Nel 1984 Bob Geldolf, musicista irlandese leader dei Boomtown Rats, vide uno speciale della BBC sulla tragedia della carestia in Etiopia e ne rimase così sconvolto da provare un impulso incomprimibile ad agire per reperire fondi da destinare al soccorso della sventurata popolazione di quella terra.
Trovò l'appoggio di Midge Ure, leader degli Ultravox. Insieme i due composero il testo e la musica di un motivo che fu sottoposto ai più noti cantanti e gruppi pop della scena inglese dell'epoca. Molti nomi famosi aderirono al progetto, accettando di collaborare all'incisione a scopo benefico della canzone di Geldolf e Ure come membri della Superband nata per l'occasione che prese il nome di Band Aid.
Essendo lo studio di registrazione stato messo a disposizione gratuitamente dai proprietari solo per un giorno, in un giorno la canzone fu giocoforza missata e registrata: per la precisione, tra le undici di mattina e le sette di sera del 25 novembre, tra l'ingorgo dei fan assiepati all'esterno, l'assedio della stampa all'interno, le defezioni di illustri come Bowie e McCartney, l'approssimazione di molti imposta dalla preparazione superficiale e dalla fretta (le parti registrate dagli Status Quo, ad esempio, vennero cassate perché considerate inutilizzabili, ma comunque in parecchi coretti si sentono accenni di stonature), i ritardi fuori tempo massimo di altri (Boy George arrivò solo alle sei di sera, praticamente preso di peso e portato da Geldolf, quando ormai era tutto finito, e registrò a posteriori in solitaria).
Il risultato fu un disco sporco, improvvisato, concreto, spontaneo, bello come un diamante grezzo. Che fece milioni di copie, diventando il singolo più venduto di tutti i tempi in Inghilterra, stimolò un'iniziativa analoga negli USA (i celeberrimi USA for Africa, con l'ancora più celeberrima We are the world) e un incredibile, irripetibile evento: il concerto rock di luglio 1985 del Live Aid, in diretta planetaria tra il Wembley Stadium di Londra e il JFK di Philadelphia, al quale parteciparono davvero tutte le stelle del firmamento musicale mondiale del presente e del passato, nessuna esclusa.
Riguardare oggi il video mi emoziona ancora. Paul Young, Simon LeBon, Boy George, Bono, Tony Hadley, Sting, George Michael, che lì sono poco più che ragazzini, sono più vecchi di me e oggi sono tutti più vicini ai sessanta che ai cinquanta. Per non parlare di Phil Collins.
Riguardare oggi il video mi emoziona ancora. Paul Young, Simon LeBon, Boy George, Bono, Tony Hadley, Sting, George Michael, che lì sono poco più che ragazzini, sono più vecchi di me e oggi sono tutti più vicini ai sessanta che ai cinquanta. Per non parlare di Phil Collins.
Per non dire di Freddie, che con i Queen al Live Aid ebbe la definitiva consacrazione a icona della musica mondiale, il mio amatissimo Freddie, che è morto. Ormai da più di vent'anni.
Eppure non provo rimpianto né amarezza, riguardandolo. Bensì commozione, tenerezza, senso di calore: affetto, appartenenza, familiarità.
Gli stessi sentimenti che ho provato quando, incastrata con la mia incontentabile e incontenibile figlia giacobina in un negozio Accessorize a King's Cross Station già infestonata per Natale in un pomeriggio inoltrato della fine di novembre, ho sentito dagli altoparlanti della filodiffusione uscire le note della canzone: la melodia un po' storta, un po' cupa, un po' primitiva di Do they know it's Christmas, uno dei cardini della mia giovinezza.
E lì, in un posto dove non ero mai stata prima di allora, in una nazione a migliaia di chilometri dalla mia, in mezzo a frotte di gente estranea e indifferente, mi sono sentita improvvisamente a casa.
E lì, in un posto dove non ero mai stata prima di allora, in una nazione a migliaia di chilometri dalla mia, in mezzo a frotte di gente estranea e indifferente, mi sono sentita improvvisamente a casa.