Stasera, aprendo FaceBook stordita dalle cronache e dalle immagini della immane tragedia di Lampedusa, leggo sull'argomento tre status che inveiscono a buffo tutti e tre contro il papa, reo di aver messo bocca sulla vicenda, e mi incazzo subito. Di un'incazzatura diversa dalle mie solite: una specie di sbornia triste, la nausea afasica di chi è satura di facili equazioni, di volgari e trite scorciatoie alla comprensione del mondo. Il papa ha detto "Vergogna!" e i miei fichissimi contatti modaioli anticlericali (come se essere anticlericali, poi, fosse l'ultimo trend del momento, e manifestazione di raffinata apertura mentale: sai che sofisticheria, sai che novità...) ci hanno all'istante giocato al tiro al piccione, insultandolo e deridendolo a turno, novello Ecce Homo, come se fosse lui in persona il primo, solo ed unico responsabile del dramma dei flussi migratori dall'Ottocento ad oggi, dell'ipocrisia di ogni benpensante, bravo cristiano e non, sul tema, e dell'inerzia dei governanti d'Italia e d'Europa. Se fosse stato zitto, o si fosse limitato al minimo sindacale del predecessore, non se lo sarebbero cagato di pezza. Invece questo tizio qui, che (lui sì) usa un approccio nuovo, inconsueto, spiazzante, che forse tocca in loro qualche nervo scoperto, non lo possono proprio vedere. E' più forte di loro non far altro che braccarlo ed aspettarlo al varco, tentando di impallinarlo ogni qual volta dà un segno di vita. Dando così prova di esserne irresistibilmente attratti.
Come è destino di ogni segno di contraddizione.
E perciò mi è venuto di difenderlo, almeno dentro di me. E di fare il punto su quello che io penso di questo papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio.
Se in materia di bioetica questo fenomeno si dimostra piuttosto tradizionalista, in altri ambiti esprime concezioni e assume comportamenti a dir poco stravaganti. Stravaganti per un papa, beninteso. Perlomeno, rispetto ai papi che siamo stati abituati a vedere sin qui. I suoi gesti, lontani anni luce da quelli prescritti dal rigido e glaciale cerimoniale che ha sempre reso inaccessibile il corpo del sovrano pastore della Chiesa cattolica al gregge dei suoi sudditi, non cessano di fare notizia e scalpore, suscitando stupore in tutti, ilarità in alcuni, scandalo in altri, commozione in molti.
Fa particolare sensazione - più del vezzo di augurare "buonasera!" o "buon pranzo!" a seconda del momento della giornata, o del ghiribizzo di scrivere lettere ai giornali, o finanche della rivoluzione attuata nella curia romana e nello IOR - la sua passione di telefonare alla gente. L'usanza si va diffondendo e consolidando: cominciano ad essere una piccola truppa coloro che allo squillo della suoneria hanno alzato la cornetta o spinto il pulsante del cellulare, esclamato "pronto"? e udito dall'altra parte in risposta un delicato cinguettìo di timbro argentino e argentina cadenza: "Pronto, sono papa Francesco".
Non è che componga numeri a caso, pare, quest'uomo volitivo, estroverso, palesemente consapevole e compiaciuto di esser considerato pixillated alla stregua dei protagonisti dei film di Frank Capra. No, lui chiama persone che si trovano in situazioni particolari, difficili o drammatiche, di cui è venuto a conoscenza per il loro esser di pubblico dominio, oppure che gli sono state riferite nel corso di udienze e incontri vari con la folla sempre assiepata al suo passaggio.
Le vaglia, le chiama, e si confronta con loro da pari a pari, come essere umano spogliato della immodesta magnificenza di veneranda icona del divino.
(Spingendo alle estreme conseguenze la scelta dirompente di Giovanni XXIII, primo pontefice che uscì dalla reggia Vaticana per andare negli ospedali, nei quartieri, nelle carceri. Che scese dalla sedia gestatoria e camminò in mezzo alla gente. Che in una bella notte di metà ottobre, alla fine della giornata campale di apertura del Concilio Vaticano II, sfinito e già prossimo alla morte, di malavoglia sospinto dal segretario particolare alla finestra ad ammirare lo spettacolo della moltitudine di luci protese verso di lui dalle mani della marea di fedeli che colmava Piazza San Pietro e un tratto di Via della Conciliazione senza dar segni di voler defluire, si affacciò, vide quella sterminata massa di popolo, poi vide la luna, si emozionò, improvvisò, e si cavò dal cuore una benedizione lirica, poetica, con questa frase incastonata in mezzo: "Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa.")
Agli occhi degli scettici questo papa, come tutti gli altri, è solo l'ennesima icona del gigantesco apparato di affari e potere molto poco ultra e molto molto terreni; per cui gesti del genere vengono da loro percepiti come meri atti dimostrativi, pagliacciate propagandistiche per i gonzi, che lasciano il tempo che trovano. Beh, ovvio, se già non è vero che una telefonata ti allunga la vita, come pretendeva uno spot della Tim di vari anni fa, tanto più è certo che non te la cambia. Ci vorrebbe ben altro, per risolvere le tribolazioni della gente: si dovrebbero porre in campo mezzi e risorse per intraprendere azioni ben più incisive. Mezzi e risorse che ai rappresentanti della confessione religiosa più potente e diffusa nel mondo sicuramente non mancano.
A me questa mania bergogliana è sembrata a lungo un po' buffa. Una bizzarria: innocua, simpatica, ma buffa e niente più.
Poi ho letto ieri la notizia: papa Francesco chiama la mamma dell'alpino morto undici mesi fa in Afghanistan.
Ora, lasciamo stare i motivi più o meno nobili per cui questo faceva l'alpino, e quelli per cui si trovava in Afghanistan. Concentriamoci sull'evento: una madre che, sia come sia, ha perso un figlio. Che convive con un dolore irriferibile, inconcepibile.
E leggiamo quello che lei ha raccontato sulla circostanza, così come riportato da
Repubblica Genova del 2 ottobre.
Quella volta che la incontrò in piazza San Pietro le disse : "Lasciami il numero che poi ti telefono". E sabato l'ha chiamata: Papa Francesco ha telefonato alla madre di Tiziano Chierotti, l'alpino di Arma di Taggia (Imperia) ucciso in Afghanistan 11 mesi fa.
Gianna Chierotti era appena tornata dal cimitero e, racconta, "avevo avuto un crollo" quando è squillato il telefono. "Sono Papa Francesco" le ha detto Bergoglio.
"Abbiamo parlato di Tiziano - ha detto madre - e mi ha detto cose che voglio tenere nel cuore. Mi ha trasferito tanta serenità. Quando gli ho detto che stavo male, lui mi ha risposto: "Esistono le intuizioni". Lui ne ha avuto una, mi ha chiamato quando più ne avevo bisogno".
"All'udienza generale - ricorda la mamma dell'alpino - gli avevo lasciato l'album con le foto e le frasi che Tiziano ci scriveva. Non credevo che il Papa le avesse custodite fino ad oggi. Ho avuto la sensazione di non avere un Papa dall'altra parte del telefono ma un papà. Quell'uomo ha un dono grande ed è un grande Papa, un Papa straordinario".
Ecco, questa breve cronaca mi ha colpita moltissimo.
"Lasciami il numero che poi ti telefono."
E quella gli lascia il numero.
E lui le telefona.
E quella sta male, glielo dice. E lui le replica: "esistono le intuizioni."
Mi ha colpita perché sono cose di cui faccio esperienza anch'io: di cosa significhi ricevere una chiamata, una banalissima chiamata, al momento giusto. Di cosa significhi farne una a qualcuno a cui serviva. Senza nemmeno saperlo, farla, quella telefonata: pensarci, a quella persona.
Mi ha colpita, questo papa Francesco, come mi colpisce la voce affaticata e accorata di papa Giovanni alla finestra, mentre dialoga con migliaia di persone come se fossero solo in due, lui e la gente, divenuta una colossale, unica individualità, in un corteggiamento amoroso esclusivo e intimo, che strappa emozioni dal petto a tutte e due le parti: alla gente, ma anche al papa, in quel rispecchiamento occhi negli occhi che è il segno di ogni autentica umana relazione.
“Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera… Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo… La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore… Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell'incontro..."
Di questo il mondo è affamato: non di fede in un'esistenza superiore, ma di fiducia nella comune umanità, e nelle potenzialità che essa porta con sé: prima fra tutte, la capacità di amarci scambievolmente, e di legittimare così, gli uni gli altri, la nostra esistenza.
Ma tutto ciò dispiega i suoi effetti solo nella gratuità del movimento verso l'altro. Solo se è purificato da ogni desiderio di contropartita, se è un gesto che non contempla le conseguenze di se stesso. Se viene compiuto senza aspettative, senza tentativi di controllo o manipolazione, solo gustando la bellezza del momento dell'incontro, del contatto tra le anime, in un effimero che diventa eternità.
Ma nel contempo non nasce per assoluto disinteresse nell'autosufficienza di un essere immerso in un divino distacco da Primo Motore Immobile. Al contrario, sboccia dalla umana esigenza di un uomo tra gli uomini. Un uomo come Angelo Roncalli, un uomo come Jorge Mario Bergoglio, che sperimenta la mostruosa solitudine di cui ha scritto toccanti parole papa Montini, Paolo VI: «Il mio isolamento è completo e terribile. Di qui lo sconcerto, la vertigine. Mi sento come una statua su un piedistallo: ecco come vivo ora», per sconfiggerla ha bisogno estremo di sentirsi legato agli altri uomini. Di riaffermare la sua somiglianza, la sua affinità spirituale con altre creature. Giovanni declamava da un balcone: Francesco telefona. Ma tutti e due, nel momento in cui agiscono così, non stanno più genericamente amando l'umanità: stanno amando quei loro simili, quelli e non altri.
Un bel film di Giuseppe Piccioni, "Fuori dal mondo", contiene due momenti clou: quello a inizio film, quando Silvio Orlando chiede alla suora Margherita Buy "perché mi ha aiutato?" e quella risponde "perché lei aveva bisogno di aiuto" e lui allora la incalza "ma se ci fosse stato un altro al posto mio lei sarebbe venuta lo stesso?" e lei replica astrattamente "sì, certo!"; e quello a fine film, quando di nuovo Orlando le chiede: "se ci fosse stato un altro al posto mio tu l'avresti aiutato lo stesso?" e quella, che ha avuto tutto il tempo del film per guardarsi dentro, stavolta risponde un sincero, concreto, onesto "no".
In quel diniego è racchiuso il senso di ogni legame, lungo tutta la vita o mezz'ora, che è sempre un legame d'amore: il riconoscimento dell'altro. E di sé. Senza il quale si cessa di vivere. Si respira, ci si muove, ma internamente si è morti.
Ecco, papa Francesco possiede l'umiltà, direi quasi la tenera furbizia, di riconoscere, come uomo, di aver bisogno dell'amore degli uomini. E la gioiosa astuzia di saperselo accaparrare, in uno scambio alla pari, dove la madre dell'alpino sembra la parte debole, quella bisognosa, che ne esce arricchita e riconfortata. Ma dove invece la cosa, per dirla con Carlo Verdone, è senz'altro molto, molto reciproca.
E peggio per quelli che ci ridono sopra. Si vede che non capiscono, non sanno.
Non sanno cosa si perdono.