PassaParole
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Gabriele d’Annunzio - Vamba
Carteggio
1900-1919
Prefazione di
Simonetta Bartolini
Lorenzo de’ Medici Press
ISBN: 978-88-99838-21-8
D’Annunzio e Vamba: una sincera amicizia,
comuni ideali e battaglie condivise
PassaParole
è una collana diretta da Simonetta Bartolini
di Simonetta Bartolini
Si può ipotizzare che la conoscenza personale
fra Luigi Bertelli (Vamba) e Gabriele d’Annunzio
sia avvenuta intorno alla ine degli anni ’80 del
1800 o forse nei primi anni ’90 quando il futuro autore del Giornalino di Gian Burrasca risiede a Roma
dove collabora al «Don Chisciotte» dedicando diversi articoli proprio a d’Annunzio che peraltro
era stato collaboratore del «Capitan Fracassa»,
diretto da Luigi Arnaldo Vassallo (Gandolin), sul
quale Vamba aveva esordito con il nom de plum che
rimarrà per sempre la sua irma.
In seguito i contatti fra i due continuano attraverso le pagine del «Giorno» (1899-1901), diretto
da Luigi Lodi, nato dalla fusione fra il «Don Chisciotte di Roma» e il «Fanfulla»1, che documenta1
© by Simonetta Bartolini, 2017
© by Lorenzo de’ Medici Press, 2017
Lorenzo de’ Medici Press
via Faenza, n. 43 – 50124 Firenze
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2
Il «Giorno» si propone come erede del «Fanfulla» e del «Don Chisciotte» (dei quali riporta i nomi a destra e a sinistra immediatamente sotto il
titolo); e, come tale, nelle quattro pagine giornaliere (otto la domenica) offre ai lettori ampi articoli di cronaca e commento della situazione politica,
pezzi di costume, ritratti di personaggi italiani e stranieri, corrispondenze
dall’estero (interessante la serie curata dallo stesso Vamba dall’esposizione
universale di Parigi), oltre naturalmente alla panoramica su fatti e misfatti
giornalieri romani e nazionali. Tutto riccamente illustrato, secondo quella
tradizione ottocentesca dei grandi disegnatori (dal Chiostri, al Mussino, al
Sacchetti, al Bernardini, o al Brunelleschi) che sarà poi ereditata dalle riviste dell’avanguardia storica ino a quelle fra le due guerre (per perdersi in
gusti e disgusti nei tempi moderni, inita soprattutto quella generazione
di artisti illustratori che ha ceduto il passo a più modesti, se pure talvolta
3
no un importante continuo intreccio fra gli interessi di d’Annunzio e di Bertelli grazie alle prime
lettere conservate del loro carteggio e dedicate alla
campagna elettorale che d’Annunzio condusse a
Firenze per le elezioni della XXI legislatura avvenute fra il 3 e il 10 giugno del 1900 dove il poeta si
presentò a Firenze, nel collegio di San Giovanni,
come candidato dei socialisti contro Cambray-Digny.
Sul «Giorno» Bertelli pubblica regolarmente
pupazzetti e articoli con una media di sette-otto
collaborazioni mensili, occupandosi variamente
di politica o di cronaca. Dal momento della fondazione anche d’Annunzio comincia a scrivere
sul giornale romano (con alcuni capitoli del Fuoco) avendo irmato un contratto con Lodi per una
collaborazione esclusiva di due articoli mensili
per due anni, scadenza che naturalmente non rispetterà limitandosi ad inviare al quotidiano una
quantità di pezzi di gran lunga inferiore a quanto pattuito e a quanto già incassato2. Il 14 gennaio 1900 d’Annunzio pubblica Nel tempio di Dante,
parte del testo della conferenza inaugurativa delle
lecturae Dantis3, tenuta in Orsamichele a Firenze
geniali, vignettisti) e che lo stesso Vamba riprenderà prima nel «Bruscolo»,
cui chiamò a collaborare l’amico Enrico Sacchetti (sull’attività di illustratore di Enrico Sacchetti cfr. Il gigante avvelenato. Enrico Sacchetti, a cura di P.
Pallottino, introduzione di GEC (Enrico Gianeri) Bologna, Cappelli, 1978) e
poi nel «Giornalino della Domenica», che si avvarrà dell’opera graica di
Umberto Brunelleschi, Plinio Nomellini, Filiberto Scarpelli e Ugo Finozzi.
2
Cfr. G. Gatti, Vita di Gabriele d’Annunzio, Firenze, Sansoni, 1988, p. 173.
3
Ora in Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione,
di favole di giochi, di baleni III, a cura di E. Bianchetti, Milano Mondadori,
19471,19684, pp. 312-24 con il titolo Per la dedicazione dell’antica loggia iorentina del grano al novo culto di Dante.
4
il giorno 15 e a cui aveva fatto seguito la lettura
della sua Laude di Dante4 pubblicata sulla «Nuova
Antologia» il 16 gennaio 1900.
All’aprirsi del nuovo secolo l’amicizia fra i due
corrispondenti ha già radici profonde che consentono il reciproco “tu”, e una affettuosa familiarità. Amicizia, familiarità e identità di vedute che
emergono dalla seconda lettera conservata, collocabile intorno agli ultimi giorni di maggio del
1900, nella quale d’Annunzio racconta all’amico
(che chiama famigliarmente Gigi) l’arrivo a Firenze dopo l’annuncio della sua candidatura al
seggio di San Giovanni. Nelle parole del poeta,
secondo la sua caratteristica tendenza a enfatizzare gli avvenimenti che lo riguardano, lo scenario assume tinte apocalittiche: «Ier sera una folla
enorme aspettava alla stazione il mio arrivo. La
dimostrazione fu sciolta dalle guardie. I provvedimenti presi dal governo sono ridicoli. La paura
è grandissima. le lettere intercettate, i telegrammi
ritardati (io ne ho ricevuti alcuni con un giorno
di ritardo)». Enfatizzazione che non stravolge la
realtà, ma crea la necessaria epica personale inalizzata a indurre nell’interlocutore l’interesse e la
partecipazione. Infatti nel prosieguo d’Annunzio
esorta Vamba a sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso le colonne del giornale che peraltro
era già intensamente impegnato a ianco del poeta
Cfr. G. d’Annunzio, A Dante, Laudi del cielo-del mare della terra e degli eroi.
Elettra (1904) ora in Versi d’amore e di gloria II, edizione diretta da L. Anceschi, a cura di A. Andreoli e N. Lorenzini, Milano, Mondadori, 1984, pp.
257-260.
4
5
ino da quando ancora egli era deputato eletto nel
collegio di Ortona a Mare nelle liste dei moderati, difendendolo dagli attacchi che gli venivano
rivolti da coloro che rimproverano al “deputato
della bellezza” di non essere ancora intervenuto
nel dibattito parlamentare.
Per l’occasione si era incaricato della difesa Alfredo Oriani con un articolo uscito il 13 dicembre
1899 sul perché del Silenzio del poeta.
L’anno seguente gli interventi di d’Annunzio
e dei redattori del «Giorno» sulla questione politica si moltiplicano, concentrandosi nel trimestre
marzo-giugno che registra il famoso “salto della
siepe” (il passaggio del poeta dai banchi della destra a quelli della sinistra), e poi la sua candidatura iorentina nelle nuove elezioni convocate, anzitempo, per il mese di giugno. Il primo intervento
politico dannunziano sul «Giorno» è del 26 marzo
1900 con l’articolo Morti e vivi dove, dopo una prima parte apparentemente aneddotica che riprende indirettamente l’oggetto dell’articolo di Oriani,
d’Annunzio descrive – attraverso un episodio in
cui il poeta viene sollecitato ad entrare nell’aula
per comporre il numero legale necessario ad una
votazione— il suo rapporto con l’istituzione parlamentare, considerata nella sua deprimente riduttività della personalità del singolo deputato a unità
numerica per il raggiungimento di un quorum:
[…] un grandissimo usciere con una voce tra affannosa e imperiosa mi comandò di accorrere senza
indugio nell’aula per compire il “numero legale”! […]
pareva nell’atto il capo riconosciuto della Maggioranza o per lo meno un organo formidabile della difesa
costituzionale, se bene potesse sembrare uno di quei
necrofori che regolano l’ordine delle pompe funerarie […] Lo guardai sorridendo con una così tranquilla
ammirazione ch’egli rinunziò a trascinarmi […] quel
caso mi rappresentava graziosamente la funzione cui
è ridotta la vita politica italiana nell’Assemblea […]
Ma un altro fulmine di guerra sopraggiunse alle mie
spalle, d’improvviso […] un piccolo uomo giallognolo e barbato […] mi comandò di accorrer nell’aula per
compire il “numero legale”! Uno solo mancava e io
era quello […] Per qualche attimo mi credetti l’uomo
invocato a salvare la Patria […] Per disgrazia, il demone del riso invase il mio spirito e si manifestò per
la mia gola […].5
Ma l’episodio vuol essere non solo l’espressione
aneddotica del suo rapporto con l’attività e l’istituzione parlamentare, ma anche e soprattutto una metafora che introduce quanto dirà nel resto dell’articolo per spiegare al pubblico cosa lo avesse indotto a
schierarsi con la sinistra al momento della votazione
sui provvedimenti limitativi della libertà presentati
dal gen. Pelloux; poi contro la mozione presentata
da Cambray-Digny (appartenente allo stesso schieramento del poeta), per superare l’ostruzionismo
parlamentare; e inine la scelta, clamorosa e scenograica, di passare nei banchi della sinistra, quando
questa era insorta contro la decisione di togliere la
parola a Edoardo Pantano che chiedeva la sospensione della modiica del regolamento della Camera
per contrastare l’ostruzionismo (unica arma di dissenso fattivo delle minoranze).
5
6
G. d’Annunzio, Morti e vivi, «il Giorno», 26 marzo 1900.
7
D’Annunzio spiega ai suoi lettori come, nel
generale clima mortifero emanato dall’assemblea
parlamentare, gli sforzi viviicatori della sinistra
lo avessero indotto ad aggiungere «[…] al loro grido il grido della mia libertà intellettuale che va oltre le loro stesse speranze più temerarie;[…]» questo nonostante che, sottolinea il poeta, non ci sia
consensualità ideologica, ma solo solidarietà «al
loro sforzo distruttivo». L’articolo si conclude con
una considerazione fortemente critica nei confronti della stessa istituzione parlamentare così come
viene concepita e gestita in Italia: luogo nel quale,
invece di circolare “idee vive”, vitali e viviicatrici,
tutto si assopisce nel generale disinteresse:
Il parlamento nel regime rappresentativo dovrebbe essere un profondo organo di circolazione, come
il cuore animato, per ricevere tutti gli elementi vitali
e distribuirli convertiti in virtù ristoratrici luenti per
tutte le membra della Patria sino alle estremità remote
con un ritmo concorde. Il Parlamento dovrebbe essere
la sede suprema della coscienza e della potenza nazionali […]. Ora quali sono le idee vive che circolano
per i nostri banchi angusti su cui tanti sonnecchiano e
tanti ingannano con le facezie il tedio e tanti altri distillano i veleni delle loro piccole cupidige? […] Dov’è
un capo che noi potremmo seguire, capace di conciliare i grandi atti con i grandi pensieri e di favorire col
suo impulso, nello sviluppo economico, le superiori
apparizioni della vita?.
I più alti problemi, che riguardano la marina, l’agricoltura, gli studi, il patrimonio della lingua e dell’arte
—da cui dipendono le nostre sorti, da cui dipende la
nostra stessa esistenza— non sono considerati se non
come materia vile, da servire alle manipolazioni mi-
nisteriali dei piccoli avvocati ambiziosi. Chi li studia?
Chi li illumina? Chi li innalza col suo intelletto e la
sua passione, dinanzi al popolo e li trasigura in belle
idealità per farli amare?
Da troppo tempo il popolo d’Italia attende una
parola di vita; nessuno glie l’ha detta di coloro che
sono partecipi del governo. […] Coloro sono morti.
[…] Ma, poiché tutto ciò che è morto è impuro, affrettiamo l’ora del seppellimento.6
Come si vede l’explicit dell’articolo richiama
una situazione di fatto cui nessuno dei gruppi
parlamentari è estraneo, e pone d’Annunzio in
una posizione fortemente critica nei confronti della gestione della politica in generale e non solo
di quella della destra dalla quale si è allontanato.
Ecco dunque che quell’esordio, apparentemente
aneddotico, altro non era che l’anticipazione imaginiica, metaforica, di quanto avrebbe sviluppato
in seguito. I due commessi della camera, uno maestoso e autoritario («pareva veramente nell’atto
il capo riconosciuto della Maggioranza») l’altro
piccolo «giallognolo e barbato» che lo esortano ad
entrare in aula per raggiungere il numero legale
rappresentano i due schieramenti politici, destra e
sinistra, ugualmente distanti e fondamentalmente
incomunicanti con il profondo dell’animo e dell’idealità del poeta. Certo l’uno, il primo (metafora
della maggioranza, di destra) evoca immagini di
morte («uno di quei necrofori che regolano l’ordine delle pompe funerarie»); mentre l’altro quasi
riesce a comunicargli, «per qualche attimo», l’illusione di poter essere «l’uomo invocato a salva6
8
Ibidem.
9
re la patria»; ma ambedue in deinitiva sono solo
capaci di suscitare il sorriso disarmante, e la risata
irrefrenabile del poeta e quindi la dichiarazione di
assoluta estraneità al sistema.
Il tema dell’estraneità di d’Annunzio al sistema
parlamentare viene ripreso il 27 marzo (giorno successivo a quello dell’articolo del poeta) da un intervento di Luigi Lodi che, a irma Il Saraceno, pubblica
Gabriele d’Annunzio alla Camera, nel quale sviluppa i
temi di Morti e vivi sostanziandoli e sostenendoli con
un’analisi politica che attribuisce a d’Annunzio la
qualiica di vero anarchico della politica – governato da «un potente istinto estetico» cui va riconosciuta
una profonda «signiicazione politica», poiché «[…]
gli Stati si difendono, meglio che cogli espedienti polizieschi, col fulgore di poesia della quale sanno circondarsi […]» – e quindi in quanto tale, parlamentare
veramente libero e rispondente solo alla sua coscienza di italiano e difensore dei grandi valori della patria.
Il 28 marzo interviene Vamba, questa volta con
un articolo ironico all’indirizzo di Cambray-Digny,
il promotore di quella mozione contro cui aveva
votato d’Annunzio che nel suo articolo lo aveva
deinito «[…]un iorentino di reputazione arguto,
egregio dilettante di grafologia a anche di chiromanzia […] toscano dal duplice nome francioso
[cui] manca il nerbo del Machiavelli, la ferrea sintassi latina del segretario; e il gerundio in ispecie
gli è poco familiare», mentre sulla prosa della sua
mozione aveva scritto: «non ha il ilo della spada
tagliente e neppur quello della grammatica»7.
7
Ibidem.
10
L’articolo di Bertelli si intitola Ditta G. CambrayDigny & iglio, ed è il primo di tre interventi8 nei
quali egli mette alla berlina il deputato della maggioranza, deinito colui che «smercia proposte reazionarie garantite dalla fabbrica Sidney Sonnino
di San Casciano in Val di Pesa» o anche «i prodotti
reazionari dell’azienda consortesca iorentina»; e
poi dileggiato per le aspirazioni letterarie dai frutti poetici non propriamente luminosi e immortali.
Come si vede il «Giorno» è nettamente schierato contro la politica del governo sostenuto dalla maggioranza conservatrice, d’Annunzio trova
quindi facilmente ampio sostegno in quelle pagine, sostegno peraltro non legato solamente al
passaggio del poeta dalle ile della maggioranza a
quelle dell’opposizione, ma dovuto piuttosto alla
8
I tre articoli, sotto il medesimo titolo di Ditta G. Cambray-Digny & iglio,
vennero pubblicati in data 28, 30 marzo e 2 aprile 1900 nella prima pagina
del «Giorno». La deinizione di “ditta” si riferisce al fatto che nelle due ali
del parlamento, camera e senato, erano presenti padre e iglio, Guglielmo e
Tommaso Cambray-Digny, con una medesima politica di sostegno a Sidney
Sonnino. I due parlamentari iorentini vengono deiniti da Vamba nel primo articolo come una vera e propria associazione commerciale della politica: «[…] il senatore Digny è l’assuntore della ditta e smercia stati d’assedio
a Firenze; il deputato Digny, suo iglio, è il viaggiatore della casa e viene a
Roma a smerciare proposte reazionarie garantite dalla fabbrica Sidney Sonnino […]». Sempre in questo articolo Bertelli chiarisce ai lettori perché deinisca i vecchio Digny distributore di “stati d’assedio a Firenze”, rievocando
un episodio del 1898 che vide il senatore invocare dal governo di Roma una
dura rappresaglia (sproporzionata rispetto alla gravità degli eventi – una
sommossa di giovinetti guidati da due adulti che avevano preso a sassate le
guardie) dichiarando lo stato di anarchia e violenza regnati nel capoluogo
toscano a seguito di uno scontro fra manifestanti e polizia. Poi negli articoli
successivi l’attenzione dell’articolista si concentra sul Cambray-Digny iglio e sulle sue presunte manie persecutorie nella dilettantesca attività letteraria (pare lamentasse un continuo furto di idee da parte di altri letterati fra
cui Ferdinando Martini, che ebbe a rispondergli personalmente mettendo
in scena una commediola nella quale controbatteva alle accuse con l’arma
del dileggio e dell’ironia).
11
profonda stima che i redattori del quotidiano avevano nei suoi confronti.
Il cosiddetto “salto della siepe” di d’Annunzio,
provocò una serie di reazioni piuttosto accese che
lo indussero a tornare sull’argomento con un articolo, Della mia legislatura, pubblicato sul «Giorno»
il 29 marzo. Riprendendo il tema del proprio precedente intervento e quanto scritto da Lodi, d’Annunzio chiarisce le motivazione etiche-estetiche
della sua scelta, chiamando in campo la sostanziale coerenza fra i caratteri dei personaggi dei suoi
romanzi e la sua azione politica, istituendo così
una corrispondenza estetico-politica tendente a
qualiicare la sua produzione letteraria come una
vera e propria azione civile:
Il sentimento che mi mosse ad entrare nell’adunanza dei miei avversari non contraddice in nessun modo
alla dottrina che io animo nella mia opera d’arte; che
anzi sorse dalla profonda sincerità di quell’istinto nativo che sempre m’inclina verso tutte le espressioni
veementi ed eficaci della natura. […] Tutti i miei eroi
professano la più pura anarchia intellettuale; e la loro
ansietà non è se non una perpetua aspirazione a conquistare l’impero assoluto di sé medesimi e quindi a
manifestarsi in atti deinitivi. Andrea Sperelli, Tullio
Hermil, Giorgio Aurispa riconoscono la loro miseria
nella malattia della volontà onde sono impediti ad
integrare il loro essere […] Claudio Cantelmo – quel
buono italiano che in questi giorni mi viene opposto
specialmente da coloro i quali non lo conoscono – ha
espresso con qualche bella parola lo sforzo da lui
compiuto per giungere alla più alta dignità interiore. Egli non gloriica il Borbone – come vorrebbe far
credere quel mio amico che non legge – ma anzi lo
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vitupera con il più ardente dispregio perché lo riconosce pusillanime e simile a “un debole agnello”. Egli
si rammarica che l’inettitudine della sua casta non gli
consenta di condurre alcuna impresa civile; e, non
potendo manifestarsi come ei vorrebbe, concentra nel
suo proprio spirito la forza della sua volontà e crea un
interno mondo di poesia. Ora la poesia è azione.
Conclusa la querelle sulla sua attività parlamentare d’Annunzio pubblica sul «Giorno» due
articoli, il 14 e il 21 maggio, dedicati rispettivamente alla scomparsa di Enrico Nencioni, Per un
atto di fervore, e alle impressioni di un suo viaggio
in Germania, Della coscienza nazionale. Il giorno in
cui compare quest’ultimo scritto viene data anche
la notizia della proposta fatta al poeta di candidarsi per le prossime elezioni a Firenze nel collegio di San Giovanni9. La notizia della candidatura
dannunziana si diffonde rapidamente: a Firenze si
schiera dalla parte del poeta il «Marzocco», mentre «La Nazione», che ne aveva salutato con favore
l’elezione nel 1897, si scaglia violentemente contro
di lui pubblicando, già il 18 maggio, un trailetto
non irmato (come d’altra parte tutti gli interventi del giornale cui faremo riferimento) nel quale
Si legge nel trailetto: «È stata proposta a Gabriele d’Annunzio la candidatura in quel collegio iorentino che s’intitola di San Giovanni ed è ora
malinconicamente occupato da Tommaso di Cambray-Digny. Noi ci auguriamo che il poeta accetti di dare il suo nome alla battaglia, degna di lui, di
quella nobiltà ideale della vita politica che è sua aspirazione. Combattere
a Firenze, la città santa dell’intelligenza, dove l’anima italiana è più alta,
contro la mediocrità irosa, insofferente, inetta e paurosa combattere per la
dignità e per la libertà è opera di poeta. A che servirebbe la poesia se non a
scuotere tutto ciò che di vecchio si aggrava sui popoli? E niente di più vecchio, di più decrepito di quella consorteria che ha voluto comprimere ogni
cosa, incominciando dall’agile spirito iorentino.» D’Annunzio a Firenze, «il
Giorno», 21 maggio 1900.
9
13
si ironizza sulla presunta delusione che doveva
aver provato il poeta per essere stato dimenticato
dall’On. Pantano nella sua nota per la stampa degli intervenuti all’adunanza dell’estrema sinistra.
Commenta l’articolista: «Egli si era allontanato dai
vecchi amici, perché non lo esaltavano a suficienza, perché non gli sembravano abbastanza compresi della sua gloria, perché ritenevano di poterlo
far votare come un qualunque semplice mortale
deputato della maggioranza10 […]».
Il 25 maggio «La Nazione» rincara la dose riferendo in poche righe come fosse stata accolta a
Firenze la notizia della candidatura dannunziana:
«L’annuncio della candidatura dannunziana, suscitò da un capo all’altro della sala, una irrefrenabile, gustosa risata». D’annunzio a questo punto
sente la necessità di chiarire all’amico Vamba quali siano i reali termini della questione, dando una
versione completamente opposta a quella pubblicata sul quotidiano iorentino, e lasciando il lettore nel dubbio su dove sia la verità: «[…] la risata è
un un’invenzione del giornale consorte» – scrive
d’Annunzio dando il via al carteggio che qui si
pubblica.
L’avventura elettorale si concluderà con la
sconitta di d’Annunzio11 che però, fatto segno di
Il riferimento all’articolo dannunziano Morti e vivi è esplicito.
Anche dopo aver saputo il risultato delle prime votazioni in cui lui aveva
avuto 617 voti contro i 1117 di Cambray-Digny, d’Annunzio continuò ad
impegnarsi nella campagna elettorale per il ballottaggio, pubblicò infatti
il 9 di giugno, sul «Giorno», un articolo intitolato Gabriele d’Annunzio agli
elettori di Firenze. Prima del secondo assalto nel quale rivolgendosi agli elettori
iorentini nuovamente chiamati alle urne, traccia i ritratti dei due candidati
socialisti rimasti in lizza, Gaetano Pieraccini, e Guglielmo Doli. Soprattutto
di quest’ultimo, che evidentemente conosce meglio, come testimoniano le
10
11
14
ripetuti attacchi da parte della «Nazione»12, subito
dopo la prima parte della consultazione elettorale, sida a duello il suo direttore Bernabei. Tutte
le biograie danno notizia del duello, ma ancora
una volta informazioni dettagliate in proposito le
abbiamo dal Palmerio che riportando il racconto
di Leonardo Salemi, che nella vertenza d’onore fu
padrino di d’Annunzio, cita come coprotagonisti
del duello Vamba e Enrico Messineo13 incaricati
di fare da portatori della sida. Abbiamo notizia
di questa vicenda indirettamente dalla lettera n°
3 riferibile ai giorni immediatamente precedenti il
5 giugno che vide svolgersi il duello fra d’Annunzio e Bernabei, come informa un trailetto nella seconda pagina della «Nazione» in data 6 giugno,
risoltosi a favore del poeta con il ferimento del
direttore del quotidiano iorentino. In questa lettera d’Annunzio, informando Bertelli dell’arrivo di
Messineo, lo prega di farsi trovare per quel giorno
a casa del Doli dove sarebbe passato a prenderlo.
La missiva si conclude con la raccomandazione di
«non mancare, perché mi troverei in un grave imlettere a Bertelli, descrive la storia familiare ricorrendo alla rievocazione
della igura del padre, il popolano Giuseppe Doli che, di professione fornaio come poi il iglio, animò i moti iorentini contro i Lorena, assistette
Garibaldi dopo l’Aspromonte procurandosi fama e gloria ancora vive.
12
Gli articoli dedicati dalla «Nazione» alla candidatura di d’Annunzio
sono: D’Annunzio dimenticato, 18 maggio 1900; Il movimento elettorale in Italia. Nei collegi di Firenze, 25 maggio; Idem, 29 maggio; II Collegio. Una lettera
del Prof. Falorsi, 1° giugno; Dalla “Gran bestia” alla pulce, 2 giugno. Inine
il resoconto del duello fra Ettore Bernabei e d’Annunzio Soluzione di una
vertenza, 6 giugno.
13
Cfr. B. Palmerio, Con d’Annunzio alla Capponcina, Firenze, Vallecchi,
1939, poi ripubblicato con Introduzione M. Marchi, Firenze, Vallecchi, 1995,
pp.184-190 (le citazioni dal libro di Palmerio fanno riferimento a questa edizione), riproposto dalla casa editrice Le Lettere di Firenze nel 2009.
15
barazzo.». È evidente, dai nomi del gruppo di personaggi che si devono trovare riuniti per l’occasione, e dall’imbarazzo paventato da d’Annunzio
nel caso dell’assenza di uno di loro, che il motivo
dell’incontro riguarda direttamente il duello.
Ma come si era giunti ad incrociare le armi? Occorre tornare alla campagna elettorale e in particolare agli articoli sul «Giorno» e a quelli sulla «Nazione». Una volta confermata la candidatura di
d’Annunzio il «Giorno», proseguendo l’azione di
sostegno della politica dannunziana dei mesi precedenti, conduce la campagna elettorale per il poeta (campagna elettorale che al tempo durava pochi giorni al contrario di oggi non stupisca quindi
se il tutto è concentrato in poco più di una settimana) con una serie di interventi di Lodi e di Vamba.
Il 27 maggio a pagina 3 del «Giorno», interamente
dedicata alla “Lotta elettorale”, esce un breve articolo irmato il Saraceno intitolato Gabriele d’Annunzio a Firenze, nel quale Lodi ritornando sul vecchio tema dell’“anarchia” politica dannunziana ne
giustiica la candidatura nelle liste socialiste, non
come scelta di un partito nel quale identiicare le
proprie idee tout-court, ma piuttosto come opzione di un luogo politico meno inquinato degli altri
e che permette al poeta di mantenere la propria
indipendenza, comprendendone le istanze estetico-politiche. Proprio queste istanze estetico-politiche sono necessarie in una città come Firenze,
da sempre culla della bellezza, per contrastare un
candidato come Cambray-Digny che rappresenta
«la concentrazione rabbiosa dell’impotenza intel16
lettuale e civile», perciò là dove ci fu «Dante priore, il Boccaccio ambasciatore, il Machiavelli segretario» è necessario aprire nuovamente le porte «a
un poeta». La candidatura di d’Annunzio si giustiica con queste parole: «[…] ecco perché arriva
d’Annunzio, d’Annunzio che non è socialista, non
è repubblicano, non è radicale, ma che porta con
sé pel vivido lume della sua intelligenza, dell’anima d’artista, tutti i nobili istinti e i lunghi desideri
di rivolta contro l’aristocrazia cinese che vorrebbe
mettere il pentolino di una guardia sul cappuccio
di Dante».
All’articolo di Lodi fa eco, il giorno successivo
(28 maggio), un pezzo di Vamba, Qua e là, su e giù,
il primo di una serie dedicata alla campagna elettorale che già dal titolo dichiara la volontà di curiosare, con lo sguardo ironico del pupazzettista,
fra programmi e candidati. Naturalmente l’apertura è dedicata all’amico poeta e alla sua battaglia
con Cambray-Digny, cui fa eco in un altro collegio iorentino, quello di Santa Croce, lo scontro fra
Memo Doli ed Enrico Panzacchi; così la battaglia
elettorale sembra qualiicarsi come una tenzone
poetica di un carattere affatto particolare, lasciamo la parola allo stesso Vamba:
A Firenze dunque si presentano agli elettori due
poeti: il Panzacchi e il d’Annunzio. Il primo contro
Guglielmo Doli nella cui casa risuonarono un giorno
le strofe epiche del poema italiano, e la cui vita è tutta un inno consacrato alle più nobili virtù seguendo
egli in tutti i pensieri e gli atti suoi, con civil religione,
17
le tradizioni dell’intemerato popolano iorentino14. Il
secondo contro Tommaso Cambray-Digny che suona
nella sua brutale manifestazione politica negazione di
ogni sentimento alto e civile, offesa alle più belle tradizioni della città gloriosa; […] La lotta non dovrebbe esser dubbia nella città di Dante – e la poesia vera
dovrebbe vincere; dovrebbe vincere la poesia del patriottismo, del dovere, del sacriizio nel nome di Doli
e la poesia forte e squisita delle aspirazioni a una rinascenza civile nel nome di Gabriele d’Annunzio.
La risposta della parte avversa non si fa attendere, e certo non risparmia al poeta abruzzese
l’ironia pesante al limite della contumelia. Scrive
infatti «La Nazione» in data 29 maggio: «[…] disperando di contrapporre al conte Tommaso Cambray-Digny un combattente serio, fu immaginata
una candidatura che mettesse di buon umore Firenze, e che facesse vedere di quali amene metamorfosi siano capaci quei “partiti popolari”, che
hanno grandi braccia e prendono, come la misericordia divina, tutto quello che si rivolge ad essi.».
I toni della disputa, con l’avvicinarsi della scadenza elettorale, si fanno sempre più accesi, e i botta
14
Si riferisce al padre di Guglielmo, Giuseppe Doli che rappresento per lo
stesso Vamba una igura di riferimento già da fanciullo tanto da ricordare
i tempi in cui egli aveva fondato il primo giornale sui banchi di scuola,
chiamato «Lumaca» con queste parole: «Io, come direttore, durante le gravi
discussioni sull’indirizzo del giornale, mi assidevo solennemente dinanzi a
una scrivania, e tenevo in testa una berretta di velluto rosso ricamata che
aveva appartenuto proprio a Giuseppe Doli — e ricordo benissimo che, in
questo segno d’autorità, nel nostro sentimento di ragazzi, lo scherzo assurgeva ad un vero ingenuo omaggio all’amata memoria del forte popolano. E
veramente tutti i nostri scherzi tutti i nostri giuochi erano inspirati, in quell’
“ambiente” di ricordi ancor freschi delle ultime fortunose patrie vicende, a
un grande fervore eroico […]» (Illustri Italiani Contemporanei - Memorie giovanili autobiograiche, raccolte da Onorato Roux, 4 voll., Firenze, Bemporad,
1919, Uomini politici patrioti e pubblicisti, Vamba, IV vol., II parte, p. 298).
18
e risposta fra il «Giorno» e la «Nazione» più serrati: ad un articolo del 30 maggio, inneggiante a
d’Annunzio, il quotidiano iorentino risponde con
la pubblicazione, il 1° giugno, di una lettera già
inviata da Guido Falorsi al «Fieramosca», lettera
nella quale si dissocia dal manifesto programmatico dannunziano, dichiarando non solo di non
aver nulla a che fare con la stesura del medesimo,
ma anche di difidare quella parte dall’usare il suo
nome come sostenitore del candidato socialista.
Per «la Nazione» l’occasione è ghiotta così non si
lascia sfuggire di insolentire l’autore del Fuoco deinendolo, fra l’altro, «libellista cacciato da Ortona
a Mare». Ma il clou della polemica viene raggiunto con la risposta del quotidiano iorentino ad un
articolo di d’Annunzio – pubblicato sul «Giorno»
il 1° giugno, San Giovanni e la pulce, in cui l’invettiva rimane nei limiti della correttezza–, che a titolo
Dalla “Gran bestia” alla pulce rinnova a d’Annunzio
l’epiteto di libellista aggiungendo la deinizione
di «prosa diffamatoria» a proposito dell’articolo
del poeta che si dice «scritto per ordine dei suoi
proci elettorali». Tutto questo insieme a resto del
pezzo, che si presenta come una sequenza ininterrotta di accuse ingiuriose, non poteva non indurre
d’Annunzio a convocare sul campo dell’onore il
direttore del giornale, con le conseguenze che abbiamo dette.
Ci siamo dilungati sulla ricostruzione della
campagna elettorale dannunziana e sui suoi rapporti con «Il Giorno», perché essa rappresenta il
punto di partenza cronologico del carteggio e giu19
stiica e aiuta a comprendere la qualità dei rapporti fra i due corrispondenti. Rapporti che anche nel
prosieguo si snoderanno sul ilo del comune amor
di patria, dell’impegno civile e politico per concludersi solo con la morte di Bertelli avvenuta un
anno dopo l’ultima lettera conservata.
Conclusasi la vicenda elettorale, d’Annunzio si
reca, come consuetudine in quegli anni, in Versilia
da dove scrive all’amico una serie di lettere in cui
la comunicazione, abbandonati i toni concitati ed
enfatici delle missive precedenti, si distende nella
descrizione di luoghi e stati d’animo scandendo, in
quattro lettere scritte fra il ferragosto 1900 e la metà
di settembre, i tempi di un’estate versiliana operosa
e contemplativa ad un tempo: «Ti verrò a cercare al
Grand Hôtel, e poi ti condurrò in questo rosso eremo dove ho largamente poetato imitando le acque
e le foglie e le arene»; «Qui il settembre è d’oro, e
io ho tuttavia la volontà di cantare.[…] Il mare è
calmissimo; ma il giorno si fa più breve e io vorrei
che s’allungasse indeinitamente, tante sono le cose
che devo compire.» e inine «[…] dovevo andare a
Settignano ma poi differii la partenza, sedotto dalla
dolcezza del settembre su questa sabbia.».
Dopo qualche mese di silenzio epistolare, il
contatto fra i due riprende, è Vamba a scrivere al
poeta per congratularsi (siamo approssimativamente fra la ine di febbraio e gli inizi di marzo
1901) per la Canzone di Garibaldi appena composta
alla quale d’Annunzio risponde affettuosamente
quindi troviamo una lettera da Viareggio, in data
21 agosto 1901, nella quale d’Annunzio racconta
20
all’amico di preoccupazioni economiche provocate da «consanguinei, al solito!» alle quali spera di
porre rimedio dando in garanzia «i prossimi diritti d’autore su la Francesca da Rimini» chiedendogli di aiutare Palmerio (il veterinario che aveva
assunto, presso d’Annunzio, le funzioni di amico,
segretario amministratore, tutto fare) nella ricerca
del contate necessario ai sempre crescenti bisogni
del poeta e della sua famiglia.
Con il 1906 il carteggio, interrotto, riprende
questa volta con una lettera di Vamba e una di
d’Annunzio non collegate fra loro. Infatti nella
prima Bertelli, proseguendo un discorso evidentemente già iniziato con il poeta torna a parlare «[…]
de’ tuoi promessi scritti per il Giornalino», quindi allude ad un episodio, famoso nell’aneddotica
dannunziana, quello che si riferisce alla denunzia
presentata dal poeta nei confronti di un vicino di
casa ritenuto colpevole di avergli ucciso uno dei
cani, Magog, al quale era particolarmente affezionato fra i tanti di cui amava circondarsi da quando
risiedeva alla Capponcina. La lettera di d’Annunzio, datata 12 settembre, è di dificile interpretazione, fa infatti riferimento a «rime puerili» che il
poeta dichiara di non poter far «ristampare senza
rossore», facendo evidente seguito ad una richiesta del Bertelli di dare alle stampe dei testi poetici
giovanili che evidentemente sono ritenute dall’autore delle Laudi prodotto così immaturo da non sostenere la loro riproposizione al pubblico.
L’ultima tranche di lettere comprende il periodo 1912-1919 con un silenzio di sei anni fra la
21
prima e le ultime sei, scritte fra il ‘18 e il ‘19. Nonostante questo non indifferente salto temporale
le sette lettere possono essere considerate insieme
perché l’argomento principe torna ad essere quello dell’impegno civile e politico cui si aggiunge
la vicenda bellica conclusasi con l’esperienza iumana. In queste missive i toni tornano ad essere
quelli concitati, pieni di ardore, e di speranza delle
prime; con la differenza che mentre allora si trattava di una questione strettamente elettorale, che
mescolava idealità e politica agita, in questo caso
il sentimento patriottico è più puro e sostanziato
dall’azione bellica.
Nella lettera del 19 febbraio 1912 di Bertelli a
d’Annunzio l’argomento oscilla ancora fra politica e letteratura, il mittente chiede infatti all’amico
di integrare «di tuo pugno irmandole le terzine
mirabili sequestrate», ricostituendo così il testo
della Canzone dei Dardanelli mutilato dalla censura
nel gennaio del 1912, quindi domanda una chiosa
alle due odi Il sole declina fra i cieli e le tombe e Il re
giovine concludendo la missiva con un inno all’Italia che riproduce in parte e in parte riecheggia
testo di alcuni versi dell’ode Al re giovine. Dunque i due amici tornano sul comune terreno che
vedrà la stella dannunziana questa volta brillare
senza l’ombra della sconitta. A questa altezza la
guerra è ancora lontana e inimmaginabile, ma i
sentimenti proseguono un iter dalle antiche radici, sarà così naturale che i due tornino a scriversi
durante la guerra: è ancora Vamba15 ad indirizza15
Vamba, durante la guerra, pur non potendo più contare sul «Giornalino
22
re una richiesta al poeta: il testo del proclama ai
viennesi per farne nuovi volantini che rinnovellino la gloria di un’azione iniziatrice del vittorioso
cammino bellico. D’Annunzio accogliendo la richiesta dell’amico lo prega di donare il manoscritto all’università di Roma «da parte di un vecchio
studente» e conclude la lettera con l’esaltazione
della battaglia nella quale è impegnato. Siamo al
15 agosto 1918 la vittoria, poi così deludente per
il poeta, è vicina, e proprio ad essa si riferisce la
lettera di Bertelli del 19 novembre di quello stesso anno «Salute al poeta-soldato che vaticinò nei
canti e s’è guadagnato nella guerra questa grande
gioia. Donec ad metam…»
Nel frattempo il suo «Giornalino della Domenica», che aveva sospeso le pubblicazioni nel 1911,
era tornato a vivere16, e Vamba coglie l’occasione
della Domenica» dalle cui pagine aveva coltivato nei suoi giovani lettori sentimenti di amor patri e di rivendicazione delle terre irredente, torna
a impegnarsi nella battaglia attraverso la scrittura e non solo: nel 1915 lo
troviamo nel comitato scientiico, presieduto da Ugo Ojetti, che dirige la
collana Affari Italiani, dell’Editore Ravà di Milano – una serie di opuscoli di
32 pagine a carattere interventista –, quindi pubblica I bimbi d’Italia si chiaman Balilla. I ragazzi italiani nel Risorgimento nazionale, (Firenze, Bemporad e
iglio), il cui titolo è un inequivocabile richiamo all’impegno dei giovanissimi in questo delicato momento storico, sul modello di quel Giovan Battista
Perasso, detto Balilla, che a Genova nel 1746 incitò la folla del quartiere di
Portoria, alla ribellione contro gli occupanti asburgici lanciando il primo
sasso contro i soldati. Sempre nello stesso anno dedica un libro alla igura
di Jessie White Mario (Firenze, R. Bemporad e iglio), fervente sostenitrice
della causa dell’unità italiana, inglese, sposata con un patriota italiano Alberto Mario, amica di Mazzini conosciuto e ammirato durante l’esilio londinese; e nel 1916 pubblica L’epitafio di Francesco Giuseppe (Firenze, Spinelli),
nel 1917 quando la guerra conosce il suo momento più buoi per le truppe
italiane e si prepara Caporetto dà alle stampe Resistere per esistere (Bemporad, 1917) pubbklicato in questa collana.
16
Questa volta però il direttore è Giuseppe Fanciulli, per quanto Bertelli ne
sia comunque il nime tutelare, sul «Giornalino della Domenica» si veda: N.
Ajello, Un settimanale del primo 900: «Il Giornalino della Domenica» di Vamba,
23
per comunicarlo al poeta chiedendogli un intervento scritto «di saluto e di augurio», presentandogli il «serio programma di civile educazione»
e ricordandogli il trascorso impegno patriottico:
«[…] il Giornalino della Domenica […] fu solo a
sostenere in un periodo di viltà l’amore e il diritto delle provincie italiane or liberate — modesto
giornale per i ragazzi che si sono battuti da eroi e
dei quali molti sono caduti.».
Siamo alle ultime battute di questo carteggio,
d’Annunzio è entrato a Fiume, l’amico lontano
manifesta la sua solidarietà e quella del «Giornalino», il poeta lo esorta a raggiungerlo magniicandogli l’ebrezza e la gioia della nuova impresa per
rivendicare all’Italia la città dalmata: «Mio caro
Vamba, parlo di te con Sante Ceccherini, che sofia
nella nostra fucina e arroventa tutti i miei soldati.
Tu non puoi immaginare questa vita di ardore, di
priorità di allegrezza. Vieni e ti sentirai beato. Vedrai veramente in atto quel che era una parola e
un sogno: l’Italia nuova.»
Sembra, e di fatto lo è, poiché l’ultima lettera
conservata non è un autografo ma una semplice
comunicazione che il Comandate fa all’amico per
tramite della penna del suo attendente Tiburzi,
l’epigrafe conclusiva della storia di un’amicizia.
Vamba raggiungerà d’Annunzio a Fiume, e da Firenze continuerà a sostenerlo ino da ultimo, ino
a quel novembre del 1920 che segnò il suo ultimo
giorno terreno.
Stranamente le vicende dei due amici hanno
una simile conclusione, anche il poeta, il soldato,
il Vate d’Italia dopo l’avventura iumana comincia
la strada discendente di un lento declino. Avevano vissuto d’Annunzio e Vamba, legati da sincera
amicizia e comuni ideali gli anni più vividi e fecondi della loro esistenza.
in «Nord e Sud», VI, n 53, aprile 1959, pp77-84; G. Genovesi, «Il Giornalino
della Domenica», in Id., La stampa periodica per ragazzi. Da Cuore a Charlie
Brown, Parma, Guanda, 1972, pp. 34-45; P. Pallottino, «Il Giornalino della
Domenica», in L’editoria italiana fra Otto e Novecento, a cura di G. Tortorelli, Bologna, Edizioni Analisi, 1986, pp. 67-94; E. Balzani, La patria di Gian
Burrasca. Il tema dell’identità nazionale nelle pagine del «Giornalino della Domenica» e del «Corriere dei Piccoli, in Le credibili inzioni della storia, a cura di D.
Gallingani, Firenze, Centro editoriale toscano, 1996, pp.15-31; C. Gallo - G.
Bonomi, Agli albori della letteratura per ragazzi: «Il Giornalino della Domenica»
(1906-1911) , Verona, Società editoriale Graiche AZ, 1999; C. Gallo, Vita,
morte, miracoli e resurrezione del «Giornalino della Domenica»: da Bemporad a
Mondadori (1906-1927), in Editori e piccoli lettori tra Otto e Novecento, a cura
di L. Finocchi, A. Gigli Marchetti, Milano, Franco Angeli, 2004, pp. 317339; «Santa Giovinezza!» Lettere di Luigi Bertelli e dei suoi corrispondenti
(1883-1920), a cura di A. Ascenzi, M. Di Felice, R. Tumino, Macerata, Alfabetica, 2008.
24
25
Nota al testo
Ripubblico in questa sede il carteggio d’Annunzio-Vamba
che già pubblicai su «La Rassegna della Letteratura Italiana»
(serie VIII – 2-3, maggio-dicembre 1997) venti anni fa premettendovi il saggio dedicato a d’Annunzio e Vamba (Da
Firenze a Fiume, storia di un’amicizia fra giornali e “giornalini”.
Il carteggio d’Annunzio-Vamba (1900-1919), in I segni e la storia. Studi e testimonianze in onore di Giorgio Luti, Firenze, Le
Lettere, 1996) uscito l’anno prima ed entrambi ormai dificilmente rintracciabili.
Per quanto riguarda il carteggio esso è stato integrato da
una lettera al tempo non conosciuta, pubblicata in «Santa
Giovinezza!» Lettere di Luigi Bertelli e dei suoi corrispondenti (1883-1920), (a cura di A. Ascenzi, M. Di Felice, R. Tumino, Macerata, Alfabetica, 2008); tale missiva di Vamba
a d’Annunzio, pur essendo priva di data mi ha permesso,
grazie ai riferimenti interni, di dare una diversa datazione
a quella da me pubblicata del poeta delle Laudi che avevo
erroneamente collocato al 1900 e che invece adesso risulta
essere la risposta alla lettera di Bertelli e quindi da collocarsi
nell’anno successivo. Viceversa ho confermato e documentato le date da me a suo tempo attribuite alle lettere senza
data dei due corrispondenti seppure in contrasto con quelle
attribuite nel libro di Ascenzi.
L’apparato di note del carteggio è stato ampiamente integrato e rivisto in maniera da cercare di sciogliere ogni nodo
interpretativo posto dalle missive e aggiornato con la bibliograia recente.
Il saggio introduttivo ripropone per gran parte quello
uscito nel 1996 con le dovute integrazioni, tagli e aggiornamenti.
26
Gabriele d’Annunzio – Vamba
Carteggio
(1900-1919)
27
11
[maggio] 1900
La tua presenza qui, anche per un giorno, sarebbe utilissima.
A rivederci.
Saluta gli amici.
Il tuo Gabriele d’Annunzio
Caro Vamba,
la risata è una invenzione del giornale consor2
te , una menzogna del servitore. So, da chi era
presente nell’adunanza di quegli scimuniti, che
nessuno rise.
Nessuno ride; molti hanno paura.
Le cose vanno bene, per ora. In San Giovanni è
un gran fermento. Si sta costituendo un comitato
intellettuale. Il manifesto è stato scritto da Guido
Falorsi3. I giovani monarchici si accostano.
Lettera n° 1. S.l. e s.d., su carta intestata: «La Capponcina-Settignano di
Desiderio [Firenze]» ma sicuramente posteriore al 25 maggio 1900 e anteriore al 1° giugno (vedi nota seguente) è discutibile di conseguenza la data
25 giugno (poiché le elezioni avvennero comunque fra il 3 e il 10 giugno)
attribuita alla lettera in «Santa Giovinezza!» Lettere di Luigi Bertelli e dei
suoi corrispondenti (1883-1920), a cura di A. Ascenzi, M. Di Felice, R. Tumino, Macerata, Alfabetica, 2008, 184-185.
2
D’annunzio si riferisce al trailetto, pubblicato sulla «Nazione» di Firenze
il 25 maggio 1900 nella rubrica giornaliera Il movimento elettorale in Italia,
nel quale, con il titolo Nei collegi di Firenze, si legge: «Contro l’antico deputato Cambray-Digny che gode da molti anni la iducia degli elettori si è
proposto dai socialisti la candidatura di Gabriele d’Annunzio che non ha
creduto prudente di ripresentarsi agli elettori di Ortona a Mare. L’annuncio
della candidatura dannunziana, suscitò da un capo all’altro della sala, una
irrefrenabile, gustosa risata.»
3
In realtà sulla paternità del suddetto manifesto sussistono molti dubbi,
infatti Guido Falorsi (1847-1920) scrive al «Fieramosca» una lettera nella
quale si dissocia da d’Annunzio e dichiara la propria estraneità alla stesura
del manifesto. La lettera viene riportata il 1° giugno 1900 dalla «Nazione»
che naturalmente sostenendo il candidato conservatore, non perde occasione per attaccare il poeta. Si legge nella lettera del Falorsi: «Veggo il mio
nome sotto un manifesto da me né approvato né letto, per la candidatura
del signor Gabriele d’Annunzio. Odo che il signor Gabriele d’Annunzio
ricusa confermare pubblicamente quelle opinioni monarchico costituzionali che aveva meco manifestato. Ritiro quindi la mia adesione alla predetta
candidatura. Di lei chiarissimo signore devotissimo Guido Falorsi. 30 mag1
28
gio 1900». Il giornale commenta che un monarchico di chiara fama come lo
studioso Falorsi non avrebbe potuto schierarsi a favore della candidatura
di d’Annunzio una volta conosciuti in profondità idee e programmi dello
schieramento per il quale il poeta si presentava.
29
21
[maggio] 1900
Mio caro Gigi,
sono arrivato alle tre. Ero aspettato dai Capi dei
partiti popolari. L’accordo su la mia candidatura è
completo.
Iersera una folla enorme aspettava alla stazione il mio arrivo. La dimostrazione fu sciolta dalle
guardie2.
I provvedimenti presi dal governo sono ridicoli. La paura è grandissima. Le lettere sono intercettate, i telegrammi ritardati (io ne ho ricevuti alcuni
con un giorno di ritardo!).
Qui i giovani sono in gran fervore. Si lavora con
entusiasmo. Le buone probabilità crescono.
Bisogna che il Giorno incominci la sua campaLettera n° 2. Su carta intestata: «La Capponcina-Settignano di Desiderio
[Firenze]», s.d. ma sicuramente databile alla ine di maggio 1900 anno in cui
d’Annunzio si candidò alla Camera nel Collegio elettorale di San Giovanni
di Firenze. Poiché le elezioni si tennero il 3 giugno per il primo turno e il 10
giugno per il secondo turno. D’Annunzio non venne ammesso al ballottaggio ma continuò comunque la campagna elettorale. È dunque discutibile la
data 29 giugno attribuita alla lettera in «Santa Giovinezza!» Lettere di Luigi
Bertelli e dei suoi corrispondenti (1883-1920), cit., pp. 183-184.
2 Il «Giorno» di Luigi Lodi, che effettivamente lo sosterrà nella candidatura
con ripetuti articoli dello stesso Lodi e di Vamba, pubblica, il 30 maggio
1900, in terza pagina nella rubrica La lotta elettorale, con il titolo La candidatura di d’Annunzio, un trailetto così concepito: «I giornali raccontano la
dimostrazione fatta a Gabriele d’Annunzio nel suo recente arrivo a Firenze,
hanno pure narrato —ediicante ed eloquente aneddoto— che alcuni giovani, per avere acclamato il nome del poeta furono presi a pugni dalle guardie». L’episodio è certamente il medesimo al quale si riferisce d’Annunzio
nella lettera: «Iersera una folla enorme aspettava alla stazione il mio arrivo.
La dimostrazione fu sciolta dalle guardie.»
1
30
gna e la prosegua con vigore3. Domani ti manderò
un articolo4.
C’è qui da organizzare la vendita del giornale?
In che modo? Dimmi che posso fare.
S’è costituito un comitato indipendente, al quale
hanno aderito socialisti e repubblicani. Ti scrivo in
fretta. E raccomando la lettera, perché non abbia la
sorte delle altre.
Fammi spedire — ti prego— il Giorno a Settignano (Firenze).
Salutami gli amici.
Ti abbraccio. Il tuo Gabriele
3
In effetti il «Giorno» dedicò molto spazio alla candidatura di d’Annunzio
che fu formalizzata nel maggio del 1900. Il 21 di quel mese nella prima
pagina del quotidiano romano si trova oltre ad un lungo articolo del poeta
intitolato Della coscienza nazionale, un breve trailetto che annuncia la proposta fatta a d’Annunzio di presentarsi per il seggio alla camera del collegio di
San Giovanni di Firenze; vi si legge: «È stata proposta a Gabriele d’Annunzio la candidatura in quel collegio iorentino che si intitola di San Giovanni
ed è ora malinconicamente occupato da Tommaso Cambray-Digny. Noi ci
auguriamo che il poeta accetti di dare il suo nome alla battaglia, degna di
lui, di quella nobiltà ideale della vita politica che è sua aspirazione. Combattere a Firenze, la città santa dell’intelligenza, dove l’anima italiana è più
alta, contro la mediocrità irosa, insofferente, inetta e paurosa, combattere
per la dignità e la libertà è opera di poeta. A che servirebbe la poesia se
non a scuotere tutto ciò che di vecchio si aggrappa sui popoli? E niente
di più vecchio, di più decrepito di quella consorteria che ha voluto comprimere ogni cosa, incominciando dall’agile spirito iorentino.» A sostegno
della candidatura di d’Annunzio il «Giorno» intervenne con diversi articoli
e trailetti, oltre ad ospitare naturalmente interventi dello stesso poeta. Ma
anche prima della data del 21 maggio il giornale attraverso la penna satirica
di Vamba aveva cominciato a polemizzare con Cambray-Digny con una
serie di articoletti intitolati Ditta G. Cambray-Digny & iglio pubblicati rispettivamente il 28 marzo, 30 marzo, 2 aprile 1900. La campagna elettorale
di d’Annunzio sul giornale fu così condotta: 27 maggio 1900, Il Saraceno
(Luigi Lodi), Gabriele d’Annunzio a Firenze; 28 maggio, Vamba, Qua e là, su
e giù; 30 maggio, s.n., La candidatura d’Annunzio; 31 maggio, s.n., Gabriele
d’Annunzio a Firenze; 1 giugno, G. d’Annunzio, San Giovanni e la pulce; 3
giugno, Il discorso di Gabriele d’Annunzio; 9 giugno, G. d’Annunzio, Prima
del secondo assalto.
4
Si tratta dell’articolo San Giovanni e la pulce (cfr. nota precedente)
31
31
[giugno] 1900
Caro Vamba,
il Messineo2 arriva oggi col treno delle due e 50!
Ti prego vivamente di trovarti alle due in casa
Doli, dove passerò a prenderti. Alle tre e mezzo
sarai libero. Mandami un rigo di risposta per confermare questo appuntamento. Ti raccomando di
non mancare, perché mi troverei in un grave imbarazzo.
Saluti affettuosi al Doli.
Ti abbraccio.
Il tuo Gabriel
Sabato mattina
Lettera n° 3. S.l. e s.d., su carta intestata: «La Capponcina - Settignano
di Desiderio [Firenze]» databile ai primi giorni di giugno 1900, infatti il 5
di quel mese si svolse il duello fra il direttore della «Nazione» Ettore Bernabei e Gabriele d’Annunzio (come sappiamo da un trailetto della stessa
«Nazione» datato 6 giugno, intitolato Soluzione di una vertenza, che riferisce
l’evento avvenuto il giorno prima con la vittoria del poeta sul direttore del
giornale rimasto ferito) a causa di un articolo giudicato ingiurioso dal poeta che chiamo urgentemente Meessineo per fargli da primo (ovvero da
portatore di sida) nella contesa insieme a Bertelli. Cfr. a questo proposito la
cronaca dell’evento raccontata da Benigno Palmerio in Con d’Annunzio alla
Capponcina 1898-1910, Introduzione di M. Marchi, Firenze Vallecchi, (19381)
1995, pp.184-190 vi si legge fra l’altro «[…] lo scontro avvenne subito, nella
mattinata stessa, in un’ampia e luminosa sala del secondo piano del palazzo Buondelmonti in Piazza Santa Trinità, tra via delle Terme e Borgo SS.
Apostoli, ove il chirurgo professor Vanzetti aveva allora la Poliambulanza
di pronto soccorso e che i professori Teodoro Stori e Gaetano Pieraccini,
l’uno e l’altro primarii del R. Ospedale di S. Maria Nuova, erano rispettivamente i medici di iducia di Ettore Bernabei e di Gabriele d’Annunzio. I
padrini del primo erano il tenente Gelli e il cavalier Lumachi, e del secondo
Enrico Messineo e Luigi Bertelli.» (p. 188) È perciò da ritenersi errata la
data 28 settembre 1900 (in «Santa Giovinezza!» Lettere di Luigi Bertelli e
dei suoi corrispondenti (1883-1920), cit., p.188) che collocherebbe il duello
diversi mesi dopo. Ad ulteriore conferma che la data non può essere quella
del 28 settembre si veda la lettera del settembre 1900 (erroneamente datata
21, ivi, p.187) nella quale si allude all’amnistia attesa o sperata per la ricorrenza del 20 settembre, amnistia che dovrebbe riguardare appunto il duello
con Bernabei e i padrini in esso coinvolti dunque Vamba e Messineo. Non
è pensabile che il duello, secondo la datazione da noi contestata, avvenga
dopo la lettera nella quale si parla dell’amnistia.
2
Enrico Messineo giornalista, direttore e proprietario del «Piccolo» di Palermo, redattore dell’«Ora», e del «Giorno»
1
32
33
4
Ferragosto 1900
Carissimo Vamba,
anch’io ho un gran desiderio di rivederti in
tempo di pace dopo aver tanto guerreggiato al tuo
ianco1!
Vado a Settignano per due o tre giorni. Torno giovedì o venerdì. Ti verrò a cercare al Grand
Hôtel2, e poi ti condurrò in questo rosso eremo3
dove ho largamente poetato imitando le acque e le
foglie e le arene4.
A rivederci
Ti abbraccio.
Il tuo
Gabriele d’Annunzio
51
[estate 1900?]
Mio caro Vamba,
vuoi pranzare con me stasera, a Viareggio,
in un qualunque restaurant della spiaggia?
Sono abbrutito dal lavoro, e un’ora passata
in tua compagnia mi sarà di sollievo.
Arbib2 mi ha fatto sapere che si trova a Viareggio. Vuoi che l’invitiamo?
Se dunque sei libero, verrò a cercarti al
Grand Hôtel verso le sette e tre quarti. Fatti trovare su la porta.
Ave.
Gabriel
1
Si riferisce alle appena trascorse battaglie elettorali
Si tratta del Grand Hôtel di Viareggio.
3
Si tratta della casa di proprietà di Armanda Consigli, situata in Versilia in
località Secco Motrone
4
Questa stessa immagine torna in un’altra lettera di d’Annunzio a Angelo
Conti dove si legge: «Molte laudi ho composto, imitando le acque e le foglie.» (cfr. lettera ad Angelo Conti da Viareggio del 13 agosto 1900, riportata
da G. Gatti, Vita di Gabriele d’Annunzio, introduzione di P. Alatri, (edizione riveduta e corretta), Firenze, Sansoni, 1988, p.174). Fu quest’estate del
1900 che nacquero alcune delle più belle liriche di Alcyone: Ditirambo III
(20 luglio), L’oleandro (2 agosto), Le ore marine (Ferragosto), Il novilunio (31
agosto).
2
34
Lettera n° 5. S.l. e s.d. probabilmente risalente a quella stessa estate del
1900 della lettera precedente, per la datazione l’unico termine di riferimento è quello ante quem del 1906, anno della morte di Edoardo Arbib cui si fa
riferimento nel testo
2
Edoardo Arbib (1840- 1906), patriota, giornalista, deputato al parlamento
e senatore dal 1904 fu collaboratore del «Giorno» e scrisse alcuni libri di
argomento storico, Cinquant’anni di storia parlamentare del Regno d’Italia, 4
voll., 1898-1907.
1
35
61
Viareggio: 6 settembre 1900
Caro Vamba,
sei citato anche tu dinanzi al tribunale dell’Eterno?
Io vorrei almeno ottenere un rinvio. Qui il settembre è d’oro, e io ho tuttavia la volontà di cantare2.
Scriverò ad Angelo Muratori3.
Se hai tempo scrivimi un rigo per darmi notizie
della tua mamma. È guarita?
Qui non vedo alcuno. Il mare è calmissimo; ma
il giorno si fa più breve e io vorrei che s’allungasse indeinitamente, tante sono le cose che debbo
compire.
Arrivederci. Ricordami agli amici. manderò
Lettera n° 6. Biglietto indirizzato a Luigi Bertelli presso «il Giorno», Roma
L’anno precedente, il 7 luglio 1899 scriveva da Marina di Pisa a Treves:
«Vorrei rimanere qui a cantare. Ho una volontà di cantare così veemente che
i versi nascono spontanei dalla mia anima come le schiume dalle onde. In
questi giorni, in fondo alla mia barca, ho composto alcune Laudi che sembrano veramente iglie delle acque e dei raggi, tutte penetrate di aria e di
salsedine.» (cfr. G. d’Annunzio, Poesie, a cura di F. Roncoroni, Milano Garzanti, (19781), 1982, p.325.
3
Angelo Muratori (1843-1918) avvocato e patriota che aveva combattuto
a ianco di Garibaldi a Mentana, era al tempo deputato alla Camera, cfr.
lettera seguente.
1
2
36
L’ode a Leone XIII 4 pel 20 settembre5.
Ti abbraccio
Il tuo
Gabriel
Di questa Ode si ha notizia da Benigno Palmerio (Con d’Annunzio alla Capponcina, cit., pp. 98-99) che la colloca però al 1898 e ne ricorda la composizione con queste parole: «Mi ricordo di un giorno del novembre 1898. Egli
stava meditando sulle prime cartelle delle Laudi, ed era un dolce meriggio
della tiepida estate di San Martino. Gabriele che è al tavolo da lavoro, alza
ad un tratto la testa al frinire di una cicale tra gli ulivi. Si scuote, sale sul terrazzino, resta qualche minuto fermo ad ascoltare quella voce fuori stagione.
Così incantato, il cuore pieno di dolcezza, gli vien fatto di pensare, d’improvviso, a Leone XIII, di cui aveva sempre ammirato l’alta e umana cultura. Torna nel suo studio, mette da parte le cartelle delle Laudi, e in bella prosa francese s’accinge a scrivere l’Ode Leonis. Trentanove cartelle, delle quali
l’ultima porta la data del 7 dicembre 1898. Gabriele mi raccontava queste
cose deinendole come i più cari misteri del suo spirito». Dunque il buon
Palmerio racconta un episodio di cui non è stato direttamente testimone ma
che gli è stato narrato dallo stesso poeta. Dell’Ode non si ha notizia che sia
mai stata effettivamente composta, nel dicembre del 1900 invia al «Figaro»
di Parigi una prosa suggeritagli dalle lettura degli epigrammi e delle odi di
Leone XIII che «molto piacque al Ponteice poeta» (cfr. Vita e opere di Gabriele
d’Annunzio in un indice cronologico analitico (1863-1949), a cura di F. Masci,
Roma, «Alere Flammam», 1950, p. 145). L’idea di scrivere un’ode a Leone
XIII viene manifestata anche a Luigi Lodi in una lettera scritta da Viareggio
il 5 settembre 1900 «[…]Spero di poterti mandare per il 20 settembre l’Ode a
Leone XIII» (cfr. G. Gatti, Lettere di Gabriele d’Annunzio a Febea e a Luigi Lodi,
in «L’osservatore politico letterario», a. VIII, luglio 1962, n° 7, pp. 55-82, la
citazione è a p. 75), ma in data 17 settembre 1900 gli comunica il cambiamento: «Mio caro Gigi, ti mando una Ode a Roma, che dev’esser pubblicata
per il 20 settembre. Non ti spaventare, che è l’ultima» (Ibidem)
5
Il 20 di settembre in realtà sul «Giorno» uscirà l’Ode a Roma (cfr. nota precedente e G. d’Annunzio, Elettra in Versi d’amore e di gloria II, edizione diretta
da L. Anceschi, a cura di A. Andreoli e N. Lorenzini, pp. 278-284, con il
titolo sempliicato A Roma) D’annunzio era sempre molto attento alle ricorrenze civili del calendario, in questo caso desidera che il suo testo esca
in occasione del cinquantesimo anniversario della Presa di Porta Pia (20
settembre 1870).
4
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71
81
Viareggio sett. 900
Mio caro Luigi,
dovevo andare a Settignano ma poi differii la
partenza, sedotto dalla dolcezza del settembre su
questa sabbia. La tua lettera è rimasta là.
Mi rallegro delle notizie che mi dai su la salute della tua mamma, e ti rinnovo i miei auguri di
bene.
Vidi qua l’avvocato Muratori. Egli sperava che
l’amnistia — pel XX sett.2— ci evitasse la noia del
processo innanzi al pretore urbano. Ma sembra
che l’amnistia non venga.
Se gli avversari consentono, ci faremo condannare tutti in contumacia.3
Arrivederci, caro amico. Ann.le Tenneroni4 che
è qui, ti saluta.
Ave. Il tuo
Gabriele d’Annunzio
[febbraio 1901]
Caro Gabriele,
ch’io ti esprima la mia gratitudine per tutto
quello che di forte, di buono e bello m’hai fatto
provare nell’anima l’altra sera leggendo a’ iorentini la tua mirabile canzone di Garibaldi2 a scolpire
la quale pare ti abbian prestato i loro scalpelli il
terribile Michelangelo e il dolcissimo Donatello3;
e che ti dica come questa grande vittoria del tuo
intelletto e del tuo onore sia stata accompagnata
da’ miei voti più fervidi e seguita da un sentimento vivo di intima compiacenza, sono cose che non
ti recheranno maraviglia; ma ti sorprenderà ch’io
te le dica per lettera raccomandata con ricevuta di
ritorno.
Ed ecco il perché di questo modo ch’io scelgo
per esprimerti i sensi della mia amicizia per te. AlLettera n° 8 s.l. e s.d. Presumibilmente databile intorno alla ine di febbraio del 1901 in base ai riferimenti interni alla Canzone di Garibaldi.
2
G. d’Annunzio, La Canzone di Garibaldi scritta in breve tempo nel gennaio 1901 fu conclusa entro il 25 del mese quando fu declamata dal poeta a
Torino al Teatro Regio (cfr. P. Chiara Vita di Gabriele d’Annunzio, , Milano,
Mondadori, 1987, Cap. XVII, 1901-1902, p. 138), quindi pubblicata da Treves in quello stesso anno venne poi racconta in Elettra, cit. con il titolo La
notte di Caprera.
3
Curiosamente si ritrova una simile analogia: «Quando la Canzone di Garibaldi passò, trionfalmente, detta dal poeta in persona, da Milano a Roma
a Firenze a Napoli a Torino a Genova, acclamata dai popolani, come a’ bei
tempi della classica e democratica Atene, suscitando invidie e discussioni,
qualcuno, a cui ostico sonò più di un verso – scultorio [il csvo è mio] come
un’epigrafe e perciò indimenticato – s’doperò con dubbii e reticenze a insinuare incredulità verso il contenuto storico dell’ode insigne» A. Ghisleri,
Prefazione in La canzone di Garibaldi di Gabriele d’Annunzio documentata da
Alberto Mario da G. Guerzoni, L. Anelli ed altri contemporanei, Milano-Palermo-Napoli, Remo Sandron Editore, 1903, p. V.
1
Lettera n° 7, essa reca in calce la data e il luogo “Viareggio sett. 1900”. Il
riferimento all’amnistia attesa o sperata per il 20 settembre pone questa
missiva senz’altro prima di quella data è dunque discutibile la data 21 settembre 1900 indicata in «Santa Giovinezza!» Lettere di Luigi Bertelli e dei
suoi corrispondenti (1883-1920), cit., p187.
2
Si tratta dell’amnistia prevista per il cinquantesimo anniversario della presa di Porta Pia.
3
Si riferisce alla vertenza legale scaturita dal duello sostenuto con Bernabei
(cfr. nota n° 14)
4
Annibale Tenneroni (1855-1928), studioso di Jacopone da Todi, fu amico
carissimo di d’Annunzio per più di quarant’anni (Cfr. G. Fatini, Conidenze
dannunziane al «candido fratello» - Annibale Tenneroni., in «Quaderni dannunziani», 1962, pp. 1029-1087, e Al Candido Fratello - Carteggio Gabriele D’Annunzio - Annibale Tenneroni, a cura di M. Menna, Lanciano, Carabba, 2007).
1
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39
cuni giorni prima che tu partissi, venni col Doli4.
alla tua villa per salutarti e parlarti di cose che stimavamo interessanti per te e, saputo che eri occupato, ti lasciammo un biglietto pregandoti di darci
un appuntamento. Non avendo avuto risposta, ti
inviai un telegramma che rimase anch’esso lettera
morta. Ora, siccome non mi è riuscito di trovare
un qualunque motivo a questo tuo silenzio, m’è
venuto il dubbio che tu non abbia avuto né il biglietto né il telegramma – confortante dubbio per
me – e mi valgo della garanzia che la posta mi offre per farmi sicuro che ti giunga tra le orazioni di
tutti anche la mia
Tuo
Luigi Bertelli
Guglielmo Doli (1862-1911) iglio di Giuseppe fervido mazziniano che
prese parte alla Rivoluzione Toscana del 1859. Guglielmo detto Memo fu
amico d’infanzia di Vamba (Luigi Bertelli) con il quale frequentò le iorentine Scuole Pie dei Padri Scolopi. In questi anni i due fondarono un giornalino per ragazzi il Lumaca, ispirato «[…] a una iera e costante opposizione
alle autorità scolastiche e al più profondo disprezzo per tutte le “spie”… a
qualunque classe appartenessero» (Cfr. Illustri Italiani Contemporanei - Memorie giovanili autobiograiche, raccolte da Onorato Roux, 4 voll., Firenze,
Bemporad, 1919, Uomini politici patrioti e pubblicisti, Vamba, IV vol., II parte,
pp.293-302) in seguito l’amicizia proseguì sui medesimi binari di collaborazione e condivisione di attività giornalistiche e politiche. Ricorda ancora
Vamba nella sua memoria giovanile: «La redazione del Lumaca risiedeva in
casa di Memo Doli, e precisamente nella sala che dà in Borgo San Lorenzo,
sotto le cui inestre sporge ora, eretta sul bronzeo busto, l’aperta faccia di
Giuseppe Doli, il iero e onesto fornaio che fu alla testa del movimento
popolare iorentino nel risorgimento della Patria» (p. 298) e poi «E spesso
ci ritroviamo ancora col mio diletto amico Memo Doli in casa sua […] e
proprio lì, nella medesima sala, che dà in Borgo San Lorenzo, sopra il busto del forte popolano iorentino, risuonano gli stessi voti che risuonavano
quarant’anni fa, e aspettiamo ancora, con lo stesso ardore di allora, il compimento della nostra Patria.» (pp.301-302)
4
40
91
[marzo 1901]
Mio caro Luigi,
iersera scrivevo al buon Doli un biglietto per
chiedergli notizie di te!
Non ho mai saputo nulla della tua visita né ho
mai ricevuto il tuo telegramma. In quei giorni ero
in un terribile lavoro2. La persona che proteggeva
la mia solitudine3 ha ecceduto, certo, nel suo zelo.
Infatti, ora so che altre visite e altre lettere ebbero
la stessa sorte.
Certo, per nessun altro avrei fatto una eccezione più volentieri che per te, se avessi potuto divinare la tua presenza alla mia porta.
Intanto questo tuo affettuoso consentimento
alla mia fatica4 mi rallegra e mi compensa. Grazie,
di gran cuore!
Lettera n° 9 s.l e s.d., ma ipoteticamente databile al marzo 1901 secondo i
riferimenti interni della lettera vedi qui la nota n° 2.
2
D’Annunzio stava lavorando alla canzone In morte di Giuseppe Verdi (avvenuta il 27 gennaio 1901) alla quale ha cominciato a lavorare in ritardo
essendo in quei giorni in viaggio verso Nizza per incontrare la Duse (cfr. P.
Chiara, Vita di Gabriele d’Annunzio, cit,. p.138 e che inirà il 24 febbraio a Settignano) pubblicata il 25 febbraio su «La Tribuna», venne poi stampata da
Treves ai primi di marzo e quindi raccolta in G. d’Annunzio, Elettra in Versi
d’amore e di gloria II, edizione diretta da L. Anceschi, a cura di A. Andreoli e
N. Lorenzini, Milano, Mondadori, 1984).
3
Si tratta molto probabilmente di Benigno Palmerio che incaricato inizialmente -nella sua qualità di veterinario- di occuparsi dei cani e cavalli di
d’Annunzio, divenne ben presto amministratore, segretario e amico del
poeta incaricandosi anche di sorvegliare sulla sua tranquillità sollevandolo
non solo dalle preoccupazioni pratiche ed economiche (cfr. telegramma n°
10) -i primi tempi dell’amministrazione di Palmerio furono i soli nella vita
di d’Annunzio in cui il bilancio per un po’ di tempo riuscì a quadrare- ma
anche da tutte quelle seccature rappresentate dalle continue richieste di visite, incontri, inviti che ne potevano disturbare il lavoro.
4
Si riferisce alla Canzone di Garibaldi, cit. cui fa riferimento nella lettera precedente Vamba.
1
41
Quando ci rivedremo? io sono da tre giorni costretto a rimaner nella mia stanza, con un atroce
raffreddore. Quella lettura5 in una furiosa corrente
d’aria ghiaccia, fu una specie si assassinio premeditato come quello dell’Innocente6.
Tu ti trattieni ancora a Firenze?
Fammi sapere qualche cosa e troviamo il modo
di vederci.
Ricordami al caro Doli
Ti abbraccio.
Il tuo Gabriele
Martedì
101
21 agosto 1901
Ti sarò grato se vorrai aiutare l’amico Palmerio
nella ricerca che egli fa2. Ti scriverò stasera spero
rivederti qui. Ave
Gabriel
5
Si riferisce probabilmente alla lettura della canzone In morte di Giuseppe
Verdi tenuta nell’aula magna dell’Istituto iorentino di studi superiori il 27
febbraio e pubblicata su «La Tribuna» il 28 febbraio (cfr. P. Alatri, D’Annunzio, Torino, UTET, 1983, p. 217. Alatri posticipa di un giorno lettura e
pubblicazione rispetto a quanto indicato in G. D’Annunzio, Elettra, in Versi
d’amore e di gloria II, cit., p. 1055, datazione quest’ultima più credibile poiché
collocherebbe la lettura della canzone nel giorno del trigesimo della morte
di Verdi.)
6
Si riferisce all’episodio, narrato nel XLIV capitolo dell’L’innocente in cui
Tullio Hermil espone il iglio adulterino della moglie Giuliana al freddo
di una notte invernale per farlo morire «Io non obbedii se non all’impulso
d’una volontà fredda e lucida, in una perfetta consapevolezza […] L’esposi
all’aria che doveva farlo morire.»(L’innocente, in Prose di romanzi I, a cura di
E. Bianchetti, Milano, Mondadori, 1968, p. 626).
42
Telegramma da Viareggio indirizzato a Luigi Bertelli, Vicolo della Pergola, 1, Firenze
2
Cfr. lettera seguente e nota n° 1.
1
43
11
Viareggio: 21 agosto 1901
Mio caro Luigi,
mi sono capitate alcune disgrazie dolorose e
inattese — da parte di consanguinei, al solito!1—
e ho bisogno d’una somma per rimediarvi. Posso
dare in garanzia i miei prossimi diritti d’autore su
la Francesca da Rimini, per la quale ha già irmato
un contratto col Teatro Costanzi. Le rappresentazioni cominceranno il dì otto dicembre2.
Puoi dare qualche lume al buon dottor Palmerio, perché egli possa trovarmi quel che mi è necessario3?
Tu conosci meglio di noi la selva selvaggia di Firenze.
Non vieni quest’anno a Viareggio? Io ho lavorato eroicamente sotto il severo ciglio del padre
Dante. Spero di aver fatto cosa non indegna del
ricordo dantesco4.
Quando ci rivedremo?
Ti abbraccio.
Salutami il Doli affettuosamente.
Il tuo Gabriele
1
Si tratta probabilmente delle cambiali messe in giro dal fratello Antonio
che aveva falsiicato la irma del poeta. Di fatto in questi anni d’Annunzio si
trova coinvolto in continue querelle inanziarie con la famiglia e con la Gravina che continuava a inviargli pressanti richieste di aiuto economico. Tranne nel caso del fratello Antonio, nei cui confronti (in quanto falsiicatore
della sua irma, ma senza sapere essere lui l’autore della truffa) emise una
pubblica difida tirandosi fuori dalla questione, d’Annunzio cercò sempre
di fare fronte alle richieste di denaro cui la famiglia, uficiale e non, lo sottoponeva. Sulla questione con il fratello Antonio cfr. P. Chiara, Vita di Gabriele
d’Annunzio, Milano, Mondadori, 1978, p.139 che riporta dettagliatamente le
fasi della vicenda, ma anche G. Gatti, Vita di Gabriele d’Annunzio, cit., p.176;
e P. Alatri, D’Annunzio, Torino, UTET, 1983.
2
In realtà la prima della Francesca da Rimini fu data al teatro Costanzi di
Roma il giorno successivo, 9 dicembre 1901.
3
Si riferisce naturalmente al denaro di cui ha bisogno e che l’amministratore Palmerio si incarica di raccogliere in qualche modo.
4
Si riferisce alla Francesca da Rimini che il 1° ottobre 1901 lesse nella sua villa
della Capponcina a Settignano agli attori che avrebbero dovuto metterla in
44
scena tenendosi accanto una sedia vuota che egli disse essere destinata a
Dante (cfr. P. Chiara, Vita di Gabriele d’Annunzio, cit. p. 140).
45
12
Firenze, 1° settembre 1906
Carissimo,
Parto domattina presto per Pratolino e volevo ancora parlare de’ tuoi promessi scritti per il
Giornalino1 e pregarti di dirmi presto un titolo da
potere annunziare ai lettori. E volevo anche dirti
che oggi in Pretura2 ho ammirato in te un sereno,
Si tratta del «Giornalino della Domenica» che Vamba fondò nel 1906 e
diresse ino alla morte (1920) creando intorno ad esso una serie di iniziative collaterali come la «Confederazione Giornalinesca» il cui “parlamento”
si riunì per la seduta inaugurale il 20 marzo 1910. Sul «Giornalino della
Domenica» si veda: N. Ajello, Un settimanale del primo 900: «Il Giornalino
della Domenica» di Vamba, in «Nord e Sud», VI, n 53, aprile 1959, pp77-84;
G. Genovesi, «Il Giornalino della Domenica», in Id., La stampa periodica per
ragazzi. Da Cuore a Charlie Brown, Parma, Guanda, 1972, pp. 34-45; P. Pallottino, «Il Giornalino della Domenica», in L’editoria italiana fra Otto e Novecento, a cura di G. Tortorelli, Bologna, Edizioni Analisi, 1986, pp. 67-94; E.
Balzani, La patria di Gian Burrasca. Il tema dell’identità nazionale nelle pagine
del «Giornalino della Domenica» e del «Corriere dei Piccoli, in Le credibili inzioni
della storia, a cura di D. Gallingani, Firenze, Centro editoriale toscano, 1996,
pp.15-31; C. Gallo - G. Bonomi, Agli albori della letteratura per ragazzi: «Il
Giornalino della Domenica» (1906-1911) , Verona, Società editoriale Graiche
AZ, 1999; C. Gallo, Vita, morte, miracoli e resurrezione del «Giornalino della
Domenica»: da Bemporad a Mondadori (1906-1927), in Editori e piccoli lettori tra
Otto e Novecento, a cura di L. Finocchi, A. Gigli Marchetti, Milano, Franco
Angeli, 2004, pp. 317-339; «Santa Giovinezza!» Lettere di Luigi Bertelli e
dei suoi corrispondenti (1883-1920), a cura di A. Ascenzi, M. Di Felice, R.
Tumino, Macerata, Alfabetica, 2008.
2
Si riferisce probabilmente alla querela che d’Annunzio sporse nei confronti di un vicino di casa, tale Giuseppe Volpi, che considerò il responsabile
dell’uccisione di un suo cane, un cucciolo di nome Magog, trovato morto
in un fosso in prossimità della Capponcina. L’udienza si svolse di fronte al
Pretore di Firenze e si concluse con piena soddisfazione del poeta che vide
il suo avversario condannato a dieci giorni di detenzione e cinquanta lire di
multa. (Cfr. T. Antongini, Vita segreta di Gabriele d’Annunzio, Milano, Mondadori, (18381) , 1957, pp. 228-29, G. d’Annunzio, Curriculum vitae, a cura di
C. A. Traversi, vol. I, 1863-1910, pp. 80-88; B. Palmerio, Con d’Annunzio alla
Capponcina, cit., pp. 74-75. Come al solito Palmerio è estremamente preciso
nel dare le notizie, e ci informa che l’udienza avvenne a Firenze il 1° settembre 1906 nella «Pretura Urbana in Via Dante Alighieri»)
voluto, giocondo3 coraggio, diverso ma non minore di quello che già ebbi a ammirare nella sala
Vanzetti4.
Se tu potessi domani, senza tuo incomodo,
trovare la fotograia della vittima5, ti sarei grato
di farla recapitare al prof. Aldo Valori6, Via Gino
Capponi, 42 p. 2° che ho incaricato nel caso di spedirla alla vita [sic].
Con affetto verace tuo
Vamba
1
46
3
Durante la seduta in pretura, d’Annunzio, come suo solito, non mancò
di dare spettacolo enfatizzando non solo l’offesa ricevuta, il danno morale
e materiale, e il dolore per la perdita dell’amato cane, ma rispondendo al
giudice che gli chiedeva l’età ebbe a dire «Alle donne e agli artisti non si
domandano gli anni. Ne confesso ventinove.» (G. d’Annunzio, Curriculum
vitae, cit. p. 82) Tom Antongini nel suo D’annunzio aneddotico riporta la risposta in maniera più lapidaria «I poeti non hanno età» (Milano, Mondadori, 19391, 19534, p. 130).
4
Fu il luogo dove avvenne il duello fra d’Annunzio e il direttore della «Nazione» Bernabei, cfr. nota n° 14.
5
Il cane Magog.
6
Aldo Valori (1882-1965) giornalista e scrittore collaborò con Vamba al
«Giornalino della Domenica» con lo pseudonimo di Ceralacca
47
131
141
Pietrasanta 12 sett. 1906
Mio carissimo Vamba,
quelle rime sono veramente puerili; e non potrei lasciarle ristampare senza rossore. Fa che restino nell’oblio, se vuoi ch’io ti mandi presto cose
nuove.
Vado a Milano per due giorni. Al ritorno ti scriverò.
Ahimé, è venuto oggi all’improvviso l’autunno
gocciolante; e sono pieno di malinconia.
Ti abbraccio.
Il tuo Gabriel
19 febbraio 1912
Carissimo,
Nella mia raccolta di libri di poesia serbo in loco
speciale con grato affetto quelli che cortesemente
mi inviasti con la tua dedica quand’eri a Firenze…
e gli altri che la sperano da Arcachon.
Ti mando dunque il frontespizio del 4° libro
delle Laudi2 perché tu vi scriva la dedica e la Canzone dei Dardanelli mutilata da Giolitti3 nella quale
ti prego di aggiungere di tuo pugno irmandole le
terzine mirabili sequestrate.
E giacché ci sono ti mando del 2° libro anche
l’ode fatidica Il sole declina fra i cieli e le tombe4 e
l’altra al Re giovine5 perché nel margine dell’una o
Lettera n° 14. Su carta intestata: «Il Giornalino della Domenica. Direttore:
Vamba - Via de’ Martelli 7 - Palazzo Ruspoli - Firenze - tel. 16-93» Il nome
della via è cancellato a penna e sostituito con «Viale Margherita, 19»
2
Cfr. Merope quarto libro delle Laudi cfr. Versi d’amore e di Gloria II, cit.
3
La prima edizione delle Canzoni delle gesta d’oltremare fu sequestrata il 24
gennaio 1912 a causa di alcune terzine della Canzone dei Dardanelli giudicate
dalle autorità «ingiuriose verso una potenza alleata e verso il suo Sovrano». Al pubblico fu distribuita la seconda edizione mutila delle terzine in
questione della Canzone dei Dardanelli di Merope; nello spazio bianco della
censura era stampato «Questa canzone della Patria delusa fu mutilata da
mano poliziesca, per ordine del cavaliere Giovanni Giolitti capo del Governo d’Italia il dì 24 gennaio 1912. G.d’A.» I versi espunti furono quelli
appartenenti alle cinque terzine 23°-27°così concepiti: «//Ma uno più d’ogni altro si costerna./ Egli è l’angelicato impiccatore,/ l’Angelo dalla forca
sempiterna.// Mantova fosca, spalti di Beliore/ fosse di Lombardia, curva
Trieste/ si vide mai miracolo maggiore? // La schiiltà dell’aquila a due teste,/ che rivomisce, come l’avvoltoio,/ le cari dei cadaveri indigeste!// Altro portento. Il canapo scorsoio: che si muta in cordiglio intemerato/ a cingere il carneice squarquoio// mentre ogni notte in sogno è schiaffeggiato/
da quella mozza man piea d’anelli/ che insanguinò la tasca del Croato.//»
4
Si tratta del primo verso di Canti della ricordanza e dell’aspettazione nel secondo libro delle Laudi, Elettra, cfr. Versi d’amore e di Gloria II, cit.
5
Cfr. Al re giovine, Elettra, cit.
1
1
Lettera n° 13. Biglietto intestato: «La Versiliana - Pietrasanta - Lucca»
48
49
dell’altra tu mi scriva un pensiero che rimandi il
presagio al fatto.
…O Italia, o Italia,
non ti vedremo noi nell’alba,
per questo buon sangue che ti giova,
per la divina prova
di questa sacriicale morte
riiorir sul mare?6
Ed ecco che l’Italia riiorisce davvero: e riiorisce malgrado che i vegli scaltri ne abbian fatto
facile strame alla loro ignavia7… Anche il concime
ha giovato al suo riiorire!
Scusa, grazie e salute!
Tuo sempre
Vamba
151
[agosto 1918]
Caro Gabriele,
Ti prego di afidarmi per un giorno l’autografo
del tuo trionfante proclama ai Viennesi per essere riprodotto in fac-simile e distribuito il giorno 18
in Roma a beneicio dei danneggiati della Guerra. Alla mia preghiera si uniscono Olga2 e Luigi
Lodi3.
A presto il grande piacere di dirti la nostra
riconoscenza e la nostra ammirazione.
Tuo Vamba
(Luigi Bertelli)
È urgente aver subito l’autografo dovendone tirare
moltissime copie
Lettera s.l. e s.d. ma databile alla prima metà di agosto del 1918 sulla base
della data della lettera di risposta di d’Annunzio (vedi lettera n° 16)
2
Olga Ossani Lodi (1857- 1933) nota anche con il nome di Febea ebbe, prima
di sposare Luigi Lodi una breve relazione sentimentale con d’Annunzio. Fu
collaboratrice del «Capitan Fracassa», del «Don Chisciotte» del «Giorno»
occupandosi prevalentemente di cronaca letteraria e di vita femminile.
3
Luigi Lodi (1857-1933) giornalista noto anche con lo pseudonimo de “il
Saraceno”, fu allievo di Carducci a Bologna dove nel 1877 fondò e diresse il
«Preludio» iniziando una brillante carriera di direttore e redattore di giornali che ebbero tutti una notevole rilevanza in quegli anni, da ricordare fra
gli altri il «Don Chisciotte», «Il Giorno», Il «Giornale d’Italia», «Il Messaggero» e la rivista «La Nuova Rassegna» fondata con Olga Ossani.
1
Si tratta dei versi 130-135 dell’ode Al re giovine (cit.) che Vamba cita evidentemente a memoria visto che introduce alcune varianti come «nell’alba» al
posto dell’originale «su l’alba» e «sul mare» al posto di «nel mare».
7
I «vegli scaltri ne abbian fatto facile strame alla loro ignavia» è una citazione dall’ ode Al re giovine(cit.) dove si legge: «E dicemmo: “O Italia, / Italia
sonnolente, / aline ti svegli / tu dal tuo sonno vile? / Ahi sì lungamente /
sotto il sole giaciuta / con l’obbrobrio senile, / tra le mani dei vegli / scaltri
che t’han polluta, / che di te han fatto strame / docile all’ignavia loro […]»
6
50
51
161
Venezia 15 agosto 1918.
Mio carissimo Vamba,
con che grande piacere consento a quel che mi
chiedi!
Ecco il manoscritto. È più d’una pagina, e la riproduzione sarà forse troppo costosa.
Ti prego di donare l’“originale” all’Università
di Roma, ponendolo nelle mani del Rettore magniico, da parte di un vecchio studente. Io non
posso venire a Roma. Ho molto lavoro alla mia
squadriglia, ogni giorno. Non debbo tralasciarlo.
Tre tonnellate di esplosivo rovesciate sul nemico
valgono assai più di tre once d’eloquenza pesate
in Centocelle2.
Lettera n° 16. Su carta intestata: «Per non dormire». Questa lettera fu riprodotta sul «Giornale d’Italia» in data 17 agosto 1918 introdotta da un trailetto redazionale nel quale si leggeva: «Una lettera di Gabriele d’Annunzio
- Luigi Bertelli (Vamba) scrisse giorni fa a Gabriele d’Annunzio per chiedergli l’autografo dell’indirizzo lanciato ai viennesi dall’alto dei velivoli della
“Serenissima”, nel mattino del 9 agosto. Desiderava il Bertelli riprodurlo in
Fac-simile tra i documenti del Risorgimento nazionale, che egli va presentando nella sua raccolta mensile intitolata “Ora e allora”. La risposta giunse
pronta. Vi troviamo una virile promessa: «Verrò quando avremo vinto» e
anche il monito dell’ora: “Tre tonnellate di esplosivo rovesciate sul nemico
valgono assai più di tre once di eloquenza pesate.” Tra tanto veementi propositi non manca il nostalgico profumo di Roma: “Salutami il Tritone e la
Barcaccia” egli dice a “Vamba”, che ha il suo uficio in via Gregoriana tra
piazza del Tritone Barberino e la Piazza di Spagna con la navicella di Pietro
Bernini. Ecco la lettera: […]»
2
In seguito al volo su Vienna d’Annunzio fu promosso da cavaliere ad uficiale dell’Ordine militare di Savoia e il «Giornale d’Italia» propose che il
poeta-soldato fosse incoronato in Campidoglio, questi riiutò l’onore con
grande sollievo da parte di chi aveva giudicato l’iniziativa sproporzionata
ai fatti; scrive Ferdinando Martini nel suo diario, in data 19 agosto 1918:
«Dovevasi ieri 18 festeggiare d’Annunzio e già Il Giornale d’Italia, che non
ha il dono delle misure, //E chi non tien misura / alla gran Madre incresce,// aveva per una settimana raccolto adesioni al suo progetto di incoronar Gabriele in Campidoglio. Non che d’Annunzio non lo meriti, ma non
Sei, certo, del mio parere. Salutami Olga e Gigi3;
e anche il Tritone e la Barcaccia. Verrò quando
avremo vinto. te lo giuro.
Il tuo Gabriele d’Annunzio
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è questo il momento per simili cerimonie. Il poeta ha più senno del giornalista e ha scritto che non veniva. “Tre tonnellate di esplosivo” ha scritto
a Vamba, “rovesciate sul nemico valgono assai più di tre once di eloquenza pesate in Centocelle”» (Diario 1914-1918, a cura di G. De Rosa, Milano,
Mondadori, 1966, p.1216)
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Olga e Luigi Lodi
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Roma, 13 ottobre 1918
Carissimo,
Accogli, ti prego, con l’usata benevolenza questa raccolta ch’io vo pubblicando di documenti
del nostro Risorgimento nazionale, tra i quali, con
legittimo orgoglio, ho compreso il tuo monito a’
Viennesi e la lettera che lo accompagnava; mentre
con grato affetto d’Italiano e di amico ti invio questo fervido voto: che l’Italia sia quale il suo vivente
poeta —vivente nel suo più ampio e alto signiicato — l’ha sognata, cantata, voluta.
Tuo Vamba
Roma, 19 novembre 1918
Salute al poeta-soldato che vaticinò nei canti e
s’è guadagnato nella guerra questa grande gioia…
Donec ad metam… E ci siamo arrivati, ci dovevamo arrivare. Il monito che gittasti ai Viennesi
risuona ora con la solennità di una profezia: Il destino si volge. Si volge verso noi con una certezza di
ferro2.
Quanti piccoletti uomini terribili dissero allora
che tu avresti dovuto gittar bombe invece di parole; e come anche questa volta il Poeta che vola sulle nubi ha avuto ragione su coloro che ragionano
terra terra!…
Quando verrai a Roma? Avvisane gli amici idi
e serî: la tua venuta a Roma ha e deve avere e deve
mostrar di avere un alto signiicato tutto speciale
— diverso da quello di ogni altra dimostrazione
— ed è bene preparare il pubblico a comprenderlo.
Senti: Arturo Calza3 del «Giornale d’Italia» mi
scrive la lettera che ti accludo in proposito del proLettera n° 18. Su carta intestata: «Il Giornalino della Domenica - Direzione e Amministrazione via Gregoriana, 56 Roma tel. 12-75»
2
Si tratta di una citazione dal volantino dannunziano con cui fu “bombardata” Vienna il 9 agosto 1918. A proposito del volo su Vienna cfr. In volo per
Vienna , a cura di G. Alegi, con scritti di G. Alegi, G. Apostolo, M. Biondi,
B. Catalanotto, A. Emiliani, R. Gentilli, E. Ledda, M. Pluviano, P. Vergnano,
B. Tötschinger, Catalogo mostra a cura del Museo dell’Aeronautica G. Caproni, Trento e del Museo storico italiano della guerra, Rovereto, Milano,
Giorgio Apostolo Editore, 1993.
3
Arturo Calza (1862-1934) Giornalista del «Giornale d’Italia» dove dal 1908
tenne una rubrica intitolata Discorsi di farmacia e irmata “Il farmacista” dal
carattere intensamente nazionalistico conservatore che ne decretò la notorietà insieme al volume Roma moderna (Milano 1911) fu anche collaboratore
della «Nuova Antologia», della «Minerva» e dell’«Illustrazione italiana».
1
Lettera n° 17. Su carta intestata: «Ora e allora - Pubblicazione mensile di
documenti del nostro Risorgimento - Direzione e Amministrazione: via
Gregoriana, 56 Roma»
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getto Brasini4 che vorrebbe unire piazza Colonna a
piazza Montecitorio in una sola grande piazza della
Vittoria . Dice che tu conosci il progetto e lo approvi e desidera una tua parola per appoggiarlo.
E ora permettimi di chiederti un favore per me
— o meglio per il Giornalino della Domenica che fu
solo a sostenere in un periodo di viltà l’amore e
il diritto sulle provincie italiane or liberate— modesto giornale per i ragazzi che si sono battuti da
eroi e dei quali molti sono caduti. Ora il Giornalino
risorge: vorrai tu dirgli una parola di saluto e di
augurio?5 Esso non sarà, naturalmente, un balocco
—ma svolgerà lietamente un serio programma di
civile educazione affrontandone i non pochi e non
lievi problemi.
Scusami. E con animo grato e devoto di amico e
di italiano credimi il tuo
Vamba
dedica con la quale la inviasti al Chiesa6 datore di
ali. A quali documenti di storia gloriosa hai legato
il tuo nome
Nell’imminente fascicolo dell’«Ora e allora»
riproduco la veduta dall’alto di Zara con la bella
Arrmando Brasini (1879-1965) architetto attivo a Roma dove realizzò la
recinzione del Giardino Zoologico di Villa Borghese. Nel 1920 aveva progettato di costruire nel centro della capitale una grande arteria che, con le
opportune demolizioni, portasse dall’obelisco del Pantheon alla Colonna
aureliana permettendo la vista di entrambe, nelle stessa linea il progetto
accennato nella lettera di Bertelli di unire piazza Montecitorio con piazza
colonna demolendo palazzo Wedekind che peraltro era stato ricostruito nel
1838 da Papa Gregorio XVI e quindi era considerato al tempo abbastanza
“recente” da poterlo sacriicare al progetto di una grande piazza che celebrasse la vittoria.
5
D’Annunzio esaudì la richiesta dell’amico Vamba mandandogli un breve
scritto di saluto e di incoraggiamento che apparve, senza titolo, nel n° 20
del 4 maggio 1919 del «Giornalino della Domenica», in un ‘box’ all’interno
dell’articolo di apertura dello stesso Vamba dedicato alla questione adriatica e intitolato Prosa e poesia.
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Eugenio Chiesa (1863- 1930) deputato repubblicano interventista, nel 1917
commissario generale per l’Aereonautica (perciò la deinizione di “datore
di ali”, fu con d’Annunzio a Fiume.
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2 decembre 1918
Mio carissimo Vamba,
perdonami l’indugio nel risponderti. Ho patito anch’io l’infezione «spagnola». È la prima volta che qualcosa di «neutrale»2 penetra nelle mie
vene. Sono tutt’ora convalescente, e umiliato3.
L’architetto romano4 venne a visitarmi, sapendo che io patrocinavo un suo disegno di cimitero monumentale per i Morti del Mare. Mi mostrò
l’altro disegno che riunisce le due piazze in una; e
mi piacque perché vi si mostra l’intenzione di non
contrariare le linee primitive, anzi di secondarle.
Con quale invenzione il Bernini avrebbe superato le dificoltà e i dubbi?
Credo che qualche tempo fa l’architetto abbia
esposto il suo piano, nel Giornale d’Italia appunto.
Dovresti pregare Arturo Calza di mandarmi quel
numero. Vorrei farmi un’idea chiara prima di dire
una parola che — secondo te— deve pesare.
Mandami anche un numero del tuo Giornalino,
perché il mio “saluto” abbia il tono giusto. Non
l’ho più visto da tempo.
Lettera n° 19. Su carta intestata: «Semper adamas- Prima squadriglia navale- Il Comandante»
2
Il termine «neutrale» virgolettato allude alla neutralità della Spagna durante la guerra, Spagna dalla quale il virus inluenzale che aveva colpito
d’Annunzio prendeva il nome. In realtà il virus fu tutt’altro che “neutrale”:
ebbe una vastissima diffusione e fece diverse vittime anche illustri, per tutti
basti il nome di Guillaume Apollinaire che morì per l’infezione contratta
sui postumi di una ferita ricevuta al fronte.
3
Sull’insofferenza e l’enfatizzazione di d’Annunzio nel parlare delle sue
malattie anche quando si trattava di semplici raffreddori cfr. T. Antongini,
Vita segreta di Gabriele d’Annunzio, cit., pp.26-29.
4
Si riferisce a Armando Brasini, cfr nota 4 lettera 17.
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L’«Ora e allora» è una raccolta preziosa di documenti riprodotti con una straordinaria esattezza. Grazie per me, e per Zara che non ha inito di
patire
Non so quando potrò venire a Roma. Potessi
venire non visto soltanto per vedere, per riempirmi
di gioia l’occhio che mi resta!
Ero molto più lieto quando facevo la guerra.
Ora sono più irrequieto e più ansioso che nei giorni di Caporetto…5
Ma ho una provvista di bombe a mano.
Ti abbraccio. In fretta.
il tuo Gabriele d’Annunzio
5
La conclusione della guerra con le trattative di Versailles che fecero parlare
di vittoria mutilata, lasciarono d’Annunzio scontento e amareggiato. Dopo
aver scritto nell’ottobre del 1918 La preghiera di Sernaglia, (cfr. Canti della
guerra latina Libro V delle Laudi del cielo- del mare- della terra e degli eoi, in Versi d’amore di gloria II, cit.) pubblicata il 24 del mese sul «Corriere della Sera»
con il titolo Vittoria nostra non sarai mutilata, il 12 novembre compiendosi
l’ottavo giorno dalla conclusione vittoriosa del conlitto pubblica sul «Corriere della Sera» Cantico per l’ottava della vittoria (cfr. Canti della guerra latina
,cit.) nel quale si legge: «//O domatrice di fuochi, foggiami tu quest’ode/
e scagliala verso Roma; ché la mia mano prode / mi trema e condurla non
posso./ Patria! Patria! Questa sola parola mi trasporta./ E rimbombare odo
dentro di me, come alla porta / del tempio, uno scudo percosso.//»; quindi
passa a rivendicare le città della Dalmazia all’Italia, anzi alla «Patria», per
concludere: «// Sto tra la vita e la morte, vate senza corona./ Da oriente
a ponente l’inno prima s’intona:/ “la vita riculmina in gloria!”/ Sto tra la
morte e la vita, sopra il crollo del mondo./ Da ostro a settentrione scroscia
l’inno secondo:/”La morte s’abissa in vittoria!»
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Roma 10 maggio 1919
Carissimo Gabriele,
Da Firenze, dove sono stato ino a ieri, ti mandai il plauso della gioventù che segue come una
bandiera il mio Giornalino… un modesto giornalino per i ragazzi, ma che ha il vanto di aver loro
insegnato una dozzina d’anni fa a gridare Viva
Trento Trieste e la Dalmazia, mentre tutti i giornaloni per gli uomini bamboleggiavano beati sotto
il vigile occhio della bambinaia tedesca. E quanti
di quei miei ragazzi ha dato la vita per quel grido,
e con che fervore quelli che son ritornati gridano
ora Viva la Dalmazia!
Non voglio rubarti neppure un minuto del tuo
tempo prezioso: ma se me lo regali mi fai felice.
Fiume d’Italia: 12 ottobre 1919
Mio caro caro Vamba,
parlo di te con Sante Ceccherini2, che sofia nella nostra fucina e arroventa tutti i miei soldati. Tu
non puoi immaginare questa vita di ardore, di priorità di allegrezza. Vieni e ti sentirai beato. Vedrai
veramente in atto quel che era una parola e un sogno: l’Italia nuova.
Ti attendiamo. E ti abbracciamo
il tuo Gabriele d’Annunzio
Tuo Vamba
Corso Umberto I n° 9 tel 36-3
Lettera n° 21. Su carta intestata: «Città di Fiume - Il Comandante»
Sante Ceccherini (1863-1932) Generale dell’esercito fu a Fiume con d’Annunzio e in seguito uno degli organizzatori militari della “Marcia su Roma”.
A questo “suo” generale rimane una dedicatoria raccolta da d’Annunzio
nelle prose L’urna inesausta, Al generale Ceccerini, in Tutte le opere di Gabriele
d’Annunzio, a cura di E. Bianchetti, Prose di ricerca I, Milano, Mondadori,
1966, pp.1048-49
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Lettera n° 20. Su carta intestata: «Il Giornalino della Domenica - Il Direttore»
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Indice
[20 ottobre 1919]
Mio caro Vamba,
perdonami. Ti faccio scrivere dal mio attendente, nipote di Tiburzi2; ché non ho tempo. Questo
non è un autografo.
Vedrò con grande piacere Vitaliano Rotellini3
più tardi, al mio ritorno dal colloquio d’amore col
generale Badoglio4.
Ti abbraccio.
Italo Tiburzi
per il Comandante.
Simonetta Bartolini D’Annunzio e Vamba: una
sincera, amicizia, comuni ideali
e battaglie condivise
pag. 3
Lettera n° 22. Su carta intestata «Cosa fatta capo ha - Fiume», s.d. ma 20
ottobre 1919 sulla base del riferimento all’incontro con Badoglio.
2
Potrebbe riferirsi al famoso brigante maremmano Domenico Tribulzi
(1836-1896) che nonostante le sue azioni divenne un eroe popolare molto
amato soprattutto in Toscana. Il suo nome compare anche nel Giornalino di
Gian Burrasca di Vamba: nel racconto datato 27 dicembre Giannino annota
che il signor Tyrynnanzy che lo sta accompagnando in treno da Firenze a
Roma apostrofa il monello con queste parole: «Ma tu sei peggio di Tiburzi!... Come fa la tua povera famiglia a sopportare una canaglia come te?»
3
Vitaliano Rotellini (1885-1930) Anarchico, considerato un pericoloso sovversivo, dopo aver trascorso diversi anni in America latina torna in Italia
nel 1906 e si avvicina ai nazionalisti diventando un fervente interventista,
nella Grande Guerra perde il iglio Amerigo.
4
Si riferisce al primo colloquio che il poeta ebbe, quel 20 ottobre 1919 (il
secondo ci fu una settimana più tardi il giorno 28), con Badoglio, inviato
dal governo per valutare la situazione iumana, e cercare di ottenere da
d’Annunzio l’abbandono dell’impresa.
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Nota al testo
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Carteggio d’Annunzio-Vamba 1900-1919
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d’Annunzio a Vamba: maggio 1900
d’Annunzio a Vamba: maggio 1900
d’Annunzio a Vamba: giugno 1900
d’Annunzio a Vamba: 15 agosto 1900
d’Annunzio a Vamba: [estate 1900]
d’Annunzio a Vamba: 6 settembre 1900
d’Annunzio a Vamba: settembre 1900
Vamba a d’Annunzio; [febbraio 1901]
d’Annunzio a Vamba: [marzo 1901]
d’Annunzio a Vamba: 21 agosto 1901
d’Annunzio a Vamba: 21 agosto 1901
Vamba a d’Annunzio: 1 settembre 1906
d’Annunzio a Vamba: 12 settembre 1906
Vamba a d’Annunzio: 19 febbraio 1912
Vamba a d’Annunzio: [agosto 1918]
d’Annunzio a Vamba: 15 agosto 1918
Vamba a d’Annunzio: 13 ottobre 1918
Vamba a d’Annunzio: 19 novembre 1918
d’Annunzio a Vamba: 2 dicembre 1918
Vamba a d’Annunzio: 10 maggio 1919
d’Annunzio a Vamba: 12 ottobre 1919
d’Annunzio a Vamba: [20 ottobre 1919]
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