Ponti Ad Arco PDF
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La costruzione dei ponti ad arco in muratura è stata abbandonata da tempo in Italia, ma nonostante
questo essi rivestono tutt'ora grande importanza per il sistema ferroviario italiano. Le problematiche
connesse ai ponti di muratura ad arco, sono state, negli ultimi decenni, legate al semplice fatto che
la loro progettazione risalente nella stragrande maggioranza dei casi a più di un secolo fa, non poteva
tenere conto, sul lato dei carichi di esercizio, dell'incremento dei livelli di traffico avvenuti nel
frattempo (numero di treni transitanti al giorno), che è cresciuto in alcuni casi di 2 ordini di grandezza,
delle maggiori lunghezze e velocità di transito dei treni e dell'entità dei carichi (carico per asse, che è
aumentato di un fattore fino a 25 t/asse), e neppure poteva tenere in conto la severità delle
normative che oggi regolano la realizzazione di questo tipo di opera sul lato delle misure antisismiche.
Parte dei ponti esistenti quindi, si ritrovano ad oggi in uno stato di deficit prestazionale, sia esso
derivante o da danneggiamento progressivo per azioni esterne o semplice naturale deterioramento
o inadeguatezza secondo le norme, che comporta una necessità di attenta attività di riparazioni e
rinforzi.
Il presente lavoro tratterà nelle pagine seguenti le tipologie di intervento eseguibili ed eseguite
generalmente nei ponti ad arco in muratura per finalità di ripristino e rinforzo strutturale. Nello
specifico poi verranno presi in esame due di tali accorgimenti di rinforzo, entrambi impiegati
proficuamente in ambito sismico. Verrà dato ampio spazio alle dinamiche di degrado di questa
tipologia di ponti, poiché gli interventi di adeguamento non possono che essere conseguenti alla
valutazione dello stato in cui si presenta il manufatto al momento dell'inizio attività, e quest'ultimo
non può che essere conseguenza di processi graduali o traumatici di deterioramento nel tempo del
materiale.
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2. La muratura
La muratura è un materiale eterogeneo, invero un insieme di più materiali da costruzione, in
particolare il legante e l'elemento resistente vero e proprio. Quest'ultimo può essere di varia natura
e cioè costituito da mattoni in laterizio, pietra comune, marmo, granito, travertino, calcare, blocchi
di calcestruzzo, mattoni di vetro, stucco o piastrelle. La muratura è generalmente un materiale
altamente durevole, tuttavia i materiali utilizzati, la qualità della malta e di lavorazione, e il modo in
cui vengono assemblate le unità possono influenzare significativamente la durata generale delle
costruzioni realizzate con questo materiale, nonchè il suo comportamento. Per questa ragione, come
si vedrà, il suo studio non è stato, e non è tutt'ora, privo di complessità e margini di incertezza
interpretativa.
2.1.3 L’anisotropia
L’anisotropia, proprietà per la quale il materiale non presenta le medesime qualità fisiche in tutte le
direzioni, è dovuta all'orientamento non identico in tutte le direzioni dei componenti la muratura,
caratteristica connessa alla forma ed alle proporzioni degli elementi resistenti, alla disposizione ad
esempio dei mattoni con un lato maggiore in una direzione, ed uno minore nella direzione normale,
e quindi al modo con cui essi vengono disposti, nonché all’eventuale presenza di fori ed irregolarità
orientati anch'essi in direzioni particolari e variabili.
La quasi totalità delle murature moderne, tra cui anche quelle della maggior parte dei ponti analizzati
e presenti sul territorio nazionale, presentano elementi regolari disposti per direttrici orizzontali, con
giunti orizzontali di malta continui, mentre invece i giunti verticali sono sfalsati per "intrecciare"
meglio la maglia della muratura.
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2.1.4 L’asimmetria di comportamento
L’asimmetria di comportamento meccanico è conseguenza del fatto che i singoli elementi
componenti la muratura presentano un comportamento essi stessi asimmetrico nei confronti di
compressione e trazione. Nella fattispecie, una buona resistenza a compressione ed una scadente
resistenza a trazione, con moduli elastici differenti in un ramo e nell'altro. In aggiunta a questo deve
considerarsi il ruolo giocato dall'interfaccia, che costituendo una non perfetta aderenza e continuità
dei componenti, rappresenta un ulteriore elemento di fragilità nei confronti della sollecitazione di
trazione. È per quest'ultimo motivo che assai frequentemente la muratura viene approssimata e
modellata come “materiale non reagente a trazione”.
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3. Ponti ad arco in muratura
I ponti ad arco lavorano trasferendo il peso del ponte ed il suo carico lateralmente, con una
componente verticale ma anche una orizzontale che viene ricevuta o dalle pile, o dalle spalle o
ancora, dalle pile/spalle. La pietra, i mattoni e gli altri materiali impiegati, come già visto, sono
resistenti a compressione ed in una certa misura a taglio, ma resistono molto poco a trazione. Come
risultato, i ponti ad arco in muratura sono progettati per essere costantemente sottoposti a
compressione, per quanto possibile.
Nei ponti ad arco a compressione, il peso dell'intero ponte doveva e deve essere sopportato da una
chiave di volta in mezzeria, più il ponte viene caricato più la sua struttura diventa solida, in quanto
mantiene la curva delle pressioni interne alle sezioni allorché dei carichi mobili agiscano
asimmetricamente sul ponte.
Viene da sé che la grande massa del ponte è una condizione essenziale per la sua sicurezza, anche se
oggi, per ragioni imputabili alle azioni sismiche, ne costituisce anche uno svantaggio. Per
incrementarne il peso veniva utilizzato del materiale sciolto di riempimento (di solito detriti
compattati).
L’ampiezza della curva individua diverse tipologie definite dal ribassamento, ovvero dal rapporto
freccia/luce (f / L) :
a) arco a tutto sesto (semicircolare): 0.4 < f / L < 0.5;
b) arco a sesto scemo o ribassato in cui si definisce 0.11 < f / L < 0.4;
c) arco a sesto acuto o ogivale, in cui gli archi di circonferenza non sono raccordati f / L > 0.5.
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3.2 Le spalle
Le spalle dei ponti sono massicci muri di sostegno in muratura con una faccia verticale o leggermente
inclinata che, oltre ad assolvere alla funzione di sostegno del terreno, forniscono appoggio alle arcate
terminali. Mentre le volte centrali di un ponte trasmettono alle pile i carichi verticali derivanti
dall’impalcato, alla spalla arriva anche una imponente spinta orizzontale e delle sollecitazioni di
pressoflessione che devono essere sopportate in modo adeguato. Per questo motivo le spalle sono
in genere più ampie della loro parte visibile, con sezione trapezia o rettangolare, con sezione
rettangolare massiccia o rettangolare con muri d’irrigidimento nella direzione dell’asse longitudinale
del ponte, e che oltre ad avere funzione di contenimento del rilevato costituiscono anche dei
contrafforti per le spalle. Nei ponti in cui le spalle presentano uno spessore rilevante, possono essere
alleggerite mediante la realizzazione di fori e volte interne alla spalla, talvolta visibili dall’esterno se
essi costituiscono sottopassaggi pedonali, in tal modo si riduce anche l'impiego di materiale.
3.3 Le pile
Le pile, dovendo riunire esigenze statiche ed estetiche, vengono realizzate nelle forme più svariate.
Le pile fondate nei corsi d’acqua possono essere provviste di due appendici detti rostri per migliorare
la penetrazione nell'acqua, e quindi ridurre la turbolenza sottovento che provocherebbe eccessivo
scavo a valle della pila e per deviare il materiale galleggiante trasportato dalla corrente.
Il rinfianco ha di solito caratteristiche meccaniche di medio livello, inferiori a quelle delle arcate ma
contribuisce con il suo maggiore peso a stabilizzare la struttura e ad impedire la formazione del
meccanismo di collasso dell'arco.
La cappa è formata da uno strato di materiale impermeabile posto a protezione della muratura e dei
rinfianchi.
Il riempimento è posto al di sopra della cappa ed è contenuto lateralmente dai timpani. Poiché esso
deve essere abbastanza leggero, permeabile all’acqua senza originare rigonfiamenti o disgregazioni,
è in genere costituito da materiale sciolto.
3.5 I timpani
I muri andatori, o timpani, hanno il compito di contenere il riempimento soprastante ed i rinfianchi.
Per evitare un sovraccarico alle estremità delle arcate, a causa del peso dei timpani, questi sono
realizzati con murature più leggere di quelle dell’arcata e del rinfianco.
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3.6 Muri d’ala
I muri d’ala (o di risvolto), sono collocati sui lati della spalla ed hanno la funzione di contenimento del
terreno dei rilevati di accesso al ponte; se sono disposti essenzialmente in direzione parallela all’asse
del ponte, essi divengono dei contrafforti d’irrigidimento della spalla.
3.7 Fondazioni
Nei ponti in muratura di riconoscono tre tipi di fondazione:
a) fondazioni profonda su pali
L’utilizzo di pali in legno nelle fondazioni è una tecnica che risale ai tempi dei Romani, il diametro
utilizzato per questo tipo di pali varia da 20 a 35 cm, le dimensioni di un tronco d’albero facilmente
trasportabile, per una lunghezza che raramente supera i 10 metri, vista la difficoltà d’infissione.
b) fondazioni superficiali
Fondazioni superficiali si ritrovano solo quando il substrato roccioso si trova a breve distanza dal piano
di campagna. Per le opere di maggior rilievo, la fondazione della pila era realizzata mediante un
allargamento, spesso realizzato con blocchi lapidei.
c) fondazione a platea
La fondazione a platea è costituita da un’unica struttura fondale comune a tutte le pile e che, in
corrispondenza del ponte, viene a ricoprire il fondo dell’alveo fluviale.
In generale questo tipo di fondazione è stato impiegato nella realizzazione di piccole opere ad un solo
arco ed è stata realizzata a profondità maggiore di 1 metro al di sotto del livello di secca.
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4. La statica dell’arco
I ponti in muratura trovano il loro elemento resistente e strutturale nell’arco, senza arco non
esisterebbe il ponte, capire il comportamento di tal elemento strutturale è fondamentale per
analizzare ponti ad arco o strutture voltate in genere.
L’arco è un elemento strutturale vincolato e sagomato in modo tale che i carichi su di esso generino
prevalentemente sforzi di compressione. L’assenza quasi totale dei momenti flettenti nelle sezioni
dell’arco si può avere solo per i carichi fissi e purché si scelga una opportuna forma dell’arco;
viceversa, i carichi accidentali assumono posizioni diverse facendo insorgere effetti flessionali.
L’arco è sottoposto ad azioni verticali di peso (peso proprio e peso portato) e grazie alla sua
conformazione trasmette queste forze alle spalle verticali con direzioni inclinate: ogni elemento
dell’arco è sollecitato solo a compressione.
Poichè il concio di chiave non può traslare verso il basso, a causa della presenza dei conci adiacenti,
scarica il suo peso su di essi che a loro volta lo trasmettono sommandovi il proprio, al concio
successivo, fino alle spalle. Le forze inclinate originate dal mutuo contrasto tra i conci determinano
quindi una risultante totale, anche'essa inclinata, che una volta trasmessa alle spalle si scompone in
una componente verticale e una orizzontale. Quest'ultima componente rende l'arco un sistema
spingente in quanto le spalle tendono a ribaltarsi verso l'esterno per effetto di tale forza.
Figura 9-Casi di non coincidenza fra linea d'asse e curva delle pressioni
Quando non si ha la coincidenza fra la linea d’asse e curva delle pressioni si hanno certamente effetti
flessionali. Il calcolo della linea delle pressioni per un arco in uno stato di incipiente collasso (J.
Heyman,1982), è completamente diverso perché la curva deve passare per precisi punti, che sono i
punti in cui si formano le cerniere del meccanismo di collasso. Per la ricerca della curva delle pressioni
bisogna imporre l’equilibrio dei momenti attorno a ciascuna cerniera. Le forze da considerare sono
le reazioni vincolari, il peso proprio dei conci dell’arco, le forze peso dei conci dell’eventuale terreno
di riempimento e i carichi applicati. In questo caso il carico applicato che fa collassare l’arco è un
carico concentrato verticale ma può benissimo essere un carico concentrato orizzontale oppure un
carico distribuito.
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Figura 10-Calcolo della curva delle pressioni di un arco in incipiente collasso
L’equazione di equilibrio dei momenti nella cerniera F prende in considerazione le reazioni vincolari,
il peso proprio dell’arco ed il terreno a destra della cerniera F. L’equazione di equilibrio nella cerniera
C prende in considerazione tutte le forze a destra di C. Infine , per l’equazione nella cerniera K entra
in gioco anche il carico concentrato P oltre alle reazioni vincolari , peso proprio e terreno. Alla fine, si
deve risolvere un sistema lineare in tre equazioni e tre incognite. Le incognite sono la reazione
verticale V, la reazione orizzontale H ed il carico P che fa collassare la struttura. In alternativa, se si
conoscesse il carico P e si volesse determinare lo spessore dell’arco, la terza incognita non sarebbe
più il carico P bensì lo spessore dell’arco.
Sfruttando la proprietà che il momento flettente è nullo in ogni punto della curva, è sufficiente
imporre tale momento uguale a zero e si ricava lo scostamento della curva stessa dall’intradosso
dell’arco.
Per studiare il comportamento in presenza dei carichi accidentali si ricorre alle linee di influenza. Le
linee di influenza delle reazioni verticali in A e B sono quelle di una trave appoggiata di pari luce,
mentre le linee di influenza della spinta H coincide con quella del momento in mezzeria della trave
corrispondente, a meno della costante 1/f.
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Figura 11-Linee di e di influenza per archi a tre cerniere
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4.1 La teoria di De La Hire
Il progetto dei ponti in muratura (e più in generale delle altre strutture) è stato basato fino al XVIII
secolo su regole empiriche che molto spesso erano gelosamente custodite dai costruttori o dai
progettisti dell’epoca. Tali regole risultano diverse da una regione all’altra e, in alcuni casi,
contraddittorie fra loro. La loro origine è incerta, ma si può presumere che siano basate in parte su
una vasta esperienza diretta di costruzione e in parte su criteri di similitudine geometrica ritenuti
importanti all’epoca.
Verso la fine del XVIII secolo iniziò, soprattutto nella scuola francese, uno studio secondo criteri più
moderni del problema della stabilità degli archi. A De La Hire va il merito di aver applicato la teoria
dei cunei, una delle macchine semplici studiate da Aristotele ed Erone, all’arco come proposto da
Leon Battista Alberti con un opportuno linguaggio meccanico.
De la Hire tratta l’arco come una fune (come già proposto da Robert Hooke nel 1675): se si rovescia
la figura assunta sa una fune tesa si ottiene l’arco, i cui elementi sono compressi e non tesi.
Un arco a tutto sesto con conci eguali e senza attrito (sicché la spinta risulta normale alla superficie
di contatto fra conci) con i pesi dei singoli conci applicati nei loro baricentri corrisponde a una fune
tesa soggetta a carichi verticali. Si determina quindi il carico da affidarsi a ogni concio con cui si
formano gli archi e le volte ovvero il peso, o la forma, di ogni concio prefissando a priori quello in
chiave affinché tutti restino in equilibrio.
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Partendo dal concio in chiave, la cui dimensione è stabilita, impone l'equilibrio di ogni concio
applicando nel baricentro le due forze trasmesse dai conci limitrofi e normali ai giunti e la forza peso.
Lo spessore dei rimanenti conci è l'incognita del problema; viene determinata concio per concio
imponendo l'equilibrio.
Se l'imposta dell'arco è orizzontale, l'equilibrio del concio di imposta non è possibile: in esso l'azione
verticale della forza peso e della reazione all'imposta non possono equilibrare la forza scambiata con
il concio che su di esso si appoggia. De la Hire deve quindi ammettere che nella realtà il concio
all'imposta può essere equilibrato solo dall'azione delle forze di attrito.
Per il problema 2 De la Hire accenna a un primo esempio di calcolo a rottura, proponendo ciò che è
un meccanismo di collasso, ed esprimendone l’equilibrio.
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De La Hire individua la leva ACD e scompone la forza RA esercitata dal cuneo centrale nelle
componenti F ed H applicate al braccio della leva AC.
Per l’equilibrio della leva il momento ribaltante F ⋅ lA deve essere uguale al momento stabilizzante
P ⋅ lD (essendo P il peso del piedritto e della parte di arco ad esso aderente).
De La Hire arrivò alla conclusione che l’arco collassa a causa della formazione di tre fessure: una
all’intradosso della chiave e due all’estradosso a 45°.
Qualche anno dopo De Belidor ripropose gli studi di De La Hire. Egli suppose che la reazione dell’arco
fosse applicata a metà spessore anziché all’intradosso.
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La reazione che il cuneo centrale esercita sulla sezione di scorrimento è fornita dalla relazione:
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4.2 Le teorie di Couplet, Coulomb e Mascheroni
Nel 1730 Couplet riprende e approfondisce i temi trattati da De La Hire, dando tre postulati
necessari alla teoria dell’arco:
• resistenza nulla a trazione nella muratura;
• resistenza infinita a compressione nella muratura;
• assenza di scivolamento tra due conci successivi.
Nei suoi studi fornisce una soluzione completa sia al problema della definizione della linea delle
pressioni che a quello dei meccanismi di collasso di un arco in muratura, nonché intuisce per primo
l’importanza dell’attrito tra i conci dell’arco e il collasso per formazione di un meccanismo a cerniere.
Per quanto riguarda il meccanismo di collasso, arrivò alla conclusione che al collasso si formavano tre
cerniere: una in chiave e due a 45° dall’orizzontale passante per gli appoggi.
Da notare che egli sbagliò leggermente la posizione delle cerniere laterali, le quali sono in realtà
posizionate a 31° dall’orizzontale, ma tuttavia l’impostazione del problema rimane corretta.
La necessita di un’analisi con attrito tra i conci viene riconosciuta in modo ormai chiaro e migliorata
da Coulomb che per primo accetta l’indeterminazione del problema e la possibilità che più di una
soluzione di azione assiale sia ammissibile se si considera solo l’equilibrio.
Coulomb considera una porzione di arco compresa tra la sezione in chiave e un generico giunto
assunto come critico. Individua quattro modalità di collasso:
• lo scorrimento relativo tra le facce nelle due direzioni
• l'apertura del giunto per rotazione all'intradosso e all'estradosso
Impone l'equilibrio limite di scorrimento nelle due direzioni, ottenendo un valore minimo ed uno
massimo della risultante S agente sulla sezione in chiave. Analogo procedimento è utilizzato
imponendo l'equilibrio limite alla rotazione nelle due direzioni. La massima reazione di attrito è
assunta proporzionale all'azione normale sul giunto attraverso un opportuno coefficiente. I valori
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massimi e minimi di S vengono ricercati al variare della posizione ϕ del giunto critico sull'arco. Il
risultato finale fornisce un limite inferiore ed uno superiore di S entro i quali l'equilibrio della volta è
garantito.
Coulomb scopre e accetta l'indeterminatezza del problema dimostrando che in un certo intervallo
ammissibile tutte le soluzioni sono ugualmente accettabili.
Si analizza metà arco: per la simmetria del sistema la reazione offerta dalla cerniera in B non può che
essere orizzontale.
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Il peso Q/2 del tratto di arco AB, passante per il baricentro G2 dovrà essere equilibrato da una forza
orizzontale passante per B e da una forza passante per A. Costruito il triangolo dell’equilibrio si trova
l’azione che il corpo AB esercita sul corpo AC attraverso la cerniera in A. L’equazione di equilibrio dei
momenti intorno al punto C fornisce:
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Mèry, partendo dagli studi di Navier, mostra che il problema della determinazione del regime statico
di un arco può essere risolto utilizzando un poligono di equilibrio a passaggio obbligato per due punti:
il terzo medio inferiore nella sezione di imposta e il terzo medio superiore nella sezione in chiave, con
retta d’azione orizzontale (per arco simmetrico e simmetricamente caricato e vincolato). In questo
modo noti i carichi esterni, era possibile ottenere l’andamento della curva delle pressioni. La verifica
dell’arco consiste nell’accertare che nelle sue sezioni non siano presenti forze di trazione. Per un arco
con sezione trasversale rettangolare, bisogna verificare che la curva delle pressioni sia contenuta
all’interno della fascia delimitata dal terzo medio di tutte le sezioni trasversali (nocciolo centrale
d’inerzia).
Gli studi condotti sull’arco nel corso del XIX secolo riguardavano prevalentemente la forma da
conferire all’arco per garantire la centratura dello sforzo normale in corrispondenza delle facce a
contatto tra un concio e l’altro. Il profilo più adatto per un arco è quello la cui linea d’asse si dispone
secondo la funicolare dei carichi ad esso applicati.
Figura 25-Distribuzione dei carichi che genera compressione uniforme per le diverse direttrici
Se un arco è funicolare per un insieme di carichi, non può esserlo per tutti gli altri sistemi di carichi
cui può essere assoggettato. In ogni arco si ha in genere una combinazione di compressione e di
flessione. Nell’arco in muratura la forma è, in genere, funicolare del peso proprio e l’arco è soggetto
a flessione per i carichi accidentali.
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4.4 L’analisi limite applicata agli archi in muratura:
il teorema statico e il teorema cinematica
Il primo esempio di analisi strutturale dei ponti in muratura nei termini della meccanica moderna si
deve a Castigliano nel 1879, il quale imposta un procedimento iterativo per la determinazione della
linea delle pressioni nell’arco, applicando il principio del minimo dell’energia elastica, da lui sviluppato
ed ipotizzando un modello costitutivo per la muratura non resistente a trazione nei giunti contenenti
malta. Inoltre, tramite un procedimento iterativo per la determinazione delle dimensioni reagenti
delle sezioni tra un concio e l’altro, calcola la massima tensione di compressione e definisce il carico
ultimo del ponte quello per cui in una qualunque sezione si raggiunge il valore limite di compressione.
Il metodo non tiene conto della risposta oltre il limite di compressione, come nel caso d'ipotesi di
perfetta fragilità, ma lo stesso Castigliano evidenzia la necessità di farlo.
Fino a quel momento il problema della valutazione della sicurezza a collasso non era particolarmente
avvertito e per lunghi anni il ponte ad arco in muratura fu considerato un retaggio del passato da
soppiantare con i più moderni ed economici ponti in acciaio e cemento armato.
Molte procedure di verifica sono basate sui teoremi dell’analisi limite usualmente applicati al solo
arco.
L’applicazione del teorema Statico più semplice è quella della ricerca di una curva delle pressioni in
equilibrio con le forze agenti attraverso il metodo comunemente definite “del Mèry” che deriva dalla
costruzione grafica del poligono delle forze. Una sua evoluzione deriva dall’idea originale di
Castigliano (applicazione di un modello costitutivo non lineare non resistente a trazione) che viene
usualmente modificata attraverso una definizione di un dominio limite della sezione espresso in
termini di forza assiale N e momento flettente M. Il valore limite del carico è definito come quello per
cui, in una qualunque sezione, i valori della coppia N-M raggiungono la “superficie limite”.
Come dimostrato dal teorema Statico quest'approccio fornisce una sottostima del valore del carico
di collasso e viene usualmente detto “Safe Thoerem approach”.
L’approccio di verifica basato sul teorema Cinematico [Heyman, 1982] va alla ricerca del meccanismo
di collasso che fornisce il minor moltiplicatore per le forze esterne. Il meccanismo è ottenuto
introducendo nell’arco un numero di “cerniere” tali da trasformare la struttura in un meccanismo
cinematico e quindi il carico limite è quello minimo ottenuto tra le diverse configurazioni di
meccanismo ottenute introducendo le cerniere in diverse sezioni dell’arco.
Il termine cerniere plastiche evidenzia come si debba ammettere, almeno in alcune sezioni,
l’esistenza di deformazioni non elastiche e, nel caso di un materiale non resistente a trazione come
la muratura, lo sviluppo di elevate tensioni di compressione e corrispondenti deformazioni duttili post
picco nelle sezioni interessate. Da un punto di vista statico la cerniera si forma quando la curva delle
pressioni diviene tangente all’intradosso o all’estradosso dell’arco.
Queste procedure, come dimostrato dal teorema Cinematico, portano a un limite superiore
dell’effettivo carico di collasso della struttura. Alcuni studi e prove sperimentali hanno, però,
dimostrato che questo tipo di approccio può portare ad una sovrastima del reale carico di collasso
della struttura in particolare nel caso di archi ribassati.
Heyman formalizza, in modo chiaro e definitivo, alcune ipotesi sul materiale:
• La pietra non possiede alcuna resistenza a trazione
• La pietra ha infinita resistenza a compressione
• I conci in pietra non possono scivolare l’uno sull’altro
Heyman fa notare che, sotto queste ipotesi, fu proprio Coulomb il primo a proporre come unico
meccanismo di rottura quello individuato dalla formazione di cerniere di apertura per rotazione
relativa dei conci. Il continuo della muratura è visto come un insieme di elementi rigidi di pietra tenuti
assieme dalle sole forze di compressione e soggette ad aperture non appena si sviluppano tensioni
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di trazione. L’intera struttura può dunque essere considerata come un continuo, in virtù del fatto che
le dimensioni delle pietre sono modeste rispetto agli elementi strutturali.
Figura 26- Schemi limite di collasso di un arco con la curva delle pressioni, da (Heyman, The Stone Skeleton)
Sulla base di queste assunzioni, Heyman giunge a esprimere un teorema di unicità per le strutture in
muratura:
“se è possibile trovare una curva delle pressioni in equilibrio con i carichi esterni , che
giaccia completamente all’interno del materiale e che consenta la formazione di un
numero sufficiente di cerniere da trasformare la struttura in un meccanismo, la
struttura è in uno stato limite di collasso”
Sotto l’ipotesi di crescita proporzionale dei carichi,
“il valore del carico di collasso è unico” (Heyman 1966).
“se è possibile trovare una curva delle pressioni che sia in equilibrio con i carichi
esterni e che giaccia completamente all’interno del materiale, allora la struttura è in
una condizione di sicurezza” (Heyman 1966).
In generale, quindi, il problema dell’analisi limite di una struttura in muratura consiste nel trovare
una curva delle pressioni che passi per un numero sufficiente di cerniere tali da formare un
meccanismo. I teoremi espressi da Heyman portano l’analisi limite nel campo della moderna teoria
della plasticità. In questa teoria, il collasso plastico è definito come una situazione in cui, per un solido
elastico-perfettamente plastico, si possono produrre deformazioni indefinite. In generale, la
determinazione del carico che conduce la struttura alla situazione limite può essere determinata
attraverso un’analisi incrementale, oppure attraverso una determinazione diretta con l’analisi limite.
L'ipotesi cui è subordinata questa seconda scelta è che i carichi abbiano una crescita proporzionale,
tale per cui la loro storia incrementale possa essere descritta attraverso un solo parametro.
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5. La dinamica dell'arco
La verifica di un arco in muratura in condizioni di carico statico, quindi, come si è visto, è stata
ampiamente trattata in passato con metodi di calcolo manuali, ma negli ultimi decenni ci si è trovati
di fronte anche al problema della dinamica dell’arco, soggetto a terremoti e carichi mobili,
contemporaneamente allo sviluppo di metodi di verifica agli elementi finiti, grazie al potenziamento
dei calcolatori automatici. Questo nuovo metodo di verifica sembrerebbe la risposta a questi nuovi
problemi di dinamica, ma l’utilizzo del metodo agli elementi finiti va fatto con senso critico nel caso
di strutture in muratura, perché è noto che il laterizio è un materiale che non ha una apprezzabile
resistenza a trazione. Questo è il motivo per cui è necessario ricorrere a dei modelli fortemente non
lineari per poter ottenere dei risultati realistici ed affidabili.
Da studi fatti su esempi reali ed in laboratorio, è emerso che il livello tensionale negli archi in muratura
è poco significativo per la verifica della sicurezza e l’entità delle deformazioni risulta essere poco
interessante. Il fattore condizionante è invece l’innesco del meccanismo di collasso, che è formato
da quattro cerniere se i carichi sono asimmetrici e cinque cerniere se i carichi sono simmetrici.
Definita la curva delle pressioni la linea la cui tangente in ciascun punto è coincidente con la retta
d’azione della risultante di tutte le forze (comprese le reazioni vincolari), le cerniere hanno origine
nei punti in cui la curva delle pressioni esce dallo spessore dell’arco. L’elevato momento flettente che
insorge induce, perciò, ad una forte parzializzazione della sezione. Se la curva delle pressioni giace
all’interno del nocciolo centrale di inerzia, il momento flettente è di limitata entità e la sezione rimane
interamente compressa. Naturalmente la scarsa resistenza a trazione della muratura, in caso di
parzializzazione della sezione, porta la sezione stessa ad aprirsi riducendo ad una limitata zona di
contatto la trasmissione dello sforzo di compressione tra i due conci successivi.
La verifica di sicurezza viene condotta definendo intensità e posizione dei carichi che fanno uscire la
curva delle pressioni dallo spessore dell’arco. Analogamente si può dire che la verifica consiste nel
ricercare lo spessore minimo per contenerla all’interno della sagoma dell’arco.
A dimostrazione di tale affermazione ci si può avvalere di due teoremi (Clemente, 1995): il Teorema
della sicurezza ed il Teorema dell’unicità.
A seconda delle condizioni di carico, si possono effettuare le seguenti verifiche degli archi murari:
1) Verifica in presenza di carichi fissi
2) Verifica in presenza di carichi mobili
3) Verifica in presenza di azioni orizzontali
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5.2 Verifica in presenza di carichi mobili
Si consideri un arco per il quale esista un poligono funicolare connettente i carichi fissi e compreso
nella sagoma dell’arco. Su tale arco sia applicato un carico verticale uniforme, a partire dall’imposta
fino ad una certa ascissa xp. Al crescere dell’intensità del carico mobile fino al valore di collasso, la
funicolare dei carichi cambia e si formano quattro cerniere. In condizioni ultime, la funicolare dei
carichi passa per le cerniere formatesi e in corrispondenza delle cerniere interne, ossia non alle
imposte, risulta tangente al profilo dell’arco. La ricerca del meccanismo di collasso e del relativo
moltiplicatore dei carichi mobili va effettuata con un procedimento iterativo, che va iniziato
assegnando un meccanismo e ricavando un moltiplicatore cinematicamente sufficiente dei carichi
mobili. L’equazione di equilibrio si definisce applicando il principio dei lavori virtuali:
Si sono indicati con w e wriemp il peso proprio ed il peso del riempimento. A questo punto, noto il
moltiplicatore cinematicamente sufficiente, è da verificarsi che tale moltiplicatore sia anche
staticamente ammissibile. Si calcoleranno a tal proposito le reazioni vincolari, si traccerà la funicolare
passante per le quattro cerniere e verificherà che sia ovunque contenuta nella sagoma dell’arco. Se
questa condizione sarà soddisfatta, allora il moltiplicatore trovato è anche quello di rottura. In caso
contrario, si sposteranno le cerniere nelle sezioni di massimo scostamento tra la funicolare e la
sagoma e si itererà fino a quando non si troverà una funicolare tutta contenuta nella sagoma
dell’arco.
23
Figura 27-Rappresentazione delle catene cinematiche dell'arco
Lo schema sopra riportato si riferisce ad un generico passo dell’iterazione per la ricerca del
moltiplicatore di collasso e si modifica sul punto di formazione del meccanismo nella seguente
maniera:
Indicando con λ il moltiplicatore a collasso, m la massa per unità di lunghezza, η e ξ gli spostamenti
verticali ed orizzontali, dall’applicazione del Principio dei Lavori Virtuali si ottiene:
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Noto il moltiplicatore λ, si calcolano le reazioni vincolari e la funicolare che passa per le cerniere. Se la
funicolare è tutta contenuta all’interno della sagoma, allora il moltiplicatore trovato è quello di collasso;
altrimenti, si spostano le cerniere nei punti di massima distanza tra la linea d’asse e la funicolare ripetendo il
procedimento appena descritto. Il valore del picco di accelerazione di innesco del cinematismo è
naturalmente funzione dello spessore dell’arco, ma anche l’angolo di apertura gioca un ruolo importante.
Per piccoli valori di λ, il valore del moltiplicatore aumenta notevolmente, come si può vedere nel seguente
grafico (Clemente, 1998):
25
5.4 Meccanismi di collasso
Seguendo il metodo di analisi sismica secondo l’approccio dato dalla Normativa, la prima fase consiste
nell’individuare i meccanismi locali attivabili dall’azione sismica, che possono portare al collasso di
parte o dell’intera struttura. A tal fine, si sono definite alcune tipologie di ponti in muratura, con il
rispettivo meccanismo di collasso. In seguito, sono state effettuate analisi di tipo parametrico su
ciascuna tipologia individuata, per valutarne la risposta sismica al variare di alcuni parametri
significativi (quali ad esempio la luce o lo spessore dell’arco murario). Tali analisi sono state condotte
tramite metodo cinematico.
Come si può notare dalla Figura, vi è la formazione di quattro cerniere plastiche e il meccanismo di
collasso che si sviluppa risulta antimetrico. L’accelerazione sismica che porta all’innesco del
meccanismo varia modificando i tre parametri che caratterizzano l’arco stesso: la luce L, la freccia f,
lo spessore s.
5.4.2 Ponti ad arco in muratura ad 1 campata con spalle alte
In questo caso, il meccanismo più vulnerabile all’azione sismica longitudinale coinvolge non solo
l’arco, ma anche le imposte, che non risultano più rigide come nel caso precedente.
Figura 31-Cinematismo che coinvolge le imposte per ponti monocampata con spalle alte
26
5.4.3 Ponti ad arco in muratura a 2-3 campate
Nei ponti a 2-3 campate, è necessario considerare, oltre ai tre fattori che caratterizzano l’arco (luce,
freccia, spessore), anche i parametri che caratterizzano le pile, ossia la larghezza B e l’altezza H. In
funzione del rapporto H/B, si può suddividere questa tipologia di ponti in due categorie:
• Ponti a Pile Tozze: nel caso in cui H/B ≤ 1, le pile risultano essere massive molto resistenti e la
struttura tende a comportarsi come un arco monocampata, con la formazione di un
meccanismo antimetrico di collasso che coinvolge unicamente l’arco singolo. Si può perciò
considerare la successione di arcate come strutture indipendenti con vincoli alle imposte.
• Ponti a Pile Snelle: per un rapporto fra le pile H/B > 1, il meccanismo di collasso tende a
coinvolgere la struttura nella sua globalità, comprese le pile che tendono a ribaltarsi per la
formazione di cerniere alla base delle stesse. All’aumentare del suddetto rapporto, questo
comportamento diventa progressivamente più evidente. Inoltre, l’accelerazione orizzontale
che innesca il cinematismo risulta più piccola rispetto a quella che determina la rottura
dell’arco con imposte fisse.
27
6. Degrado dei ponti in muratura
Per affrontare la tematica della stabilità dei ponti è opportuno anzitutto illustrare le caratteristiche
principali delle miscele e dei leganti più utilizzati e delle tecniche murarie in grande o in piccolo
apparecchio che lo compongono.
29
Figura 33-Lesioni verticali
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dotata di buona adesione alla muratura e ottime resistenze meccaniche; l’utilizzo di cuciture armate
perpendicolari alle lesioni; interventi di consolidamento della base con sottofondazioni, pali,
micropali, iniezioni o jet-grouting.
31
6.4.6 Macchie da dilavamento
Si tratta di macchie di colorazione diversa a seconda del materiale sul quale si formano; generalmente
sono di colore scuro, ma si possono trovare alternate ad altre di colore biancastro, causate da depositi
di calcare. La forma della macchia dipende dal percorso intrapreso dall’acqua sulla superficie del
ponte; in genere tende ad allargarsi man mano che l’acqua scivola verso il basso lungo le superfici
verticali. Può manifestarsi in un punto preciso oppure su una superficie più ampia; in quest’ultimo
caso il dilavamento diffuso genera una serie di striature disomogenee sulla superficie o delle stalattiti
calcaree. Le cause sono molteplici ma tutte legate al mancato o erroneo convogliamento delle acque
meteoriche. Alcuni fattori che possono provocare tale fenomeno sono: presenza di scarichi corti o
rotti, o comunque che espellano l’acqua direttamente su parti strutturali, la difettosa tenuta dei
giunti e la rottura della scossalina. Poiché il difetto deriva dalla mancanza di sistemi adeguati di
canalizzazione o impermeabilizzazione, è necessario integrarli o realizzarli, ove mancanti. Una volta
eliminata la causa di degrado, si procede, alla pulizia delle superfici macchiate con idonei strumenti,
a seconda della tipologia della macchia e della qualità del materiale, ed alla successiva stilatura dei
giunti erosi.
In alcuni casi, per i materiali lapidei, si può procedere alla pulizia mediante idrosabbiatura a pressione
variabile, a seconda delle caratteristiche specifiche della pietra.
Figura 37-Dilavamento
32
meccanicamente resistenti e in grado di non innescare reazioni chimiche indesiderate. È opportuno
un collegamento meccanico tra le parti, realizzato con tecniche di cuci-scuci o con l’uso di connettori
metallici, possibilmente in acciaio inox o comunque trattati contro la ossidazione. In ponti di
importanza storica è opportuno consentire la riconoscibilità della integrazione muraria mediante la
adozione di un leggero sottosquadro o di finiture superficiali differenti tra i mattoni nuovi e quelli
antichi.
33
6.4.9 Efflorescenze
Le efflorescenze sono macchie biancastre, cristalline o amorfe, che si possono formare sulla
superficie esterna della muratura, o all’interno dei materiali stessi (subefflorescenze). Normalmente
questo fenomeno si verifica nelle zone maggiormente esposte a sole e vento, dove la facilità di
evaporazione dell’acqua è maggiore. Le cause possono essere ricercate nell’acqua di risalita che,
passando per capillarità nella muratura, porta in soluzione solfati, carbonati e nitrati. Quando l’acqua
raggiunge la superficie esterna della muratura evapora, depositando sulla superficie i cristalli salini.
Gli interventi consigliati sono:
eliminazione di eventuali ristagni d’acqua mediante drenaggi, rimozione meccanica o manuale dei
depositi, realizzazioni di tagli chimici alla base delle murature, realizzazione di intonaci macroporosi,
Realizzazione di impermeabilizzazioni in corrispondenza delle fondazioni.
Figura 40-Efflorescenze
6.4.10 Polverizzazione
Si tratta della distruzione e polverizzazione dei giunti di malta o dei materiali lapidei costituenti la
muratura stessa. Questo degrado è conseguente alla formazione di solfati sulla superficie della
muratura, i quali sono solubili in acqua e quindi dilavabili.
Interventi consigliati sono: pulitura meccanica della superficie mediante spazzola morbida per
asportare il materiale incoerente; lavaggio della muratura con la canna dell’acqua; ristilatura di giunti
con malta dalle caratteristiche chimico – fisiche analoghe a quella esistente.
Eventuali interventi di scuci – cuci nelle zone di muratura maggiormente colpite da tale fenomeno
di degrado
Figura 41-Polverizzazione
34
7. Tipologie di intervento di ripristino
Per interventi di ripristino innanzitutto si intende quella serie di accorgimenti che vengono presi
allorquando si decidano misure correttive destinate a riparare un difetto specifico o il deterioramento
di un aspetto funzionale, per ricreare le condizioni iniziali dell'opera. Un ponte in muratura può
presentare molteplici difetti con diversi gradi di gravità, e quindi può essere utile e vantaggioso
coordinare gli interventi affinché le problematiche vengano risolte contemporaneamente,
minimizzando i tempi di interruzione del servizio del ponte. La prima fonte di informazioni a
disposizione del committente è la relazione sulla sicurezza del ponte in seguito ad ispezione, in cui
sono elencate le azioni necessarie al manufatto sia a breve termine (le azioni di manutenzione,
conservazione o riparazione), sia a lungo termine (ripristino o la ricostruzione completa). Ci sono due
diversi livelli a cui l’intervento sui ponti in muratura può essere operato:
- manutenzione ordinaria, ad esempio ripareggiare i giunti di malta, che è un intervento di natura
preventiva;
- riparazione, ad esempio il rimpiazzo della muratura danneggiata, che è un intervento di natura
correttiva.
È essenziale, come detto, che la causa del deterioramento sia compreso e che gli effetti di ogni
rinforzo o riparazione siano considerati prima di iniziare ogni attività sul ponte. Qui di seguito
verranno presentati i principali tipi di intervento di manutenzione e quindi ripristino. Gli interventi di
rinforzo strutturale, ad esempio laddove sia richiesto un aumento di resistenza, che è un intervento
finalizzato ad un miglioramento delle caratteristiche prestazionali del manufatto, verranno trattati
nel capitolo successivo, in relazione all'argomento di primario interesse di questo lavoro, ovvero
l'adeguamento sismico. I primi quattro trattamenti ovvero il ripristino delle malte, la riparazione di
mattoni o pietre scheggiate o delaminate, sostituendo le pietre mancanti, e la rimozione di gunite si
applicano a tutti i componenti del ponte. I trattamenti rimanenti sono suddivisi per ogni specifica
componente del ponte.
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Le riparazioni di ponti in muratura sono spesso intraprese ripristinando e stuccando con cementi
Portland. Come legante eminentemente idraulico, il cemento Portland è resistente alla dissoluzione
in ambienti aggressivi come quelli dei ponti. Tuttavia, cementi artificiali possono essere incompatibili
con i materiali della muratura. La forza della muratura dipende in larga misura dalla forza del legame
tra la malta e l'unità muratura, e questa è determinata dalle proprietà meccaniche della malta, che a
loro volta sono dettate dalla sua composizione e dalla tecnologia di produzione. L'influenza delle
malte nella durata della muratura è stato dimostrato. Ad esempio, una malta può indurre fratture
nelle unità in muratura. Sotto stress, una buona malta deve comportarsi come un materiale elastico,
assorbire lo stress e recuperare la sua deformazione quando scaricato, anche se
contemporaneamente soffre un certo grado di deformazione plastica. Ed in questo senso, forti
leganti idraulici quali il cemento Portland non tendono ad assorbire le deformazioni trasferendo così
tensioni nella muratura adiacente, provocando successivamente rotture fragili in tali elementi.
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7.2 Interventi di ripristino per componente del ponte
7.2.1 Riparazione / ripristino dei parapetti danneggiati o mancanti
L'altezza del parapetto e la sua forma possono essere caratteri specifici di un ponte in muratura, ed i
parapetti sono anche una delle parti più frequentemente danneggiate dei ponti in muratura in
genere, principalmente a causa dell'impatto di veicoli, anche se ciò si manifesta rarissimamente nel
caso dei ponti ferroviari. Anche la mancanza dei copponi di rivestimento o la loro sostituzione in
maniera poco accurata con elementi di altri materiali possono portare a dannose infiltrazioni d'acqua.
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bonifica dall'erosione, interessando una zona posta al di sotto della superficie dell'acqua, e quindi
non visibile, può comunque consentire il ricorso a tecniche all'avanguardia, senza incappare in
problematiche relative all'adeguatezza o meno di queste tecniche rispetto all'impatto estetico sul
ponte esistente. Queste possono essere sistemi di palancole e paratie od il semplice
approfondimento delle fondazioni, in modo tale da renderle portanti nonostante il fenomeno erosivo
più in superficie.
Figura 44-Erosione con rischio di instabilità del basamento in una spalla da ponte
38
8. Tipologie di rinforzo strutturale
In questo capitolo verranno presentate le principali modalità di intervento per migliorare la capacità
di resistenza di una struttura rispetto a sollecitazioni esterne. In ogni caso, è necessario precisare che,
poiché ad oggi si ritiene che buona parte dei ponti in muratura debbano garantire il proprio stato di
servizio ancora per un tempo considerevole in futuro, una volta che si è deciso di intervenire su un
ponte esistente è importante non compiere interventi che possano compromettere, a favore di un
temporaneo miglioramento prestazionale, la sua durevolezza, come ad esempio incrementare il
regime tensionale in esercizio a tal punto da comportare una riduzione della vita utile del ponte a
causa di un raggiungimento prematuro del limite a fatica. Ad esempio, modificare la natura e/o la
rigidezza di un elemento del ponte può comportare una ridistribuzione delle tensioni causando una
sovrasollecitazione di un altro elemento che non per forza sarà in grado di sostenere in modo
prolungato e ripetuto.
Sempre nell'ottica di un rafforzamento strutturale invece, l'adeguamento sismico, detto anche
"seismic retrofit", è la modifica delle strutture esistenti per renderle più resistenti all'attività di un
terremoto, o al cedimento del suolo a causa dello stesso. Gli effetti sismici è noto come siano
proporzionali alle masse, e pertanto, come detto in precedenza, le masse moderne comportano
effetti sismici maggiori che in passato a parità di azione sismica al piede, ed un caso emblematico
d’incremento dei carichi permanenti è proprio rappresentato dall’impalcato dei ponti in muratura
(massicciata, strato di usura, manto). È importante tenere a mente comunque, che anche se le
prestazioni possono essere notevolmente migliorate attraverso una corretta progettazione iniziale o
successive modifiche, non esiste struttura che sia a prova di qualsiasi terremoto. Ad ogni modo, gli
elementi che hanno grandissima rilevanza strutturale in un ponte ad arco in muratura sono le arcate
vere e proprie e i timpani, e quindi, i rinforzi strutturali sono specialmente orientati alla cura di queste
componenti.
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Esiste, infatti, una notevole differenza tra fibre di carbonio, di vetro e di aramide, in particolare per
quanto riguarda:
- le proprietà meccaniche di resistenza e modulo elastico in trazione;
- la durabilità all’esposizione ambientale;
- il fenomeno del rilassamento o creep.
Prima di tutto è necessario ricordare che le fibre prima citate non individuano un solo prodotto. Così
come per l’acciaio vi sono diverse qualità, anche tra le fibre di vetro e tra le fibre di carbonio esistono
differenti qualità. La resistenza media della famiglia dei filamenti di carbonio varia da 1900 MPa a
4900 MPa, al contempo i moduli elastici variano da 640 GPa a 230 GPa. I filamenti di carbonio,
pertanto, possiedono rigidezze e resistenze maggiori degli acciai da costruzione, anche se di fatto
non possiedono una riserva plastica. Sono indicati per tutti gli interventi di rinforzo a flessione e a
taglio, in special modo dove esistono fatica o elevati stati tensionali permanenti. La resistenza media
della famiglia dei filamenti di vetro varia da 2500 a 3500 MPa, al contempo il modulo elastico in
trazione varia da 60 a 80 GPa. I filamenti di vetro, pertanto, pur possedendo anch'essi resistenze
superiori all’acciaio, hanno bassi moduli elastici. Questi materiali, sono indicati per interventi di
fasciatura, di contenimento dello stato fessurativo e in tutte quelle applicazioni dove il regime
tensionale permanente è modesto. Per quanto riguarda la durabilità, i filamenti più comuni di fibra
di vetro si sciolgono in ambiente alcalino. Il calcestruzzo è, pertanto, potenzialmente molto pericoloso
per i filamenti di vetro qualora si venissero a trovare scoperti dal loro polimero di impregnazione.
Infine, i filamenti di fibra aramidica hanno resistenze e moduli elastici intermedi rispetto ai due
precedenti.
L'impiego di questi materiali nei ponti in muratura è specialmente legato al rinforzo delle
arcate, con la fasciatura dell'intradosso, potenziandone enormemente la capacità di resistenza a
trazione, ma l'uso dei fogli di FRP può anche prevenire lo sviluppo di fessure longitudinali.
I compositi FRP, come detto, sono molto leggeri e quindi facili da gestire in cantiere, dove i lavori di
costruzione possono essere eseguiti velocemente e senza l'impiego di macchinari pesanti. Il problema
della corrosione non è di grande rilevanza per gli FRP essendo virtualmente resistenti agli attacchi
chimici. L'efficacia di tale accorgimento è stata dimostrata da diversi studi, in cui si è osservata anche
un notevole incremento di prestazione dell'arco con l'uso di ridotte quantità di fibre rinforzate,
applicate nelle posizioni in cui precedentemente si erano individuate le potenziali cerniere plastiche
tramite il metodo cinematico. L’adeguamento all’azione sismica orizzontale può essere ottenuto
realizzando un ideale traliccio reticolare pseudo-orizzontale. Le aste tese del traliccio debbono essere
costituite dagli apporti esterni in FRP, mentre le aste compresse sono costituite da porzioni di massa
muraria.
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8.2 Rinforzo delle pile con (micro)pali in acciaio
Per evitare il ribaltamento delle pile, fornendo loro capacità di resistenza a trazione ed anche
resistenza allo scorrimento sotto forza sismica, oltre che per migliorarne la capacità portante, esse
devono essere rafforzate mediante l'uso di mini (micro) pali, che si estendono dalla sommità dei
pilastri fino ad un minimo di 5 m nella roccia o terreno sottostante i plinti esistenti. Questi possono
venire disposti inclinati, per meglio offrire resistenza alle azioni sia longitudinali che trasversali del
sisma. Importante e da tenere nel dovuto conto nello studio sismico, nel caso si tratti di pile da ponte,
anche degli effetti idrodinamici dell'acqua dopo la scossa tellurica.
41
questo caso la struttura esistente assume ridondanza nei confronti del rivestimento realizzato,
contribuendo insieme a sostenere i carichi esterni, siano essi variabili o sismici.
8.6 La cappa in c.a.
42
espansa). Per migliorare la statica della volta si può procedere inoltre alla ricostruzione di un sistema
di muretti (frenelli), normali alla generatrice della volta, che, oltre ad impedirne la possibilità di ampie
deformazioni, possono anche costituire il sostegno di solai. La disposizione dei frenelli dipende dal
tipo di volta e vi si collegano mediante monconi d’acciaio o chiodi emergenti dalla cappa estradossale
in calcestruzzo.
43
8.7 L’arco armato
Gli archi e le volte costituiti da materiale resistente a compressione ma non a trazione raggiungono il
collasso quando, all’incrementarsi dei carichi, la curva delle pressioni risulta tangente in più punti ai
profili esterni dell’arco dando luogo a rotazioni localizzate tra i conci (con formazione di cerniere) in
numero tale da generare un meccanismo di collasso. Quando siano note le posizioni delle cerniere,
risulta agevole calcolare il carico di collasso. In assenza di tale informazione è ancora possibile
individuare il carico di collasso come il minimo tra i carichi cinematicamente ammissibili, analizzando
tutte le possibili posizioni delle cerniere. Si può constatare dalle prove realizzate da innumerevoli
autori in varie epoche e dalle osservazioni in situ che, in fase di collasso, le cerniere danno sempre
luogo a fessurazioni alternate tra le fibre di estradosso e quelle di intradosso dell’arco. In altre parole
i punti attorno a cui avvengono le rotazioni mutue rigide tra i vari segmenti di arco sono situati in
modo alternato all’estradosso ed all’intradosso. Se si potesse impedire almeno una tra le due famiglie
di cerniere (tutte quelle di estradosso oppure tutte quelle di intradosso) nella struttura non si
potrebbero formare alcun meccanismo con cerniere alternate. L’arco iperstatico potrebbe al
massimo degradarsi ad un “arco a tre cerniere”, che è staticamente efficiente. In altre parole la
struttura non potrebbe diventare ipostatica e quindi non si arriverebbe al collasso per cinematismo,
a meno di rotture locali nel materiale, eccessivamente sollecitato.
Da alcuni anni è stata proposta una tecnica di consolidamento denominata Arco Armato: un
intervento leggero, reversibile e praticamente privo di masse aggiunte, con il quale ci si oppone alla
formazione delle cerniere che si aprono in modo alternato all’intradosso e all’estradosso. Il metodo
consiste nella posa di un cavo tesato su almeno uno dei lembi dell’arco o della volta, in modo da
precomprimere i conci, così da renderli capaci di resistere a flessione. Quando il cavo viene tesato, il
sistema diventa attivo ed è in grado di applicare all’arco un sistema di forze radiali, che ricentrano la
curva delle pressioni e, di conseguenza, impediscono, o comunque posticipano, la formazione delle
cerniere. Ci si avvicina così allo stato ideale di compressione pura tra concio e concio. La tecnica
dell’Arco Armato è stata ampiamente sperimentata e analizzata, individuando la risposta a collasso
del sistema arco+cavo soggetto a carichi verticali, all’aumentare del tiro imposto al cavo d’acciaio. Le
prove effettuate hanno dimostrato la validità del metodo su archi tracciati secondo molteplici curve
generatrici (tra cui circolari, ribassate, policentriche, a tutto sesto e a sesto acuto), comprese le
situazioni strutturalmente meno favorevoli in cui l’arco è parzialmente depresso e quindi
compromesso anche dai punti di vista estetico e funzionale. L’efficacia strutturale del sistema
dipende dall’intensità delle forze radiali trasmesse dal cavo (teso in maniera uniforme) alla muratura.
L’adattamento delle forze radiali trasmesse dal cavo è un processo che si auto-governa e che si
traduce in una distribuzione di pressioni il quale dipende dal raggio di curvatura locale (non
necessariamente uniforme) ed è in grado di modificare la posizione e l’intensità della forza assiale
che i conci mutuamente si trasmettono. Il cavo teso, infatti, può rimanere nella configurazione
assegnata solamente se il sistema di forze che lo interessa è equilibrato e se dà origine ad una curva
delle pressioni coincidente col cavo stesso. Il cavo pertanto lavora a sola trazione. Le forze applicate
dall’arco al cavo, per azione e reazione, sono uguali ed opposte a quelle applicate dal cavo all’arco.
Di conseguenza, dato che l’arco in muratura ha la stessa geometria del cavo, le forze applicate all’arco
lo sollecitano a sola compressione.
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Figura 51-Schemi di applicazione del carico ai modelli
Recentemente, dopo una corposa sperimentazione con carichi verticali, è stata condotta una nuova
campagna sperimentale, con lo scopo di verificare l’efficacia della tecnica RAM in presenza di forze
orizzontali, come quelle sismiche. La sperimentazione è stata eseguita su modelli in legno, di luce 120
cm, che riproducono molteplici geometrie di arco, ed a cui sono state applicate sollecitazioni
orizzontali. Per ciascuna diversa geometria sono state sperimentati tre configurazioni:
• l’arco privo di rinforzi
• l’arco consolidato con cavi solo all’estradosso
• l’arco consolidato con cavi solo all’intradosso.
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Figura 53- armatura (A) posta all’estradosso, (B) posta all’intradosso. In presenza dell’armatura, la struttura si comporta come un
arco a 3 cerniere, deformabile
Per realizzare una adeguata “forzatura” tra le funi e l’arco (mediante coazioni imposte, che inducono
una trazione nelle funi ed una contemporanea compressione nell’arco) è sufficiente fissare le funi
agli estremi dell’arco ed allontanarle dall’estradosso murario mediante la interposizione di cunei,
uniformemente ripartiti, oppure, in modo più semplice, utilizzando comuni tenditori con filetto SX-
DX, posti alle estremità del cavi. Il posizionamento dei cavi all’estradosso risulta semplice in assenza
di materiale di riempimento, come capita frequentemente nelle volte di copertura. In caso contrario
si deve procedere ad una rimozione, almeno parziale, del riempimento stesso.
Figura 54- forze di interazione tra cavo (in trazione) e arco (in compressione), con cavo posto (A) all’estradosso, (B) all’intradosso.
E’ importante notare che la inefficienza dei piedritti, o la assenza di catene, renderebbe vano il
rinforzo introdotto dall’arco armato (sia all’estradosso che all’intradosso) in quanto si potrebbero
presentare cinematismi che coinvolgono anche le sezioni di base, non armate. In tali casi i tiranti
vanno portati fino a terra e fissati alle fondazioni.
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Figura 55- (A) arco efficiente, con tirante estradossale (intradossale) e catena
(B) arco inefficiente, con tirante estradossale(intradossale) ma senza catena
(C) Conseguente meccanismo di collasso
(D) arco efficiente, con tirante estradossale(intradossale) condotto fino a terra
I risultati ottenuti hanno confermato la validità del metodo di consolidamento in presenza sia di
carichi verticali che di carichi orizzontali. L’impiego della tecnica dell’Arco Armato ha portato a
notevoli incrementi di resistenza a rottura rispetto alla situazione originaria (cioè in assenza di
rinforzo), come si osserva nei grafici. Un risultato decisamente interessante, leggibile nei grafici,
consiste nella relazione di tipo lineare tra il carico di collasso sotto azione orizzontale (Pc) e l’entità
della forza di trazione imposta ai cavi d’armatura (Nt). Confrontando i risultati ottenuti su modelli
consolidati all’estradosso e su modelli consolidati all’intradosso, si ottiene che, a parità di tiro del
cavo, il miglioramento è praticamente analogo, validando entrambe le modalità di applicazione.
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Figura 56-Grafico con cavi all’estradosso: carico di collasso Pc in funzione della forza di trazione Nt applicata ai cavi d’armatura.
Confronto tra varie geometrie di arco
Figura 57-Grafico con cavi all’intradosso: carico di collasso Pc in funzione della forza di trazione Nt applicata ai cavi d’armatura.
Confronto tra varie geometrie di arco
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