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lunedì 30 dicembre 2024

365 Giorni: il video di Emergency per un 2025 di pace


Comunicato da Emergency

Ogni giorno è dedicato a una giornata mondiale: degli innamorati, degli animali, della famiglia, del viaggio… Ma per milioni persone, in molte di parti del mondo, la guerra cancella il significato di ogni giornata.

Per loro, ogni giorno è un giorno di guerra.

“La guerra non si abolisce coi trattati, ma stimolando la riflessione e la cultura di tutti” sosteneva Gino Strada. Il nostro augurio – e obiettivo – è stimolare questa riflessione, per portare tutti noi ad agire al fine di raggiungere 365 giorni di pace, per tutti.

Nel 2024 abbiamo avuto oltre 50 conflitti attivi nel mondo, con milioni di persone per le quali ogni giorno è soltanto un altro giorno di guerra. Davanti a un nuovo anno che inizia, il pensiero non può che andare a loro.

Buon 2025 di pace.

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Video credit EMERGENCY caricato su YouTube


giovedì 19 dicembre 2024

Medici Senza Frontiere: “Gaza è una trappola mortale”



Comunicato da Medici Senza Frontiere

I ripetuti attacchi militari di Israele contro i civili palestinesi negli ultimi 14 mesi, lo smantellamento del sistema sanitario e di altre infrastrutture essenziali, il soffocante assedio e la negazione sistematica dell’assistenza umanitaria stanno distruggendo la vita a Gaza. È quanto emerge dal nuovo rapporto internazionale di Medici Senza Frontiere “Gaza è una trappola mortale”.

Chiediamo a tutte le parti – ancora una volta, con urgenza – un cessate il fuoco immediato per salvare vite umane e agevolare il flusso degli aiuti umanitari.

Israele deve fermare i suoi attacchi mirati e indiscriminati contro i civili e i suoi alleati devono agire subito per proteggere le vite dei palestinesi e rispettare le regole della guerra.

“Le persone a Gaza lottano per la sopravvivenza in condizioni apocalittiche, ma nessun luogo è sicuro, nessuno è risparmiato e non c’è via d’uscita da questa enclave distrutta. La recente offensiva militare nel nord della Striscia è un chiaro esempio della guerra brutale che le forze israeliane stanno conducendo a Gaza e stiamo assistendo a chiare evidenze di pulizia etnica dal momento che i palestinesi vengono sfollati con la forza, messi in trappola e bombardati. Tutto quello che le nostre équipe mediche hanno visto sul campo durante questo conflitto è coerente con le descrizioni fornite da un numero crescente di esperti legali e organizzazioni secondo cui a Gaza è in corso un genocidio. Pur non avendo l’autorità legale per stabilire l’intenzionalità, le evidenze della pulizia etnica e la devastazione in corso – tra cui uccisioni di massa, gravi lesioni fisiche e mentali, sfollamento forzato e condizioni di vita impossibili per i palestinesi sotto assedio e sotto i bombardamenti – sono innegabili”. Christopher Lockyear Segretario generale di MSF

In risposta ai terribili attacchi condotti da Hamas e da altri gruppi armati in Israele il 7 ottobre 2023 – in cui sono state uccise 1.200 persone e 251 sono state prese in ostaggio – le forze israeliane stanno schiacciando l’intera popolazione di Gaza.

Secondo il ministero della salute, la guerra totale di Israele contro Gaza ha ucciso più di 45.000 persone, tra cui 8 membri del nostro staff. Il numero di morti legati alla guerra è probabilmente molto più alto a causa dell’impatto del collasso del sistema sanitario, delle epidemie e dell’accesso fortemente limitato a cibo, acqua e rifugi. All’inizio di quest’anno le Nazioni Unite hanno stimato che più di 10.000 corpi sarebbero rimasti sepolti sotto le macerie.

Le forze israeliane hanno impedito l’ingresso nella Striscia di beni essenziali come cibo, acqua e forniture mediche, oltre a bloccare, negare e ritardare l’assistenza umanitaria, come documentato nel rapporto di MSF.

Circa 1,9 milioni di persone – il 90% dell’intera popolazione della Striscia – sono state sfollate con la forza, e molte sono state costrette a spostarsi più volte.

Meno della metà dei 36 ospedali di Gaza sono funzionanti – anche se solo parzialmente – e il sistema sanitario è al collasso.

Da ottobre 2023 a ottobre 2024, solamente il nostro staff ha subito 41 attacchi e incidenti violenti, tra cui attacchi aerei, bombardamenti e incursioni violente nelle strutture sanitarie, fuoco diretto sui rifugi e sui convogli dell’organizzazione, detenzione arbitraria di colleghi da parte delle forze israeliane.

Il personale medico di MSF e i pazienti sono stati costretti a evacuare ospedali e strutture sanitarie in 17 diverse occasioni, spesso letteralmente correndo per mettersi in salvo. Ci sono stati scontri tra le parti in guerra vicino alle strutture mediche, che hanno messo in pericolo i pazienti, i loro familiari e il personale medico.

Nel frattempo, le ferite fisiche e mentali dei palestinesi sono schiaccianti e i bisogni continuano a crescere. Le strutture supportate da MSF hanno effettuato almeno 27.500 visite mediche a feriti di guerra e 7.500 interventi chirurgici. Le persone soffrono per le lesioni causate dal conflitto e di malattie croniche, aggravate dall’impossibilità di accedere ai servizi sanitari e ai farmaci essenziali. Lo sfollamento forzato da parte di Israele ha spinto le persone a vivere in condizioni insostenibili e antigieniche, dove le malattie possono diffondersi rapidamente.

Di conseguenza, le nostre équipe stanno curando un gran numero di persone per malattie cutanee, infezioni respiratorie e diarrea, che si prevede aumenteranno con l’abbassamento delle temperature in inverno.

I bambini non stanno ricevendo vaccinazioni cruciali e sono esposti a malattie come il morbillo e la poliomielite. Inoltre, abbiamo osservato un aumento del numero di casi di malnutrizione, ma rimane impossibile effettuare uno screening completo a causa della diffusa insicurezza e della mancanza di adeguate misure di deconflitto.

Mentre le possibilità di ricevere assistenza medica si riducono a Gaza, Israele ha reso ancora più difficile l’evacuazione medica delle persone. Dalla chiusura del valico di Rafah a maggio 2024 fino a settembre 2024, le autorità israeliane hanno autorizzato l’evacuazione di soli 229 pazienti, pari all’1,6% di coloro che ne avevano bisogno in quel momento: una goccia in un mare di bisogni.

La situazione nel nord di Gaza è particolarmente grave dopo la recente offensiva militare di Israele che ha spopolato vaste aree e, secondo quanto riferito, ucciso quasi 2.000 persone. La parte settentrionale della Striscia, in particolare il campo di Jabalia, è stata nuovamente assediata dalle forze israeliane a partire dal 6 ottobre 2024.

Le autorità israeliane hanno ridotto drasticamente la quantità di aiuti essenziali autorizzati ad entrare nel nord e a ottobre 2024, i rifornimenti che hanno raggiunto l’intera Striscia di Gaza hanno raggiunto la quantità più bassa dall’inizio della guerra nell’ottobre 2023: a ottobre 2024 sono entrati in media 37 camion di aiuti umanitari al giorno, cifra ben al di sotto dei 500 camion umanitari che entravano prima del 7 ottobre 2023.

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venerdì 6 dicembre 2024

Amnesty International: Israele ha commesso e sta continuando a commettere genocidio nei confronti della popolazione palestinese



Comunicato da Amnesty International - Italia

Le ricerche effettuate da Amnesty International hanno rinvenuto sufficienti elementi per portarla alla conclusione che Israele ha commesso e sta continuando a commettere genocidio nei confronti della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza occupata.

Nel rapporto intitolato “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza”, Amnesty International documenta come, durante l’offensiva militare lanciata dopo gli attacchi mortali del 7 ottobre guidati nel sud di Israele da Hamas, Israele abbia scatenato inferno e distruzione contro la popolazione palestinese di Gaza senza freni, in modo continuativo e nella totale impunità.

“Il rapporto di Amnesty International mostra che Israele ha compiuto atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio, con l’intento specifico di distruggere la popolazione palestinese di Gaza. Questi atti comprendono uccisioni, gravi danni fisici e mentali e la deliberata inflizione di condizioni di vita calcolate per causare la loro distruzione fisica. Mese dopo mese, Israele ha trattato la popolazione palestinese di Gaza come un gruppo subumano non meritevole di diritti umani e dignità, dimostrando il suo intento di distruggerli fisicamente”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

“Le nostre conclusioni devono servire a svegliare la comunità internazionale. Questo è un genocidio. Deve cessare ora”, ha aggiunto Callamard.

“Gli stati che attualmente continuano a trasferire armi a Israele devono sapere che stanno violando il loro obbligo di prevenire il genocidio e rischiano di diventarne complici. Tutti gli stati che hanno influenza su Israele, soprattutto i principali fornitori di armi come Usa e Germania così come ulteriori stati membri dell’Unione europea, il Regno Unito e altri ancora, devono agire adesso per porre immediatamente fine alle atrocità israeliane contro la popolazione palestinese di Gaza”, ha proseguito Callamard.

Negli ultimi due mesi, la crisi è diventata particolarmente acuta nel governatorato del nord della Striscia di Gaza, dove una popolazione sotto assedio è alle prese con fame, sfollamento e annichilimento tra incessanti bombardamenti e soffocanti limitazioni agli aiuti umanitari necessari per salvare vite umane.

“Le nostre ricerche mostrano che, per mesi, Israele ha continuato a commettere atti di genocidio, pienamente consapevole dei danni irreparabili che stava infliggendo alla popolazione palestinese di Gaza. Ha proseguito a farlo sfidando gli innumerevoli allarmi sulla catastrofica situazione umanitaria e le decisioni, legalmente vincolanti, della Corte internazionale di Giustizia che aveva ordinato a Israele di prendere misure immediate per consentire la fornitura dell’assistenza umanitaria ai civili di Gaza”, ha sottolineato Callamard.

“Israele ha ripetutamente dichiarato che le sue azioni a Gaza sono legittime e possono essere giustificate dall’obiettivo militare di sradicare Hamas. Ma l’intento genocida può coesistere con obiettivi militari e non necessita di essere l’unico intento di Israele”, ha commentato Callamard.

Amnesty International ha esaminato attentamente e nella loro totalità gli atti di Israele nella Striscia di Gaza, prendendo in considerazione la loro ricorrenza e simultaneità così tanto come il loro impatto immediato quanto le conseguenze cumulative e che si rafforzavano mutualmente. L’organizzazione ha considerato la dimensione e la gravità dei danni inflitti ai civili e della distruzione. Ha poi analizzato dichiarazioni di autorità israeliane per concludere che atti vietati sono stati spesso annunciati o suggeriti da alti ufficiali responsabili dello sforzo bellico.

“Tenendo in considerazione il contesto delle preesistenti condizioni di spossessamento, apartheid e occupazione militare illegale in cui questi atti sono stati commessi, abbiamo potuto giungere a una sola ragionevole conclusione: l’intento di Israele è la distruzione fisica della popolazione palestinese di Gaza, in parallelo con l’obiettivo militare, o come strumento per conseguirlo, della distruzione di Hamas”, ha precisato Callamard.

I crimini di atrocità commessi il 7 ottobre 2023 da Hamas e da altri gruppi armati palestinesi contro cittadini israeliani e di altre nazionalità, che comprendono deliberate uccisioni di massa e presa di ostaggi, non possono mai giustificare il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese di Gaza”, ha evidenziato Callamard.

La giurisprudenza internazionale riconosce che, perché venga commesso un genocidio, non è necessario che gli autori riescano a distruggere, in tutto o in parte, un gruppo protetto. È sufficiente la commissione di atti vietati, con l’intento di distruggere quel gruppo.

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sabato 23 novembre 2024

Comunicato Arci: 30 novembre | manifestazione nazionale a Roma contro il genocidio del popolo palestinese



Comunicato da Arci

Fermiamo Israele, che oggi è il laboratorio avanzato della destra estrema mondiale e un rischio per tutto il mondo basta genocidio, occupazione, apartheid, razzismo, colonialismo, suprematismo bianco.

A fianco del popolo palestinese e del suo inalienabile diritto alla vita, alla terra, alla resistenza, alla libertà e all’autodeterminazione.

A fianco del popolo libanese, dei profughi e degli sfollati, delle comunità locali.

A fianco di chi nella regione e nel mondo si oppone al genocidio, alla occupazione, alla guerra.

A fianco dei tribunali, delle agenzie e delle forze ONU che contrastano il genocidio e l’allargamento del conflitto.

Ripudiamo il sistema globale di guerra, la logica di guerra, l’economia di guerra al servizio dell’ingiustizia, della diseguaglianza, dell’autoritarismo.

Fermiamo il genocidio, la guerra, il riarmo in Medio Oriente, in Europa e in tutto il mondo con la solidarietà, la resistenza, i diritti umani e dei popoli, il diritto internazionale, la democrazia.


mercoledì 20 novembre 2024

Non Una Di Meno – sabato 23 novembre, manifestazione nazionale a Roma e a Palermo



Comunicato da NonUnaDiMeno 

Sabato 23 novembre, la marea sale!

Manifestazione nazionale a Roma e a Palermo contro la violenza patriarcale.
Non Una di Meno!

È passato un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin e altri nomi si sono aggiunti, e rimasti anonimi, di ragazze, adulte, anziane, persone trans uccise. 
Ad oggi sono 104 i femminicidi, trans*cidi e lesbicidi registrati  nel 2024 dall’Osservatorio (https://osservatorionazionale.nonunadimeno.net/).

È passato un anno dalla marea che lo scorso anno ha paralizzato Roma e Messina con la potenza di centinaia di migliaia di corpi: non ci siamo mai fermate, la nostra rabbia resta enorme!

Scendiamo in piazza mentre giunge a conclusione il processo a Filippo Turetta, intanto una ragazza di 13 anni viene uccisa dal “fidanzatino” di 15 anni. Sappiamo bene che non sono le sentenze esemplari che cambieranno le cose. Guardiamo con sospetto ai riti collettivi che assolvono la società dalla responsabilità di queste morti.

Scendiamo in piazza il 23N non per ritualità ma perché è sempre più urgente in questo paese rifiutare l’oppressione, la vergogna, la guerra che ci viene imposta. Scendiamo in piazza per manifestare la nostra rivolta alla violenza patriarcale e alla deriva identitaria e autoritaria che la sostiene e giustifica.  

E infatti, se la violenza è strutturale, la reazione del governo Meloni è chiara: la retorica della prima donna premier è facilmente contraddetta dagli atti. 

L’attacco è ai percorsi di fuoriuscita dalla violenza e ai centri antiviolenza femministi, neutralizzati dal mercato dei bandi pubblici e trasformati in servizi socio-assistenziali che non puntano sull’autodeterminazione e sull’autonomia economica di chi si sottrae dal ricatto dell’abuso. 

L’attacco subdolo all’aborto sancisce l’alleanza con le organizzazioni antiabortiste e passa per lo smantellamento dei consultori, dei reparti IVG e per il disinvestimento sulla RU486. La GPA come reato universale si rivela misura identitaria e transomofobica che nulla ha a che fare con il contrasto allo sfruttamento. 

La “crociata antigender” – che altro non è che il tentativo maschilista e misogino di segregazione di genere – diventa politica istituzionale con l’attacco ai percorsi di affermazione di genere, in netta contraddizione con la necessità di prevenzione attraverso l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole. 

Le propagandate politiche a sostegno della famiglia e del lavoro femminile si rivelano per quello che sono: misure spicciole e frammentate che tagliano fuori famiglie non conformi, lavorator3 precari3 e disoccupat3 e che moltiplicano il lavoro povero e di cura, tuttora appannaggio delle donne e dell3 migranti con salari da fame. 

Le persone disabili continuano ad essere invisibilizzate, infantilizzate e disumanizzate, gli aiuti previsti sono insufficienti e non considerano la diversità delle esigenze.

La violenza razzista di stato è perpetuata attraverso i CPR, il mancato soccorso all3 migrant3 che attraversano il Mediterraneo e la negazione della cittadinanza a chi nasce e cresce In Italia. Il progetto del centro in Albania non è altro che la prosecuzione di queste politiche, della violenza che noi ripudiamo e contro cui lottiamo.

In questo quadro Il D.D.L. Sicurezza è solo la punta dell’iceberg della deriva autoritaria e machista che attacca diritti e libertà, incrementa la circolazione delle armi, prevede il carcere anche per le donne in gravidanza o con figli piccoli. Moltiplica i provvedimenti disciplinari e attacca il diritto al dissenso, come è già stato anticipato dai blocchi ai caselli e alle stazioni ai fogli di via emessi in occasione della manifestazione per la Palestina del 5 ottobre. Accentra i poteri e militarizza i territori, lo spazio pubblico e personale: dall’autonomia differenziata che ha l’intento di definire e alimentare ulteriormente il divario già esistente tra Nord e Sud, all’inganno del progresso dietro le grandi opere (di guerra) come il Muos, la base di Coltano, la Tav e il Ponte sullo stretto. 

Criminalizzare il dissenso, le condotte, i “margini” è violenza patriarcale.

La guerra, che viviamo in diretta, diventa paradigma delle relazioni sociali: normalizza la violenza, disumanizza i corpi, cancella i percorsi di liberazione in nome della logica del nemico che tutto schiaccia. Diventa economia di guerra, taglia i servizi fondamentali come la scuola e la sanità per finanziare il grande business del riarmo, cancella i diritti in nome della difesa della Nazione. 

Ci ribelliamo alla guerra come espressione più brutale della violenza patriarcale. Non vogliamo più assistere alla catastrofe quotidiana del genocidio in Palestina e della Guerra che si estende a macchia d’olio. 

Ci connettiamo con le donne e con le libere soggettività che resistono, pagandone doppiamente il prezzo, al massacro in Palestina perpetrato da Israele con la complicità dell’Occidente; con le giovani iraniane, come Ahou Daryaie, che lottano con incredibile coraggio per la libertà; con le combattenti che in Rojava, in Siria e Iraq costruiscono alternativa rivoluzionaria e femminista; con le sorelle che subiscono la guerra sui loro corpi in Ucraina, Libano, Yemen, Sudan… 

Scendiamo in piazza al grido “Disarmiamo il patriarcato” perché abbiamo altre priorità che la logica geopolitica cancella: lottiamo contro la violenza e la cultura dello stupro che ci opprimono, contro i confini interni e esterni, contro la militarizzazione dei territori e la devastazione ambientale ormai dispiegate e presenti nel nostro quotidiano. 

Disarmiamo il patriarcato, per fermare la guerra, nelle case, sui corpi, sui territori e sulle nostre vite. 

Ci vogliamo viv3, liber3, arrabbiat3 perché insieme siamo più forti.

Ci volete vittime, saremo marea!

Non Una Di Meno


giovedì 31 ottobre 2024

Appello al mondo della scuola da Non Una Di Meno



Comunicato da NonUnaDiMeno 

Aurora aveva 13 anni quando, il 25 ottobre, è stata uccisa dal fidanzato di 15 anni, che non accettava la fine della loro relazione. Lo stesso giorno, Sara è stata uccisa da un vicino di casa. Lei di anni ne aveva 18, lui ne ha 22.

E’ passato quasi un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin, un anno e decine di femminicidi, eppure la situazione non solo resta la stessa, ma appare sempre più grave. Sono oltre 90 le morti per mano della violenza di genere patriarcale che contiamo quest’anno e, mentre continuiamo ad assistere sgomentə allo sterminio, le misure di prevenzione rimangono proclami, inutili promesse al vento quando va bene, e a volte azioni perfino dannose. Le scuole sono sempre più inaccessibili per proposte di educazione sessuale,affettiva, relazionale e al consenso, e le istituzioni lasciano che lo spauracchio della “teoria gender” inventato dalle destre valga di più del nostro diritto alla vita.    

Per questo, a 3 settimane dalla mobilitazione nazionale del 25 novembre, che lo scorso anno ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone unite dal desiderio di fermare violenza, femminicidi e transicidi – e che quest’anno cadrà il 23 novembre con una manifestazione nazionale a Roma e a Palermo -, ci appelliamo al mondo della scuola.   

Chiediamo allə docenti alleatə di costruire lezioni all’aperto, chiediamo ai collettivi e alle organizzazioni studentesche di costruire giornate di occupazione e autogestione delle scuole in cui associazioni, collettivi e reti tranfemministe possono parlare di sessualità consapevole, amore generativo, abbattimento della cultura dello stupro e della cultura machista ciseteropatriarcale. Che si parli di cultura del consenso! Di ascolto! 

Non possiamo più assistere alla morte di ragazze come Aurora, Sara, e di tutte quelle donne e persone, diverse per età e provenienza, ma con un futuro davanti e nessuna responsabilità, se non quella di essere natə in una società machista. Non possiamo più aspettare che altri ragazzi e uomini comuni, figli sani del patriarcato, diventino stupratori e femminicidi perché non vedono, non conoscono alternative a questo modello relazionale.

Il “minuto di rumore” che l’anno scorso ha riempito le scuole della rabbia e della voglia di cambiamento, in opposizione al minuto di silenzio proposto dal ministro Valditara per il femminicidio di Giulia Cecchettin, deve diventare ancora più forte. Dobbiamo trasformare il “minuto di rumore” in “ore di rivoluzione” che siamo funzionali all’abbattimento della cultura patriarcale, e di tutte le sue dirette conseguenze  come l’amore tossico, l’amore romantico, l’incapacità di accettare il rifiuto. Sempre più spesso queste dinamiche vengono riprodotte fin dall’adolescenza, nelle prime relazioni che spesso nascono proprio all’interno delle nostre scuole.

Essere uccise a 13, 18 o mille anni non può essere la nostra nuova normalità. Rifiutiamo di limitarci a fare il conto delle morti, e vi chiediamo di partecipare insieme a noi al processo di resistenza e liberazione che stiamo costruendo.

Lo slogan della manifestazione nazionale del prossimo 23 novembre “Ci vogliamo vivə: disarmiamo il patriarcato” riguarda tantissimo anche il mondo della scuola. La scuola é uno dei principali bersagli dei tagli dei finanziamenti, confluiti invece nella spesa militare, ed è però il luogo in cui persone che si stanno formando passano la maggior parte del tempo; il luogo fondamentale nella costruzione e nell’acquisizione di nuovi immaginari, nuove pratiche e modelli relazionali.

É necessario rendere i luoghi della formazione degli spazi adeguati a disinnescare le armi della morte, della paura e del possesso, attraverso il rumore, la rabbia, la non rassegnazione transfemminista ma anche con i percorsi formativi adeguati. Lo dobbiamo alla nostra sorella Aurora, lo dobbiamo a Giulia, e a tutte le altre che sono state uccise, per non allungare più questa lista. E lo dobbiamo al coraggio di Viktoria e di Elena, loro sorelle.

Scegliamo di far uscire oggi 31 ottobre questo appello, in solidarietà al mondo della scuola in mobilitazione in una giornata di sciopero, per metterci in dialogo con tutti i soggetti politici e sindacali che lottano per una scuola diversa, in cui non ci sia spazio per la precarietà e per l’autoritarismo, che insegni il rispetto delle persone e dell’ambiente, che sia luogo effettivo di crescita sociale e culturale e motore delle trasformazioni positive del Paese. 

Una scuola che riconosca la dignità del lavoro docente, svilito quotidianamente proprio perché femminilizzato, associato al maternage e al lavoro di cura dovuto. E lo riconosca innanzitutto in termini salariali, prendendo sul serio la criticità politica, sociale e culturale dell’avere uno stipendio medio delle insegnanti tra i più bassi d’Europa. É quantomai urgente che la comunità educante tutta si impegni in una effettiva battaglia per tutto questo: adeguamenti salariali, semplificazione dei percorsi di reclutamento, stabilizzazione delle insegnanti precarie, inserimento dell’educazione sessuo-affettiva in tutte le scuole di ogni ordine e grado, scevra dai tentacoli del Vaticano e delle forze reazionarie.

QUI UN NOSTRO CONTRIBUTO PER APPROFONDIRE LA LETTURA DI NUDM SU SCUOLA E UNIVERSITÁ, PER UN’EDUCAZIONE TRANSFEMMINISTA 

Non Una Di Meno


Appello per mandare fuori Israele dalle Nazioni Unite


Articolo da Cred-Gigi

Da oltre cinquant’anni i governi che si sono succeduti alla guida di Israele hanno costantemente disatteso i loro obblighi attinenti al diritto internazionale, facendosi beffe e violando le risoluzioni delle Nazioni Unite, fossero esse adottate dall’Assemblea generale o dal Consiglio di sicurezza o consistessero in chiare pronunce della Corte internazionale di giustizia.

Questo atteggiamento di aperto spregio del diritto Internazionale e delle Nazioni Unite ha raggiunto livelli parossistici nell’ultimo anno col genocidio in corso che ha già causato la morte di oltre quarantamila Palestinesi, in gran parte bambini, e determina ogni giorno nuove vittime a Gaza, in Cisgiordania, in Libano e in Siria.
Si tratta di crimini che sono la diretta conseguenze della politica aggressiva, suprematista e colonialista portata avanti da Israele sotto l’egida del sionismo.

Da ultimo l’arroganza del governo Netanyahu si è spinta fino a Insultare l’ONU, definendolo “una palude di antisemitismo “, a dichiararne persona non grata il Segretario generale e a cannoneggiare deliberatamente i caschi blu dell’UNIFIL, forza di interposizione pacifica dispiegata dalle Nazioni Unite in Libano.

La misura è colma. Riteniamo che i tempi siano più che maturi per l’applicazione nei confronti di Israele dell’art. 6 della Carta delle Nazioni Unite, il quale prevede che “un Membro delle Nazioni Unite che abbia persistentemente violato i principi enunciati nel presente Statuto può essere espulso dall’Organizzazione da parte dell’Assemblea generale su proposta del Consiglio di Sicurezza”.

Un tale provvedimento andrebbe accompagnato dall’adozione di sanzioni, a partire da un embargo totale immediato sugli armamenti, coi quali ogni giorno Israele porta avanti la sua politica di sterminio.

Rivolgiamo un appello in questo senso all’opinione pubblica mondiale e a tutti i governi. Siamo consapevoli del possibile veto che membri permanenti delle Nazioni Unite, fra i quali soprattutto gli Stati Uniti, da sempre protettori e complici di Israele, potrebbero interporre, ma riteniamo che tale veto possa essere aggirato da una votazione a maggioranza dell’Assemblea generale, come già avvenuto in altre occasioni.


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Fonte: Cred-Gigi


Autore: 

Licenza: Creative Commons (non specificata la versione


Articolo tratto interamente da 
Cred-Gigi


venerdì 25 ottobre 2024

Rete Kurdistan Italia: la Turchia prende di mira i civili curdi

 

Comunicato da Rete Kurdistan Italia

Condanniamo con la massima fermezza possibile i recenti attacchi dello Stato turco contro civili e infrastrutture nella Siria nord-orientale e nel Kurdistan meridionale nell’Iraq settentrionale, che hanno causato la tragica perdita di almeno dodici vite e decine di feriti. Il bombardamento indiscriminato di aree civili, tra cui Qamishlo, dove sono stati presi di mira una stazione ferroviaria e un centro sanitario, e i villaggi attorno a Dêrik, è una flagrante violazione del diritto umanitario internazionale e dimostra un palese disprezzo per la vita umana.

La distruzione mirata di infrastrutture essenziali, tra cui un centro di distribuzione di carburante a Dêrik e una centrale elettrica ad Amûde, aggrava la sofferenza della popolazione civile e costituisce un crimine di guerra. Tali azioni non solo interrompono i servizi vitali, ma contribuiscono anche a una crisi umanitaria nella regione, lasciando le comunità senza accesso a elettricità, acqua e risorse essenziali.

La Turchia continua a commettere crimini di guerra e contro l’umanità. Il silenzio della comunità e delle istituzioni internazionali deve finire e devono ritenere lo Stato turco responsabile delle sue azioni e costringerlo a fermare i suoi crimini contro i curdi.

Ieri, 23 ottobre, il leader del popolo curdo Abdullah Öcalan ha incontrato suo nipote il parlamentare del Partito per la democrazia e l’uguaglianza dei popoli (DEM) di Urfa (Riha) Ömer Öcalan, dopo 43 mesi di totale isolamento. Nell’incontro ha affermato: “L’isolamento continua. Se si creano le condizioni, ho il potere teorico e pratico di cambiare questa fase da una base di conflitto e violenza a una base legale e politica”.

Pertanto l’isolamento deve essere revocato e Abdullah Öcalan deve essere rilasciato a condizioni che gli consentano di svolgere il suo ruolo nella soluzione politica e giusta della questione curda.

Commissione per le relazioni estere del Congresso nazionale del Kurdistan (KNK)

24 ottobre 2024


martedì 15 ottobre 2024

Comunicato Medici Senza Frontiere: a Gaza migliaia di persone sono intrappolate nel campo di Jabalia



Comunicato da Medici Senza Frontiere

Migliaia di persone sono intrappolate nel campo di Jabalia, nel nord di Gaza, mentre sono in corso attacchi delle forze israeliane. “A nessuno è permesso entrare o uscire, chiunque ci provi viene colpito” afferma Sarah Vuylsteke, coordinatrice del progetto di MSF. Cinque operatori di MSF sono intrappolati nel campo e temono per la propria vita.

Il 7 ottobre le forze israeliane hanno emesso ordini di evacuazione nel campo di Jabalia e allo stesso tempo hanno effettuato attacchi, impedendo alle persone di lasciare l’area in sicurezza. Le evacuazioni forzate delle case e il bombardamento dei quartieri da parte delle forze israeliane stanno trasformando il nord di Gaza in rovine inabitabili.

Chiediamo alle forze israeliane di fermare gli sfollamenti forzati e di fermare la guerra totale contro la popolazione di Gaza. Le forze israeliane devono anche garantire la protezione dei civili e degli ospedali e consentire l’ingresso nel nord delle forniture umanitarie di cui c’è un disperato ed urgente bisogno.

Testimonianza di Haydar, una delle cinque persone dello staff MSF intrappolate con la sua famiglia nel campo di Jabalia

La notte del 6 ottobre abbiamo sentito bombardamenti e scontri ed eravamo davvero spaventati. Giorno dopo giorno, la situazione è peggiorata e alla fine abbiamo deciso di andarcene ma poi ci siamo resi conto che era difficile, perchè il campo di Jabaliya era assediato.
Non potevamo uscire, quindi siamo rimasti dentro l’ospedale di Yemen Alsae’d.
Il 9 ottobre, le forze israeliane hanno bombardato anche l’ospedale e dato fuoco alle tende. Più di 20 persone sono state uccise nell’attacco e altre sono rimaste ferite.
Ho sei figli, uno di loro ha anche lui sei figli: durante l’attacco uno dei miei nipoti è morto. Ora sono qui, non so cosa fare, non ho scelta. Sono agitato, molto arrabbiato e terrorizzato dalla situazione che stiamo vivendo.
Da un momento all’altro so che potrei morire. Potrei essere ferito, così come la mia famiglia, potremmo morire tutti. Mia moglie ha bisogno di una sedia a rotelle, ha difficoltà a muoversi, ed è malata. Anche se volessi andar via è difficile farlo.

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lunedì 14 ottobre 2024

Sabato 26 Ottobre 2024 torna il Linux Day



Comunicato da Linux Day

Sabato 26 Ottobre 2024 torna il Linux Day: la principale manifestazione italiana dedicata al software libero, la cultura aperta ed alla condivisione!

Il Linux Day nasce nel 2001 come appuntamento annuale per riunire le forze di tutte le persone attiviste nel movimento del software libero, dell'open source, ed in particolare di Linux. Proponiamo una rete di eventi decentralizzati in tutta Italia, organizzati autonomamente da gruppi di persone volontarie e appassionate. È il più grande evento italiano sul tema con migliaia di visitatori. Una tradizione da non perdere.

Puoi trovare talk, workshop, spazi per l'assistenza tecnica, gadget, dibattiti e dimostrazioni pratiche e potrai incontrare la community!

L'accesso al Linux Day è sempre libero e gratuito!   

Per maggiori informazioni:

https://www.linuxday.it/2024/


venerdì 4 ottobre 2024

Privatizzazione acqua: il governo Meloni vuole seppellire il Referendum del 2011



Comunicato da Forum Italiano Movimenti per l’Acqua

Il mio voto è cancellato! Il governo Meloni vuole seppellire il Referendum del 2011.

Il governo Meloni si appresta a privatizzare definitivamente la gestione del servizio idrico nel nostro Paese.

Risulta infatti in via di discussione in un prossimo Consiglio dei ministri la bozza di Decreto-legge “Disposizioni urgenti per la tutela ambientale del Paese, la razionalizzazione dei procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale, la promozione dell’economia circolare, l’attuazione di interventi in materia di bonifiche di siti contaminati e dissesto idrogeologico” all’interno della quale, alla lettera e) dell’art. 3, si può leggere che “…L’affidamento diretto può altresì avvenire a favore di società in house…con partecipazione obbligatoria di capitali privati a condizione che:

  • le medesime siano partecipate dagli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale e abbiamo come soggetto sociale esclusivo la gestione del servizio idrico integrato;
  • il socio privato, direttamente o indirettamente, detenga una quota del capitale sociale non superiore a un quinto;
  • al socio privato non spetti l’esercizio di alcun potere di veto o influenza determinante sulla società;

Non sono bastati 13 anni, durante i quali, governi di diverso colore hanno continuamente ignorato l’esito referendario, ma ora, se questo decreto venisse licenziato definitivamente, si porrebbe una pietra tombale alla volontà popolare espressa nel giungo 2011 favorendo e rendendo di fatto prioritaria la scelta di ingresso di capitali privati nella gestione dell'acqua.

Ovviamente il pretesto è quello di aumentare i finanziamenti al servizio per renderlo adeguato in termini di ammodernamento della rete e di superamento delle condizioni di dissesto idrogeologico che interessano il nostro Paese e che ancora persistono, nonostante i continui aumenti tariffari (pagati dalle nostre tasche) registrati in questi ultimi 12 anni, grazie al metodo di calcolo della tariffa stabilito dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambienti (ARERA) che, evidentemente, con il suo principio di “Full Recovery Cost” si dimostra sempre più un buco nell’acqua. A nostre spese e a fronte di lauti dividendi ridistribuiti ai soci di quei gestori, a partecipazione pubblico-privata, già presenti sul nostro territorio.

Dopo il colpo di mano di Mario Draghi, che prima di mollare l’osso della sedia presidenziale del 2022, vieta la gestione dei servizi locali “a rete” (tra i quali la gestione del servizio idrico) attraverso Enti di diritto pubblico (così come espresso dall’esito referendario), e il conseguente “Testo unico sul riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” a firma di Giorgia Meloni con il quale si concedeva il rinnovo o la costituzione ex novo di gestioni in house tramite strettissimi paletti (tra i quali una giustificazione del mancato ricorso al mercato), ora gli Enti locali (Comuni o Regioni) si vedrebbero calare dall’alto questa nuova disposizione con la quale verrebbero usurpati di quote gestionali per una quota pari al 20% a fronte di una partecipazione privata di soggetti che senza “alcun potere di veto o influenza determinante sulla società” difficilmente rinunceranno a incassare il dividendo scaturito nella gestione del servizio al termine dell’esercizio invece che re-investirlo nel servizio erogato, contribuendo in questo modo a mantenere alte le bollette…e vuote le nostre tasche.

Tutto questo nonostante l’Europa non chiuda affatto la porta ad alcuna gestione, anche quella attraverso Aziende Speciali.

Sarà proprio all’Europa, nel condannare fortemente questo ennesimo tentativo di privatizzazione dell’acqua, che il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua si rivolgerà a breve con il deposito presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) del testo di un ricorso che intende ristabilire il diritto negato dalla mancata eseguibilità dell’esito referendario del giugno 2011, per garantire a tutt* noi una gestione dell’acqua pubblica, fuori dalle regole del mercato, partecipata ed equa.

Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia.

Roma, 1 Ottobre 2024.

Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua


Amnesty International Italia sul divieto di manifestare il 5 ottobre a Roma per la Palestina



Comunicato da Amnesty International - Italia

In merito alla decisione della questura di Roma di vietare la manifestazione per la Palestina in programma per il prossimo 5 ottobre, Amnesty International Italia ricorda che il diritto di protesta è protetto da diverse disposizioni sui diritti umani e in particolare dall’interazione dei diritti alla libertà di riunione pacifica e di espressione.

Gli standard internazionali e regionali sui diritti umani che governano il diritto di assemblea pacifica sottolineano, come principio fondamentale, la “presunzione a favore delle assemblee pacifiche”, che dovrebbe riflettersi nelle politiche e nelle pratiche nazionali. Ciò obbliga gli stati a facilitare le assemblee e, tra le altre cose, a rimuovere gli ostacoli a partecipanti e a organizzatori, a dover giustificare pienamente qualsiasi tipo di restrizione venga applicata e a esercitare tolleranza e misura, anche nei confronti dei disagi.

Questo vale anche per le assemblee spontanee – quelle che rispondono o reagiscono a eventi attuali, per le quali non è possibile fornire un preavviso nei tempi e nelle procedure abituali – o non notificate. Anche queste ultime devono essere agevolate e protette allo stesso modo e non dovrebbero essere disperse a causa di una mancata notifica.

In Italia, l’articolo 17 della Costituzione afferma un principio generale di presunzione a favore delle assemblee pubbliche, prevedendo un mero preavviso alle autorità competenti. Il regime di notifica non dovrebbe essere in alcun modo utilizzato per controllare le proteste pacifiche, né per sanzionare coloro che le organizzano, compatibilmente anche con lo spirito originario della Costituzione.

Gli stati hanno anche l’obbligo negativo di evitare interferenze ingiustificate con l’esercizio del diritto di riunione pacifica e l’obbligo positivo di proteggere coloro che esercitano il diritto e di facilitarne l’esercizio in modo da consentire a chi partecipa di riunirsi in sicurezza e di raggiungere i propri obiettivi. Qualsiasi limitazione posta al diritto di riunione pacifica deve essere frutto di attenta valutazione specifica e deve a sua volta rispettare i principi di legalità, proporzionalità e necessità.

Questi principi non sembrano essere stati rispettati nel prendere questa decisione di diniego della piazza. Possibili atti o espressioni di odio antisemita, che vanno condannati nella maniera più netta, non possono essere attribuiti anticipatamente e automaticamente alla maggioranza se non addirittura alla totalità della protesta. Lo stesso vale per eventuali messaggi individuali di incitamento alla violenza.

Gli standard internazionali, infatti, specificano che le restrizioni necessarie dovrebbero essere basate solo sul tempo, il luogo o le modalità di una riunione, senza tener conto del messaggio che essa cerca di trasmettere, in base al principio secondo cui le restrizioni devono essere “neutrali rispetto al contenuto”.

Amnesty International Italia ricorda che gli stati devono rispettare, garantire per legge e assicurare che tutte le persone possano esercitare il loro diritto di protesta senza discriminazioni basate su etnia, sesso, razza, religione o convinzioni personali, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, età, opinioni politiche o di altro tipo, status socioeconomico, nazionalità o altro tipo di status.

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mercoledì 2 ottobre 2024

Fridays For Future Italia scende in piazza e lancia un appello



Comunicato da Fridays for future

Comunicato stampa – Sciopero Nazionale per il Clima

In un momento storico scandito da guerre, aumento del carovita, aumento delle temperature medie e aumento degli eventi climatici estremi, uno scenario che porta le persone a pensare che sia troppo tardi per fare qualcosa e spesso crea un senso di impotenza, Fridays For Future Italia lancia un appello: “Possiamo ancora cambiare la rotta e contenere l’aumento della temperatura media globale a +1.5°, quello che manca è il coraggio e la volontà politica di mettere in atto strategie a lungo termine per la difesa dei territori e delle persone.” dice Antonio Iodice.

La comunità scientifica globale si è espressa all’unanimità: i cambiamenti climatici attuali sono causati dalle attività umane; in particolare i cambiamenti che stiamo vivendo sono più rapidi di quello che si è visto in tutte le ere precedenti, e la causa diretta è il nostro modello economico e la distruzione dell’ambiente necessaria per la sua sopravvivenza. Difendere il clima significa difendere la vita delle persone e per questo Fridays For Future Italia scende in piazza il giorno 11 ottobre 2024 in tutte le piazze d’Italia. Il movimento ribadisce la sua posizione sull’entità sionista che, con il supporto acritico degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, sta commettendo​ un brutale genocidio del popolo palestinese e un ecocidio delle loro risorse naturali, bombardando anche il popolo libanese nella sua furia colonialista. “Ci schieriamo fermamente al fianco della resistenza del popolo palestinese, pretendiamo che la Palestina sia liberata dall’entità sionista e da chi agisce per colonizzarla e sfruttarne le risorse naturali attraverso progetti fossili come il piano Mattei.” afferma Anna Postorino

Realizzare la giustizia climatica vuol dire operare per smantellare il sistema imperialista e colonialista occidentale che si esprime anche attraverso progetti e finanziamenti dannosi e imposti. “Dobbiamo impedire che gli errori degli stati e di alcune aziende vengano pagati dalle persone nelle zone più vulnerabili come chi vive nei paesi del sud del mondo e nelle zone di sacrificio in tutti i paesi, a cui si aggiungono ormai le sempre più frequenti zone alluvionate.”spiega Emanuele Genovese.

Il movimento si oppone con forza all’approvazione anche ad altre misure recenti del governo come la proposta di autonomia differenziata, che acuirà le disuguaglianze, anche ambientali, e del DDL 1660 (Decreto Sicurezza), una delle leggi più liberticide della storia della Repubblica, consapevole che la fortissima repressione e criminalizzazione delle  proteste per la giustizia climatica e sociale è un sintomo della mancanza di risposte concrete ai problemi materiali del nostro presente. Il governo non riuscendo a convincere con la propaganda, prova a farlo con la forza. Ed è per questo che oggi più che mai è fondamentale unirsi in un’unica grande mobilitazione. La profonda crisi della nostra democrazia è resa evidente dalla distanza delle istituzioni dalle istanze di chi cerca di sostanziare processi democratici dal basso: i comitati cittadini, i sindacati, i collettivi studenteschi e i movimenti antagonisti. “Non è troppo tardi per ottenere il cambiamento di cui abbiamo bisogno per la sopravvivenza. È stato fatto in passato e possiamo ripeterlo di nuovo. La mobilitazione di massa capace di costruire comunità dietro a rivendicazioni di interesse collettivo  è l’unica strada per ottenere un miglioramento delle nostre vite e per salvarci dalla distruzione.” conclude Marzio Chirico.

Fridays For Future Italia

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lunedì 23 settembre 2024

Avviso: problemi nel blog UNA GERL@ DI IDEE


Olga mi ha mandato un messaggio, che voleva avvisare tutti i lettori del suo blog, che ha dei problemi d'accesso. Spero che risolva i suoi problemi legati al suo account.

Link: UNA GERL@ DI IDEE


Aggiornamento 24/09/2024

Ecco il link del suo nuovo blog: https://unagerladidee.blogspot.com/


martedì 17 settembre 2024

Domenica 13 ottobre a Milano, concerto benefico di Roberto Vecchioni a favore di Sightsavers

Roberto Vecchioni - Teatro Romano, Verona - 29 maggio 2011 (5782124301)


Ricevo e pubblico:

Domenica 13 ottobre alle ore 21 alla Sala Verdi del Conservatorio di Milano, ci sarà un concerto straordinario di Roberto Vecchioni, uno dei più grandi rappresentanti della canzone d’autore italiana, accompagnato dalla sua band e con un repertorio dei suoi maggiori successi, che testimoniano gli ultimi decenni della nostra storia. 

Un’opportunità unica per assistere a un concerto benefico che sosterrà l’associazione Sightsavers International Italia ETS nel suo quotidiano impegno a fianco dei più vulnerabili con l’obiettivo di lottare contro la cecità evitabile e promuovere pari opportunità per le persone con disabilità. 

Sightsavers, nata nel 1950, è un’organizzazione internazionale che lavora in oltre 30 Paesi in via di sviluppo. Collabora con partner locali, regionali, nazionali ed internazionali, ministeri, organizzazioni governative e non governative. Esegue visite agli occhi, cure specialistiche e interventi chirurgici; finanzia la formazione in loco di oculisti, chirurghi, infermieri oftalmici, operatori sanitari di base e volontari attivi nelle comunità; crea ambulatori oculistici mobili e svolge campi visite per un’azione capillare fin nelle aree più remote, affinché tutti abbiano accesso alle cure di cui hanno bisogno. 

Opera, inoltre, perché le persone con disabilità possano andare a scuola, trovare un lavoro, accedere all'assistenza sanitaria e partecipare pienamente alla società. 

Ecco il link alla pagina di presentazione e per i biglietti:  

https://www.vivaticket.com/it/Ticket/roberto-vecchioni-in-concerto-24/237590 


Fonte: inviato via mail dall'autore e pubblicato su diversi blog/siti
 
Autore: Arianna Scifo 

Licenza: pubblicato e concesso su richiesta dell'autore

Quest’articolo è stato condiviso e segnalato dal suo autore. Se vuoi pubblicare i tuoi post in questo blog, clicca qui. 

Photo credit Andrea Sartorati, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons


mercoledì 11 settembre 2024

Gaza: Emergency chiede la cessazione dell’ostilità il prima possibile



Comunicato da Emergency

Sono decine i morti e feriti a seguito dell’operazione militare di stanotte nell’area di al-Mawasi, a ovest della città di Khan Younis.

Nell’area, definita dalle parti come “area umanitaria”sono concentrati in campi tendati le migliaia di sfollati che arrivano dalle aree della Striscia che sono state evacuate (circa l’86% del territorio)[1]. A partire dal 12 agosto l’area umanitaria si è ridotta dai 58,9 chilometri quadrati di inizio 2024 a circa 46 chilometri quadrati.[2]

A prescindere dalla zona nella quale ci si trovi le conseguenze della violenza che la guerra porta con sé sono dappertutto – spiega Stefano Sozza, capomissione di EMERGENCY a Gaza –. Chi paga le conseguenze di questo sono sempre i civili ed è per questo che facciamo un appello affinché ci sia la cessazione dell’ostilità il prima possibile.”

EMERGENCY che sta lavorando alla costruzione di una clinica da campo per garantire assistenza sanitaria di base alla popolazione proprio nell’area di Khan Younis, chiede alle parti coinvolte che la sicurezza e i diritti della popolazione civile vengano rispettati, che vengano protetti gli operatori umanitari che prestano servizio all’interno della Striscia, e che venga garantito l’ingresso degli aiuti per la popolazione di un’area già devastata dalla guerra.

Continua la lettura su Emergency


mercoledì 22 maggio 2024

Appello di Non Una Di Meno sui consultori



Comunicato da NonUnaDiMeno 

Il 23 aprile scorso in Senato è passato l’emendamento, proposto dal deputato Malagola di Fratelli d’Italia, al DL 19/2024 che prevede e rafforza l’accesso delle associazioni antiabortiste nei consultori inserendoli nella ripartizione dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resistenza (PNRR) che riguarda il finanziamento della sanità territoriale.

Le Regioni, a cui spetta l’organizzazione dei servizi consultoriali,”possono avvalersi” senza oneri a carico della finanza pubblica, “del coinvolgimento di soggetti del terzo settore” con “qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”.

La legittimazione nazionale delle associazioni antiabortiste per operare nei consultori si colloca in una realtà già tragica: i finanziamenti pubblici ai consultori privati gestiti da associazioni cattoliche e antiabortiste esistono da tempo in Piemonte, Lombardia, Veneto, Umbria, Marche, Friuli Venezia Giulia mentre quelli pubblici vengono chiusi, svuotati di personale, inglobati nelle case della salute, privandoci di strutture socio-sanitarie gratuite, laiche, aperte e accessibili a tuttə. La legge n. 34/1996 e anche il recente DM n. 77/2022 prevedono 1 consultorio ogni 20.000 abitanti, mentre ormai a livello nazionale siamo arrivati a 1 consultorio ogni 45.000/75.000 abitanti e molte delle offerte plurispecialistiche (accompagnamento alla gravidanza, al postparto e alla menopausa, l’aborto farmacologico, la contraccezione, la prevenzione, lo spazio giovani) vengono disattese ovunque.

Oggi non solo i consultori sono insufficienti, ma non svolgono più molte delle funzioni per le quali sono nati, svuotati dalla loro finalità politica per diventare in molti casi poco più che ambulatori.

Rafforzare e sostenere con fondi statali a livello nazionale la libertà di accedere ai consultori alle associazioni antiabortiste significa sfruttare la pressione psicologica (e non la decantata consulenza sulla maternità) per manipolare le nostre scelte in merito alla nostra salute sessuale e riproduttiva.

Questo emendamento, oltre a rappresentare un uso improprio dei fondi del PNRR – come sottolineato anche dalla Commissione europea per gli Affari economici e finanziari – non apporta alcun miglioramento alla sanità pubblica, ma rinforza il legame già esistente tra i vertici del governo e le associazioni antiabortiste fondamentaliste.

L’attacco al diritto all’aborto va inoltre di pari passo con la messa in discussione della salute delle  persone trans e non binarie: a gennaio l’ispezione al Carreggi sull’uso della triptorelina e la successiva creazione di un tavolo tecnico – promosso dai ministri Schillaci e Roccella – per la valutazione dell’uso di questo farmaco non lasciano dubbi sul fatto che queste iniziative portino anche la firma di organizzazioni antiabortiste come Provita e famiglia.

Vogliamo attraversare gli spazi della salute senza paura, senza giudizio e senza abusi, confidando nella tutela del sistema sanitario pubblico e laico, senza essere penalizzatə e senza interferenze sulle nostre decisioni.

Noi siamo e saremo sempre dalla parte di ogni donna, persona trans o non binaria che decida di interrompere la gravidanza o che decida di portarla avanti, perché nessuno può imporre il proprio credo o i propri ideali sulla vita e sul corpo altrui.

Noi siamo e saremo sempre dalla parte di chi lotta per rivendicare la propria autodeterminazione: siamo al fianco di chi ha contestato la ministra Roccella agli Stati Generali della natalità pochi giorni fa e al Salone del libro di Torino l’anno scorso, come di chi ha protestato all’Università di Catania contro il convegno transfobico.

Ci siamo stufatə delle vostre parole violente, ora dovete ascoltare noi!

Ribadiamo ancora una volta che nessuno può decidere su di noi: né la Chiesa né lo Stato e per questo ci opponiamo alle dinamiche di un governo che non ci rappresenta, ma che cerca di controllarci e strumentalizzarci come incubatrici per la patria. L’aborto è un diritto e continueremo a lottare contro ogni forma di violenza sui nostri corpi, perché ci appartengono: autodeterminarci è una nostra scelta!

Per tutto il mese di maggio scenderemo in piazza in tutta Italia e saremo all’interno dei consultori, che devono tornare a essere luoghi femministi in cui tuttə, dalle operatrici sanitarie alle persone che li attraversano stiano al meglio: lottare per i consultori significa anche lottare per un trattamento dignitoso delle persone che lavorano nella sanità.

Il 22 maggio, anniversario della legge 194/78, sarà una giornata in cui porteremo in piazza il grido “molto più di 194”: assistiamo alla grande contraddizione di una legge che dovrebbe tutelare il diritto all’aborto ma che con gli articoli 2,5 e 9 tutela invece la possibilità che le associazioni antiabortiste entrino nei consultori, dà spazio all’obiezione di coscienza e ci obbliga alla “settimana di riflessione” nel momento in cui decidiamo di interrompere una gravidanza.

Il 25 maggio sarà una data di mobilitazione nazionale con cortei, passeggiate e sit-in in tutta Italia, perché vogliamo di più e lo vogliamo ora: attestandoci alle linee guida dell’OMS, l’aborto farmacologico dovrebbe essere possibile fino alla 12esima settimana di gravidanza nei consultori e a casa. Siamo ben lontanə da questo traguardo, oggi più che mai, e a rimetterci è la nostra salute.

Scendiamo in piazza per difendere i diritti conquistati che vengono messi in discussione e per pretenderne di nuovi.

PER CIÒ CHE SIAMO E, SOPRATTUTTO,

PER TUTTO CIÒ CHE ANCORA VOGLIAMO

E POSSIAMO ESSERE.

Non Una Di Meno

Photo credit Non Una Di Meno


martedì 7 maggio 2024

Arabia Saudita: attivista per i diritti delle donne condannata a 11 anni di carcere


Comunicato da Amnesty International - Italia

Le autorità saudite devono scarcerare immediatamente e senza condizioni Manahel al-Otaibi, istruttrice fitness di 29 anni e attivista, condannata a 11 anni di carcere a causa del suo modo di vestire e della sua difesa dei diritti delle donne. È quanto hanno dichiarato oggi Amnesty International e ALQST, l’organizzazione che documenta e promuove i diritti umani in Arabia Saudita.

Questa decisione è in netto contrasto con la narrazione delle autorità saudite sulle riforme e sull’empowerment delle donne.

Manahel al-Otaibi è stata condannata il 9 gennaio 2024 durante un’udienza a porte chiuse dal Tribunale penale specializzato saudita, noto per trattare casi legati al terrorismo. Tuttavia, la decisione del Tribunale è stata resa nota solo dopo alcune settimane, come risposta formale a una richiesta di informazioni sul caso da parte del Rappresentante speciale delle Nazioni Unite.

Manahel è stata accusata per aver semplicemente pubblicato online le sue opinioni e per il suo modo di vestire, in particolare per aver postato sui social media un appello per l’annullamento delle oppressive leggi sul tutore di sesso maschile e un video in cui indossava “abiti indecenti” e “andava in giro per negozi senza l’abaya (l’abito tradizionale saudita)”. Anche sua sorella Fawzia al-Otaibi è stata accusata per reati simili, ma è fuggita dall’Arabia Saudita per timore di essere arrestata dopo che, nel 2022, era stata convocata per un interrogatorio nel 2022.

Secondo la Rappresentanza permanente dell’Arabia Saudita a Ginevra, Manahel al-Otaibi è stata giudicata colpevole di assurde “reati di terrorismo” ai sensi degli articoli 43 e 44 della draconiana legge antiterrorismo saudita, che criminalizza “ogni persona che crea, avvia o utilizza un sito web o un programma su un computer o su un dispositivo elettronico… o pubblica informazioni sulla fabbricazione di ordigni incendiari, esplosivi o di qualsiasi altro dispositivo utilizzato per crimini terroristici”, nonché “ogni persona che, con qualsiasi mezzo, diffonde o pubblica notizie, dichiarazioni false, calunnie o simili per commettere crimini terroristici”.

La famiglia di al-Otaibi non ha avuto accesso ai documenti del tribunale né alle prove presentate contro di lei.

“La condanna di Manahel a 11 anni di prigione è un’ingiustizia estremamente grave e crudele. Sin dal suo arresto, le autorità saudite l’hanno sottoposta a un’implacabile serie di violazioni, dalla detenzione illegale per il suo impegno per i diritti delle donne alla sparizione forzata per oltre cinque mesi; il tutto mentre veniva interrogata, processata e condannata in gran segreto, nonché picchiata da altre detenute in carcere. Con questa sentenza, le autorità saudite hanno dimostrato la vanezza delle loro tanto pubblicizzate riforme sui diritti delle donne degli ultimi anni e hanno messo in luce il loro inquietante impegno nel sopprimere la dissidenza pacifica”, ha dichiarato Bissan Fakih, dell’Ufficio campagne di Amnesty International per l’Arabia Saudita.

“La fiducia di Manahel di poter agire con libertà avrebbe potuto rappresentare un segno positivo della tanto propagandata narrazione di Mohammed bin Salman sulle riforme dei diritti delle donne nel paese. Invece, arrestandola e ora infliggendole questa scandalosa condanna, le autorità saudite hanno nuovamente dimostrato la natura arbitraria e contraddittoria delle loro cosiddette riforme e la loro continua determinazione nel voler controllare le donne dell’Arabia Saudita”, ha dichiarato Lina Alhathloul, responsabile del monitoraggio e della difesa di ALQST.

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Video credit Amnesty Italia caricato su YouTube