Vorrei scrivere un post. Eppure fatico a trovare qualche idea su cui scrivere. Guardo indietro, ai post della scorsa estate, e scopro che quello che avrei da dire l'ho già scritto. Userei le stesse parole, le stesse frasi, gli stessi argomenti per gli stessi soggetti. La rabbia è ancora lì, immutata. Forse un po' indurita, scolorita, incattivita. Stesso lo sdegno, il senso d'impotenza, la repulsione. Identica la frustrazione. Magari un po' accresciuta. Finirei per ripetere le stesse argomentazioni, riproponendo le solite critiche, insistendo sugli stessi giudizi. Impiegherei persino le stesse parole. Mi cala allora addosso una indicibile stanchezza. Per tutte le parole spese, per i discorsi fatti, per le aspettative deluse. Per la rabbia espressa e per quella repressa. Colgo d'improvviso la vacuità delle parole. Delle discussioni. Delle spiegazioni. Come se ripetere le solite parole le privasse in qualche modo di pertinenza, di efficacia, di verità. Di senso persino. Le parole non mi bastano più. Non mi recano più alcun sollievo. Mi stancano, mi confondono. Mi fanno perdere tempo. Ci fanno perdere tempo. Non è più il momento delle parole. Delle critiche. Delle interpretazioni. Servono idee, buona volontà e un progetto di futuro. Fattibile. Concreto. Equo. Servono uomini e donne che si rimbocchino le maniche. Non si può più aspettare.
FRANCESCO MUSANTE
La materia dei libri è costituita dalle sottigliezze della vita.
lunedì 19 luglio 2010
giovedì 8 luglio 2010
CERCASI MINISTERO PER HAMED
Hamed è in Italia da un mucchio di anni; ha vissuto più qui che nel suo paese. Ha due mogli e qualche figlio; credo quattro. D'estate vende in spiaggia. D'inverno si sposta in città, sempre con la solita merce , dentro borsoni pesantissimi. E' un "vu-cumprà". Qualche anno fa ha comprato un contratto di lavoro da un'italiano che ha finto di assumerlo come domestico, così da allora ha un regolare permesso di soggiorno e si paga i contributi per una pensione che non avrà mai. Porge teli da mare, brutti vestiti, calzini e lenzuola con gli animali stampati. E' timido, non insiste; se rifiuti ti saluta discreto e un pò imbarazzato. Parla male l'italiano, ma ha capito perfettamente le richieste insistenti: "Hamed, non hai i giubbetti Moncler? Lo vorrei rosso brillante, taglia 40!", "me le trovi un paio di Nike Air per mio figlio?", "hai le felpe Napapijri?". E lui a tali sollecitazioni ha risposto, rischiando ogni giorno di più. Alla fine, come in un film di Ken Loach, sul più bello ("sono in pari con i debiti, mando i soldi anche alla famiglia di mio fratello che è morto, forse tra qualche anno torno al mio paese...") è stato arrestato. Racconta di due mesi infernali, devastanti sul piano psicologico, fatti di notti insonni e di lacrime, di pensieri angoscianti e preoccupazioni per il futuro dei suoi figli. Ora è fuori Hamed, in attesa di processo. Rischia due anni. Non ha soldi per pagare l'avvocato: gli ha già dato mille euro. Non si fida del gratuito patrocinio, i suoi compaesani gli han detto che non ci si può contare, che la difesa, se non paghi, in Italia non c'è. E' dimagrito e ha occhi bui Hamed, non riesce più a intravedere il futuro, qualunque sia il verdetto del giudice. La sua storia, uguale a quella di cento altri Hamed, era costruita sulla sabbia ed è crollata. Senza speranza. Mi chiede aiuto Hamed, ma io mi sento enormemente impotente e mi vien da consigliargli, superficialmente, di far le valigie e tornare alla sua terra, che se fame e dolore e miseria dev'essere, che almeno siano profumate di agrumi e spezie, di coriandolo e pepe. Anche perchè, se resta in Italia, credo che abbia una sola via d'uscita: dovrebbe sperare di essere nominato ministro! E non mi par tanto facile per lui...
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