontone e in quella di Carisio data la grande somiglianza di avom duum Lexicon abbreviaturarum. Dizionario di abbreviature latine e italiane …, per cura di A. Cappelli, Milano 1929 (numerose ristampe). 5 S. T., Angelo Mai, «A&R», s. V, 1, 1956, pp. 3-34 (rist. in Id., Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Pisa 1980, pp. 225-71). 6 «ANSP», s. II, 24, 1955, pp. 276-82 (rist. con ritocchi e aggiunte in Contributi1, pp. 345-63). 4 593 o avum duum?? In questo caso duum nella tradizione di Carisio sarebbe facile errore, e poi il seguente duum dopo item sarebbe stato tralasciato). Ma sono cose pochissimo fondate. Dimmi quando verrai; ti aspetto per maggio, secondo quanto mi promettesti. Affettuosi saluti dal tuo Scevola7 Sotto la firma una postilla: «Fra pochi giorni spero di spedirti in lettura la recensione al tuo Leopardi; non so se farò in tempo per questo fascicolo di “Belfagor”». La recensione uscì in «Belfagor», 11, 1956, pp. 470-4. 7 594 293 Pisa, 18. 4. 1956 Carissimo Scevola, la tua lettera contiene osservazioni molto importanti1. Comincio con Frontone, per poi passare ad Arctino. La collocazione avum duum item vestrum continua a sembrarmi non impossibile. Per la separazione del numerale dal pronome, si potrebbe citare per es. Plauto Bacch. 1154 quid i l l a e c illic in consilio d u a e secreto consultant?; per la posizione di item non al secondo posto (come di solito) ma più in là, si potrebbero citare esempi con altre enclitiche, come Gell. 1, 7, 19 ut et rationem a u t e m istam … Forse questi esempi non ti parranno del tutto probanti, ma penso che, cercando, si potrebbe trovare anche di meglio. È giusto quello che dici, che Carisio non può aver saltato una parola così necessaria per il senso come avum, ed è buona la tua idea che nel cod. di Carisio auum sia caduto a sua volta per omeoteleuto (come duom nel cod. di Frontone); tuttavia, siccome il lemma di Carisio è duum, non mi pare impossibile che un copista inintelligente abbia considerato superfluo ciò che, nella citazione, precedeva il lemma, ed abbia cominciato a copiare appunto da duum. Molto seria mi sembra invece l’altra difficoltà da te rilevata: cioè l’analogia di maiores vestri … proavus vester … e del seguente pater vester. Effettivamente una successione di questo genere: ‘i vostri maggiori … il vostro bisnonno … il nonno d i v o i d u e … vostro padre …’ è molto strana. Perciò può darsi che, nonostante la sua apparente metodicità, la mia restituzione sia sbagliata, e duum sia falsa lectio per avum. Credo che varrebbe la pena che tu scrivessi una noterella su questo passo. E veniamo ad Arctino. Innanzi tutto scusami se, per distrazione, non ti ho ancora trascritto lo scolio del Turonense pubblicato dal Savage negli «Harvard Studies» 1925, p. 142. Lo faccio adesso; anzi, per comodità, trascrivo tutti e tre gli scolii: DANIELINO ad Aen. 2, 150 (tramandato soltanto dalla collazione del cod. Fuldense oggi perduto, collazione eseguita dal Welser e dallo Scioppio): Hunc tamen equum quidam longum centum viginti, latum triginta fuisse tradunt, cuius cauda genua oculi moventur. TURONENSE ad Aen. 2, 15: Equum: quidam dicunt habuisse eum in longitudine C pedes, in latitudine L, cuius oculos et genua mobilia tradunt, quod vergilius et homerus probant. 1 Vd. lett. precedente. 595 MONACENSE ad Aen. 2, 15: aractinus dicit fuisse in longitudine pedes C. et in latitudine pedes b. eius ad caudam et genua mobilia fuisse tradidit 2. Giustissimamente tu hai richiamato la mia attenzione sul problema dello ‘stemma’ di questi tre scolii: problema che io avevo molto disinvoltamente trascurato. In realtà non c’è dubbio che lo stemma sia: Donato? Dan. x Tur. Mon. Infatti, se fosse vero l’altro stemma (Mon. direttamente da Donato, Tur. e Dan. imparentati), bisognerebbe considerare la misura di 120 piedi data dal Dan. come derivata per errore da 100, e questo, come tu stesso accenni, è estremamente improbabile. E poi, è chiaro che tra lo scolio di Tur. e quello di Mon. vi sono strette analogie formali. Dunque, per quanto la cosa sia… spiacevole, bisogna considerare sicuro lo stemma sopra disegnato. Ciò, senza dubbio, indebolisce notevolmente la mia tesi. Infatti, tre sono le possibilità: 1) che il nome di Arctino sia giunto al Mon. per collazione; 2) che il nome di Arctino provenga dall’archetipo, e la sostituzione del quidam al nome sia avvenuta indipendentemente (o per collazione?) in Dan. e Tur.; 3) che il nome di Arctino sia un’interpolazione. La prima ipotesi è certo possibile, specie se si tiene presente la grande complicatezza della tradizione serviana. Non mi sembra da escludere neppure la seconda, perché il processo di sostituzione di espressioni indeterminate a nomi propri è frequentissimo nella tradizione serviana: vi sono casi in cui il Dan. ha conservato il nome mentre Servio lo ha soppresso (es. 7, 543 Dan. Firmianus commentator, Serv. quidam commentarius), casi contrari (es. Aen. 3, 242 Serv. Donatus dicit, Dan. alii dicunt; 7, 556 Serv. Urbanus, Dan. quidam), casi, infine, in cui tanto Servio quanto il Danielino hanno soppresso un nome conservato dal Turonense o da altri scoliasti, diciamo così, paraserviani (es. Aen. 1, 179 Serv. e Dan. multi hysteroproteron putant, Tur. Donatus dicit hysteroproteron esse). Tuttavia bisognerà riprendere in seria considerazione anche la terza ipotesi: che il nome di Arctino sia un’abile interpolazione. Tanto più che un’interpola- 2 T. contrassegna a mano le parole comuni ai tre scoli. 596 zione è sicuramente quel quod Vergilius et Homerus probant del Turonense. Certo, resta sempre difficile capire come uno scoliasta medievale abbia potuto pensare ad Arctino. Sarà stato davvero il nostro scoliasta così bravo da ricordarsi di quel passo della Cronaca di S. Girolamo (ad Ol. 4: Arctinus qui Aethiopidem et Ilii persin composuit agnoscitur) e in base ad esso interpolare lo scolio? E avrà capito che persis significa distruzione? Una cosa comunque è certa: che non si può più giurare sull’autenticità della testimonianza, e che bisogna presentarla con una forte nota di dubbio. Scrivimi ancora quello che ne pensi. Frattanto ti ringrazio moltissimo di avermi fatto presente questa grave difficoltà. Coi più affettuosi saluti Sebastiano PS. ‒ Qui abbiamo il Fraenkel, sempre bravissimo, sempre affettuoso verso noi scolari di Pasquali, ma sempre animato dal solito suo pedagogismo aggressivo! N.B. attenzione a non mostrargli distrattamente questa lettera quando verrà a Urbino3!! 3 Quest’ultima frase è aggiunta a mano. 597 294 Urbino, 28. 4. 1956 Carissimo Sebastiano, non credo davvero che sia il caso di tornare io su quel passo di Frontone1, perché non sono affatto sicuro che duum sia sbagliato. In fondo, è strano anche che per caso sia venuto fuori quel d u e che va bene per il senso (e che davvero non può esser dovuto a ‘congettura’ errata tenente conto del fatto che si trattava di due persone) e che poi trova qualche appoggio nel duum nostrum patres dell’arcaico Nevio2. Il tuo richiamo al distacco di illaec … duae in Bacch. 1154 ecc. è certo buono, anche se non toglie del tutto la sensazione di artificiosità ed eccezionalità al costrutto frontoniano (con duum) in confronto a quello del palinsesto. Certo l’artificio può essere di Frontone. È un passo in cui darebbe gusto arrivare a una soluzione definitiva. Su Arctino a me pare che, stemma o non stemma, tu abbia ragione, non solo nella bella ricostruzione del nome, ma anche nel giudicare autentico il frammento. L’argomento dell’impossibilità (o dell’e s t r e m a improbabilità) di un’invenzione dello scoliasta mi sembra assolutamente indiscutibile. All’ipotesi della sostituzione di quidam ad Arctinus indipendentemente dal Turonense e dal Danielino sarei piuttosto contrario e la lascerei in ombra: può darsi, ma mi pare molto più improbabile (o almeno come ‘percentuale’ di possibilità) di quella che Arctinus sia giunto al Monacense per collazione oppure anche che quidam sia stato preferito dal Turonense ad Arctinus (nome poco noto, anzi ignoto) ancora per collazione. Se un dubbio nel presentare la tua tesi lo vuoi lasciare, lo lascerei in forma assai vaga, più che altro richiamando il fatto che converrà studiare più a fondo il Monacense (di cui peraltro mi dicesti che ha altre cose notevoli, che confermeranno quindi presumibilmente la bontà dell’Arctinus). Fraenkel verrà qui il 5 (non gli mostrerò naturalmente la tua lettera). E tu? Ti aspetto. Mi solleverai dalla presenza di Fraenkel! Scusa se ritorno a farti una vecchia preghiera: di far mandare a Bo il tuo Leopardi3, se è possibile. Altrimenti ti prego di farmelo sapere, e gli spiegherò che non ti è possibile. Scusa la fretta. Affettuosi saluti dal tuo Scevola 1 2 3 Vd. lett. precedente. Naev. com., 86 R.3. T., La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247). 598 295 Urbino, 15. 5. 1956 Carissimo Sebastiano, mi dispiace molto del disturbo che ti ha impedito di venire sabato e che naturalmente, come tutti i disturbi del genere, sarà già scomparso. Venerdì ti avevo fatto un telegramma dicendoti di fare il biglietto ferroviario fino a Urbino, cambiando treno a Pesaro dove c’è coincidenza (da qualche tempo ha ripreso a funzionare la linea Pesaro-Fano-Urbino); ma avevo avuto la cattiva idea di indirizzartelo al tuo numero telefonico, che mi risultava essere il 5533, ed ho il giorno dopo ricevuto dall’ufficio telegrafico la comunicazione che non era stato recapitato per la non corrispondenza del numero telefonico al cognome. Ci tengo molto che possiamo vederci e sono sicuro che il rinvio non sarà lungo. Anche Fraenkel ci tiene, e v u o l e che venga anche il Perosa, che, dice, non potrà vedere per lungo tempo data la sua decisione di non ritornare in Italia nel ’57. Fraenkel scenderà a Pesaro il 28 e vi sosterà, credo, per tre settimane. Anche a me sarà facile venire a Pesaro specialmente nei giorni festivi (negli altri sarò impegnato con gli esami, ma non continuatamente, in modo che mi sarà abbastanza facile prolungare un po’ la permanenza a Pesaro dei giorni festivi). Potresti quindi, anzi potreste, venire direttamente a Pesaro, il che facilita il vostro viaggio, e non v’impedisce naturalmente di salire anche a Urbino, se volete. Andrebbe benissimo, p. es., una vostra venuta fra il 31 e il 3-4 giugno. Fammi sapere. Ti mando la prima stesura della recensione al tuo libro1. Sai già che mi rendo pienamente conto del suo difetto costituzionale, consistente nell’incompetenza del recensore e della sua incapacità ad andare a fondo in un campo che gli è straniero. Perciò desidererei dalla tua pazienza due cose: 1o) che mi facessi tutte le obiezioni d i s o s t a n z a (e soprattutto sulle osservazioni finali, che potrebbero essere benissimo o ingenue o inopportune); 2o) che controllassi, per favore, se ci sono inesattezze (o sciocchezze) d i f a t t o , altrove e nei punti in cui ho fatto qualche segno a matita. Ho letto due volte con attenzione il tuo libro, ma poi, al momento di stendere la recensione, non sempre sono riuscito a controllare con precisione se quello che dicevo era giusto, e quindi il tuo controllo (non di date o simili, Si tratta de La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247). La recensione di M. uscì in «Belfagor» (cit. lett. 292). 1 599 s’intende, ma dei riferimenti generali e particolari a fatti ecc.) mi sarebbe prezioso perché mi eviterebbe una rilettura. Grazie e scusami! Ti prego di rimandare il dattiloscritto con tutto comodo (o piuttosto di portarlo quando vieni) perché ho fatto le correzioni solo nella seconda copia e perché anche a te sarà più comodo correggere o farmi obiezioni sul dattiloscritto stesso. Se non dovrò riscrivere tutto, com’è probabile, farò poi le correzioni e modifiche nella prima copia e la manderò a Lallo Russo. Billanovich mi scrive che da tempo pensava di scriverti sul Leopardi, ma non ha potuto e quindi comunicava a me, che gli avevo chiesto se gli pareva giusto quello che ho scritto a p. 1 della recensione sulla filologia degli umanisti, un paio di osservazioni che ti trascrivo: «p. 254-55 – La laudatoria recensione anonima nel “Giorn. stor.” sarà, come costume, del Renier. p. 140 – “Roma … mondo”, è una magnifica citazione da Boccaccio, Decameron V III (e perciò il Niebuhr la dà in italiano)»2. È evidente che il libro gli è piaciuto moltissimo. Accenna senza specificare alla possibilità di qualche riserva (sarà, s u p p o n g o , la questione del Mai e qualche colorito anticlericale). Arrivederci presto e un’affettuosa stretta di mano dal tuo Scevola Le osservazioni di Billanovich sono state incluse nelle successive edizioni di T., La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247); vd. la III ediz. riveduta con Addenda, Roma-Bari 1997, pp. 185 (a proposito della recensione al libro di F. Moroncini, Studio sul Leopardi filologo, Napoli 1891, apparsa nel «Giorn. stor. della lett. ital.», 18, 1891, pp. 427-9) e 97 nota 129 (circa l’affermazione leopardiana «La cosiddetta Roma, che oggi è coda, come già fu capo del mondo» che riprende quella del Boccaccio «in Roma, la quale come oggi è coda così già fu capo del mondo»). 2 600 296 Pisa, 19. 5. 19561 Carissimo Scevola, grazie della lettera e scusa di nuovo del contrattempo. Il Perosa è adesso a Firenze; tornerà tra un paio di giorni e allora combineremo la data della nostra venuta. La tua recensione mi è piaciuta moltissimo, e te ne sono vivamente grato. Molto intelligenti e importanti le osservazioni finali, sul carattere ‘occasionale’ della filologia leopardiana. Un certo carattere di occasionalità, credo, è riscontrabile nell’attività di moltissimi filologi formali (noi compresi!), e io penso che, in definitiva, se un filologo ha recato contributi di valore a testi antichi, quel filologo vale, qualunque sia stata l’occasione che glie li ha suscitati. Tuttavia è innegabile che nell’attività filologica leopardiana questo aspetto di occasionalità e frammentarietà è particolarmente forte, e io non l’avevo sufficientemente messo in rilievo, e quindi le tue osservazioni in proposito sono assai opportune. Nei passi che tu hai segnato a matita non trovo niente da cambiare: molto giusta è anche l’osservazione sul carattere ‘satirico’ di Paralip. 1, 121 sgg. Riconosco anche che certe intemperanze polemiche (Croce, Senofonte, ecc.) andavano smorzate. Ti pregherei soltanto di sopprimere, a p. 3 del dattiloscritto, quella parentesi: «dovuta anche a certe affinità di temperamento evidenti a chi conosca il Timpanaro». Capisco benissimo il significato simpatico e affettuoso che hai inteso dare a questa espressione; ma un lettore mal disposto e che non mi conosce potrebbe credere che io ‘leopardeggi’ e mi dia arie di ‘anima gemella del Leopardi’ et similia. Del resto, anche togliendo la frase in parentesi, tutto il periodo esprime in modo ugualmente chiaro il tuo pensiero, e senza il pericolo di quell’equivoco a cui ho accennato. Tranne questa piccola espunzione, ti raccomando di lasciare tutto come sta, perché va benissimo. E di nuovo ti ringrazio dell’affettuosa premura con cui hai letto e recensito il mio libro in un periodo così pieno, per te, di preoccupazioni di vario genere e di studî. Ho scritto a Billanovich per ringraziarlo delle due osservazioni. Io sono ignorantissimo di letteratura italiana anteriore all’Ottocento, e quindi mi era del tutto sfuggita quella citazione boccaccesca! Il fatto che le parole erano in italiano avrebbe però dovuto mettermi sull’avviso. La lettera è datata «19 giugno», ma che si tratti del 19 maggio è assicurato dalla lettera precedente, a cui la presente risponde, e dalla lettera seguente che è una evidente risposta a questa. 1 601 Sono contento che sia stata ripristinata la ferrovia Pesaro-Urbino. Il mio numero telefonico è davvero 5533, e il tuo telegramma, sia pure con qualche ora di ritardo, mi è arrivato. La causa del disguido sta nel fatto che nell’elenco telefonico è stato registrato, per sbaglio, il solo cognome di mia madre: Cardini Maria e non Timpanaro Cardini M. Ti riscriverò tra pochi giorni. Saluta i tuoi e il Fraenkel. Affettuosamente tuo Sebastiano 602 2971 Urbino, 23. 5. 1956 Carissimo Sebastiano, grazie mille della lettura2. Ho tolto la frase, secondo il tuo suggerimento. Giudichi, come temevo, troppo benevolmente la mia raffazzonata recensione. Comunque la spedisco con qualche minimo ritocco di forma a Lallo Russo. Ho letto le tue interessanti pagine sull’Arduo in «Società»3. In un’occasionale conversazione a Roma con Calogero, mi disse che lo avevano interessato e che invece non era d’accordo nella valutazione di Fano4. Te lo dico per cronaca. Fraenkel mi ha parlato con ammirazione delle tue pagine sul Mai5 (una copia dell’«At. e R.», che per caso avevo doppia, gli ho dato io). Bo contava di vederti e di riuscire di ringraziarti di persona del libro6 quando dovevi venire. Mi ha detto di ringraziarti a suo nome. Ti aspetto. Se per caso volessi in parte sfuggire al Fraenkel, potresti dividere la tua permanenza fra Pesaro e Urbino. Io comunque, come ti ho detto, posso essere indifferentemente quassù o a Pesaro, tranne in giorni d’esame. Ti abbraccio. Il tuo Scevola Cartolina postale. Della recensione al volume di T. sulla filologia di Leopardi. Vd. lett. precedente. 3 S. T., In margine alle ‘Cronache di filosofia italiana’, art. uscito in due puntate in «Società», 11, 1955, pp. 1067-75 e 12, 1956, pp. 155-6. Su «L’Arduo», rivista attiva tra il 1921 e il 1923, vd. M. Isnardi Parente, Maria Timpanaro Cardini, «RFIC», 106, 1978, p. 495. 4 Il filosofo neoidealista Giorgio Fano (1885-1963). Questa frase è stata sottolineata da T. 5 Vd. lett. 292. 6 Si tratta de La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247). 1 2 603 2981 Urbino, 11. 6. 1956 Carissimo Sebastiano, a te grazie di nuovo di essere venuto. Ho passato delle ore piacevolissime con te, anche se alcune potevano essere migliori senza lo spettro di Fraenkel. Grazie molte anche per Bolelli2. Hai pienamente ragione: occorre aspettare la sua risposta. Non mi sembra proprio che tu possa fare altro. Sto lavorando come un negro per mostrare a Fraenkel una traccia dell’edizione del Lycurgus prima che parta. In realtà lo faccio per obbligarmi, con questo limite di tempo, a fare intanto per intero questa traccia, su cui poi dovrò lavorare parecchio, perché le questioni addirittura si moltiplicano! Te ne scriverò, o ne parleremo. Un abbraccio affettuoso dal tuo Scevola Cartolina postale. Su T. Bolelli vd. lett. 206. Come si evince dalla lettera di M. al Bolelli del 26 maggio 1956, pubblicata in Appendice, III, da M. Feo, Il carteggio tra Augusto Campana e Sebastiano Timpanaro, «Campi immaginabili», 1-2, 2015, pp. 449 sg. (vd. ora all’indirizzo <https://www.academia.edu/37363777/Il_CARTEGGIO_TRA_AUGUSTO_CAMPANA_E_SEBASTIANO_TIMPANARO_Terza_edizione_riveduta_e_ampliata>) il Bolelli, attraverso l’intermediazione di Eduard Fraenkel, aveva proposto a M. un incarico alla Normale per il successivo anno accademico 1956-57, che M. si era però visto costretto a rifiutare per l’eccessivo carico didattico, dicendosi invece disponibile per un seminario su un tema di letteratura latina arcaica. L’idea dovette riuscire assai gradita a T. che si offrì di sostenerla presso il Bolelli (vd. lett. 305), che comunque rispose motu proprio a M. prima del 28 giugno (vd. lett. 299 sg. e 302). Il seminario si tenne effettivamente nella prima metà di aprile del 1957 (vd. lett. 305 sg. e 310) ed ebbe per argomento i frammenti del Lycurgus di Nevio; cfr. anche Feo, Il carteggio cit., p. 391, n. 74. Un secondo seminario, sempre su invito del Bolelli, seguirà dal 17 al 28 febbraio dell’anno successivo: vd. lett. 326 sg. e 329-34. 1 2 604 2991 Pisa, 28. 6. 1956 Carissimo Scevola, macché propaganda! Il Bolelli ti ha risposto motu proprio, e sono molto contento che l’abbia fatto2. Capisco che venire due volte ti riesce scomodo; ma, se lui ne facesse una conditio sine qua non, credo che dovresti accettare, poiché in nessun caso conviene che tu lasci arenare questa iniziativa. Penso, però, che accetterà anche che tu venga una volta sola. Bischoff3 mi ha risposto in modo esauriente, escludendo che Arctinus possa essere un monaco irlandese o tedesco. Niente da fare, invece, quanto all’invio del codice Monacense4; ad ogni modo scriverò a Fraenkel a Monaco. Quella mia espunzione [ple vel in] pleniores differentias in Servio (ti ricordi che ne parlammo?)5 è stata già proposta da Heraeus6! Ho trovato, tuttavia, qualche altra cosuccia serviana di minore importanza. Ne riparleremo. Ti comunico, prima che me ne dimentichi, un appunto bibliografico per il tuo Nevio. La testimonianza 11 della tua edizione (p. 100: Naevius enim dicit Venerem ecc.) si trova non solo nel Paris. Lat. 7930 del sec. X/XI (da cui la pubblicò il Savage nei due articoli da te citati), ma anche, come più tardi il Savage stesso si accorse, nel Laur. Palat. 69, scritto a Parigi nel 1403 (Savage, The Commentary of Servius Danielis on Virgil, in «Harv. Stud.» 43, 1932, p. 118). L’altro giorno, alla Laurenziana, per curiosità ho visto il passo sul codice (fol. 163 v). Te lo trascrivo (ad Aen. VII 123)7: Risponde a una lettera di M. non conservata. Vd. lett. precedente. 3 Bernhard Bischoff (Altendorf 1906-Monaco di Baviera 1991), paleografo, filologo e storico della cultura medievale. 4 CLM 18059, con lo scolio su cui vd. lett. 189. 5 Serv. Dan. in Verg. Aen., 10, 272 (II, p. 423, 3 Thilo). È possibile che T. e M. ne avessero parlato a voce in occasione della visita del primo a Urbino, di cui alla lettera precedente. 6 H. Hagen, Zur Kritik und Erklärung der Serviusscholien, «Hermes», 34, 1899, pp. 161-73, a p. 171. 7 All’altezza di questa citazione una freccia di mano di M. rinvia al margine superiore del foglio dove annota: «v. Nevio!!» doppiamente sottolineato. «Nevio», a grossi caratteri e con doppia sottolineatura, sempre di mano di M., compare anche sul verso del foglio ripiegato in quattro. 1 2 605 Hoc autem non predixit Anchises sed Celeno un(de) vel catatasiopomenon (sic) intelligendum est vel divinitatem Anchise designat qui ubique divinus inducitur. Nevi(us) autem dixit venerem libros fata continentes Anchise dedisse un(de) reliquit aut mandavit signū aut libros reliquit qui hec responsa continebant. Il Savage nell’art. cit. nota solo, rispetto al Paris. 7930, le varianti inducitur per dicitur e signum per significat. Aggiungi Nevius autem dixit per N. enim dicit e fata per futura. Il Palat. Laur. 69 è un codice lussuosissimo, miniato. Il Savage nota altre concordanze col Paris. 7930 (anche un framm. n u o v o di Sallustio e uno di Varrone, pubblicati dal Savage sul Paris. 7930, sono stati da lui ritrovati nel Laur. Pal.), ma non prospetta l’eventualità che il Laur. sia copiato dal Par. Forse però quest’eventualità va scartata: nella nostra testimonianza neviana inducitur p a r e preferibile a dicitur. Ma bisognerebbe vedere tutto con calma. Sono stato un paio di giorni a Roma. Il Campana continua a n o n finire i Bobiensia8. Tanti affettuosi saluti. Sebastiano 8 Vd. lett. 270. 606 300 Pesaro, 6. 7. 1956 Carissimo Sebastiano, grazie delle parole gentili a proposito della mia venuta a Pisa1. Bolelli2 non ha posto la condizione di una doppia venuta, e quindi la cosa dovrebbe, tranne imprevisti, andare in porto così. Bene, ma era cosa prevedibile, per la risposta di Bischoff. Molto prezioso il tuo rinvio a Savage, il cui secondo lavoro mi era affatto ignoto, e interessantissima la revisione del Laur.3.Ti sono molto grato della comunicazione; ma credo indispensabile che tu faccia una nota su questa cosa. Anche a me pare senz’altro da preferire inducitur a dicitur (esempi di induco coi due accusativi vicini a questo non mancheranno certo; io ora non ho il Thes. [sono in questo periodo a Pesaro, anzi quasi sempre a Jesi-Fabriano per la maturità]). E anche fata per futura4, sebbene abbia aria di banalizzazione, sarà da prendere in considerazione. Autem per enim parrebbe invece un peggioramento. Se aggiungessi una nota alla serie per gli «St. Urb.»5? Ti mando, con la preghiera di leggerli e molte scuse per la seccatura, le noterelle per il «Philologus»6, che ho dovuto spedire appena ricopiate per non eccedere di troppo il termine fissato da Schmid per una pubblicazione relativamente sollecita; ma sulle bozze potrò fare aggiunte, cancellazioni, sostituzioni. Ti pregherei di controllare il contenuto e la forma (ci possono facilmente essere svarioni; e quell’an dell’ultima riga di p. 3 ti pare tollerabile?). Ogni osservazione, critica ecc., che puoi fare sul dattiloscritto, mi saranno, al solito, graditissime. Un’altra preghiera: di controllarmi per favore le due citazioni di Avieno (che ho ripescato attraverso lessici e potrebbero non essere così pertinenti come mi sono sembrate e la seconda delle quali potrebbe essere non letterale come la prima). Scusami della seccatura! […] Un affettuoso saluto dal tuo Scevola Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Vd. lett. 298. 3 Il Laur. Palat. 69 (vd. lett. precedente). 4 T. aggiunge nel marg. superiore del foglio: «Schol. ad Ibim 263 “fatura (fortasse fata et futura contaminavit) B”. (La Penna)». 5 Vd. lett. 286. 6 M., Adnotationes ad Epigrammata Bobiensia (cit. lett. 286). 1 2 607 301 Urbino, 15. 8. 1956 Carissimo, ho ricevuto stamane il tuo espresso1. Sono naturalmente anch’io lietissimo di conoscere Skutsch. Purtroppo il periodo non è per me il migliore, perché sono impegnato coi corsi estivi (che si svolgono con lezioni quotidiane) e con qualche conferenza di professori ospiti (fra cui il Cazzaniga) che sono organizzate in coincidenza con i corsi stessi. Dico questo per giustificare il fatto che non ho gran possibilità di scelta, nell’ambito fissato da Skutsch, sia per il luogo sia per il tempo: potrei venire a Bologna mercoledì 22 nella mattinata (arrivandovi verso le 10) per ripartirne nel pomeriggio. Spero che per te e per Skutsch il giorno vada bene. Mando contemporaneamente un espresso nello stesso senso al suo indirizzo tedesco. Ti prego di farmi sapere (i n d i r i z z a n d o a P e s a r o ) cosa ne pensi e come eventualmente possiamo incontrarci (dirò a Skutsch che precisi a te le modalità dell’incontro). Non so davvero neanch’io come faremo per capirci. A segni? Affettuosi saluti. Ti confesso che l’incontro con Skutsch mi fa piacere soprattutto perché ci sei tu. Il tuo Scevola 1 Non conservato. 608 3021 Urbino, 5. 9. 1956 Carissimo Sebastiano, credi che mi è dispiaciuto molto di non rivederti e di non partecipare ai vostri colloqui fiorentino-pisani. Skutsch mi ha scritto dicendo anche a me che intende trascorrere quest’altr’anno circa un mese sull’Adriatico e chiedendomi informazioni (ma questo – penso ora – lo sai, perché ha datato la sua «apud Timpanarium, die Dominica»: dunque questo il week-end?). Grazie delle notizie che mi dai sui vostri colloqui. […] Grazie anche dell’articolo in collaborazione col Perosa2. È davvero molto bello, un capolavoro di acribia filologica, di completezza di informazione e di svolgimento (e i campi toccati sono vari e difficili). Il testo (e lo stemma) mi pare pienamente persuasivo. Sembra uno dei pochi casi in cui non resta più nulla da fare (malgrado la modestia professata a p. 422). Molto fine l’ipotesi accennata a p. 421 sulla dipendenza del Barberiniano3 dal Poliziano. Scusa se solo ora ti spedisco un paio di estratti dal «Belfagor»4. Li ho avuti da parecchio tempo, ma il molto da fare di questo periodo mi ha fatto ritardare le spedizioni e venir meno anche al dovere elementare di fartelo avere. Fra gli altri, ne ho mandato un estratto anche a Pfeiffer, storico della filologia5. Ma, come ti ho detto, so bene i limiti di questa recensione da orecchiante. Una copia del tuo libro6 desidererebbe il Dott. Enzio Cetrangolo – passeggiata di Ripetta, 25 – Roma: è un mio vecchio conoscente di giovinezza, poeta non del tutto infelice, uomo curioso, collaboratore della RAI, che promette di parlarne o di scriverci su qualcosa. Quindi vedi tu e guarda che io sono solo un intermediario. Il medesimo ha anche fatto una parziale traduzione in versi (affatto arbitraria e modernizzante) dei frammenti di Risponde a una lett. di T. non conservata. Perosa-T., Libanio (o Coricio?), Poliziano e Leopardi (cit. lett. 259). 3 Come sappiamo dall’art. di Perosa-T., si tratta di un codice Vaticano del fondo Barberini, scoperto e trascritto da Leopardi e successivamente andato smarrito. Sopravvive solo la copia fattane da Leopardi (Firenze, Biblioteca Nazionale, Banco Rari 342, 15, 9). 4 Si tratta evidentemente della nota Su una progettata riforma degli esami di maturità («Belfagor», 11, 1956, pp. 710-2) e, soprattutto, della recensione al libro di T. sulla filologia di Leopardi (ibid., pp. 470-4). 5 Rudolf Pfeiffer (1889-1979), autore tra l’altro di una celebre History of Classical Scholarship, 2 voll., Oxford 1968-76. 6 T., La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247). 1 2 609 Ennio7, che non so se hai visto, e ne minaccia una di Nevio! Se gli mandi o fai mandare il libro (ora che ci penso), faglielo indirizzare presso la sede romana della Casa Sansoni, perché cambia casa ogni momento. Anch’io spero vivissimamente che ci vediamo a Pisa quest’inverno o in primavera. Come ti dissi, il Bolelli fu molto gentile, e favorevole apertis verbis8. Non si è tuttavia finora fissato il periodo, e aspetto che, quando che sia, mi riscriva. Poiché di questa mia probabile venuta a Pisa sanno parecchi, io ti sarei grato se, quanto e come ti capiterà, nei prossimi m e s i (cioè con tutto comodo), tu accennassi alla cosa e, se possibile, vedessi cosa ne pensa sul periodo della mia venuta (sempre che non abbia cambiato idea). Ti abbraccio. Scevola 7 8 Frammenti di Ennio, tradotti da E. Cetrangolo, Milano 1955. Vd. lett. 298. 610 303 Pesaro, 24. 11. 1956 Carissimo Sebastiano, ho già dato l’articolo a Bo1, che si rende conto della sua importanza e te ne ringrazia. Uscirà nel prossimo fascicolo (cioè in quello che seguirà al fascicolo che attualmente sta uscendo, dedicato quest’ultimo alla memoria di Cusin)2. Nello stesso fascicolo vi sarà anche la famosa conferenza di Fraenkel fatta a Pisa e a Urbino3. Ho letto un po’ in fretta ma con attenzione il tuo articolo. È un insieme poderoso di contributi di primissino ordine, in cui si vede come tu signoreggi con una sicurezza meravigliosa i campi più diversi. Non so proprio dissentire su nulla. Fra le tante cose che non conoscevo ottima la giustificazione di tonsilla = κεῖρις! Ho preso un paio di appunti (non avendo più il dattiloscritto), che non riesco neppure più a capir bene. P. 11 n. 19: mi domandavo se non potesse essere un’iperbole di Antifilo, ma non ho né letto tutto il passo né riflettuto abbastanza. P. 8: come sta quell’Ilii persis a g n o s c i t u r ? Mancherà uno <scriptor> o, se è possibile linguisticamente, <auctor>? O ho capito male? A p. 38 forse invece di «n e i s u o i V e r m . S t u d i e n » (di Löfstedt)4 «n e l l e s u e V . S . » ? Ma non ho voluto toccare, perché le abitudini variano nel tener conto del genere della lingua originale. Una cosa però ho, contro ogni elementare principio di correttezza, toccato. Scusami, ma nel momento in cui l’ho fatto s a p e v o (con quella s i c u r e z z a di essere nel giusto che si ha soltanto poche volte) che dovevo far così. Cioè ho tolto la menzione che hai fatto di me a proposito dei codici di Servio (genealogia). Mi hai citato a principio, ed era già troppo! Ricitarmi in quel punto per una cosa stupida (a cui tu hai saputo dar valore col tuo esame della genealogia, che è l’unica cosa che conti) era, credi, quasi ridicolo. E francamente crederei che potresti cancellare sulle bozze la citazione del mio Nevio, che ci sta un po’ a pigione, limitandoti se mai a dare nel testo il numero dei frammenti secondo la mia edizione. Domani vado a Roma. Il 27 dovrebbe, io credo, andare bene tutto e per T., Note serviane (cit. lett. 286). Fabio Cusin (1904-55) tenne la cattedra di storia all’Università di Urbino dal 1950 alla morte. Su di lui vd. D. Mengozzi in Maestri di Ateneo (cit. lett. 249), pp. 227-9. 3 E. Fraenkel, Il filellenismo dei Romani, «StudUrb(B)», 31, 1957, pp. 5-22. 4 Löfstedt, Vermischte Studien (cit. lett. 113). 1 2 611 tutti5. Insomma, prima di entrare nell’atmosfera psicologica dell’attesa immediata, che non sarà piacevole, credo di poter fare previsioni rosee, sempre coi debiti scongiuri. Hai letto in «Maia» l’attacco di Perrotta a Pighi6? È divertente e sostanzialmente giusto, anche se quest’uso delle male parole dispiaccia. Ho sentito dire che Pighi vuol querelare. Ti abbraccio. Scusami la fretta. Il tuo Scevola Si tratta della ratifica da parte del Consiglio Superiore, che tardò alcuni mesi a causa del ricorso al Consiglio di Stato da parte di A. Mazzarino (vd. lett. seguente e 306). 6 G. Perrotta, Il giardino d’infanzia della filologia ovvero il prof. G.B. Pighi e Madama Dorè, «Maia», n.s., 8, 1956, pp. 218-34. 5 612 3041 Urbino, 12. 12. 1956 Carissimo, hai perfettamente ragione su persis. Avevo fatto un pasticcio ed è chiaro che agnoscitur è un ‘fiorisce’2. Grazie dell’interessamento per il Consiglio di Stato3. La cosa è stata rimandata e il rinvio è stato caldeggiato soprattutto dal patrono del Mazzarino, il quale invece prima aveva cercato di affrettare la discussione. Motivo del rinvio la mancanza di un documento, che tuttavia non pare essenziale per la discussione. Non si capisce se sotto la mutata tattica ci sia coscienza della propria debolezza o intenzione di future manovre. Tutto sommato, non sembra che il Mazzarino debba guadagnarci, anche se non è certo che ci perda. E la pazienza del sottoscritto è sottoposta a nuove prove… Sull’ultimo vol. di «SIFC»4 (dove manca l’indice! e bisognerebbe dire a Ronconi senza urtarlo che facesse distribuire un foglio-indice col successivo fascicolo): 119 sg. (Ernout a Enn. Ann. 282 [non 312]): la cosa andrebbe studiata più a fondo, ma mi pare che non sia un caso che in Var. 9 e Sc. 193 si possa intendere vastus = ‘vasto’. Specialmente nel primo passo mi parrebbe più probabile ‘sterminato’ che ‘vuoto’. Ma la proposta è ingegnosa. Se hai tempo (e con tutto comodo) ti prego di vedere la questione trattata da Cataudella alle pp. 75 sgg.5 Pare che quel passo6 sia una crux dei filologi. Purtroppo la proposta del buon Cataudella non va. Il senso esige una citazione in cui si parli non della brevità della vita, ma appunto della brevità di quella parte che effettivamente viviamo. Del resto non so se Seneca citi mai versi greci, come vorrebbe Cataudella. Dunque proprio, come si è sempre ritenuto, exigua pars est vitae qua vivimus. Ora a me pare: questa gnome è vicinissima (anche formalmente) al frammento di Menandro confrontato dal Rutgers; Menandro è ritenuto il massimo poeta c o m i c o ; dunque apud maximum poetarum <comicorum>. Cfr. Epist. ad Lucil. 9, 21 apud p o e t a m c o m i c u m invenies [senza il nome]; e ibid. 63, 2 p o e t a r u m G r a e c o r u m m a x i m u s [cioè maximus poetarum + aggettivo]. Cercherò altri esempi e vedrò se convenga – come per ora mi Cartolina postale. Risponde a una lettera di T. non conservata. Vd. lett. precedente. 3 Vd. ancora lett. precedente. 4 A. Ernout, Coniectanea, «SIFC», n.s., 27-28, 1956 (in memoria di G. Pasquali), pp. 119-22. 5 Q. Cataudella, Maximus poetarum, «SIFC», n.s., 27-28, 1956, pp. 75-82. 6 Sen. dial., 10, 2, 2. 1 2 613 sembra probabile – considerare ‘ametrica’ la traduzione. Cosa ne pensi in generale? Ripeto: con tutto tuo comodo. Se dovessi farci una nota, non sarà prima del 19587. Affettuosamente tuo Scevola La nota andò a far parte di Adversaria philologa III (1. [Plaut.] Amph. 629­632; 2. Sen. brev. v. 2, 2; 3. Vespa 29 [Anth. Lat. 199, 29 R.]), in Studien zur Textgeschichte (cit. lett. 279), pp. 123-31: 126-30 (i tre contributi sono ristampati in SFC rispettivamente alle pp. 54-7; 157-61; 194-5). Su maximus poetarum vd. lett. 305-7 e 381. 7 614 305 Pisa, 17. 12. 1956 Carissimo Scevola, finalmente (meglio tardi che mai!) sono andato dal Bolelli, per ringraziarlo della sua breve recensione al mio Leopardi1, e mi è stato facile portare il discorso su di te2. Ha detto che non ti ha ancora scritto perché è stato occupato in varie faccende, ma che considera senz’altro come valido l’invito a tenere un seminario i n a p r i l e . «Anzi – ha soggiunto –, se ha occasione di scrivergli gli faccia sapere che l’invito s’intende confermato per aprile». Ha poi mostrato interessamento per la faccenda del ricorso al consiglio di stato3. Eventualmente potresti perciò, tra qualche giorno, scrivergli dandogli notizie del ricorso, ringraziandolo della conferma per il seminario e chiedendogli quindi maggiori particolari, se lo credi opportuno. Molte grazie dell’estratto da «Belfagor»4. Sono perfettamente d’accordo con te sulla necessità di mantenere le prove orali, e penso che tu abbia fatto benissimo a intervenire su questo punto. Sarebbe una vera iattura se gli orali venissero aboliti e se venissero introdotti gli stupidissimi e conformistici ‘questionari’! Qualche dubbio mi rimane sull’opportunità di abolire le materie scientifiche nel liceo classico: capisco la necessità di ridurre il numero delle materie (e di limitare l’accesso al liceo classico ai soli giovani forniti di vera attitudine storico-letteraria), ma d’altra parte temo che l’abolizione delle materie scientifiche approfondirebbe il solco tra cultura storico-letteraria e cultura scientifica, con danno di entrambe. Sono invece di nuovo d’accordo sull’esigenza che l’insegnamento delle materie scientifiche sia più fornito di senso storico. Grazie anche della cartolina. Sulla noterella enniana di Ernout5 hai perfettamente ragione: è ingegnosa, ma non convince. Non si può in alcun modo escludere che all’epoca di Ennio vastus avesse già il significato di ‘vasto’, e in mundus caeli vastus questa è, come tu osservi, l’interpretazione più probabile. – Sulla questione trattata da Cataudella a p. 75 sgg.6 qualcosa avevo detto anch’io in quella rassegna enniana pubblicata nell’«Anzeiger» 1 2 3 4 5 6 Cfr. «ASNP», s. II, 25, 1956, pp. 165-66. Vd. lett. 298. Vd. lett. 303. M., Su una progettata riforma degli esami di maturità (cit. lett. 302). Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 615 di Innsbruck, 1952, col. 2127: avevo respinto l’assurda interpretazione del Bickel8 (che anche il Cataudella respinge, ma con troppe lodi e complimenti!) e avevo, in mancanza di meglio, accettato l’opinione di A. von Mess (in «Rhein. Mus.» 1898, 484)9 il quale pensava ad Euripide. Una gnome euripidea potrebbe10 facilmente essere stata riecheggiata da Menandro; e non mi sembra impossibile che Seneca, imitatore di Euripide nelle tragedie, lo chiami poetarum maximus. Anche la tua ipotesi, però, è da prendere in seria considerazione: essa avrebbe il vantaggio di mettere direttamente in connessione la citazione di Seneca con la gnome di Menandro. Molto buoni i confronti con altri passi di Seneca. Riconosco anche che è prudente considerare ametrica la traduzione di Seneca. Ho letto o scorso parecchi altri articoli di quel volume. Molto di buono c’è in quello di Axelson sull’Edipo di Seneca11; ma non capisco come egli a p. 12 rifiuti ipsa come privo di senso: ‘La grandezza s t e s s a della sciagura impedisce di piangere’12; ista mi sembra senz’altro peggiore. Tutte cattive, o comunque troppo poco probabili, mi sembrano le congetture del Maas a Orazio. Molto bene Pfeiffer e Fraenkel. Di Skutsch che te ne pare? e di Mazzarino? io al suo Amynei13 non ci credo; ma nessuna delle soluzioni fin qui tentate mi soddisfa. […] Moltissimi auguri per le prossime feste a te e ai Tuoi dal tuo Sebastiano [PS. –]14 Non pensi di venire a Firenze nelle prossime vacanze? Caso mai avvertimi! Vd. lett. 76. Ε. Bickel, Das Ennius-Zitat aus Euripides bei Seneca de brev. Vit. 2, 2 und der Topos des ΝΕΚΡΟΣ ΒΙΟΣ in der Antike, «RhM», 94, 1951, pp. 242-9 (che ricostruiva exigua pars est vitae <ea> qua vivimus, attribuendo il verso a Ennio). 9 Coniectanea A. Meinekii inedita, «RhM», 53, 1898, pp. 482-4. 10 M. ha aggiunto nell’interlinea «ipotesi, non più» e in margine «v. però il Graecorum poetarum maximus detto da Seneca di Omero! E l’altro passo pure citato da Cataudella p. 77 n. 1». 11 B. Axelson, Zu Senecas Oedipus. Textkritische und interpretatorische Kleinigkten, «SIFC», n.s., 27-28, 1956 (in memoria di G. Pasquali), pp. 12-22; nello stesso volume E. Fraenkel, Si dis placet, pp. 123-4; P. Maas, Korruptelen in Horazens Oden, pp. 227-8.; A. Mazzarino, Locus desperatus (Maecenas, v. 37), pp. 282-5; R. Pfeiffer, Die goldene Lampe der Athene (Odyssee 19, 34), pp. 426-33, e O. Skutsch, De fulminum appellatione Scipionibus indita et de locis quibusdam Ovidianis, pp. 536-40. 12 Cfr. Sen. Oed., 28. 13 Eleg. In Maecen., 1, 37. 14 Aggiunta manoscritta. 7 8 616 306 Urbino, 21. 12. 1956 Carissimo Sebastiano, grazie molte della tua conversazione con Bolelli1, per me davvero preziosa perché serve a precisare la cosa e quindi i progetti. Penserei che l’unica quindicina possibile sia la prima di aprile (nella seconda metà c’è la pasqua). Naturalmente seguirò il tuo suggerimento di scrivergli nei prossimi giorni, e gli comunicherò anche l’argomento (il Lycurgus, sebbene forse sia un po’ troppo tecnico). La tua riserva sulla mia nota scolastica è tutt’altro che ingiustificata. La mia proposta di eliminare senz’altro le materie scientifiche dal Liceo classico è molto, forse troppo categorica. Si potrebbe tuttavia notare che, insegnando queste materie come credo che faccia tuttora la grande maggioranza (e come ricordo che furono insegnate a me), l’antitesi fra materie letterarie e materie scientifiche e quindi fra cultura letteraria e cultura scientifica non è affatto sanata, anzi è avvertita forse più acutamente dagli studenti di liceo. Ma posso aver torto, e mi aspetto che qualcuno me lo dia pubblicamente (perché non tu?). A proposito di divisione fra cultura letteraria e scientifica interessante – per i suoi precedenti anche nell’umanesimo – una conferenza di Kristeller su Il Petrarca, l’Umanesimo e la Scolastica a Venezia nel vol. La civiltà veneziana del Trecento, Firenze, Sansoni2, 149 sgg. Mi fa piacere che anche tu pensi la stessa cosa sulla congettura enniana di Ernout. Quanto al passo senecano, grazie di avermi ricordato il tuo intervento su questo argomento, che ho rivisto nell’«Anzeiger», e quindi l’ipotesi del Mess: certamente la migliore se non si vuol correggere. Ma, a parte l’ipoteticità (pur non inverosimile) della presenza della gnome in Euripide, si può obiettare al von Mess che il maximus poetarum per Seneca difficilmente può essere altri che Omero: cfr. epist. 63, 2 poetarum Graecorum maximus, 58, 7 Homerum intellegas cum audieris poetam, citati dal Cataudella, 77 n. 1. Capisco che si può pensare a diversità momentanee di atteggiamento, favorite dalle esigenze ‘retoriche’ del discorso; ma questo mi sembra più un espediente che un argomento. Non avevo letto l’articolo di Axelson. Ho visto il passo con l’ipsa / ista e mi pare che tu abbia perfettamente ragione. Così non avevo letto, ma mi ripromettevo e mi riprometto di esaminare con un po’ d’attenzione le congetture oraziane di Maas; ma la tua ‘presentazione’ mi fa molto temere, 1 2 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Uscito nel 1955. 617 e temere anche per la stima che ho avuto finora di Maas. Ottimo anche per l’insegnamento metodico è parso anche a me Pfeiffer e giusto Fraenkel. Quanto a Skutsch, io confesso di ammirare la sua sottigliezza e la sua informazione, ma di non credere affatto dimostrata la sua tesi. Non so per il senso di fulmen in Ov. am.; ma per quello enniano non mi pare che ci sia nessuna necessità di pensare al gioco di parole con fulmen(tum). In tutti i passi, se non mi sbaglio, fulmen = κεραυνός va bene e basta; resta i s o l a t o Cic. Balb. 34, dove tuttavia fulmen = κεραυνός mi pare che non sia intollerabile. Se si dice (o si può dire) ‘la spada dell’Islam’ per indicare un guerriero che è la difesa del paese, e se fulmen = κεραυνός indica suppergiù una forza, quasi un’arma, che sgomina, non mi pare impossibile affatto dire fulmen imperii (sostenuto dall’extincti, come sa anche Skutsch) e ritenere illusorio il parallelo nixa / fulmen (da fulcio). Ma sarò troppo distruttivo. A te cosa ne pare? Aggiungo che non so fino a che punto in Ennio si trovino quegli accorciamenti artificiali – così amati p. es. da Ovidio – tipo munimen per -mentum ecc. Anche a me Mazzarino non persuade affatto. Mazzarino – e una volta lo dovrò dire, a ricorso concluso! – ha la mania degli unica introdotti per congettura (come un suo recente conextum per honestum in Cato in un articolo della «RFIC»)3 o della giustificazione di errori della tradizione presentati come unica (come il famoso Vescio praetexta etrusca). Del passo tuttavia non so che dire. Proverò a ripensarci. Lui è tanto sicuro che libelli sia singolare, ma il confronto con Properzio in questo particolare mi pare che conti poco perché Properzio parla di u n libellus determinato. Ma non so quanto valga quest’argomento. A proposito di maximus poetarum, ogni giorno una nuova prova che Bickel vale ben poco. Nel «Rh. Mus.» 1937, 287 sg.4 vedo che in un passo, effettivamente un po’ strano (se ne occupò anche Pasquali, St. d. tr., 415), di Ausonio (semper fictae principum amicitiae)5 intende fictae come grecismo = φυκταί e ricami su rapporti colla Stoa! A proposito, in queste ultime settimane mi sono occupato un po’ di Auson. Mosella rivedendo, per conto di Chiantore, una 2ª edizione che ne fa il Marsili6. Mediocrissima, purtroppo. Di un paio di congetture ti scriverò qualche volta, dopo averci ripensato. Mi viene in mente che qualche tempo fa ebbi un estratto pisano di un 3 A. Mazzarino, Dittico catoniano, «RFIC», n.s., 34, 1956, pp. 52-4 (la congettura a p. 53). 4 Die φευϰτά der Stoa bei Ausonius: φυκταί in der Schreibung fictae. Avson. epiced., 32 Green. 6 Ausonio, La Mosella, edizione critica con traduzione e note italiane di A. Marsili, Torino 1957 (Pisa 19521). 5 618 Gius. Nenci7 (l’editore di Ecateo?). Lo ringraziai subito con un biglietto per non dovermi… compromettere a scrivergli che non condivido affatto la sua tesi. O mi sbaglio? Chi è costui? E per oggi basta! Grazie, anche a nome dei miei, degli auguri, che ricambiamo a te e alla tua Mamma con vivissima cordialità. Il tuo aff.mo Scevola PS. ‒ È poco probabile che venga a Firenze nei prossimi mesi. Se non verrai tu prima da queste parti, ci rivedremo in aprile! Come si ricava anche dalla risposta di T. (lett. seguente), si tratta di G. Nenci, Un leggendario episodio della guerra di Pirro in un frammento enniano incerti loci, «SCO», 5, 1956, pp. 117-25. 7 619 3071 Pisa, 2. 1. 19572 Carissimo Scevola, grazie della lettera. […] La tua osservazione sul carattere generale di immetodicità delle congetture mazzariniane è giustissima; e proprio quella ricerca di ἅπαξ, che è un difetto delle sue congetture, egli la considera come il maggior pregio, e si pavoneggia: «una nuova parola latina, una nuova forma!» ecc. A proposito di congetture, avrai visto che nell’ultimo numero di «Convivium»3 l’Alfonsi vuol m i g l i o r a r e il tuo antheras4 e propone anth<eras> teneras e simili giochetti molto amati da chi non si intende di ars critica. Anche le altre due sue congetture (a Tertulliano) mi paiono insostenibili, ma non ho sott’occhio il testo di Tertulliano e quindi posso sbagliarmi. Ad ogni modo il tono dell’Alfonsi verso di te è gentile. Sull’art. del Nenci siamo d’accordo. Quei cata signa che sarebbero una specie di… porco parlante sono una mostruosità. Il Nenci, due anni fa, espose il contenuto di questo articolo in una seduta del circolo linguistico che allora esisteva a Pisa, presieduto dal Bolelli. I presenti (tra cui anche io) tentarono invano di persuaderlo che era meglio abbandonare un’ipotesi tanto assurda e bislacca. Sul Nenci (piemontese di origine toscana, lib. doc. di storia antica e incaricato di questa materia qui a Pisa, dopo il passaggio di Pugliese Carratelli a Firenze) esiterei a dare un giudizio. Personalmente non è antipatico: un suo articoletto su una questioncella riguardante Ecateo nella «Parola del Passato» del 1951 o ’52 (non ricordo bene)5 e un suo studio sull’autopsìa nella tradizione storiografica antica negli «Studi classici e orientali» di poco dopo6 mi erano sembrati di un certo interesse. Poi ha pubblicato nella collezione della Nuova Italia un’edizione di Ecateo Lettera manoscritta. T. scrive per errore 1956, ma che si debba correggere 1957 è indubbio, dato che si tratta della risposta alla lettera precedente. 3 L. Alfonsi, Congetture per lo Ps. Apuleio e per Tertulliano «Adv. Hermogenem», «Convivium», n.s., 24, 1956, p. 755 (si tratta del sesto e ultimo fascicolo dell’annata). 4 Cfr. M., Lo ‘spurcum additamentum’ ad Apul. Met. 10, 21 (cit. lett. 225), pp. 244-5 = SMU, pp. 63-4 = SMU 2 = SMU 3, pp. 77-8. 5 G. Nenci, Due nuovi frammenti di Ecateo di Mileto, «PP», 6, 1953, pp. 225-9. 6 G. Nenci, Un leggendario episodio della guerra di Pirro in un frammento enniano incerti loci, «SCO», 5, 1955, pp. 1-11. 1 2 620 che ricalca troppo da vicino quella dei Fr. Gr. Hist. del Jacoby7 ed è anche non priva di inesattezze. Non conosco il suo recente volumetto su Pirro8. Quanto a maximus poetarum, le tue considerazioni contro l’ipotesi del Mess sono giuste; inclino perciò a credere che la tua integrazione sia la soluzione migliore, tanto più che essa ha il sostegno dei passi paralleli da te citati. A Skutsch avevo scritto dandogli ragione (per Ennio; non per Ovidio), ma, ripensandoci, anche a me vengono forti dubbi. Sarebbe opportuno che tu gli scrivessi. Non conoscevo il magnifico fictae = φυκταί di Bickel: e pensare che un simile uomo dirige il «Rheinisches Museum»! Da Bücheler a Bickel, quale caduta! I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 7 8 Hecataei Milesii Fragmenta, a cura di G. Nenci, Firenze 1954. G. Nenci, Pirro. Aspirazioni egemoniche ed equilibrio mediterraneo, Torino 1953. 621 308 Urbino, 29. 1. 1957 Carissimo Sebastiano, scusami il ritardo, ma solo oggi sono in grado di darti notizie abbastanza precise su quanto interessa il prof. Pellegrini1. Lo svolgimento del concorso è assai prossimo (dal 5 al 7 febbraio) e la signorina ne dev’essere già stata informata. Dato appunto l’avvicinarsi della data ti indirizzo questa per espresso. I concorrenti sono due: oltre la signorina uno scolaro di Schiaffini già incaricato qui a Urbino. In commissione ci sono Claudio Varese, Leone Traverso ed io (perché per legge è richiesta la presenza di un professore di ruolo). Varese è l’italianista che certo conoscerai; così probabilmente anche Traverso, che è incaricato di tedesco e filologia germanica (con lui ha collaborato E. Grassi per la traduzione di Pindaro uscita in questi giorni da Sansoni). Alla signorina non è stato comunicato un programma perché un programma non esiste e, a quanto dicono, tradizionalmente non viene fissato. Ti posso assicurare (e assicurane pure il prof. Pellegrini) che, per quanto starà in me, farò tutto il possibile in favore della signorina che gl’interessa. Scriverò a Skutsch per i fulmina imperii, come mi suggerisci2. Sono pienamente d’accordo su quella congettura (anzi q u e l l e congetture: peggio ancora!) all’additamentum3. Me ne aveva scritto parecchio tempo fa, e io mi ero limitato a definirle «interessanti» un po’ per non sembrare scortese, un po’ per non sembrare troppo ‘esclusivista’ rispetto alle mie proposte. Anche le altre sue congetture, che non conoscevo, mi sono sembrate – sebbene non avessi il testo – misere cose. Del resto tutto va d’accordo con il l ĭ beris4! Purtroppo qualcosa del genere di liberis è successo anche al nostro buon Monaco nella recensione a Munari, Epigr. Bob.5: hai visto la difesa di ăridis (sic) e anche quella di i prae fatta senza vedere il greco? Affettuosamente tuo Scevola Di questa richiesta non c’è cenno nella precedente corrispondenza, il che fa supporre lo smarrimento di una lettera. 2 Vd. le due lettere precedenti. 3 Sull’additamentum vd. lett. 225. Sulle congetture dell’Alfonsi vd. lett. precedente. Per lĭberis vd. lett. 262 e 279. 4 Vd. lett. 262. 5 «ASNP», s. II, 25, 1956, pp. 154-5. 1 622 3091 Urbino, 7. 2. 1957 Carissimo Sebastiano, quella signorina è andata bene e ne ho scritto subito a S. Pellegrini, che mi aveva mandato una particolareggiata lettera in proposito riferendosi anche alla nostra corrispondenza (di cui aveva saputo evidentemente dal G. B.)2. Non ho visto, ma li cercherò con curiosità, i versi di Castiglioni3. È strano davvero! Ora mi sto occupando, per farne un articolo in «Stud. Oliv.», di Luc. 2, 406 iuncto Sapis Isauro4 (Isapis male alcuni codd. seguiti recentemente da N. Alfieri, l’archeologo di Spina, e da Pisani). Sto raccogliendo materiale. Il fiume di Pesaro era Pisaurus o Isaurus? Doveva certo essere Pisaurus (attestato anche da Vibio Sequestre, che per di più sembra attingere qui a un commento di quel passo di Lucano). Allora Isaurus dovrebbe essere deformazione probabilmente pseudoetimologica (cfr. gl’Isauri: Isauras è anche clausola ovidiana). Sto cercandone altri esempi (oltre il solito Balatium e simili) in nomi geografici e d’altro genere. Rivedrò ora i nomi propri di Virgilio, Lucano, Silio. Ti ricordi nulla per caso? Anche iuncto è strano: sembrerebbe significare affluente, cosa che sarebbe lontanissima dalla verità, ma forse potrà voler dire solo ‘vicino’. Anche per questo raccolgo esempi di iungo coi lessici speciali, ma un esempio veramente vicino a questo mi manca. Extrema ratio sarebbe sostenere che Isaurus e Pisaurus erano fiumi diversi, e il primo era il Borrello, affluente del Savio; ma per ora non penserei di valermi di questa possibilità. Se riuscirò a fare qualche passo avanti, te lo dirò; ma non perder tempo con questa minuzia, di cui parleremo a voce in aprile. Affettuosamente tuo Scevola Cartolina postale. Vd. lett. precedente. A chi M. alluda con «G. B.» non è chiaro. 3 Si tratta degli esametri scritti per la Miscellanea Galbiati, Milano 1951, p. xxix. Vd. lett. 314 e 316. 4 Il materiale di questo articolo confluì dapprima nella voce Pisaurus, in RE, Suppl. X, 1965, coll. 542-5 e solo successivamente, in italiano, in «SOliv», 17, 1969, pp. 30-5 (= SFC, pp. 569-73). 1 2 623 310 Pisa, 27. 2. 1957 Carissimo Scevola, scusa se rispondo con tanto ritardo alla tua cartolina1. Il problema di cui mi fai cenno (Isaurus – Pisaurus) è davvero interessante, e giusta mi sembra la tua soluzione, sebbene io non m’intenda affatto di questioni toponomastiche. Mi ricordo di aver visto alcuni anni fa (press’a poco 1950-52, o giù di lì) un articolo di Augusto Mancini intitolato Arno, Serchio, Sarno, pubblicato, mi pare, nei «rendiconti dei Lincei», in cui il Mancini sosteneva che si trattava in origine dello stesso nome2. Mi pare anche che gli rispondesse Devoto negli «Studi etruschi»3. Ma questi miei ricordi sono sbiaditissimi, e del resto non so se questo problema abbia una reale analogia con quello di cui ti occupi tu. Ad ogni modo, se la cosa ti interessa, potresti scrivere a Devoto o a Mancini per avere indicazioni più esatte. Oggi ho visto casualmente Bolelli che, lui per primo, mi ha detto: «Dunque avremo qui il Mariotti in aprile, per una quindicina di giorni». La cosa pare quindi sicura. Penso che avrà scritto anche a te. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Vd. lett. precedente. «RAL», s. VIII, 1, 1946, pp. 425-31. 3 G. Devoto, Ausa «la fonte», «SE», 20, 1949, pp. 51-7 ( = Id., Scritti minori, II, Firenze 1944, pp. 44 sgg.). 1 2 624 311 Pesaro, 19. 4. 1957 Carissimo Sebastiano, non ti scrivo una lunga lettera di ringraziamenti1. Oltre tutto, non basterebbe. Voglio solo ripeterti, anzi dirti che ho capito e sentito l’intensità della tua affettuosa amicizia assai più di quanto non abbia saputo dimostrarti. Ti prego di rinnovare i miei ringraziamenti alla tua Mamma, signora tanto nobile di animo e vere docta quanto semplice e affabile nelle maniere. È stata veramente una fortuna per me e per Tota2 conoscerLa di persona. Ora La attendiamo con te – non in occasione della venuta di Skutsch, che è rinviata sine die (mi ha scritto di dover rinunciare al viaggio in Italia per il ’57 essendo stato invitato per l’inizio del ’58 all’Università di Harvard) – ma nel momento che crederete più opportuno e più comodo per voi. Ti prego, appena puoi, di farmi sapere qualcosa in proposito. Avevo dimenticato di ridarti l’estratto di Havet3, interessante anche se non in tutto convincente. Te lo rimando a parte, e di nuovo grazie. E grazie anche per i controlli che ti sei preso il peso di fare per Italo. Ti unisco la lettera di cui sai, avvertendoti che quello che lui4 vuole è semplicemente un controllo dell’e s a t t e z z a d e l l e i n d i c a z i o n i b i b l i o g r a f i c h e per poter citare in una rassegna di studi per l’«At. e Roma»5. Del resto non credo che troverai a Pisa le più delle cose che egli indica. L’ultima indicazione riguarda un libro che vorrebbe citare in una recensione al libro sulla lingua della poesia eolica di Mastrelli6. Ne chiede un’indicazione del tutto generica sul contenuto. Questa recensione me l’ha fatta leggere e mi pare abbastanza buona: praticamente, sia pure con molta cortesia, distrugge quasi del tutto il libro. Ho cominciato a guardare i libri presi in prestito a Pisa e a Firenze. Anche per questo (ma n o n solo per questo) mi sono accorto di altri difetti – parecchi piccoli, uno grossissimo – del mio seminario pisano. Fra l’altro, il confronto fra sine ferro ecc. e il passo di Euripide era, assai prima e più La lettera segue il seminario pisano di M. della prima metà di aprile, su cui vd. lett. 298. Vd. lett. 228. 3 Impossibile identificare l’estratto a cui M. si riferisce. 4 Cioè Italo Mariotti. 5 I. Mariotti, Stilistica latina (Rassegna bibliografica), «A&R», s. V, 3, 1958, pp. 65-76 (= Id., Scritti minori [cit. lett. 224], pp. 55-65). 6 La recensione di I. Mariotti a La lingua di Alceo di C.A. Mastrelli (Firenze 1954), apparve in «A&R», s. V, 3, 1958, pp. 107-10 (= Id., Scritti minori [cit. lett. 224], pp. 484-8). 1 2 625 accuratamente del Dodds, nel Bergk, insieme con altri contributi a Nevio piuttosto mediocri7. Il Bergk voleva trasporre sine ferro manibus pecua ut …, direi a torto; non spiega ad mortem meant né ut. Ma il peggio è che l’ipotesi, apparentemente brillante, della contaminazione crolla rumorosamente (anche se di questo rumore non sentiranno l’eco, forse, i normalisti per un pietoso silenzio). Non è vero che Dioniso non fosse fatto prigioniero in Eschilo: io mi ero lasciato ingannare da una nota mal redatta di Pastorino8. Uno scolio ad Ar. Thesm. dice che in un frammento della Licurgia era detto (pare da Licurgo) πρὸς τὸν συλληφθέντα Διόνυσον9!! Dunque Apollodoro e gli altri non dipendono (o non dipendono completamente) da Eschilo. E l’ipotesi di contaminazione perde il suo sostegno maggiore, e non deve essere presentata. Anche dai miei tutti gli auguri migliori a te e alla tua Mamma. Un abbraccio affettuoso dal tuo Scevola Si tratta del fr. 47 R.3 del Lycurgus. Cfr. Th. Bergk, De aliquot fragmentis tragicorum Latinorum, «RhM», 3, 1835, pp. 70-88, che si occupa del frammento a pp. 75-6. 8 A. Pastorino, Tropaeum Liberi. Saggio sul Licurgus di Nevio e sui motivi dionisiaci nella tragedia latina arcaica, Arona 1955. 9 Schol. in Aristoph. Th. 143 (IV 3, p. 314 Dindorf). 7 626 3121 Pesaro, 24. 4. 1957 Carissimo, mi viene in mente per quel fr. del Lycurgus2: alte iubatos angues infe<n>s<a>e gerunt. Oppure (con una parola che spesso si scambia con infensus e che ne è sinonima) infes<ta>e. A meno che non fosse preferibile uno dei relativi avverbi. Devo ancora vedere gli esempi, ma sia infensus che infestus sono già in Plauto. Una rappresentazione delle Baccanti come guerriere e nemiche è nei frr. … quaque incedunt ecc.3, sine ferro … manibus4 e altrove. Paleograficamente infēfę sarebbe abbastanza vicino a in sese. Cosa te ne pare? Manca una corrispondenza diretta nella rappresentazione euripidea delle Baccanti con serpenti usati quasi come armi, o meglio sentiti come minaccia; ma forse non è necessaria. Affettuosamente tuo Scevola 1 2 3 4 Cartolina postale. Fr. 21 R.3. Fr. 22 R.3. Fr. 47 R.3, su cui vd. lett. precedente. 627 313 Pisa, 26. 4. 1957 Carissimo Scevola, ti sono molto grato della tua lettera così affettuosa1. Per me e mia madre la vostra venuta a Pisa è stata un grandissimo piacere, e ci auguriamo di rivedere qui l’anno prossimo te, la signora e la Flavia2. Il tuo seminario pisano è andato o t t i m a m e n t e sia dal punto di vista scientifico, sia da quello didattico. Io ci ho imparato una quantità di cose e sono contentissimo di averlo seguìto. Le tue osservazioni autocritiche non mi inducono affatto a mutare questo giudizio; importa ben poco che quel confronto sia stato fatto dal Bergk prima che dal Dodds, e che qualche particolare vada rettificato: non si chiede a un seminario una scrupolosa esattezza di dati bibliografici, ma un indirizzo metodico, un esempio di come si lavora nella nostra disciplina; e questo tu l’hai dato. Mi ha fatto anche molto piacere di vedere con quanta cordialità e assenza di qualsiasi accademismo tu sai trattare gli studenti. Non ho ancora parlato con nessun normalista perché fino a ieri tutti erano assenti per le vacanze, ma sono sicuro che anch’essi avranno avuto la mia stessa impressione. Credi pure che qui a Pisa gli attuali docenti, pur essendo persone rispettabili, non sanno fare niente di simile. Sabato scorso andai a Lerici a trovare Arnaldo Momigliano, che si è trattenuto là per qualche giorno prima di ripartire per Londra. (A Pisa non si è fermato). Mi ha fatto leggere il dattiloscritto di un articolo3 molto interessante sui famosi carmi conviviali che avrebbero conservato il ricordo delle leggende romane (ipotesi di Niebuhr e De Sanctis); il Momigliano traccia in modo magistrale la storia della questione, da Perizonio a Vico a Niebuhr a De Sanctis. Cita con assenso una volta il tuo Andronico e un’altra il Nevio. Ho scritto oggi stesso ad Italo. Purtroppo uno solo dei libri da lui elencati c’è a Pisa. Spero di trovare qualcosa di più a Firenze, dove andrò venerdì prossimo. Vd. lett. 311, a cui la presente risponde. Flavia, l’unica figlia di M. 3 A. Momigliano, Perizonius, Niebuhr and the Character of Early Roman Tradition, «JRS», 47, 1957, pp. 104-14 (= Id., Secondo contributo alla storia degli studi classici, Roma 1960, pp. 69-87). 1 2 628 Hai notizia di un’edizione del Bellum Alexandrinum a cura del Giomini, che sarebbe uscita recentemente4? Sarei tentato di recensirla. Coi più affettuosi saluti anche da parte di mia madre il tuo Sebastiano [PS. ‒] Ho ricevuto l’articolo di Havet5, grazie. Si tratta dell’edizione curata da Raffaele Giomini (Roma 1956), che forse T. confondeva con Remo, editore invece, in quegli anni, della Fedra e dell’Agamennone di Seneca (Roma, rispettivamente 1955 e 1956); vd. lett. 315. 5 Vd. lett. 311. 4 629 3141 Urbino, 12. 5. 1957 Carissimo, ieri e oggi sono stati qui i ‘seminaristi’ fiorentini, secondo il progetto che sai. La Lamacchia ha riferito sui centoni, senza dire gran che d’importante. Comunque ho preso qualche appunto, che potrebbe forse avere interesse per la nostra edizione del Salmasiano2 (ma non credo). L’atmosfera è stata cordiale; nell’insieme l’esperimento è riuscito, ed è probabile che ricambieremo la visita a Firenze l’anno prossimo (altra occasione per rivederci?). Ronconi si è accorto – o gli hanno fatto notare – della svista metrica. Mi ha chiesto se me ne fossi accorto (gli ho detto di non aver ancora letto quella nota catulliana3, ma solo un paio delle altre noterelle di Quaeque notando) e se te ne fossi accorto tu. Di questa seconda cosa ho detto che non mi risultava. Ho cercato di tranquillizzarlo citandogli qualche errore di Wilamowitz e altri e anche – poiché egli mi nominava Castiglioni, che aveva letto il suo manoscritto senza accorgersene – dicendogli (nel senso più benevolo possibile verso Castiglioni) che tu ti eri accorto di suoi errori metrici in quel componimento greco4. Non so se approvi quel che gli ho detto; comunque ti ho voluto avvertire subito per evitare contraddizioni. Il tuo manoscritto serviano5 è già in tipografia e speriamo che le bozze non tardino. Grazie delle rinnovate affettuose espressioni sul seminario pisano nella tua ultima e delle notizie sull’articolo di Momigliano6, che m’interesserà davvero. Affettuosi saluti e ossequi alla Mamma. Il tuo Scevola Cartolina postale. Vd. lett. 288. 3 A. Ronconi, Quaeque notando, «SIFC», n.s., 29, 1957, pp. 124-30 (la nota catulliana a p. 128). Ronconi ricostruisce in Cat. 11, 11 un impossibile Gallicum Rhenum, horribilis <us>que ulti- / mosque Britannos. 4 Vd. lett. 309. 5 T., Note serviane (cit. lett. 286). 6 Vd. lett. precedente. 1 2 630 3151 Pisa, 12. 5. 1957 Carissimo Scevola, grazie delle notizie giominiane2. Il Bellum Alexandrinum mi avrebbe interessato di più, perché l’ho letto recentemente (anzi, sentirò poi il tuo parere su due passi). Di Seneca tragico m’intendo troppo poco; è vero, tuttavia, che una recensione sarebbe opportuna. Ci ripenserò. Venerdì prossimo a s s o l u t a m e n t e vedrò a Firenze se ci sono quei libri che interessano a Italo3. Digli, ti prego, di scusarmi del vergognoso ritardo. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano [PS. ‒] Vedo nei «Classica et Mediaevalia» (rivista danese: c’è a Firenze, Università) 17, 1956, p. 91 sgg. un art. di K. Latte, Textkritische Beiträge zu Synesios. Forse lo conoscerai già. 1 2 3 Cartolina postale manoscritta. Vd. lett. 313, a cui M. rispose in una lettera non conservata. Vd. lett. 311. 631 3161 Urbino, 19. 5. 1957 Carissimo Sebastiano, Cazzaniga mi ha scritto una lunga lettera dicendo che dirigerà una collezione milanese di testi greci e latini di ca. 100-120 pp. ciascuno con introduzione in italiano e senza note. Compenso 100.000 circa. Vorrebbe da me Andronico e Nevio2, che – per le ragioni a te note – non potrò dargli, e da te Ennio; ma pensa che a lui diresti più facilmente di no (chissà perché!) e mi chiede di proportelo io come se fosse idea mia. Io lo faccio, pur temendo una ripulsa. Penso che, visto il tono pressante della sua lettera, potremmo proporgli, in tono non definitivo, il nostro Salmasiano3. Cosa ne dici? Naturalmente la mia non è che un’idea qualsiasi. Mi fa anche varie proposte sull’epigr. Bob. ‘de Penelope’, fra l’altro 13 <f>amulam e altre cose non brutte, ma a cui debbo ripensare, o meglio capire con precisione tanto sono scritte confusamente e con errori di macchina. Te ne scriverò, se mi parrà che ci sia altro d’importante e se la cosa continua a interessarti. Maas4, a proposito dello stesso epigramma, scrive che non si può sottrarre all’impressione che in esso parli la Sulpicia Caleni dell’epigr. 37, il che mi sembra una vera sciocchezza (e il Telemacho del v. 2?), ma vedremo se ne darà spiegazioni. Al v. 13 lascerebbe aviam riferendosi a un’usanza italiana, da lui conosciuta 50 anni fa (e confermatami da Tandoi per la Lucania e parti della Puglia), secondo cui nella notte di nozze di una fanciulla molto giovane starebbe nei paraggi una anziana parente (Tandoi sembra sapesse piuttosto di un’amica) per intervenire in caso di andamento tempestoso delle cose. Temo che questa spiegazione ‘folcloristica’, senza – credo – supporti antichi (o almeno medievali), letterari o meno, regga ben poco. Ho doppia la tesi di J. Straus (scolara bernese di Theiler), Terenz u. Menander. Beitrag zu einer Stilvergleichung, Zürich 1955: è informata, anche se non ottima. Se non l’hai, te la dò volentieri; a me non serve. Affettuosi saluti dal tuo Scevola 1 2 3 4 Cartolina postale. Vd. lett. 275. Vd. lett. 288. Evidentemente in una lettera inviata a M. 632 3171 Pisa, 28. 5. 1957 Carissimo Scevola, sebbene famulam non sia brutto, paleograficamente il tuo Triviam mi pare senz’altro superiore (anche se a prima vista non sembra). La spiegazione folcloristica del Maas mi sembra molto improbabile. (Non conoscevo quell’usanza apulo-lucana!). Sono grato a Cazzaniga della proposta di pubblicare Ennio nella sua collezione; ma, come sai, ho abbandonato Ennio ormai da o t t o a n n i ; inoltre conviene ancora aspettare che lo pubblichi Skutsch. Soltanto se Skutsch abbandonasse definitivamente l’impresa (cosa improbabile) potrei prendere in esame la possibilità di fare io l’edizione. Ma anche in tal caso, chi sa se mi deciderei! Ad ogni modo, se scrivi a Cazzaniga ti prego di ringraziarlo vivamente. È il caso che gli scriva anch’io o no? Sarei invece favorevolissimo quanto al nostro Salmasiano (il quale potrebbe eventualmente essere seguito, in un altro volume, dal Vossiano a cura di Tandoi, che ci lavora già da parecchio tempo e ha qualche suo contributo non cattivo)2. Ma si tratta di una collezione tipograficamente seria? Non vorrei che fosse stampata in linotype da qualche tipografiaccia, come spesso si fa in Italia per risparmiare. Inoltre credo che, pur rinunciando a un vero e proprio commento che rischierebbe di essere troppo lungo e farraginoso, dovremmo dare – magari nello stesso apparato critico – la spiegazione dei passi più difficili, molti dei quali furono emendati a torto dal Riese & C. appunto perché non furono capiti. Ciò sarebbe possibile? Grazie e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 1 2 Lettera manoscritta. Risponde alla lett. precedente. Vd. lett. 288. 633 3181 Pesaro, 16. 6. 1957 Carissimo Sebastiano, sono stato per brevi ore a Firenze per accompagnarvi mio padre, che doveva andarci e – nelle sue condizioni – aveva bisogno di compagnia. Così ho visto Grassi-Manfredi ed ho saputo che potrebbe realizzarsi presto il vostro progetto di venire a Urbino. Poiché Grassi-Manfredi preferiscono Urbino a Pesaro (dove sarò per la maturità dal 23 prossimo), ho insistito perché veniste prima del 23. Sarei felicissimo di rivederti. S’intende che anche a Pesaro, dal 23 in poi, vi rivedrei volentieri, e avrei certo anche tempo libero sia per stare con voi che per salire a Urbino per qualche ora. Varie cose mi hanno finora impedito di scrivere a Cazzaniga per accettare la proposta nel senso che concordammo con una riserva per la stampa (che ritengo però dovrebbe essere tecnicamente buona, date le assicurazioni preliminari che mi diede Cazzaniga)2. Lo farò nei prossimi giorni. […] Ho letto quei versi di Castiglioni nella Miscellanea Galbiati3. È inconcepibile come non sia capace di vedere le enormità dei suoi esametri! Ti abbraccio e ti aspetto. Scevola PS. ‒ Ti mando a parte 2 voll. che ti prego di restituire con tutto comodo all’Ist. di Fil. Cl. della Normale (grazie) e la tesi della Straus, se t’interessa4. 1 2 3 4 Cartolina postale. Vd. le due lett. precedenti. Vd. lett. 309. Vd. lett. 316. 634 319 Pisa, 20. 8. 1957 Carissimo Scevola, molte grazie della recensione al Pastorino1, che mi pare ottima. Io non ho letto il libro, ma da ciò che mi dici tu appare evidente l’assoluta infondatezza della tesi da lui sostenuta. Molto curiosa e significativa, l’opposta interpretazione di palam muttire plebeio piaculum est data dal Pastorino e dal Biliński! Senz’altro definitiva la confutazione del titolo Tropaeum Liberi, che già esponesti nel tuo seminario pisano. […] L’unico punto (del resto marginale) su cui non sono d’accordo è il tuo assenso all’articolo del Perrotta su Aristofane2. Io credo che la tesi del Perrotta (ripresa poi da Lallo Russo nell’introduzione agli Acarnesi3 sia un’arbitraria e meccanica applicazione di una formuletta crociana: «è un poeta, d u n q u e non ha interessi politici» (beninteso, Croce non arrivava fino a questo punto). Basta una lettura spregiudicata di Aristofane per vedere che le sue idee politiche egli le ebbe, ben chiare e coerenti: e furono idee conservatrici, antidemocratiche, antiilluministiche, da laudator temporis acti. Aristofane non si divertì a tirar botte ugualmente a destra e a sinistra, no: polemizzò sostanzialmente sempre in una direzione, contro i politici democratici e contro i filosofi riformatori (tra cui va compreso anche Euripide). Naturalmente ciò non toglie nulla alla grandezza della sua arte: è chiaro che un reazionario può essere benissimo un grande artista! Ma voler negare che egli abbia avuto interessi politici è, secondo me, una tesi altrettanto insostenibile quanto quelle del Biliński e del Pastorino che gli interessi politici vogliono vederli per forza dove non ci sono. In chiave di puro lirismo o di arguzia ‘disinteressata’ si potranno interpretare gli Uccelli; ma prova un po’ a interpretare in questo senso i Cavalieri! Per analoghe ragioni io credo che anche il saggio del Perrotta su Euripide sia in gran parte sbagliato, come pure quello su Eschilo4; molto meglio egli ha compreso Sofocle5, appunto perché Sofocle è dei tre il più poeta-puro. E Croce stesso, che ha scritto un bellissimo saggio sull’Ariosto, è riuscito incomparabilmente peggio quando ha voluto cimentarsi con Dante e Leopardi. S. M., rec. ad A. Pastorino, Tropaeum Liberi, «Gnomon», 29, 1957, pp. 315-7 (= SFC, pp. 28-31). 2 G. Perrotta, Aristofane, «Maia», 5, 1952, pp. 1-31, in partic. 2-10. 3 Bari 1953. 4 Nella Storia della letteratura greca, II. L’età attica, Milano-Messina 1941. 5 Cfr. G. Perrotta, Sofocle, Messina 1935. 1 635 Scusa questi miei latrati anticrociani (tu conosci ormai questa mia idiosincrasia!) e ricevi i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano PS. ‒ Fraenkel l’anno prossimo verrà alla Normale, e, a quanto pare, farà mezzo seminario prima di Pasqua e mezzo dopo. E tu quando verrai in Toscana? 636 320 Urbino, 28. 8. 1957 Carissimo Sebastiano, scusami sempre questa carta ‘ufficiale’1. Me ne danno parecchia e per pigrizia non compro l’altra. Temo che la tua critica alla mia recensione2 sia giusta. Rileggendo quello che ho scritto, mi accorgo di essermi per lo meno espresso molto male. L’articolo di Perrotta era specioso, ma qualcosa di vero forse lo conteneva (io, comunque, ho avuto il torto di lasciarmene conquistare). Non mi sentirei davvero di negare che Aristofane avesse un’ideologia o delle ideologie politiche. Non mi pare però che scrivesse le sue commedie, nemmeno i Cavalieri, p e r c o m b a t t e r e una battaglia politica e tanto meno per combatterla in favore di un partito. Questo, se avessi un po’ riflettuto, avrei dovuto scrivere; e, se avessi riflettuto di più, non avrei dovuto affatto ricordare Aristofane, che non si presta a un confronto (almeno nel senso che io volevo). Ora mi capita una seccatura. Russo padre mi ha chiesto in tono molto pressante un articolo su Ovidio (bimillenario!) per il «Belfagor», da consegnare entro ottobre3. Avrei dovuto dire di no, stante anche la mia ignoranza di cose ovidiane; ma non ho saputo farlo, soprattutto per non urtare il Russo. Ho chiesto qualche aiuto bibliografico al Munari. Vorrei disturbare anche te, senza seguire vie più complicate (so che il Bolelli è in giro per l’Europa), perché, se e quando vai alla Normale, mi sapessi dire se si può ancora acquistare il vecchio studio di Castiglioni sulle Metamorfosi (Nistri-Lischi 1906), che deve costituire un volume degli «Annali». Lo vedo citato con considerazione e deve essere effettivamente una cosa utile. Se mai, ti prego di farmelo addirittura mandare (spero che non mi faranno prezzi proibitivi). Scusami e, se non hai tempo, non disturbarti. Sai la commissione di latino? Non ricordo se te l’ho scritta: Arnaldi, Paratore, De Falco, Castiglioni, Malcovati. Ronconi non è riuscito per poco. Temo forte per Munari. Cosa si potrà fare per lui, sempre così schivo dell’occuparsi di queste cose pratiche? Qualcosa per la Malcovati e Castiglioni mi ha suggerito Caretti (fare scrivere da Fraenkel e A. Momigliano Carta intestata «Università degli studi di Urbino. Facoltà di Lettere e Filosofia». Rec. ad A. Pastorino, Tropaeum liberi (cit. lett. precedente). 3 L’articolo, La carriera poetica di Ovidio, apparve in «Belfagor», 12, 1957, pp. 609-34 (rist. in «Annuario dell’Univ. Degli Studi di Urbino», a. a. 1957-58, Urbino 1959, pp. 23-58, come lezione inaugurale di quell’anno accademico, poi come saggio introduttivo dell’ed. BUR dell’ovidiana Arte di Amare [Milano, 1977], infine in SFC, pp. 123-53). 1 2 637 a Fraccaro, autorevole presso la Malcovati e anche Castiglioni). Pensi che si possa fare altro? Ti abbraccia il tuo Scevola 638 321 Pisa, 3. 9. <1957>1 Carissimo Scevola, ti ringrazio moltissimo della lettera e dell’invio del libro di Sichirollo2, che, da una prima scorsa, mi pare molto interessante. Lo leggerò quanto prima e poi scriverò a Sichirollo; intanto ti prego di ringraziarlo se lo vedi. Hai fatto benissimo ad accettare l’invito di Russo per l’articolo su Ovidio. Ti spedisco oggi lo studio di Castiglioni, di cui alla Normale hanno ancora numerose copie. Ti prego di accettarlo in omaggio (o, per meglio dire, in cambio dei numerosi libri che mi hai mandato); del resto me l’hanno dato per un prezzo minimo. Non ho mai letto questo studio, ma credo anch’io che debba essere utile. Sono sicuro che il tuo articolo ovidiano riuscirà molto interessante e aspetto con desiderio che appaia su «Belfagor». Su Aristofane siamo probabilmente più d’accordo di quanto mi fosse sembrato; ad ogni modo riconfermo che la tua stroncatura del Tropaeum Liberi è giustissima; anche il Pastorino dovrà prenderne atto. La commissione per il concorso di latino, certo, lascia ben poche speranze per il Munari. La via che ti ha suggerito Caretti è molto opportuna; tuttavia temo che, in ogni caso, Castiglioni non sosterrà Munari. Ripeto, il caso mi sembra disperato. Andrà a finire che Munari si sistemerà definitivamente all’estero, e così l’Italia perderà un filologo serio e preparato. […] Come va Nevio? Serbo sempre vivo il ricordo del tuo bellissimo seminario. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano PS. ‒ Con grande ritardo ho saputo che tuo padre è stato insignito della Legion d’onore. Ti prego di comunicargli i miei rallegramenti più vivi per questo meritatissimo riconoscimento della sua opera di francesista. L’anno si supplisce facilmente, dato che si tratta di una risposta alla lettera che precede. Dei tre libri pubblicati nel 1957 da L. Sichirollo (su cui vd. lett. 249), Logica e dialettica: interpretazione e saggi (Milano, Elzeviriana), Tre saggi di storiografia filosofica: Aristotele, Descartes, Kant (Milano, Trevisini) e Antropologia e dialettica nella filosofia di Platone (Milano, Veronelli) i più vicini agli interessi di M. e T. sembrano gli ultimi due. 1 2 639 322 Urbino, 9. 9. 1957 Carissimo Sebastiano, grazie per la pena che ti sei presa a procurarmi e a mandarmi il Castiglioni1, che mi sarà utilissimo! Sei sempre di una gentilezza squisita. Però non posso accettarlo come dono. Il richiamo a qualche cosa insignificante che ti ho mandato non vale assolutamente: si trattava di doppioni che non mi costavano nulla e di cui anzi mi era comodo liberarmi. (Quanto poi al libro di Sichirollo, è stato lui a darmene una copia per te). Quindi ti prego di dirmi quanto hai speso: se insisterai nella tua posizione, non potrò assolutamente più chiederti favori, almeno di questo genere! Grazie anche a nome di mio padre dei rallegramenti gentilissimi. E grazie di quello che mi dici sul seminario (anche qui sei, lo so, troppo buono)2: ho lasciato ora da parte Nevio per Ovidio, ma conto di riprenderlo in novembre (così mi accorgerò di altre balle dette in quel seminario). Questa storia di Ovidio è proprio una scocciatura (ci lavoro sei ore al giorno, che per me sono il massimo; s’intende che il lavoro consiste anche in lettura di Ovidio o di studi altrui!), ma s’impara qualcosa d’interessante. Quando mi scrivi, dimmi se hai finito quel lavoro di storia della filologia ottocentesca e se stai facendo altro. La correzione delle bozze di (Fraenkel)-Leo3, appena iniziata, ha creato un mucchio di grattacapi per le accuse di fretta, indolenza ecc. che Fraenkel fa alla tipografia. Mille grazie ancora e un affettuoso abbraccio dal tuo Scevola 1 2 3 Vd., anche per quel che segue, lett. precedente. Forse a proposito dell’idea già esposta nel seminario pisano (vd. lett. 319). Leo, Ausgewälte kleine Schriften (cit. lett. 237). 640 323 Pisa, 12. 9. 1957 Carissimo Scevola, ti prometto solennemente che, la prossima volta che acquisterò per te un libro, te ne farò sapere il prezzo. Per questa volta ti prego di accettare il Castiglioni1, tanto più che, ripeto, me l’hanno ceduto a un prezzo molto modesto. Nell’«Atene e Roma», che mi è arrivato oggi, ho letto con molto piacere la tua nota sui Bucolica munariani2. Visto che Munari non si decideva a rispondere per le rime allo Scivoletto, hai fatto benissimo a rispondergli tu. Spero vivamente che questa tua chiara e simpatica presa di posizione possa giovare a Munari anche in vista del concorso; in ogni caso, lo Scivoletto ha avuto una salutare lezione, e un’altra volta sarà più cauto. Non so se hai visto la recensione al Munari di G. Brugnoli, pubblicata in «Cultura neolatina» 16, 1956, p. 259 sgg. Anche il Brugnoli tratta il Munari con tono ostile e con grande aria di sufficienza (io non riesco a capire il perché di questa ostilità così diffusa verso il Munari!); e anche lui, insieme a qualche osservazione giusta (per es. può darsi che abbia ragione di difendere non interrogativo in III 2, contro di me), dice moltissime cose inesatte. Per esempio considera come una prova della dipendenza di E da G (dipendenza secondo lui sicurissima, e non soltanto probabile come vorrebbe il Munari) l’esistenza di un c e r t o n u m e r o di errori comuni: come se gli errori comuni non potessero anche risalire a un capostipite comune! Occorrerebbe quindi… un supplemento alla tua nota; ma forse la strigliata allo Scivoletto può bastare. Il Fraenkel avrà mandato anche a te un articoletto, Detonsare vielleicht vox nihili, uscito in «Glotta»3: il curioso è che egli si limita a riferire l’opinione di D. Daube4, approvandola, ma senza alcun suo contributo personale. La questioncella, comunque, è interessante; io però non mi sentirei ancora di correggere detonset in detondet5. Immagino i grattacapi suscitati dal Fraenkel per gli Opuscula del Leo6! Per lui, dare grattacapi alla gente è un vero bisogno fisico. Già mi par di 1 2 3 4 5 6 Vd. lett. precedente. «A&R», s. V, 2, 1957, pp. 122-3. «Glotta», 36, 1957, pp. 159-60 D. Daube, Forms of Roman Legislation, Oxford 1956, pp. 71-2. In Gell. 10, 15, 11. Vd. lett. precedente. 641 sentire, nella prossima primavera, i suoi feroci rimbrotti perché non mi sono ancora messo a commentare Virgilio. A proposito di tipografie: che ne è degli «Studi Urbinati»? – Come vedi, sono un po’ fraenkeliano anch’io! Beninteso, non ho alcun motivo particolare di fretta per quel mio articolo serviano7; vorrei soltanto sapere se potrà uscire, per es., prima della prossima estate. Forse qualche notizia a questo riguardo potrà dartela Bo quando verrà ad Urbino. Coi più affettuosi saluti Sebastiano 7 Vd. lett. 286. 642 324 Pesaro, 23. 9. 1957 Carissimo Sebastiano, mi hai abilmente messo nelle condizioni di accettare. Grazie dunque del Castiglioni1; ma so di restare in debito. Comunque non dimenticare la clausola per mie eventuali richieste future (che per ora – sta’ tranquillo – non medito!). Il tuo articolo è da parecchio tempo sotto i torchi. Dovresti avere prestissimo le bozze2. Mi ha detto Sichirollo3 che le manderà a me; ma temo di non aver tempo, a causa del maledetto Ovidio4, di farti la prima revisione, come avrei voluto. Purtroppo non sarà una revisione facile: il tipografo urbinate, per mancanza o meglio insufficienza di caratteri (greci?), sta facendo comporre una parte a Pesaro da una tipografia che sembra più dotata di caratteri che di capacità. Ti assicura però (attraverso Sichirollo e me) che le seconde bozze saranno assai migliori delle prime. Spero che tu non debba aspettare molto: le prime bozze della conferenza di Fraenkel5 che esce nello stesso numero sono già corrette. […] Affettuosi saluti, e grazie ancora del Castiglioni! Ti abbraccia il tuo Scevola 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. Vd. lett. 249. Vd. lett. 320. Fraenkel, Il filellenismo dei Romani (cit. lett. 303). 643 325 Pisa, 24. 9. 1957 Carissimo Scevola, […] Molte grazie delle notizie sulle bozze1. Non perdere assolutamente tempo a correggerle tu; è un lavoro che spetta all’autore! Avrai ricevuto anche tu il monumentale Orazio di Fraenkel2: 460 pagine! Ho appena cominciato a leggerlo e mi riprometto di portare avanti la lettura a piccole tappe (data anche la mia poca conoscenza dell’inglese), in modo da averla terminata in primavera, quando Fraenkel verrà a Pisa. Del resto, mi farà bene leggere, dopo tanto tempo, un libro di filologia classica da cima a fondo. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Vd. lett. precedente. E. Fraenkel, Horace, Oxford 1957 (trad. it. a cura di S. Lilla, premessa di S. Mariotti, Roma 1993). 1 2 644 326 Pesaro, 23. 12. 1957 Carissimo Sebastiano, sono da lunghissimo tempo in debito con te di una lettera. Prima ho lavorato parecchio, anche se con scarso risultato, all’articolo ovidiano per il «Belfagor», che è uscito e di cui ti manderò l’estratto appena li riceverò1. Al massimo potrai trovarci qualche osservazioncella nelle note. Russo poi l’ha ornato di una nota in cui attribuisce o sembra attribuire all’articolo carattere e fini diversi da quelli che ha e per cui l’articolo riuscirà inviso, anche senza leggerlo, a molti. In ogni modo il lavoro, sebbene affrettato, mi è servito per ‘cambiar aria’ per un paio di mesi. Leggendo o rileggendo, più o meno in fretta, Ovidio, ho notato all’inizio del VI dei Fasti (quasi ‘proemio’) una specie di ‘risposta’ a presunti (o reali) critici sulla realtà delle visioni divine di Ovidio e il motivo mi ha ricordato il supposto (ma dubitato p. es. dal Vahlen) riferimento nel proemio di Enn. Ann. VII alla visione di Omero (me quisquam sophiam …). Ma l’accostamento è generico, può essere casuale (o non esserci, se il motivo mancava nel proemio enniano) o essere stato già fatto. Te lo dico per cronaca. […] In novembre Bolelli2 mi scrisse gentilmente proponendomi un incarico di filologia latina alla Normale con impegno – per me assolutamente troppo pesante – di venire a Pisa per una settimana al mese. Gli risposi negativamente, ma in tono molto grato e facendogli capire che avrei gradito di fare qualcosa come l’anno scorso (ma quest’anno le cose si presentano comunque diversamente per la venuta di Fraenkel). Non mi ha più risposto (né del resto mi doveva una risposta). Sai se e a chi hanno dato quell’incarico, che, mi diceva Bolelli, era necessario dare anche perché Peretti non intendeva fare quest’anno greco? Ti faccio la domanda per semplice curiosità. A Pisa verrei volentieri soprattutto per te; ma, almeno per quest’anno, la cosa mi pare ben poco probabile. Verrai tu piuttosto, penso e spero, nel periodo fraenkeliano, se non prima. Grazie anche a te della cartolina dal seminario campaniano. Hanno almeno cominciato a mandare le bozze degli «St. Urbin.»3? Io sono mortificato della lentezza (e imperizia) con cui procedono. Vd. lett. 320. Vd. lett. 206. La medesima proposta Bolelli aveva rivolto a M. l’anno precedente, vd. lett. 298. 3 Vd. lett. 286. 1 2 645 Auguri vivissimi alla tua Mamma e a te anche da mia moglie. Ti abbraccio affettuosamente. Il tuo Scevola PS. ‒ Abbiamo letto del vostro dono ‒ quam munificum! ‒ della raccolta di tuo Padre. È stato davvero un gesto nobile e utile agli studiosi. Mia moglie ricorda ancora con ammirazione la raccolta. 646 327 Pesaro, 24. 12. 1957 Carissimo, faccio seguito alla mia di ieri1 per comunicarti che Bolelli mi ha scritto dicendomi dell’incarico dato a Traglia e invitandomi anche per quest’anno per un seminario. La cosa mi ha fatto piacere e penserei di accettare senz’altro. Ma, fra l’altro, mi resta il problema della scelta dell’argomento, per cui sarei lieto di avere la tua opinione. La prima idea che mi si presenta è uno sguardo ai Bobiensia, che non mi richiederebbe molta preparazione. Potrei parlare delle questioni generali (ordinamento della raccolta e simili) e soprattutto fermarmi sui punti testualmente ancora incerti ecc. Non avrei, per ora almeno, nessuna o quasi nessuna novità; ci sarebbero tuttavia i tuoi contributi su quei titoli, che mi parvero assolutamente sicuri. Ma che cosa direbbe Campana, a cui naturalmente dovrei scrivere al più presto? Sarebbe disposto a fare anche lui un paio di lezioni sulla scoperta e la storia del codice, che interesserebbero molto anche me? E sarebbe disposto a far avere (o acquistare – a chi? alla Normale?) qualche copia del volume munariano? Cosa ne dici? Il tuo consiglio mi sarebbe prezioso. Ancora tanti auguri e affettuosi saluti dal tuo Scevola 1 Vd. lett. precedente. 647 328 Pisa, 28. 12. 1957 Carissimo Scevola, innanzi tutto ricambio a te, alla signora e alla Flavia1, nonché ai tuoi genitori e ad Italo, i più fervidi auguri anche da parte della mia mamma2. La tua seconda lettera3, con l’annunzio del tuo seminario pisano, mi ha arrecato vivissima gioia. Già da più di un mese si era sparsa tra i normalisti la voce che tu saresti venuto anche quest’anno: me l’avevano riferita Carlini e Bressan, dichiarandosene molto lieti. Io mi preparavo appunto a scriverti per chiederti notizie su ciò, quando mi giunse la tua prima lettera la quale sembrava far tramontare questa speranza. Tanto più, come puoi immaginare, sono stato contento di ricevere la tua seconda lettera, È superfluo dire che d e v i accettare senz’altro. In che periodo verrai? Prima di Fraenkel, suppongo; la tua venuta dovrebbe quindi non essere lontana. La scelta dell’argomento è ottima, sia perché i Bobiensia si prestano molto bene ad un seminario, sia perché tu hai su di essi dei contributi di valore, sia, infine, perché tale scelta costituisce implicitamente un gesto di simpatia verso Munari, che in questo momento ne ha particolarmente bisogno. Io ho fiducia che Campana riconoscerà la giustezza di queste ragioni, tanto più se, come mi scrivi, tu hai intenzione di invitarlo a tenere anche lui una lezione sulla scoperta e la storia del codice. […] Perciò fai bene a scrivergli subito; e potresti anche ‒ o contemporaneamente, o dopo aver ricevuto la sua risposta ‒ scrivere a De Luca4, per metterti d’accordo circa la cessione o la vendita a prezzo ridotto di alcune copie alla Normale. In ogni caso, anche se Campana non si mostrasse entusiasta della cosa (il che tuttavia io non credo), tu farai benissimo a fare il seminario sui Bobiensia. Ho letto il tuo articolo su Ovidio5 e senza esagerazione ti dico che è un saggio ottimo sotto ogni aspetto. Io credo che non si potesse scrivere niente di meglio. La ‘carriera poetica’ ovidiana è tracciata con mano sicura, i giudizi sono equilibrati, le osservazioni sulla tecnica compositiva e sullo stile acute e in buona parte nuove. Particolarmente originale e convincente mi Vd. lett. 313. Vd. lett. precedente. 3 La lett. precedente. 4 Don Giuseppe De Luca (1898-1962), fondatore e direttore delle Edizioni di Storia e Letteratura. 5 M., La carriera poetica di Ovidio (cit. lett. 320). 1 2 648 sembra la caratterizzazione dei Fasti ma anche sulle Eroidi e sull’ultimo Ovidio ci sono osservazioni molto penetranti. Le note contengono moltissime osservazioni e discussioni piene di interesse. Insomma è un saggio che ancora una volta dimostra che tu sei critico e storico di prim’ordine, e non solo filologo stricto sensu. Penso che piacerà moltissimo. La postilla di Russo, certo, è piuttosto discutibile, ma tutti comprenderanno benissimo che essa è da addebitarsi al solo Russo e che il tuo saggio non ha niente a che fare con le polemiche pro e contro le celebrazioni romene di Ovidio! (Con tante accuse che ci sono da rivolgere all’attuale governo su questioni politiche ed economiche, è ridicolo accusarlo per l’appunto di non essersi interessato della commemorazione di Ovidio!). Molto acuta e ‒ che io sappia ‒ nuova è la tua osservazione sull’inizio del VI libro dei Fasti confrontato col proemio di Ennio Ann. VII (dove io persisto a ritenere che un riferimento al proemio al primo libro ci sia). Potrai includerla in quella seconda edizione delle Lezioni su Ennio che, secondo me, dovresti un giorno o l’altro pubblicare6. Ora ti sei rimesso a Nevio? Io sto stendendo alcune noterelle meramente erudite sul testo dello Zibaldone e dell’epistolario del Leopardi (rettifiche di lettura et similia)7. Le tipografie che stampano gli «Studi urbinati» sono, senza dubbio, un po’ scalcinate, tuttavia la composizione e la correzione del mio articolo su Servio8 sono già abbastanza avanti, anche per merito del Sichirollo9 che è stato verso di me molto gentile. Speriamo che l’articolo esca in uno dei prossimi mesi. Nell’ultimo «Atene e Roma» c’è una recensione, molto benevola e simpatica, di A. Spadoni a quel mio vecchio articolo su Leopardi e Giulio Africano10. Mi dice Ronconi che Spadoni è un tuo assistente. Ti prego quindi di ringraziarlo vivamente da parte mia. Ho finito ieri l’altro la lettura dell’Orazio di Fraenkel11. È un libro da cui s’impara un’infinità di cose. Vi sono molte osservazioni fini e intelligenti sulla tecnica letteraria di Orazio, sulla sua umanità ecc. Le interpretazioni di singoli passi sono quasi tutte convincenti, e così pure le discussioni di critica del testo (naturalmente, come è inevitabile in un autore tanto studiato, i contributi nuovi non sono molti, ma nel vagliare le opinioni Sulla seconda edizione delle Lezioni su Ennio vd. lett. 367. S. T., Appunti per il futuro editore dello Zibaldone e dell’epistolario leopardiano, «Giorn. stor. della lett. ital.», 135, 1958, pp. 615-26. 8 Vd. lett. 286. 9 Vd. lett. 324. 10 «A&R», s. V, 2, 1957, p. 187. 11 Vd. lett. 325. 6 7 649 dei suoi predecessori Fraenkel quasi sempre coglie nel segno)12. Si vede anche che Fraenkel ha sotto mano tutta la letteratura greca e latina, e che ha un’invidiabile conoscenza di poeti inglesi e italiani, oltre che tedeschi. L’unico guaio è che egli vuol rivalutare al di là del giusto le odi romane, il carme secolare, l’Orazio-vate. E qui le sue argomentazioni mi paiono molto deboli. Egli in sostanza dimostra (facile assunto!) che Orazio non era un volgare adulatore prezzolato da Augusto, e crede con ciò di aver dimostrato che le odi in onore di Augusto sono alta poesia13! Non potrò fare a meno, scrivendogli, di accennargli sia pur garbatissimamente questo mio dissenso; e speriamo che non si arrabbi! Quando tu leggerai il libro, sarò lieto di sapere le tue impressioni. […] Fammi sapere quando vieni a Pisa. Di nuovo i più affettuosi auguri e saluti dal tuo Sebastiano A piè di pagina T. aggiunge: «Tra l’altro, egli dimostra che più e più volte Heinze, rifacendo il commento del Kiessling, lo ha peggiorato: cosa, questa, che io non sospettavo». 13 Si aggiunge in nota: «A questo proposito c’è anche una nota alquanto aspra verso il La Penna». 12 650 329 Pesaro, 1. 1. 1958 Carissimo Sebastiano, grazie molte della tua1. Sei come sempre fraternamente affettuoso. Mi sono attenuto al tuo consiglio scrivendo a Campana; cioè non gli ho tanto chiesto un’approvazione alla scelta dell’argomento quanto un aiuto nel fare, se crede, una o qualche lezione sul codice e la sua storia e soprattutto nel procurarci qualche copia dell’edizione. Sul periodo del seminario Bolelli non mi ha ancora detto nulla. Penso anche io che dovrò farlo prima della venuta di Fraenkel, che credo verrà a Pisa prima di Pasqua giacché mi ha scritto che lascerà Pisa per Urbino il 19 aprile. Penso dunque che dovrei venire in marzo; ne scriverò a Bolelli, al quale ho per ora solo comunicato di accettare il suo invito. Grazie di aver letto e di avermi scritto così gentilmente sull’articolo ovidiano, di cui non ho ancora ricevuto gli estratti. Debbo dire però per obiettività che esso è molto meno originale di quanto a te non sia sembrato (e s’intende che nel tuo giudizio c’era la tua consueta inclinazione favorevole verso le mie cose): anche la parte sui Fasti, a cui ti riferisci, non ha niente o quasi di nuovo, salvo la scelta di qualche esempio e la disposizione della materia. Te ne persuaderai facilmente leggendo la trattazione sui Fasti del Kraus nella RE2 e l’introduzione del Bömer all’edizione dei Fasti3. Le mie qualità di «storico e critico» sono dunque, come vedi, estremamente problematiche, per usare verso di me un’espressione gentile. Per quell’osservazione sui ‘proemi’ di Fast. VI e Enn. Ann. VII farò come tu dici, dopo aver accertato per quanto possibile che non sia già stata fatta. Non ricordavo che su quel frammento tu ti fossi pronunciato nei tuoi articoli enniani; ma naturalmente dovrò rivedere molte cose, e prima di tutte le tue, prima di stampare quella seconda edizione, che vorrei preparare quest’anno4. Ma di questo parleremo presto. Molto interessante e, mi sembra, molto fondato il tuo giudizio sull’Horace di Fraenkel5. Ora ho cominciato a leggere il libro, che avevo soltanto scorso. Forse veramente un’immagine compiuta e soprattutto persuasiva della figura di Orazio vi manca e il libro vale più come commentario pre- 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente. La voce Ovidius W. Kraus è in RE XVIII 2, coll. 1910-86. P. Ovidivs Naso, Die Fasten, I. Einleitung, Text und Ubersetzung, Heidelberg 1957. Su questa seconda edizione vd. lett. 369. Vd. lett. 315 e 318. 651 zioso per l’informazione ed equilibrato di molti componimenti. Un libro insieme costruttivo e unitario Fraenkel non l’ha più scritto, se non sbaglio, dopo il Plautinisches im Plautus. […] Affettuosi saluti dal tuo Scevola 652 3301 Pesaro, 12. 1. 1958 Carissimo Sebastiano, per il tuo articolo ‘urbinate’2, sta’ tranquillo. Mercoledì 15 ritorno definitivamente a Urbino, e intanto ho avvertito la tipografia che non facciano nulla di definitivo senza una mia revisione. Spero di fare qualcosa per riparare alla scortese durezza con cui dovetti, ossessionato com’ero dalla scarsezza di tempo per l’articolo ovidiano, rifiutarti qualche mese fa un aiuto che sarebbe stato doveroso. Mi pare che il ‘salto’ della nota dovrebbe essere eliminato – con la massima oculatezza, naturalmente, per evitare altri errori. Vedrò in loco di fare meglio che potrò. Bene anche per la numerazione di pagine degli estratti. Grazie di quanto mi scrivi del seminario. Purtroppo Campana non risponde ancora, sebbene l’avessi pregato (con tutta gentilezza, com’è ovvio) di fare un’eccezione al suo abituale comportamento. Pensavo di telefonargli di qui a Roma, ma non vorrei che una procedura così eccezionale ‘insospettisse’ la sua sensibilità. Lo farò tuttavia, a meno che non sembrasse a te – che, come vedi, comincio già a seccare per il seminario pisano! – opportuna e fattibile una tua richiesta a lui, quando tornerà a Pisa, di una risposta per mio conto. In fondo quel che gli chiedevo era di procurarci qualche copia del volume munariano nel modo che a lui paresse più opportuno. Se no, quante copie riusciremmo a mettere insieme? Ci sarebbero la mia, la tua, quella di Zicàri; una forse di Munari stesso; troppo poche, mi pare, e soprattutto copie (almeno la mia e quella di Zicàri, e forse anche la tua) in cui abbiamo appuntato quel che ci passava per la mente e che quindi non sono le più adatte a girare fra gli studenti. D’altronde bisognerà pure che io faccia sapere qualcosa di preciso a Bolelli. Ti prego di farmi sapere c o n t u t t a f r a n c h e z z a cosa te ne pare dell’idea di questo tuo intervento, o se vedi un’altra via (rivolgersi a De Luca?)3. Speriamo intanto che Campana risponda. E scusami di quest’altra seccatura! Grazie anche del Kolaklides4, di cui ignoravo affatto l’esistenza. Se proprio il dop- Risponde a una lettera di T. non conservata. Vd. lett. 286. 3 Vd. lett. 328. 4 Nella lett. successiva si parla di «due articoli del Kolaklides»: l’uno sarà certamente P. Kolaklides, Νέαι παρατήσεις εἰς τὸν Ἔννιον, «EEAth», 7, 1956-57, pp. 414-18, l’altro non è stato possibile identificare. 1 2 653 pione non può servirti, lo gradirò molto; ma, in questo caso, me lo darai (o altrimenti me lo farai leggere) a Pisa, perché in questo momento lascio ancora per un po’ dormire il nostro Ennio. Coi più affettuosi saluti, il tuo Scevola PS. ‒ Skutsch mi scrive che realizzerà quest’anno il progetto di fermarsi in Italia (e anche sull’Adriatico, da queste parti). Verso metà luglio lavorerà su codici dell’Andria alla Vaticana, verso la fine del mese andrà a Ischia e all’inizio di agosto verrà qua. Fraenkel e Skutsch in uno stesso anno, sebbene graditissimi, sono parecchi! 654 331 Pisa, 13. 1. 1958 Carissimo Scevola, ti ringrazio moltissimo della tua premura per l’articolo serviano1. Ma non parlare, neanche per scherzo, di «scortese durezza» (!) che tu mi avresti dimostrata2! A parte il fatto che tu eri occupato con Ovidio, la stampa del mio articolo è proceduta finora normalmente e non c’era bisogno di alcun particolare intervento. Del resto anche per ciò che riguarda l’imperizia del tipografo non è il caso di esagerare: la tipografia Giuntina di Firenze, che stampa l’«Atene e Roma», non è certo superiore, anzi forse è peggiore (ne so qualcosa io). Comunque, ormai la maggior parte delle correzioni sono state eseguite. Campana, purtroppo, non deroga facilmente alla sua abitudine di non rispondere; e se per caso uno insiste, allora sì che non risponde! Direi perciò anch’io che la telefonata è sconsigliabile, perché potrebbe considerarla come una pressione troppo violenta. Sabato prossimo lo vedrò e gli parlerò senz’altro della cosa. Mi viene in mente anche un’altra possibilità: la Normale possiede un buon ciclostile, col quale forse non sarebbe troppo difficile tirare un certo numero di copie, se non di tutti gli epigrammi bobiensi, almeno di quelli che tu soprattutto ti proponi di esaminare. Naturalmente bisognerebbe che tu chiedessi a Bolelli se è d’accordo3. La mia copia dei Bobiensia ha, sì, alcune annotazioni mie, ma poche, quindi sarebbe anch’essa utilizzabile. L’essenziale, comunque, è che tu i n o g n i c a s o venga a fare il seminario. Il Fraenkel, fortunatamente, non si è adirato della mia lettera, anzi mi ha scritto gentilmente; quanto ad Augusto e alle odi romane, ha rinviato la discussione a quando ci rivedremo a Pisa. Avrà mandato anche a te un articolo su alcuni passi delle epistole ciceroniane4; io non l’ho ancora letto. Quando verrai ti darò senz’altro i due articoli del Kolaklides5; ricordamelo. Anche a me Skutsch ha scritto che verrà in Italia e si accamperà sulla costa adriatica. Eh sì, Fraenkel e Skutsch nello stesso anno sono davvero Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 3 Vd. lett. 206. 4 Probabilmente si tratta di Some Notes on Cicero’s Letters to Trebatius, «JRS», 47, 1957, pp. 66-70. 5 Vd. lett. precedente. 1 2 655 ‘troppa grazia’! Bisogna dire tuttavia che Skutsch è un uomo mitissimo; conosciuto personalmente, è molto più affabile e simpatico di come apparirebbe dalle lettere; quindi vedrai che non ti dispiacerà conoscerlo. Inoltre non è un fanatico degli studi filologici: si può benissimo parlare con lui del più e del meno. Per me l’unica seccatura consiste nel dover parlare in latino, ma tu potrai conversare con lui in inglese; del resto, a onor del vero, egli si accontenta di un latino semi-maccheronico! Ti riscriverò sabato appena avrò parlato con Campana. Molti affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 656 332 Urbino, 21. 1. 1958 Carissimo Sebastiano, grazie infinite della lettera e dell’espresso, testimoni una volta di più della tua premura affettuosa (ma dell’espresso non c’era bisogno!)1. Ora per tuo merito sono tranquillo sulla scelta dell’argomento, che tuttavia dovrò preparare. Intanto ho accertato, mediante la richiesta di un libraio pesarese fatta per conto della biblioteca di Pesaro che mons. De Luca2 manda anche separato e senza condizioni il volume di Munari; non so se all’insaputa di Campana. Così potrò portare altre due copie, quelle di Pesaro e dell’Universitaria di Urbino. Ora debbo scrivere a Bolelli, nel senso da te suggeritomi. In fondo, il volume verrà a costare poco (con lo sconto che mi dici, 1200 lire o meno) e la Scuola o qualche studente potrebbero acquistarne qualche copia. Quanto alla data d’inizio, mi parli di metà febbraio. Sai con precisione quando verrà il Fraenkel? Io tenderei a venire il più tardi possibile, ossia un paio di settimane prima di lui. Se per caso tu sapessi la data precisa del suo arrivo (lui ha già fissato tutto con estremo scrupolo), ti pregherei di dirmela; così scriverei a Bolelli una lettera definitiva, evitando di chiedere la data a lui, che di solito tarda a rispondere. Altrimenti, come è ovvio, gli scriverò in modo ‘interlocutorio’. Scusami anche questa scocciatura! Al più tardi domani la STEU ti spedirà gli estratti3. Ho fatto eseguire e controllato le tue correzioni (ho anche letto l’interessante aggiunta alla I parte; e mi dispiace che tu sia riuscito ancora a citarmi per quella faccenda dei lemmi noniani, che era una cosa facilmente riscontrabile!). Spero che non sia rimasto nulla, sebbene abbia dovuto fare l’ultima revisione, con l’aria di chi non prende sul serio la cosa, sotto gli occhi dell’Argalia (il proprietario della tipografia). Era una cosa comica, perché lui voleva che stessi alla sua parola che le correzioni erano state fatte tutte e bene, mentre io non mi fidavo. Anche la numerazione delle note è stata modificata. Sugli estratti ho fatto segnare solo «S e r i e b … (con quel che segue)» perché l’indicazione «Nuova Serie b …» che c’è sulla rivista serve solo a generare confusione, essendo la numerazione dei volumi progressiva. Il tuo bellissimo articolo non meritava una tipografia così scassata. Anche la mancanza di corsivo per le note è un difetto grosso. In articoli che precedono il tuo 1 2 3 La lettera non è conservata. Vd. lett. 328. Di T., Note serviane (cit. lett. 286). 657 questo corsivo c’è; mi hanno spiegato che l’ordine degli articoli è stato in buona parte necessitato dall’esigenza di fare certi estratti entro un termine determinato. Così ad un certo momento hanno finito certi caratteri. Disastroso! e dovuto non solo alla tipografia, ma anche al poco criterio con cui il fascicolo è stato fatto ingrossare durante la composizione. Hai visto nell’ultimo fasc. del «Giorn. ital. di filol.» la recensione di Marmorale al mio Nevio4, evidente conseguenza, fra l’altro, della mia noterella antiscivolettiana5? Per fortuna ci sono molte fesserie evidenti, su cui mi potrò basare per rispondergli6. Se, preparando la risposta, avrò bisogno per qualche punto del tuo consiglio o del tuo aiuto, approfitterò ancora una volta della tua pazienza. Skutsch mi ha riscritto confermando la sua venuta. Confido nei tratti del suo carattere che tu mi descrivi7! Quanto al fatto che io possa parlare con lui in inglese, è veramente un’ipotesi campata in aria! L’idea che io sappia l’inglese meglio del tedesco (che so appena leggere) è un’idea del tutto infondata del Fraenkel. Scusa la fretta. Ti abbraccia il tuo Scevola Si tratta del vol. 10, 1957, pp. 356-8. Vd. lett. 323. 6 M. risponderà con Marmoraliana, «A&R», s. V, 3, 1958, pp. 82-92 (parzialmente rist. in SFC, pp. 46-7). 7 Vd. lett. precedente. 4 5 658 333 Pisa, 2. 2. 1958 Carissimo Scevola, il dono dei duecento estratti1 è un dono troppo grosso!, tanto più che già Sichirollo2 mi aveva fatto mandare tutti i fascicoli arretrati degli «Studi urbinati» e altre pubblicazioni dell’università di Urbino. Dovrei proprio insistere per pagare… ma capisco che non c’è niente da fare! Perciò ringrazio vivissimamente te e oggi stesso scrivo anche a Bo. Non so come potrò disobbligarmi con l’università di Urbino; ad ogni modo, sono a vostra completa disposizione per la correzione delle bozze e la compilazione degli indici degli Opuscula di Leo3, e per altri eventuali lavori del genere. Spero che tu possa facilmente concordare con Bolelli la data della tua venuta. Certo il fatto che Fraenkel venga prima a Pisa e poi ad Urbino crea un certo impiccio, ma comunque due settimane per il tuo seminario si troveranno. Mi ha scritto Cazzaniga molto gentilmente, chiedendomi anche tue notizie e incaricandomi di farti i suoi saluti. L’altra volta mi ero dimenticato di parlarti di Marmorale. Ho letto la sua recensione4, che è un ammasso di idiozie dal principio alla fine. L’illustre uomo non si rende conto minimamente della differenza tra arcaismi in generale e forme che g i à p e r N e v i o erano arcaiche; e confonde arcaismi grafici o fonetici come quelli del SC de Bacchanalibus ecc. con arcaismi morfologici come il genitivi in -as. Stupenda poi la chiusa della recensione, da cui appare che l’importante è, secondo il Marmorale, assegnare tutti i frammenti a un libro purchessia, più o meno a caso, in modo da lasciarne il minor numero possibile tra gli incerti! Sarà bene che tu gli risponda con la necessaria energia. Non so se hai visto che in «Eranos» 1957, p. 170 n. 1 l’Herescu cita con lode il tuo Andronico, riportandone un passo5. […] Recentemente ho rivisto Traglia che mi ha detto di essere molto contento che tu venga alla Normale e ha deplorato anch’egli, con espressioni che mi sono sembrate sincere, la bocciatura di Munari. Il Traglia, a Vd. lett. precedente. Vd. lett. 249. 3 Vd. lett. 237. 4 Vd. lett. precedente. 5 Si tratta di N.I. Herescu, Catulle traducteur du grec et les parfums de Bérénice, «Eranos», 55, 1957, pp. 153-70. 1 2 659 parlarci, fa l’impressione di essere onesto, non settario e ben preparato (anche se non brillante). Fammi sapere poi precisamente quando vieni. Ancora i più vivi ringraziamenti e i più affettuosi saluti. Il tuo Sebastiano PS. ‒ Spero almeno che gli estratti siano davvero a spese dell’Università e che non li abbia pagati tu, il che sarebbe i m p e r d o n a b i l e !! 660 3341 Urbino, 6. 2. 1958 Carissimo Sebastiano, due righe in fretta per comunicarti che ho concordato col Bolelli il periodo 17-28 febbraio. Ci rivedremo dunque probabilmente il 16; ti telefonerò. Giustissime le tue considerazioni sul Marmorale2. Parleremo della risposta, che scriverò in marzo, al nostro prossimo incontro. Grazie dell’indicazione dell’Herescu3; ma peccato che sia un articolo così infelice, con quell’hōminis expers! Tu avrai certo visto l’articolo leopardiano del Raoss nell’ultimo «Convivium»4. La tua preoccupazione sul pagamento degli estratti dagli «St. Urb.» è completamente infondata. Hai la mia parola; e poi, se il tuo sospetto avesse avuto fondamento, che ci sarebbe entrata la lettera a Bo? A rigore, poi, il ‘dono’ non è stato di 200 estratti, perché 30 sono gratuiti; e ti ho già detto che è, al massimo, una parziale rifusione della noia e della fatica. Non devi quindi gratitudine a nessuno. Della pubblicazione di Leo, Opuscula, passata ora a mons. De Luca5, ti dirò a voce. A presto! Un abbraccio dal tuo Scevola PS. ‒ Se, come spero, riuscirò a venire con moglie e fanciulla (clima non opponendosi), ritornerò probabilmente alla pensione dell’anno scorso. Sui Bobiensia, che a tutt’oggi non sono riuscito a riprendere in mano, sono impreparato; ma quest’anno mi sento più ‘sfacciato’ dell’anno scorso. Bolelli mi fa i nomi dei seguenti allievi ‘sicuri’: Moreschini, Bianchin, Bressan, Sforza e i perfezionandi Dianich e Satta. Cartolina postale. Vd. lett. precedente. 3 Vd. ancora lettera precedente. 4 M. Raoss, Il frammento dell’orazione ‘Pro templis’ di Libanio ed un malinteso di Giaco­ mo Leopardi con Angelo Mai, «Convivium», n.s., 25, 1957, pp. 680-700. 5 Vd. lett. 237. 1 2 661 3351 Pesaro, 6. 3. 19582 Carissimo Sebastiano, ti scrivo in fretta per non tardare ancora né a ringraziarti né a mandarti le note mie e di Zicàri. Le ore che ho passato con te sono le migliori che ricordo di Pisa e mi hanno riconfermato la tua affettuosa, fraterna amicizia. Non voglio dirti molte parole, anche perché non saprei dirle opportune; ma sai quanto ti voglio bene. Ringrazia ancora per me e per Tota3 la tua Mamma, che è stata, come sempre, di una squisita cortesia. Vi aspettiamo entrambi, non per ricambiare la vostra affettuosa bontà, ma per rivedervi e tornare a passare qualche giorno insieme. Non so se dimenticherò qualcosa d’importante che abbia da dirti. Affastello in disordine. La proposta di Theiler in una brevissima recensione a Munari in «Mus. Helv.» 14, 1957, 251 è veramente infelice: accetta in 70, 44 la lezione di Fraenkel e trasporta arte al verso precedente così: alternasque velis apicum <arte> as[e]scribere voces, legando apicum arte e forzando il senso di alternas e di ascribere. Per istrada c’è stata qualche modifica mia e di Zicàri. Questi ha rinunciato, dinanzi alla tua obiezione, al vivum aes, che effettivamente non va. Ci siamo persuasi che lì5 va letto vivens (anche aes può essere da <vi>vẽs con caduta di vi­ dopo ut; cfr. anche apparato a 51, 3 per l’incertezza di lettura). A 4, 3 egli fa, come vedi, una correzione non sicura, ma, mi sembra, decente. Ha il pregio di tentare quell’usus che potrebbe anche andare. Inutile dire che la difficoltà da te notata in laeseris usum, che corrispondeva anche a un mio dubbio, ha influito sulla nota di Zicàri. Dimmi francamen- Segue il seminario pisano di M. dal 17 al 28 febbraio, da cui scaturirono le note agli Epigrammata Bobiensia inviate a T. Con il titolo di Contributi agli ‘Epigrammata Bobiensia’ esse appariranno in «ANSP», s. II, 27, 1958, pp. 123-4 (S. M. [= SFC, pp. 250-2]) e 125 (M. Zicàri), unitamente a quelle di A. Campana (pp. 121-2 [= Id., Scritti, a cura di R. Avesani, M. Feo, E. Pruccoli, I 1, Roma 2008, pp. 527-9]), E. Campanile (pp. 122-3) e S. T. (pp. 124-5). Evidentemente in relazione alla successione dei contributi in «ANSP» T. ha annotato nel margine superiore della lettera: «1. Campana 2. Campanile 3. Mariotti 4. io 5. Zicàri» (vd. sotto). 2 M. aggiunge «[a Urbino dall’11 prossimo]». 3 Vd. lett. 228. 4 Degli Epigr. Bob. 5 Epigr. Bob., 11, 1. 1 662 te cosa pensi della sua nota (aveva pensato anche a ne nos ita laeseris, usus ecc.); se ti sembra che non vada, sarebbe meglio non pubblicarla. Oggi, prima che mi arrivasse la nota di Zicàri, mi sono accorto che anche il titolo di 41 va bene nel codice. Così ho scritto in fretta una noterella aggiuntiva che, se credi, aggiungerai dopo le altre due. Ti sei preso una bella seccatura – e io te ne sono g r a t i s s i m o – a raccogliere e unificare il materiale. Vedendo la nota di Zicàri, ho capito che questo lavoro di unificazione (per gli ‘a capo’ ecc.) sarà necessario. Per la mia nota a 41 non ho potuto vedere, qui a Pesaro, il Thes. s. v. corripio. Lo guarderò ed eventualmente ti scriverò per un ritocco. Dimmi soprattutto cosa pensi del v. 3 (interpunzione). È vero che corripere nomen non dev’essere impossibile, ma l’altra interpunzione mi è sembrata migliore per l’insieme e più chiara. Ora alle altre note: C a m p a n a . Avrai visto Draeger I 472 sgg.6. Purtroppo sono solo esempi di prosatori, ma mi pare che, se non si trova di meglio, si possa benissimo citare, magari con un ‘p. es.’. C a m p a n i l e . Come mi pareva di ricordare e avevo detto a Campanile, c’è una ricca raccolta (anche il piscis vidulus) ancora in Draeger I 668 sg.7 . Soprattutto credo che Campanile farebbe bene a citare, anche per prevenire possibili obiezioni, il sidus cometes di Tac. ann. 14, 22 e 15, 47 (e Iustin. 37, 2 stella cometes), caso che tuttavia sembrerebbe isolato. Che egli si esprima con tono dubbioso mi sembra necessario; ma il confronto col greco e con Ovidio mi sembra che giustifichi il dubbio (e dovrebbe citare anche il terete de margine da te suggerito). A proposito della mia nota a 41, vi ho accennato alla questione del titolo di 65, che tornava opportuna per il confronto col caso di 41. Così ti ho – senza malizia! – tolto l’occasione di citarmi per una cosa che era ovvia e che del resto chiunque avrebbe considerato tale, dato che Munari aveva messo Faustum nel testo del titolo. Nel tuo elenco di titoli autorevoli non ricordo se hai messo 50, altro caso in cui il titolo non si poteva ricavare dall’epigramma (né dal greco). Qui, se per caso non l’avessi messo (ma non ricordo), non vorrai negare l’ovvietà della cosa! Ho scritto lungamente a Fraenkel indirizzando alla Normale. Ho ricevuto una sua cartolina prima della partenza, in italiano (sta riprendendo l’esercizio). Munari chiede che cosa abbiamo concluso al seminario: sarà il caso di fargli leggere le note? Comunque, per me e Zicàri basta una copia A. Draeger, Historische Syntax der lateinischen Sprache, I, Leipzig 18782. 7 Si tratta della nota a Epigr. Bob., 29, 4. La locuzione vidulus piscis (cit. dal Draeger a p. 668 sulla scorta di G. Holtze, Syntaxis priscorum scriptorum Latinorum usque ad Terentium, I, Lipsiae 1861) è in Plavt. Rud. 988 sgg. 6 663 sola, se proprio vuoi mandarcela. Saluta il Campana. Ossequi alla Mamma. Ti abbraccio con tutta la mia affettuosa gratitudine. Il tuo Scevola PS. ‒ Nelle mie note ti prego di fare tutte le correzioni formali (e sostanziali) che credi. Dove ti vien fatto di abbreviare, fallo con la sicurezza di usarmi una cortesia! 664 336 Urbino, 13. 3. 1958 Carissimo Sebastiano, grazie mille della miscellanea, che, rivista così ora nel suo insieme, mi pare davvero soddisfacente. Per il titolo proporrei «Contributi agli Epigrammata Bobiensia»1. Che cosa ti pare? Ti prego di decidere come credi meglio. Certo stella cometes potrebbe essere stato sentito diversamente; così forse anche sidus cometes2. E in ogni caso pare anche a me che il rinvio generico al Draeger possa bastare. È vero che in M et R … notarum il notarum è un’apposizione3; ma già M et R sono da intendere ovviamente come genitivi da cui dipende nominis (‘se cambierai il posto dell’ M e dell’ R del nome …’), se non capisco male. A proposito di questo passo sorge un’altra piccola questione. Dal rinvio di Munari (ad loc.) a SH, 6354 si vede che egli ha inteso il quod come riferito ad sensum a nominis. L’altra spiegazione (eius sottinteso, anche forse per evitare la serie di tre genitivi) sembrerebbe a me più probabile; cfr. Schmalz-Hofmann, 707. Che fare nella nota campaniana? togliere il cenno parentetico a illius sottinteso o – come f o r s e propenderei per fare – attenuare un po’ l’espressione – p. es. «sembra presupporre» per «presuppone» con un rinvio a Schmalz-Hofmann, p. 707 senza diretto riferimento a Munari5? Credo che, senza attendere il ritorno di Campana, possa e debba decidere tu. Ancora su ripis6, per continuare il discorso fra noi sulla possibile origine della corruttela, si potrebbe pensare a un ripe letto ripi (cioè un’-e che somigliava più a i che a e; cfr. coniugi – anche contra metrum – per -ge in 26, 12) e, poiché ripi è forma inesistente, mutato in ripis. Ma certo è spiegazione tutt’altro che sicura! Campanile mi ha scritto del suo probrosus dicendomi anche dei tuoi dubbi. Gli rispondo dicendo che, se il suo probrosus in sé non è brutto, non mi sembra da pubblicare, almeno finché non si sia escluso che prolapsus è giusto (anche se non bello): poiché (pro)labor vuol dire anche ‘errare’, ‘macchiarsi di colpa’ e simili, potrebbe essere stato usato, sia pure poco felicemente, in questo Questo fu il titolo scelto (vd. lett. precedente). Vd. lett. precedente. 3 Ci si riferisce a Epigr. Bob., 70, 1. 4 In nota a piè di pagina: «cfr. anche p. 145 s. v. syntaxis: congruentia». 5 Nel testo di Campana (p. 121) si legge infatti «sembra presupporre» con rinvio a Schmalz-Hofmann, p. 707. 6 Epigr. Bob., 57, 14. 1 2 665 senso con trabe e tergo7. Bisognerebbe essere meglio informati, preventivamente, sull’uso (specialmente tardo e anche cristiano) di prolabor. Al mio contributo ho fatto qualche minimo ritocco di forma (fra parentesi, in tutte le note credo che si debbano sottolineare i nomi degli autori, secondo l’uso degli «Annali»). Chiedo il tuo aiuto per p. 3, alla fine della nota su 29, 3. «più patetico che all’originale» non mi sembra molto felice, come non mi sembra «più patetico dell’originale» (che forse andrebbe come comparatio compendiaria?) né «più patetico di quello dell’originale», un po’ troppo pesante. Ti prego di scegliere quello che ti sembra meno peggio; si haeres, forse il secondo (o «rispetto all’originale»?)8. Ho fatto una piccola aggiunta a Zicàri, avvertendolo. Ma, se ti pare superflua o poco opportuna, toglila, sapendo di avere il nostro consenso. Anch’io ho pensato che converrebbe far leggere il dattiloscritto o le bozze a Munari. Gli avevo anzi scritto giorni fa, sia pur vagamente, in questo senso. Egli è ora in Svezia (Ringen 45 - Stocksund). Non gli mando, naturalmente, la copia ricevuta da te perché non credo che convenga perdere tempo e rischiare magari un rinvio della pubblicazione. Se sei d’accordo, potresti consegnare intanto a Bolelli e mandare, quando credi, una copia a Munari (quante seccature ti toccano per questa miscellanea). Se ne ricevessimo qualche suggerimento importante, saremmo sempre in tempo a far ritocchi sulle bozze (o in extremis sul dattiloscritto). Ho già accennato a Munari della presentazione di Bolelli, che certo gli fa piacere; se mai, puoi dirglielo anche tu. Cazzaniga mi ha scritto mostrando molto compiacimento per i nostri propositi9. Fraenkel ha scritto anche a me (ben quattro pagine!) per dissuadermi dal rispondere al Marmorale10. Non posso rinunciare, e glielo scriverò, dicendogli anche che – come è vero – la sua lettera mi ha indotto a modificare il tono della replica, o meglio a togliere la parte generale e a limitare gli elementi ‘sfottitorii’. In altre parole, accetterei in buona parte il suggerimento che mi diede quel giorno La Penna (e Ronconi). Cosa ne dici? Io tarderò ancora qualche giorno a rispondere a Fraenkel (che ti prego intanto di salutare, assicurandolo che intendo scrivergli) e, se non fossi d’accordo su questo mio parziale revirement (che naturalmente non significa affatto un’a t t e n u a z i o n e del tono reciso della risposta), ti prego di dirmelo. Scusa la fretta con cui ho scritto. Ricordaci alla tua Mamma. A te un affettuoso abbraccio e ancora grazie dal tuo Scevola E infatti Campanile rinunciò alla congettura a Epigr. Bob., 37, 36. Fra le varie soluzioni prospettate T. scelse «più patetico dell’originale» (p. 124). 9 Con evidente riferimento alla progettata edizione del Salmasiano (vd. lett. 288). 10 Vd. lett. 332. 7 8 666 PS. ‒ Non mi sembra necessario rimandarti l’originale mio e di Zicàri. Ho fatto male? 667 337 Urbino, 26. 3. 1958 Carissimo Sebastiano, grazie vivissime di quello che stai facendo per la miscellanea sui Bobiensia1 e grazie della tua lettera2. Ho tardato un po’ a risponderti perché volevo mandarti con questa mia il dattiloscritto della risposta a Marmorale pregandoti di leggerlo quando hai tempo3. L’ho modificato, come sai, nella struttura, ma purtroppo è rimasto molto lungo. Ancora però la dattilografa urbinate, più lenta di me, non l’ha trascritto; ma spero di spedirtelo entro uno o due giorni. Ti prego di leggerlo, quando ne avrai voglia, con severità, e di farmi – nel mio interesse – tutte le osservazioni, critiche ecc. (anche con eventuali ritocchi formali sul dattiloscritto, che puoi rimandarmi o meno secondo come ti fa comodo, avendone io un’altra copia). In particolare ti sarei molto grato se avessi la pazienza di rivedere la nota su com. 111 sg. R.3 e relativo passo di Frontone (s’intende che, se ti paresse dubbia o fuori posto, si potrebbe togliere senza danno o rimandare ad altra occasione). Hai ragione (per i Bobiensia) a considerare diverso ripis / ripe da coniugi / ­ge4. Il mio richiamo era poco opportuno. Certo che nella Sulpicia prolapsus può voler dire anche ‘messosi bocconi’; ma anche il senso ‘morale’ sembra abbia parecchie attestazioni antiche. Zicàri ha qualcosa su 7, 2 † Cyiras † (buoni argomenti in favore di Cinara di Fraenkel e la proposta <Et> Cinaram et Chlorin, che sembra più sciolta di quella fraenkeliana). Se farà due righe in proposito, dirò che te le mandi perché tu le riveda ed e v e n t u a l m e n t e le dia a Bolelli; comunque non credo che sia il caso di rallentare il corso della miscellanea, tanto più che Zicàri pensa anche a una recensione a Munari dove potrebbe mettere il contributo5. A proposito di Fraenkel, interessante e divertente la faccenda di Satta6! È fatto così. […] Ripeto, ti riscriverò, anche perché avrò forse bisogno della tua Vd. lett. 335. Non conservata. 3 Vd. lett. precedente. 4 Per l’erroneo ripis e, più avanti, per il significato di prolapsus vd. ancora lett. precedente. 5 La congettura, nella forma <qui> Cinaram et Chlorin, fu inserita nei Contributi (cit. lett. 335). 6 Se ne doveva parlare nella lettera di T. non conservata. L’aneddoto è ignoto. 1 2 668 pazienza per un’indicazione a proposito di una rivista che vidi a Pisa con una recensione allo Scivoletto (Persio)7. Affettuosi saluti dal tuo Scevola La recensione di W. Clausen al Persio di N. Scivoletto apparve in «CPh», 53, 1958, pp. 141-2. 7 669 338 Pisa, 10. 4. 1958 Carissimo Scevola, grazie della lettera e della precedente cartolina1. […] In «Classical Review» LXXI, 1957, pp. 223-36 E. J. Kenney (Peterhouse, Cambridge) recensisce insieme Persio di Scivoletto e la seconda edizione del saggio su Persio di Marmorale (n o n i l P e r s i o d e l C l a u s e n ; ma credo comunque che sia questa la recensione da te veduta a Pisa, poiché non mi pare che ve ne siano altre nelle riviste esposte all’Universitaria)2. Purtroppo non mi hanno dato in prestito il fascicolo: la nuova direttrice ha introdotto restrizioni, e non ho potuto rivolgermi direttamente a lei perché è assente in questi giorni. Ad ogni modo ti trascrivo tutto l’essenziale. Il Kenney giudica lo Scivoletto molto severamente. A p. 223 riassume brevemente l’introduzione e, a proposito dell’opinione di Scivoletto (p. x) secondo cui lo scriba di P avrebbe la tendenza a «nobilitare le lezioni, a renderle più dotte», osserva: «This cultivated interpolator is illusory; at least the evidence adduced for his activity will not do: primordia rerum for p. vocum (VI 3) is a common type of aberration, well within the powers of comparatively unlearned scribes and audiat for audiet, poscas for poscis, progenien for progenies and particularly quam for qua and optent, servans, pallens for -et, -as, -es can be paralleled in many manuscripts. This error must be the cause of the enigmatic note at III 9 on P’s oridas for credas». A p. 224 passa a considerare la costituzione del testo: «After the good sense which nevertheless is the characteristic feature of the short introduction … the text itself is a disappointment. The following passages may serve to illustrate the editor’s preferences and his judgement: (I) choise between P and α: (a) P preferred to α: I 9 tunc cum / tum cum (cf. V 37); 30 pendes / -as; 34 vanum et plorabile signis / vatum et plorabile siquid [e riferisce la nota di Scivoletto a questo passo]; 107 verbo / vero (the defence of verbo is tortuous and unconvincing; utrum in alterum?); V 150 (see below); 159 at / et. (b) α preferred to P : I 31 quis narret / quid narrent (no discussion); II 41 poscit / poscis (‘Poscit è senza un soggetto determinato come già altrove’, but no mention of rogabit immediately preceding and exoptas following); III 29 que / ve; 46 et insano / non sano (supported by Σ; [e qui deplora che Forse entrambe non conservate. Della citazione di Schanz (vd. infra) infatti non si parla altrove. 2 Vd. lettera precedente, dove tuttavia si accennava genericamente a una recensione al Persio dello Scivoletto. 1 670 anche altrove lo Scivoletto abbia trascurato gli scolii: IV 26, V 19; 73]); IV 29 veteris / veterem (utrum in alterum?); V 59 fecerit / fregerist [Kenney difende fregerit confrontando Hor. sat. II 7, 16 e osserva che fregerit “is the more picturesque and unusual expression”]; 82 haec / hoc; 150 sudore / suadere = sudare; VI 23 scombros / rombos (the defence of scombros is ingenious, but the clauses introduced by nec … nec can hardly be opposed in sense, or what becomes of ideo?); 26 metuis / -as (cf. 41). (III) Pαω preferred to a minority: I 17 legens / leges (no discussion of the construction of the sentence thus achevied); III 60; V 17; 35». – [Ho riportato questo pezzo quasi per intero, con leggerissimi tagli]. Ancora a p. 224 passa a considerare l’apparato critico: troppe varianti insignificanti e congetture cattive sono citate dallo Scivoletto, mentre d’altra parte troppo scarsamente egli tiene conto degli scolii e della tradizione indiretta. Dà alcuni esempi di errori di attribuzione di congetture commessi dallo Scivoletto. Ancora a p. 224 sul commento: «The commentary … though it contains much useful matter and some good notes, is a sloven and undisciplinated affair with many inaccuracies and superfluities». Nota la sovrabbondanza di ridicole espressioni ammirative («Quale conoscenza dell’animo umano!» e simili). – p. 225: «In the commentator’s first duty, that of explaining difficulties, Scivoletto leaves something to be desired». Alcuni passi difficili sono da lui lasciati inesplicati: I 11-12, 67-68, V 73-74. A proposito di I 67-68: «the editor gives the opinions of Jahn, Conington, Némethy, and van Wageningen, but not his own (as too often: e. g. III 29, V 6, VI 3)». Cita come interpretazione sbagliata IV 7 fert animus = ‘ti basta l’animo’. Aggiunge (p. 225) alcune osservazioni sulla punteggiatura. Insomma è una totale stroncatura. Molto più benevolo è il Kenney nei riguardi di Marmorale: lo giudica un libro interessante e ricco di buoni spunti, tuttavia biasima lo stile in cui è scritto («a rhetorical and forensic style») e alcune ipotesi avventate. Spero di aver trascritto tutto l’importante, ma se ti occorre anche quel poco che ho omesso fammelo sapere. Il Munari ha risposto molto gentilmente, lodando i nostri contributi ai Bobiensia3. Osserva soltanto che la congettura di Campanile (sidereis canibus) era venuta in mente anche a lui, ma gli era parsa inutile e perciò da scartare; riconosce però che è giusto pubblicarla, trattandosi del contributo di un giovane (come anche noi avevamo pensato). Grazie della citazione di Schanz riguardo a item; non ho ancora visto il passo4. Ieri ho visto a Firenze Arnaldo Momigliano che mi ha detto di aver 3 4 Vd. lett. 335. Forse in funzione del titolo di Epigr. Bob. 49, discusso a p. 125 dei Contributi. 671 avuto molto piacere di vederti a Pesaro. Le vacanze di Pasqua le ho passate in gran parte a correggere per il Fraenkel le bozze degli Orthographica e dei Graeca Latina di W. Schulze, che De Luca ristampa5: opuscoli interessanti, ma prolissi e scritti in un latino durissimo. Il Fraenkel è stato alcuni giorni a Montepulciano; ora è tornato. Tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano Gvilelmi Schvlze Orthographica et Graeca Latina, iterum typis exscripta. Praefatiunculam scripsit E. Fraenkel, Roma 1958. 5 672 339 Urbino, 18. 5. 1958 Carissimo Sebastiano, Fraenkel è partito ieri per Pesaro, dove resterà fino a fine giugno. Ha fatto seminari di latino e greco per complessive 30 ore (e persino supplementi per studenti occasionalmente assenti!). Nell’insieme, anche se è stato un periodo piuttosto pesante, mi è stato assai utile seguirli. Di latino ha fatto metrica plautina in base a suoi vecchi appunti; è evidente che è in questo campo fuori esercizio e anche che tiene fede a certe posizioni un po’ troppo rigide, ma ha detto varie cose interessanti. Di greco ha fatto gli Uccelli, su cui, come sai, è ferratissimo. Skutsch sarà a Pesaro il 2 agosto e vi resterà probabilmente fino alla fine del mese. Anche Munari, come certo saprai, verrebbe a Pesaro per un incontro con te e Skutsch. In linea di massima, se per voi fosse la stessa cosa, preferirei che veniste prima del 10 agosto (o dopo il 27 agosto), perché circa dal 10 al 27 ho i corsi estivi a Urbino con lezioni giornaliere (tranne un breve intervallo, credo, il 19 e 20 agosto). Ma s’intende che questo è solo un desiderio generico, e che dovete fare come è più comodo per voi. Il mio desiderio di rivederti è vivissimo. Sto finendo di preparare le note per la Festschrift Jachmann1. Mi limiterò a due sole, anche se non brevissime, su quei passi dell’Amphitruo e del De brevitate vitae di Seneca: sai già di cosa si tratta2. Fraenkel mi ha detto che anche tu mandi noterelle particolari. Per Seneca, se non mi mandi al diavolo, dovrei darti una scocciatura. Con tutto comodo, potresti rivedermi nel Ribbeck Röm. Trag., che c’è alla Normale3, cosa è detto, nella sezione dedicata alla Clutemaestra di Accio, dei sescenti muli di cui parla, per la riesumazione di quella tragedia, Cic. fam. 7, 1, 2? (Ho già quello che dice Ribbeck sul riferimento, in quello stesso passo di Cicerone, all’Equos Troianus probabilmente di Nevio). Sembra, se non erro, anche a Ribbeck che si tratti dei muli che portavano i bagagli o meglio la preda di guerra di Agamennone. Scusami tanto! Ricordo il tuo cortese suggerimento di non aumentare, se possibile, le note ai Bobiensia nella nostra miscellanea4, anche per evitare ogni pericolo di rinvio della pubblicazione. Ma avrei la forte tentazione di aggiungere M., Adversaria philologa III (cit. lett. 304). In realtà, il contenuto della nota a Plavt. Amph., 629-32 era ignoto a T.: vd. lett. 381. Per la nota a Sen. dial., 10, 2, 2, vd. lett. 304. 3 Vd. lett. 7. 4 Vd. lett. 335. 1 2 673 pochissime righe su una questioncella minuscola. È una cosa che forse merita di essere detta, ma che non meriterebbe di essere trattata a parte. Si tratta di Theombrotus per Cleombrotus in 63, 1 (e titolo)5. Qualunque lettore ha a prima vista l’impressione che Theombrotus, nome realmente esistente, possa essere conservato, come Chrysarium invece del greco Τιμάριον in 30, 1. Ma si resta in dubbio che la correzione di Munari possa essere giusta data la (relativa) vicinanza paleografica dei due nomi. Ora mi è capitato di vedere che in Stobeo (cfr. indice di Hense)6 c’è spesso, e in maniera da risalire sicuramente a Stobeo, anzi alla sua fonte, Θεομβρότου per Κλεομβρότου (uno dei sette sapienti) e che scambi simili ci sono fra Κλεοβούλη e Θεοβούλη nella tradizione mitografica (devo vedere meglio e fare, per quel che potrò, una ricerca sistematica, pur non avendo purtroppo il Pape-Benseler)7. Quindi è possibile, anche se non certo, che una variante Θεόμβροτος ci fosse già nella tradizione dell’epigramma di Callimaco tradotto nei Bobiensia, e comunque Theombrotus va lasciato nel testo e nel titolo dell’epigramma latino. Non ti pare? E non credi che sulle bozze si potrebbe aggiungere una noterella dicendo questo in pochissime righe? Rispondimi, ti prego, con tutta libertà. Fra l’altro, non vorrei dispiacere a Bolelli con eventuali complicazioni col tipografo. Affettuosi saluti e, come al solito, scusami la fretta. Un abbraccio dal tuo Scevola PS. ‒ Nei giorni scorsi è passato per Urbino uno scolaro di Brink (Cambridge) che si occupa di Ennio. È un australiano che ora ha a Roma una borsa, tale Jocelyn. Credo che cercherà di vederti a Pisa. Vd. le due lett. seguenti e cfr. le lettere XXIII sg. di T. al Campana edite da Feo, Il carteggio (cit. lett. 298), pp. 405 sg. 6 C. Wachsmuth-O. Hense, Ioannis Stobaei Anthologium, Berolini 1884-1923. 7 W. Pape-G. Benseler, Worterbuch der griechischen Eigennamen, 2 voll., Braunschweig 1863-70 (e successive ristampe). 5 674 3401 Urbino, 24. 5. 1958 Carissimo Sebastiano, grazie mille della notizia sul Ribbeck2! Sono contento che tu sia d’accordo per la conservazione di Theombrotus3: terrò pronta la noterella per le prime bozze. Anche Fraenkel è d’accordo sulla nota catulliana di Zicàri4, il quale, in seguito alle insistenze di Terzaghi, sembra ora intenzionato a fare davvero l’edizione catulliana malgrado l’edizione di Mynors. In Fraenkel mi è sembrato di notare una minor volontà di imporre i ‘suoi’ temi. Del commento a Plauto non ha mai parlato. Cambiamento di tattica? età? resipiscenza? Mi arrivano ora le bozze dei Marmoraliana5. Ottimamente per l’incontro ai primi di agosto6! Speriamo che anche Munari possa per quei giorni. La mia ‘comunicazione’ a Sulmona era solo un modo di far tacere gl’inviti dei paratoriani che volevano farmi partecipare al convegno7. Me la sono cavata poi con un telegramma invocante cause di forza maggiore per giustificare la mia assenza. Su Ovidio, purtroppo non ho nulla. Ti saluterò Fraenkel domani a Pesaro, dove andrò per votare. Ti abbraccio con un nuovo grazie. Il tuo Scevola Cartolina postale. Risponde a una lettera di T. non conservata. Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. precedente e successiva. 4 M. Zicàri, Catul. 3, 12, «SIFC», n.s., 29, 1957, pp. 250-4 (= Id., Scritti catulliani, Urbino 1978, pp. 123-7). 5 Vd. lett. 332. 6 Vd. lett. precedente. 7 Si riferisce al Convegno internazionale ovidiano tenutosi nello stesso mese di maggio. 1 2 675 3411 L’Aquila, 21. 7. 1958 Carissimo Sebastiano, penso che tu ora sia in Sicilia. Ho ricevuto in ritardo la tua cartolina del 12, respintami qui. Bolelli ha rimandato a Campana le bozze. In realtà Campana, che incontrai a Sarsina per la canonizzazione di Fraenkel, aveva visto per Theombrotus2 (da conservare nel titolo e nel primo verso di quell’epigramma in luogo di Κλεόμβροτος del greco) ben più di me, cioè che anche nella tradizione di due passi di Cicerone, in Agostino e nello ps.-Girolamo, che alludono a quell’epigramma, c’è Theombrotus, non Cleombrotus; ma Theombrotus era stato quasi in tutti i casi corretto e la variante, sicuramente antica e già ciceroniana, non era nemmeno registrata da Pfeiffer ed era sfuggita a Munari e a me. Perciò la mia osservazione (altri scambi antichi fra Κλεο- e Θεο-) diventava del tutto marginale e sono riuscito a convincere Campana – tranne pentimenti dell’ultima ora – a scrivere lui la nota, mandandogliene io more solito uno schema3. Bolelli mi scrive che ha intenzione di lasciare la Normale in ottobre. Ho immaginato che si tratti di una conseguenza dello ‘scandalo’ della psicanalisi di cui ha parlato qualche settimanale, ma di cui non so le effettive proporzioni4; naturalmente gli ho risposto genericamente, dicendo che della sua decisione mi dispiace, come è vero perché, coi suoi difetti, è un brav’uomo e alla Scuola è attaccato veramente. Skutsch mi ha scritto da Roma che sarà a Pesaro ai primissimi di agosto. Io dovrei salire a Urbino il 10 agosto. Se tu potessi venire prima di quella data, ne sarei particolarmente lieto perché avrei più tempo disponibile; infatti dal 10 al 27 circa avrò i corsi estivi con lezioni quotidiane (talvolta anche più di una). Ma naturalmente sarò libero nelle feste comandate, compreso il Ferragosto. Fammi sapere i tuoi propositi e se avete qualche accordo con Munari. Ti attendo con vivissimo desiderio. Qualche giorno fa è venuto a trovarmi da Sulmona il simpatico Tandoi, Su carta intestata «Liceo Ginnasio Statale “D. Cotugno”». Vd. le due lett. precedenti. 3 Vd. Campana, Contributi agli Epigrammata Bobiensia (cit. lett. 335), p. 121. 4 Sulla vicenda A. Stussi, Ricordi di Tristano Bolelli, «Studi e saggi linguistici», 40-41, 2002-03, pp. 337-9 (= Id., Maestri e amici, a cura di C. Ciociola, V. Formentin, F. Franceschini, M. Tavoni, Bologna 2011, pp. 85-7). Nel 1958 Bolelli, vicedirettore della Scuola Normale dal 1950, si dimise. 1 2 676 con cui abbiamo parlato anche dell’edizione della AL5. Ieri poi è venuto Lallo6, in ansia per il suo concorso, che speriamo vinca (e non sembra che la cosa sia improbabile). Un abbraccio affettuoso e arrivederci. Il tuo Scevola 5 6 Vd. lett. 288. Carlo Ferdinando Russo. 677 342 Pesaro, 4. 8. 1958 Carissimo Sebastiano, mi arriva ora – e sarà arrivato anche a te – l’estratto ‘campaniano’ dei nostri contributi ai Bobiensia1. L’ho scorso subito con Zicàri. Un errore veramente strano è rimasto, se non travedo, nella tua parte, p. 7 (dell’estratto), l. 2 «aggiungere» invece, suppongo, di «espungere»; e poi nella stessa pagina (contributo di Zicàri), l. 24 bisogna interpungere laeseris, usus non invece di laeseris usus, non (ossia spostare la virgola da dopo usus a dopo laeseris). Di altro non mi sono accorto, tranne che dell’insignificante mancanza del punto dopo la parentesi a p. 6 n. 1, l. 3 (mio contributo). Campana mi aveva assicurato che saremmo stati in tempo a correggere eventuali refusi dopo l’uscita dell’estratto. Se tu credi, perciò, potresti mandare al Tiberino o (forse meglio??) a Campana stesso l’elenco di questi e altri eventuali errori, dopo averli verificati (in particolare l’errore nel tuo contributo, che deve essersi aggiunto ora). Mi dispiace di dare a te questa seccatura, ma mi sembra questa la procedura migliore per non perdere tempo e insieme per evitare l’invio di correzioni da diverse parti2. Skutsch è simpatico. Finora abbiamo parlato una specie di latino, ma ho l’impressione che anche in italiano lui se la cavi. Aspettiamo la risposta al mio espresso di ieri! Un abbraccio dal tuo Scevola 1 2 Vd. lett. 335. I tre refusi non figurano infatti alle pp. 124-5 dell’articolo in volume. 678 343 Urbino, 28. 8. 1958 Carissimo, hai visto l’edizioncina di Vespa, Iudicium (Anth. Lat. 199) a cura di F. Pini, Roma, Gismondi 1958? Non porta gran che [anzi niente di sostanziale] di nuovo e ha qualche difetto e svista, ma è abbastanza decorosa e si basa su una nuova revisione dei codici (di scarso frutto, comunque). A me l’ha fatta avere ora A. Rizzo, commissario all’Aquila, a cui, se non la conosci già, ne chiederò una copia anche per te in settembre. Se ne potrebbe fare una recensione, o tu o io o Tandoi, che vedrò a settembre. Io veramente preferirei non farla e, se sei d’accordo, magari cominciare da Vespa il nostro lavoro per l’Anth.1 (non subito, ma fra non molto). Infatti mi sto ora riguardando il componimento. Il Pini mette nel testo il tuo quasi <si> al v. 82; ha il torto di non leggere, con il Riese e con te, ad ollas, evidente, al v. 782. Ora M. Schuster, RE VIII A 1708 vuole Bērēcyntia a 82, credo a torto. Su quasi <si> penso che sia sempre la proposta migliore; solo ho un dubbio sulla eccessiva ‘ipoteticità’ che così si darebbe al confronto fra il cuoco e Cibele, a differenza degli altri confronti. Ma bisognerà riguardare gli esempi di quasi si, che potrebbe essere in età tarda = quasi. (Avevo pensato a quasi <tu>, Berecyntia, Gallos; cfr. il voc. al v. 89, pur un po’ diverso). Vorrei proporti al difficile v. 29 (con nil di Riese o simili) una congettura fatta ora3, che a prima vista mi parrebbe piuttosto probabile: tua iura … canina (comina T, cumina S), ‘brodi da cani’, confrontando (dopo una prima revisione del Thes.) Varr. Men. 575 prandium caninum («i. dignum quod canibus detur» Bücheler, «Rhein. Mus.» 35, 394), Mart. 10, 5, 5 cani­ nas panis improbi buccas («i. qualis panis solet dari canibus»), Iuv. 5, 11 sordes farris mordere canini (stessa posizione del verso). Naturalmente non sono esclusi giochi con ius (= ‘diritto’, come altrove nel carme) caninum (cioè non humanum) o ius (= ‘brodo’) caninum, ‘brodo, salsa di cane’ (cfr. Vd. lett. 288. Cfr. S. T., Sul testo dell’‘Anthologia Latina’, «SIFC», n.s., 25, 1951, pp. 33-48 (rist. in Contributi1, p. 577 nota 8). 3 Pubblicata col sottotitolo Vespa 29 (Anth. Lat. 199, 29 R.), in Adversaria philologa III (cit. 304), pp. 130-1 (= SFC, pp. 194-5). La congettura è stata accolta da D.R. Shackleton Bailey in Anthologia Latina, I. Carmina in codicibus scripta, Stutgardiae 1982, ad loc. Vd. lett. successiva e 354-5, 381. 1 2 679 il ciceroniano – doppio senso – ius Verrinum [verrinum]), ma a questo si dovrà ripensare4. Non ricordo se ti ho detto che il direttore della Casa Loescher, Pavia, mi disse che gradirebbe sempre moltissimo la tua collaborazione (Ennio o qualunque altra cosa) e che altrettanto gradirebbe Gismondi, come mi disse Rizzo. È ora qui Caretti, che mi ha parlato di te con grande simpatia e ammirazione. […] Scusa la fretta. Spero che il viaggio in Jugoslavia sia andato bene5; con quale impressione complessiva? Affettuosamente tuo Scevola PS. ‒ Scrivo addirittura a Rizzo dicendogli che ti faccia mandare una copia del Vespa, se non l’hanno già fatto6. M. ha incluso le parole da «Naturalmente» a «ripensare» fra parentesi quadre con la nota «Fort. expungendum». 5 Il viaggio in realtà non si era ancora svolto, come risulta dalla lett. seguente, e si realizzerà tra metà settembre e i primi di ottobre (vd. lett. 345). 6 Alla fine T. ne ebbe addirittura due copie e donò la seconda al Tandoi: vd. lett. 345. 4 680 344 Urbino, 1. 9. 1958 Carissimo, mi fa molto piacere che il canina in Vespa ti sia piaciuto1. Anche a me continua a sembrare probabile. Se sarò in tempo, penserei di seguire il tuo consiglio aggiungendolo alla Festschrift Jachmann anche per aggiungere una cosa (breve e) ‘certa’ a due altre (lunghe e) incerte2. Il ‘certa’ va inteso naturalmente con discrezione! Ma prima dovrò verificare se in vecchie edizioni la congettura non ci sia già e ripensare ai possibili ‘doppi sensi’ di iura … canina. Se ci ripenserai, dimmi per favore che cosa te ne pare. Certo sicuri non sono. E uno dei due almeno, iura … canina = ‘brodi di cane’ andrà scartato decisamente, perché farebbe confusione con quello che è evidentemente il senso migliore, ‘brodi da dare ai cani’, ‘brodi da cani’. Sull’altro (ius caninum opposto a ius hominum) avrai infiniti dubbi, e mi pare troppo ricercato. Ad ollas3 anche a me pare che voglia dire ‘vicino alle pentole’; ed escluderei ancora più recisamente di te ollas = illas e il doppio senso. Un termine ‘culinario’ in Vespa è del tutto al suo posto, e bisogno o ragione di pensare al doppio senso non mi pare che ci sia. Rivedendo Tandoi a settembre, gli dirò di fare la recensione4. L’edizione del Pini mi pare sempre più difettosa. Fra l’altro hai visto che nella prefazione non fa distinzione fra il veramente stranissimo in caccabŏ e gli ablativi in ­ŏ l i m i t a t i a i g e r u n d i fin dal I sec. d. Cr.? Grazie delle notizie su Skutsch. Spero che ti riesca di andare, come desideri, in Jugoslavia fin da quest’anno5. Affettuosi saluti dal tuo Scevola [PS. ‒] Non ho avuto ancora il libro di Marzullo6; quello che ne scrivi me lo farà leggere con maggiore interesse. Vd. lett. precedente (la risposta di T. non è conservata). Vicino all’intestazione T. ha scritto a grandi lettere «Vespa». 2 Vd. lett. 339. 3 Vd. lett. precedente. 4 S’intende all’edizione curata dal Pini (cit. lett. precedente). Tandoi in realtà ne fece un articolo per «A&R», s. V, 4, 1959, pp. 198-215, Il ‘Contrasto del cuoco e del fornaio’ (a pro­ posito di una recente edizione), rist. in Id., Scritti di filologia e di storia della cultura classica, a cura di F.E. Consolino et al., II, Pisa 1992, pp. 938-52. 5 Vd. lett. precedente. 6 Probabilmente B. Marzullo, Studi di poesia eolica, Firenze 1958. 1 681 345 Pisa, 6. 10. 1958 Carissimo Scevola, avrai ricevuto la mia cartolina da Zagabria. Sono stato in Jugoslavia per una settimana, tra la fine degli esami e il principio della scuola. Ho visto Lubiana, Zagabria e Belgrado. Da un viaggio così breve, naturalmente, ho riportato quasi esclusivamente impressioni ‘turistiche’, non politico-sociali: per capire qualcosa sulla vita politica ed economica jugoslava occorrerebbe soggiornarvi a lungo, conoscere la lingua serbo-croata ecc. ecc. Le mie impressioni turistiche, ad ogni modo, sono state favorevoli. Delle tre città che ho visto, Zagabria è la più bella e mi è sembrata anche la più viva dal punto di vista culturale: biblioteca assai ben fornita di opere di filologia classica e anche di letteratura italiana, molte librerie e case editrici, molti libri tradotti in croato (Kant, Fichte, la Storia della Letteratura italiana del De Sanctis ecc.); Belgrado, da questo punto di vista, sembra a un livello inferiore, L’aspetto generale di queste città indica una certa agiatezza della popolazione; i generi di più largo consumo, nei giorni in cui ero là, erano molto a buon mercato, non solo per noi italiani che abbiamo il cambio favorevole, ma, per quanto ho potuto accertare, anche per gli jugoslavi: dico e r a n o , perché pochi giorni fa, dopo che io ero già tornato, i giornali hanno annunziato un rialzo dei prezzi abbastanza forte. Per un μονόγλωττος come me un grande vantaggio è costituito dal fatto che moltissimi jugoslavi (non solo vicino al confine, ma anche a Zagabria e perfino a Belgrado) sanno un po’ di italiano; ancor più conosciuto è il tedesco1. Passando ad altro argomento, ho visto nel «Giornale italiano di filol.» la ‘recensione’ del Marmorale alle Lezioni su Ennio2. Davvero non si sa se piangere o ridere, ma sarà meglio ridere! Io credo che tipi simili esistano solo in Italia, e solo nel campo della filologia classica. I professori, poniamo, di storia moderna o di chimica organica hanno certamente anch’essi i loro intrighi e le loro meschinità, ma non a questo livello. Il Tandoi (al quale ho mandato il doppione dell’edizioncina di Vespa) mi scrive che crede possibile difendere iura … cumina (= cuminata)3. Non ho fatto ricerche, ma non ci credo molto. Tu hai parlato di ciò con lui all’Aquila? Impressioni favorevoli sulla Jugoslavia T. espone anche ad Augusto Campana nella lettera XXVI edita da Feo, Il carteggio (cit. lett. 298), p. 409. 2 «GIF», 11, 1958, pp. 268-71. 3 Vd. lett. 343. 1 682 Munari avrà mandato anche a te le sue conferenze sulla poesia epigrammatica latina tarda e sulla poesia latina del secolo XII. Mi paiono chiare e ben informate, anche se la prima non dice niente di nuovo (sulla seconda non sono in grado di giudicare). Ma che cos’è oggi in Germania una Habilitationsvorlesung? Basta una semplice conferenza di quel tipo per avere una libera docenza? O è la prolusione del corso tenuto dal libero docente? Infine una delle solite scocciature che ti trasmetto per puro dovere di… ambasciatore. Piero Treves (col quale sono in corrispondenza perché anch’egli si occupa di storia degli studi classici dell’Ottocento) mi ha scritto una lunga lettera dichiarandosi preoccupatissimo per l’esito del concorso di storia antica, al quale anch’egli partecipa (credo, con scarse possibilità di successo). In tale lettera egli mi prega di far propaganda a suo favore presso «il tuo buon amico urbinate Scevola Mariotti, quand’anche io ritenga che questi si sentirà per qualche modo impegnato a far propaganda in favore del suo collega Forni. Il Mariotti, che non conosco se non nell’opera sua e attraverso i ricordi di Giorgio Pasquali e del comune amico Russo, utilmente potrebbe però, se volesse farlo, spendere la sua parola, esprimendo il suo consenso ai miei lavori di storia della filologia ecc.». Ti ho trascritto questo brano a puro titolo d’informazione; il Treves stesso, come vedi, nell’atto in cui chiede il tuo aiuto, prevede che tu sarai favorevole a Forni, e quindi non si fa eccessive illusioni. Non so se tu hai letto qualche lavoro di storia della filologia del Treves: è un uomo dottissimo (sull’ambiente classicista italiano dell’ ’800 ne sa più di chiunque altro, ha schedato intere biblioteche), ma piuttosto confusionario. Ha scritto recentemente un saggio su Ciceronianismo e anticiceronianismo nella cultura italiana del secolo XIX, in cui i suoi pregi e difetti si rivelano chiaramente4. Discuterò alcuni punti di questo articolo che riguardano il Leopardi in quell’articoletto di addenda et corrigenda al mio libro che sto ora buttando giù e di cui ti manderò poi il dattiloscritto5. Coi più affettuosi saluti tuo Sebastiano [PS. ‒] Bolelli ha lasciato davvero la Normale (ha anche cambiato abitazione)6. Pare che non sarà nominato un altro vicedirettore, ma una specie di piccolo comitato, in cui ‒ a quanto mi dicono ‒ il più influente sarà Frugoni7. «RIL», 92, 1958, pp. 403-64. S. T., Postille al Leopardi filologo, «A&R», s. V, 4, 1959, pp. 81-95. 6 Vd. lett. successiva. 7 Arsenio Frugoni (1914-1970), eminente storico medievale, insegnò alla Normale dal 1954 al 1962, quando fu chiamato a Roma. 4 5 683 346 Pesaro, 21. 10. 1958 Carissimo Sebastiano, grazie delle interessanti notizie sulla Jugoslavia1. Forse per un giudizio definitivo sul socialismo jugoslavo bisognerà attendere, ma sta di fatto che l’esperimento di Tito è interessante e che probabilmente la Jugoslavia è oggi il paese più ‘socialista’ che esista. Ho visto la recensione di Marmorale all’Ennio. Con tante critiche fondate che poteva fare a quel libro, è riuscito solo a rilevare u n a sconcordanza grammaticale e a dare innumerevoli altre prove della sua ignoranza (fra l’altro non poteva vedere in qualche enciclopedia che Ianus Dousa si chiamava veramente Giovanni, anche se non sapeva quanto spesso gli umanisti e gli eruditi più tardi latinizzavano Giovanni con Ianus?). Naturalmente non gli risponderò. Anch’io non credo alla spiegazione di Tandoi di iura … cumina (= cuminata) in Vespa. Mi ha assicurato che la recensione la farà lui2. Non so neppur io cosa sia una Habilitationsvorlesung, ma credo che sia pressappoco una lezione-conferenza introduttiva a un corso fatta quando, in pratica almeno, l’abilitazione alla docenza è già stata decretata. Treves sopravvaluta, anzi in verità mente sibi fingit una mia possibilità d’influire in qualsiasi modo sull’esito del suo concorso. Ho sentito dire che la terna presumibile è Gabba-Forni-Sartori e che Treves sarebbe portato da Pugliese Carratelli, ma, pare, senza estrema decisione. Mi dispiace sinceramente se questa notizia corrisponde alla realtà, perché ho sempre stimato il Treves una persona molto seria e credo che sarebbe degnissimo di una cattedra. Mi è capitato anche qualche volta di dirlo a qualcuno e con maggior calore lo dirò ora, se me ne capita l’occasione. Ma, ti ripeto, le mie possibilità d’influire anche indirettamente sul concorso sono nulle. Del suo libro su Euforione3 mi aveva parlato Cazzaniga. Avevo letto qualcosa di un libro su Alessandro4, dove, se non erro, si parlava anche occasionalmente di Ennio. Se hai occasione, salutamelo cordialmente e digli che spero che ci scambieremo le nostre cose. Grazie delle notizie sulla Normale. Staremo a vedere, ma che cosa potrà fare Frugoni, da Roma? Affettuosi saluti dal tuo Scevola 1 2 3 4 Su questo argomento e i successivi vd. lett. precedente. S’intende all’edizione del Pini. Vd. lett. 344. P. Treves, Euforione e la storia ellenistica, Milano-Napoli 1955. P. Treves, Il mito di Alessandro e la Roma d’Augusto, Milano-Napoli 1953. 684 3471 Urbino, 8. 11. 1958 Carissimo Sebastiano, il tuo articolo leopardiano2 è molto interessante e l’ho letto molto di gusto. Hai trattato tutti, e in modo particolare me, con estrema cortesia; in certi casi potevi essere più severo. Ci sono vari spunti interessanti: i chiarimenti di p. 3 sulla non riducibilità della storia della filologia a storia del ‘metodo’; la promessa del lavoro su Sauppe-Lachmann. Bello il confronto con «La Giustizia» a p. 6! Non ho proprio nulla da obiettare. Non sono in grado di dire con sicurezza se sia il caso di attenuare formalmente quello che dici sul Wilamowitz a p. 3. Forse il «ben poche» di l. 13 suonerà un po’ eccessivo (anche perché ‘ben poco’ è quasi sinonimo di ‘nessuno’), e si potrà forse pensare alla Verskunst, alle Textgeschichten per quanto riguarda «i singoli risultati delle ricerche» del Wilamowitz. Ma, ripeto, non posso giudicare. A p. 5 sull’«oppressione della natura» da tutti sentita, sono d’accordo da un punto di vista generale; solo non so se tutti parlerebbero di «natura», se cioè definirebbero così l’ostacolo che lo spirito incontra alla sua attività. D’altronde si può concepire un’attività dello spirito senza un ostacolo (esterno o interno) di fronte al quale esso si ponga in lotta per effettuare le sue conquiste? E sentono veramente tutti questo ostacolo come un ‘male’? Certo è un ‘male’ senza il quale non esisterebbe il ‘bene’ della conquista spirituale. Ma probabilmente sono sciocchezze; e, su quello che tu scrivi, non mi pare si possa eccepire nulla, perché tu parli comunque di «misure» e di «forme» diverse. Anch’io avevo pensato proprio a un cenno ironico al Marmorale nella seconda edizione dell’Ennio3; mi fa molto piacere di ricevere da te lo stesso suggerimento. Ho letto e preso appunti nel mio Riese degli articoli della Lamacchia4. Qualcosa di utile c’è, ma è sproporzionato al numero delle pagine, e in Risponde a una lettera di T. non conservata. T., Appunti per il futuro editore dello Zibaldone (cit. lett. 328). 3 Vd. lett. precedente. 4 Nel 1958 uscirono di R. Lamacchia i seguenti contributi: Problemi di interpretazione semantica di un centone virgiliano (Hos. Geta, ‘Medea’-Anth. Lat. (Riese) 17), «Maia», 10, pp. 161-88; Tecnica centonaria e critica del testo (A proposito della ‘Medea’ di Osidio Geta), «RAL», s. VIII, 11, pp. 258-80; Dall’arte allusiva al centone, «A&R», s. V, 3, pp. 193-216; Metro e ritmo nella ‘Medea’ di Osidio Geta, «SIFC», n.s., 30, pp. 175-206; Osservazioni sulle 1 2 685 varie cose, specie nell’articolo in «Maia», bisogna dubitare o dissentire. Le ho scritto abbastanza lungamente, lodandola fin dove possibile e discutendo alcune cose. Ne riparleremo al momento dell’edizione di Osidio5. Un paio di proposte che ho accennato alla Lamacchia sono: 321 (su cui Lamacchia in «Maia», 170 sg.) può benissimo aver ragione la Lamacchia sul -que pleonastico; ma forse in apparato è da accennare alla possibilità di interpungere dopo 321 intendendo in Osidio quaeque … miserrima, ‘quanto v’è di più miserevole (o di più orribile)’, come optima quaeque e simili. Per trasformazione di valore dei pronomi virgiliani (e altro) in Osidio cfr. Lamacchia ibid. 175 e n. 3. Così horresco referens del verso seguente resterebbe, come in Virgilio, isolato (o parentetico). Al v. 319 (di cui non ho ancora cercato il modello virgiliano, per verificare la tradizione) non ti pare che si potrebbe, almeno in apparato, proporre, conservando la lezione manoscritta, a ruptis, possibile varia lectio antica per abruptis (ab ruptis, a ruptis)? In 156 azzarderei forse una difesa di me, pensando agli esempi di fateor me (già in Ovidio, cfr. Thes. s. v. fateor) per fateor quis sim, anche se il senso in Osidio dovrebbe essere un po’ diverso. Ho letto il manoscritto dell’articolo di Pascucci6. Abbastanza interessante la storia del τόπος a Roma; ma poco o niente c’è di nuovo e, se l’immensum non è cattivo, certo non è quello che ha scritto Ennio (in questo so di esagerare, ma insomma quella inserzione di una parola della principale in mezzo alle due dipendenti, sebbene possibile, mi lascia dubbioso; al tuo ac <si> io credo sempre7, anche se capisco che ut <si> non si può escludere). Ho risposto a Pascucci colla massima cortesia, proponendogli solo qualche ritocco particolare. Quando crederai che sia venuto il momento che io scriva a Weinreich8, ti prego di dirmelo. Ho quasi pronto il Vespa (abbozzo dell’edizione), che ti rimanderò, anche se con molti punti interrogativi. Non ti rispedisco, giacché sei categorico su questo punto, il tuo dattiloscritto; ma lo tengo, se per caso ti potesse servire. Affettuosi saluti dal tuo Scevola sigle dei personaggi e le rubriche nella ‘Medea’ di Osidio Geta, «PP», 52, pp. 312-21. Di alcuni di essi però gli estratti giunsero successivamente a M., come risulta da lett. 356. 5 Sull’edizione dell’Anthologia Latina, vd. lett. 288. 6 G. Pascucci, Ennio, Ann., 561­62 V2 e un tipico procedimento di αὔξησις nella poesia latina, «SIFC», 30, 1958, pp. 79-99 (= Id., Scritti scelti, II, Firenze 1983, pp. 577-97). 7 Vd. lett. 44-5. 8 Le ragioni si chiariranno dalla risposta del filologo tedesco (vd. lett. 352). Come si ricava dalle lett. 350 e 352, T. doveva avergli già scritto in precedenza. 686 348 Urbino, 19. 11. 19581 Carissimo Sebastiano, ho già scritto a Weinreich2. Speriamo che si faccia vivo. Una consultazione, magari rapida e concentrata soprattutto sulle questioni testuali, sarebbe veramente utile per la nostra edizione3 (tu parli con sicurezza anche del seminario; ma credi che, partito Bolelli4, mi chiameranno?). A proposito di Pascucci5, anche l’articolo di Boscherini in «SIFC» sul frammento enniano non mi pare davvero gran cosa6. Ho dato una prima abbastanza attenta scorsa all’Origo di Puccioni7 durante gli esami di settembre all’Aquila (dovevo stare parecchio in casa per una calcolosi renale che mi ha dato parecchia noia, ma ora sembra risolta, e non avevo altri libri). I difetti che tu noti sono purtroppo reali. Il Puccioni poi scrive e continuerà a scrivere innumerevoli cose piuttosto inutili sull’Origo; ma per fortuna ha scelto un’opera poco nota, che è comodo avere in un’edizione moderna e su cui è anche comodo essere informati. Un articolo forse glielo pubblicheremo negli «St. Urbinati»8. Io gli ho accennato alla possibilità di fare, prima o poi, qualche noterella sul testo, sfuggendo così alla richiesta di recensione9. Ho pensato di farci su un breve corso di esercitazioni a Urbino, più che altro per il testo, ma, dopo essermi un po’ più informato, vorrei trattare un poco anche la questione delle fonti. Credo che tu faccia bene a fare la recensione10, superandomi in coraggio. Sotto la data: «via Annunziata (nuovo indirizzo)». Vd. lett. precedente. La risposta di T. (non conservata) all’interrogativo ivi posto da M., fu evidentemente affermativa. 3 Dell’Anthologia Latina (su cui vd. lett. 288) e in particolare di Vespa (vd. lett. precedente). 4 Vd. lett. 345. Negli anni precedenti M. aveva tenuto due seminari alla Normale: vd. lett. 298; forse T. aveva proposto a M. di tenerne ora uno su Vespa. 5 Vd. lett. precedente. 6 S. Boscherini, Su di un frammento tragico latino (XCIV inc., Ribbeck), «SIFC», 30, 1958, pp. 106-15. 7 [Avreli Victoris] Origo gentis Romanae, a cura di G. Puccioni, Firenze 1958. 8 G. Puccioni, Studi sull’‘Origo gentis Romanae’, «StudUrb.(B)», 33, 1959, pp. 27-85. 9 M. scriverà qualche anno dopo Appunti sull’‘Origo gentis Romanae’ in Language and Society. Essays Presented to Arthur M. Jensen on his Seventieth Birthday, Copenhagen 1961, pp. 109-12 (= SFC, pp. 206-9). 10 La recensione di T. uscì in «A&R», s. V, 4, 1959, pp. 106-8. 1 2 687 Il libro merita una recensione seria, anche perché sull’Origo c’è ancora qualcosa da fare e tu puoi dare contributi importanti. In seguito alla tua lettera (e all’avvicinarsi dell’inizio dell’anno accademico) ho ripreso in mano il libro e ho trascritto alla rinfusa qualche appunto marginale. La maggior parte è costituita di cose o ovvie o incertissime. Puoi guardare questi appunti11 se e quando vuoi e farne quello che credi. Ti sarei grato, se li guarderai, di eventuali suggerimenti, critiche ecc. Come vedrai, è tutto ancora allo stato brado. (Forse è meglio non parlare di questa faccenda con Puccioni, con cui, per il momento almeno, non vorrei iniziare un dialogo sull’argomento). Ho subito interpellato Zicàri per gli estratti (li abbiamo avuti entrambi)12. Egli ne manda tre a Pisani, Billanovich, Fraenkel (perché vuol accennargli a quia tu me ita invece di quia nos ita)13 e ne mette d u e a nostra disposizione (dice che li manderà a me nei prossimi giorni). Io ne conserverei uno per me e tre per l’ordinariato (fine ’59), dopo di che anche questi saranno utilizzabili. Me ne rimangono quindi otto (compresi i due di Zicàri). Ne spedisco due a Dahlmann e Ronconi (a quest’ultimo non scrivo da lungo tempo). Sarei molto lieto se tu pazientemente volessi prendere in mano le fila anche di questa cosa: ti è più facile comunicare con Campana (ed eventualmente con Campanile?). Per riassumere: cinque copie sono o stanno per essere inviate (Pisani, Billanovich, Fraenkel, Dahlmann, Ronconi). A me ne restano disponibili s e i . Suggerisci tu i nomi a cui debbo spedirle (forse Wolfgang Schmid?) – benissimo per Skutsch, a cui, se vuoi, puoi mandarlo tu. Fra gli altri nomi che trovo nella mia rubrica d’indirizzi: Axelson? Castiglioni? Cazzaniga? Ferrarino?? Haffter? Theiler? Gallavotti?? Knoche?? Paratore?? Lallo Russo? Terzaghi? Traglia? – stabilisci tu chi lo manderà a Munari e togli fra gli altri nomi tutti quelli che credi, aggiungendo quelli che mi sono certo sfuggiti. Affettuosamente tuo Scevola 11 12 13 In un dattiloscritto a parte che si pubblica in appendice a questa lettera. Cioè gli estratti dei Contributi agli ‘Epigrammata Bobiensia’ (cit. lett. 335). Si tratta di Epigr. Bob., 4, 3, trattato da Zicàri nei Contributi (p. 125). 688 APPENDICE Appunti sull’Origo gentis Romanae, ed. Puccioni (Firenze, 1958)14 p. 53, 8 [1, 6] <re> cognita Puccioni per litt. non male15. p. 54, 12 [2, 3] obvium O, recte? p. 55, 6 [3, 2] curiosa la citazione a memoria col duro iato. p. 56, 15 [3, 7] in 62, 10 c’è noster Maro; che anche qui il cognomento abbia fatto cadere Maro?? p. 56, 15 [3, 7]; forse p. 59, 19 [5, 3]; p. 79, 14 [22, 3] (cfr. appar.). Verrebbe fatto di pensare che l’antigrafo (o un antigrafo) dell’archetipo avesse linee di circa una trentina di lettere o poco più. A p. 56 [3, 7] la parola precedente [cognomento] è ripetuta dopo 35 lettere; a p. 79 [22, 3] [manipulis] dopo 31 lettere; a p. 59 [5, 3] la lacuna [certet ~ iudice] è di 33 lettere, ma qui purtroppo (!) può trattarsi di omissione per omoteleuto. Più incerto è il caso di p. 62, 18 [8, 2], dove Potitio è ripetuto dopo 110 lettere (ca. 37 moltiplicato per 3??). p. 56, 16 [3, 7] ovviamente intulit da espungere, se non è aggiunto per errore. p. 57, 2 [3, 8] p. es. futuri <prudens>; cfr. 59, 2 [5, 2]16. p. 57, 5 [3, 8] urbis O, recte? (può essere affettazione di poetismo o arcaismo, ma è questione di nessuna importanza). p. 58, 3 [4, 3] an sole<re>t ? Potrebbe ricordare un caso serviano da te corretto17, ma qui ci sarà da ripensarci. p. 58, 8 [4, 6] eundem codd. fort. recte. L’espressione va studiata, ma è ovvio che Puccioni in genere espunge troppo. p. 59, 18 [5, 3] il censet in P suprascr. è certo corruzione di certet (a meno che sia errore di lettura di editori). Ciò conferma, mi pare, che le correzioni di m. rec. sono congetture; altrimenti, invece di correggere victum in certet, si sarebbe integrato con le parole da certet a se iudice. p. 60, 10 [6, 3] desperasset <se> ?? p. 63, 12 [8, 6] ductos Smit, recte puto. p. 64, 4 [9, 3] nota l’errato ferret, analogo a quello da te notato in Fest. Jachmann (se non ricordo male)18. Se ne veda la discussione nella lettera seguente. Su 58, 8 si torna anche nella lett. 350; su 68, 20 nelle lett. 350 e 368; su 77, 80 nelle lett. 350, 352 e 363; nella lett. 368 si torna inoltre su 56, 15 (noster Maro); 58, 3; 66, 12; 67, 6; 70, 11; 73, 20; 81, 12 e si aggiungono ulteriori congetture a 59, 22 e 67, 13. 15 Congettura accolta da G. D’Anna nella sua edizione (Anonimo, Origine del popolo romano, Milano 1992, ad loc.), dove è attribuita a Grassi e Mariotti. 16 La congettura è accolta da D’Anna, nell’ed. cit., ad loc. 17 Allude a moverentur per moventur; vd. lett. 289 e 290. 18 Mollesceret per mollescere; vd. lett. 276. 14 689 p. 66, 12 [10, 4] ‘tradizione’ è propriamente solo potoykaytai di P (o se si vuole un apotoykaytai), perché O ripete per svista la lezione di p. 62, 20 sg. e P di fatto congettura (forse in base a Serv. Aen. 7, 1). Da (a)potoykaytai ad ἀπὸ τοῦ καίειν il passo è assai meno facile che ad un ἀπὸ τοῦ καῦσαι [o magari ad ἀπὸ τοῦ καῆναι, come scrive Serv. Aen. 10, 36] (il greco è di solito traslitterato abbastanza bene nella tradizione dell’Origo). Prima di proporre un ἀπὸ τοῦ καῦσαι (per cui propenderei19, seppure dubbiosamente) bisognerà vedere meglio l’uso dell’infinito aoristo per indicazione di verbi nei grammatici e pensare se sia più probabile uno scambio fra C (sigma) e c (donde il t di kaytai) o scambio s e t (di cui però non ricordo altri esempi nella tradizione dell’Origo). p. 67, 6 [11, 2 sg.] cosa incertissima: conservare quam, inizio di una lunga parentesi all’acc. e inf. terminante con 9 ducem, e considerare scrofam (l. 5) oggetto di 10 prosecutum??? p. 68, 8 [12, 4] se ci fossero altri esempi di ibi tum in Origo, si potrebbe ibique tum. p. 68, 20 [12, 5] maereret: leg. haereret (mi pare sicuro; cfr. anche 21 sg. adhortantium ut perseveraret). p. 70, 11 [14, 1] irarum: an iniuriarum? Cfr., p. es., p. 76, 5 sg. [19, 4], 15 sg. [19, 7]. Capisco che ira potrebbe essere una sorta di ‘poetismo’. Bisognerà studiare meglio l’uso della parola. Potrebbe entrarci anche fraintendimento di una abbreviazione di un iniuriarum. p. 72, 3 [15, 4] problema tanto interessante quanto insolubile per me. Sotto dedit mi aspetterei un nome di annalista (tre autori citati insieme altrove, p. es. 74, 1 sg. [17, 3] ecc.); ma quale? p. 73, 20 [17, 2] an quot? Cfr. la scrittura abbreviata di P, il fatto che segue s (simili dittografie sono altrove rappresentate nell’Origo) e altri scambi fra a ed o nell’Origo. p. 77, 8 [20, 3] repente è, malgrado Puccioni, confermato e conferma Enn. ann. 68 ed è prova che in Ennio doveva esserci poi qualcosa come prodiit, che qualcuno deve aver congetturato (exierat nell’Origo mi pare difendibile). A l. 11 [ibid.] certo Ennius. p. 79, 14 [22, 3] formati codd., recte puto. p. 80, 1 [23, 1] malgrado la facilità di scambio e/i, oserei congetturare appellari[t] (cfr. ferret per ferre) p. 64, 4 [9, 3]; qui naturalmente lo scriba aspettava un congiuntivo), dipendente, sia pur di lontano, da vellet di 79, 23 [ibid.]. Ma capisco che è incerto. p. 81, 12 [Vir. ill. 1, 4] muniensque? forse meglio di cumque muniret di Schott (muniretque non va). 19 La congettura è accolta da D’Anna nell’ed. cit., ad. loc. 690 349 Pisa, 22. 11. 1958 Carissimo Scevola, quanto agli estratti delle nostre noterelle1, io potrei mandarli per esempio ad Axelson, Castiglioni, Cazzaniga, Skutsch, Terzaghi, Traglia, Tandoi, La Penna, Grassi; mentre tu (sempre exempli gratia) potresti mandarli a Munari, Theiler, Gallavotti, Paratore, W. Schmid, Jachmann. Ma, se a qualcuno di quelli che ho assegnato a me stesso preferisci mandare l’estratto tu, o viceversa, per me va ugualmente benissimo. Soltanto a Theiler, Gallavotti e Paratore è forse opportuno che non lo mandi io, perché non ho finora scambiato estratti con loro. A Munari è forse meglio che lo mandi tu (che hai fatto il seminario alla Normale), con dedica anche a nome degli altri amici. Non sarebbe neanche male se a Munari lo mandasse Campana, ma non vorrei che finisse poi col non mandarglielo o col ritardare molto l’invio! Campana potrebbe mandarlo a Bischoff, di cui è molto amico. Rimarrebbero fuori ancora Ferrarino (che io non conosco), Haffter, Knoche, Lallo Russo, Weinreich (?), Strzelecki (?). Chi sa se a qualcuno di questi potrà pensare Zicàri? O forse Zicàri vuol pensare lui a Cazzaniga, con cui è stato spesso in corrispondenza per Catullo? A La Penna e a Grassi vorrei mandarlo, perché mi hanno sempre dato tutte le loro cose. Sulla base di questi dati, ti pregherei di prendere tu la decisione definitiva e di farmi senz’altro sapere a chi devo mandare i miei nove estratti (tengo per me il decimo). Intanto cercherò di sapere l’indirizzo del Campanile: tre o quattro estratti potremmo farli mandare da lui. Quanto a Campana, sarà difficile avere una risposta scritta, ma spero che tra non molto inizi il suo corso alla Normale, e allora glie ne parlerò. Ti sono molto grato delle osservazioni all’Origo gentis Romanae2, che mi sembrano tutte ottime. Mi sono particolarmente piaciute quelle a p. 66, 12 (ἀπὸ τοῦ καῦσαι), a p. 81 (muniensque, per me sicuro) e l’ipotesi sulla lunghezza delle righe dell’archetipo. Anche irarum (p. 70) e haereret (p. 68), per quanto non assolutamente sicure, sono assai plausibili (su haereret mi resta qualche dubbio; è proprio impossibile maereret?). Senz’altro giusta la preferenza da te data a obvium di O a p. 54, 12: obviam è banalizzazione, forse favorita anche dalla confusione grafica tra u ed a aperta (cfr. p. 70, 22 effusam P ante corr. pro effusum; p. 78, 24 atque P pro utque). D’accordo su tutto il resto. 1 2 Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente, appendice. 691 Di due sole delle cose da te osservate mi ero accorto anch’io, cioè della non necessità di espungere eundem a p. 58, 8 (l’autore ha voluto insistere sul concetto di identità; si può forse confrontare p. 52, 20-53, 1 idem supra dictus Vergilius, e p. 79, 17 qui simul eiusdem signi essent) e del repente di p. 77, 8 che trova il suo riscontro nell’enniano lupus femina feta repente (il che dimostra definitivamente che a l. 11 si deve leggere Ennius e che si tratta del poeta Ennio, non del vero o presunto Ennio grammatico come ha supposto il Bickel). È effettivamente probabile che in Ennio seguisse qualcosa come prodiit: io una volta avevo immaginato, a titolo di puro esempio, lupus femina feta repente <advenit et pueris plorantibus ubera praebet> (cfr. pueris plorantibus in un altro verso enniano, che però è ricostruito solo ipoteticamente). Ma l’exierat dell’Origo come si può difendere? Ho scorso un po’ il Thesaurus s. v. exeo, senza trovare nulla di adatto. Che sia caduto un complemento di moto a luogo dipendente da exierat? Ma non riesco a immaginare nulla di veramente persuasivo. Enixa erat del Baehrens non sarebbe cattivo in sé, ma rende molto problematica la conservazione di repente. (Da notare che il recenter, che il Puccioni congettura in questo passo, era stato congetturato in Ennio dal Pascal: cfr. Valmaggi ad loc.)3. Sarebbe bello se repente si potesse intendere, sia in Ennio che nell’Origo, nel senso di nuper: in questo caso, nel frammento enniano repente andrebbe con feta, e nell’Origo si potrebbe accettare enixa erat per exierat. Ma di un repente = nuper non pare vi sia alcuna attestazione. D’altra parte nell’Origo mi sembra che quel levandorum uberum gratia (lin. 9) richieda che sia stato già detto precedentemente che la lupa era fresca di parto. Avrei piacere di sapere ancora la tua opinione su questo garbuglio che non riesco a districare. Naturalmente farai benissimo a pubblicare le tue note sull’Origo. La mia recensione4 – che ho accettato di fare solo per debolezza! – sarà brevissima, cortese e poco impegnativa. Loderò genericamente l’equilibrio del Puccioni nella scelta delle lezioni ecc., accennerò cautamente ad alcuni difetti tecnici dell’apparato (fra l’altro il Puccioni parla spesso di lectio difficilior come criterio che dovrebbe servire non per scegliere tra due varianti entrambe attestate, ma fra la lezione tramandata e una congettura! Cfr. p. 74, 6 e altrove; a p. 56, 1 incutiendae «nullum praebet sensum … ideoque lectio facilior … est ducenda»! probabilmente incutiendae è giusto, incudendae non persuade) e forse dirò due parole su questo repente exierat, su cui però, come ho detto, sono incertissimo. Un altro paio di osservazioni di importanza minima, tanto che forse non è nemmeno il caso di parlarne: a p. 57, 11. 10. 15. 18. 19 o sempre Aborigenes, o sempre Aborigines: fra l’al- 3 4 Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). Si riferisce alla recensione all’edizione di Puccioni (vd. lett. precedente). 692 tro il mutata una littera altera adempta (lin. 18-19) dimostra che l’autore intendeva o Aberrigines / Aborigines o -genes / -genes, altrimenti avrebbe detto mutatis duobus litteris (e>o, i>e)5. – p. 60, 1 graecae originis non va certo espunto come propone il Puccioni: giustamente tu osservi che egli è troppo incline ad espungere. – p. 64, 14 chi sa perché non ha conservato Polymestoris? – p. 79, 20 forse meglio ac di et? (ma capisco che in un caso come questo appellarsi alla lectio difficilior val poco!). Per fortuna l’«Atene e Roma», in cui uscirà la mia recensione, non varca i confini dell’Italia! Sull’Origo uscirà tra poco nel «JRS» un ottimo articolo di Arnaldo Momigliano, che lessi tempo fa dattiloscritto6. D’accordo sull’articolo di Boscherini7. Si tratta di un articolo vecchissimo (la prima stesura risale al ’43, quando eravamo studenti a Firenze!), che il Boscherini, dopo molte esitazioni, si è deciso a pubblicare ora. In generale il Boscherini non è mal preparato, e forse potrebbe fare più di Pascucci, ma è lentissimo nel lavoro. Sta facendo, ma chi sa se la porterà a termine, l’edizione di Catone De agri cultura per i testi dell’Accademia dei Lincei. Ti rimanderò tra poco le tue note sull’Origo. – Spero vivissimamente che anche quest’anno tu sia chiamato alla Normale. Non conosco personalmente Frugoni8; ma, se vedrò Traglia, cercherò di sapere qualcosa (anche attraverso Arrighetti, che ha per te molta ammirazione e simpatia). Fraenkel mi ha scritto che lo hanno riinvitato e che verrà come al solito in marzo. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Su questa e le tre osservazioni seguenti vd. anche lett. seguente. A. Momigliano, Some Observations on the Origo gentis Romanae, «JRS», 48, 1958, pp. 56-73 (= Id., Secondo contributo alla storia degli studi classici [cit. lett. 313], pp. 146-76). 7 Vd. lett. precedente. 8 Vd. lett. 345. 5 6 693 350 Urbino, 1. 12. 1958 Carissimo Sebastiano, benissimo per gli estratti1. Io li mando, servendomi anche delle due copie fattemi avere da Zicàri, a Munari, Theiler, Gallavotti, Paratore, W. Schmid, Jachmann; tu agli altri. Mi dispiace per quelli che restano fuori. Zicàri non ne ha più disponibili (vuol conservarne un paio di copie ed altre ne ha mandate a persone ‘non qualificate’ filologicamente, verso cui aveva obblighi di cortesia). Certo sarebbe bene mandarle, degli altri che mi nomini (tutti nomi più che opportuni), almeno a Haffter, Knoche, Lallo Russo, Weinreich (Campanile? Campana??). A proposito, quest’ultimo2 non ha finora risposto neppure a me. Lasciamo passare ancora un po’ di tempo; e poi si potrebbe scrivere a Munari raccontandogli la cosa e chiedendogli come si può fare (scrivere all’Università? o all’autore, se Munari ne sa l’indirizzo?). Da Weinreich il discorso cade, attraverso Luxorius, alla Normale. Ti ringrazio moltissimo di quanto mi dici su una tua richiesta d’informazioni a Traglia3. Sai che mi fa molto piacere di venire alla Normale; ma ci tengo anche a non venire contro la volontà di chicchessia. Perciò non credo di dover fare alcuna mossa, neanche presso Frugoni4, con cui tuttavia sono stato di recente in cordiale rapporto epistolare per certe informazioni che gli servivano per il Dizionario biografico di cui si occupa a Roma. Fraenkel ha scritto anche a me che verrà a Pisa «prima della metà di marzo» per restarvi fino alla fine di aprile e quindi accettare l’invito di mons. De Luca di passare qualche settimana a Maratea, donde andrà a Friburgo. Poiché Fraenkel non verrà a Urbino, se io dovessi venire a Pisa, sarei lieto di finire prima che egli cominci o cominciare subito dopo la fine del suo seminario (cosa forse meno delicata nei suoi confronti e meno opportuna per gli studenti, anche se forse per me preferibile) per poterlo rivedere in quell’occasione. Naturalmente ti dò queste notizie a scopo di pura informazione. E ora all’Origo. Grazie delle molte cose interessanti che mi dici (tieni pure – o distruggi – i miei appunti5, di cui ho conservato la copia). A p. Vd. lett. precedente. Cioè Weinreich. Vd. lett. 347-8. L’autore a cui ci si riferisce è Heinz Happ, una copia della cui dissertazione su Luxorius M. e T. speravano di ottenere dal suo maestro Otto Weinreich. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. 345. 5 Vd. lett. 348. 1 2 694 68, 20 insisterei ancora per haereret che riterrei (quasi) necessario. Enea ha ricevuto un vaticinio e gli sembra che sia adempiuta la condizione richiesta (parto della scrofa). Tuttavia la situazione esterna (agri sterilitas) sembra in contrasto con quello che gli si richiede di fare (fondazione della città). Da qui un’esitazione non un maeror, a risolvere la quale interviene il sogno. Ma riguarderò i passi simili od altri racconti paralleli. Giustissima la tua osservazione su Aberrigines / Aborigines (o -genes / -genes), che naturalmente deve essere pubblicata. Giustissima la conservazione in 60, 1 e in 64, 14. Anche in 79, 20 è del tutto metodico conservare l’ac. Del tutto ovvia la conservazione di eundem in 58, 8, da te ottimamente motivata. Guarda che, se ti venisse in mente di citarmi per questa ed altre più che ovvie coincidenze, come è tuo da me non condiviso costume, faresti oltre tutto (scusa la franchezza) un errore, perché ci esporremmo al sorriso ironico anche di persone serie, oltre che del Marmorale che ci accusa di abbondanti elogi e citazioni reciproche. La questione di repente [p. 77, 8] (altra coincidenza ovvia!) diventa davvero per tuo merito interessantissima. Io avevo pensato a conservare l’exierat basandomi (ma in via molto vaga e preliminare) su casi in cui il redattore del Thes. per exeo (mi pare Lachmann) chiosava exeo con prodeo (cfr. Thes. s. v. 1355, 7 per Plaut. Amph. 223; altrove per Suet. Cal. 4: «syn. prodisse obviam»; ora non posso controllare), e su casi, da controllare semmai meglio, in cui si tratta di animali che escono dalle tane o comunque dalle abituali residenze; dal Thes. ricavavo Liv. 6, 41, 8 pulli e cavea ecc., ma in particolare, senza il moto da luogo, Ov. met. 3, 234 (canes) tardius exierant (cfr. repente exierat nell’Origo) e anche Plin. nat. 8, 129 ursi exeuntes («scil. inter somnum hiemalem»); 10, 126 examen (apium). Se del resto Lucr. 6, 1221 può dire nec … saecla ferarum exibant silvis, non si potrà forse escludere che un autore tardo potesse usare exeo senza il moto da luogo (mi sembra che in romanesco si possa dire benissimo ‘un lupo uscito all’improvviso’ per ‘comparso all’improvviso’). Ma, a parte il fatto che un confronto preciso per il passo dell’Origo non l’ho, mi pare fondamentale la tua obiezione che è necessario che sia indicato che la lupa era feta. (È vero che talvolta l’autore omette qualche dato che sembrerebbe essenziale: io mi sono notato alcuni casi in cui si aspetterebbe che fosse detto un nome proprio, da mettere forse insieme con quello notato da Puccioni ad p. 65, 11 [10, 1]; p. 54, 4-18 [2, 1-4]; 69, 20 [13, 4] (?); 74, 16-20 [18, 1]; ma in realtà in ciascun caso si può trovare una spiegazione verosimile dell’omissione e poi si tratterebbe semmai di una categoria speciale di esempi, da riesaminare). Insomma la tua obiezione mi sembra fondamentale. Particolarmente interessante il tuo sospetto di intendere repente = nuper. In proposito, debbo dirti che lo stesso sospetto è venuto a Puccioni, come vedo nel manoscritto (nell’insieme non gran cosa) di un articolo sulla lingua dell’Origo in pubblicazione in «SIFC», che mi ha mandato perché gli ho 695 chiesto se avesse materiale che potesse servirmi per il corso che vorrei fare qui sull’Origo6. Per exierat nega anche lui che abbia senso plausibile «a meno che non si ammetta la caduta di qualche parola: la lupa poteva essere uscita da un bosco». Per repente, dopo aver citato recenter, che qui attribuisce a suggerimento del Terzaghi [il quale forse inconsciamente si sarà ricordato della congettura ad Ennio?], dice che se non si vuole emendare gli «sembra inevitabile interpretare repente in un senso che non sembra testimoniato chiaramente altrove, cioè proprio in quello di recenter o nuper o modo»7; e poi cita alcuni passi in cui repente ha il solito valore, ma che potrebbero «suggerire l’evoluzione di repente … al senso di ‘poco prima’, ‘di recente’». Si tratta di Ter. Ad. 984 e Cic. de off. 1, 120 e soprattutto Caes. b. g. 6, 12. Qualcosa di più è possibile trovare. Intanto vedi Georges, Ausf. Handwört. s. v. repens (varii esempi di Tacito: repens = ‘neu, frisch, augenblicklich’, con qualche rinvio bibliografico); e poi Svennung, Untersuchungen zu Palladius, p. 598 n. 1 e p. 645 cita un esempio di Theod. Prisc. 1, 12, 34 repentinus sanguis = recens sanguis, per cui rimanda a T. Sundelin, Ad Theodori Prisciani Euporista adnotationes, diss. Upps. 1934, 83 (a me inaccessibile) e alla sua trattazione precedente (p. 405 sgg.) per statim e altre espressioni per ‘sogleich’ usato nel senso di ‘soeben’. Gli esempi sono tardi, ma f o r s e per pensare al senso di repente = recenter (cioè modo) già in Ennio potrebbe servire l’uso di repente … repente per modo … modo in Catone, p. 73, 10 Jord. citato (con qualche rinvio bibliografico) da Löfstedt, Komm. zu Peregr. Aeth.8, p. 168. La questione è interessantissima, e credo che tu abbia ragione. Certo per Ennio non si può essere completamente sicuri (se questi aveva scritto p. es. <advenit ecc.>, secondo la tua congettura, altri più tardi poteva aver inteso il repente come recenter, e così spiegarsi sia il ‘taglio’ della citazione di Servio sia il repente enixa erat dell’Origo). Ma bisogna ancora ripensarci, e m’interessa molto di sapere le tue conclusioni. Malgrado tutto, non so liberarmi del tutto da quell’exierat anche per il confronto con Dion. Hal.9 λύκαινα δέ τις ἐπιφανεῖσα (ma poi c’è scritto νεοτόκος!). Ripeto però che la tua soluzione deve essere senz’altro la giusta. Scusa la fretta con cui ho scritto. A parte ti mando un libretto non cattivo di S. Zini su Menandro10 che ho doppio. Se lo avessi già fanne quello che credi. Affettuosi saluti dal tuo Scevola G. Puccioni, Tradizione e innovazione nel linguaggio dell’‘Origo gentis Romanae’, «SIFC», 30, 1958, pp. 207-54. 7 A piè di pagina si aggiunge: «Il Puccioni inclina verso enixa erat o un brutto <fetus> exuerat». 8 Löfstedt, Philologischer Kommentar zur Peregrinatio Aetheriae (cit. lett. 115). 9 Dion. Hal. Ant. Rom., 1, 79, 6. 10 S. Zini, Il linguaggio dei personaggi delle commedie di Menandro, Firenze 1938. 6 696 351 Urbino, 8. 12. 1958 Carissimo Sebastiano, davvero gli estratti degli «Annali»1 da troppo pochi sono diventati troppi. Io ne prenderei senz’altro il mio ‘quinto’ (cioè 30), ma sono naturalmente dispostissimo a prenderne di meno, se te ne paresse il caso o se tu vedessi che Campana ha piacere di locarne un numero maggiore presso gli amici. Quanto ai nomi, io – in attesa di ricevere i nuovi – ho mandato due dei tre rimastimi a Schiaffini e Castiglioni in sostituzione di lettere che così ho evitato di scrivere (a Munari l’avevo già mandato, come agli altri del tuo [o mio?] elenco [mi sembra di avertelo scritto nella mia ultima]; mi dispiace per Campana, ma assicuralo che la dedica era ‘collettiva’). Degli altri nomi che mi hai fatto e mi fai io – s e tu non hai ragioni (data anche la vicinanza topografica) per farlo tu – manderei a suo tempo ai ‘pisani’ Peretti, Bartoletti, forse S. Pellegrini (a Ferri e ad Arrighetti potresti darli tu?). Così tu, se credi, potresti mandarli a Weinreich (sempre silenzioso; ormai temo che non risponda più)2, Strzelecki, Manfredi. Ma dimmi tu con tutta libertà. Solo ti pregherei vivamente, se puoi, di farmi avere le mie copie entro Natale, perché in vari casi l’estratto sostituisce bene gli auguri. Naturalmente ti prego di suggerirmi altri nomi a cui possa mandare io. A proposito di Campana, che cosa sai del suo concorso? Quando ci sarà? Ho tardato un po’ a risponderti perché dovevo, sollecitato ancora da Billanovich, finire la noterella ariostesca per la sua rivista3. Gliel’ho già spedita (con molto ritardo), e questo ti spiega perché ti rivolgo c o n i l m a s s i m o m a r g i n e d i t e m p o una preghiera: di controllarmi per favore in L. Müller De re metr.2 4 attraverso l’indice se risultano esempi antichi di vobĭs o nobĭs (forse non ci sono e in ogni caso un vobĭs che si trova nell’Ariosto è facile svista – anche per influenza delle desinenze in ­bŭs ‒, che editori moderni hanno voluto correggere). La cosa è per me del tutto marginale, e quindi ti prego di fare il controllo se e quando ti capiterà. Grazie5. Vd. lett. precedente. La lett. risponde a una di T. non pervenuta. Vd. lett. precedente e 347-8. 3 Nel marg. inf. Si aggiunge: «Tu gli hai mandato la tua di storia della filologia?». La «noterella» a cui allude M. è Per il riesame di un’ode latina dell’Ariosto, «IMU», 2, 1959, pp. 509-12 (= SMU, pp. 213-7 = SMU 2 = SMU 3, pp. 295-300). 4 Müller, De re metrica (cit. lett. 94). 5 Nel marg. sup. del primo foglio un appunto di T. in vista della risposta (lett. seguente): «L. Müller De re metr.1, 1861, p. 342 parla di -ĭs: in Arator advenĭs, custodĭs, esurĭs, nescĭs, in Sedulio pervenĭs, in Luxor. Possĭs e quamvĭs (305, 1; 347, 4). Nient’altro». 1 2 697 Terzaghi mi ha scritto una lettera che purtroppo mi mette in difficoltà. Vorrebbe collaborazione per il «Bollettino per l’ediz. dei class.» (entro dicembre!) e soprattutto edizioni e specifica – evidentemente sapendo o intuendo di miei (e nostri) progetti – che gli sarebbe gradita un’edizione di Andronico e Nevio e fra l’altro «qualche sezione dell’Anth. Lat.». A me, che sono così lento a lavorare, queste proposte e la sua fretta fanno quasi paura! Come si fa a dirgli di no del tutto? Gli rispondo chiedendogli se per il «Bollettino» si contenta di un tre noterelle (insignificanti) sull’Anth. Lat. (123, 4 e 17, vv. 319 e 321: sai già di che cosa si tratti)6. Per l’edizione dell’Anth. gli accenno al nostro progetto7, dicendo che ci eravamo impegnati per il Salmasiano «con una nuova collezione milanese, di cui però non si vede per ora nec vola nec vestigium8», e che quindi chissà che non possiamo poi darla a lui9. Lo stesso discorso fatto ad Arrighetti! Chissà se ho fatto male? Avesti a suo tempo il vol. IV-V (unico) di «Studia Oliveriana»? Ti prego di dirmelo. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Vd. lett. 347; M. aggiunse poi anche una nota a 212, 5: vd. lett. 361 e cfr. S. M., Appunti sul testo dell’‘Anthologia Latina’, «BollClass», 7, 1959, pp. 55-8 (= SFC, pp. 180-4; 274-5). 7 Vd. lett. 288. 8 Varro Men., 110. 9 Sulla collana milanese diretta dal Cazzaniga vd. lett. 288 e 316-18. 6 698 352 Pisa, 10. 12. 1958 Carissimo Scevola, sabato sera vedrò Campana e gli parlerò degli estratti1, raccomandandogli che ti spedisca la tua parte al più presto (per ora gli estratti sono a Roma presso Campana). Non credo che sia il caso di prenderne più di trenta ciascuno; a chi li manderemo? A Castiglioni l’ho mandato anch’io (egli figurava, se non sbaglio, nell’elenco che ti mandai): poco male. D’accordo: a Peretti, Bartoletti, Silvio Pellegrini li invierai tu; io li darò ad Arrighetti e a Ferri e li manderò a Weinreich, Strzelecki, Kumaniecki, Manfredi. E scriverò a Campanile, per evitare che mandi dei doppioni. Il concorso di Campana dovrebb’essere imminente. Campana, pur esprimendosi naturalmente con cautela, sembra abbastanza fiducioso nel successo. L’unico giudice a lui sfavorevole sarà Piattoli, subentrato al posto di Franceschini; ma gli altri sono, a quanto pare, decisi a farlo entrare in terna. Sarebbe ora! Dopo la morte di Mercati2, egli non sta affatto volentieri alla Vaticana. Mi ha finalmente scritto Weinreich3; molto probabilmente avrà scritto anche a te; ma, nel dubbio, ti informo della sua risposta. Si scusa del ritardo dovuto a malattia, e prosegue così: «Es ist hier k e i n Exemplar von Happs Dissertation; sie existiert nur handschriftlich, nur ein paar Kapitel sind in 2 masch. schriftl. Exemplaren vorhanden und waren an die Redakteure der “Zetemata” verschickt. Ich sende ihm aber mit gleicher Post Ihr Schreiben und das von Prof. Mariotti zu, dass er sich mit Ihnen in Verbindung setzt4. Seine fast 1000 Seiten umfassende summa cum laude Dissertation besteht zum grössten Teil aus Textausgabe mit grossem Apparat und einem Commentarius. Unbedingt sollte er mit Ihnen Fühlung nehmen, vielleicht wäre eine gemeinsame Edition möglich? Für Text und Kommentar hat sich Teubner interessiert, aber es ist alles noch offen (wir dachten an einen Band wie früher die “Sammlung wissenschaftlicher Kommentare”)». La faccenda, dunque, si fa interessante e nello stesso tempo si complica. Sarà possibile addirittura una collaborazione a tre? E d’altra parte, se lui ha già Vd., anche per gli altri argomenti trattati, la lett. precedente. Giovanni Mercati (17 dicembre 1866-22 agosto 1957), dal 1919 Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana e poi, divenuto cardinale (1936), Archivista e Bibliotecario di S.R. Chiesa. 3 Vd. lett. 347-8 e 350-1. 4 Vd. lett. 355. 1 2 699 fatto una buona edizione di Luxorius, conviene che noi rifacciamo tutto il lavoro? Bisogna pensarci con calma. Resta il fatto che il nostro progetto è più ampio, in quanto comprende tutto il Salmasiano (anzi anche il Vossiano a cura di Tandoi)5. Intanto hai fatto benissimo a rispondere a Terzaghi in quei termini6. Chissà se la collezione Cazzaniga è già morta prima di nascere7? Ti sono grato delle osservazioni su quel passo dell’Origo contenute nella tua lettera precedente. È interessante che anche Puccioni abbia pensato a repente = nuper. Io gli parlerò della questione, in modo da farmi dire la sua ipotesi, senza mostrargli che mi era stata comunicata da te; e, naturalmente, citerò questo suo parere nella mia recensione8. Ripenserò, per parte mia, su quel passo così difficile. Per ora non trovo alcuna soluzione soddisfacente, giacché anche repente = nuper è pur sempre una soluzione assai dubbia. Comunque ti ringrazio moltissimo dei preziosi confronti. Sarà un guaio per me obbedire al tuo perentorio ordine di non citarti! È vero che il Marmorale dirà che ci incensiamo a vicenda, ma si potrebbe anche lasciarlo dire. Comunque, vedrò come potrò cavarmela al momento di stendere la recensione. Domani viene alla Normale Arnaldo Momigliano: terrà un seminario di tre giorni, precisamente sull’Origo (sulla quale ha scritto un articolo che uscirà prossimamente nel «Journal of Roman Studies»)9. Temo che bistratterà alquanto il Puccioni; hai visto la sua recensione al libro del Puccioni La fortuna medioevale dell’Origo gentis Romanae, nell’ultimo numero della «Rivista storica italiana»10? È molto sfavorevole. La seconda edizione del De re metrica di L. Müller11 non esiste (incredibile a dirsi) né a Pisa né a Firenze. Io non ho ancora avuto il piacere di consultarla direttamente una sola volta; forse ci sarà a Roma. Ho guardato la prima edizione (Lipsiae 1861): a p. 342 dà alcuni esempi di -īs abbreviata in testi tardi, ma si tratta esclusivamente di voci verbali: advenĭs, custodĭs, esurĭs, nescĭs in Aratore, pervenĭs in Sedulio, possĭs e quamvĭs in Luxorius (quest’ultima non si può senz’altro qualificare come voce verbale); di nobĭs e vobĭs, o comunque di desinenze -is di dativo-ablativo plurale abbrevia- Vd. lett. 288. Vd. lett. precedente. 7 Nel marg. inf. del foglio si aggiunge a mano: «La collezione di cui ci parlò Arrighetti sembra ancora in alto mare, e non mi meraviglierei se finisse nel nulla». 8 Vd. lett. 348. 9 Momigliano, Some Observations on the Origo gentis Romanae (cit. lett. 349). 10 «RSI», 70, 1958, pp. 459-61 (= Id., Secondo contributo alla storia degli studi classici [cit. lett. 313], pp. 187-90). Puccioni replicò nella stessa rivista (71, 1959, p. 170). 11 Müller, De re metrica (cit. lett. 94). Sulla seconda edizione vd. anche lett. 270. 5 6 700 te, non ci sono esempi. Chi sa che non si trovi qualcosa negli indici delle edizioni di poeti tardi nei Monumenta Germaniae historica (specialmente in alcune, curate per es. dal Vollmer, che hanno buoni indici prosodici?). Proverò a vedere. Infine ti ringrazio moltissimo del libro di Zini12. Da una prima scorsa mi pare molto intelligente e onesto. È un pasqualiano? Lavora ancora? Spero di avere occasione di ricambiarti questo graditissimo dono. Sì, ricevetti a suo tempo il vol. IV-V degli «Studia Oliveriana», che contiene, fra l’altro, l’ottimo saggio di Zicàri e un interessante articolo di I. Pascucci sul Cassi13, figura di classicista che merita di essere studiata. Se allora dimenticai di ringraziartene, lo faccio ora. Seguo anche con molto interesse la collana «Differenze» edita da Sichirollo. Coi più affettuosi saluti Sebastiano Vd. lett. 350. Vd. lett. precedente. I saggi cui si allude sono quelli di M. Zicàri, Il ‘Cavrianeus’ antaldino e i codici catulliani affini al Bononiensis 2621, pp. 145-62 (= Id., Scritti catulliani [cit. lett. 340], pp. 61-77) e di I. Pascucci, Sulla Farsaglia tradotta da Francesco Cassi, pp. 192-202. 12 13 701 353 Urbino, 12. 12. <1958>1 Carissimo, ho avuto ieri la risposta di Weinreich. Dice che ha scritto contemporaneamente anche a te. È stato malato. La tesi non è dattiloscritta che in parte. Egli scrive all’autore (dr. Happ)2 perché si metta in contatto con noi. Questi è in trattative per pubblicare una parte della tesi nella collezione «Zetemata», l’edizione di Luxorius con commento da Teubner3. «Vielleicht wäre ein gemeinsa me Ausgabe und Kommentar möglich? Aber das müssen Sie ja untereinader klären». Cosa ne pensi? Io per ora e solo tendenzialmente sarei per il no, data la diversità dei due assunti (là, sembra, edizione del solo Luxorius ed edizione commentata – per di più già [quasi?] pronta; qua edizione del Salmasiano senza commento e ancora da fare). Ciò non toglie naturalmente che si possa collaborare almeno in parte e vedendo come le cose si mettono. Rispondo a Weinreich ringraziandolo cordialmente e dicendogli che qualcuno di noi gli manderà l’estratto della miscellanea sui Bobiensia4. Se tu ne hai una copia, potresti mandargliela subito, altrimenti potremmo chiederne una a Zicàri, che so avertene richieste altre. Cari saluti dal tuo aff.mo Scevola [PS. ‒] Weinreich dice anche che la sua recensione a Munari sta per uscire5. L’anno è facilmente desumibile dal confronto con la lettera precedente e seguente. A questa data, come risulta anche dalla lett. seguente, M. non aveva ancora ricevuto la precedente di T. 2 Vd. lett. 355. 3 L’edizione commentata di Lussorio di Happ uscì presso Teubner solo nel 1986 (Luxurius, I, Texte und Untersuchungen; II, Kommentar, Stutgardiae 1986). 4 Vd. lett. 335. 5 Uscirà in «Gnomon», 31, 1959, pp. 239-50. 1 702 354 Urbino, 19. 12. 1958 Carissimo, grazie delle tue, incrociatesi con le mie1. Anzitutto molte grazie per le indicazioni relative a -is finale abbreviata2; sono più che sufficienti (a me basta che nel Müller, sia pure 1a edizione, non ci siano esempi di nobĭs e vobĭs), e non mi serve assolutamente che tu, come gentilmente mi dici, faccia altre ricerche. Semmai, approfitto della tua pazienza per un’altra cosa, su cui potrai rispondermi senza andare in biblioteca, data la tua informazione sulla questione. Ho mandato finalmente, non so se in tempo, la noterella su canina in Vespa3 (trad. comina A / cumina B). Per la giustificazione paleografica dell’errore mi sono tenuto nel vago parlando di possibili errori di minuscola in A e rimandando a Lamacchia, estratto da «Rendic. Lincei», p. 259 e n. 84. Ma il rinvio alla Lamacchia e per di più a una affermazione così vaga della Lamacchia come quella nella nota citata mi sembra poco opportuno e avrei voglia di sostituirlo sulle bozze con qualcosa di meglio. D’altronde come sarà meglio spiegare paleograficamente quell’errore? ­om­ (lez. di A) derivato da ­an­? Errore di minuscola sì, ma c’è qualcosa di simile in A (io ho scorso 2 o 3 componimenti un po’ lunghi, senza trovare esempi simili); oppure ­um­ (lez. di B) da ­an­ letto ­un­ (o ­um-)? Se puoi, senza fatica e basandoti sui tuoi appunti (Bardon ecc.), darmi qualche lume e suggerirmi eventuali rinvii, te ne sarò gratissimo; se no, dimmi per favore se ti sembra indecoroso il rinvio alla Lamacchia. Scusami. Mi dispiace del doppio invio dell’estratto a Castiglioni5: evidentemente mi era sfuggito di prendere appunto del tuo invio. Quando riceverò gli estratti di Campana, li manderò intanto a Peretti, Bartoletti e S. Pellegrini. Vedo che per Weinreich siamo d’accordo6; ora speriamo che l’autore della dissertazione scriva. Converrà aspettare un po’ e poi semmai farci vivi noi. Ho letto la recensione di Momigliano a Puccioni7. Credo che abbia ragione. Hai visto, fra l’altro, nel titolo il V e r r i o F l a c c o A n t i a t e , anziché 1 2 3 4 5 6 7 Vd. le due lettere precedenti. Vd. lett. 352. Vd. lett. 343. Lamacchia, Tecnica centonaria e critica del testo (cit. lett. 347). Vd. lett. 352. Vd. ancora le due lettere precedenti. Vd. lett. 352. 703 V e r r i o F l a c c o , A n t i a t e , già in altre edizioni? La questione del titolo è molto interessante; vorrei scriverti cosa mi è passato per la mente, ma aspetto di leggere almeno l’articolo di Momigliano. Dello Zini autore del libretto menandreo8 non so nulla. Anche a me aveva l’aria di essere un pasqualiano, ma non ne ho saputo mai nulla di preciso. Sugli «Stud. Oliv.» mi avevi certo scritto, e scusami se sono tornato sull’argomento; ma io debbo essermene dimenticato9. Alla recensione di Puccioni credo che tu non debba affatto rinunciare. Se mai, la stamperai altrove10. Affettuosi saluti, i migliori auguri per le prossime feste anche alla tua Mamma a nome anche di mia moglie. Il tuo aff.mo Scevola PS. ‒ Fin verso metà gennaio sarò al solito indirizzo di Pesaro, vl. Battisti 62. Converrà mandare un nostro estratto degli «Annali» anche a Momigliano? Vd. ancora lett. 352. Vd. lett. 351 e 352. 10 Vd. lett. 348. 8 9 704 355 Pisa, 24. 12. 1958 Carissimo Scevola, senza dubbio om da an è possibilissimo in minuscola1; ma tra i miei appunti non trovo nessun caso precisamente di questo tipo. Ho invece molti casi di scambio tra u ed a aperta: per es. Anth. Lat. 198, 77 vitum per vitam, 288, 7 comute, 311, 4 curus, 333, 7 effandit, 335, 5 nutur(a)e, 290, 6 altra, 255, 12 darettigres per dur(a)e tigres, ecc. Ho anche esempi di scambi tra s e t, s e r, n e r, n e ri, tutti tipici della minuscola [precarolina]. Quella nota della Lamacchia è, certo, un po’ troppo sommaria; tuttavia non credo che sia sconveniente citarla, poiché, volere o no, è la prima affermazione dell’esistenza di errori di minuscola nel Salmasiano. […] Avrai ricevuto la lettera di Happ2, di cui egli ha mandato copia anche a me. Sembra animato da ottime intenzioni di collaborare. Probabilmente ci crede molto più avanti nel lavoro di quanto effettivamente siamo. Dal tono della lettera sembrerebbe uno studioso di una certa serietà. Tu, che avrai ricevuto anche gli excerpta della sua dissertazione, potrai giudicare e rispondergli di conseguenza. Ho avuto gli estratti delle noterelle ai Bobiensia3. Mando dunque io l’estratto a Weinreich, o ci ha già pensato Zicàri? A Momigliano, Strzelecki, Kumaniecki li ho già spediti. Terzaghi mi ha risposto ringraziando anche te. Ti accludo una lettera di Cazzaniga: la sua congettura stilo mi pare cattiva, ma il confronto con Apuleio Met. 1, 1 è giusto e andrà tenuto presente per ulteriori tentativi di emendazione4. Scusa la sconnessione di questa lettera, dovuta alla fretta. A te e ai tuoi, anche da parte di mia madre, i più vivi auguri e i più affettuosi saluti. Il tuo Sebastiano Vd. lett. precedente; a proposito di canina in Vespa vd. lett. 343. Preannunziata dal Weinreich: vd. lett. 352 e 353. Vd. anche la lett. seguente e 357, 357, 359-62, 364-8, 414. 3 Vd. lett. 335. 4 Vd. lett. 357. 1 2 705 3561 Pesaro, 3. 1. 1959 Carissimo Sebastiano, mi dispiace degli altri due doppioni2. Ho fatto vari pasticci; ma per fortuna gli estratti sono molti! A Weinreich, se non ti spiace, potresti mandarlo tu. Altrimenti, avvertimi, per favore. Da Happ ancora non ho ricevuto nulla3. Speriamo che non succedano disguidi (ha certo indirizzato a Urbino). Hai fatto benissimo a rispondergli così. Io ho quindi qualche giorno di margine. Appena ricevuto, darò una scorsa e ti rispedirò. Sto ora facendo Vespa. Un punto, soprattutto: per non appesantire l’apparato, varianti grafiche e fonetiche banali di A raggruppabili in categorie (p. es. Vulganus) le lasciamo alla prefazione, magari indicando tutti i casi, o no? E altre banalità minime di B (che so, p. es. un amicoru per -rum)4 le notiamo tutte? Sono incertissimo. Mi giunge ora una lettera di Terzaghi, che vorrebbe scrivere a Cazzaniga («se anche a nome Suo e di Timpanaro lascerei a Lei decidere», scrive) per sciogliere il nostro impegno5. Io direi che scriva, ma, almeno per ora, dicendo che ha parlato con noi, ma non a nome nostro. Anche qui sono incertissimo: rispondimi, per favore, al più presto. D’altronde le edizioni nazionali pagano ancora meno di Cazzaniga: per la 1a edizione, mi scriveva Terzaghi, non danno quasi niente! Non sarebbe bello cercar di mantenere la massima libertà possibile visto che in ogni caso troveremmo chi ci pubblica l’edizione? Ma come si può fare di fronte al buon Terzaghi6? PS. ‒ Ho avuto gli estratti della Lamacchia7. Li leggerò e noterò quello che possa interessarci nel mio Riese. Quindi non perdere tempo a leggerli. Cartolina postale. Segue a uno scambio di lettere non conservate, dato che nella precedente T. non dice di aver risposto a Happ e non parla degli «altri due doppioni» né dei nuovi estratti di Lamacchia. 2 Si riferisce agli estratti dei Contributi agli ‘Epigrammata Bobiensia’ (cit. lett. 335), inviati due volte al Castiglioni (vd. lett. 352 e 354) e poi, come apprendiamo ora, anche ad altri. 3 Vd. lett. precedente. 4 In nota M. aggiunge: «posto che amicorum correttamente sia in A». 5 Vd. lett. 351 e 352. 6 La cartolina, certo per svista, è priva di saluti e non è firmata. 7 Vd. lett. 347. 1 706 3571 Pesaro, 9. 1. 19592 Carissimo, ho scritto subito a Terzaghi nel senso che dici3. Sono lieto che siamo pienamente d’accordo. Ti restituisco, scusa se con ritardo, la lettera di Cazzaniga4. Il confronto5 con l’inizio di Apuleio Met. c’era già, mi pare, nel Munari, che non ho qui. Certo però bisognerebbe ripensarci, sebbene anch’io sia con te convinto che le congetture di Cazzaniga sono impossibili. Andrò per qualche giorno a Roma e verso il 20 sarò di nuovo a Urbino. Purtroppo ancora nulla da Happ6! È un bel pasticcio. Affettuosi saluti dal tuo Scevola 1 2 3 4 5 6 Risponde a una lettera di T. non conservata. Datata, evidentemente per errore, «1958», come risulta chiaro dal contesto. Vd. lett. precedente. Trasmessa da T. a M. con la lett. 355. Relativamente a Epigr. Bob., 57, 13-14. Vd. lett. 355. 707 358 Urbino, 25. 1. 1959 Carissimo Sebastiano, sono stato a Roma per vari giorni e solo al ritorno ho trovato la tua lettera1. Sono d’accordissimo con la tua posizione nei riguardi di Cazzaniga, il quale nel frattempo aveva scritto anche a me, elencando fra l’altro le opere che sarebbero già in corso di stampa o in avanzata preparazione nella sua collezione. Gli rispondo dicendo che so già della tua risposta e mi associo ad essa completamente. A proposito dell’Anth. Lat., dimmi per favore che cosa pensi delle questioncelle relative all’indicazione di varianti grafiche e fonetiche di A nel nostro apparato, a cui ti accennai recentemente2. Poi ti invierò il dattiloscritto di Vespa. Ancora sullo stesso argomento una cosa piuttosto grave. Non mi è arrivato assolutamente nulla da Happ3. Gli scrivo oggi stesso dicendogli della mia assenza da Urbino, che spiega il ritardo della mia comunicazione. A Roma (dove sono stato per accompagnare mia moglie, che ha preso una buona abilitazione in storia dell’arte, che le può servire per assicurarle una certa stabilità nell’incarico, e per una riunione per la riforma dei Magisteri, da cui la mala genia dei pedagogisti e psicologisti tenta di togliere, completamente o quasi, il latino) ho visto Frugoni4, che è stato in apparenza molto gentile e quindi mi ha fatto azzardare a chiedergli genericamente qualcosa sul mio famoso seminario. Su questo punto è stato un po’ meno gentile e mi ha detto in modo molto asciutto che l’unico seminario filologico previsto è quello di Fraenkel. Capisco comunque perfettamente le ragioni che hanno spinto la Normale a questa decisione (scarsezza di studenti filologi, a cui ha accennato di sfuggita Frugoni, ecc.). Se dunque non hai ancora visto il Traglia, ti prego di n o n accennargli alla cosa5, perché non sembri che vogliamo moltiplicare le postulazioni. Ti sono gratissimo dell’affettuosità con cui hai seguito questa cosa; e comunque in qualche modo ci rivedremo quest’anno, magari, se potrai, a Firenze. Del concorso di Campana6 avevo saputo, pure a Roma. Tutto sommato, si 1 2 3 4 5 6 Non conservata. Vd. lett. 356. Vd. lett. 352-3. Vd. lett. 345. Vd. lett. 349-50. Vd. lett. 352. 708 può essere soddisfatti. L’ho trovato felice e sollevato dalle preoccupazioni vaticane. […] Affettuosi saluti dal tuo Scevola PS. ‒ Sto stendendo le noterelle per Terzaghi («Bollett. p. l’ediz. dei class.») di cui ti dissi7. Se mi sarà indispensabile, ti disturberò nei prossimi giorni per una verifica, se mi deciderò ad aggiungere un’altra noterella, poco importante come le altre, ma forse necessaria per evitare un insieme pietosamente breve. 7 Vd. lett. 351. 709 359 Pisa, 28. 1. 1959 Carissimo Scevola, siamo dunque d’accordo quanto a Cazzaniga1. Anche a me egli ha di nuovo scritto, elencando le opere in preparazione nella sua collana. Vedremo se usciranno, e quale veste tipografica avranno. Qualora la correttezza tipografica lasciasse a desiderare, potremmo e dovremmo farci sentire con energia. Mi dispiace per Terzaghi, il quale era molto desideroso di ottenere per la collezione dei Lincei la nostra edizione; ma che fare? Anch’io, per accontentarlo almeno in una minima cosa, gli manderò forse qualche contributo per il «Bollettino per le edizz. dei classici»; penserei di inviargli quella noterella su quel passo di Pedone Albinovano, che scrissi un paio di anni fa e poi non pubblicai, e che contiene anche contributi tuoi2. Che ne dici? Comunque, prima di mandargliela, te la farò leggere. S’intende che sono a tua disposizione per vederti qualcosa in biblioteca per le tue noterelle. Happ3, al quale io avevo mandato il mio vecchio articolo sull’Anthol. Lat.4 e una trascrizione della noterella di Pellini in «Classici e Neolatini» 19115, mi ha risposto ringraziandomi e aggiungendo: «In ziemlich genau einem Monat wird mein Examen zu Ende sein, da kann ich mich etwas ausführlicher äussern, auch zu Textfragen der Anthologia Latina». Queste parole significheranno forse che per ora egli non ti ha spedito nulla e ha rinviato la spedizione a dopo che avrà discusso la sua tesi?? Non so. Speriamo, comunque, che il suo plico non sia andato disperso. Sono molto dispiacente di ciò che mi scrivi circa il tuo colloquio con Frugoni. Io avevo visto alcuni giorni fa il Moreschini6, che mi aveva chiesto tue notizie e spontaneamente mi aveva manifestato l’intenzione di chiedere alla Direzione, insieme ad altri normalisti, che tu fossi invitato anche quest’anno alla Normale. Naturalmente io lo avevo incoraggiato a mettere in atto questo suo proposito. Non l’ho più visto da allora, e quindi non so ancora che esito abbia avuto la cosa, ma mi informerò. Putroppo, però, le Vd. lett. precedente, di cui la presente costituisce la risposta. Vd. lett. 262. 3 Vd. lett. 355. 4 S. T., Sul testo dell’‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 343). 5 Probabilmente S. Pellini, De quodam carmine codicis Salmasiani, «Classici e neolatini», 8, 1911, pp. 259-1. 6 In nota, a mano: «(quel normalista che, come ricorderai, seguì il tuo seminario)». 1 2 710 parole di Frugoni lasciano scarse speranze. Il guaio principale, io credo, è costituito dal fatto che Fraenkel prolunga sempre più la sua permanenza alla Normale, rendendo così assai più difficile la venuta di altri. Quest’anno verrà addirittura ai primi di marzo e resterà, a quanto pare, per oltre due mesi, esigendo che gli altri professori di filologia classica e di materie affini interrompano o diradino le loro lezioni alla Normale nel periodo in cui c’è lui, perché lui non vuole interferenze e vuol fare ben otto ore settimanali di lezione! Queste cose egli le ha scritte a me e a Peretti. Un’altra cosa buffa è che, in un primo tempo, egli pretendeva che fossi io il suo ambasciatore, e che mi recassi da Peretti, da Frugoni e dagli altri a recare i suoi ultimatum!! Io gli risposi seccamente che non era opportuno seguire questa via, e allora egli si è deciso a scrivere direttamente; e, ripeto, da quanto mi hanno detto alcuni perfezionandi pare che egli abbia avuto pieno successo, dopo un iniziale tentativo di resistenza da parte di Frugoni! Puoi immaginare quanto mi dispiaccia di non vederti quest’anno a Pisa; voglio sperare che ancora qualche possibilità vi sia; altrimenti potremmo certo vederci a Firenze. Quanto alle varianti grafiche e fonetiche nell’apparato della nostra edizione, sono anch’io molto incerto. Da un lato, le buone regole vorrebbero che tali varianti fossero escluse dall’apparato e indicate solo (non tutte, ma una scelta) nella prefazione; dall’altro, è in pratica difficile segnare i confini tra la pura variante fonetica o grafica e la vera e propria corruttela, e inoltre, siccome la nostra edizione è basata quasi esclusivamente su u n codice, non è male dare nell’apparato una rappresentazione esatta anche di certe sue minime particolarità. Insomma, non so decidermi, Se omettessimo soltanto la grafia e per ae, e notassimo tutto il resto? Tanto più che, in questi testi tardi, certe grafie p o s s o n o risalire agli autori, come notava già il Riese. Ma capisco che si potrebbero portare ragioni valide in contrario. […] Ho rivisto Campana, che era molto contento di averti veduto a Roma. Mi rallegro vivamente dell’abilitazione conseguita dalla signora e della tua giusta battaglia contro l’attenuazione del latino nei magisteri. Ti riscriverò se saprò qualcosa da Moreschini o da Arrighetti. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 711 3601 Urbino, 29. 1. 1959 Carissimo, finalmente il pacco di Happ è arrivato2: era un pacco postale e perciò, specialmente in periodo di feste, deve aver tardato. Il lavoro dà l’impressione di essere serio, accuratissimo (specie la parte metrica) e interessante. Ma non l’ho che sfogliato. Cercherò di non tardare molto a leggerlo e a inviartelo. Affettuosi saluti dal tuo Scevola 1 2 Cartolina postale. Vd. lett. 355. 712 361 Urbino, 4. 2. 19591 Carissimo Sebastiano, grazie vivissime della tua2. Approfitto della tua gentilezza per mandarti in lettura le mie noterelle. L’espresso mi serve solo perché dovrebbe farmi guadagnare un giorno alla partenza, dato il funzionamento un po’ particolare delle poste urbinati. Non avere quindi nessuna fretta, ché sto prendendo tempo con Terzaghi3. Queste noterelle gonfiano, come vedrai, coserelle senza importanza, che bastava semmai lasciare al nostro apparato4; io ti prego di segnalarmi gli eccessi di queste gonfiature. E inoltre ho incertezze e anche il bisogno di qualche tuo controllo. Scusami! Per la terza noterella (a 123, 4) mi sono servito del tuo rinvio a Petschenig, che ho ricontrollato a Roma. Sugli errori di A in desinenze, a cui accenno verso la fine di quella noterella (p. 4), hai per caso, fra il materiale già raccolto, un confronto o due forti? I miei maggiori dubbi sono sulla quarta quasi improvvisata noterella (a 212, 5), sia perché non sono sicuro della mia interpretazione di gestat (che potrebbe anche valere senz’altro tiene uniti, ma un confronto persuasivo non c’è almeno in quello che ho potuto vedere; d’altra parte il Victoria gestat di 37, 2, confrontabile sotto l’aspetto della figurazione, sembra diverso perché pare che l’autore vi si riferisca al disegno di un frontespizio, come sogliono interpretare), sia perché non ho potuto vedere se non Riese e un vecchio appunto in cui avevo segnato che Baehrens va d’accordo con Schrader. Su questo passo ti pregherei, oltre che di esercitare severamente la tua critica, anche di vedermi per favore il Baehrens (IV 335) e i tuoi appunti, perché cose posteriori al Riese possono benissimo essermi sfuggite. Inoltre nel Baehrens (ibid., 219 sgg.) puoi controllarmi, per favore, se gli era per caso noto il Canal5? Del quale sarebbe davvero grave che io mi atteggiassi a ‘riscopritore’ (vedi nota 1) se il Baehrens lo citasse in apparato (specialmente in prefazione o all’inizio del carme o alla La lettera reca la data di gennaio, ma che debba trattarsi di febbraio è evidente dal riferimento a Petschenig controllato da M. in occasione del recente viaggio a Roma (vd. lett. 358) e al lavoro di Happ appena arrivato (vd. lett. precedente). 2 Vd. lett. 359. 3 Che doveva pubblicarle in «BollClass», dove uscirono sotto il titolo Appunti sul testo dell’‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 351). 4 Della progettata edizione del codex Salmasianus (le note non riguardano Vespa). 5 Si fa riferimento all’edizione della Medea di Osidio Geta con traduzione e note di Pietro Canal (Venezia 1851). 1 713 scena 313 sgg., o comunque se egli conoscesse da qualunque fonte la congettura ‒ interessante, non ti pare? ‒ Chorus per Creon!). Ancora in fretta: ora leggo lo Happ6 e te lo mando; mille grazie per il fraterno interessamento relativo alla mia venuta a Pisa, ormai certo da escludere, e grazie anche a Moreschini ed Arrighetti; naturalmente ci rivedremo senza il Fraenkel; d’accordo per il nostro apparato (conservazione di tutto fuorché di scambi ae/e, come nel Riese). [...] Mia moglie ti ringrazia dei gentili rallegramenti. Hai saputo dove è stato chiamato Campana7? Scusami la fretta e abbiti un affettuoso abbraccio dal tuo Scevola PS. ‒ Non c’è bisogno che mi rimandi il dattiloscritto, a meno che non ti sia più comodo segnarvi sopra le tue osservazioni. Che tu stampi la tua nota su Albinovano mi pare cosa opportunissima; più incerto sono su quel mio contributo. S’intende che, se vorrai farmi leggere, mi farai una cosa graditissima. Vd. lett. precedente. Nel 1959 Augusto Campana divenne professore straordinario di Paleografia e diplomatica all’Università di Urbino. 6 7 714 362 Urbino, 20. 2. 1959 Carissimo Sebastiano, grazie di avermi fatto leggere il tuo dattiloscritto1. Sai che la difesa del Le Clerc e la tua circostanziata riesumazione di essa mi erano sembrate ‒ e mi sembrano tuttora ‒ molto acute. Mi pare che meglio di così non potevi stendere la nota. Certo libris intactum … orbem è un’espressione strana (ma il testo tramandato, come tu giustamente noti, e le osservazioni su liberis / libris sono molto interessanti come quelle della nota su rugit / ruit: finissime!), e il modo migliore di giustificarla è quello che hai seguito, vedendovi un voluto ardimento di Albinovano. Forse alla fine di p. 2 l. 5 dopo la citazione del Wernsdorf (e a proposito di essa) si potrebbe ricordare con un semplice rinvio qualche esempio di tangere aliquid nel senso di ‘toccare qualche argomento’ [un po’ diverso quindi da intactum carmen; qui infatti intactus è l’orbis] che si avvicini a tangere orbem. Dal Calonghi ricavo solo esempi con accus. pronom. neutri (ubi Aristoteles ista tangit? Cic. ecc.). Ci saranno esempi con accus. di sostantivi? Direi di sì, perché con attingo ci sono esempi come iniuriam ecc. Ma, a rigore, rinvii di questo genere non sono indispensabili per la tua argomentazione. Ti sono molto grato di avermi citato così abbondantemente e favorevolmente. Ma a p. 1 sarei s e r i a m e n t e del parere che dovresti iniziare il capoverso che mi tange così: «Forse migliore per il senso, di …», ecc. Toglierei anche completamente (ricorda Marmorale!!) nella nota 1 tutta la relativa «le quali ~ interessante». Credi, è il massimo che… onestamente tu possa dire2. Io ho ripensato parecchio a questa congettura, se non fosse il caso di rinunciarvi del tutto e pregarti di non citarla. Soprattutto: poiché il v. 20 ripete per il senso il v. 19 e presuppone quindi comunque che in questo alius orbis vi siano delle gentes, quindi dei viventi, poteva questo orbis essere vivis intactus3? Tanto più che i regna invia vivis di Aen. 6, 154 sono il regno dei morti, a cui qui certo Albinovano non pensa. Forse l’unica via d’uscita sarebbe intendere vivis intactum nel senso di quo Si tratta di Un verso di Pedone Albinovano interpretato da Jean Le Clerc (cit. lett. 262); cfr. lett. 359. 2 Le righe da «Ti sono» a «possa dire» sono racchiuse sul margine sinistro da una parentesi da cui si diparte una freccia che termina nel margine superiore del foglio dove è annotato « i m p o r t a n t e ! » . 3 Vd. lett. 263. 1 715 nemo vivus pervenit (o pervenire potest) e pensare che il rapporto con Virgilio sia più che altro formale. Forse solo così si può salvare la congettura, di cui tuttavia è chiara la debolezza. Se ti pare opportuno (ma non saprei), potresti per chiarezza ‒ e per evitare la facile obiezione che mi sono posto anch’io – aggiungere in parentesi dopo vivis «(vivis intactum = quo nemo umquam vivus pervenit; per l’espressione cfr. Verg. Aen. 6, 154)». Mi dimenticai di dirti che in gennaio a Roma Riposati, che vidi, ebbe espressioni molto gentili nei tuoi confronti, formulate in modo che presupponevano che te lo dicessi. Gli hai mandato cose tue? Ho finito lo spoglio del Canal4 per la nostra edizione dell’AL.5: fra l’altro ha anticipato la tua congettura erupit in 17, 227 e ha fatto una, secondo me, ottima e sicura correzione trasportando la sigla Ias. da davanti al v. 444 a davanti al v. 443 (dopo il qual verso pone interrogativo). Salva così benissimo il virgiliano Te all’inizio di 443 e distrugge quindi definitivamente ogni apparenza di verità dei somnia Lamacchiana su una ‘virgilianizzazione’ del testo da parte di scribi. Affettuosamente tuo Scevola PS. ‒ Scusa se tardo ancora qualche giorno a mandarti lo Happ6. 4 5 6 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 288 Vd. lett. precedente e 355. 716 363 Pisa, 25. 2. 1959 Carissimo Scevola, ti ringrazio delle osservazioni sulla mia nota a Pedone Albinovano1. Effettivamente pare che tangere nel senso di ‘toccare un argomento’ si trovi solo con accusativi di pronomi neutri, e questa è senza dubbio una difficoltà, della quale non mi ero accorto. Tuttavia difenderei ancora l’interpretazione del Le Clerc, perché non è stata finora proposta nessuna congettura che veramente si imponga. Tra quelle finora proposte, non ho il minimo dubbio che la tua sia la migliore, e non posso quindi fare a meno di dirlo, così come non posso fare a meno di dichiarare «molto acute e interessanti» le tue osservazioni ai primi versi del frammento. Se il Marmorale strillerà, pazienza! (Ho invece aderito al tuo desiderio di non citarti nella recensione al Puccioni2, a proposito di lupus femina feta repente). Ho aggiunto il chiarimento vivis intactus = quo nemo vivus umquam pervenit o pervenire potest, e il rinvio a Virgilio per l’espressione3. Mando la nota a Terzaghi, più che altro per mostragli la mia buona volontà di collaborare al «Bollettino per le edd. dei classici»4. Mi compiaccio che l’esame del Canal sia stato ricco di risultati per la nostra edizione. Grazie di ciò che mi dici sul Riposati. Io gli mando di solito i miei estratti. È, credo, uno studioso serio, ed ha, pur essendo un prete, una certa larghezza di idee: tre anni fa pronunciò un’onesta e coraggiosa commemorazione di Angelo Mai, senza tacere i suoi lati negativi – e ciò a Bergamo, davanti un pubblico di fanatici del Mai! Una decina di giorni fa è stato qui l’australiano Jocelyn, studioso dei tragici latini arcaici, uomo simpatico e, per quel che ho potuto capire, studioso abbastanza serio e preparato. Mi ha detto che l’anno scorso ti ha visto a Pesaro5; era rimasto molto contento dell’incontro con te e conosce bene i tuoi lavori. È tuttora impossibile capire se Fraenkel verrà o no alla Normale! Ha scritto anche a Lepscky e ad altri che non verrà, ma, nel frattempo, la Nor- 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente, a cui la presente risponde. Vd. lett. 348. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 359. Vd. lett. 339. 717 male ha accolto tutte le sue richieste, e quindi è probabile che finisca col venire. […] Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano PS. ‒ Ti ho mandato un estratto di noterelle leopardiane6. Non perder tempo a leggerle, ché si tratta di minuzie; potrebbero servire a qualche italianista volenteroso che si accingesse a una nuova edizione del Leopardi. 6 T., Postille al Leopardi filologo (cit. lett. 345). 718 364 Urbino, 27. 2. 1959 Carissimo, ti spedisco finalmente a parte i dattiloscritti di Happ1 (il cui nuovo indirizzo è F r e i l i g r a t h s t r a s s e 7 – F r a n k f u r t a . M . ). Qui ti mando qualche osservazioncella su Lisorius2 che invio contemporaneamente a lui (non ho bisogno che mi rimandi il dattiloscritto). Torno a dirti che Happ mi sembra molto informato e molto dotto. Un po’ pesante è, come mostra la ricerca sulla forma del nome (ma dimostra, mi pare, che la forma Luxurius è più metodica) e soprattutto la parte metrica, che ho guardato distrattamente. (In questa parte il disordine e forse la mancanza di alcuni fogli risalgono ad Happ). Tuttavia sulla metrica (fra noi, almeno per ora): non ti pare strano che le tre stranezze (specialmente strana la terza!) prosodiche di 322, 3 e 5 (inscius [o -os], non inscia) e 357, 8, che non hanno il somigliante in Luxorius, siano tutte nella stessa sede dello stesso non comune verso? Sarà fatto metrico? ammetterà cioè, accanto a ᴗ ᴗ   ᴗ ᴗ, in 1a sede un ‘misto’  ᴗ  (se pronunciava cuí dedìt una parola proparossitona??)? Non so cosa confrontare; ricordo solo anacreontiche greche tarde (anche Sinesio) che ammettono, con ᴗ ᴗ   ᴗ ᴗ   e ᴗ ᴗ  ᴗ  ᴗ  , una forma ‘mista’ irrazionale ᴗ ᴗ    ᴗ   (e la libertà [soprattutto] nel 1o piede del tetram. troc. cat. del Pervigilium Veneris e di Floro [AL.]). A proposito di Lisorius, sarei portato, malgrado i motivi abbastanza forti per l’identificazione con Luxorius, a dubitarne. Roba come specūlar e ristrῐcis non mi pare che trovi forti confronti in Luxorius (a meno che non gli si conservi quel vīvis); ma posso non ricordare bene. E avrei dubbi anche sul fatto che qualcosa di Lisorius non sia grammaticale [nota quanti ipse, is ecc.]: forse tutto potrebbe esserlo, ma ammetto che ci vorrebbe una ricerca sistematica3. (Per la non identificazione forse qualcosa può contare il fatto che Lisorius non dia esempi di sinalefe, tranne un verso ipermetro, che è caso particolare, seppure non ha misurato omnium ͡ in fine di verso). E poi la ‘mentalità’ del grammatico Lisorius mi pare molto più ‘medievale’, molto più limitata di quella di Luxorius. Ma capisco benissimo: può dipendere dal fatto che abbiamo esempi, in tutto o in parte, grammaticali, cioè scolastici. Vd. lett. 355. Che sarà pubblicata molto più tardi: S. M., Luxorius e Lisorius, «RFIC», 92, 1964, pp. 162-72 (= SMU = SMU 2 = SMU 3, pp. 9-18). 3 M. racchiude con una parentesi quadra sul margine sinistro le righe da «E avrei» a «sistematica» e a fianco annota «incertissimo!». 1 2 719 Comunque, riparleremo di queste cose. Per ora scusami la fretta e, quando avrai letto Happ, fammi sapere le tue impressioni. Gli scrivo che ti mando il dattiloscritto. Saluti affettuosissimi dal tuo Scevola 720 3651 Urbino, 12. 3. 1959 Carissimo, ricevo ora la tua cartolina2. Leggi Happ3 con giudiziosa lentezza, perché in fondo è noioso. Strano e imprevedibile il nostro Edoardo4! Un piccolo appunto per il tuo lavoro sul Tommaseo: qualche inedito di questo e, fra l’altro, una testimonianza su un giudizio dato a voce dal Leopardi sul Tommaseo in Bruno Mosca, Antonio De Nino, Lanciano 1959. Se non te ne manderà una copia l’autore (a cui ho scritto oggi accennando discretamente a questa possibilità), ti manderò volentieri la mia, che potrai tenere per tutto il tempo che vorrai. Non ho potuto finora scorrere il tuo estratto leopardiano. Fa impressione che si sia pubblicato tanto sul Leopardi e resti ancora tanto da pubblicare (o da ripubblicare bene) del Leopardi. Bella l’identificazione dell’opera stampata a Imola! Ricordo bene il Jocelyn, che fin dall’anno scorso intendeva venirti a trovare. Anche a me è sembrato persona seria, sebbene un po’ ristretto nella sua problematica formalistica (mi sembra, figure retoriche, specialmente di suono, nel dramma arcaico). Grazie dell’aggiunta che hai fatto alla nota su Pedone: servirà a chiarire la mia poco probabile congettura. A proposito, tu scrivi di aver aggiunto «… nemo umquam pervenit», forse sarebbe meglio (devo aver omesso una parola scrivendoti) «… nemo umquam vivus pervenit»5. Affettuosi saluti. Ho letto la nota della tua Mamma sull’Untersteiner6 e ho apprezzato insieme la cortesia e la riservatezza nel giudizio. Il tuo aff.mo Scevola Cartolina postale. Non conservata 3 Vd. lett. precedente e 355. 4 M. si riferisce a Eduard Fraenkel e a quanto in proposito T. scrive nella lett. 363, a cui la presente risponde anche nel prosieguo. 5 In realtà T. aveva scritto: «nemo vivus umquam pervenit». 6 Non è stato possibile identificare la nota a cui M. si riferisce. 1 2 721 366 Pisa, 29. 3. 1959 Carissimo Scevola, scusami per l’enorme ritardo con cui ti scrivo. Frastornato da altre cose, ho terminato solo ieri la lettura dei dattiloscritti di Happ1. Li spedisco direttamente a lui (al nuovo indirizzo che mi hai comunicato)2 o desideri dar loro ancora un’occhiata? Le mie impressioni coincidono con le tue3. Senza dubbio è molto informato e molto dotto, ma un po’ troppo lento e meticoloso. Analisi così minute come quelle che egli fa sulla struttura metrica degli esametri di Luxorius hanno una reale utilità? Io ne dubito. Mi pare che finisca con l’essere un lavoro ozioso, come sarebbe se uno, per es., si mettesse a contare quante volte in un autore ricorre ciascuna lettera dell’alfabeto. È un peccato che non ci abbia mandato l ’ e d i z i o n e di Luxorius, che per noi sarebbe stata la cosa più interessante. Molto acuta mi pare la tua osservazione metrica su  ᴗ  in prima sede nei carmi anapestici di Luxorius, e giusti i tuoi dubbi circa l’identificazione di Luxorius con Lisorius. Io ho qualche dubbio anche sulla questione di Luxorius / Luxurius. Non credo che ci si possa basare con tanta fiducia sugli esiti romanzi di ŭ in una determinata area. La grafia dei codici e delle iscrizioni dimostra che nella tarda antichità e nel primo medioevo esistevano già un po’ tutti i mutamenti fonetici che ritroveremo poi nelle lingue romanze, ma non si erano ancora fissati in determinate zone. Cfr. Schuchardt, Vokalismus des Vulgärlateins4, I p. 92 sg.: «Eigentümlichkeiten einer einzigen romanischen Sprache oder Mundart entdecken wir schon in den ältesten Schreibungen; selten aber sind diese lokal genau oder ausschliesslich entsprechend. Sehr oft hingegen stossen wir auf scheinbare Widersprüche. Die Formen mercidem, fici, plinus, nus, gratiusus, sulus sind nicht seltener in den Inschriften und Handschriften Italiens, als in denen Galliens …»; e tutta l’opera dello Schuchardt è piena di esempi in tal senso. Happ stesso riconosce che le iscrizioni africane non danno un risultato chiaro. Perciò, anche se l’Africa appartiene davvero all’ ‘area sarda’ (il che non mi pare dimostrato troppo sicuramente da Happ), non credo si possa essere sicuri che nel VI secolo prevalesse là la forma Luxurius. Direi quasi che, nella nostra edizione, faremmo bene 1 2 3 4 Vd. lett. 355. Vd. lett. 364. Su quanto segue vd. ancora lett. 364. Leipzig 1866-68. 722 a mantenere Luxorius, pur accennando all’altra possibilità e rinviando a Happ. Che ne dici? La cosa, ad ogni modo, ha poca importanza. Nell’articoletto che ho mandato a Terzaghi su Pedone Albinovano mi pare di aver scritto giustamente «quo nemo umquam vivus pervenit»; ad ogni modo, quando riceverò le bozze, se il vivus mancherà lo inserirò senz’altro5. Ti ringrazio moltissimo di aver pregato il prof. Mosca di mandarmi il suo libro6. Ho ricevuto ieri una lettera di Mosca che mi preannunzia l’invio. Lo leggerò con molto interesse. Del Mosca ho un commento scolastico alla Mostellaria, che mi pare serio e onesto7. Sto buttando giù un articolo sul metodo del Lachmann, in cui cerco di precisare un po’ meglio ciò che, nella formulazione del famoso metodo, spetta al Lachmann e ciò che appartiene ai suoi predecessori e contemporanei. Ma sarà un articolo un po’ troppo pieno di minuzie bibliografiche e quindi alquanto sonnifero. Quando lo avrò finito, ti pregherò di dargli un’occhiata, anche rapidissima8. A te e ai tuoi, anche da parte di mia madre, i più vivi auguri. Affettuosamente tuo Sebastiano [PS. ‒]9 Mia madre ti ringrazia del tuo giudizio sulla sua recensioncina a Untersteiner10. A mia volta io ho ammirato la cautela del giudizio di Italo sull’Orazio del nostro Fraenkel11. Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 7 T. Maccio Plauto, Mostellaria, introduzione e commento di B. Mosca, Milano 1934. 8 L’articolo, intitolato La genesi del metodo del Lachmann, uscì in due puntate in «SIFC», n.s., 31, 1959, pp. 182-228 e 32, 1960, pp. 38-63 prima di confluire, «in forma riveduta e ampliata», nel volumetto dallo stesso titolo pubblicato a Firenze nel 1963 nella «Bibliotechina del Saggiatore» di Le Monnier (2a ed. 1981, prima ristampa corretta della seconda ed. con Addenda 1985; 3ª ed. postuna Torino, Utet, 2003). 9 Aggiunta manoscritta sul margine sin. 10 Vd. lett. precedente. 11 I. Mariotti, rec. a E. Fraenkel, Horace, «A&R», s. V, 3, 1958, pp. 228-40 (= Id., Scritti minori [cit. lett. 224], pp. 489-91). 5 6 723 367 Urbino, 5. 4. 1959 Carissimo Sebastiano, rispedisci pure a Happ i dattiloscritti1. Ti pregherei solo di darmi l’indicazione di quell’opera francese sui Vandali che egli cita spesso e che vorrei far acquistare da qualche biblioteca di qui2. Molto interessante e, credo, giusta senz’altro la tua obiezione alla sua scrittura Luxurius. Faresti bene a scrivergliene. Sono d’accordo con te che, stando così le cose, converrà lasciare Luxorius nel testo e rimandare in apparato a Happ. Mi fa piacere che non ti sia dispiaciuta la tentata spiegazione di  ᴗ  in prima sede nei carmi anapestici di Luxorius; ma bisognerà ripensarci. Di questa e altre cose incerte non ho scritto a Happ. Gli ho mandato solo gli appunti su Luxorius-Lisorius di cui ti ho mandato copia. Non mi ha risposto, sebbene gli avessi chiesto il suo parere e naturalmente lo avessi assicurato che non pretendevo affatto il suo assenso (del resto molte cose sono incerte). Non sarebbe male che, come io e certo ora anche tu gli esprimiamo pareri, obiezioni ecc. sulle sue cose, anch’egli si pronunciasse sulle nostre, e anche che ci mandasse, quando può, l’edizione di Luxorius. Staremo a vedere. Mi fa piacere che Mosca ti mandi il suo libro. Ha molti difetti e non è tiefgehend, ma può servirti per la notizia sul giudizio (sembra inedito) di Tommaseo su Leopardi3. Mosca è un ex-normalista, rimasto legato allo spirito pisano e, per quel che so, fa seriamente il suo mestiere di ispettore. Leggerò con molto interesse l’articolo su Lachmann: la questione è veramente molto importante e sarà anche questo un lavoro illuminante. La recensione di Italo a Fraenkel era solo un annuncio ‘promosso’ da Ronconi a recensione. Verso la fine del mese mettrò mano alla 2a edizione dell’Ennio, che vorrei uscisse in tempo per l’ordinariato, cosa poco importante perché di solito si dà a tutti, ma per cui vorrei presentare un libro, secondo quello che pare sia l’uso (sia pure una riedizione). Non vorrei modificare nulla di essenziale (struttura ecc.) malgrado i difetti, ma aggiornare un po’, aggiungere note e Su questo punto e quelli successivamente trattati vd. lett. precedente; per i rapporti con H. Happ vd. lett. 355. 2 T. ha annotato nel margine superiore della prima pagina l’indicazione bibliografica «Christian Courtois, Les Vandales et l’Afrique, Paris 1955», che comunicherà a M. (vd. lett. 369). 3 Vd. lett. 365. 1 724 indicazioni bibliografiche, correggere errori ecc. Questa volta spero di farti leggere il manoscritto, se ne avrai voglia. Per me sarebbe cosa preziosa, che ancora mi dolgo di non aver potuto chiederti per la 1a edizione4. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Nel 1962 a Torino per La Bottega d’Erasmo uscirà la ristampa anastatica della prima edizione delle Lezioni su Ennio (1951), con l’aggiunta di un Postscriptum. Solo molti anni più tardi, nel 1991, sarà pubblicata a Urbino per QuattroVenti una seconda edizione accresciuta. 4 725 3681 Urbino, 9. 4. 1959 Carissimo Sebastiano, ho saputo che si sta ristampando anastaticamente con addenda e corrigenda l’edizione di Aurelio Vittore di Pichlmayr2. Così mi sono riguardato gli appunti sull’Origo e, per non stare a scrivere un articolo apposta (ben esile), li mando al curatore della riedizione (un giovane berlinese, Gründel) per l’eventualità che li voglia utilizzare. Così mi sono rivisto quelle questioni e pentito di varie cose che ti scrissi3. Fra l’altro: p. 56, 15 benissimo noster senza Maro (Macr. Sat. 3, 4, 9); più che dubbio 58, 3 sole<re>t sebbene sia un po’ strano il pres. ind.; avevi perfettamente ragione di essere scettico su 68, 20 haereret, su cui ti dà sicura vittoria Dion. Hal. 1, 56, dove si parla sì di ἀμηκανία πότερον ... ἤ ..., ma nel punto più vicino al nostro c’è ἀδημονοῦντι τῷ ἀνδρί (sc. Aeneae) – m’ero dunque ingannato; non affatto necessario né opportuno 70, 11 iniuriarum; inesatto il mio calcolo delle lacune; anche 73, 20 quot poco probabile. Risulta invece probabile καῦσαι p. 66, 12 (altri esempi di inf. aor. in ἔτυμα in Paul. Fest. (ed. Linds.) p. 8, 23 sg., 17, 13, Isidoro ecc.). Tutto sommato probabile l’interpunzione (con conservazione di quam) che proponevo per 67, 6 sgg. In 81, 12 mi sono persuaso che conviene scrivere con De vir. ill. 1, 4 <et ut eam prius legibus> muniret quam (que OP) eqs. Forse p. 59, 22 per artes quas (la tradizione non va, visti i luoghi simili). A p. 67, 13 azzardo la supposizione che postquam sia volgarismo per post o post quae (sulla questione, incerta, vd. Svennung, Unters. zu Pallad.4 392 sgg., specialmente 395 per antequam = ante [o ante quae]). Quando uscirà la tua recensione5? Se si sarà in tempo, bisognerà segnalarla a questo Gründel. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Cartolina postale. Sexti Avreli Victoris Liber de Caesaribus. Praecedunt Origo gentis Romanae et liber de viris illustribus urbis Romae, subsequitur Epitome de Caesaribus, rec. Fr. Pichlmayr, Lipsiae 1911 (corr. R. Gründel, Lipsiae 1961). 3 Vd. lett. 348. 4 J. Svennung, Untersuchungen zu Palladius und zur lateinischen Fach- und Volkssprache, Lund 1935. 5 Vd. lett. 348. 1 2 726 3691 Pisa, 9. 4. 1959 Carissimo Scevola, ho rispedito i dattiloscritti a Happ2 e oggi gli scriverò. Quell’opera sui Vandali è di Christian Courtois, Les Vandales et l’Afrique, Parigi 19553. Il libro di Mosca contiene effettivamente molto materiale interessante, tra cui quel giudizio del Tommaseo. Sono molto contento di sapere che ti accingi alla seconda edizione delle Lezioni su Ennio4. Inutile dire che leggerò col massimo piacere il dattiloscritto. Non so se hai visto che nell’ultimo numero di «Mnemosyne» (1958, pp. 318-21) c’è un articolo sul frammento di Servilio: The Good Companion, di A.D. Leeman5. Non l’ho ancora letto. Il Leeman aggiunge in fondo all’articolo il proprio indirizzo: Amsterdam, Gerrit van der Veenstraat 171/1. Potremmo scrivergli chiedendogli un estratto. Coi più affettuosi saluti Sebastiano PS.6 ‒ Ricevo proprio ora le tue δεύτεραι φροντίδες7 sull’Origo8. Grazie! Non so quando uscirà la mia recensione nell’«Atene e Roma»9, ma comunque non vale la pena di segnalarla a Gründel10. Cartolina postale. Si stampa dopo la precedente in pari data, che fu certo vista da T. prima di impostare la presente, come si ricava dal postscriptum. 2 Vd. lett. 367, a cui T. risponde anche con le osservazioni successive, e lett. 355. 3 Vd. lett. 367. 4 Vd. ancora lett. 367. 5 Sul frammento, Enn. ann., 234-251 V.2, vd. lett. 370, 379, 381-7. 6 Aggiunta manoscritta. 7 Evr. Hipp., 436. 8 Vd. lett. precedente. 9 Vd. lett. 348. 10 Vd. ancora lett. precedente. 1 727 3701 Pesaro, 6. 5. 1959 Carissimo, avrai avuto anche tu gli estratti di Leeman2; mi pare che su Ennio ci fosse qualcosa d’interessante, anche se mi lascia perplesso la sua spiegazione di ingenium3 (‘suggestivo’ il richiamo a χαριζομένη παρεόντων; non persuasiva per me l’idea che Ennio avesse davvero voluto rappresentare se stesso nell’amico di Servilio. Non è più probabile che Stilone abbia cercato di fare per Ennio quello che in Grecia si era fatto per Omero riconoscendo Omero in Demodoco, come ricorda Leeman?). Con Fraenkel abbiamo avuto ora un semplice scambio di cartoline. Non avevo mai parlato di proposito con lui del Norden, ma ricordo anch’io che lo maltrattava, se capitava di accennargli. Forse doveva esserci una certa antipatia, sebbene sembri che si trattassero cortesemente, fra i gottingensi e lui. Lo avranno accusato di essere troppo ‘formale’, cosa che in piccola parte può essere vera? Che ne diresti di un nostro sia pur breve incontro nella seconda metà di giugno a Firenze, dove dovrei fare una sfuggita? Affettuosi saluti dal tuo Scevola Cartolina postale. Tra gli estratti di A.D. Leeman ci sarà stato sicuramente The Good Companion (cit. lett. precedente). 3 Enn. ann., 243 V.2. 1 2 728 371 Urbino, 16. 6. <1959>1 Carissimo Sebastiano, spero di mandarti fra alcuni giorni un paio di capitoli delle Lezioni su Ennio2. Mi sono impegolato in un lavoro di revisione faticoso e quasi improduttivo, salvo l’eliminazione di errori e sviste anche grossolani. Forse allora avevo più faccia tosta di adesso a scrivere cose incontrollate. Certo, se non approfitto di questo ‘stato di necessità’ in cui mi trovo di presentare per l’ordinariato un libro sia pure vecchio, una 2a edizione dell’Ennio non la farei mai più. Conto nella tua paziente revisione, in correzioni ecc.! E fin d’ora ti rivolgo una domanda, che avrà, certo, temo, risposta negativa: c’è a Pisa A. Ahlberg, De correptione iambica Plautina quaestiones, Lund 1901? Scusami! Per l’assommarsi di varie cose da farsi (esami, tesi, poi esami di stato – per cui sarò alle Magistrali di Fano – e poi corsi estivi) rimando la venuta a Firenze al periodo fine agosto-inizio settembre. Chissà se potremo rivederci? Ho visto recentemente Della Corte, che in pratica cura le collezioni loescheriane. Per un gruppo di vecchi testi ancora vitali hanno ripiegato, in linea di massima, su brevi aggiornamenti, talora di due-tre pagine, talora di un mezzo (o di un) sedicesimo da inserire, se non capisco male, fra prefazione e testo. Si tratta di notizie molto sobrie su progressi fatti nel campo soprattutto, anzi credo esclusivamente o quasi, testuale, che possono essere esemplificati da quelli che il Della Corte stesso ha fatto per Fedro e che ti manderà (io non l’ho visto ancora). Vista la tua rinuncia a rifare il Valmaggi3, egli desidererebbe molto e mi ha incaricato di chiederti un aggiornamento per l’Ennio, che potrebbe aggirarsi su un mezzo sedicesimo o meno o più come tu credessi. A una mia ‘discreta’ domanda, ha detto che la casa dà 50.000 lire, poche, ma che, trattandosi (ho pensato) nel tuo caso di fare un estratto dall’«Anzeiger» di Innsbruck con l’aggiunta di qualche altro cenno che puoi facilmente ricavare dalle tue schede, si potrebbero anche accettare (o fare controproposte?). Certo io sarei contentissimo se facessi un lavoro che sarebbe sempre molto utile. Affettuosi saluti dal tuo Scevola 1 2 3 L’anno è facilmente ricostruibile dal confronto con la lettera che segue. Sulla seconda edizione delle Lezioni su Ennio vd. lett. 367. Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17) 729 372 Pesaro, 9. 8. 19591 Carissimo Sebastiano, grazie della cartolina da Tortorici! Rispondo alla tua lettera seguendone l’ordine degli argomenti2. 2a edizione delle Lezioni su Ennio3. Non ho affatto intenzione (né possibilità) di rifare il libro, e in effetti pensavo di aggiungervi soltanto le note e di incorporarvi i miei successivi contributi enniani. Ma nel ricontrollare quello che avevo scritto, mi sono accorto di errori, inesattezze ecc., che porteranno a soppressioni, rifacimenti, aggiunte particolari. Il libretto fu scritto con una leggerezza singolare, quasi senza controllare nulla, e ci sono errori grossi come case: oltre i tentativi errati di scansione che notasti tu (detraxerītis ecc.), oltre la spiegazione errata di pedibus pulsatis, pure notata da te, vi sono altre cose che mi meraviglio di avere scritto: non ricordo da dove ho derivata l’idea (che, in origine, non era mia) che Carthaginiensis sia stato creato da Ennio per l’esametro4. Ma allora Atheniensis, che è gia in Plauto? In ogni modo, sono deciso a fare la 2a edizione; per i primi due capitoli è quasi pronta, per gli altri finirò entro qualche mese, pregandoti di rivedere tutto. Per ora ti manderò, fra alcuni giorni, tre noterelle enniane per gli «SIFC»5 che Ronconi mi ha promesso di far stampare in tempo per il mio ordinariato (circa fine ottobre). Le leggerai se avrai voglia. Anch’io ho avuto qualche estratto da Skutsch. Quello sulla metempsicosi6 ha alcune parti che mi sembrano di evidente debolezza (p. es. la seconda parte su ἐννέα). Mi ha colpito invece (già, mi pare, ce ne aveva accennato a Pesaro) la nota su Ligdamo7: l’ipotesi mi sembra senz’altro acuta, anche se forse saranno da rivedere i componimenti di Ligdamo per vedere fino a che punto si accordino con l’Autorschaft di uno che voleva farsi passare per Ovidio giovane. Non ho letto invece l’articolo su Cicerone, De republica8. Sotto la data, fra parentesi quadre: «da domani di nuovo a Urbino fino al 5 settembre». La lettera di T. non è conservata. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. seguente. 5 Successivamente (vd. lett. seguente) le note si ridussero di numero: S. M., Due note enniane, «SIFC», n.s., 31, 1959, pp. 229-32 e 233-5 (= LE2, pp. 91-5 e 107-9). 6 O. Skutsch, Notes on Metempsychosis, «CPh», 54, 1959, pp. 114-5 (= Id., Studia Ennia­ na [cit. lett. 69], pp. 151-6). 7 O. Skutsch, Cum cecidit fato consul uterque pari, «Philologus», 103, 1959, pp. 152-4. 8 O. Skutsch, Kleinigkeiten zu Cicero Staat, «Philologus», 103, 1959, pp. 140-4. 1 2 730 Ti rimando la nota lucreziana9, che a me pare ottima e assolutamente sicura. Non saprei cosa si possa obiettare. I confronti sono tutti ottimi. Anche la spiegazione di tenebris come stato in luogo è senz’altro sicura, così sostenuta da paralleli. Che particolari posso dirti di ritoccare? Forse si potrebbe citare esattamente la traduzione del Marchetti (che non conoscevo). Forse (??) ritoccare lievissimamente, fra p. 1 e p. 2, quello che è detto a proposito del « r i f e r i r s i » di o a determinati termini (e quindi la critica ad O! di Wakefield), se è vero quel che mi pare di ricordare, che l’o, che tu stesso chiami «interiezione», è in latino più enfatica e quindi, mi pare, più ‘indipendente’ dal contesto che l’o italiano. Ciò sarebbe, del resto, semmai ancora più favorevole alla lezione manoscritta da te difesa. Più che «riferito» qualcosa come «unito», «avvicinato» (o «gravitante su»)?? e «il termine principale (?) della frase (dell’espressione?)»? E, invece di «inopportunamente il Wakefield», qualcosa come: «non c’è dunque bisogno di isolare più fortemente (?) con il Wakefield l’o facendolo seguire da punto esclamativo». E f o r s e la frase «Nel nostro caso … consecutivi» è superflua, e, in sé, non del tutto persuasiva. Come vedi, sciocchezze e non so neppure se, anche nei loro limiti, giustificate. Ad abundantiam: avrai visto se in innografia greca ci siano esempi significativi (cioè che non sembrino puramente occasionali) di ὦ all’inizio di componimenti. Mi parrebbe, ma non posso controllare, che qualcosa possa trovarsi negli Inni orfici, se non anche in inni più antichi. Ho riletto in «At. e R.», con pieno consenso, le ottime postille leopardiane10. Inutile che ti ripeta quello che ti scrissi sulla loro utilità e sulla grande, in parte eccessiva moderazione con cui hai trattato i recensori ecc. Sta per uscire una Miscellanea Castiglioni in due grossi volumi (da Sansoni)11. Sembra che vi abbiano collaborato solo o principalmente studiosi scolari di Castiglioni e milanesi in genere (Riposati ecc.) e molti stranieri, questi indiscriminatamente. Se così sarà, niente da eccepire, sebbene il criterio sia un po’ strano; ma credo che convenga ‘verificare’ con che criterio sono stati scelti gl’italiani, perché, se noi siamo stati intenzionalmente [ma non credo] lasciati da parte, la cosa meraviglierebbe da parte del ‘filologo’ e amico Cazzaniga, non ti pare? Questo non perché ci dobbiamo offendere, del che niente è più ridicolo, ma per renderci meglio conto della sua posizione verso di noi. Ho rivisto di recente Cazzaniga a Milano (per brevissimo tempo), e sono tornato ad assicurarlo che lavoriamo per la sua S. T., Lucrezio III 1, «Philologus», 104, 1960, pp. 147-9 (= Contributi1, pp. 135-9). Postille al Leopardi filologo (cit. lett. 345). 11 Studi in onore di Luigi Castiglioni, Firenze 1960. 9 10 731 collezione (!?)12. Tandoi mi ha scritto che anche lui sta ritardando la sua edizione del Vossianus. Scusa la fretta e affettuosi saluti dal tuo Scevola [PS. ‒] Arrivederci, spero, a settembre. Ti riscriverò. 12 Vd. lett. 288. 732 373 Urbino, 2. 9. 1959 Carissimo Sebastiano, scusami se rispondo con tanto ritardo alla tua del 12 scorso1. Ma volevo mandarti insieme il dattiloscritto dell’articoletto enniano2 e ho perso tempo, anche a causa dei corsi estivi. Prima di tutto rispondo sugli altri punti. A proposito di Karthaginiensis (non) creato da Ennio, ho rivisto il Funaioli, Studio sul locativo3; ma, se non mi è sfuggito qualcosa, egli non tratta questa questione, ma solo quella di Karthagine locativo (invece di -ini), introdotto secondo lui da Ennio. Da chi dunque avrò ricavato la sciocchezza scritta a p. 30 delle Lezioni su Ennio? Non sarà stato per caso un ricordo confuso ed errato di Funaioli?? La necessità di una 2a edizione diventa sempre più urgente per eliminare questo e altri simili sfondoni. Sono pienamente d’accordo nel giudizio sui recenti estratti di Skutsch4. Hai senza dubbio ragione su De rep. 1, 37. Anche su 1, 50, non ti pare che abbia torto a dare tanta importanza a Iovis Optimi? A me pare che la consonanza fra questo Optimi e gli optimates che seguono sia casuale. Anch’io ho letto in fretta questo articolo; ho scritto a Skutsch che convengo con il tuo dubbio su 1, 37 e gli ho accennato a 1, 50. Mi sono detto d’accordo pienamente su Ligdamo. Ma, pur trovando sempre probabilissima la sua tesi, mi sembra ora che occorra ripensare seriamente ai rapporti fra il carme 5o e il carmi 1-4 e 6 di Ligdamo (indubitabili) per vedere se si può precisare meglio quello che Skutsch lascia un po’ troppo nel vago nella parte finale dello scritto. Vidi anche la tua recensione a Puccioni5, giustissima su tutte le questioni che tratta, e ho annotato nella mia copia dell’edizione di Puccioni di tutte le tue prese di posizione. La settimana prossima penso di fare la prevista sfuggita a Firenze, per andare di lì un giorno a Forte dei Marmi a vedere Jachmann, come gli ho promesso da tempo (non l’ho mai conosciuto di persona)6. Non posso dirti Lettera non conservata. Vd. lett. precedente. 3 G. Funaioli, Il caso locativo latino e la sua dissoluzione, in Id., Studi di letteratura antica, II 1, Bologna, 1948, pp. 247-325. 4 Vd. lett. precedente. 5 Vd. lett. 348. 6 Vd. lett. 375. 1 2 733 ancora con precisione i giorni, perché mia moglie, che verrà anche lei a Firenze, è impegnata con gli esami per un giorno, ma non sa ancora quale. Io non vorrei né disturbarti né farti perdere tempo, tanto più che sarò in preda alla fretta, dovendo vedere anche Munari (forse a Bologna o a Ravenna, non so se sabato 12)7. Ma s’intende che sarei felicissimo di rivederti. A Firenze? al Forte? a Pisa, se Pisa è sulla strada Firenze-Forte? Anche tu, d’altra parte, sarai impegnato con gli esami. Ti prego di dirmi subito con una cartolina indirizzando per favore a Pesaro – viale Battisti 628 – quali sono i tuoi impegni per la settimana prossima, e di non fare nessun complimento se non pensi che sia facile vederci. Io vorrei tornare con calma a Firenze (e Pisa?) in gennaio-febbraio. E vengo ora al dattiloscritto, di una cui severa lettura ti sarò molto grato. L’articolo doveva constare di tre parti, ma alla seconda (su Qui antehac invicti ecc.)9 ho rinunciato perché non reggeva10; ne riparleremo. Ma anche la prima è debole, e forse più sottile che vera. C’è qualcosa che non va. Se ti pare che convenga toglierla, dimmelo francamente, meglio mandare all’ordinariato (che viene concesso a tutti) due pagine in meno e risparmiarsi un pentimento in più per il futuro. L’ultima parte è forse più sostenibile, anche se non sicura. Come vedrai, tuoi vecchi contributi, che ho riletto nelle tue lettere, sono citati; ma vorrei sapere se su qualche punto hai cambiato idea e in particolare se non è eccessivo che io scriva (n. 21)11 che tu accetti la mia lezione di quel frammento12. Inoltre, nel timore di non aver tempo di andare in biblioteca a Firenze, ti pregherei (mandami al diavolo!) di farmi qualche controllo. Con tutto comodo, si capisce. A proposito del Carmen de figuris (pag. 1 e nota 4), potresti darmi una scorsa a Halm, Rhet. Lat. Minores13, p. 63 sgg., che dà un elenco delle fonti del carme, soprattutto per vedere se altre reminiscenze o citazioni enniane siano notate (così anche quella indicata da te al v. 172 del carme?)14 A proposito di Ann. 61115, di cui ho scritto a n. 21 «forse frammento scenico?» pensando p. es. a una scansione ́ ᴗ néc retrahí potestur || ímperiís ᴗ ́ ᴗ ́ (sett. troc.), cosa pensi? Vd. ancora lett. 375. Le parole da «indirizzando» a «62» aggiunte nel margine sup. del foglio. 9 Enn. ann., 192 V.2. 10 Vd. lett. precedente. 11 = LE2, p. 109 nota 63. 12 Enn. scaen., 190-2 V.2. 13 Lipsiae 1863. 14 Reminiscenza di Enn. ann., 310 V.2. 15 Vd. lett. 62. 7 8 734 Ti pregherei infine di farmi due altri rapidi controlli: se è esatto il mio rinvio a Skutsch (di cui hai l’estratto)16 nella nota 1 e se per caso (ma non è molto probabile) ci fosse qualcosa che riguarda la questione di nec e neque (di cui tutto a p. 3), soprattutto in poeti preaugustei in L. Müller, De re metr.2 17, circa p. 503 sg. Tutto questo a meno che non ti paia subito che alla prima parte dell’articolo conviene rinunciare. Di quello che stamperò ora (e che Ronconi mi ha promesso di pubblicare in tempo per l’ordinariato negli «Studi») mi servirò poi per la riedizione delle Lezioni su Ennio18, facendovelo rientrare. Purtroppo ho solo questa copia, abbastanza corretta, del dattiloscritto, e ti prego di rimandarmela a suo tempo, ma con tutte le correzioni e i suggerimenti a mano, perché debbo ricopiarla. Dimmi anche se qualcosa ti pare da scorciare. Grazie di tutto! Affettuosi saluti e scusa la fretta del tuo Scevola 16 17 18 In nota: «a me non lo mandò». Müller, De re metrica (cit. lett. 94). Su cui vd. lett. 367. 735 3741 Pisa, 11. 9. 1959 Carissimo Scevola, le due noterelle enniane sono ottime2; anche la prima è da pubblicare senz’altro. Leggendo Skutsch mi ero quasi convinto della giustezza di astu, non vi3; ma ora riconosco che, tutto sommato, bisogna conservare at tu non ut. Sulla seconda nota sai già che sono perfettamente d’accordo. Passo ai punti singoli. Ho visto Halm, Rhet. lat. min., Lipsia 1863, p. 63 sgg. Al v. 113 (At nos non ut tu …) non nota alcun passo parallelo. Al v. 172 (bello Africa flagrat) rimanda a Cic. Orat. 93, cioè ad Ennio Ann. 310 citato da Cicerone; perciò nella nota 4 devi citare Halm invece di me. Altri riferimenti ad Ennio, o comunque ad arcaici, non sono notati da Halm. L. Müller De re m., 1a ed., Lipsia 1861, p. 395 sgg. si sofferma solo sull’uso di neque / nec in età postaugustea, osservando che neque si sta facendo sempre più raro in poesia (la stessa cosa è osservata, per ciò che riguarda la prosa tarda, da Löfstedt, Syntactica i1, p. 260 sgg.4; il Löfstedt cita anche a p. 259, come es. di nec davanti a vocale, l’enniano nec auro, Ann. 373). Quanto al periodo preaugusteo, il Müller rinvia a Bentley ad Hor. 3, 11, 43; Lachmann ad Propert. p. 365, ad Lucr. p. 187; Philipp Wagner, Quaestt. Vergilian. xxxii5. Li hai visti già o te li guardo io? D’accordo sulla possibilità che Ann. 611 sia scenico6. Esatta la citazione di Skutsch nella nota 1. Qualche dubbio avrei sul carattere «giocoso» della successione di monosillabi in Lucr. 2, 549 (nota 10). Alla nota 13: non solo in Ann. 767, ma anche in 98 vi è un’allitterazione (sum summam servare) e giuoco fonico di u e t (at tu non ut). D’accordissimo su tutto il resto. Lettera manoscritta. Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. 3 Enn. ann., 98 V.2 (vd. lett. 91). L’art. di O. Skutsch, Reflections on the Fragments of Ennius’ Annals, apparve in «PCA», 46, 1949, p. 26-7; vd. inoltre Enniana III, «CQ», 54, 1960, pp. 188-98, alle pp. 189-91 (= Id., Studia Enniana [cit. lett. 69], pp. 47-50). 4 Löfstedt, Syntactica (cit. lett. 114). 5 Philippi Wagneri Quaestiones Vergilianae et Notitia literaria, ab E. G. Gersdorfio emendata et locupletata, in P. Vergilius Maro, varietate lectionis et perpetua adnotatione illustr. a Ch.G. Heyne, Ph. Wagner, J. Sillig, Lipsiae 1830-41. 6 Vd. lett. 62. 7 Enn. ann., 76 V.2 Ast hic quem nunc tu tam torviter increpuisti. 1 2 736 Speriamo dunque di vederci quest’inverno. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano [PS. ‒] Hai visto Jachmann e Munari? 737 375 Pesaro, 22. 9. 19591 Carissimo Sebastiano, mille grazie dell’attenta lettura del mio dattiloscritto2. Sono contento che anche la prima nota (sul cumulo dei monosillabi) non ti sia dispiaciuta, sebbene il tuo giudizio complessivo mi paia troppo favorevole. Ho tolto l’ipotesi che la successione di monosillabi in Lucr. 2, 549 sia «giocosa». Hai ragione che allitterazione e gioco fonico nei monosillabi c’è anche in Ann. 98 (at tu non ut sum summam servare)3 oltre che in 76; ma, poiché avevo notato la cosa per 98 solo per indicare un altro indizio del ricercato ‘martellamento’ (allitterazione con t-), mi riesce difficile notare, lì o altrove, l’altra indubbia allitterazione (e il probabile gioco nei monosillabi) in 76 senza modificare ampiamente. Grazie delle indicazioni preziose su Halm, Rhet. Lat. min. e soprattutto su Müller, De re metr.1. Queste ultime si sono rivelate particolarmente utili, perché nell’unico rinvio del Müller che ho potuto controllare qui (Lachmann ad Lucr. 3, 853) è detto appunto che in Lucrezio nella prima e nella seconda tesi usa sempre, di fronte a consonante e a vocale, neque, e il dato – anche se, come mi aspettavo, non favorevole al nec che avrei preferito in Ennio, Ann. 100 – è importante. Ti sono grato della offerta di vedermi gli altri rinvii del Müller. Sono parecchi e credo che non siano molto importanti. Se mai, una volta che hai tempo (ché io, intanto, spedisco il dattiloscritto e le bozze tarderanno certo varie settimane), ti pregherei di vedermi il solo Wagner, Quaestiones Vergilianae, p. xxxii (o xxxi, secondo l’Axelson)4. Come ricorderai, a me interessano solo notizie sull’uso dei poeti (di qualunque epoca) di neque o nec preconsonantico nella prima tesi dell’esametro. Grazie e scusami anche di questo. Ricevo ora l’estratto della tua nota su Pedone-Le Clerc, in cui mi hai dato così larga ospitalità5. Grazie. L’ho riletto e trovo la difesa di libris, se anche non del tutto sicura, sempre più verosimile e probabile. Te lo ricambio con le noterelle all’Anth. Lat., povera cosa che già conosci6. Sotto la data si legge: «viale Battisti 62 [che resta per qualche mese il mio indirizzo, in attesa che sia abitabile una nuova e speriamo definitiva casa urbinate]». 2 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. 3 Vd. lett. 91. 4 B. Axelson, Unpoetische Wörter, Lund 1945. In nota: «Che cita dal Virgilio di Heyne, 4a ed. curata da Wagner, 1832». 5 T., Un verso di Pedone Albinovano interpretato da Jean Le Clerc (cit. lett. 262). 6 M., Appunti sul testo dell’‘Anthologia Latina’ (cit. lett. 351). 1 738 Nella stampa del tuo estratto o più probabilmente nel manoscritto del mio appunto da te citato a p. 93 n. 1 è avvenuta una confusione: nell’ultima riga della nota è stato scritto in parentesi (= iam nunc) invece di (= nunc) o di (iam = nunc). Te lo dico per il caso che tu creda di correggere negli estratti rimastiti. Ho conosciuto Jachmann a Forte dei Marmi. È di una gentilezza squisita, quasi esagerata. Che sia uomo dotto, non era da dubitare e si vede anche nella conversazione. Non ha l’intolleranza di Fraenkel, ma anche lui sembra ostinatamente attaccato a certe idee, come ho visto da cenni alle da lui aborrite varianti d’autore. Dà, assai più di Fraenkel, l’impressione di essere vecchio e sofferente. Ho visto anche Munari a Ravenna, dove sto per tornare stamane per vedere La Penna, presidente di commissione a Ferrara. Ora Munari sta lavorando soprattutto all’edizione ovidiana, che sarà certo buona, e prepara un corso su testi medievali. Di un concorso di latino non si sente parlare. I nostri piani per i prossimi mesi sono un po’ cambiati, in un senso che – speriamo – dovrebbe anticipare il nostro incontro. Infatti fra il 5 e il 15 ottobre circa vorremmo essere, tranne imprevisti, a Montecatini, per dieci giorni o poco più di riposo e di cura termale. Se tu venissi a passare uno (o qualche?) giorno con noi, ne sarei felice. Vorrei anche parlarti di una cosa che sto facendo. S’intende che sarebbe facile incontrarci anche a Pisa o a Lucca; ma il mio desiderio sarebbe che venissi tu, se non ti dà noia. Di questa mia venuta a Montecatini (del resto non ancora sicurissima) preferirei che non si sapesse, per evitare un incontro con Puccioni (che aspira a un incarico a Urbino) già evitato ora a Firenze. Potremmo anche rendere ‘definitivo’ – almeno! – il testo di Vespa e riparlare della nostra Anth. Lat.7, purtroppo, soprattutto per mia colpa, così lenta a muoversi. Mi sono procurato di recente una copia del I ottimo volume dei Pitagorici della tua Mamma8. Affettuosi saluti e grazie ancora dal tuo Scevola Vd. lett. 288. Pitagorici: testimonianze e frammenti, a cura di M. Timpanaro Cardini, I, Firenze, 1958; il II e il III vol. usciranno rispettivamente nel 1962 e nel 1964. 7 8 739 3761 Pesaro, 11. 10. 1959 Carissimo Sebastiano, grazie della tua ultima e del promesso controllo del Wagner; se non lo trovi o se ci sono altre difficoltà a Firenze, non preoccuparti affatto! D’accordo su Gerhard Müller, di cui ho un volumetto lucreziano recente2 ispirato agli stessi princìpi, anche se indubbiamente non sfornito di dottrina e di conoscenze filologiche. Purtroppo un’influenza, prolungatasi fino a ieri, mi ha obbligato a rinunciare sia all’incontro con Fraenkel a Roma sia a Montecatini. Pazienza! Sarà per l’anno prossimo. A Firenze3 vidi brevemente Terzaghi. Da qualche indizio, peraltro vago, mi è sembrato che gradirebbe molto una Festschrift per il suo ottantesimo compleanno. Quest’uso delle Festschriften è ora in auge anche a Firenze; e credo che, fattane una (anzi due, compresa Genova) per Paoli4, bisognerebbe ricordare anche Terzaghi5. D’altronde anche la Bottega d’Erasmo – sia pure a fini speculativi – mi aveva scritto per chiedere se si prevedeva qualcosa del genere per Terzaghi e per farmi sapere il suo desiderio di essere eventualmente interpellata6. L’ho accennato a Ronconi, a parole favorevole ma in sostanza evasivo, e poi a La Penna, che mi ha detto che ne avrebbe parlato con Nencioni e con altri del Magistero di Firenze. La Penna è, mi sembra giustamente, favorevole a fare una raccolta di scritti di Terzaghi, anche per evitarci la seccatura di contributi. Comunque si potrebbe vedere. Te ne informo perché so i tuoi rapporti con Terzaghi e credo che, se potrai, cercherai di tener viva l’idea parlandone, occasione oblata, con Ronconi, La Penna ed altri eventuali. Ripeto, non vedo perché, in questa fiorita di Festschriften, si dovrebbe dimenticare l’onesto e paterno Terzaghi. Affettuosi Risponde a una lettera di T. non conservata. G. Müller, Die Darstellung der Kinetik bei Lukrez, Berlin 1959. 3 Sul viaggio a Firenze vd. lett. 373. 4 Studi in onore di U.E. Paoli, Firenze 1955; Antidoron, Hugoni Henrico Paoli oblatum. Miscellanea Philologica, Genova 1956. 5 L’iniziativa qui prospettata si concluderà, dopo varie vicissitudini, con la pubblicazione di Lanx satura Nicolao Terzaghi oblata. Miscellanea philologica, Genova 1963, su cui vd. lett. 377-82, 389, 399-405, 408, 413-4, 416-20, 424, 426-30, 446, 448. 6 Per la Bottega d’Erasmo uscirà N. Terzaghi, Studia Graeca et Latina, con presentaz. di F. Della Corte, Torino 1963. 1 2 740 saluti. Ti mando a parte la Sulpicia di Lana7, che ho doppia. Come sai, vale poco. Se l’avevi già, fammelo sapere. Il tuo aff.mo Scevola 7 I. Lana, La satira di Sulpicia, Torino 1949. 741 377 Pisa, 13. 10. <1959>1 Carissimo Scevola, grazie della lettera e scusa se non ho ancora guardato il Wagner a Firenze; lo guarderò senz’altro nella prossima settimana e te ne scriverò. Mi dispiace molto che l’influenza ti abbia fatto rinunziare al soggiorno a Montecatini. Spero proprio che nei prossimi mesi ci si presenti l’occasione di vederci a Firenze o a Pisa; e, naturalmente, spero soprattutto che quest’anno ti invitino alla Normale. Mi fa piacere quello che mi scrivi sull’eventuale Festschrift per Terzaghi. Io non avevo sentito parlare della cosa da nessuno, e neanche Terzaghi me ne aveva mai fatto cenno, ma proprio poco tempo fa pensavo fra me che qualcosa di questo genere andrebbe fatta per Terzaghi, dal momento che lo si è fatto per parecchi studiosi di minor valore. Son quindi perfettamente d’accordo e, per quel che sta in me, cercherò di tener viva l’iniziativa. Credo, però, che non si possa fare molto assegnamento su Ronconi. Più di Ronconi, forse, potrà interessarsene La Penna; ma penso che, se si vuol davvero realizzare qualcosa, dovresti prendere l’iniziativa tu. Disposto a occuparsi di questa faccenda sarebbe, probabilmente, anche Aristide Colonna, il quale è molto devoto a Terzaghi (io non lo conosco personalmente). La Bottega d’Erasmo (cioè Loescher-Chiantore) andrebbe bene come editore, perché Terzaghi è in rapporti molto affettuosi con Barrera. Un’altra possibilità sarebbe di dedicare a Terzaghi un fascicolo doppio degli «Studi». Non sarei, invece, molto d’accordo con La Penna quanto all’idea di fare una raccolta di scritti di Terzaghi, invece che di contributi in suo onore. Quando si tratta di uno studioso di spiccata personalità, autore di lavori che, anche letti a distanza di anni, resistono pienamente, credo anch’io che il miglior modo di onorarlo sia quello di ristampare le sue Kleine Schriften. Ma nel caso di Terzaghi bisogna state attenti. Io credo che Terzaghi abbia arrecato alla filologia classica alcuni contributi assai buoni, anzi, come sai, sono forse anche un po’ troppo filoterzaghiano; tuttavia questi contributi sono per lo più disseminati in articoli di valore disuguale; spesso a due righe di distanza da un’idea ottima si trova una proposta insostenibile; insomma, io non credo che si possano raccogliere delle Kleine Schriften tali da far veramente onore a Terzaghi. Aggiungi che per lo più i suoi articoli L’anno è facilmente ricostruibile in quanto la lettera è una evidente risposta alla precedente di M. 1 742 sono scritti in un italiano molto trasandato (in latino, invece, Terzaghi scrive splendidamente, come una volta tu osservasti), e anche questo è un elemento negativo. Aggiungi che il suo miglior lavoro è forse il Lucilio2 (può darsi che Italo, essendo competente in materia, lo giudichi più severamente di me!), ed esso non sarebbe naturalmente incluso nel volume. A volte articoli assai buoni dal punto di vista filologico sono sciupati da sparate antiestetiche, anticrociane ecc., fatte non con intelligenza come le faceva Pasquali, ma con criteri troppo arretrati, e anche qui si rischierebbe, ripubblicandole, di fargli un cattivo servizio. Perciò io sarei piuttosto per la raccolta di contributi. Prima di parlarne con La Penna, vorrei sapere di nuovo che ne pensi. In ogni caso io sono disposto a collaborare anche per revisione di bozze ecc. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano [PS. ‒] La Festschrift Castiglioni è uscita3? Non l’ho vista da nessuna parte. 2 3 N. Terzaghi, Lucilio, Torino 1934 (rist. Hildesheim-New York 1979). Studi in onore di Luigi Castiglioni (cit. lett. 372). 743 378 Pesaro, 16. 10. 1959 Carissimo Sebastiano, è giustissimo quello che mi scrivi sulla Miscellanea Terzaghi1. Molto meglio, senza dubbio, fare contributi in honorem. Poiché La Penna mi ha scritto nel frattempo che lunedì prossimo parlerà della cosa in facoltà, ho creduto di avvertirlo subito della tua giusta obiezione perché si regoli in conseguenza, se la condivide. Gli ho detto di essere pienamente d’accordo con te, appunto per le diseguaglianze della produzione minore di Terzaghi. Di altro naturalmente non ho parlato con lui né lo farò con altri: siine sicurissimo. Buona anche l’idea di Colonna, al quale non avevo pensato. Quando sarà il momento, gli scriveremo o gli scriverò, sebbene abbia con lui rapporti piuttosto freddi. Credo che abbia un vecchio rancore con Pasquali, forse anche per una replica brusca del Pasquali a una sua tesi callimachea negli «Studi»2. Non ho saputo più nulla della Festschrift Castiglioni e credo che finora non sia uscita. Molti saluti affettuosi: sulla questione terzaghiana c’informeremo a vicenda. Il tuo aff.mo Scevola 1 2 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Allude a G. Pasquali, Roma in Callimaco, «SIFC», 16, 1939, pp. 69-78. 744 379 Pisa, 7. 11. 1959 Carissimo Scevola, P a r t e I – Grazie della lettera con le notizie terzaghiane1. Ho visto ieri a Firenze il La Penna; si è dichiarato personalmente convinto dei nostri argomenti, ma ha detto che Bartoletti continua a preferire una raccolta di scritti di Terzaghi perché ricorda con terrore la grande fatica che dovette fare per mettere insieme la Miscellanea Paoli2. Io ho di nuovo insistito, e lui mi ha assicurato che cercherà di persuadere Bartoletti. Da Terzaghi non sono ancora andati. Sono anch’io convinto (e l’ho detto a La Penna) che se gli interroganti non eserciteranno suggestioni, Terzaghi accetterà col massimo piacere una Festschrift in suo onore. D’altra parte, non c’è nessun bisogno di mettere insieme un volume di grossezza spropositata come la Miscellanea Paoli (la cui compilazione fu lunga e difficile anche perché vi collaborarono molti giuristi, e perché il Biscardi, uno dei promotori, volle per forza munirla di un indice analitico, che poi non seppe compilare, donde ritardi, richieste di aiuto ai filologi classici ecc. ecc.). Insomma, speriamo bene. Ieri non ho avuto occasione di vedere Bartoletti; la prossima volta che andrò a Firenze, se sarò ancora in tempo, cercherò di parlarne anche a lui. P a r t e I I – Skutsch mi ha mandato le pagine dattiloscritte che qui ti accludo, con preghiera di leggerle e di mandarle poi a te. Contengono l’introduzione al frammento di Servilio3 (per il suo commento agli Annali); seguirà, tra un certo tempo, il commento al medesimo. Io ho scritto a Skutsch che non sono del tutto convinto della precisa collocazione del frammento proposta da Cichorius e da lui accettata. Secondo Cichorius, infatti, la parlata p r e c e d e n t e di Servilio (a cui si riferisce l’haece locutus del 1o verso) sarebbe stata rivolta agli pseudo-disertori celtiberi (= Appiano Hannib. 22, dove Servilio elogia i celtiberi e ordina di disarmarli e di collocarli dietro le schiere romane). Ma questo è un momento della battaglia in cui ancora le cose sembrano andar bene per i romani; e invece a me sembra chiaro che Servilio chiama il suo amico in un momento grave, quando è o già ferito, o comunque in procinto di essere sopraffatto dai cartaginesi: Vd. lett. precedente, a cui T. risponde nella «Parte I». Nel margine superiore un appunto di M. riguardante un articolo di Labhardt di cui si parla nella lettera che segue. 2 Studi in onore di U.E. Paoli (cit. lett. 376). 3 Sul frammento vd. lett. 369. Le «pagine dattiloscritte» a cui si allude non si sono conservate. 1 745 quella lunga presentazione dell’amico, quell’insistere sulla sua fidatezza ecc., indicano che Servilio ora si rivolge a lui per affidargli le sue ultime volontà. Mi pare significativo il confronto con Aen. 11, 820-22 (dove anche alcune espressioni, come quicum partiri curas, ricordano da vicino il nostro frammento) e anche con Aen. 10, 856-60 (dove il cavallo Rebo è il ‘confidente’ di Mezenzio, e dove il simul hoc dicens richiama l’haece locutus del frammento di Servilio). Anche il raffronto con le parole di Emilio Paolo morente a Lentulo in Livio 22, 49, 6 sgg. (cfr. comm. di Skutsch) diviene in tal modo più probativo. L’inter pugnas dell’ultimo verso significa, a mio parere, semplicemente ‘durante la battaglia’ (cfr. inter vias): l’interpretazione di Cichorius ‘tra una fase e l’altra della battaglia’ mi pare sforzata. Tu che ne pensi? Non ricordo se di ciò abbiamo parlato qualche volta. I miei ricordi enniani sono ormai diventati molto sbiaditi. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano 746 380 Pesaro, 19. 11. 1959 Carissimo Sebastiano, per una momentanea idiosincrasia verso le cose enniane non sono riuscito ancora a leggere con attenzione la nota di Skutsch e le tue osservazioni1. Lo farò nei prossimi giorni, e questo servirà per farmi riprendere contatto con Ennio (vorrei davvero fare presto quella 2a edizione2; avrei anche qualcosa sui frammenti ‘falsi’ di Ennio3, non cose importanti, ma forse degne di essere aggiunte alla nuova edizione. Di questo e di altri argomenti relativi al mio lavoro attuale vorrei parlarti direttamente, perché ti spiegherei meglio i miei problemi e ti chiederei meglio consigli. Speriamo di poterci rivedere!). Ho cercato di premere ancora su La Penna, scrivendogli, per la tua e nostra tesi relativa alla Miscellanea Terzaghi 4, ma non ho saputo più nulla. Hai visto l’articolo di Labhardt sull’ictus in «Euphrosyne» 1958 o 19595? L’ho letto solo di sfuggita; qualche dato può interessare. Se non l’hai, te lo posso mandare (o scrivere all’autore che te lo mandi). Stamattina ho ricevuto dalla Nuova Italia una notizia consolante, e non voglio tardare a scriverti sull’argomento. Il dott. Casalini scrive: «abbiamo affidato la preparazione tipografica dell’originale [della Sintassi che ho fatto col mio assistente Sani6] al comune amico Prof. Sebastiano Timpanaro». Avevo sentito dire che continuavi (o avevi ripreso) a lavorare per la Nuova Italia, e, in forma naturalmente dubitativa, sulla tua presenza alla Nuova Italia e sulla tua disposizione ad accettare, avevo espresso il mio vivo desiderio che per questa cosa la Casa si affidasse a te. Non ti facevo un favore, ma egoisticamente lo facevo grosso a me stesso. […] Grazie già soltanto della fiducia che mi dà il saperti vicino al lavoro aberrantis amici. Affettuosi saluti dal tuo Scevola Vd. lett. precedente. Sulla seconda edizione delle Lezioni su Ennio vd. lett. 367. 3 La pubblicazione di questo contributo avverrà vari anni più tardi in Falsi enniani di Girolamo Colonna? (cit. lett. 76). Sull’argomento vd. lett. 392, 395, 435, 438-9, 451, 539-40, 542, 548, 589. 4 Vd. lett. 376-9. 5 A. Labhardt, Le problème de l’ictus, «Euphrosyne», 2, 1959, pp. 65-75. 6 La Sintassi latina di M. scritta in collaborazione con G. Sani uscì presso la Nuova Italia nel 1960. In proposito vd. le lett. 381-8, 393-4. 1 2 747 381 Pisa, 22. 11. 1959 Carissimo Scevola, ieri l’altro sono stato a Firenze, e alla Nuova Italia mi hanno consegnato il dattiloscritto della Sintassi tua e di Sani; e subito dopo ho ricevuto la tua lettera1. Il mio compito principale sarebbe stato quello di «preparare tipograficamente» il dattiloscritto, cioè di indicare con varie sottolineature i neretti, i corsivi ecc. ecc., cosa che spesso gli autori non fanno o fanno in modo incoerente. Tuttavia, da questo punto di vista, ho veduto subito che il dattiloscritto della vostra Sintassi è già preparato assai diligentemente per la stampa (caso mai, anzi, vi è certo eccesso nell’uso dei più svariati corpi tipografici, per cui sarebbe f o r s e consigliabile una certa semplificazione; anche Casalini e Manfredi sono di questo avviso). Perciò, più che una «preparazione tipografica», farò una revisione del tipo da te desiderato. Per ora ho letto solo poche pagine del dattiloscritto. […] Ad ogni modo, ti riscriverò su questo argomento tra un paio di settimane, quando avrò avuto modo di entrare in medias res2. Ti ringrazio moltissimo degli estratti. Sulle due note enniane3 e su iura canina sai già che sono d’accordo4 (di iura canina parlavo ieri sera con Campana, e concordavamo nel dire che è una congettura splendida!). Eccellente anche la nota all’Amphitruo che non conoscevo ancora5: l’integrazione ne mi pare necessaria, e felicissima è la spiegazione dell’interpolazione. Quanto al passo di Seneca de brev. vit.6, ho ancora qualche residuo di incertezza su poetarum <comicorum>, e tuttavia riconosco che questa soluzione ha molti punti a suo favore e che il riferimento a Euripide (al quale sono ancora un po’ affezionato!) urta in innegabili difficoltà. Ti spedisco oggi – tenue contraccambio – tre adversaria che già conosci7. Vd. lett. precedente. Nel margine superiore un appunto di M. su una congettura di Alfonsi di cui si parla nella lettera successiva. 2 In nota T. aggiunge a mano: «S’intende che ti ringrazio della tua fiducia; ma tieni presente che io in fatto di sintassi sono ben lontano dall’avere la preparazione di Traina. Ad ogni modo mi ci metterò quam diligentissime potero». 3 Vd. lett. 372. 4 Si riferisce qui e nel seguito ad Adversaria philologa III (cit. lett. 304). 5 Vd. lett. 338. 6 Vd. lett. 304. 7 T., Tre noterelle (cit. lett. 279). 1 748 L’‘affare Terzaghi’8 si è risolto nel migliore dei modi: La Penna è riuscito a convincere anche Bartoletti; sono andati da Terzaghi e gli hanno proposto la Festschrift, che egli ha accettato con molto piacere. Skutsch mi ha scritto un’altra lettera, in cui mi dà alcune anticipazioni del suo commento al frammento di Servilio9. Non crede a rerumque suarum gen. part.; non crede che Ennio abbia potuto far dipendere quocum da impertit perché «Ennius is not a naive writer but a grammar» (questo principio conduce Skutsch alla rovina!); vuole perciò correggere comiter impertit in consilium partit! Propone inoltre altre congetture cervellotiche, segni di lacuna ecc. ecc. Insomma, ho l’impressione che da questo trattamento il povero frammento di Servilio uscirà conciato per le feste! Grazie ancora e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 8 9 Vd. lett. 376-80. Sul frammento vd. lett. 369. 749 382 Pesaro, 27. 11. 1959 Carissimo Sebastiano, la tua lettera mi solleva molto1. Sei davvero fraternamente gentile, e io capisco bene che per la mia (purtroppo) Sintassi2 stai facendo infinitamente di più di quello che sarebbe il tuo compito di curatore della stampa. Non so esprimerti con parole adeguate la mia riconoscenza. Quanto ai caratteri, il foglio che pretendeva di indicarne le varietà era stato preparato in un primo momento in base, mi pare, alla Grammatica di C. Grassi3. Anche a me sembrava scomoda e brutta una varietà di caratteri come quella indicata nel foglio (il Grassi l’avevo visto appena). D’altronde poi la Nuova Italia stessa mi fece sapere che si sarebbe occupata direttamente dei caratteri. Quel foglio non ha quindi alcun valore, né le sottolineature (effettuate del resto incostantemente e incoerentemente). Sono toto corde con te, Casalini e Manfredi nel ritenere che la varietà dei caratteri vada usata con moderazione. Grazie del giudizio sulle mie noterelle. A mia volta ti ringrazio delle tue: sono pienamente d’accordo su tutt’e tre. Sono lieto della favorevole conclusione dell’‘affare Terzaghi’. Non so ancora cosa dedicargli, forse ancora noterelle4: su Domizio Marso (che si ricollegherebbe poi indirettamente ai Bobiensia) avrei qualche cosetta (nel fr. 1, verso penultimo, non so se ti ho mai detto di un mio tentativo omnia tunc ira, tunc omnia desolata; e poi potrei escludere la brutta congettura Atia per tamen di Skutsch [a proposito, che pazzie quelle che ti ha comunicato sul testo del fr. di Servilio5!] in Ep. Bob. 39, 1, notando [ma occorre ripensarci] che il tamen quasi ex abrupto è pressappoco sul piano del quoque dell’epigramma di Marso per Tibullo e conferma ulteriormente che l’epigramma per Tibullo è appunto un epigramma indipendente; e qualcos’altro che ti dirò e di cui parleremo). Alfonsi mi ha scritto cosa ne penserei di un suo cattivo immodice per in metrum di quel frammento enniano trattato ultimamente da Pascucci6. Si tratta della lett. precedente, a cui M. risponde. Vd. lett. 380. 3 C. Grassi, Minerva: grammatica latina ad uso della scuola media, Firenze 1962. 4 Sul contributo di M. vd. lett. 392. 5 Vd. lett. precedente. 6 Pascucci, Ennio, Ann., 561­62 V 2 e un tipico procedimento di αὔξησις nella poesia latina (cit. lett. 347). 1 2 750 Letto l’articolo di Pascucci, gli è saltata in mente una congettura inaccettabile (si basa su espressioni come lingua immodica, immodicus linguā, dove mi pare che immodicus abbia sempre un colorito di disapprovazione morale; e presuppone passaggi assurdi [perfino una glossa!]). Ho cercato di dirgli (cautamente) che mi sembra una congettura «parecchio dubbia»! Affettuosamente, grazie ancora dal tuo Scevola 751 383 Pisa, 5. 12. 1959 Carissimo Scevola, Skutsch ti avrà mandato il dattiloscritto di un suo articoletto su Nam vi depugnare sues … e Astu non vi sum …1, in cui ribadisce la sua tesi già sostenuta in «Proceedings Class. Ass.»2; lo ha mandato anche a me. Le sue obiezioni contro la tua difesa di At tu non ut sum3 mi sembrano non prive di una certa abilità dialettica, ma tuttavia non convincenti. Ieri poi mi è arrivata una sua cartolina, in cui propone di tirare in ballo anche Ann. 1574 e di scrivere di séguito: Et qui se sperat Romae regnare quadratae, astu non vi sum summam servare decet rem, o addirittura: Nam vi depugnare sues stolidi soliti sunt. <Nec vero natura eadem est hominumque suumque,> et qui se sperat ecc., astu non vi ecc.! Per fortuna la cartolina si conclude con un «Vale et mecum ridere perge», tuttavia temo che, sotto sotto, a questi giochetti ci creda davvero. L’unico punto che io sono dispostissimo ad ammettere è che il mio riferimento di Et qui (Ecqui?) se sperat … al libro III non è affatto sicuro, e che può darsi benissimo che (contrariamente a quanto allora io sostenevo) il verso appartenga al libro I. Quando avrai voglia di ritornare ad Ennio, sarò lieto di sapere il tuo parere su tutto ciò e anche su quanto ti scrissi in una mia precedente a proposito del frammento di Servilio5 (che io collocherei non nel punto della battaglia di Canne in cui lo colloca Cichorius presso Norden, ma più tardi, quando la battaglia va ormai male per i romani e Servilio, sentendosi prossimo alla morte, vuole affidare al suo amico dei mandata suprema; crederei perciò che in Ennio n o n vi fosse la scena di Emilio Paolo ferito e del tribuno Lentulo, quale si legge in Livio, ma che essa fosse, in certo senso, sostituita dalla scena di Servilio. – Scusa se, per esser breve, mi esprimo arruffatamente). Io ho terminato di dare un primo (abbastanza attento) sguardo alla parte teorica della vostra sintassi6. Dico subito che la situazione mi sembra m o l t o meno nera di quanto appariva dalle tue lettere. Il Sani non ha fatto un lavoro brillante, tuttavia, nel complesso (e salve le dovute eccezio- Rispettivamente Enn. ann., 105 e 98 V.2 at tu non ut, su cui vd. lett. 91 e cfr. Skutsch, Enniana III (cit. lett. 374). 2 Skutsch, Reflections on the Fragments of Ennius’ Annals (cit. lett. 374). 3 M., Due note enniane (cit. lett. 272). 4 Vd. lett. 46. 5 Vd. lett. 379. 6 Vd. lett. 380. 1 752 ni) è stato abbastanza diligente. I cenni di sintassi storica mi paiono buoni (qui, probabilmente, si sarà fatto sentire più che altrove l’influsso dei tuoi consigli e delle tue direttive). La parte normativa è forse un po’ troppo ‘casistica’, un po’ troppo animata dal desiderio di fissare regole e distinzioni sottili; tuttavia questo difetto è comune a tutte le sintassi scolastiche ed è, in certa misura, inevitabile; lo si può, comunque, ridurre operando qualche taglio. Inoltre, tu, Italo e Traina avete già sottoposto il lavoro di Sani ad un energico rimaneggiamento che gli ha tolto gran parte dei suoi difetti. Ho visto, in particolar modo, che tu hai giustamente sostituito parecchi esempi, che Sani aveva scelto in modo non troppo felice. Le osservazioni di Traina sembrano anche a me da accogliere quasi tutte; di questi problemi di sintassi Traina si intende davvero, mentre io ho dovuto constatare che non mi ricordo più un’infinità di cose. Ciò premesso, veniamo a ciò che io ho fatto e a ciò che devo ancora fare. Valendomi dei poteri da te concessimi (con fiducia forse eccessiva!), ho corretto qua e là alcune formulazioni di Sani che erano espresse in modo alquanto impacciato; ho sostituito (come già tu avevi fatto talvolta) alcuni esempi; ho spesso corretto l a t r a d u z i o n e d e g l i e s e m p i , giacché qui Sani ha spesso tirato via; ho (ma solo raramente) soppresso qualche avvertenza che conteneva distinzioni troppo sottili e sofistiche. Quanto alla preparazione tipografica, Manfredi e Casalini non hanno ancora fissato i criteri definitivi, comunque sarebbero orientati verso l’adozione di d u e soli corpi: normale e piccolo, anziché tre: normale, piccolo e piccolissimo. Sani stesso, da un certo punto in poi del dattiloscritto, ha tralasciato di distinguere tra piccolo e piccolissimo, in quanto non ha più tracciato la linea a lapis rosso o blu di fianco alle parti scritte in rosso. Tu che ne dici? Vi sono poi dei punti in cui io per ora non ho osato intervenire, perché vorrei prima sentire il tuo parere. Per esempio: a p. 39 sopprimerei o almeno attenuerei molto la distinzione tra «lingue sintetiche» (tra cui il latino) e «analitiche» (tra cui l’italiano), perché questa distinzione, di origine schlegeliana, è oggi, per quel che mi risulta, screditata tra i linguisti. A pp. 39-40 vedo che il Sani annovera l’accusativo tra i casi obliqui e solo il nominativo e vocativo tra i retti; ma non si considera generalmente come caso retto anche l’accusativo? A p. 123, invece di quel lunghissimo elenco di «aggettivi che reggono il dativo» (gratus, carus ecc.), che poi sono sostanzialmente gli stessi (quanto a significato) in italiano e in latino, mi limiterei a un breve cenno. A p. 144 (e di nuovo a 147) il genitivo possessivo è considerato come una sottospecie di genitivo soggettivo; ma io limiterei, come di solito si fa, la distinzione tra genitivo soggettivo e oggettivo a quei genitivi che dipendono da nomina actionis; un genitivo possessivo come ager p a t r i s m e i non è né soggettivo né oggettivo, mi sembra. A pp. 292-93 tutta la parte sul medio è un po’ viziata dal fatto che il Sani prende come termine di riferimento l’italiano; per es. egli dice che vertor «assume valore non 753 medio ma intransitivo, = ‘giro’»; ma il fatto che i n i t a l i a n o a vertor possa corrispondere, oltre al riflessivo ‘mi volgo’, anche l’intransitivo ‘giro’, non toglie che i n l a t i n o vertor sia un vero e proprio medio. A pp. 428-29 vidi Catonem sedentem in bibliotheca è dato come esempio di uso nominale del participio presente, mentre M’. Curio sedenti ad focum Samnites … attulerunt è dato come uso verbale; a me sembrano verbali tutti e due, e comunque non trovo differenza. In casi di questo genere, che devo fare? Sono io troppo pignolo o troppo tendente a sovrapporre il mio gusto personale a quello degli autori, che va il più possibile rispettato? Aspetto istruzioni; frattanto passo a esaminare gli esercizi, dove, credo, ci saranno meno questioni dubbie. Scusami se ho scritto in fretta e male, e ricevi i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 754 384 Pesaro, 7. 12. 1959 Carissimo Sebastiano, prima di tutto la Sintassi1. Grazie senza fine di quello che hai fatto e che fai. Ho abusato della tua amicizia chiedendoti ben più di quello che ti spettava, anzi addirittura altra cosa di quella che ti spettava. Non me ne pento, perché so di evitare, mercè il tuo aiuto, un altro pentimento: quello di aver accettato di fare questa benedetta Sintassi. Hai fatto benissimo a correggere forma e sostanza del testo e le traduzioni (spesso sciatte, scolastiche o addirittura sbagliate) degli esempi; e non meno bene hai fatto a togliere avvertenze superflue e casistiche sottili (e anch’esse, quasi sempre, sbagliate). Ti centuplico, se è possibile, i ‘poteri’ di intervenire su qualunque questione. Anche a me sembra, come a te e a Manfredi-Casalini, che sia meglio adottare due soli corpi di stampa. Sui punti che mi sottoponi, non posso che essere d’accordo. In particolare: p. 39 – Elimina pure senz’altro la distinzione fra lingue ‘sintetiche’ e ‘analitiche’. Non mi pare il caso di limitarsi a un’attenuazione. p. 39-40 – Qui nutrirei qualche dubbio (distinzione fra casi ‘retti’ e ‘obliqui’, peraltro anch’essa un puro gioco da grammatici). Ho visto che Marouzeau, Lexique de terminologie linguistique, s. v. Cas, dice in sostanza che il caso retto è il nominativo, a cui si aggiunge (per la quasi sempre verificantesi identità di forma) il vocativo, mentre alcuni (soprattutto, se non capisco male, filologi romanzi) aggiungono anche l’accusativo, in quanto in accusativo si pone il complemento (di)retto. Decidi come ti sembra più opportuno. Si potrebbe forse dire che caso retto è propriamente il nominativo, a cui tuttavia alcuni grammatici aggiungono il vocativo (per la frequente identità di forma col nominativo) e anche l’accusativo (perché caso del complemento diretto). O anche più brevemente. p. 123 – Giustissima l’eliminazione del lungo e inutile elenco di aggettivi reggenti il dativo. p. 144 (e 147) – Ricordo che Sani cercò di sostenermi quell’allargamento del concetto di genitivo soggettivo e oggettivo, che aveva trovato chissà dove, e che io mi dimenticai poi di correggere non essendo affatto persuaso del suo ragionamento. Ti prego di farlo tu, riportando le definizioni di genitivo soggettivo, oggettivo, possessivo alle forme tradizionali. p. 292 sg. – Hai perfettamente ragione su vertor, che è un medio e non un intransitivo (e hai anche acutamente individuato uno dei difetti di Sani, 1 Vd. lett. precedente e 380. La copia della lettera a Skutsch non è conservata. 755 che si lascia – qui come altrove – influenzare dall’italiano). Speriamo che ti riesca di accomodare senza troppa fatica! p. 428 sg. – Correggi, per favore, la stupidaggine relativa ai due participi degli esempi – identici – distinti come «verbale» e «nominale»!! In conclusione: in questi, come negli altri casi del genere, correggi senza pietà, anzi con pietà! E grazie, grazie di nuovo. 8. 12. 1959 Quanto a Skutsch, ti unisco la copia della lettera che gl’invio (per una confusione nell’uso della carta a carbone una parte è ‘copia’, l’altra ‘secondo originale’). Forse ho scritto troppo in fretta e dovevo concedergli di più. Vedi da quello che gli scrivo che sono d’accordo pienamente con te sull’amico di Servilio: i confronti con l’Eneide sono bellissimi e spero che romperai il tuo silenzio enniano per pubblicare la fondatissima ipotesi2. Le cose che poi Skutsch ha scritto a te (combinazioni di frammenti ecc.)3 sono assurde! Ho avuto l’interessante e persuasivo estratto leopardiano del tuo collaboratore Pacella4, di cui non ho l’indirizzo. Puoi ringraziarlo a mio nome? Se avrò il suo indirizzo5, lo ricambierò con qualcosa di mio. Quando avrò altre copie di un estrattino ariostesco da «IMU»6, del quale sai, te lo manderò naturalmente (per ora me ne hanno mandato un primo esiguo gruppo per l’ordinariato). Per completezza d’informazione ti segnalo una mia ‘postilla’ a un (non persuasivo) articolo di Emilio Peruzzi, incaricato di Glottologia a Urbino, su una iscrizione latina arcaica nell’ultimo fascicolo della «Par. d. pass.»7. Almeno per ora non mi hanno mandato estratti (o ritagli), ed è giustificato, trattandosi di una cosa brevissima. Come vedrai, è una pura e insufficiente ipotesi. Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 4 G. Pacella, I manoscritti leopardiani della traduzione di Frontone, «RCCM», 1, 1959, pp. 411-4. 5 T. in vista della risposta ha annotato l’indirizzo («via S. Cecilia, 20») nel margine superiore della pagina. 6 M., Per il riesame di un’ode latina dell’Ariosto (cit. lett. 351). 7 S. M., Postilla (su un’iscrizione latina arcaica), «PP», 14, 1959, p. 220 (= SFC, pp. 5678). Si tratta di un’appendice a E. Peruzzi, Un’antichissima sors con iscrizione latina, ibid., pp. 212-20. 2 3 756 Grazie ancora di tutto, e un abbraccio affettuoso dal tuo Scevola PS. ‒ Vedo con piacere nel «Resto del Carlino» di oggi (8 dic.), in terza pagina, una fotografia della sala contenente il «dono Timpanaro»8 all’Università di Pisa con una interessante didascalia. Nel 1957 Maria Timpanaro Cardini e il figlio Sebastiano jr. destinavano all’Università di Pisa la ricca collezione di stampe antiche e disegni formata da Sebastiano sr., la prima raccolta pubblica italiana di grafica contemporanea, da cui prese corpo il Gabinetto Disegni e Stampe della Università stessa. In un primo tempo la donazione fu sistemata presso l’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università. 8 757 385 Pisa, 13. 12. <1959>1 Carissimo Scevola, grazie della lettera. Ho portato a termine la revisione della parte teorica della Sintassi secondo i criteri da te approvati2. In complesso, ripeto, non ho avuto molto da correggere, perché il più era stato già fatto da te, da Italo e da Traina. Sui casi retti e obliqui hai ragione tu: ho visto che per es. anche Kühner-Stegmann considerano retti solo il nominativo e il vocativo; perciò ho lasciato intatta la formulazione di Sani. Quanto agli esercizi, ho dato loro una scorsa, e siccome mi è sembrato che in complesso vadano bene (anche qui molto è stato corretto, specialmente da Italo) ho per ora rinunciato, d’accordo con Manfredi e Casalini, a una lettura minuziosa che avrebbe richiesto molto tempo (mentre la casa editrice vorrebbe mandare al più presto il lavoro in tipografia). Eventuali errori potranno essere corretti sulle prime bozze, e potrà anche essere sostituita o soppressa qualche frase troppo difficile o inadatta. Rimangono ancora da decidere alcune particolarità tipografiche – specialmente per ciò che riguarda l’adozione di un ‘neretto corsivo’ per le parole latine da mettere in evidenza –, dopo di che il dattiloscritto sarà mandato in tipografia. Ottima mi sembra la risposta a Skutsch3. Non credo che avresti dovuto concedergli di più. Il suo articolo è in realtà brillante, ma fragile. Una comprensione approfondita dello stile enniano a lui manca, donde il suo frequente ricorrere a criteri di giudizio tratti da categorie retoriche convenzionali. Hai perfettamente ragione di osservare che gli esempi tratti dal Persa di Plauto e dall’Iphigenia enniana non c’entrano per nulla. Sulla collocazione del frammento di Servilio4 pensavo appunto di scrivere una noterella, senonché mi sono sorti dei dubbi. Certo i confronti con l’Eneide hanno un notevole peso; tuttavia in Ennio la situazione sembra meno drammatica, meno tesa che nei passi virgiliani. Il fatto stesso che Ennio si indugi così a lungo a descrivere il carattere dell’amico di Servilio, dipende, sì, in primo luogo, come tu hai dimostrato5, dal temperamento L’anno è facilmente desumibile dal contenuto della lettera, che risponde alla precedente di M. 2 Sulla Sintassi vd. lett. 380. 3 Vd. le due lett. precedenti. 4 Sul frammento vd. lett. 369. 5 Ma si veda M. nella lett. seguente. 1 758 più ‘satirico’ che epico di Ennio stesso, tuttavia sembra anche indicare che il colloquio si svolge in una fase della battaglia ancora relativamente calma, non nel momento in cui ormai la catastrofe precipita. Insomma, non mi sento più tanto sicuro, e finirò quindi col non scrivere la noterella. (A proposito di questo frammento: uno dei punti più difficili a me sembra magnam cum lassus diei partem fuisset de summis rebus ecc., fino a sanctoque senatu6. Come diavolo bisogna costruire? cum fuisset lassus consilio lato ecc. ecc. = ‘essendo stanco per aver portato il suo consiglio ecc. ecc.’? In questo caso avremmo un esempio di fuisset = esset, mentre gli esempi sicuramente attestati sono più tardi. Oppure lassus, cum fuisset ecc. cioè ‘stanco per essere stato gran parte della giornata’ ecc.? allora bisognerebbe far dipendere indu foro sanctoque senatu da fuisset: ‘per aver trascorso gran parte della giornata nel foro e nel senato dicendo il suo parere sui più importanti affari di governo’; ma l’ordine delle parole non risulta troppo intricato? Ho visto poi per caso che in Kühner-Stegmann, tra gli esempi di de causale (‘in seguito a …’), è citato Ennio lassus de summis rebus regundis: ciò mi pare improbabile. Così pure non credo che abbiano ragione i molti che intendono lato come aggettivo (‘nel largo foro’) anziché come participio di fero, quantunque essi possano invocare il parallelismo con senatu che ha anch’esso il suo epiteto ornante (sancto). O bisognerà ammettere che Ennio abbia un po’ ‘perduto il filo’ del periodo, e rinunziare quindi a voler trovare una ‘costruzione’ del tutto rigorosa razionalisticamente?). Ho letto la tua postilla all’articolo di Peruzzi7; mi pare che essa apra la via ad un’interpretazione di quell’iscrizione molto più persuasiva di quelle finora tentate. L’articolo del Peruzzi non convince affatto, e per di più è pieno di inutile e scolastica erudizione. Tempo fa Ronconi mi mandò da recensire per l’«Atene e Roma» il libro di W. Speyer su Naucellio8. Accettai in linea di massima, ma ora Zicàri mi scrive che lo sta recensendo anche lui9, ed io rinuncerei ben volentieri. Tu l’hai letto? Io non ancora, ma da una prima superficiale scorsa mi è parso molto mediocre (così, a quanto mi scrive, lo giudica anche Zicàri). Proprio all’inizio c’è una ‘congettura’ sbagliata metricamente, honori per honore (e ripudiata poi in un foglio ciclostilato di addenda et corrigenda, inserito nel volume). Evidentemente Dahlmann, che dirige la collezione, non ha nem- Enn. ann., 236-8 V.2 magnam cum lassus diei | partem fuisset de summis rebus regundis | consilio indu foro lato sanctoque senatu. 7 Vd. lett. precedente. 8 W. Speyer, Naucellius und sein Kreis. Studien zu den Epigrammata Bobiensia, München 1959. 9 La rec. di M. Zicàri uscì in «ASNP», 28, 1959, pp. 327-34. 6 759 meno dato un’occhiata alle bozze. La filologia tedesca sta ‘italianizzandosi’ sempre più! L’indirizzo di Pacella è via S. Cecilia 20, Pisa10. Se gli scrivi due righe o gli mandi un estratto, gli fai senza dubbio un gran piacere. Merita di essere incoraggiato perché è intelligente (anche se mal preparato) e animato da grande passione per gli studi. Molte grazie della segnalazione del «Resto del Carlino», che a me sarebbe certamente sfuggito11. Coi più affettuosi saluti Sebastiano 10 11 Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 760 386 Pesaro, 19. 12. 1959 Carissimo Sebastiano, grazie della tua lettera e delle correzioni preziose alla Sintassi1. Bene per gli esercizi: li rivedrai anche tu in bozze? Speriamo che viribus unitis si riesca a non far uscire un libro obbrobrioso. Dopo l’aiuto fornitomi dagli amici e le tue parole d’incoraggiamento, mi sono un po’ rincuorato e cercherò anch’io di guardare le bozze con attenzione (sarebbe bene che l’editore ne mandasse due o tre copie), sebbene non riesca del tutto a riconciliarmi con questo libro nato sotto auspici poco buoni. A proposito dell’aiuto, permetterai che estenda pubblicamente a te il ringraziamento già rivolto a Traina: visto che l’ha accettato lui, spero che anche tu non ti vergognerai di essere nominato. Benissimo per Pacella: gli mando un estratto rallegrandomi per il suo lavoro, che mi pare davvero serio, anche se è chiaro il tuo intervento. Quanto alla recensione a Speyer, capisco le tue esitazioni. Conosco bene il libro, pieno di difetti ma in alcuni punti utile e rappresentante un progresso di fronte alle prime conclusioni di Munari e altri sui Bobiensia. Ho letto la recensione di Zicàri, che lamenta – come te – la mancanza della revisione di un maestro. Ho anche letto la recensione di Schmid per «Gnomon»2, inviatami con molte raccomandazioni di riserbo (che ti passo) [non ne ho parlato a Zicàri]. Mentre la recensione di Zicàri è in fondo cordiale, pur rilevando molti difetti, quella di Schmid, migliore e più impegnata nell’insieme, ha tuttavia un tono di acredine quasi stizzosa, dipendente certo da nascosta animosità verso Dahlmann e da un’intenzione apologetica verso Munari giusta nella sostanza, ma eccessiva nello sviluppo, da ‘difensore d’ufficio’. Certo, se ti riuscisse di dare un quadro sereno di pregi e difetti del libro senza perderci troppo tempo (perché, in fondo, non lo merita), una tua recensione direbbe una opportuna parola definitiva su questo Speyer, oggetto d’inestinguibil odio ecc.3 in una Germania anche per questo verso «italianizzata» [non che non ci fossero odi filologici anche un tempo in Germania, tutt’altro; ma erano fra persone di più alto livello e partivano per lo più da diversità di tendenze critiche, mentre ora partono da basse rivalità d’interessi personali]. Ora che siamo venuti a parlare dei Bobiensia, Vd. lett. precedente a cui M. risponde. Sulla Sintassi vd. lett. 380. La recensione di W. Schmid al libro di Speyer (cit. lett. precedente) uscì in «Gnomon», 32, 1960, pp. 340-60. 3 A. Manzoni, Il cinque maggio, 59-60. 1 2 761 ti dirò una cosa di cui avrei voluto parlarti già a Montecatini4; a voce ti avrei spiegato meglio e soprattutto avrei potuto chiederti consigli particolari. Ma ti accenno all’essenziale, visto che non so quando ci rivedremo. In seguito a una reazione molto cordiale di Jachmann alle nostre note sui Bobiensia5 e alla solita officiosità di Jachmann stesso, ed essendo io d’accordo con Munari, Ziegler mi ha incaricato di fare l’articolo sui Bobiensia per il futuro supplemento della RE6, lavoro che conviene, mi sembra, dividere in aggiunte all’articolo del Kroll su Naucellio7 e in una trattazione a parte s. v. Epigrammata Bobiensia. Ho cominciato già a lavorare, ma, poiché non so se farò a tempo nei limiti molto ristretti assegnatimi da Ziegler (in pratica gennaio 1960!) e se il lavoro verrà bene e sarà effettivamente accettato (vero è che ora la RE è in forte ribasso), preferisco che la cosa rimanga fra un ristrettissimo numero di amici. Spero di avere il tempo di farti almeno leggere i dattiloscritti, su cui mi potrai dare aiuti preziosi; e, di fronte a grosse difficoltà, ti scriverò, se me lo permetti. Che peccato abitare così lontani! […] Grazie del giudizio sulla mia noterella8 (di cui pare che mi mandino estratti, e naturalmente te ne invierò uno); ma sei troppo benevolo, e nulla proprio di sicuro mi pare di aver detto. Ho lasciato per ultimo Ennio per raccogliere le forze in una finale vigorosa esortazione a fare l’articolo su Servilio9. Con tutta sincerità, la tua autoobiezione mi sembra che non abbia alcun valore. Ennio non era astretto a regole di gusto, a freni d’arte simili a quelli di poeti più tardi; e quindi la ‘non drammaticità’ della situazione non è affatto deducibile dalla distesa descrizione dei rapporti fra Servilio e l’amico. Fino a che punto possa qui essere entrato il gusto per la varietas a cui accennai nel mio libro10, non so davvero, e le mie erano pure ipotesi; mi pare che basti, comunque, accennare negativamente alla questione (cioè dire che l’apparente scarsa tensione drammatica non si oppone affatto alla tua ipotesi, trattandosi appunto di un poeta arcaico) o meglio ancora non fare l’auto-obiezione. Quanto alle interpretazioni che tu presenti (e che ricordo mi comunicasti vari anni fa)11, mi pare che: 1) fuisset = esset sembra ottimo; l’altra interpretazione a cui accenni (e Sul mancato soggiorno di M. a Montecatini vd. lett. 375-7. Vd. lett. 335. 6 S. M., Epigrammata Bobiensia, RE, Suppl. IX, 1962, coll. 37-64 (rist. in trad. it. in SFC, pp. 216-45), su cui vd. lett. 394, 404-8. 7 RE, XVI, 1935, col. 1898. 8 M., Postilla (su un’iscrizione latina arcaica) (cit. lett. 384). 9 Sul frammento vd. lett. 369. 10 LE, p. 120 (= LE2, p. 76). 11 Vd. lett. 102. 4 5 762 che si potrebbe presentare anche nell’articolo per scartarla come meno probabile) sembra davvero di una durezza intollerabile; 2) più che probabile, direi certa mi pare l’unione di lato con consilio (già in Pascoli, non so se anche in altri). Il fatto che senatus abbia un epiteto ornante non mi pare significativo. Cfr. Cic. poet. fr. 11, 57 Mor. populus (senza agg.) sanctusque senatus; la clausola torna, mi pare, anche in Virgilio, ma non ricordo in che contesto12. Su una «perdita del filo» da parte di Ennio avrei dubbi, finché non si possa dimostrarla con fondamento sicuro. Dunque spero che farai l’articolo. I confronti virgiliani sono così importanti che mi pare che tu non debba rinunciare assolutamente. Affettuosi saluti dal tuo Scevola PS. ‒ Anche alla tua Mamma e anche da parte di mia moglie, gli auguri migliori per le feste prossime e per il 1960. 12 Verg. Aen., 1, 426 (vd. lett. successiva). 763 387 Pisa, 24. 12. 1959 Carissimo Scevola, la Sintassi dovrebbe, credo, essere già in tipografia1. S’intende che rivedrò le bozze (probabilmente le rivedrà anche Manfredi). Quanto al ringraziamento nella prefazione, è del tutto escluso che io mi vergogni (!) di essere nominato, giacché la Sintassi risulterà in sostanza un buon lavoro (tanto più se anche tu riguarderai le bozze, correggendo ciò che eventualmente ci sia sfuggito); soltanto io penso che, dal momento che non possiamo fare a meno di citarci frequentemente in lavori filologici, dovremmo almeno cercare di evitare citazioni e ringraziamenti in opere scolastiche. Aggiungi che, mentre Traina ha riguardato il dattiloscritto solo amicitiae causa, a me il lavoro di revisione è stato regolarmente compensato dalla Nuova Italia (il che non toglie affatto, beninteso, che io l’abbia eseguito volentieri); perciò ti pregherei di non citarmi. Ad ogni modo ne riparleremo. Sono contentissimo che abbiano affidato a te l’articolo sui Bobiensia per la RE: scelta migliore non potevano fare. Tu mi accenni che non sai se farai in tempo ecc., ma io ho fiducia che non rinuncerai i n n e s s u n c a s o : sarebbe veramente un peccato imperdonabile! Tu sei già preparato benissimo sull’argomento (e hai da apportare varie correzioni e integrazioni a ciò che ha scritto Munari): l’articolo ti riuscirà quindi senza dubbio benissimo, né ti costerà eccessiva fatica. Mi è molto utile ciò che mi scrivi sul libro di Speyer. Stando così le cose, intendo rinunciare senz’altro ad una recensione impegnativa, la quale sarebbe, sì, come tu dici, utile, ma mi richiederebbe troppo tempo. Dirò quindi a Ronconi che il libro è stato già recensito in modo esauriente da Zicàri2 (a Schmid non accennerò) e che io rinuncio; se strillerà molto, farò per l’«Atene e Roma» una breve ‘scheda’, rinviando a Zicàri (e, se nel frattempo sarà uscita, anche alla recensione di Schmid). Giustissimo ciò che scrivi sulle odierne rivalità tra filologi tedeschi. Quanto ad Ennio, la tua vigorosa esortazione ha avuto un certo effetto, e di nuovo sono incline a scrivere un articoletto sul frammento di Servilio3, sebbene la mia auto-obiezione non mi sembri tanto facilmente superabile come a te pare. Che io, in fatto di studi enniani, sia ormai molto arrugginito, è dimostrato dal fatto che ti ho chiesto il tuo parere su cum lassus fuisset 1 2 3 Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Sulla Sintassi vd. lett. 380. Vd. anche lett. 385. Sul frammento vd. lett. 369. 764 ecc. senza ricordarmi che ne avevamo già discusso anni fa4! Ora, anzi, mi sono ricordato che su fuisset = esset in questo frammento enniano avevo, a quel tempo, scritto una noterella e l’avevo mandata a Scarpat per «Paideia». Ma Scarpat mi aveva obiettato che, anche costruendo come io proponevo, non si poteva parlare di un vero e proprio «piuccheperfetto in vece dell’imperfetto», perché cum lassus fuisset è, in sostanza, ‘essendosi stancato’, ‘ e s s e n d o d i v e n u t o (e quindi e s s e n d o ) stanco per tutto ciò che aveva fatto nel corso della giornata’. Trovai giusta questa osservazione (tanto più che i veri e propri esempi sicuri di piuccheperfetto invece dell’imperfetto sono tutti assai più tardi, cfr. Kühner-Stegmann) e quindi non pubblicai la nota. – Quanto a lato5, bisognerà proprio intenderlo come participio di fero; anch’io mi ero segnato Cic. populus sanctusque senatus (insieme con Verg. Aen. 1, 426 iura magistratusque legunt sanctumque senatum) ma non avevo pensato che questi raffronti confermano che non c’è bisogno di dare un epiteto ornante a foro. Anche a te e ai tuoi i più vivi auguri miei e di mia madre per le prossime feste e per il nuovo anno, nella speranza che si presenti tra non molto l’occasione di vederci. Tuo Sebastiano [PS. ‒]6 Avrai saputo che Frugoni è stato nominato vice-direttore della Normale (ciò che era prevedibile). Nulla so di Fraenkel né di altri inviti. Che abbiano deciso di non invitare più nessuno e di utilizzare alla Normale i soli professori pisani? Non sarebbe una soluzione brillante! 4 5 6 Enn. ann., 237 V.2, su cui vd. lett. 102. Enn. ann., 238 V.2. Aggiunta manoscritta. 765 388 Pesaro, 31. 12. 1959 Carissimo Sebastiano, grazie di quanto mi scrivi sulla Sintassi1. Quanto ai ringraziamenti nella Prefazione, ne riparleremo, se vuoi; comunque debbo precisarti fin da ora che la revisione di Traina fu fatta sì anche amicitiae causa (come amicitiae causa è stata fatta la tua – direi ‘esclusivamente’, per quanto riguarda il lato non tipografico), ma che Traina fu anche lui compensato dalla Nuova Italia, a cui avevo fatto il suo nome per una prima revisione, quando non sapevo ancora che tu fossi tornato alla Nuova Italia. Ti confesso che l’obiezione di Scarpat alla tua spiegazione di lassus fuisset nel frammento enniano2 mi pare assai nebulosa. Essa varrebbe se ci fossero in questa epoca esempi di sum = fio, ma io non li conosco né per questa epoca né per l’età classica (forse nel tardo latino? ma anche di questo non sono sicuro). Ma, finché lassus vuol dire ‘stanco’ e cum … fuissem vuol dire normalmente ‘essendo stato’, è chiaro che bisogna in quel contesto intendere fuisset = esset. Che Ennio possa anche essere stato influenzato psicologicamente, nello scrivere la frase complicata, dal fatto che l’origine della stanchezza era precedente, che si sia insomma lievemente ‘impaperato’, sarei disposto anche a concedere (in fondo il passaggio dal valore di fuissem a quello di imperfetto nasce da simili quasi impaperamenti, o meglio confusione del senso dei tempi); ma escluderei che confusioni del genere fossero possibili se già fuissem non si avviava a diventare ‘fossi’. Immaginavo anch’io che Frugoni, specialmente ora che ha lasciato l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, sarebbe stato nominato vicedirettore della Normale. Con tutta sincerità: a me, in fondo, la Normale sta a cuore più per la possibilità di venirci stabilmente in futuro che per poterci tenere altri seminari. L’unica ragione per cui mi dispiaccia di non esserci invitato ora è quella di non poterti vedere con qualche calma. E, per la ragione detta sopra, mi dispiacerebbe se, in luogo di chiamare me, chiamassero per seminari (simili al mio) altri professori non pisani. Questo, ti ripeto, sincerissimamente. Ancora auguri affettuosi dal tuo Scevola 1 2 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Sulla Sintassi vd. lett. 380. Enn. ann., 237-8 V.2, su cui vd. lett. 102. 766 3891 Pisa, 30. 1. 1960 Carissimo Scevola, dài e dài, il Fraenkel è riuscito a farsi invitare. Verrà, pare, verso la metà di marzo. Lo ospiterano al Victoria perché la Normale non offre le numerose comodità da lui richieste (per es. di avere un bagno solo per sé, et similia). Farà un seminario sulle interpolazioni in Petronio. Il morbus Jachmannianus delle interpolazioni continua ad infuriare. Coraggio! I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano [PS. ‒] Ho avuto grande piacere di rivedere Italo a Firenze, purtroppo per pochi minuti. E noi quando ci vedremo? Della Festschrift Terzaghi hai saputo più nulla2? 1 2 Cartolina postale manoscritta. Vd. lett. 376. 767 390 Pesaro, 31. 1. 1960 Carissimo Sebastiano, Della Corte, che mi aveva altra volta parlato della cosa, mi ha scritto una lunga lettera in cui illustra un suo piano di un’edizione di frammenti che dovrebbe comprendere, in più volumi, Morel (cioè autori contenuti in Morel) + Ribbeck + frr. di Varrone, Menippee + frr. di Lucilio. Fra i collaboratori vi saranno Ferrarino, Traglia e altri. Egli vorrebbe che tu («magari facendoti aiutare da Pacella che ti è molto devoto») facessi gli Annali, e qualcosa anch’io. Io sono quasi convinto che tu non diresti di sì, né io mi sento molto di affrontare un lavoro del genere. Ma se per caso tu fossi disposto a fare gli Annali (o anche di più), non rifiuterei e farei certamente qualcosa anch’io, per lavorare insieme (ma dove andrebbe la già così lenta AL.1?). Lasciamo perdere che Della Corte dice che, per lavorare poco, potrei fare p. es. gli Hedupagetica: un frammento solo!! L’edizione avrebbe una certa diffusione senza dubbio, e darebbero l’8% (ben poco). Poiché Della Corte è tanto gentile quanto insistente, se credi, nel rispondermi, scrivimi in modo che possa mandargli la tua (ma questo non è necessario). Ti riscriverò più a lungo a giorni. Vorrei darti un’altra seccatura: se hai l’estratto (o due estratti?) di Momigliano sugli Anicii2, che nella confusione dei cambiamenti di casa non ritrovo, me lo potresti (o li potresti) prestare per qualche giorno? Ho avuto l’importante edizione lapenniana degli scoli all’Ibis3: ho visto per ora un tuo sicuro contributo nello scolio a 363 e credo che anche altri ce ne saranno4. Affettuosi saluti dal tuo Scevola PS. ‒ A proposito della tua ultima5, di cui ti ringrazio: a me non risulta, come avevi dubitato, che alla Normale intendano chiamare altri. Grazie dell’affetto con cui segui il ‘letargo’ dei rapporti fra me e la Normale! Sul progetto di edizione vd. lett. 288. A. Momigliano, Gli Anicii e la storiografia latina del VI sec. d. C., «RAL», s. VIII, 9, 1956, pp. 279-97 (= Id., Secondo contributo alla storia degli studi classici [cit. lett. 313], pp. 231-53). 3 Scholia in P. Ovidi Nasonis Ibin, a cura di A. La Penna, Firenze, 1959. 4 Congetture di Timpanaro alle pp. 4, 6, 7, 16, 56, 70, 73, 83, 105, 177 (vd. M. Feo, L’opera di Sebastiano Timpanaro, «Il Ponte», Suppl. al n. 10-1, ottobre-novembre 2001, p. 15). 5 Lett. non conservata. 1 2 768 3911 Pisa, 5. 2. 1960 Carissimo Scevola, pochi giorni dopo aver ricevuto la tua lettera2 ho visto Della Corte qui a Pisa: si è fermato alcune ore, venendo da Roma, e poi è ripartito per Genova. L’incontro è stato molto cordiale (c’era anche Pacella), e devo dire che mi ha fatto un’impressione assai simpatica. Abbiamo parlato soprattutto dell’edizione del Leopardi filologo, ma Della Corte mi ha anche esposto il suo progetto di edizione dei frammenti degli arcaici latini. Il progetto, se si realizzerà, sarà senza dubbio bello; ma io, che non mi occupo più di latino arcaico da tanti anni e sono ormai impelagato in lavori di storia della filologia (senza contare l’Anthologia Latina che, in fondo, sarebbe bello fare3), non me la sento di lavorarci. E poi, su Ennio incombe pur sempre l’edizione di Skutsch, che speriamo venga fuori un giorno o l’altro; è vero che essa, per quel che si può intravedere, sarà per parecchi aspetti assai discutibile, tuttavia rappresenterà pur sempre qualcosa da studiare attentamente prima di intraprendere una nuova edizione. Comunque – e ti prego di credere che questo non è un ‘complimento’, che tra noi sarebbe sciocco – attualmente tu sei molto più preparato di me per fare un’edizione di Ennio, e io spero che, dopo Andronico e Nevio, tu voglia completare la triade4; soltanto, forse ti converrebbe di più fare anche Ennio per Oxford. Della Corte, comunque, non ha molto insistito e mi è sembrato che fosse già preparato ad un mio no. Io gli ho molto lodato il progetto, che in sé, ripeto, mi par buono. Mi ha detto, e ne sono lieto, che Italo farebbe Lucilio. Ti mando oggi stesso gli articoli di Momigliano sugli Anicii e scusami del ritardo. Tienili quanto vuoi. I miei contributi all’edizione lapenniana degli scolii all’Ibis sono di probabilità assai disuguale: qualcuno mi pare abbastanza sicuro, altri non meritavano di essere citati. L’edizione mi pare molto buona, tuttavia ci sono ancora molti passi su cui potrà esercitarsi l’acume dei filologi. Scusa la fretta e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 1 2 3 4 Lettera manoscritta. Si tratta della lett. precedente, a cui T. risponde. Sul progetto di edizione vd. lett. 278. Vd. lett. 275. 769 3921 Pesaro, 12. 2. 1960 Carissimo, in aggiunta alla mia ultima2. Avevo dimenticato di risponderti alla ‘postilla’ relativa alla mia andata a Genova. Conto, sì, di andarci nella prima metà di maggio per pochi giorni, e spero anche di fermarmi a Pisa (dove ora sono stato nominato in una commissione per abilitazioni per errore – o più esattamente pasticcio – del ministero, ma spero di avere Ancona, che avevo chiesto e dove mi è naturalmente molto più comodo andare). Dovrei trattare un argomento ‘nostro’, i falsi umanistici enniani3, su cui ho qualche cosetta che credo di averti scritto o accennato (ma che comunque non costituisce nessun progresso rispetto al testo enniano) e fare un paio di lezioni sul Babio4. Sto leggendo questi giorni il manoscritto di note di Cazzaniga ai Bobiensia5, che io stesso l’ho in origine spinto a scrivere in seguito a qualcosa che mi aveva accennato e che mi pareva abbastanza buono; ma ora – e non saprò dirglielo – l’impressione è meno buona. Le sue congetture sono quasi tutte inutili, anche se denotano buona cultura nel campo della storia dell’epigramma e della tecnica letteraria. Ho letto anche il manoscritto di un articolo di Bolelli su Petronio6: ha affrontato passi difficilissimi, mi pare, senza grandi risultati. Ora avrà modo di tenzonare su di essi col Fraenkel (che probabilmente espungerà i passi relativi!!?). Affettuosamente Scevola Cartolina postale. Non conservata. Si trattava della risposta di una lettera di T. ugualmente perduta, come si ricava dal successivo accenno alla ‘postilla’ su Genova. 3 Vd. lett. 380. M. definisce «nostro» l’argomento perché anche T. si era occupato di «falsi enniani»: cfr. S. T., Per una nuova edizione critica di Ennio, «SIFC», 22, 1947, pp. 179-207. 4 A questa commedia è dedicata la nota apparsa l’anno successivo Comoediae de Babione versus 179 explicatur, «RCCM», 3, 1961, p. 255 (= SMU, pp. 45-6; = SMU 2 = SMU 3, pp. 59-60). 5 Vd. I. Cazzaniga, Note marginali agli epigrammi Bobbiesi, «SIFC», n.s., 32, 1960, pp. 146-50. 6 T. Bolelli, Su alcuni passi controversi del ‘Satyricon’ di Petronio, «ASNP», 28, 1959, pp. 311-5. 1 2 770 3931 Pisa, 12. 2. 1960 Carissimo Scevola, oggi il Campanile (che, come certo ricordi, seguì il tuo seminario e collaborò a quelle nostre noterelle bobiensi)2 mi ha detto di aver chiesto a Frugoni di invitarti alla Normale (la richiesta è stata fatta da lui anche a nome di Moreschini e di altri studenti di filologia classica) e di averne ricevuto risposta senz’altro a f f e r m a t i v a . Frugoni, che stava per partire per Roma, ha detto che appena tornerà a Pisa, cioè giovedì della prossima settimana, ti scriverà invitandoti a tenere un seminario p r i m a d i F r a e n k e l , cioè prima della metà di marzo. Puoi immaginare quanto questa notizia mi abbia rallegrato. Ne sono lietissimo sia perché riprendono così i tuoi rapporti con la Normale – dove speriamo che tu un giorno possa venire a insegnare s t a b i l m e n t e – sia perché potremo finalmente vederci e discorrere di tante questioni che ci stanno a cuore. Ciò mi farà, poi, sopportare aequiore animo gli sfoghi bisbetici di Fraenkel. Mi ha fatto anche molto piacere di vedere che tra gli studenti e i perfezionandi della Normale c’è chi si ricorda di te e desidera riascoltarti. Su che argomento farai il seminario? Anthol. Lat., Sinesio, latino arcaico… ? Quanto all’edizione di Ennio, io non dicevo che tu dovessi farla per Della Corte, ma per qualche altra collezione3; e le mie parole, non c’è bisogno di precisarlo, non era affatto scherzose. Ho piacere che tu riveda personalmente la Sintassi4, perché parecchio può essermi sfuggito – o, talvolta, posso aver fatto ritocchi e soppressioni troppo drastiche –. Insisterei per n o n essere ringraziato nella prefazione, per il motivo che già ti scrissi (con tante occasioni che abbiamo avuto e avremo di citarci scambievolmente in lavori filologici, vediamo almeno di non citarci in opere scolastiche, altrimenti davvero diranno che noi ecc. ecc.)5. Non credo ci sia da temere che ti addebitino correzioni straordinarie (la mia ‘autorità’ presso la Nuova Italia è nulla in tali questioni, ma di regola ricorrono a una simile misura solo in caso di correzioni numerosissime e che sconvolgono l’impaginazione). La tipografia che stampa la tua Sintassi, 1 2 3 4 5 Lettera manoscritta. Segue uno scambio epistolare tra M. e T. non conservato. Vd. lett. 335. Vd. lett. 391. Vd. lett. 380. Vd. lett. 388. 771 come avrai visto, è molto scadente e saranno ancora necessari vari giri di bozze. Arrivederci a presto, dunque, e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 772 394 Pesaro, 16. 2. 1960 Carissimo Sebastiano, la tua lettera di venerdì1, che ho trovato solo ieri sera ritornando da Urbino dove avevo avuto esami, mi ha fatto molto piacere, e ti sono gratissimo di quello che mi hai scritto e di come me l’hai scritto. Naturalmente non rifiuterò l’invito di Frugoni, anche – credimi – per il piacere di rivederti (e sicuro come sono che sull’interessamento di Campanile e Moreschini ha influito, in un modo o nell’altro, la tua amicizia per me). Purtroppo in questo periodo sono carico di lavoro e impegni (sai che non ho molta resistenza al lavoro, scientifico e non): dovrei finire con una certa urgenza l’articolo per la RE2, preparare una comunicazioncella umanistica per un congresso della «Società per l’ediz. dei testi di lingua» (se si chiama così) da tenere a Bologna nella seconda metà di marzo (non ho potuto dir di no alle insistenze di Spongano, e presenterò osservazioncelle umanistiche di scarso rilievo di cui ti dirò)3, dovrò andare parecchie volte, tra fine febbraio e inizio di marzo, ad Ancona per le abilitazioni decentrate (a Pisa credo che sia nominato Gentili), per l’8 marzo sono fissate a Roma le docenze di latino4 (c’è tutta una situazione delicata e antipatica di cui pure ti parlerò). Non voglio fare l’uomo ‘indaffarato’, ma solo spiegarti perché – se, come credo, l’invito frugoniano sarà fatto escludendo o non lasciando aperta la porta a rinvii (e del resto non posso venire dopo Fraenkel!) – cercherò di mantenere nei limiti di tempo più ristretti la mia piacevole parentesi pisana e non ho tempo di prepararmi come vorrei. In questo momento non mi sentirei davvero di fare l’Anth. Lat., sostanzialmente impreparato come sono sull’argomento e con profonda idiosincrasia per gli epigrammi per colpa dei Bobiensia. Sinesio (Inni) andrebbe bene, perché, partendo dall’edizione di Terzaghi5, potrei dire qualcosa Vd. lett. precedente del 12 febbraio, che era infatti un venerdì. M., Epigrammata Bobiensia (cit. lett. 386). 3 S. M., Cronologia di congetture e congetture superflue, in Studi e problemi di critica testuale. Convegno di Studi di filologia italiana nel Centenario della Commissione per i testi di lingua (7­9 aprile 1960), Bologna 1961, pp. 359-68 (= SMU, pp. 219-30 = SMU 2 = SMU 3, pp. 301-12). 4 Nel marg. inf. del foglio si legge: «ma sono, spero, ancora rinviabili. Aggiungo la discussione di un paio di tesi e la correzione delle bozze, pur così alleggeritami da te!». Le bozze a cui M. riferisce sono quelle della Sintassi, su cui vd. lett. 380. 5 Vd. lett. 377. 1 2 773 di non già noto agli studenti; ma temo di scoprire troppo la mia cattiva conoscenza e in dies più scarsa esperienza di greco. D’altronde cosa altro potrei fare? Non, direi, gli arcaici, già trattati anni fa e su cui non avrei nulla di nuovo da dire. Semmai l’Apokolokyntosis, ma anche qui non avrei niente di nuovo o quasi, tranne, se mai, l’esposizione di difficoltà e qualche soluzione tradizionalmente accolta. Ma consigliami tu: lasciare la scelta fra Sinesio e Apokolokyntosis agli studenti, attraverso Frugoni? o farsi coraggio e proporre Sinesio? Grazie di quanto mi scrivi delle correzioni sulle bozze della Sintassi6. E grazie soprattutto dei contributi innumerevoli e preziosi. Dei ringraziamenti pubblici parleremo. Ti abbraccia il tuo Scevola 6 Vd. lett. 380. 774 395 Pesaro, 22. 2. 1960 Carissimo, in tutta fretta: ho avuto l’invito da Frugoni e scrivo accettando per una settimana dal 9 al 151. A Campanile rispondo che continuo a preferire Sinesio per non ritornare su argomenti trattati in questi ultimi anni e perché Frugoni fa solo latino; ma potrei anche fare due o tre esercitazioni su falsi enniani2 (cose da poco, ricordatene!!), l’unico argomento su cui avrei qualche osservazioncella da fare, che ti sottoporrò preventivamente. Ma su questo punto ho lasciato la decisione a Frugoni, che l’anno scorso mi parve preoccupato di non sovraccaricare di lezioni i normalisti. Su Sinesio dovrò prepararmi molto in fretta, e spero che non compaia in tutta la sua cruda realtà la mia ignoranza di greco. Grazie ancora infinitamente di tutto. A presto e un abbraccio dal tuo Scevola PS. ‒ Se ti è possibile, mi vedresti, per favore, se esistono in biblioteca a Pisa H. Jordan, Topographie der Stadt Rom im Alterthum (Berlin ca. 1870)3, Platner-Ashby, A topographical Dictionary of ancient Rome (Oxford 1929), Preller, Die Regionen der Stadt Rom (Jena 1846)? Dovrei vederli brevemente e, se ci sono a Pisa, il mio compito sarà facilitato. Grazie. Sul seminario pisano vd. le due lett. precedenti. In proposito tuttavia T. doveva avere scritto un’altra lettera, perduta, comunicando a M. le preferenze di Campanile sull’argomento da trattare. 2 Vd. lett. 380. 3 In realtà 1871. T. annota nel marg. inferiore della lettera solo la collocazione di questo primo volume, segno evidente che gli altri libri non erano presenti a Pisa. 1 775 3961 Pesaro, 17. 5. 1960 Carissimo Sebastiano, non sapevo nulla di Grassi2. La notizia mi colpisce profondamente. So quanto gli sei amico e quanto vale. L’ho visto di rado, ma da te e dal poco che ha pubblicato ho avuto modo di farmene un concetto molto alto. Mi sembra, da quello che scrivi, che ci siano poche speranze. Se non è sconsigliabile per ovvie ragioni, vorrei scrivergli o pregarti di dirgli a mio nome una parola di solidarietà e di amicizia. Ricambia, per favore, i saluti a Tandoi anche a nome di Italo. Affettuosamente tuo Scevola Cartolina postale. Su Eugenio Grassi vd. lett. 27; sulla malattia che lo portò alla morte prematura vd. lett. 398. M. risponde a una comunicazione di T., perduta, con notizie sull’aggravarsi delle condizioni del Grassi. 1 2 776 397 Pesaro, 26. 5. 1960 Carissimo, la notizia della fine immatura di Grassi mi addolora profondamente1. Ho telegrafato subito alla madre. Suppongo che, in un momento di minore tristezza, penserai a ricordarlo con uno scritto, data la dimestichezza che avevi con lui; e quella potrebbe essere l’occasione per assicurare la conservazione dei suoi contributi inediti di cui sei a conoscenza (fra cui quello acutissimo luciliano)2. Purtroppo anche noi stiamo passando momenti non lieti. Mio padre ha fatto una grave caduta con rottura del femore: data la sua età e le sue condizioni, non ci voleva davvero! Ora è all’ospedale e, anche se tutto si risolverà bene, sarà ben difficile che riprenda a camminare. Questo ti spiega perché mia moglie non abbia ancora scritto alla tua Mamma per ringraziarvi del magnifico volume; ma lo farà presto. Ringrazia intanto per me la tua Mamma dell’estratto interessantissimo che mi ha mandato3: l’ho letto durante una delle mie quotidiane, svogliate andate ad Ancona ed è servito a risollevarmi un poco in un periodo davvero poco allegro! Un abbraccio fraterno dal tuo Scevola Vd. lett. precedente. S. T. pubblicherà, con la collaborazione di V. Bartoletti, F. Bornmann e M. Manfredi, gli Inediti di Eugenio Grassi in «A&R», s. V, 6, 1961, pp. 129-65, e 15, 1970, pp. 20-4. Sugli Inediti vd. lett. 398-400, 413-4, 422-3, 438-9. Inoltre T. dedicherà a Grassi La genesi del metodo del Lachmann (cit. lett. 366) riservandogli commosse parole nella prefazione. 3 Si tratta più probabilmente di M. Timpanaro Cardini, La zoogonia di Empedocle e la critica aristotelica, «Physis», 2, 1960, pp. 5-13 che del precedente La clessidra di Empedocle e l’esperienza di Torricelli, in Convegno di Studi Torricelliani, Faenza 1958, pp. 151-6. Vd. lett. successiva. 1 2 777 398 Pisa, 30. 5. 1960 Carissimo Scevola, la notizia dell’infortunio subìto da tuo Padre1 mi addolora vivamente. Ho fiducia che la sua forte tempra riuscirà a superarlo e a ristabilirsi in un tempo relativamente breve. Ti prego di fargli, anche a nome di mia madre, i più fervidi auguri. Comprendo bene il tuo stato d’animo; quando si ha una persona cara che non sta bene, va via anche la voglia di lavorare. Ma, ripeto, mi auguro che tutto proceda bene e che tuo Padre possa presto riprendere una certa attività. La morte così atroce e immatura del Grassi ha suscitato, come puoi immaginare, un senso di costernazione e di dolore profondo in me e in tutti i suoi intimi amici. Già da un paio d’anni eravamo alquanto preoccupati per lui; tuttavia proprio in questi ultimi mesi sembrava che si fosse rimesso assai bene, quando, una trentina di giorni fa, il male è riesploso in forma ormai catastrofica. Si è trattato di un tumore diffusosi a tutto il sistema linfatico, contro il quale non è stato possibile – in quest’ultima fase – fare nulla. Egli viveva con sua madre e con una sua vecchia zia, e puoi immaginare lo strazio di queste due povere donne rimaste assolutamente sole. Senza dubbio faremo qualcosa (forse un numero dell’«Atene e Roma» dedicato a lui) per rendere noti i numerosi contributi filologici che egli amava comunicare oralmente agli amici e che in nessun modo acconsentiva a pubblicare. Oltre a quel contributo luciliano che conosci, io conosco di lui alcune congetture a Giulio Africano, un’ottima difesa della tradizione manoscritta in Anth. Lat. 1, 10, 8 (p. 14 Riese: Mezenti caede piata, ‘vendicata la strage compiuta da Mezenzio’, genitivo soggettivo; inutile quindi il mio Pallantis e le altre congetture), e alcuni contributi, di cui uno di grande acutezza, a testi umanistici. Anche la congettura clune in Anth. Lat. 298, 2 era stata fatta da lui indipendentemente da me2. Ho inoltre alcune sue lettere contenenti osservazioni di metrica greca molto interessanti (egli aveva sottoposto il concetto wilamowitziano e pasqualiano-perrottiano di ‘equivalenza’ ad una critica assai più radicale e conseguente della mia; aveva mostrato come i metricologi moderni inquadrino nelle categorie di ‘reiziano’ e di ‘enoplio’ kola spesso diversissimi, senza alcun rapporto tra loro; aveva studiato i termini di ‘arsi’ e ‘tesi’ nei metricologi antichi, 1 2 Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Vd. Contributi1, p. 570 nota *. Vd. lett. 422. 778 formulando un’ipotesi che credo assai acuta). In questi ultimi tempi si era occupato specialmente di Pindaro e del Dyskolos di Menandro; io non conosco questi suoi studi (a me non ne aveva parlato se non molto di rado, data la mia totale ignoranza di Pindaro e di Menandro), ma altri suoi amici, specialmente Fritz Bornmann, conoscono qualcosa, e pare che abbia lasciato anche molti appunti. – Certo, se un esasperato senso autocritico non avesse inceppato la sua attività, il Grassi avrebbe potuto, per l’ingegno e la cultura, essere uno dei maggiori filologi d’Italia e, direi, d’Europa. Non ho mai conosciuto nessuno che sapesse il greco con tanta sicurezza e con una ‘naturalezza’ così straordinaria. In parte questo eccesso di autocritica e questa specie di aristocraticismo spirituale che finisce col paralizzare ogni attività sono una caratteristica comune all’ambiente dei giovani filologi fiorentini (penso a Manfredi, a Bornmann, che sanno anch’essi tante cose e non pubblicano un rigo). Nel Grassi ciò è particolarmente doloroso perché era senza dubbio il più intelligente e il più preparato di tutti. Mia madre ti ringrazia molto delle gentili parole sul suo articolo empedocleo. Non so se hai visto, nell’ultimo «Atene e Roma», una mia breve recensione alla terza edizione degli Amores di Munari3 (non ho ancora ricevuto estratti). Ad alcuni amici è sembrata troppo critica o, comunque, non molto amichevole. Ciò mi preoccupa perché le mie intenzioni erano state del tutto opposte: io avevo voluto sottolineare il valore di quest’opera, aggiungendo solo poche osservazioni marginali, di scarso rilievo, che nulla toglievano al suo pregio. A te che impressione ha fatto? Mi dispiacerebbe moltissimo che il Munari vi scorgesse un segno di gusto ipercritico e di scarsa amicizia. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Rec. a P. Ovidi Nasonis Amores, testo, introduz., traduz. e note di F. Munari, Firenze 1959, in «A&R», s. V, 5, 1960, pp. 42-4. 3 779 399 Pisa, 15. 6. 1960 Carissimo Scevola, grazie della lunga e affettuosa lettera1. Sono contento che le condizioni generali di tuo Padre siano notevolmente migliorate2: questa è, intanto, la cosa principale. Capisco che il riprendere a camminare richiederà tempo e difficoltà, ma mi auguro con tutto il cuore che anche da questo punto di vista vi sia un miglioramento. Ti prego di rinnovargli l’espressione dei miei più fervidi auguri. Ieri l’altro, dunque, c’è stata la riunione per la Festschrift Terzaghi3. C’erano Nencioni, La Penna, Bartoletti, Ronconi, e Giuffrida venuto da Torino. Nencioni ha dato lettura di un lungo carteggio da lui avuto col dott. Barrera (Bottega d’Erasmo), il quale, dopo aver fatto grandi profferte iniziali (pareva quasi disposto a stampare il volume gratis!), è andato via via aumentando le proprie esigenze finanziarie, fino a far naufragare la cosa. Si è perciò convenuto di rivolgersi a Le Monnier, nella speranza che faccia condizioni analoghe a quelle già fatte per i volumi in onore di Paoli e di Devoto (cioè che si accontenti di un elenco di sottoscrittori, senza pretendere, come pretendeva Barrera, che l’università di Firenze acquisti i n p i ù un centinaio o due di copie). Tale soluzione è ragionevole; senonché Nencioni ha avuto il torto di perdere molti mesi, rispondendo con enorme ritardo alle lettere di Barrera e tirando la cosa in lungo anche quando era ormai chiaro che Barrera intendeva ‘sganciarsi’. Perciò Bartoletti, La Penna ed io abbiamo insistito sulla necessità di procedere d’ora innanzi con maggiore sollecitudine, informando via via il comitato delle decisioni prese o da prendere. Nencioni ha riconosciuto che finora tutto era proceduto con eccessiva lentezza (anche perché egli era stato impegnato in commissioni di concorsi universitari) e si è impegnato ad accelerare. Speriamo bene. Intanto è stato buttato giù un primo elenco di studiosi da invitare al più presto. In esso sono compresi, naturalmente, tuo fratello e Zicàri, e in complesso si è deciso (in conformità a quanto mi avevi scritto) di invitare soprattutto studiosi, italiani e stranieri, vicini a Terzaghi per ragioni di studio, escludendo sia studiosi di indirizzo estetizzante, lontani dalla filologia, sia gente che ha avuto recenti scontri personali con Terzaghi e che egli, a quanto ha fatto capire, non gradirebbe. Appena avrò notizia della risposta di Paoletti, ti scriverò. 1 2 3 Non conservata. Vd. le due lettere precedenti. Vd. lett. 376. 780 Sono contento che anche a te sembri opportuna l’idea di raccogliere i contributi del Grassi4 (ve ne sono anche alcuni a Pindaro e agli scolii pindarici, che io non conoscevo, ma che egli aveva comunicato al Bornamnn: e sembrano davvero ottimi). Su questioni di metrica io possiedo alcune sue lettere non pubblicabili nella loro integrità (perché molto polemiche, specialmente nei riguardi di Perrotta), ma dalle quali si possono stralciare ampi brani; vi sono inoltre alcuni appunti tra le sue carte e altre cose che egli mi comunicò oralmente. Pare – a quanto ci ha detto Pugliese Carratelli – che si potranno raccogliere questi suoi contributi in un fascicolo della «Parola del Passato». Inizialmente noi avevamo pensato all’«Atene e Roma», ma Ronconi ha sollevato difficoltà ‘gerarchiche’, in quanto fascicoli speciali dell’«Atene e Roma» non sono stati fatti né per Bignone né per Marchesi né per Mancini, e sarebbe quindi impossibile dedicare tanto spazio a uno studioso «giovane e poco noto» come il Grassi. Invano Bartoletti, Manfredi, Bornmann ed io ci siamo sforzati di fargli capire che in questo caso non si trattava di c o m m e m o r a r e un filologo già noto, ma di f a r c o n o s c e r e i contributi finora ignoti di un giovane filologo di vivissimo ingegno; egli ha continuato a sostenere che, con tutto l’affetto per il Grassi, bisognava rispettare le proporzioni, e che quindi l’«Atene e Roma» avrebbe potuto tutt’al più ospitare un articoletto necrologico, tranne poi a pubblicare altrove, a spizzico, i suoi contributi filologici. Per fortuna Pugliese Carratelli si è rivelato molto più comprensivo, anzi ci ha detto che egli stesso aveva pensato a un’iniziativa di questo genere. Il Pacella è stato bocciato, ma credo proprio che non ci sia da incolpare nessuno; egli stesso ha ammesso di aver fatto un esame di letteratura italiana assai poco brillante. Ritenterà la prossima volta, speriamo con miglior fortuna. E grazie di nuovo per avere scritto a Gallavotti. Il La Penna si metterà in contatto con te in modo da combinare un incontro. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano [PS. ‒]5 Grazie per il tuo parere sulla recensione a Munari6. Nel frattempo mi ha scritto il Munari stesso, dimostrandosi soddisfatto. Forse, perciò, i timori miei e di alcuni amici erano eccessivi; ma certo nelle recensioni non è facile ‘dosare’ come si vorrebbe le lodi e le riserve. Riconosco che l’osservazione alla traduzione di sapias poteva essere omessa. 4 5 6 Vd. lett. 397. Aggiunta manoscritta. Vd. lett. precedente. 781 400 Pisa, 4. 9. 1960 Carissimo Scevola, ho visto nei Mon. Germ. Hist. (Poetae Lat. aevi Carol. IV 1, rec. P. de Winterfeld, Berlino 1899, p. 116) il passo del poema di Abbone, Bella Parisiacae urbis III 3, che ti interessa1. Ti trascrivo i primi 3 versi del libro III di questo poema (scritto tutto in una lingua volutamente oscura): Clerice, dipticas lateri ne dempseris umquam. Corcula labentis fugias ludi fore, ne te laetetur foedus sandapila neque toparca. Alla parola sandapila c’è nel cod. Paris. 13833, della fine del IX o inizio del X sec. (cioè nel codice più antico, di poco posteriore alla composizione del poema, che è della seconda metà del IX) questa glossa: Sandapila: baccaulus. La parola baccaulus (o -lum) s’incontra poco dopo nel testo di Abbone (III 34: baccaulum fauste videar te ferre cloacae), e qui il medesimo codice parigino ha la glossa Baccaulum: feretrum. Le glosse sono riportate dal Winterfeld in apparato; esse (come nota il Winterfeld, p. 73) risalgono con tutta probabilità ad Abbone stesso, il quale vi accenna nella prefazione del suo poema. Sono numerosissime, perché il poema è tutto un tessuto di parole incomprensibili. Dall’apparato del Winterfeld risulta che un’analoga spiegazione di sandapila è data da Papia. Quanto all’uso di plene ecc., nei miei appunti trovo questi esempi: Serv. Dan. Aen. 2, 310 de quo in sexto plenius narratur; Serv. Aen. 5, 738 haec autem plene exsequuntur et Cicero in auguralibus et Aulus Gellius in libris noctium Atticarum; Serv. Aen. 10, 272 (II, p. 423, 3 Thilo) quarum (scil. stellarum) pleniores differentias vel in Campestro vel in Petosiri si quem delectaverit quaerat (è tramandato ple vel impleniores differentias, che il Thilo mette nel testo con segno di croce, ma vedi Heraeus in «Hermes» 34, 171 e il mio art. serviano, p. 192 n. 20)2; Serv. georg. 4, 219 (III, p. 336, 28 Th.) Locum hunc plenius est exsecutus in sexto, quem hoc loco breviter colligit; Beda (cit. da Thompson, Introd. to Greek and Lat. Palaeogr., p. 4403; non ho ora sotto mano il Thompson per vedere da che opera di Beda 1 2 3 La lett. di M. con la richiesta relativa è andata perduta. T., Note serviane (cit. lett. 286). Vd. Contributi1, p. 493, nota 15. Oxford 1912 (numerose ristampe). 782 sia tratta la citazione) haec in libris eorundem prophetarum plenius scripta sunt. Nessuno di questi esempi fa perfettamente al caso tuo, perché manca il riferimento a un’altra opera del commentatore stesso (il riferimento è, invece, all’opera commentata). Comunque, a qualcosa possono servire; e forse troverai di meglio nell’indice di Mountford e Schultz4. Scrivimi senz’altro se hai bisogno di altre indicazioni. Ho visto a Firenze il Tandoi che è rimasto soddisfatto e persuaso della tua risposta. Il La Penna mi ha detto che Paoletti ha accettato di stampare il volume per Terzaghi5; ma Nencioni continua a prendersela comoda! Coi più affettuosi saluti Sebastiano [PS. ‒]6 All’Università mi hanno assicurato giorni fa che ti avrebbero subito mandato quel volume dei Bursians Jahresber. Index rerum et nominum in scholiis Servii et Aelii Donati tractatorum, confecerunt J.F. Mountford et J.T. Schultz, Ithaca, N.Y. 1930. 5 Vd. lett. 376. 6 Aggiunta manoscritta. 4 783 401 Pisa, 9. 12. 1960 Carissimo Scevola, ti scrivo dopo lungo silenzio, per darti (o meglio, per proporti) una seccatura da parte di Ronconi. Ricorderai che io avevo in un primissimo tempo accettato di recensire per l’«Atene e Roma» quel libro di Speyer Naucellius und sein Kreis, ma che avevo poi rinunziato, sia perché nel frattempo erano apparse le lunghe e impegnative recensioni di Zicàri e di Schmid1, sia perché la mia ignoranza dell’ambiente culturale naucelliano (e l’impossibilità di dedicarvi uno studio approfondito) mi impediva di formarmi un giudizio indipendente su questo lavoro che, a tuo giudizio, contiene pure qualcosa di buono. Comunicai a Ronconi la mia rinuncia. L’altro ieri mi ha di nuovo telefonato alla Nuova Italia chiedendomi di fare la suddetta recensione. Io gli ho esposto per la millesima volta i motivi per cui non volevo farla; e allora lui mi ha pregato di chiederti se saresti disposto a farla tu. S’intende che io ti invierei il libro. Io non so se ti può interessare di recensire (o di ‘schedare’) quest’opera2. Suppongo di no. Comunque, ti pregherei di scrivere due righe a Ronconi, oppure di scrivere a me una lettera o s t e n s i b i l e , condendo, eventualmente, il tuo rifiuto di molte espressioni di rammarico ecc. Credo di aver capito – da quanto mi ha accennato la Lamacchia – che in questo caso ai soliti motivi di insistenza da parte di Ronconi se ne aggiunge uno specifico: a quanto pare, Speyer conosce Ronconi, e avrebbe desiderato che una recensione almeno in parte favorevole venisse a compensare un po’ le feroci stroncature di Zicàri e soprattutto di Schmid. A quanto tu mi scrivesti, questo desiderio non è del tutto illegittimo; ma io non sarei assolutamente in grado di sceverare gli elementi positivi dai negativi nel suo libro. Scusami, ti prego, per questa seccatura, ma capirai che non potevo dire a Ronconi che mi rifiutavo di scriverti. Quanto alla Festschrift Terzaghi3, ne ho parlato pochi giorni fa con Bartoletti che è anche lui seccatissimo. Nencioni continua a dire che scriverà e spedirà subito la circolare d’invito… e non spedisce un bel nulla! Se entro la fine dell’anno la situazione sarà allo stesso punto, mi dimetterò dal Comitato, perché ormai ho perso la pazienza. 1 2 3 Su cui vd. rispettivamente lett. 385 e 386. Vd. lett. successiva. Vd. lett. 376. 784 La Normale, come avrai saputo, è ancora senza direttore4. La nomina di Silvio Pellegrini è stata annullata e nessuna nuova decisione è stata presa. Remotti e Frugoni sono dimissionari. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano [PS. ‒]5 Chi altri, eventualmente, potrebbe recensire lo Speyer? Dopo Ettore Remotti, direttore della Scuola Normale dal 1948 al 1960, la direzione passò dal 1960 al 1964 a Giulio Giannelli. Su Arsenio Frugoni vicedirettore vd. lett. 345, 387 e 388. 5 Aggiunta manoscritta. 4 785 402 Pisa, 17. 12. 1960 Carissimo Scevola, ti ringrazio vivamente per la lettera1 e per le Bucoliche di Hosius2, che costituiscono per me un dono graditissimo. Quanto allo Speyer prevedevo che la tua risposta sarebbe stata negativa e comprendo perfettamente le tue ragioni3. Ho scritto a Ronconi accludendogli la tua lettera. Non so davvero chi potrà recensire quel libro. In fondo, se Ronconi ci tiene tanto, potrebbe recensirlo lui! Abbiamo avuto qui per tre giorni Arnaldo Momigliano, che ha tenuto alla Normale due lezioni (una di argomento molto generale, sugli odierni studi di storia antica, e l’altra su Fabio Pittore) e un seminario anch’esso su Fabio Pittore. Non ho sentito la prima lezione. Su Fabio Pittore ha detto cose forse non del tutto nuove, ma ad ogni modo interessanti. Mi ha chiesto tue notizie e ha parlato di te con grande stima e simpatia. Il La Penna mi ha scritto l’altro giorno che Paoletti, rimangiandosi la parola data, ha rifiutato di pubblicare il volume per Terzaghi, e che è disposto solo a stampare un volume di scritti d i Terzaghi4. Si ritornerebbe così al primitivo progetto, che io continuo a ritenere pessimo. Per di più, Manfredi mi dice che Terzaghi sta a sua volta ristampando dei suoi scritti presso la Bottega di Erasmo; c’è quindi il rischio di fare un doppione. Io non metto in dubbio che Paoletti sia ritornato sulle sue decisioni; ma credo che a ciò lo abbia spinto anche Nencioni coi suoi ritardi e il suo dire e disdire. Inoltre Nencioni avrebbe dovuto sentire il dovere di informare di queste novità gli altri membri del fantomatico comitato, mentre io le ho sapute solo confidenzialmente da La Penna. Spero che almeno ne abbia informato te. Ad ogni modo bisogna ormai rassegnarsi: Nencioni è riuscito perfettamente a mandare a monte il progetto. Pubblicherò da qualche parte un articolo dedicandolo a Terzaghi, almeno varrà come omaggio individuale5. Alla Normale continua l’interregnum6. Tra poco uscirà il libro di Fraen- Non conservata. P. Vergili Maronis Bucolica, cum auctoribus et imitatoribus in usum scholarum edidit C. Hosius, Bonn 1915. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. 376. 5 Vd. lett. successiva. 6 Vd. lett. precedente. 1 2 786 kel tradotto da Munari7. Come avrai saputo da Italo, si è perduto del tempo prezioso per la stampa dei suoi Studi luciliani (non per colpa mia, perché io non ho alcuna ingerenza nei rapporti con le tipografie), ma spero che il libro esca ugualmente in tempo per il suo concorso8. Con molti affettuosi saluti, e coi migliori auguri per le prossime feste, a te e ai tuoi, anche da parte di mia madre tuo Sebastiano E. Fraenkel, Elementi plautini in Plauto, trad. it. a cura di F. Munari, Firenze 1960 (nel 2007 è uscita ad Oxford una trad. ingl. curata da T. Drevikovsky e F. Muecke). 8 Uscirà a Firenze in questo stesso anno. 7 787 4031 Pisa, 16. 2. 1961 Carissimo Scevola, un po’ per impegni miei, un po’ perché era introvabile lui, solo ieri ho potuto parlare con Ferri di quella faccenda. Ha accettato che anch’io pubblichi negli «St. cl. e orient.» un contributo dedicato a Terzaghi (saranno alcune noterelle all’Anth. Lat., di scarsissimo valore; ma non ho altro!)2. Non ha del tutto escluso che tutto il volume possa essere dedicato a Terzaghi; ma anche se ciò non fosse possibile (per scarso gradimento di altri colleghi ecc.), dedicherebbe egli stesso in quel volume un articolo a Terzaghi e indurrebbe altri a fare altrettanto, in modo che, in pratica, questo gruppo di articoli con dedica individuale equivarrebbe quasi a una dedica collettiva del volume. Mi pare che la soluzione non sia cattiva. Soltanto, Ferri si raccomanda che gli si consegni s u b i t o il materiale, e mi ha pregato di scriverti per sollecitare con urgenza l’invio del tuo articolo3, a cui naturalmente tiene moltissimo. Scusa la fretta. Tra pochi giorni sarò un po’ più libero e ti riscriverò. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano [PS. ‒]4 Spero, se i limiti di tempo lo consentiranno, di farti vedere il mio articoletto, che d’altronde è una rifrittura di roba che già conosci. Cartolina postale. S. T., Alcune particolarità prosodiche nell’Anthologia Latina, «SCO», 10, 1961, pp. 15660 (rist. con ritocchi in Contributi1, pp. 611-20). 3 S. M., Il ‘codex Metelli’ nella tradizione dell’Origo gentis Romanae, «SCO», 10, 1961, pp. 102-11 (= SFC, pp. 196-205). 4 Aggiunta manoscritta. 1 2 788 404 Urbino, 23. 3. 1961 Carissimo Sebastiano, ho letto con grande interesse e piena approvazione il tuo articolo per Terzaghi1. Ci sono un gran numero di contributi preziosi, anche nelle note, moltissimi in proporzione anche nella brevità. Molto peggio vedrai che vanno le cose col mio articolo per Terzaghi, che pure ti invio: è lungo e poco concludente2. Sul tuo articolo vorrei solo richiamare la tua attenzione su Sinfosio aen. 84, 3, dove bellā cruenta3 implicherebbe anche una misura crūenta, certo non impossibile in un medievale (non ho avuto il tempo di vedere se ci siano simili errori nel resto della rec. B; casomai, converrebbe citarli). A p. 2 l. 13 è necessario l’«entrambe»? Forse lo toglierei, poiché è noto che se la muta appartiene alla parola precedente e la liquida alla seguente la possibilità di positio debilis non c’è e l’‘allungamento’ avviene sempre. Il manoscritto del mio articolo, dopo molto lavoro di forbici e colla, è in una situazione pietosa. Ma non ho voluto tardare ancora, date le insistenze di Ferri, perché vorrei che tu avessi il tempo e la bontà di leggerlo con attenzione, di farvi (non solo le eventuali sottolineature e altri segni che mancassero o facilitassero l’opera del tipografo e che al tuo occhio non sfuggirebbero, ma soprattutto) ritocchi e correzioni che ritenessi opportune. Se per queste correzioni ci fosse bisogno del mio intervento, ti prego di rimandarmi il manoscritto; altrimenti ti prego di consegnarlo a mio nome a Ferri, scusandomi appo lui per le rappezzature del dattiloscritto (spiegabili con la fretta). Ho osato anche unirti una copia dattiloscritta, con vari appunti e correzioni che renderanno scomoda la lettura, della quasi totalità del mio articolo sui Bobiensia della RE4 (manca solo la parte relativa alla tradizione manoscritta che già conosci e di cui le prime righe della pag. 1 sono un’aggiunta finale). L’altra copia che ne ho l’ho dovuta spedire in gran fretta a Munari-Schetter per la traduzione in tedesco: sono agli sgoccioli del tempo concessomi in extremis da Ziegler. Mi vergogno molto di farti perdere altro tempo: se puoi leggere, farmi obiezioni, suggerirmi tagli (che in una cosa del genere sono sempre utili) ecc., mi fai un gran regalo. Se no, rimandami 1 2 3 4 Vd. lett. precedente. Ma la presente segue di certo altre lettere non conservate. Vd. lett. precedente. Vd. anche lett. 405, 407-8, 413, 440, 491. M., Epigrammata Bobiensia (cit. lett. 386). 789 il manoscritto, sicuro che non me ne ho a male! Mi sarebbe utile possibilmente riaverlo poco dopo Pasqua, perché allora mi giungerà la traduzione e dovrò farvi almeno qualche ritocco che mi sono appuntato sulla copia che t’invio. Una preghiera, oltre tutto: a p. 22 l. 4 dal basso: potresti vedermi in Fronto ed. Naber5 p. 55 quali sono le linee 6 contenenti le seguenti parole: «ut ait nescio quis Graecus (puto Thucydides) τυφλοῦται γὰρ τὸ φιλοῦν περὶ τὸ φιλούμενον». Purtroppo io ho solo il v. d. Hout7. Non trovo parole per ringraziarti di tutto. Ripeto: non preoccuparti per gli Epigrammata Bobiensia: ti scoccio abbastanza per il resto. Ti faccio gli auguri migliori anche a nome di Tota8 e anche per la tua Mamma. Ti abbraccio e ti chiedo scusa. Il tuo Scevola PS. ‒ Sarò a Pesaro (solito indirizzo di viale Battisti 62) dal 27 prossimo al 6-7 aprile. M. Cornelii Frontonis et M. Avrelii imperatoris Epistulae. L. Veri et T. Antonini Pii Epistularum reliquiae, post A. Maium cum codicibus Ambrosiano et Vaticano iterum contulit G.N. Du Rieu, recensuit S.A. Naber, Lipsiae 1867. 6 T. annota nel marg. inf. del foglio: «17-18». Più sotto il seguente appunto: «cui = ‘a cui’, ‘cui’, anche al plur.? Vedi manuali latini e neolatini». 7 Ed. cit. lett. 253; vd. ora M. Cornelii Frontonis Epistulae, schedis tam editis quam ineditis E. Hauleri usus iterum edidit M.P.J. van den Hout, Leipzig 1988, in cui il passo citato figura a p. 50, 15-6. 8 Vd. lett. 228. 5 790 405 Pisa, 26. 3. 1961 Carissimo Scevola, ti devo riconoscenza eterna per avermi segnalato lo spaventoso svarione crūenta1!! Il lungo abbandono in cui ho lasciato i miei studi filologici in questi ultimi anni mi ha fatto dimenticare anche quel poco che sapevo; mi ha ridotto in una condizione di analfabetismo totale. Di nuovo ti ringrazio per avermi evitato un’orribile figuraccia. Ho letto con vivo interesse il tuo articolo2, che è ottimo sia per la tesi generale, sia per i molti contributi particolari (tu hai voluto evidentemente scherzare scrivendo che il tuo articolo è «peggiore» del mio – anche a prescindere da crūenta!). Sulla posizione del codex Metelli nella tradizione dell’Origo mi pare che le tue argomentazioni siano rigorose ed esatte, e che nulla vi sia da aggiungere o modificare. Sono sicuro che anche Momigliano le approverà, così come riconoscerà l’infondatezza dalla data da lui proposta per la lettera del Metellus al Pighius3. Molto utili sono le rettifiche degli errori di lettura di O e di P compiuti dagli editori dell’Origo. Ottima la nota 13 (sulla giuntura tra Origo e De vir. illustr.). Definitiva la difesa di Ennius in 20, 3. Ho consegnato il dattiloscritto a Ferri, che ti ringrazia e lo manderà subito in tipografia. Il progetto di dedicare a Terzaghi tutto il volume degli «Studi class. e orient.»4 sembrava, fino a pochi giorni fa, definitivamente accettato da Ferri e anche da Peretti, ma poi, a quanto pare, è intervenuto in senso contrario Pugliese Carratelli (il quale, essendo amico di Nencioni, non voleva che la dedica assumesse un valore polemico nei riguardi dell’iniziativa fiorentina fallita per colpa dello stesso Nencioni). Dovremo dunque – almeno così pare – accontentarci di dedicare a Terzaghi i nostri contributi singoli. Leggerò subito i Bobiensia5 con gran piacere, e ti rimanderò il dattiloscritto tra alcuni giorni. Verificherò anche quel passo di Frontone sull’ed. Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. M., Il ‘codex Metelli’ (cit. lett. 403). 3 A. Momigliano, Per una nuova edizione dell’Origo gentis Romanae, «Athenaeum», n.s., 36, 1958, pp. 248-59 (= Id., Secondo contributo alla storia degli studi classici [cit. lett. 313], pp. 177-87), Appendice III. 4 Vd. lett. 403. 5 M., Epigrammata Bobiensia (cit. lett. 386). 1 2 791 Naber. Ho dato la precedenza alla lettura dell’Origo perché Ferri aveva fretta. Anche a te e ai tuoi i più vivi auguri miei e di mia madre. Un abbraccio affettuoso, e grazie ancora! Il tuo Sebastiano 792 406 Pisa, 29. 3. 1961 Carissimo Scevola, avrai già ricevuto la mia precedente, in cui ti informavo dell’avvenuta consegna a Ferri del tuo articolo e ti ringraziavo per aver corretto quel mio atroce svarione prosodico1. Ti rispedisco adesso il dattiloscritto sui Bobiensia2, che ho letto con pieno consenso. Mi sembra che vada benissimo, sia in sé e per sé (cioè per i numerosi contributi originali che contiene), sia in rapporto alla sua destinazione per la RE. La trattazione è molto chiara e riesce a racchiudere molte cose in poche parole. Concordo, come sai, nel dubitare della «sottile architettura»3 che Munari ha voluto vedere nella silloge (il confronto con l’Anthologia Salmasiana mi pare decisivo). Molto buona la caratterizzazione dell’ambiente culturale a p. 14 sgg. (d’accordo su furta in 45, 16, il cui significato è ben chiarito dal confronto con Senofane e coi suoi imitatori), e così pure l’ampia ed esauriente analisi dei componimenti tradotti o imitati dal greco. Del tutto convincente a p. 34 la difesa di tamen in 39, 1, contro Atia di Skutsch. A p. 5, riga 11 dal basso, bisognerà correggere puerum in puellam, come hai già fatto tre righe sopra (giusta l’osservazione su ad, e non in, nei lemmi). A p. 8: mi pare molto probabile che Faustus e Philippus siano persone reali: il fatto stesso che il poeta senta il bisogno si alterare i loro nomi per renderli epigrammaticamente più ‘parlanti’ (Faustulus4, Furippus5) dimostra, mi pare, che i nomi non alterati non erano una sua invenzione6. (Un ragionamento di questo genere non vale, o vale molto meno, per Felix e Romulus)7. Ancora a p. 8, un’osservazione del tutto insignificante: non negherei che erīs sia ‘allungamento in arsi’8, ma piuttosto direi che un Vd. lett. precedente. M., Epigrammata Bobiensia (cit. lett. 386). 3 T. riprende l’espressione di M., Epigrammata Bobiensia (cit. 386), col. 47 = p. 227. 4 Epigr. Bob., 65, 1. 5 Epigr. Bob., 41, 1. 6 In margine T. annota: «capisco, tuttavia, che l’argomento non è assolutamente decisivo». 7 Rispettivamente Epigr. Bob., 61, 1 e 70, 4. 8 Nel mg. inferiore T. annota a mano: «erīs è in 19, 2, non in 6, 10 come reca il dattiloscritto. – Un ultraconservatore potrebbe, col confronto di erīs, difendere anche satā in 25, 12 (stessa posizione nel pentametro); ma sata <est> di Munari sarà giusto». 1 2 793 allungamento in arsi in quella sede è del tutto eccezionale; ma sulla sostanza siamo perfettamente d’accordo. Nell’edizione frontoniana del Naber le parole che citi a p. 22 (ut ait nescio quis Graecus etc.) si trovano a p. 55, linee 17-189. Di nuovo i più vivi auguri e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano10 Vd. le due lettere precedenti. Nello spazio libero sotto la firma M. ha annotato a proposito di erīs all’incirca quello che si legge nella successiva lettera di risposta. 9 10 794 407 Pesaro, 30. 3. 1961 Carissimo Sebastiano, stavo per rispondere al tuo espresso del 26 quando mi è giunto quello di ieri1. Debbo ringraziarti infinitamente della gentilezza e della pazienza con cui hai letto e hai giudicato – troppo benevolmente, come sei solito – i miei manoscritti. Devi aver perso un tempo prezioso. Non vedo perché ti abbia amareggiato la faccenda di crūenta2! Si tratta, se mai, di quelle sviste che capitano a tutti, e di cui tutti, prima o poi, rivedendo i manoscritti o correggendo le bozze, ci accorgiamo. Aggiungi che nel tuo caso tu eri spinto da un problema specifico (muta cum liquida) che concentrava la tua attenzione, e che può ben darsi che quel medievale avesse davvero misurato crūenta (certo i tuoi motivi stilistici contro correzioni come vel ecc. hanno molta forza, e la cosa è da riesaminare). A proposito di muta + liquida iniziale facente posizione può darsi che qualcosa che t’interessa trovi nell’indice (grammaticale) ausoniano di Schenkl in MGH3 s. brevis syllaba ecc. (vd. inoltre sotto h, se non ricordo male, per h che fa posizione). Grazie di aver consegnato il manoscritto dell’Origo a Ferri4. Se posso intervenire in qualche modo presso Ferri o Peretti o magari (sebbene lo conosca poco) presso Pugliese per sostenere che il volume di «SCO» sia dedicato tutto a Terzaghi, lo farò con gran piacere: dimmelo tu. Insomma è seccante che Nencioni, dopo non aver fatto realizzare il progetto ‘fiorentino’, finisca indirettamente col mandare a monte anche quello ‘pisano’5! Grazie non minori per i Bobiensia6. Le tue obiezioni sono tutte giuste. Mando un espresso a Munari perché attenui le espressioni sui nomi propri (specialmente su Philippus la tua osservazione è importante, e io scioccamente non ci avevo pensato). Su eris di 19, 2 direi «sia che si tratti di eccezionale allungamento analogico con forme in ­erīs̆ (cfr. Sommer7 ecc.), sia che si tratti di un ‘allungamento in arsi’ in questa insolita posizione [diverso e comunque tardo praeteri ī t nella stessa sede in AL. 3, 4], il Timpanaro 1 2 3 4 5 6 7 Le due lettere che precedono. Vd. lett. 404. D. Magni Avsonii Opuscula, recensuit C. Schenkl, Berolini 1883. Vd. le due lett. precedenti. Sul progetto di una miscellanea in onore di Terzaghi vd. lett. 376. M., Epigrammata Bobiensia (cit. lett. 386). Cit. lett. 271. 795 mi ricorda dubbiosamente il tramandato nulla sata suboles di 25, 12, dove sata <est> Munari forse giustamente». Corrisponde questo al tuo pensiero? A me sembra che il confronto con 25, 12 non debba andar perduto. Dammi, per favore, l’autorizzazione a citarti in questo modo o in altro che preferisci. Grazie della verifica della citazione di Naber. Scusa la fretta. Un abbraccio. Scevola 796 408 Pisa, 2. 4. <1961>1 Carissimo Scevola, non avevo pensato alla possibilità che erīs sia allungamento analogico. Certo essa non va scartata, sebbene non mi sembri molto probabile. Quanto al confronto con satā di 25, 12, ripensa tu se è il caso di addurlo; l’integrazione sata <est> di Munari è effettivamente probabilissima! In ogni caso, non occorre, evidentemente, che tu faccia il mio nome per una minuzia così futile. Ti ringrazio delle tue consolationes quanto all’infame cruenta2. Ho dovuto sudare per convincere Ferri a togliere quel pezzo: secondo lui, crūenta è possibilissimo, come è dimostrato dal confronto con l’enniano fūimus e con non so quali parole scitiche o caucasiche! Alla fine ha convenuto che è meglio sopprimerlo, non perché sia sbagliato, ma per mere ragioni di opportunità, in quanto i filologi classici, miopi tradizionalisti, non capirebbero!! Ho visto ieri Terzaghi, il quale mi ha detto che, per iniziativa di Della Corte, l’università di Genova pubblicherà un volume di scritti in suo onore. Terzaghi stesso si è dichiarato molto sorpreso di questa iniziativa, giacché (a quanto mi ha detto) è in rapporti cordiali, sì, ma non particolarmente stretti con Della Corte. Ad ogni modo, dobbiamo rallegrarci di questo fatto nuovo; e speriamo che il progetto genovese non faccia la stessa fine del fiorentino e del pisano3! La pubblicazione dei nostri contributi dedicati a Terzaghi negli «Studi class. e orient.»4 non impedisce che noi si possa eventualmente collaborare anche al volume genovese5. Non pensi, in primavera, di fare una scappata almeno a Firenze? Molti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano L’anno si supplisce con sicurezza considerando che questa lettera è una evidente risposta alla precedente. 2 Vd. lett. 404. 3 Vd. lett. 376. 4 Vd. lett. 403. 5 Lanx satura Nicolao Terzaghi oblata (cit. lett. 376), a cui T. collaborò con Per la critica testuale dell’Ephemeris di Ditti­Settimio, pp. 325-42 (rist. con alcune aggiunte in Contributi1, pp. 397-422), M. con Note ai Priapea, pp. 261-6 (= SFC, pp. 169-73). 1 797 4091 Pisa, 29. 4. 1961 Carissimo Scevola, la tipografia che stampa gli «SCO»2 lavora in modo veramente infame: anche gli articoli degli altri collaboratori sono stati massacrati, cosicché Ferri farà fare per tutti le 3e bozze. Correggerò senz’altro le tue. Senonché Ferri mi dice di non avere ancora ricevute le seconde rispedite da te. Speriamo che arrivino quanto prima. Skutsch vuole correggere te sane neta (Ennio, preghiera di Ilia)3 in ted Aeneja4! Affettuosamente Sebastiano Cartolina postale manoscritta. Vd. lett. 403. 3 Enn. ann., 52 V.2 Te sale nata precor. Nell’apparato di Vahlen si legge: Nonius p. 378, 15 ‘parumper cito et velociter. Virgilius lib. VI [382]. Ennius annali lib. i «te sane neta (tesene neta Paris.) precor ... cognata (cognota Leid. Harl. m. pr.) parumper». idem in eodem [xliii]’. 4 Così nel primo dei contributi raccolti in O. Skutsch, Enniana V, «CQ, 13, 1963, pp. 89-100, a pp. 89-101 = Id., Studia Enniana [cit. lett. 69], pp. 92-102 [pp. 86-88]); la correzione, discussa nel commento, è relegata in apparato nell’edizione degli Annales (cit. lett. 55). 1 2 798 4101 Pisa, giovedì <11. 5. 1961>2 Carissimo Scevola, la noterella latina va benissimo, e s’intona assai bene con quella di Munari. Pare anche a me sicuro che ludumque bipertit si riferisca al ‘doppio uso’ di cui Munari ha così dottamente e argutamente raccolto gli esempi3. Ottimo il latino, chiaro e stringato insieme. Ho fatto fare le terze bozze del tuo articolo per gli «Studi classici e orientali»4. Si va già molto meglio, ma siccome c’è ancora un paio di errori, domani (non oggi perché è chiuso per l’Ascensione) andrò in tipografia e mi farò fare nuove bozze di quelle due pagine che contengono gli errori superstiti, in modo da essere sicuro che tutto vada bene. Quel pasticcio di righi eliminati e transposti, comunque, è già stato corretto. Ieri l’altro a Firenze ho visto Fraenkel. Era abbastanza euforico perché il suo libro è uscito (sia pure con vergognoso ritardo, e a un prezzo, come tu giustamente noti, proibitivo)5. Di te ha parlato col solito affetto; dei professori pisani, invece, ha detto peste e corna perché non lo hanno invitato alla Normale. Adesso andrà a Roma. Scusa la pessima scrittura. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Lettera manoscritta. Il riferimento a due articoli di M. prossimi alla stampa (1961) e a giovedì come giorno dell’Ascensione consente una datazione sicura. 3 Allude a M., Comoediae de Babione versus 179 explicatur (cit. lett. 392), e a F. Munari, De inscriptione Pompeiana, CIL IV, Suppl. pars 3, Nr. 8473, «RCCM», 3, 1961, pp. 105-7 (cfr. p. 106 e nn. 7-9). 4 Si riferisce a M., Il ‘codex Metelli’ (cit. lett. 403). 5 Elementi plautini in Plauto (cit. lett. 402). Il costo del volume era di 8000 lire. 1 2 799 411 Pisa, 19. 5. 1961 Carissimo Scevola, il volume degli «Studi classici e orientali» è uscito1. Riceverai quanto prima – o avrai già ricevuto – gli estratti, e speriamo che tutto sia a posto tipograficamente. (Nella mia noterella, di cui ti mando oggi l’estratto, è rimasto un errore di stampa, o forse un lapsus mio: «moto a luogo» invece di «moto da luogo»). Fraenkel ha parlato di te col solito affetto2, e quanto all’articolo sui Bobiensia3 ha detto: «Mi ha scritto Munari che è molto buono». Sembrava, quindi, ben disposto; il che naturalmente non esclude che, in cuor suo, possa aver deplorato che tu ti sia occupato dei Bobiensia invece di fare il commento a Plauto. È rimasto, invece, contento dell’edizione italiana di Plautinisches im Plautus4 finalmente uscita (l’edizione effettivamente è bella, ma il prezzo è assolutamente strozzinesco)5. Sto leggendo con vivo interesse l’Introduzione a Pacuvio di Italo6: è molto chiara e contiene alcuni spunti originali. Potresti farmi mandare c o n f a t t u r a ( n o n g r a t i s ! ! tutt’al più con sconto) il volume di Pasquale Salvucci Linguaggio e mondo umano in Condillac7? I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Vd. lett. 403. Vd. lett. precedente. 3 M., Epigrammata Bobiensia (cit. lett. 386), che M. aveva mandato in dattiloscritto a Munari per la traduzione in tedesco (vd. lett 404). 4 Elementi plautini in Plauto (cit. lett. 402). 5 Vd. lett. precedente. 6 Urbino 1960. 7 Urbino 1957. 1 2 800 412 Pisa, 1. 6. 1961 Carissimo Scevola, grazie dell’affettuosa cartolina! Fraenkel non mi fece parola di Domizio Marso. Certo è strano che si sia rifiutato di leggere quella parte del tuo articolo1. Ma in sostanza a lui piacciono soltanto i lavori che in qualche modo siano sorti per sua ispirazione e sotto la sua tutela. Skutsch, al quale avevo manifestato i miei forti dubbi quanto a ted Aeneja precor Venus2, mi ha risposto ammettendo che la congettura è meno certa di quanto a lui fosse dapprima sembrato, e pregandomi… di non parlartene! Adesso una seccatura. Campanile, che tu conosci, ha fatto un’edizioncina di quel brevissimo testo glossografico, il Petronius Arbiter de antiquis dictionibus, di cui mi ero una volta fuggevolmente occupato anch’io nell’articolo su Servio, a proposito di peta = ‘ictus gladiatoris’3. Ha utilizzato per la prima volta alcuni codici vaticani e uno modenese, segnalatigli da Campana, e ha rivisto i codici su cui si erano basati, nelle loro cattive edizioni, il Beck e il Reifferscheid. Il lavoro, a cui ho dato un’occhiata, mi pare fatto abbastanza bene, tranne forse un punto della parte introduttiva che è troppo conciso. Il De antiquis dictionibus presenta, certo, un interesse piuttosto scarso, ma non è male che ne venga data un’edizione attendibile, poiché quelle del Beck e del Reifferscheid sono piene di errori. Il Campanile mi prega di chiederti se tu pensi che questo suo lavoretto (che occuperà, credo, una decina di pagine) possa essere accolto negli «Studi Urbinati»4. Gli ho detto che avrebbe potuto scrivere direttamente a te, ma ha insistito perché ti interpellassi io. Ti pregherei quindi (come è ovvio, senza nessunissima fretta) di mandare o a me, o direttamente a lui (Scuola Normale) due righe di risposta. S’intende che, per dare una risposta definitiva, dovrai vedere il suo lavoro; per ora il Campanile vorrebbe solo sapere se, in linea di massima, un lavoretto di questo genere è pubblicabile negli «Studi Urbinati». Rispetto ad altri articoletti dello stesso Campanile (scritti più per desiderio di pubblicare che per vera necessità), questo mi pare più utile. Anche Non è chiaro di quale articolo si tratti. Vd. lett. 409. 3 T., Note serviane (cit. lett. 286), in part. pp. 171-9. 4 L’articolo di E. Campanile col titolo Un glossario medievale attribuito a Petronio uscì in «StudUrb.(B)», 35, 1961, pp. 118-34. 1 2 801 sulla genealogia dei codici egli dice cose plausibili; soltanto, come già ti accennavo, le ha esposte in forma troppo rapida; non gli sarebbe tuttavia difficile migliorare questo punto5. Chiedendoti scusa di questa scocciatura, ti saluto con vivo affetto. Tuo Sebastiano 5 A mano in margine: «Eventualmente si può anche sentire il parere di Campana». 802 413 Pisa, 6. 6. 1961 Carissimo Scevola, ti ho spedito oggi gli estratti del tuo articolo e il volume a te destinato degli «SCO»1, che giacevano all’Istituto di archeologia, mentre Ferri si trova a fare scavi sul Gargano e tornerà solo la prossima settimana! Io credevo che te li avessero mandati già da tempo. La distribuzione degli «SCO» funziona malissimo. Ho indirizzato i due pacchi a Urbino e spero che li riceverai quanto prima. Campanile ti ringrazia vivamente per l’accettazione del suo lavoro, che ti manderà al più presto2. Tu e Campana vedrete se può andare per gli «Studi Urbinati». Ti ringrazio anch’io di avere risposto con tanta premura. Sono contento che l’iniziativa genovese della Miscellanea Terzaghi vada avanti3. Anch’io mi trovo in imbarazzo perché non ho nulla di pronto nel campo della filologia classica (non vorrei ricorrere di nuovo all’Anthologia Latina!). Comunque mi dispiacerebbe non collaborare e quindi scrivo a Della Corte ringraziandolo e accettando. Rovisterò fra vecchi appunti per vedere se trovo qualcosa di plausibile (forse una noterella a un passo di Lucano? In ogni caso sentirò prima il tuo parere). Sono lieto che anche Italo, Zicàri e La Penna collaborino. Tra gli stranieri, oltre a quelli da te menzionati (che vanno benissimo), si potrebbe f o r s e pensare a Skutsch, che ha, come mi disse una volta, una certa stima per Terzaghi. A te e a Salvucci sono molto grato per il dono del suo Condillac4, che leggerò col più vivo interesse. Di Salvucci ho già un libro su Kant5, di cui ho sentito parlare molto bene da miei amici studiosi di filosofia; ma questo su Condillac m’interessa particolarmente per le teorie settecentesche sull’origine del linguaggio (e quindi per quegli studi sui rapporti tra linguistica e anatomia comparata nell’Ottocento ecc., che chissà se un giorno o l’altro riprenderò). Certo l’interessarsi di cose così disparate è il mezzo migliore Vd. lett. 403. Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 376. 4 Vd. lett. 411. 5 Probabilmente La dottrina kantiana dello schematismo trascendentale, Urbino 1957, piuttosto che Grandi interpreti di Kant: Fichte e Schelling, Urbino 1958 (L’uomo di Kant, il libro kantiano più noto di P. Salvucci, uscì infatti, sempre a Urbino, nel 1963). 1 2 803 per non combinar nulla… e per dimenticare, poi, che cruentus ha la prima sillaba breve6! So anch’io che Perosa e un po’ tutti i fiorentini si adoprano con tutte le loro forze a favore di Pascucci. Ronconi, dopo aver tenuto nel cassetto per sei mesi quei contributi di Eugenio Grassi di cui ti parlai7, e avere sempre risposto evasivamente alle nostre premure, ha finito col rifiutarsi di pubblicarli (tranne uno: ma non è certo il caso di staccarlo dagli altri). È veramente strano che egli non si renda conto che le poche noterelle del Grassi valgono certamente assai più di molta roba che si è stampata e si stampa negli «Studi italiani di filol. class.». Ora cercheremo di pubblicare le note del Grassi sulla «Parola del passato», ma intanto abbiamo perso molto tempo prezioso. Infine ancora un ringraziamento, per l’invito a passare qualche giorno a Urbino quest’estate. Forse potrò fare solo una breve scappata, perché credo che dovrò anche andare in Sicilia; ad ogni modo ti terrò informato. E tu, è proprio escluso che venga da queste parti? Qui e a Firenze ci sono, oltre me, molti amici che ti vedrebbero con gran piacere. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 6 7 Vd. lett. 404. Vd. lett. 397. 804 414 Pisa, 6. 7. 1961 Carissimo Scevola, grazie delle precisazioni su quel codice1. Rivedendo il Bandini2, ho visto che quel titolo (Gnômai ecc.) effettivamente c’è; io l’avevo erroneamente trascurato perché il Bandini dà un incipit e un explicit i n p r o s a ; ma alle sentenze in prosa saranno frammischiati epigrammi. La prossima settimana avrò molto probabilmente occasione di andare a Firenze in un giorno non destinato alla Nuova Italia, e allora vedrò il Laur. LV 73. Ho letto con molto piacere l’appendicula obscaena al Munari4. Senza alcun dubbio la tua interpretazione è giusta. Ti ringrazio anche della copia della tua risposta a Campanile5. Non vedo Campanile da un po’ di tempo e non ho ancora riveduto il passo di cui discutete: gli darò un’occhiata quanto prima. La revisione tua e quella di Campana arrecheranno al lavoro di Campanile molti miglioramenti sostanziali. Che Campana partecipi alla Miscellanea Terzaghi è davvero ottima cosa, e anche Terzaghi ne sarà certamente contento (e così pure Della Corte)6. Speriamo solo che Campana non faccia ritardare di mesi e mesi la pubblicazione della Miscellanea trattenendo le bozze senza restituirle, come talvolta fa! Ma questa è una mia ipotesi pessimistica. La questione degli scritti di Grassi7 pare avviata finalmente verso una soluzione. Bartoletti, Manfredi, Bornmann ed io abbiamo avuto un colloquio con Ronconi, il quale dapprima ha accampato pretesti di ogni genere per non pubblicare gli scritti stessi; ma quando gli abbiamo detto che rispettavamo questa sua opinione e che li avremmo pubblicati altrove, ha battuto precipitosamente in ritirata e si è impegnato a pubblicarli integralmente al più presto nell’«Atene e Roma». Evidentemente egli desiderava non pubblicarli, ma non voleva nemmeno che uscissero altrove: La lettera segue a uno scambio epistolare tra T. e M. non conservato. Angelo Maria Bandini (1726-1803), direttore della Biblioteca Medicea Laurenziana, ne catalogò i codici greci in 3 volumi stampati a Firenze tra il 1763 e il 1770 (il Laur. LV 7, contenente tra l’altro una raccolta di epigrammi della Anthologia Palatina accompagnati da γνῶμαι in prosa, è descritto nel vol. II [1768] coll. 244-268). 3 Vd. lett. seguente. 4 S. M., Comoediae de Babione (cit. lett. 392). 5 Vd. lett. 412. 6 Sulla Miscellanea Terzaghi vd. lett. 376. In realtà Campana non risulta fra i contributori. 7 Vd. lett. 397. 1 2 805 avrebbe preteso che noi rinunciassimo del tutto a renderli noti! Chi sa poi perché, dal momento che si tratta di scritti che non contengono attacchi polemici di nessun genere! Continueremo a vigilare e a premere, perché a promesse fatte così contro voglia non c’è da credere troppo. È strano che un uomo fondamentalmente onesto e buono come Ronconi finisca a volte per comportarsi malissimo a causa di chi sa quali oscuri sospetti e timori e inibizioni. Sulla collaborazione di Happ8 condivido i tuoi dubbi, anzi direi che in una vera e propria collaborazione9 sia meglio non imbarcarsi. Lo conosciamo troppo poco, e un vero affiatamento tra noi e lui non può esserci. Rischieremmo di rendere il lavoro più lento e difficile; e d’altra parte t r e collaboratori per un’edizione di mole piuttosto piccola sarebbero giudicati troppi! Per ora io gli rispondo evasivamente, dicendogli che lavori più urgenti hanno finora impedito ad entrambi di dedicarci all’edizione del Salmasiano. In ogni caso, prima di prendere una decisione bisognerà, ahimè, sorbirsi la lettura della sua mastodontica tesi. Ti riscriverò prossimamente riguardo al Laurenziano. Moltissimi saluti affettuosi dal tuo Sebastiano PS.10 ‒ Ricevo da Fraenkel una cartolina da Friburgo in Svizzera in cui mi dice di aver subìto a Roma un’operazione d’ernia e di essere stato di nuovo male a Friburgo. Ora però, dice, è in via di guarigione. Speriamo si tratti di cosa effettivamente da poco. Rimarrà ancora qualche giorno a Fribourg, Suisse, Hôtel Terminus. Su Happ vd. lett. 355. Relativamente all’edizione dell’Anthologia Salmasiana, su cui vd. lett. 361. 10 Aggiunta manoscritta. 8 9 806 4151 Firenze, 12. 7. <1961>2 Carissimo Scevola, ho finalmente visto (e scusami del ritardo) il Laur. LV 7. Quella variante che t’interessa (τὰ δ᾿ἄλλα πάντα γέλως, o τἄλλα γὰρ πάντα γέλως) non c’è. L’epigramma Anth. Pal. IX 359 si trova al foglio 251v-252r (secondo la vecchia numerazione dei fogli, a inchiostro, che è quella seguìta dal Bandini; invece secondo una nuova numerazione a matita quei fogli sarebbero 257v-258r). Il verso 10 è μηδέποτ’ ἢ τὸ θανεῖν αὐτίκα τικτόμενον; non vi è alcuna variante marginale né sopralineare. L’epigramma (al pari degli altri di quel gruppo) è seguìto (sempre al foglio 252r) da un commento di carattere grammaticale elementare (con divagazioni sulla declinazione di alcuni nomi ecc.), ma anche qui non si accenna alla variante dell’ultimo verso. Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano Lettera manoscritta. Il riferimento al Laur. LV 7 prova che questa lettera segue immediatamente la precedente. 1 2 807 416 Pisa, 11. 8. 1961 Carissimo Scevola, ho scritto a Skutsch una ‘suadente’ lettera, e speriamo che accetti1. Beninteso, io non credo affatto che egli dirà di sì più facilmente a me che a te. Spero soltanto che dica di sì per quella certa stima che ha per Terzaghi2. Gli ho scritto, naturalmente, che anche tu saresti lietissimo di una sua partecipazione, e che ne sarebbe lieto e lusingato anche Della Corte (non mi è parso possibile evitare del tutto di nominare Della Corte; ad ogni modo ho presentato la cosa come un’iniziativa ‘collettiva’ dell’università di Genova e di scolari e amici di Terzaghi). Chissà se potrò venire a Urbino per la conferenza terzaghiana. Le ferie della Nuova Italia sono brevi, le cose che dovrei fare molte (anche alla Sicilia ho finito per rinunziare)3. Ti ringrazio, comunque, del fraterno invito; speriamo che, se non adesso, possa fare una scappata a Pesaro o ad Urbino più tardi. Munari mi ha scritto qualche precisazione sulla malattia di Fraenkel4; pare che si sia trattato di calcoli biliari, e che stia effettivamente meglio. Speriamo in una sua sollecita guarigione. Una ventina di giorni fa ho visto qui Campana. Mi ha detto (non ricordo più se raccomandandomi il segreto o no; ma penso che tu l’avrai saputo da lui stesso o da qualche studioso tedesco) che Teubner ha incaricato Speyer di fare una nuova edizione dei Bobiensia5. Strano davvero! Dalla stroncatura forse eccessiva di Schmid6 si passa ora all’estremo opposto: non è davvero Speyer lo studioso più qualificato a ripubblicare i Bobiensia, e comunque sarebbe stato opportuno aspettare ancora un po’, e magari lasciare che Munari stesso facesse una seconda edizione riveduta e corretta. Non ti pare7? Si intende di partecipare alla Miscellanea Terzaghi, su cui vd. lett. 376. Vd. lett. 413. 3 Vd. ancora lett. 413. 4 Vd. lett. 414. 5 Epigrammata Bobiensia, edidit W. Speyer, Leipzig 1963. Vd. anche lett. 446. 6 Vd. lett. 386. 7 Con un asterisco T. rimanda a questa nota scritta a mano nel margine inferiore: «Tanto più che deve ancora uscire il I volume. Ma, purtroppo, Campana non lo scriverà mai!». 1 2 808 Spero di vedere presto pubblicati nella Pauly-Wissowa i tuoi articoli sui Bobiensia8. Che almeno Speyer possa tener conto di tutti i tuoi contributi! Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano 8 Vd. lett. 386. 809 4171 [Pisa, 3. 9. 1961]2 Carissimo Scevola, molte grazie della cartolina. Mi dispiace di non aver potuto ascoltare la conferenza di Terzaghi3. È andata bene? A me Skutsch non ha risposto; speriamo che collabori alla Miscellanea Terzaghi4. Chi è quel Marconi che nella rivista di Paratore parla con grande prosopopea del proemio enniano5? Mi sembra che dica in parte cose ben note, in parte fesserìe. Su dicti studiosus non ha capito nulla. Gli argomenti che porta a sostegno del cluebant da me difeso servono egregiamente a chi voglia convincersi della tesi contraria6! Affettuosamente, tuo Sebastiano 1 2 3 4 5 6 Cartolina postale manoscritta. Luogo e data si ricavano dal timbro postale. Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. G. Marconi, Il proemio degli Annales di Ennio, «RCCM», 3, 1961, pp. 224-45. Enn. ann., 3 V.2, su cui vd. lett 15. 810 418 Urbino, 26. 10. 1961 Carissimo Sebastiano, ti sono infinitamente grato delle parole fraterne che mi hai indirizzato1. Anche tu ti sei trovato, lo so, in momenti altrettanto dolorosi, e anzi nei tuoi confronti l’offesa della natura è stata più crudele2 ‒ ma, per quanto noi dovessimo attenderci da anni la disgrazia e per quanto a mio Padre3 non si potesse, a freddo, augurare la continuazione di una vita così infelice, tuttavia la sua scomparsa ci ha lasciato tutti male ‒ ed è sopravvenuta, si può dire, all’improvviso, ed è servita anche a farci misurare con più chiarezza le deficienze dei medici in cui pareva tuttavia che si dovesse riporre fiducia. Ma basta con le malinconie. Ti prego di ringraziare tanto anche la tua Mamma ‒ e di ringraziarla anche per l’articolo dottissimo che ha avuto la bontà di mandarmi4. Ricambiarglielo con miei estratti mi sembra superfluo, perché mando tutte le mie cose a te e penso che finireste con l’avere inutili doppioni; ma, se potesse esserle gradito qualcosa di mio (o di ‘urbinate’ o di ‘pesarese’), non hai che da dirmelo. Sto cercando di riprendere un po’ a lavorare, che è la migliore distrazione. Rimettrò le mani all’articoletto per Terzaghi5, che diventa sempre più esile perché mi sono accorto che qualche cosa era già stata detta, ma del tutto trascurata (o deformata) nella ‒ purtroppo mediocre ‒ edizione dei Priapea di Cazzaniga6. Lana mi ha mandato da leggere le bozze di un suo molto elaborato volume (un mattone, ma non male informato astronomicamente, per via delle date del viaggio) su Rutilio Namaziano7. Pare che sarà chiamato a dirigere la «RFC» con Gallavotti. Ti abbraccio. Scevola La lettera di T. non è conservata. Vd. lett. 121. 3 Scevola Mariotti sr. (1880-1961), sulle cui condizioni di salute vd. lett. 397 e 399. 4 Forse M. Timpanaro Cardini, Una dottrina pitagorica nella testimonianza aristotelica, «Physis», 3, 1961, pp. 105-12. 5 M., Note ai Priapea (cit. lett. 408). 6 Carmina ludicra Romanorum. Pervigilium Veneris, Priapea, ed. I. Cazzaniga, Torino 1959. 7 I. Lana, Rutilio Namaziano, Torino 1961. 1 2 811 4191 Pisa, 1. 11. <1961>2 Carissimo Scevola, grazie della tua affettuosa lettera. So bene quale senso di vuoto lasci la scomparsa di una persona cara, anche quando non sopravviene inaspettata; e come soltanto il riprendere il proprio lavoro possa contribuire a rendere meno insopportabile il dolore. Leggerò naturalmente con grande interesse i tuoi contributi ai Priapea3. Io, per il volume in onore di Terzaghi, sono ancora incerto tra una noterella a un passo di Lucano e un contributo – in verità molto misero – all’Historia Augusta. Si tratta di roba che non ho mai pubblicato perché troppo insignificante, e che sono costretto ora a tirar fuori non avendo nient’altro e non volendo ricascare ancora una volta sull’Antologia Salmasiana4. Terzaghi è afflitto da una cateratta che lo ha quasi del tutto privato della possibilità di leggere. Spera di potersi far operare5. C’era da aspettarci che la «Rivista di filol.» sarebbe finita in mano a Gallavotti e a Lana. Momigliano mi scrisse qualche tempo fa che gli avevano offerto la direzione o condirezione, ma che aveva rifiutato per i suoi impegni già troppo numerosi. Ti scriverò tra alcuni giorni. Intanto i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Lettera manoscritta. L’anno è certamente il 1961 poiché nella lettera si allude alla morte di Scevola Mariotti sr. (vd. lett. precedente, a cui T. risponde). 3 M., Note ai Priapea (cit. lett. 408). 4 In realtà optò per un contributo a Ditti-Settimio (vd. lett. 408). 5 Vd. lett. 426, 428, 430. 1 2 812 420 Pisa, 29. 12. 1961 Carissimo Scevola, ti mando una redazione provvisoria dell’articoletto su Ditti Cretese1. Non mi è ancora arrivata quella dissertazione del Friebe2 che chiesi in prestito esterno parecchio tempo fa; spero che mi giungerà ancora in tempo per poterne tener conto. Ti sarei intanto gratissimo se tu potessi dare una rapida occhiata a queste pagine. Te le mando per espresso perché in questi giorni festivi la posta subisce forti ritardi, ma tieni presente che non c’è fretta. A Della Corte ho scritto che spero di mandargli il dattiloscritto verso il 10 gennaio. Le prime due pagine e mezzo sono particolarmente noiose; sarà meglio, perciò, che tu cominci a leggere dalla fine di p. 3. Come vedrai, si tratta di un articolo mediocre: contributi veramente interessanti non ce ne sono. Non avrei certo perso tempo a scriverlo se non avessi voluto mandare, comunque, qualcosa per il volume terzaghiano. Avevo scritto all’Accademia di Berlino per avere notizie di quel lavoro che Eisenhut preannuncia nella sua edizione3. Mi ha risposto Irmscher che non ne sa nulla; mi ha anche dato l’indirizzo di Eisenhut. Forse gli scriverò, ma mi sembra probabile che il lavoro non sia ancora uscito. Scusami, ti prego, per questa scocciatura che ti infliggo! Se hai molto da fare, lascia perdere senz’altro. Non occorre affatto che tu mi rimandi il dattiloscritto; ne ho altre due copie. Ti ringrazio moltissimo della tua cartolina. La tua difesa di magis quam confisi ecc. è ineccepibile, e mi auguro che tu la pubblichi al più presto4. Su questo testo c’è ancora molto da fare (molto di più di quanto appaia dal mio frettoloso articoletto), e sono sicuro che, se te ne occuperai, troverai molto di nuovo e di interessante. Purtroppo l’apparato critico di Eisenhut T., Per la critica testuale dell’Ephemeris di Ditti-Settimio (cit. lett. 408). Vd. anche lett. precedente. 2 R. Friebe, De Dictyis codice Aesino, Diss. Regiomonti, 1909. 3 Dictys Cretensis Ephemeridos belli Troiani libri a Lucio Septimio ex Graeco in Latinum sermonem translati, accedunt papyri Dictys Graeci in Aegypto inventae, edidit W. Eisenhut, Leipzig 1958. A p. v, nota 1 della Praefatio, Eisenhut scrive: «Quibus rebus prologus Dictys Graeci et epistula Dictys Latini inter se differant et quae problemata sequantur, alibi agam». La frase ritorna immutata nella seconda edizione (1973). 4 La cartolina non è stata ritrovata, ma di qui apprendiamo di una congettura di M. a un passo mal tramandato dell’Ephemeris (epist., l. 16 Eisenhut). 1 813 non è del tutto attendibile: spesso non si sa quale lezione abbiano alcuni codici. E ci sono altri difetti (errori di interpunzione, oltre ai numerosissimi errori di stampa) che, per quel che ho veduto, non sono stati notati dai recensori. Prima di partire, Di Benedetto mi disse che voleva scriverti alcune obiezioni su quel priapeo; ma non capii bene di che si trattasse. Spero anch’io che Russo riesca nel concorso di greco. Quello di grammatica latina com’è andato? Traina ha vinto? Ti ringrazio ancora dello Svennung5, che mi è utilissimo. Affettuosi saluti, e i più vivi auguri per il nuovo anno a te e ai tuoi. Il tuo Sebastiano Potrebbe trattarsi di J. Svennung, Anredeformen. Vergleichende Forschungen zur indirekten Anrede in der dritten Person und zum Nominativ für den Vokativ, Uppsala 1958. 5 814 4211 [Pisa, 11. 2. 1962]2 Carissimo Scevola, ti ringrazio vivissimamente delle tue parole amichevoli sulla prefazione al Giordani3 e dell’invito a collaborare al Kleiner Pauly4. Io sono d’accordo che una partecipazione italiana a quest’opera sia molto opportuna, e ho molto piacere che tu vi collabori. Ma io ho lavori che ristagnano ormai da anni – soprattutto l’edizione del Leopardi filologo – , e non vorrei prendere altri impegni. E poi, che autori potrei trattare? Ennio non vorrei assolutamente (da troppo tempo, ormai, ho lasciato quegli studi, e recentemente ho anche detto di no a Muth che voleva un 2o resoconto enniano per il suo «Anzeiger»)5; e di altri autori non mi sono mai occupato a fondo. Grazie, ad ogni modo, per aver pensato a me, e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Cartolina postale manoscritta. Luogo e data si ricavano dal timbro postale. 3 P. Giordani, Scritti, a cura di G. Chiarini, nuova presentazione di S. T., Firenze [1961]. 4 La lettera di M. non è conservata. Il lessico dell’antichità in 5 voll., intitolato Der kleine Pauly perché compilato sulla base della Realencyclopädie iniziata dal Pauly, vedrà la luce in fascicoli tra il 1964 e il 1975 (München). Su di esso e sulla partecipazione di M. vd. lett. 42224, 458-9, 464-5, 544. M. lo propone in dono di nozze a T. nelle lett. 506-7. 5 Circa il primo resoconto vd. lett. 169. 1 2 815 422 Urbino, 17. 4. 1962 Carissimo Sebastiano, ti sono infinitamente grato degli estratti. In quello sul Cattaneo1 (e su tante altre cose importanti e ignorate) sono tornato ad ammirare la tua padronanza di un campo così trascurato, la tua capacità di presentare quadri così ampi e ricchi di connessioni con i più diversi campi della storia della cultura, la tua modernità (e impegno) di giudizio. Rallegramenti non minori per gl’Inediti di Grassi2, la cui pubblicazione hai organizzato e voluto. È molto bene che siano usciti in «At. e Roma», sia perché Grassi era fiorentino e di scuola fiorentina, sia perché una pubblicazione come questa contribuisce a inalzare il livello della rivista. Ho letto quasi tutti i contributi di Grassi e le tue e vostre esposizioni del suo pensiero, confermandomi ulteriormente nella persuasione che era davvero un filologo di alto livello, la cui fine non è stata meno grave per gli studi di quella di Walter Ferrari3. Sai già quanto mi piacesse il contributo luciliano, assolutamente sicuro (non avevo mai pensato al duplice Tite4 di Ennio: sebbene per questo non rimanga ombra di dubbio, l’ἑλληνικῶς di Grassi è degnissimo di considerazione)5, e quello all’Anth. Lat. Da come è presentato, sembra che anche quest’ultimo sia stato scritto da Grassi; ma non eri stato tu a trovare per primo la correzione6? Le cose di metrica greca mi sembrano importanti e incontrovertibili. Sai che non sono d’accordo sul saturnio, pur riconoscendo l’interesse che hanno le obiezioni alla scansione di Leo-Pasquali. Ma la mentalità (critica- S. T., Carlo Cattaneo e Graziadio Ascoli, I. Le idee linguistiche ed etnografiche di Carlo Cattaneo, «RSI», 73, 1961, pp. 739-71; la seconda parte, intitolata L’influsso del Cattaneo sulla linguistica ascoliana, uscirà ibid., 74, 1962, pp. 757-802. I due articoli sono ristampati in Id., Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa 1965 (19692), pp. 229-357. Qui ci si riferisce alla prima parte (vd. lett. seguente). 2 Vd. lett. 397. 3 Allievo di Giorgio Pasquali, nato nel 1914 e prematuramente scomparso nel 1938, a partire dal 1936 pubblicò numerosi saggi di filologia greca e latina, di cui alcuni apparsi postumi. M. lo ricorda alle pp. 76-7 della sua relazione Filologi classici ex-normalisti, «A&R», s. V, 17, 1972, pp. 67-77 (= SFC, pp. 632-42). 4 Enn. ann., 109 V.2. 5 Vd. lett. 397. 6 Si riferisce alla congettura di clune in AL 298, 2, su cui già nella lett. 398 T. aveva scritto: «era stata fatta da lui indipendentemente da me». 1 816 mente) ‘distruttiva’ di Grassi lo ha forse fatto diventare un po’ tendenzioso. Non avrà pensato che a insece del primo verso di Livio Andronico si poteva sostituire ‒ forse più naturalmente di ogni altra parola ‒ cane, e con cane non c’è modo di rientrare negli schemi del Leo (sebbene cane versutum abbia 5 sillabe e 2 parole, come tanti saturni nel 2o colon: filii Terras7 ecc.)? Forse bisognerà che io dica prima o poi ‒ ma possibile che nessuno l’abbia detto? (o l’avrà detto il Leo e io non me ne sono accorto?) – che, spiegando la coesistenza di varii tipi di cola nel saturnio con sincopi, catalessi ecc., non è ammesso in ciascun colon del saturnio più di uno di questi fenomeni seguendo gli stessi schemi del Leo. E resta la mancanza (assoluta, mi pare, nel saturnio letterario) di ‘anapesti strappati’. Per il Kleiner Pauly non credo nemmeno io, specialmente dopo la tua rinuncia, di dovermici impegnare tanto8. Se tu avessi qualche articolo che t’interessasse di fare, naturalmente mi farebbe molto piacere di farlo sapere a Sontheimer. Io mi limiterò a qualche articolo qua e là. Per Ennio sono molto esitante9. Ti saluto affettuosamente e ti prego di fare i migliori auguri di buone vacanze alla tua Mamma anche per Tota10, e di gradirli tu stesso. Scusa la fretta e abbiti un affettuoso abbraccio dal tuo Scevola Naev. carm., fr. 19 Mor. = 12 Mar. Vd. lett. precedente. 9 In realtà poi M. finì per fare la voce Ennius (vd. lett. 458). 10 Vd. lett. 228. 7 8 817 423 Pisa, 19. 4. 1962 Carissimo Scevola, ti sono molto grato della tua lettera affettuosa1. L’articolo sul Cattaneo non è privo di difetti: è un po’ troppo ‘impegnato’ in senso politico-attuale, e certi giudizi andrebbero sfumati e articolati con mano più leggera. Lo stesso difetto presenta anche la seconda parte (sui rapporti Cattaneo-Ascoli) che dovrebbe uscire nel terzo fasc. della «Rivista storica». Spero, comunque, che questi articoli possano servire come prima approssimazione, per richiamare l’attenzione su questi argomenti e incitare altri a occuparsene. Sono molto contento che anche a te gli scritti di Grassi sembrino importanti. Certo, chi lo ha conosciuto più a fondo sa bene che egli era ancor più intelligente di quanto appaia da questi appunti frammentari; tuttavia mi pare che molti di questi suoi contributi siano sicuramente giusti, e molti altri, anche se discutibili, offrano spunti fecondi a futuri studiosi. Su quell’hellenicôs, da lui annotato in margine al Tite di Ennio, anch’io non giurerei; e tuttavia sembra anche a me che l’idea sia degna di seria considerazione. Tra i contributi metrici, il più discutibile è certamente quello riguardante il saturnio, di cui già parlammo. Le cose che mi scrivi a questo proposito (in parte nuove rispetto a quelle che allora mi dicesti) sono molto interessanti, e mi auguro che tu voglia svilupparle e pubblicarle. Acuta l’obiezione che scrivendo cane versutum il saturnio non torna più: un’obiezione che non era venuta in mente né a Grassi né a me, sebbene possa apparire ovvia (nei reiziani il Leo esclude tassativamente allungamenti di finali del tipo cané, a differenza che negli itifallici?). È anche importante l’altra tua osservazione, che in ciascun colon del saturnio non è ammessa più di una libertà metrica (sincope, catalessi ecc.). Io qui non ho sottomano il Leo (inesistente a Pisa e smarrito a Firenze!)2, e non posso fidarmi della mia memoria perché l’ho letto troppo tempo fa, ma mi sembra che né il Leo né altri abbiano mai fatto questa osservazione. – Se anche le obiezioni del Grassi dovessero portare a una conferma della scansione di Leo-Pasquali sulla base di nuovi argomenti, non sarebbero state inutili3. Si tratta della lett. precedente, a cui T. risponde dettagliatamente. F. Leo, Der saturnische Vers, Berlin 1905. 3 Come è noto, il T. cambiò idea sul saturnio, proprio sulle orme del Grassi; oltre alla lett. 439, se ne veda il saggio Pasquali, la metrica e la cultura di Roma arcaica, premesso alla nuova edizione di G. Pasquali, Preistoria della poesia romana, Firenze 1981 («dove, 1 2 818 Non vorrei assolutamente che la mia rinuncia a collaborare al Kleiner Pauly (dovuta a motivi strettamente miei, cioè alla mancanza di tempo e alla scarsa consuetudine che ormai da anni ho con la filologia classica) inducesse anche te a non occupartene. Tu dovresti assolutamente fare l’articolo su Ennio, altrimenti – dato che Skutsch non collabora – finirà in mano di qualche incompetente; e potresti benissimo fare altri articoli, sia di latino arcaico, sia su Ovidio, sia su Naucellio e il suo ambiente, ecc. Nella tua lettera non parli di una tua venuta a Pisa. Ma so da Campana e da Carlini che ti hanno invitato alla Normale, e ho fiducia che accetterai e che ci vedremo. Di che parlerai? Domizio Marso? (Campana era entusiasta delle tue lezioni padovane). Anche a te e ai tuoi i più vivi auguri miei e di mia madre. Sono stato lietissimo della libera docenza di Italo4! Sebastiano [PS. ‒]5 In margine… una seccatura! Ho visto Nenci che è di nuovo in attesa di un concorso. Mi ha pregato di chiederti se puoi votare e far votare Andreotti e Giannelli. Io, come al solito, mi limito a fare da trasmettitore delle sue richieste. Nenci è, come sai, una bravissima persona e non è indòtto; non so che possibilità abbia per questo concorso. però, sono stato troppo reciso», dirà a p. 303 nota 37 di S. T., Scevola Mariotti, «Belfagor», 48, 1993, pp. 271-326). 4 Quest’ultima frase è aggiunta a mano. 5 Aggiunta manoscritta nel margine sinistro. 819 424 Pisa, 7. 7. <1962>1 Carissimo Scevola, da molto tempo non ci scriviamo. Come va? A che cosa stai lavorando? Alle Lezioni su Ennio? Zicàri mi scrisse tempo fa che stava occupandosi anche lui di Ennio; forse per il Kleiner Pauly2? Skutsch mi ha annunziato recentemente che la prossima estate verrà in Italia portando con sé il dattiloscritto completo della sua edizione. Speriamo che sia la volta buona! Avrai ricevuto certamente anche tu il mastodontico Nevio epico di Marino Barchiesi3. Com’è? Io gli ho dato una scorsa, ma temo che non avrò il tempo e l’energia necessaria per leggerlo tutto. Mi sembra dotto (fra l’altro sembra ben preparato in storia della filologia), ma prolisso, professorale e privo di senso della misura. E i contributi originali, per quel che son riuscito a vedere, sono ben pochi. Questa bibliografomania minaccia davvero di soffocare gli studi classici e di allontanare da essi le persone più vive e intelligenti. Ma, ripeto, queste mie sono impressioni fuggevoli. Fraenkel, come avrai saputo, è stato a Roma e ora dovrebb’essere a Capri. Si è molto dispiaciuto che io non sia andato a trovarlo a Roma, ma proprio non potevo. È sempre molto amareggiato per il mancato invito alla Normale. Non ho più saputo niente della Miscellanea genovese per Terzaghi4. Se Della Corte ha già un numero sufficiente di contributi, sarebbe forse opportuno che non aspettasse troppo i ritardatari, altrimenti il volume rischia di uscire chissà quando. Ma forse si tratta semplicemente di un ritardo estivo della tipografia. Tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano L’anno si ricava dal riferimento al Nevio di Barchiesi (1962), appena uscito. Sul Kleiner Pauly vd. lett. 421. Dalla lettera seguente si deduce che M. Zicàri dovette essere incaricato da M. di curare la riedizione di LE, su cui vd. lett. 367. Forse frutto di questo lavoro, che non giunse a compimento, fu una nota di Zicàri a Enn. ann., 97 V.2 contenuta in M. Z., Congetture, «StudUrb(B)», 36, 1962, pp. 177-84. 3 M. Barchiesi, Nevio epico. Storia interpretazione edizione critica dei frammenti del primo epos latino, Padova 1962. 4 Vd. lett. 376. 1 2 820 425 Pisa, 25. 7. 1962 Carissimo Scevola, mi dispiace che la signora sia stata poco bene; sono contento di sapere che adesso è guarita1. Mia madre ed io le inviamo i migliori saluti e auguri. Leggerò molto volentieri il tuo Domizio Marso2, tanto più in quanto ho capito, da alcuni accenni di Campana, che dev’essere un lavoro originale e pieno d’interesse. Purtroppo, come era da prevedere, le due dissertazioni di Unger qui non ci sono3. Questa delle dissertazioni, dei ‘programmi’ ecc. è sempre una lacuna gravissima delle nostre biblioteche. Avrai già cercato, immagino, a Roma all’Istituto Germanico e all’Accademia Americana. Mi dispiace un poco il ritardo delle Lezioni su Ennio, ma ho fiducia che sia un ritardo breve4. Sarebbe una bella cosa che la seconda edizione uscisse prima dell’edizione enniana di Skutsch. Sono sicuro che Zicàri farà un buon lavoro5, che conserverà una sua utilità anche dopo la pubblicazione dell’edizione di Skutsch (tanto più che quest’ultima avrà, purtroppo, alcuni seri difetti: emendazioni in ossequio a ‘leggi’ metriche inesistenti, rifiuto della testimonianza ciceroniana secondo la quale Ennio non narrò la prima guerra punica… A meno che, all’ultimo momento, Skutsch non si ‘ravveda’!) È vero, la proposta del Barchiesi di leggere Ditem vexerant è molto acuta e degna di considerazione6; a me era sfuggita, in quella rapida scorsa che Risponde a una lett. di M. non conservata. L’articolo di M. su Domizio Marso (Intorno a Domizio Marso) uscì in Miscellanea di studi alessandrini in memoria di Augusto Rostagni, Torino 1963, pp. 588-614 (= SFC, pp. 91-118). 3 Le dissertazioni di R. Unger che interessavano M. sono certamente quelle citate nell’articolo su Domizio Marso: Corollarium, Gratul.-Progr. Friedland per C. Leuschner, Novi Brandenburgi 1858 e Id., Epistola de Domitii Marsi Cicuta, Progr. Friedland, Novi Brandenburgi 1861. 4 Vd. lett. 367. 5 Vd. lett. precedente. 6 Per l’idea di scrivere ditem con l’iniziale maiuscola in Naev. carm., fr. 51 Mor. = 43 Mar. vd. Barchiesi, Nevio epico (cit. lett. precedente), pp. 506, 538 (vd. anche «RFIC», 91, 1963, pp. 303-12). La congettura, accolta sia da Büchner che da Blänsdorf, è approvata da A. Traina, Poeti latini (e neolatini), III, Bologna 1989, p. 42; sulla questione vd. anche M. De Nonno, Ruolo e funzione della metrica nei grammatici latini, in Metrica classica e linguistica, Urbino 1990, pp. 485-6. 1 2 821 avevo dato al volume. Forse la mia prima impressione era stata troppo negativa; vedo che anche la storia degli studi sul saturnio è molto utile e accurata, anche se le conclusioni sono troppo eclettiche e oscillanti. Ho piacere di sapere che la raccolta dei contributi per la Miscellanea Terzaghi va avanti7. È una buona cosa che ce ne sia anche uno di Strzelecki8: arricchirà un po’ l’esigua schiera dei collaboratori non italiani. In attesa del tuo dattiloscritto su Domizio Marso, ti invio i più affettuosi saluti. Il tuo Sebastiano Vd. lett. 376. Al volume Lanx satura Nicolao Terzaghi oblata (cit. lett. 376) W. Strzelecki contribuì con De glossarii ‘abolita’ quadam glossa (CO 102), pp. 331-4. 7 8 822 4261 Pisa, 10. 8. 1962 Carissimo Scevola, ho letto col più vivo interesse l’articolo marsiano2. È ottimo! È uno dei migliori esempi di come si possa risalire ‘dal particolare al generale’, da singoli problemi di interpretazione e di critica testuale alla ricostruzione di una personalità e di un ambiente letterario. Conoscevo già il tunc omnia desolata, senza dubbio giusto (mi ricordo che me ne avevi parlato una volta a Firenze)3; ma non meno persuasive sono le osservazioni sui due distici ‘bobbiesi’ di Marso4, sulla sua posizione politica, sui suoi rapporti col neoterismo, sugli echi di Marso in Ovidio. Su tutte queste questioni ti muovi con assoluta padronanza dei testi antichi e – come si vede dalle note – della bibliografia moderna, anche per quanto riguarda la storia politica del periodo tra la morte di Cesare e la vittoria definitiva di Ottaviano. L’unico punto su cui qualche dubbio mi rimane è la restituzione dei vv. 5-6 dell’epigramma contro Bavio (restituzione che, del resto, anche tu presenti come ipotetica). Più precisamente: 1) l’integrazione clam al v. 5 non mi sembra molto confacente al senso, o almeno non molto necessaria, se non per ragioni metriche (ma non mi viene in mente nessun monosillabo più adatto); 2) non mi sentirei di escludere del tutto quella che l’Havet chiamava la «jalousie banale»: i due Bavii avevano tutto in comune, ma il tentativo di… socializzare anche la moglie di uno dei due provocò l’ira del legittimo consorte e la crisi del sodalizio5. Insomma per il senso, a me non dispiacerebbe qualcosa di questo genere: «Ma dopo che la moglie dell’uno dei due andò a letto con l’altro …» (novit va certo bene; non vult del Buecheler sciupa tutto). Senonché questo mio rimane un mero desiderio, poiché credo che sia quasi impossibile trovare un’emendazione che dia quel senso. Perciò, tutto sommato, devo riconoscere che la tua soluzione è la migliore finora escogitata e forse la migliore possibile, in quanto permette di salvare l’ottimo nesso concubitum novit e dà un senso accettabile. Nella nota 21 non direi che le ultime quattro righe siano da togliere: l’i- M. ha annotato sul margine superiore della lettera: «importante per Marso». Vd. lett. precedente. 3 Si riferisce al Dom. Mars. carm., fr. 1, 7 Mor. (Cicuta, epigramma contro Bavio). 4 Epigr. Bob., 39-40. 5 M. annota in margine: «non può essere (alter, alter), chiarire meglio nell’articolo» (a questo proposito vd. lett. seguente) e più sotto: «presentare meglio <clam> concubitum <Arri>». 1 2 823 potesi, espressa in forma dubitativa, mi pare acuta e legittima. – Interessante nella nota 23 il confronto con l’autoepitaffio di Giulia Beccaria, che non conoscevo! Sarà stato il Manzoni (con la sua iper-modestia, un po’ sincera e un po’ affettata) a non volerlo fare incidere sul sepolcro? – La nota 88 è da sopprimere assolutamente! Quella mia noterella polemica in «Società»6 aveva un mero valore contingente: le cose che io dicevo lì erano note lippis et tonsoribus. In questo caso avrebbe davvero ragione il Marmorale ad accusarci di eccessive citazioni amichevoli! Il cappello introduttivo non mi pare sforzato: effettivamente il tuo articolo rientra di pieno diritto in una raccolta di studi sull’alessandrinismo. Nemmeno mi sembra che tu abbia trattato troppo bene Rostagni: dove gli dai ragione, ce l’ha davvero. Ho visto ieri l’altro a Viareggio Terzaghi, che sta bene (soltanto, non ci vede quasi affatto, a causa della cateratta; ma spera di operarsi presto)7. Ti ricorda con viva simpatia, e così pure Italo. Il volume di suoi scritti che esce a Torino (Bottega d’Erasmo) è quasi tutto stampato8; più indietro è l’altro volume (di scritti su Prometeo e su argomenti archeologici) che dovrebbe essere pubblicato da Le Monnier9. Speriamo che entro l’anno esca anche la Miscellanea genovese10. Rinnovandoti i più vivi rallegramenti per il Domizio Marso, ti abbraccio affettuosamente. Sebastiano S. T., Catullo democratico?, «Società», 7, 1951, pp. 125-8. Si tratta di una recensione alla traduzione di Catullo di E. Cetrangolo con prefazione di A. Donini, Milano 1950 (la risposta di Donini ibid., pp. 128-30). M. non sopprimerà la citazione. 7 Vd. lett. 419. 8 Terzaghi, Studia Graeca et Latina (cit. lett. 376). 9 N. Terzaghi, Prometeo. Scritti di archeologia e filologia, Firenze 1966. 10 Lanx satura (cit. lett. 376). 6 824 427 Pisa, 24. 8. <1962>1 Carissimo Scevola, hai perfettamente ragione quanto al fr. 1, 5 di Marso2! Io avevo fatto un grosso pasticcio: non m’ero accorto che, secondo l’interpretazione che a me pareva giusta, alterius del v. 5 e alter del v. 6 dovrebbero riferirsi tutt’e due al marito, il che evidentemente è impossibile! E avevo mescolato insieme le due ‘interpretazioni tradizionali’. Adesso riconosco che, se la vecchia interpretazione da me riesumata è impossibile, quella oggi prevalente è, come tu giustamente osservi, assai fiacca. Perciò la tua proposta, anche se nei particolari è, ovviamente, non del tutto sicura, è ad ogni modo la più fondata. Né credo che sarà facile trovare di meglio. Quanto a quel rinvio alla mia nota in «Società», insisterei proprio perché tu lo cancellassi3. Quel che io dicevo c’è già nella Storia del Marchesi, che io stesso citavo. La mia polemica contro l’interpretazione pseudo-marxista di Donini ebbe un valore del tutto contingente; non è davvero il caso di riesumarla. La faccenda Ronconi-Della Corte è davvero spiacevole. Spero di vedere Ronconi ai primi di settembre e non mancherò di spingerlo a collaborare al volume genovese4. Ma se non ha detto di sì a te, è molto difficile che lo dica a me. Della Corte senza dubbio ha fatto male a invitarlo solo in un secondo tempo… Ma le cose saranno andate davvero così? Ronconi, purtroppo, è affetto da mania di persecuzione, come tu ben sai, ed è capacissimo di essersi messo in testa un sospetto del tutto infondato. Bisogna anche dire che Ronconi non mostrò molta sollecitudine quando era in progetto il famigerato volume fiorentino, anzi, dopo Nencioni, fu il principale responsabile del fallimento dell’impresa. Ma ad ogni modo sarebbe un peccato che non collaborasse. Quanto alla «Riv. di filol.», mi sembra proprio che dovresti accettare5. Te lo dico con tutta sincerità, non per fare dei ‘complimenti’ che sarebbero del tutto sciocchi. Sono convinto che, anche se dovrai subire qualche articolo non molto buono proposto da Gallavotti e da Lana6, potrai, d’altra parte, 1 2 3 4 5 6 L’anno si supplisce facilmente confrontando la lettera che precede. Vd. lett. precedente. La replica di M., a cui T. risponde qui, non è conservata. Vd. ancora lett. precedente. Si tratta della Miscellanea Terzaghi, su cui vd. lett. 376. Si intende la condirezione della rivista (vd. lett. seguente). Vd. lett. 418-9. 825 contribuire validamente a risollevare il livello di questa rivista che negli ultimi anni era andato paurosamente giù. Non ti troverai isolato: Gabba sarà senza dubbio con te nella stragrande maggioranza dei casi; io lo conosco abbastanza bene, ho anche letto qualcosa di lui, e mi pare persona molto seria; Arnaldo Momigliano ne ha molta stima. Sarebbe anche una bella cosa se, anziché Maddalena, entrasse Untersteiner, il quale, comunque si giudichino i suoi lavori, è onestissimo ed è animato da un sincero desiderio di sostenere i filologi contro gli esteti superficiali. Insomma, a me pare che entrando nella redazione tu abbia ampie possibilità di contribuire effettivamente all’indirizzo della rivista. S’intende che i ‘poteri’ dei redattori dovrebbero essere stabiliti con una certa chiarezza, per evitare che il direttore accentri tutto nelle sue mani7. Ho visto all’Istituto di fil. class. il vol. della RE coi tuoi articoli8. Grazie anticipate per gli estratti! Tanti saluti affettuosi. Sebastiano Quello che segue è stato aggiunto a mano. Nella RE, Suppl. IX, 1962 uscirono diverse voci di M., tutte ristampate in trad. it. in SFC: Clemens aqua, col. 21 (= SFC, p. 220 nota 15); Epigrammata Bobiensia, coll. 37-64 (= SFC, pp. 216-45); Maternae aquae, col. 398 (= SFC, p. 219, nota 12); Unguentarius vicus, col. 1833 (= SFC, p. 245 nota 68); aggiunta a Anicius 47 (Anicius Probinus), col. 7 (= SFC, p. 223 nota 18); aggiunta a Attikos 15 (Nonius Atticus Maximus), col. 16 (= SFC, p. 245 nota 66); aggiunta a Lucillus, coll. 390-91 (= SFC, p. 247 nota 4); Naucellius, coll. 411-5 (= SFC, pp. 246-9). 7 8 826 428 Pisa, 19. 10. 1962 Carissimo Scevola, molte grazie della lettera e dei bellissimi, densi, acuti articoli della Pauly-Wissowa1, che sto leggendo – o rileggendo – con grande piacere. Sono molto contento che tu abbia accettato la condirezione della «Riv. di filol.». La tua presenza contribuirà certamente a innalzare il livello della rivista2. Ti ringrazio dell’invito a collaborare, che accetto molto volentieri. In questo momento non ho niente di adatto, ma spero di poterti mandare qualcosa nei prossimi mesi. Circa un mese fa ho ricevuto le prime bozze del mio articolo per la Miscellanea Terzaghi3. Sembra, dunque, che la cosa vada avanti. Peccato che Ronconi si sia irrigidito4. Terzaghi è attualmente a Siena, dove ha subìto un’operazione di cateratta, pare con esito soddisfacente5; andrò a trovarlo uno dei prossimi giorni e gli farò anche i tuoi saluti e auguri. E la tua venuta a Pisa? Proprio ieri Carlini e Di Benedetto mi domandavano se ne sapevo qualcosa. Spero che tu non abbia rinunziato, e mi auguro di ascoltare presto il tuo seminario su Domizio Marso6. Grazie ancora e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano [PS. ‒]7 Hai visto l’Antonino Liberale di Cazzaniga8? Mi sembra buono, ma forse troppo infarcito di congetture del Cazzaniga stesso, non tutte sicure. Tipograficamente, certo, quella collezione è bruttina assai! E la Storia della Letteratura latina dello stesso Cazzaniga9? Da una prima occhiata non ne ho ricevuto un’impressione molto favorevole, ma dovrei vederla più attentamente. Vd. lett. precedente. Vd. lett. precedente e seguente. 3 Vd. lett. 376 e 408. 4 Vd. lett. precedente. 5 Vd. lett. 419 e 426. 6 Vd. lett. 423. 7 Aggiunta manoscritta. 8 Antonini Liberalis Metamorphoseon Synagoge, ed. I. Cazzaniga, verborum indicem adiecit A. Crugnola, Milano-Varese 1962. 9 I. Cazzaniga, Storia della letteratura latina, Milano 1962. 1 2 827 429 Urbino, 31. 10. 1962 Carissimo Sebastiano, grazie delle tue buone parole per gli articoli della RE. e per la «Riv. di filol.»1. E grazie soprattutto della promessa di collaborazione: ti ho detto che questa, a parte ogni altra considerazione d’interesse della rivista ecc., ha per me un significato particolare. Mi fa piacere che Terzaghi abbia superato abbastanza bene l’operazione. Italo ha saputo da una lettera della Sig.ra D’Amelio che, dopo qualche giorno d’incoscienza, lo stato di Terzaghi è migliorato. Speriamo che tutto si concluda bene, e anche che la Miscellanea esca presto2: io non ho avuto ancora il bene di ricevere le seconde bozze del mio brevissimo contributo3, sebbene le abbia sollecitate da tempo. A Terzaghi ho mandato l’estratto sui Bobiensia con parole di rallegramenti4; anche Italo, e credo Zicàri, gli hanno scritto. Alla Normale non sono stato invitato5 e preferirei non venire prossimamente, finché non sarà risolta la questione della cattedra vacante, che speriamo vivamente vada a Campana (come ti dissi, a me sembra giusto che tocchi a lui, ma pare che Frugoni fosse contrario; ora, passato Frugoni a Roma6, la cosa si dovrebbe decidere favorevolmente, sebbene qualche voce incontrollata parli di una destinazione della cattedra a una materia filosofica. Non vedo perché Campana debba sempre penare per le chiamate!). In primavera, naturalmente, scaduti (non so se col 31 dic. o 31 genn.) i termini per le chiamate, verrei volentieri. Ma che potrei dire su Marso che tu non sappia? Spero poi, allora, di aver saldato il piccolo debito con Carlini, a cui promisi di fare due righe d’annuncio della prossima edizione platonica7. Del Cazzaniga non ho visto né l’Antonino Liberale né la Storia della let- Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Vd. lett. 376. 3 Vd. lett. 408. 4 M., Epigrammata Bobiensia (cit. lett. 386). 5 Vd. lett. precedente e 423. 6 Nel 1962 Frugoni fu chiamato all’Università di Roma per insegnare storia medievale, vd. lett. 345. 7 Platone, Alcibiade. Alcibiade secondo. Ipparco. Rivali, introduzione, testo critico e traduzione di A. Carlini, Torino 1964. 1 2 828 teratura8, sebbene me li abbia promessi entrambi e per iscritto. L’Antonino Liberale è certo utilissimo averlo in biblioteca. Gli scriverò. Tanti saluti affettuosi e di nuovo grazie dal tuo Scevola 8 Vd. lettera precedente. 829 430 Pisa, 22. 11. <1962>1 Carissimo Scevola, scusa se rispondo con tanto ritardo alla tua lettera e alla successiva cartolina2. Sono molto contento che Ronconi «l’abbia presa bene» quanto alla direzione della «Riv. di filologia»3. Sono sempre più convinto che hai fatto benissimo ad accettare4. Di «Maia» avevo sentito dire anch’io qualcosa a Firenze: anche quella sarebbe una buona soluzione5. In complesso, la presenza dei pasqualiani (sia pure di diverso indirizzo) nelle direzioni delle principali riviste filologiche italiane risulterà accresciuta, e questo è senza dubbio un vantaggio: leggeremo meno vaniloqui estetizzanti, e i lavori al di sotto di un certo livello saranno più difficilmente pubblicati. La «Riv. di filologia», in particolare, migliorerà moltissimo, senza alcun dubbio. Capisco il delicato motivo per cui preferisci, per ora, non venire a tenere quel seminario alla Normale6. Purtroppo, però, sembra che Campana abbia scarse probabilità di essere chiamato alla Normale. Chissà a chi andrà a finire quella cattedra. E tu, non lascerai Urbino un bel giorno? Si realizzerà quell’eventualità di cui da molto tempo si sente parlare (Traglia a Roma e Scevola a Pisa)? Lo spero vivissimamente. Qui tu, coi tuoi pur brevi seminari, hai lasciato in molti giovani filologi (Di Benedetto, Carlini, Campanile...) un ottimo ricordo e un grande desiderio di riascoltarti. Di Terzaghi buone notizie7. Sono stato a trovarlo a Firenze la settimana scorsa e mi è parso sempre in gamba. Mi ha parlato con molto spirito di quei tre giorni di sovreccitazione e di semi-incoscienza che ha avuto sùbito dopo l’operazione, e che avevano suscitato un certo allarme. Adesso vede molto bene a distanza, meno bene da vicino; ma pare che questo sia un L’anno si ricostruisce facilmente sulla base del confronto con le lett. 428-9. Sul margine superiore un appunto di M. («avuto Pitagorici II»), per cui vd. lett. seguente. 2 Non conservate. 3 Vd. lett. 418-9. 4 Vd. le tre lettere precedenti. 5 Dopo la morte di Gennaro Perrotta (23 settembre 1962) la direzione della rivista «Maia», fondata dal Perrotta stesso e da Gino Funaioli (1878-1958), venne affidata dall’editore a Francesco Della Corte e Antonio La Penna (1965). Come già durante la direzione Perrotta, la redazione rimase a Umberto Albini, che a sua volta nel periodo di interregno (1963-64), fu indicato nella seconda di copertina come «Redattore responsabile». 6 Vd. lett. precedente 7 Vd. lett. precedente e inoltre lett. 419 e 426. 1 830 effetto frequente delle operazioni di cateratta, e che entro un paio di mesi dovrebbe essere in grado di leggere senza difficoltà. Il volume di suoi scritti pubblicato dalla Bottega d’Erasmo è a buon punto, dovrebbe uscire tra una quindicina o una ventina di giorni8. Quanto al volume genovese, invece, tutto tace9. Speriamo che Della Corte continui a occuparsene e che riesca ad affrettare un po’ il ritmo. Infine, ti prego di scusarmi se ti infliggo una scocciatura. Ti sarei molto grato se tu volessi dare un’occhiata (ma senza alcuna fretta!) all’articoletto qui accluso e farmi sapere il tuo parere10. Che su ilicet (e in particolar modo sul suo uso da parte di Virgilio) si siano scritte parecchie cose inaccettabili, mi pare abbastanza sicuro; ma non vorrei esser caduto, a mia volta, in interpretazioni erronee e forzate. Ti pregherei anche di dare un’occhiata alle note 8, 17, 19, 27, sulle quali ho dei dubbi (specialmente il passo del Truculentus richiederebbe, forse, un’indagine approfondita)11. E se ti pare che io abbia detto grosse fesserìe, dimmelo senza misericordia! Grazie e tanti saluti affettuosi. Sebastiano PS.12 ‒ Ricevo proprio adesso nuove bozze (ma ancora in colonna, non impaginate) dell’articolo per la Miscellanea Terzaghi13. Pare quindi che si proceda, seppure lentamente. Terzaghi, Studia Graeca et Latina (cit. lett. 376). Lanx satura (cit. lett. 376). 10 Si tratta di S. T., Per la storia di ‘ilicet’, apparso in «RFIC», 91, 1963, pp. 323-37 (rist. con alcuni aggiornamenti in Contributi1, pp. 17-38). Vd. anche lett. 431-2, 438, 441, 445-6, 547, 549. 11 Plavt. Truc., 592, su cui vd. lettera seguente. 12 Aggiunta manoscritta. 13 T., Per la critica testuale dell’Ephemeris di Ditti-Settimio (cit. lett. 408). 8 9 831 431 Urbino, 1. 12. 1962 Carissimo Sebastiano, scusami il ritardo. Le tesi sono finite qui solo giovedì, e quello delle tesi è anche il periodo in cui si raccoglie il maggior numero di colleghi: quindi incontri, consigli di facoltà ecc. Ciò non toglie che io abbia letto con grande interesse il bellissimo articolo su Ilicet1. È ammirevole il progresso che hai fatto su linguisti, lessicografi ecc. Ma il titolo non è troppo modesto? Perché non semplicemente Ilicet o tutt’al più Per la storia di ilicet2? Ma il primo titolo mi sembra il migliore. Io non ho nulla da obiettare, sono completamente d’accordo. Tutt’al più, sul passo del Truculentus3 sarei quasi più convinto di te che la lezione giusta è atque ut hic veniat obsecra[t] :: Licet e la scansione è quella ottimamente da te sostenuta col confronto di dic ob haec ecc. (senza iato). E, visto che questa è una soluzione persuasiva (e, per me, quasi sicura), eviterei di proporre alla n. 17, sia pure per respingerla, la proposta obsecrato: i! :: Licet. A me non suona molto bene un licet così, cioè che non si capisce bene se è risposta a obsecra(to) o ad i; ma non saprei formulare meglio l’obiezione. Da un’occhiata superficiale al Lodge4 p a r r e b b e che anche una semplice i in fine di discorso in Plauto non ci sia. Anche sulle altre note che citi nella tua (8, 19, 27) sono d’accordo. Specialmente bella e definitiva la n. 27 su ast. Su un particolare della n. 8 ho segnalato un appunto a matita. A proposito del testo di Carisio5 che riporti a p. 1 m’è venuto un dubbio. Sarà tramandato bene quel nunc? Gli obietterei: 1) ilicet (salvo errore) non è mai spiegato con nunc, anzi non vale mai propriamente nunc (è vero che in Afranio6 potrebbe andar bene anche nunc al posto di ilicet, ‘ora all’improvviso’, ma potrebb’essere un caso); 2) soprattutto, il grammatico stesso spiega l’ilicet di Afranio con subito o extemplo, che hanno senso diverso da nunc. Il nunc dunque potrebbe essere corrotto, probabilmente per influenza della linea precedente in Carisio (nunc pro ilico …; antiqui ecc.), e in questo caso dovrebbe essere corretto in ilico7. Ossia, dopo aver riportato le 1 2 3 4 5 6 7 Vd. lett. precedente. Quest’ultimo sarà appunto il titolo scelto. Plavt. Truc., 592. Lexicon Plautinum, conscripsit G. Lodge (cit. lett. 55). Char. gramm., p. 261, 2 Barwick (vd. Contributi1, p. 19 nota 6). Afran. com., 215 R.3. Nel margine inferiore del foglio: «La corruzione dovrebbe dipendere dal nunc prece- 832 due spiegazioni di Celso, Carisio-Giulio Romano avrebbe aggiunto di suo un esempio dell’uso ‘moderno’ di ilicet (= ilico). O mi sbaglio? Insomma, il tuo articolo mi pare o t t i m o . Fra l’altro, le interpretazioni dei passi virgiliani non lasciano ombra di dubbio. Io non vorrei cominciare a seccarti con la «Riv. di filol.»8. Ma, se non hai impegni preesistenti, terrei enormemente a farlo pubblicare là. Anche per le ragioni che ti dissi. Se dunque potessi, rimandami subito il dattiloscritto, e lo spedirò all’editore con un’indicazione di urgenza (che vedremo poi che valore avrà…). Ti ringrazio molto di quello che mi scrivi per Pisa (Università e Normale) ecc. 9 Anch’io ho sentito dire che Campana ha poche probabilità. È strano. Mi ha raccontato che Frugoni gli ha detto, retrospettivamente, di non essere mai stato favorevole alla sua candidatura e di aver sempre sostenuto che la propria cattedra doveva restare alla storia (quindi almeno lui era contrario anche a filologia classica). Ma ora debbo farti una confidenza. Dirai che sono l’uomo dei segreti; ma forse mi darai ragione sapendo l’argomento e persuadendoti che notizie che su queste faccende si sappiano provenienti da me sarebbero o antipatiche o pericolose. Premetto che tempo fa La Penna mi scrisse una strana lettera dicendo che io sarei stato bene alla Normale, dove peraltro aveva sentito dire che non intendevo andare per ora o che non intendevano chiamarmi, e lui al posto di Traglia10. La cosa, che non corrispondeva al tenore di un precedente ‒ ma vecchio e vago ‒ nostro colloquio sull’argomento, mi ha lasciato un po’ perplesso, e ho preferito non rispondere su quel punto, pur conservando ottimi rapporti epistolari con La Penna. Della cosa preferirei riparlare con lui e con gli altri amici quando si presentino situazioni concrete. È difficile dire il perché, ma una divisione Facoltà-Normale come quella suggerita da La Penna non mi lascerebbe del tutto soddisfatto. Ora poi si presenta un’eventualità vaga, ma non del tutto inconsistente per una soluzione diversa. Poiché alla cattedra romana di Perrotta sarà chiamato certo, in gennaio, Gallavotti e la facoltà sembra orientata (malgrado Paratore, che vorrebbe Letteratura cristiana antica per Simonetti) a conservare la cattedra di Filologia classica, e poiché d’altra parte sembra che, diversamente da quanto credevamo tutti, di Traglia né laici né cattolici vogliono sapere (tranne forse eccezioni; ma oggi è certo che l’orientamento è antitragliano), un certo numero di professori (in particolare Roncaglia e Calogero, ambedue abbastanza autorevoli, e con loro s e m b r a lo stesso Gallavotti!) dente; ma potrebbe aver influito una parziale somiglianza grafica fra nunc e ilico??». 8 Sulla partecipazione di M. alla condirezione della «RIFC» vd. le quattro lett. precedenti. 9 Vd. le due lett. precedenti. 10 All’epoca La Penna insegnava a Firenze; andrà all’Università di Pisa nel 1963 (alla Normale per Filologia Latina dall’anno successivo), per poi tornare a Firenze nel 1967. 833 sarebbero favorevoli a una mia chiamata11. Capisci quanto una sede come Roma sembri appetibile almeno dal lato ‘bibliografico’, specialmente a uno come me che è sempre vissuto in zona per questo aspetto sottosviluppata e non è agile nei movimenti. D’altronde la situazione pisana e quella fiorentina (Ronconi mi ha accennato a una vaga e lontanissima probabilità di una cattedra di Filologia classica a Firenze, avversata però, sembra, dalla maggioranza dei colleghi) non sono per me chiare né facili. Quindi io dovrei, mi sembra, gradire senz’altro la soluzione romana, nel caso si verificasse, e anzi, con estrema cautela, favorirla (gli aspiranti di cui si parla sono numerosi: da Marzullo a Cataudella, da Colonna a Diano ecc.) – tanto più che, in caso di sdoppiamento del Latino a Roma stessa p o t r e i forse passare a una cattedra più adatta a me. Ma si capisce che le probabilità di riuscita sono più che modeste, la situazione è estremamente fluida e il tempo per la decisione ancora troppo lungo (se ne parlerà l’anno accademico prossimo) perché ci si possa fare un’idea di cosa succederà. Scusa la frettolosa confessione: a un amico come te non potevo tacere di questa cosa. Sono lieto del miglioramento di Terzaghi, che ti prego di salutarmi quando lo rivedi12. Sono riuscito ad avere dalla Nuova Italia anche il II vol. dei Pitagorici della tua Mamma13. È un’opera preziosa. Ti abbraccio. Il tuo Scevola Carlo Gallavotti, che all’Università di Roma insegnava sin dal 1949 (dapprima Grammatica greca e latina e poi, dal 1958, Filologia classica), ricoprì la cattedra di Letteratura greca dall’a.a. 1962-63 fino al pensionamento, nel 1979. M. verrà chiamato al suo posto, sulla cattedra di Filologia classica, nell’a.a. 1963-64. 12 Vd. lett. 419, 426 e 428-30. 13 Pitagorici: testimonianze e frammenti (cit. lett. 375). 11 834 432 Pisa, 5. 12. <1962>1 Carissimo Scevola, ti ringrazio moltissimo della tua lunga e affettuosa lettera2; e prima di tutto mi rallegro di tutto cuore per la prospettiva di una tua chiamata a Roma. ‘Egoisticamente’ io e gli altri tuoi amici pisani ci saremmo augurati di averti a Pisa; ma certo Roma è una sede incomparabilmente migliore, non fosse altro, per le ricchissime biblioteche; e d’altra parte capisco come l’ipotesi di una tua chiamata alla s o l a Scuola Normale, e non anche all’Università, sia per te insoddisfacente. Mi rallegro anche con la maggioranza della Facoltà romana, che, chiamando te, dimostrerà di saper fare una scelta basata esclusivamente sul valore scientifico e infliggerà un colpo agli intrighi di tanti mestieranti o ai desideri di studiosi onesti ma un po’ troppo limitati. Senza dubbio la tua attività di studioso e di maestro sarà potenziata dal trasferimento a Roma: è tempo, ormai, che tu lasci Urbino, sede simpaticissima ma troppo periferica e troppo lontana dalle grandi biblioteche. Sono molto contento che l’articoletto su ilicet ti sia in complesso piaciuto3. Si tratta per la maggior parte, come avrai visto, di cose del tutto ovvie: è curioso che tanti studiosi di valore non le avessero già notate! Il punto più oscuro rimane quel passo del Truculentus4. Penso che tu abbia ragione di optare, più decisamente di quanto io non avessi fatto, per la correzione di ilicet in licet (e avrai anche ragione nel respingere la soluzione i! || licet, un po’ troppo artificiosa). A me dispiace ancora un po’ dover eliminare un ilicet, parola rara; ma capisco che supporre già in Plauto l’esistenza del significato di ‘subito’ è assai arrischiato. Il Tandoi (modificando leggermente un’interpretazione di F. Scàndola, nella traduzione di Plauto della BUR)5 vorrebbe vedere in quell’ilicet un’espressione a doppio senso: l’etèra intenderebbe l’espressione come una risposta affermativa del servo (‘Subito!’), mentre in realtà il servo vorrebbe dire ‘Siamo fritti!’, in quanto il suo padroncino non saprà resistere agli allettamenti di Fronesio e cor- L’anno si ricava dal confronto con la lett. precedente oltre che dall’accenno a tre libri usciti nel 1962. 2 Vd. lettera precedente, a cui T. risponde. 3 Si tratta di Per la storia di ‘ilicet’ (cit. lett. 430). 4 Plavt. Truc., 592. 5 Tito Maccio Plauto, Tutte le commedie, Traduzione di M. Scàndola, Milano 195356. 1 835 rerà subito da lei. Ma l’ipotesi mi pare troppo complicata, e difficile anche a realizzarsi scenicamente: non mi pare che il servo potesse pronunziare questo ilicet con un tono di voce e con un gesto tali da legittimare le d u e interpretazioni. Che ne pensi? Molto acuta, e certamente da citare, la tua proposta di correggere nunc in ilico in quel passo di Carisio6. Del tutto sicura non la direi, perché, manco a farlo apposta, come anche tu osservi, il senso di nunc andrebbe bene anch’esso per quel passo di Afranio7; ed è vero che, dopo, Carisio spiega ilicet con subito vel extemplo, ma non mi pare impossibile che il grammatico abbia accozzato insieme due spiegazioni leggermente diverse (ma sostanzialmente concordi) che egli avrà trovato in due diverse fonti (o in un’unica fonte più ampia, da lui malamente compendiata: questo lo fa spesso anche Servio, come appare dal confronto col Danielino). Moltissime grazie della segnalazione del Lindqvist8! Ho letto la recensione di Pisani in «Paideia»9 (che a me era completamente sfuggita); purtroppo il libro di Lindqvist non c’è qui a Pisa; spero di trovarlo a Firenze. Dall’accenno di Pisani parrebbe che il Lindqvist si occupasse solo dell’etimologia, ma chi sa che non tratti anche del significato della parola nei vari autori latini. Sono contentissimo di darti l’articoletto per la «Rivista di filologia»; e grazie anche di questo! Non te lo rispedisco ora perché vorrei prima vedere Lindqvist e ripensare un poco sul passo del Truculentus (sul quale ti sarò grato se mi scriverai ancora due righe); ma spero di poterti presto inviare il dattiloscritto ritoccato. Moltissimi saluti affettuosi dal tuo Sebastiano [PS. ‒]10 Per ora non faccio parola a nessuno della tua chiamata a Roma; va bene? Qui molti devono ancora credere probabile la tua venuta a Pisa: così crede, per es., Silvio Pellegrini, che me ne parlava due sere fa, compiacendosene moltissimo. Ricevo in questo momento i due volumi aristofanei di Lallo Russo11 e di Char. gramm., p. 261, 2 Barwick. Afran. com., 215 R.3. 8 A. Lindqvist, Satzwörter, Göteborg 1961. La segnalazione era contenuta verosimilmente nelle note al dattiloscritto dell’articolo di T., restituito da M. con la lettera precedente. Lindqvist (Satzwörter, p. 40), resogli accessibile da Munari, è citato da T. a proposito della derivazione di ilicet da i licet (cfr. Contributi1, p. 18 nota 2). 9 V. Pisani, rec. a A. Lindqvist, Satzwörter, «Paideia», 17, 1962, pp. 292-3. 10 Aggiunta manoscritta. 11 C.F. Russo, Aristofane autore di teatro, Firenze 1962 (19842). 6 7 836 Carlo Prato12. Quello del Fraenkel13 – che purtroppo ho letto solo in parte – mi sembra molto buono. 12 13 C. Prato, I canti di Aristofane. Analisi, commento, scoli metrici, Roma 1962. E. Fraenkel, Beobachtungen zu Aristophanes, Roma 1962. 837 4331 Pisa, 26. 12. 1962 Carissimo Scevola, alcuni giorni fa ho incontrato – caso raro! – il Donadoni2, il quale, senza che io prendessi l’iniziativa del discorso, mi ha detto che ci sono buone probabilità di una tua chiamata a Roma3 e mi ha fatto capire chiaramente che intende votare a tuo favore. Donadoni è amico di Traglia, ma lo è anche – e assai di più ‒ di Gallavotti, per il quale ha una stima m o l t o alta, forse perfino eccessiva; e ha moltissima stima e simpatia per te. Mi sembra, quindi, che il suo voto a tuo favore sia sicuro. Meglio ancora se, come mi accenni nella tua ultima4, c’è una possibilità di sistemazione a n c h e per Traglia. Insomma mi sembra che le cose siano incamminate bene e ti rinnovo i più fervidi auguri in tal senso. Stando tu a Roma, avremo occasione di vederci più spesso; e mi auguro che qualche volta ti invitino anche a tenere qualche seminario alla Normale. Per quel libro di Lindqvist ho scritto a Munari5. Appena sarò riuscito a vedere il libro o ad aver notizia di ciò che dice su licet, rimaneggerò il mio articolo (tenendo conto anche delle tue osservazioni) e te lo manderò6. E grazie di nuovo! I migliori auguri per il 1963 a te e ai tuoi, anche da parte di mia madre. Tuo Sebastiano PS. ‒ Hai visto il libro di Carlo Prato sui cantica di Aristofane7? Non mi sembra cattivo, anche se alcune scansioni sono discutibili. E il pamphlet di Vitelli Filologia classica... e romantica8? È spiritoso, garbato, e ha molte Lettera manoscritta. Sergio Donadoni (1914-2015), egittologo. 3 Vd. le due lett. precedenti. 4 Non conservata. 5 Vd. lett. precedente. 6 Si intende l’articolo Per la storia di ‘ilicet’ (cit. lett. 430). 7 Prato, I canti di Aristofane (cit. lett. precedente). 8 G. Vitelli, Filologia classica… e romantica. Scritto inedito (1917), a cura di T. Lodi con una premessa di U.E. Paoli, Firenze 1962. 1 2 838 osservazioni interessanti, anche se rimane nettamente al di sotto di Filologia e storia di Pasquali9. Firenze 1920 (nuova edizione con una premessa di A. Ronconi, Firenze 1964; rist. con una premessa di F. Giordano e in appendice Disinfettare la filologia di G. Pasquali, Firenze 1998). 9 839 4341 [19. 2. 1963]2 Carissimo Scevola, ti ringrazio di tutto cuore3. Ma quel «come osserva il Mariotti» non lo devi a s s o l u t a m e n t e cancellare4. Già altre tue osservazioni sono state da me utilizzate in quell’articolo senza nominarti; ma ora non bisogna esagerare! Quei tre libri che mi indichi devono essere tutti e tre interessanti; purtroppo mi mancherà il tempo di recensirli, trattandosi di temi per me nuovi. F o r s e l’ed. di Catone De agr. potrebbe essere recensita da Boscherini5?? Ma può darsi che, essendo vicino a Ronconi, sia già impegnato per l’«Atene e Roma». Sono lieto delle buone notizie romane!6 Ti abbraccio. Sebastiano Cartolina postale manoscritta. La data, ricavabile con sicurezza dal timbro postale, si riferisce a quella di arrivo a Urbino. 3 Risponde a una lettera non conservata di M. con osservazioni sull’articolo di T., Per la storia di ilicet (cit. lett. 430), destinato alla «RFIC». 4 Si allude alla reiterata citazione di M. a proposito della sua congettura nunc per ilico (vd. lett. 431). La doppia citazione sopravvive nell’edizione a stampa (cfr. Contributi1, p. 19 nota 6), nonostante le insistenze di M. (vd. lett. 438). 5 M. Porci Catonis De agri cultura, ad fidem Florentini codicis deperditi edidit A. Mazzarino, Lipsiae 1962. 6 Relativamente alla prossima chiamata di M.; vd. le tre lettere precedenti. 1 2 840 4351 Pisa, 1. 3. <1963>2 Carissimo Scevola, ti sono estremamente grato dell’invio delle Lezioni su Ennio, un tuo libro per il quale ho una particolare affezione e che mi rallegro di vedere ristampato3. Nel post-scriptum alla prefazione hai voluto, come al solito, essere troppo generoso col sottoscritto, annoverandolo addirittura tra i due maggiori ennianisti! (E il Mariotti, allora, dove lo collochiamo?). Io sono in realtà un ex-ennianista, che non ha condotto a termine ciò che aveva, con molto entusiasmo giovanile, intrapreso. Ma perché in quello stesso post-scriptum, accenni all’editio maior delle Lezioni come a un progetto ormai abbandonato? Io spero vivamente che si tratti di un abbandono solo temporaneo. L’editio maior devi farla! E quel capitolo sui falsi enniani, di cui ci desti una così bella primizia nel tuo seminario pisano4? Grazie anche per gli «Studia Oliveriana». Quella bibliografia del carteggio di Terenzio Mamiani, curata da I. Zicàri, è uno strumento di lavoro utilissimo5. Spero di mandarti tra poco alcuni estratti e il Lachmann riveduto e un po’ accresciuto6. La settimana scorsa vidi Donadoni7 che, da me non richiesto, si pronunciò in modo esplicito contro il Marzullo e a tuo netto favore. Grazie ancora e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Lettera manoscritta. L’anno è attestato dal ringraziamento per l’invio di LE, cui si accenna anche a lett. 437, e all’imminente uscita del libro lachmanniano del 1963; si aggiunga che questa lettera è spillata insieme alla cartolina e alla lettera che seguono, entrambe del 1963. 3 Bottega d’Erasmo, Torino 1962; vd. lett. 367. 4 Vd. lett. 395. 5 I. Zicàri, Catalogo del fondo ‘Comunale’ Mamiani della Biblioteca Oliveriana (Lettere ricevute da Terenzio Mamiani dal 1832 al 1855), «SOliv», 8-9, 1960-61. 6 Si riferisce al fatto che La genesi del metodo del Lachmann (cit. lett. 366) riprende in forma riveduta e ampliata un contributo con questo stesso titolo pubblicato in due puntate in «SIFC». 7 Vd lett. 433. 1 2 841 4361 [Pisa, 22. 3. 1963]2 Carissimo Scevola, grazie della cartolina3. Da più parti (da Manfredi, da Tandoi e da un giovane linguista pisano, Alfredo Stussi) ho sentito parlare con e n t u s i a s m o della tua lezione su Pisaurum4. Ciò accresce il mio dispiacere di non avervi assistito. Mi dicono che hai fatto fare delle figuracce orribili a un buon numero di glottologi, specialmente milanesi! Tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano Cartolina postale manoscritta. La cartolina è spillata insieme alla lettera che precede e a quella che segue. La data si ricava dal timbro postale di partenza. 3 Non conservata. 4 La lezione avrà avuto per argomento più propriamente Pisaurus (vd. lett. 309). Di Pisaurum si occupò I. Zicàri, cui si deve la voce relativa in RE, Suppl. XI, 1968, coll. 1092-5, successivamente ristampata in italiano in «SOliv.», 17, 1969, pp. 25-30. 1 2 842 437 Pisa, venerdì <29 (?). 3. 1963>1 Carissimo Scevola, come ti avrà detto Manfredi, non sono potuto venire perché bloccato a Pisa da parenti che erano qui di passaggio e che non vedevo da molto tempo (già un’altra volta erano passati da Pisa in mia assenza). Se avessi saputo fin da ieri che oggi c’era questo contrattempo, sarei venuto ieri a sentire la tua lezione su Domizio Marso. Così, invece, ho perso sia Domizio Marso sia Pisaurum2, e ho perso il piacere di rivederti! Me ne dispiace molto e spero vivamente che un’altra occasione si presenti fra non troppo tempo. Leggerò con gran piacere e interesse la lezione ‘pesarese’ che non ho potuto ascoltare. Manfredi mi racconterà la discussione. Avrai trovato a Urbino la lettera con cui ti ringraziavo delle Lezioni su Ennio3. Sono estremamente lieto della tua chiamata a Roma4. Non ne dubitavo; mi fa particolarmente piacere la fortissima maggioranza con cui sei stato chiamato. E grazie di avermi subito comunicato la bella notizia5! A Roma ti troverai certamente bene: avrai scolari che ti daranno maggiore soddisfazione, e le uniche biblioteche veramente ben fornite d’Italia. Se ne avvantaggerà la tua edizione di Livio Andronico e di Nevio6, e, speriamo, anche la nostra del Salmasiano7. Spero anche (come ti ho già scritto)8 che riprenderai e condurrai a termine l’editio maior delle Lezioni su Ennio9, o una raccolta di altri saggi enniani. Non so se hai visto in «Lettres d’Humanité» (Assoc. Budé) 21, 1962 nr. Questa lettera è spillata insieme alla cartolina e alla lettera che precedono. I venerdì di marzo 1963 caddero l’1 (ma c’è già una lettera con questa data), l’8, il 15, il 22, il 29. Dato che la cartolina precedente, che fa riferimento alla conferenza su Pisaurum, è del 22 e sembra per il tono di immediatezza precedere la ‘giustificazione’ datata venerdì, è possibile che per questa lettera si debba supporre il venerdì successivo, cioè il 29. 2 Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 435. 4 Vd. lett. 431-33 e 435. 5 La lettera non è conservata. 6 M. aveva infatti in animo di curare un’edizione complessiva di Livio Andronico e Nevio (vd. lett. 275). 7 In proposito vd. lett. 288. 8 Vd. lett. 435. 9 Vd. lett. 367. 1 843 4, p. 379 sgg. l’articolo di A. Tuilier Euripide et Ennius: l’influence philosophique et politique de la tragédie grecque à Rome. Da una prima scorsa mi pare non del tutto solido; ma devo ancora leggerlo con attenzione. Ti spedisco un paio di estratti che pensavo di consegnarti a Firenze. Scusami ancora per il mancato incontro, e di nuovo i più affettuosi rallegramenti per la vittoria romana. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 844 4381 Urbino, 5. 4. 1963 Carissimo Sebastiano, questa volta il mio ritardo è stato più vergognoso delle altre. Sono stato stracarico di lavoro, ho dovuto anche spostarmi da Urbino più volte, e ho collezionato un sacco di figuracce, di cui quella con te mi rattrista più di ogni altra. Scusami, scusami. Fra l’altro ho dovuto improvvisare rapidamente per il 2o fasc. ’63 (se poi sarò arrivato in tempo, perché è già composto) della «RFIC» una noterella su una p o s s i b i l e (non sicura) reminiscenza di un epigramma bobbiese in s. Agostino2 (forse te ne accennai in un vecchio incontro?), con cui chiudo definitivamente la mia attività bobbiese, e un gruppetto di ‘schede’ per le ‘pubblicazioni ricevute’ dello stesso fascicolo3. A proposito, ne ho fatte alcune anche per il 1o, uscito di recente, e ti prego di darci un’occhiata quando ti capita, per vedere se ti pare che questo tipo di ravvivamento della bibliografia ‒ a cui ha pensato Gallavotti, ma che io ho accettato abbastanza calorosamente ‒ vada bene. S’intende che le mie ‘schede’ sono solo una parte di quelle che riguardano il latino: in parte non siglate (se impersonali, puri cenni al contenuto), in parte siglate. Fra le non siglate ne feci una agl’Inediti di Grassi4; e, per il 2o fasc., un riassuntino in quattro righe del tuo bellissimo Gomperz5, che, siccome usciva dalla mia competenza, ho sottoposto a Untersteiner. Purtroppo ancora sta uscendo vecchio materiale, e io non ho responsabilità per la pubblicazione del mediocre articolo di Pasoli6 (1o fasc.); e temo che anche in futuro ad alcuni, specie cattedratici, sarà difficile dire di no. Bisognerà cercare di suggerire diplomaticamente miglioramenti ecc., e soprattutto fare in modo che la roba buona sia possibilmente in grande prevalenza sulla mediocre e cattiva. Forse è speranza illusoria. Staremo a vedere. Lett. inviata per espresso, come si ricava dalla successiva risposta di T. S. M., Sant’Agostino e un epigramma bobbiese, «RFIC», 91, 1963, pp. 202-4 (= SFC, pp. 253-5). 3 Se ne veda l’elenco completo in SFC, pp. 749-50. Naturalmente nell’elenco non sono comprese quelle non firmate a cui si fa cenno nel seguito della lettera. 4 Vd. lett. 397. 5 S. T., Theodor Gomperz, «CS», 2, 1963, pp. 1-31 (rist. in Id., Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Pisa 1980, pp. 387-443). 6 E. Pasoli, Cicerone Rep. I 16 (per la casistica del genitivo di fine e di causa), «RFIC», 91, 1963, pp. 46-51. 1 2 845 Oltre che del Gomperz, grazie del bellissimo articolo su Lingua e diritto7. È un articolo ammirevole, frutto di conoscenze e d’ingegno che ormai in te non sorprendono più, ma ogni volta riservano ‒ anche se di questo argomento mi avevi parlato in generale – prospettive e posizioni di rapporti particolari impensati. A proposito, ottima idea la prevista ristampa del Lachmann nel ‘Saggiatore’8! Speriamo che a me riesca di fare, qualche volta, come mi dici, la 2a edizione dell’Ennio9. In maggio dovrei andare a Torino, su invito dell’Istituto di Filologia classica, per un gruppo di lezioni su letteratura latina arcaica, che poi loro pubblicherebbero (dopo un’elaborazione che mi richiederà certo del tempo) in una collezione dell’Istituto10. Sto ancora pensando agli argomenti: certo ci saranno i falsi enniani, che così mi deciderò a scrivere11; uno sguardo ai rapporti letteratura latina arcaica-alessandrinismo (perché Lana vuole una cosa riassuntiva sull’argomento) e qualche paralipomeno ai miei libretti. Ho accettato anche perché così non potrò fare a meno di stendere alcune cose di questi ultimi tempi (sono incerto se toccare del saturnio, in cortese polemica coi cenni di Grassi e – meno cortese? ‒ con Pighi). Ma ti dirò (più che le lezioni, si capisce, conta quello che stamperò) e, se avrai voglia, ti farò leggere. Ho scritto anche a Bolelli delle lettere dell’Ascoli al Mamiani, della cui esistenza dà notizia il catalogo di I. Zicàri12. Io credo che mettrebbe conto che le leggeste (se ne fate fare richiesta all’Oliveriana, Zicàri ve le spedisce) e tu o lui le pubblicaste (negli «St. Oliv.», spero), per intero o in parte, se vi sembra che possano rivestire qualche interesse. A Boscherini chiesi a Firenze, secondo il tuo suggerimento, se poteva recensire il De agric. di Mazzarino13; mi ha risposto negativamente (perché già impegnato con altri, mi pare) e suggerito il nome di Evangelisti, che si occupa dello stesso argomento14. Gli scriverò. Il tuo Ilicet è già in tipogra- S. T., A proposito del parallelismo tra lingua e diritto, «Belfagor», 18, 1963, pp. 1-14. T., La genesi del metodo del Lachmann (cit. lett. 366). 9 Vd lett. 367. 10 In realtà la pubblicazione non ebbe luogo, ma Letteratura latina arcaica e alessandrinismo uscì poi in «Belfagor», 20, 1965, pp. 34-48 e fu ristampato in Dizionario della civiltà classica, vol. i, A-E, Milano 1993, pp. 243-50 e in SFC, pp. 5-20, così come i falsi enniani cui si fa riferimento subito dopo (Falsi enniani di Girolamo Colonna? [cit. lett. 76]) apparvero nella Miscellanea De Falco. Vd. lett. 464. 11 Vd. lett. 76, 380, 392 e 395. 12 Vd. lett. 435. 13 Vd. lett. 434. 14 A segnalare l’edizione di Mazzarino (cit. lett. 434) in «RFIC», 92, 1964, p. 501 provvide con una scheda M. Zicàri. 7 8 846 fia15. Non ho tolto il secondo riferimento a me, non potendo oppormi al tuo sottolineato volere16; ma ti prego in modo altrettanto sottolineato di ripensarci e di toglierlo dalle bozze. Citiamoci a vicenda, secondo il vecchio accordo, solo quando ce n’è motivo! Se non altro, per quei motivi riguardanti l’opinione pubblica dei quali abbiamo altre volte parlato17! Si sta proponendo il concorso di Latino per Messina. Alcuni amici (anche La Penna) sono favorevoli a una mia candidatura per Munari, che parteciperà sicuramente18. Cosa ne dici? La mia posizione elettorale sarebbe certo debolissima, e non so se il nome di Munari, che sarebbe il mio dichiarato candidato, varrebbe a rafforzarla. Bolelli mi ha scritto che mi sosterrebbe cordialmente per Munari (e così altri, p. es. Folena). Grazie d’avermi indicato l’articolo di Tuilier19: ne ho preso nota per vederlo quando potrò, perché qui «Lettres d’Humanité» non c’è. Grazie ancora dei tuoi rallegramenti, e soprattutto dell’azione a mio favore (Donadoni, come ti scrissi, mi è stato favorevolissimo)20. Gli auguri migliori per le prossime feste, anche alla tua Mamma e anche da Tota21. Scusami di nuovo il ritardo, e la fretta con cui scrivo. Ti abbraccio. Il tuo Scevola T., Per la storia di ‘ilicet’ (cit. lett. 430). Vd. lett. 434. 17 Vd. per es. lett. 350 e 362. 18 Sul concorso vd. lett. seguente, 443, 449-50. Ma Munari, che insegnava in Germania, rifiutò poi la chiamata dell’Università di Messina (come pure di altre Università, italiane e non), rimanendo a Berlino fino all’emeritato. 19 Vd. lett. precedente. 20 Vd. lett. 433 e 435. 21 Vd. lett. 228. 15 16 847 439 Pisa, 12. 4. <1963>1 Carissimo Scevola, mille grazie del tuo espresso. Ma non devi assolutamente preoccuparti se ti accade di non rispondermi subito! So bene che in questo periodo, tra studi e viaggi, sei stato particolarmente occupato. Anch’io del resto, come vedi, approfitto largamente del diritto di rispondere con un po’ di ritardo! Ti sono vivamente grato delle tue affettuose parole sui miei estratti. In realtà mi sto occupando di cose troppo disparate: avrei bisogno di tornare a concentrarmi su pochi argomenti, e lasciar perdere il resto. Andando avanti di questo passo, diventerò uno studioso del tipo di Augusto Mancini2: una noterella sul Mazzini, un’altra sul Pascoli… Finché era vivo tutti dicevano: «Che versatilità, che vastità di cultura!»; ora che è morto e si tirano le somme, si vede che, stringi stringi, non ha combinato quasi nulla. Analoga, temo, sarà la mia sorte. Proprio per questo motivo non vorrei occuparmi delle lettere dell’Ascoli al Mamiani, pur prevedendo che siano interessantissime. So che Bolelli ha intenzione di pubblicare un cospicuo gruppo di lettere dell’Ascoli al D’Ancona; egli stesso potrebbe benissimo occuparsi delle lettere al Mamiani. È uscito recentemente nel Diz. biografico degli Italiani il suo articolo sull’Ascoli3, che mi pare assai buono. A causa della chiusura pasquale delle biblioteche, non ho potuto ancora vedere il primo fascicolo di quest’anno della «Riv. di filologia». Lo vedrò e te ne scriverò. È ovvio che ogni tanto dovrete pubblicare qualche scritto non molto soddisfacente, ma ciò non toglie che la tua presenza nella direzione della «Rivista» sia salutare e indispensabile. Ottima mi pare l’idea delle ‘schede’, le quali servono molto a ravvivare una rivista, e permettono ‒ a differenza delle lunghe recensioni ‒ di segnalare in modo rapido ed efficace molti libri. E grazie di esserti ricordato degli Inediti di Grassi e del mio Gomperz! Pregusto il piacere di leggere le tue Lezioni torinesi di letteratura latina arcaica, tra le quali finalmente vedrà la luce anche l’articolo sui falsi ennia- L’anno si desume dal fatto che la presente lettera è un’evidente e sistematica risposta a quella che precede. 2 Grecista e uomo politico (1875-1957), si dedicò alla filologia medievale e umanistica, alla storia del Risorgimento e alla storia locale. 3 T. Bolelli, s.v. Ascoli, Graziadio Isaia, in DBI, IV, Roma 1963, pp. 377-84. 1 848 ni4. Un tuo intervento sul saturnio sarebbe molto a proposito. Io, come sai, sono stato già ardente fautore della tesi Leo-Pasquali, poi mi sono convertito al saturnio ‘commatico’ di Grassi5. Non è escluso che i tuoi argomenti mi ‘riconvertano’ al saturnio quantitativo! Certo, una forte pregiudiziale contro il saturnio ‘commatico’ è costituita dal fatto che questa è la tesi di Pighi (una volta un mio compagno di università disse a Pasquali: «Professore, vorrei sentire il Suo giudizio su una congettura di Taccone…»; e Pasquali: «Sbagliata! sbagliata senza dubbio! Non ho bisogno di vederla: ipse dixit, ergo erravit!»). Tuttavia anche tu, a proposito del dimidiate Menander 6, hai ‘osato’ di essere d’accordo con Léon Herrmann7! Adesso so che Campanile ha intenzione di scrivere un articolo a favore del saturnio commatico, con nuovi confronti con poesia celtica8. Non me ne fido del tutto, ad ogni modo staremo a vedere. La vittoria di Munari sarebbe un atto di giustizia, e son sicuro che molti ti voterebbero, non solo in quanto sostenitore di Munari, ma anche per avere finalmente un giudice onesto e competente. Perciò mi auguro di tutto cuore che tu voglia accettare la candidatura. Ricevo proprio ora la tua cartolina9. L’articolo di Haffter l’ho già10. Grazie di aver pensato a me. A te e ai tuoi ricambio, anche da parte di mia madre, i più vivi auguri. A te grazie di tutto, e un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano [PS. ‒]11 Riceverai presto il mio Lachmann riveduto e corretto12. Mi ha fatto molto piacere di vedere Italo alla Nuova Italia (molto di sfuggita, purtroppo). Vd. lett. 76. Vd. lett. 423. 6 Caes. carm. in Ter., 1. 7 L. Herrmann, César ou Cicéron? Suetonii deperditorum librorum reliquiae ed. Roth 1907, p. 294, «Musée Belge», 34, 1930-32, pp. 243-5; nella voce Terentius di Der kleine Pauly (vd. lett. 544) e – con esplicita menzione di L. Herrmann – nella rec. al Courtney, The Fragments Latin Poets (vd. lett. 639), M. si mostra d’accordo nell’attribuire i versi a Cicerone facendone tutt’uno con Cic. carm., fr. 2 Mor. 8 E. Campanile, Note sul saturnio, «ASNP», 32, 1963, pp. 183-97. 9 Non conservata. 10 Forse H. Haffter, Geschichte der klassischen Philologie, in F. Wehrli, Das Erbe der Antike, Zürich-Stuttgart 1963, pp. 13-30. 11 Aggiunta manoscritta. 12 La genesi del metodo del Lachmann (cit. lett. 366); vd. anche lett. 435. 4 5 849 440 Pisa, 23. 5. 1963 Carissimo Scevola, grazie della cartolina1. […] Ho quasi finito di buttar giù tre o quattro noterelle sull’Anthologia Latina (il solito rifugio quando non ho niente di meglio!), che penserei di dare ad Albini per «Maia»2. Da molto tempo Albini insiste, sempre più pressantemente, per avere qualcosa da pubblicare in uno dei fascicoli in memoria di Perrotta (per il prossimo fascicolo, pare, il materiale scarseggia)3. Mi sono perciò deciso, con pochissimo entusiasmo, a tirar fuori dal cassetto questi rimasugli. Prima di dare il dattiloscritto ad Albini, te ne manderò una copia, pregandoti di una revisione. Scusami se approfitto di te in un momento in cui so che sei molto occupato! Ma non ho dimenticato che, due anni fa, mi salvasti in extremis da un terribile svarione metrico4. Fra poco, dunque, ti manderò queste poche noterelle; non ho nessuna fretta di ricevere risposta da te, perché Albini ha già aspettato tanto e può benissimo aspettare un altro poco. Grazie, scusa, tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 1 2 Probabilmente inviata da Torino, dove M. tenne le lezioni di cui alla lett. successiva. S. T., Note all’Anthologia Latina, «Maia», n.s., 15, 1963, pp. 386-94. Su «Maia» vd. lett. 430. In realtà «Maia» dedicò al Perrotta, dopo i fasc. 1-3 del 1963, anche i due fascicoli successivi (4/1963 e 1/1964). 4 Vd. lett. 405. 3 850 441 Pesaro, 2. 6. 19631 Carissimo Sebastiano, scusami tanto del ritardo spaventoso! Ti dirò in breve, sperando che ci si possa rivedere e riparlare, che il mese scorso, a Torino le lezioni andarono abbastanza bene2, ma il libro è ancora da scrivere (fra l’altro ho trattato di quel concinnat nel fr. del B. P. neviano3 per cui, come ricorderai, anche tu avevi pensato, indipendentemente da me, alla possibilità di un’espressione ironica [per la quale avevo raccolto dei paralleli]: ora, preparando le lezioni, mi accorsi che l’interpretazione è già del… Forcellini s. v., poi dimenticata e ignorata anche dal Barchiesi ‒ e bisognosa sempre di giustificazione e discussione; e Traina mi dice di averci pensato anche lui e averla accennata senza fortuna a Barchiesi, e Lana assicura di averne parlato anche lui con amici…). Alle docenze di Filologia sono riusciti Alberti e Baffioni, quest’ultimo uno specialista di testi medici sostenuto in commissione da Colonna, piuttosto scolorito ma, pare, unico nel suo genere in Italia (ha pubblicato testi nel «Boll. per l’ediz. dei class.» ecc.). È stato invece obbligato a ritirarsi Gelsomino con commissione unanime, ma pare che Traglia non mi perdoni di essere stato il suo maggior oppositore. D’altronde, quando si crede e si scrive a chiare note che la sillaba finale di tamen fa sinalefe con la seguente iniziale vocalica (questo è solo un esempio) o si dimostra, come fa negli articoli preparatori a un’edizione di Vibio Sequestre che, ahimé, sta per uscire da Teubner 4, di non capir nulla di filologia, anzi di non capir nulla tout court (p. es., per sostenere che in certi nomi propri un presunto grammatico di Durazzo doveva preferire le desinenze in -us a quelle greche in -os, si serve dell’argomento che l’albanese odierno ha un forte ‘fondo’ latino…), come ci si può prendere la responsabilità di star zitti? […] Le tue note5 sono o t t i m e . Non una su cui non si debba concordare. Ottimi i confronti con testi antichi, ottima, e lo sapevo, l’informazione sulla Sotto la data, fra parentesi quadre: «ma poi di nuovo a Urbino». Vd. lett. 438. 3 Naev. carm., fr. 39, 3 Mor. = 22 Mar. Il contributo con il titolo ‘Concinnat’ in Naev. Carm. frg. 39, 3 Morel apparve in Kontinuität und Wandel. Lateinische Poesie von Naevius bis Baudelaire. Franco Munari zum 65. Geburtstag, Hildesheim 1986, pp. 1-5 (= SFC, pp. 42-5; BP3, pp. 143-7). 4 Vibius Sequester, edidit R. Gelsomino, Lipsiae 1967. 5 T., Note all’‘Anthologia Latina’ (cit. lett. precedente). 1 2 851 storia delle questioni (penso specialmente a 718, 20!), sicure tutte le difese della tradizione, le nuove interpunzioni, le proposte congetturali. Mi fermo solo, così lungo come sono stato finora, su qualche minuta valutazione particolare per esprimere qualche (nessuna sicura) esitazione. P. 1 e n. 2. Tenderei a lasciare un certo valore alternativo alla leggenda del Danielino accennata alla n. 2. Negli esempi dell’uso di pingo che dai a p. 1 c’è sempre chiaramente espresso flos o simm. L’espressione di Reposiano sarebbe più chiara se il fiore fosse lui stesso Adone. Ma sono d’accordo che non è indispensabile. Giustissimo (p. 2) sul v. 64 sg.: per curiosità ti dirò che anch’io m’ero annotata quella possibilità nella mia copia dell’AL. Avrai visto senza dubbio che negli Addenda (vol. II, p. 374) Riese rinvia a un articolo di Tolkiehn; ma in esso non ci sarà nulla riguardante i tuoi versi. P. 3, c. 389, 11 sg. (sul carme, specialmente dal v. 38 in poi, mi ero annotato un rinvio, che non posso controllare, a Norden, Agn. Theos, 174)6. Forse i tuoi ottimi confronti con georg. 4, 223 ed Aen. 6, 728 sgg. spingerebbero a evitar di staccare ulteriormente, con l’inserzione di un altro verso, il v. 12 dal v. 13, ossia da pecudum e da genus omne natantum, i cui corrispondenti virgiliani sono s t r e t t a m e n t e c o o r d i n a t i con i corrispondenti di homines, armenta simul. Propenderei dunque per la tua prima lettura (p. 3, l. 7 sg.), e, magari, potresti mettere haec semina rerum fra parentesi: ‘di qui gli uomini e pure gli armenti ‒ (ché) questi [sc. i flammantia lumina] sono l’origine delle cose ‒ , di qui ogni sorta’ ecc. Si capisce che anche la virgola che poni al v. 12 prima di natantum è (come dicevi per 253, 33) in qualche modo convenzionale; mi pare che la voce potrebbe, forse più enfaticamente, fermarsi dopo pecudis; cfr. l’unitario genus omne ferarum di Verg. georg.7 (e genus omne animantum di Lucrezio)8. P. 6, c. 791, 17. Sono per infectis, avendo su inlectis gli stessi dubbi per la stranezza dell’espressione che ho sul passo di Albinovano Pedone da te trattato nell’articolo9 (poiché lo citi in nota, pensa se ti pare il caso ‒ o sarà meglio no? ‒ di correggere quell’errore di stampa [non ho qui a Pesaro il tuo estratto] che rendeva inintelligibile una parte della mia interpretazione, da te citata, del frammento di Albinovano)10. Eh, lo so, sarebbe bello tirar fuori qualcosa di persuasivo per 389, 45 Sol E. Norden, Agnostos Theos: Untersuchungen zur Formengeschichte religioser Rede, Leipzig 1913 (= Id., Agnostos Theos, Dio ignoto: Ricerche sulla storia della forma del discorso religioso, trad. it., a cura di C.O. Tommasi Moreschini, Brescia 2002, p. 294). 7 Verg. georg., 4, 423; ma già Lvcr. 1, 163; 5, 1338. 8 Lvcr. 1, 4. 9 T., Un verso di Albinovano Pedone interpretato da Jean Le Clerc (cit. lett. 262). 10 Vd. lett. seguente e 375. 6 852 † labor et † Triviae (vd. p. 4) (anzi, a rigore, si potrebbe considerar tramandato sol labore Triviae, visto che B ha labor et ribice ed L laboret ecc. con la t espunta). (È curioso, fra parentesi, che claror non c’è nel Calonghi né nel Gaffiot; sarà un’omissione casuale?). Il tuo albor mi ha fatto venir in mente una parola simile e diversa, altor (che nutre, tiene in vita con la sua luce ‒ riflessa – della Luna); ma è improponibile a l m e n o finché non si trovi qualche esempio di altor (o alo) o di τροφός (o τρέφω) che lo giustifichi in qualche modo nel linguaggio metaforico di questi poeti-filosofi. Non procedo oltre le otto pagine! Grazie del secondo prezioso Lachmann11 (Italo non ardisce chiedertene una copia, e lo faccio io per lui, s e p u o i ). Ma te ne scriverò. Rimanderò presto a Campanile (se lo vedi, diglielo per favore) l’articolo sul saturnio12, ottimo nella prima parte, per me meno persuasivo nella seconda. Ti abbraccio. Il tuo Scevola PS. ‒ L’articolo su ilicet dovrebbe, spero, uscire nel 3o fasc. di quest’anno della «RFIC»13. 11 12 13 T., La genesi del metodo del Lachmann (cit. lett. 366). Campanile, Note sul saturnio (cit. lett. 439). T., Per la storia di ‘ilicet’ (cit. lett. 430). 853 442 Pisa, 5. 6. 1963 Carissimo Scevola, ti sono estremamente grato per la tua lunga lettera1. Le tue osservazioni a quelle mie noterelle sono per me preziose; correggerò e ritoccherò tenendone conto. In AL 389, 11 sg. è vero che il confronto con quei passi delle Georgiche e dell’Eneide sconsigliano di supporre una lacuna; d’altra parte l’ipotesi della lacuna permetterebbe di conservare sia Haec homines sia simúl et, cioè di non intervenire congetturalmente in due punti. In 389, 45 il tuo altor mi pare molto acuto; è vero, occorrerebbero passi paralleli2; ma anche se non si trovassero, credo che la congettura andrebbe ugualmente proposta. Mi autorizzi a citarla? Spero di sì3. Avevo anche pensato se si poteva conservare Sol labor et Triviae intendendolo nel senso che il Sole ‘si affatica anche per Trivia’, in quanto le fornisce la luce; ma vedo bene che questo mio conservatorismo comincia a diventare patologico!! Anche su inlectis avrai forse ragione, ma non mi sentirei di escludere del tutto la lezione tramandata; ad ogni modo mi esprimerò con maggiore cautela e attenuerò anche la sicurezza con cui mi esprimevo quanto a Pedone Albinovano. Ben volentieri correggerò l’errore di stampa che era occorso nella citazione della tua interpretazione, cioè iam (= iam nunc) invece di iam (iam = nunc). E grazie ancora! […] Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 1 2 3 Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Nel margine sinistro T. aggiunge a penna: «(naturalmente cercherò)». Come apprendiamo dalla lett. 444, la richiesta rimase senza risposta. 854 443 Pisa, 26. 7. 1963 Carissimo Scevola, Skutsch mi scrive che sarà a Firenze nel pomeriggio del 30, all’Hotel Bonciani, via Panzani 17, e aggiunge: «I have not alerted Scevola; I seem to remember that he wrote to me in Princeton and said he would be somewhere inaccessible. But if he should have any business in Florence just then or in Rome two days later, all the better». Naturalmente sarei lietissimo se tu potessi venire. Una chiacchierata enniana con Skutsch non sarà spiacevole, anche se c’è la seccatura di dover parlare in latino! In questi ultimi tempi ci siamo scambiati alcune lettere di argomento enniano: lui è tornato alla carica con le sue solite ‘leggi’ metriche e prosodiche, sulle quali ha torto senza dubbio. Ora mi ha mandato copia di un articoletto, ancora inedito1, Positio debilis (in Ennio)2, in cui replica a ciò che gli avevo obiettato in quel vecchio resoconto di studi enniani pubblicato nell’«Anzeiger» di Innsbruck3. Gli controreplicherò a mia volta, ma è noioso dover ripetere sempre le stesse cose. A parte questi dirizzoni, però, Skutsch è un uomo molto simpatico e bravo, e quindi lo rivedrò volentieri. E sarebbe una gran bella cosa se potessi venire a Firenze anche tu, sebbene io mi renda conto che con questo caldo africano un viaggio a Firenze non è molto piacevole. In ogni caso, spero che un nostro incontro non tarderà ancora molto. Ho saputo con gran piacere che hai avuto un pieno successo nelle elezioni della commissione per il concorso di latino. Me ne rallegro di tutto cuore, per te e per Munari4. Ho saputo che è stato eletto anche Marmorale. Nel secondo numero della «Riv. di filol.» c’è molto di buono. La tua noterella su quell’epigramma bobbiese e S. Agostino5 è molto acuta e mi sembra convincente; e ci voleva un filologo di vastissime letture per cogliere questa coincidenza! Bellissima la stroncatura del latino infame in cui è scritta quella bibliografia agostiniana del prof. di patristica di Marburg6; e senza Le parole «ancora inedito» sono aggiunte a mano nel margine sinistro. Costituirà il quarto contributo raccolto in O. Skutsch, Enniana VI, «CQ», 14, 1964, pp. 85-93 (= Id., Studia Enniana [cit. lett. 69], pp. 103-16). 3 Vd. lett. 76. 4 Vd. lett. 438. 5 M., Sant’Agostino e un epigramma bobbiese (cit. lett. 438). 6 Scheda a Bibliographia Augustiniana, bearbeitet u. hrsg. von C. Andresen, «RFIC», 91, 1963, p. 254 (= SMU 3, pp. 350-1.). 1 2 855 dubbio giusta la difesa della lezione Nuda Venus pictá7, con l’osservazione che in ciascun emistichio di quell’epigramma c’è una forma dell’aggettivo nudus. La recensione di Colonna all’Apollonio Rodio di H. Fränkel8 non è, forse, del tutto equanime; ma, per quel poco che ho visto qua e là, sembra anche a me che l’edizione di Fränkel abbia difetti piuttosto gravi: anche l’esposizione della genealogia dei codici nella prefazione è assai confusa e rappresenta un passo indietro rispetto alla vecchia memoria del 1929 sulla tradizione manoscritta di Apollonio Rodio. Lo Scardigli dice molte cose giuste9, ma sui rapporti tra linguistica e critica testuale, in Pasquali e prima di Pasquali, avrebbe potuto trovare qualcosa nel mio articolo sul Lachmann10; gli sarà sfuggito, così come a me è purtroppo sfuggito, un libro di D.S. Avalle (La letteratura medievale in lingua d’oc nella sua tradizione manoscritta, Torino 1961) che tratta problemi analoghi a quelli a cui ho accennato nella terza appendice del mio volumetto11. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano FPL, p. 159 Mor. (= p. 190 Bue.; inc. 83 Bl.). Il riferimento è alla scheda di M. a A. La Penna, Coniectanea et marginalia I, «RFIC», 91, 1963, p. 256 (= SMU 3, p. 351). 8 A. Colonna, rec. a H. Fränkel (ed.), Apollonii Rhodii Argonautica (Oxonii 1964), «RFIC», 91, 1963, pp. 213-6. 9 P. Scardigli, Giorgio Pasquali e la linguistica storica, «RFIC», 91, 1963, pp. 248-53. 10 T., La genesi del metodo del Lachmann (cit. lett. 366). 11 Vd. nota precedente. 7 856 444 Pisa, 31. 7. <1963>1 Carissimo Scevola, mi ha molto addolorato la notizia dell’indisposizione di tua Madre2; spero vivamente che si tratti di cosa non grave e che possiate al più presto rassicurarvi. Invio a tua Madre (e a te e a voi tutti) i più fervidi e affettuosi auguri; ho fiducia di ricevere tra breve migliori notizie. Capisco benissimo che in questa situazione non potevi venire a Firenze. Del resto non hai perso molto. Il caldo era soffocante e Skutsch era accompagnato dalle sue tre figlie, le quali, con piena ragione, si annoiavano moltissimo di sentirci parlare in latino e desideravano piuttosto spiegazioni sui monumenti artistici di Firenze (cosa per me non facile, data la mia abissale ignoranza in fatto di storia dell’arte e lo sforzo di esprimermi in un francese che non era certo gran che migliore del mio infame latino)3. Di Ennio, quindi, abbiamo potuto parlare assai poco. Skutsch mi ha fatto capire che la sua edizione è ancora in alto mare; l’anno scorso mi aveva scritto che avrebbe presto terminato l’edizione e il commento dei frammenti degli Annali, che avrebbero costituito il primo volume; ma ora si è espresso molto più pessimisticamente, col tono, quasi, di chi è intimamente convinto che il suo lavoro non giungerà mai in porto4. Me ne dispiace molto, anche se comprendo bene che simili lavori sono davvero interminabili (anche l’edizione del Leopardi filologo, che è infinitamente più facile ad eseguirsi che un’edizione di Ennio, e che stiamo facendo in due, è ancora ben lontana dal compimento!)5. Delle sue ‘leggi metriche’ Skutsch parla con molto più scetticismo di quando ne tratta per iscritto; le presenta quasi come un lusus, una sua innocente fissazione, mentre per iscritto si esprime con reciso dogmatismo. Di quelle noterelle sull’Anthol. Lat.6 corressi in fretta e furia le seconde bozze ai primi di luglio, e le rimandai ad Albini che era in procinto di par- L’anno si supplisce confrontando la lettera precedente, in cui T. annuncia la visita di Skutsch a Firenze. 2 Risponde a una lett. di M. non conservata. 3 T. aggiunge nel margine inferiore a mano: «ancora più infame delle altre volte. Fosse la stanchezza o la mia diminuita consuetudine con testi latini, fatto sta che non mi riusciva di dire le cose più semplici». 4 L’edizione degli Annals of Ennius dello Skutsch uscirà solo nel 1985; vd. lett. 55. 5 Vedrà la luce infatti solo nel 1969 (vd. lett. 464). 6 Vd. lett. 440-1. 1 857 tire per le vacanze. Siccome tu non avevi lì per lì risposto alla mia in cui ti chiedevo di poter citare il tuo altor7, pensai (forse troppo frettolosamente) che il tuo silenzio significasse assenso, e citai la tua congettura, aggiungendo che tu la proponevi dubitanter, e che a me pareva molto acuta, anche se la certezza poteva scaturire solo da qualche passo parallelo in cui comparisse altor o parola simile. Parlai della tua congettura anche con Tandoi, il quale, pur pronunziandosi (con molti dubbi) a favore della conservazione di Sol labor et Triviae, fu d’accordo con me nel ritenere che la tua proposta fosse molto intelligente e degnissima di essere resa nota. Ora tu mi preghi di «ignorarla assolutamente». Quid faciam? Non so se la tipografia abbia già stampato, e non so nemmeno quale sia la tipografia. Potrei scrivere ad Albini di intervenire per togliere quella nota, ma temo che ciò porti a spaginazioni e quindi a necessità di fare nuove bozze – sempre nel caso che il fascicolo non sia già stampato. Vorrei pregarti di lasciare che la congettura sia da me citata, non solo per queste difficoltà di carattere pratico, ma soprattutto8 perché sono sinceramente convinto che la tua congettura, anche se p e r o r a non può ritenersi sicura, merita senz’altro di essere proposta come ‘ipotesi di lavoro’, in attesa di trovare qualche confronto che la corrobori. […] Ti ringrazio anticipatamente del ‘libro ricevuto’ sul Lachmann, ma, se non hai tempo, non fare a s s o l u t a m e n t e complimenti9. L’articolo dello Scardigli10, ripeto, è buono, e coincide sostanzialmente con quello che avevo anch’io osservato, il che costituisce per me una gradita conferma. Dalla lettura del mio lavoro lachmanniano egli non avrebbe appreso nulla di essenzialmente nuovo, ma solo qualche notiziola in più sul parallelismo tra linguistica e critica testuale prima di Pasquali. Non è quindi il caso che io intervenga. Ronconi mi ha mandato le bozze della sua commemorazione pasqualiana11. Buona nel complesso, anche se si riduce, in fondo, a un riassunto del fascicolo pasqualiano dell’«Atene e Roma» del ’53 (La Penna mi ha detto di averne parlato con te a Urbino). Come certamente sai, usciranno prossimamente da Le Monnier, a cura di Folena, gli scritti di Pasquali Vd. lett. 442. È stato cancellato «anche» e sostituito a mano con «soprattutto». 9 La genesi del metodo del Lachmann cit. (vd. lett. 366) ebbe una segnalazione di M. fra i «libri ricevuti» in «RFIC», 91, 1963, p. 509 (= SMU 3, pp. 355-6); vd. anche lett. seguente. 10 Vd. lett. precedente. 11 A. Ronconi, Rievocazione di Giorgio Pasquali, Firenze 1963 (discorso tenuto nell’Aula magna dell’Università di Firenze il 18 maggio 1963). 7 8 858 sulla lingua italiana12. Folena mi ha mandato le bozze da rivedere. Non è il miglior Pasquali, certamente; e tuttavia anche qui ci sono moltissimi sprazzi di viva luce. Termino rinnovando i miei vivissimi auguri per tua Madre. Un abbraccio affettuoso a te e ad Italo dal tuo Sebastiano 12 G. Pasquali, Lingua nuova e antica, a cura di G. Folena, Firenze 1964. 859 4451 Pisa, 9. 10. 1963 Carissimo Scevola, sono molto contento delle notizie rassicuranti riguardo a tua madre, a cui invio i più vivi auguri di rapida guarigione2. Ti ringrazio di tutto cuore per la scheda sul mio Lachmann3. V a b e n i s s i m o , e ti prego di credere che non te lo dico per complimento. Hai fatto benone a richiamare soprattutto l’attenzione degli eventuali lettori sulla 3a appendice, e ad accennare al problema, ancora insoluto, della frequenza eccezionalmente grande delle tradizioni ad archetipo unico. Sì, Italo mi scrisse tempo fa a questo proposito, e purtroppo non gli ho ancora risposto. Il Grassi, in uno di quei contributi postumi pubblicati in «Atene e Roma»4 (quello da me ricordato nella prefazione del Lachmann), aveva messo in rilievo, in forma acuta e stringente, la difficoltà senza proporne una soluzione. Italo mi accennava che l’archetipo, piuttosto che come manoscritto unico, andrebbe concepito come un’edizione canonica, e a questa concezione vi sono accenni anche nel libro di Pasquali. Ma le corruttele g r o s s o l a n a m e n t e m e c c a n i c h e comuni a tutti i codici? Ad ogni modo, credo anch’io che la soluzione sia da cercare nel senso indicato da Italo. Un’unica, dubbiosa, proposta quanto alla tua scheda. All’inizio, invece che «Ripubblicando il testo riveduto del noto saggio» ecc. si potrebbe forse mettere «Ripubblicando, con numerose aggiunte e modifiche …» o qualcosa di simile? Le aggiunte e le modifiche sono effettivamente parecchie. Ma vedi tu5. Dell’articolo su ilicet6 ricevetti una ventina di giorni fa (e rispedii subito) le bozze col numero di pagina definitivo, a quanto pareva. Spero quindi che l’articolo esca; e ti sono molto grato, in ogni caso, del tuo interessamento presso Gallavotti7. Grazie ancora di tutto, tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 1 2 3 4 5 6 7 Lettera manoscritta. Risponde a una lett. di M. non conservata; vd. tuttavia lett. precedente. Vd. lett. precedente. In Inediti di Eugenio Grassi (cit. lett. 397), pp. 150-1. Il suggerimento fu accolto da M.: vd. SMU 3, p. 355. T., Per la storia di ‘ilicet’ (cit. lett. 430). Direttore di «RFIC»: vd. lett. 418-9. 860 446 Pisa, 13. 11. <1963>1 Carissimo Scevola, ti ringrazio (e scusami dell’enorme ritardo) della tua lettera del 18 ottobre e della pubblicazione dell’articolo su ilicet2. Nello stesso fascicolo ho letto la tua scheda sul mio articolo gomperziano3, e anche di questa ti sono molto grato. Mi pare che la «Rivista» proceda bene; sono contento di sapere che Fraenkel ti ha mandato un buon articolo4 e che Zicàri continuerà a collaborare. Quando io avrò qualcosa di adatto, sta sicuro che mi ricorderò del tuo affettuoso invito. Non ho ancora veduto l’edizione dei Bobiensia di Speyer; da quanto mi dici capisco che è necessario affrettarsi a vederla! La recensirai5? Domenica scorsa c’è stato a Firenze un pranzo in onore di Terzaghi e gli sono stati consegnati sia il volume di scritti a lui destinati (Lanx satura), sia uno dei due volumi dei suoi scritti filologici (l’altro è ancora in corso di stampa)6. È andato tutto bene: Terzaghi era in buona forma e ha gradito molto l’omaggio. È stato letto il tuo telegramma e Terzaghi ha avuto per te parole di affetto. Al volume in onore di Terzaghi ho dato per ora soltanto un’occhiata, perché non erano disponibili lì altre copie oltre quella offerta a Terzaghi stesso. La collaborazione non è molto ricca, ma mi sembra che in complesso il volume si presenti bene. Fra Della Corte e Bartoletti c’era stato qualche screzio (Bartoletti si lagnava di non essere stato invitato a collaborare, Della Corte giurava di averlo invitato nel periodo in cui Bartoletti era ammalato), ma il giorno prima del pranzo è avvenuta una riconciliazione e così anche Bartoletti, che dapprima aveva minacciato una secessione, ha partecipato al pranzo. Tra qualche tempo l’Istituto di papirologia di Firenze farà, a sua volta, una cerimonia in onore di Terzaghi, offrendogli una medaglia. Insomma, anche se con alcuni anni di ritardo, fioccano le onoranze a Terzaghi! L’anno si ricava dal riferimento alla pubblicazione dell’articolo di T. su ilicet (cit. lett. 430) e della Miscellanea Terzaghi (Lanx Satura, cit. lett. 376), entrambi del 1963. 2 La lettera non è conservata. 3 T., Theodor Gomperz (cit. lett. 438). 4 E. Fraenkel, De versu lyrico Menandro perperam adscripto. Ὑμὴν ὦ Ὑμέναι’ ὦ, «RFIC», 41 1963, pp. 459-60. 5 Scheda di M. all’edizione di W. Speyer (cit. lett. 416) in «RFIC», 91, 1963, pp. 505-6 (= SMU 3, pp. 353-4). 6 Terzaghi, Studia Graeca et Latina (cit. lett. 376). 1 861 Ti immagino indaffarato per l’inizio dell’anno accademico e per il trasloco7. Quindi non perdere tempo ora a rispondermi; ci scriveremo poi con calma. Grazie ancora di tutto e tanti saluti affettuosi. Sebastiano M., chiamato alla «Sapienza», stava trasferendo la propria residenza da Urbino a Roma; vd. anche lett. seguente. 7 862 447 Pisa, 15. 12. 1963 Carissimo Scevola, scusami se, per tutta una serie di impegni e di seccature di ogni genere, ho ritardato fino ad oggi la risposta alla tua lettera1. […] Ho piacere che tu faccia la voce Pisaurus per la RE2; ma perché rinunciare a sviluppare più ampiamente la questione in un articolo, con quelle punte polemiche che piacquero tanto ai miei amici Stussi e Manfredi e che io purtroppo non potei sentire al Circolo linguistico fiorentino3? Qui niente di nuovo, tranne la venuta di La Penna a Pisa, di cui sono molto contento. E tu verrai finalmente a tenere alla Normale quel seminario che già dovevi tenere l’anno scorso? Lo spero. Ad ogni modo, ora che sei a Roma avremo più frequenti occasioni di vederci. Come sono le tue prime impressioni romane? Conosco per corrispondenza il tuo assistente Luigi Enrico Rossi, che mi pare un bravo metricologo e un uomo molto simpatico. Grazie ancora e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 1 2 3 Non conservata. M., Pisaurus (cit. lett. 309). Vd. lett. 436. 863 448 Pisa, 6. 1. 1964 Carissimo Scevola, ti ringrazio della cartolina da Pesaro e dell’estratto della Lanx Satura1. Le note ai Priapea mi sembrano tuttora, come quando me ne parlasti due anni fa a Pisa, elegantissime e del tutto convincenti. Anche l’ultima, sulla quale avevo allora qualche dubbio, ora mi persuade pienamente. Mi chiedo solo se, nel primo passo da te trattato (43, 4), non si possa conservare utetur senza per questo intenderlo come passivo. Utetur usibus non potrebb’essere una specie di ‘oggetto interno’ come vitam vivere ecc., con la differenza, naturalmente, che si tratta di un ablativo, data la costruzione di utor? ‘Nei miei riguardi l’asta di legno compirà funzioni vere’. Ma sono incertissimo, e fra l’altro non ho modo in questo momento di controllare se vi sono altri esempi di utor usu o simili. Dovendo congetturare, il tuo aptetur va certo molto meglio delle altre proposte. Sabato è venuto a Pisa Luigi Enrico Rossi; la conoscenza personale mi ha confermato l’impressione che si tratti di un metricologo intelligente e preparato e di uno studioso molto onesto e simpatico2. Non ha accennato a un’eventuale mia recensione del suo libro3, e io ho taciuto, non perché il suo libro non sia degnissimo di essere recensito ed elogiato, ma perché ho un sacco di lavoro arretrato e non posso assolutamente prendere nuovi impegni (fra l’altro, non ho ancora messo mano al Macrobio di Willis!)4. Sto correggendo le bozze del volume fiorentino di scritti di Terzaghi (soprattutto sulla tragedia greca e su argomenti filologico-archeologici)5. Anche qui il buono e il cattivo sono continuamente mescolati. Terzaghi, che ho visto pochi giorni fa, si è detto contentissimo che tu sia a Roma e ha avuto per te parole molto affettuose. Di salute sta piuttosto bene e può di nuovo leggere con discreta facilità6. Verso la fine della settimana – quando le biblioteche saranno finalmente aperte e io avrò terminato i soliti miei giorni fiorentini – proverò a ripren- M., Note ai ‘Priapea’ (cit. lett. 408). Vd. lett. precedente. 3 L.E. Rossi, Metrica e critica stilistica. Il termine ‘ciclico’ e l’ ἀγωγή ritmica, Roma 1963. 4 S. T., rec. a Ambrosii Theodosii Macrobii Saturnalia apparatu critico instruxit, In Somnium Scipionis commentarios selecta varietate lectionis ornavit I. Willis, in «Gnomon», 36, 1964, pp. 784-92 (rist. parziale con aggiunte in Contributi1, pp. 318-23; 531-54; 683). 5 Terzaghi, Studia Graeca et Latina (cit. lett. 376). 6 Vd. lett. 419, 426 e 428-31. 1 2 864 dere in mano lo Schuchardt, nella speranza di ritrovare quel maledetto passo7! E scusami del ritardo. I più affettuosi saluti, e di nuovo tanti auguri per il ’64 dal tuo Sebastiano Si trattava evidentemente di un controllo bibliografico per conto di M., forse del passo già citato dal T. nella lett. 366 a proposito di Luxorius/Luxurius. 7 865 4491 Pisa, 24. 1. 1964 Carissimo Scevola, la recensione all’Orazio del La Penna l’ho già promessa a Saitta per «Critica storica»2; mi pareva di averlo detto anche a La Penna. Non posso quindi, e me ne dispiace, risponderti di sì per la «Riv. di filol.»3. E scusami per questa serie di dinieghi! Spero che si presenti fra non molto finalmente l’occasione di darti qualcosa. Per quel Priapeo cercherò un poco, appena sarò più libero. E mi metterò in contatto con Tandoi per il libro di Sofer4. La scissione del PSI è un fatto di fronte al quale sono lecite diverse prese di posizione. Si può sperare che il PSI faccia qualcosa al governo, o che quella parte della Sinistra che è rimasta nel PSI riesca ad impedire la saragattizzazione del Partito. Io non spero né l’una né l’altra cosa, e perciò sono passato al PSIUP. Ma, ripeto, comprendo benissimo che si può essere di diverso parere, e credo che anche i compagni rimasti nel PSI abbiano la loro funzione da svolgere. Di tutto ciò ti scriverò poi più ampiamente. Auguri per il concorso5 e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano PS. ‒ Qual è l’indirizzo di Italo? Lettera manoscritta. La recensione a A. La Penna, Orazio e l’ideologia del principato, Torino 1963, uscirà nell’annata 3 del 1964, pp. 791-6. 3 La lett. con la richiesta di M. non è conservata. 4 Probabilmente J. Sofer, Zur Problematik der Vulgärlatein. Ergebnisse und Anregung, Wien 1963. 5 In cui M. era in commissione: vd. lett. 438. 1 2 866 450 Pisa, 13. 3. <1964>1 Carissimo Scevola, hai ragione, il confronto con phiàla non prova un bel nulla quanto a Cirjàce. Non mi viene in mente nessun altro esempio adatto; eppure non si vede perché il fenomeno dovrebbe essere limitato a je, jo. Quanto al concorso, mi sembra che tu possa essere contento. Il tuo scopo, lo scopo per cui davvero valeva la pena di battersi, era la vittoria di Munari; e questa c’è stata2. […] Ho visto Munari di passaggio da Pisa per Roma. Non ho capito se per lui ci siano buone prospettive alla Normale; lo spero. La chiamata di Momigliano3, comunque, non esclude che venga chiamato anche Munari. L’avere più frequenti occasioni di vedere Momigliano mi rallegra molto. E tu, non verrai qualche volta a tenere quel seminario su Domizio Marso, o altri seminari? Fra Roma e Pisa le comunicazioni sono rapide, e mi auguro che ci vedremo più spesso. Anch’io, più in là, farò qualche scappata a Roma. Il Macrobio di Willis4, esaminato attentamente, si rivela meno buono del previsto. Sui codici il Willis deve aver lavorato bene, e buone sono anche alcune sue congetture. Ma ha sfruttato malissimo i passi paralleli e le edizioni precedenti. Nella prefazione fa un caldo elogio dell’edizione di Jan, ma deve averla consultata poco, giacché attribuisce a se stesso molte congetture che poteva comodamente trovar citate già in quell’edizione, e altre ne trascura a torto. Forse si è esaurito, per così dire, nella prima fase del lavoro (collazione dei manoscritti, rapporti genealogici tra di essi), e poi ha tirato via troppo in fretta. Non ho nessuna intenzione di scriverne una stroncatura, perché i lati positivi dell’edizione ci sono e su di essi va richiamata l’attenzione; ma certo dovrò fare, sia pur ‘diplomaticamente’, riserve piuttosto forti. Questa, almeno, è l’impressione che ho ricavato dalla lettura dei primi tre libri dei Saturnali. Se anche tu avrai occasione di L’anno si ricostruisce in base alla menzione della recensione al Macrobio di Willis uscita nel 1964 e già a questa data in fase di avanzata elaborazione: il 6 gennaio T. non vi aveva ancora posto mano (vd. lett. 448), mentre il 16 maggio la lettura è terminata (vd. lett. successiva) e la stesura della recensione imminente. 2 Vd. lett. 438. 3 Momigliano sarà chiamato alla Normale nel dicembre. 4 Vd. lett. 448. 1 867 vedere questa edizione (non mi ricordo se mi dicesti che anche tu pensavi di recensirla), ci scambieremo le nostre impressioni. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 868 451 Pisa, 16. 5. 1964 Carissimo Scevola, ti ringrazio infinitamente della lettera da Roma e della cartolina da Berlino1. Ho saputo da più parti che la tua prolusione romana2 ha avuto un successo vivissimo: è piaciuta non soltanto per le cose che hai detto (e che so già quanto siano giuste e acute e originali), ma anche proprio come tipo di prolusione, in netto contrasto con la genericità e la retorica che permangono tuttora, di solito, in questo ‘genere letterario’. Va detto, per la verità, che anche Traglia (che aveva fatto, a quanto ho capito, una prolusione dell’‘altro’ tipo, e anche di qualità piuttosto andante!) qui a Pisa ha parlato molto bene della tua, a me e ad Arrighetti. Ieri è passato di qui Rossi3, che mi ha ripetuto ancora una volta l’espressione della sua gioia di trovarsi con te e della sua gratitudine per l’incoraggiamento e l’insegnamento che gli dai (mi ha accennato a due tue congetture, sorori eius per sororibus4 e un’altra che in questo momento mi sfugge5, che lo avevano entusiasmato e che, da quel che mi ha riferito lui, sono sembrate anche a me felicissime). Sono sicuro che anche a Berlino avrai avuto pieno successo. Che impressione hai ricevuto dell’ambiente universitario berlinese? Inutile dire che ti ringrazio di aver menzionato, certo con troppa benevolenza, quella terza puntata del mio giovanile minestrone enniano in cui mi ero occupato dei falsi enniani6 e che in realtà valeva solo come ‘catalogo’ dei frammenti di autenticità sospetta (quanto al resto, tutto da buttar via! Anche alle sottili disquisizioni su Minerva era o domina non credo più7; la difesa del frammento citato da Fulgenzio haec anus admodum friguttit etc.8 era piaciuta allora a Pasquali e sembrava, allora, anche a me ben riuscita, ma adesso temo assai che il metro cretico-trocaico sia casuale, anche a pre- Non conservate. La prolusione ebbe per argomento i «falsi enniani» (vd. lett. 539), pubblicati alcuni anni più tardi (vd. lett. 76). 3 Vd. lett. 447. 4 Vita Persi, 7; cfr. S. M., Congetture alla Vita Persi, «RFIC», 93, 1965, pp. 185-7 (= SFC, pp. 304-5). 5 Verosimilmente Veios per vescio in Vita Persi, 8, proposto nel medesimo articolo. 6 T., Per una nuova edizione critica di Ennio (cit. lett. 392). 7 Vd. Contributi1, p. 671. 8 Vd. lett. 44. 1 2 869 ́ scindere dalla difficoltà forse superabile del nīmīrúm; e chi può fidarsi di un imbroglione come Fulgenzio?). Ho finalmente terminato la lettura del Macrobio di Willis9 e ora cercherò di mettere insieme una recensione non troppo prolissa ma sufficientemente documentata. Tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 9 Vd. lett. 448. 870 452 Pisa, 6. 6. 1964 Carissimo Scevola, le nostre impressioni su Rossi coincidono perfettamente1. Anch’io mi sono convinto, per quel poco che lo conosco, che è una persona onesta e dotata di viva passione per gli studi. Probabilmente deve aver sofferto per intrighi dell’ambiente romano, dissapori con altri assistenti ecc., prendendosela, credo, più di quanto valesse la pena; ma ora è contentissimo di essere con te, e ha per te una grande e sincera ammirazione. Di metrica (e di musica) mi sembra che si intenda realmente; forse il suo pericolo è di fare soltanto il metricologo, ma di questo pericolo è abbastanza consapevole, e l’ultima volta che l’ho visto (una quindicina di giorni fa, a Pisa)2 mi ha detto che è molto contento di occuparsi di latino arcaico, come tu gli hai consigliato. Tempo fa Cazzaniga tornò di nuovo a bomba con l’Antologia Salmasiana3. Io, che mi trovavo in un momento in cui ero sovraccarico di impegni e seccature di vario genere, gli risposi (forse un po’ troppo bruscamente) che desideravo vivamente che tu potessi fare l’edizione, ma che, per quel che mi riguardava, disperavo di potermene mai occupare. Mi ha risposto con tono amareggiatissimo. Eppure, anche ripensandoci, mi sembra proprio che io non avrò mai il tempo di lavorare seriamente a quella edizione. Il Tandoi ha quasi finito la sua edizione del Vossiano; non sarebbe possibile, per il Salmasiano, una soluzione Mariotti-Tandoi? Naturalmente per ora non ho parlato a Tandoi della cosa; e scusami se ne parlo a te con ritardo! Avrei dovuto, prima di rispondere a Cazzaniga, consultarmi con te; ma, ripeto, risposi a Cazzaniga in un momento di nervosismo e di stanchezza. A te ha scritto? Ho letto la tua risposta a un’inchiesta di «Scuola e città»4 sull’insegnamento del latino, a cui ho risposto anch’io5. Io sono forse un po’ più pessimista di te sull’utilità di un insegnamento così ridotto, e credo che prima o poi dovranno decidersi ad abolire del tutto questa materia nella scuola media inferiore (tale mia opinione non deriva da ‘sinistrismo’ preconcetto, Risponde a una lettera di M. non conservata; vd. tuttavia lett. 447-8. Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 288. 4 S. M., L’insegnamento del latino nella nuova scuola media, «Scuola e città», 15, 1964, p. 315. 5 S. T., ibid., pp. 320-2. 1 2 871 ma dalla convinzione che il latino nella scuola media o lo si insegna con una certa serietà, e allora assorbe tutti gli sforzi del professore di lettere e degli scolari e soffoca l’insegnamento di altre materie essenziali, a cominciare dall’italiano; o lo si insegna col contagocce, e allora perde ogni valore selettivo e formativo). Tuttavia, finché non giunge l’abolizione, non c’è dubbio che si debba cercare d’insegnare il latino nel miglior modo possibile, e a questo scopo le tue considerazioni mi sembrano giustissime, e spero che insegnanti e autori di libri di testo ne tengano il massimo conto. Molte delle tue osservazioni, inoltre, rimarrebbero del tutto valide anche se (come io mi augurerei) l’inizio dell’insegnamento del latino avvenisse in quarta ginnasio. (Colgo l’occasione per segnalarti che alla fine della mia risposta6 la caduta di una riga ha reso del tutto incomprensibile il discorso; io avevo scritto (r. 3): «di un presunto valore ‘formativo’ che il latino avrebbe a preferenza di ogni altra materia di studio, è anche ora di provvedere a migliorare» ecc.). Ancora due cose: Campanile ti avrà mandato il suo articolo sul saturnio7; a me è parso abbastanza buono, ma mi è dispiaciuto (e l’ho detto anche a lui) che abbia ‘minimizzato’ il contributo di Eugenio Grassi, presentandolo quasi come una pura e semplice dichiarazione di sfiducia nella possibilità di risolvere il problema: il Grassi, invece, aveva già mosso alla scansione quantitativa quelle stesse obiezioni che le muove Campanile! – Nello stesso fascicolo degli «Annali» Giancarlo Schizzerotto mi ha fatto (per leggerezza, credo, non per dolosità) un bello scherzo da prete: ha dichiarato che io avevo «corretto e seguito» una sua recensione agli scolii all’Ibis del La Penna8, mentre mi aveva fatto vedere solo alcuni passi. Se io avessi davvero letto la recensione prima che fosse pubblicata, non solo avrei consigliato lo Schizzerotto di usare verso La Penna un tono un po’ meno saccente, ma, ciò che più conta, avrei disapprovato un paio di autentiche fesserie che si trovano in quella recensione (un’etimologia di Elysium da λύω considerata come «fonte» di un’etimologia da e privativo e laedo! e una pessima congettura banalizzante additis per abditis!) Essendosi lo Schizzerotto mostrato vivamente dispiaciuto di questa sua leggerezza, ho rinunciato a mandare una smentita agli «Annali»9. I più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Vd. nota precedente. Campanile, Note sul saturnio (cit. lett. 439). S’intende qui l’estratto dell’articolo ormai stampato. M. lo aveva già letto in fase di preparazione: vd. lett. 441. 8 Ibid., pp. 255-8. 9 Quest’ultima frase, compresi i saluti e la firma, è aggiunta a mano in margine. 6 7 872 453 Pisa, 7. 8. <1964>1 Carissimo Scevola, ti sono molto grato della lettera con le notizie sulla Germania, così vive e obiettive2. Sono contentissimo che la tua lezione a Berlino abbia avuto uno schietto successo, come del resto non dubitavo. Ti ringrazio di cuore anche degli estratti, anche a nome di Pacella. Skutsch ti avrà mandato le sue note a M. Valerio3 e gli Enniana VI4. In questi ultimi mi sembrano degni di attenzione i primi tre paragrafi (ho visto con piacere che a p. 88 sg. Skutsch ha accettato la tua sistemazione e scansione di quaeque in corpore cava …, a cui prima repugnava)5; ma il quarto, sulla Positio debilis, mi sembra il solito arrampicamento sugli specchi. Può tutt’al più aver ragione nel sostenere che la scansione agri non può essere un arcaismo, come io avevo (ma solo in via subordinata) supposto; ma nel resto mi pare proprio che si ostini in una logomachia inutile. È buffo vedere come, alla fine dell’articolo (p. 93), egli pretenda di sostenere che la tesi secondo cui la lunga dinanzi a muta cum liquida non si trova mai è «more cautious» della tesi secondo cui tale fenomeno è raro! E ciò benché vi siano due esempi attestati! Appena avrò un po’ di tempo, scriverò una noterella di replica, quantunque senza alcuna speranza di persuaderlo. Ho visto qualche giorno fa Cazzaniga a Pisa. Si è di nuovo rammaricato per la mia rinuncia all’edizione del Salmasiano, di cui altra volta ti scrissi6; e spera, come spero anche io, che l’edizione la faccia tutta tu. Grazie ancora e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano Le due citazioni di articoli del 1964, nonché il riferimento al viaggio di M. a Berlino (vd. lett. 451), inducono a collocare la lettera in quest’anno. 2 La lettera di M. non è conservata. 3 O. Skutsch, Textual Studies in the Bucolics of Marcus Valerius, in Classical Mediaeval and Renaissance Studies in Honour of Berthold Louis Ullman, ed. by Ch. Henderson Jr., Roma 1964, II, pp. 21-36. 4 Vd. lett. 443. 5 Enn. ann., 9 V.2, su cui vd. lett. 38. 6 Vd. lett. precedente. 1 873 PS.7 ‒ Articolo enniano di Skutsch, p. 86 n. 1: non si dovrà scrivere mero positu? (nudo situ o nudo positu Skutsch; è tramandato numero situ. Dopo RO, può facilmente essere caduto PO)8. Aggiunta manoscritta in margine. Si riferisce ad Apvl. Socr., 2, p. 9, 11 sgg. Moreschini, che tramanda Enn. ann., 62-3 V.2; vd. le tre lett. che seguono. 7 8 874 454 Pisa, 1. 10. <1964>1 Carissimo Scevola, ti ringrazio moltissimo della lettera2, e in particolare del ricordo di quella cartolina del 1944 con cui ebbe inizio il nostro epistolario3! È passato davvero molto tempo, e la nostra amicizia, durante questi venti anni, non è stata mai turbata dalla più piccola nube e si è fatta sempre più viva e profonda. Quanto io debba a te sia sul piano umano che su quello degli studi filologici, non sto a dirlo, perché né tu né io amiamo le ‘effusioni’, ma ti assicuro che non lo dimentico mai. Mi dispiace che la signora sia stata poco bene, e spero che si sia perfettamente ristabilita. Immagino che avrai finito gli esami a Pesaro e Urbino e mi auguro che quell’ispettore (o provveditore? non ricordo bene) rompiscatole non abbia più dato segno di vita. […] Il passo di Apuleio trattato da Skutsch nel suo ultimo articolo enniano4 è De deo Socr. 2: est aliud deorum genus … quorum in numero sunt illi duodecim numero situ nominum in duo versus ab Ennio coartati (seguono i vv. 62 sg. Vahlen2: Iuno Vesta Minerva ecc.). Di solito si corregge numero situ in numeroso situ. Skutsch trova la proposta «not unsatisfactorily», ma aggiunge: «but coartati suggests nudo situ (or nudo positu), corrupted perhaps through the influence of the preceding numero; i.e. nominibus nude positis». A me parrebbe che da numero sia da ricavare mero piuttosto che nudo: quindi mero situ, o forse meglio mero positu (dopo RO può facilmente essere caduto PO in capitale; è vero che spiace intervenire in d u e punti, ma situs nel senso di ‘collocazione’ non mi sembra soddisfacente, almeno a giudicare da Forcellini e Lewis-Short). Avevo anche pensato se si poteva espungere numero situ come dittografia del precedente numero sunt, ma resterebbe nominum a spasso! Numeroso situ (‘con collocazione ritmica’, ‘metrica’) non finisce di persuadermi. Tu che ne pensi? Coi più affettuosi saluti il tuo Sebastiano 1 2 3 4 L’anno si ricostruisce in base alla risposta datata che segue. Non conservata. Vd. lett. 1. Skutsch, Enniana VI (cit. lett. 443). 875 [PS. ‒]5 Anche a V. Gelsomino fai benissimo a dire il fatto suo6. Su hemisphaerium ubi … concha ecc.7 la tua scansione anapestica mi sembra tuttora preferibile. Aggiunta manoscritta. Di V. Gelsomino, Per una nuova edizione della Chrysis di Enea Silvio Piccolomini, «GIF», 17, 1964, pp. 162-75 M. sottolinea «un’errata interpretazione e interpunzione» (pp. 174-5) in una scheda a E. Cecchini, Note sul testo della Chrysis di E. S. Piccolomini, «RFIC», 92, 1964, p. 501 (= SMU 3, p. 357). 7 Sul frammento vd. lett. 284 e 288. 5 6 876 455 Pesaro, 5. 10. 1964 Carissimo Sebastiano, certo vent’anni di amicizia – e di un’amicizia come la nostra, fondata su un’intesa spirituale, morale, scientifica che non è stata mai incrinata – sono la prova di un’affinità di temperamento che qualche volta mi sembra davvero prodigiosa; tanto più che ho la sensazione, anzi la sicurezza che questa amicizia durerà tutta la vita altrettanto e più solida – se è possibile – e trovo in questa sicurezza un conforto grande, quando ci penso e quando constato la rarità estrema (forse fra filologi di oggi l’assenza) di simili legami d’affetto. Non è questa, come vedi, un’ «effusione»1, ma una notazione quasi fredda, perché anch’io, come hai capito, alle «effusioni» non sono portato. Spero che questo ‘ventennio’ lo festeggeremo con uno dei nostri infrequenti incontri. Se non hai occasione prossima di andare a Roma, penso di passare al più vicino ritorno a Pesaro (per le elezioni?) per Pisa – o forse meglio per Firenze – e di fermarmi qualche ora con te2 – senza «effusioni» naturalmente. […] Apuleio3: nessunissimo dubbio che mero sia migliore di nudo; e da mero a numero il passo è facilissimo poco dopo quorum in numero. Quindi mi pare che mero (po)situ vada senz’altro proposto come alternativa alla correzione tradizionale numeroso situ (o numeroso positu?), su un piano ‒ ripeto ‒ senz’altro superiore alla proposta di Skutsch. Tuttavia non saprei neanch’io formulare ragioni precise contro numeroso ecc.: che in quel contesto ci fosse qualcosa che si riferiva al numerus, al ritmo del verso contro cui Ennio doveva in qualche modo lottare per coartare là i 12 nomi, non mi pare improbabile in sé. E anche l’impressione ‒ che lui li abbia coartati «mediante la ritmica disposizione dei nomi» ‒ non mi pare faccia difficoltà. Che una ricerca con l’index Apuleianus degli altri esempi di numerus e derivati, merus, situs e positus dia per caso qualche lume (anche per la scelta fra situ e positu)? Grazie dell’interessamento per Tota4, ora ristabilitasi; il provveditore è 1 2 3 4 M. riprende, qui e di seguito, il termine usato da T. nella lett. precedente, a cui risponde. Vd. lett. 457. Vd. lett. 453. Vd. lett. 228. 877 stato ridotto alla ragione. Ti abbraccio chiedendoti scusa della lunghezza di questa lettera5. Il tuo Scevola PS. ‒ Vedo la recensione di Canfora (che non conosco) in «Belfagor»6. Interessante, ma secondo me eccessiva, la segnalazione e disapprovazione delle ‘concessioni’ di Pasquali all’idealismo. L’idealismo ha certo nociuto sotto certi aspetti alla filologia in Italia; ma ha anche, credo, servito a mettere in evidenza i difetti del filologismo, dell’insensibilità di una filologia razionalistica e meccanica ai valori della ‘personalità’ dell’artista (vedi anche adesso gli eccessi jachmanniani e fraenkeliani nella critica interpolazionistica, senza fortuna in Italia anche presso filologi seri forse proprio anche per i ‒ pur eccessivi ‒ veti crociani) e i difetti, sempre razionalistici e antistorici, della critica ipercritica delle fonti. Naturalmente queste cose che l’idealismo ha contribuito a farle capire la filologia doveva ‘saperle’, e ‒ in grandi filologi del passato ‒ le aveva ‘sapute’, e in parte anche in Germania c’era arrivata senza il neoidealismo italiano; ma, storicamente, la reazione di questo idealismo sulla esperienza dei filologi e sulla loro mentalità (e anche su Pasquali) non mi pare che sia stata tutto e soltanto male, come sembra dire il Canfora. In cima al foglio, entro una cornice, M. aggiunge: «Sarò a Roma da domani». Si tratta della rec. a T., La genesi del metodo del Lachmann (cit. lett. 366), uscita in «Belfagor», 19, 1964, pp. 611-5. 5 6 878 456 Pisa, 23. 10. 1964 Carissimo Scevola, ti ringrazio tanto della tua affettuosa lettera1. Speriamo davvero di vederci presto e di festeggiare il ‘ventennale’ della nostra amicizia! I tuoi sentimenti sono anche i miei: anch’io sento tutto il valore di un’amicizia così piena e intensa, e anch’io sono sicuro che essa durerà immutata. […] Quanto a quel passo di Apuleio2 hai perfettamente ragione: la mia proposta è preferibile a quella di Skutsch, ma non vi sono ragioni serie per anteporle alla correzione tradizionale numeroso situ (o, come tu proponi, numeroso positu). Perciò vi rinunzio; tutt’al più la comunicherò a Moreschini, che farà un’edizione del De deo Socratis3; ma di farne oggetto di una noterella a sé non vale assolutamente la pena. Quel Canfora che ha recensito il mio volumetto lachmanniano in «Belfagor»4 è uno scolaro di Lallo Russo. Neanch’io lo conosco. Quella frase su Pasquali e l’idealismo non pare nemmeno a me del tutto equanime. È discutibile, per me, fino a che punto Pasquali sia stato influenzato dall’idealismo italiano (un certo influsso c’è stato certamente, ma, direi, non molto marcato); è invece sicuro che la cultura tedesca del primo Novecento, di cui Pasquali si nutrì, era già orientata nel senso di uno storicismo antipositivistico, e questo orientamento si faceva sentire anche nel campo degli studi classici (aspre polemiche del Wilamowitz contro il gretto meccanicismo dei filologi della generazione precedente, analogo atteggiamento del Traube, spunti ‘neo-umanistici’ già in Wilamowitz e poi più che mai in Jaeger, ecc. ecc.). Anche il concetto della «paleografia come scienza dello spirito» non derivò a Pasquali dall’idealismo crociano o gentiliano, ma dal Traube: la «scienza dello spirito» è la Geistesgeschichte. Ma di tutto ciò vorrei parlare con te più a lungo. Arrivederci, dunque, a presto, come la tua lettera mi fa sperare. Buon inizio di anno accademico e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 1 2 3 4 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 453. I De philosophia libri di Apuleio curati da Moreschini usciranno per Teubner nel 1991. Vd. lett. precedente. 879 457 Pisa, 29. 10. <1964>1 Carissimo Scevola, mille grazie delle due cartoline. Quanto alla Miscellanea Schiaffini, dunque, dato che ci sei anche tu, posso collaborare anch’io2; ma non so se mi verrà in mente qualche contributo adatto. Sto scrivendo una replica a Skutsch sulla muta cum liquida in Ennio3, e quando l’avrò terminata ti pregherò di leggerla e dirmi il tuo parere; ma, come è ovvio, uno scritto di questo genere, legato a una discussione episodica non può andare per la Miscellanea4. Se non mi verrà in mente nulla, pazienza, non collaborerò. Sono molto grato a te e a Gallavotti di aver pensato a me come recensore di frammenti dell’Euclide latino editi da Mario Geymonat5 (questo Mario Geymonat, figlio del noto filosofo della scienza, è un tipo singolare: giovane filologo tecnicamente ben ferrato, e dirigente dei comunisti cinesizzanti e stalineggianti). Ma purtroppo io, figlio degenere, non so nulla di matematica né antica né moderna; e quindi non mi sento assolutamente in grado di recensire quel lavoro. Mia madre – con cui il Geymonat è stato in corrispondenza – recensirà l’edizione per la «Parola del passato»6. Per la «Rivista di filologia» potresti rivolgerti a Frajese e a qualche altro storico della matematica7. S’intende che concordo pienamente sulla necessità che la storia della scienza non sia monopolizzata dai filosofi e che anche nelle istituzioni che adesso sorgono siano adeguatamente rappresentativi i filologi. Una presa di posizione in questo senso sulla «Rivista» sarebbe, credo anch’io, molto opportuna. L’anno è facilmente ricostruibile dal riferimento all’edizione dell’Euclide latino di Geymonat e alle elezioni amministrative. 2 Agli Studi in onore di Alfredo Schiaffini («RCCM», 7, 1965) M. collaborò con Note di poesia latina medievale, 1. Strofe saffiche e pseudosaffiche ritmico-quantitative, pp. 628-40 (rist. in SMU = SMU 2 = SMU 3, pp. 19-32); 2. Per il testo dei carmi di san Pier Damiani, pp. 640-9 (rist. in SMU, pp. 33-43; SMU 2 = SMU 3, pp. 47-57); T. con Muta cum liquida in poesia latina e nel latino volgare, pp. 1075-103. 3 Vd. lett. 443 e 453. 4 Vd. lett. successiva. 5 Evclidis Latine facti Fragmenta Veronensia, ed. M. Geymonat, Milano 1964. 6 Una recensione di M. Timpanaro Cardini al libro di Geymonat non risulta in «PP» di quegli anni. 7 Non risulta mai pubblicata in «RFIC» una recensione a questo libro. 1 880 Mi rallegra moltissimo il pensiero che tra poco ci vedremo. Tieni presente che forse sabato 21 (cioè il giorno immediatamente precedente alle elezioni) e poi nei due giorni delle elezioni (22 e 23) io sarò impegnato, perché è probabile che mi tocchi fare lo scrutatore. Ma nei giorni precedenti o seguenti sono libero, e quindi combina pure tu un incontro a Firenze o a Pisa come più ti è comodo8. Grazie ancora e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 8 Vd. lett. 455. 881 458 Pisa, 27. 11. <1964>1 Carissimo Scevola, ti rimando i tuoi due dattiloscritti dopo averli letti con grande interesse e con totale consenso. La lezione su Letteratura latina arcaica e alessandrinismo2 non è affatto, come mi avevi detto, un riassunto dei tre libri su Livio Andronico, Nevio ed Ennio. Vi sono molte osservazioni nuove, e il quadro complessivo mi pare ancor più esatto e ricco di chiaroscuri di quello che risultava dai tre libri. Sebbene il tema sia stato trattato da studiosi insigni, non c’era ancora una caratterizzazione così felice e precisa dell’ ‘alessandrinismo latino arcaico’. Sui particolari sono perfettamente d’accordo. Hai senz’altro ragione nella tua cortese replica al Barchiesi3: non c’è nessuna ragione veramente valida di correggere quell’indicazione di libro data da Carisio4, e l’ipotesi che Carisio abbia errato rimane, quindi, un’ipotesi astrattamente possibile, ma oziosa. Alla nota 8 la citazione della mia recensione a Skutsch5 (a proposito di dicti studiosus) non mi sembra giustificata, poiché io non facevo che constatare che eravate arrivati tutti e tre a quell’interpretazione6. A p. 10 (e n. 16) forse è opportuno ricordare anche Hes. Theog. 60 (ὁμόφρονες = concordes) da te già citato nel tuo Nevio7; o forse è inutile, dal momento che appunto rimandi al tuo libro? A p. 11 il periodo che comincia dopo il richiamo della nota 17 («Non lo fecero più certo» ecc.) può a una prima lettura riuscire un po’ oscuro: forse virgola dopo «fecero»? Ma credo che sarebbe meglio scegliere un’espressione più chiara8. Non ho nient’altro da osservare; come vedi, si tratta proprio di due inezie. La parte dell’articolo per il Kleiner Pauly che mi hai dato da leggere9 va L’anno si desume dalla menzione della pubblicazione recentissima dell’Orazio lirico di Pasquali con la revisione di La Penna (Firenze 1964) e di articoli che vedranno la luce l’anno successivo. 2 M., Letteratura arcaica e alessandrinismo (cit. lett. 438). 3 Barchiesi, Nevio epico (cit. lett. 424), pp. 391 sgg. 4 Char. gramm., p. 163, 9 Barwick, che introduce Naev. carm., fr. 32 Mor. = 1 Mar. 5 Vd. lett. 259. 6 Oltre M., M. Puelma Piwonka e Skutsch (vd. lett. 214-5). 7 A proposito di Naev. carm., fr. 1 Mor. = 51 Mar. 8 Nel testo a stampa si legge infatti (SFC, p. 15): «Se non lo fecero, fu certo più …». 9 S. M., Ennius, in Der kleine Pauly, II, IX Lief., 1965, p. 402. 1 882 benone: soltanto, hai eccessivamente messo in ombra il tuo contributo a una nuova interpretazione generale di Ennio. Almeno ti raccomando di citare, a proposito di dicti studiosus, le tue Lezioni e non soltanto la prolusione di Skutsch! Non va dimenticato che, se ad intendere in quel modo l’espressione dicti studiosus siete stati in tre, l’unico che ha inserito quell’interpretazione singola in un quadro generale coerente sei stato tu! La Penna mi assicura che ha raccomandato già da qualche tempo a Le Monnier di mandarti l’Orazio lirico di Pasquali, e che gli hanno detto che te l’avrebbero mandato. Se non ti è già arrivato o non ti arriverà nei giorni immediatamente prossimi, fammelo sapere, e telefono alla casa editrice. È stata davvero per me una grande gioia rivederti la settimana scorsa. Ma è stato un incontro troppo breve! Quando farò una scappata a Roma, vi saranno molti e molti altri argomenti di cui parlare. Intanto, appena l’avrò finito, ti manderò l’articoletto su muta cum liquida in Ennio10, che avrà bisogno di una tua revisione e di tue correzioni. Grazie ancora e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 10 T., Muta cum liquida (cit. lett. precedente). 883 459 Firenze, 22. 1. <1965>1 Carissimo Scevola, ti ringrazio dell’affettuosa tua lettera2 e ti prego di scusarmi se ho tardato a risponderti. Ma volevo prima finire l’articolo sulla muta cum liquida3. Te lo mando qui accluso; ti sarei gratissimo se volessi dargli un’occhiata. Per la parte romanza (sulla quale molto forte era per me il pericolo di dire delle fesserìe) mi sono consigliato con un amico romanista, Alfredo Stussi. L’articolo, certo, è alquanto composito, e (tranne che per quel che riguarda la polemica con Skutsch su Ennio) non raggiunge risultati definitivi. Spero soltanto che possa servire a ricapitolare lo stato della questione e a stimolare altri studi. Purtroppo ho largamente superato il limite di spazio assegnatomi (12 pagine dattiloscritte). Vattel’a pesca, quindi, se l’articolo sarà accettabile per la Miscellanea Schiaffini. Non credo, d’altra parte, di poterlo abbreviare. Aspetto comunque il tuo giudizio, e ti ringrazio in anticipo di ogni critica e suggerimento. Nell’articolo per il Kleiner Pauly 4 non è davvero il caso che tu annunci la mia edizione enniana: essa non uscirà mai! Certo, se avessi preveduto che finiva col rimandarla alle calende greche anche Skutsch, avrei fatto meglio a non rinunziare. Ma ormai è passato troppo tempo e non avrei più la pazienza e l’energia necessarie per rimettermi a quel lavoro. Il Paratore mi sta tempestando di estratti (a decine per volta!). Sarà stato Questa a fornirgli il mio indirizzo. Magari in tutta questa carta stampata ci sarà anche del buono, ma chi ha pazienza di leggere tante pagine? Ti mando anche l’estratto della recensione al Macrobio di Willis5. Per ragioni di spazio ho detto solo una parte di quello che avevo notato durante la lettura. La mia recensione e quella del La Penna6 coincidono in buona parte. Grazie ancora, scusa e i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 1 2 3 4 5 6 L’anno si ricostruisce in base al confronto con la lettera precedente. Non conservata. T., ‘Muta cum liquida’ (cit. lett. 457). M., Ennius (cit. lett. precedente). Vd. lett. 448. La recensione di La Penna in «RFIC», 92, 1964, pp. 452-61. 884 460 Pisa, 31. 1. <1965>1 Carissimo Scevola, il tuo giudizio sul mio articolo2 è evidentemente troppo benevolo (in realtà si tratta di un polpettone alquanto eterogeneo e non molto concludente)3; ma te ne sono comunque molto grato, e soprattutto ti sono grato delle tue osservazioni. Quanto a befana, mi hai salvato da un grosso errore. Quanto ad arbitror, genetrix ecc., riguarderò attentamente, e certo hai ragione di mettermi in guardia. Ho fatto benissimo a mandarti il mio dattiloscritto, altrimenti questi errori (sfuggiti, oltre che a me, ad altri amici a cui l’ho fatto leggere) sarebbero rimasti. È vero, in Ennio ci sono meno di 600 esametri, e le tue considerazioni in proposito sono giustissime. Ma mi spaventa l’idea di dovermi addentrare di nuovo in particolari aritmetici; finirò quindi, per pigrizia, col passare per buona a Skutsch la ‘cifra tonda’ di 600; tutt’al più aggiungerò un cenno di riserva. Skutsch, a cui avevo anche inviato una copia dell’articolo, mi ha riposto molto gentilmente e ‒ contrariamente alle mie previsioni ‒ si è dichiarato abbastanza convinto. Ha avuto inoltre la gentilezza di segnalarmi un paio di esempi virgiliani che mi erano sfuggiti nel fare quella statistica. Chissà che non me ne sia sfuggito qualche altro! Comunque la valutazione d’insieme, come Skutsch stesso ammette, regge ugualmente. Aspetto di leggere la tua risposta a Paratore4. Non avevo saputo che volesse ristampare il suo libro svetoniano presso la Nuova Italia5. Mi rallegro che tu abbia trovato altri esempi di saffiche ‘ritmico-quantitative’. Sono sicuro che il tuo articolo per la Miscellanea Schiaffini sarà interessantissimo e sarò ben lieto di leggerlo6. L’anno è facilmente ricostruibile sulla base del confronto con la lettera che precede. T., Muta cum liquida (cit. lett. 457). Ma il giudizio di M. è andato perduto con la lettera a cui T. risponde. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. successiva. Paratore aveva polemizzato con M. in E. Paratore, Ancora su Domizio Marso, «RCCM», 6, 1964, pp. 64-96. 5 E. Paratore, Una nuova ricostruzione del De poetis di Suetonio, Bari 19502. Una nuova edizione a cura di C. Questa, L. Bravi, G. Clementi e A. Torino con un saggio introduttivo di A. Barchiesi è uscita nel 2007 a Urbino per QuattroVenti. 6 M., Note di poesia latina (cit. lett. 457). 1 2 885 Il tuo scolaro Piergiorgio Parroni mi ha mandato il suo articolo su Vibio Sequestre, che mi sembra molto buono7. Ancora grazie! Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano [PS. ‒]8 Grazie anche di aver corretto sul dattiloscritto tanti errorucci dovuti alla mia negligenza! 7 8 P. Parroni, Toponimi indeclinati in Vibio Sequestre?, «RFIC», 92, 1964, pp. 427-31. Aggiunta manoscritta. 886 461 Pisa, 18. 2. <1965>1 Carissimo Scevola, ho letto col più vivo interesse la ‘tavola rotonda’ su Domizio Marso2. Hai detto a Paratore il fatto suo con grande eleganza e grande chiarezza nello stesso tempo3. Sono curioso, ora, di vedere che cosa potrà rispondere! Gli interventi di Della Corte e di Cazzaniga, pur non contenendo nessun contributo risolutivo, non mancano di spunti interessanti. Pessimo, invece, mi pare Alfonsi, il quale sciorina il solito ciarpame bibliografico a sostegno di interpretazioni del tutto sballate. O esagero? Certo quel Caesaris Augusti femina mater erat è curioso4. A me era venuto lì per lì in mente che il contesto potesse press’a poco essere questo: ‘Qual meraviglia che il divus tal dei tali (un imperatore posteriore ad Augusto) sia nato da una semplice mortale? La madre di Cesare Augusto (la cui divinità è indubbia) era una semplice donna’. Ma senza dubbio anche la tua proposta è possibile, e forse migliore. Non ho ancora finito di ritoccare l’articolo sulla muta cum liquida5! Skutsch mi ha mandato, a due riprese, varie osservazioni, alcune giuste (per es. sulla correptio iambica di sillabe lunghe precedute da muta cum liquida, argomento su cui mi ero fidato troppo di A. Klotz); Tandoi mi ha segnalato un lavoro su sacri- in latino e in osco-umbro di una scolara di Devoto, che mi era del tutto sfuggito6. Insomma, spunta sempre fuori qualcosa di nuovo. Spero comunque di poter mandare l’articolo riveduto e corretto a Questa per la fine del mese. Grazie ancora e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano L’anno si ricava dal confronto con la lettera precedente. «Maia», 16, 1964, pp. 377-88 (interventi di F. Della Corte, S. M., L. Alfonsi, I. Cazzaniga). 3 Vd. lett. precedente. 4 CLE 2050, su cui vd. «Maia», 16, 1964, pp. 382-3 = SFC, p. 96 nota 19. Vd. lett. 462-4. 5 Vd. lett. 457. 6 Allude a G. Giacomelli, Il tema aggettivale sakri- in Plauto, «SIFC», 33, 1961, pp. 249-57. 1 2 887 [PS. ‒]7 Ottima, come mi sembra di averti già scritto, anche la risposta a V. Gelsomino8. 7 8 Aggiunta manoscritta. Vd. lett. 454. 888 462 Pisa, mercoledì <12 (?) maggio, 1965>1 Carissimo Scevola, moltissime grazie della tua lettera2, e scusami del ritardo. Ho cercato qualche ‘pezza d’appoggio’ per quel mio tentativo di interpretazione di Caesaris Augusti femina mater erat3; ma finora non ho trovato niente, e del resto ho anche avuto poco tempo di cercare. Varrà la pena di pubblicare così, nuda e cruda, una proposta che di per se stessa è soltanto possibile e nulla più? Sono incerto. Ma di questa e di altre cose spero di potere, sia pur brevemente, parlare con te fra poco. Infatti, cedendo alle insistenze di Fraenkel, gli ho promesso di venirlo a trovare a Roma sabato e domenica. Prevedo che egli mi monopolizzerà per la massima parte di questo mio così breve soggiorno (come sai, Fraenkel non ama vedere più di una persona alla volta, preferisce averne sotto mano uno solo da rampognare affettuosamente a suo agio!). Tuttavia un momento per vederti – se tu non sarai troppo impegnato – voglio proprio riservarmelo. Con Fraenkel ho appuntamento alle 10 di sabato all’albergo S. Chiara. Telefonerò anche a te e (beninteso se potrai) cercheremo di vederci. Non avverto nessun altro della mia venuta, perché prevedo di non avere tempo; e ti prego di scusarmi se avverto anche te così in ritardo, ma ho combinato con Fraenkel soltanto ora. Tanti affettuosi saluti e, speriamo, a presto! Il tuo Sebastiano Fraenkel tenne all’Università di Roma una lezione sui Capitivi di Plauto il 21. 5. 1965 (Due seminari romani di Eduard Fraenkel. Aiace e Filottete di Sofocle, a cura di alcuni partecipanti, Premessa di L.E. Rossi, Roma 1977, p. ix), che cadde di venerdì. È probabile che T. sia venuto a Roma per incontrarlo il fine-settimana precedente (15-16) e che in quell’occasione sia stato ospite di M., altrimenti non si spiegherebbe perché, nel ringraziare l’amico (lett. 463 del 27.5), gli avrebbe chiesto com’era andato il «seminario di Fraenkel», al quale evidentemente non aveva potuto partecipare. Di conseguenza mercoledì corrisponde quasi certamente al 12 maggio. 2 Non conservata. 3 Vd. la lettera precedente e le due seguenti. 1 889 463 Pisa, 27. 5. <1965>1 Carissimo Scevola, scusami del lungo, imperdonabile silenzio. Avrei dovuto scriverti subito per ringraziare te e la signora della gentilissima accoglienza. È stata per me una grande gioia passare con te quelle troppo brevi ore. Se non ho scritto finora, è perché, come avrai immaginato, ero alla ricerca di qualche puntello per la mia proposta di spiegazione di quel pentametro2. Ma purtroppo non ho trovato nulla di preciso nemmeno su erat per fuit. Nel Kühner-Stegmann, se ho visto bene, non c’è nulla al riguardo. Lo Szantyr (1. Lieferung, p. 317, Zusatz b) accenna a imperfetti in luogo di perfetti, ma senza citare esempi utilizzabili. Per un’alternanza di fui ed eram in Virgilio egli rimanda a Blase (Hist. Gramm., III 1), p. 1643; ma il Blase non c’è né a Firenze né a Pisa, e vattel’a pesca se gli esempi virgiliani saranno davvero probanti per il caso che ci interessa. Stando così le cose, io sarei del parere di lasciar perdere, almeno per ora; non me la sento di proporre quell’ipotesi senza l’appoggio di un minimo di raffronti. Se in seguito troveremo qualcosa, ci ritorneremo sopra. Ho letto nell’ultimo fascicolo della «Rivista» la bella recensione di Zicàri alle due recenti edizioni di Plinio il giovane4 e la tua giusta osservazione a quel passo dell’articolo pasqualiano sugli apofasimèni (Ewige e non Ewigkeit)5. Dell’articolo metrico di Drexler6 che ne dici? Per ora l’ho scorso soltanto e non sarei in grado di darne un giudizio, ma la prima impressione non è stata molto favorevole. Sebbene io, come sai, non abbia più la fiducia di un tempo nel libro di Pasquali sul saturnio7, tuttavia mi sembra che Drexler riferisca alcuni punti di quel libro in modo molto confuso e, nel discuterli, mescoli osservazioni abbastanza giuste con altre poco solide. Ma, ripeto, queste sono impressioni di un lettore molto frettoloso. Com’è andato, poi, il seminario di Fraenkel? C’era, per caso, Paratore?? Ancora moltissime grazie e un affettuoso abbraccio dal tuo Sebastiano L’anno si desume da riferimenti al primo fasc. del 1965 di «RFIC» appena uscito. CLE 2050; vd. le due lett. precedenti. 3 Historische Grammatik der lateinischen Sprache, III 1, Leipzig 1903. 4 M. Zicàri, rec. a Plinius, Epistulae, ed. S.E. Stout e C. Plini Caecili Secundi Epistularum libri decem, ed. R.A.B. Mynors, in «RFIC», 93, 1965, pp. 89-95. 5 Scheda a G. Pasquali, Lingua nuova e antica, ibid., p. 127 (= SMU 3, pp. 358-9). 6 H. Drexler, Concetti fondamentali di metrica, ibid., pp. 5-23. 7 Pasquali, Preistoria della poesia romana (cit. lett. 423). 1 2 890 464 Pisa, 10. 8. [1965]1 Carissimo Scevola, devi proprio scusarmi per il lungo, vergognoso silenzio e per la mia assenza dalla seconda puntata della discussione su Domizio Marso2. Il fatto è che anche gli esempi di alternanza di imperfetto e perfetto citati da Blase (e da te così gentilmente trascrittimi) erano, come tu avrai visto benissimo, poco probativi3. Si trattava di passi virgiliani in cui, poniamo, a un fuit seguiva dopo uno o due versi un erat; ma l’erat manteneva ben chiaro il suo valore, e un caso come quello di Caesaris Augusti femina mater erat rimane qualcosa di diverso. Sono convinto che esempi si troveranno, ma io non li ho trovati, e la mia interpretazione, già molto ipotetica, diviene ancor meno probabile. Aspetto con desiderio gli estratti che mi preannunci, soprattutto quello sull’Ennio del Kleiner Pauly 4. Mi interessa moltissimo quello che mi scrivi sulla tua revisione dei frammenti bobbiesi5; mi auguro di vedere presto pubblicato il tuo volume torinese, che sarà una cosa di primissimo ordine6. Jocelyn ti ha mandato gli estratti delle due puntate del suo articolo sulle citazioni macrobiane7, dove sei spesso citato a proposito di Nevio e di Ennio? Io non ho ancora avuto il tempo di leggerli con calma; mi sembrano interessanti, a giudicare da una prima occhiata; ma chi sa se tutto torna. Conosco l’autore, che anni fa passò da Pisa8; è un simpatico australiano. Anche a me i due lavori del Di Benedetto sembrano molto buoni (io conosco meglio quello padovano9; dell’Oreste10 non ho corretto le bozze, 1 2 3 4 5 6 L’anno si ricava dal timbro postale sulla busta. Sulla tavola rotonda vd. lett. 461. Vd. le tre lett. precedenti. Vd. lett. 458. La lett. di M. in proposito non è conservata. Sulle lezioni torinesi di M., che avrebbero dovuto essere raccolte in volume, vd. lett. 438. H.D. Jocelyn, Ancient Scholarship and Virgil’s Use of Republican Latin Poetry. I, «CR», 14, 1964, pp. 280-95; II, ibid., 15, 1965, pp. 126-44. 8 Vd. lett. 363. 9 V. Di Benedetto, La tradizione manoscritta euripidea, Padova 1965. T. recensì il libro in «Maia», n.s., 18, 1966, pp. 92-5. 10 Euripidis Orestes, a cura di V. Di Benedetto, Firenze 1965. 7 891 benché sia uscito presso la Nuova Italia, perché impegnato in più urgenti e molto più noiosi lavori). Spero molto che possa uscire dal concorso con un buon giudizio, che gli serva per il concorso successivo. Anche lui punta soprattutto su questo risultato. Sto correggendo le bozze di una raccolta di articoli giordaniano-leopardiani che, come forse ti dissi a Roma, dovrebbe uscire in settembre presso una piccola casa editrice di qui, Nistri-Lischi, in una collana diretta da Caretti11. Naturalmente ti manderò il volume. Poi spero finalmente di portare a termine con Pacella l’edizione degli scritti filologici leopardiani da tanto tempo promessa12. Ci vedremo, spero, a Roma in autunno. Tanti auguri di buone vacanze anche alla Signora e alla Flavia13, anche da parte di mia madre. Ti abbraccio affettuosamente. Tuo Sebastiano 11 12 13 T., Classicismo e illuminismo (cit. lett. 422). G. Leopardi, Scritti filologici (1817­1832), a cura di G. Pacella e S. T., Firenze 1969. Vd. lett. 313. 892 465 Pisa, 19. 9. 1965 Carissimo Scevola, ti sono tanto grato dell’estratto della Miscellanea Schiaffini1 (leggendolo tutto di seguito se ne apprezza ancor meglio l’importanza: checché ne dica il nostro Fraenkel, anche questi problemi di poesia latina medievale sono interessantissimi!) e della voce Ennius nel Kleiner Pauly2, la quale rimarrà senza dubbio una delle migliori di quel lessico. Che ne dici degli Studi enniani di Grilli3? Qualcosa di buono mi pare che ci sia: Grilli utilizza bene le sue conoscenze di filosofia greca e giudica abbastanza giustamente i contributi a lui precedenti. Ma parecchi punti mi lasciano molto scettico (per es. la trattazione di contra carinantes…)4 e forse la mole del libro è sproporzionata ai risultati; specialmente la seconda parte, sull’allitterazione, mi pare troppo prolissa e poco concludente. O sbaglio? Non cattive mi sembrano, ad una prima occhiata, le Bacchides di Questa5. Ma di problemi compositivi delle commedie plautine non mi intendo affatto, e quindi non so fino a che punto l’introduzione sia solida. Ronconi mi ha chiesto di recensire per l’«Atene e Roma» il Vibio Sequestre di Parroni6, e ho accettato. Mi sembra un lavoro molto buono. Non mi è venuto in mente, leggendolo, nessun contributo nuovo. Vorrei solo sottoporti un’ipotesi circa la questione del cognomen Sequester, trattata da Parroni a pp. 7-8. Non si potrebbe supporre che già il Sex. Vibius di cui parla Cicerone nella Pro Cluentio7 avesse il cognome Sequester, e che Cicerone abbia fatto un gioco di parole usando sequester come nome comune (parola dispregiativa, cfr. gli altri passi ciceroniani in cui ricorre) e alludendo, nello stesso tempo, al cognome di costui? Da ciò che dice Parroni e Vd. lett. 457. Vd. lett. 458. 3 A. Grilli, Studi enniani, Brescia 1965. 4 Enn. ann., 563 V.2, su cui vd. lett. 66. 5 T. Macci Plauti Bacchides, nota introduttiva e testo critico di C. Questa, trad. di L. Canali, Firenze 1965 (19752): Sarsinae et Urbini 20083. 6 La recensione a Vibii Sequestris De fluminibus fontibus lacubus etc., edidit, indicem verborum omnium adiecit P.G. Parroni, apparsa in «A&R», s. V, 11, 1966, pp. 38-40, è stata ristampata, parzialmente e con aggiunta di note, sotto forma di articolo, col titolo Cicerone, ‘Pro Cluentio’, 25 e Vibio Sequestre, in Contributi1, pp. 129-33. 7 25 Sex. Vibium quo sequestre in illo indice corrumpendo dicebatur esse usus. 1 2 893 dall’art. di Strzelecki in RE non sembrerebbe che questa ipotesi abbastanza ovvia sia stata mai fatta. Possibile? O c’è una difficoltà che io non vedo? Skutsch continua a escogitare ogni sorta di trappole per eliminare i casi di muta cum liquida che gli danno noia in Ennio. Ora vuole ‘far fuori’ populea fruns8 accettando la fusione proposta dal Valmaggi di questo frammento con russescunt frundes9 (soltanto, per evitare l’esametro senza cesura proposto da Valmaggi, vuole scrivere: populeaeque | russescunt frundes)10. Speriamo che almeno si limiti a proporre simili soluzioni nell’apparato critico o nel commento, senza introdurle nel testo. Grazie ancora e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano Enn. ann., 577 V.2. Enn. ann., 261 V.2. Vd. Ennio, I frammenti degli Annali (cit. lett. 17). 10 Vd. ora Skutsch, The Annals of Ennius (cit. lett. 55), pp. 727-8. 8 9 894 466 Pesaro, 22. 9. 1965 Carissimo Sebastiano, grazie ancora dello splendido articolo schiaffiniano1. Sono pienamente d’accordo sugli Studi enniani di Grilli2. […] Mi fa piacere che il Vibio di Parroni non ti sia parso cattivo e che tu lo recensisca. La tua ipotesi sul cognomen non è stata mai fatta ed è seducente. Qualche vecchio studioso (Oberlin? o altri prima?) identificava, se non ricordo male, addirittura il Vibio di Cicerone con Vibio Sequestre, il che è impossibile per ovvie ragioni. Ma potrebbe essere un discendente. Ci ripenserò anch’io e lo dirò a Parroni. A proposito del cognome ti mando una bozza (che non mi serve, e quindi distruggila) di una pagina dei ‘libri ricevuti’ della «Riv. di filol.» (3o fasc. 1965) in cui presento, in tono un po’ ‘propagandistico’ il libro di Parroni3 (l’ho fatta subito perché non è male che si sappia della sua pubblicazione anteriore all’ormai non lontano ‒ credo ‒ Vibio teubneriano di Gelsomino4, che sarà certo peggiore) e accenno appunto alla questione del cognome, ma senza gran che di nuovo (solo ho cercato di ‘accoppiare’ i due casi, pure diversi di Sequester e Virgilianus padre e figlio) e senza affatto essere sicuro di avere ragione. Povero Skutsch, ancora alle prese colla muta cum liquida! Ma non sono clausole esametriche quelle che cita Ausonio5? Ma non ho riletto il passo di Ausonio. Con affetto e, spero, a presto. Il tuo Scevola 1 2 3 4 5 T., ‘Muta cum liquida’ (cit. lett. 457). Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. Scheda a Vibii Sequestris (cit. lett. precedente), «RFIC», 93, 1965, p. 384. Cit. lett. 441. Avson. techn., 15, 19 Green, fonte di Enn. ann., 577 V.2. 895 467 Pisa, 17. 10. <1965>1 Carissimo Scevola, avevo saputo da Carlini che forse saresti venuto a Pisa per il convegno degli ex normalisti; ho poi saputo che non venivi perché ammalato. Spero che si sia trattato di cosa da poco e che tu sia già da tempo ristabilito; e spero in una prossima occasione di vederci. Intanto ti ringrazio moltissimo di avermi mandato la tua ‘scheda’ sul Vibio di Parroni. La mia recensione2 dirà press’a poco le stesse cose della tua scheda; ma ormai ho promesso a Ronconi che la farò, e d’altra parte ho piacere anch’io di contribuire, sia pure in minima parte, al successo del lavoro di Parroni. Quanto al cognomen Sequester, esiterei a metterlo sullo stesso piano del cognomen del figlio di Vibio, Virgilianus3. Quest’ultimo allude a un poeta famosissimo; il primo conterrebbe invece un’allusione piuttosto sibillina, perché quanti si saranno ricordati di quel passo della pro Cluentio4? E poi, in quel passo Cicerone parla di Vibio quo sequestre in illo indice corrumpendo dicebatur esse usus, cioè accenna a un’azione di ‘mediazione’ non molto onorevole, se non intendo male; mi sembra perciò alquanto strano che il nostro Vibio sia andato a scegliersi quel cognomen: sarebbe come se uno si scegliesse da sé il cognome Mezzani o Ruffiani! (Ma forse in questo che dico c’è una forzatura). Per ora, tutto sommato, l’ipotesi che tanto il nostro Vibio quanto quello menzionato da Cicerone avessero realmente il cognome Sequester, e che Cicerone faccia un giuoco di parole appunto su tale cognome, mi sembra plausibile; ma ti prego di ripensarci e di comunicarmi eventuali obiezioni. […] Grazie ancora e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 1 2 3 4 L’anno si ricava dal confronto con la lett. precedente, a cui T. risponde. Vd. lett. 465. Il cognomen del figlio di Vibio Sequestre risulta dalla lettera dedicatoria. § 25, cit. lett. 465. 896 468 Roma, 23. 10. 1965 Carissimo Sebastiano, grazie della tua lettera1. Volevo scriverti da alcuni giorni, cioè da quando ho letto l’ottimo articolo sul Terzaghi in «Belfagor»2. Ne hai fatto, con simpatia ma anche con equilibrio, un profilo esauriente e ‘storico’, ricco di spunti e di riferimenti importanti, che finisce col fare del Terzaghi una figura più attraente di quello che poteva sembrare finora. Fra parentesi, me mi hai citato troppo! Su Vibio Sequestre e figlio siamo forse più d’accordo che non sembri. Io non ho qui il testo della mia ‘scheda’ (ma credo che il fascicolo stia per uscire, e quindi la rileggerò attentamente). Ho avuto il torto di volermi esprimere con troppa brevità, e mi dispiacerebbe se non avessi messo almeno un «diversamente» o simm. nel fare il confronto fra Sequester e Virgilianus. In realtà, volevo dire solo che l’uno e l’altro nome nascono ‒ in maniera diversa ‒ dalla letteratura, cioè dal mestiere di tutt’e due (il che, fra un’infinità di cognomi ricavati da caratteristiche fisiche, geografiche, psicologiche, religiose ecc. ecc. come sono i cognomi latini, rappresenta pur sempre una coincidenza curiosa per i nomi di padre e figlio). Questo, si capisce, se Sequester deriva da una reminiscenza di Cicerone. D’accordo che Sequester definisce un’attività antipatica, e questo è certo un punto debole per l’ipotesi; ma (a parte il fatto che Vibio dimostra spesso di non aver capito nulla dei suoi testi) un cognome può derivare da un soprannome dato scherzosamente (p. es., nella scuola, dal nomignolo dato da un maestro e poi accettato dall’interessato ecc.), e f o r s e Vibio stesso, o poniamo, suo padre (grammaticus?) (posto rispettivamente che l’avesse preso lui stesso o ricevuto dal padre) può non essersi preoccupato ‒ di fronte all’importanza che ai suoi occhi poteva avere il trovare una persona con lo stesso gentilizio (Vibius) in un ‘autore’ come Cicerone ‒ del valore poco onorevole della parola. Insomma, in generale, cognomi scherzosi o disonorevoli non sono impossibili e forse neanche infrequenti (i cognomi latini sono raccolti in un volume di I. Kajanto su cui ho fatto pure una scheda in questo fasc. della «Riv. di filol.»)3. Ma ripeto che sento la debolezza della mia osservazione, e Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. S. T., Ricordo di Nicola Terzaghi, «Belfagor», 20, 1965, pp. 579-87 (= Ricordo di Nicola Terzaghi, a cura di G. Terzaghi, La Spezia 1966, pp. 3-19). Terzaghi era morto il 20 aprile 1964. 3 S. M., scheda a I. Kajanto, The Latin Cognomina (Helsinki 1965), «RFIC», 93, 1965, pp. 381-2. 1 2 897 mi rendo perfettamente conto che la tua è ben sostenibile4. E farai bene a mettere in evidenza, nella recensione, la poca fondatezza del mio parallelo Sequester – Virgilianus. Scusa se sono stato troppo lungo e se ho scritto in fretta. Sto finendo di far uscire le dispense del corso sull’Anthologia Palatina dell’anno scorso5, pentito di aver accettato di pubblicarle in seguito alla richiesta di studenti di greco. Quando saranno finite di uscire, te le manderò, ma con tutte le comprensibili riserve per un lavoro di questo genere (il corso, del resto, era, come sai, improvvisato). Tandoi ti avrà detto delle mie intenzioni per l’Aegritudo Perdicae6: naturalmente ti informerò al momento opportuno, sia perché mi autorizzi a pubblicare tuoi contributi sia per avere il tuo parere su alcuni punti, dei quali discutemmo a suo tempo (nel ’49!) o ai quali ho pensato poi. Ti abbraccio. Il tuo Scevola In nota: «Resta tuttavia che l’esistenza di un’allusione al cognome di Sex. Vibius in quel passo ciceroniano è puramente ipotetica: dei sequestres che corrumpunt, secondo quella che è una loro caratteristica propria, ci sono anche altrove in Cicerone (p. es. Verr. 1, 36) e la parola sequester ritorna altre volte nella pro Cluentio (§§ 72 e 87)». 5 Il V libro dell’‘Anthologia Palatina’ (Appunti dalle lezioni tenute nell’anno accademico 1964­65 dal Prof. Scevola Mariotti raccolte dalla Prof. Anna Sacconi), Roma 1966. 6 Sull’Aegritudo vd. lett. 73-5, 104-6, 108-11, 113-8, 126, 158, 232-3, 257. Dell’Aegritudo Perdicae M. preparò con l’aiuto di V. Tandoi un’edizione provvisoria per il corso di Filologia classica dell’anno acc. 1965-66 (Aegritudo Perdicae, Scholis Romae habendis impressa, Roma 1966). 4 898 469 Pisa, 31. 10. 1965 Carissimo Scevola, ti ringrazio di quello che mi scrivi a proposito del mio articolo su Terzaghi1. Era un articolo assai difficile a scriversi, e il risultato non è, certo, del tutto soddisfacente. Spero soltanto di non essermela cavata troppo male: non più di questo. Ho mandato a Ronconi la recensione al Parroni2, con l’ipotesi sul cognome di Vibio. Si tratta certo di una mera ipotesi, e tu hai perfettamente ragione di notare che in quel passo ciceroniano, preso in sé, nulla denota l’esistenza di un giuoco di parole. Sul confronto tra Sequester e Virgilianus tu ti sei espresso con cautela, e non c’era ragione che io polemizzassi contro tale confronto, che – nella forma in cui tu l’hai presentato – è legittimo. Io, del resto, ho accennato a questo problema del cognome di Vibio solo fuggevolmente. Se si volesse discutere più a fondo l’ipotesi di Terzaghi, si dovrebbe, mi pare, distinguere ed esaminare a parte le d u e eventualità: 1) che Vibio si sia dato da sé quel cognomen; 2) che gli sia stato dato da altri. La mia osservazione circa il carattere spregiativo del cognomen Sequester vale solo contro la prima eventualità. Contro la seconda ha un certo peso, mi sembra, la poca verosimiglianza che qualcuno sia andato a pescare per l’appunto in quel passo ciceroniano un nomignolo per il nostro Vibio (o per un suo antenato). Ho guardato il lavoro di Kajanto: come mai non registra il cognomen Sequester? Deliberata omissione o, come credo più probabile, dimenticanza? Ti ringrazio in anticipo delle dispense sull’Anthologia Palatina. Ne verrà fuori un lavoro a stampa? Lo spero, perché certo ti saranno venuti in mente contributi originali e interessanti. Tandoi non mi aveva ancora parlato dell’Aegritudo Perdicae. Ho molto piacere che tu riprenda quel lavoro, e naturalmente sei autorizzatissimo a citare eventuali contributi miei. Ma ce ne sono di ancora validi? Di questo dubito. Mi sembra di ricordare che su nessun punto io fossi giunto a risultati veramente solidi; e che un paio di contributi abbastanza buoni fossero stati già proposti, come poi ci accorgemmo, dal Vollmer. Ma i miei ricordi sono molto sbiaditi. Ad ogni modo devo avere ancora alcuni appunti, che tirerò fuori. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 1 2 Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Vd. lett. 465-8. 899 470 Pisa, 12. 11. 1965 Carissimo Scevola, ti ringrazio infinitamente delle due cartoline e delle congetture alla Vita Persi1, che continuano a sembrarmi ottime (elegantissima la precisazione antiparatoriana!). Sul cognome di Vibio siamo d’accordo, perché neanch’io sono del tutto persuaso di quella mia ipotesi, che presento solo come possibilità 2 . Leggerò subito la tua noterella sul Kajanto3 e frattanto ti ringrazio del chiarimento sul suo modo di lavorare4. A me era venuto fatto di osservare che ha tralasciato anche Mut(t)o, buon esempio di cognome scherzoso-ingiurioso. Almeno, non mi pare di averlo trovato nell’indice. Con Questa non ci siamo forse intesi perfettamente. Io gli avevo scritto che mi sarebbe piaciuto recensire le sue Bacchides5, ma che temevo di non aver tempo; ed effettivamente per ora non vedo come potrei trovare il tempo di studiarmi per bene la sua edizione (non è un testo sul quale io sia già preparato, e una recensione che non dica nulla non voglio farla). Perciò, pur con dispiacere, penso che la «RFIC» dovrebbe far recensire l’opera da un altro studioso, per evitare il rischio che finisca col rimanere non recensita6. Naturalmente resta valida la mia promessa di collaborare ancora alla «RFIC». Sto leggendo quel volumetto di M. Mühmelt, Griechische Grammatik in der Vergilerklärung (uscito quest’anno a Monaco), di cui parlammo con Fraenkel a casa tua a maggio. Se non è già prenotato, lo recensirei volentieri, ma tra due o tre mesi7. Rispondimi pure c o n t u t t a calma. Ti manderò tra non molto la raccolta di saggi giordaniano-leopardiani M., Congetture alla Vita Persi (cit. lett. 451). Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 468. 4 In una comunicazione non conservata. 5 Vd. lett. 465. 6 L’edizione delle Bacchides curata da C. Questa fu recensita da H.D. Jocelyn in «RFIC», 95, 1967, pp. 467-77. 7 La recensione uscirà in «RFIC», 94, 1966, pp. 336-41 (rist. col titolo di Scoliasti greci e commentatori virgiliani latini in Contributi1, pp. 557-67). Sulla stessa vd. lett. 471-4. 1 2 900 (ed. Nistri-Lischi) di cui mi pare di averti già parlato8. Grazie anticipate per le dispense9 e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 8 9 Vd. lett. 464. Dell’Anthologia Palatina (vd. lett. 468-9). 901 471 Pisa, 20. 11. 1965 Carissimo Scevola, il Mühmelt ce l’ho e quindi non occorre che me lo mandi1. Ti ringrazio molto per l’accettazione della proposta di recensirlo; farò la recensione, spero, tra un paio di mesi. Naturalmente mi saranno preziose le tue osservazioni. Per quel che ho veduto finora, il lavoro del Mühmelt mi pare diligente e ben orientato, ma con una certa tendenza a provare troppo, cioè a vedere dipendenza da scolii greci anche dove non c’è. Ma ne riparleremo a suo tempo, quando avrò esaminato meglio il volumetto. Quanto al Questa, preferirei rinunciare2. Non vorrei assolutamente che, per causa mia, la sua edizione rimanesse non recensita nella «Rivista», o che io mi sentissi moralmente impegnato di fronte a Questa a fare la recensione pur senza avere nulla da dire. E poi mi ci vorrebbe troppo tempo a orientarmi nelle questioni di contaminazione ecc., di cui non mi intendo affatto. Sono molto contento che l’edizione platonica di Moreschini esca nella collana diretta da te e da Gallavotti3. Mi interessa anche Tiberio retore, non tanto in sé, quanto perché è un autore di cui si occupò il Leopardi4. Non ricordo in questo momento se fra le congetture del Leopardi a questo autore ve ne siano di degne di essere menzionate (oltre quella molto ovvia citata a p. 176 n. 1 del mio libro5, in cui Leopardi precorse il Walz). Guarderò, ed eventualmente te le comunicherò. Grazie anticipate del Sicionio di Gallavotti6. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 3 L’edizione di C. Moreschini (Platonis Parmenides, Phaedrus, Roma 1966) uscì nella collana «Bibliotheca Athena», edita dalle Edizioni dell’Ateneo. 4 L’opera di Tiberio retore (Tiberii De figuris Demosthenicis) uscì nella stessa collana nel 1968 a cura di G. Ballaira. 5 T., La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247). 6 Menandri Sicyonius, in usum scholarum iterum C. Gallavotti rec., Roma 1965. 1 2 902 4721 Pisa, 16. 1. [1966]2 Carissimo Scevola, grazie! Il libro3 ha quegli squilibri di cui ti dicevo, e certo sarebbe stato meglio rifondere tutto in una trattazione organica, ma non mi sono sentito di sobbarcarmi a questo lavoro. Speriamo che anche così possa servire a qualcosa; le tue parole (anche fatta la debita parte all’amicizia!) me lo fanno sperare. Ti sono molto grato anche del proposito di farlo ‘schedare’ nella «Riv. di filol.»4. Ho finito di leggere il Mühmelt5 e ho preso qualche appunto. Spero di poterti mandare tra non molto la recensione, nella quale parlerò, complessivamente bene del volume e indicherò qualche ‘eccesso di zelo’, del resto perdonabilissimo. Il vol. III del Servio Harvardiano non l’ho ancora veduto6; me lo procurerò (e intanto dovrebbe arrivare anche al Sem. di filol. della Normale). Conto volentieri di vederti presto a Pisa. Grazie ancora e tanti saluti affettuosi, e di nuovo moltissimi auguri per il 1966 a te e ai tuoi. Sebastiano 1 2 3 4 5 6 Cartolina postale. L’anno si ricava dal timbro postale. T., Classicismo e illuminismo (cit. lett. 422). In «RFIC», 97, 1969, pp. 114-24 il libro fu recensito da V. Di Benedetto. Vd. le due lett. precedenti. Vd. lett. 146. 903 473 Pisa, 8. 2. 1966 Carissimo Scevola, ecco la recensione al Mühmelt1. Vedi tu se può andare. Il volumetto, esaminato con cura, mi ha fatto l’impressione un po’ meno favorevole che a prima vista: parecchi, mi sembra, sono i raffronti sforzati. Tuttavia rimane un lavoro in complesso utile e meritorio. Non so se sono riuscito a far capire ciò, o se invece, come temo, le numerose critiche a punti singoli finiscono col dare al lettore l’impressione di una stroncatura. Se così fosse, sono disposto ad accentuare alcune espressioni elogiative. A p. 6, là dove ho segnato in margine un asterisco a lapis, forse è meglio cancellare2 la proposta dubitativa di quel feminea <manu>, a cui io stesso non credo3. Vedi tu. Ti mando anche una noterella inviatami dal mio amico Giuseppe Torresin, attualmente insegnante di italiano all’università di Århus4 in Danimarca. Non mi ricordo se ho già avuto occasione di parlare con te di Torresin; è uno scolaro di Pasquali press’a poco della nostra età, normalista; da studente era bravissimo, poi varie vicende lo allontanarono dagli studi filologici; recentemente si è rimesso a lavorare e ha pubblicato un articolo, mi pare su Galeno, in «Classica et Mediaevalia»5. La noterella che ti accludo mi pare interessante, perché da essa risulta che la ‘legge di Havet’ era stata già formulata dal Porson. Credi che possa andare per la «Rivista»6? Se non ti sembra che sia il caso di pubblicarla, ti prego di rimandarmela. Grazie, scusa e tanti affettuosi saluti dal tuo Sebastiano [PS. ‒] Nella noterella di Torresin forse è un po’ curiosa quell’espressione «a noi tirones» nella quartultima riga. Ma caso mai potrà cambiarla l’autore sulle bozze. O sarà un errore di copiatura7? Vd. le tre lett. precedenti. Corretto a mano sul precedente «correggere». 3 Si tratta di una congettura a Serv. in Verg. Aen., 1, 480 (Peplum proprie est palla picta feminea), che infatti non comparve nel testo a stampa (cfr. Contributi1, pp. 562-3). 4 Nel manoscritto: Aarus (recte Århus, come nella lettera seguente, o Aahrus). 5 G. Torresin, Die astronomische Digression des Kommentar Galens zu περὶ ἀέρων ὑδάτον τόπων und ein angebliches Fragment der ‘hesiodischen’ Astronomie, «C&M», 24, 1963, pp. 58-75. 6 La nota, col titolo Non legge di Havet ma legge di Porson, apparve in «RFIC», 94, 1966, p. 184. 7 Quest’ultima frase è stata aggiunta a mano. 1 2 904 474 Pisa, 18. 2. 1966 Carissimo Scevola, ti ringrazio moltissimo dell’accettazione della recensione al Mühmelt1. Le tue giustissime osservazioni mi inducono a rinunciare senz’altro a quella proposta di integrazione feminea manu a p. 6 del mio dattiloscritto2: se la soppressione non è più possibile sul dattiloscritto, la eseguirò sulle bozze. Sono anche contento che ti sia piaciuta la noterella di Torresin3. Hai fatto bene a correggere quell’«a noi tirones» che anche a me era parso stranissimo; non credo che Torresin ci terrà a mantenerlo. Su quel rinvio bibliografico a Heath non saprei che dire: non ho copia della nota di Torresin e, anche se l’avessi, il rimando riuscirebbe con tutta probabilità oscuro anche a me. Torresin potrà chiarirlo sulle bozze. L’indirizzo di Torresin è questo: dr. Giuseppe Torresin, Banegårdsgade 16, Århus, Danimarca. Grazie di quello che mi scrivi quanto alla replica ad Avalle (nel frattempo te ne ho mandato l’estratto a Roma)4. Avalle è un valente filologo romanzo. Egli aveva il diritto di lagnarsi che a me fosse sfuggito il suo libro La letteratura provenzale nella sua tradizione manoscritta5 (ma non era facile supporre che in un libro così intitolato vi fossero delle trattazioni di metodologia generale di critica del testo). Senonché, arrabbiatosi per questo motivo, ha finito con l’obiettarmi anche cose del tutto sballate. Vedremo se replicherà. Grazie ancora e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano Vd. lett. 470-3. Vd. lett. precedente. 3 Vd. ancora lett. precedente. 4 D.S. Avalle recensì La genesi del metodo del Lachmann in «Giorn. stor. della lett. ital.», 141, 1964, pp. 598-600. La risposta in S. T., Ancora su stemmi bipartiti e contaminazione, «Maia», 17, 1965, pp. 392-9. 5 Vd. lett. 443, dove il titolo è indicato correttamente. 1 2 905 475 Pisa, 17. 3. 1966 Carissimo Scevola, mi rallegro di tutto cuore per il tuo articolo1, che è un contributo nuovo e acuto. Hai certamente ragione di sostenere la scansione dattilica del frammento di Accio: le tue argomentazioni sono del tutto convincenti, e giustissime sono anche le conseguenze che ne trai per quel che riguarda la caratterizzazione generale degli Annales di Accio (anche su it nigrum campis agmen, cioè sulla sua attribuzione a fatti militari, sono pienamente d’accordo). Ottimi anche i raffronti lucreziani ecc. Quanto all’espunzione di sunt, certo essa è molto probabile, dato che Malsacano, come tu osservi, inserisce altre tre volte la copula in citazioni virgiliane. Di per se stesso l’enjambement nixi / sunt non mi sembrerebbe del tutto inverosimile: penso a Ennio Sc. 334 sg. (… dati / sunt). C’è nel settenario trocaico una maggiore tendenza agli enjambements che nell’esametro? Non so; non conosco il lavoro di Hellegouarc’h che citi nella nota 72. Negli Annali di Ennio ci sono enjambements abbastanza forti (il famoso poliendi / agri3 e qualche altro), ma col verbo sum mi pare di no. Insomma, f o r s e attenuerei un pochino la nota 7, ma non sono affatto sicuro di questo suggerimento. Nella stessa nota 7, in questo momento non vedo perché invece di nixi «si aspetterebbe nisi»; ma si tratterà di cosa ovvia che adesso mi sfugge. Di nuovo rallegramenti! E grazie della scheda sul Servio Harvardiano con l’affettuosa menzione del mio articolo4. Ci vedremo, a quanto mi dice il Di Benedetto, prestissimo a Pisa. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano S. M., Accio in Malsacano, «RFIC», 94, 1966, pp. 181-4 (= SFC, pp. 69-71). T. aveva ricevuto l’art. in lettura prima della pubblicazione (vd. lett. 483). 2 J. Hellegouarc’h, Le monosyllabe dans l’hexamètre latin, Paris 1964. 3 Enn. ann., 319-20 V.2. 4 S. M., scheda a Servianorum in Vergilii carmina commentariorum (cit. lett. 146), «RFIC», 94, 1966, p. 127. 1 906 4761 Pisa, 6. 5. 1966 Carissimo Scevola, in un raro momento di intervallo tra le bozze fiorentine (La Nuova Italia è in ritardo nella stampa di alcuni libri scolastici, e siamo perciò tutti ‘mobilitati’!) ti mando un saluto affettuoso e un pensiero per le giornate drammatiche che avete passato all’Università2. Ho letto l’ottima e coraggiosa lettera a Saragat firmata da te e da altri professori antifascisti. Speriamo davvero che, se non un rinnovamento totale dell’atmosfera, almeno l’eliminazione del teppismo e della faziosità fascista abbia luogo! Qui niente di nuovo. Ronconi ha tenuto alla Normale alcune lezioni su Terenzio, ma non ho avuto il tempo di andarci. Mi dispiace anche di non poter venire a salutare Fraenkel. Ti scriverò poi con più calma. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Lettera manoscritta. Il 26 aprile, nel corso di una manifestazione di gruppi extraparlamentari di destra, era stato ucciso lo studente di architettura Paolo Rossi. 1 2 907 477 Pisa, 18. 6. <1966>1 Carissimo Scevola, ho ancora pensato all’argomento della nostra telefonata di ieri l’altro sera. Capisco bene che la mia rinuncia può rafforzare la tesi che io sia, per natura e per vocazione immutabile, un ‘rinunciatario’; e me ne dispiace, perché il rinunciatarismo è una pseudo-virtù masochistica che non suscita affatto le mie simpatie. Ma in questo caso, credi pure, ho forti ragioni per non poter accettare. Una di queste ragioni te l’ho accennata solo brevemente l’altra sera, ma, ripensandoci, mi appare tra le più forti. Io ho, meno di un anno fa, detto un reciso n o a Ronconi e alla casa Le Monnier che avevano molto insistito, come sai, perché io entrassi nella direzione degli «Studi italiani». Come potrei, adesso, giustificare di fronte a Ronconi e ai Paoletti una decisione diversa per la «Rivista»? So benissimo che i due casi non sono sullo stesso piano, perché gli «Studi» sono una rivista ormai moribonda o morta del tutto mentre la «Rivista» rimane il più vitale e il migliore tra i periodici italiani di filologia classica; so anche benissimo che, mentre la collaborazione con Ronconi sarebbe stata tutt’altro che allegra a causa del suo difficilissimo carattere, la collaborazione con te (e anche con Momigliano) sarebbe stata per me l’optimum. Ma capirai che queste cose non posso andarle a dire a Ronconi, che mi fece in quell’occasione insistenze molto affettuose. Parecchie altre volte Ronconi si è impermalito con me in circostanze nelle quali io non avevo alcuna colpa ed era lui che dava corpo alle ombre: stavolta non si può onestamente negare che una certa ragione di offendersi ce l’avrebbe; e puoi star sicuro che si offenderebbe gravemente, con me e forse, per contraccolpo, anche con te. A parte ciò, rimane il fatto che io, non avendo il tempo di occuparmi realmente della «Rivista», sarei veramente uno di quei condirettori che La lettera è anteriore al trasferimento di T. a Firenze, avvenuto ai primi di aprile del 1967 (lett. 493). A far inclinare per il 1966 è la lett. successiva (datata 28. 7. 1966), nella quale M. parla di un rinnovamento nella direzione di «RFIC»: è probabile che M. in vista di ciò abbia tentato di coinvolgere T. a entrare nella direzione, puntando anche sulla partecipazione di Momigliano (come apprendiamo qui da T.), col quale ha infatti bisogno di mettersi in contatto, tanto è vero che T. gliene fornisce l’indirizzo immediatamente dopo (lett. 479). Momigliano aveva già declinato l’invito a far parte della direzione di «RFIC» anni addietro (vd. lett. 419), ma forse M. sperava che la presenza di T. potesse anche servire a vincere le sue resistenze. 1 908 sembrano messi lì tanto per ‘far numero’, come i molti che figurano sulla copertina della «Parola del passato». Il lavoro alla Nuova Italia mi porta via 32 ore alla settimana; il tempo che mi rimane mi è appena sufficiente per studiare (tieni conto che Pacella ed io non siamo ancora riusciti a portare a termine l’edizione di Leopardi filologo2, e che ho qualche altro, per fortuna più piccolo, impegno di lavoro col Centro leopardiano di Recanati). Se mi metto, sia pure in maniera limitata, a occuparmi anche della «Rivista», non studio più. È mia ferma persuasione che una soluzione soddisfacente per la «Rivista» possa essere raggiunta, attorno a te (o a te e Momigliano), senza bisogno della mia presenza. Non riesco a vedere quale funzione di catalizzatore io dovrei compiere riguardo a Momigliano. La mia partecipazione non può essere in nessun caso il motivo determinante che indurrà Momigliano ad accettare o a non accettare. Io sono convinto che egli accetterà (a meno che non dica di no per un riguardo verso Gabba, cosa peraltro improbabile) perché, ora che è professore a Pisa3, in un ambiente a lui molto più favorevole della facoltà di Lettere di Torino, sarà ben lieto di esser presente nella direzione della rivista che fu dei suoi maestri De Sanctis e Rostagni. Di Benedetto mi ha fatto vedere l’ottimo giudizio che ha avuto; te ne è gratissimo (come anche del voto che gli hai dato), e credo anch’io che la tua azione nella giuria di questo concorso sia stata del tutto giusta e proficua4. Ancora grazie di tutto cuore, scusami e ricevi i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano 2 3 4 Che difatti uscì nel 1969 (vd. lett. 464). Vd. lett. 450. Sul concorso di Di Benedetto vd. lett. 464. 909 4781 Pesaro, 28. 7. 19662 Carissimo Sebastiano ho letto con gran gusto il tuo bellissimo articolo sui falsi leopardiani3: lucidissimo, esauriente, metodicamente esemplare. Per quanto riguarda gli abbozzi dell’Infinito e dell’Idillio alla Natura, fa impressione che gente come De Robertis, Flora ecc. non si siano resi conto (o almeno non si siano resi conto abbastanza) della bassezza spaventosa del livello prima di tutto tecnico, su cui tu insisti giustamente. Questo vale in particolare per l’Idillio alla Natura. Se in un particolare minimo posso distaccarmi da te, è nell’escludere del tutto la possibilità che il falsario sia stato Cozza-Luzi (cfr. p. 103 e anche 118). Io crederei (a meno che non mi sfugga qualche elemento di giudizio in contrario) che il falsificatore (lo Jozzi?) avesse inteso fare, più che un abbozzo, una vera poesia del Leopardi (magari poi ‘rinunciata’ o simm.), sia pure inizialmente imparentata con l’Infinito. Infatti, dopo le ‘correzioni’ (pseudo-)autografe, si ha, nel testo che tu dai a p. 99 sg., una poesia che può essere compiuta per il senso e, soprattutto, ineccepibile (non ridere!) dal punto di vista della τέχνη ἄτεχνος del falsario, per il quale endecasillabo è un verso di undici sillabe (anche se finisce con parola tronca) in cui sono possibili iati e sinalefi di tutti i generi, perfino la sinalefe nell’ultima sede dell’ultimo verso (15 cu͡ i, 23 arresta͡ i: i due ess. si confermano a vicenda) e la posizione degli accenti non conta, come tu hai visto benissimo. Il Cozza-Luzi non ha saputo (o voluto) vedere che i difetti tecnici del componimento dipendono da ignoranza delle regole più elementari della versificazione, ha preso il carme per un abbozzo e l’ha corretto secondo una tecnica un po’ più progredita4. In altre parole: nel componimento non ci sarebbe niente che non torni secondo la tecnica del falsario e quindi niente che provi che si trattava di un abbozzo Inviata per espresso, come risulta dalla lett. seguente. Sotto la data: «viale Battisti 62». 3 S. T., Di alcune falsificazioni di scritti leopardiani, «Giorn. stor. della lett. ital.», 143, 1966, pp. 88-119 (rist. con modifiche e aggiunte in Aspetti e figure [cit. lett. 438], pp. 295348). Sui falsi leopardiani vd. lett. 480, 482, 484-8. 4 Nel margine inferiore del foglio con nota di richiamo: «Pot rebbe (?) anche darsi che nei vv. 11 e 16 (cfr. Timpanaro, p. 99, nn. 3 e 4) le ‘aggiunte marginali’ son e tuo (se s’intendesse che tuo era di mano dello stesso ‘Leopardi’) fossero semplicemente le ultime parole dei due versi, prese per ‘aggiunte marginali’ dal Cozza-Luzi, che magari le vedeva scritte un po’ staccate e soprattutto non capiva la ‘tecnica’ del falsario, secondo la quale son e tuo entravano bene nei due versi». M. aggiunge: «questa nota è …» (seguono due parole illeggibili). 1 2 910 ‘leopardiano’, e le correzioni del Cozza-Luzi non rappresenterebbero una continuazione (consapevole) del labor limae che già il falsario aveva finto nel Leopardi, ma sarebbero i miglioramenti che egli riteneva necessari per ragioni tecniche. Nel primo abbozzo in prosa dell’Infinito avrai notato che il testo è scomponibile in due endecasillabi (corretti) inframmezzati da un dodecasillabo (che diventa un endecasillabo corretto solo che si sostituisca il meno comune ‘roveto’ col più comune e ‒ soprattutto ‒ leopardiano ‘siepe’). Difficilmente questo sarà un caso. Non ricordo in questo momento (tu lo dici in qualche punto che non ritrovo) se il falsario poteva conoscere abbozzi leopardiani misti di prosa e di verso, su cui potrebbe essersi fondato. Comunque, il testo è forse troppo breve perché ci si possa domandare se non sia troppo metrico per essere un abbozzo misto di prosa e verso (in questi casi, poi, non so se il Leopardi scrivesse i versi uno sotto l’altro o, come pare fosse qui, in forma di prosa). Come vedi, caro Sebastiano, ho sprecato molta carta e approfittato a lungo della tua pazienza per dire contortamente cose dubbie, e comunque, incostruttive. La questione della «RFIC»5, visto come si era messa male, si è risolta passabilmente. Tutti i vecchi condirettori (tranne ovviamente Gallavotti) sono rimasti, il che vuol dire che non hanno sentito di dover solidarizzare con Gallavotti. Certo, dal punto di vista pratico la direzione resta troppo numerosa. Ma la casa editrice continua a contare su Gabba e me, perché la stessa ‘direzione responsabile’ di Maddalena è dovuta a ragioni di opportunità e geografiche più che sostanziali. Nei giorni scorsi, come forse avrai saputo, c’è stato un cordiale scambio di lettere fra Gabba e me, in cui ho detto a Gabba che ‒ in una riunione convocata a Torino per il 16 settembre ‒ dovremmo far valere il più possibile (e in questo saremo spalleggiati dalla casa) il principio della collegialità della direzione. E soprattutto ho cercato anch’io di fargli capire che la sua posizione è ora di aumentata responsabilità, e di attivizzarlo. Ti dirò che la mia preoccupazione maggiore, adesso, è che possa esserci ‒ data anche la non grande attività di Maddalena ‒ uno scadimento della rivista. È inutile che ti ripeta quanto possa essere preziosa per me la tua collaborazione (anche con cose di storia della filologia), il tuo consiglio ed eventualmente l’avvio da parte tua alla «RFIC» di lavori di persone di tua fiducia ‒ sempre, s’intende, nei limiti in cui tu possa e creda di farlo. Scusa la lettera troppo lunga e scritta in fretta. Grazie ancora delle bellissime pagine leopardiane. Ossequi alla Mamma, anche da Tota6. A te un abbraccio dal tuo Scevola 5 6 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 228. 911 4791 Firenze, mercoledì <3. 8. 1966>2 Carissimo Scevola, due righe in fretta da Firenze con la promessa di scriverti presto più a lungo da Pisa. I nostri espressi si sono incrociati3. Ti ringrazio tanto del tuo e della telefonata di ieri sera. Scusami se ero assente: non ho potuto non partecipare a una cena post-elettorale (!). L’indirizzo di Momigliano è University College London, Gower Street, London W. C. I. È l’indirizzo che lui dà sempre; quello di casa lo ignoro. Con Gabba sono sicuro che ti intenderai bene: è uomo un po’ conservatore-lombardo in politica, ma decisamente laico e molto onesto (e, per quel che posso capire e per quanto sento dai suoi allievi e da Momigliano, molto bravo). Ha anche un solido spirito organizzativo (sarebbe, p. es., un ottimo direttore di biblioteca); e non è per nulla settario né invadente, e insomma mi sembra uomo che collaborerebbe con te bene. Grazie ancora di tutto, tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano Lettera manoscritta. Il riferimento alla condirezione di «RFIC», che la connette alla precedente lett. del 28 luglio, e la promessa di una immediata e più lunga lettera da Pisa (la successiva del 4 agosto), in cui peraltro a proposito di Gabba si fanno le stesse considerazioni suppergiù con le medesime parole, consente di collocare questa lettera con sicurezza il 3 agosto, che è l’unico mercoledì fra il 28 luglio e il 4 agosto. 3 Quello di T. non è conservato, quello di M. deve essere la lett. precedente. 1 2 912 480 Pisa, 4. 8. 1966 Carissimo Scevola, la tua ipotesi, che l’Idillio alla Natura non sia stato falsificato dal Cozza-Luzi e che il falsario non abbia avuto l’intenzione di contraffare un ‘abbozzo’ ma una poesia compiuta, è da prendersi in seria considerazione1. Io, pur essendomi espresso con una certa cautela, dentro di me mi sentivo quasi sicuro che questo falso, il più mostruoso di tutti, fosse un parto del Cozza-Luzi in persona. Ma adesso, dopo le tue osservazioni sulla ‘tecnica’ metrica (a suo modo, coerente) del falsario, mi sento assai più incerto e sarei propenso a darti ragione. In ogni caso, penso che valga la pena che tu enunci pubblicamente questa tua ipotesi. L’unico dubbio che ancora mi impedisce un’adesione piena è costituito da quelle circostanze che espongo a p. 98. Secondo la testimonianza di Domenico Orano (confermata indirettamente dagli apografi esistenti nella biblioteca comunale di Recanati) gli pseudoautografi delle sue suppliche (per leggere i libri proibiti e per ottenere il posto di scrittore alla Vaticana) non recavano gli abbozzi di idilli O quanto a me gioconda … e Sempre adorata mia solinga sponda …. Dovremmo pensare che lo Jozzi (o chi per esso), dopo aver fatto ‘girare’ le suppliche senza gli abbozzi di idilli, abbia poi aggiunto, su quegli stessi fogli, gli abbozzi e li abbia rifilati, in questa forma accresciuta e migliorata, all’ignaro Cozza-Luzi. Non è escluso. Ma il fatto che il Cozza-Luzi si contraddica riguardo a q u a l e d e l l e d u e s u p p l i c h e avrebbe contenuto anche gli abbozzi di idilli (cfr. mio art., p. 98 all’inizio), induce a sospettare che i due abbozzi di idilli siano una sua invenzione. Sta di fatto che anche allora, in quegli anni di fine Ottocento e d’inizio del Novecento, mentre molta gente vide gli ‘autografi’ dei Pensieri vaticani, del terzo e quarto abbozzo d’idillio e delle due suppliche (i quali sono ritornati poi in luce recentemente), nessuno, né allora né poi, ha mai veduto gli ‘autografi’ di quei due primi abbozzi di idilli. Ciò fa sospettare che di essi non siano mai esistiti ‘autografi’ di sorta. Certo, il Cozza-Luzi potrebbe essersi accontentato di vederne delle copie. Ma come mai allora disse di aver visto gli autografi, e che questi si trovavano sullo stesso foglio di una delle suppliche? Inoltre mi domando: è mai possibile che un falsario (il quale doveva essere persona ignorante e stupida sì, altrimenti non avrebbe scritto quel 1 Vd. lett. 478, a cui T. risponde (come preannunciato nella lett. precedente). 913 bel capolavoro, ma non totalmente digiuna di studi) credesse che un endecasillabo fosse semplicemente un verso di undici sillabe, con accenti a piacere? Una simile techne atechnos (come tu argutamente la chiami) non meraviglierebbe troppo al giorno d’oggi, perché l’interruzione della vecchia tradizione retorico-umanistica e la sua mancata sostituzione con un serio studio della metrica (anche per effetto dei pregiudizi crociani contro la metrica come ‘tecnica’) hanno fatto sì che oggi uno può addirittura laurearsi in letteratura italiana senza sapere minimamente come è fatto un endecasillabo! Ma quella gente là imparava fin dalle prime classi a comporre versi; e che un prete o semi-prete, per quanto ignorante, credesse che ‘Qual sfregio mai ti feci, dimmi il perché’ fosse un endecasillabo, mi rassegno male a crederlo. Diverso è il caso se si tratta, nelle intenzioni del falsario, di un abbozzo. Certo, rimane l’idiozia di attribuire al Leopardi giovane una mostruosa inesperienza e maldestrezza letteraria. Nondimeno, ciò mi sembra pur sempre un po’ più credibile. Ma riconosco che l’argomento non è forte. Più forti, per ora, mi sembrerebbero le considerazioni che ti ho esposto per prime. Ma aspetto le tue contro-osservazioni. Ripeto che il fatto che, bene o male, tutti i versi dell’Idillio alla Natura abbiano 11 sillabe è un forte argomento a favore della tua tesi. Non ho veduto Gabba prima che partisse per le vacanze, e quindi non abbiamo parlato della «Rivista». Ma sono convinto che collaborerete bene, e ritengo che la permanenza di altri direttori sia un fatto positivo. Non dubitare che non mi dimenticherò della «Rivista», sia come collaborazione mia, sia come ricerca di collaboratori bravi. Grazie ancora e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano [PS. ‒]2 Ho letto con molto interesse il lavoro di Italo su Aristone di Alessandria, che mi sembra cosa di prim’ordine3. Purtroppo, come avrai saputo da Italo, pare che Codignola sia restio a dire un s ì chiaro e a prendere un impegno esplicito per la data di pubblicazione. E io posso fare ben poco per convincerlo! Ma speriamo bene. Nel margine superiore e inferiore dell’ultima pagina della lettera si leggono estratti della risposta di M., che risulta perduta e che qui di seguito si trascrive. La data (5. 11. 1966) è sicuramente quella in cui M. si decise a rispondere all’amico, dopo che quest’ultimo in data 1° novembre (vd. lett. seguente) aveva lamentato il 2 3 Aggiunta manoscritta. I. Mariotti, Aristone di Alessandria, Bologna 1966. 914 lungo silenzio («è un secolo che non ci scriviamo»). Subito dopo, giunta la notizia dell’alluvione di Firenze (4. 11), M. deve di nuovo aver scritto a T., che infatti nella lett. 482 (del 12. 11) lo ringrazia per due lettere. «risp. 5. 11. 1966: (vd. se stampe o manoscritti di Jozzi). La tua obiezione sul doppio fatto di contraddizione di Cozza-Luzi e testimonianza di Orano è certo notevole, ma tu stesso indichi via d’uscita; Jozzi potrebbe aver aggiunto dopo novembre ’97 e prima di 17/2/’98 i 2 ‘abbozzi’ per fornire più ghiotto materiale, oppure aver fornito gli ‘abbozzi’ «senza neppure darsi la pena di contraffare la scrittura del Leopardi» (Timpanaro p. 98, il che faciliterebbe spiegazione di contraddizione di Cozza-Luzi, che tuttavia può anche essere lapsus [cf. Timpanaro, ibid.]; ovviamente in questo caso Cozza-Luzi e Jozzi erano sostanzialmente d’accordo). Ma resto abbastanza sicuro che Idillio alla Natura non fu sentito da falsario come abbozzo (comunque lo giudicasse il Cozza-Luzi). Non solo esso è completo per senso, ma è tutto scandibile secondo tecnica rozzissima ma coerente. Non può essere caso che tutti i versi si riescano a misurare come endecasillabi se si ammette che l’autore usasse con estrema libertà4 sinizesi e iati e ignorasse regole relative agli accenti e alla finale tronca [due cose collegate fra loro]; l’ultima cosa è confermata da 3 esempi e forse 4 (vv. 8, 15, 23 e probabilmente 11). Preti ignoranti nell’ ’800 ce ne furono. E comunque grossa sarebbe stata l’assurdità, da parte del falsario, di attribuire a un poeta non ignorante (nonché al Leopardi, [sia pure giovane]) versi così orribili anche in un abbozzo. Capisco che ammetterli in un abbozzo è cosa diversa; ma non dimostrerebbe che il falsario avesse l’idea che chi cominciava a scrivere un componimento in endecasillabi dovesse più o meno cadere in errori così grossolani? e che quindi lui stesso non avesse vera familiarità con quel verso?». 4 Sopra «libertà» M. scrive: «arbitrio?». 915 481 Pisa, 1. 11. 1966 Carissimo Scevola, ho ricevuto in graditissimo omaggio dalla casa Loescher il Castiglioni-Mariotti1: te ne ringrazio di tutto cuore e mi rallegro vivamente per quest’opera che è di grande aiuto alla scuola e alla cultura classica italiana. Già in biblioteca avevo dato una scorsa al dizionario e avevo cominciato a notarne i pregi didattici e filologici. Ora me lo sto guardando con più cura e sempre meglio vedo che si tratta di uno strumento di lavoro eccellente, la cui utilità va molto al di là della sua destinazione scolastica. Ne farei molto volentieri una ‘scheda’ per qualche rivista2. Se non sbaglio, è stato già recensito su «Maia»3. Sull’«Atene e Roma», mi pare, non ancora; ne parlerò a Ronconi e, se non c’è già un recensore, mi proporrò io4. Come va? È un secolo che non ci scriviamo; ma ho avuto di tanto in tanto tue notizie dal Di Benedetto. Il quale, partito con l’idea di fare una ‘scheda’ del mio libro5 per la «Rivista di filologia», ha notato molte cose nuove e interessanti sul tema Leopardi e i filosofi antichi, cosicché sta scrivendo un denso articolo che, credo, riuscirà molto buono6. Hai visto la curiosa recensione di Paratore al IV volume del Gomperz7? Attacca Gomperz in quanto «materialista volgare» e, credo, me in quanto esaltatore del materialismo volgare del Gomperz8 (non mi nomina, ma l’allusione mi sembra abbastanza chiara). Come al solito, non si è degnato di leggere con un minimo di calma la gente che vuole attaccare, perché altrimenti avrebbe visto che io dicevo esplicitamente che Gomperz fu ostile al «materialismo volgare» e piuttosto L. Castiglioni-S. M., Vocabolario della lingua latina, redatto con la collaborazione di A. Brambilla e G. Campagna, Torino 1966. 2 Progetto, a quanto sembra, non realizzato. 3 Non risulta. 4 Vd. lett. seguente. 5 T., La filologia di Giacomo Leopardi (cit. lett. 247). 6 V. Di Benedetto, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, «RFIC», 97, 1969, pp. 114-24. 7 E. Paratore rec. a Th. Gomperz, Pensatori greci: storia della filosofia antica, 4. Aristotele e i suoi successori (Firenze 1962), «RCCM», 8, 1966, pp. 83-108. 8 Si riferisce a S. T., Theodor Gomperz (cit. lett. 438). 1 916 simpatizzante per il fenomenismo e l’empiriocriticismo. Ma non vale la pena di rispondergli! Grazie ancora del vocabolario e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 917 482 Pisa, 12. 11. 1966 Carissimo Scevola, grazie delle due lettere1. Pisa è stata abbastanza risparmiata dall’alluvione2 (Pisa città, poiché in provincia vi sono stati gravissimi danni); ma Firenze è in uno stato difficilmente immaginabile: il centro è tuttora immerso in un mare di fango, la vita economica è paralizzata, notevoli sono i danni subìti dal patrimonio artistico e addirittura disastrosi quelli delle biblioteche: basti dire che alla Nazionale tutti i sotterranei, contenenti i periodici, il fondo Palatino e le miscellanee, sono stati invasi dalle acque e ancora non si sa quanto di tutto ciò si potrà salvare (in ogni caso, si prospetta un lungo periodo di chiusura della biblioteca, cioè qualcosa di analogo alla Nazionale di Roma3 se non peggio). Anche la biblioteca di Lettere ha avuto danni seri, ma assai minori che la Nazionale. Salve, per fortuna, sono la Laurenziana e la Riccardiana, e anche i manoscritti della Nazionale (tra cui quelli del Leopardi). Sono invece andati in malora parecchi codici della Forteguerriana di Pistoia (non so di quale valore) che per malaugurata sorte si trovavano a Firenze presso un restauratore. Danneggiatissima è anche l’industria tipografica e editoriale. La Nuova Italia ha la sede intatta, ma il magazzino (situato vicino all’Arno) è stato inondato e i danni, anche se non totali come pareva all’inizio, sono però ingenti (è ancora troppo presto per avere notizie della conservazione o meno di singole opere: speriamo che la tua Sintassi latina4 e gli Studi luciliani di Italo5 siano almeno in parte salvi: appena saprò qualcosa ti informerò). Sorte ancor peggiore è toccata a Le Monnier e a Marzocco-Bemporad, che hanno avuto, pare, tutto distrutto; un po’ meglio sembra che se la sia cavata Sansoni. In tutto ciò vi è certamente un elemento di ‘fatalità’ contro cui le difese umane non valgono, ma vi sono anche responsabilità gravissime, sia remote (mancate opere di arginamento ecc.), sia prossime (mancato allarme Non conservate: l’una sarà stata quella riassunta in calce alla lett. 480; l’altra, perduta, sarà stata scritta dopo l’alluvione di cui si tratta più sotto. 2 La lettera fa riferimento alla disastrosa alluvione, causata dalla piena dell’Arno, che colpì Firenze il 4 novembre 1966. 3 A quest’epoca la Biblioteca Nazionale di Roma era già chiusa per i lavori di costruzione della nuova sede di Castro Pretorio, che sarà inaugurata solo nel 1975. 4 Vd. lett. 380. 5 I. Mariotti, Studi luciliani, Firenze 1960 (19692). 1 918 alla popolazione e agli enti economici: il prefetto aveva avuto fin dalla sera prima esatte segnalazioni sulla gravità del pericolo, ma non ha fatto dare l’allarme «per non creare panico»!! E così, oltre tutto, è morta della gente che si sarebbe potuta salvare; e con una intera notte di lavoro intenso si sarebbe salvato qualcosa anche del patrimonio economico e culturale). Passiamo, a cose più liete. La tua risposta quanto all’Idillio alla Natura pseudoleopardiano6 elimina quasi del tutto i miei dubbi. Dico «quasi» perché, pur riconoscendo che non si possono fissare limiti aprioristici all’ignoranza dei preti, continua a parermi un po’ forte che il falsario considerasse l’endecasillabo come un verso del tutto indifferente agli accenti. Mi è spesso capitato, quando insegnavo, di avere scolari duri d’orecchio che sbagliavano a recitare versi: ebbene, ho sempre notato che l’errore consisteva in qualche sillaba in più o in meno, ma non in una totale trascuranza degli accenti, specialmente nella chiusa del verso che è sempre, anche per gente indotta, il punto più sensibile. Tanto per fare un esempio, è facile che un ignorante possa sentire come un endecasillabo «Nel mezzo del cammino di nostra vita» o magari perfino «Nel mezzo del cammino della nostra vita», ma è inimmaginabile che senta come endecasillabo «Di nostra vita nel mezzo del cammin», sebbene questa sequenza abbia né più né meno che undici sillabe. Capisco che tu mi risponderai che altra cosa è uno stato di ‘ingenuità’ o ‘inesperienza’ metrica, altra la techne atechnos da te postulata. Eppure, perbacco, questo falsario avrà pur letto e sentito recitare un certo numero di sonetti per monacazione o di carmi sacri o roba simile, ed è strano che non si sia minimamente accorto che versi come «qual sfregio ti feci mai, dimmi il perché» s u o n a v a n o in modo ben diverso da quelli da lui letti o ascoltati. Tuttavia rimane a favore della tua ipotesi il grosso fatto che quegli pseudoversi sono tutti di undici sillabe; e questo fatto, lo riconosco, pesa più delle mie obiezioni. Sono quindi convinto che tu debba scrivere una nota su questo argomento: Fubini te la pubblicherebbe certo volentierissimo sul «Giornale storico». Può darsi che, una volta che tu avrai messo sull’avviso gli studiosi, qualcuno troverà altri esempi di pseudoendecasillabi di quel tipo, composti da poetastri dell’Ottocento. In ogni caso, la tua è una spiegazione alternativa che io avevo avuto il torto di non prospettare. Spero dunque di veder presto pubblicata la tua nota. Ho sentito dire (per via indiretta) che Binni non è rimasto del tutto convinto della non-autenticità di quei componimenti: può darsi che intervenga nella discussione: anche per Vd. lett. 478. Sul margine sinistro del foglio appunti di M. per la risposta (lett. 484). Spillata a questa lettera parte della minuta della lett. 478 (da «escludere del tutto» a «in forma di prosa». 6 919 questo è opportunissimo che intervenga anche tu, con una nuova ipotesi che viene a confermare la non-autenticità. Se Grassi recensisce il Castiglioni-Mariotti per l’«Atene e Roma»7, cercherò un’altra rivista. Hai un’idea di qualche rivista a cui potrei mandare la mia breve recensione? Non ti dico naturalmente di intervenire tu per farmela pubblicare: capisco che vuoi tenertene al di fuori. Chiedo solo un suggerimento, perché (essendo già occupate la «Riv. filol.», «Maia» e «At. & Roma») non mi viene in mente una rivista adatta. Chissà se la «Parola del Passato» la accetterebbe o farebbe storie adducendo il pretesto che si tratta di ‘libro scolastico’ et similia? Ma in realtà di un’opera così ben fatta, e per più rispetti originale, dovrebbero parlare anche riviste specializzate. […] Grazie ancora e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano C. Grassi, rec. a Castiglioni-M., Vocabolario (cit. lett. precedente), «A&R», s. V, 12, 1967, pp. 131-3. 7 920 483 Pisa, 14. 11. 1966 Carissimo Scevola, un breve post-scriptum alla mia precedente1. Non ricordo (sono passati ormai molti anni da quando ci scrivevamo centinaia di lettere enniane!) se abbiamo mai parlato di Ennio Ann. 505 Succincti gladiis media regione cracentes2. Si dovrebbe intendere col Warmington: «sword-girt and slender round the waist». Ma che Ennio si preoccupasse di sottolineare che dei guerrieri (e fossero pur ‘truppe leggere’) avessero ‘la vita sottile’, mi pare molto strano. E d’altra parte, mentre la bassa statura, poniamo, o l’esilità in generale, possono essere un ‘carattere etnico’, l’esser gracili per l’appunto media regione par difficile che sia una caratteristica collettiva di un popolo, o di un reparto di soldati. Che si debba scrivere gladios? Il confronto col famoso Deducunt habiles gladios filo gracilento3 induce a pensare che cracentes siano le spade4. Media regione potrebbe forse riferirsi alle spade (‘sottili d i t a g l i o ’ , quindi nella parte che sta in mezzo tra la punta e l’impugnatura o tra i due ‘piatti’ della lama (??): com’erano appunto le spade galliche che in punta erano ottuse); ma potrebbe anche riferirsi a succincti: ‘coi fianchi cinti di spade sottili’. Certo, succinctus, accinctus sono costruiti frequentissimamente con l’ablativo dell’oggetto di cui uno si cinge, rarissimamente invece con l’accusativo; ed Ennio stesso ha due altre volte (Ann. 5055, Sc. 387) l’ablativo. Tuttavia un costrutto con l’accusativo non farebbe difficoltà, se si pensa a vestem induor ecc. e all’uso di ζώννυμι. Se la mia ipotesi ti sembra una fesseria o se ti ricordi che ne abbiamo già parlato o che sia stata già proposta da qualcuno, attribuisci la mia stonatezza alla lunga desuetudine da Ennio. Vd. lett. precedente. Su questo verso vd. lett. 107. 3 Enn. ann., 253 V.2. 4 Sul verso della busta T. ha scritto: «Meno bene, direi, cracentis = cracentibus». 5 In corrispondenza del luogo (505 è sottolineato) M. pone in margine un punto interrogativo. È chiaro che T. pensava al v. 400 succincti corda machaeris. 1 2 921 Poco dopo le tue lettere6 ho ricevuto anche l’estratto di Accio in Malsacano7, che già conoscevo e che, come sai, mi convince pienamente. Tanti saluti dal tuo Sebastiano [PS. ‒]8 È anche curioso che nessun editore, di quelli almeno che ho sotto mano (non ho visto L. Müller e Bährens), metta una virgola dopo gladiis. 6 7 8 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 475. Aggiunta manoscritta. 922 484 Roma, 20. 11. 1966 Carissimo Sebastiano, ricordo che mi avevi scritto, molti anni fa, di Ann. 5051 e che a me la tua proposta era sembrata ottima2. Credo che tu debba senz’altro pubblicarla, prima che altri ci pensino. Io ci ho riflettuto di nuovo e non vedo cosa si possa obiettare. Il confronto con Ann. 253 prova con certezza quasi assoluta che cracentes debbono essere i gladii, e dunque gladios mi pare s’imponga (del resto, il fr. è tramandato solo da Paolo, e una ‘banalizzazione’ succincti gladiis, secondo il costrutto normale, ha avuto tutto il tempo e tutte le possibilità di verificarsi). A cracentes = -ibus non crederei, ma potrei averti capito male. Hai visto in Festo2 di Lindsay, p. 158 la nota ad loc.? «Acc. casum indicat ps.-Plac. (Cracentes: graciles, tabid o s ), unde Ansil. ...». A prima vista sembrerebbe che confermasse la tua congettura (gladios ... cracentes = gladios graciles), ma il senso di tabidos non va ‒ credo in nessun caso ‒ nel verso di Ennio. Che in Verrio fosse citato un altro esempio di cracentes dove la parola valesse tabidos? Pensare un contesto enniano in cui cracentes valesse graciles e tabidos insieme (conservando naturalmente gladiis) mi sembra difficilissimo per non dire impossibile, e per di più urterebbe contro l’evidente analogia con 253. Per media regione preferirei la seconda interpretazione, ‘coi fianchi cinti di spade sottili’; cfr. Ann. 433 Nox … mediis signis praecincta. Scusa se scrivo in fretta e con tutte queste correzioni, ma non voglio tardare né a rispondere a questa tua bellissima proposta (ripeto: pubblicala!) né a ringraziarti della lettera precedente, con le lucide e tristi note di cronaca fiorentina3. Condivido in tutto le tue considerazioni sull’inettitudine delle autorità e le deficienze dell’organizzazione. Ora si aggiungono i provvedimenti del governo, di marca assai più democristiana che socialista. Capisco, in una società così arretrata come la nostra e con una destra profondamente insinuata anche nella DC, che i socialisti al potere debbano assumere atteggiamenti cauti e moderati (tuttavia qualche atteggiamento di Mancini per Agrigento mi è piaciuto), ma mi resta il forte timore che, in questo tentativo di reciproco ‘addormentamento’ che democristiani e PSU stanno compiendo, la vittoria non solo in episodi ‘tattici’ ma dal punto di vista ‘strategico’ tocchi alla DC. 1 2 3 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde nella prima parte di questa. Vd. lett. 109. Vd. lett. 482, a cui M. passa ora a rispondere. 923 Naturalmente è ben poco importante la sorte della mia Sintassi4, in questa catastrofe! Ma ti sono grato dell’amichevole sentimento che ti ci ha fatto pensare. Forse avrei dovuto scrivere qualche parola di solidarietà e di augurio alla Nuova Italia, o a Codignola, ma nei primi giorni il mancato funzionamento delle comunicazioni con Firenze, poi la mia neghittosità mi hanno fatto rimandare. Consigliami o, se credi e se ti capita l’occasione, di’ tu stesso i miei sentimenti. Le tue osservazioni sull’ipotesi del prete ‘ametrico’5 sono giuste, ma forse non definitive, perché la tua fina osservazione sugli errori degli allievi si applica a persone che probabilmente non sapevano o non tenevano conto o non mettevano in primo piano il fatto che un endecasillabo ‘deve avere undici sillabe’. Di fronte a loro lo Jozzi, come me lo figuro io, è un ‘dotto’ del tutto privo d’orecchio, che conta le sillabe e basta. Resto dell’idea che non convenga pubblicare la mia osservazione. Certo, se dovessi farlo, la sede migliore ‒ qualora Fubini fosse d’accordo ‒ sarebbe il «GSLI» (in una noterella di poche righe). Ma, dopo quello che mi hai detto, vorrei fare un cenno della cosa a Binni, che dovrei vedere in una seduta di facoltà martedì, e penso che quasi fatalmente si arrivi all’idea di pubblicare la nota nella sua rivista. Comunque, vedrò come si mette il discorso. Temo che in Italia non ci sia nessuno in grado di dirci se ed entro quali limiti ci fosse nel secolo scorso un sottobosco culturale in cui si facessero cattivi endecasillabi. Grazie molte, di nuovo, per il progetto di recensione del vocabolario loescheriano! Certo che la «Par. d. pass.» andrebbe benissimo. Malgrado i miei buoni rapporti con Pugliese, preferirei però non parlargliene io. Forse, se tu gli scrivessi, accetterebbe (ma non ne sono sicuro e non vorrei metterti nelle condizioni di avere un rifiuto). Ripensiamoci, e grazie ancora. Un abbraccio affettuoso dal tuo Scevola PS. ‒ Ancora Ennio. Ricordi per caso chi sostenne (e avanzò occasionalmente l’ipotesi) che Ann. 377 (Nos sumus Romani …) fosse detto in occasione della narrazione della deductio delle colonie di Potenza e Pesaro? Un cenno mi pareva che ci fosse in uno dei tuoi articoli, ma non l’ho ritrovato. La cosa m’interesserebbe per un’analogia con Nevio alla quale vorrei accennare nella recensione (per «Gnomon») alle due edizioni di Strzelecki6, che sto preparando a pezzi e bocconi da mesi e che ora vorrei concludere. Sulla Sintassi vd. lett. 482. Sullo pseudoleopardiano Idillio alla Natura vd. lett. 478. 6 Rec. a Cn. Naevii Belli Punici carminis quae supersunt, ed. W. Strzelecki; Cn. Naevii Belli Punici Carminis quae supersunt, ed. W. Strzelecki, «Gnomon», 39, 1967, pp. 242-8 (= SFC, pp. 32-41; BP3, pp. 131-41). 4 5 924 Temo proprio che per macerat humanum di Livio Andronico7 Skutsch abbia proprio torto a mostrarsi così sicuro della correzione homonem. Humanum per hominem c’è già in Gaio Gracco8. 7 8 Liv. Andr. carm., fr. 20, 1 Mor. = 12, 1 Mar.1 = 9, 1 Mar.2. Gracch. or., fr. 17 Malcovati. 925 485 Pisa, 27. 11. 19661 Carissimo Scevola, anche la «Rassegna» di Binni va benone per la tua nota sullo pseudoLeopardi, anzi è una rivista più viva del «Giornale storico»2. L’importante, comunque, è che la nota esca! La tua risposta sull’ultimo punto che abbiamo discusso è giusta, lo riconosco: una cosa è l’«istinto metrico» approssimativo e ineducato (com’era quello dei miei scolari), un’altra l’osservanza di una regola sbagliata («è endecasillabo qualsiasi serie di undici sillabe»). Credo anch’io che, ora come ora, non ci sia forse nessuno in grado di dire qualcosa di preciso sull’esistenza di simili tipi di versificazione da parte di semi-ignoranti nell’ultimo Ottocento; ma proprio la tua nota richiamerà l’attenzione sul problema e indurrà forse qualcuno a occuparsene più distesamente. Fammi poi sapere se ne hai parlato con Binni e se era giusta la notizia che mi era giunta (per via indiretta e in forma piuttosto vaga), che egli non fosse rimasto del tutto convinto della non-autenticità di quei componimenti3. Ti ringrazio di avermi rinfrescato la memoria quanto a succincti gladiis …4, e di avermi comunicato acute osservazioni al riguardo. Incoraggiato dalla tua lettera, mi ero messo senz’altro a scrivere la noterella su quel frammento. Ma proprio nel raccogliere un po’ di materiale per scriverla, mi sono convinto che è meglio non farne di nulla. Si urta, infatti, contro una difficoltà seria: in tutto il latino repubblicano, di contro a numerosi esempi di cingor e composti (succingor, accingor, praecingor ecc.) con l’ablativo di ciò di cui uno si cinge (e talvolta anche con l’accusativo della parte del corpo), non c’è nemmeno uno del tipo cingor gladium. I primi esempi sono in Virgilio (Aen. 2, 511; 4, 493 ecc.) e si estendono poi in poeti dell’età postaugustea. Stando così le cose, bisogna fino a prova contraria ammettere che questa costruzione sia un grecismo introdotto da Virgilio. (Particolarmente utile come raccolta di materiale è l’articolo del Landgraf in «Arch. lat. Lex.» 105, e anche Händer-Szantyr in «Mus. Helvet.» 11, Il confronto con la lett. precedente, a cui T. risponde, assicura che l’anno è il 1966 e non il 1967, come T. scrive per svista. 2 Sullo pseudo-Leopardi vd. lett. 478. 3 Vd. lett. 482. 4 Vd. lett. 107. 5 G. Landgraf, Der Accusativ der Beziehung, «Archiv für lat. Lex. und Gramm.», 10, 1901, pp. 209-24. 1 926 1954, 43 sgg.; in (Hofmann-)Szantyr I 36 sgg. la situazione non è esposta del tutto chiaramente). È vero che con induor l’accusativo di ciò che uno indossa si trova già in Plauto e non è certamente un grecismo; ma insomma bisognerà ammettere che per tutta l’età repubblicana il modello di induor non abbia influenzato cingor. Perciò, pur senza esserne totalmente convinto, crederò anch’io che Ennio abbia parlato di gente ‘coi fianchi sottili’. Forse un parallelo può esser dato da Liv. 35, 11, 7 (parla dei Numidi): equi hominesque paululi et graciles. Abbandonata la noterella enniana, forse ne scriverò un paio di serviano-macrobiane. Ne parleremo quando avrò fatto alcuni controlli. Sulle responsabilità del mancato allarme e soccorso per l’alluvione siamo d’accordo. Questa macchina statale italiana è proprio inefficientissima. Non si tratta solo del governo, ma, ciò che è molto peggio, di tutto l’apparato burocratico-militare-giudiziario. I socialisti non hanno capito che, se non si smantellano le roccheforti di questo apparato (che è inefficientissimo quando si tratta di far qualcosa di utile al paese, ma è efficientissimo quando si tratta di difendere lo status quo e di organizzare il sabotaggio di qualsiasi riforma), è del tutto inutile occupare alcuni posti di ministro o di sottosegretario. D’altra parte quei pochi socialisti che occupano posti di grossa burocrazia (vicepresidenza della RAI e simili), invece di portarvi un salutare ‘scompiglio’, si lasciano essi assimilare e neutralizzare, e così tutto resta come prima. Della tua Sintassi latina pare, purtroppo, che poco o nulla si sia salvato (spero che si possano avere presto notizie esatte). Ma, cosa importante, si sono salvati i flani, e quindi il libro sarà senza alcun dubbio ristampato in tempo per la prossima campagna scolastica. Ancora moltissime grazie, e scusa del tempo che ti ho fatto perdere con quel frammento enniano. Ma almeno, credo, avremo raggiunto il risultato di mettere definitivamente da parte quella mia congettura. Quanto6 al Castiglioni-Mariotti, se non mi viene in mente nessun’altra soluzione migliore, scriverò a Pugliese Carratelli, che purtroppo ha il vizio di non rispondere mai alle lettere. Ho avuto altre occasioni di consultare il vocabolario: è davvero eccellente. Anche la parte dall’italiano in latino è fatta benissimo. Tanti saluti affettuosi. Sebastiano 6 Quest’ultima parte è manoscritta. 927 486 Pisa, 30. 11. 1966 Carissimo Scevola, è presto detto: la spiegazione di arepo1 è giusta senza alcun dubbio, né credo che sia possibile muoverle alcuna obiezione! Il fatto che l’ipotesi fosse stata già proposta dal King2 non toglie nulla all’utilità della tua nota, sia perché sta di fatto che il suo contributo era rimasto del tutto sepolto nell’oblio, sia perché soltanto tua rimane la giustificazione linguistico-grafica della r non geminata. È giusto notare, come tu fai, che scritture non geminate continuano ad essere abbastanza frequenti nelle iscrizioni in tutta l’antichità: acuto anche l’accenno alla «Mamilla-Gesetz». La notizia dello scetticismo di Binni circa la non-autenticità degli ‘inediti’ del Cozza-Luzi mi era giunta, come ti dissi, in forma vaga (me l’aveva riferita, ma senza essere in grado di precisare, un amico che lo aveva visto a Roma). Supponevo che la sua incredulità riguardasse i Discorsi sacri (per i quali effettivamente un margine di incertezza rimane) o i veri e propri abbozzi dell’Infinito (per i quali la prova della non-autenticità è affidata più all’esame della scrittura che ai caratteri stilistici). Ma che creda autentico addirittura l’Idillio alla Natura, è strano. Non me ne scandalizzo, beninteso, perché l’ho ritenuto autentico anche io fino a un anno fa! Ma ormai la non-autenticità dovrebbe risultare evidente3. Ad ogni modo, ciò rende ancor più opportuna e necessaria la tua nota. È superfluo ripetere che, se Binni esitasse a pubblicarla, c’è sempre il «Giornale storico» che la accoglierebbe senza dubbio, volentierissimo. Mia madre ti ricambia i più cordiali saluti. Probabilmente tra qualche mese, cioè in primavera, ci trasferiremo a Firenze. Il mio lavoro ormai è e rimarrà lì, e l’andirivieni continuo finisce con lo stancare; inoltre mi preoccupa un poco lasciare mia madre sola per intere giornate. Peccato che Firenze, fino a un mese fa molto superiore a Pisa per le biblioteche, sia ora per lungo tempo, da questo punto di vista, in pessime condizioni! T. risponde a una lettera di M. non conservata, in cui quest’ultimo gli anticipava la nota su Arepo che avrebbe poi pubblicato in «AMArc», s. III, 4, 1967, pp. 243-6 (= SFC, pp. 575-8). 2 C.W. King, Early Christian Numismatics, and Other Antiquarian Tracts, London 1873, p. 187. 3 Vd. lett. 478 nonché, per lo scetticismo di Binni, 482 e precedente. 1 928 Su quel frammento enniano (succincti gladiis …)4 e su altre cose ti ho scritto in una lettera precedente che si è incrociata con la tua5. Tanti affettuosi saluti; ricordami alla signora anche da parte di mia madre. Sebastiano 4 5 Vd. lett. 107. Vd. lett. precedente. 929 487 Pisa, 24. 12. 1966 Carissimo Scevola, ti scrivo a Pesaro supponendo che tu sia costà in questi giorni festivi; e a Pesaro ho scritto anche ad Italo per ringraziarlo del bellissimo Aristone1. Ti devo un affettuoso ringraziamento per il mio ingresso in Arcadia2, del quale tu sei il principale responsabile! Accetto proprio perché ci sei anche tu: la tua presenza costituisce la prova che si può far parte dell’Arcadia senza essere ‘arcadi’. Come va? Dopo la rinuncia (di cui ti scrissi) alla noterella su succincti gladiis …3, mi sono messo a rispolverare qualche appunto serviano; te ne scriverò prossimamente4. Giorni fa venne Campana a Pisa, e parlammo dell’Idillio alla Natura: si interessò molto alla tua spiegazione dei versi ametrici. Hai poi scritto l’articolo per Binni? Spero davvero di sì5. Strano che Untersteiner, a quanto mi ha detto il Di Benedetto, abbia messo il veto (o quasi) a quel suo articolo sul Leopardi e i filosofi antichi6! A me l’articolo sembrava e sembra pregevole: ci sono molti raffronti finora non fatti e molte analisi fini e intelligenti. Il Di Benedetto mi diceva che Untersteiner lamentava lo scarso rilievo dato ai raffronti tra Leopardi e Lucrezio; ma sta di fatto che, mentre l’impressione di ‘affinità spirituale’ tra i due è molto forte (e, intesa appunto come affinità spirituale, è reale), le effettive derivazioni da Lucrezio in Leopardi si riducono a ben poca cosa, e mancano in tutto un vasto periodo ‘centrale’ dell’attività leopardiana (se ne trovano soltanto all’inizio, nel Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, e alla fine, nella Ginestra; ma nello Zibaldone Lucrezio è citato solo per osservazioni grammaticali o per generiche menzioni storico-letterarie). A te e ai tuoi invio i più affettuosi auguri, anche da parte di mia madre. Vd. lett. 480. Cioè l’Accademia dell’Arcadia, fondata nel 1690 e tuttora esistente. T., che divenne socio corrispondente il 26 luglio 1966 e socio ordinario il 7 marzo 1979, assunse il nome di Licone Triacrio; M., socio corrispondente dal 16 giugno 1964 e ordinario dal 18 gennaio 1971, quello di Nicandro Coroneo. Devo queste notizie a Pietro Petteruti Pellegrino e Giovanna Rak per il tramite di Rino Avesani. 3 Vd. lett. 107 e 485. 4 Si tratta di S. T., Note a interpreti virgiliani antichi, che sarà pubblicato in «RFIC», 95, 1967, pp. 428-45. L’articolo è dedicato a Eduard Fraenkel. Vd. lett. 489-90, 492-3, 496. 5 Vd. lett. 478. 6 Vd. lett. 481. 1 2 930 Non mi ricordo se ti ho già scritto che tra qualche mese, con tutta probabilità, ci trasferiremo a Firenze7. Il mio lavoro ormai è là, e non c’è motivo di andare e venire tra Firenze e Pisa per tutta la vita. Spero che ciò renderà meno rari i nostri incontri, sia perché Firenze è meno ‘periferica’ di Pisa e tu avrai forse più occasioni di passarci, sia perché, libero dai continui viaggi Pisa-Firenze, potrò un po’ più spesso venire a Roma. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 7 In realtà lo aveva già annunciato nella lettera precedente. 931 488 Pesaro, 31. 12. 1966 Carissimo Sebastiano, a te e alla tua Mamma i nostri auguri più cordiali. Ci ha fatto molto piacere sapere che vi trasferirete a Firenze1. Da una parte questo faciliterà il tuo lavoro (non solo alla Nuova Italia, ma anche quello scientifico), dall’altra ci farà sentire più vicini e ci consentirà anche di incontrarci ‒ spero ‒ più spesso. Quando avverrà il trasferimento? Scusami sempre l’irregolarità epistolare! Hai fatto nascere anche in me, con la tua osservazione su induor / succingor, dubbi su gladi o s in quel verso di Ennio2. Eppure è, direi, sicurissimo che hai ragione di aspettare nel cracentes un parallelo di gracilento3. Allora: o è una ‘pignoleria’ dire che Ennio non poteva già lui passare a succingor il costrutto di induor oppure avevi ragione tu quando dubbiosamente proponevi cracentis abl. di un cracentus (altrettanto non attestato quanto cracens). Quest’ultima eventualità va ora presa in seria considerazione, perché non mi pare proprio il caso che tu rinunci a scrivere qualcosa su questo verso, visto che almeno il tuo punto di partenza è nuovo e, ripeto, secondo me solido. Che Verrio Flacco si possa essere sbagliato intendendo cracentes nomin., non mi pare una grave difficoltà. Se leggeva cracenteis nel suo Ennio (o già cracentes derivato da un -teis?), poteva ben prenderlo per un nomin. Non ho qui Ennio, ma mi pare che ci siano già in lui casi di agg. e sost. (o viceversa) concordati (e rimati) alla fine dei due emistichi dell’esametro. Insomma, credo che convenga ripensarci, ma non rinuncerei alla nota su quel verso! Anch’io sono rimasto un po’ meravigliato della reazione di Untersteiner all’articolo di Di Benedetto4. Naturalmente non potevo insistere, dato che lo scritto rientrava del tutto nel campo di sua competenza e non aveva niente a che fare col mio. Forse Untersteiner (e in questo credo che sia d’accordo con lui anche Maddalena) vuol evitare che la «RFIC» esca dal campo strettamente ‘classico’ nel senso tradizionale ammettendo lavori che per consuetudine rientrerebbero nell’italianistica ecc., ma almeno eccezioni per cose come quella di Di Benedetto si dovrebbero pur fare! Comunque, mi sembra che non convenga creare frizioni nell’appena nata nuova direzione, e riconoscere la ‘buona fede’ di Untersteiner, di cui non dubito. È 1 2 3 4 Vd. le due lettere precedenti, a cui M. risponde. Vd. lett. 107 e 485. Vd. lett. 483. Vd. lett. 481. 932 curioso che, come mi avete scritto tu e Di Benedetto, i suoi suggerimenti non abbiano in pratica nessuna utilità! Non ho più parlato con Binni di Leopardi-Jozzi ecc.5, ma sono quasi sicuro che sull’argomento non interverrà senza averne riparlato con me o con te. Sentirò anch’io Campana, con cui mi dici di aver toccato la cosa. Se dovessi davvero fare una nota di poche righe, preferirei il «Giorn. stor.» (almeno di mio gusto), dato il carattere strettamente ‘erudito’ che avrebbe questo intervento; ma è proprio il caso di scrivere di una cosa così minuta (e nemmeno sicura) ora che il problema dell’autenticità è risolto definitivamente, checché possa pensarne Binni? Mi fa piacere che il libro di Italo6 ti sia piaciuto. Anche a me, per quanto non l’abbia visto molto a fondo, è sembrato buono. Se riuscirà a pubblicare in tempo l’edizione con commento di Mario Vittorino7, si porrà la questione di una sua partecipazione a un concorso di Grammatica che è stato richiesto per quest’anno. Capisci quanto sia imbarazzante per me questa faccenda, e come mi obblighi ‒ dato l’ambiente ‒ a cercare (senza naturalmente sperare di riuscirci) di evitare voci di pasticci, intrallazzi ecc. (e, d’altra parte, possibilità di manovre altrui ecc.). D’altronde, prima o poi, il problema della venuta di Italo in Italia dovrà pur porsi. Staremo a vedere cosa lui deciderà di fare. Ancora auguri affettuosi e scusa la pessima scrittura. Ti abbraccio. Scevola PS. ‒ Non so se ricorderai che molti anni fa ti scrissi (e poi mi azzardai anche a pubblicare nell’articolo sugli arcaici in «Belfagor»)8 che in quel verso enniano Pila retunduntur ecc.9 mi pareva che ci fosse un’intenzione figurativa per via di pila | -is ai due estremi e, in mezzo, l’onomatopeico retunduntur. Non ti pare che il primo punto sia confermato da questo verso di Ovidio, met. 14, 301, verbaque dicuntur dictis contraria verbis, che mi pare esemplato (direttamente?) su quello enniano: pila retunduntur venientibus obvia pilis (oltre il resto, dictis corrisponde in qualche modo a venientibus, contraria ad obvia)?10 Vd. lett. 478. Vd. lett. 480. 7 L’Ars grammatica di Mario Vittorino uscirà a Firenze nel 1967. 8 M., Letteratura latina arcaica e alessandrinismo (cit. lett. 438), p. 47 (= SFC, p. 19). 9 Enn. ann., 570 V.2. 10 Vd. S. M., Un’imitazione enniana in Ovidio, in Hommage à M. Renard, Bruxelles 1969, pp. 608-9 (= LE2, pp. 127-9). M. ricorda questo parallelo in Imitazione e critica del testo (cit. lett. 104), p. 392 (= SFC, p. 529). Dell’argomento si tratta ancora a lett. 490. 5 6 933 489 Pisa, 18. 1. 1967 Carissimo Scevola, ti ringrazio della lettera e dell’affettuosa e acuta difesa del mio succincti gladios …1. Certo, può darsi benissimo che la lacunosità della nostra documentazione ci giochi un brutto scherzo e che cingor ecc. con l’accusativo di relazione siano stati in uso anche nel latino arcaico. Ma non me la sento di imbarcarmi in un’ipotesi che sarebbe troppo facilmente attaccabile. D’altra parte, anche l’ipotesi (che mi era frullata in testa per un momento e che tu appoggi con buoni argomenti) di un cracentus = cracens rimane, mi sembra, troppo rischiosa, nonostante gracilentus. Insomma, si Pergama dextra defendi possent2, tu certo avresti difeso le mie due ipotesi, ma le possibilità di convincere gli scettici sono troppo scarse e pertanto io rinunzio. Ti mando invece un articoletto serviano e paraserviano3. Se, senza nessunissima (proprio nessunissima) fretta, puoi dargli una scorsa e comunicarmi obiezioni, te ne sono gratissimo. Ne mando un’altra copia a Fraenkel, per tentare di ammansirlo con un’offa filologica-classica (assai piccola, in verità!). Fraenkel rimase iratissimo della mia mancata visita a Roma nella primavera scorsa, e ancora non dev’essergli passata. L’articolo ha ancora bisogno di qualche verifica che farò, e anche, se mi riuscirà, di qualche sfrondamento. Ma, ripeto, non c’è la minima fretta. Immagino che in questi o nei prossimi giorni avrai esami4. D’accordissimo per Untersteiner-Di Benedetto. Evidentemente non era affatto il caso che tu insistessi, dato che la filosofia antica è una provincia untersteineriana e dato che Untersteiner è persona onestissima e quel giudizio l’ha dato certo in buona fede. Ma certo le sue osservazioni non reggono. L’unica cosa giusta può essere il richiamo a Rensi5, un pensatore pessimista che fu in certo senso un maestro di Untersteiner e che scrisse Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Verg. Aen., 2, 291-2. 3 T., Note a interpreti virgiliani antichi (cit. lett. 487). 4 Quest’ultima frase è aggiunta in margine a mano. 5 Giuseppe Rensi (1871-1941), avvocato e pensatore, nel 1898, per la sua adesione ai moti popolari conclusisi con la repressione di Bava Beccaris, fu costretto ad emigrare in Svizzera. Tornato in Italia nel 1908, esercitò l’avvocatura e approfondì gli studi filosofici che gli valsero la cattedra universitaria (da ultimo professò Filosofia morale a Genova), che però nel 1927 fu costretto a lasciare per il suo antifascismo. Imprigionato, fu successivamente messo in libertà, ma non gli fu concesso di tornare all’insegnamento universitario. Con 1 2 934 sui filosofi antichi pagine pensose e non prive di fascino. Non so, tuttavia, quanto Rensi possa aiutare a capire il rapporto tra Leopardi e la filosofia greca, giacché il pessimismo stesso di Rensi era orientato assai diversamente da quello leopardiano, se non ricordo male (in una prima fase era più scetticismo che pessimismo, e poi da ultimo piegò verso una forma estatica di tipo ‘orientale’, buddistico). Ma mi baso su ricordi di letture molto giovanili e potrei sbagliarmi. Comprendo la delicatezza del tuo sentimento per ciò che riguarda il futuro concorso di Italo; ma d’altra parte è o g g e t t i v a m e n t e vero che Italo è bravissimo e che merita pienamente di vincere. Per quel che riguarda stile latino e teorie grammaticali antiche credo che nessun altro concorrente possa competere con lui. Nell’Aristone6 ha saputo affrontare problemi difficilissimi, e credo che anche il Mario Vittorino7 si preannunzi con ottimi auspici, a giudicare dallo stesso Aristone. È perciò del tutto giusto che egli sia appoggiato da te e, ho fiducia, da altri. Tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano [PS. ‒]8 Ricevo ora la nuova edizione del Lucilio di Terzaghi a cui ha collaborato anche Italo. La ‘schederei’ volentieri per la «Rivista», se ti pare il caso9. pochi tratti T. delinea l’essenza del pensiero filosofico di Rensi che da uno spiritualismo di tipo platonico e dopo una fase pessimistica e scettica approdò a una forma di misticismo. 6 Vd. lett. 480. 7 Vd. lett. precedente. 8 Aggiunta manoscritta. 9 La recensione di T. a C. Lucili Saturarum reliquiae, in usum maxime academicum tertium digessit brevissimaque adnotatione critica instruxit Nicolaus Terzaghi, Italo Mariotti adiuvante (Florentiae 1966), apparve in «A&R», s. V, 12, 1967, pp. 176-7. Vd. lett. 490, 492, 494. 935 490 Pisa, 29. 1. 1967 Carissimo Scevola, ti ringrazio di cuore della lettera1. E prima di tutto scusami se mi sono finora dimenticato di risponderti a proposito di Enn. Ann. 570 e Ov. met. 14, 3012: il confronto mi è parso sùbito, e continua a parermi, ottimo: il parallelismo di struttura metrico-linguistica è talmente preciso, che non può certamente essere casuale. Non ti resta, direi, che pubblicare senz’altro l’osservazione. Il mio articolo serviano3 è tutt’altro che «splendido», anche perché contiene poco di assolutamente nuovo (vattel’a pesca a chi attinsero LewisShort e Georges per il passo di Serv. Dan.4 che citano alla voce lautia! Forse alla nota di Hildebrand ad Apuleio? Ma Hildebrand sosteneva che Serv. Dan. scrisse lauta …)5. Ti sono comunque molto grato dell’affettuoso giudizio e delle due acute osservazioni. Quanto a veteribus set 6 penso che tu abbia senz’altro ragione: et è difendibile, e lo è più per il motivo che dici tu che per quello a cui avevo accennato io. Vedrò un po’ se sopprimere del tutto la mia proposta di leggere set o se mantenerla accentuandone però l’incertezza7. Quanto allo scolio II, certo la frase è un po’ sconnessa; io però penserei che la lezione manoscritta potrebb’essere salvata intendendo quae come oggetto di accipere consuerant e legati come soggetto sottinteso della relativa, ricavato dal precedente legatorum8. Istintivamente io avevo inteso così (anche se, forse, dalla mia parafrasi non risultava), e mi sembra che ciò sia confermato dal confronto con Liv. 42, 26, 5: ut ex instituto loca lautia acciperent (scil. legati). Certo, l’uso di accipio con soggetto di persona è più naturale nella frase di Livio (dove oggetto è l’intera espressione loca lautia: quindi ‘ricevere alloggio e vitto’) che nella frase dello scoliasta virgiliano, dove loca si riferisce a determinati alloggi (un po’ come se uno, invece di La lett. non è conservata. Vd. lett. 488. 3 T., Note a interpreti virgiliani antichi (cit. lett. 487). 4 Serv. Dan. in Verg. Aen., 8, 361 (II, p. 253, 13 Thilo-Hagen). 5 L. Apvleii Opera omnia, ex fide optimorum codicum aut primum aut denuo collatorum recensuit … G.F. Hildebrand, I, Lipsiae 1842, p. 200, ad Apvl. met. III 26. 6 Serv. in Verg. Aen., 8, 361 (II, p. 253, 11 Thilo-Hagen). 7 T. la mantenne dubitativamente. 8 Serv. Dan. in Verg. Aen., 8, 361 (II, p. 253, 13 Thilo-Hagen). 1 2 936 ‘ricevere alloggio’, dicesse ‘ricevere l’Hôtel Excelsior’!). Tuttavia direi che siamo entro i limiti della tollerabilità, perché loca lautia accipere doveva essere frase tecnica (come l’opposta loca lautia praebere); e l’uso di accipio sarà rimasto anche quando lautia è stato frainteso come attributo di loca. Dimmi però ancora che cosa ne pensi e se questa giustificazione della lezione tramandata ti pare ammissibile. Un’altra copia di questo articolo l’ho mandata a Fraenkel chiedendogli se gradirebbe che lo pubblicassi con una dedica a lui9. Da quando ha avuto la generosa e affettuosa, ma per me un po’ imbarazzante idea di dedicarmi, lui per primo!, quell’articolo di appendice a Kolon und Satz10, sento il dovere di contraccambiargli la dedica, ma in questi ultimi due anni non ho più scritto nulla di filologico-classico, e ora anche questo articolo è un po’ troppo miserello per dedicarlo a lui; ma non ho in programma niente di maggior respiro. Impossibile prevedere che cosa risponderà: un uomo come lui può, con uguale probabilità, accettare commosso oppure arrabbiarsi! Ti farò sapere la sua risposta. Soprattutto nel caso che accettasse, sarei lietissimo di pubblicare l’articolo (opportunamente riveduto e corretto) nella «Rivista», e ti sono vivamente grato dell’affettuoso invito. Quanto al Lucilio di Terzaghi-Italo11, capisco che la soluzione da te prescelta è in certo senso la migliore. Lo recensirò brevemente per un’altra rivista (per es. «Maia»). Avrei molto volentieri recensito anche l’Aristone12, ma sono troppo totalmente digiuno di logica antica e moderna! Grazie ancora di tutto e un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Vd. lett. 487. E. Fraenkel, Noch einmal Kolon und Satz, München 1965. 11 Vd. lett. precedente. 12 Vd. lett. 480. 9 10 937 491 Pisa, 1. 2. 1967 Carissimo Scevola, ma che «bestialitas» d’Egitto1! La frase del Danielino2 è intralciata davvero, e io me l’ero sbrigata troppo alla svelta con la mia parafrasi. E se chiami «bestialitas» la tua esitazione davanti a quel passo, come dovremo chiamare quella mia famosa difesa di una lezione ametrica (in un esametro!) nell’Anthologia Latina3, da cui tu arrivasti a salvarmi in extremis quando il tutto era già in seconde bozze? E tralascio altri episodi del genere, o poco meno gravi… Coi quali, ripeto, la faccenda dell’accipere consuerant non è nemmeno lontanissimamente paragonabile. Fraenkel non ha ancora risposto4. Ti informerò. Mi rallegra moltissimo sentirti parlare nuovamente delle Lezioni torinesi5. Credo proprio che non dovresti rimandarne ulteriormente la pubblicazione, e che dovresti anche riprendere, col proposito di concludere presto, l’editio maior delle Lezioni su Ennio6. Grazie ancora; ti riscriverò presto; tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano [PS. ‒]7 Ho conosciuto qui Martellotti, che mi è sembrato simpatico e che mi ha parlato di te con tono di viva amicizia. 1 2 3 4 5 6 7 T. risponde a una lett. di M. non conservata. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 404. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 438. Vd. lett. 367. Aggiunta manoscritta. 938 4921 Pisa, 10. 2. 1967 Carissimo Scevola, Fraenkel ha accettato (anche se, a giudicare dal tono con cui scrive, un po’ freddamente!) la dedica dell’articolo serviano2. Mi ha proposto alcune aggiunte e modifiche di poco rilievo. Le eseguirò quanto prima (e così pure attenuerò molto, secondo il tuo consiglio, la proposta di quel set per et) e ti manderò l’articolo riveduto e corretto. Non occorre che mi rimandi la copia che ti inviai: cestinala pure. E grazie ancora dell’accettazione dell’articolo per la «Rivista». Ho visto l’altro ieri Ronconi, che mi ha proposto di recensire per l’«Atene e Roma» il Lucilio di Terzaghi-Italo3. Ho accettato volentieri. Pare che l’«Atene e Roma» riprenderà le pubblicazioni con una certa regolarità; gli «Studi ital. filol. class.» invece sono tuttora in letargo e forse bisognerebbe che si decidessero a considerarli finiti: non mi pare che l’editore abbia vera voglia di pubblicarli. Ronconi mi ha parlato con tono sinceramente caldo di un seminario luciliano che Italo ha tenuto a Firenze. Tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 1 2 3 Cartolina postale. Vd. lett. 487 e le due precedenti. Vd. lett. 489. 939 493 Pisa, 26. 3. [1967]1 Carissimo Scevola, grazie di nuovo dell’accettazione dell’articolo serviano2. Il ringraziamento a te non lo tolgo affatto, perché si riferisce principalmente alla possibilità di giustificare la lezione tramandata e t nutritus3 ecc. Il 2 aprile saremo ancora a Pisa: traslocheremo verso il 104. L’indirizzo è via Ricasoli 31 (lo stesso numero della casa di Pisa). Ti avvertirò, comunque, appena sarò fiorentino. Sono contento che la Sicilia ti sia piaciuta. Io sono mezzo siciliano e molto affezionato alla Sicilia, dove andavo da ragazzo tutte le estati. Poi le visite si sono diradate (l’ultima volta ci sono stato nel ’60)5 Tanti auguri a te e ai tuoi e tanti saluti affettuosi anche da mia madre. Il tuo Sebastiano 1 2 3 4 5 L’anno si ricava dal timbro postale sulla busta. Vd. lett. 487. Serv. in Verg. Aen., 8, 361 (p. 253, 11 Thilo-Hagen). Vd. lett. 486-8. In effetti già dal 1961 «alla Sicilia» aveva «finito per rinunziare»: vd. lett. 416. 940 494 Firenze, [30. 4. 1967]1 Carissimo Scevola, da alcuni giorni siamo fiorentini. Nella nuova casa ci troviamo bene: c’è più posto per i libri. Lasciare Pisa, certo, è stato un dispiacere; ma ormai questo trasferimento si imponeva2. Ho fiducia che adesso avremo più frequenti occasioni di incontrarci. Purtroppo, proprio il giorno in cui effettuavo il trasloco, c’è stata la grave sventura dell’improvvisa morte di Bartoletti3, che ci ha tutti molto addolorati. Adesso la filologia classica, qui a Firenze, è proprio ridotta ai minimi termini. Prima di trasferirmi ho mandato a Ronconi per l’«Atene e Roma» una recensioncina del Lucilio di Terzaghi e di Italo4. Tu che fai di bello? Hai notizie di Fraenkel? Tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano Accanto a «Firenze» T. scrive il nuovo indirizzo «via Ricasoli 31, telefono 29. 54. 16»; manca invece la data che si ricava dal timbro postale ed è confermata dai fatti cui si fa riferimento (il trasloco, la morte di Bartoletti, la recensione al Lucilio). 2 Vd. lett. 486-8 e precedente. 3 Vittorio Bartoletti morì improvvisamente il 15 aprile 1967. 4 Vd. lett. 489. 1 941 495 Firenze, 1. 6. 19671 Carissimo Scevola, grazie della lettera2. Mi rallegro molto delle cose nuove che hai trovato nel Fragm. Bob. de nomine3. Ottima l’osservazione relativa a hoc locum, giusta senza alcun dubbio4. Aspetto con desiderio anche la recensione allo Strzelecki5. Di Benedetto ha fatto, in occasione dell’assegnazione del premio Pasquali, una lezione molto bella, anche con contributi nuovi rispetto al volumetto euripideo6. Ti sono molto grato dell’invito per la collana di Loescher7. Mentre per quel che riguarda libri non scolastici io posso benissimo, ovviamente, pubblicare presso qualsiasi editore (tanto, si tratta di libri che per nessuna casa editrice costituiscono un buon affare!), per i testi scolastici, nel caso che ne volessi fare uno, si porrebbe, credo, la questione di una certa preferenza da dare alla Nuova Italia. Per lo meno dovrei sentire prima la Nuova Italia e solo in seguito a un suo rifiuto pubblicare presso altro editore. È vero che ho già contravvenuto a questo principio ripubblicando in appendice a due antologie scolastiche di La Penna quel manualetto di metrica elementare che avevo pubblicato tanti anni fa presso d’Anna8; ma si trattava appunto di una semplice ristampa. Non ci sarebbero invece difficoltà nel caso di revisioni di vecchi commenti. Per ora non avrei tempo di dedicarmi a un tale lavoro, ma in seguito potremo riparlarne. E fin da ora, di nuovo, grazie! A proposito di Loescher: non credi che dovrebbe ristampare il Lucrezio di Giussani9? Molta gente (tra cui io) possiede i libri I-II e V, che sono stati La data è preceduta dall’indicazione «via Ricasoli 31». Non conservata. 3 Tali osservazioni troveranno formulazione definitiva in una pubblicazione di diversi anni più tardi: S. M., Il fragmentum Bobiense De nomine (Gramm. Lat. VII 540­544 Keil), in Il libro e il testo, Atti del Convegno Int. (Urbino, 20-23 settembre 1982), a cura di C. Questa e R. Raffaelli, Urbino 1984, pp. 39-68 (= SFC, pp. 313-41). 4 Fragm. Bob. 28; cfr. Serv. in Verg. Aen., 1, 306. 5 S. M., rec. a Cn. Naevii Belli Punici carminis quae supersunt, ed. W. Strzelecki (cit. lett. 484). 6 V. Di Benedetto, La tradizione manoscritta euripidea, Padova 1965. 7 Si tratta di «Testi e crestomazie. Collana di autori greci e latini» diretta da S. M. 8 Nozioni elementari di prosodia e di metrica latina (cit. lett. 249). 9 T. Lucretii Cari De rerum natura libri sex, revisione del testo commento e studi introduttivi di C. Giussani, Torino 1896-1898, 3 voll. 1 2 942 pubblicati con l’aggiornamento di Stampini10, e non i libri III, IV e VI, esauriti già da tempo quando noi eravamo ragazzi. Io credo che varrebbe la pena di ripubblicare tutto il commento di Giussani senza alcun aggiornamento, considerandolo come un commento ‘classico’ (tale lo considerano anche fuori d’Italia). Piuttosto che aggiornare anche gli altri libri alla maniera di Stampini (con poche noterelle critico-testuali, inutili, perché a Giussani si ricorre per il commento filosofico e non per la critica del testo, oggi), sarebbe il caso di eliminare tali aggiornamenti. Più volte ho sentito studiosi lagnarsi perché il Giussani era esaurito. Quanto all’antologia di elegiaci latini, potresti forse sentire Moreschini?? Non so chi altri, tra Firenze e Pisa, potrebbe farla. Oppure Puccioni11? Sono idee forse infondate, non ne ho parlato con loro e non mi viene in mente nessun altro. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Rispettivamente Torino 1924 e 1929. L’antologia fu poi affidata a Adriana Della Casa (Le donne degli elegiaci latini. Antologia da Catullo, Tibullo, Ligdamo, Properzio, Ovidio) e vide la luce nel 1968. 10 11 943 496 Pesaro, 19. 9. 1967 Carissimo Sebastiano, grazie della benevola accoglienza alla mia recensione a Strzelecki1. Ho tardato a spedirtela perché volevo mandarti insieme la noterella (che conosci) sull’arepo del c.d. ‘quadrato magico’ sator ecc. già uscita negli «Atti dell’Arcadia»2; ma gli estratti continuano a tardare. Nell’estratto da «Gnomon»3 apprezza gli errori d’italiano (e di filologia: «collazione» per «colizzazione») aggiunti da Ludwig4 quando io avevo già licenziato le bozze (prive di quegli errori) per la stampa! Ha promesso di pubblicare un errata almeno parziale. Mi dispiace che le tue bozze per la «RFIC»5 tardino ancora. Recentemente Maddalena mi ha mandato un elenco di dattiloscritti ancora giacenti, e io gli ho fatto particolare fretta per il tuo (e altri due). Spero che ormai le bozze non tarderanno molto e la pubblicazione non andrà oltre il 1o o al massimo il 2o fasc. del ’68. Purtroppo non posso premere come vorrei sui torinesi per non favorire l’impressione, accreditata (falsamente) da Gallavotti, che io voglia dettar legge nella «Rivista»; ma seguirò la cosa, in particolare in una riunione della direzione prevista prima della fine dell’anno. Mi fa molto piacere che tu abbia recensito il Terzo contributo di Momigliano6. Sarà sicuramente importante (tu hai dato alla «Rivista» anche recensioni di altissimo livello: quella al vol. sulla scoliastica greca e latina)7. Secondo la consuetudine, io ne riceverò copia delle prime bozze. Molti auguri per la prossima conclusione dell’edizione leopardiana8. Filologia italiana e storia della filologia classica dovranno rallegrarsi insieme dell’uscita di questa opera fondamentale. A proposito di Leopardi, vorrei ripeterti il vivissimo desiderio mio (e di Italo) di rivederti in occasione del congresso recanatese. Purtroppo io, Vd. lett. precedente. Ricevuta la recensione a Strzelecki, T. dovette esprimere il suo giudizio in una lettera non conservata. 2 M., Arepo (cit. lett. 486). 3 Si tratta della cit. rec. a Strzelecki. 4 Dal 1965 al 1970 la redazione di «Gnomon» fu affidata a Walther Ludwig. 5 Relative a Note a interpreti virgiliani antichi (cit. lett. 487). 6 Rec. a A. Momigliano, Terzo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, «RFIC», 96, 1968, pp. 99-110. 7 Rec. a Mühmelt, Griechische Grammatik in der Vergilerklärung (cit. lett. 470). 8 Vd. lett. 464. 1 944 quando ancora non sapevo che ci saresti andato, ho risposto a una sollecitazione di Bosco che in quei giorni sarei stato impegnatissimo a Roma. La realtà è che non so nulla di Leopardi, che gli italianisti (per mia colpa) non m’interessano troppo e che effettivamente intorno a quei giorni (forse il 5 pomeriggio) dovremmo partire per Roma. Ma in un modo o nell’altro desidero vederti. Naturalmente posso smentirmi con Bosco (cambiamento di programmi o simili) e venire un giorno a Recanati; ma vorrei più vedere te che assistere alle sedute del congresso. A meno che non ti sia possibile programmare una tappa a Pesaro (o magari ad Ancona, fra un treno e l’altro). Non ci mancheranno argomenti di conversazione. […] Spero di vederti presto. Ti abbraccia il tuo Scevola 945 497 Pisa, 12. 10. [1967]1 Carissimo Scevola, a Recanati ho fatto una breve scappata, dalla mattina alla sera del 2 ottobre, per sentire la relazione di Pacella. Scusami: non ho avuto il tempo di fermarmi a Pesaro e non mi sono sentito ‒ nonostante che tu ti fossi dichiarato disposto2 ‒ di farti venire fino a Recanati per così breve tempo, pensando anche che saremmo stati frastornati dai congressisti e non avremmo potuto chiacchierare con calma. Mi riprometto seriamente di venire a trovarti a Roma; e tu, a tua volta, ricordati di me se vieni a Firenze. Hai ricevuto, immagino, il Korruptelenkult di Axelson3. Io non l’ho letto da cima a fondo, ma l’ho consultato e leggiucchiato in qua e in là. Mi sembra ricco di osservazioni molto giuste e anche metodologicamente stimolante, anche se qualche volta si ha l’impressione che la polemica sia un po’ troppo facile e che il desiderio di polemizzare (sia pur con piena ragione) contro Paratore abbia inoculato allo svedese Axelson un po’ della logorrea e dei difetti ‘italiani’ del suo avversario. Mi immagino che Paratore sarà andato su tutte le furie e gli replicherà con un volume di almeno trecento pagine! Ho ricevuto di Antonio Dell’Era alcuni estratti, tra cui uno sinesiano, uscito nei «Quaderni Urbinati»4. Chi è questo Dell’Era? Vale qualcosa? Fra l’altro non so dove indirizzargli due parole di ringraziamento. Nell’articolo su Sinesio nota molti errori di collazione compiuti, pare, da Pasquali collazionando un codice per Terzaghi (o da Terzaghi riportando male gli appunti di Pasquali, che fra l’altro saranno stati scritti in grafia illeggibile?). Tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano [PS. ‒]5 Qual è il tuo numero di codice postale? Il mio è 501226. L’anno si ricava dal timbro postale sulla busta. Vd. lettera precedente. 3 B. Axelson, Korruptelenkult, Lund 1967. 4 A. Dell’Era, Appunti sulla tradizione manoscritta degli ‘Inni’ di Sinesio, «QUCC», 3, 1967, pp. 75-80. 5 Aggiunta manoscritta. 6 Il codice di avviamento postale era stato introdotto il 1° luglio 1967. 1 2 946 4981 [Firenze, 12. 12. 1967]2 Carissimo, grazie di Arepo, che ho letto di nuovo con immutato piacere3, e dell’intervento sulla pronunzia del latino (hai certo ragione)4. Ti scriverò poi più a lungo. Affettuosamente Sebastiano Cartolina illustrata (manoscritta) di Firenze con vista di Ponte Vecchio – Notturno. Città e data si ricavano dal timbro postale. 3 M., Arepo (cit. lett. 486). Vd. lett. 496. 4 S. M., La pronuncia del latino nelle scuole (Incontri con A. Traina, A. Ghiselli, M. Barchiesi, G. Scarpat, G. Bonfante), «Maia», 19, 1967, pp. 258-60. 1 2 947 499 Pisa, 14. 12. <1967>1 Carissimo Scevola, ti ringrazio di cuore della lunga lettera e della noterella biblica2, che mi sembra del tutto convincente. Gratificabat coglie proprio nel segno! Quanto alla spiegazione della corruttela, pur con tutte le cautele del caso, opterei per la contaminazione psicologica, tenuto conto della grande frequenza di simili alterazioni dovute ad ‘anticipo’ o a ‘persistenza’, cioè ad influsso di parola seguente o precedente. (Capisco che per tutti o i più di questi casi si può ricorrere anche alla spiegazione paleografica, ma direi che la spiegazione psicologica è più semplice; il fatto stesso che poche righe sopra il copista abbia commesso un altro errore psicologico (ignis per aqua) costituisce forse un leggero indizio a favore). Ad ogni modo ciò importa ben poco: l’importante è che la correzione è del tutto giusta. Di Ennio Ann. 353 non mi sono mai occupato e mi sembra che non se ne sia mai parlato nel nostro voluminoso epistolario enniano3. Ma, ora che mi ci fai pensare, sembra anche a me improbabile che tutta l’espressione cursus quingentos saepe veruti sia enniana, soprattutto per quel saepe che pare troppo intimamente appartenente a tutto il contesto del passo di Lucrezio. Ma aspetto di leggere la tua dimostrazione4. Per la questione Macrobio-Marinone domanderò a La Penna, appena lo vedrò, se pensa di recensirlo per la «Rivista»5. Se non ci pensa – come, tutto sommato, è probabile –, lo recensirò io: brevemente, s’intende, poiché non mi pare il caso di fare un minuto esame della traduzione e delle note informative. Vorrei solo accennare che il Marinone, pur non avendo fatto Che si tratti del 1967 pare indubbio: qui T. si sta accingendo a scrivere la recensione all’Ennio di Jocelyn, che nella lett. seguente (del 24 marzo 1968) dice di aver ultimato. Un’ulteriore conferma è data dall’annuncio della imminente pubblicazione degli Studia Enniana di Skutsch (cit. lett. 69), che infatti videro la luce nel 1968. Meno significativo l’accenno alla «noterella biblica» (cit. alla nota successiva), che porta la data del 1967, ma potrebbe essere uscita più tardi se M. invia l’estratto all’amico solo alla fine di aprile dell’anno dopo (vd. lett. 513). In questa occasione T. avrà inviato all’amico il dattiloscritto. 2 S. M., Vetus Latina II Macc. 1, 33 sgg. (Rec. P), «GIF», 20, 1967 (In memoriam E.V. Marmorale, I), pp. 159-60 (= SFC, pp. 210-1). Vd. lett. 554-6. T. risponde a una lett. di M. non conservata. 3 Ma vd. lett. 76. 4 Vd. lett. 502. 5 Vd. lett. successiva. 1 948 una nuova edizione critica, dà un testo che per il momento è il migliore disponibile, sia perché ha corretto le sviste di Willis6 e ha tenuto conto delle critiche mosse a Willis dai recensori, sia perché ha arrecato egli stesso alcuni contributi sensati. Sono molto contento di sapermi d’accordo con te sull’Ennio di Jocelyn7. Ho notato anch’io i pregi e i difetti che noti tu. Rispondendo ad una lettera nella quale lo ringraziavo per il libro e accennavo ad alcune critiche, Jocelyn ha ammesso di avere ecceduto nell’accogliere nel testo congetture sue tutt’altro che sicure. Nella recensione che farò per «Gnomon» mi propongo di insistere anche sui pregi, non di fare un puro elenco dei difetti8. Per la verità, Jocelyn ha citato (a p. 146, cfr. CLXXXI) il mio patet effugium9. Ti ringrazio di averglielo segnalato; e grazie dell’amichevole menzione nell’articolo item del Thesaurus10! Ma perché mi scrivi che le tue Lezioni torinesi sono ancora di pubblicazione lontana11? Mi sembra che ti costerebbe poco concluderle in breve. Gli studi enniani, gli studi filologici in generale ne hanno bisogno! E c’è sempre il rischio che qualcuno dei tuoi contributi ancora inediti venga in mente ad altri, o arrivi, per via orale, a qualcuno che se ne faccia bello. Ora che stanno per uscire i contributi enniani di Skutsch raccolti in volume (e in questo caso si può rimanere in dubbio sull’utilità della raccolta)12, è tempo che anche il tuo libro enniano esca. Scusa l’insistenza, ma io credo che tu dovresti dare alla pubblicazione delle Lezioni torinesi (o meglio ancora, dell’editio maior delle Lezioni su Ennio)13 la precedenza assoluta, anche rispetto all’Aegritudo Perdicae e ad altri lavori pur eccellenti. E qui mi fermo perché mi accorgo di scivolare in un sermone... fraenkeliano, io che ho sempre protestato contro i consigli di Fraenkel!! Mi dispiace molto che il concorso di filologia classica sia andato a monte (non sapevo ancora la notizia, l’ho appresa dalla tua lettera). Me ne dispiace per Di Benedetto – che mi auguro possa farcela a Greco, ma capisco la difficoltà – e per Questa – che non ha neppure questa speranza – . Vd. lett. 448. H.D. Jocelyn, The Tragedies of Ennius. The Fragments Edited with an Introduction and Commentary, Cambridge 1967. 8 Apparirà in «Gnomon», 40, 1968, pp. 666-71. 9 Fest. p. 439 L. (per il tràdito patefugium). 10 Si riferisce a D. Krömer, s.v. item, in Thesaurus linguae Latinae, VII 2 (fasc. IV), coll. 532, 35-538, 24 (data composizione 6 novembre 1967), a col. 537, 6-8: «S. Mariotti in plagulis revocat ad ea, quae congessit Timpanaro, Ann. Sc. Norm. Pisa ser. II 27, 1958, 125». 11 Vd. lett. 438. 12 Skutsch, Studia Enniana (cit. lett. 69). 13 Vd. lett. 367. 6 7 949 Ancora grazie di tutto e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano [PS. ‒] Capisco bene la fondatezza delle tue preoccupazioni per quel che riguarda la situazione universitaria. Credo che questi giovani, o i migliori tra essi, abbiano una giusta esigenza di rifiuto di questa società nel suo complesso. Ma è discutibile se questa esigenza (che è politico-sociale in generale, non specificamente legata all’università) possa essere fatta valere in un’agitazione che rimane di soli studenti, non collegati con operai e contadini; anzi, di soli studenti di facoltà umanistiche. Certo è che si è ormai verificata una grossa frattura di generazioni – più grave delle solite incomprensioni che ci sono sempre tra giovani e anziani, e aggravata dalla crisi dei partiti tradizionali, nei quali questi giovani hanno completa sfiducia. È davvero un grosso problema! 950 500 Firenze, 24. 3. 19681 Carissimo Scevola, con fatica e con nessun piacere ho terminato la recensione a Jocelyn per «Gnomon»2. Contributi miei non ne avevo; ho solo cercato di ‘dosare’ alla meno peggio le lodi e le critiche. Naturalmente ci sarebbero stati molti altri punti da discutere; ma temo di aver già oltrepassato i limiti di spazio indicati dalla direzione di «Gnomon». Ti sarei gratissimo se potessi dare una scorsa alla recensione e segnalarmi errori e inesattezze. Naturalmente non perder tempo a verificare passi ecc.: mi bastano solo le tue impressioni di ‘lettore’. E scusami se, in un periodo in cui ti so affaccendatissimo anche per la crisi dell’università, approfitto di te. La recensione devo mandarla a «Gnomon» in maggio: dunque non c’è fretta. In particolare vorrei sapere se a p. 6 del mio dattiloscritto ti sembra accettabile la difesa di vi summa come ablativo di modo3. Non nego che l’interpretazione come ablativo di qualità, da te proposta, sia possibile; ma l’obiezione di Jocelyn contro l’interpretazione tradizionale mi sembra debole. O sbaglio? Ora sono annegato tra le bozze dell’edizione degli scritti filologici del Leopardi4. Ricollazionando le bozze con gli autografi, non si finisce mai di trovare piccole e grosse inesattezze di trascrizione; è davvero un lavoro ingrato. Parlai tempo fa a La Penna della recensione al Macrobio di Marinone. Non ha intenzione di farla, e quindi la farò senz’altro io per la «Rivista»5. Grazie di tutto, scusami, e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano Fra la città e la data: «via Ricasoli 31». Vd. lett. precedente. 3 Enn. scaen., 158 V.2. 4 Vd. lett. 464. 5 Rec. a Macrobio Teodosio, I Saturnali, a cura di N. Marinone (Torino 1967), «RFIC», 96, 1968, pp. 473-5 (rist. con aggiunte e modifiche in Contributi1, pp. 531-54; 683). 1 2 951 501 Firenze, 6. 5. 1968 Carissimo Scevola, ti ringrazio ancora della telefonata (e della cartolina giunta oggi da Pisa) e ti prego di nuovo di scusarmi se non abbiamo potuto vederci. Ti prometto che verrò davvero a Roma tra non molto. Ecco intanto la recensione al Macrobio di Marinone1. Vedi tu se può andare; ti sarò grato di ogni correzione e aggiunta. Per telefono non abbiamo parlato degli Studia Enniana di Skutsch2, che anche tu avrai ricevuto. Riuniti insieme, i suoi articoli enniani fanno certo un’ottima impressione per il livello sempre alto, per la forma espositiva immune da prolissità e per alcuni risultati convincenti. Buona impressione, almeno ad una prima lettura, mi hanno fatto i nuovi saggi sul proemio del VII e del I libro e su Romolo-Quirino (nell’uno e nell’altro saggio egli ha probabilmente ragione contro di me, sia a proposito delle lacune nel primo frammento del lib. VII, sia a proposito della mia accettazione di venerantur Horamque Quirini)3. Una congettura acuta mi pare levis aut mala in Ann. 244 (p. 92). Degna di ripensamento mi sembra anche la nota 3 a p. 128: egli ha certo ragione in ciò che replica all’obiezione che gli avevo fatto, e il suo argomento a favore della narrazione della 1a guerra punica mi sembra adesso meno trascurabile di prima. E tuttavia non so ancora persuadermi che la famosa testimonianza del Brutus4 possa essere intesa in senso attenuato (reliquisset = breviter narrasset o simili). In molti altri punti, però, Skutsch insiste su opinioni sballate. Molto infelice mi pare la sua replica sulla muta cum liquida, non tanto per i porci sacres5 sui quali è sempre possibile il dissenso, quanto per la cocciutaggine nel volere, a prezzo di qualsiasi sofisma, difendere la sua ‘legge’ prosodica del tutto insussistente. Una lieta sorpresa è stata per me la sua accettazione della tua scansione anapestica di quaeque in corpore cava caeruleo …6, di fronte alla quale anche io avevo un tempo esitato e che invece è indubbiamente giusta. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 69. 3 Enn. ann., 117 V.2. 4 Cic. Brut., 76, che riporta Enn. ann., 213 V.2. 5 Plavt. Rud., 1208; cfr. O. Skutsch, Postilla [a Enniana VI (cit. lett. 443)], in Id., Studia Enniana (cit. lett. 69), p. 117. 6 Enn. ann., 9 V.2, su cui vd. lett. 38. 1 2 952 Di tutto ciò riparleremo. Ancora grazie, scusami e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 953 502 Roma, 31. 5. 1968 Carissimo Sebastiano, mi fa piacere che tu recensisca per «Gnomon» gli Studia Enniana di Skutsch1, anche se debbo rinunciare alla speranza che avevo per la «RFIC»2. E sarà molto bene che, pur nel giudizio in generale favorevole sul libro e le qualità dell’autore, siano chiariti o ripetuti i tuoi dissensi in una sede come «Gnomon»; anche ripetuti, perché si veda quanto facilmente osservazioni importanti siano dimenticate o trascurate ‒ non solo dai filologi in generale, ma anche dallo stesso confutato, cioè in questo caso da Skutsch. Io non ho alcuna voglia di recensire il volume, come hai ben capito. Tutt’al più, se capiterà l’occasione, in una nota a parte o meglio nel libro torinese3, tornerò a discutere su Ann. 98 At tu non ut sum …4: le sue obiezioni al raffronto (non mio, ma nostro) col Carmen de figuris, ora rilette, continuano a parermi deboli, e soprattutto metodicamente sempre più ingiustificata mi sembra la sua pretesa di correggere in Ann. 98 Astu non vi, quando il confronto con un altro verso (dello stesso libro, e secondo una ipotesi in sé probabile derivante dallo stesso contesto) fa notare affinità così grosse come (oltre la serie di monosillabi) At / Ast nella stessa posizione e, ancora nella stessa posizione, due pronomi fortemente contrapposti: ́ tu   sum | ́ hic   tu (sia hic o no uguale a ego). A parte questo, io non vorrei trattare del libro di Skutsch. Siccome ha mandato una copia alla «Rivista», vorrei però anche evitare il silenzio assoluto in questa. Forse mi limiterò a una semplice scheda anonima di pochissime righe (indicazione dei saggi ristampati e del nuovo), a meno che tu non mi sappia suggerire un recensore adatto. Escluso naturalmente Grilli, avevo pensato a Jocelyn, ma, oltre a non sapere se accetterebbe, non so se potrà sembrare una scelta opportuna. Comunque, è un fatto che Skutsch, anche se nell’insieme cerca di essere obiettivo, lascia trasparire una certa tendenza a contraddirci (anche quando ha torto) oppure a ignorarci. Col caso della muta cum liquida va insieme l’aver del tutto taciuto a p. 21 che all’altra sua ‘legge’ (escogitata per esclu- La recensione agli Studia Enniana (cit. lett. 69) apparve in «Gnomon», 42, 1970, pp. 354-64. 2 A recensire gli Studia per «RFIC», 99, 1971, pp. 84-8 fu C. Questa. 3 Vd. lett. 438. 4 Su cui vd. lett. 91. 1 954 dere noscē ́ in Ann. 25) osta, fra gli esempi che citavo (Lezioni su Ennio, 92)6, almeno Ann. 508 tergūś 7 (senza dire che ‒ a parte pulvīś 8 – il tuo doctūś continua a essere per me sicuro)9. Non è che la cosa gli sia sfuggita: me ne scrisse almeno due volte, proponendo (la seconda) un tergum che non ha altro scopo che di salvare la sua invenzione. Con questo non voglio dire che noscē ́ sia sicurissimo10 né, soprattutto, che sia sicura la presenza delle Muse nel proemio I. Vorrei leggere il Kambylis11 che lui cita, ma in questo momento non ho tempo. Tu lo conosci? Ma veniamo ad Appius indixit …12. Certo, è difficile dar torto a Skutsch nella critica all’opinione di Norden. D’altronde io sono da vecchissima data (e per tuo merito) incrollabilmente convinto che il reliquisset13 si deve prendere nel suo senso pieno. Non ricordo se in altri tempi ti accennai a una possibilità a cui pensai e ho ripensato in questi giorni. Appius ~ bellum poteva essere nel 1o verso del libro VII (come in diretta continuazione del racconto del VI)14, seguito da alcuni altri in cui si facesse cenno (p. es. in un unico ampio periodo: ~ bellum, <quod …….>) agli eventi principalissimi della guerra fino alla vittoria finale. A questo punto Ennio poteva dire: ‘Ma questa guerra io lascio da parte, giacché scripsere alii rem / versibus ~ canebant; <essi però non giunsero alla perfezione dell’arte> cum (= poiché) neque ~ ante hunc15. Nos ausi reserare …16’. E poi la polemica contro i detrattori. L’efficace brevità del racconto e la posizione iniziale nel libro (confrontabile approssimativamente con quella del racconto di Simone nell’Andria [sarà lecito supporre qualcosa di simile per il Medus di Pacu- Vd. lett. 56. = LE2, p. 61. 7 Vd. lett. 102. 8 Enn. ann., 282 V.2, su cui vd. lett. 102. 9 Enn. ann., 18 V.2, su cui vd. lett. 38. In particolare sulla prosodia di doctus vd. lett. 41-2, 69-70, 102-3, 517, 610. 10 Enn. ann., 2 V.2, su cui vd. lett. 56. 11 A. Kambylis, Die Dichterweihe und ihre Symbolik. Untersuchungen zu Hesiodus, Kal­ limachos, Properz und Ennius, Heidelberg 1965. 12 Enn. ann., 223 V.2, su cui vd. lett. 106. In generale, sul proemio del libro VII vd. lett. 93. 13 In Cic. Brut. 76, su cui vd. lett. precedente. 14 Le parole tra parentesi sono aggiunte in margine. 15 Enn. ann., 215-6 V.2, su cui vd. lett. 97. In nota M. aggiunge: «È il vecchio tentativo di spiegare il cum conservandolo a Ennio che feci in Lezioni su Ennio, 103. Mi pare che tu non credessi alla lacuna dopo canebant. Ci hai ripensato?». 16 Enn. ann., 217 V.2, su cui vd. lett. 69. In nota M. aggiunge: «Sull’oggetto di reserare può aver ragione Skutsch, ma non è troppo categorico? Non poteva Ennio aver creato quella metafora come tante altre?». 5 6 955 vio?? ‒ non ho visto Ribbeck, Röm. Trag.17] giustificherebbero la scelta di Cicerone. In favore di quest’ipotesi si potrebbe forse ricordare che in Verg. georg. 4, 116-48 prima della definitiva dichiarazione di rinuncia (147 sg. verum haec ipse equidem … praetereo atque aliis post me memoranda relinquo) c’è ‒ introdotto con l’espediente del forsitan … canerem ‒ una specie di ‘sommario’ della trattazione rinunciata. È vero che così si concederebbe parecchio (cioè che, in fondo, una trattazione pur brevissima della guerra ci fosse), ma si capirebbe bene ‒ mi pare ‒ come Cicerone potesse dire reliquisset ‒ che poteva anche essere il verbo enniano ‒ e si eviterebbe il forzato breviter memorata relinquam di Skutsch. Mi aspetto che tu mi faccia obiezioni, per le quali so che c’è posto! Ma ora vorrei proprio smettere la lunghissima lettera (iniziata ieri) e spedirtela. Intanto ci penserò ancora. Non voglio tardare ancora a rispondere alla tua domanda. In fretta: ottima la recensione a Momigliano18, misurata e sicuramente giusta nelle riserve (curiosi quei distici umanistici!); ti prego di ringraziare molto la tua Mamma per il vasto saggio sugli Eleati19 che ho ricevuto ieri e che leggerò con grande interesse. Mi rallegro per la Sua ininterrotta attività! Ti abbraccia il tuo Scevola PS. ‒ Faccio in tempo ad aggiungerti la noterella enniana a cui ti accennai20. Non ho alcuna fretta: leggila, se hai tempo, con tutto comodo. Vd. lett. 8. Vd. lett. 496. 19 M. Timpanaro Cardini, Saggio sugli Eleati, «SCO», 16, 1967, pp. 149-255 (= Ead., Tra antichità classica e impegno civile, a cura di S. T., Pisa 2001, pp. 183-290). 20 Enn. Ann. 353 V.2, che poi apparve in Studi di storiografia antica in memoria di Leo­ nardo Ferrero, Torino 1971, pp. 53-6 (= LE2, pp. 102-6). Vd. lett. 499. 17 18 956 503 Firenze, 6. 6. 1968 Carissimo Scevola, ho letto con grande interesse la nota enniana1: è ottima. Fa molto piacere veder finalmente eliminato dai frammenti enniani quel cursus quingentos saepe veruti2, con l’appoggio di un argomento nuovo e davvero decisivo. L’articolo è molto interessante anche per Festo e per il Poliziano: varrebbe forse la pena di accennare in qualche modo anche a Festo e al Poliziano nel titolo (o in un sottotitolo), in modo che l’Année philologique e le altre bibliografie non lo segnalino soltanto sotto ‘Ennio’. Ti sono molto grato di avermi comunicato il tuo attuale parere sulla questione della prima guerra punica in Ennio3. Mi sembra che tu abbia perfettamente ragione: si tratta in realtà di una praeteritio, cioè di una forma retorica che implica sempre una certa ‘civetteria’ e che, mentre esclude una vera e propria narrazione del fatto che si dichiara di non voler narrare, non esclude un breve cenno o sommario. Il paragone con Verg. georg. 4, 116 sgg., se non ricordo male, era stato già fatto da Giuseppe Albini in una recensione al libro del Norden4 pubblicata negli «Atti dell’Accad. virgiliana di Mantova» del 1920. Il tono generale della recensione dell’Albini (sbrigativamente svalutativo di fronte a tutto il libro del Norden, con punte di antifilologia e antitedeschismo ‘stile prima guerra mondiale’) mi aveva indotto a non tenere nel dovuto conto questo richiamo. Il fatto che adesso sia venuto di nuovo in mente a te, indipendentemente dall’Albini, conferma la sua validità. (Devo comunque rileggere l’Albini, non sono sicurissimo di ricordare bene). Tutto sommato, tra i vari punti di dissenso tra Skutsch da un lato e te e me dall’altro, questo della prima punica è quello in cui gli va riconosciuta più ragione. Su molti altri punti, invece, egli continua a sofisticheggiare, e c’è senza dubbio in lui, come tu noti, una certa tendenza a darci torto o a non rispondere a nostre obiezioni. Continuo anche io a ritenere che su At tu non ut sum5 la sua replica sia tutt’altro che persuasiva: nella mia recensione, se permetti, preannuncerò la tua controreplica. D’accordo anche sull’inconsistenza della sua ‘legge’ secondo cui Ennio non ammetterebbe scansioni del tipo tergūś ecc. (la 1 2 3 4 5 Vd., anche per quello che segue, lett. precedente, a cui T. risponde. Enn. ann., 353 V.2, su cui vd. lett. 76. Sul proemio del libro VII vd. lett. 93. Norden, Ennius und Vergilius (cit. lett. 42). Enn. ann., 98 V.2, su cui vd. lett. 91. 957 proposta di correggere tergus in tergum è davvero infelicissima)6. Quanto a nos ausi reserare7, cioè all’oggetto di reserare, credo anch’io che possa aver ragione ma si mostri troppo sicuro. Abbastanza buona mi sembra l’ipotesi che Ennio non nominasse il monte delle Muse e che da questo silenzio derivi l’oscillazione (Parnaso-Elicona) delle nostre testimonianze. Il Kambylis8 non lo conosco e l’ho visto per la prima volta citato da lui; vedrò di leggerlo. Grazie ancora di tutto, e anche delle gentili parole sugli Eleati di mia madre9. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 6 7 8 9 Enn. ann., 508 V.2, su cui vd. lett. 102. Enn. ann., 217 V.2, su cui vd. lett. 69. Vd. lett. precedente. Vd. ancora lett. precedente. 958 504 Roma, 21. 6. 1968 Carissimo Sebastiano, scusa il ritardo: alla fine della scuola di Tota1 e Flavia2, siamo andati per qualche giorno fuori (nel Gargano). Ti ringrazio di aver letto e giudicato benevolmente la mia nota su cursus quingentos ecc.3: in realtà è una cosa banale (l’unica novità è il risultato della collazione dell’apografo di Poliziano). Non sono riuscito a modificare il titolo, ma, tenendo conto della tua giusta osservazione, manderò l’estratto alla Ernst4 pregandola di far risultare l’articolo anche per Festo e il Poliziano (l’Année philologique accetta volentieri queste segnalazioni degli autori). A proposito del proemio VII5, il trovarsi d’accordo con un cattivo scritto di Albini non è molto incoraggiante; ma può darsi che la tesi ‒ che va quindi riattribuita ad Albini ‒ sia degna di essere riesumata ‒ e non, direi, con l’aria di dar ragione (o almeno di dar ragione del tutto) a Skutsch, ché una praeteritio non è una trattazione, e Skutsch pensava certo a qualcosa di più consistente. Se Appius indixit ecc.6 era il primo verso del l. VII, si dovrebbe pensare che lo ‘stacco’ fra 1a e 2a esade fosse, almeno nelle apparenze, quasi inesistente. Costituisce questo una difficoltà? Non saprei; pensandoci, direi che non mi pare. A proposito del libro di Skutsch, ti dirò che Fraenkel si mostra scandalizzato perché Skutsch (in una nota) non avrebbe capito la forza della sua osservazione sul passo terenziano di Danae7 (a me è parso che abbia ragione, ma non ci ho riflettuto); e che Waszink scrive di essere «sempre ancora in disaccordo col [sic] Skutsch». Se si riferisce, come credo, alla questione della presenza delle Muse nel proemio I (alla quale presenza credevo anch’io), non so se Waszink abbia ragione8: il solo nosce del fr. Musas quas memorant9 è un sostegno un po’ debole. Tu hai pensato a questa questione? Hai ricevuto il volume svedese su Columella10? Vd. lett. 228. Vd. lett. 313. 3 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. 4 Juliette Ernst (1900-2001), redattrice e dal 1964 direttrice dell’«Année philologique». 5 Vd. lett. 93. 6 Enn. ann., 223 V.2, su cui vd. lett. 106. 7 Ter. Eun., 585. Il riferimento è a Skutsch, Studia Enniana (cit. lett. 69), p. 191, nota 7a. 8 Cfr. J.H. Waszink, Il proemio degli Annales di Ennio, «Maia», 16, 1964, pp. 327-40. 9 Enn. ann., 2 V.2, su cui vd. lett. 56. 10 Nel 1968 ad Uppsala S. Hedberg pubblicò in due distinti fascicoli (3 e 8) i libri 3-5 e 12 di Columella: difficile dire a quale dei due si riferisca qui M. 1 2 959 Un abbraccio dal tuo Scevola PS. ‒ Se credi, di’ pure che intenderei ritornare sul fr. At tu11. Mi sono accorto che anche sulla questione del postquam destertuit di Persio12 Skutsch non ha degnato di un cenno, magari polemico, la ‘correzione’ parziale della sua tesi in Lezioni su Ennio, 79 sgg.13. 11 12 13 Enn. ann., 98 V.2, su cui vd. lett. 91. Pers. 6, 10, su cui vd. lett. 102. = LE2, pp. 54-57. 960 5051 [Firenze, 29. 6. 1968]2 Carissimo Scevola, grazie della tua lettera e del libro di Hedberg che ricevetti tempo fa3. Ecco intanto una notizia ‘sorprendente’: mi sono sposato4. Mia moglie è stata mia collega alla Nuova Italia, ora è archivista all’Archivio di stato di Firenze e studiosa di storia del Settecento. Spero che presto avremo occasione di vederci. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Lettera manoscritta. Luogo e data si ricavano dal timbro postale sulla busta. 3 Vd. lett. precedente. 4 Alla lettera è allegata la partecipazione di nozze, dove si legge: «Maria Augusta Morelli e Sebastiano Timpanaro partecipano il loro matrimonio avvenuto il 27 giugno 1968 nel Municipio di Fiesole». 1 2 961 506 Pesaro, 2. 7. 1968 Carissimo Sebastiano, la notizia del tuo matrimonio è arrivata qui come un fulmine: l’ho saputa ritornando nel pomeriggio da Fano (dove faccio gli esami di maturità) da Italo e da Marcello Zicàri. Certo mi avrai mandato la partecipazione a Roma1, e la riceverò nei giorni prossimi. Avevo sentito parlare vagamente da qualche amico comune di un tuo legame sentimentale, e sono felice di averne la più definitiva delle conferme. Non so nulla o quasi nulla di lei, ma credo di sapere parecchio di te, e quindi sono certo che la tua ‘scelta’ ha motivi profondi e si è rivolta a una persona degna della tua figura umana eccezionale, che noi ammiriamo da lungo tempo. Anche ‘lei’, in qualche modo, dev’essere una donna eccezionale: io e Tota2 speriamo di conoscerla presto, perché è entrata già ‒ così all’improvviso ‒ nel mondo dei nostri affetti. A tutt’e due il nostro augurio caldo di lunga e lieta vita comune. Vorrei inviarti un mio piccolo ricordo per q u e l giorno, anche se necessariamente tardivo. Penso a un libro, ma ho poca fantasia. Vuoi aiutarmi? e anche evitare il rischio di un doppione? Ti proporrei, se non lo possiedi, il Lexikon der alten Welt3, abbastanza utile, come constato, malgrado i suoi difetti; o meglio, forse, il Kleiner Pauly 4, di cui però dovresti adattarti a ricevere in dispense la parte non ancora pubblicata. Ti abbraccio fraternamente, mio caro Sebastiano; e ti prego ora, con una formula nuova, di ricordare Tota e me, oltre che alla Mamma, a tua Moglie. Il tuo Scevola Infatti la lettera precedente fu inviata a Roma e successivamente trasmessa a Pesaro, come si ricava dalla busta. 2 Vd. lett. 228. 3 Zürich-Stuttgart 1965. 4 Vd. lett. 421. 1 962 507 Firenze, 3. 8. 1968 Carissimo Scevola, ritornato a Firenze dalle ferie, ho trovato la tua affettuosissima lettera1. Ti ringrazio di tutto cuore anche a nome di mia moglie, che è un po’… intimidita per l’«eccezionalità» che le attribuisci (in realtà siamo tutti e due molto ‘normali’, ahimè!), ma ti è vivamente grata delle tue parole gentili. Come forse ti ho già scritto2, mia moglie, già mia collega alla Nuova Italia, è ora archivista all’Archivio di stato; è studiosa di Filippo Buonarroti e di gazzette settecentesche. Inutile aggiungere che ha sentito parlare infinite volte di te da me e che quindi desidera molto di conoscerti. Tra me e lei c’è una differenza di età notevole, tuttavia siamo bene affiatati. Per il regalo ti ringrazio moltissimo, ma non preoccuparti per ora; e ad ogni modo, il Lexicon der alten Welt e il Kleiner Pauly sono assolutamente troppo! Ti prego sinceramente di pensare a qualcosa di meno suntuoso. Ti scriverò poi più a lungo. Intanto ricevete, tu e la signora, i più affettuosi ringraziamenti e saluti miei e di Maria Augusta3 e di mia madre. Un fraterno abbraccio dal tuo Sebastiano [PS. ‒]4 Ottimo il tuo articolo negli «Studi» dedicati a Massolo5, e m o l t o belle le parole di ricordo di Massolo con cui s’inizia. Vd. lettera precedente. Vd. lett. 505. 3 Vd. ancora lett. 505. 4 Aggiunta manoscritta. 5 S. M., Da Platone agli Epigrammi Bobbiesi. Appunti su due temi epigrammatici antichi, «StudUrb(B)», 41, 1967 (Studi in onore di A. Massolo), pp. 1071-96 (= SFC, pp. 376-400). 1 2 963 5081 Firenze, 9. 11. 1968 Carissimo Scevola, è arrivato il Lexicon der alten Welt2: è un regalo splendido e per me utilissimo, come ho già potuto constatare consultando parecchie voci. Ti esprimo i più affettuosi ringraziamenti anche da parte di Maria Augusta3. È stato per noi un grandissimo piacere vedervi quella sera4; ma l’incontro è stato troppo breve; dobbiamo rivederci presto! Ho ripensato a quelle tue congetture all’Aegritudo, che mi sembrano una più bella dell’altra5: più di tutte mi piace quello sternitur per silvitur. Ho letto col più vivo piacere il tuo estratto su problemi di critica del testo6: tutto giusto e detto con grande incisività, in un latino bellissimo. Ti mando a parte l’articolo di Stackmann7 che f o r s e può servirti per il tuo articolo su filologia classica e germanica8. Ancora v i v i s s i m e g r a z i e , ricordami alla signora, a te un affettuoso abbraccio dal tuo Sebastiano Lettera manoscritta. Vd. le due lett. precedenti. 3 Vd. lett. 505. 4 Terminus post quem per l’incontro è il 3 agosto, data della lett. precedente. Dalla lettera successiva apprendiamo che esso avvenne a Firenze. 5 M., Imitazione e critica del testo (cit. lett. 104). La congettura cui fa riferimento subito dopo T. è a pp. 386-7 del contributo (= SFC, pp. 524-5). 6 S. M., Qua ratione quave via huius saeculi philologi veterum opera edenda curaverint, in Acta omnium gentium ac nationum conventus Latinis litteris linguaeque fovendis, a. MCMLXVI Romae habiti, Romae 1968, pp. 233-9 (= SFC, pp. 491-8; rist. in trad. it. a cura di M. De Nonno e con lievi modifiche d’autore in Le strade del testo, a cura di G. Cavallo, Bari 1987, pp. 141-7). 7 K. Stackmann, Mittelalterliche Texte als Aufgabe, in Festschrift für Jost Trier zum 70. Geburtstag, hrsg. von W. Foerste und K. H. Borck, Köln-Graz 1964, pp. 240-67. 8 S. M., Per l’insegnamento della filologia germanica, «Studi germanici», n.s., 8, 1970, pp. 8-10. 1 2 964 509 Roma, 28. 11. 1968 Carissimo Sebastiano, non devi davvero ringraziarmi1! Dell’incontro fiorentino, anche se breve, siamo stati felici. Abbiamo avuto, Tota2 ed io e anche Flavia3, che ha trovato la Signora «affascinante» (parola sua, e i gusti degli adolescenti romani o romanizzati non sono dei più conformistici), la più simpatica impressione di voi come ‘coppia’ e delle qualità umane della Signora Maria Augusta4. Vi aspettiamo qui al più presto! Grazie dell’articolo di Stackmann5, che mi permetterai di tenere ancora per qualche settimana, finché mi deciderò a scrivere quella malaugurata nota6. Sto per andare a Torino a sentire le ultime Lezioni Rostagni di Campana. Ti scrivo in fretta, ma voglio subito ‒ senza stare a scavare nella memoria e rischiando di dire una sciocchezza ‒ riferirti una cosa che mi è venuta sott’occhio stamattina consultando Jocelyn, Tragedies of Ennius7. Negl’indici, a p. 470, sotto la strana voce fragmenta incerta (non sotto Ennius) rimanda alle pagine del commento in cui tratta dei singoli frammenti incerti di Ennio. Ricordo male o anche tu avevi compilato nella tua recensione8 un elenco del genere? E, se sì, sarai in tempo a modificare? Cari ricordi da tutti noi a tutti voi; a te un abbraccio dal tuo Scevola 1 2 3 4 5 6 7 8 Vd. lett. precedente. Vd. lett. 428. Vd. lett. 313. Vd. lett. 505. Vd. lett. precedente. M., Per l’insegnamento della filologia germanica (cit. lett. precedente). Jocelyn, The Tragedies of Ennius (cit. lett. 499). Vd. lett. 499. 965 510 Firenze, 3. 12. 1968 Carissimo Scevola, ti ringrazio di cuore, anche a nome di Maria Augusta1, per le parole così affettuose2 (e il ringraziamento comprende, naturalmente, anche la Signora e la Flavia3). Speriamo davvero di rivederci presto. Mi hai fatto un gran favore segnalandomi quella lista di rimandi, stranamente ‘imboscata’ nell’indice dell’edizione di Jocelyn. Io non me n’ero assolutamente accorto e, come tu ben ricordi, avevo perso tempo a compilare, nella mia recensione4, un elenco dello stesso genere! Ho scritto immediatamente un espresso al prof. Ludwig5 pregandolo di eliminare, se è ancora possibile, quell’elenco. Non ho ancora avuto risposta e temo di essere arrivato troppo tardi, perché ho corretto le bozze della recensione parecchi mesi fa. Caso mai, farò pubblicare una rettifica nel numero seguente di «Gnomon». Ma certo quel Jocelyn è andato a ficcare la sua lista in un punto in cui ben pochi la troveranno! Pacella ed io siamo a buon punto con le bozze leopardiane6, ma non ne siamo ancora fuori. Non ho quindi avuto ancora il tempo di accingermi al noioso lavoro della recensione a Skutsch7; ho solo preso qualche appunto preparatorio. Certo, ripercorrendo a questo scopo le tue Lezioni su Ennio, ho veduto con ancor maggiore chiarezza che Skutsch (forse in buona fede, o in semi-malafede) ha fatto il possibile per minimizzare i tuoi contributi e più volte ha taciuto tue osservazioni che assolutamente avrebbe dovuto citare8. È ancora una fortuna, stando così le cose, che si sia deciso a darti ragione su quaeque in corpore cava caeruleo …9. Immagino che le lezioni di Campana10 (di cui ho ricevuto il programma in ritardo, a causa dello sciopero dei portalettere) siano state di grandissimo Vd. lett. 505. Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 313. 4 Vd. lett. 499. 5 Vd. lett. 496. 6 Si riferisce agli Scritti filologici di Leopardi, per cui vd. lett. 464. 7 Vd. lett. 502. 8 Vd. lett. 502-4. 9 Enn. ann., 9 V.2, su cui vd. lett. 38. 10 Vd. lett. precedente. 1 2 966 interesse. Ricordo sempre i suoi seminari alla Normale, che ho continuato a seguire per vari anni. Quando verremo a Roma spero di vedere anche lui. Di nuovo grazie e un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 967 511 Roma, 22. 12. 1968 Carissimo Sebastiano, i nostri più cari auguri da noi tre a voi tre al momento di partire per Pesaro, dove resteremo fino all’Epifania. Le lezioni di Campana1 sono andate veramente bene: io ne ho sentito solo una parte, utile anche perché nessuno sa se saranno mai pubblicate. Gli studenti non ci hanno molestato. C’erano anche alcuni ospiti, fra cui Gabba. Sono molto lieto che stiate per far uscire il Leopardi2. È un ‘avvenimento’ che più d’uno, anche qui, attende. Capisco che il successivo lavoro, della recensione a Skutsch3, ti apparirà ‘noioso’, ma nessuno poteva farlo meglio di te, non solo per la competenza, ma per la diplomazia che saprai usare. A proposito di Skutsch, ti trascrivo una piccola parte di una sua lettera e della mia risposta (stiamo polemizzando epistolarmente con reciproche cortesie), che tratta appunto di una questione enniana. Lui (28/10): «As to postquam destertuit 4, I did not think you would want to press that point, because, if you were right, you would have to give up the notion of an encounter with Muses after the dream vision of Homer! No, I still agree with Housman5». Io (24/4): «Per postquam destertuit, è curioso che Lei non veda, specialmente con tante precisazioni nel contesto di Persio, l’impossibilità della tesi di Housman che il riferimento sia a tutti gli Annales e non solo al proemio. Non può esserci dubbio che Persio vuol dire soltanto, scherzosamente e ironicamente, hoc iubet Ennius poeta, hoc iubet Ennius postquam poeta factus est (la riprova è in prol. 1 sgg. Nec fonte etc., ut repente sic poeta prodirem), non hoc iubet Ennius postquam Annales scripsit. E della cronologia delle opere di Ennio a Persio non importa nulla (seppure ne sapeva qualcosa). Quanto al rapporto che, secondo Lei, la questione potrebbe avere con la presenza delle Muse nel proemio (rapporto che, comunque, non riguarda chi, come Lei, non crede a quella presenza; io, come Le scrissi, sospendo il giudizio in attesa di leggere il Kambylis)6, esso non costituisce per me in nessun caso una difficoltà: io ho insistito abbastanza (p. 94 sg.) sulla centralità, nel proemio, del sogno di Omero, 1 2 3 4 5 6 Vd. lett. 509. Leopardi, Scritti filologici (cit. lett. 464). Vd. lett. 502. Pers. 6, 10, su cui vd. lett. 102. Vd. lett. 101. Kambylis, Die Dichterweihe und ihre Symbolik (cit. lett. 502). 968 sulla quale è concorde la tradizione antica, e sul fatto che l’iniziazione poetica di Ennio è opera di Omero». Non so se ho ragione; so solo che non si convincerà. Buon 1969, mio caro Sebastiano, e un abbraccio affettuoso dal tuo Scevola 969 512 Firenze, 25. 1. 1969 Carissimo Scevola, mi sembra che la tua nota sulla filologia germanica1 vada ottimamente e tocchi tutti i punti di comune interesse per filologi classici e germanisti. Non mi pare che si possa far meglio. A p. 1 lin. 11 forse è preferibile «studi» al plurale (sui Nibelungi): dopo quella recensione all’edizione del von der Hagen in cui enunciava quelle famigerate regole-rompicapo per la recensio meccanica (1817), il Lachmann curò egli stesso un’edizione dei Nibelungi nel 1826 (Der Nibelunge Not mit der Klage) e più tardi una seconda edizione; e scrisse nel 1836 una memoria Zu den Nibelungen und zur Klage, e forse altre pubblicazioni che ora a me sfuggono. Sono contento di sapere che ti sei accinto alla seconda edizione dell’Andronico2 e che recensirai la nuova edizione (che io non ho ancora veduto) dello Ziegler, Hellenistisches Epos3. E ti ringrazio di cuore per l’invito ai seminari enniani e ‘perdicchiani’. Pacella ed io siamo ormai quasi fuori dalle bozze dell’edizione leopardiana4 (ci saranno solo da verificare poche, ultime correzioni!); non siamo ancora fuori dagli indici analitici, che presentano particolari difficoltà; ma insomma anche gli indici finiranno, e allora la gita a Roma diventa senz’altro possibile. Anche Maria Augusta5 desidera molto di rivedervi. Spero di mettermi tra qualche giorno a scrivere la recensione allo Skutsch6, anche se non mi è ancora chiaro come impostarla e come ‘dosare’ le critiche e i consensi. Ancora grazie e un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Vd. lett. 508. Si tratta di LA2, che però uscirà solo nel 1986. 3 M., rec. a K. Ziegler, Das Hellenistische Epos. Ein vergessenes Kapitel griechischer Dichtung, Leipzig 19662, «Gnomon», 43, 1971, pp. 145-52 (= SFC, pp. 407-16). Vd. lett. 521-523, 540. 4 Vd. lett. 464. 5 Vd. lett. 505. 6 Vd. lett. 502. 1 2 970 513 Firenze, 29. 4. 1969 Carissimo Scevola, ti ringrazio infinitamente dell’estratto (le tue congetture a quel passo della Vetus Latina1 sono, anche a riguardarle a distanza di tempo, del tutto convincenti e molto interessanti anche metodicamente, come esempi di errori psicologici) e dell’affettuoso, reiterato invito a partecipare al tuo seminario. Tu scrivi: «secondo gli accordi che prendemmo a Firenze …», e hai ragione; ti promisi allora che sarei venuto. Ma quest’anno i lavori si susseguono in modo che non riesco a trovare un intervallo libero. Per quanto la cosa possa sembrare addirittura ridicola, Pacella ed io non siamo ancora fuori dalla famigerata edizione leopardiana2: la compilazione degli indici analitici (dei nomi, dei passi, di parole greche e latine, ecc.) ci ha fatto perdere un tempo molto superiore al previsto. Adesso sono impegnato nella correzione delle ultime bozze del testo e delle bozze degli indici, mentre già la tipografia ha incominciato a stampare e Bosco insiste – del resto non a torto – perché il volume sia messo in vendita prima dell’estate. Nello stesso tempo, è accaduto, inaspettatamente per me, che si è esaurito il Classicismo e illuminismo3, e sto preparando (anche stavolta in fretta, per le insistenze di Caretti e dell’editore) una nuova prefazione e dei non brevi addenda per una seconda edizione. Aggiungi che ho già preso vari giorni di permesso dalla Nuova Italia, e non posso chiederne altri in questo periodo in cui c’è molto lavoro arretrato (soprattutto a causa dei terribili zibaldoni bibliografici dello Zeller-Mondolfo)4. La triste conclusione è che non posso venire. Per il tuo seminario non è davvero un danno, poiché nulla di interessante avrei da dire (anche la recensione a Skutsch5, che avevo iniziato svogliatamente mesi fa, è rimasta interrotta e non ho ancora trovato il tempo e la voglia di riprenderla); ma è un vero dispiacere per me, che sarei stato contentissimo di sentire te e i tuoi scolari romani. Mi sarebbe piaciuto molto anche di rivedere finalmente Campana e di sentire da lui stesso il suo contributo ad Ann. 2 (la Vd. lett. 499. Vd. lett. precedente. 3 Vd. lett. 422. 4 Si tratta dei volumi de La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico che uscivano in quegli anni. 5 Vd. lett. 502. 1 2 971 cosa mi incuriosisce molto: è una nuova lettura del codice del De l. Lat. di Varrone??)6. Conto di venire a Roma con Maria Augusta7 più tardi, non più in tempo, temo, per partecipare al seminario, ma ancora in tempo per vedervi prima che andiate a Pesaro. Scusami, ti prego, e, se hai un po’ di tempo, fammi sapere qualcosa dei risultati principali del seminario. Tanti saluti affettuosi a voi tutti, anche da Maria Augusta e da mia madre. A te un abbraccio affettuoso e ancora grazie dal tuo Sebastiano 6 7 Vd. lett. 56. Vd. lett. 505. 972 514 Roma, 19. 5. 1969 Carissimo Sebastiano, scusami tanto il ritardo1, dovuto alla fine delle lezioni più complicata e disordinata del solito. Capisco benissimo le solide ragioni che ti hanno impedito di venire (e mi rallegro della nuova edizione di Classicismo e illuminismo)2, ma ciò non toglie che a me, agli amici e agli studenti, che ormai ti conoscono benissimo dai tuoi scritti enniani, la cosa sia dispiaciuta lo stesso. Io e Tota3 vi aspettiamo in giugno (partiremo per Pesaro verso la fine di quel mese), una parte almeno degli studenti, cioè quelli che frequenteranno (se si potrà!) anche l’anno prossimo, sperano in un’altra occasione d’incontro con te, al pari di me, Rossi ecc. Comunque, l’unico punto veramente interessante venuto fuori dalle lezioni di quest’anno è l’osservazione di Campana che in Varr. l. L. 7, 25 in base all’edizione di Goetz-Schoell (non abbiamo fatto in tempo ad avere la foto del cod.) non bisogna partire da -m(us) Ac bensì da -m Ac, perché il segno .,. corrisponde, in codici beneventani, a forte segno d’interpunzione, non a ; (= -us) più segno d’interpunzione. A rigore, si potrebbe allora pensare anche semplicemente a <Cas>m<en>as / quas memorant noscé nos esse4, visto che una forma di Casmena pare necessaria. Fra le altre cose, abbiamo discusso una lettera di Jocelyn con proposte, che ci sono parse poco illuminate, sul frammento dell’augurium5. Ho accettato in extremis di andare al congresso di Bonn (1-6 sett.) facendo una comunicazione su Imitazione e critica del testo con qualche esempio dall’Aegritudo Perdicae6, incoraggiato dalla tua buona accoglienza a qualche mio recente tentativo. Se avrai tempo, te lo farò leggere (in giugno?). Cari saluti a tutti voi anche da Tota7; a te un abbraccio dal tuo Scevola M. risponde alla lett. precedente. Nel 1969 uscì la seconda edizione accresciuta di Classicismo e illuminismo (vd. lett. 422). 3 Vd. lett. 228. 4 Enn. ann., 2 V.2, su cui vd. lett. 56. 5 Enn. ann., 77 sgg. V.2. 6 M., Imitazione e critica del testo. Qualche esempio dall’Aegritudo Perdicae (cit. lett. 104). 7 Vd. lett. 228. 1 2 973 515 Firenze, 16. 6.<1969>1 Carissimo Scevola, ti ringrazio moltissimo, anche da parte di Maria Augusta2, della tua affettuosa lettera (e scusami del ritardo). Sono contento che il seminario enniano abbia dato ottimi frutti, e mi dispiace davvero molto di non aver potuto essere presente a qualche seduta. Il contributo di Campana che mi riferisci nella tua lettera è molto interessante. Lì per lì si rimane un po’ dubbiosi: possibile che quel Musas che tutti ci eravamo abituati a ricavare da m;ac, in un frammento che per l’appunto parla delle Camene e che con quel memorant sembra accennare ad una notazione linguistica del tipo vento quem perhibent Graium genus aera lingua3, – possibile, dico, che tutto ciò sia stato solo il risultato di un’errata lettura di un segno? Ma d’altra parte, se Campana, che di beneventana si intende come pochi, dice categoricamente che il segno ; indica interpunzione e non -us, c’è poco da fare! Così il famigerato frammento diventa ancor più incerto4! Sto finendo, insieme con Pacella, di rivedere le bozze degli indici dell’edizione leopardiana5, che dovrebbe davvero uscire alla fine del mese. Non ho ancora terminato gli addenda alla nuova edizione del Classicismo e illuminismo6. Solo dopo aver finito questo lavoro mi ripromettevo di portare a termine la recensione agli Studia Enniana di Skutsch7. Senonché da una serie di lettere di Skutsch, che insistentemente mi chiedevano notizie della recensione (nota che avevo promesso di farla per l’ottobre dell’anno scorso!), ho capito che era meglio cercare di levarsi di torno una buona volta questa seccatura, e quindi ho dato la precedenza alla recensione, per la quale avevo raccolto appunti già alcuni mesi fa. Ora ne mando una copia a Skutsch (che certamente rimarrà poco soddisfatto, anche perché ho l’impressione che in questi ultimi tempi sia diventato sempre più ‘intollerante’ in fatto di questioni enniane, pur rimanendo cordiale e amichevole come tono generale) e un’altra copia a te. Capisco benissimo che questa copia ti arriva in un momento poco propizio, perché certamente sarai impe- 1 2 3 4 5 6 7 L’anno è assicurato dal confronto con la lettera precedente, a cui T. risponde. Vd. lett. 505. Enn. ann., 148 V.2. Enn. ann., 2 V.2, su cui vd. lett. 56. Vd. lett. 464 e 512-3. Vd. le due lett. precedenti. Che infatti uscì nel 1970. Vd. lett. 502. 974 gnato con gli esami e con altre scocciature universitarie. Non ti chiedo di leggerla per intero, ma solo di darle una scorsa, segnalandomi eventuali sciocchezze o gravi lacune. Ho segnato con lapis verde i punti sui quali soprattutto vorrei il tuo parere. Sulla prima guerra punica, come vedrai, mi sono tenuto deliberatamente sul vago, in modo da lasciare che tu in seguito sviluppi la tua ipotesi (basata, fra l’altro, su quel confronto col passo del senex Corycius nelle Georgiche che era stato già messo avanti, ma senza trarne precise conseguenze, da Albini)8. Sul cum del v. 215 sarei adesso, ma con forti perplessità, incline a dar ragione a Skutsch, cioè ad attribuirlo a Cicerone anziché ad Ennio9. La tua ipotesi del cum causale rimane certo sostenibile (ed è in ogni caso migliore del mio tentativo di un tempo, di mantenere il cum temporale attribuendolo ad Ennio e giustificando il tutto come inconcinnità), ma mi dà un po’ da pensare un cum causale preceduto a così breve distanza da olim: non lo avrebbe qualsiasi lettore latino inteso come temporale? Su tutto il resto, come vedrai, ho cercato di segnalare i punti (che sono realmente parecchi) nei quali Skutsch ha ingiustamente passato sotto silenzio tuoi contributi e tue obiezioni (ma dimmi se me n’è sfuggito qualche altro); e ho preannunciato una tua replica riguardo a at tu non ut sum ...10, come eravamo rimasti d’accordo11. La recensione reca tracce di fretta ed è forse troppo prolissa; ma, pur essendo pronto a correggere e ritoccare tutto quello che non va, non me la sentirei di riscriverla tutta daccapo. E su certe questioni – specialmente su quelle prosodico-metriche – ho l’impressione di avere ormai troppo a lungo discusso con Skutsch. Quando avrò ricevuto i pareri tuoi e di Skutsch, manderò la recensione, opportunamente ritoccata e corretta, a «Gnomon». Ma non c’è fretta: ormai ho tardato tanto, che poco importa un ulteriore ritardo. Grazie, scusa e tanti saluti affettuosi da noi tutti. Il tuo Sebastiano [PS. ‒]12 Su Lunai portum … 13. Suerbaum avrà torto14, ma Skutsch lo ha liquidato troppo sbrigativamente, mi pare. E io sarei adesso propenso ad attribuire il verso non al proemio del lib. I, d’accordo, ma agli Annali sì. Mi Vd. lett. 503. Sul proemio del libro VII degli Annales vd. lett. 93. Vd. lett. 97. 10 Enn. ann., 98 V.2, su cui vd. lett. 91. 11 Vd. lett. 504. 12 Aggiunta manoscritta. 13 Enn. ann., 16 V.2, su cui vd. lett. 79. 14 W. Suerbaum, Ennius und der Portus Lunae. Zu einem übersehenen Zeugnis für das Annales-Proömium im Schol. ad Pers. Sat. 6 ,1, «Mnemosyne», 18, 1965, pp. 337-52. 8 9 975 pare che ciò consegua anche dalla tua giusta interpretazione di destertuit15. Una volta accertato che esso non significa quel che pensava Housman, che motivo c’è più di pensare alle Saturae, e non agli Annali, tanto più noti? 15 Pers. 6, 10, su cui vd. lett. 102. 976 516 Roma, 26. 6. 1969 Carissimo Sebastiano, la tua recensione al libro di Skutsch è ammirevole1. Per quanto tu ti sia occupato di tante altre cose, hai presente tutta la problematica enniana, e ‒ malgrado la grande cortesia con cui tratti Skutsch ‒ si sente subito come lo ‘surclassi’, per quanto lui si sia occupato nella sua vita quasi soltanto di Ennio. Ti sono grato di avermi ricordato così spesso (troppo, lo so, ma… mi fa piacere!). Rapidamente ‒ per non tardare ancora a scriverti ‒ qualche minuzia. P. 2 l. ultima e p. 3 l. quintultima: avrei concesso un po’ meno («forse giusta», «può aver ragione»), ma non so se, avendo ormai Skutsch visto questo testo, ti sentiresti di ritoccarlo in questi punti. P. 3: sull’appartenenza di Ann. 16 agli Annali2 (e sullo scolio da lui segnalato) ora anche Suerbaum, Untersuchungen zur Selbstdarstellung älterer röm. Dichter. Liv. Andronicus Naevius Ennius, Hildesheim 1968, 52 sgg. [di questo vol., forse non molto intelligente ma informatissimo e serio, ho una copia della «Riv. di filol.» per recensione: lo recensiresti??], senza ‒ mi pare ‒ grandi novità su questo punto. In favore dell’appartenenza di Ann. 16 alle Saturae (certo non sicura) potrebbe deporre il fatto che la lode di una località rientrerebbe bene nella satira odeporica (cfr. Lucil. 97 sg., 102 sgg. Marx) e f o r s e anche il fatto che il verso è citato in una satira (non ricordo se questi argomenti fossero già di Housman)3. P. 5 sg.: pienamente d’accordo sulle tue osservazioni a proposito del frammento dell’augurium4. Solo, nella lettura del frammento che abbiamo fatto quest’anno all’università, ti dirò che mi sono convertito a propritim5. È vero che, a rigore, propritim non è necessario, ma (a parte la facilità paleografica partendo da propriam) l’aggiunta di propritim a sibi può rientrare nella tendenza alla precisione del linguaggio giuridico-religioso che si riflette spesso in passi enniani del genere (bisognerebbe poi vedere se nel propritim si possa cogliere l’eco di qualche formula ‒ con proprie ‒ ancora identificabile). Ciononostante le tue obiezioni, specialmente la non 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente, a cui M. risponde, e lett. 502. Vd. lett. 79. Vd. lett. precedente. Enn. ann., 77 sgg. V.2, su cui vd. lett. 514. Al v. 95. Vd. lett. 103. 977 escludibilità di una neoformazione di Lucrezio, non mi sembrano affatto da sottovalutare. P. 11 (su Sc. 225)6: a me ‒ e mi sbaglierò ‒ pare sicura la scansione di A. Klotz ego ărguor. Skutsch 191 n. 12 è debole e cavilloso. Con ego ărguor si ha anche un’ottima quadripartizione dello stilisticamente studiato settenario (quadripartito anche 226 e ben ritmato 227). L’enfatica opposizione di ego a tu p u ò aver favorito la correptio. Scusami la fretta. Sto cercando affannosamente in questi giorni di uscire dagli ultimi impegni accademici (esami, tesi ecc.) prima di partire per Pesaro domenica prossima, alla vigilia dell’inizio della maturità, che farò appunto a Pesaro. Ti ho detto che, all’ultimo momento, ho accettato di partecipare al congresso di filologia classica di Bonn dei primi di settembre con una comunicazione su ‘imitazione e critica del testo’ fondata su qualche esempio ricavabile dall’Aegritudo7? Sto cercando di stenderla (dovrò citare almeno una tua congettura sicurissima, 156 pulsu8, a proposito di nec in 2a posizione che sostiene in qualche modo il sed in 2a posizione del v. 98). Ti pregherò di leggerla. Auguri per il tuo lavoro, caro Sebastiano. Ricordaci alla Signora. A te un abbraccio dal tuo Scevola [PS. ‒] A p. 4 del tuo dattiloscritto, ll. 2-3, è forse più sciolto mettere la parentesi «(Ann. 213 s.)» dopo «citati». 6 7 8 Vd. lett. 215. Vd. lett. 514. Vd. lett. 104. 978 517 Firenze, 2. 7. 1969 Carissimo Scevola, ti sono infinitamente grato di aver letto la recensione a Skutsch1 e di avermi comunicato le tue osservazioni, tutte giuste e interessantissime. Tanto più te ne sono grato in quanto il mio dattiloscritto ti è giunto, come temevo, in un periodo di superlavoro e di impegni particolarmente gravosi. Come ti avevo già scritto, un’altra copia della recensione era stata mandata da me a Skutsch. Non l’avessi mai fatto! Ho già ricevuto da lui, a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, cinque lunghe lettere, affettuose nella forma, ma molto… protestatarie nella sostanza. Una sola osservazione giusta mi ha fatto, e glie ne sono grato: a proposito di ore timebat2, il mio confronto con Verg. georg. 3, 105 sg. (exsultantiaque haurit corda pavor pulsans) non regge, perché Virgilio non parla degli spettatori, ma degli aurighi (qualche dubbio sarebbe possibile, cfr. Servio ad loc.: IUVENUM: aurigarum, vel spectantium, tuttavia il riferimento agli aurighi è effettivamente quasi sicuro, e quindi cancello il raffronto; naturalmente ciò non modifica affatto, a mio parere, l’interpretazione di timebat). Per il resto, le sue lettere sono tutto uno smanioso sofisticare e sottilizzare, un lagnarsi perché non ho tenuto conto di questo e di quest’altro, soprattutto a proposito delle solite maledettissime leggi prosodiche e metriche, le quali finiranno col condurre lo Skutsch in manicomio. Quanto a tergús3 e a doctús4, dice che la mancata replica a te e a me è dovuta ad una mera dimenticanza; tergus non conta perché appartiene a un verso frammentario, doctus nemmeno, perché anche ammettendo Anchisa si potrebbe integrare doctu’ <monēt> Anchisa! Ma soprattutto si accalora per difendere l’idea che pulvis abbia la i lunga per natura5. Il suo grande ragionamento è questo: «il Lachmann sostenne che pulvis ha la ī senza pensare alla mia ‘legge’; dunque, se Lachmann ed io siamo arrivati, indipendentemente (?!), alla stessa conclusione, vuol dire che la conclusione è giusta». E altre sofisticherie di questo genere. Domani apporterò alla recensione i ritocchi da te suggeriti e poi mi affretterò a mandarla a «Gnomon» prima che arrivi la sesta lettera di Skutsch! 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente, a cui T. risponde. Enn. ann., 87 V.2. Enn. ann., 508 V.2, su cui vd. lett. 102. Enn. ann., 18 V.2, su cui vd. lett. 38. Sulla prosodia di pulvis in Enn. ann., 282 V.2, vd. lett. 102. 979 Non conosco il nuovo libro di Suerbaum6 e ti ringrazio della segnalazione (grazie anche della proposta di recensirlo; ma non me la sento di addentrarmi in un argomento su cui temo di non avere nulla di interessante da dire; e in questi ultimi anni ho fatto un numero spropositato di recensioni, e vorrei fare una pausa, tranne casi di particolare interesse). Capisco che l’appartenenza di Ann. 167 ad una satura rimane una possibilità da prendere seriamente in considerazione; tuttavia mi sembra che, dopo la tua confutazione dell’interpretazione di postquam destertuit esse8 sostenuta da Housman e Skutsch, sia venuto a mancare l’argomento principale che sembrava deporre a favore di quella tesi. E tutto sommato, dato il tono ‘sfottitorio’ che ha il passo di Persio, mi sembra più probabile una parodia di Ennio epico (come ce ne sono anche nelle satire di Orazio) che un richiamo a Ennio satirico. D’altra parte, proprio tu hai dimostrato quanti elementi ‘satirici’ vi fossero negli Annales; e quindi anche l’apostrofe diretta ai concittadini, la lode di una località ecc. non costituiscono una vera difficoltà contro l’appartenenza del verso agli Annali (questo, del resto, lo riconosce anche Skutsch). Quanto a propritim9, riconosco che davvero la congettura è paleograficamente tentante e che il tuo richiamo alla tendenza alla precisione del linguaggio giuridico-religioso è assai pertinente. A me continua a sembrare forte il rischio che propritim sia una neoformazione lucreziana; ma ammetto che si tratta più di una ‘impressione’ che di una tesi dimostrabile. Certo è che, sia con propritim sia con priora, il ratus di Skutsch è pessimo. Quanto a Sc. 22510, avrai con tutta probabilità ragione di difendere la scansione di Klotz égo ărguor. Non faccio menzione di questa tua idea nella recensione perché mi par meglio che tu stesso la sviluppi e la motivi in altra sede, e perché mi sento troppo poco preparato in fatto di correptio iambica per cercare e trovare senza troppa fatica un certo numero di passi paralleli idonei a mettere a tacere l’obiezione di Skutsch. Ma mi auguro che presto tu ti occupi di questo passo. Forse, insieme alla nota su at tu non ut sum ...11, potresti raccogliere altre note enniane, replicando a Skutsch su singoli punti. Non ti ho affatto citato troppo spesso! Anzi, deliberatamente ho smorzato i toni nei riferimenti a te, perché Skutsch non avesse l’impressione di un’‘alleanza’ precostituita fra noi due contro di lui. Ma è un fatto che egli Vd. lett. precedente. Vd. lett. 79 e, in partic., le due lett. precedenti. 8 Pers. 6, 10, su cui vd. lett. 102; sulla ‘tesi Housman-Skutsch’ vd. lett. 101. 9 In Enn. ann., 95 V.2, su cui vd. lett. 103. 10 Vd. lett. precedente. 11 Enn. ann., 98 V.2, su cui vd. lett. 91. 6 7 980 ha fatto di tutto per citarti il meno possibile e per non rispondere a tue obiezioni. Non si tratta, probabilmente, di vera ‘mala fede’, ma di uno stato intermedio tra buona e mala fede, dovuto alla sua tendenza alla sofisticheria (accentuatasi in questi ultimi anni) e al fatto che rinunziare ad una propria tesi gli è motivo di enorme dispiacere. Certo è uno studioso di buona scuola, dotto, spesso acuto, ma alquanto meschino e cavilloso. Pare che in luglio passerà a Firenze; avrò piacere di rivederlo (poiché personalmente è simpatico), ma la prospettiva di dover discutere i n l a t i n o sui soliti pulvīs, muta cum liquida ecc. ecc. non è del tutto entusiasmante. Grazie ancora, carissimo Scevola. A voi tutti un saluto affettuoso anche da mia madre e da Maria Augusta12. A te un abbraccio dal tuo Sebastiano [PS. ‒]13 Per tutto luglio saremo a Firenze, poi andremo un po’ ad Antignano (Livorno). ‒ Se dovessimo fare una gita recanatese, ti avvertirei per tempo in modo che ci si possa incontrare da codeste parti. 12 13 Vd. lett. 505. Aggiunta manoscritta. 981 518 Firenze, 19. 7. [1969]1 Carissimo Scevola, grazie dell’affettuosa lettera2. Ho mandato subito l’estratto a Tagliavini e gli ho anche scritto due righe3. Le lettere di Skutsch, che ammontavano a cinque quando ti scrissi4, sono ora salite a nove. Per di più, si era proposto di venire apposta a Firenze per discutere le solite questioni enniane. Doveva arrivare ieri, ma all’ultimo momento mi ha mandato la decima lettera annunziandomi che non poteva fare questa italienische Reise perché, fatti meglio i conti, non gli bastavano i soldi. Che stia davvero diventando un po’ folle? Certo, mai una recensione mi aveva causato un epistolario così fitto (e così monotono) come questo. Nelle ultime lettere, oltre a ripetere le solite cose sulle ‘leggi’ metriche da lui scoperte, se la prende anche con me e con te a proposito di charadrus Ambraciai5. Dice che ha ragione lui, con ragionamenti che non riesco bene a seguire, e mi rimanda ad atlanti storici e a libri recenti sull’Epiro, che qui a Firenze non ci sono e che non ho voglia di cercare altrove. La recensione ormai è presso la redazione di «Gnomon» e non ho voglia di rimaneggiarla ancora. Tanti saluti affettuosi e ancora grazie dal tuo Sebastiano L’anno di ricava dal timbro postale sulla busta. Non conservata. 3 Il glottologo Carlo Tagliavini (1903-1982), che avrebbe potuto essere interessato a più di un estratto di T. 4 Vd. lett. precedente. 5 Enn. var., 36 V.2, su cui vd. lett. 89. 1 2 982 519 Firenze, 21. 12. 1969 Carissimo Scevola, a voi tutti i più vivi e affettuosi auguri, anche da mia madre e da Maria Augusta1. Come va? Non ci scriviamo da molto tempo. Da Tandoi ho ricevuto i tuoi saluti e l’annunzio che avevi ricevuto gli Scritti filologici del Leopardi2. È stato un grande sollievo, per me e per il Pacella, aver finalmente portato a termine questo lavoro, che era diventato una specie di incubo! L’edizione dei testi leopardiani dovrebbe esser riuscita abbastanza esatta e soddisfacente; molto più disuguali, e passibili di giuste critiche, saranno certamente le nostre note; e se, scorrendole qua e là, ti accadrà di osservare in esse errori o lacune, e vorrai segnalarcele, te ne saremo grati. Per i criteri generali, come vedrai, abbiamo largamente approfittato dei consigli che ci desti una volta a Pisa, in una ‘riunione a tre’ alla Scuola Normale. Per la Miscellanea Ronconi ho quasi finito di scrivere un articolo su alcuni esempi contestati o ignorati di quam per magis (o potius) quam3. L’argomento non presenta, dal punto di vista generale, uno spiccato interesse; e anche i contributi singoli consistono non in acquisizioni originali, ma soltanto in riesumazioni di alcuni quam senza magis già notati da vecchi studiosi di sintassi (e ‘rispettati’ da vecchi editori) e poi normalizzati, probabilmente e torto, da editori più recenti con l’integrazione di un magis o potius. Mi rendo conto che hai molte cose da fare; ma se tu potessi dare a questo articolaccio un’occhiata sia pur fuggevole, te ne sarei gratissimo. O forse – come mi ha accennato la Lamacchia – tutto il materiale per il volume sarà raccolto appunto da te, e possiamo quindi rimandare a quel momento la tua lettura? (salvo a rimandarmi poi per pochi giorni il dattiloscritto per eventuali correzioni e ritocchi). Vedi tu come ti sembra meglio. Mi dice la Lamacchia che il termine per la presentazione, fissato dapprima al 31 dicembre, è stato rimandato al 15-20 gennaio. Scusami di questa scocciatura, e ancora tanti saluti e auguri affettuosi dal tuo Sebastiano Vd. lett. 505. Vd. lett. 464. 3 S. T., Positivus pro comparativo in latino, in Studia Florentina Alexandro Ronconi sexagenario oblata, Roma 1970, pp. 455-81 (rist. con ritocchi in Contributi1, pp. 39-81). 1 2 983 520 Roma, 23. 12. 1969 Carissimo Sebastiano, ti parrà ‒ ed è – molto buffa, e anche poco civile, questa mia abitudine di liberarmi di grossi obblighi epistolari alla vigilia delle feste comandate. Ma mi perdonerai anche questa volta come le altre. Grazie dunque prima di tutto (anche a Pacella) per la splendida edizione leopardiana1, che ho per ora solo sfogliato, ma che aspetta sul mio tavolo un’attenta lettura. È un capolavoro della nostra filologia, un esempio insigne di metodo editoriale (in un campo così difficile!), d’informazione, di acribia! Ho ascoltato la degna presentazione fattane da La Penna qui a Roma, e ho anche un tantino sperato che quella sera ci fossi anche tu. Che proprio non possiamo vederti ‒ con la Signora ‒ da queste parti? Ancora sul Leopardi: mi sono sentito molto lusingato dalla presenza del mio nome nella Prefazione, e te ne ringrazio come d’un’ennesima prova di amicizia; perché proprio non mi ricordo di averti mai dato alcun ‘parere’ significante! Chi potrebbe recensire il volume per la «RFIC»2? Ho provato per ora a chiederlo a Rossi, che sapevo interessato a qualche questione; ma ‒ non certo per malanimo, bensì per la difficoltà dell’impresa ‒ non se la sente. Se ti viene in mente un nome adatto, dimmelo! Forse non Di Benedetto, per evitare ‘doppioni’; o magari sì, per continuità?? Adesso si è aggiunta alle mie ragioni di gratitudine verso di te la 2a edizione del Classicismo3 (per questa sarà facile fare una ‘scheda’ per la «Rivista»), con aggiunte cospicue. Purtroppo per due libri ti mando ‒ a parte – due paginette! Auguri affettuosi, anche da Tota4, a voi due e alla Mamma. A te, con immutato affetto, un abbraccio dal tuo Scevola Vd. lett. precedente. Dopo vari esitazioni, la recensione fu affidata a R. Avesani (vd. lett. 522-3, 525-6, 544, 567), ma non risulta che sia stata pubblicata. 3 Vd. lett. 515. 4 Vd. lett. 228. 1 2 984 521 Firenze, 7. 1. 1970 Carissimo Scevola, ti ringrazio moltissimo dell’espresso; avrai trovato intanto a Roma un’altra mia lettera. In queste feste natalizie la posta ha funzionato peggio del solito! La recensione allo Ziegler1, che ti rispedisco qui acclusa, mi sembra eccellente sotto ogni riguardo, e sono sicuro che «Gnomon» sarà ben lieto di pubblicarla (del resto, il ritardo rispetto alla data di pubblicazione del libro non è poi eccezionale). Io non ho mai letto – e ho fatto male – questo lavoro dello Ziegler, né nella prima né in questa nuova edizione. La tua recensione mi invoglia a dargli, prima o poi, un’occhiata, per i pregi che gli riconosci e che mi sembrano degni di attenzione; ma comprendo anche, da quanto tu osservi, che gli arbitrii e le forzature devono essere grosse! Tutte le tue obiezioni, sia quelle di principio, sia quelle su punti singoli, mi sembrano perfettamente centrate. Molto indovinato l’esempio dell’architettura francese ottocentesca, così palesemente inferiore alla pittura e alla letteratura della stessa epoca! Tutte le critiche, d’altra parte, anche le più radicali, sono espresse con grande gentilezza, e Ziegler stesso non dovrebbe rimanere scontento della recensione; la quale dimostra grande dottrina anche per quel che riguarda minuti e difficili particolari di storia della letteratura ellenistica. Osservazioni mie? In verità, non ho nulla da osservare. Anche la parte enniana della recensione mi sembra ineccepibile. Che in Ennio Ann. 211 cum ingentibus signis sia compl. di qualità mi sembra sicuro, o almeno mi sembra che questa sia l’interpretazione più naturale. Su 2122 tu citi «Timpanaro cit.», ma forse bisogna precisare «StudIt. n. s. 22, 1947», perché la precedente citazione, se non sbaglio, è da «StudIt. 1948». Ma, soprattutto, penso che convenga, invece di me, citare Skutsch, Studia Enniana3, 40-42, che è andato assai più a fondo di me. Io non avevo fatto altro che ripetere, in forma un po’ più diffusa, le obiezioni di Bergk e L. Müller. Di tutto il mio lavoro giovanile su Ennio, la parte più scadente è senz’altro quella sui frammenti falsi o dubbi4. Molto acuta e assolutamente superiore alle proposte precedenti mi sem- 1 2 3 4 Rec. a Ziegler, Das Hellenistische Epos2 (cit. lett. 512). Vd. lett. 76. Vd. lett. 69. Vd. lett. 392. 985 bra Fatui non pugnant in quel verso di Publilio Siro5. Neanche io saprei citare un locus similis del tutto stringente, ma non mi pare ce ne sia bisogno, dato che il senso corre ottimamente. Anche il fatto che Publilio usi di solito stultus e non fatuus non mi sembra debba far difficoltà, dal momento che, come osservi, fatuus è attestato nella commedia e nel mimo. Ti mando qui accluso il prolisso e mediocre articolo per la Miscellanea Ronconi6. Come vedrai, non c’è nemmeno un contributo originale (tranne il tentativo, incertissimo, di interpretazione di un passo di Luxorius, di cui forse ti parlai anni fa)7; può essere tuttavia utile, anche se di un’utilità limitata, riesumare esempi di quam = magis quam che sono scomparsi dalle edizioni e dalle sintassi recenti. Come ti ho già detto, non occorre che tu perda tempo a leggere tutto. Basta un’occhiata e, caso mai, vorrei che tu mi dicessi il tuo parere su due o tre punti sui quali sono assai in dubbio: a p. 3 sg. ti pare che possa essere riesumata quella congettura dell’Ussing bona erit 8? A p. 5 sg. possono andare, naturalmente in via del tutto provvisoria, quelle proposte di riesame della tradizione manoscritta di Sallustio con riferimento ad alcuni casi incerti quam = magis quam9? Sul passo di Luxorius (in fondo all’articolo) ho tralasciato qualcosa di importante e ho detto delle fesserìe troppo grosse? Grazie di tutto, un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Sent., F 12 Meyer. Vd. S. M., Due sentenze di Publilio Siro, in Studia Florentina (cit. lett. 519), pp. 252-3 (= SFC, pp. 85-7). 6 Vd. lett. 519. 7 Anth. Lat., 288 R.; vd. Contributi1, pp. 77-81 e lett. 522-3, 605. 8 Plavt. Rud., 1114; vd. Contributi1, pp. 45-8. 9 Sui passi sallustiani discussi vd. Contributi1, pp. 51-6. 5 986 522 Firenze, 14. 1. 1970 Carissimo Scevola, ti sono infinitamente grato di tutte le osservazioni sul positivus pro comparativo1. Hai fatto molto di più di quello che ti avevo chiesto: hai esaminato tutto con gran cura, mi hai segnalato sviste e suggerito giuste modifiche formali; e mi hai salvato da una grossa sbadataggine a proposito di Bacch. 83, dove non avevo notato che il secondo elemento strappato è in punto di Jacobsohn (e quindi non si tratterà di elemento strappato, ma bisognerà scandire rosā ́ mihi dícito). Giustissimo anche ciò che osservi a proposito di quel tuaque dei recc. in quell’epistola ciceroniana2: è lezione linguisticamente inverosimile, diviene passabile solo con un’ulteriore rabberciatura: tua tuaque. Anche in molti altri punti correggo senz’altro in conformità alle tue osservazioni. Quanto a fatale hoc vitium, parcere te puero3, rimango incerto. Hai ragione, l’interpretazione del Löfstedt è stentatissima4. D’altra parte anche quella del Lommatzsch5, nella forma in cui il Lommatzsch stesso lo enuncia, non persuade, perché la pura e semplice supposizione di un parcere = servare non risolve il problema. Essa acquista verosimiglianza con la tua precisazione: parcere in senso pregnante = (praeponendo) parcere. Certo, anche intesa così, l’espressione è assai dura; e perciò non scarterei del tutto, come possibilità, l’interpretazione del Löfstedt. E veniamo alla congettura di Italo (sulla quale anch’egli mi ha scritto da Bologna, sconfessandola e pregandomi di sopprimerla o almeno di citarla con fortissime espressioni di dubbio). Ho io peccato di filomariottismo? Ci ho ripensato, e mi sembra proprio di no. Infatti: 1) pur preferendo (e io dico esplicitamente che la preferisco) la conservazione del testo tramandato e l’interpretazione di doctis versibus6 come abl. di paragone, bisogna riconoscere che tale interpretazione rimane sempre soggetta a dubbi, Vd. lett. 519 e precedente. T. risponde a lettera non conservata. Cic. Att., 12, 37, 3; vd. Contributi1, pp. 43-4. 3 CLE 2122 Bücheler fatale hoc vitium est parcere te puero. Vd. lett. seguente e 525. In proposito vd. Contributi1, pp. 73-4. 4 E. Löfstedt, Zu den neuen Carmina Latina epigraphica, «RhM», 67, 1912, pp. 209-25, a p. 219. 5 Carmina Latina epigraphica, conlegit F. Buecheler, III, Suppl., curavit E. Lommatzsch, Lipsiae 1926, p. 101. 6 Anth. Lat., 288, 6 R. Vd. lett. 521. 1 2 987 perché, in fondo, il risultato della mia ricerca è che, mentre gli esempi di quam per potius quam sono più numerosi di quanto si creda, i veri e propri positivi pro comparativo – come, del resto, era ovvio anche a priori 7– sono rarissimi, e ancor più se seguìti da abl. di paragone: ci vuole pur sempre un certo coraggio per credere a un doctis cara versibus = ‘più cara dei dotti versi’! È dunque giustificata la ricerca di un’emendazione. ‒ 2) Tra le emendazioni possibili, ductis ha il pregio di dare, con un intervento minimo (non si tratta nemmeno di una congettura, ma quasi di una ‘lettura’, dato il frequentissimo scambio u/o nel Salmasiano), un senso accettabilissimo. Basta a confutare questa emendazione l’impressione che forte debba andare con si? Non mi pare. Quell’impressione ha certo il suo peso, ma uno potrebbe rispondere che costa di più l’ammettere un cara = carior che lo staccare forte da si; e non potremmo, mi sembra, controreplicargli nulla di decisivo. D’altra parte, ti sembra davvero migliore auribus (per versibus) del Garrod? Non credo. Avrei piacere (se non ti costa troppa perdita di tempo) di sapere ancora il tuo parere su questo problema. Certo, se anche Italo insiste, non posso citarlo suo malgrado; ma c’è il rischio che un altro studioso, leggendo il mio articolo, pensi a ductis e lo proponga e riscuota consensi che erano dovuti ad Italo! Il mio giudizio limitativo sull’intero mio articolo non era dovuto ad autolesionismo, ma al fatto che, personalmente, ho poca simpatia per questo tipo di articolo linguistico-filologico. Preferisco di molto il ‘genere letterario’ della noterella critico-testuale o esegetica su un singolo passo, oppure del saggio complessivo sulla lingua o sulla personalità di un autore. Difendere una lezione tramandata contro congetture altrui è meritorio quando la difesa implica una nuova interpretazione; ma difendere un certo numero di quam non preceduti da magis o potius è davvero un inglorius labor. Comunque, ormai l’articolo l’ho scritto e non parliamone più. Un buon effetto potrebb’essere quello di incoraggiare qualcuno a fare dei sondaggi tra i codici sallustiani trascurati dagli editori recenti, per vedere se non sia stato davvero eliminato troppo frettolosamente qualche manoscritto pregevole. Su Ballaira il tuo giudizio è giusto. Avevo pensato a lui soltanto perché vorrei, questa volta, esonerare il Di Benedetto dall’obbligo di una nuova recensione che gli farebbe perdere parecchio tempo8, e perché pensavo che a Ballaira una recensione, come dici tu, «descrittiva» non avrebbe richiesto molta fatica. Forse Tandoi? Egli mi accennò tempo fa che aveva qualcosa da dire su un frammento di Iperide emendato, secondo lui a torto, dal Questa frase è aggiunta a mano in margine. Ci si riferisce alla recensione per «RFIC» all’ed. Pacella-T. degli Scritti filologici del Leopardi (cit. lett. 464), su cui vd. lett. 520. 7 8 988 Leopardi (si tratta di una congettura già pubblicata dal Sinner e accolta da Jensen). Tandoi andrebbe, ovviamente, molto meglio di Ballaira; ma non so se abbia molti impegni; potrebbe, comunque, limitarsi a una recensione breve. Hai occasione di vederlo e di accennargli a questa possibilità? Il Questa mi ha detto che ne parlerà in un quotidiano, credo la «Nazione» o il «Resto del Carlino» o entrambi. La mia memoria, che funziona peggio di un tempo, non mi permette di ricostruire come sono andate le cose quanto a quella copia dello Ziegler9. Da un lato, ora che me ne hai accennato, sembra anche a me di ricordarmi che tu mi avevi mandato una copia di questo volumetto; dall’altro, non soltanto sono pressoché sicuro di non averlo mai letto, ma non riesco a trovarlo fra i miei libri. Che il plico, da te spedito e preannunciato, non sia arrivato per un disguido postale?? Che io lo abbia perduto nel trasferimento da Pisa a Firenze?? Il libro potrò leggerlo in biblioteca, ma mi dispiace davvero di non averlo più, perché si trattava di un tuo regalo. Farò, comunque, ricerche più attente, e ti prego di scusarmi se mi ero perfino dimenticato che me lo avevi spedito. Ripeto, mi accade non di rado (stanchezza, o arteriosclerosi incipiente?) di dimenticare cose che dovrei ricordare. Ancora grazie di tutto! Siccome c’è ancora tempo, aspetto a consegnare l’articolo alla Lamacchia10, perché vorrei… il permesso di mantenere la citazione di quella congettura di Italo! Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 9 10 Vd. lett. 512. Tra i promotori della Miscellanea Ronconi: vd. lett. 516 e 519. 989 523 Firenze, 1. 2. 1970 Carissimo Scevola, grazie della lettera1 e scusami se ti ho spinto a rispondermi in un periodo in cui eri immerso in un mare di impegni. Dal Di Benedetto e dal Questa entrambi contentissimi, ho saputo che il concorso è andato benone: a questo risultato tu hai certamente contribuito in modo determinante. Ho anche saputo che Rossi ha avuto un buon piazzamento che gli gioverà in futuro. La tua opera di giudice è stata dunque preziosa. Su CE 21222 siamo sostanzialmente d’accordo. Non ho escluso del tutto l’interpretazione del Löfstedt, ma ho accentuato di più la sua scarsa probabilità, e ho citato come probabile la tua interpretazione ‘pregnante’ di parcere (il Lommatzsch formulava male l’interpretazione, richiamandosi soltanto a parcere = servare). Quanto a forte ductis3, ho aggiunto che Italo mi aveva proposto questa congettura in forma dubitativa; le tue considerazioni sono certamente giuste, e tuttavia continua a sembrarmi che tu escluda la possibilità di forte ductis con troppa recisione. Per me, una sua probabilità la soluzione indicatami da Italo continua ad averla. Con questi ulteriori ritocchi, ho consegnato l’articolo alla Lamacchia4, e di nuovo ti ringrazio per la tua lettera che mi ha salvato da inesattezze non lievi (specialmente riguardo a quel rosá in punto di Jacobsohn in quel verso delle Bacchides)5. Per me va benissimo l’idea di affidare a Silvia Rizzo la recensione del Leopardi6. Se lei dice di sì, sarebbe opportuno che la «Riv. di filol.» chiedesse la copia per recensione; e io appoggerei la richiesta. Dico questo perché la casa Le Monnier, spaventata per aver già mandato molte copie in omaggio, è diventata tirchissima e sta rispondendo di no a tutte le mie richieste di ulteriori invii; temo perciò che, se sarò soltanto io a parlargliene, mi diranno di no ancora una volta (o mi diranno di sì e poi non manderanno la copia). La «Riv. di filol.» era stata inclusa in un elenco di copie da mandare per recensione che Pacella ed io compilammo e che fu approvato da Bosco. 1 2 3 4 5 6 Non conservata. Vd. lett. precedente. Anth. Lat., 288, 6 R., su cui vd. lett. 521. Si tratta di T., Positivus pro comparativo (cit. lett. 519). Vd. lett. precedente. Vd. lett. 520. 990 Ma temo che questo elenco abbia subìto tacitamente dei tagli, per opera della Le Monnier. Grazie ancora di tutto, tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano [PS. ‒]7 Dello Ziegler non preoccuparti8. Lo cercherò ancora; e, ripeto, può darsi che lo abbia perduto nel trasloco da Pisa a Firenze. 7 8 Aggiunta manoscritta. Vd. lett. precedente. 991 5241 <febbraio, 1970>2 Carissimo Scevola, mi dice Pascucci di avere appreso da te la dolorosa notizia della morte di Fraenkel, a brevissima distanza di tempo dalla morte di sua moglie. Puoi immaginare quanto la notizia mi abbia addolorato, tanto più che mi è giunta del tutto inaspettata. Pensavo a Fraenkel come ad un uomo pieno di vigore e di vitalità, nonostante l’età avanzata. Sento ora il grande vuoto prodotto dalla scomparsa di una personalità così potente, di un uomo così ricco – pur in certe asprezze di carattere – di generosità e di umanità. A chi si possono scrivere due righe di condoglianze? Suo figlio è, mi pare, in Australia o in Nuova Zelanda, ma non so il suo indirizzo. Scriverò a Hermann Fränkel che è suo cognato. Tu da chi hai saputo la notizia? Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano [PS. ‒] Ho, a mia volta, avvertito Di Benedetto e Bornmann. Lettera manoscritta. Eduard Fraenkel morì il 5. 2. 1970. La lettera deve dunque essere di qualche giorno posteriore a questa data e precedente al 19 dello stesso mese (vd. lett. seguente). 1 2 992 525 Firenze, 19. 2. <1970>1 Carissimo Scevola, grazie della lettera e della cartolina2; grazie, in particolare, dell’indirizzo del figlio di Fraenkel3. Da una lettera di Momigliano e da un ritaglio di giornale da lui mandatomi apprendo che si è trattato di un suicidio: non ha potuto sopportare l’idea di vivere senza sua moglie e si è ucciso, con pastiglie di barbiturici, a poche ore di distanza dalla morte di lei. Ciò rende ancor più dolorosa e commovente la sua fine. Anche se, quando era tra noi, provammo talvolta insofferenza per qualche sua affettuosa manifestazione di paternalismo (e io l’ho provata e glie l’ho fatto capire t r o p p o , e ora me ne dispiace), non dimenticheremo il suo ingegno, la sua dedizione alla filologia, l’affetto che ha avuto per noi scolari di Pasquali e per i suoi allievi più giovani. Per il Leopardi va benissimo anche Avesani, se ne ha voglia e tempo4. Se no, ripeto, basta anche una ‘scheda’ redazionale, che informi che nel volume si trovano soprattutto contributi ai tali e tali autori. E grazie di tutte le seccature che ti sei preso per trovare un recensore, in un periodo così pieno, per te, di gravosi impegni d’ogni genere. Quanto al parcere di quell’iscrizione5, il Kroll, citato dal Lommatzsch, ne dava solo una libera parafrasi, dalla quale non risulterebbe nemmeno con assoluta certezza che egli intendesse come più tardi intese il Lommatzsch e non come aveva inteso il Löfstedt6. Ma l’interpretazione del Lommatzsch, presentata in quel modo, con quel richiamo a parcere = servare e basta, era insoddisfacente; essa diviene probabile solo con la tua precisazione del significato di ‘precedenza’ che bisogna sottintendere. I più affettuosi saluti e ancora grazie dal tuo Sebastiano L’anno si ricostruisce sulla base del confronto con la lettera precedente. Non conservate. 3 Vd. lett. precedente. 4 Vd. lett. 520. 5 CLE 2122 Bücheler, su cui vd. lett. 522. 6 W. Kroll, Literaturbericht für das Jahr 1912: Syntax, «Glotta», 6, 1915, pp. 348-80: p. 367. 1 2 993 [PS. ‒]7 Quando avrai gli estratti dell’interessantissimo articolo sull’Aegritudo Perdicae8 (o t t i m o anche dal punto di vista metodologico!), ti prego di mandarmene uno. 7 8 Aggiunta manoscritta. Vd. lett. 104. 994 526 Firenze, 1. 3. 1970 Carissimo Scevola, quelli della casa Le Monnier mi hanno assicurato che manderanno sùbito il volume leopardiano ad Avesani1. Sono molto contento che abbia accettato di fare la recensione, e ti ringrazio di nuovo della premura che ti sei preso per trovare il recensore. Auguri – superflui! – per la lectura Dantis. Spero di vederla poi pubblicata2. Grazie del giudizio molto amichevole sul mio profilo di Pasquali3. Ma probabilmente, volendo sfuggire l’agiografia e il tono ‘commosso’, ho finito per cadere nella freddezza e in un certo dottrinarismo. La figura di Pasquali non ho saputo farla ‘vivere’. Meglio, credo, mi è riuscito l’Ascoli4. Quanto al Comparetti, sono largamente debitore (ed era inevitabile) al saggio di Pasquali5. Sono contento di sapere, dopo tanto tempo, notizie di Campana. Lo ricordo sempre con grande affetto e mi dispiace di avere, da quando sto a Firenze, così rare occasioni di vederlo. Non ricordavo, e forse non avevo letto, l’articolo di Fraenkel sul Selbstmord6. L’ho letto ora. Hermann Fränkel, rispondendo alla mia lettera, mi ha confermato che si è trattato di un suicidio7; anche per lui e sua moglie la notizia è giunta del tutto inaspettata e li ha lasciati sbigottiti. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano Vd. lett. 520. S. M., Il canto VI del ‘Paradiso’, in Nuove letture dantesche (Casa di Dante in Roma), V, Firenze 1972, pp. 375-404 (= SMU, pp. 87-113; SMU 2 = SMU 3, pp. 115-42). 3 S. T., Giorgio Pasquali, in Letteratura italiana. I critici, a cura di G. Grana, Milano 1969, III, pp. 1803-25, 1831-5. 4 S. T., Graziadio Isaia Ascoli, ibid., I, pp. 303-21. 5 S. T., Domenico Comparetti, ibid., pp. 491-504, 508-10. 6 E. Fraenkel, Selbstmordwege, «Philologus», 87, 1932, pp. 470-3 (= Id., Kleine Beiträge zur klassischen Philologie, I, Roma 1964, pp. 465-7). 7 Vd. lett. 524. 1 2 995 527 Firenze, 8. 4.<1970>1 Carissimo Scevola, contraccambio a voi tutti (e scusami de ritardo!) i più cari auguri anche da mia madre e da Maria Augusta2. Spero di vedere presto pubblicata la tua lectura Dantis3: mi rallegro fin da ora che tu abbia trovato cose nuove e che la lezione abbia avuto pieno successo. Ho ascoltato per radio il tuo ricordo di Fraenkel e l’ho trovato ottimo, sia come rievocazione affettiva, sia come caratterizzazione della sua personalità di studioso. Io dovrò scrivere un breve ricordo per l’«Atene e Roma»4 e, inevitabilmente, ripeterò in gran parte ciò che hai già detto tu. Il tuo ricordo sarà pubblicato sull’«Approdo»? o altrove5? Avevo sempre pensato che in Ennio ann. 242 si dovesse accogliere nel testo, anche se isolata, la lezione quicum del Vossianus minor (cioè del Voss. lat. F 112, indicato comunemente come X), e con ogni probabilità si dovesse restituire quicum anche al v. 234. Me lo faceva pensare, da un lato l’inverosimiglianza che un arcaismo come quicum in un cod. fosse dovuto a errore, dall’altro il fatto che Plauto ignora o totalmente o quasi totalmente quocum e, ancora, il fatto che Virgilio, in un contesto che presenta qualche somiglianza con questo di Ennio (Aen. 11, 822), ha quicum partiri curas (altri passi paralleli si potrebbero citare)6. Ma siccome quella variante di X, menzionata da Hertz, non compare negli apparati critici di Hosius e di Marshall, ho scritto a Leida per averne conferma. Mi hanno risposto che il codice ha, chiaramente, quocum. Guarda un po’ che caso! Una lectio difficilior, e così ben appoggiata da passi paralleli, che si rivela un mero errore di Hertz! O che, invece, quicum sia tramandato da un altro codice, e Hertz abbia confuso soltanto la sigla? Ad ogni modo si tratta di una minuzia troppo insignificante, e non vale la pena di insisterci. Tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano L’anno si ricava dall’accenno alla recente morte di Fraenkel, su cui vd. le tre lettere che precedono. 2 Vd. lett. 505. 3 Vd. lett. precedente. 4 S. T., Ricordo di Eduard Fraenkel, «A&R», s. 5, 15, 1970, pp. 89-103. 5 Vd. lett. seguente. 6 Di fianco T. aggiunge a mano: «Non ricordo se ne avevamo già parlato». Per un cenno a questo frammento (per altra ragione confrontato con ann., 234 V.2) vd. lett. 15. 1 996 528 Firenze, 28. 4. 1970 Carissimo Scevola, grazie della cartolina da S. Remo (dalle firme vedo che c’è stato un concentramento di molti illustri filologi!), e grazie di aver letto il ricordo di Fraenkel che ho buttato giù per l’«Atene e Roma»1. L’avevo mandato a Rossi perché non volevo seccarti se per caso eri in un periodo di lavoro e di impegni particolarmente intensi, ma gli avevo scritto di passarlo a te se gli sembrava opportuno. Sono contento che, nell’insieme, ti sia sembrato accettabile. Temo che, come ‘ricordo’, sia un po’ troppo freddo, mentre d’altra parte, come saggio, è troppo breve; ma ormai lo lascerò così, apportandovi solo qualche ritocco. Ti rimando la copia del tuo articolo per la «Nazione», che mi è piaciuto moltissimo2. Vedo che sostanzialmente coincidiamo nel modo di ‘vedere’ Fraenkel: me ne ero già accorto quando sentii per radio il tuo ricordo; non avevo allora finito ancora di scrivere il mio, e qualche eco del tuo è penetrata nelle mie pagine. Se ricordo bene, il testo che fu letto alla radio non coincideva in tutto con quello che hai mandato alla «Nazione»; c’erano in più delle osservazioni (per es. sullo Horace) che non dovrebbero andar perdute. Spero quindi che anche il testo della RAI sia pubblicato: forse sull’«Approdo»? Ti scriverò poi più a lungo; intanto i più affettuosi saluti dal tuo Sebastiano T., Ricordo di Eduard Fraenkel (cit. lett. precedente). S. M., Ricordo di Eduard Fraenkel, «La Nazione del lunedì», 25 maggio 1970, p. 3 (= SFC, pp. 612-4). 1 2 997 529 Firenze, 3. 9. 1970 Carissimo Scevola, ti scrivo a Pesaro immaginando che tu non sia ancora ritornato a Roma. Come va? Avete passato una buona estate? Noi siamo stati un po’ ad Antignano (vicino a Livorno); ora abbiamo ripreso il lavoro, io alla Nuova Italia e la Maria Augusta1 all’Archivio di stato. Ti mando l’estratto della recensione a Skutsch finalmente uscita2 (e accludo un’altra copia per Italo, che suppongo sia anche lui a Pesaro)3: recensione che deve molto ai tuoi suggerimenti. Skutsch, appena l’ha vista pubblicata (ma ne conosceva già il testo, come sai)4, mi ha subito scritto un’altra lettera chilometrica ringraziandomi ma ribadendo anche i suoi noti punti di vista sulle ‘leggi metriche’, sempre coi soliti (pseudo)-argomenti ripetutimi centinaia di volte dal 1948 ad oggi! Forse in autunno verrà a Firenze per ripetermeli ancora una volta a voce, in buon latino! Hermann Fränkel mi ha mandato poche copie della traduzione italiana (parziale, pubblicata presso Le Monnier) della sua Introduzione all’edizione critica di Apollonio Rodio (uscita col titolo Testo critico e critica del testo)5. Mi prega di distribuirle a studiosi italiani, perché in America, dice, una traduzione italiana del suo lavoro non interessa. Tu e Italo l’avete? Se uno di voi (o tutt’e due) non la possiede, ve ne mando rispettivamente una o due copie, sempreché vi interessi. Certo questa edizione italiana (tradotta dal Canfora con prefazione di Lallo Russo un po’ rodomontesca) non aggiunge nulla di nuovo a quella tedesca, e anzi è priva di parti interessanti. Ne ho fatto tuttavia una recensione elogiativa6 per «Maia»7, per far piacere a Fränkel che è un uomo, anche dal punto di vista umano, molto simpatico. Vd. lett. 505. Rec. a Skutsch, Studia Enniana (cit. lett. 502). 3 Parole aggiunte a mano in margine. 4 Vd. lett. 515 e 517-8. 5 H. Fränkel, Testo critico e critica del testo, traduzione dal tedesco di L. Canfora, nota di C.F. Russo, Firenze 1969. 6 L’aggettivo è aggiunto a mano in margine. 7 S. T., Due introduzioni alla critica del testo, «Maia», 22, 1970, pp. 285-90 (si tratta della recensione al vol. di H. Fränkel di cui alla nota precedente e a L.D. Reynolds-N.G. Wilson, Copisti e filologi, Padova 1969). 1 2 998 Tanti saluti affettuosi, sempre nella speranza di rivederci presto a Firenze o a Roma, dove conto d a v v e r o d i fare una gita in autunno. Il tuo Sebastiano PS. ‒8 Nel caso che tu ed Italo abbiate già l’opuscolo fränkeliano, potrei forse, che tu sappia, mandarne una copia a Zicàri? 8 Aggiunta manoscritta. 999 530 Firenze, 1. 11. 1970 Carissimo Scevola, grazie della cartolina da Istanbul. Immagino che il viaggio in Oriente sia stato interessantissimo. Io non sono mai stato da quelle parti, ma la Maria Augusta1 vari anni fa andò ad Istanbul con una crociera e ne rimase ammirata. Mentre tu gioivi sul Bosforo, io gemevo a Firenze, dove Skutsch si è fermato per cinque giorni allo scopo di ridiscutere ancora una volta con me le solite ‘leggi’ prosodico-metriche enniane2! Ho proprio l’impressione che Ennio sia diventato per lui più una ‘fissazione’ che un oggetto di studio. Tuttavia, per fortuna, dopo i primi due giorni ha accettato di parlare anche del più e del meno: della sua famiglia, dei tempi duri che trascorse in Inghilterra nei primi anni della guerra (benché fosse fuggito dalla Germania per sfuggire alla persecuzione antiebraica, appena scoppiata la guerra lo misero, in quanto tedesco, in un campo di concentramento), di Robert Weiss la cui morte gli ha arrecato un grande dolore, e via dicendo: cosicché ho avuto di nuovo, anche più delle volte precedenti, l’impressione che, a parte i suoi puntigli filologici, sia una gran brava persona. Non so se ti è giunta una lettera che ti avevo indirizzato a Pesaro ai primi di settembre (insieme a un estratto della recensione a Skutsch, uscita finalmente su «Gnomon»)3. Ti chiedevo, fra l’altro, se vi faceva comodo una copia della traduzione parziale dell’Einl. zur krit. Ausg. des Apollon. Rhod. di Hermann Fränkel, uscita da Le Monnier col titolo Testo critico e critica del testo. Me ne ha mandate varie copie lo stesso Fränkel, incaricandomi di distribuirle fra studiosi italiani. Molto probabilmente tu l’avrai già, ma saprai di qualche amico o di qualche tuo scolaro romano a cui può interessare. È uscita una nuova edizione dei Cesti di Giulio Africano, a cura di quello stesso Vieillefond che aveva curato quell’edizione che avevo tenuto presente a proposito del Leopardi (ricorderai l’articolo che tu mi facesti pubblicare negli «Studi Urbinati», e che conteneva anche tuoi contributi critico-testuali)4. Questa nuova edizione è molto migliore della precedente, anche se in parecchi punti Vieillefond ha mantenuto a torto lezioni o con- 1 2 3 4 Vd. lett. 505. Vd. lett. precedente. Si tratta della lett. precedente. J.-R. Vieillefond, Les ‘Cestes’ de Julius Africanus: Étude sur l’ensemble des fragments 1000 getture da lui adottate allora. Ti interesserebbe una b r e v e recensione per la «Rivista»5? Naturalmente, trattandosi di greco, suppongo che l’ultima parola spetti a Maddalena. Il volume lo possiedo già: me l’ha fatto mandare il Vieillefond, che nel frattempo ho conosciuto personalmente, perché è stato per vari anni direttore dell’Istituto francese di Firenze (e l’edizione è stata pubblicata appunto da questo Istituto); ora non è più qui, perché l’anno scorso ha avuto una cattedra a Grenoble. La recensione la farei non subito, ma tra qualche mese. Se, come credo, sei impegnato con esami, non aver nessuna fretta a rispondermi. Tanti saluti affettuosi da noi tutti. Il tuo Sebastiano [PS. ‒]6 Skutsch mi ha chiesto con una certa ansia se la tua replica su At tu non ut sum … uscirà presto7. Sulle leggi metriche, e in particolare su pulvís, ha scritto un articolo di replica a me, che invierà a «Glotta»8. Ripete ancora una volta le stesse cose, e quindi non controreplicherò. avec édition, traduction et commentaires, Firenze-Paris, 1970 (19321). Sull’art. di T. vd. lett. 194 e 540-2. 5 La recensione uscirà in «RFIC», 100, 1972, pp. 213-9. 6 Aggiunta manoscritta. 7 Sul frammento vd. lett. 91. 8 O. Skutsch, The Prosody of Pulvis, «Glotta», 49, 1971, pp. 142-3. Su pulvis in Enn. ann., 282 V.2 vd. lett. 102. 1001 531 Firenze, 27. 11. 1970 Carissimo Scevola, moltissime grazie della tua lettera dell’8 novembre1, alla quale rispondo con tanto ritardo. Tutto ciò che mi hai scritto sulla Polonia è estremamente interessante: credo che tu abbia potuto scorgere con acutezza e con grande obiettività tutti gli aspetti positivi e negativi della vita sociale e culturale di laggiù: il che è cosa rara. In questi ultimi tempi hai viaggiato in lungo e in largo: ammiro questo tuo dinamismo, io che sto diventando sempre più tartaruga! Ti spedisco oggi a parte due copie del volumetto del Fränkel2: ottima la tua idea di darle alla Rizzo e a Gamberale, o se loro le avessero già, ad altri tuoi scolari a cui credi che il volumetto possa interessare. D’accordo per la recensione al Vieillefond, che spero di mandarti entro i primi mesi del 19713. Sono contento che questo libro sia capitato (nell’ambito della «Rivista») sotto la tua giurisdizione, e non sotto quella di Maddalena! Se hai già avuto occasione di scorrere il volume, avrai visto che esso, pur rappresentando un indubbio progresso sulla vecchia edizione, avrebbe potuto essere ancora migliore se Vieillefond in qualche punto non si fosse ostinato a difendere sue vecchie soluzioni poco felici. Tuttavia direi che, in complesso, l’opera merita di essere lodata. Ti do ora una piccola seccatura. La Nuova Italia ripubblica l’Aristotele perduto di Bignone4, con l’aggiunta dei saggi di argomento affine che Bignone andò pubblicando su varie riviste negli anni successivi. Questa nuova edizione non reca – come è giusto – nessun ‘aggiornamento’: solo correzioni di vari refusi e sviste, e indicazioni dei numeri dei frammenti di Aristotele secondo il Walzer (già indicati, ma solo in parte, dal Bignone) e il Ross. Questi ritocchi sono stati curati dalla bignoniana Alda Barbieri. Io non faccio altro che rivedere le bozze (così ho avuto l’occasione di rileggermi, dopo più di venti anni dalla prima lettura, quest’opera in cui indubbie idee geniali, mi sembra, sono annegate in interminabili tirate retoriche e in manifestazioni di ridicola vanità e di cavillosità; tuttavia pur sempre un’opera che fa una certa impressione). Ora, nei saggi aggiunti sono più volte citati gli articoli nei quali in parte confermasti e in parte discutesti i risultati 1 2 3 4 Lettera non conservata. Vd. le due lett. precedenti. Vd. lett. precedente. E. Bignone, Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro, Firenze 1936. 1002 di Bignone. In una pagina (di cui ti accludo fotocopia)5 è preannunziato un tuo articolo che non sono riuscito a identificare. Io conosco, dello Scevola ‘aristotelico’, un articolo negli «Studi ital.» su una testimonianza dell’Eudemo in Servio6, un altro, assai bello e ampio, nell’«Atene e Roma» del 19407, e la nota macrobiana in cui difendi la lezione endelecheia8. Ma probabilmente ci sono altri tuoi contributi di quegli anni che non conosco. Sapresti dirmi (in modo che lo possa aggiungere sulle bozze in una nota tra partentesi quadre) a quale tuo articolo si riferiva Bignone? La cosa non è per nulla urgente, perché prima che l’opera si stampi occorreranno ancora vari giri di bozze. Immagino che di questi tuoi primi lavori non avrai più estratti. Se per caso ne avessi, potresti (anche questo senza alcuna fretta) mandarmeli? Avrei di te opera omnia se non mi mancassero appunto quegli articoli aristotelici. Scusa9, grazie di tutto e tanti saluti affettuosi, nella speranza – d a v v e r o ! – di rivederci presto. Il tuo Sebastiano Si tratta della fotocopia di p. 139 in cui T. ha sottolineato la seguente frase: «Di questi testi del De republica tratterà il Mariotti in uno speciale articolo», segnalandola a lato con un punto interrogativo. A piè di pagina ha aggiunto «(dal vol. collettivo Italia e Grecia, 1939)». Non risulta che M. abbia pubblicato le osservazioni segnalate da Bignone. 6 S. M., Un passo di Servio e l’ ‘Eudemo’ di Aristotele, «SIFC», n.s., 15, 1938, pp. 83-5 (= SFC, pp. 347-8). 7 S. M., Nuove testimonianze ed echi dell’Aristotele giovanile, «A&R», s. III, 8, 1940, pp. 48-60 (= SFC, pp. 349-59). 8 S. M., De quibusdam Macrobii et Martiani locis ad codicum lectionem restituendis, «ASNP», s. II, 9, 1940, pp. 196-7 (= SFC, pp. 363-4). 9 Quest’ultima frase è manoscritta. 5 1003 532 Firenze, lunedì [12. 1970]1 Carissimo Scevola, ho letto e riletto i Cornelii Galli hendecasyllabi2, ma non mi viene in mente alcuna proposta nuova. Le tue congetture continuano a sembrarmi ottime (la più bella di tutte è scortum nobile3!), e giusta mi sembra anche la tua tendenza a tollerare p. es. percitentur al v. 11 e altre singolarità di questo genere. Anche impia al v. 4, tutto sommato, mi parrebbe tollerabile (ma, come ti ho già detto, ne so troppo poco in fatto di ‘allungamenti in arsi’ in poeti di quest’epoca). Al v. 18 un ultraconservatore potrebbe limitarsi a scrivere ten ego aspiciam et videre possim? (rinunciando ad aspicere, che certo darebbe un costrutto più simmetrico). Su tutto il resto non ho che da approvare le tue soluzioni: anche concubia vagata nocte mi sembra, oltreché molto bello, pressoché sicuro4. Ho ripensato anche agli argomenti che mi hai esposto pro e contro l’ipotesi del falso intenzionale. Certo è difficile decidere; ma rimane in me (come, mi pare, anche in te) l’impressione che il falso intenzionale sia pur sempre l’ipotesi più probabile. Ho l’impressione che la tua edizione del carme e le tue considerazioni su di esso lasceranno ben poco spazio a ulteriori contributi: tutto quello che si poteva dire l’hai detto tu egregiamente. Ho scorso in lungo e in largo la Storia della tradizione, ma senza riuscire a trovare quel passo in cui Pasquali dice che «la storia non è mai così facile a farsi come quando c’è un solo documento». Cercherò ancora; ma, anche se non lo troverò, non sarà un gran male, perché quel passo non ha in realtà niente a che vedere con la tesi da te giustamente sostenuta quanto alle tradizioni ‘ricche’ e ‘povere’5. Direi, piuttosto, che sia forse opportuna una precisazione (già implicita, del resto, in ciò che tu osservavi). È illogico L’aggiunta tra parentesi quadre è di M. (si tratta probabilmente del 7 o del 14 dicembre, considerato che la risposta di M., non conservata, portava la data del 18, come si ricava dalla nota di M. riprodotta a nota 9). 2 Il contributo di M., Cornelii Galli Hendecasyllabi (con una postilla di Augusto Campana), uscirà in Tra latino e volgare. Per Carlo Dionisotti, Padova 1974 (= SMU, pp. 157-80; SMU 2 = SMU 3, pp. 213-36 con un addendum 1993). 3 Al v. 13. 4 Al v. 24. 5 Sull’argomento M. scrisse ‘Codex unicus’ e editori sfortunati, «StudUrb(SB)», 45, 1971 (Studi in onore di Leone Traverso), pp. 837-40 (= SFC, pp. 487-90). 1 1004 – qui hai perfettamente ragione –, di fronte ad un testo tramandato da un solo codice, deplorare che esso non sia tramandato da più codici. Rimane invece legittimo, se non sbaglio, di fronte ad un testo tramandato da un solo codice A, desiderare il ritrovamento di altri codici B, C ecc., poiché essi (a meno che, naturalmente, non si rivelino poi descripti da A) arricchirebbero effettivamente la tradizione, cioè consentirebbero di ricostruire uno stadio anteriore ad A. In altri termini: se io dico che, tra l’autore x che è tramandato da un solo manoscritto e l’autore y che è tramandato da dieci manoscritti, è più fortunato il secondo, dico una sciocchezza, per i motivi che tu hai ottimamente messo in luce. Se invece dico che, tra una situazione in cui l’autore x è tramandato da un solo manoscritto e un’altra situazione in cui quello stesso autore fosse tramandato da quello stesso manoscritto più altri non descripti, questa seconda situazione sarebbe più favorevole, dico una cosa giusta. Tutto ciò, intendiamoci, è talmente ovvio che può rimanere benissimo sottinteso. È evidente che la tua obiezione colpisce le prese di posizione del primo tipo (cioè i lamenti generici sulle ‘povertà della tradizione’), e come tale è del tutto ineccepibile. La nostra conversazione, durata troppo poco, mi ha lasciato un grande desiderio di rivederti presto e più a lungo. Scusami ancora se non ero libero dopo cena. Arrivederci a Roma in gennaio, se non avrai prima occasione di ripassare per Firenze. Tantissimi saluti a tutti voi anche da mia madre e da Maria Augusta6. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano PS. –7 Nella Miscellanea Ronconi, alla fine dell’articolo di Cesare Grassi8, c’è un suo ringraziamento rivolto a me, da cui potrebbe sembrare che io aderissi almeno in parte alla sua tesi (secondo la quale in patrem =   si avrebbe un allungamento della vocale!). Ci tengo a chiarire che io non condivido affatto questa opinione (che è poi il ritorno alla vecchia teoria scolastica della vocale che ‘si allunga’ davanti a due consonanti). Il mio contributo a quell’articolo è consistito solo in vani tentativi di far desistere il Grassi dalla sua tesi: col risultato che egli, per evitare le obiezioni, del resto ovvie, che avevo fatto alla prima stesura dell’articolo, ne ha scritto una seconda ancora più confusa9! Vd. lett. 505. Aggiunta manoscritta. 8 C. Grassi, Sulla sillabazione di ‘muta cum liquida’ nella poesia latina, in Studia Florentina (cit. lett. 519), pp. 121-33. 9 Sulla prima pagina un estratto della risposta di M.: «io 18/12: Perfettamente d’accor6 7 1005 533 Firenze, 16. 1. 1971 Carissimo Scevola, tu invochi la «più spietata severità», ma credo che anche il lettore più malevolo di questo mondo non possa che consentire con quello che scrivi nel tuo articolo1. Ne ero, del resto, sicuro, avendo già dalla tua esposizione orale compreso che avevi perfettamente ragione. Anche la precisazione di cui ti accennai per lettera è chiaramente indicata nell’articolo – ed era, del resto, già implicita fin dall’inizio nel tuo ragionamento –. Credo, dunque, che nessun Avalle potrà trovar da ridire! A proposito: quale editore di Torino ha pubblicato l’Introduzione alla critica del testo di Avalle, che ancora non conosco2? Einaudi, o un altro? È vero: siamo stati a Roma per capodanno, e abbiamo visto i Campana. Ma torneremo tra non molto, anche perché devo vedere qualcosa in biblioteca. A presto, dunque. Tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano do sulla legittimità – anzi sull’ovvietà – che chi dispone di un codex unicus (come anche chi dispone di molti codici!) desideri il ritrovamento di altri codici (non descripti). Era la situazione in cui mi sono trovato quando avevo solo il Laurenziano dello ps.-Gallo. Evidentemente per ogni nuovo codice di cui si venga a conoscenza aumentano in astratto le probabilità di avvicinarsi – se non di raggiungere (perché il nuovo codice potrebbe essere anche l’autografo!) – l’originale. Ma, come hai ben visto, il mio ragionamento vale contro chi dice che una tradizione fondata su un solo codice è più sfavorevole di un’altra fondata su più codici… ». 1 M., Codex unicus e editori sfortunati (cit. lett. precedente). T. risponde a una lett. non conservata con cui M. gli inviava il dattiloscritto dell’articolo. Vd. lett. seguente. 2 Il volume di Avalle fu pubblicato nel 1970 da Giappichelli. 1006 534 Firenze, 23. 1. 1971 Carissimo Scevola, ti ringrazio moltissimo di avermi mandato in prestito il libro di Avalle1. Vedo che, tutto sommato, è abbastanza utile, e quindi lo ordino anch’io e ti rimando la tua copia. Certo anche questo libro (che dovrebbe costituire il primo saggio di un trattato più ampio e completo) presenta i soliti pregi e difetti dell’Avalle: da un lato c’è una indubbia conoscenza di molte tradizioni manoscritte romanze; dall’altro, un ridicolo esibizionismo pseudoscientifico, per cui, fin dalle prime pagine, per dire cose semplicissime, si tirano in ballo formule, funzioni matematiche ecc., al solo scopo di é p a t e r gli studenti e i colleghi di Lettere. Lo strutturalismo, con la sua concezione esclusivamente matematizzante, teoricistica, platonizzante della scienza, col suo sovrano disprezzo per tutto ciò che è ‘empirico’, sta diffondendo il suo influsso anche sulla filologia, con risultati che a me sembrano pessimi. I più pronti ad assimilare questa roba sono stati i filologi romanzi (dove già lo snobismo e l’‘alta ciarlataneria’ di Contini avevano preparato il terreno); ma c’è da temere che anche la filologia classica ne risulti contagiata. Proprio perciò sono preziosi articoli come quello che tu hai scritto per la Miscellanea Traverso2: articoli metodologici, ma volutamente alieni da ogni ostentazione metodologistica. La «mia proposta» a quel passo dello pseudo-Gallo, se ricordo bene, era mia solo per modo di dire, perché consisteva nell’accogliere solo una parte di una t u a proposta3. Direi, perciò, che sia davvero del tutto superfluo che tu mi nomini. Sono molto contento che la proposta di identificazione dell’«operetta greca sconosciutissima» col Discorso ai giovani di Basilio ti sembri plausibile4. Purtroppo ho saputo solo recentemente (a Roma, da Avesani che vidi in casa di Campana) che Mariano Raoss, di cui in quell’articoletto discutevo una precedente proposta, è immaturamente scomparso. Tu lo avevi conosciuto? Era un rosminiano molto dotto e bravo, che aveva studiato il Mai a fondo e sarebbe stato l’unico capace di portare a termine l’edizione Vd. lett. precedente. M., ‘Codex unicus’ e editori sfortunati (cit. lett. 532). 3 Si tratta del v. 18; vd. M., Cornelii Galli Hendecasyllabi (cit. lett. 532), app. ad loc. 4 Allude alla lettera di Leopardi al padre del 5 marzo 1823, su cui vd. T., Alcuni studi su codici greci Barberiniani compiuti da Giacomo Leopardi nel 1823, «Differenze», 9, 1970 (= Studi in onore di Carlo Ascheri, Urbino 1971), pp. 357-79. 1 2 1007 dell’epistolario del Mai, rimasta interrotta al primo volume dopo la morte di Gervasoni5 (ma Raoss era molto superiore a Gervasoni per preparazione e intelligenza). In questi ultimi anni si era dedicato anche a studi di storia antica, con Accame. Non aveva neppure quarant’anni e la sua morte mi ha molto addolorato. Grazie ancora di tutto, tanti saluti affettuosi e a presto dal tuo Sebastiano [PS. ‒] Hai visto le Esercitazioni sull’Eunuco di Fraenkel pubblicate su «Belfagor»6? Sono anch’esse interessanti, ma il seminario romano sul Filottete è redatto molto meglio7. A. Mai, Epistolario I, giugno 1799-ottobre 1819, a cura di G. Gervasoni, Firenze 1954. Dalle esercitazioni di Eduard Fraenkel sull’Eunuchus, a cura di R. Roncali, «Belfagor», 25, 1970, pp. 673-89. 7 Appunti del seminario tenuto all’Istituto di Filologia classica dell’Università di Roma da Eduard Fraenkel sul Filottete di Sofocle, 13-31 maggio 1968, redazione di D. Alecu et al., Roma 1969 (ed. fuori commercio in 300 copie numerate), rist. in Due seminari romani (cit. lett. 462). 5 6 1008 535 Firenze, 16. 3. <1971>1 Carissimo Scevola, ti ringrazio di tutto cuore per le tue osservazioni alla mia recensione a Munari2. Come sempre, la tua lettera mi è stata preziosa. Sopprimo senz’altro l’osservazione su quamvis / quatenus / quantus, da te confutata in modo definitivo; e mi persuado anch’io che, con tutta probabilità, E è copia (diretta o indiretta) di G. Mantengo il mio tentativo d’interpretazione di satiavit sentibus artus, ma accentuandone l’incertezza: si tratta, in effetti, di un tentativo arrischiato, e tutto sommato la tua interpretazione rimane la più probabile. Sono rimasto anch’io addoloratissimo della morte improvvisa di Paladini. Lo avevo conosciuto personalmente nel 1967, a Recanati, a un congresso leopardiano; e, mentre avevo avuto precedentemente qualche prevenzione nei suoi riguardi, mi fece un’impressione simpaticissima, di persona dotta ed eccezionalmente umana. Poi ci eravamo qualche volta scritti e scambiati estratti, ed era stato sempre molto cordiale e affettuoso verso di me. La notizia della sua scomparsa, così inaspettata, mi ha molto addolorato. Avrai saputo che Devoto non è stato bene: recatosi a Udine per tenere una conferenza, ha avuto un leggero attacco di paralisi in treno. Non so se sia ancora ricoverato all’ospedale di Udine (dove gli ho scritto due righe di auguri giorni fa) o sia tornato a Firenze; comunque, le ultime notizie che ho saputo sono buone, pare che si sia ripreso completamente. Ma anche la notizia della sua malattia, che appresi contemporaneamente a quella della morte di Paladini, mi ha accresciuto la tristezza. Mia madre ti ringrazia moltissimo delle gentili parole a proposito del suo volumetto3. A voi tutti i nostri saluti più cordiali (spero che Flavia4 si sia rimessa dall’influenza, che anche qui a Firenze sta imperversando). A te ancora grazie e un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano L’anno si ricava dal riferimento alla morte di Virgilio Paladini (3 marzo 1971). La rec. di S. T. a M. Valerio, Bucoliche, a cura di F. Munari, Firenze 1970, sarà pubblicata in «A&R», s. V, 16, 1971, pp. 138-41. 3 Si allude probabilmente a M. Timpanaro Cardini, Pseudo-Aristotele, De lineis insecabilibus, Introduzione, traduzione e commento, Milano-Varese 1970. 4 Vd. lett. 313. 1 2 1009 536 Firenze, 17. 4. 1971 Carissimo Scevola, Ronconi mi ha passato una copia della relazione che hai tenuto alla Normale1. È una relazione eccellente sia per l’acutezza e l’equilibrio dei giudizi sui vari filologi-normalisti, sia per il sobrio e pur vivo calore umano con cui rievochi le loro figure. Particolarmente belle, sotto questo secondo aspetto, le parole che dedichi a Walter Ferrari (io purtroppo non l’ho conosciuto; e da ciò che Pasquali e adesso tu ne avete detto comprendo quanto ho perduto)2. Anche Mancini è rievocato e caratterizzato in modo eccellente3, e così tutti gli altri4. Ma tu, a quanto mi ha detto Ronconi, volevi da me alcune precisazioni su punti particolari: se Piccolomini e Vitelli hanno avuto incarichi alla Normale, se si possono raccogliere notizie sui rapporti Teza-Puntoni, se il Bongi è stato normalista. Purtroppo su questi punti io non ho notizie esatte. Ho consultato vecchi appunti miei di storia della filologia, ma senza trovare niente che faccia al caso. Di Puntoni sapevo molto meno di ciò che tu sai e dici. Del Piccolomini ricordo la prolusione tenuta all’università di Pisa (Dell’essenza e del metodo della filologia classica, molto pregevole)5, del Vitelli i ben noti Ricordi di un vecchio normalista6; ma su loro incarichi alla Normale non so niente. La sola cosa che mi sembra di ricordare con esattezza è che il Bongi sia stato normalista (si laureò, mi pare, con Giarratano)7, prima di diventare assistente di Bignone a Firenze e di morire ancora giovanissimo. Immagino che su tutti questi punti la documentazione dovrebbe trovarsi negli archivi della Normale, e che Antonio Carlini dovrebbe trovarla. O ne hai già parlato con lui? Di una sola cosa vorrei pregarti: di togliere la mia menzione come studioso che «ha avuto il suo peso nella vita della Normale». Io ho seguito alcuni seminari di Fraenkel, di Campana, di Perosa e tuoi, ma ciò non giustifica evidentemente una frase cosi ‘impegnativa’: tanto più che molti altri 1 2 3 4 5 6 7 Apparirà poi col titolo di Filologi classici ex-normalisti (cit. lett. 422). Sul Ferrari vd. lett. 422. Di Augusto Mancini (vd. lett. 439) il giovane M. aveva seguito le lezioni alla Normale. «e così tutti gli altri» è un’aggiunta manoscritta. Firenze 1875. Vd. lett. 537-8. Bologna 1931. Le parole fra parentesi sono aggiunte a mano. 1010 laureati non normalisti (Grassi, Manfredi, Bornmann: cito i primi che mi vengono in mente) hanno assistito più o meno continuativamente, come me, a seminari della Normale. È meglio limitarsi a menzionare coloro che sono stati effettivamente normalisti o perfezionandi. Per di più, tu hai rigorosamente escluso i viventi (e hai fatto bene), e quindi io devo, anche in quanto ‘vivente’, essere escluso dal novero! Ho dato a Ronconi la recensione al M. Valerio di Munari8 corretta secondo i tuoi suggerimenti. Sto frugando tra vecchie scartoffie per vedere se trovo qualcosa da mandare per la Miscellanea in onore di Cataudella9; ma trovo soltanto quisquilie. Comunque, se riuscirò a mettere insieme tre o quattro pagine di noterelle, te le manderò prima, come al solito. Grazie ancora di tutto, tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano [PS. ‒] Restituisco a Ronconi (così mi ha detto lui) il tuo dattiloscritto. Accludo due estratti che f o r s e mi ero dimenticato di mandarti. Se invece te li avevo già mandati, distruggili pure10. T. rec. a M. Valerio, Bucoliche (cit. lett. precedente). In Studi classici in onore di Quintino Cataudella, III, Catania 1972, pp. 159-74 T. pubblicherà Postille ai frammenti del de re publica di Cicerone. 10 Le parole da «Accludo» a «pure» sono aggiunte a mano. 8 9 1011 537 Roma, 30. 4. 1971 Carissimo Sebastiano, ti ringrazio molto della lettura (e del giudizio troppo favorevole) della conversazione sui normalisti1. È stata una cosa preparata in fretta, per mantenere un impegno che mi aveva fatto prendere quasi a forza Walter Binni e a cui sarebbe stato molto più adatto La Penna, non meno di me ex-normalista. Ronconi ti ha trasmesso come mie ‘domande’ quelli che erano solo alcuni dei miei dubbi: non potevo ovviamente pretendere che tu sapessi degl’incarichi alla Normale di Piccolomini e Vitelli! Ti sono grato di avermi indicato la prolusione pisana di Piccolomini (è una pubblicazione a parte?)2. La leggerò con interesse, dato il livello dell’uomo e il tuo giudizio favorevole. Ne ricaverò anche l’anno in cui andò a Pisa, e qui a Roma cercherò di trovare, nei vecchi annuari, in quale anno fu trasferito qua: sarei curioso di sapere ‒ o di supporre con qualche fondamento ‒ se il passaggio del giovane Romagnoli dalla Normale a Roma era dovuto al desiderio di seguire il Piccolomini, con cui poi si laureò. Purtroppo dei vecchi archivi della Normale resta, pare, ben poco (ne ho già parlato con Carlini). Vorrei proprio lasciare, e spero che tu me lo consenta, il riferimento alla tua presenza nell’ambiente della Normale, tanto più che… ormai l’ho detto. Tu hai avuto grande influenza su alcuni normalisti, p. es. Di Benedetto, Campanile ecc. (dico i primi nomi che mi vengono alla mente); e l’esempio, nel mio contesto, mi pareva calzante. La distinzione fra ‘viventi’ e ‘non viventi’ qui non conta: il discorso che facevo lì era generale, e il tuo nome aveva un valore esemplificativo. Mi sono accorto che dovrò aggiungere due nomi con qualche riferimento: Ferrai (sebbene, come risulta dal libro di Treves, non ricordasse con simpatia gli anni della Normale) e Covotti; e poi anche Mancuso, per quanto valesse poco3. Vd. lett. precedente, a cui M. risponde. In proposito vd. anche lett. successiva. 3 Nella redazione definitiva M. ricorderà Eugenio Ferrai (1832-97) e Aurelio Covotti (1871-1956) (SFC, pp. 634 e 637), rinviando per il primo a P. Treves, Lo studio dell’Antichità classica nell’Ottocento, Milano-Napoli 1962, pp. 955-6; non farà invece parola di Umberto Mancuso (Parma 1888-1971), docente di Letteratura greca all’Università di Roma, che, come cortesemente mi informa Antonio Carlini, aveva frequentato il corso ordinario della Normale negli anni 1906-10. La data di morte e la notizia che fu libero docente di Letteratura greca all’Università di Roma risulta da A. Russi, Girolamo Vitelli e Medea Norsa nella 1 2 1012 Non mi avevi mandato i due estratti. Te ne ringrazio (e ti sarei tanto grato se, qualora ne disponessi, potessi mandarmi anche il libro marxistico4, per quanto io purtroppo sia al di fuori di questi problemi e il mio socialismo sia un fatto sentimentale ‒ da più di vent’anni ‒ più che politico)5. Avevo già letto le ottime recensioni del 3o fasc. ’70 di «Maia»6 (a p. 289 a l. 10 avrai visto che è caduto un «che»); i tre contributi del fasc. 4o sono ottimi7, e i risultati dei primi due sicurissimi (ma anche nel terzo avrai certo ragione). (P. 351 l. penult.: correggi «indiretta» in «diretta»)8. Aggiungerò l’accezione di diligere nella prossima ristampa del Castiglioni (forse sono stato il primo a introdurre peta!). Altro tempo ‒ dopo i normalisti ‒ mi ha fatto perdere Rostagni, della cui attività di filologo ho dovuto parlare a Torino ‒ sempre per la mia difficoltà a dir di no, a cui cercherò da ora in poi di ostare più decisamente ‒ concludendo una serie di celebrazioni organizzate dai suoi allievi. So che in una di queste (a cui non ero presente) Momigliano ne aveva parlato malissimo. Io, non torinese e pasqualiano, ho cercato di mettere in evidenza qualche aspetto positivo della sua opera nella cultura classica italiana, ma sono stato ‒ mi pare ‒ abbastanza chiaro e reciso su certi difetti essenziali del metodo. Prima o poi, pubblicheranno questi interventi9, e io spero che tu vorrai leggere preventivamente le mie pagine, quando le avrò fatte trascrivere in modo un po’ più leggibile di come siano ora. E in questi giorni sto scrivendo, con fatica, un ‘ricordo’ di Paladini per gli «Studi Romani»10. A questo punto debbo dirti ‒ ma forse ne avrai avuto notizia ‒ di un altro lutto, la morte, avvenuta il 27, di Marcello Zicàri, a cui, come sai, ero legato molto strettamente, e so che anche tu lo stimavi e ne eri amico. Mi ero andato adattando, in questi ultimi mesi, a questa idea, perché sapevo che il suo male era grave e inguaribile (lui, per fortuna, non se ne è reso conto). Bisognerà raccogliere in un volume i suoi scritti, fra cui, come sai, corrispondenza di Gaetano De Sanctis, «A&R», n.s. II, VII, 2013, p. 308 nota 129 (devo la notizia a P. d’Alessandro). 4 S. T., Sul Materialismo, Pisa 1970 (19752; Milano 19973; trad. ingl., London 1975). 5 L’intera frase fra parentesi è sottolineata, non è chiaro se da M. stesso o da T. 6 Vd. lett. 529. 7 S. T., Alcuni casi controversi di tradizione indiretta, «Maia», 22, 1970, pp. 351-9. 8 In Il lapsus freudiano (cit. lett. 555), p. 129 T. ricorda che fu M. a segnalargli il lapsus. 9 L’intervento, col titolo La personalità filologica del Rostagni, apparve in Cinque studi su Augusto Rostagni, Torino 1971, pp. 75-84 (= SFC, pp. 643-52). 10 S. M., Virgilio Paladini, «StudRom», 19, 1971, pp. 167-8; vd. inoltre Id., Ricordo di Virgilio Paladini, «Atti e mem. della Deputaz. di storia patria per le Marche», s. VIII, 7, 1971-73 (1974), pp. 305-7 (= SFC, pp. 620-22); Profilo di Virgilio Paladini in V. Paladini, Scritti minori, Roma 1973, pp. ix-xi. 1013 ce ne sono molti ottimi. Spero ‒ e cercherò ‒ che lo faccia l’Università di Urbino11. Quando sono stato a Torino, ho parlato con i dirigenti della casa Loescher, che pensano a un fascicolo (l’ultimo) della prossima annata della «RFIC» dedicato al centenario della rivista (lo stesso era stato fatto, ma non molto felicemente, per il cinquantenario). Terrebbero ‒ e io con loro ‒ moltissimo che tu scrivessi qualcosa (dell’estensione e del carattere che preferisci) sulla ‘storia’ della «Rivista», la sua funzione ecc. (anche, eventualmente, in un’epoca determinata). Se riuscissi a trovare un po’ di tempo (nel giro di un anno o anche più) per darci un tuo scritto di questo genere, te ne sarei gratissimo12. Scusa la fretta. La lettera è diventata più lunga del previsto, e voglio uscire a impostare. Così non la rileggo neanche. Ti abbraccio. Scevola La raccolta, promossa dall’Università di Urbino, fu ristretta ai soli Scritti catulliani, che uscirono a Urbino nel 1978 a cura di P. Parroni. 12 T. aderì alla richiesta di M. col saggio Il primo cinquantennio della ‘Rivista di filologia e di istruzione classica’, apparso in «RFIC», 100, 1972, pp. 387-41. Vd. lett. seguente, 541-2 e 547-50. 11 1014 538 Firenze, 4. 5. 19711 Caro Scevola, nulla avevo saputo della morte di Marcello Zicàri. Ne sono addoloratissimo. Attraverso te, anche io ero divenato suo amico; ci eravamo veduti poche volte, ma molto spesso ci scrivevamo, e credo che davvero egli sia stato uno degli studiosi più seri e più intelligenti sia in filologia classica, sia nel campo degli studi umanistici, ai quali si era anche dedicato, seguendo il Fortleben di Catullo. Negli ultimi mesi gli avevo mandato qualche estratto e – contro il suo solito – non avevo ricevuto risposta; ma non mi era venuto in mente che potesse essere malato, e malato così gravemente. Scrivo oggi stesso due righe al fratello, che suppongo sia ancora direttore dell’Oliveriana e del Museo di Pesaro. Mi sembra più che giusta la tua idea di raccogliere in un volume i suoi scritti; se vi fosse bisogno di fare a tale scopo una sottoscrizione, dimmelo e contribuirò senz’altro. La prolusione del Piccolomini Sulla essenza e sul metodo della filologia classica fu pubblicata in opuscolo a parte (Firenze 1875)2; originariamente, se non ricordo male, uscì sulla «Rivista Europea», ma l’opuscolo si trova generalmente nelle biblioteche. Se, comunque, per caso a Roma non si trovasse, scrivimi e te la faccio microfilmare o xerocopiare. È interessante perché mostra una notevole consapevolezza metodologica e una conoscenza sicura della filologia tedesca (le due tendenze, di Hermann e di Boeckh, e le ragioni di entrambe; il pericolo che l’eccessivo entusiasmo per la linguistica indeuropea finisca col far trascurare la filologia; l’importanza della critica testuale, ecc.). Mi sembra verosimile (anche se non ne so nulla di preciso) la tua ipotesi che Romagnoli sia passato dalla Normale a Roma per seguire il Piccolomini, studioso di Aristofane. Quanto al riferimento a me, vorrei insistere (nella mia duplice veste di ‘non normalista’ e di ‘vivente’!) perché tu lo togliessi, tanto più che poco dopo mi hai di nuovo menzionato, nientemeno insieme a Pasquali, a proposito del Comparetti. Tieni anche presente che l’irritabile genus dei professori pisani potrebbe scocciarsi vedendo menzionato per l’appunto La lettera è datata per svista 4 aprile 1971, ma dalla busta si ricava la data effettiva che è 4 maggio. Si tratta infatti della risposta alla lettera precedente, in cui tra l’altro M. dà notizia della morte di Marcello Zicàri avvenuta il 27 aprile. 2 Vd. lett. 536. 1 1015 me e non loro. Dopo aver tenuto presente tutto ciò… decidi tu! Non voglio mettere ‘veti’ sgarbati; ma le mie ragioni, credilo, hanno qualche peso3. Ti spedisco oggi stesso il volumetto materialistico. Non l’avevo finora mandato né a te, né, in generale, a studiosi seri (tranne pochissimi da me esplicitamente citati e tirati in ballo), perché si tratta di una manifestazione di quella dannosa irrequietezza che mi spinge troppo spesso a occuparmi di cose che non so e a voler mettere bocca in questioni nelle quali non sono affatto ben preparato. Forse uno psicologo spiegherebbe questa tendenza come una reazione all’inibizione nervosa che ho riguardo al parlare in pubblico: la paura che mi impedisce di prendere la parola anche soltanto davanti a venti persone mi rende, per converso, privo di freni inibitorii nello scrivere! Comunque ho solennemente deciso che di libri e di saggi di questo genere non ne scrivo più; d’ora innanzi tornerò a occuparmi o di filologia classica o di storia culturale dell’Ottocento, insomma di argomenti in cui ho almeno un minimo di ‘competenza professionale’. Ti ringrazio di quello che mi dici a proposito della recensione al manuale di Reynolds e Wilson e dell’articoletto pubblicato su «Maia». Non mi ero ancora accorto, purtroppo, né dell’errore di stampa contenuto nella recensione, né della maledetta svista («tradizione indiretta» anziché «diretta») che rischia di far confondere il lettore. Infine, ti sono gratissimo dell’invito a collaborare al fascicolo commemorativo del centenario della «RFIC». Un’intera ‘storia’ della «RFIC» è un compito troppo vasto e impegnativo; ma potrei, se tu e gli altri direttori siete d’accordo, scrivere un articoletto sul p r i m o periodo della Rivista (fino alla fine dell’Ottocento o, al massimo, fino alla prima guerra mondiale). Un altro collaboratore, poi, potrebbe occuparsi del periodo seguente (direzione De Sanctis-Rostagni). Curioso l’attacco di Momigliano a Rostagni! Hai fatto bene a rimettere le cose a posto, non tacendo quel tanto di positivo che pure vi è nell’opera di Rostagni. Leggerò naturalmente con gran piacere le tue pagine. Ma non tralasciare di dare alle stampe le tue lezioni torinesi di alcuni anni fa su Ennio4! Lì c’erano contributi di p r i m i s s i m o ordine, che non devono più rimanere nascosti! Ancora grazie di tutto e tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 3 4 Inutile dire che entrambe le citazioni rimasero nella redazione definitiva (cit. lett. 422). Vd. lett. 438. 1016 539 Fiuggi, 10. 9. 1971 Carissimo Sebastiano, c’era bisogno di una necessità immediata perché, dopo tanto silenzio, mi decidessi a scriverti; tanta era la vergogna accumulatasi in me settimana per settimana per non averti ‒ almeno ‒ ringraziato subito degli ammirevoli scritti Sul materialismo1. Questi scritti, che rivelano la profonda riflessione teorica che sta dietro il tuo socialismo (tanto più serio e impegnato del mio, che è solo un superficiale atteggiamento sentimentalistico-umanitario) e l’unità di fondo ‒ che del resto si vedeva anche in altre tue cose ‒ tra politica e cultura, nutrita dalla tua eccezionale conoscenza di storia della scienza, me li sono andati leggendo adagio adagio, cercando di capirli fin dove potevo (mal informato come sono delle discussioni che si svolgono nell’ambiente della filosofia materialistica); e sono ora, in quest’ultima parentesi fiuggina delle mie vacanze, all’ultimo capitolo, il più immediatamente vicino a problemi che m’interessano in continuazione: tutto giusto ‒ e da me finora condiviso, pur senza la chiarezza e la consapevolezza metodica che illuminano le tue pagine, quello che scrivi dello strutturalismo e del sopravvalutatissimo Lévy-Strauss ecc. ecc.! Grazie, Sebastiano, di questo libro, che spero ‒ malgrado le dichiarazioni della tua lettera ‒ che avrà un seguito e a cui anzi sono sicuro che non riuscirai a non darlo! Il motivo immediato per cui ti ho scritto è, come vedi, l’unito malloppo, che non so se avrai tempo e voglia di leggere: cosa vecchissima, scritta per le lezioni Rostagni (di forse 10 anni fa!)2, ripresa in parte nella mia prolusione romana (1964!)3 e rimasta sempre incompiuta e utilizzata ormai ‒ per non rimandarla di un altro decennio ‒ in extremis per una Miscellanea De Falco a cui non potevo mancare per ragioni puramente esteriori di convenienza4. Ricordo che parlammo dell’argomento tanti anni fa. Ora ho cercato di rabberciare i vecchi appunti e, nel trattare di un argomento che non mi sento più oggi né vicino né simpatico (spero di far continuare la ricerca, noiosa, sulle fonti del Colonna a qualche allievo), chissà quali sciocchezze avrò avallato o aggiunto. Vorrei da te ‒ ripeto, se ne hai voglia e se trovi un po’ di tempo ‒ una lettura severa e critiche spietate. E vorrei anche che mi dicessi se a qualcuno (sia pur a torto) può sembrare che in 1 2 3 4 Vd. le due lett. precedenti. Vd. lett. 438 Vd. lett. 451. Si tratta di M., Falsi enniani di Girolamo Colonna? (cit. lett. 76). 1017 qualche dissenso da te che esprimo si possa trovare qualcosa che non sia in chiave con la nostra vecchia amicizia. Grazie di quello che farai, e scusami mille volte della scocciatura che so benissimo di darti. Ricordaci alla Signora e alla Mamma, e ricevi da me un fraterno abbraccio. Il tuo Scevola PS. – Resto a Fiuggi (Frosinone), Albergo Villa del Parco, fino al 21; poi a Pesaro fino al 30 settembre; quindi di nuovo a Roma. Ti unisco qualche estratto recente, non sicuro di non avertene già spedito qualcuno. Semmai, scusami! Non preoccuparti di rispedirmi la xerocopia, a meno che non ti sia comodo segnarvi sopra le tue osservazioni. 1018 540 Firenze, 11. 9. 1971 Carissimo Scevola, ti sono tanto grato della tua lettera1. Anch’io avrei dovuto scriverti e, per impegni e seccature varie, ho rimandato di settimana in settimana. Il mio volumetto materialistico2 non è «ammirevole» come l’amicizia ti spinge a dire. Ha (e certamente te ne sei accorto) non lievi difetti di improvvisazione e di dilettantismo; presenta in forma semplificata e schematizzata, e con un certo tono dogmaticamente provocatorio, problemi ben altrimenti complessi. Inoltre esso nasce dall’incontro di d u e diversi orientamenti di pensiero (il marxismo da un lato, il pessimismo leopardiano dall’altro) che sono presenti entrambi in me, ma che io non sono certo riuscito a conciliare e a sintetizzare in modo convincente. Non voglio ora – anche perché sembrerebbe una civetteria – mostrarmi pentito di averlo pubblicato; spero, anzi, che possa servire, proprio per il suo tono provocatorio, a suscitare qualche discussione, anche a proposito dello strutturalismo. Ma io personalmente sento ora il bisogno di rimettermi a studiare qualcosa in cui abbia almeno un minimo di ‘competenza professionale’; e credo che manterrò davvero questo proponimento. Ti sono gratissimo degli estratti. Conoscevo già, e li ho riletti con immutato consenso, l’articolo su cursus quingentos saepe veruti e la recensione allo Ziegler3. Ottima la recensione allo Sweeney4 (tutte le tue obiezioni sono giuste, e hai fatto bene a sollevare anche qui il problema di G. Colonna e di Fabio d’Aquino)5; molto bello, per calda umanità e nitidezza di caratterizzazione, il ricordo di Paladini6. Sono molto contento che l’occasione della Miscellanea De Falco ti abbia finalmente spinto a scrivere l’articolo sui presunti falsi enniani del Colon- Si tratta della lett. precedente. Vd. le tre lettere che precedono. 3 M., Enn. ann. 353 V.2 (cit. lett. 502); rec. a Ziegler, Das Hellenistische Epos2 (cit. lett. 512). 4 S. M., rec. a R.D. Sweeney, Prolegomena to an Edition of the Scholia to Statius (Leiden 1969), «RFIC», 98, 1970, pp. 224-7 (= SFC, pp. 306-9). 5 Si riferisce al problema di un codice mutilo di un commento a Stazio di cui Girolamo Colonna nella sua edizione di Ennio (Napoli 1539) dice di aver avuto notizia da Fabio d’Aquino. 6 M., Virgilio Paladini (cit. lett. 537). 1 2 1019 na7. Ricordo bene che parlammo anni fa di questo argomento (al quale accennasti anche in un tuo seminario alla Normale)8 e già allora rimasi pienamente convinto che tu avevi ragione. Adesso la lettura dell’articolo non ha fatto che rafforzarmi in questa persuasione. Ho letto il dattiloscritto con attenzione e (nonostante la tua esortazione a muoverti «critiche spietate»!) sinceramente non trovo proprio nulla da correggere né da mutare. Ulteriori ricerche potranno farci sapere qualcosa di più sulle fonti del Colonna; ma già ora è perfettamente chiaro che il Colonna non fu un falsario, né lo fu Fabio d’Aquino (e finalmente questo personaggio acquista un suo volto, mentre finora tutti gli ennianisti, compreso il sottoscritto, non si erano minimamente curati di indagare chi egli fosse!). Anche su perculsi pectora Poeni9 hai perfettamente ragione: io sono ora convinto che il frammento è enniano, e, pur riconoscendo la plausibilità della seconda interpretazione da te proposta, non escluderei affatto che si tratti di un accusativo alla greca. Non credo più alle pignole distinzioni cronologiche in cui credevo un tempo: con quale diritto potremmo escludere che già Ennio avesse introdotto un vero e proprio accusativo alla greca nel suo linguaggio epico? (È buffo davvero quel «bedauerlichenweise» di Szantyr!)10. Di tutte le quattro prolisse puntate del mio articolone enniano del 1946-49, la più debole è senz’altro la terza, cioè quella dedicata ai «falsi enniani»11: direi che non ne rimane in piedi pressoché nulla (anche le disquisizioni con cui cercavo di dimostrare l’impossibilità che Ennio chiamasse Minerva era o domina mi sembrano ora debolissime; f o r s e si salva la difesa di quel frammento citato da Fulgenzio12, ma forse no: dopo tanta severità nei riguardi di presunti falsari umanistici, fui troppo credulo nei riguardi di Fulgenzio, che è un faĺ ́ sario vero; e l’argomento metrico non è forte, perché fa difficoltà nīmīrū m e soprattutto perché quella serie cretico-trocaica può essere casuale). Con ciò ho anche risposto al tuo scrupolo, che i dissensi che tu esprimi possano sembrare a qualcuno «non in chiave con la nostra amicizia». Lo escludo assolutamente; anzi, hai accuratamente evitato di mettere in rilievo grosse ingenuità (e grosse prove di ignoranza dell’ambiente umanistico) nelle quali ero caduto. Del tutto giusta è anche la tua rivalutazione di alcune osservazioni di L. Müller, oggetto, come al solito, di immeritato disprezzo da parte del Vahlen e degli altri filologi tedeschi di quell’epoca. È superfluo aggiungere Vd. lett. 76. Vd. lett. 395. 9 Enn. ann., 311 V.2, su cui vd. lett. 76. 10 Le parole tra parentesi sono aggiunte a mano in margine. 11 Vd. lett. 392. 12 Fvlg. serm. ant., 19 (p. 117, 11-12 Helm), su cui vd. lett. 44. 7 8 1020 che sono perfettamente d’accordo anche su Saturno sancte create13: anzi, l’ipotesi che Ennius per Furius sia un errore paleografico (favorito, naturalmente, dalla maggiore frequenza del nome di Ennio in Macrobio) mi sembra singolarmente felice. Poiché mi dici di non rimandarti la xerocopia, non te la rimando, per ora; ma se ti fosse utile, dimmelo. Grazie ancora di tutto e tanti saluti affettuosi; ricordaci ai tuoi e speriamo di vederci presto. Il tuo Sebastiano [PS. ‒] Tra non molto spero di mandarti la breve scheda sul Giulio Africano di Vieillefond che ti promisi l’anno scorso14. 13 14 Enn. ann., 627 V.2, su cui vd. lett. 76. Vd. lett. 530. 1021 541 Firenze, 5. 11. 19711 Carissimo Scevola, scusami se non ti ho ancora ringraziato per la tua affettuosa lettera del 29 settembre2. Ma volevo prima terminare la recensione al Vieillefond, che qui ti accludo3. Partito col proposito di fare una scheda o una recensione breve, ho finito col dilungarmi forse troppo; e forse la recensione ha assunto un tono un po’ troppo di ‘riesumazione’ di ciò che, in quel mio vecchio articolo degli «Studi Urbinati», è stato trascurato dal Vieillefond (non mi riferisco a contributi miei, ma di Leopardi, Boivin ecc. ecc. che Vieillefond ha in gran parte ignorato o ha continuato ad attribuire solo a se stesso)4. Vedi tu se è il caso di fare qualche taglio. Certo questa nuova edizione del Vieillefond, molto superiore alla precedente per completezza (soprattutto per il saggio introduttivo, la traduzione francese e le note che sono molto utili), lascia ancora a desiderare quanto alla costituzione del testo e all’attribuzione delle congetture; e chi riesaminasse tutto il testo con più calma di quanto abbia fatto io troverebbe certamente ancora molte cose che non vanno. Un tuo seminario su Giulio Africano darebbe certamente risultati copiosi e importanti. Ti sarei grato anche se (a parte la questione della lunghezza forse eccessiva della recensione) tu potessi controllare che non mi sia sfuggita qualche sciocchezza: quando si tratta di greco, non mi muovo a mio agio! Credo che i tuoi dubbi sull’ipotesi di Skutsch quanto alla provenienza di Ut primum tenebris …5 dalla parte perduta di Minuziano Apuleio siano del tutto giustificati, e che la tua ipotesi di un’attribuzione e r r o n e a , e non fraudolenta, ad Ennio sia anche in questo caso la più plausibile. L’ipotesi di Skutsch mi aveva lì per lì convinto, quando la lessi nel suo vecchio articolo del 19496; ma, in realtà, è molto forte la tua obiezione, che un falsario non avrebbe foggiato un frammento così poco esametrico. Quanto a perculsi Sotto la data l’indicazione «via Ricasoli 31». Non conservata. 3 Vd. lett. precedente e 530. 4 Le parole tra parentesi sono aggiunte a mano in margine. Per l’art. in «StudUrb(B)» vd. lett. 194. 5 Enn. ann., 212 V.2. Sul frammento vd. lett. 76. 6 Skutsch, Enniana II (cit. lett. 80). 1 2 1022 pectora Poeni 7, hai ragione di esortarmi alla cautela: l’autenticità non è sicura; ma certo le argomentazioni con cui i precedenti studiosi (seguìti anche da me) avevano creduto di poter dimostrare la non autenticità sono prive di qualsiasi valore probativo; e, tutto sommato, l’autenticità mi sembra adesso assai più probabile della non-autenticità. Qual è il termine ultimo per l’articolo sul centenario della «RFIC»8? Me lo scrivesti a suo tempo, ma l’ho dimenticato e non ritrovo la tua lettera. Trovo ottima l’idea di far fare la seconda parte a Gabba, il cui articolo su G. De Sanctis è davvero eccellente9. Grazie ancora di tutto, tanti saluti affettuosi da tutti noi, un abbraccio dal tuo Sebastiano Enn. ann., 311 V.2, su cui vd. lett. 76. Vd. lett. 537. 9 Vd. E. Gabba, Il secondo cinquantennio della «Rivista di filologia e di istruzione classica», «RFIC», 100, 1972, pp. 442-88, e Id., Riconsiderando l’opera storica di Gaetano De Sanctis, «RFIC», 99, 1971, pp. 5-25. 7 8 1023 542 Firenze, 20. 11. 1971 Carissimo Scevola, grazie dell’amichevole accoglienza alla mia recensione del Giulio Africano di Vieillefond1; e grazie dei Falsi enniani di Girolamo Colonna?, che ho letto di nuovo con pieno consenso2. Spero che tu pubblichi presto anche gli altri tuoi contributi a questo problema dei «falsi enniani», che per merito tuo ha acquistato una fisionomia del tutto nuova e tale da interessare egualmente gli ennianisti e gli studiosi di filologia umanistica. Sono curioso di sapere che cosa ne penserà Skutsch, sempre pronto a recalcitrare anche dinanzi all’evidenza; ma questa volta spero che anche lui si dichiarerà soddisfatto! D’accordo per la data di consegna dell’articolo sulla «Rivista di filologia» dalla fondazione alla prima guerra mondiale3. Spero di riuscire a scrivere qualcosa di non troppo deludente; ricorrerò, comunque, anche in questo caso, alla tua consulenza e al tuo giudizio. Grazie ancora, tanti saluti affettuosi e, speriamo, a presto. Il tuo Sebastiano PS. ‒ Avrai ricevuto da Skutsch l’articolo su pulvīs 4. Forse è più convincente delle sue precedenti prese di posizione su questo argomento, perché questa volta tira in ballo argomentazioni «indoeuropeistiche» che possono essere giuste (tanto più che sono avallate dall’autorità di Szemerényi). Tuttavia anche nell’ambito indoeuropeo i confronti sono scarsi; e rimane sempre un ragionevole dubbio che la finale lunga sia dovuta a ragioni metriche. Rimangono, poi, sempre gli altri allungamenti enniani in arsi (tergús ecc.)5. Comunque, non ho più voglia di proseguire questa discussione! Solo recentemente ho saputo da Momigliano che Skutsch va in pensione, credo prima del tempo, e comunque in cattivi rapporti con la direzione e con molti colleghi dell’University College. Ora andrà a insegnare in America per un anno almeno. Di tutto ciò Skutsch non mi aveva fatto parola, nemmeno in lettere recenti. 1 2 3 4 5 Vd. lett. precedente e 530. Vd. lett. 76. Vd. lett. precedente. Vd. lett. 530. Sulla questione vd. lett. 502; tergūś è in Enn. ann., 508 V.2, su cui vd. lett. 102. 1024 543 Firenze, 24. 12. 1971 Carissimo Scevola, immagino che trascorrerete questi giorni di feste a Pesaro; e che sia insieme a voi anche Italo con la sua famiglia. A tutti, perciò, invio, anche da mia madre e da Maria Augusta1, i più vivi auguri per Natale e per il 1972; nella speranza che, durante il prossimo anno, riusciamo davvero a vederci qualche volta. Pochi giorni fa ho visto qui a Firenze Binni, che mi ha parlato di te con grande senso di simpatia e di stima e mi ha detto di averti tenuto costantemente informato di tutte le controversie sorte tra lui e Bosco a proposito degli inediti leopardiani che sono stati ‘soffiati’ dal conte Leopardi al «Centro di studi leopardiani» e ceduti a Bompiani e alla «Stampa». Purtroppo è mancato, all’inizio, un coordinamento dell’azione di Binni con la mia, cosicché io, scrivendo a Bosco che mi aveva comunicato l’atto compiuto dal conte Leopardi, deplorai l’accaduto, ma non usai con Bosco un linguaggio duro. […] L’errore di Bosco è stato soltanto un errore di leggerezza: egli si è fidato di una assicurazione verbale del conte Leopardi, mentre avrebbe dovuto esigere un vero e proprio contratto. Dove, invece, Bosco si è effettivamente comportato male, è stato nei successivi alterchi che ha avuto con Binni: qui Binni ha tutte le ragioni di sentirsi offeso (anche se, a mio parere, eccede nel dare un giudizio, totalmente negativo su Bosco come leopardista: Titanismo e pietà di Giacomo Leopardi2 rimane, per me, un libro intelligente, anche se non paragonabile nemmeno lontanamente3 per novità di risultati alla Nuova poetica leopardiana di Binni4; e sebbene Bosco sia personalmente cattolico e democristiano, – e cattolico e democristiano non certo ‘di sinistra’!! –, tuttavia come leopardista non si può annoverarlo tra i critici cattolici di Leopardi, come invece per es. Giovanni Getto, o Fausto Montanari). Scusami se ti ho asfissiato con queste beghe di cui avrai già sentito parlare fin troppo! Di nuovo tanti auguri e un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 1 2 3 4 Vd. lett. 505. Firenze 1957 (successivamente ristampato con altri studi leopardiani). Le parole «nemmeno lontanamente» sono aggiunte a mano in margine. Firenze 1947 (seconda edizione accresciuta, Firenze 1962; diverse ristampe). 1025 544 Firenze, 6. 1. 1972 Carissimo Scevola, le nostre lettere si sono incrociate1: avrai ricevuto (tranne ritardi dovuti al disservizio postale) la mia che ti avevo indirizzato a Pesaro. Ora ti ringrazio della tua e di nuovo invio a te, a voi tutti i più affettuosi auguri. Mi rallegro dell’intenso lavoro degli ultimi mesi: sono sicuro che i frutti saranno stati, come sono sempre, eccellenti, anche se hai perfettamente ragione di lagnarti dell’esorbitante numero delle miscellanee in onore di innumerevoli filologi! La difesa di grata in Catullo 66, 582 mi sembra, a prima vista (e senza ancora conoscere i tuoi argomenti), m o l t o allettante. Dell’umanista Orazio Romano, ahimè, non conoscevo nemmeno il nome: avrò, quindi, tutto da imparare dal tuo articolo3. Sono, poi, contentissimo che ti abbiano affidato la voce Terentius per il Kleiner Pauly, e spero di vederla presto pubblicata4. Io sono ‘sfuggito’ alla Miscellanea Peretti perché non mi hanno invitato (ed è stato un bene, poiché non avrei assolutamente saputo che cosa mandare); non sono, invece, sfuggito alla Miscellanea Cataudella, alla quale ho inviato delle misere noterelle al De re publica di Cicerone5, nelle quali non c’è nessuna mia congettura né interpretazione nuova, ma soltanto alcune correzioni, diciamo così, di carattere bibliografico agli apparati critici delle edizioni recenti, specialmente per ciò che riguarda i frammenti (la tale congettura era stata già fatta dal tale prima che dal tal altro, ecc.). Forse per pulvīs6 hai ragione tu: i riferimenti all’indeuropeo sono scarsi e non molto probanti. Comunque, non si può continuare a discutere per tutta la vita con Skutsch sulle vere o presunte ‘leggi’ prosodiche e metriche enniane; e quindi non replicherò. Della recensione agli Scritti filologici del Leopardi mi parlò a Roma, Quella di T. è la lett. precedente, quella di M. non è conservata. S. M., Catullo 66, 58, «SCO», 21, 1972 (dedicato ad A. Peretti), pp. 56-9 (= SFC, pp. 75-9). 3 S. M., Note su alcuni epigrammi di Orazio Romano, in Studi classici in onore di Quintino Cataudella, III, Catania 1972, pp. 657-90 (=SMU, pp. 153-6; SMU 2 = SMU 3, pp. 209-12). 4 S. M., Terentius, in Der kleine Pauly, V, Lief. XXIV, 1974 (pubbl. del vol. completo 1975), coll. 599-604. 5 T., Postille ai frammenti del de re publica di Cicerone (cit. lett. 536). 6 Vd. lett. 102 e, in particolare, lett. 542 e 530. 1 2 1026 esattamente un anno fa, Avesani in persona, in casa di Campana7. Le sue intenzioni di fare la recensione sono sincerissime, ma temo che non la farà mai; e d’altra parte mi rendo conto, obiettivamente, che un volume come quello, fatto tutto di noterelle a singoli passi (e a passi di autori, per giunta, quasi tutti tardi e poco ‘ameni’), si recensisce assai male. Forse la soluzione migliore sarebbe stata una ‘scheda’ in cui si dicesse semplicemente che nel volume vi sono contributi filologici ai seguenti autori greci e latini (e qui l’elenco, e basta). Ma ormai non è certo il caso di togliere ad Avesani l’incarico di fare la recensione. Di nuovo grazie e un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano 7 Vd. lett. 520 e 534. 1027 545 Firenze, 15. 4. 1972 Carissimo Scevola, grazie della tua lettera affettuosa. Non sapevo della malattia di tua madre; come puoi immaginare, ne sono molto addolorato. Credo di sapere, tuttavia, che il morbo di Parkinson, anche se non è definitivamente guaribile, è però curabile, per un tempo lunghissimo, con periodi di remissione e di miglioramento talvolta anche lunghi. E mi auguro, con tutto il cuore, che questo sia il caso di tua madre. Sono contento delle buone notizie di Munari (né da Skutsch, né da altri avevo saputo nulla di preciso). Avrai forse ricevuto nel frattempo un mio estratto sul Foscolo filologo, in amichevole discussione col Fischetti1. Spero anche io tanto di rivederti presto. Tanti saluti a tutti anche da Maria Augusta2 e da mia madre. Un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano S. T., Ancora sul Foscolo filologo, «Giorn. stor. della lett. ital.», 148, 1971, pp. 519-44 (rist. in Aspetti e figure [cit. lett. 438], pp. 105-35). 2 Vd. lett. 505. 1 1028 546 Firenze, 13. 5. 1972 Carissimo Scevola, grazie della tua lettera affettuosa1. Sono contento di sapere che questa volta hai trovato tua madre in condizioni di salute migliori2, e che è curata, oltre che dai medici di Pesaro, da un bravo clinico di Roma. Ciò mi conferma nella fiducia che la sua malattia possa essere tenuta a bada e anche curata con risultati abbastanza buoni. Ne sono contento per lei e per te, e mi auguro di tutto cuore di apprendere anche in futuro buone notizie. Grazie di quello che mi scrivi a proposito del mio articoletto foscoliano3. Il Fischetti (che è studioso dotato di ingegno, ma un po’ bizzarro e bizzoso) replicherà; ma, per quel che è lecito prevedere da una lettera che mi ha inviato pochi giorni or sono, senza argomenti veramente nuovi, cosicché prevedo che lascerò a lui l’ultima parola. Molto di meglio mi attendo da Italo Zicàri: spero che non rinuncerà al proposito di occuparsi del Foscolo filologo, e sono sicuro che avrà cose nuove da dire4. A proposito: in una nota, come avrai visto, io ho accennato a due lettere che mi scrisse Marcello Zicàri a proposito dell’interpretazione dei vv. 48-50 della Chioma di Berenice di Catullo. Egli avrebbe voluto scrivere un articoletto, poi vide che Bickel aveva sostenuto un’interpretazione simile e allora pensò che non valesse più la pena di tornarci sopra. Tuttavia le argomentazioni di Zicàri andavano più a fondo di quelle di Bickel, e le due interpretazioni (così, almeno, mi parve) non erano del tutto identiche. Scrissi perciò a Zicàri raccomandandogli di non rinunciare. Non molto dopo, credo, si ammalò (io, come ricorderai, appresi soltanto più tardi, da una tua lettera, la sua morte)5. Ora mi chiedo se è opportuno che io mandi le fotocopie di quelle due lettere (in verità la prima è una lettera abbastanza dettagliata, la seconda una breve cartolina postale) a te, oppure a Italo Zicàri, o a tutt’e due. Da un lato la lettera di M. Zicàri potrebbe forse essere pubblicata, sotto forma di noterella, nella raccolta dei suoi scritti filologici che, come mi scrivesti, è in preparazione (a meno che il contributo non sembri troppo esiguo); Non conservata. Vd. lett. precedente. 3 Vd. ancora lett. precedente. 4 Vd. I. Zicàri, Giudizi sul Foscolo in lettere inedite di Edoardo Fabbri, «SOliv», 19-20, 1971-72, pp. 111-23. 5 Vd. lett. 537. 1 2 1029 dall’altro, potrebbe essere citata da Italo Zicàri nel suo articolo sul Foscolo filologo. Consigliami tu, naturalmente senza alcuna fretta. Tanti saluti cordialissimi a voi tutti; a te un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano [PS. ‒]6 Se entro qualche settimana non ricevi dall’editore tedesco in omaggio la traduzione tedesca del mio volume sul Lachmann7, avvertimi e provvederò io. Aggiunta manoscritta. S. T., Die Entstehung der Lachmannschen Methode. 2., erweiterte und überarbeitete Auflage. Autorisierte Übertragung aus dem Italienischen von D. Irmer, Hamburg 1971. 6 7 1030 547 Firenze, 14. 10. 1972 Carissimo Scevola, nella tua del 20 agosto1 chiamavi «vergognoso» il tuo ritardo nel rispondermi; ma come dovrei chiamare io, allora, il mio ritardo attuale? L’unica mia giustificazione è che fino a pochi giorni fa sono stato interamente assorbito dalla stesura dell’articolo sui primi 50 anni della «Rivista di filologia»2. Gabba mi aveva sollecitato anche da parte della redazione della rivista, e quindi ho sùbito spedito il dattiloscritto a Torino. Suppongo che l’articolo mio, come anche quello di Gabba, saranno mandati in visione a tutti i direttori della «Rivista» prima di essere mandati in tipografia; se così non fosse, vorrei mandartene copia io stesso, poiché certamente avresti non poche osservazioni e correzioni da suggerirmi. Per ora, l’articolo è stato letto soltanto da Gabba, e io a mia volta ho letto il suo, che è ottimo (il mio è venuto più lungo del suo, ma un po’ più dispersivo, anche perché nel primo cinquantennio la «Rivista» non fu dominata da due forti personalità come De Sanctis e Rostagni, ma ebbe vari direttori, per lo più di statura non eccelsa, e accolse un po’ ecletticamente contributi di studiosi di vario indirizzo; spero, comunque, di essermela cavata alla meglio). Scriverò al più presto a Italo Zicàri mandandogli copia delle due lettere che egli3 mi scrisse a proposito di quel passo della Chioma catulliana4. Credo anch’io che la soluzione migliore sarebbe quella che tu suggerisci, di pubblicare le due missive nel volume degli scritti di Zicàri5. E sarò ben lieto se Italo Zicàri interverrà sul Foscolo filologo, pubblicando le lettere di Edoardo Fabbri, ma anche ampliando il discorso: lo esorterò caldamente in questo senso6. Mi dispiace che sia tuttora così scoraggiato e triste dopo la morte del fratello: mi auguro di tutto cuore che si rimetta in salute (a questo, comunque, non accennerò scrivendogli) e riacquisti fiducia nel proprio lavoro. Ti ringrazio dell’articolo su Codex unicus e editori sfortunati 7, che ho riletto con immutato consenso. Mi sembra che la tua insoddisfazione non Lettera non conservata. Vd. lett. 537. 3 Cioè Marcello Zicàri. 4 Vd. lett. precedente. 5 Cosa che poi non avvenne. 6 Vd. lett. precedente. 7 Vd. lett. 532. In margine M. ha annotato: «risposta a un mio dubbio espressogli per lettera». 1 2 1031 abbia ragion d’essere. A proposito delle ultime due righe di p. 8388, credo che la tua formulazione sia giusta e che l’archetipo di un arbre réel non sia (o non sia necessariamente) l’autografo. Non ho ancora sottomano l’articolo di Fourquet, ma mi sembra di ricordare che il concetto di arbre réel riguarda anch’esso i manoscritti discesi da un archetipo (non quelli che sono esistiti tra l’originale e l’archetipo). La differenza fra l’arbre réel e gli stemmi che comunemente costruiamo applicando il metodo delle corruttele comuni consiste in questo, che questi ultimi risultano fortemente semplificati, in quanto il metodo delle corruttele comuni consente di ricostruire soltanto quei mss. perduti dai quali ha origine una biforcazione (o triforcazione ecc.) della tradizione manoscritta, ma non consente di accertare l’esistenza di quei molti altri mss. – che pure, con tutta probabilità, saranno esistititi – dai quali non si è dipartita alcuna biforcazione. P. es. stemma ‘Lachmanniano’: ω arbre réel: (ipotetico) ω φ χ A B C ψ φ τ A υ ξ C B «E non potrebbe certe volte il codex unicus conservatoci di un testo essere l’archetipo dello ‘stemma reale’ di quel testo?» (= SFC, p. 488). Questa lettera è stata ritrovata spillata all’estratto con varie annotazioni di M. Sempre spillato all’estratto un appunto dattiloscritto di Reeve (siglato M. D. R. 22. 6. 83), che per completezza si trascrive: «An editor may be better off e i t h e r in the sense (1) that he has at his disposal in a higher proportion of passages a reading that could have descended from the autograph o r in the sense (2) that his choice is easier to make in a higher proportion of passages. An editor who has at his disposal ms. A and 14 descripti is in neither sense better off than if he had just A. Let us therefore consider the question after eliminatio of descripti. It is necessarily true that an editor who had at his disposal after eliminatio another ms. besides A would be better off in sense (1) than if he had just A. Herein, I believe, lies the plausibility of the notion challenged by Mariotti. It is a different thing, and as Mariotti shows absurd, to say that an editor of another text who has more mss. at his disposal than our editor is for that reason better off than our editor. With two or more mss. our editor will probably be worse off in sense (2), because he will often have at his disposal in one passage more than one reading that could have descended from the autograph». 8 1032 Certo, si può estendere legittimamente la nozione di arbre réel anche ai mss. intermedi fra l’archetipo e l’originale; ma non mi sembra che né Fourquet né Castellani insistano su questo aspetto. – Quanto alla tua formulazione del 1° capoverso di p. 8399, mi sembra ineccepibile. Vengo a un’ultima questione. Da qualche tempo Traina insiste per farmi raccogliere e pubblicare per una collana delle Edizioni dell’Ateneo di cui è direttore (o condirettore?) alcuni miei scritti filologici o filologico-linguistici (come Ilicet, Muta cum liquida, Note serviane e simili)10. Confesso che da prima non avevo preso molto sul serio la sua amichevole proposta, perché mi sembrava (e mi sembra tuttora) che scritti di questo genere, a prescindere dal loro maggiore o minor valore, non abbiano un loro pubblico: chi mai dovrebbe acquistarli, tranne qualche biblioteca? Tanto più che quei miei lavori sono stati quasi tutti pubblicati in riviste facilmente accessibili. Adesso però che Traina insiste l’unico motivo che mi indurrebbe a dirgli di sì sarebbe l’opportunità di ripubblicare quegli articoli in forma riveduta e corretta (tenendo conto anche di obiezioni e di suggerimenti di altri studiosi); mi piacerebbe anche – invece di ristampare gli intollerabilmente prolissi articoli giovanili enniani – fare, in poche pagine, un consuntivo di ciò che ritengo ancora valido in quei miei vecchi studi (replicando a qualche obiezione e aggiungendo qualche conferma)11. Ma prima di decidermi vorrei da te qualche informazione. Sei anche tu tra i condirettori di quella collana? Hai anche tu in progetto una raccolta di articoli filologici come quella che Traina mi ha proposto? (Se io sapessi di essere in tua compagnia, mi sentirei incoraggiato io stesso). Ti sembra che il progetto di Traina abbia qualche plausibilità? Hai notizia di altri collaboratori? Di solito, le proprie Kleine Schriften uno le pubblica al momento di andare in pensione (oppure, facendo i debiti scongiuri, vengono pubblicate dopo che l’autore è morto!). L’idea di pubblicare le mie Kleine Schriften a cinquant’anni mi sembra un po’ curiosa: tanto più che, come sai, nella «Se dunque è evidente che una tradizione ad unico testimone non può considerarsi, in quanto tale, peggiore di un’altra qualsiasi a più testimoni, a me non sembra nemmeno facile dimostrare che da un punto di vista generale una tradizione del primo tipo abbia grandi probabilità di essere peggiore di una dell’altro» (= SFC, p. 488). 10 Si allude al futuro Contributi1, che accoglierà scritti già editi ma rivisti con aggiornamenti, integrazioni e soppressioni. Vd. anche lett. 548-9, 552-3, 559-60, 566, 568, 571-3, 576-7, 582-3, 587, 589-91, 594-5, 597-600. Per i tre contributi citati a titolo di esempio da T. vd. rispettivamente lett. 430, 457, 286. 11 In Contributi1 infatti gli articoli su Ennio verranno fusi in Ripensamenti enniani (pp. 623-81). 9 1033 mia produzione filologico-classica vi sono unicamente contributi tecnici, niente di storico-culturale né di critico-letterario. Scrivimi s e n z a a l c u n c o m p l i m e n t o la tua opinione in proposito. Grazie ancora di tutto, tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 1034 548 Firenze, 4. 11. 1972 Carissimo Scevola, incoraggiato dalle tue affettuose parole, e avendo avuto da te conferma che sei condirettore della collana delle Edizioni dell’Ateneo, mi sono deciso a porre fine alle mie grosse perplessità e a rispondere affermativamente, in linea di massima, sia a Traina (che da parecchio tempo insisteva con me a questo proposito), sia alle Edizioni dell’Ateneo stesse, dal cui amministratore, dott. Franco Volta, ho ricevuto una lettera pochi giorni fa1. Speriamo bene. Conosco gli altri volumi che mi citi e certamente mi troverò in ottima compagnia; certo, rispetto a quelli, il mio volume sarà molto più disorganico e ‘miscellaneo’, e continuo ad aver dubbi sull’interesse che potrà suscitare. Ad ogni modo approfitterò dell’occasione per correggere varie inesattezze ed errori che mi erano sfuggiti nei vecchi saggi, aggiungere qualcosa, sfrondare qualche enunciazione troppo ovvia e prolissa. Aggiungerò anche qualcosa di inedito, e precisamente un articolo sul virgiliano ut vidi, ut perii2 che per ora ho fatto leggere a Luigi Enrico Rossi (le cui osservazioni mi sono state preziose per ciò che riguarda problemi di accentazione di ὡς … ὥς ecc.), con l’incarico di passare il dattiloscritto a te solo nel caso che tu non sia troppo impegnato. È ovvio che una tua lettura mi sarebbe di grandissima utilità; ma non vorrei farti perdere tempo prezioso: giudica tu. Non si tratta, del resto, di una nuova interpretazione di quel passo virgiliano, ma solo di una ‘riesumazione’ di un’interpretazione sostenuta da Heyne e da alcuni dopo di lui, ma sempre rimasta in minoranza. Quanto ai vecchi articoli enniani (mi riferisco in particolare alle quattro puntate di Per un’edizione critica di Ennio uscite negli «SIFC» 1946-49)3, ti sono grato delle tue parole. Quegli articoli hanno per me un interesse ‘affettivo’, perché sono strettamente legati all’insegnamento di Pasquali e, ancor più, alla nostra frequentissima corrispondenza epistolare enniana (ti ricordi quanti chilogrammi di lettere di argomento enniano ci scrivemmo in quegli anni? Le tue le ho conservate tutte!). Presentano anche, credo, s i n g o l i contributi tuttora validi. Ma troppe cose, ormai, non reggono, e soprattutto quegli articoli rappresentano un vero modello dell’arte di dire in tre pagine ciò che si può dire in dieci righe (da una certa prolissità non Vd. lett. precedente. Verg. ecl., 8, 41. Il contributo si intitola «Ut vidi, ut perii» e occupa le pp. 219-87 di Contributi1. Vd. lett. 549-52. 3 Vd. lett. 9. 1 2 1035 mi sono liberato neanche in seguito, ma almeno ho cercato di frenarla). Fra l’altro, tieni presente che tutta la 3a puntata (sui «falsi enniani») è ormai da buttare via per almeno i nove decimi4. Perciò rimarrei del parere di scrivere (in appendice al volume, in corpo minore) un articoletto di ‘ripensamenti enniani’, segnalando, nella forma più stringata possibile, ciò che dei miei vecchi contributi mi pare ancora accettabile, ciò che è da respingere, ciò su cui ho cambiato parere5. Ho letto con grande interesse le Postille di Romano Sciava6 e, con interesse e ammirazione ancor maggiore, la lettura del canto VI del Paradiso7. Non ti sapevo ‘dantista’ così sensibile e originale e dotto! Un ‘genere letterario’ così ammuffito come la lectura Dantis tu sei riuscito a rinnovarlo completamente, a farne qualcosa di nuovo e di vivo. Cose simili non le sanno fare, tranne rarissime eccezioni, gli italianisti: le sanno fare i filologi classici (naturalmente, quando si chiamano Scevola Mariotti). Problemi di interpretazione, di fonti, di critica stilistica, di esame della struttura compositiva del canto (senza nulla concedere a civetterie ‘strutturalistiche’) sono stati da te affrontati e risolti magistralmente. Per quanto questo augurio possa sembrarti un po’ buffo mi auguro sinceramente di leggere presto altri tuoi scritti danteschi come questo che ora hai pubblicato8! Rosanna Bettarini, allieva di Contini (dal quale ha preso la bravura e, purtroppo, anche l’insopportabile gergo!), è la moglie di un mio amico, Roberto Bigazzi, allievo e ora assistente di Caretti (già di Binni). L’ho saputo solo recentemente, perché, ‘femministicamente’, si firma sempre solo col cognome da non sposata. Il suo indirizzo è via della Pergola 57, 50122 Firenze (forse nell’indirizzo fai meglio a scrivere Bettarini Bigazzi, per evitare disguidi postali). Per l’articolo sui primi 50 anni della «Rivista»9… abbi indulgenza! Questi Questa frase è aggiunta a mano in margine. Vd. lett. 392. Vd. lett. precedente e cfr. Contributi1, pp. 623-81. 6 S. M., Postille di Romano Sciava ai ‘Canti popolari marchigiani’ del Rondini, «GIF», 24, 1972 (in memoriam Vergili Paladini), pp. 384-95 (= SFC, pp. 653-63). 7 M., Il canto VI del ‘Paradiso’ (cit. lett. 526). 8 Seguono 6 righe cassate: «Una sola osservazione, forse infondata: a p. 397 nel passo di Floro da te citato, è davvero necessaria e consigliabile l’espunzione di quell’ubi proposta dal Perizonius? Anche nei membri precedenti le apodosi non hanno verbo (o lo hanno sottinteso): totus senatus in partibus … quattuor anni … Perché allora non intendere ‘se consideri il luogo e lo spazio della guerra …’ ». In margine T. aggiunge a mano: «Stavo scrivendo una fesserìa perché non avevo pensato al significato di committere bellum, ‘iniziare’ la guerra». Il riferimento è a Flor. epit., 2, 13, 5-6. 9 Vd. lett. 537. L’articolo, che dalla lett. precedente risulta già inviato alla redazione torinese di «RFIC», doveva essere stato inoltrato a M. e questi l’avrà comunicato a T. 4 5 1036 articoli commemorativi riescono sempre piuttosto male; e io ho avuto un compito più difficile di quello di Gabba, perché nei primi decenni la «Rivista» non ebbe un indirizzo organico, ma piuttosto eclettico. Qualche inesattezza ho già corretto sulle bozze; ti sarò grato se me ne segnalerai altre. Grazie ancora di tutto, tanti saluti affettuosi dal tuo Sebastiano 1037 549 Roma, 21. 11. 1972 Carissimo Sebastiano, scusami se ho tardato a risponderti e a rimandarti il dattiloscritto (dal quale comincio): non sono riuscito a leggerlo che negli ultimi due giorni, dopo una prima scorsa quando Rossi me lo consegnò. L’articolo è splendido1. Io, che credevo al 2o e 3o ut esclamativi in Virgilio (e ai due ὡς esclamativi in Teocrito), ho, dopo averti letto, completamente cambiato idea. La dottrina, la solidità di struttura, la chiarezza del ragionamento di quest’altro tuo contributo fra filologia e linguistica (cioè storia della lingua) sono veramente superbe. Ci sono parti (su Teocrito-Saffo, su ὥσδε ecc. in Erodoto, sulle conferme da Ovidio e dalla Ciris, e tante altre) che appaiono rivelatrici. Se per caso dovessi deciderti a stamparlo a parte (cosa naturalmente fattibilissima) prima o quasi contemporaneamente al volume, ti pregherei di pensare alla «RFIC», dove sarebbe un altro magnifico pezzo dopo ilicet ecc.2 (e, s’intende, l’articolo per il centenario3, che ‒ sia detto fra parentesi ‒ mi è piaciuto moltissimo, specialmente per l’ariosità del quadro della prima parte). Un elenco delle solite insignificanti minuzie4. p. 4. «ottimo Mynors»: pur possedendolo, lo conosco poco, ma ricordo qualche critica su scelte di lezioni ecc. fattami a voce da Lloyd-Jones. Ma è certo un’edizione seria, anche per la considerazione della tradizione meno antica. p. 5 l. 6 dal basso: si può dire qui «la climax»? o il «il culmine della climax»? o semplicemente «il culmine»? p. 5 sg.: confesso che attenuerei un po’. L’argomento dell’opportunità che qui appaia sottolineata in modo particolare l’immediatezza del coup de foudre (immediato è, tuttavia, anche con ut vidi, ut perii!5; ma meglio coi tre ut sullo stesso piano) mi sembra notevole; meno il richiamo al principio dell’armonia, forse un po’ vago (e quasi più ‘estetizzante’ che ‘retorico’ o ‘tecnico-letterario’, in questa applicazione); come si può escludere, poi ‒ partendo dal punto di vista corrente ‒ che Virgilio giocasse con gli ut omo- T., Ut vidi, ut perii (cit. lett. precedente). Si allude a T., Per la storia di ‘ilicet’ (cit. lett. 430). 3 Vd. lett. precedente e infra. 4 Su di esse vd. anche lett. seguente. 5 Nel margine inferiore con segno di nota: «‘come mi sentii morire!’ ‒ in sé non impossibile». 1 2 1038 foni in diversa funzione? Hai una tale massa e forza di argomenti, dopo, che su questo punto insisterei meno. p. 8 e n. 22: non sono d’accordo con Rossi sulla non preziosità di iato (non tutte le sue note, che mi ha fatto leggere, mi persuadono, neanche sull’ortotonia [che, poi, certe volte ci sarà stata o non stata secondo l’espressività?]). (Un particolare superfluo: vedo che S. Posch, Beobachtungen zur Theokritnachwirkung bei Vergil, München 1969 [Comment. Aenip. xix] p. 23, in un semplice prospetto di loci simm. Theocr.-Verg. richiama per Theocr. 2, 89 sg. Verg. ecl. 3, 102; oltre tutto però il rapporto non è forte ‒ né so se altri abbia messo in relazione i due passi; nel libro non mi pare che ci siano altre cose che ti riguardino; se non l’hai a disposizione a Firenze, te lo mando). p. 23 a metà (chi … chi… in Dante): rimanda anche al meno famoso parad. 11, 4-9 [[ancora per vivacizzare l’inizio di un canto?]], dove i chi sono addirittura anche di più! p. 29 a metà e n. 88: può ben darsi che Ovidio abbia presente e alluda a Teocrito, ma quanto è comune ignis nell’Ovidio erotico (e, credo, igne ardere o simm.)! Attenuerei un po’, magari dopo aver visto le concordanze ovidiane. p. 33 a metà: hai certamente ragione, eppure preferirei, nella frase «è comunque escluso», «sembra» invece di «è», date le stranezze e talvolta sciocchezze dei grammatici. n. 13 (verso). «ἐμάνην teocrite a» o «teocrite o»? Anche il femminile è certo possibile, ma non mi pare che corrisponda alla tua abitudine. n. 85 l. penultima: forse dopo «Accio» hai cancellato trag.? Ma a rigore lo mettrei. n. 89: per pariter … pariter correlati non dimenticherei un cenno anche a simul … simul, del resto elencato da Hofmann-Szantyr nella stessa pag. 520, e con più esempi in Virgilio (almeno, con verbi diversi, Aen. 1, 631 sg. [cfr. Conington-Nettleship ad loc.]; 2, 220 sgg.). n. 91: ho integrato sul dattiloscritto la citazione del mio vecchio articoletto sulla Ciris6: ti sono grato di essertene ricordato, anche se per il tuo discorso non serviva a nulla! Fra le tante cose che ho imparato dal tuo articolo sul primo cinquantenario della «RFIC»7 c’è l’ostilità dello Stampini al Vallauri. La cosa mi ha fatto tremare perché nella commemorazione di Rostagni avevo scritto (trascrivo per chiederti consiglio, giacché tu sai come stanno le cose infinitamente meglio di me), a proposito della tradizione torinese: «Se pensiamo al peso che in questa tradizione (che pure nel passato aveva avuto uno studioso 6 7 M., La ‘Ciris’ è un falso intenzionale (cit. lett. 80). Vd. lett. 537 e qui sopra. 1039 della statura del Peyron) conservava il tipo d’interessi umanistico-retorici del Vallauri e all’influenza che del Vallauri si continuava a sentire nel suo allievo Stampini (la cui scarsa efficacia d’insegnante è testimoniata dall’Amoretti…), si vede subito il salto qualitativo che ha rappresentato l’avvento del Rostagni sulla cattedra torinese di latino». Che lo Stampini fosse allievo del Vallauri, dovrei averlo accertato da qualche parte (la cosa risulta anche a te?); ma è evidente che, se anche per qualche verso una certa continuità Vallauri-Stampini ci può essere stata (penso a iscrizioni e versi latini stampati nel vol. Nel mondo latino8; e forse allora notai anche qualcos’altro), mi pare indispensabile (se faccio in tempo, avendo già corretto le ultime bozze) correggere o aggiungere un «malgrado …»9. Consigliami, ti prego. Ho talmente a noia quel mio scritto rostagnano che vorrei rimettermici a pensare il meno possibile… E scusami! Adesso sto finendo un articoletto dantesco che mi ha divertito (vengo così alla tua ultima affettuosa lettera10, di cui ti sono gratissimo, fra l’altro per l’accoglienza ‒ anche se, come sempre, sopravalutativa ‒ alla mia lettura dantesca)11: si tratta dell’interpretazione di un’ipotesi fatta dal Poliziano, in un passo finora non bene inteso, sull’origine della leggenda dantesca di Stazio cristiano (ipotesi che è quasi sicuramente vera). Devo mandarlo in extremis entro il mese per la Miscellanea Sapegno12. Ma altre miscellanee, purtroppo, si addensano all’orizzonte: Guarducci13, Pellegrino… E io, lento come sono, non riesco a tenere il passo. Sono felice della tua decisione di pubblicare la raccolta dei tuoi scritti filologici nella collana dell’Ateneo14. E, naturalmente, va bene per i Ripensamenti enniani, che saranno uno strumento prezioso. A proposito di Ennio, ho finito con l’accettare la proposta di recensire per il «JRS» l’Entretien ginevrino15 (ti ringrazio di aver fatto il mio nome; non so però E. Stampini, Nel mondo latino. Studi di letteratura e filologia, Seconda serie con una Appendice di scritti varii italiani e latini in prosa e in versi, Torino 1921. 9 Nella stesura definitiva M. fece in tempo ad attenuare il giudizio sui rapporti Vallauri-Stampini (vd. M., La personalità filologica del Rostagni [cit. lett. 539], p. 78 = SFC, p. 646). 10 Si tratta della lett. precedente. 11 M., Il Canto VI del ‘Paradiso’ (cit. lett. 526). 12 S. M., Il cristianesimo di Stazio in Dante secondo il Poliziano, in Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, Roma 1975, pp. 149-61 (= SMU, pp. 71-85; SMU 2 = SMU 3, pp. 99-113). 13 Alla Guarducci M. dedicò La leggenda di Petronio Antigenide (Sulla fortuna di un carme epigrafico pesarese), «ArchClass.», 25-26, 1973-74 (in onore di Margherita Guarducci), pp. 395-416 (= SMU, pp. 231-55; SMU 2 = SMU 3, pp. 321-44). 14 Vd. le due lett. precedenti. 15 Ennius, Sept exposés suivis de discussion par O. Skutsch, H. D. Jocelyn, J. H. Waszink, 8 1040 come fare in tempo, avendo per ora solo letto distrattamente l’estratto di Skutsch16: ma ne riparleremo). Grazie anche dell’indirizzo della Bettarini17. Ti ho mandato nei giorni scorsi ‒ anche perché credo di avere debiti con te per recensioni nella «RFIC» o simili ‒ una traduzione italiana (dal «Centro di Studi Ciceroniani» ne ho avuto più copie) del libro di Kumaniecki su Cicerone18, in verità non gran che (è piuttosto apologetico-divulgativo). Scusa la lunghezza e la fretta. Un abbraccio dal tuo Scevola PS. – Alla nota 101 del tuo dattiloscritto: hai ragione, declamat dev’essere corrotto19. Ma anche declarat mi lascia dubbioso. In che senso è usato il termine ἀντίφρασις? Non, mi sembra, in quello consueto. Forse vuol dire che fra amare e perdere c’è contrasto? Ho pensato a de ea quae amat, o meglio d(icit) eam q̄ amat?? A questo passo bisognerebbe ripensare, a meno che io non abbia capito il cata antiphrasin. E. Badian, J. Untermann, P. Wülfing-von Martitz, W. Suerbaum, Entretiens préparés et présidés par O. Skutsch (Entretiens sur l’Antiquité classique, XVII), Vandoeuvres-Genève (Fondation Hardt) 1972. La rec. apparve in «JRS», 66, 1976, pp. 262-5 (= LE 2, pp. 147-54, col titolo Recensione all’‘Ennius’ degli Entretiens Hardt). Vd. lett. 553, 558, 560-3, 571-4, 593. 16 Skutsch, Readings and Interpretation in the Annals, in Ennius (cit. nota precedente), pp. 3-29. 17 Vd. la lett. precedente. 18 K. Kumaniecki, Cicerone e la crisi della repubblica romana, Roma 1972. 19 Si riferisce a Schol. Hor. carm., 1, 8, 3 (I, p. 46, 10-2 Keller) amando perdere] per cata antiphrasin declamat ‘amore perdere’, unde (Verg. ecl. 8, 41): ‘ut vidi, ut perii’. Vd. le tre lettere seguenti. 1041 550 Firenze, 29. 11. 1972 Carissimo Scevola, la tua lettera mi ha fatto un grandissimo piacere, anche se mi rendo ben conto che le tue lodi al mio articolo virgiliano sono di gran lunga eccessive1. In realtà si tratta di un polpettone troppo lungo, troppo pieno di minuzie e troppo poco originale (poiché l’essenziale, a favore dell’interpretazione che io sostengo, era stato già detto dalla Hahn; e del resto, anche dopo le mie prolisse argomentazioni, l’interpretazione ‘esclamativa’ del secondo e del terzo ut risulta, credo, indebolita ma non del tutto esclusa). Paradossalmente, il meglio dell’articolo non consiste nella parte ‘virgiliana’, ma nella parte greca; anche qui, però, ho soltanto reso un po’ più esplicite cose che erano già sottintese. Le tue osservazioni sono preziose, e te ne sono infinitamente grato (fra l’altro, penso con un certo rimorso al tempo che ti ho fatto perdere nell’attenta lettura di questo interminabile articolo, in un periodo in cui sei sovraccarico di lavoro). Hai corretto varie sviste in cui ero incorso, hai giustamente consigliato in più punti una certa attenuazione di espressioni troppo recise, mi hai segnalato quel passo di Dante che mi era sfuggito, ecc. ecc. Ho eseguito tutte le modifiche da te proposte (ho attenuato anche l’elogio del Mynors: tu e Lloyd-Jones avete ragione, la sua edizione di Virgilio non è immune da difetti, anche se rappresenta pur sempre un passo avanti rispetto al Sabbadini-Castiglioni, per le ragioni che tu stesso accenni). Il libro del Posch2 lo avevo già scorso: non lo avevo citato perché mi sembrava che non dicesse nulla ad hoc. Dove hai più che mai ragione, è nel non essere soddisfatto della correzione di declamat in declarat in quel passo dello ps.-Acrone3. Le tue due proposte (specialmente la seconda, elegantissima anche quanto alla spiegazione della genesi della corruttela)4 sono già molto superiori; ma è difficile dare un giudizio sicuro su un passo che sembra o fortemente corrotto, o impasticciato fin dall’origine a causa dell’idiozia dello scoliasta. Quel cata antiphrasin lo avevo inteso come supponi anche tu, cioè come designazione di un ‘contrasto’ fra l’amare e il perdere: press’a poco equivalente a oxymoron, o a quello che i nostri retori chiamavano un ‘bisticcio’. Certo, non è il significato più normale di cata antiphrasin. Tut- 1 2 3 4 Vd. lett. precedente, a cui si rimanda per i temi trattati. Posch, Beobachtungen zur Theokritnachwirkung (cit. lett. precedente). Schol. Hor. carm., 1, 8, 3. Le parole fra parentesi sono aggiunte a mano in margine con segno di richiamo. 1042 tavia cfr. per es. Donato a Ter. Phorm. 134: iocularem audaciam: εἰρωνεία κατὰ ἀντίφρασιν, hoc est ‘minime iocularem’. Allo stesso modo lo ps.-Acrone può aver voluto dire che l’amore di Lidia per Sibari non è, in realtà, affatto un amore, poiché ne causa la rovina. E col tuo d(icit) eam quae amat il senso correrebbe bene. Ma d’altra parte l’esempio virgiliano citato sùbito dopo farebbe pensare che, secondo lo scoliasta, l’‘antifrasi’ non consistesse tanto nell’amare che non è un vero amare, quanto nel perdere che non è un vero mandare in rovina. Ma forse sto facendo io un pasticcio peggiore di quello dello pseudo-Acrone! Ci ripenserò con più calma. Credo anch’io che, nell’articolo sui primi 50 anni della «Rivista»5, la prima parte mi sia venuta meglio della seconda: verso la fine dell’articolo ho affastellato troppe citazioni di articoli e ho delineato in modo insufficiente la crisi degli studi classici (e, in generale, delle discipline storico-filologiche) nel primo Novecento. Se avessi avuto più tempo a disposizione, avrei potuto fare qualcosa di meglio; ma ho tardato a mettermi al lavoro perché mi sono troppo fidato di miei vecchi appunti (che, come tutti i vecchi appunti, si sono poi rivelati scarsamente utilizzabili), e ho lavorato poi troppo in fretta. Speriamo soltanto che non mi siano sfuggite grosse sciocchezze. Quanto a Stampini-Vallauri, credo che… abbiamo ragione tutt’e due, ma, nella sostanza, più tu di me. Senza dubbio lo Stampini, da giovane, non fu docile allievo del Vallauri; sentì la suggestione (benefica, del resto) di Domenico Pezzi, di Giuseppe Müller, di tutti coloro che, magari un po’ ingenuamente, esaltavano il ‘metodo scientifico’ tedesco di contro alla retorica vallauriana. Quell’articolo che ho citato (Risposta alle amenità universitarie di T. Vallauri, Pinerolo 1889, estratto da «La letteratura») è aspramente antivallauriano. D’altra parte, è innegabile (e qui tu hai perfettamente ragione) che, pur mostrandosi, per es. nel commento al Trinummus, abbastanza ben informato in fatto di studi recenti sul latino arcaico e pur avendo, relativamente a quei tempi, una buona preparazione glottologica (mentre la glottologia era una delle ‘bestie nere’ del Vallauri), lo Stampini non volle o non seppe mai recidere del tutto i legami con la vecchia tradizione umanistico-retorica. Si compiacque di scrivere epigrafi e versi latini, e questa compiacenza dette frutti particolarmente cattivi negli ultimi anni, quando egli diventò una specie di ‘celebratore ufficiale’, in lingua latina, di tutti i fatti e i personaggi che via via erano in auge; e quindi celebrò i caduti della prima guerra mondiale, il presidente Wilson (in quel breve periodo in cui fu accolto con grande entusiasmo da quegli stessi che poco dopo lo vituperarono perché non voleva dare Fiume e la Dalmazia all’Italia) e, naturalmente, Benito Mussolini. Significativa è la 5 Vd. lett. 537. 1043 sua commemorazione (scritta in italiano, beninteso!) di G. B. Gandino nella «Rivista» 34, 1906: all’umanesimo vallauriano, ‘antipatriottico’, egli contrappone l’umanesimo del Gandino, che aveva combattuto la sua brava prima guerra d’indipendenza. Non si trattava, quindi, per lui di rompere davvero con la tradizione umanistico-retorica, ma di ammodernarla (scegliendo contenuti ‘patriottici’) e di unirla, ecletticamente, all’esercizio della filologia. (Credo, del resto, che a confondere le idee allo Stampini e a molti altri, in quell’epoca, contribuisse l’esempio del Carducci, ‘poeta-professore’, fautore della ‘scuola storica’ nello studio della letteratura italiana e, al tempo stesso, celebratore del Risorgimento e di casa Savoia e della regina Margherita ecc. ecc.: penso, naturalmente, soprattutto all’u l t i m o Carducci, e forse anche a certi maldestri tentativi del Pascoli di seguirlo su questa strada, che non gli era congeniale). Forse, il meglio di sé lo Stampini lo dette proprio come direttore della «Rivista»: direttore eclettico e privo di forte personalità, ma, d’altra parte, o forse proprio per questo motivo, aperto anche a idee e tendenze diverse dalle sue. Scusa la fretta, ancora moltissime grazie, un abbraccio affettuoso dal tuo Sebastiano [PS. ‒]6 Grazie vivissime anche del Cicerone di Kumaniecki7, che, pur coi limiti che tu noti, è comunque molto utile. Leggerò con grande interesse l’articolo dantesco che mi preannunci8. Ottima l’idea di raccogliere i tuoi studi medievali e umanistici9: ma perché non anche quelli di filologia classica, fondamentalissimi? Aggiunta manoscritta. Kumaniecki, Cicerone e la crisi della repubblica (cit. lett. precedente). 8 M., Il cristianesimo di Stazio in Dante (cit. lett. precedente). 9 Vd. lett. 584. M. deve aver comunicato quest’idea a T. in una lettera perduta o verbalmente. 6 7 1044 551 Firenze, 12. 12. 1972 Carissimo Scevola, comincio a credere che in quel passo dello pseudo-Acrone a Orazio carm. 1, 8, 3 declamat debba essere tollerato1. Trovo nel Thesaurus s.v. declamo questi due passi di Servio: ad Aen. 3, 181‘novo errore veterum locorum’ aut per contrarietatem sermonum declamavit, aut ‘novo’ pro ‘magno’ posuit; ad Aen. 5, 683 ‘descendit pestis’ incendium (…); et declamavit per contrarium: nam ignis superiora semper petit. Nel secondo di questi due passi la lezione declamavit è attestata unanimemente (-bit F); nel primo c’è oscillazione nei codd. tra declamavit e declaravit, ma certo bisognerà preferire declamavit. Nel Thesaurus non è indicato il passo dello pseudo-Acrone, e nulla di preciso si dice sul significato di declamare nei due passi serviani (la voce declamo manca, ed è male, nell’indice serviano e donatiano di Mountford-Schultz). Si può supporre che in passi come questi il significato di declamo si sia svigorito fino ad equivalere a quello di un semplice dico. Oppure (forse meglio) si può pensare che si riferisca al linguaggio ‘poetico-oratorio’ distinto dal parlar comune. Non sembra casuale, difatti, che sia Servio sia lo pseudo-Acrone usino questo verbo a proposito di figure retoriche. Anzi, tutti e tre i passi si riferiscono alla stessa figura retorica, poiché il per contrarietatem o per contrarium di Servio equivale, mi sembra, al (per) cata antiphrasin dello ps.-Acrone, e conferma che nello ps.-Acrone quell’espressione è usata press’a poco nel senso di oxymoron. Certo, qualcosa che zoppica rimane comunque in quello scolio. Il confronto coi passi di Servio induce a ritenere sane le prime parole: ‘amando perdere’ per cata antiphrasin declamat. Ma non si vede che cosa ci stiano a fare, dopo declamat, le parole amore perdere, le quali, rispetto all’espressione oraziana amando perdere non aggiungono, mi sembra, alcun chiarimento, non dicono nulla di più2. E anche l’esempio virgiliano citato subito dopo, ut vidi ut perii, si lega piuttosto male a ciò che precede, perché illustra un tipo d i v e r s o di antiphrasis (o comunque la si voglia chiamare). In amando perdere vi è (come in quelli che di solito chiamiamo oxymora) giustapposizione di due termini antitetici, del tipo festina lente ecc.; nel virgiliano perii una sola e medesima parola è usata, invece che nel significato proprio di ‘perire’, in quello di ‘innamorarsi’; c’è quindi, all’interno della stessa parola, una specie di equazione ‘amore = morte’. Bisognerà ritenere che lo pseudo-Acrone 1 2 Vd. le due lett. che precedono. T. aggiunge in margine a mano: «che vadano espunte??». 1045 non sia andato tanto per il sottile in questi passaggi? O che lo scolio a noi giunto sia il residuo di uno più ampio, in cui prima si denotava l’espressione amando perdere come oxymoron, e poi si osservava che, del resto, perdere può significare ‘far innamorare’, e perire ‘innamorarsi’? Cfr. anche Scholia in Horatium in codd. Parisinis Latinis 17897 e 8223 obvia, ed. H.J. Botschuyver, IV 1, Amsterdam 1940, p. 18: «Dirigit sermonem ad illam: amicum tuum quasi contrarium facis cum ames et perdas, cum vere perdis illum, quia campum odit delectabilem propter ludos qui fiunt in eo Martio campo». Si tratta, a quanto dice l’editore, di scolii di Eiric d’Auxerre, il quale in questo caso non farà che parafrasare lo pseudo-Acrone. Se ne potrebbe forse ricavare una conferma della tua congettura d(icit) eam quae amat3. Ma, ora che c’è l’appoggio di quei due passi di Servio, mi dispiace toccare declamat. Scusa la lettera sconclusionatissima. Nell’articolo su Ut vidi, ut perii4 non parlerò del testo di questo scolio dello pseudo-Acrone; mi limiterò a dire che esso non fornisce alcun sostegno né all’interpretazione esclamativa, né a quella temporale di ut perii. Tanti saluti affettuosi e, se non avremo occasione di scriverci prima (o se le «Regie Poste», particolarmente mal funzionanti in questo periodo, non rallenteranno di settimane la nostra corrispondenza!), tantissimi auguri per le prossime feste e per il 1973 a voi tutti, anche da mia madre e da Maria Augusta5. Un abbraccio affettuoso. Sebastiano PS. ‒6 O qualcosa di questo genere? ‘Amando perdere’ per cata antiphra­ sin declamat. <Aut> amore per<dere est amore incen>dere, unde ‘ut vidi, ut perii’. Ma ci credo poco7! Vd. le due lett. precedenti. Vd. lett. 548. 5 Vd. lett. 505. 6 Aggiuta manoscritta. 7 Nel margine inferiore un appunto di M. concernente la risposta (vd. lett. seguente): «quello di cui non sono ancora persuaso è che antiphrasis si possa considerare sinonimo o quasi di oxymoron (almeno in Serv. Aen. 3, 181 non c’è, mi pare, l’oxymoron, ma solo l’antitesi fra novo e veterum; e anche ibid. 5, 683, se non capisco male – qui non ho i testi – la singolarità sta nel fatto che, invece di descendit, si aspetterebbe ascendit). La mia impressione è che lo ps.-Acrone (stupidamente, d’accordo) sottintendesse che, invece di perdere, l’amore in realtà beat (o simm.) e quindi perdere è = per antiphrasin a beare. Così si spiegherebbe anche l’aggiunta dell’esempio virgiliano, dove non c’è oxymoron: perii = amore gavisus sum, in quanto l’amore è sentito come piacere senza tener gran conto del seguente ut me malus ecc.». 3 4 1046 552 Pesaro, 5. 1. 1973 Carissimo Sebastiano, hai sicuramente ragione a conservare declamat in ps.-Acr. ad Hor. carm. 1, 8, 31: i confronti serviani, di cui non m’ero accorto per quanto avessi scorso la voce del Thesaurus, sono definitivi, e anzi colpiscono perché riferiti a espressioni virgiliane che hanno qualcosa in comune con quella di Orazio. E giusto mi sembra intendere declamo come riferito al parlare retorico, non come semplice sinonimo di dicit. Fai benissimo, secondo me, a riportare nell’articolo su ut vidi ut perii2 lo scolio oraziano così com’è tramandato, senza interventi né considerazioni. Su eventuali interventi (espunzioni o integrazioni) in quello scolio io sarei ora molto dubbioso. Esclusi naturalmente i miei tentativi, mi sembra che non ci sia bisogno di pensare all’espunzione di amore perdere: se si fa iniziare la frase con per cata antiphrasin (anziché col lemma), non è da escludere che lo scoliasta abbia ripetuto in forma più semplice l’amando perdere di Orazio (… declamat ‘amore perdere’) in modo da rilevare il contrasto che vedeva fra i due concetti. Non mi sono ancora persuaso che ‘antifrasi’ si possa considerare sinonimo o quasi di ‘ossimoro’ (in Aen. 3, 181 non c’è, mi pare, un ossimoro, ma solo un’antitesi fra novo e veterum; e anche ibid. 5, 683, se non capisco male – qui non ho i testi – la singolarità sta nel fatto che invece di descendit si aspetterebbe ascendit). La mia impressione è che lo ps.-Acrone (stupidamente, d’accordo) pensasse che dell’amore non si debba (propriamente) dire che perdit, ma che beat (o simm.), e che quindi amore perdo (e simm.) equivalga a amore beo (o simm.). [Se poi Eirico di Auxerre avesse capito bene lo ps.-Acrone, non saprei]. Così si spiegherebbe anche l’aggiunta dell’esempio delle Bucoliche, dove non c’è oxymoron: anche in esso perii sarebbe = (amore) gavisus sum o simm., sentendosi sempre l’amore come godimento (fra l’altro, tenendo poco conto del seguente ut me malus ecc.). Scusami se ho scritto confusamente! Ho visto più volte in questi giorni Italo Zicàri3. Si è ripreso abbastanza dalla grave malattia, e per fortuna non sa del pericolo di ricaduta che corre. Mi ha parlato della vostra corrispondenza, e anch’io ti sono grato dell’affettuosa sollecitudine che gli dimostri. Per quanto migliorato, le sue 1 2 3 Vd. lett. 549. M. risponde alla lettera precedente. Vd. lett. 548. Vd. lett. 546-7. 1047 condizioni non sono buone (soffre anche di asma) e il lavoro l’affatica. Perciò, considerato il rischio che abbandonasse del tutto il proposito di scrivere qualcosa sull’argomento (e di pubblicare le lettere del Fabbri), l’ho esortato a dare il testo delle lettere con qualche considerazione sulla Chioma del Foscolo: ne è venuto fuori uno scritto insufficiente, ma che mi pare pubblicabile, e spero che lo pubblicherà4. Ho visto nei giorni scorsi Traina, felicissimo della tua decisione di pubblicare al più presto il libro nella collana dell’Ateneo5. A tutti voi auguri affettuosissimi per il 1973! Ti mando a parte un estrattino dalla Miscellanea Cataudella6, scritto proprio per non mancare all’invito. Ti abbraccia il tuo Scevola 4 5 6 Zicàri, Giudizi sul Foscolo (cit. lett. 546). Vd. lett. 547. M., Note su alcuni epigrammi di Orazio Romano (cit. lett. 544). 1048 553 Firenze, 22. 1. 1973 Carissimo Scevola, grazie dell’affettuosa lettera e delle note agli epigrammi di Orazio Romano1, tutte indubbiamente giuste e rivelanti la tua consueta felicitas coniectandi. Anche le prime due pagine del tuo articoletto sono molto interessanti per la storia della cultura. Io, nella mia beata ignoranza di cose umanistiche, ignoravo perfino l’esistenza di Orazio Romano! L’ultima tua nota interessa anche gli studiosi della fortuna di Ovidio e degli studi ovidiani. Sono contento di sapere che l’articolo di Italo Zicàri uscirà2. Mi rattrista, però, il pensiero che anch’egli, a così breve distanza dalla scomparsa di suo fratello, è stato così gravemente ammalato e si trova tuttora sotto un pericolo incombente. Mi auguro di tutto cuore che il pericolo non diventi realtà e, col passare del tempo, a poco a poco si fac